Einstein e la sua generazione. Nascita e sviluppo di teorie scientifiche 88-15-02809-9

Questo libro si potrebbe definire un «romanzo di idee»: Feuer ricrea in un quadro variegato, denso di personaggi ed even

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Einstein e la sua generazione. Nascita e sviluppo di teorie scientifiche
 88-15-02809-9

Table of contents :
Einstein e la sua generazione......Page 1
Colophon......Page 6
Indice......Page 7
Introduzione......Page 9
Einstein e il Circolo di Praga......Page 13
Le oscillazioni politiche di Einstein: le spiacevoli leggi dell’universo sociale......Page 20
Il determinismo di Einstein......Page 27
Lealtà ebraiche e postulato deterministico......Page 29
L’amicizia di Einstein verso gli eccentrici......Page 34
L’umorismo di Einstein e la natura delle cose......Page 38
Rivoluzionario o pioniere?......Page 42
Note all’introduzione......Page 44
I. Le radici sociali della teoria della relatività di Einstein......Page 51
Zurigo: la pacifica culla della rivoluzione europea......Page 52
Friedrich Adler e Albert Einstein......Page 63
Ernst Mach: la genesi del punto di vista relativistico......Page 76
L’attrazione esercitata dalla filosofia di Mach sulla nuova generazione rivoluzionaria......Page 94
L’«Akademie Olympia»: una controcomunità Scientifica......Page 99
Controculture e linee isoemozionali......Page 105
La sublimazione delle emozioni rivoluzionarie nella teoria fisica......Page 109
Einstein rivoluzionario generazionale......Page 115
I «cantabrigians»......Page 121
I «parigini»......Page 125
Hermann Minkowski: l'architetto formalista della teoria della relativit¢......Page 131
Il cedimento dello spirito relativistico: Einstein come conservatore generazionale......Page 134
Note al capitolo primo......Page 146
Niels Bohr: Il circolo Ekliptika e lo spirito kierkegaardiano......Page 169
Il circolo «Ekliptika»......Page 170
Harald Høffding......Page 172
«Le avventure di uno studente danese»......Page 188
Il modello kierkegaardiano......Page 194
Niels Bohr: Il mite rivoluzionario......Page 210
Il Movimento della Gioventù Tedesca......Page 223
La rivolta logica contro il determinismo......Page 244
La rivolta dadaista contro il determinismo......Page 252
La rivolta filosofica contro il determinismo......Page 258
L’indeterminazione come premessa di una generazione......Page 263
Le premesse sociologiche nella filosofia della scienza......Page 267
Il lignaggio di De Broglie......Page 270
La vocazione alla rivoluzione scientifica......Page 273
I giovani bergsoniani......Page 277
La ritirata nella radiotelegrafia dell’esercito......Page 285
La nascita della meccanica ondulatoria......Page 286
Note al capitolo secondo......Page 295
L’idea di rivoluzione scientifica......Page 315
La disanalogia della rivoluzione scientifica: l’assenza di situazioni rivoluzionarie......Page 330
La collaborazione generazionale nelle rivoluzioni scientifiche......Page 347
I sistemi classici come casi particolari dei sistemi rivoluzionari: l’assenza di negazione qualitativa nelle rivoluzioni scientifiche......Page 363
Lo sviluppo non immanente e epigenetico delle nuove scienze......Page 368
La complementarità della rivoluzione generazionale soggettiva e dell’evoluzione oggettiva, cumulativa......Page 376
Note al capitolo terzo......Page 395
La nozione di isomorfema......Page 409
L’indole emozionale delle scuole scientifiche......Page 415
La tragedia di Ludwig Boltzmann: uno studio sulle conseguenze del fanatismo generazionale metodologico......Page 419
La controversia tra Planck e Mach......Page 426
Movimenti generazionali e comunità scientifica......Page 431
Relativismo generazionale e invarianza intergenerazionale......Page 434
L’evoluzione generazionale dalla contingenza empirica alla necessità razionale......Page 440
Conclusione......Page 447
Note al capitolo quarto......Page 449

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Le occasioni

xxxv

Lewis Samuel Feuer

Einstein e la sua generazione N ascita e sviluppo di teorie scientifiche

il Mulino

ISBN 88- 15-02809-9 Edizione originale: Einstein and the Generations o/ Science, New Brunswick, Transaction, Inc . , 1982. Copyright© 1 982 by Transaction, Inc . , New Bruns­ wick. Copyright© 1990 by Società editrice il Mulino, Bologna. Traduzione di Gianfranco Ceccarelli.

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, com­ presa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

Indice

p.

7

Introduzione

49

I.

Le radici sociali della teoria della relatività di Einstein

167

II.

Origini sociali, generazionali e filosofiche della teoria dei quanti

3 13

III.

Movimenti generazionali e «rivoluzioni scientifiche»

407

IV .

Il conflitto delle scuole scientifiche

Introduzione

Le parole forse più lusinghiere su questo mio saggio sono state scritte dall' autorevole psicologo sociale Serge Moscovi­ ci nella sua prefazione all' edizione francese . Egli ha trovato che il mio lavoro abbia realmente contribuito alla teoria sociale del­ la scienza e che sia libero dagli idiomi «cristalizzati» del funzio­ nalismo, del marxismo e del paradigmatismo. Moscovici ha scorto nella mia persona i tratti distintivi del vecchio «liberale» che ha proposto il processo di progresso scientifico a modello di co­ me i conflitti generazionali possano essere incanalati costrutti­ vamente. Sono lieto che egli abbia accettato la mia spiegazione sui motivi che videro scaturire la teoria della relatività da un circolo di squattrinati outsiders scientifici, anziché dalla «pira­ mide sociale» della scienza francese di cui l' Ecole Polytecnique era il centro gravitazionale . Moscovici ha tuttavia gentilmente mosso obiezione a quella che considera la mia innocente e com­ movente fede nella scienza, nonostante «i mostri che essa ha generato». Nondimeno egli è dell' opinione che . Eppure in questi nuclei simbolici erano racchiuse le energie emozionali che generarono nuovi prodotti teoretici . Il principio della complementarità au­ torizzava delle immagini del mondo coesistenti, di isomorfemi competitivi a condizione di tenere sempre presenti i limiti di ciascuna immagine risultante dalle condizioni sperimentali che le definivano . Niels Bohr, un uomo che non si sentiva alienato né dal pro­ prio paese, né dalla propria gente, crebbe amando sia il gioco che il lavoro di squadra. Mentre Einstein ha scritto: «Sono un cavallo che lavora da solo, e non sono tagliato per il lavoro in collaborazione o di squadra. Non sono mai appartenuto con tutta l' anima a un paese o a uno stato, al mio circolo di amici, o per­ fino alla mia stessa famiglia» 1 33, Niels Bohr poteva affermare

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il contrario . Era veramente felice di lavorare con i suoi colle­ ghi . Lo spirito di Copenhagen coltivato nell'istituto di Bohr, fece della città un centro di teorizzazione scientifica come non s ' era mai visto al mondo fin dai tempi di Padova. Inoltre Bohr non vacillò mai nella sua identificazione con la propria fami­ glia, paese e amici; non fu, in nessun senso convenzionale del termine, un intellettuale alienato . Le sue conquiste nella scien­ za erano compatibili col suo senso di solidarietà verso la società esistente . Non la considerò mai in decadenza, né fece appelli per la sua ricostruzione . A Bohr piaceva citare da una poesia di Hans Christian An­ dersen : « Sono nato in Danimarca e lì è la mia casa» e continua­ va: «Da lì incomincia il mio mondo», trasmettendo ai suoi ami­ ci l'idea che in Danimarca si trovava «l' atmosfera giusta» per combinare la tradizione alla ricettività di nuove idee 1 34. La Da­ nimarca era un paese privo di tradizioni rivoluzionarie o di idee politiche estremistiche . Nel XIX secolo non v'era stato nessun corrispondente danese dei movimenti rivoluzionari dell' Ame­ rica e della Francia. Il fermento sollevato dalla Dichiarazione d'Indipendenza o dalla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo scon­ volse altri paesi, ma non la Danimarca, dove questi documenti esercitarono ben poca influenza. «Copenhagen naturalmente», ha scritto K . B . Andersen, «aveva i suoi circoli dove i soci si riu­ nivano intorno ad una coppa di punch e cantavano canzoni con­ tro gli " alti papaveri" , ma lo spirito di rivolta espresso in que­ sti discorsi e in queste canzoni era generalmente molto mode­ rato». Il famoso Grundtvig, che influì sulla vita danese più di qualsiasi altro pensatore, fu «piuttosto un sostenitore dell' asso­ lutismo» 1 35. Ciononostante Grundtvig ispirò la «Comunità da­ nese», un movimento senza precedenti di autodidattica popo­ lare nella storia e negli studi classici . La costituzione danese del 1 8 4 9 , con le sue riforme democratiche entrò in vigore senza do­ ver affrontare un periodo di ardui cimenti . Più avanti nel seco­ lo, il movimento cooperativistico danese e quello sindacale ope­ rarono nell' ambito della struttura delle tradizioni democratiche. Città pacifica e democratica al pari di Zurigo, Copenhagen ospitò le assemblee dell' Internazionale Socialista 1 3 6 • La serenità del­ la vita danese fu tuttavia in grado di fornire il terreno su cui si sviluppò la visione innovatrice di Bohr, che ai suoi giovani colleghi stranieri dell'istituto soleva citare le parole di Grundt­ vig: «il diritto dei danesi soltanto per nascita, ma il diritto di

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tutti per le leggi dell'ospitalità» 13 7 . Bohr trasmise agli altri qualcosa del retaggio danese. Nella società danese, le tensioni generazionali poterono esprimersi in modi che non comporta­ rono la loro esacerbazione in odio . Infatti per un motivo o per l' altro anche in Danimarca i ri­ belli avvertivano un senso di sicurezza in una rivolta localizza­ ta in un ambiente moderato . Malgrado tutte le sue focose de­ clamazioni, S�ren Kierkegaard poté scrivere di Copenhagen nella stessa maniera affettuosa con cui Socrate e Pericle avevano par­ lato di Atene : Alcuni miei compatrioti sono forse dell'idea che Copenhagen sia una città noiosa e piccola. A me sembra, al contrario che, rinfrescata com'è dal mare . . . e senza essere in grado perfino d'inverno di allonta­ nare dalla mente il ricordo delle sue foreste di faggi, sia il posto più propizio in cui io possa desiderare di vivere . Abbastanza grande per essere una grande città, sufficientemente piccola per non avere nes­ sun prezzo di mercato fissato dall'uomo, dove il conforto tabulato che uno ha a Parigi per il fatto che vi siano cosl e cosà suicidi, dove la gioia tabulata che uno ha a Parigi per il fatto che vi siano cosl e cosà persone eminenti, non può penetrare in maniera molesta e trascinare via l'individuo come la schiuma, tanto che la vita non acquista nes­ sun significato, perché tutto fugge via nello spazio senza contenuto o troppo pieno di contenuto . Alcuni miei compatrioti trovano non abbastanza vivaci le persone che dimorano in questa città. A me non sembra. La rapidità con cui a Parigi migliaia di individui formano una folla tumultante intorno a una persona può lusingare quella persona intorno a cui si adunano, ma mi chiedo se ciò compensi la perdita del­ la tranquillità della mente che permette all' individuo di avvertire che dopotutto anch'egli ha un po' d'importanza. Proprio perché il prezzo degli individui non è crollato completamente . . . proprio per questi mo­ tivi, la vita nella capitale è cosl piacevole per chi sa come trovare ne­ gli uomini un piacere che è più duraturo 13 8 .

In modo analogo, la cultura danese possedeva per Niels Bohr un' armonia del tutto particolare . Per necessità e per scelta era cosmopolita: il paese era troppo piccolo per cullarsi in fantasie imperialistiche di superiorità culturale, eppure le sue risorse spi­ rituali erano sufficientemente ricche e razionali da permettere una ricettività attiva e critica nei confronti delle influenze stra­ niere rivali provenienti da Gran Bretagna, Francia e Germa­ nia. Come ha scritto Bohr: «Ciò che caratterizza più nettamen­ te la cultura danese può essere proprio quella disponibilità im-

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mediata di assorbire il sapere proveniente dall' estero, o che noi stessi portiamo in patria, e la capacità di mantenere quella vi­ sione della vita che è condizionata dal nostro retaggio». La lin­ gua danese, il mezzo d'espressione di un piccolo popolo, era non­ dimeno adeguata alle necessità scientifiche e manteneva un senso di attaccamento in coloro che la parlavano che si dissociava pro­ fondamente da qualsiasi idea di imperialismo linguistico . Niels Bohr poté quindi sottoscrivere calorosamente il patriottismo lin­ guistico di Kierkegaard : Come punto di partenza nel difendere la lingua danese contro l' as­ serzione che le lingue culturali più note hanno un valore maggiore, egli (Kierkegaard) esprime con tale calore e intensità i suoi sentimen­ ti per la ricchezza e la bellezza della nostra lingua madre e usa un tale livello artistico e profondità che le sue osservazioni sono valide non solo per la danese, ma per tutte le altre lingue, educandoci così nei tratti distintivi infinitamente sottili ed efficaci del linguaggio 1 39.

Nella fisica lo spirito di Copenhagen rappresentò pertanto un notevole corollario emozionale del senso presente in Bohr del retaggio culturale danese. Fu uno stile creato da Bohr, «uno stile», scrive Victor Weisskopf, di un carattere molto speciale che egli impose alla fisica. Lo vediamo, il più grande fra tutti i suoi colleghi, agire, parlare, vivere, come eguale in un gruppo di persone giovani, ottimistiche, gioviali, entusiaste, che affrontano gli enigmi più profondi della natura con uno spirito batta­ gliero, uno spirito di libertà dai vincoli tradizionali e uno spirito di gioia che difficilmente può essere descritto 1 4 0.

Fu la creatività di Bohr completamente esente dai modelli di rivolta generazionale che caratterizzarono il circolo di Zurigo­ Berna? Non furono le sue energie creative, incoraggiate com'e­ rano dalla sua famiglia e dalla sua comunità, immuni da ogni senso di alienazione? Furono forse in qualche maniera una for­ ma trasfigurata di energie partorite da vettori di ribellione ge­ nerazionale? Le energie della tensione generazionale sono universali, mu­ tevoli e fluttuanti come quelle della sessualità. Al pari delle ener­ gie atomiche in condizioni di elevata eccitazione, possono con­ durre a violente dissociazioni, mentre nelle interazioni più nor­ mali, possono provocare salti da orbita a orbita, o da gruppo

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a gruppo . Tali energie possono legare i compagni dei circoli ge­ nerazionali o indurli a bombardare i nuclei dell' autorità paren­ tale e sociale . L' analogia è giunta a far parte del nostro uso lin­ guistico : abbiamo infatti tutti sentito parlare di nucleo familia­ re come dell' unità basilare della società e riferirsi alle comunità generazionali come ai nuclei di una nuova società. Da queste energie di tensione generazionale sorge il malcontento e le idee ricevute vengono poi setacciate alla ricerca delle loro parti vul­ nerabili . Se mancassero queste energie, scomparirebbe il mal­ contento che le anima. Senza dubbio, il puro e semplice desiderio di conoscenza, che sta al centro della scienza, non è riducibile alla tensione ge­ nerazionale . Il desiderio di conoscenza può avere la sua fonte nelle energie sessuali sublimate, o forse nel desiderio del fan­ ciullo di superare la sua impotenza capendo il mondo . Lo spiri­ to dell'iniziativa scientifica si fonda su queste motivazioni ba­ silari che si riflettono anche nei criteri corrispondenti dell' ade­ guatezza delle teorie . Le prime suggeriscono l' uso della «bellez­ za» come criterio per l' adeguatezza di una teoria (come nel ca­ so di Einstein e di Dirac) . Il secondo porta a considerare il con­ trollo pragmatico degli eventi come metro del successo di una teoria; considera le teorie non come riproduzioni di una Intelli­ genza divina, bensì come prodotti o strumenti fatti dall'uomo . Ma qualunque sia la motivazione psicologica primaria, rimane il fatto che la successione di idee scientifiche viste come feno­ meno sociale è contrassegnata dal conflitto delle generazioni scientifiche . Infatti ciascuna generazione, mossa dal desiderio di conoscenza, cerca pur sempre di soddisfarlo in un modo nuovo. L' abbigliamento, ad esempio, si basa su delle generiche neces­ sità umane, eppure è sempre regolato, almeno parzialmente, dai cambiamenti della moda . Ciascun periodo si sforza di differen­ ziarsi con nuovi orientamenti nella letteratura e nelle arti, do­ ve i linguaggi dei vecchi non riescono inevitabilmente a parlare ai giovani . Lo stesso fenomeno accade nelle scienze . Come ha scritto il fisico George P. Thomson: «Le teorie della fisica che penetrano veramente in profondità, quelle che trattano dei fon­ damenti sono, curiosamente, una questione di moda» 1 4 1 • Le tensioni generazionali possono sfociare in conflitti vio­ lenti irriverenti, autodistruttivi e colmi di impulsi di rifiuto op­ pure possono stimolare la ricerca di nuove convenzioni, trasfi­ gurando l' impulso al parricidio, mescolando il vecchio e il nuo-

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vo in un giudizio di sintesi e con la consapevolezza che sebbene ciascuno debba cercare di realizzare le proprie formule preferi­ te, ciascuno ha la sua missione da compiere . Rivela la grandez­ za di Einstein il fatto che, all' apogeo del suo entusiasmo per Ernst Mach, egli seppe riconoscere anche l'enorme parte della realtà che era stata compresa grazie ai metodi dei suoi opposi­ tori, Boltzmann e Planck . Anche in Niels Bohr si avverte che le tensioni generazionali sono la molla principale della ricerca di nuovi modi di pensiero, pur senza che si manifesti il rivolu­ zionario generazionale . È molto interessante il fatto che la grande esplosione di ori­ ginalità «scientifica» avvenga in Niels Bohr dopo la morte del padre nel 1 9 1 1 1 42 • Cosa più importante, Bohr aveva percorso un viaggio emozionale-sentimentale che l'aveva condotto da Goe­ the, del quale suo padre era un «appassionato veneratore», a Kierkegaard 1 43 . Quale importanza ebbe questa transizione per lo sviluppo delle concezioni scientifiche di Bohr? Per quel che riguarda la scienza, Goethe andava soprattutto famoso per la sua ostilità verso gli esperimenti di Newton con la rifrazione della luce: applicare un prisma a un raggio di luce pareva a Goe­ the una violenza contro la natura. La Natura era femmina, la Natura era una dea che si concedeva a giochi amichevoli con gli uomini: Mit allen treibt sie ein Jredliches Spie!. La luce dove­ va rimanere imperscrutabile, una componente femminile di Dio, identica alla Natura, giacché Goethe credeva nella «pura, pro­ fonda, innata . . . visione che Dio è inseparabilmente dentro la Natura e la Natura dentro Dio» 1 44 • Era questa una singolare associazione di panteismo femminile e di prevenzioni antispe­ rimentali e nell' Ottocento provocò considerevoli discussioni fra gli scienziati. Von Helmholtz, il venerato caposcuola della scienza tedesca, scrisse di «questa visione della Natura» che spiega la guerra che Goethe continuò a combattere contro le compli­ cate ricerche sperimentali . . . Avrebbe voluto farci credere che la Na­ tura resiste alle interferenze dello sperimentatore il quale la distorce e la disturba e per vendetta mette fuori strada l'impertinente guasta­ feste con un'immagine falsata di se stessa. Di conseguenza, nel suo attacco a Newton Goethe spesso schernisce gli spettri, distorti attra­ verso un gran numero di fessure e di lenti precise e loda gli esperi­ menti che si possono compiere all' aria aperta sotto i raggi lucenti del sole 1 45 .

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Eppure Niels Bohr scelse come lavoro di tutta una vita di occuparsi di spettri e di rifrazione della luce e per di più, di as­ sumerli come indizi di realtà nucleari altrimenti inaccessibili. Pertanto, nella scelta dei problemi nella ricerca fis�ca, Niels Bohr ruppe con la metafisica goethiana di suo padre . E del tutto im­ probabile che Christian Bohr, un fisiologo sperimentale, sotto­ scrivesse tutte le opinioni antisperimentali di Goethe; nondi­ meno egli era un'entusiasta della filosofia del poeta. Inoltre, come entusiasta della Naturphilosophie di Schelling e di Hegel, Goe­ the aveva delle prevenzioni contro la matematica. Le spiega­ zioni dei fenomeni naturali avrebbero dovuto essere, secondo Goethe, chiaramente visualizzabili, avrebbero dovuto possedere la proprietà della Anschaulichkeit (intuizione visuale) 146 . Gli scrittori romantici hanno sovente affermato che soltanto l'in­ telletto inferiore pensa in termini di quantità e di numeri e che queste categorie sono inapplicabili alle realtà più elevate, acces­ sibili soltanto alle facoltà superiori della ragione . Un discepolo di Goethe si sarebbe quindi dovuto sentire vincolato dai pre­ giudizi antisperimentali e antimatematici 14 7 . Anche da questi dogmi Bohr volle allontanarsi. Il suo modello di transizioni elet­ troniche non era visualizzabile; le sue derivazioni delle possibi­ li orbite elettroniche erano matematiche. Soprattutto, Bohr non condivise l'ottimismo panteistico di Goethe, ma subì invece l'e­ sperienza dell' abisso senza fondo kierkegaardiano . Passiamo ora a esaminare il problema del motivo psicologi­ co che spinse Niels Bohr a respingere l' entusiasmo del padre per Goethe, e ad avventurarsi nel suo viaggio verso Kierkegaard. E il laureando delle Avventure di uno studente danese di M�ller che fa più luce sulle recondite ansie generatrici di Niels Bohr. Il laureando teme una paralisi delle sue facoltà di pensare e di agire; i suoi timori posseggono tutti i sintomi del «pensiero os­ sessivo». La persona che, come il laureando, soffre d'ossessio­ ni, è soggetta a un tipo di regressione in cui «il posto della deci­ sione definitiva viene preso da atti preparatori, il pensiero si sostituisce al fare e un qualche pensiero preliminare si impone sempre con imperiosa violenza al posto dell' azione sostituti­ va» 148 . Così il laureando si sente spinto a rievocare una serie indefinita di pensieri di pensieri di pensieri . . . all' infinito che sembra sempre precludergli di enunciare una conclusione e ana­ logamente di non prendere mai una decisione . Il laureando in­ terponendo ininterrottamente una serie di riflessioni sulle ri-

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flessioni sull' azione che si propone, provoca compulsivamente un baratro zenoniano tra la sua intenzione e qualsiasi risultato di azione per il suo fine o il suo obiettivo. Inoltre l'individuo che soffre di nevrosi ossessive è obbligato a diventare un epi­ stemologo scettico nelle attività di tutti i giorni; rimugina sul­ l'insicurezza delle sue premesse e sui punti deboli dei suoi ra­ gionamenti. Si chiede ad esempio se la sua memoria sia atten­ dibile e i suoi dubbi si propagano in modo contagioso, dilagan­ te, cosicché finiscono per applicarsi alle azioni compiute nel pas­ sato oltre che alla sfera temporale del presente e del futuro. Que­ sti processi mentali compulsivi e ossessivi sorgono in seguito a un conflitto basilare di impulsi contrastanti che impedisce alle energie di seguire il proprio corso d' azione normale . Le energie si consumano invece in fasi senza fine di pensiero preparatorio; l' azione necessaria viene repressa e si perde come un limite ne­ buloso a cui le serie infinite non possono mai avvicinarsi. Die­ tro lo schema ossessivo che sta alla base dell'inibizione dal com­ pletare un pensiero o un' azione, vi è la coesistenza cronica di amore e odio verso la stessa persona. Questi contrari antitetici non trovano mai una loro sintesi, anzi, il conflitto emotivo mol­ tiplica i pensieri associati in una sequenza infinita perché nes­ suno di essi la risolve 1 49 . Incapace di sopprimere o di sradica­ re una di queste coppie disgiuntive di emozioni contrastanti, l'individuo viene a trovarsi inibito da qualsiasi conclusione che confermi l'una o l' altra. Da qui sorge il bisogno compulsivo d'in­ certezza, la riluttanza di affrontare la realtà. A Freud pareva che le storie dei pazienti sofferenti di ne­ vrosi ossessiva rivelassero quasi invariabilmente uno sviluppo anticipato e una repressione prematura dell'istinto sessuale di guardare e di conoscere . Quando il desiderio di conoscere era dominante nel carattere del soggetto ossessivo, «principale sin­ tomo della nevrosi diventa il rimuginare . Il processo stesso del pensiero viene sessualizzato nella misura in cui il piacere ses­ suale, solitamente in rapporto col contenuto dell' atto di pen­ siero, è diretto verso l' atto di pensare in sé per sé» 1 5 0 . Il lau­ reando sembra proprio trovare piacere negli stessi processi in­ tellettuali preparatori prolungati all'infinito, inoltre nella sua prima infanzia ha probabilmente subito intense repressioni e non ha provato precoci soddisfazioni della curiosità sessuale. I pensieri ossessivi del laureando possono soprattutto aver avuto con tutta probabilità origine dall' opposizione nella sua

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psiche di un forte odio dello stesso vigore di un amore intenso. L' equilibrio nevrotico di indecisione alla fine è fondato su que­ sto equilibrio di vettori emozionali. E se ci chiediamo quale fu l'origine dell' enorme attrazione che gli scritti di Kierkegaard ebbero su Niels Bohr, la risposta è che rafforzarono la sua vo­ lontà, accentuarono il modo arbitrario e discontinuo di decide­ re, il salto da uno stadio all' altro senza l'intervento di continui­ tà zenoniane . La dialettica qualitativa fu una risposta liberato­ ria alle regressioni infinite; la volontà umana poteva asserire il suo primato . Lo strano protomodello della propria vita emozionale che Bohr trovò nel laureando di M�ller ci fornisce un'intuizione fon­ damentale del suo inconscio - una specie di radiografia del nu­ cleo emozionale-intellettuale della psiche di Bohr. Che Bohr fosse consapevole del suo distacco dai concetti paterni durante i suoi primi anni di scienziato, lo si può vedere dall'immagine che egli ebbe di sé negli anni successivi, come di un ritorno alle idee del padre e di una rappacificazione con esse 1 5 1 . In un' insolita allusione letteraria, Niels Bohr manifestò un certo sentimento di ribellione generazionale a cui non fece mai riferimento in altre circostanze . Nel fare la conoscenza di Wer­ ner Heisenberg, allora ancora un giovane studente, Bohr fu molto curioso di sapere cosa avesse spinto Heisenberg a partecipare al Movimento della Gioventù Tedesca. Bohr osservò : «In Da­ nimarca noi amiamo altre cose : gli eroi delle saghe islandesi co­ me il poeta Egill, ad esempio, figlio di Skallagrim, che all' età di soli tre anni disobbedì al padre . . . » 1 5 2 . Tra le tante saghe islandesi, Bohr ne scelse una che iniziava col rifiuto all'obbe­ dienza di un figlio in giovane età nei confronti del padre : evi­ dentemente questa libera associazione era un elemento fonda­ mentale dell'inconscio di Bohr. La saga racconta come Skalla­ grim, un uomo risoluto e taciturno, dalla Norvegia fuggisse in Islanda dopo alcune sanguinose uccisioni . Il suo precoce figlio Egill aveva i doni sia dello scaldo che del guerriero; a tre anni componeva versi e a sette aveva ucciso un compagno undicen­ ne di giochi . Egill era definitivamente un «bambino difficile»: in visita alla sua terra d' origine, la Norvegia, ingurgita smoda­ te quantità di birra durante una baldoria a base di libagioni e poi pugnala il suo ospite, il re 1 53 • Il racconto prosegue con al­ tri episodi della carriera di assassino, incendiario e capobanda di Egill. La sua è una figura barbara ma eroica. Al pari di Niels

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Bohr Egill è un secondogenito, descritto come «estremamente brutto e dai capelli neri come il padre. E quando aveva tre in­ verni, egli era grande e forte, perfino quanto gli altri bambini che già erano vissuti sei o sette inverni. Ben presto fu un chiac­ chierone e abile nelle parole». Quando il padre, la madre e il fratello maggiore furono convocati a un «patto» con il suocero, Egill doveva rimanere indietro, perché presumibilmente trop­ po giovane per comportarsi bene durante le «grandi libagioni», «ma non fu troppo contento della parte avuta in sorte . Andò nel recinto e trovò un cavallo da tiro . . . gli saltò in groppa e ca­ valcò dietro Skallagrim e i suoi». I compagni di libagione accol­ sero gentilmente il bambino , al che egli recitò una poesia che finiva con versi non certo carichi di modestia. Trovate un autore di odi dell'età di tre anni migliore di me .

Sua madre fu estremamente orgogliosa di Egill quando a sette anni egli compì il suo primo omicidio . Aveva dimostrato, ella disse, di avere la «stoffa del vichingo»: Ma quando caddero giocando insieme, allora Egill fu battuto dalla forza (di Grim, il suo avversario che aveva quattro anni in più) . . . Egill divenne furibondo e sollevò il bastone e colpì Grim, ma Grim gli mise le mani addosso . . . (e allora Egil si procurò un' ascia) . Poi Egill balzò su Grim e gliela conficcò in testa, tanto che gli entrò subito nel cervello .

Egill riferì puntualmente la sua impresa ai genitori. « Skala­ grim si comportò come se ci fosse poco da esserne contenti, ma Bera disse che Egill aveva la stoffa del vichingo e disse che quello sarebbe stato il suo destino non appena ne avesse avuto l' età, che ciò lo avrebbe portato sulle navi da guerra». L' adorabile as­ sassino di sette anni proruppe di nuovo in una poesia: Mia madre mi ha detto che Compreranno per me Un legno da guerra e buoni remi Per viaggiare lontano coi vichinghi; Per ergermi sulla prora, Manovrare la buona nave, Fermarla per gettare l' ancora in un porto, Spaccare un uomo o due con l' ascia 1 54.

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Egill, figlio di Skallagrim, propugnatore nelle saghe islan­ desi della presa di coscienza del bambino contro il padre, tra tutti gli innumerevoli personaggi, fu istintivamente il preferito di Niels Bohr. Da ultimo non può che lasciar meravigliati quanto poco si sia fatta menzione alla dualità culturale dell' ambiente di Niels Bohr: le origini ebraiche di sua madre Ellen e il retaggio lutera­ no danese di suo padre . Niels era profondamente affezionato alla madre, che tutti descrivono come una donna cortese e gen­ tile . Ella aveva evidentemente accettato di rinunciare comple­ tamente alla propria cultura ebraica, giacché non fu fatto alcu­ no sforzo per trasmetterne nessuna parte ai suoi figli. Eppure il padre di Ellen Bohr, il banchiere David B aruch Adler, era stato un personaggio di spicco della comunità ebraica. Nato nel 1 82 6 , David Adler aveva fatto parte del Consiglio dei rappre­ sentanti della congregazione ebraica di Copenhagen. Ai risul­ tati conseguiti nella politica e nel commercio egli aveva aggiun­ to svariate iniziative filantropiche, tra cui l'istituzione di un fon­ do per le vedove e le figlie di mercanti caduti nell'indigenza. In politica David Baruch Adler aderiva all' ala sinistra del par­ tito nazional liberale, era stato uno dei fondatori dell'Associa­ zione per il libero scambio e un membro sia della C amera Alta che della Bassa del parlamento . Dopo la morte di Adler, Ellen sposò Christian Bohr 155 • Possiamo soltanto congetturare fino a che punto un certo senso di tensione emotiva, di rinuncia di parte di se stessa o di malinconia nascosta fosse trasmesso da Ellen Bohr al figlio Niels. Certamente nell'infanzia di Ellen erano ancora significativi i racconti e gli scritti dello scrittore ebreo danese Meir Aaron Goldschmidt, il quale aveva descritto con risentimento le tante ingiustizie che avevano tormentato gli ebrei danesi nell'Ottocento 156 . La comunità ebraica della Danimarca era poco numerosa; nel 1 90 1 erano presenti soltanto 3 . 4 7 6 ebrei nel paese (1' 1 , 4 per mille della popolazione) e negli anni compresi tra il 1 8 94 e il 1 9 0 3 i matrimoni misti tra ebrei raggiunsero punte del 45 percento 15 7 . Niels Bohr non fu coinvolto, né s' identificò in nessuna attività collegata agli ebrei fino al 1 9 3 3 , quando insie­ me a suo fratello Harald, fondò il «Comitato di Sostegno ai Pro­ fughi Intellettuali», un'organizzazione creata principalmente per gli studiosi ebrei 15 8 . Quando durante l'occupazione nazista, fu organizzata una «Lega Danese Antiebraica», il suo giornale at-

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taccò Bohr nel maggio 1 94 1 , accusandolo di essere un ebreo che era assurto a una posizione di rilievo e di influenza nella vita danese 1 59. Nell'estate del 1 943 Bohr respinse l'invito a rifu­ giarsi in Inghilterra perché temeva che la sua fuga potesse com­ portare gravi conseguenze per l'intera comunità ebraica 160 . In settembre egli tuttavia venne a sapere che doveva essere arre­ stato come parte del piano di «deportazione» degli Ebrei. Fug­ gì quindi in battello in Svezia dove il suo primo pensiero all' ar­ rivo fu come aiutare gli ebrei danesi. Fino a quel momento non si era mai occupato di politica. Fu in gran parte grazie alla sua influenza e capacità di persuasione morale sul re e sul ministro degli esteri della Svezia che il governo si dichiarò disponibile ad accogliere tutti gli ebrei danesi i quali vennero così incorag­ giati a organizzare la loro fuga in massa 161 . Fra coloro tuttavia che vennero catturati mentre cercavano di sfuggire alle persecuzioni naziste, vi fu la zia di Niels Bohr, la famosa pedagogista danese Hanna Adler che allora aveva ot­ tantaquattro anni 162 . Niels l' aveva sempre ammirata e amata e aveva passato molto tempo con lei . Nella misura in cui gli fu impartito un senso della cultura ebraica, ciò probabilmente av­ venne attraverso i pensieri, i sentimenti e l'esempio di sua zia. Come preside di una scuola, aveva messo in pratica le sue idee pedagogiche progressiste. Per salvarla dai tedeschi, il ministro danese della pubblica istruzione, il sindaco di Copenhagen, il rettore dell'università e quattrocento suoi ex studenti firmaro­ no una petizione a suo favore, affermando che «il lavoro di tut­ ta una vita della signora Adler era stato tale che tutta la società danese era straordinariamente in debito verso di lei . . . La de­ portazione della signora Adler sconvolgerebbe un gran numero di danesi» 16 3 . Werner Heisenberg h a scritto con acume che «Niels è nato in un periodo in cui occorreva gran forza di carattere per libe­ rarsi delle idee ottocentesche e borghesi, e soprattutto dal pre­ dominio della dottrina cristiana» 16 4. Nella sfondo tranquillo di Copenhagen le energie per questa transizione di fasi dovevano derivare principalmente dagli sforzi personali del singolo . Al­ l'interno della famiglia Bohr che viveva in buona armonia, le tensioni, qualunque fosse la loro origine, furono nondimeno suf­ ficienti per far prendere a Niels un orientamento filosofico­ scientifico molto diverso da quello di suo padre . L' angoscia è collegata a situazioni di pericolo, reale o im-

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maginario, associato alla relativa impotenza dell'individuo . Re­ pressa nell' inconscio, può colpire l' individuo con una specie di paralisi. Egli può essere incapace di muovere fisicamente il brac­ cio oppure, come il laureando di M�ller, temere il corso, la di­ rezione dei suoi pensieri . Come abbiamo visto, l' identificazio­ ne di Bohr col laureando suggerisce un timore da parte di Bohr sull'orientamento che avrebbero potuto prendere le proprie idee; da qui il suo stato d' angoscia. Ma esiste un'enorme differenza tra un' angoscia espressa e un' angoscia risolta. La seconda com­ porta un atto di libertà che trasforma energie altrimenti dissi­ pate in energie creative. Ha osservato Freud: «Una persona anor­ male può divenire un fisico diligente» 16 5 . Sarebbe più accura­ to dire che l' angoscia risolta può partorire un fisico innovativo . Infatti risolvendo la propria angoscia, «oggettivandola», o tro­ vando nel mondo esterno degli aspetti isomorfi con i propri, si possono percepire, definire, chiarire degli elementi della realtà che fino ad allora non erano stati capiti . Werner Heisenberg e la rivolta contro il determinismo Il Movimento della Gioventù Tedesca

«L'interesse di un individuo a un determinato argomento e in certe direzioni», ha scritto il fisico Erwin Schrodinger nel 1 93 2 , «deve necessariamente essere influenzato dall' ambiente, o da quello che può essere chiamato il clima culturale o lo spiri­ to dell' epoca in cui uno vive». In quasi ogni ramo dell' attività umana, osserva Schrodinger, era sorto un desiderio di cambia­ mento, «un profondo scetticismo nei confronti dei principi tra­ dizionalmente accettati»; lo spirito del radicalismo non era più confinato a una «minoranza eccentrica e turbolenta» 166 . Tra il 1 9 1 3 , l' anno in cui Niels Bohr presentò per la prima volta la sua teoria quantistica dell' atomo e il 1 93 2 , quando Schrodin­ ger fece questa osservazione, vi era stato il cataclisma della pri­ ma guerra mondiale . L'economista John Maynard Keynes ha scritto un trattato famoso e influente dal titolo The Economie Consequences o/ the Peace, ma le più sfuggenti conseguenze intellettuali delle guer­ re mondiali sono state a mala pena esaminate . I massacri, le cri­ si, i disordini sociali che furono la conseguenza della Grande

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Guerra produssero o intensificarono nuove emozioni e motiva­ zioni inconscie tra gli scienziati e in egual misura tra gli artisti. Ebbe inizio una rivolta contro il determinismo a cui partecipa­ rono logici, fisici, pittori e poeti. Nei romanzieri e filosofi del­ l'Ottocento il movimento delle idee aveva oscillato tra deter­ minismo e libertà. Poteva accadere che una generazione aderis­ se al determinismo, la successiva al libero arbitrio e che quella dopo ritornasse al determinismo . Ma fino al 1 9 1 4 non sembra che questa tendenza ciclica abbia incluso nella sua orbita i me­ todi della fisica teorica. Fin dai tempi di Isaac Newton, i fisici si erano attenuti a un rigido determinismo e qualunque fosse la moda prevalente nelle idee letterarie e filosofiche, gli scien­ ziati si ostinarono ad attenersi al principio euristico del deter­ minismo . I poeti e filosofi politici francesi di fine Ottocento, ad esempio, parteciparono alla moda bergsoniana dell' antide­ terminismo e del libero arbitrio, ma la loro personalità scienti­ fica più grande, Henri Poincaré espresse l'opinione di tutti i suoi colleghi quando enunciò la sua adesione irremovibile al de­ terminismo . La guerra, la violenza, l' inganno in Europa, il crollo delle società, la perdita di autorità morale da parte della generazione più vecchia e la disintegrazione dei codici morali, l' accidentali­ tà che sembravano aver acquisito i movimenti dei singoli, l'in­ certezza da un giorno all' altro della posizione sociale degli indi­ vidui, tutto questo incise sull'inconscio emozionale di una nuo­ va generazione di scienziati. Le sue figure più eminenti cerca­ rono in seguito comprensione e ispirazione presso Niels Bohr e il suo istituto . Quello di Copenhagen fu effettivamente uno spirito di mediazione, che si sforzava di conservare la sanità men­ tale e l'ironia e al tempo stesso assorbire gli elementi che costi­ tuivano il valido contributo della nuova disposizione emozionale­ intellettuale . Il principio di complementarità sollecitò una ri­ conciliazione tra i modi di pensiero deterministici e indetermi­ nistici, un nuovo e stabile equilibrio dopo le disorientanti con­ seguenze intellettuali della guerra mondiale . Gli anni formativi di Werner Heisenberg, il giovane pio­ niere del principio d'indeterminazione, furono vissuti sotto l'im­ patto delle,vicissitudini del conflitto mondiale e delle sue con­ seguenze. E bene esaminare in quale modo questi avvenimenti plasmarono la sua posizione scientifica, giacché la generazione dell'immediato dopoguerra emerse disincantata e disillusa nei

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confronti dell'ordine esistenziale che aveva ereditato. Molti anni dopo Heisenberg così ricordava lo stato d' animo del 1 92 0 : Quando nel 1 920 lasciai l a scuola per frequentare l'università di Monaco, la posizione dei nostri giovani come cittadini era molto si­ mile a quella di oggi . La nostra sconfitta nella prima guerra mondiale aveva prodotto una profonda sfiducia in tutti gli ideali che erano sta­ ti usati durante la guerra e che ci avevano fatto perdere quella guerra. Essi sembravano ora vuoti e noi desideravamo scoprire da soli ciò che in questo mondo era di valore e ciò che non lo era: non volevamo fare assegnamento sui nostri genitori e sui nostri insegnanti . In que­ sto processo, oltre a molti altri valori, riscoprimmo la scienza 16 7 .

I particolari della formazione emozionale del punto d i vista scientifico di Heisenberg costituiscono un ricco romanzo storico­ psicologico . Egli proveniva da un famiglia carica di tradizioni. Suo padre, August Heisenberg, era titolare della cattedra di studi bizantini presso l'università di Monaco, l'unica di questo tipo in tutta la Germania. Lavorò instancabilmente sulla sua mate­ ria, diresse la rivista Byzantinische Zeitschri/t e stabilì l' esisten­ za di commentatori oscuri ma illuminati del XII secolo, vale a dire i fratelli Mesaritai e Blemide, i cui testi di logica e fisica hanno, secondo August Heisenberg, «veramente conferito una fama immortale all' autore». Heisenberg padre viveva con la fan­ tasia in quel mondo d' ordine che era durato fino alla metà del XV secolo . Attribuiva alla «cupidigia dell' Europa occidentale» la colpa di aver infranto per sempre la potenza del mondo bi­ zantino e di averlo privato di un suo rinascimento . Trovava con­ forto negli studi oscuri dei suoi sepolcri e delle sue chiese e in­ vocava un metodo storico generale che unificasse il materiale proveniente dall' arte, dalla vita sociale e dalla lingua 168 . August Heisenberg era capitano della riserva e allo scoppio della prima guerra mondiale entrò nell'esercito tedesco e com­ batté sul fronte occidentale . Nel 1 9 1 6 fu ferito e rimandato a casa. «Durante l'ultimo anno di guerra», racconta suo figlio, «ave­ vo fatto il bracciante sulle Alpi della Bassa B aviera per poter tenere insieme anima e corpo» 16 9 . L'esperienza di bracciante ebbe una certa importanza per il giovane Werner. Lavorò nei campi tagliando «l'erba, coi buoi, stando attento a non lasciare intonso qualche tratto di prato - 'porci' , come chiamava il con­ tadino le strisce di pascolo non falciate» 1 7 0 • Riandava col pen-

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siero a quei giorni; pochi anni dopo, pur nella felicità di essere uno studente di fisica, intravedendo i prati in fiore e le falcia­ trici, si «rammaricava» di non essere più un bracciante sul Gros­ sthelerhof del Miesbach . Si sentiva parte integrante del suolo tedesco, una creatura dei suoi laghi e delle sue montagne . Così il culto nazionalistico del movimento giovanile avvenne in lui in maniera tanto naturale quanto la sua vocazione per la fisica teorica. Egli vide il crollo del mondo greco di suo padre . Altri figli «scientifici» erano stati spinti da sentimenti di ribellione contro la concezione del mondo dei loro padri . Ma nel caso di Werner il mondo stesso aveva sconfitto e ferito suo padre ed esistono prove psicologiche che dei figli che vedono i propri padri umiliati sovrappongono ai propri sentimenti di ribellione la po­ tente emozione di lealtà verso il padre sconfitto. Einstein e Freud furono legati da lealtà ebraiche che originavano dalla visione che s ' erano fatti dei loro padri come persone perseguitate. Wer­ ner Heisenberg fu spinto ad abbracciare la causa tedesca dalla vista del padre-soldato ferito . Fu così attratto verso il Movi­ mento giovanile tedesco da sentimenti ben più forti della con­ trologica presente nelle rudimentali formule materialistiche e nelle tesi del proletariato urbano dei marxisti . Sopraggiunsero poi i tumultuosi eventi del 1 9 1 9 che culmi­ narono a Monaco nel breve episodio della repubblica dei soviet . Per alcune settimane il socialista kantiano Kurt Eisner, l' anar­ chico Gustav Landauer e il poeta Ernst Toller sperarono di gui­ dare l'umanità a uno stadio più elevato d' esistenza. Ma Eisner fu assassinato e le forze dell'irrazionalità si dimostrarono più grandi di quanto avessero calcolato i socialisti, tanto che essi fallirono . Guardando indietro , è il loro stesso tentativo che ap­ pare irrazionale . Il giovane Werner Heisenberg fece di più che limitarsi ad assistere agli eventi; egli militò in un distaccamen­ to militare anticomunista di studenti per aiutare a sopprimere il soviet di Monaco . Più di una volta Heisenberg ha scritto su queste circostanze che lo portarono all'evento generazionale, alla svolta della sua vita: A quel tempo Monaco era i n preda a una rivoluzione . I l centro cittadino era ancora occupato dai comunisti e io, che allora avevo di­ ciassette anni, ero stato assegnato con alcuni compagni di scuola co­ me ausiliario a un'unità militare che aveva il proprio quartier genera­ le di fronte all'Università, nel Seminario di Teologia. Perché accadde

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tutto ciò, non mi è più del tutto chiaro . . . Nella Ludwigstrasse anda­ vamo a prendere i nostri pasti da una cucina da campo collocata nel cortile dell'Università 1 7 1 .

In un saggio scritto in seguito , Heisenberg tuttavia ebbe a ricordare più chiaramente le circostanze del suo coinvolgimen­ to nel 1 9 1 9 con le forze anticomuniste; aleggiavano su di esse delle emozioni che potevano ben giustificare una momentanea mancanza di memoria: Per rendere comprensibile quanto significasse per me in quel mo­ mento il ricordo del mio studio del Timeo, probabilmente bisogne­ rebbe anche rendersi conto delle circostanze eccezionali in cui lessi il libro. Nel 1 9 1 9 a Monaco le condizioni erano piuttosto caotiche . V'erano degli scontri a fuoco nelle strade anche se nessuno sapeva esattamente chi fossero i combattenti . I poteri governativi cambia­ vano di mano fra persone e organizzazioni i cui nomi erano sì e no noti . Il saccheggio e le rapine, di cui una volta fui io stesso vittima, facevano apparire lespressione «Repubblica Sovietica» sinonimo di stato d'illegalità. Quando alla fine fu formato fuori Monaco un nuovo governo bavarese e questi impegnò le proprie forze nella conquista della città, noi sperammo che l' ordine sarebbe stato ripristinato . Il padre di un mio amico che una volta avevo aiutato a fare i compiti, assunse il comando di una compagnia di volontari che volevano par­ tecipare alla conquista della città. Chiese a noi, ossia agli amici ado­ lescenti di suo figlio, di aiutare come attendenti le truppe a prender dimestichezza con la città. Fu così che fummo assegnati al Coman­ do dell'XI Fucilieri a Cavallo che aveva posto i propri alloggiamen­ ti nei pressi dell'università. Lì io prestai servizio, o più precisamen­ te trascorremmo insieme senza il minimo impedimento una vita d' av­ venture liberi dalla scuola . . . e volevamo che la nostra libertà ci fa­ cesse a conoscere nuovi aspetti del mondo . Proprio qui fu organiz­ zato il nucleo del circolo di amici coi quali un anno dopo vagavo sulle colline lungo il lago Starnberg 1 7 2 .

Mentre Einstein raggiunse la maturità intellettuale in mez­ zo alle amicizie della Akademie Olympia e Niels Borh nel circo­ lo Ekliptika , Werner Heisenberg divenne adulto nel comando dell'XI Fucilieri a C avallo . L' ambiente sociale di Monaco, con i governi che cambiavano di mano, le fazioni che si combatte­ vano confusamente e le armi che venivano puntate in modo in­ certo e che colpivano a caso , rappresentò un protomodello so­ ciologico dell'indeterminazione fisica - la società che si disin-

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tegrava come si disintegrava un atomo, con pallottole sparate in traiettorie incerte al pari degli elettroni . Era il luglio del 1 9 1 9 ed era un' «estate assai calda». Duran­ te i turni di guardia Werner Heisenberg spesso si levava all' al­ ba. «C apitava», come egli stesso ci dice, «che io mi ritirassi . . . sul tetto del Seminario e mi sdraiassi con un libro sulla gron­ daia a prendere il sole». Lì, come già tre secoli prima C artesio mentre prestava servizio militare, Heisenberg ebbe un'intuizione improvvisa mentre leggeva il Timeo di Platone : In una di queste occasioni mi venne in mente di portarmi sul tet­ to un volume di Platone perché volevo leggere qualcosa di diverso da ciò che si studiava a scuola, e mi misi a studiare con le mie cognizioni piuttosto modeste di Greco, il dialogo Timeo, dal quale appresi per la prima volta da fonte diretta qualche nozione intorno alla filosofia atomistica greca. Questa lettura mi chiarl assai le idee fondamentali dell' atomismo 1 73.

Heisenberg credette ora «di capire almeno in parte, le ra­ gioni che avevano indotto i filosofi greci a concepire questi ele­ menti basilari della materia, piccolissimi e indivisibili». Non tro­ vò, è vero, la tesi di Platone che gli atomi fossero corpi regolari «tanto evidente, ma mi tranquillizzava almeno il fatto che non avessero ganci e occhielli» 1 74 • Incontriamo qui i «ganci» e gli «occhielli» che furono per il giovane Heisenberg il simbolo di tutto quello che trovava ripugnante nella teoria dell' atomo che leggeva nei libri di testo di fisica. S 'imbatté per la prima volta nei «ganci» e negli «occhielli» quando era studente delle ultime due classi del ginnasio ; fu soltanto allora che il suo interesse si rivolse particolarmente alla fisica, «per l'incontro piuttosto ca­ suale con un settore della fisica moderna» 1 75• Quale fu questo «settore» che infiammò la vocazione di fisico di Heisenberg? Continua il suo racconto : Noi usavamo allora un testo di fisica assai buono per il resto, ma in cui, per evidenti ragioni, la fisica moderna era trattata piuttosto sbrigativamente . Ciò malgrado, nelle ultime pagine del libro si pote­ va leggere qualcosa sugli atomi, e mi ricordo ancora distintamente di una figura che mostrava un numero abbastanza grande di atomi . L'il­ lustrazione doveva evidentemente riprodurre lo stato molecolare di un gas . Alcuni atomi erano riuniti in gruppi ed erano collegati fra lo­ ro da ganci e occhielli, che dovevano probabilmente rappresentare i

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loro legami chimici. Inoltre si leggeva nel testo che gli atomi erano, a parere dei filosofi greci, i più piccoli elementi costitutivi indivisibili della materia. Questa figura ha sempre provocato in me un vivo sen­ so di ribellione : ero sdegnato che, in un libro di fisica, potesse trovar­ si qualcosa di così stupido 1 7 6 .

V'era un' insolita violenza emotiva nella reazione dell' adole­ scente Werner Heisenberg all'uso dei ganci e degli occhielli in un diagramma di concatenazioni chimiche . Egli era molto tur­ bato dall'idea che forse esistevano meccanismi simili all'interno degli atomi . In seguito, quando Burkhard Drude, un compagno studente di Gottingen, nel difendere le immagini intuitive, so­ stenne che la tecnologia moderna era ancora in grado di costrui­ re un microscopio a potere risolutivo talmente grande da per­ mettere di osservare la forma dell' atomo e così «tutte le mie ri­ serve sulle immagini intuitive sarebbero definitivamente cadu­ te», «quest'obiezione», scrive Heisenberg, «mi turbò parecchio . Avevo paura che in tale microscopio si vedessero ancora i ganci e gli occhielli del mio libro di fisica» 1 77• Così, una forte avver­ sione emozionale, del tutto indipendente dai fatti sperimentali, un apriorismo emozionale più che logico di origine inconscia, riempì di angoscia Heisenberg: i ganci e gli occhielli ne erano il simbolo. Egli temeva che gli esperimenti potessero confermarne l' esistenza. Era evidentemente in atto in lui un forte motivo in­ conscio di bandire queste immagini dalla fisica. Nella primavera del 1 920, mentre faceva una gita con i suoi compagni del movimento giovanile, Werner trovò un sostegno alla sua ostilità verso i ganci e gli occhielli in un amico che era uno studente di corsi superiori di filosofia. Il compagno, ancor più inorridito dalle rappresentazioni grafiche degli atomi, «ne aveva tratto la ferma convinzione che l'intera fisica atomica mo­ derna doveva essere falsa . . . I nostri giudizi erano allora, evi­ dentemente, molto più pronti e sicuri di quanto non lo siano oggi» 1 7 8 . I ganci e gli occhielli sembravano inoltre esser divenuti per Heisenberg un simbolo del materialismo della vecchia genera­ zione sconfitta. Heisenberg collega il suo atteggiamento nei lo­ ro confronti col movimento giovanile, irrequieto, ribelle, alla ricerca di una nuova società e di una definizione di sé. La tra­ dizionale filosofia romantica della Germania, con la sua avver­ sione verso gli atomi, considerati come entità meccaniche new-

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toniane e borghesi, si fuse con l'ideologia di una «teocrazia di giovani». Ricorda Heisenberg: Può esser stato intorno alla primavera del 1 92 0 . La fine della pri­ ma guerra mondiale aveva introdotto nella gioventù del nostro paese un movimento irrequieto. Le redini erano cadute dalle mani di una generazione più vecchia profondamente disillusa e i giovani si stava­ no radunando in gruppi, comunità piccole e grandi, alla ricerca di un nuovo proprio modo di vita . . . perché sembrava che il vecchio fosse stato spezzato 1 79 .

Le vecchie linee di condotta erano scomparse : «dobbiamo forse ricordarci che la protezione dei genitori e delle scuole, che circonda la gioventù in tempo di pace, era andata in gran parte perduta nelle vicissitudini del periodo e che era sorto, a parzia­ le sostituzione, uno spirito di opinione indipendente tra i gio­ vani. . . ». In questa particolare gita primaverile con meno di una ven­ tina di compagni del suo movimento, «strano a dirsi», scrive Heisenberg, «avemmo quella prima conversazione sul mondo degli atomi che si rivelò così significativa in seguito nei miei anni formativi di scienziato» 1 80 • Al suo amico Kurt, un buon sportivo proveniente dalla famiglia di un ufficiale protestante e che desiderava divenire ingegnere, Werner raccontò i suoi dub­ bi sui ganci e gli occhielli del testo di fisica . Poteva confidarsi con l' amico perché tra loro regnava la più completa fiducia. L' an­ no prima, quando Monaco era stretta d' assedio e le loro fami­ glie avevano esaurito l'ultima briciola di pane, Werner, suo fra­ tello e Kurt avevano attraversato le linee per far poi ritorno con un pacco pieno di pane, burro e pancetta affumicata. Ora i due amici si misero a parlare di scienze naturali. «Dissi a Kurt», scrive Heisenberg, «che nel mio testo di fisica mi ero imbattuto in un diagramma che mi pareva completamente privo di senso» 18 1 • W erner spiegò come si raffigurava la formazione di una mole­ cola di acido carbonico. Per spiegare ulteriormente perché un atomo di carbonio e due di ossigeno formino una molecola di acido carbonico, l' illustratore ave­ va attribuito agli atomi ganci e occhielli (Haken und Osen) . . A me sembrava completamente privo di senso, perché, come la vedo, ganci e occhielli sono delle forme del tutto arbitrarie, che possono essere scelte in modi differenti, a seconda della loro utilità tecnica. Ma s i .

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presume che gli atomi siano il risultato di leggi naturali, e che siano da esse guidati nel formare le molecole . In questo non v'era, a mio avviso, nessuna sorta di arbitrarietà 182 .

Kurt rispose che i n effetti i ganci e gli occhielli sembravano sospetti, ma ciononostante non lo disturbavano più di tanto, perché secondo lui mostravano certe relazioni di cui si conosce­ va la validità sperimentale : «(l' artista) ha disegnato i ganci e gli occhielli per mostrare il più direttamente possibile che vi sono forme nelle quali due atomi di ossigeno, ma non tre, si possono combinare a un atomo di carbonio». Nondimeno, il punto im­ portante rimaneva per Werner il fatto che «ganci e occhielli so­ no un controsenso» e che né lui, né l' amico, né l' artista, cono­ scevano veramente le forme degli atomi che spiegavano i lega­ mi chimici osservati, mentre il concetto della stessa «valenza chimica», poteva nella realtà essere null' altro che parole 18 3 . Si unì poi alla conversazione un' altro compagno, Robert, uno stu­ dente di letteratura e filosofia (probabilmente lo «studente dei corsi superiori» a cui s ' è fatta menzione in precedenza) . Aveva letto Malebranche e credeva che nell' anima stessa dell'uomo fos­ sero impresse certe strutture basilari e che nell' apprendere la «forma» dell' atomo, i fatti sperimentali venissero percepiti in conformità a queste strutture sovrapposte 18 4 • I ganci e gli oc­ chielli del disegno del testo non dovevano essere presi seriamente. Di nuovo Werner s ' accorse di tornare col ricordo al Timeo di Platone che aveva letto l' anno prima. All' epoca non era stato in grado di capirlo, ma ora si sentì illuminato dalle parole di Robert : «Fui per la prima volta in grado di comprendere - an­ che se per il momento ancora in modo poco chiaro - che era possibile arrivare a queste insolite costruzioni di pensiero sulle particelle più piccole». A più riprese nell' arco di tutta la sua vita Heisenberg ha ricordato quell' esperienza sul tetto del Seminario di teologia, sdraiato «con un libro sul tetto a prendere il sole», alle prese tenacemente con la trattazione di Platone sulle forme matema­ tiche dei «più piccoli elementi della materia». Platone aveva col­ legato la scoperta pitagorica dei cinque solidi regolari alla dot­ trina di Empedocle dei quattro elementi: terra, fuoco, aria e acqua. I «corpuscoli» dei rispettivi «Enti fondamentali» dove­ vano essere composti dai corrispondenti solidi regolari: i cor­ puscoli della terra dal cubo, le particelle del fuoco dai tetrae-

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dri, quelle dell' aria dagli ottaedri e dell' acqua dagli icosaedri. Questi a loro volta dovevano essere modellati in vari modi dal­ le disposizioni e dalle sezioni di triangoli isosceli retti e di trian­ goli equilateri . Pur credendo che questi concetti fossero «spe­ culazioni avventate», Heisenberg ne rimase nondimeno affasci­ nato. Quando negli anni successivi tornò sull'argomento, divenne chiaro che quello che egli aveva più apprezzato e visto in Plato­ ne era un' alternativa alla filosofia materialistica che stava allo­ ra minacciando di sommergere la Germania. Per questo giova­ ne volontario contro i marxisti e i comunisti, Platone era la ri­ sposta al materialismo di Democrito . La lettura del testo plato­ nico offrì a Werner la speranza di salvezza spirituale . In Plato­ ne, «le più piccole particelle di materia non sono le forme fon­ :lamentali» 18 5 . Come ha ricordato Heisenberg, «a Platone spia­ :eva talmente Democrito che voleva che tutti i suoi libri fosse­ ro bruciati» 186 . Fondando gli elementi di Empedocle sui solidi regolari pitagorici, Platone aveva superato il materialismo d'Em­ pedocle : «Le particelle elementari del Timeo di Platone non so­ no, in fondo, sostanza ma forme matematiche» 1 8 7 . In maniera del tutto simile Heisenberg ha scritto : «Anche nella moderna teoria dei quanta si troverà senza dubbio che le particelle ele­ mentari sono in definitiva delle forme matematiche» 188 . Così, il giovane Werner Heisenberg cercava una risposta alla sua inquietudine interiore e all'inquietudine dell'epoca: L' inquietudine rimase e divenne per me parte dell'inquietudine generale che s'era impadronita della gioventù tedesca. Quando un fi­ losofo della statura di Platone credeva di riconoscere strutture nei fatti della natura che per noi sono andate smarrite . . . cosa mai significano le parole «struttura» o «ordine»?

Era il concetto stesso di «ordine» sempre relativo a un par­ ticolare periodo storico? «Eravamo cresciuti in un mondo che sembrava ben ordinato . I nostri genitori ci avevano instillato le virtù borghesi che costituiscono i requisiti fondamentali per il mantenimento di quell'ordine . . . Ora, tuttavia, la vecchia strut­ tura dell'Europa era stata infranta dalla sconfitta». Quale stra­ da avrebbe dovuto prendere Heisenberg? Avevano ragione i co­ munisti? L' avevano coloro «che avevano dato la vita nelle stra­ de di Monaco per impedire il ritorno del vecchio ordine?». Ave­ vano ragione quelli che volevano proclamare un nuovo ordine,

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sovranazionale, che abbracciava tutta l' umanità? «Nelle menti dei giovani questi interrogativi s ' agitavano avanti e indietro, ma i vecchi non potevano più darci le risposte». Così per il giovane Heisenberg il problema della struttura dell' atomo fu molto più di una questione accademica; la defini­ zione delle sue caratteristiche e ordine pareva porre a livello di microcosmo tutte le alternative inquietanti di un mondo socia­ le tumultuoso. Ha affermato Heisenberg : «Ciò mi fece quasi soffrire fisicamente». Ascoltava tutti i dibattiti studenteschi e rifletteva sul concetto di ordine . Un giorno rispose a una con­ vocazione per partecipare a un raduno giovanile nel castello di Prunn . L'organizzatore del raduno parlò in modo minaccioso, in un tono «che fino allora non avevo mai udito». I giovani vo­ levano decidere da sé soli come dovevano essere le cose . Nuovi discorsi. Era più importante il destino del nostro popolo o quello dell'umanità? Aveva la sconfitta reso senza significato il sacri­ ficio della morte? Era la sincerità interiore più importante del1' adesione alle forme tradizionali? Molti di coloro presenti nel­ la corte del castello erano studenti, ma altri erano reduci dalle trincee. In questo mondo d'indeterminazione sociologica, in mez­ zo al crollo dei sistemi e dei valori sociali fu concepita la pro­ spettiva emozionale che sarà alla base del principio d'indeter­ minazione di Heisenberg . L'universo sociale del giovane Werner Heisenberg era in ef­ fetti un universo in cui gli esiti erano incerti, i poteri supremi cambiavano di mano, le classi dirigenti venivano sostituite. Primi ministri ebrei rimuovevano re cristiani e i giovani comandava­ no sui vecchi . Nel 1 9 1 9 Monaco era molto lontana dalla placi­ da Copenaghen o dalla tranquilla Zurigo; essa costituiva I' avam­ posto di una scatenata aggressività. La sezione del movimento giovanile a cui apparteneva Wer­ ner Heisenberg era il circolo del C avaliere Bianco (der Weisse Ritter) 18 9 . I suoi esponenti, tutti studenti o recenti laureati, erano solidi antidemocratici sprezzanti degli ideali umanistici e cosmopoliti e dell'idea di progresso . Tutti erano autoritari e antisemiti. Il loro capo Martin Voelkel, un giovane pastore pro­ testante di Berlino, «riteneva 'intollerabile' che un ebreo gui­ dasse un gruppo politico nel Bund e un altro portavoce predisse un destino terribile per gli ebrei tedeschi, a meno che non aves­ sero lasciato il paese di propria volontà». Walter Laquieur, uno storico del Movimento giovanile tedesco ha scritto:

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L'epoca del «Cavaliere Bianco» sarà probabilmente considerata co­ me una fase negativa nella storia del Movimento giovanile tedesco . Abbondavano l' idealismo giovanile, l'integrità personale e I' elan vi­ ta!, ma questi valori erano compensati in eccesso da una raffigurazio­ ne del mondo confusa e estremistica e da un romanticismo stravagan­ te e fantastico 1 9 0 .

Un amico intimo di Heisenberg lo ha ricordato in questa atmosfera mentre studiava a Gottingen sotto la guida del cele­ bre fisico Arnold Sommerfeld: Sembrava ancor più «verde» di quanto realmente fosse, giacché, da buon appartenente al movimento giovanile, il cui idealismo etico lo entusiasmava, continuava a portare camicie sbottonate e calzoni corti. Si considerava nato con la camicia e effettivamente lo era 1 9 1 .

In effetti il movimento giovanile gli diede una vivacità e un senso di appartenenza all' avanguardia rigenerativa; inoltre con­ trapponeva i miti venerati dei racconti cavallereschi medievali al freddo, scialbo materialismo dei marxisti. Invece della lotta di classe, questi giovani parlavano di cavalieri e castelli, di spa­ de e armature, di cavalleria e S acro Graal. Il loro leader, Voel­ kel, rendeva omaggio alla Trinità, «Dio, l'io e la spada» con cui si serviva il Sacro Graal. Prevaleva un sentimento apocalittico, una sensazione di un crepuscolo adatto a degli dei più giovani: «Un grande popolo dovrebbe avere una fine bellissima e sag­ gia» 1 9 2 . Il circolo del C avaliere Bianco era inoltre riservato esclusivamente agli uomini. Non v'era nessun «olimpico» che andasse a lezione con delle ragazze slave; dopo tutto, era diffi­ cile immaginare un cavaliere dell' altro sesso . Da ultimo, era que­ sto un circolo in cui l' individuo si sentiva chiamato al servizio della totalità. In un mondo d' identità perdute e di anomie, egli acquistava un senso del suo ruolo nel dramma della storia. Ma le battute roboanti e gli «arredi scenici» nascondevano una tur­ pitudine di fondo : il circolo del C avaliere Bianco si mescolò coi nazisti, che nei primi anni Venti erano rappresentati soltanto da un piccolo gruppo di deputati nel Reichstag, ma che in mol­ te università erano i più votati tra gli studenti. Dal 1 9 1 8 al 1 920, Monaco fu una città di indeterminazio­ ne sociologica. Nel novembre 1 9 1 8 , il giornalista socialista Kurt Eisner mise fine con una sessantina di uomini alla pluricente-

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naria monarchia bavarese 1 93 . Parve che piccoli gruppi d i uomi­ ni risoluti possedessero la capacità di deviare i processi sociali in direzioni imprevedibili . Inoltre l' aspetto particolarmente straordinario della rivoluzione bavarese fu che «a differenza dei suoi equivalenti di Berlino e di altri centri, fu una rivolta di intellettuali», i quali credettero che la storia potesse esser fatta da una avanguardia socialista, nonostante l' ostacolo rappresen­ tato dal fatto che la maggior parte della popolazione non desi­ derava né la fine della monarchia, né l'instaurazione del socia­ lismo . E per di più, fu proprio nell' amato quartiere di Schwa­ bing dove abitava Werner Heisenberg che fu ordita la rivolu­ zione . Schwabing, il quartiere nordorientale di Monaco, era «il punto di incontro di artisti e letterati, il Quartiere Latino dei bohemien di Monaco» che vivevano in contrasto coi «vincoli delle convenzioni e del conformismo». Schwabing trattava la storia del passato con una disinvoltura e un disprezzo mai visti prima. Alla fine, risultò che anche l' avanguardia artistica aveva la sua «avan-politica». Scrittori, pittori e disegnatori gareggiavano tra loro nel mettere in caricatura e satireggiare lo stato, la Chiesa, il re e Dio, la patria e la famiglia, i funzionari e gli ufficiali - in breve tutto quello che stava a significare autorità e moralità . I più radicali erano gli scritto­ ri ebrei, molti dei quali aderivano al comunismo o all' anar­ chismo . . . 1 94 . . .

Questi artisti e scrittori che s ' erano trasformati in rivolu­ zionari, erano uomini di caffè . Politicamente, il più importante era il Café Ste/anie, sulla Amalienstrasse «dove era solito riunir­ si il quartier generale della rivoluzione»: Eisner, Miihsam, Tol­ ler e Landauer. I loro denigratori solevano chiamarlo il caffè «Megalomania» e schernivano i suoi frequentatori definendoli sognatori e imbecilli; non sospettavano neanche lontanamente che questi sognatori avrebbero architettato la caduta dell' élite dominante. I custodi del sistema non potevano certamente at­ tribuire agli intellettuali di Schwabing la pretesa di scambiare le loro sedie da caffè con poltrone ministeriali. Il romanziere Miisham, i cui antenati spirituali erano gli anarchici Bakunin e Max Stirner; il giornalista Eisner, che era in cattivi termini perfino col proprio partito; il poeta- soldato Toller, che con im­ magini appassionate declamava nuovi ideali e nuovi uomini; di

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uomini di tal fatta poteva anche esser fatto il regno dei cieli, ma non quello della terra. Breve fu il momento del potere accordato ai marxisti, anar­ chici e comunisti di Monaco . Il governo di Kurt Eisner fu scon­ fessato in modo schiacciante nelle elezioni del gennaio 1 9 1 9 . Eisner stesso fu assassinato d a uno studente nazionalista il 2 1 febbraio 1 95 • Poi, emulando l'esempio di Lenin, nell' aprile del 1 9 1 9 i rivoluzionari «s'impadronirono del potere» e proclama­ rono la Repubblica Sovietica Bavarese. Tuttavia il loro potere ben presto si dissolse . All'interno della dirigenza del soviet i pro­ pugnatori del terrore presero il posto delle voci più moderate di Miisham e di Toller. Spaventata, la borghesia bavarese reagì con un violento contro-terrore antisemitico . La cosiddetta So­ cietà di Tule organizzò gruppi di volontari, armandoli e coordi­ nando le loro azioni. L' Einwohnerwehren, le forze armate dei residenti, erano principalmente composte di studenti - giova­ ni guerrieri contro il marxismo e il materialismo . Alcuni storici hanno cercato di spiegare la nascita del movimento nazista di Hitler come la conseguenza dei fatti di Monaco del 1 9 1 8 - 1 92 0 . «Senza Eisner, nessun Hitler», essi affermano, «senza la repub­ blica dei soviet, nessuna dittatura nazista antisemita» 1 9 6 . Una simile legge sociologica, in cui la reazione supera di gran lunga l' azione, può procurare un certo conforto a quei nazisti in cer­ ca di autogiustificazioni che, nel tentativo di lenire i propri sensi di colpa, trovano comodo abbandonare il loro volontarismo per il determinismo . Sarebbe tuttavia più attinente ai fatti affer­ mare che senza la Monaco del 1 9 1 9 , Werner Heisenberg non avrebbe concepito il principio dell'indeterminazione . Durante le giornate tumultuose di Monaco, parve quasi che fosse la sorte a decidere la parte delle barricate in cui si sarebbe trovata una persona. Il poeta-soldato Ernst Toller aveva soltanto pochi anni più di Werner Heisenberg . Anch' egli si unì ai grup­ pi studenteschi, uno dei quali era la cosiddetta «Unione Cultu­ rale e Politica dei Giovani Tedeschi». Anche i membri di que­ sto gruppo avevano avvertito un senso di disillusione nei con­ fronti della generazione precedente, ma furono spinti a una rot­ tura col vecchio sistema che fu più drastica di quella dei C ava­ lieri Bianchi. Come ha raccontato Toller: La nostra Lega era ancora al bando, e così pur_e lo erano gli altri gruppuscoli che si erano formati nelle altre Università. Ma la nostra

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associazione era u n segno premonitore . Avevamo iniziato la rivolta contro la guerra. Credevamo che le nostre voci sarebbero state udite dall' altra parte della terra di nessuno e che la gioventù di ogni paese si sarebbe unita a noi nella nostra lotta contro coloro che accusavamo di aver iniziato la guerra: i nostri padri 1 97 !

Toller mise in ridicolo coloro i quali cercavano di ritornare ai «Misteri medievali che dovevano risvegliare il senso di co­ munità», coloro che si sentivano «come cavalieri medievali, mis­ sionari dello Spirito Santo». Naturalmente da bambino Ernst Toller aveva conosciuto l'ostracismo e gli insulti diretti contro gli ebrei e aveva combattuto anche al fronte . Divenne il coman­ dante dell'esercito della repubblica sovietica bavarese. La rivolta di Werner assunse una forma diversa - si potrebbe anche de­ finirla una controrivolta. Werner Heisenberg non poteva accettare il mondo discipli­ nato del padre, il suo intenso desiderio di un cosmo bizantino ben ordinato . Tutto ciò era stato distrutto dagli avvenimenti del periodo . Nondimeno provava ovviamente repulsione per i marxisti e i comunisti che schernivano la vecchia società bava­ rese . Il loro materialismo era rozzo e ripugnante; i giornali rife­ rivano che in un liceo di Monaco essi avevano compiuto atroci­ tà inenarrabili sui corpi di prigionieri assassinati. Werner ama­ va le antiche consuetudini e i classici. La sua rivolta fu contro la fisica materialistica a cui i bolscevichi tutto riducevano . Egli avrebbe sostituito i ganci e gli occhielli del suo libro di testo, rozzi simboli della sessualità maschile, con la spiritualità delle forme platoniche 1 9 8 • Avrebbe al tempo stesso cercato di colpi­ re il rigido determinismo dei volgari materialisti scientifici. L' os­ servatore soggettivo sarebbe intervenuto nell' ordine fisico per influire in modi imprevedibili sulle serie causali. Gli amici del giovane Werner Heisenberg si chiedevano per­ ché egli avesse scelto di studiare fisica anziché musica. La ma­ dre di uno dei suoi compagni del movimento giovanile gli dis­ se: «Sentendoti suonare e parlare di musica si ha l'impressione che tu sia più portato all' arte che non alla scienza e alla tecno­ logia, che tu debba preferire le muse alle formule, agli strumen­ ti e alle attrezzature della scienza. Perché hai scelto la fisica?». W erner rispose che in effetti egli aveva scelto la fisica invece· della musica perché credeva che essa stesse entrando in una fa­ se rivoluzionaria : «In altre parole, credo fermamente che la fi-

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sica atomica possa offrirci nuove relazioni e strutture di gran lunga più importanti della musica. Riconosco però che 1 5 0 an­ ni fa la situazione era esattamente opposta» 1 99 . La componen­ te psicologica soggettiva di partecipare all' apertura di «un cam­ po vasto e inesplorato» nella «riformulazione» basilare delle leggi naturali, fu il fattore dominante nella sua scelta professionale, nell'incanalare i suoi impulsi rivoluzionari. In effetti il giovane Werner non s ' era mai trovato a proprio agio «nel mondo degli strumenti» scientifici; «l' attenzione necessaria per compiere mi­ surazioni che mi sembravano pochissimo importanti mi era sem­ pre parsa una perdita di tempo». Aveva udito abbastanza spes­ so suo padre insistere sulla necessità di prestare attenzione an­ che ai piccoli particolari 200 , ma il suo spirito era mosso da un impulso metafisico. «Sono proprio le implicazioni filosofiche che mi interessano maggiormente», disse al suo futuro professore Arnold Sommerfeld nel suo primo colloquio . Effettivamente, un simile interesse filosofico è sempre stato tipico dell' aspiran­ te attivista rivoluzionario della scienza, in quanto il desiderio di attuare un' idea filosofica nella ricerca scientifica comporta il desiderio di riedificare le sue basi intellettuali. Quando un punto di vista o un isomorfema nuovo viene realizzato , allora il sistema della stessa conoscenza scientifica diviene il veicolo della realizzazione di nuove e fondamentali emozioni genera­ zionali. In un'occasione le emozioni dell' attivista del movimento gio­ vanile per poco non infransero la vocazione scientifica di W er­ ner Heisenberg . Nell'estate del 1 922, dietro suggerimento di Sommerfeld, il giovane Werner si recò a Lipsia per partecipare al Congresso degli Scienziati e dei Fisici tedeschi, dove era in programma un intervento di Einstein. Quando Werner entrò nella sala delle conferenze, un giovane «Studente . . . mi ficcò in mano un volantino di colore rosso mettendomi in guardia con­ tro Einstein e la teoria della relatività. La teoria, diceva il vo­ lantino, era soltanto un' accozzaglia di congetture infondate, gon­ fiata dalla stampa ebraica e del tutto contraria al genuino spiri­ to tedesco» 20 1 • Dapprima Werner pensò che il volantino fosse opera di uno svitato, ma quando venne a sapere che l' autore era un noto fisico sperimentale, provò un' intensa depressione psichica: «Mi sembrò allora che il mondo mi crollasse intorno . Fino a quel momento avevo creduto che almeno la scienza fos­ se al di sopra della lotta politica, o perlomeno, del tipo di sco n -

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tro politico che aveva portato l a guerra civile per l e strade di Monaco, e con cui non volevo avere più nulla a che fare». Egli capì che perfino un famoso fisico tedesco poteva essere un uo­ mo «cattivo per debolezza di carattere o per qualche altra ne­ vrosi», un uomo che non riuscendo a raccogliere nessuna solida prova scientifica, utilizzava le passioni politiche per confutare la teoria di Einstein. L'incidente turbò Werner assai più di quan­ to lo giustificassero i fatti . Le sue duplici lealtà verso il movi­ mento giovanile e la fisica teorica erano, una volta tanto, in vio­ lento contrasto tra loro : in seguito all' «episodio di Lipsia . . . in un primo momento provai una grande delusione, e cominciai a nutrire dei dubbi addirittura sulla validità della scienza» 202 . Ma perché un volantino filonazista avrebbe dovuto far va­ cillare a tal punto l'impegno di Werner verso la scienza? Alla base della sua reazione emotiva v'era la profonda identificazio­ ne di Werner con il popolo tedesco, in tutti i suoi atteggiamen­ ti, esaltazioni e irrazionalità. Non s ' era certo dimenticato co­ me si era sentito nell' agosto 1 9 1 4 , quando dodicenne, aveva ac­ compagnato il padre che stava partendo per riprendere servizio nell'esercito . «Ogni stazione rigurgitava di una folla entusiasta; i carri merci che trasportavano soldati e cannoni erano coperti di fiori». Mai il giovane Werner aveva provato un senso simile di comunanza: «Ogni sconosciuto che s 'incontrava pareva un vecchio amico; tutti si aiutavano a vicenda affratellati dal co­ mune destino». Egli rimase avvinto ai sentimenti di quei «gior­ ni indimenticabili, incredibili . . . » 203 . C o n l' avvento della guer­ ra «i piccoli problemi di ogni giorno erano scomparsi» e furono sostituiti da una «più ampia solidarietà». Il migliore amico di Werner, un cugino di qualche anno maggiore di lui, s ' arruolò e morì in Francia. Ora i marxisti e gli ebrei mettevano in ridi­ colo l'idealismo patriottico che aveva entusiasmato Werner e suo cugino . «Lei pensa forse che avrebbe dovuto dire a se stes­ so: no, questa guerra è assurda, una follia, un' allucinazione col­ lettiva, e rifiutarsi di mettere a rischio la sua vita?», chiese il giovane Werner a Niels Bohr. Nel movimento giovanile tede­ sco egli ritrovò quell'esperienza quasi mistica del 1 9 1 4 . Ha scritto di un raduno di giovani nel Giura della Svevia: «Mi sentii qua­ si travolto dalle forze sgorgate da quel raduno spontaneo, un po ' come il 14 agosto 1 9 1 4». Era un movimento che guardava al passato del proprio popolo, che ricordava con angoscia le tra­ versie del suo popolo nella guerra dei trent ' anni . «Mi sembra

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che in Germania i giovani sentano una profonda affinità con quel passato» 204, disse Heisemberg a Niels Bohr. Nello spirito dei movimenti studenteschi, Werner s'era impegnato in inizia­ tive rivolte al popolo tenendo lezioni di astronomia per gli operai 20 5 . E ora, in un convegno di fisici, udì che Einstein era uno di coloro che si facevano beffe del patriottismo e dei sacri­ fici della guerra. Werner si sentì lacerato tra la sua identifica­ zione nel patriottismo e la sua integrità scientifica che lo trasci­ navano in due direzioni incompatibili. Abbandonò la conferenza in preda alla disperazione, rinunciando alla possibilità datagli da Sommerfeld d'incontrare Einstein. Nondimeno, aiutato da Niels Bohr e dallo spirito di Copenaghen, conservò la sua voca­ zione scientifica. Le emozioni di Heisenberg si realizzarono in un mondo che egli plasmò nell'immagine del suo principio d'in­ determinazione . Dopo aver dimostrato che il dogma determi­ nistico propagato dai marxisti e il loro rigido materialismo era­ no delle dottrine ideologiche non verificabili e non necessarie, Heisenberg diede corpo con la matematica e con la sperimenta­ zione a un universo fisico che il movimento giovanile poteva rivendicare come suo proprio . Non solo Werner Heisenberg respinse la Weltanschuung mar­ xista, ma sostituì anche la rigidità bizantina clericale e medie­ vale del padre con la sua fisica filosofica. Nella casa paterna Wer­ ner aveva assimilato una prospettiva kantiana con la sua netta separazione «tra aspetti soggettivi e aspetti oggettivi del mon­ do»; gli uni appartenevano al mondo delle scienze naturali, men­ tre gli altri costituivano la sfera in cui i gruppi a cui noi appar­ teniamo - «famiglia, nazione o cultura» - esercitavano la lo­ ro influenza 206 • Werner confessò a W olfgang Pauli «che que­ sta distinzione così rigida» l' aveva lasciato «perplesso». Era spinto a plasmare un mondo che fosse più congeniale agli impulsi del movimento giovanile, un mondo in cui valesse l'idealismo ro­ mantico , in cui l'osservatore fosse necessariamente un parteci­ pante le cui decisioni plasmavano la stessa realtà fisica. Se l'io non era in grado di «postulare» la realtà esterna, il fisico poteva pur sempre intervenire e in parte ostacolare l'egemonia mate­ rialistica e deterministica. Il mondo creato da Werner era «im­ materiale quanto i triangoli del Timeo» 20 7 • Era inoltre un mon­ do in cui le «alternative costituiscono una struttura di pensiero ancor più fondamentale dei triangoli» 208 . La natura veniva co­ sì affrancata dal demone del determinismo .

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La generazione pionieristica di fisici dell'inizio del secolo, della quale il più vecchio era stato Poincaré e il più giovane Ein­ stein, aveva avuto la tendenza di considerare la coscienza uma­ na come un'entità inutile . Al massimo, essa era un registratore privo d'esistenza autonoma degli avvenimenti fisici. Werner Hei­ senberg, l' attivista romantico, non poté mai sottoscrivere que­ sta denigrazione della condizione umana. Con i suoi amici fisi­ ci discuteva che «Non vi è alcun dubbio che non si dà consape­ volezza né in fisica né in chimica, e non vedo come possa risul­ tare dalla meccanica quantistica» 20 9. Ascoltò il suo esuberante compagno di studi Wolfgang Pauli, riflettere che quando le «im­ magini e le allegorie delle vecchie religioni» perderanno di vali­ dità, la vecchia etica crollerà, e saranno perpetrati orrori inim­ maginabili . Gli orrori vennero con Adolf Hitler e il movimento giovanile maturò in un sadismo romantico . Anni dopo Heisenberg cercò di esaminare a fondo gli errori latenti della sua filosofia giovanile della libertà. «Siamo senza bussola e quindi in pericolo di perdere la nostra libertà», disse Heisenberg, che finì per credere che quella bussola si trovava da qualche parte nel concetto di «ordine centrale», di ordine morale dell' universo . In un modo o nell' altro, il movimento gio­ vanile aveva sbagliato nel collegare la libertà a una specie di on­ nipotenza umana; aveva trovato la libertà nella spavalda asser­ zione della fantasia e dell' illusione . Nel respingere il materiali­ smo , aveva anche rifiutato sdegnosamente il senso dei limiti e della natura finita dell'uomo : «Noi tedeschi tendiamo a consi­ derare la logica e i fenomeni naturali . . . quasi come una camicia di forza . . . Crediamo che la libertà significhi toglierci questa ca­ micia di forza, e dunque che la libertà stia nella fantasia e nel sogno, nel brivido di darsi completamente a qualche utopia» 2 1 0• Era una similitudine che colpiva dritto al cuore della filosofia attivistica romantica - questa percezione dei fenomeni natu­ rali come una dura repressione dei nostri impulsi più profondi, questa percezione dell'uomo come essenzialmente folle e della sua libertà come la resa all'istinto senza il controllo della realtà o della ragione . Con la sua mitologia, il movimento giovanile aveva contribuito a formare la mentalità che concepì il princi­ pio d'indeterminazione . Ma al pari di tutte le mitologie, alla fine mise in luce una componente autodistruttiva; con essa ar­ rivò il mito nazista del «crepuscolo degli dei» in cui una libertà di massa si fuse nel suicidio collettivo dell'umanità. Al pari di

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Einstein, Werner Heisenberg ebbe nei suoi ultimi anni molti ripensamenti sulla vocazione del rivoluzionario . L'impulso ri­ voluzionario portava in sé l'intuizione, ma anche la cecità. Ogni punto di vista rivoluzionario è ossessionato da una sen­ sazione indistinta che la sua retorica sia vuota, che per un mo­ tivo o per l' altro abbia perso il controllo della realtà. Heisen­ berg, la cui vita scientifica era iniziata con la convizione dell'ir­ realtà delle cose materiali, finì per avvertire che la sua propria esistenza era minacciata. Fu una conseguenza del tutto impre­ vista che anche la realtà del suo io sarebbe stata insidiata . Si trattava del tipo di condizione nevrotica che William James ama­ va descrivere . C apitò a Heisenberg nel gennaio 1 9 3 7 , mentre si trovava nel centro di Lipsia, impegnato nella campagna nazi­ sta di vendita di bandierine per il «Soccorso invernale». Fu que­ sta, ha scritto Heisenberg, un' altra delle molte umiliazioni e dei molti compromessi cui i tempi ci costringevano a piegarci . . . mi aggiravo per le strade del centro sul1' orlo della disperazione facendo tintinnare le monete dentro la mia scatola : disperato non tanto per la sottomissione di cui dovevo far mostra, ma per la totale assurdità e inutilità di quanto andavo facen­ do e di tutto quello che scorgevo intorno a me . Di colpo ebbi una stranissima sensazione . Le case che fiancheggiavano le strade strette mi apparvero lontanissime, irreali, quasi che, distrutte, ne fosse ri­ masta solo l'immagine; anche la gente sembrava priva di sostanza, tra­ sparente, ridotta a fantasmi senza corpo .

Una cosa era stato, per l' attivista adolescente romantico nella pienezza delle sue energie, credere di poter defenestrare la ma­ terialità del mondo e sottometterlo con l' idealità delle forme matematiche, altra cosa era rendersi conto che le sue energie non erano riuscite a plasmare il mondo . Tutto sembrava irreale non perché le forme ideali avessero conquistato il mondo, ma perché egli non l' amava più . La base emozionale e libidica del suo senso della realtà era stata scombussolata. La cordialità di alcune persone mitigò in certa misura la «crisi di realtà» di Hei­ senberg . «Ma poi ricaddi nella consueta depressione . Comin­ ciai a pensare che la mia solitudine fosse più di quanto potessi sopportare» 2 1 1 • Nel frattempo tuttavia il principio d' indeterminazione di Heisenberg era divenuto parte del retaggio della fisica teorica. La sua scoperta era stata effettivamente il risultato di uno sfar-

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zo compiuto da Werner Heisenberg per alleviare un' ansia gio­ vanile . Il ricordo della conversazione che egli aveva avuto con Burkhard Drude, il compagno di studi di Gottinga e che tanto l' aveva «turbato», permase nei suoi pensieri più profondi. Co­ me abbiamo visto, Drude aveva affermato che «doveva essere possibile in via di principio, costruire un microscopio con un potere risolvente straordinariamente alto con cui vedere o fo­ tografare la traiettoria degli elettroni all'interno dell' atomo». Werner si sentì obbligato a dimostrare che ciò era impossibile, che le orbite degli elettroni erano un mito . La sua ansia si sa­ rebbe lenita solo quando sarebbe stato in grado di dimostrare che «nemmeno il miglior microscopio avrebbe potuto superare i limiti imposti dal principio d'indeterminazione» 2 1 2 . Quella conversazione e l' ansia di Heisenberg riecheggiaro­ no nel linguaggio del suo famoso articolo del 1 92 7 . La possibi­ lità di un microscopio dalla precisione traumatica venne esclu­ sa come una finzione metafisica e il mondo fu aperto alle possi­ bilità di scelta dell'uomo proprio nelle delineazioni della sua strut­ tura fisica: Se si vuole essere chiari riguardo a quel che si deve intendere con la frase «la posizione di un oggetto», per esempio di un elettrone (re­ lativo a un dato sistema di riferimento) , bisogna specificare esperi­ menti ben definiti col cui aiuto si può prevedere di misurarlo, altri­ menti il termine non ha senso . Ci sono molti esperimenti che in via di principio possono permettere di determinare la «posizione dell' e­ lettrone» quanto più accuratamente si desideri, come, ad esempio, il­ luminare l'elettrone e osservarlo col microscopio . La precisione più elevata possibile della determinazione della posizione è essenzialmente determinata dalla lunghezza d' onda della luce utilizzata . Oppure si può forse costruire in via di principio un microscopio a raggi gamma e con esso essere in grado di ottenere una determinazione della posi­ zione quanto più accurata si desideri . Interviene tuttavia per questa determinazione un'ulteriore circostanza: l'effetto Compton. Ogni os­ servazione della luce dispersa da un elettrone presuppone un effetto fotoelettrico (sull'occhio, sulla lastra fotografica, sulla fotocellula) 2 1 3 .

Non solo con questo era definitivamente confutato il com­ pagno di studi Drude, ma nelle pagine del Zeitschrift fur Phisik veniva asserito il credo antideterministico, romantico e volon­ taristico del movimento giovanile !

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Ma nella rigorosa formulazione della legge della causalità, «quan­ do conosciamo esattamente il presente siamo in grado di calcolare il futuro», non è il conseguente, bensì l' antecedente che è falso . Non possiamo in via di principio venire a conoscenza del presente in ogni particolare circostanza. Pertanto ogni percezione è una scelta da una gran quantità di possibilità e una limitazione del possibile futuro 2 14.

Anni dopo W erner Heisenberg fu in grado di vedere come il suo lavoro fosse stato legato allo spirito irrequieto, giovanile, ribelle ed esplorativo di Schwabing, quella specie di Greenwich Village di Monaco dove egli continuò a vivere . Come uomo di Schwabing, centro di rivoluzioni politiche, artistiche, e per ana­ logia, scientifiche, Heisenberg scrisse : Proprio come la flessibilità spirituale e intellettuale degli artisti di Schwabing e la loro inclinazione naturale verso tutto ciò che è nuovo rese feconda e arricchì la vita delle università e nel suo complesso, così il fatto che la gente di Schwabing abbia saputo accettarsi reci­ procamente ha anche determinato il carattere conciliante della città nel suo complesso e ha creato le condizioni per un' interazione armo­ niosa di tutte le forze. Certamente Schwabing fu anche più di un quar­ tiere vivace e tollerante . Coloro che là hanno visto l' inizio degli anni Venti, lo ricorderanno come un luogo di entusiasmo e di gioia esube­ rante e giovanile, pieno fino all'orlo di musica e poesia, sostenuto dalla forza di alcune persone straordinarie , le quali precisamente qui, furo­ no capaci di incantare la gioventù . Ma gli anni della gioventù sono tempi festosi che non possono durare 2 15 .

L o spirito d i Schwabing era spensierato, gentile e liberale . Ma nei suoi pressi si trovava anche la birreria in cui Adolf Hi­ tler trasformava gli uomini in esseri inferiori. La rivolta logica contro il determinismo

L'impatto della prima guerra mondiale, le perdite di vite umane e il disgregamento di sistemi sociali, spinsero i pensato­ ri a cercare modi di pensiero che esprimessero la loro disillusio­ ne nei confronti del determinismo. Secondo Erwin Schrodinger, Fu il fisico sperimentale Franz Exner che per la prima volta nel

1 9 1 9 lanciò una critica molto acuta al modo scontato in cui il deter­

minismo assoluto dei processi molecolari veniva accettato da tutti . Egli

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giunse alla conclusione che le asserzioni del determinismo erano cer­ tamente possibili, ma niente affatto necessarie, e se esaminate più da vicino per nulla molto probabili 2 1 6 .

Exner ( 1 849- 1 926) , docente di fisica a Vienna fin dal 1 89 1 , aveva dato notevoli contributi allo studio degli spettri e dell'e­ lettricità atmosferica 2 1 7 • Aveva sostenuto nell' ultima parte di un suo libro di testo che tutte le leggi naturali erano di caratte­ re statistico, che non esisteva nessuna legge esatta, assoluta. La sua tesi era grosso modo la stessa presentata mezzo secolo pri­ ma dall' americano Charles S. Pierce. La sua fu tuttavia una vo­ ce isolata in mezzo alla generazione più anziana: come ha scrit­ to William T. Scott, a parte Schrodinger, «sembra che gli altri fisici abbiano completamente ignorato il valore di Exner». La ricerca dell' indeterminismo sarà principalmente una ricerca di giovani. Assistente di Exner dal 1 9 10 al 1 9 14 fu proprio lo stesso Schrodinger 2 1 8 . Nella Polonia sconvolta dalla guerra, la rivolta contro il de­ terminismo portò al concepimento della nozione di una logica a «tre valori» in cui veniva abrogata la legge del terzo escluso . Fin dai tempi dell' antichità, i filosofi avevano sostenuto che una proposizione era vera o falsa, che non esisteva una terza alter­ nativa (tertium non datur) . Ma con lapprossimarsi della fine della guerra, il logico polacco J an Lukasiewicz si rese conto urgente­ mente che per dare impulso alla nozione d'indeterminismo era essenziale strappare al principio del terzo escluso la sua condi­ zione privilegiata. Lukasiewicz era anche uno storico, studioso degli scritti dei filosofi stoici. S apeva che gli stoici, fautori di un impero mondiale e di una legge naturale ordinati e definiti, avevano anche creduto fermamente nel principio logico che una proposizione è vera o falsa. Peraltro, era altresì consapevole che Aristotele, nel considerare l'esempio «domani ci sarà una bat­ taglia navale o non ci sarà», aveva riconosciuto l' indetermina­ tezza delle cose . Perfino nell' antichità fu un episodio bellico a colpire i pensatori con un senso dell'indeterminato nell'esistenza. Aristotele affermò che nessuna alternativa in merito alla batta­ glia di domani era vera oggi, che le proposizioni riguardanti gli avvenimenti futuri non sono oggi né vere né false . Lukasiewicz avvertì ancor più intensamente nella dottrina del determinismo un incubo repressivo e oppressivo che doveva essere rimosso in quella che egli credeva fosse la sua base logica 2 1 9 .

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Nel 1 922- 1 92 3 Lukasiewicz chiarì la sua ostilità verso la no­ zione di determinismo : quest'ultimo trasformava gli uomini in burattini . Il determinista esamina gli avvenimenti del mondo come se fosse­ ro un film drammatico prodotto in uno studio cinematografico del­ l' universo. Siamo a metà della rappresentazione e non ne conosciamo la fine . . . In esso tutte le nostre parti, tutte le nostre avventure e vi­ cissitudini della vita, tutte le nostre decisioni e azioni, sia buone che cattive, sono fissate in anticipo . Siamo soltanto dei burattini in un dramma universale 22 0 .

Quando enunciò per la prima volta queste idee, afferma Lu­ kasiewicz, «non erano ancora noti quei fatti e quelle teorie nel campo della fisica atomica che successivamente hanno minato il determinismo» 22 1 . Influenzato dai suoi sentimenti antideter­ ministici, a Lukasiewicz parve impellente scalzare la determi­ natezza logica in quanto complemento del determinismo filo­ sofico . Perciò escogitò una logica a tre valori, per mezzo della quale una proposizione poteva da quel momento in poi essere vera, falsa o indeterminata. La nuova logica aveva le proprie regole e i propri procedimenti coerenti 222 • Non solo Lukasiewicz voleva emancipare il futuro dalle al­ ternative limitate e deterministiche del vero o falso, ma si ri­ bellò anche contro l' irrevocabilità del passato . Egli volle rende­ re indeterminato il passato che l'individuo nei suoi sogni a oc­ chi aperti desidera ardentemente annullare . Così facendo, ciò che è accaduto e che altrimenti possiamo soltanto reprimere, sarà abrogato retroattivamente dalle testimonianze storiche. Ha scritto Lukasiewicz : Non dovremmo trattare il passato differentemente dal futuro . . . I fatti le cui conseguenze sono completamente scomparse e che nem­ meno un intelletto onnisciente potrebbe desumere da quelli che av­ vengono ora, appartengono alla sfera delle possibilità. Non si pu,ò di­ re di loro che sono accaduti, ma soltanto che erano possibili. E un bene che sia così . Esistono nella vita di ognuno di noi dei momenti di sofferenza e altri ancor più duri di colpa. Dovremmo essere felici di essere in grado di cancellarli non solo dal ricordo, ma anche dall'esistenza 22 3 .

Così il sentimento antideterministico vide nella logica a tre valori uno strumento per esorcizzare dall'esistenza gli avveni-

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menti del passato . Il logico doveva eseguire gli ultimi riti col­ lettivi per la cancellazione del passato . I militanti della genera­ zione più giovane di fisici antideterministici furono attratti dal1' idea della logica a tre valori e proprio dalla cancellazione del passato irrevocabile. Per Werner Heisenberg un' alterazione ana­ loga della condizione del passato scaturiva come una delle con­ seguenze del principio d'indeterminazione : Tale conoscenza del passato ha tuttavia un carattere puramente speculativo; essa non può infatti servire in alcun modo (a causa della ignota variazione del momento dovuta alla misura di posizione) come condizione iniziale in calcoli relativi all' avvenire dell'elettrone e, in generale , non può essere sottomessa a nessuna verifica sperimentale . Se al detto calcolo relativo alla storia passata dell'elettrone si debba far corrispondere una qualche realtà fisica oppure no è quindi pura­ mente una questione di gusti 224 .

F u pertanto naturale che Heisenberg approvasse l a sostitu­ zione della logica classica con un' altra in cui fosse fondamen­ talmente cambiata la legge del terzo escluso : «Nella teoria dei quanti questa legge del ' tertium non datur' deve essere modifi­ cata» 22 5 . Per Heisenberg la logica classica era nello stesso rap­ porto con la logica quantistica di quello della fisica classica con la fisica quantistica; si reggeva al livello degli oggetti di tutti i giorni, ma non al livello di atomi e di elettroni . Nella teoria dei quanti, ad esempio, se si considera un atomo in movimento in una scatola chiusa che è divisa da una parete in due parti uguali, ci sono altre possibilità oltre a quelle permesse dalla lo­ gica classica, ossia che l' atomo sia nella parte destra o sinistra della scatola. Anche Weizsacker, l' amico più giovane di Hei­ senberg, sostenne una drastica revisione della logica classica. In un primo momento egli aveva desiderato di divenire un filoso­ fo e in seguito scrisse in termini elogiativi sull'esistenzialista Hei­ degger. Passò allo studio della fisica quando Heisenberg gli dis­ se: «oggi non si può più coltivare la filosofia senza conoscere la fisica moderna. Ma devi metterti subito a studiarla prima che sia troppo tardi» 226 . L'indeterminazione dello spirito esisten­ zialista si amalgamò così con quella delle entità subatomiche . I maestri della generazione più vecchia di fisici quantistici credevano tuttavia che mettere da parte la logica classica dei due valori significava spingersi troppo oltre, che i loro processi

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concettuali avevano sempre funzionato in maniera soddisfacente con le nozioni di «vero» e «falso» e che una rivoluzione della logica non era necessaria. Niels Bohr, osservando che «si è an­ che sollevato il problema se il ricorso a una logica a più valori sia necessario per una rappresentazione più appropriata della situazione», disse che «si evita completamente qualsiasi devia­ zione dal linguaggio comune e dalla logica tradizionale riservan­ doci di usare il termine ' fenomeno' soltanto come riferimento a informazioni comunicabili senza ambiguità» 22 7 . Laddove ve­ niva utilizzata una terminologia precisa e le parole venivano usate per corrispondere a quantità misurate, la logica a due valori era pienamente adeguata a ogni situazione . Secondo Bohr, il caso a favore dell'indeterminazione logica si basava su un' ambigui­ tà di linguaggio più che sui fenomeni fisici. Analogamente, Max Born espresse dei dubbi sulla proposta di una logica a tre valo­ ri: «Ho l'impressione che si esageri. Non si tratta di un proble­ ma di logica o di logica formale, ma di buon senso . Infatti la matematica, che è perfettamente in grado di spiegare le osser­ vazioni reali, fa soltanto uso della comune logica a due valo­ ri» 228 . E anche Wolfgang Pauli, che una volta aveva resistito saldamente a un attacco contro il principio di conservazione del1' energia, scrisse che il fisico aveva «il diritto di procedere con l'uso della logica comune» e al tempo stesso respingeva, defi­ nendole prive di senso, le affermazioni sui valori simultanei di entità incompatibili. Evidentemente anche Einstein pensò che i problemi della meccanica quantistica non necessitavano del1' adozione di una nuova logica formale 229 . Mentre Werner Heisenberg s i stava ribellando contro i ganci e gli occhielli degli atomi disegnati sul suo libro di testo e Jan Lukasiewicz era alla ricerca di una logica che andasse oltre i «SÌ e i no», Ludwig Wittgenstein, servendo nell' esercito austriaco, componeva una visione del mondo che asseriva: «La credenza nel nesso causale è una superstizione»23 0 . L' affermazione fu una specie di manifesto contro il senso comune generale delle scienze, giacché per ogni antropologo sociale dell'Ottocento sa­ rebbe stato ovvio che la superstizione era esattamente l' oppo­ sto, quella che si basava su una negazione del nesso causale in favore di nozioni come la magia. Nondimeno, per coloro la cui esperienza di un mondo senza ordine era di tipo traumatico, era una descrizione psicologicamente accurata affermare che «la credenza nel nesso causale è una superstizione».

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Paul Engelmann, che fu amico intimo di Wittgenstein du­ rante gli anni della sua formazione, ha osservato che il Tracta­ tus Logico-Philosophicus non può essere capito separatamente dalle «condizioni psicologiche da cui soltanto può derivare tale modo di pensare, e che è necessario che esistano, pur se in gra­ do minore, anche nella mente del lettore». Wittgenstein era il rampollo di una ricca famiglia ebrea di Vienna che si era con­ vertita e si era assimilata alla cultura cristiana austriaca. La mag­ gior parte dei suoi geniali figli furono in seguito colpiti da tra­ giche instabilità emotive . Wittgenstein e Engelmann apparte­ nevano a quella parte della «giovane generazione» che alla vigi­ lia della guerra soffriva acutamente per via del divario esisten­ te «fra il mondo così com' è e come dovrebbe essere secondo le proprie idee, ma che tendeva anche a cercare la fonte di quel divario dentro di sé piuttosto che al di fuori». Questi figli pri­ vilegiati della classe superiore, giovani di elevata cultura arti­ stica, letteraria e scientifica, con tempo libero a disposizione, si sentivano colpevoli per la loro condizione sociale, si accusa­ vano e si proclamavano condannati, eppure continuavano a cer­ care un modo di vita che li redimesse. Si aggrappavano l'uno all' altro, sentendo che in un mondo in disgregazione soltanto le lealtà personali avevano un senso . Erano tuttavia a loro estra­ nei gli atteggiamenti di ribellione sociale e politica e rispettava­ no i simboli tradizionali dell' autorità. Si può dire che le loro aggressività erano dirette più verso se stessi che non verso gli altri . Questo atteggiamento verso tutta la vera autorità, costi­ tuiva per Wittengenstein a tal punto una seconda natura, che le convinzioni rivoluzionarie di qualsiasi tipo gli parvero per tutta la vita «immorali». Considerava il suo dovere di combattere co­ me un «obbligo assoluto» e giudicò l' opposizione pacifista alla guerra mondiale del suo maestro Bertrand Russell, come «un eroismo fuori luogo» 23 1 . Questi giovani intellettuali viennesi appartenenti alle classi superiori e di discendenza ebraica si con­ sideravano degli attori impotenti in un mondo che stava spro­ fondando . Regnava fra loro uno spirito apocalittico, una sensa­ zione incombente che il mondo stesse per finire . Karl Kraus, un membro di questo circolo che esercitò un'influenza decisiva e duratura su Wittgenstein, scrisse un libro dal titolo Gli ulti­ mi giorni dell'umanità . Collegata alla rivolta contro il nesso causale, visto come parte di una prospettiva emozionale di un mondo in via di disgrega-

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zione, v'era la sensazione che la base dei valori morali fosse crol­ lata, sensazione che è espressa chiaramente negli aforismi sul­ l'etica di Wittgenstein . Se un valore che ha valore v'è, dev'essere fuori di ogni avvenire ed essere-così. Infatti ogni avvenire ed essere-così è accidentale . Né quindi vi possono essere proposizioni dell'etica. È chiaro che l'etica non può formularsi. L'etica è trascendentale 232 .

In questo mondo in disgregazione l' individuo si ritirava e trovava rifugio in se stesso, per adorare se stesso in uno spirito narcisistico e convogliare, mediante un atteggiamento di muti­ smo, il risentimento o l aggressività nei confronti dell' esisten­ za caotica. Ha scritto Wittgenstein in un taccuino di guerra: «Che m'interessa la storia? Il mio mondo è il primo e l' uni­ co ! » 2 33 . Bisognava aspettare in silenzio la chiamata di Dio; era proprio questo il significato dell ' asserzione di Wittgenstein che l' etica è trascendentale : Se la mia coscienza turba il mio equilibrio, io non sono in armo­ nia con Qualcosa. Ma che cosa? Il mondo. Certo è corretto dire : La coscienza è la voce di Dio 234 .

Wittgenstein aveva il suo catechismo privato : Che cosa so di Dio e del fine della vita? Che la mia volontà compenetra il mondo . Che la mia volontà è buona o cattiva. Che dunque bene e male ineriscono in qualche modo al senso del mondo Il senso della vita, cioè il senso del mondo possiamo chiamarlo Dio. E collegare a ciò la similitudine di Dio quale padre 235 .

Era questo,, nonostante tutta la sua eloquenza, la sfera del­ l'inespresso . «E chiaro che non può essere espresso ! » 236 . I va­ lori della vita erano «inesprimibili» 237 . Come osserva Engel­ mann, Wittgenstein credeva che tutto ciò che veramente im­ porta nella vita era precisamente quello su cui si doveva tacere 2 3 8 . Nell ' asserire che l' etica apparteneva al regno dell'inespri­ mibile, Wittgenstein si unì a coloro i quali sostenevano che le

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azioni razionali dell' uomo sono impossibili. Tutte le dottrine dell'inesprimibile si sentono confuse di fronte a una pletora di parole : la coscienza, la voce di Dio (il non detto a cui uno cre­ de) parla talmente tanto, e quel che più conta, dice così tante cose contrastanti . Un momento l' inesprimibile diceva a Witt­ genstein di andare in Palestina per unirsi ai sionisti; un altro momento gli ordinava di andare in Russia per lavorare con Sta­ lin («Mi ronza ancora in testa quell'idea di un eventuale viag­ gio in Russia») ; un altro ancora gli chiedeva di divenire un mae­ stro di scuola 2 39. Era quest' etica veramente «inesprimibile» o non era piuttosto il desiderio di Wittgenstein di reprimere le fonti causali dei suoi giudizi? Il metodo di Wittgenstein, ha os­ servato il suo amico Engelmann, è «antipsicologico» 240 • Vi era­ no nella sua psiche degli elementi che egli voleva reprimere, ren­ dere cioè «inesprimibili». A prescindere da qualsiasi fonte «tra­ scendentale», questi elementi evidentemente determinavano o condizionavano il suo punto di vista etico . Ha scritto Wittgen­ stein nel 1 92 0 : «in questi ultimi tempi ho condotto una vita assolutamente pietosa. Ciò naturalmente per la mia bassezza e volgarità. Ho continuamente pensato di togliermi la vita, e an­ cora adesso questo pensiero è vivo nella mia mente» 24 1 • Il te­ ma del suicidio è ricorrente nella sua corrispondenza 242 . Con la coscienza trascendentale così in contrasto con se stes­ sa, che impartiva così tante istruzioni contrastanti, si sarebbe potuto pensare che sarebbe stato opportuno qualche specie di discussione di rivendicazioni, cause e movimenti contraddito­ ri. In caso contrario, l'individuo avrebbe agito soltanto cieca­ mente o impulsivamente, lasciando decidere al caso se divenire un lavoratore nel sistema totalitario di Stalin o un colono di un kibbutz israeliano . Per accertare se l' etica debba alla fine im­ plicare una fonte trascendentale, è necessaria almeno un' anali­ si psicologica preliminare . Infatti la prova più convincente del­ l'origine trascendentale dell' etica può essere fornita soltanto di­ mostrando che il resoconto psicogenetico della coscienza è ina­ deguato, che lascia inspiegate delle lacune (forse inspiegabili) . Un significato che non appartiene a questo mondo si potrebbe allora imporre tra gli interstizi indeterminati . Ma le emozioni generate durante la prima guerra mondiale, con il suo clima sociale di disordine rese affascinante l' anticau­ salismo per molti giovani intellettuali . Il loro apriorismo emo­ zianale respinse un mondo fatto di sequenze di eventi confa r-

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mi alle leggi causali . Gli intellettuali si unirono alla rivolta isoe­ mozionale contro il determinismo . La rivolta dadaista contro il determinismo

Le arti furono probabilmente il barometro più leggibile del­ la rivolta contro il determinismo durante il periodo bellico e il dopoguerra. Ciò fu particolarmente evidente nelle tumultuose dichiarazioni emozionali del dadaismo . In questo movimento, quasi come in una coltura di laboratorio, vi era il nucleo emo­ zionale della ribellione contro la causalità, l'ordine e la logica. «li movimento dada», scrive Robert Motherwell, «fu un insul­ to organizzato alla civiltà europea da parte dei suoi giovani bor­ ghesi» 2 43 . I figli della borghesia di Zurigo, per lo più studenti universitari, erano soliti nel 1 9 1 6 frequentare il C abaret Vol­ taire situato al Numero 1 della Spiegelgasse, dove «si svolgeva­ no orge notturne di canti, poesie e danze» e dove Hugo Ball, poeta e obiettore di coscienza che era scappato da Monaco, im­ provvisava lo spettacolo 244 . Dall' altra parte della strada vive­ va un oscuro e anonimo rivoluzionario russo di nome Lenin, ma le autorità svizzere erano «molto più sospettose nei riguardi dei dadaisti che appunto in ogni momento potevano venir fuo­ ri con chissà quali inaspettate trovate», che non di uno studio­ so russo che bazzicava la biblioteca, leggendo libri di economia e filosofia 245 . I dadaisti esaltavano il caso . Soltanto in seguito scoprirono che i filosofi e gli scienziati, come dice Hans Richter, stavano affrontando contemporaneamente lo stesso problema intratta­ bile . «La fede ufficiale nell' infallibilità della ragione, della logi­ ca e della causalità ci sembrava assurda - tanto assurda quan­ to la distruzione del mondo . . . Il caso, la voce dell'inconscio . . . era­ no, se vogliamo, il nostro mezzo di protesta contro la regolarità uniforme e razionale del pensiero» 24 6 . Inoltre Dada aveva un,a repulsione naturale contro la logica comune, a due valori: «E impossibile con l abituale schema logico dell' alternatio compren­ dere o spiegare ciò che il Dada abbracciava. Esso infatti tentò di buttare all' aria proprio il nostro modo innato di pensare, co­ struito lungo i binari del Sì e del No» 2 47 . Senza alcun program­ ma, in realtà in guerra con tutti i programmi e tutti i fini pre­ stabiliti, Dada era senza direzioni e pronto a muoversi spanta-

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neamente in qualsiasi direzione . Questa libertà assoluta dai pre­ concetti era qualcosa di affatto nuovo nella storia dell' arte». Dada era senza tradizioni, privo di qualunque senso di continuità ge­ nerazionale, «libero dal peso del tributo di gratitudine che ra­ ramente una generazione paga a quella che l'ha preceduta» 248 . «Dada era il virus della libertà, ribelle, anarchico e molto con­ tagioso. Originato da una febbre della mente, tenne viva quella febbre nella nuova generazione di artisti» 24 9 . I giovani dadaisti non solo s i ribellarono contro il mondo borghese dei loro padri, ma si potrebbe dire che rifiutassero an­ che il mondo dei loro fratelli maggiori . Volevano distruggere le forme artistiche dei rivoluzionari di poco più anziani da cui avevano tratto nutrimento: il cubismo, il futurismo e l' espres­ sionismo . «Il vero problema era la distruzione dei valori» 250 . Credevano, come di lì a poco credettero i giovani fisici, che il concetto stesso di realtà dovesse essere ridefinito . Le regole della prospettiva usate per definire il mondo e i colori in tubetto per fissarlo «corrono alle calcagna delle cose e hanno rinunciato al­ la vera lotta con la vita; sono degli azionisti della filosofia co­ darda e compiaciuta della borghesia». Quando in questo spirito Picasso rinunciò alla prospettiva, «sentì che si trattava di una serie di regole che erano state imposte arbitrariamente sulla "na­ tura" , le parallele che s'incontrano sull' orizzonte sono un de­ plorevole inganno . . . » 2 5 1 . In uno stato d' animo simile , il giova­ ne Werner Heisenberg si ribellò non solo contro i ganci e gli occhielli del testo liceale di scienze, ma anche contro la nozio­ ne delle orbite elettroniche del modello di atomo di Bohr. Quali sono le prove, si chiese Heisenberg, che gli elettroni ruotano in orbite attorno al nucleo come i pianeti di Keplero intorno al sole? Non erano forse queste orbite un' illusione, una serie di immagini e di regole imposte arbitrariamente sui fenomeni osservati? Nello stesso modo, i dadaisti chiedevano insistente­ mente della Sorbona per ascoltare gli insegnamenti di Bergson. Nella magnifica biografia del suo amico Péguy, il romanziere Romain Rolland ha scritto alcuni passi toccanti sull' attrazione che l'uomo Bergson e la sua filosofia esercitarono su Péguy e sulla generazione più giovane . Bergson fu per loro «l'intellet­ tuale più illustre del nostro tempo», «il leader di un' avanguar­ dia della mente». Egli aveva messo in discussione, come nessun altro, la supremazia delle categorie meccaniche e deterministi­ che . La rivoluzione industriale aveva provocato come conseguen­ za un progresso immenso, ma la sua espressione filosofica era decaduta nell' arido positivismo di Taine e nell'ottimismo su­ perficiale di Spencer . Il suo esempio tipico alla Sorbona era «il dogmatismo militante della Scuola Sociologica francese, il cui pontefice era Durkheim, il grande rivale ufficiale di Bergson». Ma gli «spiriti liberi e lucidi» volevano «affrontare l' abisso e la loro angoscia . . . La rivolta tra i giovani ardeva di risentimen-

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to, sarcasmo e dolore». Ascoltarono le parole liberatrici di in­ tuizione e di comprensione mistica del «mago del pensiero at­ torno al quale si sono raccolte tutte le ribellioni: Bergson». Ogni venerdì al Collège de France, in mezzo ai trecento uditori, ascol­ tavano una verità che non era irrazionale, ma piuttosto «trans­ razionale». Un avversario di Bergson, Julien Benda, affermò sprezzantemente che «Bergson era venuto a dire alla società del tempo esattamente quello che essa desiderava sentire . . . » 3 1 7, «ma», rispose Rolland, questo è precisamente ciò che ci interessa, e lungi da essere per noi il segno della debolezza di un pensiero che corrisponde alla necessità imperiosa di un'epoca che aspetta e invoca, è piuttosto indice del fat­ to che risponde ai profondi requisiti di un'ora necessaria dello spirito umano 3 18 .

La rivista di Péguy, i Cahiers de la Quinzaine, divenne l' or­ gano dei giovani bergsoniani. Nel 1 9 1 3 Péguy scrisse sardoni­ camente dei positivisti: «Ciò che non perdonano a Bergson e che egli ha spezzato le nostre catene» 3 1 9 . Avvicinandosi a i quarant' anni, Péguy valutò attentamente il conflitto generazionale che imperversava nel pensiero fran­ cese. La crisi della Sorbona, egli credeva, si fondava su questo contrasto tra generazioni che provocava incomprensione e osti­ lità, ma forse era anche di stimolo al progresso della filosofia, delle arti e della scienza. Nel 1 9 1 1 Péguy dedicò un intero nu­ mero dei Cahiers de la Quinzaine a un articolo che esprimeva eloquentemente le lamentele della sua generazione :

È infatti per una generazione estremamente difficile se non im­ possibile credere che ad ogni suo grado d'invecchiamento anche le altre s 'invecchiano . Più precisamente, i suoi membri sono disposti a credere che gli anziani si stiano invecchiando e misurano questo pro­ cesso d'invecchiamento quasi geometricamente . . . mediante il loro avan­ zamento in posizione, potere e autorità temporale, ma non vogliono riconoscere che gli altri, i più giovani, che la giovinezza, ahimè, le prossime generazioni, stanno avanzando in modo percettibile alla stessa velocità. Tutte le crisi familiari, padri e figli derivano da ciò . Un uo­ mo non vuole capire che un altro, suo figlio, si è fatto uomo . E le madri sono generalmente peggio dei padri. Tutta la crisi della Sorbo­ na, che è cosl profonda (non la Sorbona, ma la crisi) , scaturisce dal fatto che un'intera generazione, che sta andando avanti con gli anni

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verso i sessanta, non vuole capire che un'intera generazione, u n ' al­ tra, la nostra, si sta avvicinando alla quarantina . Se questa incomprensione perpetua . . . che i n perpetuo s i rinnova, sorge e si evolve regolarmente da generazione a generazione come una cascata d'incomprensione e di non-incomprensione, fino a divenire anche la legge d'invecchiamento della famiglia, della razza, del popo­ lo, - della filosofia della metafisica, dell' arte, della scienza - che cosa non deve aver prodotto tra la generazione che ha preceduto noi e la nostra, se si considera il grado di adeguatezza scientifica ottenuta dalla generazione che ci ha preceduto .

Nessuna generazione, affermavano amaramente i Cahiers, in nessun luogo o tempo, ha mai trattato cosl severamente, in modo così ingrato, con tanto odio e furore e acrimonia e in maniera così nefasta la generazione successi­ va, come la generazione che ci ha preceduto. Essa nutre verso di noi dei sentimenti simili a quelli delle vecchie orchesse delle favole che volevano sempre divorare la giovane principessa come una filza di piselli 3 20 .

In un certo senso Louis de Broglie fece parte di questo mo­ vimento, di questa ondata isoemozionale. Non essendo un Nor­ malien ed essendo a ogni modo il suo interesse assorbito più dai problemi fondamentali che dagli esami, egli trovò un profondo significato nella filosofia di Bergson . Nel 1 9 1 0 le idee di Bergson avevano iniziato a permeare l'insegnamento dei giovani professori . Gli avversari della filo­ sofia bergsoniana sostenevano, non senza motivo, che gli stu­ denti attratti da Bergson venivano lasciati con «un curioso sta­ to di decisione», con un disprezzo per la scienza positiva. I gio­ vani intellettuali, si asseriva, erano portati a sminuire le scien­ ze considerandole sufficienti per tecnici, dottori e ingegneri, ma di nessuna importanza per chi si occupava della realtà: «I fatti psicologici devono essere vissuti», essi affermavano . Per i suoi critici, il bergsonismo istigava un' «insincerità filosofica». Hen­ ri Bergson negò con una certa foga di aver mai «scritto una ri­ ga, una parola che potesse essare interpretata in questo mo­ do ! » 3 2 1 La matematica, egli disse, non era un gioco; al pari del­ la fisica entrava in un genuino contatto con l' assoluto, ma si risolveva nel ridurre in frammenti la natura secondo i nostri in­ teressi pratici. Tuttavia i giovani discepoli di Bergson spesso

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prediligevano proprio quei passi in cui il carattere di durata ve­ niva descritto dal filosofo come se fosse stravolto dal metodo matematico, un metodo che riduceva il moto all'immobilità e le continuità a molteplici atomi separati. Louis de Broglie non fece mai parte di nessun circolo berg­ soniano, né vi fu mai deliberatamente associato . In effetti, non fu mai in nessun senso un «seguace» di qualsiasi metafisica. «Ho letto in realtà Bergson quando ero molto giovane», egli ha scritto, «ma se allora certe sue idee mi interessavano, non fui mai vera­ mente un suo seguace» 3 22 • Solitario per natura, fu tra coloro che assorbono le proprie idee dall' ambiente intellettuale senza peraltro divenire parte di esso, che danno una nuova forma a queste idee e le usano in complesso per i propri fini e la propria inclinazione. Non fu un bergsoniano, ma poté sublimare il mal­ contento che sentivano i giovani bergsoniani in un'espressione ancor più duratura e rilevante. Ha scritto de Broglie di se stesso : Ciò che più mi caratterizza è il fatto che sia stato, nonostante gli obblighi della mia carriera, un grande solitario, avendo passato parte della mia giovinezza dopo la morte di mio padre, con due donne an­ ziane (mia madre e sua madre) e avendo sempre detestato la vita mon­ dana che conducevano molti membri della mia famiglia. Credo che questo sia stato l' aspetto più importante della mia vita 3 2 3 •

Louis de Broglie ruppe con lo stile di vita tipico della sua famiglia. Fece ricorso alle proprie risorse intellettuali e parteci­ pò, per così dire, indirettamente alle agitazioni delle nuove idee di quelli della sua generazione . Difficilmente avrebbe potuto sentirsi a proprio agio nel circolo dei giovani bergsoniani, ep­ pure in modo curioso e indiretto fu, si potrebbe dire, associato alla loro «onda pilota». Probabilmente il rapporto di de Broglie con i giovani bergsoniani fu molto simile a quello del romanzie­ re Marcel Proust. Dalle lezioni di Bergson Proust derivò la no­ zione che la durata permea la memoria: «Un ritmo bergsoniano di cambiamento, di flusso e di mutevolezza pulsa attraverso la ricerca del tempo perduto » 324 . A un amico che nel 1 90 9 stava leggendo Bergson, Proust scrisse : « È come se fossimo stati in­ sieme a una grande altezza». Aveva letto abbastanza di Berg­ son, egli disse, per avvertire l'orientamento dell'Evoluzione crea­ tiva, giacché «la parabola del suo pensiero è già sufficientemen­ te distinguibile dopo una sola generazione» 3 2 5 . Nel 1 92 2 , in . . .

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punto di morte, Proust affermò di aver scritto i suoi romanzi co­ me se il suo intento fosse di trasportare il tempo nel campo visivo del suo telescopio, per rivelare alla mente i fenomeni inconsci del passato dimenticato, mostrandosi in tal modo d' accordo con Berg­ son. Nondimeno egli affermò anche che «non v'è mai stata, per quanto ne sia consapevole , un'influenza diretta». Fu attraverso una via similmente indiretta che l'opera scientifica di de Brogli e, al pari dell' arte di Proust, conobbe l'influenza di Bergson 3 2 6 • Quando Bergson pubblicò nel 1 8 8 9 l'Essai sur !es données immediates de la coscience, egli ruppe decisamente con le mode e gli idoli intellettuali della propria giovinezza - il determini­ smo ambientale di Hyppolyte Taine e il determinismo positivi­ stico di August Comte e di Herbert Spencer. L'intelletto scien­ tifico, col suo trattamento localizzato nello spazio della realtà, secondo Bergson imponeva sulla realtà stessa la sua deforma­ zione delle discontinuità e delle divisioni. Soltanto l'intuizione poteva ricatturare la natura interiore del moto continuo . La re­ ductio materialistica o l' analisi positivistica non avrebbero mai potuto esser d' aiuto contro la durata della coscienza interiore che sfuggiva a tutte le categorie geometriche . Louis de Broglie non poteva accettare la critica radicale di Bergson del metodo matematico, considerato come snaturamento della natura della realtà ultima. Ma nelle sue lezioni e soprat­ tutto nel suo saggio Matière et mémoire del 1 896, Bergson die­ de il suo appoggio filosofico a quei fisici che cercavano di sosti­ tuire il modo atomistico di pensiero con le concezioni di una natura più continua e più fluida. Ammesso che i requisiti prati­ ci dell' azione portavano gli esseri umani a imporre una «discon­ tinuità primaria» sulla natura della materia, nondimeno i fisici stavano iniziando a liberarsi di queste «immagini abituali». E in effetti vediamo che più il fisico penetra negli effetti della forza e della materia, più esse si avvicinano tra di loro . Vediamo la forza sempre più materializzata, l' atomo sempre più idealizzato, i due ter­ mini che convergono verso un limite comune e l'universo che così re­ cupera la sua continuità. Possiamo ancora parlare di atomi. . . ma la solidità e l'inerzia dell' atomo si dissolvono in movimenti o in linee di forza la cui solidarietà reciproca ci riporta la continuità universale . A questa conclusione erano giunti, secondo Bergson, «i due fisici del secolo scorso che hanno indagato più attentamente la

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costituzione della materia, Lord Kelvin e Faraday». Per Fara­ day l'individualità dell' atomo si dissolveva in linee indefinite di forza, che si estendevano attraverso tutto lo spazio e si com­ penetravano a tutti gli atomi . Per Kelvin, l' atomo diveniva l' a­ nello di un vortice che roteava in un mezzo continuo. «Ma in base a entrambe le ipotesi», affermava Bergson, «più ci avvici­ niamo agli elementi basilari della materia, meglio notiamo co­ me svanisca quella discontinuità che i nostri sensi percepivano in superficie». «Ogni filosofia della natura finisce per trovare (la discontinuità) incompatibile con le proprietà generali della materia». Pertanto, l' evoluzione della scienza fisica la porterà ad essere in armonia con le intuizioni dell' analisi psicologica 327 • Furono queste idee audaci che destarono la curiosità di de Broglie quando, dopo essersi laureato in storia, si accinse tra il 1 9 1 1 e il 1 9 1 3 a prendere un certificato di laurea in scienze. Erano idee non conformi al tenore centrale della «rivoluzione scientifica» in corso . Di questi sviluppi lo teneva abbondante­ mente informato suo fratello, Maurice, un fisico già noto e af­ fermato che nel suo laboratorio privato studiava i raggi X . Co­ me narra Louis de Broglie : Nell'ottobre 1 9 1 1 si riunì a Bruxelles il primo Consiglio Solvay della Fisica in cui vennero discussi i problemi relativi ai quanti che a quel tempo erano ancora ben lungi dall'essere stati chiariti. Mio fra­ tello, che era stato uno dei segretari del Consiglio e stava preparando la pubblicazione dei suoi verbali, mi comunicò il testo delle discussio­ ni. Con tutto I ' ardore della mia età, ero pieno di entusiasmo per que­ sti problemi sui quali si stava indagando e avevo promesso di dedica­ re tutti i miei sforzi alla compresione dei misteriosi quanti che Max Planck aveva introdotto nella fisica teorica dieci anni prima, ma la cui profonda importanza non era stata ancora avvertita 3 28 .

Le idee bergsoniane verso le quali si sentiva anche attratto Louis, erano tuttavia diametralmente opposte alle discontinui­ tà che Planck, Einstein e Bohr stavano introducendo nella con­ cezione dell' atomo e dell' energia. Il giovane nobile francese fu in realtà coinvolto nella con­ vergenza di vettori emozionali del tutto eccezionali . Da un la­ to, dalla tradizionale preoccupazione della sua famiglia per un passato monarchico, si era volto verso il mondo della scienza, dall' altra egli era in maniera singolare membro di una minoran­ za altamente esclusiva che si sentiva assediata. Come principe

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de Broglie, i cui antenati avevano combattuto e dato la vita per la monarchia e avevano abbracciato le sue dottrine ecclesiasti­ che, egli conservava una lealtà che, strano a dirsi, non era dissi­ mile da quella che legava Einstein agli ebrei perseguitati. Un'é­ lite perseguitata può esistere sia tra gli aristocratici che tra i pa­ ria della società. Pertanto Louis de Broglie non poté mai darsi di tutto cuore allo scetticismo positivista repubblicano di Poin­ caré . Ma nelle dottrine di Bergson, imbevute della protesta con­ tro il punto di vista materialisico e che s' appellavano a sottili distinzioni, intuizioni e sfumature contro le categorie dell' azione pratica, egli trovò qualcosa che unificava le sue aspirazioni emo­ zionali. La ritirata nella radiotelegrafia dell'esercito

A questo punto intervenne la prima guerra mondiale : «La guerra mondiale del 1 9 1 4- 1 8», ha scritto de Broglie, «venne a interrompere brutalmente per diversi anni delle considera­ zioni che gli avvenimenti successivi dovevano dimostrare chia­ ramente essere orientate in una buona direzione» 3 2 9 . Inziò co­ sì un periodo della sua vita non dissimile dagli anni di gesta­ zione di Einstein nell'ufficio brevetti di Berna 33 0 . Louis en­ trò nell'esercito francese dove lavorò nel servizio radiotelegra­ fico militare sotto il comando del generale Gustave Ferrié e del colonnello Brenot. Il giovane fisico si rammaricò di non avere assolutamente il tempo di concentrarsi sui suoi studi teo­ rici, ma fu tuttavia felice di poter acquisire una conoscenza pra­ tica in elettrotecnica e di lavorare in una atmosfera di labora­ torio . Fu particolarmente coinvolto nei progetti che sviluppa­ rono l'uso della Torre Eiffel per le trasmissioni radiotelegrafi­ che militari. Il carattere del generale Ferrié esercitò un'influenza immensa sul giovane Louis de Broglie . Ferrié era uno di quei militari così tipici della Francia, un soldato di carriera che al tempo stesso era uno scienziato e un pensatore . Laureatosi al­ l'Ecole Polytechnique, Ferrié era divenuto un pioniere nello sviluppo e nella sperimentazione della radiotelegrafia. Oltre a essere stata la figura principale nel risolvere i problemi di adat­ tare la radiotelegrafia alle comunicazioni militari, egli era an­ che un ricercatore nei campi della geofisica e della meteorolo­ gia. Nell' opera di tutta la sua vita, fu soprattutto espressa la

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realtà del moto ondulatorio, le onde elettromagnetiche di Hertz, il cui uso e applicazione egli riuscì a dimostrare a dei burocrati inerti e incompetenti. Nel 1 9 1 4 , allo scoppio della guerra, Ferrié riuscì, superando enormi difficoltà, a garantire la produzione in Francia degli indispensabili tubi elettronici a tre elettrodi che avevano appena fatto la loro comparsa negli Stati Uniti. Il 12 novembre 1 949, de Broglie pronuncio un discorso in com­ memorazione del suo generale : Cosl Ferrié, oltre alla sua feconda carriera militare, fu anche un grande scienziato la cui opera interessò i più svariati campi della scien­ za. Sapeva come ricercare e scoprire da solo, sempre occupato di per­ sona nel lavoro. S apeva anche come far lavorare gli altri . Dotato di tutte le qualità del capo, sapeva ammirevolmente circondarsi dei col­ laboratori che gli erano necessari e stimolarli con ardore incessante . Benevolo e capace, riuscì a far lavorare insieme esperti di differenti specializzazioni per imprese spesso di grande importanza per il no­ stro paese e per il progresso della scienza 33 1 .

Nella personalità di F errié, Louis de Brogli e trovò un' ar­ monia del dualismo tra il vecchio ordine e la nuova Francia re­ pubblicana. Così ha ricordato una delle sue esperienze militari: La stazione militare della Torre Eiffel faceva parte del fronte in­ terno . Le promozioni erano difficili e i coscritti del servizio tecnico ottenevano non senza difficoltà i modesti gradi di caporale o di sot­ tufficiale . Spesso al comando della stazione vi era un semplice capo­ rale e cio permetteva a me e ai miei commilitoni, a volte di dire: «questa sera il servizio è garantito da un generale e da un caporale». Questo contrasto tra i due gradi estremi della gerarchia militare ci faceva sor­ ridere perché eravamo giovani, ma percepimmo la lezione morale che ci trasmetteva: sapevamo che il generale Ferrié ci stava dando un gran­ de esempio 332 . La nascita della meccanica ondulatoria

Alla fine della guerra, dopo essere stato smobilitato nel 1 9 1 9 , de Broglie riprese i suoi studi . Lavorò nel laboratorio di suo fra­ tello, compì esperimenti sui raggi x, ebbe con lui lunghe con­ versazioni e trovò piacere nello scambio di opinioni con i gio­ vani colleghi. Gli esperimenti di laboratorio sulle proprietà on-

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dulatorie dei raggi x , il campo che interessava a suo fratello, lo portarono inoltre «a riflettere profondamente sulla necessità di associare sempre il punto di vista delle onde con quello dei corpuscoli» 333 . Meditando sulla teoria di Bohr delle orbite quantiche, de Broglie si chiese come le orbite discontinue, i salti elettronici e la liberazione d' energia potessero essere collegati alle strutture e alle manifestazioni ondulatorie . Nei confronti dei fenomeni della luce e dei raggi x , era accettata una dualità di punti di vista. Nessuno tuttavia si era azzardato a suggerire che gli atomi stessi della materia costituissero delle onde basi­ lari. Poteva de Broglie dimostrare che la teoria corpuscolare della materia aveva il suo corrispondente in una meccanica ondula­ toria? Nel settembre e nell' ottobre del 1 92 3 arrivarono infine i giorni dell' intuizione . Louis de Broglie scrisse tre note in cui formulò i concetti basilari della meccanica ondulatoria 334 . Era un'ipotesi rivoluzionaria, che conteneva anche l'impronta del tradizionalismo di de Broglie, in quanto sosteneva il duplice pri­ mato dei principi dei fisici classici francesi del XVII e XVIII secolo Fermat e Maupertuis . De Broglie dimostrò come il prin­ cipio di minima azione di Maupertuis, applicato al moto di un elettrone , corrispondeva analiticamente al principio della pro­ pagazione d' onda di Fermat . L' elemento fondamentale di origi­ nalità fu nell' aver sviluppato la nozione che le particelle di mate­ ria sono controllate, manovrate o pilotate da un nuovo tipo di onde . De Broglie le definì «onde di materia», ma in seguito gli scienziati le battezzarono «onde di de Broglie». L'ipotesi rivelò subito il suo potere euristico. Rese infatti possibile la derivazio­ ne delle orbite discontinue, stazionarie e preferenziali che Niels Bohr aveva assegnato ai suoi elettroni in corrispondenza ai dati sperimentali dello spettro . In base alla teoria di de Broglie, le or­ bite preferenziali derivano dall'interferenza cumulativa delle onde di materia e sono analoghe alle regioni luminose dei tipi d'inter­ ferenza proiettati dalla luce normale quando è diffratta su uno schermo . Le eventuali orbite che vengono respinte corrispondo­ no alle zone scure, mentre le onde fuori fase si estinguono anzi­ ché rinforzarsi reciprocamente . Secondo de Broglie una sempli­ ce legge matematica regola il rapporto delle onde pilota con le loro particelle . Le lunghezze d' onda sono inversamente propor­ zionali alle quantità di moto delle loro particelle . Louis raccolse i suoi risultati in una tesi di dottorato nelle scienze che difese alla Sorbona il 25 novembre 1 92 4 . La com-

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missione di laurea era composto da personaggi eminenti, e com­ prendeva Paul Langevin, il noto fisico atomico, Jean Perrin e il matematico Elle C artan 335 • Gli esaminatori soppesarono l'in­ solita ipotesi di de Broglie in base alla quale a ogni particella atomica è associata un'onda, la cui lunghezza, in una corrispon­ denza univoca con gli elettroni nelle loro orbite quantiche, può essere dedotta matematicamente . De Broglie credeva che delle prove sperimentali avrebbero corroborato l'ipotesi di queste onde pilota, anche se non era possibile ancora citarne nessuna. Era quindi tutto questo un jeu d 'esprit, una comédie française, come qualcuno lo definì? Langevin intuì che il candidato al dottora­ to stava proponendo una tesi che riformulava la meccanica new­ toniana in un modo profondo quanto quello di Einstein. Pur essendo politicamente un rivoluzionario, Langevin fu preso alla sprovvista dall'impudente audacia del giovane aristocratico. Come ha scritto Philipp Frank, Langevin «fu sconcertato dalle nuove proposte» che «gli apparivano del tutto assurde». Ciononostante Langevin si rendeva conto che l' assurdo e il vero si mescolavano stranamente nel pensiero contemporaneo . Inviò quindi la tesi a Einstein il quale dichiarò che Louis de Broglie «aveva sollevato un angolo del grande velo» e disse al filosofo Emile Meyerson che il lavoro di de Broglie era un veritable coup de génie; era una «tesi veramente notevole», scrisse Einstein 33 6 . La verifica spe­ rimentale dell' esistenza delle onde pilota arrivò alla fine da una fonte inaspettata. Nel 1 92 7 due fisici americani, Clinton J . Da­ visson e Lester H. Germer, lavorando nei laboratori della Bell Telephone Company scoprirono inaspettatamente il fenomeno della diffrazione di un raggio di elettroni attraverso un cristallo di nichelio . In un primo momento non afferrarono l' importanza della loro scoperta; Davisson tuttavia, inviò i risultati al fisico teorico Max Born che, memore dell' entusiasmo di Einstein per l'ipotesi di de Broglie, diede istruzioni a un collega affinché in­ dagasse sulla possibilità di interpretare i curiosi massimi di Da­ visson come le frange di interferenza delle onde di de Broglie. Fu così che i ricercatori americani appresero di aver confermato il concetto fondamentale della meccanica ondulatoria 337• Non c'era assolutamente nessun presentimento tra i fisici alla metà degli anni Venti che la situazione della fisica teorica richiedesse una teoria ondulatoria dell' elettrone . I ricordi del Professor Victor F. Lenzen evocano il clima intellettuale del tem­ po tra i fisici:

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Quando f u pubblicato l articolo d i d e Broglie sulla s u a concezio­ ne ondulatoria, il Professor W. H. Williams, che allora insegnava fi­ sica teorica a Berkeley, fece su di essa una relazione in una conferen­ za. Ricordo molto bene che disse di non credere che essa significasse alcunché, tranne che Einstein pensava che vi fosse qualcosa in essa. Nel 1 927-28 io ero borsista della Guggenheim a Gottingen e frequentai un seminario in cui Max Born annunciò i risultati di laboratorio di Davisson e di Germer 338 .

Alla base della concezione di de Broglie v'era una visione metafisica in cui alla nozione di «onda» era stata resa la posi­ zione di supremazia come uno degli elementi caratteristici del­ la realtà: «Si può quindi supporre che come conseguenza di una grande legge della natura, a ogni energia di massa propria Mo sia unito un fenomeno periodico di frequenza Vo» 339. Siamo stati guidati dall'idea che il corpuscolo e la sua onda di fase non siano realtà differenti da un punto di vista fisico . Riflettendo, si vedrà che si può trarre le seguente conclusione : la nostra dinamica (nella sua forma einsteiniana) è rimasta indietro rispetto all'ottica, è ancora allo stadio dell'ottica geometrica. Se oggi ci sembra abbastan­ za probabile che ogni onda comporti delle concentrazioni d'energia, per contrasto la dinamica di un punto materiale indubbiamente cela una propagazione di onde e il vero senso del principio di minima azione sta nell'esprimere una concordanza di fase 34o .

In quanto all' idea dell'identità fisica essenziale tra corpu­ scolo e onda, de Broglie scrisse di essere «guidato dal principio di minima azione e da quello di Fermat» 34 1 . Nel XVII secolo il grande matematico francese Pierre de Fermat propose come legge fondamentale per motivi metafisici e aristotelici, che la natura agisce sempre secondo il corso più breve . Da essa de­ dusse il principio di riflessione della luce, secondo il quale la traiettoria percorsa dalla luce tra un punto sul raggio incidente e un punto sul raggio riflesso, è la più breve possibile compati­ bilmente con l' incontro della luce con lo specchio . Fermat de­ dusse poi il principio di rifrazione : date le resistenze dei diffe­ renti mezzi, un raggio luminoso che passa da un mezzo all' altro percorre il cammino che richiede il tempo minimo . Il risultato, scrisse Fermat nel 1 66 1 , fu «il più straordinario, il più impre­ vedibile e il più felice, mai accaduto» 34 2 • Nel 1 7 74 e nel 1 7 76 Maupertuis modificò il principio di Fermat, che Huygens ave-

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va derivato dalla teoria ondulatoria della luce e, adattandolo al­ la teoria corpuscolare, avanzò l'ipotesi che la luce segue un cam­ mino in cui viene consumata la minima azione . Generalizzò poi questa ipotesi in una legge per tutti gli oggetti in movimento e per tutta la natura, considerata come un sistema dinamico . Ma ora nella formulazione di de Broglie, il punto di vista ondu­ latorio classico, insieme al principio di Fermat, fu reintegrato come una realtà polare, se non in ultima analisi identica (in senso metafisico) alla concezione corpuscolare di Maupertuis : «Il prin­ cipio di minima azione nella sua forma maupertusiana e il prin­ cipio della concordanza di fase di Fermat possono benisssimo essere due aspetti della stessa legge» 343 • Pierre de Fermat fu uno scienziato del periodo classico francese. Contemporaneo di Corneille e di Racine, amico di Padre Mersenne e del mistico Pascal e consigliere del parlamento di Tolosa, praticò la mate­ matica come uno svago, senza dar molto pensiero alle pubblica­ zioni, modesto e pago di considerarsi uno studioso che seguiva le orme degli algebristi greci Diofanto e Apollonia 344 • Mauper­ tuis da parte sua, era amico dei philosophes, il loro leader pu­ gnace nella battaglia a favore del newtonianesimo e l' ammirato amico intimo di Voltaire 345 . Fu giusto che de Broglie, nella cui persona la tradizione clas­ sica coesisteva con gli impulsi del rinnovatore, riportasse il punto di vista di Fermat a una posizione di eguaglianza con quello di Maupertuis : Arriviamo quindi alla seguente affermazione : «il principio di Fer­ mat applicato all'onda di fase è identico al principio di Maupertuis applicato all'oggetto in movimento; le traiettore dinamicamente pos­ sibili dell'oggetto in movimento sono identiche ai raggi possibili del1' onda» 34 6 .

Divenne questo il principio euristico di de Broglie per rea­ lizzare una sintesi tra onde e quanti. L'idea, scrisse de Broglie, che il moto di un punto materiale dissimuli sempre la propaga­ zione di un' onda, deve essere studiata e completata, perché se si potesse rendere in una forma soddisfacente, rappresentereb­ be «une synthèse d 'une grande beauté rationelle» 34 7 • E questa «bellezza razionale» era forse l' universo, come avrebbe deside­ rato vederlo un giovane aristocratico bergsoniano dal tempera­ mento di scienziato .

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Bergson è stato spesso accusato di essere stato un filosofo dell' anti-intellettualismo, un sostenitore dell'istinto contro la ragione . È quindi ancor più notevole il fatto che Louis de Bro­ glie abbia riconosciuto di aver trovato le analogie più significa­ tive tra le idee di Bergson e quelle della meccanica quantistica e ondulatoria. Dobbiamo quindi dedurre che esse furono gli iso­ morfemi, i criteri informatori che l' impressionarono fin dalla sua prima giovinezza, rispondendo ad alcune sue profonde aspi­ razioni emotive. Soprattutto esse plasmarono le ipotesi dei con­ cetti ondulatori che egli cercò poi di fornire di un formalismo matematico consono ai fatti sperimentali. Anni dopo Louis de Broglie scrisse un saggio rivelatore sul­ le similarità di fondo tra le intuizioni di Bergson e il punto di vista della meccanica quantistica. «V' è un' analogia tra la criti­ ca bergsoniana dell'idea di moto e le teorie quantistiche con­ temporanee? La risposta, come pare, deve essere affermativa», ha scritto de Broglie 34 8 . Secondo Bergson, Zenone di Elea ave­ va dimostrato che il concetto che una freccia in volo è in qual­ siasi istante in una posizione determinata, renderebbe impossi­ bile capire il moto, giacché come si può affermare che una frec­ cia si muove quando in ogni istante è immobile? Il passaggio è un movimento e la sosta immobilità. Quando vedo il mobile passare da un punto . . . inclino a considerare il suo passaggio come un riposo . . . Ogni punto dello spazio essendo necessariamente fisso, mi è molto difficile non attribuire al mobile l'immobilità del punto con cui esso coincide 349 .

Guidato da Zenone di Elea, Bergson aveva affermato che cercare di localizzare la posizione in qualsiasi istante di un og­ getto in movimento faceva violenza alla realtà del suo movimen­ to . Per Louis de Broglie ciò era il nocciolo dell'idea della mec­ canica quantistica: Ma con l e idee quantistiche, quando s i considerano l e cose s u una scala molto piccola, non c'è una traiettoria che possa assegnarsi al mo­ bile, perché con una serie di misure necessariamente discontinue non è possibile determinare altro che qualche posizione istantanea delle entità fisiche in progressione, e ognuna di queste determinazioni im­ plica che si rinunzi del tutto a rilevare nello stesso tempo il movimento.

Bergson aveva scritto la sua prima critica della distorsione spaziale del moto nel 1 8 8 9 , più di quarant' anni prima che Hei-

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senberg formulasse il principio d'indeterminazione. Oggi avrebbe potuto giovarsi del linguaggio della meccanica quantistica e af­ fermare: «Se si cerca di localizzare il mobile in un punto dello spazio con una misura o un' osservazione, non si otterrà altro che una posizione, e lo stato di movimento sfuggirà completa­ mente» 35 0 . Secondo Louis de Broglie, Bergson fu in realtà il profeta della meccanica quantistica. Laddove nel passato le entità fisi­ che elementari erano state rappresentate mediante il concetto di una particella situata nello spazio geometrico, esisteva ora il fondamentale concetto complementare di