Elementi di semiologia. Linguistica e scienza delle significazioni
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Nuovo Politecnico 7

Einaudi 1966,10a ed., 1977

ROLAND BARTHES

ELEMENTI DI SEMIOLOGIA Linguistica è scienza delle significazioni

C. 1. 323-6

Nel suo Cours de linguistique générale, Ferdinand de Saussure postulava l’esistenza di una scienza generale dei segni, o semiolo­ gia, di cui la linguistica sarebbe solo una parte. In queste lezioni Roland Barthes - professore di sociologia dei segni, simboli e rap­ presentazioni alla Ecole Pratique des Hautes Etudes - dopo aver osservato che è difficile concepire un sistema d’immagini o di og­ getti (cinema, pubblicità, abbigliamento, ecc.) i cui significati esi­ stano fuori del linguaggio, esplora la possibilità di rovesciare l’af­ fermazione di Saussure: la linguistica non è una parte della scienza generale dei segni, ma piuttosto, la semiologia è una parte della linguistica, e precisamente quella che ha per oggetto le grandi uni­ tà significanti del discorso. Emerge in tal modo una probabile uni­ tà delle ricerche intorno al concetto di significazione che sino ad ora sono state condotte per linee separate nell’antropologia, nella psicoanalisi, nella sociologia e nella stilistica. Roland Barthes, nato nel 1915, vive e insegna a Parigi. Delle sue opere Ei­ naudi ha tradotto Saggi critici (1966), Critica e verità (1969), Sistema della Moda (1970), SjZ (1973), Miti d’oggi (1974), Il piacere del testo (1975).

Nuovo Politecnico Ultimi volumi pubblicati (all’interno del volume l’elenco completo):

90. Michel Foucault, Microfisica del potere Interventi politici

9r. Roland Barthes, Sade, Fourier, Loyola La scrittura come eccesso

92. G. Baglioni, V. Castronovo, A. Cavalli, R; Laporta, C tecorvo, S. Rodotà, P. Rossi, B. Sajeva, P. Sylos Labini, ze sociali e riforma della scuola secondaria Una proposta

93. R. Medvedev, R. Lett, L. Kopelev, P. Egorov, A. Zim Krasikov, Dissenso e socialismo Una voce marxista del Samizdat sovietico Di prossima pubblicazione:

Roberto Convenevole, Processo inflazionistico e redistribi del reddito Lire 2000

Titolo originale Elements de semiologie © 1964 Roland Barthes et Editions du Seuil, Paris Copyright © 1966 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino Traduzione di Andrea Bonomi

Decima edizione

Roland Barthes

ELEMENTI DI SEMIOLOGIA

Indice

p. 13

Introduzione

I.

Lingua e Parola

Li. In linguistica 17 17 18 19 20 21 23 24

I.i.r. In Saussure 1.1.2. La Lingua I.I.3. La Parola L1.4. Dialettica della Lingua e della Parola 1.1.5. In Hjelmslev I.I.6. Problemi 1.1.7. L’idioletto L1.8. Strutture doppie

1.2. Prospettive semiologicbe 25 27 28 29 30 31 32

1,2.1. I.2.2. I.2.3. I.2.4. I.2.5. I.2.6. I.2.7.

Lingua, Parola e scienze umane Il vestito Il cibo L’automobile, il mobilio Sistemi complessi Problemi (I): origine dei sistemi Problemi (II): il rapporto Lingua/Parola

II. Significato e Significante

II.1. Il Segno 34 36 37 38

II.1.1. II.1.2. II.1.3. II.1.4.

La classificazione dei segni. Il segno linguistico Forma e sostanza Il segno semiologico

6

INDICE

II.2. Il Significato p. 40 41 42

II.2.1. Natura del significato II.2.2. Classificazione dei significati linguistici II.2.3. I significati semiologici

II.3. Il Significante 44 44

II.3.1. Natura del significante II.3.2. Classificazione dei significanti

II.4. La Significazione 45 46 48

II.4.1. La correlazione significativa II.4.2. Arbitrarietà e motivazione in linguistica II-4.3. Arbitrarietà e motivazione in semiologia

II.5. IlValore 50 51

II.5.1. Il valore in linguistica II.5.2. L’articolazione

III. Sintagma e Sistema III. I. I due assi del linguaggio

53 54 55

IILr.r. Rapporti sintagmatici e associativi in linguistica III.1.2. Metafora e Metonimia in Jakobson III.1.3. Prospettive semiologiche

III.2. Il Sintagma 57 57 58 60 62 63

III.2.1. III.2.2. III.2.3. III.2.4. III.2.5. III.2.6.

Sintagma e Parola Il discontinuo La prova di commutazione Le unità sintagmatiche Le coercizioni combinatorie Identità e distanza delle unità sintagmatiche

INDICE

7 III .3. Il Sistema

p. 64 66 &7 70 72 74 76

III.3. III.3. III.3. III.3. III.3. IIL3.6. III.3.

1. Somiglianza e dissomiglianza; la differenza 2. Le opposizioni 3. La classificazione delle opposizioni 4. Le opposizioni semiologicbe 5. Ilbinarismo La neutralizzazione 7. Trasgressioni

IV. Denotazione e Connotazione 79 80 81 82

IV .r. I sistemi sganciati I V.2. La connotazione IV .3. TI metalinguaggio IV. 4. Connotazione e metalinguaggio

84

Conclusione: la ricerca semiologica

89

Bibliografia critica Indice semiologico

93

Qualche settimana prima di morire, e già gravissimo, Elio Vittorini si era preoccupato e aveva trovato la forza di scrivermi per chiedermi di pubblicare questi Elementi di semiologia nella collana « Nuovo Politecnico » da lui diretta. Questa richiesta mi ha profondamente commos­ so. Oltre a una testimonianza della sua amicizia, ho visto in essa l’ammirevole superiorità di un uomo deciso ad ac­ compagnare la ricerca di nuovi linguaggi (com’è quello della linguistica) fino all’estremo delle sue forze. Dedico perciò queste pagine di lavoro e di ricerca alla memoria di Elio Vittorini. R. B.

ELEMENTI DI SEMIOLOGIA

Introduzione

Nel suo Cours de Linguistique Generale, pubblicato per la prima volta nel 1916, Saussure postulava l’esisten­ za di una scienza generale dei segni, o Semiologia, di cui la linguistica sarebbe solo una parte. In prospettiva, la semiologia ba quindi per oggetto tutti i sistemi di segni, quali che possano essere le sostanze e i limiti di questi si­ stemi: le immagini, i gesti, i suoni melodici, gli oggetti e i complessi di queste sostanze - rintracciabili in riti, pro­ tocolli o spettacoli — costituiscono, se non dei «linguag­ gi », per lo meno dei sistemi di significazione. È indubbio che lo sviluppo assunto dalle comunicazioni di massa con­ ferisce oggi una grande attualità a questo immenso cam­ po della significazione, nel momento stesso in cui le ac­ quisizioni di discipline come la linguistica, la teoria del­ l’informazione, la logica formale e l’antropologia struttu­ rale aprono nuove vie alla analisi semantica. La semiolo­ gia risponde oggi a una sollecitazione concreta, imputa­ bile non già all’immaginazione di pochi ricercatori, ma alla storia stessa del mondo moderno. Tuttavia, quantunque l’idea di Saussure abbia avuto ampi sviluppi, la semiologia è ancora alla ricerca di se stessa, e forse per una ragione molto semplice. Saussure, seguito in ciò dai principali semiologi, pensava che la lin­ guistica non fosse altro che ima parte della scienza gene­ rale dei segni. Orbene, non è affatto certo che nella vita sociale del nostro tempo esistano, al di fuori del linguag­ gio umano, sistemi di segni di una certa ampiezza. Finora la semiologia si è occupata solo di codici di interesse assai ristretto, come per esempio il codice stradale; non appe­ na si passa a insiemi dotati di una autentica profondità sociologica, si incontra di nuovo il linguaggio. Oggetti,

INTRODUZIONE 14 immagini, comportamenti possono, in effetti, significare, e significano ampiamente, ma mai in modo autonomo: ogni sistema semiologico ha a che fare con il linguaggio. La sostanza visiva, per esempio, conferma le sue signifi­ cazioni facendosi accompagnare da un messaggio lingui­ stico (come avviene per il cinema, la pubblicità, i fumetti, la fotografia giornalistica, ecc.), cosicché almeno una par­ te del messaggio iconico si trova in un rapporto struttu­ rale di ridondanza o di ricambio con il sistema della lin­ gua. Dal canto loro, gli insiemi d’oggetti (vestito, cibo) non accedono allo statuto di sistema se non passando at­ traverso la mediazione della lingua, che ne isola i signifi­ canti (sotto forma di nomenclature) e ne nomina i signi­ ficati (sotto forma di usi o di ragioni): nonostante l’in­ vasione delle immagini, la nostra è piu che mai una ci­ viltà della scrittura. In genere, poi, sembra sempre piu difficile concepire un sistema di immagini o di oggetti i cui significati possano esistere fuori del linguaggio: per percepire ciò che una sostanza significa, si deve necessa­ riamente ricorrere al lavoro di articolazione svolto dalla lingua: non c’è senso che non sia nominato, e il mondo dei significati non è altro che quello del linguaggio. Così il semiologo, anche se in partenza lavora su so­ stanze non linguistiche, incontrerà prima o poi sulla pro­ pria strada il linguaggio (quello «vero»), non solo a ti­ tolo di modello, ma anche a titolo di componente, di ele­ mento mediatore o di significato. Tuttavia, tale linguag­ gio non è lo stesso dei linguisti: è un linguaggio secondo, le cui unità non sono piu i monemi o i fonemi, ma fram­ menti piu estesi del discorso che rinviano a oggetti o epi­ sodi, i quali significano sotto il linguaggio, ma mai senza di esso. Pertanto, la semiologia è forse destinata a farsi assorbire da ima trans-linguistica, la cui materia sarà co­ stituita ora dal mito, dal racconto, dall’articolo giornali­ stico, ora dagli oggetti della nostra civiltà, nella misura in cui essi sono parlati (attraverso la stampa, il volanti­ no, l’intervista, la conversazione e forse anche il linguag­ gio interiore, di ordine fantasmatico). Si deve insomma ammettere sin d’ora la possibilità di rovesciare, un gior­ no, l’affermazione di Saussure: la linguistica non è una

INTRODUZIONE

15 parte, sia pure privilegiata, della scienza generale dei se­ gni, ma viceversa la semiologia è una parte della lingui­ stica: e precisamente quella parte che ha per oggetto le grandi unità significanti del discorso. Emergerebbe cosi l’unità delle ricerche che vengono attualmente condotte nell’antropologia, nella sociologia, nella psicoanalisi e nel­ la stilistica intorno al concetto di significazione. Benché sia destinata senza dubbio a trasformarsi, la semiologia deve anzitutto, se non costituirsi, per lo meno saggiarsi, esplorare le possibilità - e le impossibilità che le sono aperte. E questo può farsi soltanto sulla base di una informazione preliminare. Orbene, dobbiamo sin d’ora accettare che questa informazione sia timida e al tempo stesso temeraria: timida perché attualmente il sa­ pere semiologico non può essere altro che una copia del sapere linguistico; temeraria perché questo sapere deve già applicarsi, almeno come progetto, a oggetti non lin­ guistici. Gli Elementi che qui presentiamo, non hanno altro fi­ ne se non quello di far emergere dalla linguistica1 i con­ cetti analitici che a priori riteniamo idonei, per la loro generalità, ad avviare la ricerca semiologica. Raccoglien­ doli, non presumiamo che essi rimangano intatti nel cor­ so della ricerca; né che la semiologia debba sempre se­ guire rigidamente il modello linguistico12. Ci limitiamo a proporre e a chiarire una terminologia, auspicando che essa permetta di introdurre un ordine iniziale (ancorché provvisorio) nella massa eteroclita dei fatti significanti: si tratta, in sostanza, di un principio di classificazione dei problemi. Raggrupperemo dunque questi elementi di semiologia in quattro grandi sezioni, che traggono origine dalla lin­ guistica strutturale: I. Lingua e Parola-, II. Significato e Significante-, III. Sintagma e Sistema-, IV. Denotazione 1 «Un concetto non è una cosa, ma non è nemmeno la semplice co­ scienza di un concetto. Esso è uno strumento e una storia, cioè un fascio di possibilità e di ostacoli inerente a un mondo vissuto» (g. granger, Methodolog/e économique, p. 23). 2 Pericolo che è stato posto in evidenza da c. lévi-strauss, Anthro­ pologic strutturale, p. 23.

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INTRODUZIONE

e Connotazione. Come si vede, queste sezioni si presen­ tano sotto una forma dicotomica. A tal proposito, va os­ servato che la classificazione binaria dei concetti sembra frequente nel pensiero strutturale1, come se il metalin­ guaggio del linguista riproducesse,4n scorcio, la struttura binaria del sistema che egli descrive; e segnaleremo inol­ tre, per inciso, che sarebbe molto istruttivo studiare la preminenza della classificazione binaria nel discorso delle scienze umane contemporanee: se fosse ben conosciuta, la tassinomia di queste scienze fornirebbe certo utili rag­ guagli su ciò che potremmo chiamare l’immaginario in­ tellettuale della nostra epoca. 1 Questa caratteristica è stata notata (con sospetto) da M. Cohen, Linguistique moderne et idéalisme, «Recherches interri.», maggio 1958, n. 7.

I.

1.1.

Lingua e Parola

In linguistica.

1.1.1. Il concetto (dicotomico) di Lingua arala è essenziale in Saussure e ha indubbiamente rappresentato una grande novità in rapporto alla linguistica precedente, che si prefiggeva di cercare le cause del mutamento stori­ co negli slittamenti di pronuncia, nelle associazioni spon­ tanee e nell’azione della analogia, e che pertanto era una linguistica dell’atto individuale. Per formulare questa ce­ lebre dicotomia, Saussure è partito dalla natura « multi­ forme ed eteroclita » del linguaggio, che a prima vista si rivela come ima realtà inclassificabile *, da cui non si può ricavare l’unità, giacché questa realtà è ad un tempo fisi­ ca, fisiologica e psichica, individuale e sociale. Orbene, tale disordine viene meno se, da questo tutto eteroclito, si astrae un puro oggetto sociale, insieme sistematico del­ le convenzioni necessarie alla comunicazione, indifferen­ te alla materia dei segnali che lo compongono; si tratta della lingua, di fronte alla quale la parola rappresenta la parte puramente individuale del linguaggio (fonazione, realizzazione delle regole e combinazioni contingenti di segni). I.I.2. Se si vuole,' la Lingua è quindi il linguaggio meno la Parola; è una istituzione sociale e in pari tempo un sistema di valori. Come istituzione sociale, essa non è per nulla un atto, e sfugge a qualsiasi premeditazione: è la parte sociale del linguaggio. L’individuo non può, da solo, né crearla né modificarla, poiché essa è essenzialmen ­ te un contratto collettivo, al quale ci dobbiamo sottomet1 Si noterà che la prima definizione della lingua è di ordine tassino* mico: è un principio di classificazione.

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LINGUA E PAROLA

tere globalmente se vogliamo comunicare. Inoltre, questo prodotto sociale è autonomo, alla stregua di un gioco do­ tato di regole proprie, giacché non se ne può fruire se non in seguito a un processo di apprendimento. Come si­ stema di valori, la Lingua è costituita da un certo nume­ ro di elementi, ciascuno dei quali è un valente-per e al tempo stesso il termine di una funzione piu ampia in cui prendono posto, in modo differenziale, altri valori corre­ lativi. Dal punto di vista della lingua, il segno è come una moneta1: questa moneta vale per un certo bene che essa permette di acquistare, ma vale anche in rapporto ad al­ tre monete, di valore maggiore o minore. L’aspetto isti­ tuzionale e l’aspetto sistematico sono evidentemente col­ legati: proprio perché è un sistema di valori contrattuali (in parte arbitrari, o, per essere piu esatti, immotivati), la lingua resiste alle modificazioni dell’individuo solo ed è perciò una istituzione sociale. I.I.3. Di fronte alla lingua, istituzione e sistema, la Parola è essenzialmente un atto individuale di selezione e di attualizzazione; in primo luogo essa è costituita dalle « combinazioni grazie alle quali il soggetto parlante può utilizzare il codice della lingua per esprimere il suo pen­ siero personale» (si potrebbe chiamare discorso questa parola estesa), e poi dai « meccanismi psicofisici che per­ mettono al soggetto stesso di esteriorizzare queste com­ binazioni ». È certo che la fonazione, per esempio, non può essere confusa con la Lingua: né l’istituzione né il sistema risultano alterati se l’individuo che vi ricorre par­ la a voce alta o bassa, lentamente o rapidamente, ecc. L’aspetto combinatorio della Parola è evidentemente ca­ pitale, in quanto implica che la Parola è costituita dal ri­ torno di segni identici: se ogni segno diviene un elemen­ to della Lingua, è perché essi si ripetono da un discorso all’altro e in un medesimo discorso (quantunque siano combinati secondo l’infinita diversità delle parole); se la Parola corrisponde a un atto individuale e non a una crea­ zione pura, è perché è essenzialmente una combinatoria. 1 Cfr. infra, II.5.X.

IN LINGUISTICA

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I.I.4. Lingua e Parola: evidentemente, ciascuno di questi due termini non trova una completa definizione se non nel processo dialettico che li unisce: non c’è lingua senza parola, e non c’è parola che si situi fuori della lin­ gua; è in questo scambio che risiede l’autentica prassi lin­ guistica, come ha indicato Merleau-Ponty. « La Lingua — dice anche V. Bròndal1 - è una entità puramente astratta, una norma superiore agli individui, un insieme di tipi es­ senziali, che la parola realizza in modo infinitamente va­ riabile ». Lingua e Parola si trovano quindi in un rapporto di comprensione reciproca; da una parte, la Lingua è « il tesoro depositato dalla pratica della Parola nei soggetti che appartengono a una medesima comunità », e, poiché è una somma collettiva di impronte individuali, al livel­ lo di ogni individuo isolato essa non può essere che in­ completa: la Lingua non esiste perfettamente se non nel­ la « massa parlante »; si può utilizzare una parola solo se la si preleva nella lingua. D’altro canto, la lingua è possi­ bile soltanto a partire dalla parola: storicamente, i fatti di parola precedono sempre i fatti di lingua (è la parola a far evolvere la lingua), e, dal punto di vista genetico, la lingua si costituisce nell’individuo mediante il processo di apprendimento della'parola che lo circonda (ai bambi­ ni piccoli non si insegna la grammatica e il vocabolario, cioè grosso modo la lingua). Insomma, la Lingua è insie­ me il prodotto e lo strumento della parola: ci troviamo di fronte a una autentica dialettica. Va notato (e ciò assu­ merà una particolare rilevanza quando passeremo alle prospettive semiologicbe) che, almeno per Saussure, non potrebbe esserci una linguistica della Parola, giacché ogni parola, non appena è colta come processo di comunica­ zione, è già lingua: non c’è scienza se non della Lingua.Con ciò vengono immediatamente a cadere due proble­ mi: è inùtile chiedersi se si deve studiare la parola prima. della lingua; l’alternativa è impossibile: non si può far altro che studiare subito la parola in ciò che essa ha di linguistico (di « glottico »). È altrettanto inutile chiedersi 1 «Acta Linguistica», i, i, p. 5.

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LINGUA E PAROLA

preliminarmente come separare la lingua e la parola: que­ sta non è un’operazione preliminare, ma viceversa l’essen­ za stessa dell’investigazione linguistica (e successivamen­ te semiologica): separare la lingua dalla parola è, simul­ taneamente, stabilire il processo del senso. I.I.5. Hjelmslev1 non ha sconvolto la concezione saussuriana della Lingua/Parola, ma ne ha ridistribuito i termini in modo più formale. Nella lingua stessa (che re­ sta sempre contrapposta all’atto di parola), Hjelmslev di­ stingue tre piani: 1) lo schema, che è la lingua come for­ ma pura (Hjelmslev è rimasto incerto se attribuire a que­ sto piano il nome di «sistema», «pattern» o «ossatu­ ra»); è la lingua saussuriana, nel senso rigoroso del termine; sarà, per esempio, la r francese, definita fonolo­ gicamente dalla sua collocazione in una sene di opposi­ zioni; 2) la norma, che è la lingua come forma materiale, già definita da una certa realizzazione sociale, ma ancora indipendente dal dettaglio di questa manifestazione: sarà la r del francese orale, a prescindere dalla sua pronuncia (ma non la r del francese scritto); 3) l’uso, che è la lingua come insieme di abitudini di una data società: sarà la r di certe regioni. I rapporti di determinazione fra parola, uso, norma e schema sono vari: la norma determina l’uso e la parola; l’uso determina la parola ma è altresì deter­ minato da essa; lo schema è determinato ad un tempo dalla parola, dall’uso e dalla norma. Di fatto, si vedono cosi apparire due piani fondamentali; 1) lo schema, la cui teoria si confonde con la teoria della forma1 2 e della istituzione; 2) il gruppo Norma-Uso-Parola, la cui teoria si confonde con la teoria della sostanza3 e della esecuzio­ ne. Poiché — secondo Hjelmslev - la norma è una pura astrazione di metodo e la parola una semplice concretiz­ zazione («un documento transitorio»), si ritrova infine una nuova dicotomia, Schema/Uso, che si sostituisce alla coppia Lingua/Parola. Il rimaneggiamento hjelmsleviano non è però irrilevante, in quanto formalizza radicalmente 1 l. hjelmslev, Essaii linguistiques, Copenaghen 1959, pp. 69 sgg. 2 Cfr. infra, II.1.3. 3 Cfr. ibid.

IN LINGUISTICA

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il concetto di Lingua (sotto il nome di schema) ed elimi­ na la. parola concreta a beneficio di un concetto più so­ ciale, l’wjo. Formalizzazione della lingua, socializzazione della parola: questo movimento permette di annettere tutto il «positivo» e il «sostanziale» alla parola, tutto il differenziale alla lingua, e ciò ha il vantaggio, come ve­ dremo ora, di rimuovere una delle contraddizioni poste dalla distinzione saussuriana fra la Lingua e la Parola.

I.r.6. Per quanto illuminante e feconda, questa di­ stinzione comporta tuttavia alcuni problemi. Ne indiche­ remo tre. Il primo è il seguente: si può identificare la lin­ gua con il codice e la parola con il messaggio? Questa identificazione è impossibile secondo la teoria hjelmsleviana; P. Guiraud la respinge giacché, egli dice, le conven­ zioni del codice sono esplicite e quelle della lingua impli­ cite ', ma essa è certamente possibile nella prospettiva saussuriana, e A. Martinet l’accetta1 2. Si può porre un problema analogo per quanto concerne i rapporti fra la parola e il sintagma3. Come si è visto, la parola può es­ sere definita, a prescindere dalle ampiezze di fonazione, come una combinazione (varia) di segni (ricorrenti); tut­ tavia, al livello della lingua stessa, esistono già taluni sin­ tagmi cristallizzati (Saussure cita un vocabolo composto come magnanimus). La soglia che separa ta lingua dalla parola può dunque essere fragile, giacché essa è qui costi­ tuita da «un certo grado di combinazione»; ecco quindi introdotta l’analisi dei sintagmi cristallizzati, di natura però linguistica (glottica), giacché essi si prestano global­ mente alla variazione paradigmatica (Hjelmslev chiama questa analisi morfo-sintassi). Saussure aveva notato di sfuggita questo fenomeno: «Inoltre, c’è probabilmente tutta una serie di frasi che appartengono alla lingua, e che l’individuo non deve più combinare in proprio»4. Se 1 La mécanique de Vanalyse quantitative en linguistique, «Etudes de linguistique appliquée», 2, Didier, p. 37. 2 A. martinet, Eléments de Linguistique générale, Annand Colin, i960, p. 30 [trad. it. di Giulio C. Lepschy, Laterza, Bari 1966, p. 28]. 3 Cfr. infra, sul sintagma, cap. III. 4 Saussure, in r. godel, Les sources manuscrites du Cours de Lingui­ stique Generale de F. de Saussure, Droz, Minard 1937, p. 90.

22

LINGUA E PAROLA

questi stereotipi appartengono alla lingua, e non piu alla parola, e se è dimostrato che numerosi sistemi semiologici ne fanno grande uso, è dunque una autentica linguistica del sintagma che si deve prevedere, necessaria per tutte le «scritture» fortemente stereotipate. Infine, il terzo problema che verrà qui indicato concerne i rapporti fra la lingua e la pertinenza (cioè l’elemento propriamente si­ gnificante dell’unità). Talvolta (come ha fatto lo stesso Trubeckoj) si è deciso di identificare la pertinenza con la lingua, confinando cosi fuori della lingua tutti i tratti non pertinenti, ossia le varianti combinatorie; questa identi­ ficazione è però problematica, giacché esistono delle va­ rianti combinatorie (inerenti quindi, a prima vista, alla parola) che sono però imposte, cioè « arbitrarie »: in fran­ cese, è imposto dalla lingua che la l sia sorda dopo una sorda (oncle) e sonora dopo una sonora (ongle), senza che questi fatti cessino di appartenere alla semplice fonetica (e non alla fonologia). Appare chiara la conseguenza teo­ rica: si deve ammettere che, contrariamente all’afferma­ zióne di Saussure (« nella lingua non ci sono se non diffe­ renze »), ciò che non è differenziativo possa egualmente appartenere alla lingua (alla istituzione)? Martinet pensa di si; Frei tenta di risparmiare a Saussure la contraddi­ zione localizzando le differenze in sub-fonemi-, la p non sarebbe, in sé, differenziale, ma nel suo ambito lo sareb­ bero soltanto il tratto consonantico, quello occlusivo, quello sordo, quello labiale, ecc. Non è questa la sede per prendere posizione su tali problemi; da un punto di vista semiologico, si riconoscerà la necessità di accettare l’esi­ stenza di sintagmi e di variazioni non significanti che sia­ no però «glottiche», cioè che appartengano alla lingua. Questa linguistica, in un certo modo estranea alla pro­ spettiva di Saussure, può assumere una grande importan­ za ovunque predominino i sintagmi cristallizzati (o ste­ reotipi), come sicuramente avviene nei linguaggi di mas­ sa, e ogniqualvolta certe variazioni non significanti for­ mano un corpo di significanti secondi, come avviene nei linguaggi a forte connotazione *: la r apicale è una sem1 Cfr. infra, cap. IV.

IN LINGUISTICA

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plice variazione combinatoria al livello della denotazione, ma nel linguaggio teatrale, per esempio, essa mette in ri­ lievo l’accento contadino e partecipa perciò a un codice, senza il quale il messaggio di «ruralità» non potrebbe essere emesso né percepito. I.I.7. I*er concludere queste osservazioni sulla distin­ zione Lingua/Parola, indicheremo qui due concetti an­ nessi, messi in luce dopo Saussure. Il primo è quello di idiolettol. L’idioletto è « il linguaggio in quanto è patta­ to da un solo individuo » (Martinet), o anche « l’intero esplicarsi delle abitudini di un solo individuo a un dato momento » (Ebeling). Jakobson ha contestato l’interesse di questa nozione: il linguaggio è sempre socializzato, an­ che al livello individuale, giacché parlando a qualcuno si tenta sempre, piu o meno, di parlare il suo linguaggio, specialmente il suo vocabolario («sul piano del linguag­ gio la proprietà privata non esiste»); l’idioletto sarebbe quindi una nozione largamente illusoria. Tuttavia, si ter­ rà per fermo che l’idioletto può utilmente servire a desi­ gnare le seguenti realtà: 1) il linguaggio dell’afasico che non comprende gli altri e non riceve un messaggio con­ forme ai suoi propri modelli verbali (ci troviamo allora di fronte, come ha mostrato Jakobson, a un idioletto pu­ ro); 2) lo «stile» di uno scrittore, quantunque esso sia sempre impregnato di certi modelli verbali provenienti dalla tradizione, cioè dalla collettività; 3) infine, si può estendere decisamente la nozione e definire l’idioletto co­ me il linguaggio di una comunità linguistica, cioè di un gruppo di persone che interpretano allo stesso modo tutti gli enunciati linguistici; l’idioletto corrisponderebbe al­ lora, press’a poco, a ciò che si è tentato di descrivere al­ trove sotto il nome di scrittura*. Da un punto di vista piu generale, attraverso le incertezze che trovano espres-1 2 1 R. JAKOBSON, Deux aspects du langage..., in Essais de Linguistique Générale, Ed. de Minuit, Paris 1963, p. 54; c. L. ebbling, Linguistic units, Mouton, L’Aia i960, p. 9; a. martinet, A functional vieto of language, Clarendon Press, Oxford 1962, p. 103. 2 Le degré zèro de l'Ecriture, Seuil, Paris 1953 [trad. it. di Giuseppe Bartolucci, Lerici, Milano 1960],

LINGUA E PAROLA 24 sione nel concetto di idioletto traspare l’esigenza di una entità intermedia fra la parola e la lingua (come lo pro­ vava già la teoria dell’aro in Hjelmslev), o, se si preferi­ sce, di una parola già istituzionalizzata, ma non ancofà radicalmente formalizzabile, come lo è la lingua.

I.I.8. Se si accetta di identificare Lingua/Parola e Codice/Messaggio, si deve qui menzionare un secondo concetto annesso, che Jakobson ha elaborato sotto il no­ me di strutture doppie (dùplex structures)-, non si insi­ sterà molto su questo punto, giacché la conferenza di Jakobson è stata ripubblicata nei suoi Essais de Unguistique Generale (cap. IX). Ci limiteremo a indicare che, sotto il nome di strutture doppie, Jakobson studia certi ca­ si particolari del rapporto generale Codice/Messaggio: due casi di circolarità e due casi di accavallamento (over­ lapping): i) discorsi riferiti o messaggi all’interno di un messaggio (M/M); è il caso generale degli stili indiretti; 2) nomi propri: il nome significa ogni persona alla quale questo nome è assegnato, e la circolarità del codice è evi­ dente (C/C): Jean significa una persona chiamata Jean-, 3) casi di antonimia (« Re è una sillaba »): la parola è qui impiegata per designare se stessa, il messaggio « si acca­ valla» al codice (M/C); questa struttura è importante, giacché comprende le « interpretazioni delucidanti », os­ sia le circonlocuzioni, i sinonimi e le traduzioni da una lingua all’altra; 4) gli shifters costituiscono certo la strut­ tura doppia più interessante; l’esempio più accessibile di shifter è fornito dal pronome personale (Io, tu), « simbo­ lo-indice » che riunisce in sé il nesso convenzionale e quello esistenziale: Io non può infatti rappresentare il suo oggetto se non in virtù di una regola convenzionale (la quale fa sf che Io divenga ego in latino, ich in tedesco, ecc.), ma d’altra parte, designando il proferente, esso può solo riferirsi esistenzialmente alla proferazione (C/M). Jakobson ricorda che i pronomi personali sono stati con­ siderati a lungo come lo strato più primitivo del linguag­ gio (Humboldt), ma che, secondo lui, essi esprimono in­ vece un rapporto complesso e adulto fra il Codice e il Messaggio. I pronomi personali costituiscono l’ultima ac-

PROSPETTIVE SEMIOLOGICHE

2? quisizione del linguaggio infantile e la prima perdita nel­ l’afasia: sono termini di trasposizione difficili da maneg­ giare. La teoria degli shifters sembra ancora poco sfrut­ tata; a priori, è però molto fecóndo osservare, se cosi si può dire, il codice alle prese con il messaggio (giacché il caso inverso è molto più banale). A titolo di ipotesi di lavoro, si può forse suggerire che la definizione semiologica dei messaggi che si situano ai confini del linguaggio, e in particolare di talune forme del discorso letterario, andrebbe cercata proprio dalla parte degli shifters che, co­ me si è visto, sono simboli-indice (secondo la terminologia di Peirce).

1.2.

Prospettive semiologicbe.

I.2.i. La portata sociologica del concetto Lingua! Parola è evidente. Fin da principio è stata posta in rilie­ vo una chiara affinità tra la Lingua saussuriana e la con­ cezione durkheimiana della coscienza collettiva, indipen­ dente dalle sue manifestazioni individuali; è stata anzi po­ stulata una influenza diretta di Durkheim su Saussure: Saussure avrebbe seguito da vicino la discussione fra Dur­ kheim e Tarde; la sua concezione della Lingua discende­ rebbe da Dùrkheim, mentre la sua concezione della Pa­ rola sarebbe una sorta di concessione alle idee di Tarde sull’individuale'. Questa ipotesi ha perduto d’attualità poiché, dell’idea saussuriana di lingua, la linguistica ha sviluppato soprattutto l’aspetto di « sistema di valori », e ciò ha indotto ad accettare la necessità di una analisi im­ manente della istituzione linguistica: immanenza alla quale la ricerca sociologica è refrattaria. Paradossalmen­ te, non è quindi nel campo della sociologia che si troverà lo sviluppo più fecondo della nozione Lingua/Parola, bensì nel campo della filosofia, con Merleau-Ponty, che probabilmente è stato uno dei primi filosofi francesi a in­ teressarsi a Saussure, sia per aver ripreso la distinzione 1 w. DOROSZEWSKi, Langue et Parole, « Odbitka z Ptac Filologicznych», Warszawa 1930, pp. 483-97.

xlv,

2.6

LINGUA E PAROLA

saussuriana sotto forma di opposizione fra parola parlan­ te (intenzione significativa allo stato nascente) e parola parlata («patrimonio acquisito» per opera della lingua, che ricorda molto il « tesoro » di Saussure) ', sia per aver esteso l’originario concetto saussuriano, postulando che ogni processo presuppone un sistema*si è così elaborata una opposizione ormai classica fra evento e struttura*, opposizione particolarmente feconda nella Storia4. Come è noto, la nozione saussuriana ha avuto altresì un grande sviluppo in seno all’antropologia; il riferimento a Saus­ sure è troppo esplicito in tutta l’opera di Lévi-Strauss, perché sia necessario insistervi. Ci limiteremo a ricordare che l’opposizione fra il processo e il sistema (fra la Parola e la Lingua) si ritrova concretamente nel passaggio dalla comunicazione delle donne alle strutture della parentela; che per Lévi-Strauss l’opposizione ha un valore epistemo­ logico: lo studio dei fatti di lingua è retto dall’interpre­ tazione meccanicistica (nel senso di Lévi-Strauss, ossia in contrapposizione a ciò che è statistico) e strutturale, e quella dei fatti di parola dal calcolo delle probabilità (ma­ cro-linguistica)5; infine, che il carattere inconscio della lingua in coloro che vi attingono la loro parola, postulato esplicitamente da Saussure6, ricompare in una delle posi­ zioni piu originali e feconde di Lévi-Strauss, secondo la quale ciò che è inconscio non sono i contenuti (critica de­ gli archetipi di Jung), ma le forme, ossia la funzione sim­ bolica. Tale idea è vicina a quella di Lacan, per il quale il desiderio stesso è articolato come un sistema di signifi1 M. merleau-ponty, Phénoménologte de la Perception, 1945, p. 229 [trad. it. di Andrea Bonomi, Il Saggiatore, Milano 1964, p. 269]. 2 M. merleau-ponty, Eloge de la Philosophic, 1953 [trad. it. di Enzo Paci, Paravia, Torino 1958]. 3 g. granger, Evénement et structure dans les sciences de l’homme, «Cahiers de ITnstitut de science économique appliquée», n. 33, maggio 1957. 4 Vedi F. Braudel, Histoire et sciences sociales: la longue durée, «Annales», ottobre-dicembre 1938. 5 Anthropologie structurale, p. 230, e Les matbématiques de l’homme, «Esprit», ottobre 1956. 6 «Fuori dell’atto, dell’occasione della parola, non c’è mai premedita­ zione, né meditazione, né riflessione sulle forme, ma solo una attività in­ conscia, non creatrice: l’attività di classificazione» (Saussure, in a. godel, op. cit., p. 38).

PROSPETTIVE SEMIOLOGICHE

27 cazioni, ciò che induce o dovrà indurre a descrivere in modo nuovo l’immaginario collettivo, non attraverso i suoi « temi», come si è fatto finora, ma attraverso le sue forme e le sue funzioni, o, per esprimerci in modo più chiaro anche se più sommario: attraverso i suoi signifi­ canti più che attraverso i suoi significati. Da queste rapide indicazioni appare chiaro quanto la nozione Lingua/Parola sia ricca di sviluppi extra- o meta-linguistici. Postu­ leremo quindi l’esistenza di una categoria generale Lin­ gua/Parola, estensiva a tutti i sistemi di significazione; in mancanza di meglio, conserveremo qui i termini Lingua e Parola, anche se si applicano a comunicazioni la cui so­ stanza non è verbale. I.2.2. Abbiamo visto che la separazione della Lingua e della Parola era essenziale all’analisi linguistica; sarebbe quindi vano proporre immediatamente questa separazio­ ne per sistemi d’oggetti, di immagini o di comportamenti che non sono ancora stati studiati da un punto di vista semantico. Si può solamente prevedere che, per taluni di questi ipotetici sistemi, certe classi di fatti apparterranno alla categoria Lingua e altre alla categoria Parola, dicen­ do subito che, in questo passaggio semiologico, la distin­ zione saussuriana rischia di subire delle modifiche, le quali andranno appunto evidenziate. Prendiamo, per esempio, il vestito. È necessario distinguere qui tre sistemi differenti, a seconda della sostanza inerente alla comuni­ cazione. Nel vestito scritto, cioè descritto da un giornale di Moda per mezzo del linguaggio articolato, non c’è, per cosi dire, « parola » : il vestito « descritto » non corrispon­ de mai a ima esecuzione individuale delle regole della Moda, è un insieme sistematico di segni e di regole: è una Lingua allo stato puro. Secondo lo schema saussuriano, una lingua senza parola sarebbe impensabile; se vice­ versa ciò diviene qui possibile, è perché la lingua di Moda non emana dalla « massa parlante », ma da un gruppo di decisione, che elabora volontariamente il codice, e per­ ché, d’altro canto, l’astrazione inerente a ogni Lingua è materializzata, in questo caso, sotto forma di linguaggio scritto: il vestito di moda (scritto) è Lingua al livello del­

28

LINGUA E PAROLA

la comunicazione « vestiaria »1 e Parola al livello della comunicazione verbale. Nel vestito fotografato (suppo­ nendo, per semplificare, che non sia accompagnato da una descrizione verbale), la Lingua emana sempre dal fashiongroup, ma già non è più data nella sua astrazione, poiché il vestito fotografato è sempre indossato da una donna individuale. Ciò che troviamo nella fotografia di moda, è uno stato semisistematico del vestito; infatti, da un lato la Lingua di moda deve essere qui inferita da un vestito pseudo-reale, e, d’altro lato, colei che porta il vestito (l’in­ dossatrice fotografata) è, se cosi si può dire, un individuo normativo, scelto in funzione della sua generalità cano­ nica, e che perciò rappresenta una « parola » cristallizzata, priva di qualsiasi libertà combinatoria. Infine, come ave­ va suggerito Trubeckoj1 2, nel vestito indossato (o reale) si ritrova la distinzione classica fra la Lingua e la Parola; la Lingua «vestiaria» è costituita: i) dalle opposizioni di capi, parti o « dettagli » la cui variazione determina un mutamento del senso (portare un berretto o un cappello duro non ha lo stesso senso); 2) dalle regole che presie­ dono all’associazione dei capi nel loro disporsi lungo il corpo o l’uno sopra l’altro; la Parola «vestiaria» com­ prende tutti i fatti di fabbricazione anomica (nella nostra società non ne rimangono quasi più) o di portamento in­ dividuale (taglia del vestito, grado di pulizia, di usura, manie personali, libere associazioni di parti). Per quanto concerne la dialettica che unisce qui l’abito (Lingua) e l’abbigliamento (Parola), essa non somiglia a quella del linguaggio; certamente, l’abbigliamento parte sempre dal­ l’abito (tranne nel caso dell’eccentricità, che del resto ha anch’essa i suoi segni), ma l’abito, perlomeno oggi, pre­ cede l’abbigliamento, giacché viene dalla «confezione», cioè da un gruppo minoritario (quantunque più anonimo che nel caso dell’Alta Moda). I.2.3. Consideriamo ora un altro sistema di significa­ zione: il cibo. Non sarà difficile ritrovarvi la distinzione 1 Vestimentaire [N.d.T.]. 2 Principes de Pbonologie, trad. J. Cantineau, p. 19.

PROSPETTIVE SEMIOLOGICHE

29

Saussuriana. La Lingua alimentare è costituita: i) dalle regole d’esclusione (tabu alimentari); 2) dalle opposizioni significanti di unità ancora da determinare (per esempio del tipo: salato/zuccherato}-, 3) dalle regole d’associazio­ ne, sia simultanea (al livello di una pietanza), sia succes­ siva (al livello di un menu); 4) dai protocolli d’uso, che forse funzionano come ima specie di retorica alimentare. Per quanto concerne la « parola » alimentare, molto ric­ ca, essa comprende tutte le variazioni personali (o fami­ liari) di preparazione e di associazione (si potrebbe consi­ derare la cucina di una famiglia, soggiacente a un certo numero di abitudini, come un idioletto). Il menu, per esempio, esemplifica molto bene la funzione della Lingua e della Parola: ogni menu è costituito in riferimento a una struttura (nazionale, o regionale, e sociale), ma que­ sta struttura è riempita diversamente a seconda dei gior­ ni e degli utenti, proprio come una « forma » linguistica è riempita dalle libere variazioni è combinazioni di cui un locutore necessita per un messaggio particolare. Il rap­ porto fra la Lingua e la Parola sarebbe qui abbastanza si­ mile a quello riscontrabile nel linguaggio: è, grosso mo­ do, l’uso, ossia una specie di sedimentazione delle parole, che forma la lingua alimentare; tuttavia, i fatti di innova­ zione individuale (ricette inventate) possono acquistare un valore istituzionale. Contrariamente al sistema del ve­ stito, manca qui l’azione di un gruppo di decisione: la lingua alimentare si costituisce unicamente a partire da un uso largamente collettivo o da una «parola» pura­ mente individuale.

I.2.4. Per concludere, del resto arbitrariamente, que­ ste osservazioni circa le prospettive della distinzione Lin­ gua/Parola, proporremo ancora alcune indicazioni riguar­ danti due sistemi d’oggetti, certo molto diversi, ma acco­ munati dal fatto di dipendere entrambi da un gruppo di decisione (di fabbricazione): l’automobile e il mobilio. Nell’automobile, la « lingua » è costituita da un insieme di forme e di « dettagli », la cui struttura si stabilisce in modo differenziale confrontando i prototipi (indipenden­ temente dal numero delle loro «copie»); la «parola» è

30

LINGUA E PAROLA

molto ridotta, giacché, a parità di standing, la libertà di scelta del modello è estremamente limitata: essa non può riferirsi che a due o tre modelli, e* all’interno di un mo­ dello, al colore o alla rifinitura. Ma forse si dovrebbe tra­ sformare la nozione di oggetto automobile in quella di fatto automobile; nella guida automobile si ritrovereb­ bero allora le variazioni d’uso dell’oggetto che solitamen­ te costituiscono il piano della parola: qui l’utente non può infatti agire direttamente sul modello per combinar­ ne le unità. Là sua libertà di esecuzione si esplica attra­ verso un uso che si protrae nel tempo, e all’interno di questo uso le « forme » provenienti dalla lingua devono, per attualizzarsi, essere mediate da certe pratiche. Infine, ultimo sistema cui si vorrebbe accennare, il mobilio costi­ tuisce anch’esso un oggetto semantico; la « lingua » è for­ mata dalle opposizioni di mobili funzionalmente identici (due tipi d’armadio, due tipi di letto, ecc.), ciascuno dei quali, a seconda del suo « stile », rinvia a un senso di­ verso, e in pari tempo dalle regole di associazione delle unità differenti al livello dell’ambiente (« arredamento »); la « parola » è qui formata sia dalle variazioni insignifican­ ti che l’utente può apportare a una unità (per esempio con il bricolage di un elemento), sia dalle libertà di asso­ ciazione dei mobili.

1.2.^. I sistemi più interessanti - quelli, per lo meno, che riguardano la sociologia delle comunicazioni di massa - sono sistemi complessi, cui ineriscono sostanze diffe­ renti. Nel cinema, nella televisione e nella pubblicità, i sensi sono tributari di un concorso di immagini, di suoni e di grafismi; per questi sistemi, è quindi prematuro sta­ bilire la classe dei fatti di lingua e quella dei fatti di paro­ la, finché non si è deciso se la « lingua » di ognuno di que­ sti sistemi complessi è originale o semplicemente compo­ sta delle « lingue » sussidiarie che vi partecipano, e finché queste lingue sussidiarie non sono state analizzate (noi conosciamo la « lingua » linguistica, ma ignoriamo la « lin­ gua» delle immagini o quella della musica). Per quanto concerne la Stampa, che possiamo ragionevolmente consi­ derare come un sistema autonomo di significazione, pur

PROSPETTIVE SEMIOLOGICHE

31

limitandoci ai suoi elementi scritti, noi ignoriamo ancora quasi tutto di un fenomeno linguistico die sembra espli­ carvi una funzione capitale: la connotazione, cioè lo svi­ luppo di un sistema di sensi secondi, sistema parassita, se cosi si può dire, della lingua propriamente detta; questo sistema secondo è anch’esso una «lingua», in rapporto alla quale si sviluppano dei fatti di parola, degli idioletti e delle strutture doppie. Per questi sistemi complessi o. connotati (i due caratteri non sono esclusivi), non è quin­ di più possibile predeterminare, anche in modo globale e ipotetico, la classe dei fatti di lingua e quella dei fatti di parola. I.z.6. L’estensione semiologica della nozione Lin­ gua/Parola pone indubbiamente certi problemi, che evi­ dentemente coincidono con i punti in cui il modello lin­ guistico non può più essere seguito e deve essere rielabo­ rato. Il primo problema riguarda l’origine del sistema, cioè la dialettica stessa della lingua e della parola. Se con­ sideriamo il linguaggio, vediamo che nella lingua non en­ tra nulla che non sia stato saggiato dalla parola, e che, re­ ciprocamente, la parola non è possibile (ossia non è ri­ spondente alla sua funzione di comunicazione) se non è prelevata nel « tesoro » della lingua. Questo movimento è proprio, almeno in parte, anche di un sistema come il cibo, quantunque i fatti individuali di innovazione possa­ no qui divenire fatti di lingua; ma, per la maggior parte degli altri sistemi semiologici, la lingua è elaborata non dalla « massa parlante », bensì da un gruppo di decisione. In questo senso, si può dire che nella maggior parte delle lingue semiologiche il segno è propriamente «arbitra­ rio »l, in quanto è fondato in modo artificiale da una de­ cisione unilaterale: si tratta insomma di linguaggi fabbri­ cati, di « logotecniche ». L’utente segue questi linguaggi, preleva in essi dei messaggi (delle « parole »), ma non par­ tecipa alla loro elaborazione; il gruppo di decisione che è all’origine del sistema (e dei suoi mutamenti) può essere più o meno ristretto; può essere ima tecnocrazia altamen1 Cfr. infra, II.4.3.

32

LINGUA E PAROLA

te qualificata (Moda, Automobile); può essere anche un gruppo più esteso, più anonimo (arte del mobilio corren­ te, confezione media). Se però questo carattere artificiale non altera la natura istituzionale della comunicazione e preserva una certa dialettica tra il sistema e l’uso, è per­ ché, da un lato, pur essendo subito, il « contratto » signi­ ficante è nondimeno osservato dalla massa degli utenti (altrimenti, l’utente è marcato da una certa asocialità: non può più comunicare se non la propria eccentricità), e perché, d’altro lato, le lingue elaborate « per decisione » non sono interamente libere (« arbitrarie»). Esse subisco­ no infatti la determinazione della collettività, sé non altro nei modi seguenti: i ) quando nascono nuovi bisogni, con­ seguenti allo sviluppo delle società (passaggio a un vestito semieuropeo nei paesi dell’Africa contemporanea, nascita di nuovi protocolli di alimentazione rapida nelle società industriali e urbane); 2) quando qualche imperativo eco­ nomico determina la scomparsa o la promozione di certi materiali (tessuti artificiali); 3) quando l’ideologia limita l’invenzione delle forme, la sottopone a un tabù e, in cer­ to qual modo, riduce i margini della « normalità ». In una prospettiva più ampia, si può affermare che le elaborazioni stesse del gruppo di decisione, cioè le logotecniche, non sono se non i termini di una funzione sempre più gene­ rale, che è l’immaginario collettivo dell’epoca: l’innova­ zione individuale è cosi trascesa da ima determinazione sociologica (di gruppi ristretti), e a loro volta queste de­ terminazioni sociologiche rinviano a un senso finale, di natura antropologica.

I.2.7. Il secondo problema posto dall’estensione semiologica della nozione Lingua/Parola concerne il rap­ porto di « volume » che si può stabilire fra le « lingue » e le loro « parole ». Nel linguaggio c’è una grande spropor­ zione fra la lingua, insieme finito di regole, e le « parole », che vengono a collocarsi sotto queste regole e sono prati­ camente infinite. Si può presumere che un sistema come il cibo presenti ancora un importante divario di volumi, giacché, all’interno delle «forme» culinarie, le modalità e le combinazioni di esecuzione sono ancora molte. Si è

PROSPETTIVE SEMIOLOGICHE

33 però visto che in sistemi come l’automobile o il mobilio, l’ampiezza delle variazioni combinatorie e delle associa­ zioni libere è debole: c’è poco margine — per Io meno, poco margine riconosciuto dall’istituzione stessa — fra il modello e la sua « esecuzione »: si tratta di sistemi in cui la « parola » è povera. In un sistema particolare come la Moda scritta, questa parola è anzi quasi inesistente, co­ sicché, paradossalmente, ci troviamo qui di fronte a una lingua senza parola (e questo, come si è visto, è possibile solo perché tale lingua è « sostenuta » dalla parola lingui­ stica). Ciò non toglie che, se è vero che esistono lingue senza parole o dalla parola molto povera, si dovrà necessa­ riamente rivedere la teoria saussuriana, secondo la quale la lingua non è altro che un sistema di differenze (nel qual caso, essendo interamente «negativa», essa è inafferrabi­ le fuori della parola). E si dovrà completare la coppia Lingua/Parola mediante un terzo elemento, presignificante, materia o sostanza, il quale fungerebbe da supporto (ne­ cessario) della significazione. In una espressione come « un abito lungo o corto », I’« abito » è il semplice suppor­ to di una variabile (lungo / corto) che, sola, appartiene pie­ namente alla lingua « vestiaria »: distinzione che è ignota al linguaggio, in cui il suono, essendo considerato come immediatamente significante, non può essere scomposto in un elemento inerte e un elemento semantico. Si sareb­ be cosi indotti a riconoscere nei sistemi semiologie! (non linguistici) tre piani (e non due): il piano della materia, quello della lingua e quello dell’uso. Evidentemente ciò permette di render conto dei sistemi senza « esecuzione », giacché il primo elemento assicura la materialità della lin­ gua; assetto tanto più plausibile in quanto è spiegabile geneticamente: in questi sistemi la «lingua» ha bisogno di «materia» (e non più di «parola») proprio perché essi hanno generalmente una origine utilitaria e non si­ gnificante, contrariamente al linguaggio umano.

II.

II.i.

Significato e Significante

Il Segno.

IL i. i. Nella terminologia saussuriana il significato e il significante sono le componenti del segno. Orbene, que­ sto termine segno, presente in vocabolari molto diversi (dalla teologia alla medicina) e la cui storia è ricchissima (dal Vangelo1 alla cibernetica), è perciò stesso molto am­ biguo; cosi, prima di ritornare all’accezione saussuriana, dobbiamo brevemente accennare al campo nozionale in cui esso occupa un pos^p che del resto, come vedremo, è fluttuante. Segno si inserisce infatti, a seconda degli au­ tori, in una serie di termini affini e dissimili: segnale, indice, icona, simbolo, allegoria sono i principali rivali del segno. In primo luogo, stabiliamo l’elemento comune a questi termini: essi rinviano tutti necessariamente a una relazione tra due relata1 ; questo tratto non serve quindi a contraddistinguere nessuno dei termini della se­ rie. Per ritrovare una variazione di senso, si deve ricorre­ re ad altri tratti, che citeremo qui in modo alternativo (.presenza/assenza): i) la relazione implica, o non impli­ ca, la rappresentazione psichica di uno dei relata-, 2) la relazione implica, o non implica, una analogia fra i relata-, 3) la connessione tra i due relata (lo stimolo e la sua ri­ sposta) è immediata o non lo è; 4) i relata coincidono esattamente, o viceversa uno «sopravanza» l’altro; 5) la relazione implica o non implica un rapporto esistenziale1 2 1 J.-P. CHARLIER, La notion de signe (oritutov) dans le IV‘ Evangile, « Revue des sciences philosophiques et théologiques», 1959, 43, n. 3, pp. 434-48. 2 Questo concetto è stato chiaramente espresso da sant’Agostino: « Si­ gnum est res, praeter speciem quam ingerii sensibus, aiiud aliquid ex se faciens in cogitationem venire» («Un segno è una cosa che, oltre alla spe­ cie inserita dai sensi, richiama, di per sé, alla mente qualche altra cosa») (De doctrina Christiana, II, 1, 2).

IL SEGNO

35

con colui che ne fa uso A seconda che questi tratti siano positivi o negativi (marcati o non marcati), ogni termine del campo si differenzia da quelli vicini. Si deve aggiun­ gere che la distribuzione del campo varia da un autore al­ l’altro, e ciò comporta alcune contraddizioni terminologi­ che, che faremo risaltare presentando il quadro di incon­ tro dei tratti e dei termini attraverso quattro autori dif­ ferenti: Hegel, Peirce, Jung e Wallon (il riferimento ad alcuni tratti, siano marcati o meno, può essere assente in certi autori): segnale

Rappresentazione

indice

icona

Wallon Wallon

segno

allegoria

Wallon Wallon

2. Analogia

3* Immediatezza

simbolo

Hegel

+

Hegel

-

Peirce

Wallon Wallon + Peirce

Hegel

Hegel

Jung

Jung

Wallon Wallon

4Adequazione

Wallon Wallon

!■ Esistenzialità

Wallon Wallon + Peirce +

Peirce Jung

Jung

Appare chiaro che la contraddizione terminologica verte essenzialmente su indice (per Peirce l’indice è esistenzia­ le, per Wallon non lo è) e su simbolo (per Hegel e Wallon 1 Cfr. gli shifters e simboli-indice, supra, I.r.8.

36

SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE

c’è un rapporto di analogia - o di « motivazione » - fra i due relata del simbolo, ma non per Peirce; inoltre, per Peirce il simbolo non è esistenziale, mentre lo è per Jung). Ma appare inoltre chiaro che queste contraddizio­ ni (leggibili qui verticalmente) si spiegano molto bene, o meglio: si compensano, mediante traslazioni di termini al livello di un medesimo autore — traslazioni leggibili qui orizzontalmente. Per esempio, il simbolo è analogico in Hegel in opposizione al segno, che non lo è; e non lo è in Peircè proprio perché l’icona può far suo questo tratto. Ciò significa, per riassumere e per parlare in termini semiologici (ed è proprio tale assunto che ci interessa in questo breve studio in scorcio), che i termini del campo non assumono il loro senso se non opponendosi vicende­ volmente (di solito in coppia) e che, se queste opposizioni sono salvaguardate, il senso è privo di ambiguità; in par­ ticolare, segnale e indice, simbolo e segno sono i correla­ ti di due funzioni differenti, che possono esse stesse en­ trare in opposizione generale (come in Wallon *, che ha la terminologia piu completa e più chiara), mentre i termini icona e allegoria rimangono confinati nel vocabolario di Peirce é Jung. Si dirà quindi, con Wallon, che il segnale e l’indice formano un gruppo di relata privi di rappresenta­ zione psichica, mentre nel gruppo contrapposto, simbolo e segno, questa rappresentazione esiste; che inoltre il se­ gnale è immediato ed esistenziale, di fronte all’indice che non lo è (esso è solo una traccia); che infine, nel simbolo, la rappresentazione è analogica e inadeguata (il cristiane­ simo « sopravanza » la croce), di fronte al segno, nel qua­ le la relazione è immotivata ed esatta (non c’è analogia tra la parola bue e l’immagine bue, che combacia perfet­ tamente con il suo relatum).

II. 1.2 Nella linguistica la nozione di segno non de­ termina competizione nei termini vicini. Per designare la relazione significante, Saussure ha subito eliminato sim­ bolo (poiché il termine comportava una idea di motiva­ zióne) in favore di segno, definito come l’unione di un si1 H. wallon, De l'acte à la pensée, 1942, pp. 175-250.

IL SEGNO

37 gnificante e di un significato (alla stregua del recto e del verso di un foglio di carta), o anche di una immagine acu­ stica e di un concetto. Prima che Saussure trovasse i ter­ mini significante e significato, segno è però rimasto am­ biguo, in quanto tendeva a confondersi con il solo signifi­ cante, ciò che Saussure voleva evitare a ogni costo; dopo aver esitato fra soma e sèma, forma e idea, immagine e concetto, Saussure si è attenuto a significante e significa­ to, la cui unione forma il segno: proposizione capitale e alla quale si deve sempre ritornare, in quanto c’è una cer­ ta tendenza a prendere segno per significante, mentre si tratta di una realtà a due facce. La conseguenza (importan­ te) è che, almeno per Saussure, Hjelmslev e Frei, la seman­ tica deve far parte della linguistica strutturale, giacché i significati fanno parte dei segni, mentre per i meccanicisti americani i significati sono sostanze che devono venire espulse dalla linguistica e indirizzate verso la psicologia. Dopo Saussure la teoria del segno linguistico si è arricchita del principio della doppia articolazione, di cui Martinet ha mostrato l’importanza, tanto da farne il criterio definizionale del linguaggio: fra i segni linguistici è infatti necessario separare le unità significative, che sono tutte dotate di un senso (le « parole », o per essere piu esatti, i « monemi ») e che formano la prima articolazione, dalle unità distintive, che partecipano alla forma ma non han­ no direttamente un senso (i « suoni », o meglio i fonemi), e che costituiscono la seconda articolazione. È la doppia articolazione che rende conto dell’economia del linguaggio umano; infatti, essa funge per cosi dire da potente de­ moltiplicatore, il quale fa sì, per esempio, che lo spagno­ lo d’America possa produrre centomila unità significative con solo ventuno unità distintive.

I I.1.3. Il segno è quindi composto di un significante e di un significato. Il piano dei significanti costituisce il piano d'espressione e quello dei significati il piano di con­ tenuto. In ognuno di essi Hjelmslev ha introdotto una distinzione che può essere importante per lo studio del segno semiologico (e non più solamente linguistico); per Hjelmslev ogni piano comporta infatti due strata1 , la for-

3.8

SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE

ma e la sostanza. Si deve insistere sulla nuova definizio­ ne di questi due termini, giacché ciascuno di essi ha un pesante passato lessicale. La forma è ciò che può venire descritto esaustivamente, semplicemente e coerentemen­ te (criteri epistemologici), dalla linguistica, senza ricor­ rere a nessuna premessa extralinguistica; la sostanza è l’insieme degli aspetti dei fenomeni linguistici che non possono essere descritti senza ricorrere a premesse extra­ linguistiche. Poiché questi due strata si ritrovano nel pia­ no dell’espressione e nel piano del contenuto, si avrà quin­ di: r) una sostanza dell’espressione: per esempio, la so­ stanza fonica, articolatoria, non funzionale, di cui si occupa la fonetica e non la fonologia; 2) una forma del­ l’espressione, costituita dalle regole paradigmatiche e sin­ tattiche (si noterà che una medesima forma può avere due sostanze differenti, una fonica e l’altra grafica); 3) una sostanza del contenuto: sono, per esempio, gli aspetti emotivi, ideologici o semplicemente nozionali del signi­ ficato, il suo senso «positivo»; 4) una forma del conte­ nuto: è l’organizzazione formale dei significati, per as­ senza o presenza di una marca semantica ’. Quest’ultima nozione non si lascia cogliere facilmente, in ragione della impossibilità in cui ci troviamo, di fronte al linguaggio umano, di separare i significati dai significanti; ma pro­ prio per questo, la distinzione forma/sostanza può ridi­ venire utile e facile da usare, in semiologia, nei seguenti casi: 1) quando abbiamo a che fare con un sistema in cui i significati ineriscono a una sostanza diversa da quella del loro proprio sistema (è, come si è visto, il caso della Mo­ da scritta); 2) quando un sistema di oggetti comporta una sostanza che non è immediatamente e funzionalmente si­ gnificante, ma può essere, a un certo livello, semplicemente utilitaria: una certa pietanza serve a significare una situazione, ma anche a nutrirsi.

I I.1.4. Ciò permette forse di prevedere la natura del segno semiologico in rapporto al segno linguistico. Come 1 Quantunque molto rudimentale, l’analisi data qui (supra, II.i.i.) concerne la forma dei significati «segno», «simbolo», «indice» e «se­ gnale».

IL SEGNO

39 il suo modello, il segno semiologico è anch’esso composto di un significante e di un significato (nel codice stradale, per esempio, il colore di un semaforo è un ordine di cir­ colazione), ma se ne separa al livello delle sue sostanze. Molti sistemi semiologici (oggetti, gesti, immagini1) han­ no una sostanza dell’espressione il cui essere non è nella significazione: sono spesso oggetti d’uso, smistati dalla società a fini di significazione: il vestito serve per proteg­ gersi, il cibo per nutrirsi, quantunque servano anche a si­ gnificare. Proporremo di chiamare questi segni semiolo­ gici, di origine utilitaria e funzionale, funzioni-segno. La funzione-segno testimonia di un duplice movimento che va analizzato. In un primo tempo (questa scomposizione è puramente operativa e non implica una temporalità rea­ le), la funzione si compenetra di senso; questa semantizzazione è fatale: per U salo fatto che c’è società, ogni uso è convertito in segno di questo uso. La funzione dell’im­ permeabile è di proteggere contro la pioggia, ma questa finizione è indissociabile dal segno stesso di una certa si­ tuazione atmosferica; poiché la nostra società non produ­ ce se non oggetti standardizzati, normalizzati, questi og­ getti sono necessariamente le esecuzioni di un modello, le parole di una lingua, le sostanze di una forma significan­ te. Per ritrovare un oggetto insignificante si dovrebbe im­ maginare un utensile assolutamente improvvisato e che non si avvicina in nulla a un modello esistente (LéviStrauss ha mostrato come la bricole stessa sia ricerca di un senso): ipotesi pressoché irrealizzabile in qualsiasi so­ cietà. Questa semantizzazione universale degli usi è capi­ tale: essa rivela infatti che non c’è nulla di reale che non sia intelligibile, e dovrebbe indurre a confondere infine sociologia e socio-logica1 2. Ma una volta costituito il se­ gno, la società può benissimo ri-funzionalizzarlo, parlar­ ne come di un oggetto d’uso: si parlerà di una pelliccia come se essa servisse unicamente a proteggere dal freddo. 1 A dire il veto, il caso dell’immagine dovrebbe essere tenuto in di­ sparte, giacché l’immagine è subito «comunicante», se non significante. 2 Cfr. r. Barthes, A propos de deux ouvrages récents de Cl. LéviStrauss: Sociologie et Socio-Logique, «Information sur les sciences sociales» (Unesco), vol. I, n. 4, dicembre 1962, pp. 114-22.

SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE

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Questa funzionalizzazione ricorrente, che per esistere ne­ cessità di un linguaggio secondo, non si identifica affatto con la prima funzionalizzazione (del resto puramente ideale): dal canto suo, la funzione ri-presentata corrispon­ de à una seconda istituzione semantica (camuffata) che appartiene all’ordine della connotazione. Pertanto, la fun­ zione-segno ha probabilmente un valore antropologico, giacché è l’unità stessa in cui si intrecciano i rapporti del tecnico e del significante.

II.2.

Il Significato.

II.2.1. Nella linguistica, la natura del significato ha dato luogo a discussioni concernenti soprattutto il suo grado di « realtà »; esse però insistono concordemente sul fatto che il significato non è « una cosa », ma una rappre­ sentazione psichica della « cosa ». Si è visto che, nella de­ finizione del segno data da Wallon, questo carattere rap­ presentativo costituiva un tratto pertinente del segno e del simbolo (in opposizione all’indice e al segnale); lo stesso Saussure ha evidenziato la natura psichica del si­ gnificato chiamandolo concetto-, il significato della parola bue non è l’animale bue, ma la sua immagine psichica (ciò sarà importante per seguire la discussione sulla natura del segno)1. Queste discussioni rimangono però improntate di psicologismo; sarà forse preferibile seguire l’analisi degli Stoici’, i quali distinguevano scrupolosamente la tpavvaoia Xoyixt) (la rappresentazione psichica), il TuyXavóv (la cosa reale) e il kextóv (il «dicibile»); il signi­ ficato non è né la tpavraaia, né il Tuyxavóv, ma il Xextóv; né atto di coscienza né realtà, esso può essere defi­ nito solo all’interno del processo di significazione, in mo­ do quasi-tautologico: è quel «qualcosa» che colui che impiega il segno intende con esso. In questo modo si per­ viene appunto a una definizione puramente funzionale: il significato è uno dei due relata del segno; l’unica diffe-1 2 1 Cfr. infra, II.4.2. 2 Discussione tipresa da Borgeaud, Brocket e Lohmann, « Acca Lin­ guistica», in, i, 27.

IL SIGNIFICATO

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renza che l’oppone al significante è che quest’ultimo è un mediatore. Nella sua essenza, la situazione non potrebbe essere diversa nell’ambito della semiologia, ove oggetti, immagini, gesti, ecc., nella misura in cui sono signifiranti, rinviano a qualcosa che non è dicibile se non attraverso di essi, con la differenza che il significato semiologico può essere commesso ai segni della lingua. Si dirà, per esem­ pio, che un certo sweater significa le lunghe passeggiate d’autunno nel bosco; in questo caso, il significato non è solamente mediato dal suo significante « vestiario »1 (lo sweater}, ma anche da un frammento di parola (ciò che ne facilita l’utilizzazione). Si potrebbe chiamare isologia il fenomeno in virtù del quale la lingua fa aderire in mo­ do indiscernibile e indissociabile i suoi significanti e i suoi significati, e andrebbe cosi tenuto distinto il caso dei si­ stemi non-isologi (sistemi fatalmente complessi), in cui il significato può essere semplicemente giustapposto al suo significante.

II.2.2. Come classificare i significati? È noto che in semiologia questa operazione è fondamentale, giacché es­ sa consistè nel separare la forma dal contenuto. Per quan­ to concerne i significati linguistici, si possono concepire due tipi di classificazioni; il primo è esterno, fa appello al contenuto «positivo» (e non puramente differenziale) dei concetti: è il caso dei raggruppamenti metodici di Hallig e Wartburg12, e, in modo più convincente, dei campi nozionali di Trier e dei campi lessicologici di Matoré3. Ma da un punto di vista strutturale queste classificazioni (so­ prattutto quelle di Hallig e Wartburg) hanno il difetto di fondarsi ancora troppo sulla sostanza (ideologica) dei si­ gnificati, non sulla loro forma. Per giungere a stabilire una classificazione veramente formale, dovremmo riuscire a ricostituire delle opposizioni di significati e a far emer­ gere in ciascuna di esse un tratto pertinente (commutabi1 Cfr. I.2.2. [N.d.T.]. 2 a. hallig e w. von waktburg, Begrifssystem ale Grundlage fur dìe Lexicographic, Akademie Verlag, Berlin 1952, IV, xxv, p. 140. 3 Si troverà la bibliografia di Trier e Matoré in p. Guiraud, La Sémantigue, PUF, pp. 70 sgg. [trad. it. di Andrea Bonopii, Bompiani, Mila­ no 1966].

SIGNIFICATO E SIGNIFICANTI 42 ' le)1; questo metodo e preconizzato da Hjelmslev, Sòren sen, Prieto e Greimas. Hjelmslev, per esempio, scompo ne un monema come «giumenta» in due unità di sense piu piccole: « cavallo » + « femmina », unità che possono commutare e servire perciò a ricostituire dei monemf nuovi (« porco » + « femmina » = « scrofa », « cavallo » + « maschio » = « stallone »); Prieto vede in « vir » due tratti commutabili: « homo » + « masculus »; Sorensen ri­ duce il lessico della parentela a una combinazione di « pri­ mitivi » (« padre » = genitore maschio, « genitore » = ascendente di primo grado). Nessuna di queste analisi è sta­ ta ancora sviluppatal. Si deve infine ricordare che per talu­ ni linguisti i significati non fanno parte della linguistica, la quale deve occuparsi solo dei significanti, e che la classi­ ficazione semantica esula dai compiti della linguistica ’.

II.2.3. La linguistica strutturale, per progredita che sia, non ha ancora edificato una semantica, cioè ima clas­ sificazione delle forme del significato verbale. Pertanto, si comprende agevolmente come allo stato attuale delle cose non si possa proporre una classificazione dei significati semiologici, a meno che non si ricorra a campi nozionali no­ ti. Ci limiteremo ad avanzare tre osservazioni. La prima concerne il modo di attualizzazione dei significati semiologici. Questi ultimi possono presentarsi in modo isolo­ gico o non isolpgico; nel secondo caso, essi sono commes­ si, attraverso il linguaggio articolato, sia a una parola (week-end), sia a un gruppo di parole (lunghe passeggiate in campagna)-, sono quindi più facili da studiare, giacché l’analista non è costretto a imporre loro il proprio metalinguaggio, ma anche più pericolosi, in quanto riconduco­ no continuamente alla classificazione semantica della lin­ gua stessa (classificazione del resto ignota), e non a una classificazione che abbia il suo fondamento nel sistema os-1 2 1 È ciò che si è tentato di fate qui per segno e simbolo {supra, II.1.1.) 2 Esempi dati da G. mounin, Les analyses sémantiques, «Cahiers de rinstitut de science économique appliquée», n. 123, marzo 1902. 5 D’ora innanzi sarebbe opportuno adottare la distinzione proposta da A. J. Greimas: semantico = che si riferisce al contenuto; semiologico = che si riferisce all’espressione.

IL SIGNIFICATO

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servato. Anche se sono mediati dalla parola del giornale, i significati del vestito di Moda non si distribuiscono ne­ cessariamente come i significati della lingua, poiché non sempre hanno la medesima « lunghezza » (qui ima parola, là una frase); nel primo caso, quello dei sistemi isologici, il significato non ha altra materializzazione che il suo si­ gnificante tipico, e non si può quindi studiarlo se non im­ ponendogli un metalinguaggio. Per esempio, si interro­ gheranno taluni soggetti sulla significazione che essi attri­ buiscono a un brano di musica, sottoponendo loro un elenco di significati verbalizzati (angosciato, tempestoso, cupo, tormentato, ecc.) ', laddove tutti questi segni ver­ bali formano in realtà un solo significato musicale, che andrebbe designato esclusivamente con una cifra unica, estranea a qualsiasi specificazione verbale e a qualsiasi trasposizione metaforica. Questi metalinguaggi, prove­ nienti qui dall’analista e là dal sistema stesso, sono certo inevitabili, e ciò rende ancora problematica l’analisi dei significati o analisi ideologica; ma se non altro, si dovrà situare teoricamente il posto che le compete nel progetto semiologico. La seconda osservazione concerne l’estensio­ ne dei significati semiologici. Una volta formalizzato, l’in­ sieme dei significati di un sistema costituisce una grande funzione. Orbene, è probabile che, da un sistema all’al­ tro, le grandi funzioni semantiche non solo comunichino tra loro, ma corrispondano parzialmente: per esempio, la forma dei significati del vestito è in parte la stessa che quella dei significati del sistema alimentare, essendo arti­ colate entrambe sulla grande opposizione del lavoro e del­ la festa, dell’attività e del riposo. Si deve quindi prevede­ re una descrizione ideologica totale, comune a tutti i si­ stemi di una medesima sincronia. Infine - e sarà questa la terza osservazione —, si può considerare che a ogni si­ stema di significanti (lessici) corrisponde, sul piano dei significati, un corpo di pratiche e di tecniche. Questi cor­ pi di significati implicano, per quanto concerne i consu­ matori di sistemi (ossia i « lettori »), diversi tipi di sapere (in base a differenze di « cultura »), e ciò spiega come una 1 Cfr »

huncès,

La perception de la musique, Vrin 1958, parte III.

SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE:

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medesima lessia (o grande unità di lettura) possa essere decifrata diversamente a seconda degli individui, senza cessare di appartenere a una certa «lingua»; vari lessici - e quindi vari corpi di significati - possono coesistere in un medesimo individuo, determinando in ognuno delle letture più o meno « profonde ». II.3.

Il Significante.

II.3.1. La natura del significante suggerisce, grosso modo, le stesse osservazioni fatte a proposito del signifi­ cato: è un rélaium, non si può separare la sua definizione da quella del significato. L’unica differenza è che il signi, ficante è un mediatore: la materia gli è necessaria; essa non gli è però sufficiente e, d’altro canto, in semiologia anche il significato può essere mediato da una certa ma­ teria: quella delle parole. Questa materialità del signifi. cante costringe, ancora una volta, a distinguere materia e sostanza-, la sostanza può essere immateriale (nel caso della sostanza del contenuto); si può quindi dire soltanto che la sostanza del significante è sempre materiale (suoni, oggetti, immagini). Nella semiologia, ove si ha a che fa­ re con sistemi misti che comportano materie diverse (suo­ no e immagine, oggetto e scrittura, ecc.), sarebbe oppor­ tuno riunire tutti i segni, in quanto si fondano su un’uni­ ca e medesima materia, sotto il concetto di segnò tipico: il segno verbale, il segno grafico, il segno iconico, il segno gestuale formerebbero ciascuno un segno tipico.

II.3.2. La classificazione dei significanti non è altro che la strutturazione propriamente detta del sistema. Per mezzo della prova di commutazione si tratta di scom­ porre il messaggio «senza fine», costituito dall’insieme dei messaggi emessi al livello del corpus studiato, in uni­ tà significanti minimali; successivamente, è necessario raggruppare queste unità in classi paradigmatiche e clas­ sificare le relazioni sintagmatiche che collegano le unità stesse. Tali operazioni costituiscono una parte importan1 Cfr. infra, III.2.3.

LA SIGNIFICAZIONE

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te dell’indagine semiologica di cui parleremo nel capitolo III; le citiamo qui solo per ricordarle '.

II .4.

La Significazione.

II.4.1. Il segno è una porzione (a due facce) di sonori­ tà, visualità, ecc. La significazione può essere concepita co­ me un processo; è l’atto che unisce il significante e il si­ gnificato, atto il cui prodotto è il segno. Naturalmente, questa distinzione ha solo un valore classificatorio (e non fenomenologico): in primo luogo perché l’unione del si­ gnificante e del significato non esaurisce, come si vedrà, l’atto semantico, il segno valendo anche in virtu di ciò che gli è adiacente; in secondo luogo perché, per significa­ re, la mente non procede certo per congiunzione, ma, co­ me vedremo, per scomposizione1 2: a dire il vero, la signi­ ficazione (semiosis) non unisce degli esseri unilaterali, non avvicina due termini, per la buona ragione che il si­ gnificante e il significato sono entrambi termine e rappor­ to ad un tempo3. Questa ambiguità intralcia la rappre­ sentazione grafica della significazione, nondimeno neces­ saria al discorso semiologico. A tal proposito, citeremo i seguenti tentativi. Sn 1) —-—. In Saussure il segno si presenta, dimostrati­ vamente, come l’estensione verticale di una situa­ zione profonda: nella lingua, il significato è in un certo qual modo dietro il significante e non può es­ sere raggiunto se non attraverso di esso, quantun­ que, da una parte, queste metafore troppo spaziali non colgano la natura dialettica della significazione e, dall’altra, la chiusura del segno non sia accettabi­ le che per i sistemi decisamente discontinui, come la lingua. 2) ERC. Hjelmslev ha preferito una rappresentazio­ ne puramente grafica: c’è relazione (R) fra il piano 1 Cfr. infra, cap. Ili (Sistema e sintagma). 2 Cfr. infra, II.5.2. 3 Cfr. K. OKTIGUES, Le discours et le symbole, Aubier, 1962.



SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE

d’espressione (E) e il piano del contenuto (C). Que­ sta formula permette di render conto, in modo eco­ nomico e senza falsificazione metaforica, dei meta-' linguaggi o sistemi «sganciati»; ER (ERC)1. S 3) —. Lacan, ripreso da Laplanche e Leclaire12, utilizs za un grafismo spazializzato che si distingue però dalla rappresentazione saussuriana su due punti: 1) il significante (S) è globale, costituito da una ca­ tena a vari livelli (catena metaforica): significante e significato si trovano in un rapporto fluttuante e non «coincidono» se non per certi punti d’anco­ raggio; 2) la sbarretta di separazione fra il signifi­ cante (S) e il significato (s) ha un valore proprio (che evidentemente non aveva in Saussure): essa rappresenta la rimozione del significato. 4) Sn = St. Infine, nei sistemi non isologi (ossia quelli nei quali i significati sono materializzati attraverso un altro sistema), è evidentemente lecito estendere la relazione sotto forma di una equivalenza ( ss ), ma non di una identità ( = ). II .4.2. Come abbiamo visto, tutto ciò che si poteva dire del significante è che esso è un mediatore (materia­ le) del significato. Di che natura è tale mediazione? In linguistica questo problema ha dato luogo a una discus­ sione: discussione soprattutto terminologica, giacché nel­ la sostanza le cose sono abbastanza chiare (forse non lo saranno altrettanto in semiologia). Partendo dal fatto che nel linguaggio umano la scelta dei suoni non ci è imposta dal senso stesso (il bue non implica certo necessariamente il suono bue, giacché questo suono è diverso in altre lin­ gue), Saussure aveva parlato di un rapporto arbitrario fra il significante e il significato. Benveniste ha contestato questa affermazione3; arbitrario è il rapporto del signifi1 Cfr. infra, cap. IV. 2 j. laplanche e s. leclaire, L'«Inconscient», «Les Temps modemes», n. 183, luglio 1963, pp. 81 sgg. 3 E. benveniste, Nature die signe linguistique, «Acta Linguistica», I, 1939-

LA SIGNIFICAZIONE

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caute e della « cosa » significata (del suono bue e dell’ani­ male bue); ma, come si è visto, per lo stesso Saussure il significato non è « la cosa », bensì la rappresentazione psi­ chica della cosa (concetto). L’associazione del suono e del­ la rappresentazione è il frutto di un tirocinio collettivo (per esempio dell’apprendimento della lingua francese); questa associazione — che è la significazione — non è affat­ to arbitraria (nessun francese è libero di modificarla), ma viceversa necessaria. Si è quindi proposto di dire che nel­ la linguistica la significazione è immotivata; è una immo­ tivazione del resto parziale (Saussure parla di una analo­ gia relativa): fra il significato e il significante c’è una cer­ ta motivazione nel caso (ristretto) delle onomatopee, del quale ci occuperemo fra breve, e ogniqualvolta una serie di segni è stabilita dalla lingua a imitazione di un certo prototipo di composizione o di derivazione. È ciò che av­ viene nei cosiddetti segni proporzionali: pommier, poirier, abricotier, ecc., una volta stabilita l’immotivazione del loro radicale e del loro suffisso, presentano una ana­ logia di composizione. In generale, si dirà quindi che nel­ la lingua il nesso fra il significante e il significato è con­ trattuale in via di principio, ma che questo contratto è collettivo, inscritto in una temporalità lunga (Saussure di­ ce che « la lingua è senipre una eredità »), e quindi in un certo qual modo naturalizzato; allo stesso modo, LéviStrauss precisa che il segno linguistico è arbitrario a prio­ ri ma non arbitrario a posteriori. Questa distinzione in­ duce a prevedere due termini differenti, che diverranno utili nel passaggio all’indagine semiologica: si dirà che un sistema è arbitrario quando i suoi segni sono fondati non per contratto, ma per decisione unilaterale: nella lingua il segno non è arbitrario ma lo è nella Moda; e si dirà al­ tresì che un segno è motivato quando la relazione fra il suo significato e il suo significante è analogica (per i segni motivati Buyssens ha proposto il termine sèmi intrinseci, e per i segni immotivati il termine sèmi estrinseci); po­ tremo quindi avere sistemi arbitrari e motivati e altri non arbitrari e immotivati.

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SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE! j

II.4.3. Nella linguistica la motivazione è circoscritta) al piano parziale della derivazione o della composizione; viceversa, essa porrà alla semiologia problemi più genera­ li. Da un lato, è possibile che, fuori della lingua, si tro­ vino dei sistemi ampiamente motivati, e si dovrà allora definire il modo in cui l’analogia è compatibile con il di­ scontinuo che finora è sembrato necessario alla significa­ zione; in seguito, si dovrà mostrare come possano stabi­ lirsi delle serie paradigmatiche (comprendenti cioè un nu­ mero esiguo e finito di termini), quando i significanti so­ no degli analoga-, sarà certo il caso delle « immagini », la cui semiologia, proprio per queste ragioni, è lungi dall’es­ sere stabilita. D’altro lato, è quanto mai probabile che l’inventario semiologico rivelerà l’esistenza di sistemi im­ puri, che comportano motivazioni molto tenui oppure compenetrate, se cosi si può dire, di immotivazioni se­ condarie, come se il segno si prestasse spesso a una spe­ cie di conflitto fra il motivato e l’immotivato: è ciò che più o meno accade anche nella zona «motivata» della lingua, quella delle onomatopee. Martinet ha notato1 che la motivazione onomatopeica è accompagnata da una per­ dita della doppia articolazione (ahi, che dipende solamen­ te dalla seconda articolazione, sostituisce il sintagma dop­ piamente articolato: mi fa male)-, tuttavia, Tonomatopea del dolore non è esattamente la stessa in italiano (ahi) e, per esempio, in danese (au). Ciò è spiegato dal fatto che in un certo qual modo la motivazione si sotto­ mette qui a modelli fonologici evidentemente diversi a seconda delle lingue: l’analogico è compenetrato dal di­ gitale. Fuori della lingua, i sistemi problematici, come il «linguaggio» delle api, presentano la stessa ambiguità: le danze in circolo hanno un valore vagamente analogi­ co; la danza sulla tavola di volo è decisamente motivata (orientamento del bottino), ma la danza di dimenamento a forma di 8 è completamente immotivata (rinvia a una 1 A. martinet, Economie dee changements fhonétiques, Francke, Bern 5, 6.

LA SIGNIFICAZIONE

49 distanza) ’. Infine, ultimo esempio di queste dissolvenze12, certi marchi di fabbrica utilizzati dalla pubblicità sono co­ stituiti da figure perfettamente.«astratte» (non analogi­ che); essi possono però « suggerire » una certa impressio­ ne (per esempio la «potenza»), che si trova in un rap­ porto d’affinità con il significato: il marchio Berliet (un cerchio congiunto a una freccia) non « copia » in nulla la potenza — come si potrebbe, del resto, « copiare » la po­ tenza? — ma nondimeno la suggerisce mediante una ana­ logia latente; la medesima ambiguità sarebbe riscontrabi­ le nei segni di certe scritture ideografiche (il cinese, per esempio). L’incontro dell’analogico e del non analogico sembra quindi incontestabile nel seno stesso di un siste­ ma unico. Tuttavia, la semiologia non potrà accontentarsi di una descrizione che riconosca il compromesso senza cercare di sistematizzarlo, giacché essa non può ammette­ re un differenziale continuo: come si vedrà, il senso è in­ fatti articolazione. Questi problemi non sono ancora stati studiati in modo particolareggiato, e sarebbe impossibile situarli in una prospettiva globale. Tuttavia, non è diffici­ le intuire l’economia - antropologica - della significazio­ ne: nella lingua, per esempio, la motivazione (relativa) introduce un certo ordine al livello della prima articola­ zione (significativa): pertanto, il « contratto» è qui soste­ nuto da una certa naturalizzazione di quell’arbitrarietà a priori di cui parla Lévi-Strauss. Altri sistemi, viceversa, possono andare dalla motivazione alla immotivazione: per esempio, il gioco delle figurine nei riti di iniziazio­ ne dei Senufo, citato da Lévi-Strauss nella Pensée Sau­ vage. È dunque probabile che al livellò della semiologia piu generale, di ordine antropologico, si stabilisca una specie di circolarità fra l’analogico e l’immotivato: c’è una duplice tendenza (complementare) a naturalizzare l’immotivato e a intellettualizzare il motivato (cioè a culturalizzarlo). Infine, taluni autori assicurano che il digitalismo stesso (il rivale dell’analogico), è - nella sua for­ 1 Cfr. G. mounin, Communication linguistique humaine et communi­ cation non-linguistique animale, «Les Temps modernes», aprile-maggio i960. 2 Altro esempio: il codice stradale.

50

SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE

ma pura, ossia il binarismo - una « riproduzione » di cer­ ti processi fisiologici, se è vero che in definitiva la vista e l’udito funzionano per selezioni alternative *.

II.5.

Il Valore.

II.5.1. Si è detto, o per lo meno si è lasciato inten­ dere, che è una astrazione piuttosto arbitraria (ma inevi­ tabile) trattare del segno « in sé », come semplice unione del significante e del significato. Per finire, dobbiamo ora Considerare il segno non più attraverso la sua « composi­ zione», ma attraverso le sue « adiacenze»; è il problema del valore. Saussure non ha afferrato subito l’importanza di questa nozione, ma già nel secondo Corso di Linguisti­ ca generale le ha dedicato una riflessione sempre più acu­ ta, e il valore è divenuto per lui un concetto essenziale, più importante che quello di significazione (con cui non si identifica). Il valore è intimamente connesso con la nozio­ ne di lingua (opposta a parola); esso fa si che la linguisti­ ca sia sottratta alla sfera della psicologia e venga accosta­ ta all’economia: ha dunque una funzione essenziale nella linguistica strutturale. Nella maggior parte delle scienze, osserva Saussure2, non c’è dualità fra la diacronia e la sin­ cronia: l’astronomia è una scienza sincronica (anche se gli astri cambiano); la geologia è una scienza diacronica (quantunque possa studiare degli stati fissi); la storia è soprattutto diacronica (successione di eventi), benché possa fermarsi a certi « quadri » ’. C’è però una scienza in cui questa dualità si impone in parti eguali; l’economia (l’economia politica si distingue dalla storia economica). Lo stesso può dirsi, prosegue Saussure, della linguistica; infatti, in entrambi i casi si ha a che fare con un sistema di equivalenza fra due cose differenti: un lavoro e(un sa­ lario, un significante e un significato (ecco il fenomeno 1 Cfr. infra. III.3.5. 2 SAUSSURE, Cours de Linguistique Generale cit., p. 1x5. 3 £ necessario ricordare che, dopo Saussure, anche la Storia ha scoper­ to l’importanza delle strutture sincroniche? Economia, linguistica, etnolo­ gia e storia formano attualmente un quadrivium di scienze-pilota.

IL VALORE

51 che finora abbiamo chiamato significazione). Tuttavia, tanto nella linguistica quanto nell’economia, questa equi­ valenza non è isolata, giacché, se si cambia uno dei suoi termini, a poco a poco cambia tutto il sistema. Perché vi sia segno (o «valore economico») occorre quindi, da un lato, poter scambiare cose dissimili (un lavoro e un sala­ rio, un significante e un significato), e d’altro lato con­ frontare cose similari: si può scambiare un biglietto da 5 F. con una certa quantità di pane, con un po’ di sapone o con uno spettacolo cinematografico, ma si può anche confrontare questo biglietto con altri biglietti da io F., da 50 F. ecc.; analogamente, ima «parola» può essere «scambiata» coti una idea (cioè qualcosa di dissimile), ma può essere confrontata con altre «parole» (cioè qual­ cosa di similare): in inglese mutton ricava il suo valo­ re unicamente dalla coesistenza con sheep. Il senso non è veramente fissato se non al termine di questa doppia determinazione: significazione e valore. Il valore non è. quindi la significazione; esso proviene, dice Saussure1, « dalla situazione reciproca delle parti della lingua », ed è anzi più importante della significazione: «ciò che c’è di idea o di materia fonica in un segno è meno rilevante di ciò che gli sta attorno negli altri segni »1 2: frase profetica, se si pensa che essa fondava già l’omologia di Lévi-Strauss e il principio delle tassinomie. Avendo ben distinto, con Saussure, significazione e valore, appare subito chiaro che, se riconsideriamo gli strata di Hjelmslev (sostanza e forma), la significazione partecipa della sostanza del con­ tenuto, mentre il valore partecipa della sua forma (mut­ ton e sheep si trovano in un rapporto paradigmatico, in quanto significati, e non, naturalmente, in quanto signi­ ficanti).

II.5.2. Per render conto del duplice fenomeno di si­ gnificazione e di valore, Saussure ricorreva all’immagine di un foglio di carta: tagliandola si ottengono da un lato 1 Saussure, in r. godél, op. cit., p. 90. 2 Ibid., p. 166. Evidentemente Saussure pensa al confronto dei segni, non sul piano della successione sintagmatica, ma su quello delle riserve virtuali paradigmatiche, o campi associativi.

J2

SIGNIFICATO E SIGNIFICANTE

diversi pezzi (A, B, C), ciascuno dei quali ha un valore in rapporto a quelli vicini, e d’altro lato ciascuno di questi pezzi ha un recto e un verso, che sono stati tagliati nello stesso tempo (A-A', B-B', C-C'): è la significazione. Que­ sta immagine è molto utile, giacché induce a concepire la produzione del senso in modo originale, non più come la semplice correlazione di un significante e di un significa­ to, ma forse, più essenzialmente, come un atto di ritaglio simultaneo di due masse amorfe, di due « regni fluttuan­ ti », come dice Saussure; egli immagina infatti che, all’o­ rigine (del tutto teorica) del senso, le idee e i suoni for­ mino due masse fluttuanti, labili, continue e parallele, di sostanze; il senso compare quando queste due masse ven­ gono simultaneamente « ritagliate »: i segni (cosi prodot­ ti) sono quindi degli articuli. Fra questi due caos, il senso è allora un ordine, ma tale ordine è essenzialmente divisio­ ne: la lingua è un oggetto intermedio fra il suono e il pen­ siero: essa consiste nell’««zr