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Italian Pages 104 Year 1995
Table of contents :
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Nuovo Politecnico 7
Einaudi 1966,10a ed., 1977
ROLAND BARTHES
ELEMENTI DI SEMIOLOGIA Linguistica è scienza delle significazioni
C. 1. 323-6
Nel suo Cours de linguistique générale, Ferdinand de Saussure postulava l’esistenza di una scienza generale dei segni, o semiolo gia, di cui la linguistica sarebbe solo una parte. In queste lezioni Roland Barthes - professore di sociologia dei segni, simboli e rap presentazioni alla Ecole Pratique des Hautes Etudes - dopo aver osservato che è difficile concepire un sistema d’immagini o di og getti (cinema, pubblicità, abbigliamento, ecc.) i cui significati esi stano fuori del linguaggio, esplora la possibilità di rovesciare l’af fermazione di Saussure: la linguistica non è una parte della scienza generale dei segni, ma piuttosto, la semiologia è una parte della linguistica, e precisamente quella che ha per oggetto le grandi uni tà significanti del discorso. Emerge in tal modo una probabile uni tà delle ricerche intorno al concetto di significazione che sino ad ora sono state condotte per linee separate nell’antropologia, nella psicoanalisi, nella sociologia e nella stilistica. Roland Barthes, nato nel 1915, vive e insegna a Parigi. Delle sue opere Ei naudi ha tradotto Saggi critici (1966), Critica e verità (1969), Sistema della Moda (1970), SjZ (1973), Miti d’oggi (1974), Il piacere del testo (1975).
Nuovo Politecnico Ultimi volumi pubblicati (all’interno del volume l’elenco completo):
90. Michel Foucault, Microfisica del potere Interventi politici
9r. Roland Barthes, Sade, Fourier, Loyola La scrittura come eccesso
92. G. Baglioni, V. Castronovo, A. Cavalli, R; Laporta, C tecorvo, S. Rodotà, P. Rossi, B. Sajeva, P. Sylos Labini, ze sociali e riforma della scuola secondaria Una proposta
93. R. Medvedev, R. Lett, L. Kopelev, P. Egorov, A. Zim Krasikov, Dissenso e socialismo Una voce marxista del Samizdat sovietico Di prossima pubblicazione:
Roberto Convenevole, Processo inflazionistico e redistribi del reddito Lire 2000
Titolo originale Elements de semiologie © 1964 Roland Barthes et Editions du Seuil, Paris Copyright © 1966 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino Traduzione di Andrea Bonomi
Decima edizione
Roland Barthes
ELEMENTI DI SEMIOLOGIA
Indice
p. 13
Introduzione
I.
Lingua e Parola
Li. In linguistica 17 17 18 19 20 21 23 24
I.i.r. In Saussure 1.1.2. La Lingua I.I.3. La Parola L1.4. Dialettica della Lingua e della Parola 1.1.5. In Hjelmslev I.I.6. Problemi 1.1.7. L’idioletto L1.8. Strutture doppie
1.2. Prospettive semiologicbe 25 27 28 29 30 31 32
1,2.1. I.2.2. I.2.3. I.2.4. I.2.5. I.2.6. I.2.7.
Lingua, Parola e scienze umane Il vestito Il cibo L’automobile, il mobilio Sistemi complessi Problemi (I): origine dei sistemi Problemi (II): il rapporto Lingua/Parola
II. Significato e Significante
II.1. Il Segno 34 36 37 38
II.1.1. II.1.2. II.1.3. II.1.4.
La classificazione dei segni. Il segno linguistico Forma e sostanza Il segno semiologico
6
INDICE
II.2. Il Significato p. 40 41 42
II.2.1. Natura del significato II.2.2. Classificazione dei significati linguistici II.2.3. I significati semiologici
II.3. Il Significante 44 44
II.3.1. Natura del significante II.3.2. Classificazione dei significanti
II.4. La Significazione 45 46 48
II.4.1. La correlazione significativa II.4.2. Arbitrarietà e motivazione in linguistica II-4.3. Arbitrarietà e motivazione in semiologia
II.5. IlValore 50 51
II.5.1. Il valore in linguistica II.5.2. L’articolazione
III. Sintagma e Sistema III. I. I due assi del linguaggio
53 54 55
IILr.r. Rapporti sintagmatici e associativi in linguistica III.1.2. Metafora e Metonimia in Jakobson III.1.3. Prospettive semiologiche
III.2. Il Sintagma 57 57 58 60 62 63
III.2.1. III.2.2. III.2.3. III.2.4. III.2.5. III.2.6.
Sintagma e Parola Il discontinuo La prova di commutazione Le unità sintagmatiche Le coercizioni combinatorie Identità e distanza delle unità sintagmatiche
INDICE
7 III .3. Il Sistema
p. 64 66 &7 70 72 74 76
III.3. III.3. III.3. III.3. III.3. IIL3.6. III.3.
1. Somiglianza e dissomiglianza; la differenza 2. Le opposizioni 3. La classificazione delle opposizioni 4. Le opposizioni semiologicbe 5. Ilbinarismo La neutralizzazione 7. Trasgressioni
IV. Denotazione e Connotazione 79 80 81 82
IV .r. I sistemi sganciati I V.2. La connotazione IV .3. TI metalinguaggio IV. 4. Connotazione e metalinguaggio
84
Conclusione: la ricerca semiologica
89
Bibliografia critica Indice semiologico
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Qualche settimana prima di morire, e già gravissimo, Elio Vittorini si era preoccupato e aveva trovato la forza di scrivermi per chiedermi di pubblicare questi Elementi di semiologia nella collana « Nuovo Politecnico » da lui diretta. Questa richiesta mi ha profondamente commos so. Oltre a una testimonianza della sua amicizia, ho visto in essa l’ammirevole superiorità di un uomo deciso ad ac compagnare la ricerca di nuovi linguaggi (com’è quello della linguistica) fino all’estremo delle sue forze. Dedico perciò queste pagine di lavoro e di ricerca alla memoria di Elio Vittorini. R. B.
ELEMENTI DI SEMIOLOGIA
Introduzione
Nel suo Cours de Linguistique Generale, pubblicato per la prima volta nel 1916, Saussure postulava l’esisten za di una scienza generale dei segni, o Semiologia, di cui la linguistica sarebbe solo una parte. In prospettiva, la semiologia ba quindi per oggetto tutti i sistemi di segni, quali che possano essere le sostanze e i limiti di questi si stemi: le immagini, i gesti, i suoni melodici, gli oggetti e i complessi di queste sostanze - rintracciabili in riti, pro tocolli o spettacoli — costituiscono, se non dei «linguag gi », per lo meno dei sistemi di significazione. È indubbio che lo sviluppo assunto dalle comunicazioni di massa con ferisce oggi una grande attualità a questo immenso cam po della significazione, nel momento stesso in cui le ac quisizioni di discipline come la linguistica, la teoria del l’informazione, la logica formale e l’antropologia struttu rale aprono nuove vie alla analisi semantica. La semiolo gia risponde oggi a una sollecitazione concreta, imputa bile non già all’immaginazione di pochi ricercatori, ma alla storia stessa del mondo moderno. Tuttavia, quantunque l’idea di Saussure abbia avuto ampi sviluppi, la semiologia è ancora alla ricerca di se stessa, e forse per una ragione molto semplice. Saussure, seguito in ciò dai principali semiologi, pensava che la lin guistica non fosse altro che ima parte della scienza gene rale dei segni. Orbene, non è affatto certo che nella vita sociale del nostro tempo esistano, al di fuori del linguag gio umano, sistemi di segni di una certa ampiezza. Finora la semiologia si è occupata solo di codici di interesse assai ristretto, come per esempio il codice stradale; non appe na si passa a insiemi dotati di una autentica profondità sociologica, si incontra di nuovo il linguaggio. Oggetti,
INTRODUZIONE 14 immagini, comportamenti possono, in effetti, significare, e significano ampiamente, ma mai in modo autonomo: ogni sistema semiologico ha a che fare con il linguaggio. La sostanza visiva, per esempio, conferma le sue signifi cazioni facendosi accompagnare da un messaggio lingui stico (come avviene per il cinema, la pubblicità, i fumetti, la fotografia giornalistica, ecc.), cosicché almeno una par te del messaggio iconico si trova in un rapporto struttu rale di ridondanza o di ricambio con il sistema della lin gua. Dal canto loro, gli insiemi d’oggetti (vestito, cibo) non accedono allo statuto di sistema se non passando at traverso la mediazione della lingua, che ne isola i signifi canti (sotto forma di nomenclature) e ne nomina i signi ficati (sotto forma di usi o di ragioni): nonostante l’in vasione delle immagini, la nostra è piu che mai una ci viltà della scrittura. In genere, poi, sembra sempre piu difficile concepire un sistema di immagini o di oggetti i cui significati possano esistere fuori del linguaggio: per percepire ciò che una sostanza significa, si deve necessa riamente ricorrere al lavoro di articolazione svolto dalla lingua: non c’è senso che non sia nominato, e il mondo dei significati non è altro che quello del linguaggio. Così il semiologo, anche se in partenza lavora su so stanze non linguistiche, incontrerà prima o poi sulla pro pria strada il linguaggio (quello «vero»), non solo a ti tolo di modello, ma anche a titolo di componente, di ele mento mediatore o di significato. Tuttavia, tale linguag gio non è lo stesso dei linguisti: è un linguaggio secondo, le cui unità non sono piu i monemi o i fonemi, ma fram menti piu estesi del discorso che rinviano a oggetti o epi sodi, i quali significano sotto il linguaggio, ma mai senza di esso. Pertanto, la semiologia è forse destinata a farsi assorbire da ima trans-linguistica, la cui materia sarà co stituita ora dal mito, dal racconto, dall’articolo giornali stico, ora dagli oggetti della nostra civiltà, nella misura in cui essi sono parlati (attraverso la stampa, il volanti no, l’intervista, la conversazione e forse anche il linguag gio interiore, di ordine fantasmatico). Si deve insomma ammettere sin d’ora la possibilità di rovesciare, un gior no, l’affermazione di Saussure: la linguistica non è una
INTRODUZIONE
15 parte, sia pure privilegiata, della scienza generale dei se gni, ma viceversa la semiologia è una parte della lingui stica: e precisamente quella parte che ha per oggetto le grandi unità significanti del discorso. Emergerebbe cosi l’unità delle ricerche che vengono attualmente condotte nell’antropologia, nella sociologia, nella psicoanalisi e nel la stilistica intorno al concetto di significazione. Benché sia destinata senza dubbio a trasformarsi, la semiologia deve anzitutto, se non costituirsi, per lo meno saggiarsi, esplorare le possibilità - e le impossibilità che le sono aperte. E questo può farsi soltanto sulla base di una informazione preliminare. Orbene, dobbiamo sin d’ora accettare che questa informazione sia timida e al tempo stesso temeraria: timida perché attualmente il sa pere semiologico non può essere altro che una copia del sapere linguistico; temeraria perché questo sapere deve già applicarsi, almeno come progetto, a oggetti non lin guistici. Gli Elementi che qui presentiamo, non hanno altro fi ne se non quello di far emergere dalla linguistica1 i con cetti analitici che a priori riteniamo idonei, per la loro generalità, ad avviare la ricerca semiologica. Raccoglien doli, non presumiamo che essi rimangano intatti nel cor so della ricerca; né che la semiologia debba sempre se guire rigidamente il modello linguistico12. Ci limitiamo a proporre e a chiarire una terminologia, auspicando che essa permetta di introdurre un ordine iniziale (ancorché provvisorio) nella massa eteroclita dei fatti significanti: si tratta, in sostanza, di un principio di classificazione dei problemi. Raggrupperemo dunque questi elementi di semiologia in quattro grandi sezioni, che traggono origine dalla lin guistica strutturale: I. Lingua e Parola-, II. Significato e Significante-, III. Sintagma e Sistema-, IV. Denotazione 1 «Un concetto non è una cosa, ma non è nemmeno la semplice co scienza di un concetto. Esso è uno strumento e una storia, cioè un fascio di possibilità e di ostacoli inerente a un mondo vissuto» (g. granger, Methodolog/e économique, p. 23). 2 Pericolo che è stato posto in evidenza da c. lévi-strauss, Anthro pologic strutturale, p. 23.
16
INTRODUZIONE
e Connotazione. Come si vede, queste sezioni si presen tano sotto una forma dicotomica. A tal proposito, va os servato che la classificazione binaria dei concetti sembra frequente nel pensiero strutturale1, come se il metalin guaggio del linguista riproducesse,4n scorcio, la struttura binaria del sistema che egli descrive; e segnaleremo inol tre, per inciso, che sarebbe molto istruttivo studiare la preminenza della classificazione binaria nel discorso delle scienze umane contemporanee: se fosse ben conosciuta, la tassinomia di queste scienze fornirebbe certo utili rag guagli su ciò che potremmo chiamare l’immaginario in tellettuale della nostra epoca. 1 Questa caratteristica è stata notata (con sospetto) da M. Cohen, Linguistique moderne et idéalisme, «Recherches interri.», maggio 1958, n. 7.
I.
1.1.
Lingua e Parola
In linguistica.
1.1.1. Il concetto (dicotomico) di Lingua arala è essenziale in Saussure e ha indubbiamente rappresentato una grande novità in rapporto alla linguistica precedente, che si prefiggeva di cercare le cause del mutamento stori co negli slittamenti di pronuncia, nelle associazioni spon tanee e nell’azione della analogia, e che pertanto era una linguistica dell’atto individuale. Per formulare questa ce lebre dicotomia, Saussure è partito dalla natura « multi forme ed eteroclita » del linguaggio, che a prima vista si rivela come ima realtà inclassificabile *, da cui non si può ricavare l’unità, giacché questa realtà è ad un tempo fisi ca, fisiologica e psichica, individuale e sociale. Orbene, tale disordine viene meno se, da questo tutto eteroclito, si astrae un puro oggetto sociale, insieme sistematico del le convenzioni necessarie alla comunicazione, indifferen te alla materia dei segnali che lo compongono; si tratta della lingua, di fronte alla quale la parola rappresenta la parte puramente individuale del linguaggio (fonazione, realizzazione delle regole e combinazioni contingenti di segni). I.I.2. Se si vuole,' la Lingua è quindi il linguaggio meno la Parola; è una istituzione sociale e in pari tempo un sistema di valori. Come istituzione sociale, essa non è per nulla un atto, e sfugge a qualsiasi premeditazione: è la parte sociale del linguaggio. L’individuo non può, da solo, né crearla né modificarla, poiché essa è essenzialmen te un contratto collettivo, al quale ci dobbiamo sottomet1 Si noterà che la prima definizione della lingua è di ordine tassino* mico: è un principio di classificazione.
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LINGUA E PAROLA
tere globalmente se vogliamo comunicare. Inoltre, questo prodotto sociale è autonomo, alla stregua di un gioco do tato di regole proprie, giacché non se ne può fruire se non in seguito a un processo di apprendimento. Come si stema di valori, la Lingua è costituita da un certo nume ro di elementi, ciascuno dei quali è un valente-per e al tempo stesso il termine di una funzione piu ampia in cui prendono posto, in modo differenziale, altri valori corre lativi. Dal punto di vista della lingua, il segno è come una moneta1: questa moneta vale per un certo bene che essa permette di acquistare, ma vale anche in rapporto ad al tre monete, di valore maggiore o minore. L’aspetto isti tuzionale e l’aspetto sistematico sono evidentemente col legati: proprio perché è un sistema di valori contrattuali (in parte arbitrari, o, per essere piu esatti, immotivati), la lingua resiste alle modificazioni dell’individuo solo ed è perciò una istituzione sociale. I.I.3. Di fronte alla lingua, istituzione e sistema, la Parola è essenzialmente un atto individuale di selezione e di attualizzazione; in primo luogo essa è costituita dalle « combinazioni grazie alle quali il soggetto parlante può utilizzare il codice della lingua per esprimere il suo pen siero personale» (si potrebbe chiamare discorso questa parola estesa), e poi dai « meccanismi psicofisici che per mettono al soggetto stesso di esteriorizzare queste com binazioni ». È certo che la fonazione, per esempio, non può essere confusa con la Lingua: né l’istituzione né il sistema risultano alterati se l’individuo che vi ricorre par la a voce alta o bassa, lentamente o rapidamente, ecc. L’aspetto combinatorio della Parola è evidentemente ca pitale, in quanto implica che la Parola è costituita dal ri torno di segni identici: se ogni segno diviene un elemen to della Lingua, è perché essi si ripetono da un discorso all’altro e in un medesimo discorso (quantunque siano combinati secondo l’infinita diversità delle parole); se la Parola corrisponde a un atto individuale e non a una crea zione pura, è perché è essenzialmente una combinatoria. 1 Cfr. infra, II.5.X.
IN LINGUISTICA
19
I.I.4. Lingua e Parola: evidentemente, ciascuno di questi due termini non trova una completa definizione se non nel processo dialettico che li unisce: non c’è lingua senza parola, e non c’è parola che si situi fuori della lin gua; è in questo scambio che risiede l’autentica prassi lin guistica, come ha indicato Merleau-Ponty. « La Lingua — dice anche V. Bròndal1 - è una entità puramente astratta, una norma superiore agli individui, un insieme di tipi es senziali, che la parola realizza in modo infinitamente va riabile ». Lingua e Parola si trovano quindi in un rapporto di comprensione reciproca; da una parte, la Lingua è « il tesoro depositato dalla pratica della Parola nei soggetti che appartengono a una medesima comunità », e, poiché è una somma collettiva di impronte individuali, al livel lo di ogni individuo isolato essa non può essere che in completa: la Lingua non esiste perfettamente se non nel la « massa parlante »; si può utilizzare una parola solo se la si preleva nella lingua. D’altro canto, la lingua è possi bile soltanto a partire dalla parola: storicamente, i fatti di parola precedono sempre i fatti di lingua (è la parola a far evolvere la lingua), e, dal punto di vista genetico, la lingua si costituisce nell’individuo mediante il processo di apprendimento della'parola che lo circonda (ai bambi ni piccoli non si insegna la grammatica e il vocabolario, cioè grosso modo la lingua). Insomma, la Lingua è insie me il prodotto e lo strumento della parola: ci troviamo di fronte a una autentica dialettica. Va notato (e ciò assu merà una particolare rilevanza quando passeremo alle prospettive semiologicbe) che, almeno per Saussure, non potrebbe esserci una linguistica della Parola, giacché ogni parola, non appena è colta come processo di comunica zione, è già lingua: non c’è scienza se non della Lingua.Con ciò vengono immediatamente a cadere due proble mi: è inùtile chiedersi se si deve studiare la parola prima. della lingua; l’alternativa è impossibile: non si può far altro che studiare subito la parola in ciò che essa ha di linguistico (di « glottico »). È altrettanto inutile chiedersi 1 «Acta Linguistica», i, i, p. 5.
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LINGUA E PAROLA
preliminarmente come separare la lingua e la parola: que sta non è un’operazione preliminare, ma viceversa l’essen za stessa dell’investigazione linguistica (e successivamen te semiologica): separare la lingua dalla parola è, simul taneamente, stabilire il processo del senso. I.I.5. Hjelmslev1 non ha sconvolto la concezione saussuriana della Lingua/Parola, ma ne ha ridistribuito i termini in modo più formale. Nella lingua stessa (che re sta sempre contrapposta all’atto di parola), Hjelmslev di stingue tre piani: 1) lo schema, che è la lingua come for ma pura (Hjelmslev è rimasto incerto se attribuire a que sto piano il nome di «sistema», «pattern» o «ossatu ra»); è la lingua saussuriana, nel senso rigoroso del termine; sarà, per esempio, la r francese, definita fonolo gicamente dalla sua collocazione in una sene di opposi zioni; 2) la norma, che è la lingua come forma materiale, già definita da una certa realizzazione sociale, ma ancora indipendente dal dettaglio di questa manifestazione: sarà la r del francese orale, a prescindere dalla sua pronuncia (ma non la r del francese scritto); 3) l’uso, che è la lingua come insieme di abitudini di una data società: sarà la r di certe regioni. I rapporti di determinazione fra parola, uso, norma e schema sono vari: la norma determina l’uso e la parola; l’uso determina la parola ma è altresì deter minato da essa; lo schema è determinato ad un tempo dalla parola, dall’uso e dalla norma. Di fatto, si vedono cosi apparire due piani fondamentali; 1) lo schema, la cui teoria si confonde con la teoria della forma1 2 e della istituzione; 2) il gruppo Norma-Uso-Parola, la cui teoria si confonde con la teoria della sostanza3 e della esecuzio ne. Poiché — secondo Hjelmslev - la norma è una pura astrazione di metodo e la parola una semplice concretiz zazione («un documento transitorio»), si ritrova infine una nuova dicotomia, Schema/Uso, che si sostituisce alla coppia Lingua/Parola. Il rimaneggiamento hjelmsleviano non è però irrilevante, in quanto formalizza radicalmente 1 l. hjelmslev, Essaii linguistiques, Copenaghen 1959, pp. 69 sgg. 2 Cfr. infra, II.1.3. 3 Cfr. ibid.
IN LINGUISTICA
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il concetto di Lingua (sotto il nome di schema) ed elimi na la. parola concreta a beneficio di un concetto più so ciale, l’wjo. Formalizzazione della lingua, socializzazione della parola: questo movimento permette di annettere tutto il «positivo» e il «sostanziale» alla parola, tutto il differenziale alla lingua, e ciò ha il vantaggio, come ve dremo ora, di rimuovere una delle contraddizioni poste dalla distinzione saussuriana fra la Lingua e la Parola.
I.r.6. Per quanto illuminante e feconda, questa di stinzione comporta tuttavia alcuni problemi. Ne indiche remo tre. Il primo è il seguente: si può identificare la lin gua con il codice e la parola con il messaggio? Questa identificazione è impossibile secondo la teoria hjelmsleviana; P. Guiraud la respinge giacché, egli dice, le conven zioni del codice sono esplicite e quelle della lingua impli cite ', ma essa è certamente possibile nella prospettiva saussuriana, e A. Martinet l’accetta1 2. Si può porre un problema analogo per quanto concerne i rapporti fra la parola e il sintagma3. Come si è visto, la parola può es sere definita, a prescindere dalle ampiezze di fonazione, come una combinazione (varia) di segni (ricorrenti); tut tavia, al livello della lingua stessa, esistono già taluni sin tagmi cristallizzati (Saussure cita un vocabolo composto come magnanimus). La soglia che separa ta lingua dalla parola può dunque essere fragile, giacché essa è qui costi tuita da «un certo grado di combinazione»; ecco quindi introdotta l’analisi dei sintagmi cristallizzati, di natura però linguistica (glottica), giacché essi si prestano global mente alla variazione paradigmatica (Hjelmslev chiama questa analisi morfo-sintassi). Saussure aveva notato di sfuggita questo fenomeno: «Inoltre, c’è probabilmente tutta una serie di frasi che appartengono alla lingua, e che l’individuo non deve più combinare in proprio»4. Se 1 La mécanique de Vanalyse quantitative en linguistique, «Etudes de linguistique appliquée», 2, Didier, p. 37. 2 A. martinet, Eléments de Linguistique générale, Annand Colin, i960, p. 30 [trad. it. di Giulio C. Lepschy, Laterza, Bari 1966, p. 28]. 3 Cfr. infra, sul sintagma, cap. III. 4 Saussure, in r. godel, Les sources manuscrites du Cours de Lingui stique Generale de F. de Saussure, Droz, Minard 1937, p. 90.
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LINGUA E PAROLA
questi stereotipi appartengono alla lingua, e non piu alla parola, e se è dimostrato che numerosi sistemi semiologici ne fanno grande uso, è dunque una autentica linguistica del sintagma che si deve prevedere, necessaria per tutte le «scritture» fortemente stereotipate. Infine, il terzo problema che verrà qui indicato concerne i rapporti fra la lingua e la pertinenza (cioè l’elemento propriamente si gnificante dell’unità). Talvolta (come ha fatto lo stesso Trubeckoj) si è deciso di identificare la pertinenza con la lingua, confinando cosi fuori della lingua tutti i tratti non pertinenti, ossia le varianti combinatorie; questa identi ficazione è però problematica, giacché esistono delle va rianti combinatorie (inerenti quindi, a prima vista, alla parola) che sono però imposte, cioè « arbitrarie »: in fran cese, è imposto dalla lingua che la l sia sorda dopo una sorda (oncle) e sonora dopo una sonora (ongle), senza che questi fatti cessino di appartenere alla semplice fonetica (e non alla fonologia). Appare chiara la conseguenza teo rica: si deve ammettere che, contrariamente all’afferma zióne di Saussure (« nella lingua non ci sono se non diffe renze »), ciò che non è differenziativo possa egualmente appartenere alla lingua (alla istituzione)? Martinet pensa di si; Frei tenta di risparmiare a Saussure la contraddi zione localizzando le differenze in sub-fonemi-, la p non sarebbe, in sé, differenziale, ma nel suo ambito lo sareb bero soltanto il tratto consonantico, quello occlusivo, quello sordo, quello labiale, ecc. Non è questa la sede per prendere posizione su tali problemi; da un punto di vista semiologico, si riconoscerà la necessità di accettare l’esi stenza di sintagmi e di variazioni non significanti che sia no però «glottiche», cioè che appartengano alla lingua. Questa linguistica, in un certo modo estranea alla pro spettiva di Saussure, può assumere una grande importan za ovunque predominino i sintagmi cristallizzati (o ste reotipi), come sicuramente avviene nei linguaggi di mas sa, e ogniqualvolta certe variazioni non significanti for mano un corpo di significanti secondi, come avviene nei linguaggi a forte connotazione *: la r apicale è una sem1 Cfr. infra, cap. IV.
IN LINGUISTICA
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plice variazione combinatoria al livello della denotazione, ma nel linguaggio teatrale, per esempio, essa mette in ri lievo l’accento contadino e partecipa perciò a un codice, senza il quale il messaggio di «ruralità» non potrebbe essere emesso né percepito. I.I.7. I*er concludere queste osservazioni sulla distin zione Lingua/Parola, indicheremo qui due concetti an nessi, messi in luce dopo Saussure. Il primo è quello di idiolettol. L’idioletto è « il linguaggio in quanto è patta to da un solo individuo » (Martinet), o anche « l’intero esplicarsi delle abitudini di un solo individuo a un dato momento » (Ebeling). Jakobson ha contestato l’interesse di questa nozione: il linguaggio è sempre socializzato, an che al livello individuale, giacché parlando a qualcuno si tenta sempre, piu o meno, di parlare il suo linguaggio, specialmente il suo vocabolario («sul piano del linguag gio la proprietà privata non esiste»); l’idioletto sarebbe quindi una nozione largamente illusoria. Tuttavia, si ter rà per fermo che l’idioletto può utilmente servire a desi gnare le seguenti realtà: 1) il linguaggio dell’afasico che non comprende gli altri e non riceve un messaggio con forme ai suoi propri modelli verbali (ci troviamo allora di fronte, come ha mostrato Jakobson, a un idioletto pu ro); 2) lo «stile» di uno scrittore, quantunque esso sia sempre impregnato di certi modelli verbali provenienti dalla tradizione, cioè dalla collettività; 3) infine, si può estendere decisamente la nozione e definire l’idioletto co me il linguaggio di una comunità linguistica, cioè di un gruppo di persone che interpretano allo stesso modo tutti gli enunciati linguistici; l’idioletto corrisponderebbe al lora, press’a poco, a ciò che si è tentato di descrivere al trove sotto il nome di scrittura*. Da un punto di vista piu generale, attraverso le incertezze che trovano espres-1 2 1 R. JAKOBSON, Deux aspects du langage..., in Essais de Linguistique Générale, Ed. de Minuit, Paris 1963, p. 54; c. L. ebbling, Linguistic units, Mouton, L’Aia i960, p. 9; a. martinet, A functional vieto of language, Clarendon Press, Oxford 1962, p. 103. 2 Le degré zèro de l'Ecriture, Seuil, Paris 1953 [trad. it. di Giuseppe Bartolucci, Lerici, Milano 1960],
LINGUA E PAROLA 24 sione nel concetto di idioletto traspare l’esigenza di una entità intermedia fra la parola e la lingua (come lo pro vava già la teoria dell’aro in Hjelmslev), o, se si preferi sce, di una parola già istituzionalizzata, ma non ancofà radicalmente formalizzabile, come lo è la lingua.
I.I.8. Se si accetta di identificare Lingua/Parola e Codice/Messaggio, si deve qui menzionare un secondo concetto annesso, che Jakobson ha elaborato sotto il no me di strutture doppie (dùplex structures)-, non si insi sterà molto su questo punto, giacché la conferenza di Jakobson è stata ripubblicata nei suoi Essais de Unguistique Generale (cap. IX). Ci limiteremo a indicare che, sotto il nome di strutture doppie, Jakobson studia certi ca si particolari del rapporto generale Codice/Messaggio: due casi di circolarità e due casi di accavallamento (over lapping): i) discorsi riferiti o messaggi all’interno di un messaggio (M/M); è il caso generale degli stili indiretti; 2) nomi propri: il nome significa ogni persona alla quale questo nome è assegnato, e la circolarità del codice è evi dente (C/C): Jean significa una persona chiamata Jean-, 3) casi di antonimia (« Re è una sillaba »): la parola è qui impiegata per designare se stessa, il messaggio « si acca valla» al codice (M/C); questa struttura è importante, giacché comprende le « interpretazioni delucidanti », os sia le circonlocuzioni, i sinonimi e le traduzioni da una lingua all’altra; 4) gli shifters costituiscono certo la strut tura doppia più interessante; l’esempio più accessibile di shifter è fornito dal pronome personale (Io, tu), « simbo lo-indice » che riunisce in sé il nesso convenzionale e quello esistenziale: Io non può infatti rappresentare il suo oggetto se non in virtù di una regola convenzionale (la quale fa sf che Io divenga ego in latino, ich in tedesco, ecc.), ma d’altra parte, designando il proferente, esso può solo riferirsi esistenzialmente alla proferazione (C/M). Jakobson ricorda che i pronomi personali sono stati con siderati a lungo come lo strato più primitivo del linguag gio (Humboldt), ma che, secondo lui, essi esprimono in vece un rapporto complesso e adulto fra il Codice e il Messaggio. I pronomi personali costituiscono l’ultima ac-
PROSPETTIVE SEMIOLOGICHE
2? quisizione del linguaggio infantile e la prima perdita nel l’afasia: sono termini di trasposizione difficili da maneg giare. La teoria degli shifters sembra ancora poco sfrut tata; a priori, è però molto fecóndo osservare, se cosi si può dire, il codice alle prese con il messaggio (giacché il caso inverso è molto più banale). A titolo di ipotesi di lavoro, si può forse suggerire che la definizione semiologica dei messaggi che si situano ai confini del linguaggio, e in particolare di talune forme del discorso letterario, andrebbe cercata proprio dalla parte degli shifters che, co me si è visto, sono simboli-indice (secondo la terminologia di Peirce).
1.2.
Prospettive semiologicbe.
I.2.i. La portata sociologica del concetto Lingua! Parola è evidente. Fin da principio è stata posta in rilie vo una chiara affinità tra la Lingua saussuriana e la con cezione durkheimiana della coscienza collettiva, indipen dente dalle sue manifestazioni individuali; è stata anzi po stulata una influenza diretta di Durkheim su Saussure: Saussure avrebbe seguito da vicino la discussione fra Dur kheim e Tarde; la sua concezione della Lingua discende rebbe da Dùrkheim, mentre la sua concezione della Pa rola sarebbe una sorta di concessione alle idee di Tarde sull’individuale'. Questa ipotesi ha perduto d’attualità poiché, dell’idea saussuriana di lingua, la linguistica ha sviluppato soprattutto l’aspetto di « sistema di valori », e ciò ha indotto ad accettare la necessità di una analisi im manente della istituzione linguistica: immanenza alla quale la ricerca sociologica è refrattaria. Paradossalmen te, non è quindi nel campo della sociologia che si troverà lo sviluppo più fecondo della nozione Lingua/Parola, bensì nel campo della filosofia, con Merleau-Ponty, che probabilmente è stato uno dei primi filosofi francesi a in teressarsi a Saussure, sia per aver ripreso la distinzione 1 w. DOROSZEWSKi, Langue et Parole, « Odbitka z Ptac Filologicznych», Warszawa 1930, pp. 483-97.
xlv,
2.6
LINGUA E PAROLA
saussuriana sotto forma di opposizione fra parola parlan te (intenzione significativa allo stato nascente) e parola parlata («patrimonio acquisito» per opera della lingua, che ricorda molto il « tesoro » di Saussure) ', sia per aver esteso l’originario concetto saussuriano, postulando che ogni processo presuppone un sistema*si è così elaborata una opposizione ormai classica fra evento e struttura*, opposizione particolarmente feconda nella Storia4. Come è noto, la nozione saussuriana ha avuto altresì un grande sviluppo in seno all’antropologia; il riferimento a Saus sure è troppo esplicito in tutta l’opera di Lévi-Strauss, perché sia necessario insistervi. Ci limiteremo a ricordare che l’opposizione fra il processo e il sistema (fra la Parola e la Lingua) si ritrova concretamente nel passaggio dalla comunicazione delle donne alle strutture della parentela; che per Lévi-Strauss l’opposizione ha un valore epistemo logico: lo studio dei fatti di lingua è retto dall’interpre tazione meccanicistica (nel senso di Lévi-Strauss, ossia in contrapposizione a ciò che è statistico) e strutturale, e quella dei fatti di parola dal calcolo delle probabilità (ma cro-linguistica)5; infine, che il carattere inconscio della lingua in coloro che vi attingono la loro parola, postulato esplicitamente da Saussure6, ricompare in una delle posi zioni piu originali e feconde di Lévi-Strauss, secondo la quale ciò che è inconscio non sono i contenuti (critica de gli archetipi di Jung), ma le forme, ossia la funzione sim bolica. Tale idea è vicina a quella di Lacan, per il quale il desiderio stesso è articolato come un sistema di signifi1 M. merleau-ponty, Phénoménologte de la Perception, 1945, p. 229 [trad. it. di Andrea Bonomi, Il Saggiatore, Milano 1964, p. 269]. 2 M. merleau-ponty, Eloge de la Philosophic, 1953 [trad. it. di Enzo Paci, Paravia, Torino 1958]. 3 g. granger, Evénement et structure dans les sciences de l’homme, «Cahiers de ITnstitut de science économique appliquée», n. 33, maggio 1957. 4 Vedi F. Braudel, Histoire et sciences sociales: la longue durée, «Annales», ottobre-dicembre 1938. 5 Anthropologie structurale, p. 230, e Les matbématiques de l’homme, «Esprit», ottobre 1956. 6 «Fuori dell’atto, dell’occasione della parola, non c’è mai premedita zione, né meditazione, né riflessione sulle forme, ma solo una attività in conscia, non creatrice: l’attività di classificazione» (Saussure, in a. godel, op. cit., p. 38).
PROSPETTIVE SEMIOLOGICHE
27 cazioni, ciò che induce o dovrà indurre a descrivere in modo nuovo l’immaginario collettivo, non attraverso i suoi « temi», come si è fatto finora, ma attraverso le sue forme e le sue funzioni, o, per esprimerci in modo più chiaro anche se più sommario: attraverso i suoi signifi canti più che attraverso i suoi significati. Da queste rapide indicazioni appare chiaro quanto la nozione Lingua/Parola sia ricca di sviluppi extra- o meta-linguistici. Postu leremo quindi l’esistenza di una categoria generale Lin gua/Parola, estensiva a tutti i sistemi di significazione; in mancanza di meglio, conserveremo qui i termini Lingua e Parola, anche se si applicano a comunicazioni la cui so stanza non è verbale. I.2.2. Abbiamo visto che la separazione della Lingua e della Parola era essenziale all’analisi linguistica; sarebbe quindi vano proporre immediatamente questa separazio ne per sistemi d’oggetti, di immagini o di comportamenti che non sono ancora stati studiati da un punto di vista semantico. Si può solamente prevedere che, per taluni di questi ipotetici sistemi, certe classi di fatti apparterranno alla categoria Lingua e altre alla categoria Parola, dicen do subito che, in questo passaggio semiologico, la distin zione saussuriana rischia di subire delle modifiche, le quali andranno appunto evidenziate. Prendiamo, per esempio, il vestito. È necessario distinguere qui tre sistemi differenti, a seconda della sostanza inerente alla comuni cazione. Nel vestito scritto, cioè descritto da un giornale di Moda per mezzo del linguaggio articolato, non c’è, per cosi dire, « parola » : il vestito « descritto » non corrispon de mai a ima esecuzione individuale delle regole della Moda, è un insieme sistematico di segni e di regole: è una Lingua allo stato puro. Secondo lo schema saussuriano, una lingua senza parola sarebbe impensabile; se vice versa ciò diviene qui possibile, è perché la lingua di Moda non emana dalla « massa parlante », ma da un gruppo di decisione, che elabora volontariamente il codice, e per ché, d’altro canto, l’astrazione inerente a ogni Lingua è materializzata, in questo caso, sotto forma di linguaggio scritto: il vestito di moda (scritto) è Lingua al livello del
28
LINGUA E PAROLA
la comunicazione « vestiaria »1 e Parola al livello della comunicazione verbale. Nel vestito fotografato (suppo nendo, per semplificare, che non sia accompagnato da una descrizione verbale), la Lingua emana sempre dal fashiongroup, ma già non è più data nella sua astrazione, poiché il vestito fotografato è sempre indossato da una donna individuale. Ciò che troviamo nella fotografia di moda, è uno stato semisistematico del vestito; infatti, da un lato la Lingua di moda deve essere qui inferita da un vestito pseudo-reale, e, d’altro lato, colei che porta il vestito (l’in dossatrice fotografata) è, se cosi si può dire, un individuo normativo, scelto in funzione della sua generalità cano nica, e che perciò rappresenta una « parola » cristallizzata, priva di qualsiasi libertà combinatoria. Infine, come ave va suggerito Trubeckoj1 2, nel vestito indossato (o reale) si ritrova la distinzione classica fra la Lingua e la Parola; la Lingua «vestiaria» è costituita: i) dalle opposizioni di capi, parti o « dettagli » la cui variazione determina un mutamento del senso (portare un berretto o un cappello duro non ha lo stesso senso); 2) dalle regole che presie dono all’associazione dei capi nel loro disporsi lungo il corpo o l’uno sopra l’altro; la Parola «vestiaria» com prende tutti i fatti di fabbricazione anomica (nella nostra società non ne rimangono quasi più) o di portamento in dividuale (taglia del vestito, grado di pulizia, di usura, manie personali, libere associazioni di parti). Per quanto concerne la dialettica che unisce qui l’abito (Lingua) e l’abbigliamento (Parola), essa non somiglia a quella del linguaggio; certamente, l’abbigliamento parte sempre dal l’abito (tranne nel caso dell’eccentricità, che del resto ha anch’essa i suoi segni), ma l’abito, perlomeno oggi, pre cede l’abbigliamento, giacché viene dalla «confezione», cioè da un gruppo minoritario (quantunque più anonimo che nel caso dell’Alta Moda). I.2.3. Consideriamo ora un altro sistema di significa zione: il cibo. Non sarà difficile ritrovarvi la distinzione 1 Vestimentaire [N.d.T.]. 2 Principes de Pbonologie, trad. J. Cantineau, p. 19.
PROSPETTIVE SEMIOLOGICHE
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Saussuriana. La Lingua alimentare è costituita: i) dalle regole d’esclusione (tabu alimentari); 2) dalle opposizioni significanti di unità ancora da determinare (per esempio del tipo: salato/zuccherato}-, 3) dalle regole d’associazio ne, sia simultanea (al livello di una pietanza), sia succes siva (al livello di un menu); 4) dai protocolli d’uso, che forse funzionano come ima specie di retorica alimentare. Per quanto concerne la « parola » alimentare, molto ric ca, essa comprende tutte le variazioni personali (o fami liari) di preparazione e di associazione (si potrebbe consi derare la cucina di una famiglia, soggiacente a un certo numero di abitudini, come un idioletto). Il menu, per esempio, esemplifica molto bene la funzione della Lingua e della Parola: ogni menu è costituito in riferimento a una struttura (nazionale, o regionale, e sociale), ma que sta struttura è riempita diversamente a seconda dei gior ni e degli utenti, proprio come una « forma » linguistica è riempita dalle libere variazioni è combinazioni di cui un locutore necessita per un messaggio particolare. Il rap porto fra la Lingua e la Parola sarebbe qui abbastanza si mile a quello riscontrabile nel linguaggio: è, grosso mo do, l’uso, ossia una specie di sedimentazione delle parole, che forma la lingua alimentare; tuttavia, i fatti di innova zione individuale (ricette inventate) possono acquistare un valore istituzionale. Contrariamente al sistema del ve stito, manca qui l’azione di un gruppo di decisione: la lingua alimentare si costituisce unicamente a partire da un uso largamente collettivo o da una «parola» pura mente individuale.
I.2.4. Per concludere, del resto arbitrariamente, que ste osservazioni circa le prospettive della distinzione Lin gua/Parola, proporremo ancora alcune indicazioni riguar danti due sistemi d’oggetti, certo molto diversi, ma acco munati dal fatto di dipendere entrambi da un gruppo di decisione (di fabbricazione): l’automobile e il mobilio. Nell’automobile, la « lingua » è costituita da un insieme di forme e di « dettagli », la cui struttura si stabilisce in modo differenziale confrontando i prototipi (indipenden temente dal numero delle loro «copie»); la «parola» è
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LINGUA E PAROLA
molto ridotta, giacché, a parità di standing, la libertà di scelta del modello è estremamente limitata: essa non può riferirsi che a due o tre modelli, e* all’interno di un mo dello, al colore o alla rifinitura. Ma forse si dovrebbe tra sformare la nozione di oggetto automobile in quella di fatto automobile; nella guida automobile si ritrovereb bero allora le variazioni d’uso dell’oggetto che solitamen te costituiscono il piano della parola: qui l’utente non può infatti agire direttamente sul modello per combinar ne le unità. Là sua libertà di esecuzione si esplica attra verso un uso che si protrae nel tempo, e all’interno di questo uso le « forme » provenienti dalla lingua devono, per attualizzarsi, essere mediate da certe pratiche. Infine, ultimo sistema cui si vorrebbe accennare, il mobilio costi tuisce anch’esso un oggetto semantico; la « lingua » è for mata dalle opposizioni di mobili funzionalmente identici (due tipi d’armadio, due tipi di letto, ecc.), ciascuno dei quali, a seconda del suo « stile », rinvia a un senso di verso, e in pari tempo dalle regole di associazione delle unità differenti al livello dell’ambiente (« arredamento »); la « parola » è qui formata sia dalle variazioni insignifican ti che l’utente può apportare a una unità (per esempio con il bricolage di un elemento), sia dalle libertà di asso ciazione dei mobili.
1.2.^. I sistemi più interessanti - quelli, per lo meno, che riguardano la sociologia delle comunicazioni di massa - sono sistemi complessi, cui ineriscono sostanze diffe renti. Nel cinema, nella televisione e nella pubblicità, i sensi sono tributari di un concorso di immagini, di suoni e di grafismi; per questi sistemi, è quindi prematuro sta bilire la classe dei fatti di lingua e quella dei fatti di paro la, finché non si è deciso se la « lingua » di ognuno di que sti sistemi complessi è originale o semplicemente compo sta delle « lingue » sussidiarie che vi partecipano, e finché queste lingue sussidiarie non sono state analizzate (noi conosciamo la « lingua » linguistica, ma ignoriamo la « lin gua» delle immagini o quella della musica). Per quanto concerne la Stampa, che possiamo ragionevolmente consi derare come un sistema autonomo di significazione, pur
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limitandoci ai suoi elementi scritti, noi ignoriamo ancora quasi tutto di un fenomeno linguistico die sembra espli carvi una funzione capitale: la connotazione, cioè lo svi luppo di un sistema di sensi secondi, sistema parassita, se cosi si può dire, della lingua propriamente detta; questo sistema secondo è anch’esso una «lingua», in rapporto alla quale si sviluppano dei fatti di parola, degli idioletti e delle strutture doppie. Per questi sistemi complessi o. connotati (i due caratteri non sono esclusivi), non è quin di più possibile predeterminare, anche in modo globale e ipotetico, la classe dei fatti di lingua e quella dei fatti di parola. I.z.6. L’estensione semiologica della nozione Lin gua/Parola pone indubbiamente certi problemi, che evi dentemente coincidono con i punti in cui il modello lin guistico non può più essere seguito e deve essere rielabo rato. Il primo problema riguarda l’origine del sistema, cioè la dialettica stessa della lingua e della parola. Se con sideriamo il linguaggio, vediamo che nella lingua non en tra nulla che non sia stato saggiato dalla parola, e che, re ciprocamente, la parola non è possibile (ossia non è ri spondente alla sua funzione di comunicazione) se non è prelevata nel « tesoro » della lingua. Questo movimento è proprio, almeno in parte, anche di un sistema come il cibo, quantunque i fatti individuali di innovazione possa no qui divenire fatti di lingua; ma, per la maggior parte degli altri sistemi semiologici, la lingua è elaborata non dalla « massa parlante », bensì da un gruppo di decisione. In questo senso, si può dire che nella maggior parte delle lingue semiologiche il segno è propriamente «arbitra rio »l, in quanto è fondato in modo artificiale da una de cisione unilaterale: si tratta insomma di linguaggi fabbri cati, di « logotecniche ». L’utente segue questi linguaggi, preleva in essi dei messaggi (delle « parole »), ma non par tecipa alla loro elaborazione; il gruppo di decisione che è all’origine del sistema (e dei suoi mutamenti) può essere più o meno ristretto; può essere ima tecnocrazia altamen1 Cfr. infra, II.4.3.
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LINGUA E PAROLA
te qualificata (Moda, Automobile); può essere anche un gruppo più esteso, più anonimo (arte del mobilio corren te, confezione media). Se però questo carattere artificiale non altera la natura istituzionale della comunicazione e preserva una certa dialettica tra il sistema e l’uso, è per ché, da un lato, pur essendo subito, il « contratto » signi ficante è nondimeno osservato dalla massa degli utenti (altrimenti, l’utente è marcato da una certa asocialità: non può più comunicare se non la propria eccentricità), e perché, d’altro lato, le lingue elaborate « per decisione » non sono interamente libere (« arbitrarie»). Esse subisco no infatti la determinazione della collettività, sé non altro nei modi seguenti: i ) quando nascono nuovi bisogni, con seguenti allo sviluppo delle società (passaggio a un vestito semieuropeo nei paesi dell’Africa contemporanea, nascita di nuovi protocolli di alimentazione rapida nelle società industriali e urbane); 2) quando qualche imperativo eco nomico determina la scomparsa o la promozione di certi materiali (tessuti artificiali); 3) quando l’ideologia limita l’invenzione delle forme, la sottopone a un tabù e, in cer to qual modo, riduce i margini della « normalità ». In una prospettiva più ampia, si può affermare che le elaborazioni stesse del gruppo di decisione, cioè le logotecniche, non sono se non i termini di una funzione sempre più gene rale, che è l’immaginario collettivo dell’epoca: l’innova zione individuale è cosi trascesa da ima determinazione sociologica (di gruppi ristretti), e a loro volta queste de terminazioni sociologiche rinviano a un senso finale, di natura antropologica.
I.2.7. Il secondo problema posto dall’estensione semiologica della nozione Lingua/Parola concerne il rap porto di « volume » che si può stabilire fra le « lingue » e le loro « parole ». Nel linguaggio c’è una grande spropor zione fra la lingua, insieme finito di regole, e le « parole », che vengono a collocarsi sotto queste regole e sono prati camente infinite. Si può presumere che un sistema come il cibo presenti ancora un importante divario di volumi, giacché, all’interno delle «forme» culinarie, le modalità e le combinazioni di esecuzione sono ancora molte. Si è
PROSPETTIVE SEMIOLOGICHE
33 però visto che in sistemi come l’automobile o il mobilio, l’ampiezza delle variazioni combinatorie e delle associa zioni libere è debole: c’è poco margine — per Io meno, poco margine riconosciuto dall’istituzione stessa — fra il modello e la sua « esecuzione »: si tratta di sistemi in cui la « parola » è povera. In un sistema particolare come la Moda scritta, questa parola è anzi quasi inesistente, co sicché, paradossalmente, ci troviamo qui di fronte a una lingua senza parola (e questo, come si è visto, è possibile solo perché tale lingua è « sostenuta » dalla parola lingui stica). Ciò non toglie che, se è vero che esistono lingue senza parole o dalla parola molto povera, si dovrà necessa riamente rivedere la teoria saussuriana, secondo la quale la lingua non è altro che un sistema di differenze (nel qual caso, essendo interamente «negativa», essa è inafferrabi le fuori della parola). E si dovrà completare la coppia Lingua/Parola mediante un terzo elemento, presignificante, materia o sostanza, il quale fungerebbe da supporto (ne cessario) della significazione. In una espressione come « un abito lungo o corto », I’« abito » è il semplice suppor to di una variabile (lungo / corto) che, sola, appartiene pie namente alla lingua « vestiaria »: distinzione che è ignota al linguaggio, in cui il suono, essendo considerato come immediatamente significante, non può essere scomposto in un elemento inerte e un elemento semantico. Si sareb be cosi indotti a riconoscere nei sistemi semiologie! (non linguistici) tre piani (e non due): il piano della materia, quello della lingua e quello dell’uso. Evidentemente ciò permette di render conto dei sistemi senza « esecuzione », giacché il primo elemento assicura la materialità della lin gua; assetto tanto più plausibile in quanto è spiegabile geneticamente: in questi sistemi la «lingua» ha bisogno di «materia» (e non più di «parola») proprio perché essi hanno generalmente una origine utilitaria e non si gnificante, contrariamente al linguaggio umano.
II.
II.i.
Significato e Significante
Il Segno.
IL i. i. Nella terminologia saussuriana il significato e il significante sono le componenti del segno. Orbene, que sto termine segno, presente in vocabolari molto diversi (dalla teologia alla medicina) e la cui storia è ricchissima (dal Vangelo1 alla cibernetica), è perciò stesso molto am biguo; cosi, prima di ritornare all’accezione saussuriana, dobbiamo brevemente accennare al campo nozionale in cui esso occupa un pos^p che del resto, come vedremo, è fluttuante. Segno si inserisce infatti, a seconda degli au tori, in una serie di termini affini e dissimili: segnale, indice, icona, simbolo, allegoria sono i principali rivali del segno. In primo luogo, stabiliamo l’elemento comune a questi termini: essi rinviano tutti necessariamente a una relazione tra due relata1 ; questo tratto non serve quindi a contraddistinguere nessuno dei termini della se rie. Per ritrovare una variazione di senso, si deve ricorre re ad altri tratti, che citeremo qui in modo alternativo (.presenza/assenza): i) la relazione implica, o non impli ca, la rappresentazione psichica di uno dei relata-, 2) la relazione implica, o non implica, una analogia fra i relata-, 3) la connessione tra i due relata (lo stimolo e la sua ri sposta) è immediata o non lo è; 4) i relata coincidono esattamente, o viceversa uno «sopravanza» l’altro; 5) la relazione implica o non implica un rapporto esistenziale1 2 1 J.-P. CHARLIER, La notion de signe (oritutov) dans le IV‘ Evangile, « Revue des sciences philosophiques et théologiques», 1959, 43, n. 3, pp. 434-48. 2 Questo concetto è stato chiaramente espresso da sant’Agostino: « Si gnum est res, praeter speciem quam ingerii sensibus, aiiud aliquid ex se faciens in cogitationem venire» («Un segno è una cosa che, oltre alla spe cie inserita dai sensi, richiama, di per sé, alla mente qualche altra cosa») (De doctrina Christiana, II, 1, 2).
IL SEGNO
35
con colui che ne fa uso A seconda che questi tratti siano positivi o negativi (marcati o non marcati), ogni termine del campo si differenzia da quelli vicini. Si deve aggiun gere che la distribuzione del campo varia da un autore al l’altro, e ciò comporta alcune contraddizioni terminologi che, che faremo risaltare presentando il quadro di incon tro dei tratti e dei termini attraverso quattro autori dif ferenti: Hegel, Peirce, Jung e Wallon (il riferimento ad alcuni tratti, siano marcati o meno, può essere assente in certi autori): segnale
Rappresentazione
indice
icona
Wallon Wallon
segno
allegoria
Wallon Wallon
2. Analogia
3* Immediatezza
simbolo
Hegel
+
Hegel
-
Peirce
Wallon Wallon + Peirce
Hegel
Hegel
Jung
Jung
Wallon Wallon
4Adequazione
Wallon Wallon
!■ Esistenzialità
Wallon Wallon + Peirce +
Peirce Jung
Jung
Appare chiaro che la contraddizione terminologica verte essenzialmente su indice (per Peirce l’indice è esistenzia le, per Wallon non lo è) e su simbolo (per Hegel e Wallon 1 Cfr. gli shifters e simboli-indice, supra, I.r.8.
36
SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE
c’è un rapporto di analogia - o di « motivazione » - fra i due relata del simbolo, ma non per Peirce; inoltre, per Peirce il simbolo non è esistenziale, mentre lo è per Jung). Ma appare inoltre chiaro che queste contraddizio ni (leggibili qui verticalmente) si spiegano molto bene, o meglio: si compensano, mediante traslazioni di termini al livello di un medesimo autore — traslazioni leggibili qui orizzontalmente. Per esempio, il simbolo è analogico in Hegel in opposizione al segno, che non lo è; e non lo è in Peircè proprio perché l’icona può far suo questo tratto. Ciò significa, per riassumere e per parlare in termini semiologici (ed è proprio tale assunto che ci interessa in questo breve studio in scorcio), che i termini del campo non assumono il loro senso se non opponendosi vicende volmente (di solito in coppia) e che, se queste opposizioni sono salvaguardate, il senso è privo di ambiguità; in par ticolare, segnale e indice, simbolo e segno sono i correla ti di due funzioni differenti, che possono esse stesse en trare in opposizione generale (come in Wallon *, che ha la terminologia piu completa e più chiara), mentre i termini icona e allegoria rimangono confinati nel vocabolario di Peirce é Jung. Si dirà quindi, con Wallon, che il segnale e l’indice formano un gruppo di relata privi di rappresenta zione psichica, mentre nel gruppo contrapposto, simbolo e segno, questa rappresentazione esiste; che inoltre il se gnale è immediato ed esistenziale, di fronte all’indice che non lo è (esso è solo una traccia); che infine, nel simbolo, la rappresentazione è analogica e inadeguata (il cristiane simo « sopravanza » la croce), di fronte al segno, nel qua le la relazione è immotivata ed esatta (non c’è analogia tra la parola bue e l’immagine bue, che combacia perfet tamente con il suo relatum).
II. 1.2 Nella linguistica la nozione di segno non de termina competizione nei termini vicini. Per designare la relazione significante, Saussure ha subito eliminato sim bolo (poiché il termine comportava una idea di motiva zióne) in favore di segno, definito come l’unione di un si1 H. wallon, De l'acte à la pensée, 1942, pp. 175-250.
IL SEGNO
37 gnificante e di un significato (alla stregua del recto e del verso di un foglio di carta), o anche di una immagine acu stica e di un concetto. Prima che Saussure trovasse i ter mini significante e significato, segno è però rimasto am biguo, in quanto tendeva a confondersi con il solo signifi cante, ciò che Saussure voleva evitare a ogni costo; dopo aver esitato fra soma e sèma, forma e idea, immagine e concetto, Saussure si è attenuto a significante e significa to, la cui unione forma il segno: proposizione capitale e alla quale si deve sempre ritornare, in quanto c’è una cer ta tendenza a prendere segno per significante, mentre si tratta di una realtà a due facce. La conseguenza (importan te) è che, almeno per Saussure, Hjelmslev e Frei, la seman tica deve far parte della linguistica strutturale, giacché i significati fanno parte dei segni, mentre per i meccanicisti americani i significati sono sostanze che devono venire espulse dalla linguistica e indirizzate verso la psicologia. Dopo Saussure la teoria del segno linguistico si è arricchita del principio della doppia articolazione, di cui Martinet ha mostrato l’importanza, tanto da farne il criterio definizionale del linguaggio: fra i segni linguistici è infatti necessario separare le unità significative, che sono tutte dotate di un senso (le « parole », o per essere piu esatti, i « monemi ») e che formano la prima articolazione, dalle unità distintive, che partecipano alla forma ma non han no direttamente un senso (i « suoni », o meglio i fonemi), e che costituiscono la seconda articolazione. È la doppia articolazione che rende conto dell’economia del linguaggio umano; infatti, essa funge per cosi dire da potente de moltiplicatore, il quale fa sì, per esempio, che lo spagno lo d’America possa produrre centomila unità significative con solo ventuno unità distintive.
I I.1.3. Il segno è quindi composto di un significante e di un significato. Il piano dei significanti costituisce il piano d'espressione e quello dei significati il piano di con tenuto. In ognuno di essi Hjelmslev ha introdotto una distinzione che può essere importante per lo studio del segno semiologico (e non più solamente linguistico); per Hjelmslev ogni piano comporta infatti due strata1 , la for-
3.8
SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE
ma e la sostanza. Si deve insistere sulla nuova definizio ne di questi due termini, giacché ciascuno di essi ha un pesante passato lessicale. La forma è ciò che può venire descritto esaustivamente, semplicemente e coerentemen te (criteri epistemologici), dalla linguistica, senza ricor rere a nessuna premessa extralinguistica; la sostanza è l’insieme degli aspetti dei fenomeni linguistici che non possono essere descritti senza ricorrere a premesse extra linguistiche. Poiché questi due strata si ritrovano nel pia no dell’espressione e nel piano del contenuto, si avrà quin di: r) una sostanza dell’espressione: per esempio, la so stanza fonica, articolatoria, non funzionale, di cui si occupa la fonetica e non la fonologia; 2) una forma del l’espressione, costituita dalle regole paradigmatiche e sin tattiche (si noterà che una medesima forma può avere due sostanze differenti, una fonica e l’altra grafica); 3) una sostanza del contenuto: sono, per esempio, gli aspetti emotivi, ideologici o semplicemente nozionali del signi ficato, il suo senso «positivo»; 4) una forma del conte nuto: è l’organizzazione formale dei significati, per as senza o presenza di una marca semantica ’. Quest’ultima nozione non si lascia cogliere facilmente, in ragione della impossibilità in cui ci troviamo, di fronte al linguaggio umano, di separare i significati dai significanti; ma pro prio per questo, la distinzione forma/sostanza può ridi venire utile e facile da usare, in semiologia, nei seguenti casi: 1) quando abbiamo a che fare con un sistema in cui i significati ineriscono a una sostanza diversa da quella del loro proprio sistema (è, come si è visto, il caso della Mo da scritta); 2) quando un sistema di oggetti comporta una sostanza che non è immediatamente e funzionalmente si gnificante, ma può essere, a un certo livello, semplicemente utilitaria: una certa pietanza serve a significare una situazione, ma anche a nutrirsi.
I I.1.4. Ciò permette forse di prevedere la natura del segno semiologico in rapporto al segno linguistico. Come 1 Quantunque molto rudimentale, l’analisi data qui (supra, II.i.i.) concerne la forma dei significati «segno», «simbolo», «indice» e «se gnale».
IL SEGNO
39 il suo modello, il segno semiologico è anch’esso composto di un significante e di un significato (nel codice stradale, per esempio, il colore di un semaforo è un ordine di cir colazione), ma se ne separa al livello delle sue sostanze. Molti sistemi semiologici (oggetti, gesti, immagini1) han no una sostanza dell’espressione il cui essere non è nella significazione: sono spesso oggetti d’uso, smistati dalla società a fini di significazione: il vestito serve per proteg gersi, il cibo per nutrirsi, quantunque servano anche a si gnificare. Proporremo di chiamare questi segni semiolo gici, di origine utilitaria e funzionale, funzioni-segno. La funzione-segno testimonia di un duplice movimento che va analizzato. In un primo tempo (questa scomposizione è puramente operativa e non implica una temporalità rea le), la funzione si compenetra di senso; questa semantizzazione è fatale: per U salo fatto che c’è società, ogni uso è convertito in segno di questo uso. La funzione dell’im permeabile è di proteggere contro la pioggia, ma questa finizione è indissociabile dal segno stesso di una certa si tuazione atmosferica; poiché la nostra società non produ ce se non oggetti standardizzati, normalizzati, questi og getti sono necessariamente le esecuzioni di un modello, le parole di una lingua, le sostanze di una forma significan te. Per ritrovare un oggetto insignificante si dovrebbe im maginare un utensile assolutamente improvvisato e che non si avvicina in nulla a un modello esistente (LéviStrauss ha mostrato come la bricole stessa sia ricerca di un senso): ipotesi pressoché irrealizzabile in qualsiasi so cietà. Questa semantizzazione universale degli usi è capi tale: essa rivela infatti che non c’è nulla di reale che non sia intelligibile, e dovrebbe indurre a confondere infine sociologia e socio-logica1 2. Ma una volta costituito il se gno, la società può benissimo ri-funzionalizzarlo, parlar ne come di un oggetto d’uso: si parlerà di una pelliccia come se essa servisse unicamente a proteggere dal freddo. 1 A dire il veto, il caso dell’immagine dovrebbe essere tenuto in di sparte, giacché l’immagine è subito «comunicante», se non significante. 2 Cfr. r. Barthes, A propos de deux ouvrages récents de Cl. LéviStrauss: Sociologie et Socio-Logique, «Information sur les sciences sociales» (Unesco), vol. I, n. 4, dicembre 1962, pp. 114-22.
SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE
40
Questa funzionalizzazione ricorrente, che per esistere ne cessità di un linguaggio secondo, non si identifica affatto con la prima funzionalizzazione (del resto puramente ideale): dal canto suo, la funzione ri-presentata corrispon de à una seconda istituzione semantica (camuffata) che appartiene all’ordine della connotazione. Pertanto, la fun zione-segno ha probabilmente un valore antropologico, giacché è l’unità stessa in cui si intrecciano i rapporti del tecnico e del significante.
II.2.
Il Significato.
II.2.1. Nella linguistica, la natura del significato ha dato luogo a discussioni concernenti soprattutto il suo grado di « realtà »; esse però insistono concordemente sul fatto che il significato non è « una cosa », ma una rappre sentazione psichica della « cosa ». Si è visto che, nella de finizione del segno data da Wallon, questo carattere rap presentativo costituiva un tratto pertinente del segno e del simbolo (in opposizione all’indice e al segnale); lo stesso Saussure ha evidenziato la natura psichica del si gnificato chiamandolo concetto-, il significato della parola bue non è l’animale bue, ma la sua immagine psichica (ciò sarà importante per seguire la discussione sulla natura del segno)1. Queste discussioni rimangono però improntate di psicologismo; sarà forse preferibile seguire l’analisi degli Stoici’, i quali distinguevano scrupolosamente la tpavvaoia Xoyixt) (la rappresentazione psichica), il TuyXavóv (la cosa reale) e il kextóv (il «dicibile»); il signi ficato non è né la tpavraaia, né il Tuyxavóv, ma il Xextóv; né atto di coscienza né realtà, esso può essere defi nito solo all’interno del processo di significazione, in mo do quasi-tautologico: è quel «qualcosa» che colui che impiega il segno intende con esso. In questo modo si per viene appunto a una definizione puramente funzionale: il significato è uno dei due relata del segno; l’unica diffe-1 2 1 Cfr. infra, II.4.2. 2 Discussione tipresa da Borgeaud, Brocket e Lohmann, « Acca Lin guistica», in, i, 27.
IL SIGNIFICATO
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renza che l’oppone al significante è che quest’ultimo è un mediatore. Nella sua essenza, la situazione non potrebbe essere diversa nell’ambito della semiologia, ove oggetti, immagini, gesti, ecc., nella misura in cui sono signifiranti, rinviano a qualcosa che non è dicibile se non attraverso di essi, con la differenza che il significato semiologico può essere commesso ai segni della lingua. Si dirà, per esem pio, che un certo sweater significa le lunghe passeggiate d’autunno nel bosco; in questo caso, il significato non è solamente mediato dal suo significante « vestiario »1 (lo sweater}, ma anche da un frammento di parola (ciò che ne facilita l’utilizzazione). Si potrebbe chiamare isologia il fenomeno in virtù del quale la lingua fa aderire in mo do indiscernibile e indissociabile i suoi significanti e i suoi significati, e andrebbe cosi tenuto distinto il caso dei si stemi non-isologi (sistemi fatalmente complessi), in cui il significato può essere semplicemente giustapposto al suo significante.
II.2.2. Come classificare i significati? È noto che in semiologia questa operazione è fondamentale, giacché es sa consistè nel separare la forma dal contenuto. Per quan to concerne i significati linguistici, si possono concepire due tipi di classificazioni; il primo è esterno, fa appello al contenuto «positivo» (e non puramente differenziale) dei concetti: è il caso dei raggruppamenti metodici di Hallig e Wartburg12, e, in modo più convincente, dei campi nozionali di Trier e dei campi lessicologici di Matoré3. Ma da un punto di vista strutturale queste classificazioni (so prattutto quelle di Hallig e Wartburg) hanno il difetto di fondarsi ancora troppo sulla sostanza (ideologica) dei si gnificati, non sulla loro forma. Per giungere a stabilire una classificazione veramente formale, dovremmo riuscire a ricostituire delle opposizioni di significati e a far emer gere in ciascuna di esse un tratto pertinente (commutabi1 Cfr. I.2.2. [N.d.T.]. 2 a. hallig e w. von waktburg, Begrifssystem ale Grundlage fur dìe Lexicographic, Akademie Verlag, Berlin 1952, IV, xxv, p. 140. 3 Si troverà la bibliografia di Trier e Matoré in p. Guiraud, La Sémantigue, PUF, pp. 70 sgg. [trad. it. di Andrea Bonopii, Bompiani, Mila no 1966].
SIGNIFICATO E SIGNIFICANTI 42 ' le)1; questo metodo e preconizzato da Hjelmslev, Sòren sen, Prieto e Greimas. Hjelmslev, per esempio, scompo ne un monema come «giumenta» in due unità di sense piu piccole: « cavallo » + « femmina », unità che possono commutare e servire perciò a ricostituire dei monemf nuovi (« porco » + « femmina » = « scrofa », « cavallo » + « maschio » = « stallone »); Prieto vede in « vir » due tratti commutabili: « homo » + « masculus »; Sorensen ri duce il lessico della parentela a una combinazione di « pri mitivi » (« padre » = genitore maschio, « genitore » = ascendente di primo grado). Nessuna di queste analisi è sta ta ancora sviluppatal. Si deve infine ricordare che per talu ni linguisti i significati non fanno parte della linguistica, la quale deve occuparsi solo dei significanti, e che la classi ficazione semantica esula dai compiti della linguistica ’.
II.2.3. La linguistica strutturale, per progredita che sia, non ha ancora edificato una semantica, cioè ima clas sificazione delle forme del significato verbale. Pertanto, si comprende agevolmente come allo stato attuale delle cose non si possa proporre una classificazione dei significati semiologici, a meno che non si ricorra a campi nozionali no ti. Ci limiteremo ad avanzare tre osservazioni. La prima concerne il modo di attualizzazione dei significati semiologici. Questi ultimi possono presentarsi in modo isolo gico o non isolpgico; nel secondo caso, essi sono commes si, attraverso il linguaggio articolato, sia a una parola (week-end), sia a un gruppo di parole (lunghe passeggiate in campagna)-, sono quindi più facili da studiare, giacché l’analista non è costretto a imporre loro il proprio metalinguaggio, ma anche più pericolosi, in quanto riconduco no continuamente alla classificazione semantica della lin gua stessa (classificazione del resto ignota), e non a una classificazione che abbia il suo fondamento nel sistema os-1 2 1 È ciò che si è tentato di fate qui per segno e simbolo {supra, II.1.1.) 2 Esempi dati da G. mounin, Les analyses sémantiques, «Cahiers de rinstitut de science économique appliquée», n. 123, marzo 1902. 5 D’ora innanzi sarebbe opportuno adottare la distinzione proposta da A. J. Greimas: semantico = che si riferisce al contenuto; semiologico = che si riferisce all’espressione.
IL SIGNIFICATO
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servato. Anche se sono mediati dalla parola del giornale, i significati del vestito di Moda non si distribuiscono ne cessariamente come i significati della lingua, poiché non sempre hanno la medesima « lunghezza » (qui ima parola, là una frase); nel primo caso, quello dei sistemi isologici, il significato non ha altra materializzazione che il suo si gnificante tipico, e non si può quindi studiarlo se non im ponendogli un metalinguaggio. Per esempio, si interro gheranno taluni soggetti sulla significazione che essi attri buiscono a un brano di musica, sottoponendo loro un elenco di significati verbalizzati (angosciato, tempestoso, cupo, tormentato, ecc.) ', laddove tutti questi segni ver bali formano in realtà un solo significato musicale, che andrebbe designato esclusivamente con una cifra unica, estranea a qualsiasi specificazione verbale e a qualsiasi trasposizione metaforica. Questi metalinguaggi, prove nienti qui dall’analista e là dal sistema stesso, sono certo inevitabili, e ciò rende ancora problematica l’analisi dei significati o analisi ideologica; ma se non altro, si dovrà situare teoricamente il posto che le compete nel progetto semiologico. La seconda osservazione concerne l’estensio ne dei significati semiologici. Una volta formalizzato, l’in sieme dei significati di un sistema costituisce una grande funzione. Orbene, è probabile che, da un sistema all’al tro, le grandi funzioni semantiche non solo comunichino tra loro, ma corrispondano parzialmente: per esempio, la forma dei significati del vestito è in parte la stessa che quella dei significati del sistema alimentare, essendo arti colate entrambe sulla grande opposizione del lavoro e del la festa, dell’attività e del riposo. Si deve quindi prevede re una descrizione ideologica totale, comune a tutti i si stemi di una medesima sincronia. Infine - e sarà questa la terza osservazione —, si può considerare che a ogni si stema di significanti (lessici) corrisponde, sul piano dei significati, un corpo di pratiche e di tecniche. Questi cor pi di significati implicano, per quanto concerne i consu matori di sistemi (ossia i « lettori »), diversi tipi di sapere (in base a differenze di « cultura »), e ciò spiega come una 1 Cfr »
huncès,
La perception de la musique, Vrin 1958, parte III.
SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE:
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medesima lessia (o grande unità di lettura) possa essere decifrata diversamente a seconda degli individui, senza cessare di appartenere a una certa «lingua»; vari lessici - e quindi vari corpi di significati - possono coesistere in un medesimo individuo, determinando in ognuno delle letture più o meno « profonde ». II.3.
Il Significante.
II.3.1. La natura del significante suggerisce, grosso modo, le stesse osservazioni fatte a proposito del signifi cato: è un rélaium, non si può separare la sua definizione da quella del significato. L’unica differenza è che il signi, ficante è un mediatore: la materia gli è necessaria; essa non gli è però sufficiente e, d’altro canto, in semiologia anche il significato può essere mediato da una certa ma teria: quella delle parole. Questa materialità del signifi. cante costringe, ancora una volta, a distinguere materia e sostanza-, la sostanza può essere immateriale (nel caso della sostanza del contenuto); si può quindi dire soltanto che la sostanza del significante è sempre materiale (suoni, oggetti, immagini). Nella semiologia, ove si ha a che fa re con sistemi misti che comportano materie diverse (suo no e immagine, oggetto e scrittura, ecc.), sarebbe oppor tuno riunire tutti i segni, in quanto si fondano su un’uni ca e medesima materia, sotto il concetto di segnò tipico: il segno verbale, il segno grafico, il segno iconico, il segno gestuale formerebbero ciascuno un segno tipico.
II.3.2. La classificazione dei significanti non è altro che la strutturazione propriamente detta del sistema. Per mezzo della prova di commutazione si tratta di scom porre il messaggio «senza fine», costituito dall’insieme dei messaggi emessi al livello del corpus studiato, in uni tà significanti minimali; successivamente, è necessario raggruppare queste unità in classi paradigmatiche e clas sificare le relazioni sintagmatiche che collegano le unità stesse. Tali operazioni costituiscono una parte importan1 Cfr. infra, III.2.3.
LA SIGNIFICAZIONE
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te dell’indagine semiologica di cui parleremo nel capitolo III; le citiamo qui solo per ricordarle '.
II .4.
La Significazione.
II.4.1. Il segno è una porzione (a due facce) di sonori tà, visualità, ecc. La significazione può essere concepita co me un processo; è l’atto che unisce il significante e il si gnificato, atto il cui prodotto è il segno. Naturalmente, questa distinzione ha solo un valore classificatorio (e non fenomenologico): in primo luogo perché l’unione del si gnificante e del significato non esaurisce, come si vedrà, l’atto semantico, il segno valendo anche in virtu di ciò che gli è adiacente; in secondo luogo perché, per significa re, la mente non procede certo per congiunzione, ma, co me vedremo, per scomposizione1 2: a dire il vero, la signi ficazione (semiosis) non unisce degli esseri unilaterali, non avvicina due termini, per la buona ragione che il si gnificante e il significato sono entrambi termine e rappor to ad un tempo3. Questa ambiguità intralcia la rappre sentazione grafica della significazione, nondimeno neces saria al discorso semiologico. A tal proposito, citeremo i seguenti tentativi. Sn 1) —-—. In Saussure il segno si presenta, dimostrati vamente, come l’estensione verticale di una situa zione profonda: nella lingua, il significato è in un certo qual modo dietro il significante e non può es sere raggiunto se non attraverso di esso, quantun que, da una parte, queste metafore troppo spaziali non colgano la natura dialettica della significazione e, dall’altra, la chiusura del segno non sia accettabi le che per i sistemi decisamente discontinui, come la lingua. 2) ERC. Hjelmslev ha preferito una rappresentazio ne puramente grafica: c’è relazione (R) fra il piano 1 Cfr. infra, cap. Ili (Sistema e sintagma). 2 Cfr. infra, II.5.2. 3 Cfr. K. OKTIGUES, Le discours et le symbole, Aubier, 1962.
4Ó
SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE
d’espressione (E) e il piano del contenuto (C). Que sta formula permette di render conto, in modo eco nomico e senza falsificazione metaforica, dei meta-' linguaggi o sistemi «sganciati»; ER (ERC)1. S 3) —. Lacan, ripreso da Laplanche e Leclaire12, utilizs za un grafismo spazializzato che si distingue però dalla rappresentazione saussuriana su due punti: 1) il significante (S) è globale, costituito da una ca tena a vari livelli (catena metaforica): significante e significato si trovano in un rapporto fluttuante e non «coincidono» se non per certi punti d’anco raggio; 2) la sbarretta di separazione fra il signifi cante (S) e il significato (s) ha un valore proprio (che evidentemente non aveva in Saussure): essa rappresenta la rimozione del significato. 4) Sn = St. Infine, nei sistemi non isologi (ossia quelli nei quali i significati sono materializzati attraverso un altro sistema), è evidentemente lecito estendere la relazione sotto forma di una equivalenza ( ss ), ma non di una identità ( = ). II .4.2. Come abbiamo visto, tutto ciò che si poteva dire del significante è che esso è un mediatore (materia le) del significato. Di che natura è tale mediazione? In linguistica questo problema ha dato luogo a una discus sione: discussione soprattutto terminologica, giacché nel la sostanza le cose sono abbastanza chiare (forse non lo saranno altrettanto in semiologia). Partendo dal fatto che nel linguaggio umano la scelta dei suoni non ci è imposta dal senso stesso (il bue non implica certo necessariamente il suono bue, giacché questo suono è diverso in altre lin gue), Saussure aveva parlato di un rapporto arbitrario fra il significante e il significato. Benveniste ha contestato questa affermazione3; arbitrario è il rapporto del signifi1 Cfr. infra, cap. IV. 2 j. laplanche e s. leclaire, L'«Inconscient», «Les Temps modemes», n. 183, luglio 1963, pp. 81 sgg. 3 E. benveniste, Nature die signe linguistique, «Acta Linguistica», I, 1939-
LA SIGNIFICAZIONE
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caute e della « cosa » significata (del suono bue e dell’ani male bue); ma, come si è visto, per lo stesso Saussure il significato non è « la cosa », bensì la rappresentazione psi chica della cosa (concetto). L’associazione del suono e del la rappresentazione è il frutto di un tirocinio collettivo (per esempio dell’apprendimento della lingua francese); questa associazione — che è la significazione — non è affat to arbitraria (nessun francese è libero di modificarla), ma viceversa necessaria. Si è quindi proposto di dire che nel la linguistica la significazione è immotivata; è una immo tivazione del resto parziale (Saussure parla di una analo gia relativa): fra il significato e il significante c’è una cer ta motivazione nel caso (ristretto) delle onomatopee, del quale ci occuperemo fra breve, e ogniqualvolta una serie di segni è stabilita dalla lingua a imitazione di un certo prototipo di composizione o di derivazione. È ciò che av viene nei cosiddetti segni proporzionali: pommier, poirier, abricotier, ecc., una volta stabilita l’immotivazione del loro radicale e del loro suffisso, presentano una ana logia di composizione. In generale, si dirà quindi che nel la lingua il nesso fra il significante e il significato è con trattuale in via di principio, ma che questo contratto è collettivo, inscritto in una temporalità lunga (Saussure di ce che « la lingua è senipre una eredità »), e quindi in un certo qual modo naturalizzato; allo stesso modo, LéviStrauss precisa che il segno linguistico è arbitrario a prio ri ma non arbitrario a posteriori. Questa distinzione in duce a prevedere due termini differenti, che diverranno utili nel passaggio all’indagine semiologica: si dirà che un sistema è arbitrario quando i suoi segni sono fondati non per contratto, ma per decisione unilaterale: nella lingua il segno non è arbitrario ma lo è nella Moda; e si dirà al tresì che un segno è motivato quando la relazione fra il suo significato e il suo significante è analogica (per i segni motivati Buyssens ha proposto il termine sèmi intrinseci, e per i segni immotivati il termine sèmi estrinseci); po tremo quindi avere sistemi arbitrari e motivati e altri non arbitrari e immotivati.
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SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE! j
II.4.3. Nella linguistica la motivazione è circoscritta) al piano parziale della derivazione o della composizione; viceversa, essa porrà alla semiologia problemi più genera li. Da un lato, è possibile che, fuori della lingua, si tro vino dei sistemi ampiamente motivati, e si dovrà allora definire il modo in cui l’analogia è compatibile con il di scontinuo che finora è sembrato necessario alla significa zione; in seguito, si dovrà mostrare come possano stabi lirsi delle serie paradigmatiche (comprendenti cioè un nu mero esiguo e finito di termini), quando i significanti so no degli analoga-, sarà certo il caso delle « immagini », la cui semiologia, proprio per queste ragioni, è lungi dall’es sere stabilita. D’altro lato, è quanto mai probabile che l’inventario semiologico rivelerà l’esistenza di sistemi im puri, che comportano motivazioni molto tenui oppure compenetrate, se cosi si può dire, di immotivazioni se condarie, come se il segno si prestasse spesso a una spe cie di conflitto fra il motivato e l’immotivato: è ciò che più o meno accade anche nella zona «motivata» della lingua, quella delle onomatopee. Martinet ha notato1 che la motivazione onomatopeica è accompagnata da una per dita della doppia articolazione (ahi, che dipende solamen te dalla seconda articolazione, sostituisce il sintagma dop piamente articolato: mi fa male)-, tuttavia, Tonomatopea del dolore non è esattamente la stessa in italiano (ahi) e, per esempio, in danese (au). Ciò è spiegato dal fatto che in un certo qual modo la motivazione si sotto mette qui a modelli fonologici evidentemente diversi a seconda delle lingue: l’analogico è compenetrato dal di gitale. Fuori della lingua, i sistemi problematici, come il «linguaggio» delle api, presentano la stessa ambiguità: le danze in circolo hanno un valore vagamente analogi co; la danza sulla tavola di volo è decisamente motivata (orientamento del bottino), ma la danza di dimenamento a forma di 8 è completamente immotivata (rinvia a una 1 A. martinet, Economie dee changements fhonétiques, Francke, Bern 5, 6.
LA SIGNIFICAZIONE
49 distanza) ’. Infine, ultimo esempio di queste dissolvenze12, certi marchi di fabbrica utilizzati dalla pubblicità sono co stituiti da figure perfettamente.«astratte» (non analogi che); essi possono però « suggerire » una certa impressio ne (per esempio la «potenza»), che si trova in un rap porto d’affinità con il significato: il marchio Berliet (un cerchio congiunto a una freccia) non « copia » in nulla la potenza — come si potrebbe, del resto, « copiare » la po tenza? — ma nondimeno la suggerisce mediante una ana logia latente; la medesima ambiguità sarebbe riscontrabi le nei segni di certe scritture ideografiche (il cinese, per esempio). L’incontro dell’analogico e del non analogico sembra quindi incontestabile nel seno stesso di un siste ma unico. Tuttavia, la semiologia non potrà accontentarsi di una descrizione che riconosca il compromesso senza cercare di sistematizzarlo, giacché essa non può ammette re un differenziale continuo: come si vedrà, il senso è in fatti articolazione. Questi problemi non sono ancora stati studiati in modo particolareggiato, e sarebbe impossibile situarli in una prospettiva globale. Tuttavia, non è diffici le intuire l’economia - antropologica - della significazio ne: nella lingua, per esempio, la motivazione (relativa) introduce un certo ordine al livello della prima articola zione (significativa): pertanto, il « contratto» è qui soste nuto da una certa naturalizzazione di quell’arbitrarietà a priori di cui parla Lévi-Strauss. Altri sistemi, viceversa, possono andare dalla motivazione alla immotivazione: per esempio, il gioco delle figurine nei riti di iniziazio ne dei Senufo, citato da Lévi-Strauss nella Pensée Sau vage. È dunque probabile che al livellò della semiologia piu generale, di ordine antropologico, si stabilisca una specie di circolarità fra l’analogico e l’immotivato: c’è una duplice tendenza (complementare) a naturalizzare l’immotivato e a intellettualizzare il motivato (cioè a culturalizzarlo). Infine, taluni autori assicurano che il digitalismo stesso (il rivale dell’analogico), è - nella sua for 1 Cfr. G. mounin, Communication linguistique humaine et communi cation non-linguistique animale, «Les Temps modernes», aprile-maggio i960. 2 Altro esempio: il codice stradale.
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SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE
ma pura, ossia il binarismo - una « riproduzione » di cer ti processi fisiologici, se è vero che in definitiva la vista e l’udito funzionano per selezioni alternative *.
II.5.
Il Valore.
II.5.1. Si è detto, o per lo meno si è lasciato inten dere, che è una astrazione piuttosto arbitraria (ma inevi tabile) trattare del segno « in sé », come semplice unione del significante e del significato. Per finire, dobbiamo ora Considerare il segno non più attraverso la sua « composi zione», ma attraverso le sue « adiacenze»; è il problema del valore. Saussure non ha afferrato subito l’importanza di questa nozione, ma già nel secondo Corso di Linguisti ca generale le ha dedicato una riflessione sempre più acu ta, e il valore è divenuto per lui un concetto essenziale, più importante che quello di significazione (con cui non si identifica). Il valore è intimamente connesso con la nozio ne di lingua (opposta a parola); esso fa si che la linguisti ca sia sottratta alla sfera della psicologia e venga accosta ta all’economia: ha dunque una funzione essenziale nella linguistica strutturale. Nella maggior parte delle scienze, osserva Saussure2, non c’è dualità fra la diacronia e la sin cronia: l’astronomia è una scienza sincronica (anche se gli astri cambiano); la geologia è una scienza diacronica (quantunque possa studiare degli stati fissi); la storia è soprattutto diacronica (successione di eventi), benché possa fermarsi a certi « quadri » ’. C’è però una scienza in cui questa dualità si impone in parti eguali; l’economia (l’economia politica si distingue dalla storia economica). Lo stesso può dirsi, prosegue Saussure, della linguistica; infatti, in entrambi i casi si ha a che fare con un sistema di equivalenza fra due cose differenti: un lavoro e(un sa lario, un significante e un significato (ecco il fenomeno 1 Cfr. infra. III.3.5. 2 SAUSSURE, Cours de Linguistique Generale cit., p. 1x5. 3 £ necessario ricordare che, dopo Saussure, anche la Storia ha scoper to l’importanza delle strutture sincroniche? Economia, linguistica, etnolo gia e storia formano attualmente un quadrivium di scienze-pilota.
IL VALORE
51 che finora abbiamo chiamato significazione). Tuttavia, tanto nella linguistica quanto nell’economia, questa equi valenza non è isolata, giacché, se si cambia uno dei suoi termini, a poco a poco cambia tutto il sistema. Perché vi sia segno (o «valore economico») occorre quindi, da un lato, poter scambiare cose dissimili (un lavoro e un sala rio, un significante e un significato), e d’altro lato con frontare cose similari: si può scambiare un biglietto da 5 F. con una certa quantità di pane, con un po’ di sapone o con uno spettacolo cinematografico, ma si può anche confrontare questo biglietto con altri biglietti da io F., da 50 F. ecc.; analogamente, ima «parola» può essere «scambiata» coti una idea (cioè qualcosa di dissimile), ma può essere confrontata con altre «parole» (cioè qual cosa di similare): in inglese mutton ricava il suo valo re unicamente dalla coesistenza con sheep. Il senso non è veramente fissato se non al termine di questa doppia determinazione: significazione e valore. Il valore non è. quindi la significazione; esso proviene, dice Saussure1, « dalla situazione reciproca delle parti della lingua », ed è anzi più importante della significazione: «ciò che c’è di idea o di materia fonica in un segno è meno rilevante di ciò che gli sta attorno negli altri segni »1 2: frase profetica, se si pensa che essa fondava già l’omologia di Lévi-Strauss e il principio delle tassinomie. Avendo ben distinto, con Saussure, significazione e valore, appare subito chiaro che, se riconsideriamo gli strata di Hjelmslev (sostanza e forma), la significazione partecipa della sostanza del con tenuto, mentre il valore partecipa della sua forma (mut ton e sheep si trovano in un rapporto paradigmatico, in quanto significati, e non, naturalmente, in quanto signi ficanti).
II.5.2. Per render conto del duplice fenomeno di si gnificazione e di valore, Saussure ricorreva all’immagine di un foglio di carta: tagliandola si ottengono da un lato 1 Saussure, in r. godél, op. cit., p. 90. 2 Ibid., p. 166. Evidentemente Saussure pensa al confronto dei segni, non sul piano della successione sintagmatica, ma su quello delle riserve virtuali paradigmatiche, o campi associativi.
J2
SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE
diversi pezzi (A, B, C), ciascuno dei quali ha un valore in rapporto a quelli vicini, e d’altro lato ciascuno di questi pezzi ha un recto e un verso, che sono stati tagliati nello stesso tempo (A-A', B-B', C-C'): è la significazione. Que sta immagine è molto utile, giacché induce a concepire la produzione del senso in modo originale, non più come la semplice correlazione di un significante e di un significa to, ma forse, più essenzialmente, come un atto di ritaglio simultaneo di due masse amorfe, di due « regni fluttuan ti », come dice Saussure; egli immagina infatti che, all’o rigine (del tutto teorica) del senso, le idee e i suoni for mino due masse fluttuanti, labili, continue e parallele, di sostanze; il senso compare quando queste due masse ven gono simultaneamente « ritagliate »: i segni (cosi prodot ti) sono quindi degli articuli. Fra questi due caos, il senso è allora un ordine, ma tale ordine è essenzialmente divisio ne: la lingua è un oggetto intermedio fra il suono e il pen siero: essa consiste nell’««zr