Elementi di filosofia. Teologia naturale [Vol. 6]

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Elementi di filosofia. Teologia naturale [Vol. 6]

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GUIDO BERGHIN~ROSÈ C. M.

ELEMENTI DI FILOSOFIA VI.

TEOLOGIA NATURALE

MARI ETTI

V EDIZIONE

Nihil obstat, Sac. Gtlltlo Coccm

Vi.riraror PrOfJinaae Taurinerzru.

Visto: nulla osta. Casale, ·5 Febbraio 1958.

Can. Teol.

LUIGI BAlANo,

Re11. &d.

IMPRIMATUR. Can. MARIO DEBERNARDIS, Vie. Gen.

O 1961 Marietti Editori Ltd. - Pn'nred in ltaly. ------·----------~-----~---~~-~--

PROPRIETÀ LETTE!WUA

(2-Vlll-1961)

INTRODUZIONE OGGETTO l! DEFINIZIONll

~~o_prcuiegli.

esseri finiti com_ponenti il mondo, oltre wnana, I_!!!l1~1! _filosofie ammettono l'esisrenzadi un essere che esse ritengono necessario pèr reridere tagione ·siifiìéiente del mondo ed a cui attribuiscono doti, diverse nelle varie scuole, ma sempre assai caratterìsi:icbee notevoli~~Q~estO""~s~re è detto .. · · comunemente Dio e la disciplina che se ne occupa: Teologia. Si può poi . : dalle esigenze delle cose e dei fatti di . esperienza:- }Jcuni invece non ritengono necessario questo ricorso (r) Ciò è vero più che mai nella questione presente e sarebbe molto errato con tenerne il massimo conto. (2) M. F. Sc!ACCII, Op. cir., pag. uo. (3) I principi del Tradizionalismo sono pure condannati dalla Chiesa cattolica. Cfr. P. PARENTE, De Deo uno er Tn·rw, Torino 1943, pag. zo ss. (4) Circa le varie specie di dimostrazione cfr. Logica N. 136.

CAP. I -PREMESSE

I3

all'esperienza ed introducono un nuovo tipo di dimostrazione, puramente intellettuale, detto cc a S1·m'l(ltaneo.j). L'argomento cc a s~l.!!~~; fu proposto la prima volta da S. Anselmo (1). Parte d.aréoncetto che, secondo S. Anselmo, tutti hanno di Dio come cc l'essere di cui non si può pensare il maggiore )) e può ridursi al seguente sillogismo: Dio è pensato come l'essere dì cui non sì può pensare il maggiore; ora l'essere di cui ecc.... certamente esiste, altrimenti non sarebbe ciò di cui non si può pensare il maggiore (2); dunque Dio esiste. In realtà, più che di un vero c ragionamento>, si tratta di un semplice confronto dei termini del giudizio (Psicologia N. 225), dal quale risulterebbe immediatamente il loro accordo: il giudizio • Dio esiste» sarebbe t per se norum intelligenti terminos ,, come che: il rutto è maggiore di una parte e simili. Può pure presentarsi come una • reductic ad absurdum & dell'ateo mostrando una contraddizione nell'affermazione: Dio non esiste (3); come tale partecipa della dimostrazione indiretta. In ogni caso non si basa sull'esperienza ma procede dal solo concetto (conceptus obiectivus) di Dio (4).

L'argomento, attaccato immediatamente dal monaco Gaunilone (5), respinto da S. Tommaso (6) e da molti altri (Kant) (7), fu accettato e ripreso in forma nuova da Cartesio e da Leibniz. L'argamrnto in Cartesio (B). L'argomento qui si inquadra nel sistema cartesiano~ ·ffià ·11riilliie~alrnente quello di S. Anselmo. Può essere espresso in questo modo: ogni essere ha necessariamente ciò che io concepisco chiaramente e distintamente come incluso nella sua essenza; ora nell'idea di Dio come l'essere perfettissimo è chiaramente inclusa l'esistenza; dunque Dio esiste. L'esistenza è inseparabile da Dio come l'avere tre lati dal triangolo e l'idea di valle da quella di monte. Secondo Cartesio, questa dimostrazione ha la stessa validità e forza di quelle della geometria. L'argamrntç di Leibniz (9) assume un aspetto nuovo, in quanto non parte dalla semplice idea di Dio per concludere alla sua esistenza; ma dalla possibilità di Dio, vista nella sua idea. Si può esplicare: Se Dio è possibile, Dio esiste (poichè se non esistesse, non potendo nè esser fatto nè farsi da sè, sarebbe impossibile); ora Dio è possibile (infatti nella sua idea non vi sono limiti nè (1) ProslOKJ·o, Cap. II e ss., MrGm:, Paerologia Latirw, T. CLVIII, Col. 227 ss. (2) Essendo inferiore a qualsiasi cosa reale. (3) Cosi è inteso da S. ANSRLMO: • ••• se ciò di cui non può pensarsi il maggiore si può pensar che non sia, ciò stesso di cui non può pensarsi il maggiore non è ciò di cui non può pensarsi il maggiore, il che non può essere>. Op. cit., Cap. III. (4) È un processo spiccatamente platonico, alla cui corrente appartiene S. An-

selmo.

(5) Liber pro insit»:ente. MIGNE, P. L., Tomo citato, (6) s. Th. I, q. 2, B. r. (7) Per la critica di Kant, vedi N. 76. (8) Meditazi=· metajisiche, meditaz. V. (9) LEIBNIZ, Monadologia, IX, N. 45.

241

ss.

P. I - ESISTENZA DI DIO negazioni); dunque esiste. Leibniz dunque, dall'idea di Dio conclude alla sua sola possibililil (non repugnanza), da questa poi all'esistenza.

13. - 2) Soluzione. Noi diciamo che: del!'esistenza di Dio non è possibile una dimostrazione nè a priori. nè a simultaneo, ma soltanto a posteriori. Prova - I. Non si flUÌJ .. ~f'!'!Jsf~are a priori. Si ha dimostrazione a priori quando si parte da qualcosa che ontologicamente è prima, che è causa, per dimostrare qualcosa che è dopo, che è effetto (cosi sÌp~ova la -libertà dell'uomo dalla sua intelligenza). Ora per supposizione (N. 4) Dio è causa di tutto e non causato da.nUD.a. Non se ne può quindi dare una dimostrazione a priori. 2. La dimostrazione a simultaneo è invalida. Nell'argomentazione di S. Anselmo si ha infatti un passaggio arbitrario dall'ardine ideale a quello reale, che rende sofistico il ragionamento (Logica N. 146). Dal fatto che nell'idea di Dio è inclusa l'idea dell'esistenza non si può concludere alla sua esistenza reale, in quanto questa idea potrebbe essere un prodotto soggettivo. Se penso Dio come l'essere di cui non si può pensare il maggiore, certamente non posso pensarlo non esistente; ma non posso dire che esista nella realtà poichè non so se la mia idea di Dio corrisponda a qualcosa di reale, oppure sia finzione soggettiva. n ragionamento, rettificato, dovrebbe suonare cosi: Dio è pensato come l'essere di cui non si può pensare il maggiore; ora l'idea di un essere di cui non si può pensare il maggiore include l'idea dell'esistenza, dunque la mia iika di Dio include l'iika della sua esistenza. È evidente che simile ragionamento non ha portata antologica. L'argomento di Cartesio incorre nella stessa difficoltà: dall'analisi del con• c:etto di essere perfettissimo segue soltanto che l'idea di esistenza è insepambile dall'idea di essere perfettissimo, ma non che tale essere esista in realtà, poichè questa idea potrebbe essere una costruzione soggettiva. Circa la jorm4 dell'argomento in Leibniz si osservi: si deve ammettere la maggiore: se Dio è possibile esiste; ma la minore rimane arbitraria. Potrei dire che Dio (cioè l'essere infinito) è possibile nella realtà, per due ragioni: o perchè ne ho vista l'esigenza nelle cose o perchè, avendone penetrata adeguatamente l'essenza, non ho visto contraddizione tra i caratteri che la compongono e questo è quanto pensa poter affermare Leibruz. Ma la nostra idea di Dio non è affatto adeguata e perciò non può autorizzare nessuna affermazione in proposito. Leibniz non può dire: « Dio ~ possibile • ma soltanto: • nui non vediamo nel concetto di Dio nessuna impossibilità '·

Dunque l'argomentazione a simultaneo è invalida e non può dimostrare l'esistenza di Dio.

CAP. I- PREMESSE

15

NoTA. - Il giudizio ~Dio esiste é non ~ dU1UJue, per no!, un giudizio analitico, ma sintetico; non è per sè evidente al semplice approfondimento dei termini, ma va dimostrato. A chi penetrasse perfenamente l'essenza di Dio, la sua esisten7.a reale risulterebbe immediatamente, perchè Dio è l'esistenza (N. 99); ma a noi non è data tale conoscenza (r).

3· Nan rimane dunque che la dimostrazione a posteriori ~ioè la dimostrazione che, procedendo da ciò che in sè è dopo, è effetto (ma per noi è prima), raggiunge ciò che in sè è prima, è causa, e lo afferma come necessario per rendere ragione dell'effetto (Logica N. 136). A prima vista questa via sembra possibile perchè .Dio, se esiste, è appunto causa delle cose del mondo e perciò, cercando la ragione sufficiente di queste, si potrà raggiungere una soluzione. Questa possibilità tuttavia va accertata criticamente.

Articolo III

Possibilità della dimostrazione a posteriori. 14. - Perchè la dimostrazione a posteriori dell'esistenza di Dio possa portare ad una soluzione è necessario: a) che la nostra conoscenza abbia valore oggettivo: ciò è negato dall'idealismo; b) che noi possiamo conoscere la ragione d'essere delle cose, per decidere se le cose del mondo sono autosufficienti o no: ciò è negato da positivismo e sensismo; c) che sia valido il principio di causalità per cui, posta l'insufficienza del mondo, affermare l'esistenza di un altro essere, cioè Dio: ciò è negato dall'idealismo, dal sensismo e da varie teorie moderne. Di qui tre punti.

srl)ossa

0GGEITIVIT À Dl!llA NOSTRA CONOSCENZA

.Nai vogliamo ricercare l'esistenza di Dio come essere da noi stessi e dal mondo della nostra esperienza. Ciò è dichiarato impossibile dall'idealismo, per cui la nostra conoscenza 15. -

a)

J'~(ll~, _dis~to

(I) • Dico ergo quod haec proposìtio Deus err, quantum in se est, per se nora quia praedicatum est idem cum subiecto. Deus enim est suum esse... Sed quia nou scimus de Deo quid est, non est nobis per se nota, sed indìget demonstran· ea quae sunt magia nota quoad nos ... sc:ilicet per effectus '· S. ToMMASo, LiJ,.

est: nos per Cit.

16

P. I - ESISTENZA DI DIO

non può oltrepassare i nostri stati di coscienza (fenomeni) e raggiungere ((cose JJ distinte da noi (r). b) In critica si è preso in esame l'idealismo e si è dimostrato che: a) l'idealismo, mentre dovrebbe provarsi essendo contrario alla posizione naturale, non ha prove ma è assolutamente dogmatico; b) l'idealismo va incontro a difficoltà insuperabili e decisive, in quanto: deve affennare e negare il solipsismo, pone l'autocreazione dell'io, non può spiegare l'errore e lo sforzo della ricerca scientifica, conduce allo scetticismo. Perciò si è concluso (dimostrazione indiretta) che la nostra conoscenza è extrasoggettiva, non certo nel senso che tutte le nostre cognizioni siano tali ma nel senso che possiamo raggiungere cose distinte dal soggetto (Critica N. 65). Quando ciò avvenga lo deciderà l'evidenza (Ibidem N. 73). c) Ne segue qui che se una dimostrazione retta darà l'evidenza dell'esistenza di Dio come essere, essa potrà essere accettata e cosi la dimostrazione opposta; dunque si potrà concludere non soltanto che Dio è richiesto o non è richiesto come suprema 11 idea n, « fenomeno primo »; ma anche che lo è o non lo è come supremtJ essere.

EsiSTENZA DELL'INTELLIGENZA NELL'UOMO

16. - a) Per poter risolvere la questione dell'esistenza di Dio per dimostrazione a posteriori, è ancora necessario poter riconoscere se gli esseri finiti, oggetto di esperienza diretta, abbiano in sè la propria ragione sufficiente o invece non possano spiegàrsi da sè. ~er questo è necessario poter oltrepassare la semplice constatazione delle cose e conoscerne la ragionE d'essere, le cause. Tale possibilità è negata dai positivisti e dai sensisti in genere: l'uomo non ba che sensi e quindi non può che constatare singoli fatti materiali ed il loro succedersi costante (leggi); ma non conoscerne le cause (2). Ne consegue, nella questione dell'esistenza di Dio, l'agnosticismo più completo (non si può dare nè dimostrazione nè confutazione).

(r) Vedi Cn'rica N. 42· Per esso, Dio sarà al massimo la suprema idea, necessaria a giustificare tutte le altre (Ibidem N. 39.) (2) Sul positivismo vedi Cosmologia N. 2I3 e sul sensismo Psicologia N. 196 ss.

17

CAP. I - PREMESSE

l'i. ~ b) Noi diciamo invece che _l'uomo ha la facoltà necessari!! per conoscere le cause dei dati di esperienza, facoltà chè l'mtelligenza.

e

Prova. Non si può decidere a priori (r) se abbiamo o no una facoli!, l'unico metodo scientifico (Psicologia N.' 40) è quello di osservare le nostre conoscenze: se abbiamo una certa conoscenza (ad es. del colore) abbiamo certamente la facoltà corrispondente. Nel caso: se abbiamo conoscenze che diano la ragion d'essere, la causa, di dati constatati coi sensi, abbiamo la facoltà delle cause. Ora tali conoscenze le abbiamo e sono le idee. La caratteristica essenziale dell'idea (ad es.: di locomotiva, di biblioteca, di orologio), nei confronti della sensazione corrispondente, è quella di dare l'essenza .dell'oggetto e cioè la ragion d'essere delle parti cons-tatate-Cò!sen~[(f'si: co/ogia N. 155). Si osservi la p.ifferenza tra la sensazione di locomotiva, quale la può avere un animale, e la sua idea posseduta da un ingegnere: questa rende ragione, s{!iega il perchè delle smgole parti che il senso vede, della loro forma e movimento; la prima non fa che con-statare. -Q~-tÒ vale per qualsiasi 1dea: chi I:CpOsS!eaenonpercepisce-coT;~nso niente di più di chi non l'ha; ma conosce il perchè intimo, la ragion d'essere di ciò che vede (2). L'idea dunque è essenzialmente una ragion d'essere, un perchè. pungue abbiamo una facoltà capace di oltrepassare la pura constatazione e di trovare la ragione sufficiente delle ·cose, abbiamo la facoltà delle cause ed è l'intelligenza. COn essa si potrà giudicare dell'autosufficienza delle cose del mondo-o del contrario. Dunque la ricerca delle cause e, di causa in causa, di quella suprema cioè di Dio, non è una vana pretesa, un sogno; ma l'uso legittimo di una facoltà che abbiamo proprio per questo e che ci accorgiamo m usare Ogci momento, sia nella vita che nello studio (3). NoTA. - La difficoltà ha la sua origine principale nello scientim~o ad oltranza che è alla base del positivismo (Cosmologia, loc. cit.): si vuole imporre all'uomo intero quei limiti dimostrati necessari e fecondi nella ricerca scien· tifica. Ciò però è del tuno arbitrario.

r8

P. I - ESISTENZA DI DIO

VALORE 0&. PRINCIPIO DI CAUSALIT A

18. - Per poter raggiungere con sicurezza l'esistenza di Dio è ancora necessario che, posto che io riconosca che un essere 1UJ1l ha in sè la propria ragione sufficiente, possa affermare che l'ha fuori di sè. Questo è ciò che afferma il principio di causalità: dalla suà validità dipendono dunque tutte le dimostrazioni dell'esistenza di Dio. Di esso dobbiamo provare il valore generico, quasi in astratto, ed il valore antologico e trascendentale. 19. - A) Della validità generica del Pr. di causalità, si è vista la prova in Ontologia (N. 268 ss.). È una prova fo

20. - B) Più spesso che non il valore in genere del principio di causalità, viene impugnato il suo valure antologico e trascendentale. Valore antologico di un principio si oppone a valore fenomen.ico e significa: validità per un mondo di cose (esseri) e non soltanto per un mondo di rappresentazion.i soggettive; si contende appunto che il principio di causalità sia una legge dell'essere e non soltanto del nostro pensiero (Kant, Idealismo assoluto) (I). ~ trmcendentqle significa valore per tutta la real!~~~ q__~~iasi grado, compreso l'infinito se _esiste (2): il principio di causalità, come conoscenza tratta dal finito, non permetterebbe di passare all'infinito e di affermare qualcosa di esso, nemmeno, precisamente, che esista come causa del finito.

Noi diciamo che il pn'ncipio di causalità ha valore ontologt'co e trascendentale. Prova: a) Che in genere k nostre conoscenze possano avere valore antologico si è provato sopra; l'avranno di fatto quando il loro contenuto si presenterà con evidenza come proprietà delle cose. Ora l'esigenza di ~a causa st presenta

come proprietà oggettz'va dell'esser(!__ contingente:

pnma del singolo contingente, poi dell'essenza astratta di contingente. Dunque ha--valore- extrasoggetiìvo-, -òntolèiglc:o. In alrre parole: una conoscenza è soggettiva od antologica, secondo quale evidenza (3) presenta a me.__ Ora il principio di çausalità lo vedo come legge ddle ~se e non come legge soltanto del pensiero. Dunque ha valore antologico.

b) Possediamo molte nozioni che, pur essendo tratte da cose finite, valgono (analogicamente) per qualsiasi realtà, anche non finita, e sono tutte quelle nel cui concetto non entra imperfezione; i principi che con esse si compongono hanno la stessa ponata e valgono anch'essi per tutto l'essere. Tale è pure il concetto di causa: ciò che dà l'essere; lo sarà quindi anche il principio di causalità. (r) Cfr. Critica N. 45· (2) Cfr. OntologJ-a, Proprietà trascendentali dell'eJJere, N. 97 &S. (3) Evidenza definitiva~ debitamente co.quollata; vedi Cnll"',

P. l - ESISTENZA DI DIO

20

Il principio di causalità (I) perciò da un lato tocca il finito (contingens) ma dall'altro (causa) si apre su tutto l'essere; parte dal finito ma può portare a tutto ciò ~~ _IJ.1:1Ò attribuirsi il concetto di caus::__lfa q~di valore trascendentale (2). · · ··- -·- -~ Ne segue che se tale principio, applicato al mondo, ci proietterà fuori di esso, nell'Infinito, non supererà la sua portata e la conclusione avrà pieno valore. CONCLUSIONI! GENERAI.l!

21. - Le varie sentenze circa l'impostazione della ricerca della esistenza di Dio si possono riassumere nel seguente specchietto: È conosciuta per autorità: Tradizionalisti o fideisti. . dir ~ con l'intelletto (Platonici, Ontologi). . . ettamente È percep1ta col senumento (Pascal, Re1d, Kant...).

Può esserlo a simultaneo (A.nselmo, Cartesio, Leibniz).

l l

Va dimostrata .

Può esseri~ s?lo a postenon

Tale dimostrazione è impossibile (Agnosticismo idealista e sensista). Tale dimostrazione è possibile.

Da questo risulta chiaramente la nostra posizione. Noi non sosterremo l'esistenza di Dio per una rivelazione, nè per un'intuizione intellettuale di Dio stesso, nè perchè ciò corrisponde ad un bisogno del cuore o è attestato da un sentimento o esperienza interiore più o meno vaga; neppure partiamo, per dimostrarla, da un nostro concetto di Dio, che potrebbe essere soggettivo. Ci proponiamo di dimostrarla a posteriori, partendo dai fatti di esperienza e cercandone la ragione (r) Che non è • omne contingens habet causam contingentem • (formula Kantiana) ma ... habet causam. (2) Per questo confronta GARRIGOU-LAGRANGB, Op. Cir., pag, 191 ss. La dimostrnzione di cui sopra, sia per il valore ontologioo che trascendentale, può facilmente estendersi a t\ltti i primi principi.

CAP. I - PREMESSE

21

sufficiente, la quale, se non si troverà altrove, dovrà porsi in Dio. Dio quindi si affermerà soltanto se i fatti costringeranno ad ammetterlo; soltanto se vi sono fatti che non hamw altra spiegazione. Questa dimostrazione è quella comune, dagli effetti alla causa, di uso continuo nel pensiero e nella vita (dalla macchina all'ingegnere, dal libro all'autore, dal furto al ladro ... ). E' solidissima perchè, attraverso il pr. di causalità e quello eli ragione sufficiente, la conclusione verrà a fare un blocco solo col pr. di contraddizione. Essa avd gwndi la massima sicurezza possibile (Logica N. 135) e darà una certezza metafisica (Logica N. 72). ' Ha però anche dei limiti, in quanto è cc demonstratio quia " e non cc propter quid >> (Logica N. 136): essa dice, eventualmente, che Dio esiste, non perchè Dio esiste e le ragioni che in essa si porteranno non sono il pere~~ della cosa (ratio essendi) ma soltanto il E~rchè noi dobbiamo ammcnere la-'O..a.. (ratio affirmandi). Di più non è possibile all'uomo,

22

P. l • ESISTENZA DI DIO

CAPITOLO

Il

DWOSTRAZIONE DELL'ESISTENZA DI DIO

Articolo I

Osservazioni generali. lL

TI!RMIN1! DELLE PROVE

22. - Intencliamo dunque dimostrare l'esistenza di Dio e non in un senso vago, ma nel senso preciso definito sopra di cc Essere trascendente, ragione suprema del mondo ed in se stesso assoluto>>. Ciò va tenuto ben presente, sia nell'iniziare la dimostrazione, sia nel corso delle prove perchè sarà il criterio di valutazione delle prove stesse: a) Gli argomenti che stiamo per portare avranno dimostrato l'esistenza di Dio, se avranno provato che gli esseri ed i fatti di esperienza (mondo), tutti od anche uno solo di essi, esigono l'esistenza di un essere distinto da ogni cosa di esperienza e tale da non dover più essere a sua volta giustificato da altri, cioè assoluto, esistente per essenza. b) Proveranno Dio se avranno dimostrato ciò, ma anche soltanto se avranno dimostrato ciò e quindi si dovranno giudicare insufficienti tutti quegli argomenti che, pur provando l'esistenza di un essere esterno al mondo, magari anche spirituale e perfetto fin che si vuole, non raggiungono, direttamente o in qualche attributo equivalente, l'esistente per essenza. (Vedi N. 68 ss.). SCHEMA GENERALE DELLE PROVE

23. - Lo schema di tutte le prove è già fissato (N. 13) nell'ambito della dimostrazione a posteriori e quindi sulle due basi dei fatti di esperienza e del principio di causalità (o di ragione sufficiente). Può riassumersi nei seguenti punti:

CAP. II • DIMOSTRAZIONE DELL'ESISTENZA DI DIO

23

I) Qlnstatazione di un fatto. Un fatto di esperienza, innegabile, materiale o no, ovvio a tutti: ad es. la mutazione, la finitezza delle cose, l'ordine ecc... 2) Dimostrazione che questo fatto non rende ragione di sè e __!!9n troya ragione sufficjepre nelle cose del mondo, 3) _s:on_cll,!~ne all'esistenza di un essere_çh.e.-1'~EJ.gi~~l fatto stesso, anche se non oggetto di esperienza. ---~--4) Precisazione delle doti che tale essere deve avere per rendere ragione sufficiente ed ultima del fatto in questione. 5) _Conclusione all'esistenza di Dio, esistente per essenza.

e

NUMERO DELLE PROVE

24. - Entro il paradigrna della dimostrazione a posteriori esposto sopra, si possono dare tante specie di dimostrazione quanti sono i caratteri sperimentali per cui il mondo si rivela insufficiente a se stesso, i cc segni di contingenza>> che il mondo presenta. S. Tonunaso ne enumera cinque, pur non escludendo che altri ne possano esistere e neppure che qualcuno di questi possa rientrare in qualche altro. Noi, seguendo genericamente la sua traccia, ne considereremo otto (1): la mutazione, la dipendenza nell'essere, la corruttibilità e finitezza, i gradi delle perfezioni semplici, l'ordine complesso e costante, le verità eterne, la natura della volontà, la legge morale. Giustamente questi processi dimostrativi generici sono detti cc vie >> e non cc prove ))' in quanto sono piuttosto l'indicazione dell'ordine di fatti da cui si potranno ricavare le singole prove, e dell'itinerario comune attraverso cui tutte quelle di un gruppo giungono a Dio. Così la cc via JJ: dalla mutazione, indica un gruppo di fatti che postulano Dio e i passaggi logici attraverso cui essi lo dimostrano. (r) Senza fare per lo più la ctiscussione, che riteniamo unicamente tecnica, se possano o no ridursi a qualcuno dci cinque classici,

P. 1 - ESISTENZA DI DIO

Le singole prove poi possono essere innwnerevoli, potendo ognuno dei casi in cui si verifica il fatto generico, ad es. della mutazione, offrirne una nuova (1). NoTA. - La dimostrazione generale come esposta nelle • vie •, prova in quanto include con riferimento generico tutti i casi particolari di quel fatto. Secondo la mentalità può essere preferibile questa forma, più potente ma astratta, oppure la singola prova concreta.

Rimane da esplorare queste 11 vie >> che da ogni parte dell'universo, dagli astri come dall'intimo dell'uomo, promettono di condurre la ragione fino alla presenza di Dio.

Articolo II

Dalla mutazione.

25. -- Vi è nel mondo un fatto comunissimo e di evidenza immediat.~:

/r; mutazione. Per rendere pienamente ragione di questo fatto diciawo che è necessario ammettere l'esistenza di Dio. DIMOSTRAZIONE

26. - A) Esposizione schematica. In forma schematica la prova può sintetizzarsi nel modo seguente. Vi sono nel mondo esseri che mutano. Ora ciò che muta riceve da un altro e, poicbè procedere all'infinito non giova a nulla, infine da un essere che dà senza mutare. Esiste dunque un essere che causa la mutazione (movet) senza mutare. Questo essere poi deve essere esistente per essenza. Dunque esiste Dio. 2?. - B) Esplicitazione della prova. I) Vi sono essen· che mutano. È questo un fatto di assoluta evidenza: da un corpo che cambia posto all'acqua che si scalda, al crescere di una pianta con tutti i fenomeni propri della vita, al sorgere in noi di un pensiero o di un atto di volontà. Di continuo sperimentiamo fuori e dentro di noi delle mutazioni. (1) L'unica dimostrazione, di rui al N, r~, si espande quindi e si detenn'na, prima in al~ vie generiche e po1 m in11wnerevoli prcroe concrete. È dunque >11;çhissima uella sua unicità,

CAP. II -DIMOSTRAZIONE DELL'ESISTENZA DI DIO

25

Queste mutazioni poi implicano il sorgere nell'essere che muta di qualcosa che prima non aveva, un passaggio dalla potenza all'atto, l'acquisto di qualcosa di nuovo. Sorge il nuovo nel corpo che si sposta (Cosmologia N. 42), nell'acqua che si scalda come nell'uomo che si adira, pensa, vuole. 2) ((Ciò che muta riceve da un'altro ... n. È il principio stesso di causalità nella sua formula: 11 quod movetur ab alia movetur >>. Esso si appoggia direttamente sul pr. di contraddizione (N. 19) ed è del resto immediatamente evidente se si pensa che mutare significa acquistare ciò che ancora non si ha (1). 11 ... ed infine da un essere che muove senza mutare ». Infatti se l'essere che immediatamente causa la mutazione, per muovere, deve mutare, dovrà a sua volta ricevere da un altro e non potrà esercitare il suo influsso senza ricevere contemporaneamente l'influsso dell'altro. Ora in questa serie di moventi attualmente dipendenti è necessario arrivare ad un primo non più dipendente, altrimenti la mutazione non si effettuerà mai. Si pensi ad una serie di rootismi da ingranaggio (ruote di orologio) di cui ognuna per muovere la seguente deve attualmente esser mossa dalla precedente: se non esiste un primo movente (la molla), che muova senza più bisogno di essere spinta, nessuna ruota si muoverà mai. Si immagini una serie di carri ferroviari di cui ognuno trascina il seguente se è a sua volta tratto dal precedente: se non esiste un primo (la locomotiva) che non esiga più una trazione, nessuno di essi potrà mai muoversi. Cosi in una serie di specchi (2) di cui ognuno illumina il seguente sollamo se riceve luce dal precedente: nessuno sarà illuminato, se non c'è una sorgente che illwnini di luce propria (3). Del resto il principio è evidente ed è pure evidente che non importa nulla la lunghezza della serie dei moventi a loro volta mossi. Allungando la serie non si fabbrica un primo. Si tenga però ben presente che qui si parla di moventi auualmente dipen• denti uno dall'altro: è in quest'ordine che noi diciamo che ci vuole un primo. Non parliamo invece di una serie di agenti che abbiano bensi dovuto esser .fatti da un altro, ma che non ne dipendano più nell'agire attuale (padre e figlio): in quest'ordine non si esige affatto un primo (S. ToMMASo, S. Th. I, q. 46, a. 2).

(r) L'esperienza conferma largamente il principio: nulla mai sì dà da sè ciò che ha. Formule equivalenti sono: • il più non viene d.a.l IUeno '• •l'essere non viene dal nulla '· (z) O di astri. (3) • Tizio ha bisogno di dieci lire e le clùede a Caio; Caio non le ha, ma le va a clùcdere a Sempronio; Sempronio non le ha, ma le va a chiedere ad un quarto e cosl \'ia. Ora si arriverà finalmeme ad uno che possiede le dieci lire oppure ___ Tizio non avrà mai le dieci lire, sarà sempre senza o, SoFIA VANNI-ROVIGHI, Meuifisica, Como 1!145• pag. 170. ancora non

P. I - ESISTENZA DI DIO

3) Dunque esiste un essere che muove senza mutare, anche se non cade sotto la nostra esperienza: nel mondo vi sorw esseri che mutano e la mutazione per essere spiegata esige un movente che non muti, dunque questo movente che non muta esiste (r). 4) Questo essere è esistente per essenza. Un essere infatti che nell'operare non deve affatto mutare, non deve neppure passare dal non agire all'agire, ad es. dal non volere al volere (che sarebbe una mutazione). È dunque un essere che non riceve l'azione attuale, che l'ha sempre, da sè, per essenza sua; ma, poichè l'agire presuppone l'essere, un tale essere ha l'esistenza per essenza. 5) Dunque esiste Dio. Possiamo dunque concludere che, veramente: o si ammette che le mutazioni che avvengono di continuo sono senza ragione sufficiente o si deve ammettere l'esistenza di Dio (2).

t

Rimane da provare l'ultima minore. Prova; se la mutazione opn ha_ lu sua ragione rufficiente nè nell'essere in cui avviene nè in nrnun e . sse se ra one s dente se non er s enza. Ora la mutaZione non a a sua rag~one sufficiente nè nell'essere in cui avviene nè in alcun essere che non esista per essenza. Dunque..... PrO'!JO la nuova mìnnre (quoad prirnam parrem). Chi in un certo ordine dì realtà non è, non può in quello stesso ordine causare l'essere; si avrebbe l'essere che viene dal nulla. Ora chi muta, nell'ordine di ciò che acquista colla · Dunque chi muta non pu essere rag~one s CJente e essere che acquista con la mutazione e quindi della mutazione stessa. Provo la stessa minnre (qPJOad secundam partern). Non può dar ragione :rufficiente ed ulrima del moto se non un essere che possa muovere senza dover esso stesso mutare; infatti se mutasse esigerebbe un altro prima dì sè. Ma un essere che possa muovere senza dover esso stesso mutare è un essere esistente per essenza. Dunque non può dar ragione sufficiente del moto se non un esistente per essenza. PrO'Vo l'ultima minore. Un essere che muovendo non muta è un essere che non passa dal non agire all'agire, non riceve l'azione ma la possiede per essenza. Ora un essere che ha l'azione per essenza ha pure l'esistenza per essenza; infatti l'agire pre-

CAP. II -DIMOSTRAZIONE DELL'ESISTENZA DI DIO

27

28. - NoTA. - 1) Senso esatto della prO'Va. Si noti che la prova conclude a Dio, necessario attualmente per spie~are con un suo implliso atni3.Ie il singolo moto che avviene sono i miei occhi; non risale nel l passato per spiegare l'iniziarsi primo di tutti i movimenti. Occorre adesso un essere che a ·sca senza mutare er s iegare questa mutazione, non un primo agente che all'inizio del mondo abbia dato vta e mutazioni. Quindi qui non interessa nulla se il mondo sia o non sia eterno, se abbia incominciato o sia sempre esistito (1): è il movimento presente che esige l'esistenza di Dio.

3) Le possibilità di questa 11 flia "· Direttamente questa prima via, presa nella sua generalità, non dimostra Dio che come esistente per essenza e ciò è certo sufficiente al nostro scopo (3). Tuttavia le singole prove che si possono costruire secondo essa, possono dimostrare assai di più e cioè quasi tutto ciò che noi conosciamo di Dio. Infatti,

P. I - ESISTENZA DI DIO

poichè il più non può venire dal meno, Dio motore primo della vita deve possedere la vita, motore delle intelligenze deve essere intelligente, fonte della bontà deve essere buono e cosi via, direttamente o indirettamente, per tutte le perfezioni semplici. SoLUZIONE DELLE DIFFICOLT A

Le difficoltà riguardano sia il prine1p10: ' quod movetux ab alio movetur », sia le altre pani della dimostrazione. 29. - I) Dal pn'ncipio di inerzia. Il principio di inerzia afferma che nessun corpo in riposo si mette in moto e nessun corpo in moto si ferma, senza l'intervento di un agente estraneo. Un proietto dunque, anche quando è staccato dall'agente e- non riceve più il suo influsso, continuerà a muoversi, anche indefinitamente. Dunque non è vero che -.flobbiamo dire che non è il singolo uomo esistente perchè esso .tfontingente e non può parlare che per il tempo in cui è: se la sua essenza è eterna, e quindi base di eterne verità, non è per lui che è limitato ad J.1D certo tempo e può non essere, ma è per qualcosa di eternn, distinto da lui. Dunque la ragione mf/ìciente dell'eternità delle essenze e quindi ~verità che ne ricaviamo, non è nelle cose contingenti. c) Rimane dunque un'unica spiegazione: le essenze sono necessarie ed eterne e quindi base di verità necessarie ed eterne perchè sono realizzazioni passeggere di qualcosa di eterno e necessario, che regge eternamente a modo di causa esemplare (modello) tutto ciò che viene ·o può venire all'esistenza. Dunque veramente l'eternità e necessità dei nostri giudizi è senza ragione sufficiente se non esiste un essere eterno e necessario di necessità positiva, cioè esistente per essenza. 3) Dungue esiste Dio.

,_

54. - NorA: 1) Si gino~ dunque a Dio come fondamento delle v;rità eterne, con dw i(issaggi: a) l'eternità della verità logica riçbiede un fondamento oggettivo e questo è l'eternità delle essenze; b) l'eternità

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P. I - ESISTENZA DI DIO

delle essenze esige a sua volta un fondamento fuori dell'essere contine temporaneo. Dunque esiste l'Eterno (I). 2) La dimostrazione coincide con quella platonica circa l'Iperuranio. Noi però proseguendo ,Q.iciamo che questo Eterno e necessario non può ~e costituito da 71Wlti esseri (le Idee platoniche) distinti fra loro: infatti questi sarebbero insieme esistenti per essenza e finiti, ~ impossibile (Vedi: quarta via). Deve quindi consistere in un um'co essere infinito. --3-) Il 71Wdo col quale questo Essere eterno è fondamento dell'eternità e necessità delle essenze e dei giudizi si è spiegato in Ontologia (N. 87) e si vedrà più oltre (N. 207). 4) .Si noti infme che questo are,omento ne include altri d11e: da!k. d_Qti delle essenze e dal fondamento dei possibili. Essi si iniziano corl una sfumatura diversa, tna in realtà coincidono con guesto. Non li CS[lQ:nianiO a pane; si veda Ontologia N. 81 ss. ~te

DIFFICOLTÀ

(r) Non vi è dunque in questa dottrina nessuna traccia di Ontologismo o visione in Dio. Le idee sono tratte dalle cose e si giustifiCBno pienamente con esse, non si giustificano però uln'mamente con esse sole e perciò occorre ammettere Dio, fonte di verità alle cose e, atrraverso ad esse, alle idee. (z) S. VANNr-RoVIGIU, Eltrmenti di Filosofia, vol. Il pag. lS6 ss., Como 1945·

CAP. II - DIMOSTRAZIONE DELL'ESISTENZA DI DIO

53

~ndente dal tempo. Componendo le essenze, forma poi i giudizi oggettivamente necessan ed eterni. Dunque queste sono doti dell' oggezzo conosciuto (1) ed autorizzano l'argomentazione.

Articolo VIII Dalla natura della volontà. 56. - Questa prova è molte volte esposta in modo insufficiente poicbè viene appoggiata sul sentimento e sull'intuizione. Si pane cioè if:l bisogno di felidtà, insito nel cuore umano, e dall'insufficienza sia di QQi stessi come delle cose finite a saziare questo bisogno e senz'altro si conclude all'esistenza di Dio. La prova viene a riassumersi nell'affermazione: ((Dio c'è perchè noi abbiamo bisogno di Lui, perchè senza di Loi la vita sarebbe un perpema disinganQQ >>. In questa forma, l'argomento è molto caro all'antintellettualismo, da Kant in poi; n'la oggettivamente è del tutto insufficiente (2); può al massimo valere come confenna. Per noi questa prova è una dimostrazione a posteriori come tutte le altre, ottenuta per dialettica intellettuale, in cui il unto di partenza è ~

natura (#l a volontà come potenza appetitiva fatta per l'infinito.,

DIMOSTRAZIONE

5?. -

A) Esposizione schematica. La volontà umana tende

E9' natura sua all'infinito come a suo fine, è fatta per l'infinito. Ora se esiste un essere fatto Qer una cosa, questa non può non esistere. Dunque l'infinito cioè Di.Q.

~siste

58. - B) Esplicitazione della prova. r) La volontà tende per natura sua all'infinito come a suo fine, è fatta per l'infinito.

54

P. I - ESISTENZA DI DIO

Pr()Va. - a) ~A~---~-.....,..-,,.,.,...--...,..---,......_;. r--c-,...--,c:-~­ tendenza verso il bene conos u 'tà di amare ciò che l'intelletto conosce. Ora l'intelletto ha per oggetto formale adéÌuato l'essere e può quindi conoscere tutto ciò che è essere. La voloiìià quindì deve essere tale da poter amare ogni cosa senza eccezione, Percbè ciò le sia possibile ..Q!:ve essere modellata sull'infinito (se infatti fosse, per cosi dire, calcolata su di un essere finito, sarebbe incapace di raggiungere ciò che è fuori di quell'essere e che pure l'intelletto può conoscere). Dunque la volontà è calcolata sull'Infinito (r) e cioè, essendo @a tendenza, è fatta per l'infinito, ha !'jnfioìto come cama finale (Psica-

logia, N. 263). b) A posteriori: dalla libertà e da '· 'lità dell'uomo. Libertà: l'uomo può sempre m condizioni normali) volere o non voler~ qualsiasi bene finito. Questa possibilità ha una radice remota nel .Potere dell'intelletto di >; positivo: «stato intelletruale di coloro che, dopo essersi posto il problema, negano positivamente l'esistenza di Dio"· Si è già notato però (N. 7) che la chiarezza di questo concetto non è che apparente, perchè la sua estensione varia col senso che si dà alla parola Dio (1). Astrattamente dovrebbe dirsi ateo chiunque neghi, non soltanto l'esistenza di un essere esistente per essenza, ma qualsiasi degli attributi dalla cui esclusione deriva logicamente la negazione di tale esistenza; ad es. la distinzione fisica dal mondo, l'infinità, l'immutabilità, la personalità, la causalità sul mondo ecc... Con ciò però si verrebbero a dire «atei" sistemi che ripugnarono fortemente all'ateismo (quali il panteismo di Platino, Platone e forse lo stesso Aristotele) e che veramente non sono atei, poichè un errore circa la natura di Dio non implica che ne sia ammessa la conseguenza negatrice che logicamente ne deriverebbe. Rinunziando perciò a precisare un termine per sè indeterminato, consideriamo l'unica forma veramente sicura ed interessante di ateismo teoretico: l'ateismo in senso volgare che può definirsi: >. È come un'essenza ulteriore nell'essenza stessa. Cosi nell'uomo, quantunque l'essenza comprenda anche molte altre doti, l'animalità e la razionalità costituiscono la radice prima di tutte le altre (2). Questa dote o complesso di doti viene chiamata essenza metafisica, o più esattamente (3), essenza logica. Essenza perchè è la ragione di essere intrinseca suprema di tutto ciò che è in quell'essere; metafisica, o, meglio logica, perchè viene distinta nel solo ragionamento metafisica, benchè con fondamento nella cosa. Si cerc_a se in Dio esista una simile essenza e quale essa sia. b) Questa ricerca ha uno scopo prevalentemente sistematico, nel senso che in sè non rivela nulla di nuovo in Dio; è tuttavia assai importante. Permette infatti di stabilire come il nucleo profondo da cui derivano tutte le doti dell'essere divino e quindi la sua caratteri· stica fondamentale, quasi il Nome-proprio di Dio (4). Permette inoltre di raggiungere circa gli altri attributi una scienza l(I). Alcuni di essi sono caratteristici di Dio ed appartengono a Lui solo, anche quanto allafonnalità; altri (intelligenza, volontà ... ) soltanto quanto al modo; tutti, intesi integralmente, sono doti esclusive (proprietà) di Dio. In questo capitolo studiamo quelli che, quasi costituendo staticamente l'essere divino~ possono esser detti piuttosto attributi entitativz.

Articolo l

Infinità. LA QUESTIONE

lO'i - Infinito, etimologicamente significa: senza confini, senza limiti. Si può intendere nel senso di a) Infinito in estensione, come quando si parla (erroneamente) di spazio infinito, oppure infinito in perfezione cioè cc senza limiti nell'ordine qualitativo ''· b) Infinito in potenza (indefinito): realtà cui si può sempre aggiungere non avendo confini fissi; cosi si dice infinita la serie dci numeri, il tempo; oppure infinito in atto: H essere che possiede attualmente una realtà senza limiti ». Ora per infinito intendiamo « infinito in perfezione ed in atto >J, cioè: cc un essere che possiede attualmente una realtà senza limiti 11ell'ar(I) In questo senso l'esistenza sussistente non è un attributo.

CAP. III • ATTRIBUTI ENTITATIVI

93

11. Questo concetto si può chiarire attraverso quello di (( irraggiungibilità )): la perfezione dell'infinito è tale che non potrà mai essere raggiunta sommando grandezze finite; oppure mediante quello di l< inesauribilità )): la sua ricchezza è tale che non si potrebbe mai esaurire sottraendone. Noi quindi cerchiamo, non se Dio possieda tutta la perfezione che è nelle creature e neppure soltanto se sia un essere inimmaginabilmente superiore ad ogni altro (I), ma se sia di perfezione tale che non possa mai essere uguagliato sommando perfezioni limitate e mai essere esaurito, ad es. conoscendolo parte per parte, in nessun periodo di tempo. L'infinità cosi intesa vien talvolta negata per due ragioni. Alcuni vi vedono inclusa un'indeterminazione e ritengono che Dio, cosi concepito, non possa più dirsi un essere personale (e quindi distinto da ogni altro) o anche non possa neppure esistere, perchè ogni cosa deve essere una certa ben determinata cosa. Per i pragmatisti poi è più incoraggiante per l'uomo che Dio sia finito, perchè così gli rimane qualcosa da fare nel mondo (2), perciò (Vedi Cn'tica N. 78) Dio è finito. La maggior parte dei filosofi teisti ammette l'infinità di Dio.

dine qualitath•o

SoLUZIONE

108 -

Aderendo a quest'ultima sentenza poniamo la

TESI. Dio è infinito. Prova: I) Dalla sua natura di esistenza sussistente. Un atto non causato e non ricevuto in una potenza è illimitato nel proprio ordine (Ontologia N. 54 ss.). Ora Dio è l'esistenza sussistente, cioè non causata e non ricevuta in alcuna potenza. D'altra parte l'esistenza è una perfezione non limitata entro un ordine particolare (infatti qualsiasi perfezione particolare non è che un modo limitato di esistere) (Ontologia N. 69). Dunque Dio è illimitato in ogni ordine, cioè infinito. In altre parole: una perfezione è limitata o dall'agente che la causa o dalla potenza in cui è ricevuta o dal suo proprio concetto (che la chiude entro il suo ordine). Dio che è l'esistenza sussistente non ha tali fonti di limitazione. Dunque è infinito (3). (r) Tanto meno se sia infinitamente esteso. (2) Cfr. W. JAMES in THONNAl!D, Précis d'histoire de la philosophie, Paris 1937, N. 528. (3) Per questa prova cfr. S. TOM.\iASO, De Por., q. r, a. z..

94

P. II - NATURA DI DIO

Questa dimostrazione è a priori e dà la vera « ratio essendi •> dell'infinità di Dio: è infinito perchè è l'esistenza. Le due seguenti sono a posteriori e non elicono se non che Dio è infinito e perchè lo dobbiamo ammettere tale (ratio affirmandi).

2) Dalla quarta via: l'imperfetto suppone il perfetto ed il finito l'infinito, prima nel singolo ordine e poi in ogni ordine, perchà solo in esso può trovare una ragione sufficiente. Dunque l'essere che rende ragione del finito, cioè Dio, è infinito. 3) Dalla natura della volontà umana. La volontà rimarrebbe sempre senza ragione sufficiente non solo se Dio non fosse (N. 61), ma anche se non fosse infinito, essa infatti è cc fatta per n l'infinito. Poichè la volontà esiste, Dio è infinito. 109. - DIFFICOLTÀ: I) Le prove dimostrano che Dio ha tutto ciò che rientra nel concetto eli essere, che è anche solo possibile; ma non che Dio è infinito. Infatti non è provato che l'essere non sia finito; che, ad es. nell'ordine della verità, si possa procedere per molto tempo ma poi non si finisca di ritornare su noi stessi e muoversi in un cerchio chiuso. Ora se l'essere è finito, anche la Esistenza è finita. Dio ha tutto, ma non è provato che sia infim'to. R. L'obiezione pone bene in rilievo che l'infinità di Dio è provata solo se è provata quella dell'essere, inteso come ma anche cc irreceptivus >>): Dio ha già tutto. È quindi assurdo un Dio in sviluppo, in divenire, come lo concepisce ad es. l'Idealismo assoluto. Dio non sta divenendo, non si fa; ma è (già tutto fatto), fonte immobile di ogni divenire. 3) Dunque Dio basta perfettamente a se stesro, non ha bisogno di nessuno e nessun altro essere Gli può portare il minimo vantaggio. 4) Dunque Dio è Bontà antologica infinita, e possiede in grado (I) Cfr. S. ToMMASo, S. Th. l, q. I3, a. I I e In I Sent., Joco cit. al N. 9S· (2) L'infinità influisce dunque su tutti gli attributi, proporzionandoli a sè.

P. II - NATURA DI DIO

sommo la tendenza a darsi e l'attrattività, proprie della bontà (Ontologia N. 125 ss.). 5) Dunque in Dio è possibile, anzi necessario, il Mistero: un Dio perfettamente accessibile a noi non sarebbe il vero Dio. Come si è visto anzi, tutte le perfezioni divine sono avvolte di mistero propn'o perchè realizzate in un modo proporzionato all'infinito. 6) Dunque Dio possiede quanto di perfetto si trova nelle creature. Di ciò si ba qui una ragione nuova, indipendente anche dal fatto che Dio è causa di esse: nell'infinito non può mancare nulla. Naturalmente le potrà avere solo in modo degno dell'essere perfettissimo e quindi le perfezioni miste le possederà soltanto >; le perfezioni semplici le potrà possedere cc formaliter >> ma sempre cc eminenter >>. 7) Dunque tra Dio e qualsiasi creatura la distanza è sempre infinita e queste sono, al Suo sguardo e se considerate in confronto a Lui, praticamente tutte eguali. Alla meditazione non mancheranno di rivelarsi conseguenze pratiche della infinitZ di Dio, di somma importanza, quali: il rispetto che è dovuto a Dio e che assume il carattere di adorazione, la grandezza dell'ideale assegnato al cristiano con le parole di Cristo: , e ciò distingue l'eternità divina da quella partecipata ed imperfetta dei beati; o tota simul •>: possesso simultaneo, esclude la successione ed esprime la v"ra caratteristica dell'eternità. (3) "Nunc stans, non fluens •• S. ToMI\I.ASO, S. Th. I, q. ro. (4) È quindi soltanto in senso improprio che si usa questo termine nella questione dell'origine del mondo (Cosmologia N. 242 ss.),

120

P. II - NATURA DI DIO

che in qualche modo permane, non si ha mai che una goccia per volta (I). L'eternità invece è possesso senza fine e simultaneo di tutto ciò che si è; si pensi, ad es., che cosa sarebbe per noi possedere costantemente rutta la nostra cultura, per quanto limitata, averla sempre presente senza dover vagare senza posa da un'idea all'altra ... Tale è, in una ricchezza infinita, il modo di essere di Dio. È pure totalmente diversa, tanto che per noi è impossibile averne un'idea propria (2). 4) Se1JSo esatto di «vita eterna~. Proprio a questo modo di durare, secondo la Rivelazione, è offena all'uomo una partecipazione ed è questo il senso esatto di vita eterna: partecipazione formale all'eternità di Dio, proveniente dalla Grazia che è partecipazione alla Sua natura. La Visione è veramente possesso interminabile e cc simultaneo >> di tutta la vita meritata nel tempo (3): un pensiero solo, ricchissimo, occupa i beati, senza fi.:1e e senza vicissitudini (4).

DIO E II. TEMPO

138. Gli esseri finiti, per la loro mutabilità, hanno un prima ed un poi successivi, cioè hanno un tempo. L'insieme dei tempi successivi dei vari esseri reali forma tutto il tempo reale, cui potranno sempre aggiungersi altri tempi per ora soltanto possibili. Come già con lo Spazio, Dio è in relazione anche col tempo ed il tempo con Dio. 1) Dio non è nel tempo ma coesiste a qualsiasi tempo, senza alcun limite Essendo inunutabile, Dio non è nel tempo, come si è spiegato; questo cioè non lo riguarda, non scorre per Lui ma incomincia, scorre, finisce per noi, fuori di Dio. Poichè però esiste senza inizio nè fine, Dio coesiste ad ogni tempo reale e può coesistere a qualsiasi tempo possibile man mano che esso si realizza; mentre il tempo passa, Dio è.

(1) Sulh miseria della nostra vita dispersa nel tempo, vedi ottime pagine in GRAtRY, L:1 sete e la Jorgmte (Torino 1945): Notte di stelle, pag. 91 ss. Vedi pure GARR!GOULa pro-vvidmza e la confid,mza in Dio, pag. 96 ss. (2) È tuttavia uno degli attributi che, pur imp, oppure ''Dio crea (oggi) l'anima dì Aristotele», perchè queste espressioni per un lato toccano il tempo. Si deve però tener presente il loro vero significato per non farsene fonte dì errore (1).

Articolo VII

Distinzione di Dio dal mondo. IL l'ROBLE/11A

141. - Nel complesso dei rapporti tra il mondo e Dio, una prima questione è quella della loro distinzione o identificazione. È necessario premenerla agli studi sugli attributi operativi e si può risolvere dopo quanto si è accertato circa la natura di Dio. Si cerca, esanamente, se Dio ed il mondo sono distinti di distinzione reale fisica, oppure in qualche modo si identificano, cosicchè il secondo non sia che una parte, un'esplicazione, un momento del primo. La questione ha grande importanza, e non soltanto speculativa, perchè se Dio non è distinto dall'uomo e tuni gli ani umani (come le pietre, le piante, gli animali) non sono che parti od atteggiamenti dell'essere necessario, cade ogni libertà (e con essa ogni forma di dovere (2) e respo.nsabilità, premio o castigo, cioè ogni morale), non ha senso una religione, è da escludersi l'immortalità personale ed anzi la persona umana perde ogni valore (3). Storicamente si hanno le due soluzioni opposte: distinzione o cc trascendenza >> di Dio rispeno al mondo, identificazione o ((immanenza n di Dio al mondo. La corrente che sostiene la seconda soluzione è detta complessivamente Panteismo (4). (1) Si tratta di un linguaggio quasi simbolico, analogo a quello visto {n Cosmologia ad es. circa la fisica atomica (N. 184). (2) Spinoza, come già lo stoicismo, parla di dominio delle passioni; ma ciò non ha senso se anche esse derivano da Dio per necessità geometrica, come i tre angoli dalla essenza di triangolo (N. 144). (3) Nel panteismo l'uomo potrà adorarsi, ma in realtà è ridotto ad un atteggiamento effimero ed insignificante dell'unico tutto. Ciò ben vide l'esistenzialismo nella sua reazione al pantcismo idealista. (4) Da 1txv ~' tutto e Os6ç = Dio. È pure detta Monismo, perchè nega la pluralità reale degli esseri; o anche Immanentismo, perchè Dio è concepito come non distinto ma intrinseco al (manens in) mondo.

P. Il -NATURA DI DIO

PANTEISMO

142 - I) Dottrina generale Intendendo per J. Esso sostiene cioè che Dio non è wz altm essere, accanto a quelli del mondo, ma forma un tutt'uno con essi. Non identifica tuttavia senz'altro Dio con gli oggetti di esperienza così come li conosciamo immediatamente (1); Dio è concepito come il lato interno, il nocciolo profondo e non sperimentabile, di quella stessa realtà di cui gli oggetti del mondo sono gli aspetti superficiali ed empirici. Distinzione quindi tra il mondo e Dio, non solo quanto alla nostra conoscenza, ma anche in realtà; non però distinzione fisica come tta due (o più) esseri, bensì soltanto come tra un essere ed i suoi atteggiamenti, rra la radice e le sue espansioni visibili che delia sostanza della radice sono pur sempre costituite.

143 - 2) Forme di Panteismo StoriC (rnere possibilia) (3). 2) I futuribili (4) non sono propriamente reali perchè non saranno mai, tuttavia hanno qualcosa per cui cessano di essere soltanto possibili. Infatti tutti gli atti che quella volontà porrebbe fare in una situazione sono possibili, ma se è determinato in qualche modo che ne farebbe uno, questo viene a distinguersi dagli altri per qualcosa di più, che è certamente un qualche ordine all'esisunza.

158. - B) TESI: Dio conosce tutti gli esseri possibili, tutti gli esseri reali e tutti i futuribili, se ve ne sono. Principio generale. Avendo provato che Dio conosce perfettamente se stesso, possiamo stabilire il principio che: cc Dio conosce tutto ciò che in qualche modo la conoscenza di se stesso gli viene a manifestare >>. Questo principio regge tutta la dimostrazione. Prova della prima parte (Dio conosce tutti i possibili). a) I possi· bili non sono che i diversi modi secondo cui l'essere, che è tutto in Dio, può esistere anche fuori di Lui, se causato da Lui; sono cioè i diversi modi in cui l'essenza divina è partecìpabile ed imitabile ad extra. Ora Dio conosce perfettamente se stesso. Dunque conosce anche rutti i modi in cui è imitabile, cioè tutti i possibili. (I) (2) (3) (4)

Si noti che questi fatti ed esseri sono numerosiSSimt. Il nome va esteso alle realt~ che sorgerebbero per tali ani. Vedi Ontologia N. 89. Posto che ve ne siano (vedi avanti).

P. II - NATURA DI DIO

140

Cosi ad es. il possibile uomo, o pianta, o. anche Tizio, sono modi diversi secondo cui l'essenza divina è imitabile; chi conosca perfettamente questa essenza viene a conoscere anche queste varie imitabilit:à e quindi ad aver l'idea di uomo, pianta, Tizio.

h) A tutti gli esseri possibili si può estendere la potenza di Dio; Dio li può fare. Ora Dio non conoscerebbe bene la propria potenza se non conoscesse tutto çiò che essa può fare. NoTA. - J) Dunque Dio, nella propria essenza e con l'unico atto con cui si ronosce, vede l'essenza delle varie cose possibili: che cos'è uomo, stella, fiore ecc ... fino al singolo individuo possibile. Questi esseri poi li conosce distintamente uno dall'altro cosicchè essi sono veramente contenuti rappresentativi diversi dell'unico pensiero divino (quasi diverse figure in un unico quadro). Essi sono in numero infinito (I). 2) Questi • contenuti rappresentativi diversi "' costituiscono gli archetipi eterni (rationes aetemae) secondo cui saranno fatte le cose nel caso della creazione. In questo senso sono chiamate platonicamente Idee e si può dire che in Dio, pur nell'unico pensiero, vi &ono molte, anzi infinite, Idee.

159. - Prova della secaru:Ul parte (Dio conosce tutti gli esseri reali). Per la scienza dei possibili, Dio conosce già tutte le cose fin nei minimi particolari, ma non ne conosce l'esistenza. Ora diciamo che Dio conosce tutte le cose reali (passate, presenti e future) in quanto tali, cioè ne conosce l'esistenza e l'esistenza nel loro tempo preciso. . Nulla passa all'esistenza e vi permane senza l'azione di Dio (2); ora l'azione di Dio è sempre presente in Lui e Dio la conosce; dunque Dio conosce costantemente tutto ciò che in qualsiasi tempo viene ad esistere. 160. - NoTA. - I) Dunque Dib conosce assolutamente ogni cosa reale, grande o piccola, fin nelle sue minime particolarità: « in tantum se extendit eius scientia, in quantum se extendit eius causalitas j (3); sfugge alla sua conoscenza ciò che sfugge alla sua causalità. Conosce i grandi avvenimenti che sconvolgono il mondo come i fatti più minuti, penetra il nostro corpo e la sua costituzione, la nostra anima ed i suoi movimenti fino alle piccole preoccupazioni del bambino (hoc quod continet omn.ia, scientiam habet vocis) (Liturgia di Pentecoste). Conosce nelle tenebre come nella luce (caligo est tibi sìcut lux), i fatti più reconditi come quelli pubblici, nulla sfugge al suo sguardo percbè nulla avviene senza di Lui (4). (1) Infatti nessun complesso di cose finite può esaurire le imitabilità dell'Infinito. (2) Questo principio è generalissimo e vale per tuno ciò che è contingente, libero

o non libero. Fu provato nelle prime tre vie della dimostrazione dell'esistenza di Dio. (3) S. ToMMASo, S. Th .. I, q. 14, a. 2. (4) Si bad.i alla puerilità della concezione di Dio come • un gran monarca, troppo indaffarato in grosse questioni per sapere ciò cb.e avviene ìn ogni sìngola famiglia del

suo regno •·

CAP. IV - ATTRIBUTI OPERATIVI: INTELLIGENZA DIVINA

141

Tutto ciò conosce senza successione o fatica. Si veda in proposito il bel Salmo 138. 2) Dio conosce tutte queste cose carne seme in loro stesse e non soltanto conoscendo una perfezione superiore che virtualmente le contiene. 3) Conosce non solo il presente ma anche le cose passate e jurure (anche gli atti liberi ed i destini di ogni anima) (I) e le conosce carne reali nel loro tempo preciso; infatti conosce il proprio atto, sempre presente, con cui le causa nel passato o nel futuro. 4) Conosce il male. Il male è una deficienza nell'essere buono. Ora Dio non conoscerebbe perfettamente l'essere buono se non ne conoscesse anche le deficienze, prima in genere quelle possibili e poi quelle che di fatto viene ad avere. Analogamente un frutticultore non conoscerebbe bene le sue piante, se non ne conoscesse le malattie, possibili e reali. Lo conosce però non in esso stesso perchè, non essendo essere, non è conoscibile; ma Dell'essere buono in cui è come una deficienza.

161. - Prova della terza parte (Dio conosce i futuribili, se ve ne sono).

Premesse: a) Esistono futuribili? Nella rosa degli atti possibili ad una volontà libera in una circostanza ipotetica, in concreto uno solo sarebbe fano. Ora se non è determinato qw:zle sia questo ano, tutti rimangono ugualmente e soltanto possibili; se invece è in qualche modo determinato, questo acquista qualcosa che lo distingue dagli altri e diviene futuribile. Non si immagini dunque che per ogni situazione pensabile vi sia un futuribile; per ogni situazione vi sono alcuni possibili, può darsi che non vi sia alcun futuribile. b) Posto che esistano futurilYili, che cosa li rende tali? Trattandosi di una causa libera, la detenninazione di cui sopra non può venire da nessun fattore ambientale, fisico o psicologico (Psicolog'ia N. 275). Può quindi venire soltanto o da una decisione della volontà stessa (se ora avvenisse questo fatto mi comporterei in questo modo), oppure dalla decisione di una volontà superiore che possa muovere la volontà libera senza forzarla (se avvenisse questo, farei agire quella volontà in questo modo) (2). In ogni caso ciò che rende futuribile un certo possibile è un atto poritivo e reale (passato, presente o futuro). Di qui la Prova. Se vi sono futuribili, questi sono resi tali da un atto positivo (I) Anch'essi infatti sono realtà che sorgeranno io dipendenza da u.o atto divino sempre presente. (2.) Non diciamo per ora che ciò sia possibile. Diciamo che questa è l'uni ca causa cbe. fuori della volontA interessata, possa trasformare un possibile iD futuribile.

142

P. II -NATURA DI DIO

e reale. Dio conosce tutto ciò che è reale e perciò anche questo atto e quindj conosce il futuribile (1). NOTA. - Dunque Dio conosce necessariamente tutto ciò che una volontà in situazioni ipotetiche porrebbe fare; ma non conosce necessariamente ciò che farebbe di fatto. Dio infatti conosce le cose come sono, ora non è affatto necessario che queste azioni siano qualcosa di più che semplicemente possibili. La pretesa contraria è illusione di fantasia.

162 - C) Osservazioni generali. 1) La scienza che Dio ha dci possibili è una scienza necessaria, che Dio non può non avere. Infatti non conoscerli vorrebbe dire non conoscere Se stesso. È detta pure è di ordine metafisico (Ontologia. N. 207) e sì definisce: cc Sostanza individ~ completa, intelligente,, (I). Implica quindi: completezza (autosufficienza), assoluta distinzione da ogni altro (ìncomunicabilità), intelligenza con tutte le sue conseguenze. Nega che Dio sia persona il Panteismo per cui esso è come un vago sostrato del mondo (N. 142). Ora Dio è infinito, proprio per questo è assolutamente distinto da ogni altro ed unico, è infine intelligente; dunque: Dio è persona. NOTA. - Si parla pure di perscmalità psicologica (Psic. N. 319): è chiaro che nessuna personalità è tanto ricca e stabile quanto quella di Dio. Altre volte si intende personalità in senso quasi sociale, come • capacità di improntare di sè l'ambiente, senza lasciarsi piegare da nulla •. Poichè Dio domina tutto fin nei minimi particolari ed è immutabile, ne5SWlll personalità è fone come quella di Dio.

(r) • Naturne rationalis individua substantia • S!!v. BoEZio, Liber de persona et duabw rwturis, Cap. III; MJGNB, P. L., LXIV, 1343.

CAP. VI - LB OPERAZIONI DI DIO SUL MONDO

CAPITOLO

:I59

VI

LE OPERAZIONI DI DIO SUL MONDO

Articolo I

L'onnipotenza di Dio in se stessa. EsiSTI!NZA DELLA POTENZA DIVINA

187 - I) Premesse: a) Per potenza qui non intendiamo potenza passiva e neppure soltanto capacità di operare, come lo sono anche intelletto e volontà, ma, in senso stretto, l( capacità di produrre qualcosa di distinto da sè >>(I). Cerchiamo quindi se Dio può causare l'essere, agire fuori di sè, come lo possono gli esseri finiti. b) Mentre la potenza passiva implica imperfezione, la potenza attiva in genere e perciò anche nel senso di cui sopra, suppcme l'atto (2) ed è praporzionale ad esso (3). Poter produrre calore suppone possesso del calore ed è proporzionale ad esso; poter dare la scienza suppone possesso di essa e cresce con tale possesso e cosi via.

2) TESI: Dio può operare fuori di se stesso. PrO'lJa: a) Dio opera fuori di sè, infatti esistono esseri contingenti. Dunque può operare. b) Poter agire fuori di sè e diffondere su altri la propria bontà è una perfezione semplice che nell'agente non implica se non perfezione; di più, segue necessariamente il possesso di un ano (4). Dunque esiste anche in Dio. NoTA BHNB. - Mentre la prima prova attesta il fatto, la seconda ne prova pure le necessità. Si osservi però che la potenza di agire ad extra è necessaria(1) • Potentia activa agendi ad extra • GREDT, Op.

cit., N. 825,

(2) Omologia N. 47· (3) Ontologia N. 264.

(4) Ciò Ili induce dall'e&perienza: chi ha può dare e tende a dare. Ontologia N. 126.

160

P. II - NATURA DI DIO

mente in Dio cr»11e capacità, non come allo. Questo è libero (Vedi N. 177). Di fatto tuttavia, per l'eternità di Dio, anche tale potezua, circa le C06e che causa, è sempre iD atto; non però necessariamente.

LA POTENZA DI DIO È ONNIPOTENZA

188. - 1) Nozione. Per Onnipotenza intendiamo una > ed una . La potenza assoluta è (( la potenza divina considerata in sè, astraendo dalla coerenza coi suoi decreti liberi >> (S); la seconda è quella che tien conto di tali decreti ed è «la potenza di fatto >>. Per essa Dio non può, pur potendolo in senso assoluto, annientare l'anima umana (6), non premiare il bene dopo averlo promesso ecc. Anche questo però non lo può, non per difetto di potenza, ma per la Sua immutabilità morale. (I) Un injil'lito-farto ed un recmdo infimto oltre Dio, sono concetti assurdi. (2.) Ciò è nuovamente assurdo: è sempre possibile un essere finito più perfetto di qualsiasi essere finito dato; altrimenti un essere finito avrebbe esaurite le imitabilità di Dio. (3) S. ToMMAso, S. Th. I, q. 25, a. 3· Si legga per intero questo articolo. (4) Psicologia N. 258. (5) Non: astraendo dalla Sua sapienza, bontà, giustizia ecc. (da ciò che è necesaario in Dio), un simile concetto non avrebbe alcuna ragione di essere; ma dai ruui deçreti liberi. (6) Psicologia N. 3 81 ss.

P. li - NATURA DI DIO

L 'EfFErro

PROPRIO DELLA POTENZA DIVINA

190. - 1) La questione. Molti degli esseri di esperienza, specialmente i viventi, pur potendo produrre varie cose, hanno un effetto che essi soli possono produrre. Cosi l'uomo solo causa l'uomo, la formica dà vita alla formica, la pianta ad un essere della sua specie (1). Questo effetto è detto di quell'essere. In genere l'effetto proprio corrisponde a ciò che la causa possiede per essenza. Ora cerchiamo se anche la potenza divina ha un effetto proprio, cioè se nel mondo vi è qualcosa che Dio solo può produrre. 2) TESI: L'esistenza è effetto proprio della potenza divina. Prova. Ogni essere finito è composto di due comprincipi realmente distinti: essenza, per cui è un certo essere, ed esistenza, per cui è essere (Ontologia N. 62 ss.). La prima è essenzialmente limitata, la seconda invece è per sè illimitata (2). D'altra parte una potenza operativa capace di produrre una certa cosa (l'uomo, il calore, una certa macchina, un certo calcolo), può produrre tutto ciò che è compreso nell'estensione del concetto di quella cosa (3). Dunque la potenza che produce l'esistenza può produrre tutto ciò che è esistenza (4); poichè poi ciò è inesauribile, tale potenza è infinita. Dunque Dio solo può produrre l'esistenza (5). OIFPICOLTÀ: Se la premessa valesse, si dovrebbe dire che chi può produrre ad es. un uomo, può produrre senz'altro tutti gli uomini e cosi via. Ora ciò è falso. R. Dalla premessa non risulta che chi può produrre un uomo possa di fatto produrre tutti gli uomini, ma soltanto che nulla di ciò che è uomo è fuon' della pUTrara della sua potenza (mentre ne è fuori ciò che è uccello, ciò che è (I) N on però che tale effe no non possa es sere prodono da un essere superiore: è rigorosamente prOf'rio, rispetto agli esseri inferiori. (2) Non viene limitata che estrinse=ente, in quanto è realizzata in quell'essenza. (3) Non nel senso che possa produrre insieme tutti gli esseri di quella specie, ma nel seruo che nulla di quanto è compreso io quell'ordine di cose sfugge alle sue pos· sibilità. Si insista sull'esempio della macchiM: una macchina fatta per fare ad es. un tipo di ruota, può fare qualsiasi ruota di quel tipo. (4) Si intende: esistenza • causa bile t, cioè finita. (5) • Oportet universaliores effectus in universaliores et priores causas reducere. Inter omnes autem effectus universalissimum est ipsum esse. Unde oportet quod sit proprius effectus primae et universalissimae c:aus.ae, quae est Deus • S. ToMMASo, S. Th. I, q. 45, a. Per le corueguenze di questa tesi vedi soprattutto N. IZ4 - 209

s.

• 2I2 -

22~.

CAP. VI - LE OPERAZIONI DI DIO SUL MO~ìJO

163

pianta ecc ...): tale potenza è ampia quanto la • ratio hominis ,, anche se per altre ragioni non produrrà che qualche individuo concreto. Nel nostro caso si ba dunque una potenza cui nulla sfugge dj ciò che è esistenza e perciò è infinita.

NATURA DELLA POTENZA DMNA

191. - Si disputa tra scolastici se la potenza divina sia una potenza esecutiva, distinta (1) dall'intelletto e dalla volontà, o se si riduca a queste e, in tal caso, se consista piuttosto in un atto di volontà o in uno di intelletto (2) oppure nell'insieme dei due. Con molti scolastici (3) diciamo che (5): al comando di Dio, la cosa, nel tempo voluto, si effettua (dixit et facta sunt) (6).

(1) Nel modo, si intende, In cui si distinguono gli attributi in Dio. Nell'uomo

c'è distinzione reale: voglio con lo spirito, ma eseguisce con le mani. (2) Che sarebbe l'imperium (vedi GREDT, Op. cit., N. 825). (3) Cfr. V. RRMER, Theo/ogia naturalis N. 146 ss., Roma 1936. (4) Sembra inolue che tale potenza esecutiva includa imperfezione in sè (essendo cieca) e nelle altre che ne hanno bisogno. (5) Anche in noi del resto il volere è un atto ìmmartente, che tuttavia produce effetti nel corpo, cioè nella fantasia (Psicologia N. 307), ed attraverso ad e&sa in rutto l'organismo ed anche fuori di noi. (6) Si noti, non: dWt et fecit, ma dixit et /acta Slmt: pronunziò una parola c le c:ose sorser-o.

I{i.J

P. II -NATURA DI DIO

Articolo Il

Creazione. La potenza divina si esplica nel mondo in quattro modi principali che si possono riassumere nelle parole: creazione, conservazione, concorso, provvidenza. Studiamo ora il primo.

lL

MONDO HA ORIGINE DA DIO PER CREAZIONE

192. - I) La questione: a) Conutto di creazione. Si deve distinguere tra a fare n e . Fare è produrre un essere trasformando una potenza preesistente; creare è pure produrre ma senza servirsi di un materiale preesistente, senza servirsi di nulla. Cosi è fare la produzione di una statua con la lavorazione di un blocco di marmo, sarebbe (3): conoscenza approfondita accompagnata da apprez· zamento, o in breve: c< conoscenza con amore n. Inteso cosi il termine, l'espressione che Dio ha creato il mondo per la propria gloria può essere falsa e può essere vera. a) Se si intende che Dio ha fatto il mondo per ottenere una glarificazione dalle creature, vedendo tale glorificazione come un bene suo (4), avendo di mira una lode che lo attira, l'asserzione è falsa (5). Dio non può desiderare nulla dal mondo; la nostra glorificazione non può portare nessun bene all'Infinito, come il nostro biasimo non può sottrargli nulla. Non è per sè (come finis cui) che Dio vuole la propria gloria. b) Se invece si intende che Dio vuole la propria glorificazione come il massimo bene delle creature intelligenti ed a questo ha ordinato tutta la creazione, l'asserzione è vera.

Spiegazione: Il fine della creazione, come finis cui, è il bene dcPe creature (6). Ora la perfezione delle creature intelligenti sta sopratutto nella conoscenza amorosa (gloria) degli esseri superiori e specialmente di Dio (Psicologia N. 269 ss.). Dio dunque, non per sè ma per loro, (x) Cfr. GRl!DT, Op. cir., N. su. 3· (2) Sia per se stesso, sia per le sue opere. (3) Contra Maxim. L. Il, Cap. XIII, MrGNE, P. L. XLTI, 770. (4) Cosi ad es. V. CATHREIN, Philosophia moralis (Friburgo 1932) N. 35, pone la gloria formale di Dio finis qrn" della creazione e Dio stesso come jùu"s cui. Si ha dunque, espressamente, Dio che ricerca (amore di concupiscenza) nella creazione la lode delle creature come bene proprio. Questo non è ammissibile. (5) È questo tuttavia il senso che più comuc.emente si dà a quest'espressione, perchè non si riesce ad astrarre dal modo in cui l'uomo opera per la propria gloria. (6) E solf?.D.to delle creature.

P. II -NATURA DI DIO

vuole che queste creature lo glorifichino. Siccome poi le cose materiali hanno per fine di essere strumento allo sviluppo dello spirito (r), è giusto dire che il fine che Dio si propone nel creare tutte le cose è la propria gloria. C o n c l u d e n d o : Dio dunque crea il mondo per la propria glaria, non solo oggettiva ma formale, intendendo/a però non come bene suo ma come bene per le creature. NoTA. - Si rilevi quanto è antropomorfico il linguaggio comune circa questo punto. Si fa un Dio interessato che dal mondo ricerca una lode come bene per sè, cui noi possiamo dare o sottrarre un bene ecc ... e ciò perchè si trasporta in Dio il modo umaTW di cercare la propria gloria. In realtà Dio non può volere tale gloria che in un modo diviTW da cui va esclusa ogni imperfezione, cioè, nel caso, ogni traccia di amore di concupiscenza. Quindi se la creatura glorifica Dio non fa del bene a Lui ma a sè; viceversa se non lo glorifica danneggia sè soltanto; se Dio fa tanto (fino alla Redenzione) per onenere l'uno ed evitare l'altro, è per noi e non per sè, ecc ... Tutte le espressioni che toccano questo argomento non saranno renamente intese, se non in funzione del sommo disinteresse di Dio, derivante dalla Sua infinità, e del suo sommo amore di bmevolenza, radicato nella grande stima che ha dei beni che

sono in Lui. 203. - DIFFICOLTA: - Si deve allora dire che le nostre lodi non recano alcun piacere a Dio, che Egli non gode alfano delle nostre buone azioni? Questo sarebbe errato. Dio gode della bontà delle creature, Egli è l'essere cui piace tuno ciò che è buono (2), però senza che questa gioia aggiunga nulla all'infinita gioia che prova per la propria perfezione, cosicchè, pur essendo reale, non dà nulla a Dio e se non ci fosse Dio non sarebbe meno felice. È questo un altra aspeno del mistero della coesistenza dell'infinito e del finito. Dio ama sè ed ama noi e non c'è più amore in Lui, Dio gode di sè e gode di noi e non c'è più gioia in Lui. Si deve invece escludere formalmente che il male causi tristezza o comunque perdita a Dio.

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FINE DELLA CREATURA

204. - Distinto ma in relazione con il fine della creazione è iJ fine della creatura. Basandoci sulle nozioni esplicate, possiamo precisarlo nei seguenti punti: I) Finis qui della creatura è Dio. Dio cioè è la causa finale di tutto il suo agire, il bene cui tende consapevolmente od inconsapevolmente (3) con tutto (I) Psicolagia N. 405. (2) • Cui bona cunct11 placent • (Liturgia della Dwunica delle Palme).

(3) Se si trana di essere libero, anche contro la è necessarilliD.ente (in ultimo) ricerca di Dio.

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volontà: ogni ricerca di bene

CAP. VI- LE OPERAZIONI DI DIO SUL MONDO

171

il peso del suo essere. lnfatò chi riceve tutto da un altro, con quello stesso desiderio con cui vuole conservare e migliorare il proprio essere, tende verso questo altro. Dio, causa prima, è dunque anche fine ultimo verso cui gravita l'intera creazione come a centro cui attinge il proprio essere (Ontologia N. 130 ss.). Si da un ordine nei fini che è lo stesso che nelle cause efficienti, in senso inverso. 2) Fim's cui della creatura ~ se stessa o altre creature. Evidentemente questa ricerca di Dio non può essere rivolta a vantaggio che dell'essere finito. Questo però non è egoismo (·1): cercare Dio per il proprio vantaggio, mosso dalla stima della bontà che è in Lui, è entrare nel retto ordine delle cose, è volere come Dio stesso vuole; è inoltre anche un ano di amore (stima, apprezzamento) di Dio, poichè è riconoscerlo proprio bene sommo, desìdembile sopm tutto. 3) Firu's quo della crearura Sl)tU) gli atri con cui migliora se stessa e raggirmge la perfezione sua propria. In panicolare circa l'essere intelligente questi atti consistono soprattutto nella conoscenza ed amore (gloria) di Dio (N. 202) e quindi ~ finis quo • dell'uomo è soprattutto la glorificazione di Dio. S i n t e t i c a m e n t e : fine della creatura è • cercare la propria perfezione nel possesso dei beni derivanti da Dio, mossa dall'amore apprezzativo della bontà di Dio lle.sso i,

CREARE

È PROPRIO DI DIO SOLO?

205. - 1) Impostazione· a) Cerchiamo ora se soltanto Dio possa creare o se ciò sia possibile anche alle creature. L'azione creatrice sarà propria di Dio se per creare è necessaria una potenza infinita, altrimenti potrà appartenere anche ad una creatura. b) Per stabilire se per creare occorre una potenza infinita è necessario precisare che cosa si produce nella creazione, qual' è quindi l'oggetto che una potenza creatrice per esser tale deve poter produrre: se quest'oggetto è tale da non poter esser prodotto che da una potenza infinita, allora la potenza creatrice deve essere tale. Ora, quando si ha un cc fare ,,, la potenza efficiente produce di suo e di nuovo la forma specificatrice dell'essere nuovo, mentre la materia (prima o seconda) preesisteva e l'esistenza viene da Dio (N. 190). Perchè si abbia un cc creare ,, è necessario e sufficiente che sia prodotta (( dalla potenza creatrice » oltre alla fcmna anche la materia prima, cioè non tutto l'essere ma tutta l'essenza dell'essere nuovo: il creare infatti si distingue dal fare perchè non si serve di una potenza preesistente da cui ricavare l'essenza della cosa prodotta. Non è necessario invece che la potenza creatrice produca anche l'esistenza della cosa; questa si origina certamente nella creazione, come si origina anche nel fare (I) Cioè non è subordinare Dio a se stessi, come potrebbe sembmrc.

P. II -NATURA DI DIO

172

comune, ma non è necessario, percbè sia salvo il concetto di creazione, che venga dalla potenza creatrice. Dunque ciò che deve poter produrre una potenza operativa per poter essere creatrice è l'intera essenza dell'oggetto. c) Rimane da cercare se questo oggetto sia tale da non poter essere prodotto che da una potenza .infinita. Come si vede, l'impostazione della questione cui giunge S. Tommaso (S. Th. I, q. 45, a. 5) è notevolmente diversa. Egli suppone che nella creazione abbia necessariamente origine dalla potenza creatrice tutto l'essere della cosa prodona e perciò ritiene che tale potenza si debba definire come una potenza capace di produrre rutto un essere. In conseguenza egli ricerca se una potenza che possa produrre tutto l'essere di una cosa, debba essere infinita e giustwnente l'afferma (1).

Però non sembra che, per salvare il concetto di creazione quale si è stabilito al N. 192, sia necessaria la produzione dell'essere completo (2); è sufficiente la produzione di tutta l'essew:a e perciò la questione va posta come sopra.

206. - 2) TESI: Dal punto di vista puramente razionale, non si può escludere che l'essere finito possa creare. Prooa: Gli argomenti tomisti, in sè validissimi, suppongono tutti che nella creazione debba aver origine, dalla potenza creatrice, tutto l'essere (anche l'esistenza); ma ciò non è necessario, bastando che ne provenga tutta l'essenza, mentre l'esistenza può venire da altra fonte (3), senza che venga compromesso il concetto di creazione. D'altra parte l'essenza delle cose è certamente un aspetto limitato per se stesso (4) e quindi non esige una potenza infinita. Per la tesi opposta si porta pure un argomento di ordine induttivo e quasi matematico: la causa materiale e la potenza operativa s01W inversamente proporzionali; quanto più si impoverisce la prima, tanto più deve crescere la seconda. Questo si ricava dall'esperienza: un artefice, per fare un capolavoro, deve essere tanto più valente quanto più è sca(r) L'argomento primo è quello portato al N. 190: chl pub produrre l'esistenza può produrre ruuo cio che è esistenza; ma dò esige una potenza infinita. S. ToMMASo, Loc. cir. Inoltre si osserva pure che l'essere finito che, potendo produrre l'esistenza, potesse produrre turto dò che è essere, potrebbe produrre anche se stesso, il che è assurdo. Cfr. S. ToMMASo, C. Gemes, L. II, C. :n. (2) Se creare fosse produrre una cosa: senza causa matm'ale e senza il concorso di nessuno, allora implicherebbe la produzione di rutro l'essere, compresa l'esistenza, proprio da parte della potenza creativa; ma creare è soltwlto produrre dal nulla, senza una caUJa

rruzreriale preesisteme.

(3) In Cllncreto, da Dio solo (N. 190). (4) Non .ome l'esistenza che è per sè senza limiti (N. 108).

CAP. VI • LE OPERAZIONI DI DIO SUL MONDO

173

dente la materia a sua disposizione. Se dunque la materia si annulla, la potenza deve crescere all'infinito. Quindi solo una potenza infinita può creare (S. To.MMASO, S. Th., Loc. cit., ad 3). L'argomento però oonostante la sua lucidità apparente, non è probativo. Infatti la sua base, che è l'esperienza manuale, di artigiano, non è tale da poter fondare una legge a valore trascendentale come occorrerebbe qui ed inoltre non è certo neppure sperimentalmente che se uno dei fattori di un fenomeno si annulla, l'altro fattore debba crescere all'infinito (1). L'argomento non dà quindi più che una certa probabilità. Qualche probabilità si ha pure dalla considerazione che l'esperienza non presenta mai creazioni da parte di esseri finiti; l'argomento però non è dimostrativo perchè non tutti gli esseri finiti e non tutte le loro operazioni sono conosciute da noi. C o n c l u d e n d o : Certamente Dio ha creato immediatamente

i primi esseri finiti, almeno il primo; non si vedorw però ragioni dimnstrative per negare che altre creazioni siano state e possano essere compiute da creature, con il concorso di Dio comunicante l'esistenza dell'effetto. NoTA. - Questa resi, benchè contraria all'opinione comune degli scolastici, non ha nessuna conseguenza d'importanza nè in filosofia nè in teologia.

CAUSA ESEMPLARE NELLA CREAZIONE

20? - 1) L'agente intelligente e che C:J.usa con intelligenza, è per definizione un essere che produce una cosa dopo averla pensata, seguendo un'idea concepita dentro di sè. Quest'idea poi è stata necessariamente ricavata, almeno nei suoi elementi, da una realtà. Prossimamente l'idea, remotamente la cosa da cui è stata ricavata, sono ((cause esemplari>> (modello) dell'effetto prodotto. Sono pure dette causa formale estrinseca (2). Ora Dio è un agente intelligente; anche le cose create hanno dunque una causa esemplare, un modello secondo cui sono state costituite. 2) Non è difficile stabilire che questa causa esemplare è Dio. Infatti nel creare i primi esseri non potè basarsi su altri, poichè null'altro (I) O i due fattori sono necessari ed allora uno solo non produce più il fenomeno, o non sono tutti e due necessari ed allora quel che rimane o:escerà bensl per non aver più il concorso dell'altro, ma non all'infinito, bensl solo fiDo al punto in cui basta da solo. (;z) Vedi Ontologia N. III e 261.

174

P. Il- NATURA DI DIO

esisteva, e per creare gli esseri posteriori potè bensl aver come modello i primi, ma, poic.hè questi furono modellati su Dio, Egli rimane sempre la causa esemplare di ogni essere. Quest'esemplarità si estende anche alle cose non direttamente create da Dio; sia mediatamente, in quanto gli esseri finiti che le causano o sono retti da leggi fissate da Dio o (se sono intelligenti e liberi) si basano su esseri prodotti da Dio; sia anche immediatamente, in quanto Dio causa pure l'essere di ogni &ingola cosa finita (N. zo9).

3) n modello immediato di ogni singola cosa è l'idea distinta che di esse esiste nell'Intelletto divino (N. 1 58), il modello remoto ed ultimo è /'Essenza divina da cui questa idea fu tratta. Di questo non è necessaria qui una nuova dimostrazione. 208. - NoTA. - I) Quma dottrina contiene, inverato, il nucleo di verittl del Platonismo. Veramente ogni cosa del mondo ha un archetipo eterno, che però non è un essere esistente da sè in un Iperuranio, bensl: prossimamente un'Idea divina e remotamente un aspetto dell'Essenza divina (Vedi Ontologia N. 94 ss.). 2) In conseguenza, veramente tutte le cose belle del mondo sono un riflesso della divinità, ne rivelano a noi un aspetto ed attraverso ad esse e in esse possiamo contemplare le meraviglie di Dio. Questo è il senso profondo dell'amore mistico delle creature proprio del platonismo e più ancora dci francescanesimo (I). 3) Nel pensiero cristiano è comune la distinzione di tre gradi nel rispecchiamento di Dio da parte della creatura. Il t vestigium o proprio degli esseri non intelligenti, l'« imago » proprio degli esseri dotati di intelleno e volonnì e che quindi riproducono in modo imperfetto i lineamenti di Dio, la • similitudo • propria dell'uomo in Grazia che importa il possesso di ciò che è caratteristico di Dio acl modo divino, benchè in grado finito.

SCOLlO: DIO NELL'ORIGINE DEGLI ESSERI PINITI NON CREAn

209. - Non tutti gli esseri finiti sono propriamente creati (2); molti sono prodotti da altri esseri finiti per trasformazione di elementi potenziali. Cosi hanno origine tutti gli esseri di nostra esperienza: sostanze (atomi, molecole, viventi), gli accidenti materiali esistenti in esse (estensione, qualità varie) e gli stessi accidenti spirituali (atti ed abitudini) delle sostanze incorporee. (r) Si veda ad es. EFREM BmoNI, S. Bonaventura, Brescia 1944, pag. 71 ss. e La rete e la sorgente: Notte di stelle. Si badi tuttavia in questa interpretazione del creato di tener sempre conto delle proporzirmi con l'essere divino e di guardarsi dalle GRATRY,

puerilità. (2) Benc:hè tutti dipendano, remotamente, dalla creazione.

CAP. VI- LB OPERAZIONI DI DIO SUL MONDO

175

Noi diciamo che Dio opera immediatamente anche nell'ori"gine di questi esseri (r) (e quindi di ogni realtà finita) e questo in quanto, mentre

è la creatura che, trasformando la potenza, prepara l'essenza dell'essere nuovo, Dio solo è causa della sua esistenza e la produce con azione immediata nell'essenza e secondo l'essenza (2).

Prova. L'esistenza è l'effetto proprio di Dio ed egli solo la può produrre (N. 190); dunque l'esistenza di ogni essere finito viene direttamente da Dio. Inoltre per l'esistenza di ogni essere nuovo ritorna integro il problema di Parmenide (3): si ba qualcosa di totalmente nuovo e si cerca di dove possa venire; non dal nulla, nè dagli altri esseri finiti dei quali ognuno possiede la propria esistenza limitata strettamente alla sua essenza e nulla più, dunque non può venire che da fuori del finito, dall'infinito che può diffondersi: Dio (4). Quest'azione divina nell'origine degli esseri finiti causati da cause seconde, è detta «concorso simultaneo n (N. 222). 210. - CoROLURI: I) Dunque l'azione di Dio per rorigine degli esseri finiti è necessaria per ciascuno di essi e si esercita in due modi: creazione e concorso. È ancora possibile che Dio produca direttamente esseri finiti per trasformazione (Dio può certamente • fare •); non sembra però si possa dimostrare che ciò si verifichi. 2) L'ifficienza creata va dunque concepita come una modificazione della potenza che prepara l'essenza (atto formale), che poi Dio, direttamente, • riempie 1 di esistenza. Dio e la creatura sono vere cause e cause totali di questi esseri nuovi, benchè sotto espetti diversi, da punti opposti. Causa infatti è tutto ciò da cui una cosa dipende nell'essere; ora l'effetto creato dipende rutto dalla crearura (anche la esistenza non potrebbe essere senza l'essenza) e tutto da Dio (l'essenza non sarebbe senza l'esistenza). Da punti opposti lo causano totalmente: che l'effetto sia tale dipende dalla creatura, che ci sia dipende da Dio; che ci sia "" tale fetto dipende totalmente da tutti e due (5).

.t-

(I) Cioè non soltanto in quanto, come Movente primo, muove la creatura ad agire (Vedi prima via); ma con un'azione immediata, esclusivamente sua, distinta da quella della causa finita. (2) c Ipse (Deus) est dans esse rebus, causae autem aliae sunt quasi determinantes illud esse t S. ToMMASo, In II Sent., P. l, q. I, a. 4· Vedi su questi concerti: Ontologia N. 64 ss. (3) Ontologia N. 33· (4) Si è notato in Ontologia (N. 39 nota) che la dottrina dell'atto e potenza spiega l'origine della forma e quindi dell'essenza de nuovo essere; ma non quella dell'esistenza. Pannenide aveva in parte ragione: la mutazione non è possibile, senza intervento di Dio, perchè l'esistenza non può venire che da fuori del finito. La filosofia aristotelica, che non conosce l'azione di Dio sul mondo, non risolve che parzialmente il problema della mutazione. (S) c Concedìmw eamdem esse rem CBWIBtam a Deo et natura, sed non eodem

P. 11- NATURA DI DIO

Articolo III

Conservazione. 211. - I) La questione. Si è dimostrato che tutte le cose banno origine per un'azione immediata di Dio (creazione o concorso). Ora cerchiamo se gli esseri finiti, una volta prodotti, possano continuare ad esistere da sè, oppure esigano di essere continuamente conservati nell'essere da Dio. Questa conservazione può ancora essere , a) Premessa: Se tutte le cause finite agissero necessariamente, la premozione di cui sopra dovrebbe certo essere determinata ad un effetto speciale ed efficace per se stessa, perchè la causa necessaria non può scegliere e determinarsi da sè e non vi sarebbe, si può dire, questione. Esistono però cause create libere. Perciò si domanda se, per le cause libere (3) (in cui si deve salvare l'autodeterminazione e la costante possibilità del contrario), tale premozione sia soltanto ((generica)) verso il bene (4), oppure ((determinata)) verso un certo bene ed ancora se (1) Tra i moderni vedi J, DoNAT, ~dicea, Barcellona 1944; F. CALCAGNO, Philorophia scholaJtica, vol. II, Napoli 1937(2.) Si ha infatti questa successione: prima la creatura in stato di inattività, poi la sua attività causale ed infine l'effetto. (3) u questione in quest'ultimo punto riguarda dunque soltanto le cause libere. Per gli ageuti necessari (minerali, piante, animali) questi molioisti coucordmo coi tomi!lti.

(4) Si tenga presente il paragone del vento e della nave.

CAP. VI- LE OPERAZIONI DI DIO SUL MONDO

185

sia infallibile per sè cioè cc efficace ab intrinseco ))' oppure lo sia soltanto c< efficace ab extrinseco ». I molinisti che ammettono la premozione, la ritengono generica ed efficace ab extrinseco (1). I tomisti affermano che, anche per le cause libere, è necessario un concorso detemùnato ed efficace ab intrinseco. p) Prova: Se il concorso è solo efficace ab extrinseco, la volontà si decide da sola ad agire piuttosto che non agire. Se il concorso è solo generico, la volontà si decide da sola ad agire in un senso piuttosto che in un altro. In ogni caso la decisione viene soltanto dalla volontà (2). Ora questa decisione, sia come scelta sia come decisione ad agire, implica una mutazione nella volontà, è una realtà nuova, un modo di essere nuovo che sorge in essa. Se essa non viene da Dio, è senza ragione sufficiente (3).

in seguito al consenso libero:

Per sfuggire a questo argomento, i molinisti interpretano la volontà come semplice ~ deviatrice di forza ~ (4) rispetto a Dio. Dio, col concorso generico, dà tutto ciò che di essere vi sarà nelle azioni della volontà; questa non dà origine a nulla, non fa che indirizzare in un senso o in un altro l'energia proveniente da Dio. Si deve pensare al vento ed alla nave: questa non fa che utilizzare in un senso o nell'altro la forza del vento. Si pensi ad un interruttore, che non crea corrente, ma la devia in una lampada o in un campanello; si pensi allo scambio ferroviario ecc... Questa interpretazione però ~ inutile perchè la volontà, per indirizzare in un senso o nell'altro l'energia proveniente da Dio, deve pure mutare in se stessa. Cosi sulla nave qualcosa deve cambiare perchè vari la direzione del moto, nell'interruttore si deve pur verificare uno spostamento, o piccolo o grande, cosi nello scambio ferroviario. Quanto poi in particolare alla volontà, è ben chiaro che è diversa la volontà decisa e quella non decisa, la volontà decisa alla santità e quella decisa ad un bene mediocre (5). Questa mutazione verrebbe solo dalla creatura.

(I) Cfr. gli autori citati al N. 7.17, d.

(2) E questo è proprio quanto i molinisti ritengono necellurio per salvare la li-

bertà. (3) Si viene cioè a cadere nella contraddizione dell'essere che muove senza esser mosso, del più che viene dal meno. Si viene a fare della volontà un Assoluto, perchè fonte di un inizio assoluto. (4) V. LINDWORSKY S. I., Educazione della voltmrà, Brescia 1943, pag. 44 ss. (5) Di qui si vede pure che ciò che si sottrarrebbe alla causalità di Dio per attribuirlo a noi soli, non è poca cosa (fosse pur pochissimo non potrebbe mai essere); ma è addirittura la bontà morale e la sanrirà, che è certo la cosa migliore che esista nel mondo degli spiriti. Molina dice espressamente: • Sane quod bene aut male ea opera exerceamus, quae per solam arbitrii nostri facultarem et concursum Dei generalem possumus efficere, in nos 'ipsos tanquam in causam particularem ac liberam et non in Deum est referendum ... Non igitur causa est Deus virtutis nostrae ac vitii, sed propositum nosuum et volu.ntas •· MOLINA, C~rdia q. 14, a. 13, disp. ZJ.

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P. II. NATURA DI DIO

Dunque perchè l'azione della volontà sia possibile, si esige un concorso efficace ah intrinseco, cioè che causi effettivamente e per forza sua la decisione ad agire (1), e detenninato, che causi cioè anche il senso della decisione. 224. - VALUTAZIONE DELLA PROVA. La prova diretta esposta sopra parte dai primi principi assolutamente certi e direttamente con· nessi col principio di contraddizione e procede mostrando ad ogni punto che, se non si ammette il concorso affermato, si deve ammettere una eccezione ai principi stessi. La sua solidità ~ dunque assoluta (2) e non sembra sia possibile respingeme le conclusioni senza cadere in contraddizione. 225. - 2) Prova indiretta. Ogni sentenza contraria al tontismo, anche quella che nega soltanto l'efficacia intrinseca e la determinatezza del concorso, rende necessaria, affinchè Dio possa conoscere con certezza la condona umana, una scienza media. Ora una simile scienza è impossibile, perchè importa una passività nella corwscenza di Dio (Vedi N. 242). Dunque tali sentenze sono errate e si dà premozione fisica (3). Inoltre, siccome secondo il molinismo tra i vari concorsi simultanei che Dio alla volontà libera in una certa situazione, dipende dal consenso di questa che uno sia « dato n in realtà, e questo consenso dipende solo dalla creatura, l'agire di Dio viene a dipendere da quello della creatura, il che è assurdo. VALUTAZIONE - Quantunque questa prova si possa valutare appieno soltanto dopo lo studio sulla prescien.za (N. 233 ss.), tuttavia sembra veramente impossibile escludere sia dalla scienza che dall'agire di Dio una passività se non si ammette un concorso prevìo, determinato ed efficace ab intrinseco, anche per le cause libere.

(t) Trattandosi di azione divina, tale efficacia non può essere che infinita, condu· cente infallibilmente all'effetto. (z) Logica N. 135. Sarà opportuna e non difficile una ridU%ione aillogistica ai primi principi, che noi omettiamo per le esigenze deUo spazio. (3) In forma positiva: perchè Dio conosca senza passività (senza doversi informare dalle cose) è necessario che concorra anche alle azioni libere con un'azione infallibile c ben determinata. Ora Dio conosce con certezza e senza passività le vicende um.aue.

Dunque..-

CAP. VI - LE OPERAZIONI DI DIO SUL MONDO

I8ì

226. - B) CoNCLUSIONE. I due argomenti portati sopra, e soprattutto il primo, sono tali da costituire una vera dimostrazione e perciò siamo costretti ad armnettere che, anche per l'atto libero, Dio intervenga con un concorso immediato, fi.si,_, previo, determinato ed efficace ab intrinseco. IL CONCORSO B LA LIBERTÀ

227. - Da altra fonte, doè dall'esperienza e da ragionamenti altrettanto certi, sappiamo che l'uomo è libero (V. Psicowgia). In conseguenza, iWbbiamo affermare che il concorso (meglio, la ) di Dio, quando si esercita su di un essere intelligente, «non distrugge la libertà >> e quindi, pur essendo detemùnato ed efficace ab intrinseco, è anche > (1). cc Solus Deus potest inclinationem voluntatis, quam ei dedit, transferre de uno in aliud, secundum quod vult »(2). Iddio quindi può, ad es., conver· tire quando vuole qualsiasi peccatore, può farsi amare e condurre alla santità qualsiasi giusto in qualsiasi circostanza (3). Sì noti l'importanza di questo corollario. t! questo il punto in cui fanno capo a questa questione due diverse concezioni dell'ascetica e due diverse impostazioni dell'apostolato cattolico. La decisione che costituisce la radice della santità viene, dicono i molinisti, soltanto dalla volontà; dunque si darà la massima importanza ai mezzi psicologici (riflessioni, esami, ripetizione di ani ecc.) tendenti a costituire e confermare il t propositum nostrum •>: l'uomo deve santificarsi. La decisione viene principalmente da Dio · o i tomisti dun · orta s~ raffufto ottenere lmterv.t,n o vmo e si insisterà principalmente sulla preghiera, acramenn, fedeltà, bbandono: l'uomo deve ottenere la santi a.zWne da Dio. r uesta vergenza si ripercuoterà s aposto ato, m cui l'uno ricorrerà soprattutto ai mezzi psicologici, perchè rutto sta nel fat decidere in bene il peccatore; l'altro confiderà massimamente nell'intervenro di Dio, poichè tutto dipende da Lui.

§

2. -

Prescienza divina.

Possiamo ora risolvere un'importante questione circa la scienza divina, lasciata in sospeso al Cap. I perchè connessa con quella del concorso e dipendente da essa. ToMMASo, De Verirare, q. 22, a. 8: urrum Deus wluntatem cogere possir. Ibidem, B. 9· - Confronta pure: S. Th. l, q. u I, B. 2 e Contra Genres, L. III, C. 88 e 89. (3) È quindi erraro ed cmrropomorfico pensare un Dio che insegue la sua creatura, (1) S.

(2) S. ToMMASo,

cercando il suo amore e che non lo può sempre ottenere. Cosi parla ad es. GRATRY, Op. cit., pag. 377 ss.: o La libenà del cuore dell'uomo è tale ... che può respingere per aernpre il cuore di Dio o; • Il Padre degli uomini ci ha amati abbastanza per crearci, aapendo che avrebbe da sollecitare il nostro amore senza poterlo sempre ottenere • e parla di una •lotta incredibile in cui l'uomo può vincere Dio •. Ben diverso è il linguaggio della Sacra Scrittura (che noi qui consideriamo come documento unicamente umano), che dice in Ezechiele, Cap. XXXVI: t ... dabo vobis cor novum et spirirum novum ponam in medio vestri; et auferam cor lapideum de carne ve stra et da bo (si noti la forza affermativa dei verbi) vobis cor carnewn. .. et faciam ut in praeceptis meis ambuletis et iudicia mea custodiatis et operernini ... et displicebunt vobis iniquitates vestras et scelera vestra ... non propter vos ego faciam, ait Dom..inus Deus, notum sit vobis ... •· Si legga rutto questo capimlo e si avrà dinan.z:i un altro Dio, il vero Domirwtorc.

CAP. VI - LE OPERAZIONI DI DIO SUL MONDO

LA

193

QUESTIONE

233. - I) La questione riguarda, genericamente, la conoscenza divina delle cose finite. Non si cerca però se Dio conosca tutte le cose finite, possibili e reali. Si ammette pure già che Dio conosce tutte queste cose con un atto eterno (e che quindi le preconosce), che le conosce con as3oluta certezza (e non solo per una qualche congettura) e senza dipendere da esse. Tutto questo è già stato dimostrato ed è ammesso concordemente dalle scuole cattoliche. Si cerca esattamente il medium in quo (1) della conoscenza delle cose finite da parte di Dio e non il mediwn in quo generico, che è cenamente Lui stesso, il suo essere; ma il medium in quo speciale, preciso, per le diverse specie di cose. Si cerca cioè qual'è l'aspetto preciso del suo essere che, conosciuto da Lui, gli rivela le varie cose; in cui ~gli le può vedere e le vede di fatto. ' '1

234. - 2) A questo riguardo si è ancora d'accordo. a) Circa i posribili (cioè circa i puri possibili e le cose reali in quanto possibili): Dio li conosce nella propria essenza in quanto imitabile ad extra. Questa scienza è detta >che Egli ne !Ul (1). cc Deus quia perfecte cognoscit omnes propensiones et totum ingenium animi nostri, et rursus non ignorat omnia quae illi possunt occurrere in singulis deliberationibus, et denique perspectum habet quid magis congruum et aptum sit ut moveat talem animum tali propensione praeditum, infallibiliter colligit quam in partem sit anirnus inclinaturus n (2). b) Per Suarez, Mazzella ed altri, Dio le conosce nella propria essenza, per l'oggettiva verità che esse hanno. Lo spiegano in questo modo: di due proposizioni contraddittorie come le seguenti: Pietro in tali circostanze peccherà, Pietro in quelle circostanze non peccherà, una ed una sola è vera e l'altra è falsa, prima di qualsiasi decreto. Ora Dio conosce in sè ogni verità, dunque sa anche qual'è la vera e quale la falsa. c) Altri (Remer, Boyer, Pio de Mandato, Amou eu ... ) pongono una distinzione: I futuri Meri Dio li conosce nella sua eternità, in quanto per Lui sono sempre presenti, e perciò li vede mentre sgorgano dalla causa seconda: sono sempre sono gli occhi dì Dio (3). Spiegazione: rutto ciò che è disperso nel tempo (passato, presente, futuro) è sempre raccolto nell'eternità, come incluso in essa, e quindi sempre presente per Dio. Perciò Dio può conoscere gli atti liberi che per noi sono futuri, osser· vandoli mentre la causa libera li produce (4), come noi vediamo le cose presenti. Così chi è sopra un monte vede contemporaneamente molte cose, che chi è in basso non vede che una dopo l'altra. È chiaro come tale scienza sia certissima e come runavia non comprometta la libertà: Dio vede la decisione, che viene solo dalla causa libera, quando già è stata presa e non può più essere diversa percbè ormai c'è e • omne quod est, dum est, necesse est esse~.

(I) La causa libera le conosce in Se stesso, nella sua essenza, come tutti i possibili. (2) BELLARMJNO, De Graria el Lib. arb., L. IV, 15; MOLINA, Concordia, q. 14, a. 13, Disp. 52. (3) • Ipse actuatis eorum egressus a causis subd.itur praesentialiter oculis d.ivinae JDentis • CALCAGNO S. J., Philosophia scholasrica, vol. II N. 519. (4) Logicamente, dopo che si è decis01.

P. II - NATURA DI DIO

I futunòi/i invece li conosce nella propria essenza che include tutto ciò che è vero; ma il modo preciso non è determinabile a noi. Questa è la sentenza oggi più tenuta (1). d) Infine molti, pur ritenendo necessaria una scienza media per salvare la libertà, ritengono impossibile precisarne la natura e la dichiarano un mistero (2). SoLUZIONE

239. - Aderendo al Tomisrno poniamo la seguente: TESI: r) Dio conosce i futuri liberi ed i futuribili nei suoi decreti. 2) La scienza media non è ammissibile. PRovA DELLA PRIMA PARTE: Dall'argomentazione fatta al N. 219 ss. risulta che nessuna volontà creata può prendere una decisione senza una premozione determinata ed efficace ab intrinseco, causata da Dio con un libero atto della Sua volontà o decreto. Dunque nulla è futuro libero o futuribile se non in dipendenza da tale decreto (3). Dio poi conosce perfettamente se stesso e perciò anche i suoi decreti; in essi dunque conosce eternamente i futuri liberi ed i futuribili. NOTA. - Questa è una prova positiva, basata su principi certissimi, e non

si vede come si possa respingere (Vedi N. 224). Il Molinismo invece non ha argomenti positivi, ma si basa unicamente sull'affermata impossibilità della soluzione avversaria.

240. - PROVA DELLA SECONDA PARTE. Premessa. - Perchè la soluzione molinista possa essere accettabile non basta che si presti meglio del tomismo a risolvere alcune difficoltà particolari, è necessario pure che non contrasti con nessuno dei principi filosofici dimostrati altrove ed assolutamente cerò. Alla luce di tali principi esamineremo anzitutto la scienza media in generale e vedremo se sia possibile una qualunque scienza media. Con questo si potrà giudicare dall'opinione di coloro che la ritengono possibile e necessaria, pur rifìutandosi di descriverla in concreto ed anche ritenendolo impossibile a noi. In seguito esami· (1) Ogni autore però ba sfumature sue particolari. (2) • C'est là le mystère, l'insondable mystère; de toutes les explications proposées a.ucune n'est complètement satisfaisante. Expliquer cene science c'est oeuvre de dilet· tantisme philosophique • DE REGNON, Banez er Molina, 1890 p. II]. ()) Assoluto per il futuro libero, coruJi;~iOfUJto per il futuribil~:,

CAP. VI - LE OPERAZIONI DI DIO Sl)L MONDO

199

neremo alcuni dei tentativi fatti per precisarla in concreto, cioè i vari tipi di scienza media proposti dai molinisti 241. - Impossibilità di qualsiasi scienza J!ledia. La scienza media in generale, si definisce u scienza per cui Dio conosce con certezza le realtà che dipendono dalle cause libere prima di qualsiasi suo decreto ». Noi diciamo che una tale scienza è impossibile percbè ammettendola 1) Si sottrae qualche realtà finita alla causalità utziversa/e di Dio (e con ciò si toglie a tali realtà la loro ragione sufficiente). Infatti perchè Dio possa conoscere la decisione della volontà, prima di ogni suo atto di volontà e quindi prima di ogni suo influsso causativo, è necessario che essa sia già reale prima di ogni sua azione. Dunque per ammettere la scienza media si deve ammettere che la decisione della volontà viene da essa soltanto ed in nessun modo da Dio (r). Con ciò però la decisione della volontà, che è pure una realtà 0/. N. 223), e con essa la bontà morale, la virtù e la santità, viene sottratta alla causalità divina e fatta derivare solo dalla causa seconda. Questo però è incompatibile con i principi di causalità e di ragione sufficiente (2). Dunque non si può dare scienza media: Dio non può conoscere le realtà libere prima del suo decreto. 242. - 2) Si pone una passività nella scienza divina. Infatti se la decisione della volontà non viene da Dio ma da essa soltanto, Egli per conoscerla dovrà osservare la volontà, informarsene da essa. Dunque la conoscenza che Egli ne ba è causata da noi, noi insegnamo qualcosa a Dio. In altre parole: Dio prima di qualsiasi suo atto di volontà, prima cioè che venga in qualsiasi modo da Lui, conosce la decisione della mia volontà. Che quell'atto a preferenza degli altri ugualmente pc s :i bili in quelle circostanze sia quello scelto non dipende ancora in nessun modo da Dio, ma solo da me; come dunque potrà saperlo se non rivolgendosi a me (3)? Dio quell'atto lo vede nella propria Essenza; ma in essa non è un futuro, bensl un puro possibile. Quindi per conoscerlo corne futuro (o futuribile) prima (1) Dio al massimo, secondo alcuni molinist:i, muove in modo generico (come il vento agisce ~ulla nave), ma la direzione del movimento, che sotto tale spinta io faccia questo o quello, la vera scelra viene soltanto dalla mia volontà. (Z) Si deve infatti ammettere un essere (la çausa libera) che muove ae stesso ed un'entità (la decisione) senza ragione sufficiente. (3) È la ragione per cui Aristotele, che non conosceva la causalità di Dio rispetto al mondo, fu indotto a ne~are che Dio lo çonoscesse. Qui tale ragione si applica pie~­ p:tente,

200

P. II -NATURA DI DIO

del tùcreto della sua volontà, cioè per averne una scienza media, Dio deve vederlo fuori di sè o in esso stesso o nella Cl USa che l'ha reso tale: la volontà creata. Questo però è dipendere, è ricevere ed è perciò incompatibile con la perfezione infinita dell'Atto puro.

La passività di Dio, implicata dalla soluzione moli.n.ista, passa dalla scienza anche all'agire di Dio. Infatti che uno dei vari concorsi simultanei, ((offerti )) da Dio alla volontà in una certa circostanza, diventi u dato )) a preferenza degli altri e quindi che Dio operi in un modo o in un altro, dipende dalla decisione della volontà (r). SPIEGAZIONI MOLIN!STB: I) La scienza di Dio dipende dalla decisione della volontà come da condizione o da termine, non come da ClUS3. Cioè l'esistenza della decisione è la condizione perchè Dio la conosca, ma non Clusa tale conoscenza. (RA.sT, Theologia naturalis, Friburgo 1939, N. 318, CALCAGNO, Op. Cit., N. 520). R. Tale distinzione è inutile: si ha una realtà che in Dio non c'è, neppure 01usaliter; Egli non può dunque conoscerla se non riceve una 'species impressa~ da essa. Dunque: o la cosa causa in Dio il necessario perchè Egli la conosca o Dio non la conosce. 2) Dio si è imposto da sè tale dipendenza creando esseri liberi (RAsT, Loco citato), come si impone di dipendere dall'esecuzione del rito sacramentale nell'infusione della grazia (2). R. Dio non può imporsi qualcosa che è contraddittorio e distruggerebbe il suo essere di Dio. Nel caso poi del sacramento non c'è nessuna dipendenza, ammesso il tomismo, perchè anche l'esecuzione del rito è 01usata da Lui.

NoTA. Sta dunque, inevitabile, l'alternativa: o Dio determinante o Dio determinato; chi ammette la scienza media sceglie la seconda parte. 243. - 3) Si viene a negare la libertà (3). Infatti perchè Dio possa conoscere con certezza le realtà dipendenti dalla volontà creata quando ancora non esistono, esse devono essere precontenute in qualche realtà, predeterminate in qualcosa che esiste già. Questo qualcosa non è il decreto di Dio. Sarà perciò o una creatura (volontà, circostanze ecc .. ), oppure una intrinseca ed ineluttabile esigenza all'essere che Dio può vedere nella propria essenza. (t) Non si dica perciò (CALCAGNo, Philosophia scholastica, vol. II N. 511) che Dio può conoscere senza passività l'atto libero nel decreto di cooperare con il coocorso simultaneo, poichè tale decreto • è posteriore • alla scienza media e com'essa dipende dalla decisione autonoma della volontà libera. (z) E si potrebbe dire: come dipende dall'atto umano nella creazione dell'anima del nuovo essere ecc... (3) Diciamo cioè che la scienza media, escogitata per salvare la libenà um2na, jn realtà non la salva; ma anzi la ne~a. Se è vero il molinimw noo esim Jibertq.

CAP. VI - LE OPERAZIONI DI DIO SUL MONDO

201

Ora è nell'essenza della libertà che l'atto libero non sia precontenuto infallibilmente in nessuna delle sue cause create e che non abbia una esigenza ad essere piuttosto che a non essere, altrimenti resta soppressa ogni possibilità di scelta da parte della volontà. Perciò: se esiste la libertà, Dio non può aver scienza media e se ba questa scienza, si deve negare la libertà. NoTA. - 1) A questa difficoltà parrebbe sfuggire il terzo tipo di molinismo -esposto sopra. In realtà si vedrà che questa sentenza non spiega nulla e quindi, in verità, non è neppure un tipo di scienza media. È intrinseco alla scienza media che Dio, per essa, veda le decisioni future in una loro ver-ità che esse hanno già e che toglie la possibilità che non avvengano poi in questo modo. 2) Anche per il tomismo gli atti liberi sono già precontenuti infallibilmente in un'altra realtà; però questa è l'azione onnipotente di Dio, che non è evidente che non possa muovere la volontà senza forzarla. Si deve dunque dire: non c'è prescienza senza predeterminazione; se questa viene dall'azione divina può rimanere la libertà, se questa viene da altra pane la libertà è soppressa. Dunque il tomismo è l'unica via per conciliare la prescienza divina e la libertà (I).

C o n c l u d e n d o : Qualsiasi scienza media sottrae qualcosa alla causalità divina, pone passività in Dio e distrugge la libertà umana. Perciò è impossibile. 244. - Difficoltà particolari dei diversi tipi di scienza media (z). Si può anzitutto notare che la stessa molteplicità e discordanza delle dot· trine moliniste ncn è sintomo di veritd. Si può quasi dire del molinismo ciò che Remer (Critica, N. 113) dice delle varie correnti idealiste: • non se ne trova una che piaccia a molti di più che al suo autore • e facilmente si trova la confutazione di ognuna di tali dottrine presso altri wolinisti. Ciò dà a pensare che non si sia nella verità. Concretamente si osservi: a) Molina e Bellarmirw proposero la ~ supercomprensione della causa seconda •. Suarez e Mazzella confutano dicendo che e o tale scienza è solo congetturale o non vi è più libertà: perit libertas 9 (3). Infatti la decisione libera non può essere precontenuta nella costituzione stessa della volontà, cosicchè ne segua infallibilmente. b) L'opinione del Suarez, per cui fonte di tale scienza è la verità oggettiva di una delle due contraddittorie, è cosi confutata da Remer (loc. cit. coroll. 2' 1): c Hac cognitione (Deus) sciret utique, quod et nos, aliquid esse determinate (r) Si noci qui che, poichè l'atto libero non può essere preconosciuto che nel decreto divino, la profezia cioè la previsione certa di atti liberi non può appartenere che a Dio. (2) Si noti però che le vie escogitate potrebbero essere tutte false ed il molinismo vero. Si veda un caso analogo circa la teoria dell'Evoluzione (Psicologia N, 72). Per qualsiasi scienza media vale la prova antecedente. (3) Cfr. SuARl!Z, Op. II De Scientia Dei fururorum contingentium, C. II, c. 7. Confronta pure tale confutazione in REMER S. J., Theologia naluraJis, pag. I)O, Coroll. 3° e BoYBR S. J., Op. cit., vol. II, pag. 419.

P. II - NATURA DI DIO

202

verwn; sed nesdret quid detenninate esset futurum adeoque verum ». Saprebbe cioè che una ed una sola delle due si verificherà, ma non I[Uille si verificherà. Se poi si volesse sostenere che è già fisso in W13 verità eterna quale delle due pssibilità si verificherà, allora si sopprimerebbe non solo la libertà creata, ma anche quella di Dio, ponendo sopra di tutto un inesorabile Fato logico. Infatti anche delle proposizioni: il mondo esisterà e: il mondo non esisterà, la prima sarebbe vera prima di ogni decreto divino e l'esistenza del mondo (ed ogni altra cosa) non dipenderebbe più da nessuna volontà. c) Si ha iniine la corrente moderna per cui Dio conosce i futuri liberi nella propria eternità, come atti già emessi, in quanto tutto ciò che è disperso nel tempo è sempre presente per Lui. Per giudicarne occorre tener presente il significato esatto di questa ~ presenza costante • delle cose passate, presenti e future all'eternità divina (N. I39): sono sempre presenti in Dio nel loro equivalente divino e ncn a:ssolutameme in un loro essere fisico, distinto da Dio stesso (I), come intendono questi molinisà (Cfr. REMER, Op. cit. N. I I3). Posta però questa precisazione, dire che Dio conosce gli atti liberi nella sua eternità per la presenza costante che hanno in essa, equivale a dire che li conosce in quell'aspetto dell'essere divino in cui sono precontenuti. Ora questo non spiega nulla: anche i tomisti dicono ciò. La questione era di stabilire che cesa sia quest'aspetto. Propriamente quindi questa sentenza non è che un gioco di parole (~) e non può neppure dirsi una precisazione della scienza media.

NoTA. - Inoltre questa conoscenza di Dio sarebbe sempre dipendente dalle cause seconde, sarebbe sempre un guardare le cose, un informarsi da esse. Proprio a questo riguardo, dice molro bene Molina che non serve nulla alla scienza divina che gli eventi futuri siano o non siano presenti, nella loro esistenza, all'eternità divina (3): Dio non li può vedere in loro stessi.

S J•

-

Osservazioni conclusioe. OOOSSIBILIT À DI UNA TERZA SOLUZIONE

245. - Stante le gravi difficoltà di ognuna delle due soluzioni presentate alle questioni del concorso e della prescienza degli atti liberi, (I) c ... J'e11, stante hac sententia, haberent duplex esse physicu.m, alterum in aeternitate, alterum in tempore in quo acru existunt, quod viderur nimis absurdum. Si nondum in se ex:isrunt, nequeunt pro altero existere, seu ei " coexistere., • M. RAsT S. J., Op. cir., N . .2.47· A questo riguardo lo stesso MOLINA dice: • ingenue me fateor me id non intelligere, neque ulla ratione verurn esse existimo • Crmcordia, q. 14, a. 13, disp. 49· (2) • Qui quaestionem nostram de medio in quo Deus cognoscit furura, solvere nitunrur dicendo Deum videre furura in aeternitate sua, petunt principium, quia agirur de medio per quod haec futura primo constiru.anrur in aetemitate ... 1 J. GREDT, Op. c:it., N. 872. (3) • Existentia rerum, sive in tempore aive in aeternitate, ail c:onfert ut Deus a:rto sciat quid futurWll aut non futurwn ait 1 CrmamJia, loc. cit.

CAP. VI - LE OPERAZIONI DI DIO SUL MONDO

203

si potrebbe pensare che siano tutt'e due false e che la verità s:z' tro'OÌ in una terza soluzùme, non ancora escogitata e forse irraggiungibile a noi, che concili gli elementi di verità del Tomismo e del Molinismo. Storicamente infatti si ebbero non pochi tentativi in questo senso. In realtà ciò è impossibile, perchè le soluzioni Molinista e Tomista sono tra loro esattamente contraddittorie e tra due contraddittorie n non datur medium n. L'essenza del Tomismo sta nell'affermazione che Dio predetermina (1) la volontà libera e l'essenza del Molinismo sta nell'affermazione che Dio non predetermina la volontà libera; a ciò segue come conseguenza che secondo il tomismo Dio conosce gli atti liberi dopo il suo decreto ed in esso e secondo il molinismo li conosce prima. Ora, tra queste affermazioni non si dà via di mezzo: o predetermina o non predetermina, o conosce dopo il decreto o conosce prima; è imptmibile una terza sentenza (2). Di fatto i tentativi compiuti in questo senso sboccarono sempre in una delle due soluzioni Di più, proprio perchè contraddittorie, una delle due è certamente vera. La verità si trova ;,. wuz di quesu d~ soluzioni.

CoNFRONTO COMPLESSIVO DEL TOMISMO E DEL MOLINISMO

246. - Con uno sguardo complessivo sembra si possa dire: Il tomismo ha in suo favore un argomento positivo cui non si vede come sia possibile sfuggire, salva bene gli attributi divini e per la libertà si rifugia nelle infinite possibilità dell'azione divina e nella nostra scarsa conoscenza dello spirito. Il molinisrrw non ha argomenti positivi, ma si basa soltanto sul rifiuto della prova tomista e fano, si badi, non mostrandone l'inconsistenza (che sarebbe metodo giusto) ma soltanto respingendone la conclusione; esso non salva la libertà ma anzi la compromette irrimediabilmente e non si può conciliare con gli attributi divini (causalità universale e indipendenza). Importante sopratutto come elemento di giudizio è la diversità di procedimento: il tomismo procede da chiare esigenze dei primi principi e poi raggiunge punti che non è più possibile chiarire; il molinismo procede dall'afferma(1) Cioè: premuove in modo determinato ed infallibile. (2) Altra cosa sarebbe se oi confronrasse il tomismo con soluzionJ moliniste particolari come ad es. quella di Molina stesso. Allora si potrebbe pensare ad UWI teu.a senNon illvece 11e si confronta tomism.o e molinismo in genere.

t=.

P. II· NATURA DI DIO zione dell'impossibilità del concorso tomista, basandosi soltanto su di una im· perfetta conoscenza dell'azione divina e della libertà, e poi raggiunge difficoltà altrettanto insolubili. Il primo è solido e può invocare il mistero, il secondo sembra non possa invocare che l'arbitrio.

Perciò riteniamo che la verità non stia nel molinismo.

LA

SEmEnA DI

S. TOMMASO

247. - Com'è noto, la discussione si svolge pure circa il pensiero di S. Tommaso al riguardo; anzi, talvolta, i due gruppi avversari sembrano quasi più preoccupati di stabilire la loro conformità con S. Tommaso che la conformità con la verità. Non possiamo qui addentrarci nella questione. Facciamo soltanto osservare: 1) Molina riteneva che la sua soluzione fosse nuova, diversa ed anzi in contrasto col pensiero di S. Tommaso. Ne parla infatti in questi termini: • Haec nostra ratio conciliandi libertatem arbitrii cum divina praedestinatione, a nemine quem viderirn hucusque tradita ... t (Concordia, q. 23, a. 5). Cosi pure altrove (Concordia, q. I4, a. I3, disp. 26) afferma: 3; Dio e il T. 135 ss. (Vedi: Eternità). TEoLOGIA: T. naturale, concetto r; è parte della metafisica r; oome è fonda~ mento di ogni religione rivelata r, z, 11; sua importanza ed inevitabilità 2; divisione 3; T. soprannaturale r. TEOSOPIA: I.

ToMISMO: nel problema del concon;o (V. Concorso); della prescienza (Vedi Prescienza); tra T. e molinismo • non datur tertium • 245; il pensiero di S. Tom.maso circa la questione 247. TRADIZIONALISMO: circa l'es. di Dio !Oj critica u. l'RAsCENDENZA: senso esatto di T. s, 141 ss.; valore trascendentale dei principi 20.

u UBIQUITÀ: si distingue da Immensità 123; non è • proprietà t di Dio 123; è posseduta da Dio 126,2. UNICITÀ: Dio è unico II9 ss.; dall'U. dipende l'immensità 124,2. UNIONE: •l'U. del diveno esige una cawa • 35, 38, 44-

v Vl!IUTÀ: Argomento delle V. eterne 51 ss.; l'eternità e necessità delle V. è oggettiva 53• 55,2; loro fondamento immediato 53, e ultimo 53, 54; la scienza di Dio causa la V. delle cose 164, zo7 ss. VIA: senso di V. nella ricerca dell'es. di Dio 24; numero delle V. 24, 84. Vmro: V. in Dio 181. VITA: l'origine della V. come prova

228

INDICE ANALITICO

dell'es. di Dio 33, 74; è perfezione semplice 114,nota; senso esano di V. eterna 137.4; la V. in Dio 185. VIVENTE: il V. non si perfeziona totalmente da sè 29; il V. organico dipende nell'essere 35; Dio è V. I 85. VoLoNTA (in gerrere): concetto di V. e suo oggetto formale r 65; la V. è farra per l'infullto 61; sua libenà ed incontentabilità 61; argomento dalla natura della V. 56 ss.; in ogni atto è mossa da Dio 33, 219 ss.; non può agire senza un concorso determinato ed efficace ab intrinseco 223; nel decidersi la V. veramente muta 223, non può volere il bene senza Dio 232; Dio la può piegare come vuole 232,4 - 247; Dio può impedire il peccato senza violare la libertà 263.

(di Dio, esistenza e natura): la legge morale esige una V. eterna 62 ss.; Dio possiede la V. 165 ss.; la V. di Dio è immutabile 132; in Dio la V. non è distinta dall'essenza nè dal suo atto 167; la V. di Dio è perfettamente razionale 167, 182; non volubile 167; impeccabile 167; come vuole il male 174; concetto - definizione della V. di Dio r68. (di Dio, oggetto): Dio ama Se stesso e questo è l'oggetto primario del suo volere 169; si lliil.3 necessariamente 170; tale amore è santo 171; ama le cose finite 174; tutte 174; con l'atto con cui ama Se stesso 175; di amore di benevolenza 176; liberamente 177 ss., 182, 183; con delle preferenze. 179.

INDICE GENERALE pag. !NTRODUZTONE . • • • . •

Oggetto e definizione.

Importanza della ricerca. - Divi>ione. PARTE PRIMA

ESISTENZA DI DIO I. - Premesse . . . . . 5 Artirolo I 0 ; La questione . . . . . . . . . . 5 Concetto nominale dì Dio. - Il problema. - Le sentenze. Arricolo 2°: L'unica via di soluzione . . . . . . . . . . . . 9 L'esistenza dì Dio va dimostrata. - Non può esser dimostrata che a po5teriori. Articolo 3°: Possibilità della dimostrazione a posteriori . . . . . . . 15 Oggettività della nostra conoscenza. - Esistenza dell'intelligenza nell'uomo. - Valore del principio dì causalità. - Conclusione generale.

CAPITOLO

II. - Dimostrazione dell'esistenza dì Dio . . . . . . . . . Articolo I o: Osservazioni generali . . . . . . . . . . . . . . . . Il termine delle prove. - Schema generale delle prove. - Numero delle prove. Articolo 2°: Dalla mutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dimostrazione. - Soluzione delle difficoltà. - Atteggiamenti principali delle prove. Articolo 3°: Dalla dipendenza nell'essere . Dimostrazione. Articolo 4°: Dalla corruttibilità e finitezza Dimostrazione. - Soluzione delle difficoltà. Articolo s!t: Dai gradi delle perfezioni semplici . . . . . . . . . . . Dimostrazione. - Obiezioni e note. Articolo 6°: Dall'ordine complesso e costante . . . . . . . . . . . Dimostrazione. - Soluzione delle difficoltà. Articolo 7°: Dalle verità eterne . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dimostrazione. - Difficoltà.

CAPITOLO

22 22

24

33 35

39 43

49

INDICE GENERALE

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pag. Articolo go: Dalla natura della volontà . Dimostrazione. ArtiUJlo 9°: Dalla legge morale . . . . . . . Dimostrazione Articolo 10°: Altri argomenti e giudizio sul loro valore . . . . . • . Dal consenso universale. - Dall'origine dell'anima umana. - Dall'esperienza dei mistici. - Dal miracolo. - Dall'origine della vita. Articolo II 0 : Obiezioni generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . Obiezioni generali agli argomenti teisti. - Obiezioni estranee agli argomenti teisti. Articolo 12°: Conclusione . . • . . . . • • . ,

53

6o

65 71

L'ateismo . . . . . . . . . . . Concetto. - Esistenza. - Cause dell'ateismo.

APPENDICI!. -

PARTE SECONDA

NATURA DI DIO CAPITOLO

J. -

Conoscibilità della natura di Dio . . . • . . . , . • • 76

La questione. - La sentenze. - Soluzione. - Corollari. - Scollo: Cono-

scibilità di Dio com'c!: in se stesso. Il. - L'essenza di Dio . . . . . . . . . . . . . . . • . Dio c!: l'esistenza sussistente. - L'esistenza sussistente c!: l'essenza metafisica di Dio. - Corollari.

CAPITOLO

III. - Attributi entitativi . . . • Articolo 1°: Infiniti . . . . . . . . . • La questione. - Soluzione. - Corollari. Articolo 2o: Semplicità . . . La questione. - Soluzione. - Corollari generali. Articolo 3°: Unicità . . . . . . . . . . La questione. - Soluzione. - Il dualismo. - Difficoltà. Articolo 4°: lmmensiuì. . . . . . . . . . . La questione. - Soluzione. - Corollari. - Dio e lo spazio. Articolo 5°: Immutabilim . . . . . . . La questione. - Soluzione. - Difficoltà. Articolo 6°: Eternità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La questione. - Soluzione. - Corollari e note. - Dio e il tempo. Articolo 7°: Distinzione di Dio dal mondo . . . . . . . . . • • Il problema. - Panteismo. - Soluzione. - Difficoltà.

CAPITOLO

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92 92

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to6 II2

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IV. - Attributi operativi: L'intelligenza divina Articolo t 0 : L'intelligenza divina in se stessa . . . . . . . . . . 13 I Esistenza dell'intelligenza di Dio. - Modo dell'intelligenza divina. Definizione sintetica.

CAPITOLO

INDICE GENERALE

231

pag. Articolo 2°: Oggetto della conoscenza divina . . . • . . . • • . .

136

Oggetto primario: se stesso. - Come Dio conosce se stesso. - Oggetto secondario: gli esseri finiti. - Come Dio conosce le cose finite. V. - Attributi operativi: La volontà divina . . . . . . . . . 145 Articolo 1°: La volontà divina in se stessa . . . . . . . . . . . . . 145

CAPITOLO

Esistenza della volontà in Dio. - Modo della volontà divina. - Definizione sintetica. Articolo 2°: Oggetto della volontà divina . . . . . . . . . . . . . . 148 Oggetto primario: se stesso. - Come Dio ama se stesso. - Scollo I: La santità di Dio. - Scollo Il: La beatitudine di Dio. - Oggetto secondario: le cose finite. - Come Dio ama le cose finite. - Sentimenti e virtù in Dio. - Scollo I: Accordo tra libertà e sapienu in Dio. - Scollo II: Accordo tra la libertà e l'immutabilità di Dio. - Dio è vivente. - Dio è persona. CAPITOLO

VI. -

Le operazioni di Dio sul mondo • . . . . . . . ,

Articolo 1°: L'onnipotenza di Dio in se stessa . . . . . . . . . Esistenza della potenza in Dio. - La potenza divina è onnipotenza. L'effetto proprio della potenza divina. - Natura della potenza divina. Articolo 2°: Creazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . II mondo ha origine da Dio per creazione. - Fine della creazione. Il fine della creatura. - Creare è proprio di Dio? - Causa esemplare nella creazione. - Scollo: Dio nell'origine degli esseri finiti non creati. Arn'co/o 3°: Conservazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . Arn'colo 4°: Concorso e prescienza, specialmente circa gli atti liberi . § I. - Il COIU,orso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La questione. - Le sentenze. - Soluzione. - Il concorso e la libertà. Difficoltà al tomismo. - Note complementari. - Corollari. § 2. - Prescienza divina . . . . . . . . . . . . . . . . La questione. - Le sentenze. - Soluzione. § 3· - Osservazioni c.onc/usive . . . . . . . . . . . Impossibilità di una terza soluzione. - Confronto complessivo del tomismo e del molinismo. - La sentenza di S. Tommaso. Articolo s•: La provvidenza . . . . . . . . . . . . La questione. - Le sentenze. - Soluzione. - Corollari e note. - Difficoltà. INDICI! Al\IALITICO

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