137 99 7MB
Italian Pages 197 Year 1981
SAGGI 203.
1
ARCANGELJ-;:;ONE DE CAS~ :L
.
Egemonia e fascismo Il problema degli intellettuali negli anni Trenta
IL MULINO
X:·~tL~
3 q 67 M~. l:\j
C.opyright 0 1981 by Società editrice il Mulino, Bologna
Introduzione
Concluso nel '79, questo lavoro credo abbia bisogno, già dopo quasi due anni, di una breve presentazione « storica »: non tanto in riferimento ai pochissimi contributi di cui non ha potuto tener conto, quanto rispetto ad alcune circostanze oggettive di ordine generale. Tra queste, forse la piu incidente è da cercarsi nella complessità dei processi entro i quali sembra improvvisamente essersi reso meno operoso e credibile il « primato della politica»: o almeno una sua interpretazione generosa e rischiosa, che comportava - nei dibattiti degli anni Settanta una forte accentuazione del problema dello Stato, della funzione in sé positiva dell'organizzazione, e per questo di fatto un rilancio degli intellettuali in quanto soggetti politici nelle istituzioni. Si trattava di una proposta teorica, e di una metodologia politica, secondo me indubbiamente capace di ravvivare l'orizzonte del marxismo italiano e delle sue espressioni politiche. Ma era anche profondamente « continua » rispetto ai connotati centrali della loro elaborazione tradizionale: cioè rispetto alle vicende di una concezione e di una pratica della direzione ideale del movimento, secondo le quali, nella realtà dei processi di trasformazione, il momento decisivo è fondamentalmente di pertinenza delle forme formate della politica, dei rapporti di forza a livello istituzionale. Come tutti sappiamo, proprio l'interpretazione del fascismo ha rappresentato il campo problematico nel quale questa concezione si è tradotta in una immediata proiezione storiografica. La nozione di « regime reazionario di massa » è stata al centro di una riflessione non sempre esplicita, piuttosto polverizzata e talvolta indiretta, ri5
Egemonia e fascismo
spetto alla vastità del campo di analisi offerto dagli anni Trenta: comunque di una riflessione in cui si è talora finito con l'assumere come scontata e preliminare una signific~one formalmente positiva (modernità, rottura) di una struttura (regime di massa) che invece doveva essere l'oggetto impregiudicato della conoscenza storica; e si è dunque finito con l'assumere come accidente, su cui convogliare il giudizio negativo, quell'aggettivo (reazionario) che invece - nella indicazione togliattiana e nella realtà storica - sollecita una analisi tutt'altro che formale o distintiva della società italiana, nei rapporti reali del suo sviluppo di massa con le forme della sua gestione politica. Voglio dire che l'accentuazione ideologica della « funzionalità» dei modelli di organizzazione fascista della società ha comportato una evidente elusione conoscitiva dei contrasti sociali, delle contraddizioni e dei bisogni, delle loro espressioni e delle loro introversioni complesse: cosi come invece, a questo riguardo, talune indagini non pregiudicate e concrete sulla realtà istituzionale del regime hanno fruttato conoscenze rilevanti rispetto a una vicenda storica non riducibile agli schemi di una continuità del prima o del dopo. Questa volta, la « storia politica~ ha trascurato e deformato, molto piu di altre storiografie, la lezione politica della storia. Per quanto sembri paradossale, quella accentuazione inverifìcata non ha rovesciato criticamente, ma di fatto ha contribuito a riprodurre, l'ideologia della « autonomia del fascismo~ che certa tradizione storicistico-liberale aveva accreditato nella cultura italiana: «originalità» e « rottura » non sono termini semanticamente eterogenei rispetto a «parentesi» e «malattia». Ambedue le serie definiscono nel fascismo una forma che non ha rapporti spiegabili e ricostruibili con la storia reale della società italiana. Privilegiano l'autonomia (tecnicamente avanzata, o moralmente patologica e tuttavia a lungo vincente) di un ceto politico dirigente e organizzatore. Credo che in entrambi i casi, e nel loro legame profondo, si riproduca in tempi e modi social6
Introduzione
mente diversi una visione giacobina del potere e della storia tout-court. Ora l'ipotesi che questo mio studio cerca di verificare, e cioè che le interpretazioni « positive » del fascismo proposte all 'intemo della cultura marxista negli anni Settanta (primato dell'organizzazione e interventismo dello Stato) si costruiscono sulla condizione di una notevole carenza di analisi, e in particolare su di una valutazione abbastanza tradizionale della funzione degli intellettuali (funzionari dello Stato hegeliano e organizzatori prammatici del consenso), questa mia ipotesi, a parte la eventuale quantità di restauro storico che consenta di avviare, può rischiare oggi comunque di apparire intempestiva almeno per quanto riguarda quegli elementi polemici della sua genesi. Non è venuto meno, di certo, il bisogno profondo di una analisi delle funzioni reali della cultura italiana - a vari livelli - nei processi di formazione e di stabilizzazione e di crisi delle strutture politiche del fascismo: cioè il bisogno di una storia degli intellettuali italiani, e dei loro rapporti con il potere e con l'egemonia, dentro l'orizzonte composito e travagliato della cultura europea tra le due guerre. Ma l'interlocutore ideologico e anche politico del mio modo di esercitare questo bisogno di conoscenza, e cioè il giacobinismo dello Stato organizzatore, sembra non sostenersi piu (non trovare sostegni) in questi anni recentissimi: e d'altra parte la scomparsa dei suoi rischi di totalità e di organicismo sembra rivelare nelle cose una perdita di iniziativa e di identificazione teorica della formazione del presente. Non è possibile qui, com'è ovvio, una evocazione meno veloce dei grandi soggetti collettivi entro i quali queste crisi ideologiche si sono sviluppate, e che sono stati essi stessi i portatori di senso e insieme i segni piu drammatici della crisi generale della società. Parlo di soggetti sociali e di soggetti politici, dentro e rispetto ai quali gli intellettuali «pensanti» hanno pure radici profonde e altrettanto profonde istanze di autonomia. Quello che è certo è che sul declino del « primato della politica» 7
Egemonia e fascismo
(dico delle sue implicazioni teorico-ideologiche) si è sempre piu andata innestando l'idea di un protagonismo dei poteri dei saperi, della pluralità (sociale) degli specialismi e dello specialismo (politico) dei poteri di decisione. Quello che a me sembra certo, e non è stato notato, è che questo innesto è avvenuto secondo i modi di una dialettica indolore, di una interdipendenza necessaria, e, di fatto, di una « consegna » di iniziativa culturale: dove il livello di necessità che lo rende indolore è stato il « rispecchiamento» immediato dell'esistente, la « oggettività » della crisi. La risposta politica della cultura alla emergenza di una crisi complessa e « mondiale» è stata prevalentemente negli ultimissimi anni, nel settore di cui parlo, una cultura della crisi. Lo è tuttora, in modi articolati che vanno tutti specificati: ma certo quasi sempre attraverso un recupero di forme e momenti della grande cultura della crisi europea sviluppata dentro e attorno ai fascismi storici negli anni Venti e Trenta, e cioè attraverso quella riattivazione della spinta cosmopolitica degli intellettuali, che Gramsci aveva indicato come ricorrente in tutti i momenti di crisi della forma-Stato dalle Signorie ai giorni suoi. Dunque un discorso storico «tempestivo» sarebbe oggi, piu che il tentativo di una interpretazione impregiudicata della dialettica culturale dentro il ventennio, la ricerca diretta di quel variegato appello alla autonomia del sociale che fu, nel ventennio europeo, la cultura della crisi? E sarebbe questo il terreno storico-culturale rispetto al quale piu facilmente incontrare l'interlocutore di oggi, il pensiero neonegativo settentrionale, la critica del panstatalismo storicistico, la positivizzazione della crisi come liberazione dei saperi ribelli a qualsiasi egemonia nell'avanzata società di massa? Ebbene, se si trattasse di questo, anche nella formazione di questo gioca un ruolo fondamentale il rapporto storico tra cultura e fascismo: non solo, com'è ovvio, riguardo alle premesse « liberali » e poi alle precipitazioni organicamente totalitarie delle varie culture « di Weimar », ma soprattutto rispetto alle 8
I nfrod u:.ione
filosofie non-critiche di oggi, alle eredità scientifiche della volontà di potenza-per-divisione, cioè rispetto al modo di proporsi-promuoversi che gruppi di intellettuali realizzano e teorizzano nello sviluppo del movimento e nella sua crisi. La crisi della ragione è reale, e significa crisi della società, dello Stato, delle forme politiche del movimento. Non c'è dubbio. Ma nel descriverla come se fosse la fine di una illusione collettiva di trasformazione, si parla in realtà di una ragione vecchia e indifferenziata, forse degna di nostalgia, comunque vinta da una strana e non-identificata libertà di microragioni da promuovere al rango del potere. Cioè si parla ancora di filosofia, non ancora della ricerca e della costruzione collettiva di una ragione-liberazione. La filosofia si fa ancora politica, ma azzerando i soggetti reali della politica, riducendoli a pochi individui dotati di negazione-programmazione. Questo studio ha creduto di ricostruire negli anni Trenta, all'interno della prigione statuale-organizzativa, il funzionamento di alcune forme di questo stato d'animo «filosofico», nel momento di uno sviluppo tendenzialmente di massa del lavoro intellettuale e di una singolare carenza di direzione politico-ideale del lavoro intellettuale. Non si tratta, oggi, di continuità ideologiche, bensf di non profondamente trasformate condizioni reali. Sono soggetti sociali a trattare le forme che le istituzioni conservano e mettono in crisi: le forme della ricerca di identità, della difesa del ruolo, della tentata organicità al movimento di massa, della separazione dal terrore dello sviluppo di massa. Conoscerle non è giudicarle: è trovarle in noi predisposte, scoprirne il funzionamento, tentarne collettivamente il superamento. Sono le forme della storia ideologica degli intellettuali, e agiscono finché agiscono nella storia reale degli intellettuali.
9
CAPITOLO PRIMO
Tra coscienza e organizzazione
Le indagini «orizzontali» e minute sulla organizzazione culturale fascista, cioè sulle forme di quotidiana trasmissione delle idee e dei miti del regime, sulla gestione e sull'orientamento del senso comune nel ventennio, possono rappresentare indubbiamente un contributo importante alla conoscenza sempre piu fondata del regime reazionario di massa e della realtà molecolare della società italiana 1• Nel loro muovere da una accezione piu larga, socialmente piu rappresentativa, della nozione di « intellettuale » e di « cultura », e nella loro speranza di attingere - attraverso il moltiplicarsi degli approcci e delle fonti il livello ultimo e impervio della soggettività delle masse, queste ricerche potrebbero offrire un terreno non marginale al chiarimento ulteriore di alcuni problemi centrali della storiografia generale sul fascismo: su nodi cioè tuttora abbastanza aperti alla ·discussione e alla verifica, quali il «consenso» (spesso confuso con l'organizzazione del consenso), la specificità del fascismo nella storia italiana (continuità o rottura), il rapporto tra l'esperienza fascista e la democrazia nata dal crollo delle sue istituzioni politiche. E tuttavia il bisogno diffuso di storia minuta, di positività e di materialità degli oggetti, che da tempo sembra sollecitare questo tipo di angolazione storiografica sul tema degli intellettuali e delle loro funzioni, non è un 1 A parte molti assaggi pamali e prevalentemente occasionali, ricordati piu oltre, dr. ora i sondaggi a loro modo sistematici (cioè collocatli in una ricerca programmatica, anche se con lucida consapevolezza del loro carattere campionario e provvisorio) di M. lsnenghi,
Intellettuali militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Torino, 1979 (e anche, dello stesso, L'eductl1.ione dell'italiano, Bologna, 1979).
11
Egemonia e fascismo
bisogno che nasca dalla pienezza di un maturo dibattito storico-teorico, di una crescita interpretativa, da una verifica a molti livelli del problema complessivo del rapporto tra cultura e fascismo. Sembra nascere invece da una sorta di vuoto di riflessione intorno ad esso, e cioè dallo stallo conoscitivo a lungo imposto dalla tradizione liberal-crociana (non è esistita una Cultura fascista, per la contraddizione che noi consente) e mai veramente superato da iniziative corrette di definizione storica del problema. Sicché si ha l'impressione che, per questa via, il pur sacrosanto rifiuto dell'astrattezza di questa posizione 2 possa tendere a risolversi di fatto non già in una necessaria moltiplicazione dei livelli di indagine, bensf nella elusione di un suo livello fondamentale (le funzioni della cultura nel ventennio, le forme dell'egemonia) e in una alternativa puramente metodologica alla sua stessa fondamentalità: cioè in una definizione altrettanto aprioristica e non critica del problema medesimo. La complessità del problema della « cultura » tenderebbe cosf ad esaurirsi nei livelli della propaganda, della oircolazione dei miti, dei modi rituali di unificazione del senso comune, dei comportamenti e dei rapporti tra società e istituzioni del regime: tenderebbe ad accogliere tanti fatti, meno che il fatto della produzione di idee, della funzione e del contesto sociale delle idee, degli effetti .politici delle forme di coscienza. Sembrerebbe la negazione liberatoria di una zona particolarmente accidentata della realtà storica, se non rischiasse piu specificamente di essere la sua rimozione in sede critico-conoscitiva, e cioè la conservazione tutt'altro che liberatoria della indisponibilità di quella «cultura» a lasciarsi affrontare come oggetto di storia. Se il rapporto intellettuali-fascismo non può esaurirsi al livello degli intellettuali in senso tradizionale, di una élite di coscienze e di una pura dialettica ideologica, 2 Gircolante in vari modi da Croce .i:n poi, essa è stata riproposta da ultimo, in termini di piu distaccata «constatazione~, da N. Bobbio, nel voi. collettivo Fascismo e società italiana, a cura cli G. Quazza, Torino, 1973.
12
Tra coscienza e organizzazione
ma deve estendersi alla realtà sociale articolata e complessa della funzione ,intellettuale, ebbene quale effetto conoscitivo può raggiungere una analisi che accetti ontologicamente e materializzi una simile distinzione e cosi confermi la non-storicizzabilità delle idee? Quale effetto conoscitivo può realizzare una rinunzia all'analisi della formazione e della vita articolata di quel « potere culturale» che ha sancito la propria separazione, e il cui privilegio si è difeso precisamente nei termini di una «autonomia» che l'ha messo al riparo dall'analisi storica? H fatto è che, a parte l'utilità di indagini diffuse e consapevoli 3 , questa tendenza ad accettare un terreno «minore» di ricostruzione storiografica, e a dichiararlo «maggiore» o esaustivo per quel che attiene la conoscibilità del rapporto intellettuali-fascismo, appare sempre piu promossa e alimentata da un preconcetto, da una opzione ideologico-politica che diventa metodo interpretativo e tesi storiografica: e cioè dal bisogno di un campo di analisi dove sia possibile dimostrare quelia positività (specificità) della cultura fascista che si immagina lontana e autonoma dalla « cultura Liberale », e cioè i modi e i segni di una trasformazione molecolare e profonda della società, la rottura nei fatti della vecchia « egemonia • nella direzione di una nuova coscienza di massa, l'effetto egemonico della pedagogia reale del regime nella vita quotidiana degli italiani. È una tendenza, cioè, tutt'altro che erudita o neutralmente storiografica. È bens{ tutta interna ad una piu generale tendenza interpretativa, diffusa in certo settore della cultura marxista, che oppone dichiaratamente alla tesi radicale della « continuità » (e della parentesi patologica, che ne è il rovescio formale) la tesi del fascismo-rottura e forma politica dello sviluppo della società italiana: e che deduce dallo sviluppo 3
Credo che il lavoro di lsnenghi, appunto, si sottragga in gran mchi indicati, per la cautela con cui gli oggetti dell'indagine e la stessa nozione di « cultura orizmntale »- vengono proposti: oomc oomplementari ad altri livelli, e non in sé abilitatli ad una « risposta conclusiva i. (pp . .5-6).
parte ai
13
Egemonia e fascismo
dell'organizzazione realizzato negli anni Trenta una trasformazione necessaria del ruolo degli intellettuali, una modificazione sostanziale del loro rapporto con la politica, e perciò l'autonomia e la modernità della politica culturale fascista, fattore di emarginazione della cultura liberale e di rottura del suo « primato della coscienza • 4 • Non si tratta beninteso di negare che l'esigenza di superare in termini di storia reale (all'interno del terreno problematico definito dalla nozione di « regime reazionario di massa ») l'irreale immagine di sé riprodotta dalla cultura storicistico-crociana, è una esigenza che procede dal vivo dei bisogni piu avanzati di oggi: dalla necessità di una storia degli intellettuali che, dentro lo sviluppo delle istituzioni e delle forme di organizzazione della società, ricostruisca i nessi e le rotture che identificano e 4 Tale tendenza non può definirsi una esplicita e argomentai. interpretazlionc, perché non si ~ ancora identificata in lavori organici e arlli.colati, e neppure in saggi parziali ma di impegno analitico. :8 piuttosto uno « stato d'animo» abbastam.a diffuso negli anni Settanta tra giovani filosofi e storiai marxisti, forse un uso un po' troppo immediato e generico della formula del « primato della politica >, sullo slancio della opportuna reazione alle negazioni moralistiche e difensive della specificità del fasci.6mo nella storia italiana: comunque una prospetti.va ancore incerta pur se ricca di sollecitazioni, come esitante di fronte alla necessità di verifiche corrette, acsc:cntc pez deduzioni ideologiche, e perciò facilmente riprodotta in un tempo di immediata vocazione politica del dibattito intellettuale. le citazioni sarebbero moltissime ma tutte eccessivamente responsabilizzanti, trattandosi di saggi o articoli in cui .iJ. problema non è mai afirontato con pienezza, ma resta sullo sfondo, come già fissato, e semmai rievocato da alcune categorie generiche o ambigue: società di massa, consenso, trasformazione dei ruoli, iscrizione delle masse nello Stato, programmazione, impegno degli intellettuali. :8 dunque una premessa ideologica tendenzialmente generalizzata in certi settori inteillettuali del movimento operaio, che tuttavia si esprime in forme frantumate e qu.i sempre occasionali: non 90lo ci.guardo a temi e oggetti interni al campo storico del fascismo, ma anche nel recente dibattito su Gramsci, sugli anni Trenta in Italia e in Europa, sulla scienza politica e sulla forma-Stato, nel risveglio di interessi su Gentile; ed anche, in misure piu rapide, in interventi immediati sui molti libri in questi. anni pubblicati su momenti e figure del regime (Bottai, antologie di riviste), o sulle molte ricerche ed esposizioni onestamente documentarie relative alle istituzioni e alle forme di otgsoiZ?.azionc della vita culturale durante il fascismo.
14
Tra coscienu e organiuazione
condizionano il terreno di formazione del presente, di questa forma democratica dello Stato e delle sue contraddizioni, di questa difficile crescita di una forma nuova della politica nelle tensioni profonde di una fase avanzata della società di massa. Ma non c'è dubbio alttesf che questa verifica storica non può farsi esorcizzando i suoi oggetti, o destorificandone il rapporto, o nascondendone il funzionamento reale. È una verifica che tanto piu può arricchirsi di capacità conoscitiva e di consapevolezza politica quanto piu, lungi dall'isolare (e perciò confermare), storicizzi compiutamente quella immagine di sé affidataci dalla strategia ideologica dello storicismo liberal-crociano: l'immagine di una cultura separata e neutrale, non politica e non produttrice di istituzioni, eterogenea e sfasata rispetto ai tempi della società di massa, dei nuovi meccanismi produttivi e della macchina dello Stato moderno e organizzatore. In verità, gli approcci piu analitici e fondati ad alcuni aspetti centrali del rapporto intellettuali-fascismo 5 sono lontani dal fornire pezze d'appoggio omogenee ad entrambe le posizioni, anche se accade talvolta che ne siano utilizzati arbitrariamente, persino con vistose deformazioni dell'apparato documentario e delle conclusioni storico-critiche. È piuttosto il lavoro di Renzo De Felice, 1a sua impostazione di fondo e alcune sue considerazioni exttaanalitiche, a risultare piu fedelmente utilizzato da parte della tendenza che privilegia gli aspetti istituzionali del regime rispetto ai contenuti e alle funzioni ideali della produzione intellettuale nel ventennio: « pressoché nulla è stato fatto nella direzione di uno studio della cultura come una istituzione del regime, di una istituzione nella quale piu del contenuto... contavano il suo inserimento e il suo agire nel tessuto connettivo della società ita5 Penso soprattutto al volume di L. Mangoni, L'interventismo della cultura, Bari, 1974; e alla assai documentata ricostruzione che J. Cann.istraro fornisce della organizzszfone culturale del regime (La fabbrica del consenso, Bari, 197'). Ma si avrà oocasionc di ricordare e utilizzare molti altri studi.
15
Egemonia e fascismo
liana » 6 • Era qui che il fastidio per la tradizionale riduzione del problema al dilemma sulla esistenza o meno di una cultura fascista sembrava risolversi per la prima volta nella tendenziale eliminazione dei « contenuti », e cioè nella indicazione perentoria della prassi politico-culturale del regime come vero luogo di definizione del problema reale: e cioè nella indicazione delle « istituzioni», dell'apparato organizzativo dei settori culturali, come li.vello da privilegiare nella prospettiva di una storia degli intellettuali nel ventennio 7 • H che peraltro non escludeva che, nella composita analisi del fascismo proposta da De Felice, piu volte affiorasse la conservazione di altri livelli del problema, come la sostanziale autonomia e agibilità della cultura tradizionale, o il risalto del1'eclettismo ideologico della dottrina fascista, o la imperturbata diffusione del crocianesimo nelle istituzioni culturali: e cioè che si ripresentasse la ben nota oscillazione tra una nozione liberale di cultura e una nozione empirica di organizzazione, di intellettuali, di politica culturale. L'impressione comunque è che la storiografi.a piu recente, che pure ha prodotto indagini cospicue su aspetti particolari e anche interpretazioni di rilievo della struttura complessiva del regime reazionario· di massa, sembra tuttora esitare di fronte al problema degli intellettuali e della funzione culturale nel ventennio: da un lato rinviando ad indagini piu concrete e fondate, dall'altro invocando implicitamente il sussidio di una specialità storiografi.ca, la storia degli intellettuali, che invece nei fatti non esiste nella nostra organizzazione del sapere, se non appunto nelle forme dissociate della storia delle idee e della storia delle istituzioni. Credo che sia giusto, a proposito della immaturità del problema intellettuali-fasci6 R. De Felice, Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-')4, Torino, 1974, p. 102. 7 Cfr. anche " prefazione dello stesso Dc Felice al volume del Cannistraro, cit. (che invece appare assei consapevole del gglio e dei contenuti del proprio lavoro).
16
Tra coscienza e organizzazione
smo, riconoscere una difficoltà della « storia generale» sul fascismo 8, una sorta di responsabilità di ordine complessivo: ma è giusto nella misura in cui la scarsa conoscenza di questo tema, la sua pretesa settorialità, è alla origine della difficoltà degli studi complessivi, è un impedimento reale alla conoscenza tout-court del fascismo, della sua funzione, della sua durata, della sua collocazione complessiva dentro la storia della società italiana. Credo cioè che la settorialità di questo tema, la sua resistente autonomia, infici all'origine la visibilità teorica del problema generale: e non già perché si voglia privilegiare ancora una volta la storia delle idee, ma al contrario perché il superamento di quella separazione privilegiata (cioè la critica della sua funzione di soggetto-di-storia, punto di vista occulto e totalitario). consiste nel renderla oggetto di conoscenza storica, contestuale con gli altri, inseparabile dal sistema di funzioni e di relazioni che costituiscono il processo storico. Il rovesciamento conoscitivo della storia autonoma della cultura sta nella conoscenza dei suoi modi di produzione e delle sue funzioni politiche, della oggettività politica della storia degli intellettuali, cioè della complessità del processo storico reale dentro il quale si determina, dal primo Novecento a tutt'oggi, la funzione sociale delle forme di coscienza e il loro rapporto con le nuove forme organizzate della vita sociale, i partiti e le istituzioni. Queste forme hanno funzionato, si sono sviluppate, e sono conoscibili storicamente, in quanto forme di mediazione e di composizione ideologicamente strutturate, e perciò dirigenti, non certo in quanto forme meccanicamente semoventi, pure combinazioni prammatiche, recipienti di volontà politica separata dal sociale. Se questa esigenza è fondata, e se comporta la irri8 Or. N. Tranfaglia, Intellettuali e fascismo. Appunti per una storia da scrivere, in Dallo Stato liberale al regime fascista, Milano, 19763, p. 113: in particolare l'interessante accenno alla singolarità, senza seguito, della proposta gramsciana cli u.na storia aociale degli intellettuali.
17
Egemonia e fascismo
ducibilità del problema del rapporto inteliettuali-fascismo ai suoi aspetti piu quantitativamente e formalisticamente istituzionali, comporta analogamente (perché analoga è l'ottica di separazione che governa le due operazioni) che esso non è destinato a crescere come problema storico quando lo si affronti al livello di singoli intellettuali, in un approccio ricco di sottili distinzioni, di comprensione profonda delle luci e delle ombre dell'intelligenza e delle sue dimensioni morali, ma appunto programmaticamente circoscritto alle responsabilità e alle libertà della coscienza, assunte idealisticamente come riferimenti assai piu complessi e articolati rispetto a una vicenda « riduttivamente » politica 9 • La funzione di questi sondaggi, che certo arricchiscono la conoscenza di livelli indubbiamente importanti del nostro problema, è quella di misurare ancora una volta l'astrattezza e l'infecondità delle totalitarie difese della innocenza della cultura italiana, o delle condanne in blocco della sua compromissione: ma non certo quella di verificare l'effettivo funzionamento della cultura italiana dentro lo sviluppo della società e rispetto alle forme della sua direzione politica. Piuttosto, al di là di ogni residuo moralismo 10 o anche di ogni residuo storicismo conciliatore, l'invito conclusivo di Garin · a spostare il discorso sulle origini della cultura novecentesca ha il merito di riproporre un campo di analisi che è ancora essenziale, quello delle condw.oni culturali dd potere e del regime fascista 11 : un campo non ignorato 9 Cfr., di E. Garin, alcuni dei saggi raccolti nel volume Intellettuali del secolo XX, Roma, 1974.
10 « Mentre assistiamo alle piu vigliacche dedizioni degli intellettuali ai &sci noi ci sentiamo tanto piu ferocemente nemici di questa intellettualità delinquente, di questa classe bastarda• (P. Gobetti, Opere, I, a cura di P. Spriano, Torino, 1960, pp. 145). Si tratta di uno sdegno che, riprodotto al di fuori della congiuntura storica (1925), ha finito con l'ingigantire gli aspetti morali del problema del fascismo e della autonomia della cultura. 11 « Si tratta di riconoscere le correnti di pensiero che hanno concorso ... a creare le contraddizioni culturali che hanno permesso l'avvento del fascismo al potere e la sua trasformazioDIC in regime • (G. Amendola, Intellettuali e fascismo, ora in Fascismo e movimento operaio, Roma, 1975, p. 41).
18
Tra coscienu e org1111iUll%ione
anche da contributi recenti 12, ma piu attraversato da sondaggi di storia delle idee e dei movimenti ideologici (le « matrici » del fascismo), che non illuminato da una analisi pregnante e articolata della « crisi dello Stato liberale ». Si tratta cioè di un campo che in tanto può rivelarsi sempre piu significativo, in quanto la sua « continuità » con quello del fascismo non si riferisca alla durata e alla operosità di alcuni contenuti ideologici (nazionalismo, antisocialismo, imperialismo, ecc.), ma si interroghi sul piano piu generale della dialettica culturale della società post-unitaria e delle sue strutture profonde: non già per annullare le distinzioni e le rotture nella storia reale delle forme di coscienza e nelle loro incidenze politiche, ma per cogliere il senso delle distinzioni e delle rotture, per non accettarle miracolisticamente a partire dall'autocoscienza degli intellettuali o dall'automatismo dei processi che li trasformano. Si tratta di rovesciare criticamente, ancora una volta, il paradosso secondo il quale la « cultura liberale», emarginata ma non vinta dalla tirannide fascista, avrebbe ricavato proprio dal valore della sua opposizione l'autorità necessaria alla ripresa della sua egemonia, la sua missione di sintesi e di direzione ideale nei confronti delle nuove contraddizioni della società democratica; nonché l'omologo paradosso secondo il quale la rottura delle forme politiche dello Stato liberale, consumata dal fascismo, avrebbe cancellato dalla storia italiana la durata e l'effetto politico della cultura liberale, la figura e la credibilità sociale del vecchio ruolo dell'intellettuale, avviando un processo « irreversibile » di socializzazione della cultura, di condizionamento « democratico » e di riqualificazione politica delle masse intellettuali. Il regime fascista come condizione e terreno di pre12 Cfr. P. Alatri, Liberalismo e fascismo, nel vol. collettivo P11scismo e capitalismo, a cura di N. Tranfaglia, Milano, 1976 e, dello stesso autore, Le origini del fascismo, Roma, 19715; e inoltre, fra gli altri, F. Gaeta, Nazionalismo italiano, Napoli, 196, e M. lsnenghi, Il mito della grande guerra, Bari, 1970.
19
Egemonia e fascismo
parazione della democrazia! Lo dicevano molti intellettuali fascisti, com'è noto, ma onestamente dichiarando il genere di democrazia del quale parlavano, e cioè l'organizzazione delle masse e la loro integrazione nello Stato ad opera di una élite funzionaria del potere, avanguardia politica della società di massa, garanzia tecnica del suo sviluppo produttivo 13 • Ed era il sogno, com'è noto, di una parte cospicua della cultura europea del primo Novecento, avveratosi poi, in termini burocratici-riduttivi, nella versione autoritaria della « gerarchia » 14 ; e in qualche modo sopravvissuto, con una durata dialetticamente interna ai processi sociali, nelle impegnate aspirazioni di molti intellettuali anche militanti nel movimento operaio. In realtà, questa ideologia della continuità tra fascismo e democrazia, della educazione delle masse alla politica, della predisposizione degli intellettuali all'impegno, appare veramente la positivizzazione immediata, la materializzazione empirica, della tesi crociana secondo la quale la limitazione fascista della libertà era tuttavia funzionale alla libertà, la preparava, ne sviluppava il culto nei cuori: era la condizione di crescita della libertà. ~ la teoria crociana dell'errore, momento sacro e insopprimibile nel processo della verità. Ed è, com'è noto, una tesi che procede direttamente dalla sostanza profonda dello storicismo crociano, e investe il carattere sacro del passato in quanto determinazione del presente, e la visione provvidenziale della storia e dell'astuzia _della storia, e piu in concreto, per Croce, la giustificazione del suo presente, e piu complessivamente la difesa dell'autonomia e cioè della continuità della storia degli intellettuali: sempre positiva a dispetto dei contenuti storici, come sempre positiva è l'organizzazione e la politica, a prescindere dai contenuti 13 e&. il noto volume di Bottai, Vent'anni e un giorno, Milano, 1949; nonché il dibattito successivamente analizzato. 14 A. Capizzi (Alle radici ideologiche dei fascismi, Roma, 1977) ricostruisce la progressiva involuzione, nella nozione e nel culto della «gerarchia» (che si stabilizzano nel '21), delle parole d'ordine dei vari settori del movimento (aristocrazia, qualità, minoranza): che tuttavia, com'è noto, continueranno ad operare.
20
Tra coscienza e organizzai.ione
storici, perché appunto forme prcxlotte dalla coscienza degli intellettuali. Queste operazioni di rimozione del vero oggetto del1'analisi storica non possono essere in realtà superate se non attraverso un restauro storico dell'oggetto, una sua messa a fuoco oggettiva, che si sviluppi sulla base degli ultimi risultati delle ricerche particolari, e che li integri in un quadro critico e problematico, relativo ai modi della partecipazione intellettuale alla origine e alla tenuta del regime reazionario di massa, alle modificazioni effettive, documentabili, del rapporto tra intellettuali e potere nel tempo che va dall'avvento del fascismo al suo crollo. Un restauro storico che, lasciandosi alle spalle (e storicizzando) la vecchia querelle sulla estraneità della cultura rispetto alle responsabilità politiche del ventennio, risponda finalmente alle domande reali che rappresentano il campo problematico oggi maturo: quale fu il ruolo effettivo (nelle sue articolazioni non semplificabili) della cultura, della prcxluzione intellettuale, nella formazione delle nuove forme politiche della società italiana, cioè della transizione dallo Stato liberale allo Stato fascista? In che misura e in quale direzione gli intellettuali (le loro articolate funzioni, i loro ruoli produttivi) furono coinvolti in questa trasformazione istituzionale, nella direzione politica della società, nella organizzazione del consenso? E in che misura la nuova forma di organizzazione della società borghese trasformò questa funzione, il mcxlo separato della prcxluzione e dell'esercizio intellettuale, gli statuti ideologici e il rapporto complessivo con la realtà di massa: sl da potersi verificare, all'indomani del crollo delle istituzioni politiche di quella trasformazione, la scomparsa o il rilancio del vecchio statuto intellettuale, l'irreversibile rottura o la sopravvivenza contraddittoria della soggettività primonovecentesca? La pertinenza di queste domande, qui approssimativamente formulate, sta evidentemente nella pregnanza storico-analitica delle eventuali risposte. Nel senso che molte altre se ne possono formulare, e anche, come sinora si 21
Egemonia e fascismo
è fatto, di piu specifiche e articolate. Ma è certo che la sostanza del problema tanto piu può illimpidirsi e conoscersi quanto meno le categorie fondamentali che lo circoscrivono (Stato liberale e regime reazionario di massa, liberalismo e fascismo in primo luogo) si sottraggono esse stesse alla verifica storica, cioè quanto piu si calino nel contesto della loro contraddittoria formazione ideologica e del loro vario uso politico: perché non si rischi ancora di assumerle come categorie già date, misure astratte di una misurazione perciò non conoscitiva 15 • In verità, ogni volta che si sente parlare di opposizione o contraddizione tra le due coppie di termini, o di trasformazione profonda e irreversibile, o di estraneità e separazione, e lotta e vittoria, subito viene in mente (con immediatezza poi bisognosa anch'essa di elaborazione) che, a stare ai fatti, fu lo Stato liberale, la sua classe politica e culturale, il suo apparato istituzionale nel senso piu vero, ad affidare direttamente al fascismo la risoluzione della crisi, e fu la piu rappresentativa cultura liberale a volere e a salvare inizialmente il fascismo 16 : non già solo ad accettarlo, ma a volerlo, sia pure come una provvisoria « panacea », di fronte al disordine e alla minac15 Sulla necessità di tenere e svolgere i nessi tra la realtà del fascismo e la storia dell'Italia unitaria, cfr. le interessanti osservazioni di G. Procacci (Appunti in tema di crisi dello Stato liberale e di origini del fascismo, in « Studi storici», 1%5, n. 2). ar. anche R. Killml, Due forme di dominio borghese: liberalismo e fascismo, Milano, 19762: almeno per quanto riguarda il grado di involuzione elitario-autoritaria delle istituzioni liberali nel primo Novecento e gli orientamenti prevalentemente antidemocratici della cultura italiana. 16 Cfr. fa precisa sintesi di G. Quazza, Antifascismo e fascismo nel nodo delle origini, in Fascismo e capitalismo, a cura di N. Tranfaglia, Milano, 1976. Dello stesso autore si veda l'introduzione al vol. collettivo Fascismo e società italiana, oi.t., e, in particolare le considerazioni sintetiche ma assai lucide sulle spinte della cultura italiana: « Le esigenze di union sacrèe, di compattezza nazionale imposte dal conflitto, continuano inoltre a gravare di piu pesanti ipoteche la cultura, che, in parte manipolata, in parte essa stessa vogliosa di manipolarsi nelle università, nelle. accademie, nelle scuole, « serra i ranghi » per accreditare con piu intransigente esclusivismo i « valori » del gruppo dominante, mentre la stampa subi.sa: k metodica conquista da parte dei gruppi economici piu potenti• (p. 14).
22
Tra coscienza e orgfl1liuazione
eia della classe operaia. A dargli espressione e rappresentatività di direzione politica, a scegliere cioè la soluzione evidentemente piu organica alla propria storia, rispetto alla estraneità sconvolgente del socialismo: non già solo nell'assunzione al governo e nel conferimento dei pieni poteri, ma altresl dopo il delitto Matteotti, votando la fiducia a Mussolini (o, per gli aventiniani, astenendosi dalla lotta politica) pur di non rischiare l'appello alle masse, alla società furibonda, nel momento della prevista caduta della breve parentesi fascista 17 • Bene. Non si tratta di assumere questa circostanza come meccanicamente qualificante rispetto agli sviluppi successivi della politica e dei rapporti di classe nella società italiana del ventennio. Ma io credo che questa notissima genesi del regime fascista, nonché questo evidente suicidio dello Stato liberale, e i modi concreti ed in fieri del loro prodursi, la complessità di forze che coinvolsero, 17 Si tratta di fatti notissimi, ma talora del tutto trascurati. Li . ricordava con particolare rilievo già lo scritto di F. Gambetti, Inchiesta sul fascismo, Napoli, 1953, p. 137. Una interessante testimonianza era fornita, addirittura nel '22, da D. Grandi (A. Zerboglio-D. Grandi, Il Fascismo, Bologna, 1922), che c1cnarva le circostanze di cui il fascismo si era giovato, e concludeva: « Si ~ giovato del vecchio Stato liberale che, ormai sull'orlo del precipizio e · del fallimento, ha trovato romodo appoggiarsi all'azione dei Fasci pc,: ristabilire un simulacro di autorità, e ridare al meccanismo delle sue funzioni una vitalità apparente che ne maschera tutto l'intimo dissolvimento• (p. 61). A proposito della fwmone affidata al fascismo dalla borghesia e dalla sua cultura piu organica, che cm quella di ripristinare il dominio delle classi privilegiate nel momento in cui la democrazia politica rischiava di diventare sociale, A. Tasca ricorda un'affermazione di Mussolini nel '22: « Lo Stato di tutti finirà col tornare lo Stato di pochi• (dr. il noto e importante volume Nascita e avvento del fascismo, Firenze, 19.50, p. 376). D'altronde non mancano convergenze precise e documentabili di liberali e fascisti ndl'attacco alle stesse istituzioni e alle masse popolari: come ricorda la ricca ricostruzione di C.S. Maier, a proposito dei fatti di Bologna e di Cremona nel '22, che « confermarono l'esistenm di un'offensiva liberal-fascista • (La rifondazione dell'Europa borghese. Francia, Ger-
mania e Italia nel decennio successivo alla prima guerra mondiale,
Bari, 1979). Piu in generale, Maier parla di un « tentativo liberale di
servirsi del fascismo come forza capace di restaurare l'ordine i., nonché di « convei,genza fra movimento liberale e movimento fascista • (pp. 338-341).
23
Egemonia e fascismo
l'inestricabilità dei rapporti che comportarono, siano fatti talmente ricchi di significati e di valenze reali da costituire a pieno diritto il primum di ogni interpretazione del ventennio: non già della sua pretesa continuità rispetto al periodo «liberale» della società italiana, ma della sua specificità storica, del rapporto tra rottura e continuità, della logica profonda di tale rapporto, delle connessioni articolate tra le sue forme e i suoi contenuti, tra politica e società, tra necessità liberale della rottura (delega dei poteri alla violenza) e necessità fascista della continuità (la normalizzazione successiva), tra continuità profonda del dominio di classe e divaricazione funzionale delle sue forme (pratica e ideale), tra tattica e strategia della guerra di posizione della borghesia, tra politica ed egemonia. Voglio dire che è inevitabile proporre un prima e un poi del fascismo come tempo reale del suo significato storico, come durata delle sue motivazioni profonde, spazio di formazione e di deperimento della sua funzione non casuale nella storia dello sviluppo e dello scontro tra le forze trainanti della società italiana: e cioè come oggetto di una indagine storica che, lungi dall'isolarlo in una autonomia «epocale» (eteronomia europea o mondiale), connoti la sua specificità nel tempo lungo della crisi di uno Stato originariamente impossibilitato a conciliare la spinta di classe nella forma avanzata di una democrazia di massa 18 • In tal senso, anche l'analisi del rapporto tra intellettuali e politica nel ventennio può guadagnare una credibilità e un respiro di elaborazione piu proporzionato alle dimensioni reali del problema, libero cioè dall'ipoteca di un confronto meccanico tra coscienza e organizzazione, tra libertà astratta della cultura e automatismo irreale della trasformazione. Il tempo del fascismo, la sua funzione storica, il suo modo d'essere una 18 Il motivo, gramsciano, è alla base ormai di quasi rotte le recenti ricostruzioni della __genesi del fascismo. Lo riprende e lo svolge persuasivamente N. Tranfaglie, Dallo Stato liberale al regime fascista, cit., passim.
24
Tra coscienza e organhz.az.ione
espressione necessaria e significativa dello sviluppo e della crisi della società italiana, in tanto sono fatti storicizzabili in quanto interni alla realtà complessiva di questo sviluppo e di questa crisi: in quanto non riducibili alla istantaneità formale delle loro scansioni istituzionali e politiche, ma da rapportare alle condizioni complesse e contraddittorie della loro dinamica profonda. C'è una contraddizione rilevante, a me sembra, tra la lettura marxista delle origini del fascismo (già inizialmente, in Gramsci e in Togliatti, tanto piu ricca di spessore storico rispetto allo schematismo della Terza Internazionale) e la nozione di politica alla luce della quale alcuni marxisti di oggi valutano la vocazione organizzativo-di massa del regime fascista: isolando appunto la pura nozione dai suoi contenuti storici, positivizzando una pura forma del1'organizzazione a prescindere dal senso che la rende riconoscibile, dal contesto e dal tipo di sviluppo cui era funzionale. Ed è una contraddizione che evidentemente coinvolge una visione complessiva dello sviluppo sociale e della funzione intellettuale dentro di esso, nonché, proprio teoricamente, il concetto stesso di politica, di organizzazione delle masse, di forma dello Stato, in occasione del giudizio sul fascismo, ma anche, evidentemente, in riferimento alla analisi materialistica del presente, alle strategie politiche cui questa analisi è funzionale. Certo è significativo che Gramsci individuasse già allora, negli anni Trenta, e proprio rispetto al problema della realtà complessiva del fascismo, i rischi conoscitivi e politici di ogni possibile riduzione formale del problema del « dominio della borghesia»: quando criticava la nozione gentiliana di « politica » e di « Stato», e ne segnalava la oggettiva subalternità rispetto a quella crociana. Non era un giudizio di valore, ma una individuazione dei diversi livelli di egemonia e perciò di pericolosità reale dell'ideologia borghese. Era un giudizio politico, e un postulato teorico ricavato da una profonda conoscenza della storia degli intellettuali: tanto che perentoriamente coinvolgeva in tale giudizio di inferiorità 25
Egemonia e fascismo
«economico-corporativa» (la politica come organizzazione formale) tutti quegli intellettuali i quali, parlando di « superiorità politica » della filosofia di Gentile, sublimassero in termini teorici quel bisogno di protagonismo e di immediata organicità all'esistente che connota la crisi del ceto intellettuale in tutti i passaggi fondamentali dello sviluppo della società di massa. . Ed è subito evidente che l'influsso del Croce, nonostante tutte le apparenze, è di molto superiore a quello del Gentile ... Mi pare che la :filosofia del Gentile, l'attualismo, sia piu nazionale solo nel senso che è strettamente legata a una fase primitiva dello Stato, allo studio economico-corporativo, quando tutti i gatti sono bigi. Per questa stessa ragione si può credere alla maggiore importanza e influsso di questa :filosofia, cosf come molti credono che in Parlamento un industriale sia piu di un avvocato rappresentante degli interessi industriali (o di un professori o magari di un leader dei sindacati operai), senza pensare che, se l'intera maggioranza parlamentare fosse di industriali, il Parlamento perderebbe immediatamente la sua funzione di mediazione politica ed ogni prestigio 19•
19 A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, 1975, Il, p. 1306.
26
CAPITOLO SECONDO
Gramsci e l'egemonia negli anni Trenta
L'osservazione riguarda, nel suo contesto complessivo, la problematica dello Stato e l'accentuazione, in essa, del problema dell'egemonia e dei suoi rapporti col potere: cioè è tutta interna alla lunga e complessa riflessione gramsciana sulla nuova scienza della politica. E tuttavia nasce, come ogni altra apertura teorica del discorso gramsciano, dall'emergenza del presente, dall'analisi del fascismo in quanto regime, delle sue forme di organizzazione della società, dei riferimenti teorici e culturali del consenso che lo rende possibile e lo sostiene. Rispetto a tutto questo, i reiterati confronti gramsciani tra Croce e Gentile sono di una importanza fondamentale. Se non risulta che queste pagine siano state discusse dai recenti interpreti marxisti del fascismo, e se una sorte del genere è toccata anche ad altri momenti essenziali dell'analisi gramsciana della società italiana negli anni Trenta, questo è un problema storico (di storia presente degli intellettuali) di notevole rilievo teorico e politico. La separazione di una parte del pensiero storico-politico di Gramsci dentro un volume che sembrava contenere un confronto tra filosofie (Il materialismo storico e la filosofia di B. Croce) certo è anche essa un elemento tutto interno a questa storia. Ma è anche vero che il successivo recente rilancio della « scienza della politica», nonché delle sue eventuali matrici gramsciane, avrebbe potuto muovere (almeno per la resistenza del costume specialistico) precisamente dal settore della ricerca teorica: e cioè non avrebbe dovuto inaugurarsi con una rimozione di oggetti cosl vistosi della riflessione gramsciana, quali il materialismo storico e la filosofia di Croce, anche prima che l'edizione critica dei Quaderni costringesse la nostra 27
Egemonia e fascismo
sensibilità filologica a una lettura meno condizionata e piu sistematica 1• Almeno oggi comunque dovrebbe essere impensabile quello che pure recentemente è avvenuto: oltre che ignorare, talora capovolgere il senso dell' analisi gramsciana, forzarla in funzione di categorie ideologiche, cioè di bisogni non mediati, frantumarla secondo la varietà dei suoi oggetti (economia, politica, filosofia, letteratura, giornalismo) ignorando l'unità oggettiva di essi nella prospettiva conoscitiva di Gramsci, selezionare i temi e i livelli piu «utilizzabili», secondo un uso storicistico che, per essere diversamente orientato che in precedenza, resta ugualmente storicistico. Oggettivamente parlando, il problema del fascismo è al centro della riflessione dei Quaderni, ininterrottamente e sistematicamente. In questa riflessione il fascismo, proprio in quanto non è una categoria, un termine astrattamente nominabile e perciò autonomo ed universale, vive come una realtà storica da conoscere, una condizione complessa da interrogare. Questo non è un giudizio, ovviamente, ma la forma oggettiva di un «metodo» interpretativo che non può non avere le sue ragioni profonde: e credo significhi la totale politicità della visione gramsciana, la completa assenza di moralismo (di parzialità intellettuale) nella sua valutazione. Dico politicità nel senso di oggettività, di universalità, di superamento di ogni soggettività nei rapporti col proprio tema, e perciò di ogni strumentalismo, di ogni accentuazione che - per rilevare un elemento - finisca col nascondere altri e compromettere la piena visibilità del fenomeno, la sua aggredibilità conoscitiva e in definitiva politica. Gramsci combatte il fascismo, nei Quaderni, con l'arma unica e totale di cui dispone: cercando di conoscerlo, e di trasmetterne la conoscenza, nel piu storico dei modi possibili, cioè ricostruendo la sua essenza reale, e il suo 1 Sugli effetti assai rilevanti delle diversità tra le due edizioni, cfr. le interessanti osservazioni di L. Mangoni, nel saggio Il problema del fasdsmo nei « Quaderni del carcere »-, compreso nel volume collettivo Politica e storia in Gramsd, Roma, 1977, pp. 39 s.
28
Gramsci e l'egemonia degli anni Trent"
« consistere » nella società italiana, dentro i suoi modi d'essere e di consistere nella trama di condizioni e di eventi che definiscono la sua attualità nella società italiana. È per questa condizione disincantata che l'analisi gramsciana del fascismo si dispone all'interno di un campo storico-teorico di piu ampio respiro, i cui termini dilatati trascorrono dalla insistente indagine sui processi di formazione dello Stato unitario (cioè sulla formazione del blocco storico che realizza il potere della formazione borghese dall'età della Restaurazione alla fondazione dello Stato liberale, e che entra in crisi nel momento stesso di quella fondazione, e vive la sua crisi nella stagione crispino-giolittiana fino all'opzione del regime fascista) alla verifica dello spostamento della « base storica dello Stato », cioè del « distacco della società civile da quella politica », della « forma estrema di società politica » (per Gramsci, estrema riduzione economica dello Stato). Gramsci di fatto indaga le modalità di formazione del blocco storico dominante proprio in funzione della comprensione del fascismo, e a partire dalla sua tenuta negli anni Trenta: e cioè a partire da una realtà politica le cui radici erano per lui vistosamente interne alla costituzione storica dello Stato unitario, alla specificità delle sue forme politiche e della sua egemonia, e cioè alla composizione del blocco storico e ai tempi e ai modi della sua conquista e del suo esercizio del potere, della organizzazione della società e dello Stato. Lungi dall'attenuare la specificità del fascismo e dal sottovalutare la forma presente del dominio di classe 2, egli distingueva la natura oggettiva di tale specificità dalla qualità ideologica della presunta autonomia (originalità senza parametri) del suo oggetto storico: e cioè individuava la peculiarità del fascismo non già nella sua rottura formale dell'età liberale, ma nella peculiarità delle sue com2 Cfr. le osservazioni sulla «novità» del fascismo rispetto agli altri partiti borghesi, contenute nel vol. La costruzione del partito comunista (1923-26), Torino, 1971, pp. 33-34.
29
Egemonia e fascismo
ponenti effettive all'interno delle condizioni reali della società italiana 3, nelle modalità oggettive cli un momento specifico di quello « equilibrio instabile tra le forze sociali in lotta » che gli sembrava il fattore piu profondo e tuttora emergente della lunga «. crisi organica » dello Stato borghese. Questo vuol dire, credo, che era appunto l'ampissima ricognizione del terreno nazionale, del campo oggettivo e dinamico dei rapporti di forza operanti nella società, l'analisi estremamente densa e particolareggiata della formazione della classe dirigente, del senso comune, dei rapporti di classe e delle forme di coscienza attive nei processi di aggregazione politica e di classe, era tutto questo a dotare di superiore capacità conoscitiva e cli vasto respiro di prospettiva politica la chiave di interpretazione di quel singolare momento del dominio borghese nella società italiana: tanto piu singolare, per Gramsci, e potenzialmente aperto nella sua apparente chiusura totalitaria, quanto piu immediatamente connesso all'attualità oggettiva, sul piano europeo e mondiale, del problema del socialismo. In questo senso, la riflessione carceraria riprende direttamente, e sviluppa in una elaborazione piu esperta e avanzata, i motivi centrali della interpretazione già avviata negli anni precedenti, nel vivo della lotta contro il fascismo montante e poi del lucido disegno della nuova strategia clandestina della classe operaia. Forse è sostanzialmente mancato, negli studi su Gramsci e sul fascismo, il soccorso di questa connessione cosf significativa e fondamentale, cioè la piena consapevolezza della genesi politica specifica cli quella urgenza di intelligenza storica del fascismo che costituisce la trama e il sostegno di fondo della riflessione dei Quaderni. Gramsci vedeva già con chiarezza, nel vivo della lotta, 3 « Il fascismo cosf come ci si presenta in Italia è una forma particolare di reazione borghese che sta in rapporto alle peculiari
condizioni storiche della classe borghese in generale, e del nostro paese in particolare• (è la nota testimonianza riferita da A. Lisa, nel voi. Memoria. In carcere con Gramsci, Milano, 1973, p. 91).
30
Gramsci t l'egemonid degli 11nni Trenta
le « circostanze elementari», sociali e istituzionali, che determinavano la posizione politica del fascismo 4 , e cioè le premesse immediate, di ordine positivo (l'attività delle masse) e negativo (crisi di egemonia della classe dominante e dello Stato) di quella « piena atmosfera di colpo di Stato» che, in assenza di una lotta popolare organizzata e diretta dalla classe operaia, non potrà che risolversi « con un colpo di forza diretto contro gli organi centrali di Governo » 5• E cioè coglieva con una analisi di straordinaria lucidità, pur in scritti di immediato intervento, i meccanismi di fondo della crisi italiana, la centralità - in essa - dei « ceti medi e piccolo-horghesi », e insieme la loro impotenza a condizionare realmente qualsiasi soluzione politica della loro crisi. Di fronte ai partiti della « cosiddetta opposizione costituzionale», verso i quali pure il delitto Matteotti ha spostato per un momento l'oscillante paura della piccola borghesia, decimando la stessa originaria base di massa del movimento fascista, « qualsiasi soluzione parlamentare sarà impotente~= le illusioni dell'Aventino dimenticavano che « il fascismo nella sua vera essenza è costituito dalle forze armate operanti direttamente per conto della plutocrazia capitalistica e degli agrari» 6 • Il sistema di rapporti reali dentro il quale già qui è collocata l'essenza storica del fascismo, a parte le accentuazioni di volta in volta volute dalle scansioni oggettive della crisi italiana e perciò della delineazione dei compiti del partito, non subirà alcun mutamento sostanziale nella riflessione successiva di Gramsci. Al centro di quella essenza storica, tra gli elementi di fondo che la individuano, tra crisi del capitalismo (sua oltranzistica difesa) e percorso oscillante e passivamente protagonistico della piccola borghesia e protagonismo rivoluzionario mancato della classe operaia, un risalto primario (possibile oggetto di contraddittorie ricomposizioni politiche) acquiScritti politici, a cura di P. Spriano, Il, Roma, 1973, p. 223. s Ibidem, p. 250. Ibidem, III, p. 86.
4 6
31
Egemonia e fascismo
sta già ora l'elemento « classe politica tradizionale »: non già il suo « fallimento», ma l'effettiva incidenza che la annosa vicenda delle forze politiche e culturali tradi2ionali ha esercitato nella genesi del regime. Questa incidenza riguarda non solo le origini del compromesso e del potere legale 7 , ma altresi il momento in cui la crisi del fascismo nel '24, se non si risolveva nella sua caduta, non poteva che risolversi nella dittatura dichiarata, cioè in una soluzione di forza, che, superando il compromesso, difendesse dalla crisi la sostanza antidemocratica e anticomunista del compromesso, il potere reazionario del fascismo e il « carattere conservatore dell'antifascismo». Il compromesso non è da escludere assolutamente; esso è però molto improbabile. La crisi che attraversa il paese non è un
fenomeno superficiale, sanabile con piccole misure e piccoli espedienti: essa è la crisi storica della società capitalistica italiana, il cui sistema economico si dimostra insufficiente ai bisogni della popolazione. Tutti i rapporti sono esasperati: grandissime masse di popolazione attendono ben altro che un piccolo compromesso. Se questo si verificasse, esso significherebbe il suicidio dei maggiori partiti democratici ... Avverrà dunque un urto armato? Una lotta in grande stile sarà evitata sia dalle opposizioni che dal fascismo. Avverrà il fenomeno inverso che nell'ottobre 1922: allora la marcia su Roma fu la parata coreografica di un processo molecolare per cui le forze reali dello Stato borghese (esercito, magistratura, giornali, Vaticano, massoneria, corte, ecc.) erano passate dalla parte dd fascismo. Se il fascismo volesse resistere, esso sarebbe distrutto in una lunga guerra civile alla quale non potrebbero non prendere parte il proletariato e i contadini. Opposizione e fascismo non desiderano ed eviteranno sistematicamente che una lotta a fondo si impegni. Il fascismo tenderà invece a conservare una base di organizzazione armata da far rientrare in campo appena si profili una nuova ondata rivoluzionaria, ciò che è ben lungi dal dispiacere agli Amendola e agli Albertini e anche ai Turati e ai Treves 8 • 7 « Otl ha dato i suoi ministri al governo di Mussolini? I popolari questo lo sanno e lo sanno pure gli amici di Amendola e di De Cesarò. Chi ha illuso le masse, facendo credere alla possibilità ,che Mussolini •normalizzasse" il fascismo?• (Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, 1975, III, p. 89). s Ibidem, p. 103.
32
Gramsci e l'egemonia degli anni Trenta
Questa convergenza di forze in campo, questa dialettica sociale e culturale interna alla crisi italiana, cioè unificata in negativo dal rifiuto della classe operaia come agente primario della crisi e unica forza potenzialmente capace della sua risoluzione in avanti, questa è per Gramsci, nel '24, l'essenza del potere fascista nella società italiana (« la verità è che non esiste una essenza del fascismo nel fascismo stesso » 9 ). Il che è tutt'altro da escludere che si possa parlare di una «originalità» del fascismo, che « consiste nell'essere riuscito a costituire una organizzazione di massa della piccola borghesia »: una organizzazione militare, e cioè la forma di organizzazione possibile « per una classe sociale che è stata sempre incapace di avere una compagine e una ideologia unitaria » 10 • È per questo che la Milizia è il perno del partito fascista, a tal punto tributario di questa sua ragione organizzativa da essere totalmente inibito rispetto ad altri compiti: « non esiste un partito fascista che faccia diventare qualità la quantità, che sia un apparato di selezione politica d'una classe e di un ceto: esiste solo un aggregato meccanico indifferenziato e indifferenziabile dal punto di vista delle capacità intellettuali e politiche » 11 • Il che comporta che, in quanto tale, cioè ridotto alla sua forza intrinseca, il fascismo non possa conquistare lo Stato. Ché, « per conquistare lo Stato, occorre essere in grado di sostituire la classe dominante nelle funzioni che hanno una importanza essenziale per il governo della società. In I talla, come in tutti i paesi capitalistici, conquistare lo Stato significa anzitutto conquistare la fabbrica, significa avere la capacità di superare i capitalisti nel governo delle forze produttive del paese» 12 • 9 10 11
Ibidem, p. 100. Ibidem. Ibidem.
12 « Ciò può essere fatto dalla classe operaia, non può essere fatto dalla piccola borghesia che non ha nes&Una funzione essenziale nd
campo produttivo. La piccola borghesia può conquistare lo Stato solo alleandosi con la classe operaia•· « La formula •oonquista dello Stato" è vuota di senso in bocca ai fascisti o ha un solo significato: esco-
33
Egemonia e Iascismo
Si tratta, com'è evidente, di una v1s1one organica, cioè non piu correggibile perché fondata su di una analisi profonda della storia italiana, del nesso tra i caratteri specifici della reazione fascista e. la sua continuità nel « quadro della politica tradizionale delle classi dirigenti italiane e nella lotta del capitalismo contro la classe operaia » 13 : un nesso che per Gramsci non era una contraddizione, come sarà poi per le interpretazioni liberali e per i loro rovesciamenti ideologici (cioè per la tesi della « malattia » e per quella della « rottura epocale »). Giacché la contraddizione è il connotato costitutivo della stessa specificità, è tutta contenuta in essa: sta nella base sociale, tendenzialmente anticapitalistica, di una forma politica immediatamente diretta dal capitalismo alla repressione politica e sociale. L'originalità del fascismo, e cioè il fatto che esso « nella sostanza modifica il programma di conservazione e di reazione che ha sempre dominato la politica italiana soltanto per un diverso modo di compiere il processo di unificazione delle forze reazionarie », sostituendo « alla tattica degli accordi e dei compromessi il proposito di realizzare una · unità organica di tutte le forze della borghesia in un solo organismo politico » 14 , sta dunque nella necessità di ricomporre la contraddizione originaria e costante della sua funzione politica al di fuori della mediazione politica, all'unico livello al quale è possibile contenere il contrasto tra le rivendicazioni e le spinte ideologiche della sua base sociale e la direzione capitalistica della sua azione e della sua committenza reale. L'unità organica di tutte le forze della borghesia avviene al livello della organizzazione economica e della repressione, cioè della soppressione della politica: attraverso la messa in atto (siamo gitazione di un meccanismo elettorale che dia la maggioranza pm-lamentare ai fascisti sempre e ad ogni costo» (ibidem, p. 101). 13 Ibidem, p. 279. Si tratta delle tesi del Congresso di Lione, del '26, scritte da G r ~ con la collaborazione di Togliatti. « Esso è perciò favorito nelle sue origini, nella sua organizzazione e nel suo cammino da tutti indistintamente i vecchi gruppi dirigenti i. (ibidem). 14 Ibidem, p. 279.
34
Gramsci e l'egemonia degli anni Trenta
nel '26) di « una serie di misure... per favorire una nuova concentrazione industriale », di « altre misure a favore degli agrari e contro i piccoli e medi coltivatori ,. (« l'accumulazione che queste misure determinano non è un accrescimento di ricchezza nazionale, ma è spoliazione di una classe a favore di un'altra»), di misure finanziarie e di politica bancaria 15 ; nonché attraverso il rispondere alle « profonde reazioni delle masse » e al malcontento della piccola borghesia (« la quale credeva giunta l'era del suo dominio») con l'autoritarismo progressivo di un vero e proprio Stato di polizia, con l'abolizione dei sindacati, dei partiti, e con lo schiacciamento economico-organizzativo delle masse lavoratrici. Ai pericolosi spostamenti e ai nuovi reclutamenti di forze che sono provocati dalla sua politica il fascismo reagisce facendo gravare su tutta la società il peso di una forza militare e un sistema di compressione il quale tiene la popolazione inchiodata al fatto meccanico della produzione senza possibilità di avere una vita propria, di manifestare una propria volontà e di organizzarsi per la difesa dei propri interessi... La cosiddetta legislazione fascista non ha altro scopo che quello di consolidare e rendere permanente questo sistema 16•
~rto, l'immagine del fascismo risultante da questi scritti fino al '26 è inevitabilmente limitata a una parte della « conquista » fascista dello Stato e del processo di organizzazione della società italiana. Ma l'importante è che questa intelligenza esercitata a caldo, e lll organica relazione alla diagnosi della sconfitta del movimento operaio, rappresenta una esperienza ineliminabile, come un fondamento filologico e politico, rispetto all'analisi dei Quaderni: la base originaria di una riflessione che ora 15 « La soppressione delle banche meridionali come banche cli emissione farà passare questa funzione alla grande industria dd Nord, che controlla, attraverso la Banca commercia1e, la Banca d'Italia, e verrà in questo modo accentuato lo sfruttamento economico « col~ niale • e l'impoverimento del Mezzogiorno, nonché accelerato il lento processo di distacco dallo Stato anche della piccola borghesia meridi~ nale • (ibidem, III, p. 281). 16 Ibidem, pp. 282-283.
35
Egemonia e fascismo
si inoltra fino al plenum degli anni Trenta, libera da ogni scadenza prammatica e interamente affidata ai tempi lunghi della conoscenza e della strategia. A ben guardare, la struttura delle Tesi, che arrivano a parlare del fascismo seguendo il corso della storia sociale e politica dall'Unità (la lunga crisi dello Stato liberale, nella concretezza della lotta politica e di classe), si ripropone nella complessiva struttura teorica del successivo discorso gramsciano: in cui ogni grande settore tematico, il Risorgimento, gli intellettuali, la filosofia di Croce, le note sul Principe, le piu minute schede di registrazione di eventi politici e letterari, tutto si iscrive in una grande linea di interrogazione del passato da parte di un bisogno conoscitivo che ha nel presente del fascismo, cioè nel contenuto problematico delle forme di questo presente, il suo centro necessario e sistematico. Gramsci riprende e dilata, in forza di una elaborazione che crea nuclei autonomi di analisi teorica, il discorso fondamentale sul blocco storico dominante nella società italiana dal Risorgimento agli anni Trenta: sulle radici profonde del fascismo, sulla sua specificità dentro la storia della reazione borghese, cioè sul sistema di relazioni e di implicazioni attive che si esprime nella singolarità tutta storicamente determinata della crisi italiana. Non tanto piu le origini del potere fascista costituiscono l'oggetto della sua riflessione («Nella guerriglia civile il movimento fascista fu in linea con lo Stato, non contro lo Stato, altro che per metafora e secondo la forma esterna della legge » 17 ) quanto piuttosto l'equilibrio attuale delle contraddizioni, il « libero destino~ di quelle origini, cioè il tempo statuale di quella guerra di posizione contro il proletariato che sembra essere il mandato del regime negli anni Trenta. La trasformazione dell'economia e dello Stato, del meccanismo produttivo e del suo governo politico, diventano allora gli oggetti privilegiati dell'analisi gramsciana, in un rapporto strettissimo di interdipendenza che forse 11
36
Quaderni, cit., I, p. 809.
Gramsci e l'egemonia degli anni Treni•
non è stato colto in tutta la sua ricchezza di spessore teorico e di intelligenza storica. Gramsci non si poneva il problema di valutare in termini di astratta « modernità » le modificazioni introdotte dalla politica del regime nella organizzazione economica, la continuità o la rottura da quella realizzata rispetto al vecchio modello di produzione e di accumulazione capitalistica: bensi il problema del segno politico che orientava quell'intervento, della sua necessità rispetto al rapporto di fondo che legava il regime alla storica arretratezza delle classi dominanti, cioè rispetto alla impossibilità oggettiva di sviluppo reale della società, voluta dalla condizione inevitabilmente economicistica della politica e dello Stato fascista (la natura di classe del dominio in esso immediatamente formalizzato, al di là di ogni mediazione dialettica). Gramsci intuiva che l'intervento statale nella organizzazione dell'economia, la politica « di piano », la programmazione, cosi come sembravano avviarsi nei timidi tentativi del regime 18 , erano e sarebbero stati comunque « arretrati » perché realizzati da quello Stato a una dimensione, poverissimo di egemonia e cioè di autentiche basi di massa, costretto ad accentuare il sottosviluppo meridionale in funzione del blocco operaio-industriale, e dunque capace semmai di salvare l'apparato produttivo dalla rovina della crisi mondiale, ma al prezzo della miseria e della repressione delle masse produttive 19 • Ma conviene dirlo apertamente, cioè dire che non si tratta della realizzazione di un progresso effettivo, ma della constatazione di una arretratezza cui si vuole ovviare « ad ogni costo » 18 CTr. V. Castronovo, Potere economico e fascismo, in « Rivista di storia contemporanea», 1972, I, pp. 273-313; E. Santarelli, Storia del movimento e del regime fascista, Roma, 1%7, voi. II. 19 Quaderni, cit., III, p. 2157. :t!. una analisi confermata dagli studi piu recenti (cfr. V. Castronovo, La storia economica, nella Storia d'Italia, IV, tomo I, Torino, 1975). In particolare, sulla incapacità di assorbimento delle innovazioni tecnologiche da parte di un capitalismo industriale che non vuole lo sviluppo nel senso moderno, cfr. V. Castronovo, op. cit., p. 78; e A. Lyttelton, La conquista del potere, Bari, 1974.
37
Egemonia e /tUcismo
e pagandone lo scotto. Non è neanche vero che se ne paga lo scotto una volta per tutte: lo scotto che si paga oggi non eviterà di pagare un altro scotto quando dalla nazionalizzazione per rimediare a una certa arretratezza, si passerà alla nazionalizzazione come fase storica organica e necessaria nello sviluppo dell'economia verso una costruzione programmatica. La fase attuale è quella corrispondente, in un certo senso, alle monarchie illuminate del Settecento. Di moderno ha solo la terminologia esterna e meccanica, presa da altri paesi dove questa fase è realmente moderna e progressiva ».
Il prezzo sociale e politico di oggi sarà la condizione di un ritardo che la società italiana sconterà piu tardi, nel momento del passaggio effettivo --alla economia programmata. Sembra del tutto chiara la persuasione di fondo che impedisce a Gramsci ogni pur minima confusione tra la « razionalizzazione » fascista dell'economia e il taylorismofordismo. Il rapporto tra le due esperienze si costruisce anzi per opposizione, fondandosi per Gramsci sulla esistenza-inesistenza di classi parassitarie: e cioè sul peso che lo storico accumulo di masse di disoccupati e di funzioni sociali improduttive (i « pensionati della storia economica ») esercita in una struttura economica governata sostanzialmente dal reddito agricolo e dall'individualismo industriale, e caratterizzata costitutivamente dal crescente par~ssitismo dell'apparato amministrativo dello Stato 21 • Il genere di accumulazione capitalistica che è alla base del ~ 21
Ibidem, pp. 1749-17.50. 2 del 1933. Ibidem, p. 2143. Sulla elefantiasi burocratica, cioè sulla dilatazione della piccola borghesia parassitaria negli apparati dello Stato, dr. E. Ragionieri, in Storia d'Italia, 4, tomo III, Torino, 1976, p. 2097. Piu in generale, sul problema dello sviluppo economico e sociale, si veda l'importante studio di P. Grifone, Il capitale finan%iario in Italia, Torino, 1971, e la introduzione di V. Foa, che parla di « autogestione capitalistica del sistema, col costante aiuto amministrativo e l'avallo giuridico dello Stato•· Cfr. altres{ la persuasiva analisi di L. Villari (Economia fascista e capitalismo, in « Problemi dd socialismo i., 1970, n. 2), che esclude si possa parlare, per gli anni Trenta in Italia, di capitalismo monopolistico di Stato. Si tratterebbe, per lo stesso studioso (Processi di razionalizzazione nei paesi fascisti, in AA.VV., Crisi e piano, a cura di M. Telò, Bari, 1979, p. 146), di una « pianificazione senza riforme•, che non trasforma i rapporti sociali.
38
Gramsci e l'egemonia degli anni Trenta
fenomeno dell'americanismo è reso possibile appunto dall'inesistenza di questo dato storico della società europea, e italiana in particolare, ma insieme, in senso attivo, dal meccanismo che ne impedisce la formazione e ne elimina i residui, dal tipo di razionalizzazione produttiva, che non ha bisogno di figure professionali della mediazione, ma elabo!a essa stessa, a partire dalla fabbrica, l'elemento egemonico della persuasione (alti salari, ideologie produttivistiche, ecc.). Ora la « fanfara fordistica » che ha avuto inizio in Italia, se è sembrata segnare una prima incrinatura nella tenuta assoluta della vecchia mentalità dominante, è stata immediatamente seguita, nella propaganda del regime, dalla « conversione al ruralismo e all'illµministica depressione della città», dalla « esaltazione dell'artigianato e del patriarcalismo idillico ... » 22 • Si tratta cioè di una controversia ideologica ben lontana dal registrare o promuovere un mutamento di indirizzo nella politica economica del regime, nonché una modificazione reale - un .« ammodernamento » qualitativo - della nostra struttura produttiva L'opposizione americanismofascismo (o, meno ideologicamente, fordismo-governo fascista dell'economia) viene qui argomentata da Gramsci non piu in ordine alle premesse giuridico-costituzionali dei due sistemi, ma in ordine agli strumenti ed ai fini della loro iniziativa. Per quanto riguarda il primo dei due livelli, del resto, il tipo di Stato entro cui può darsi il processo di americanizzazione, lo Stato liberale, questo è molto piu - nel discorso gramsciano - di una forma astratta e di un modello classico, cioè di una condizione ineludibile in quanto formalmente esclusiva. È invece, a guardare bene, la forma politica complessiva dello sviluppo capitalistico nella fase avanzata della società di massa: ~ lo Stato è lo Stato liberale, non nel senso del liberismo doganale o della libertà effettiva politica, ma nel senso piu fondamentale della libera iniziativa e dell'individualismo economico che giunge con mezzi propri, 22
Ibidem, p. 2147.
39
Egemonia e fascismo 11
come « società civile per lo stesso sviluppo storico, al regime della concentrazione industriale e del monopolio» 23 • Sicché, è l'interruzione di questo « sviluppo storico », e cioè la continuità «necessaria» di un modo di produzione e di accumulazione arcaico e « semifeudale », è questo l'elemento che nega al regime fascista ogni possibilità di promuovere un «rivolgimento tecnico-economico». ,
La sparizione del tipo semifeudale del redditiero è (sarebbe) in Italia una delle condizioni maggiori del rivolgimento industriale ... , non una conseguenza. La politica economico-finanziaria dello Stato è (sarebbe) lo strumento di tale sparizione: ammortamento del debito pubblico, nominatività dei titoli, maggior peso della tassazione diretta. Non pare che questo sia o sia per diventare l'indirizzo della politica finanziaria. Anzi. Lo Stato crea nuovi redditieri, cioè promuove le vecchie forme di accumulazione parassitaria del risparmio e tende a creare dei quadri chiusi sociali 24 •
Non sembra che Gramsci dubiti ora, nel '34, della direzione e della qualità schiettamente conservativa e congiunturale della politica economica del regime: e neppure che la sua analisi corra mai il rischio di appiattire questa forma dell~ storia del capitalismo italiano alla misura di una semplice « variante » della morfologia mondiale del capitalismo. Al contrario, come la sua riflessione neutralmente incorpora nell'immagine dell'americanismo le contraddizioni nuove che quella civiltà suscita e contiene (la repressione indiretta, l'omologazione, la cinica teleologia dell'automatismo tayloriano), cosf scientificamente individua nelle forme « originali » della organizzazione fascista della società i segni e le sopravvivenze della vecchia storia italiana. La specificità del fascismo è sempre salva e parlante, in queste pagine letteralmente deformate da chi vi ha cercato un sostegno al mito corrente dello Stato organizzatore, all'ideologia del carattere comunque progressivo dell'organizzazione, del primato della politica 23 24
40
Ibidem, p. 2157. Ibidem.
Gramsci e l'egemonia degli anni Trenta
negli anni Trenta. Ed è una specificità che, nell'analisi . concreta, si configura sempre piu come lo sviluppo di una forma di organizzazione e di stabilizzazione delle condizioni di un sottosviluppo complessivo (non un « ristagno dell'economia», ma una accelerazione senza futuro delle possibilità produttive di una struttura economica già esaurita): in definitiva, si configura come la cristallizzazione burocratica, la fissazione ideologica e istituzionale, di un rapporto di produzione senza dialettica delle forze produttive. Tutta la sequenza di Americanismo e fordismo è attraversata dal rilievo della presenza e dell'assenza della classe operaia, dell'elemento-lavoro, dell'antitesi sociale, della produttività reale, nei due campi (società americana e italiana) che sono l'oggetto della sua riflessione. Alle note colorite e fervide sui lavoratori in America, sul proibizionismo, sul sesso, sul « gorilla ammaestrato » e sulla possibile crescita della sua coscienza e della sua lotta, fanno riscontro le pagine rigorose in cui la « razionalizzazione» del regime, come forma opaca senza riscontro di visi umani, si smonta in una distaccata verifica del suo economicismo subalterno. È anche questo il caso delle osservazioni sul corporativismo, per il quale, pur ricordandone le spinte originarie tutt'altro che progressive («l'indirizzo corporativo non ha avuto origine dalle esigenze di un rivolgimento delle condizioni tecniche dell'industria e neanche da quello di una nuova politica economica, ma piuttosto dalle esigenze di una polizia economica, esigenze aggravate dalla crisi del '29 e ancora in corso») 25 , Gramsci non sembra escludere un uso o un esito piu avanzato. Non sarebbe da escludere che la sua esistenza in quanto movimento ideologico, e le realizzazioni giuridiche già avvenute, abbiano creato « le condizioni formali in cui il rivolgimento tecnico-economico può verificarsi su larga scala » 26 , funzionando come strumenti di una « astuzia della provvidenza», cioè forme 25 26
Ibidem, p. 2156. Ibidem.
41
Egemonia e fascismo
di un rivolgimento possibile al di là o contro i propositi politici n. La proposta di Fovel, e in genere le motivazioni teoriche del « corporativismo di sinistra,., sono esaminate riguardo al tema centrale del nuovo ritmo di accumulazione capitalistica che il « blocco industrialei)roduttivo » autonomo consentirebbe, rispetto all'eccessivo consumo di plus-valore oggi inerente a un meccanismo produttivo costantemente sbilanciato dal parassitismo dei cosiddetti « produttori di risparmio». « La produzione del risparmio dovrebbe diventare una funzione interna (a miglior mercato) dello stesso blocco produttivo, attraverso uno sviluppo della produzione a costi decrescenti che permetta, oltre a una maggiore massa di plusvalore, piu alti salari». « Si dovrebbe avere cosi un ritmo piu accelerato di accumulazione di capitali nel senso stesso dell'azienda e non attraverso l'intermediario dei "produttori di risparmio", che in, realtà sono divoratori di plusvalore ». Teoricamente parlando, questo comporterebbe uno spostamento sostanziale delle alleanze di classe all'interno della produzione, e cioè una sostituzione del vecchio ceto improduttivo (redditieri, pensionati della storia economica, taglieggiatori del plusvalore) con la classe operaia e, in genere, con gli strati produttivi della società. Nel blocco industriale-produttivo l'elemento tecnico - direzione e operai - dovrebbe avere il sopravvento sull'elemento «capitalistico» nel senso piu «meschino» della parola, cioè all'alleanza tra capitani d'industria e piccoli borghesi risparmiatori dovrebbe sostituirsi un blocco di tutti gli elementi direttamente efficienti nella produzione, che sono i soli capaci di riunirsi in sindacati e quindi di costituire la Corporazione produttiva (donde le conseguenze estreme, tratte dallo Spirito, della Corporazione proprietaria) 28 •
Sennonché questo « rivolgimento tecnicO-«Ollomico », r, Alla luce di questa eventualità, Gramsci esamina le proposte di Fovel (con richiami a Spirito) della « corpo.razione proprietaria», anche nell'ipotesi che tale posizione sia ispirata da « determinate
forze economiche » pur interne ai « quadri dd vecchio industrialismo ». 218
42
Ibidem.
Gramsci e l'egemonia degli 1111ni Trenta
anche ammesso che ne esistano le condizioni formali, le strutture giuridiche, non è possibile in virru di una pura astuzia della provvidenza: sarebbe possibile solo se, al di là di simili « condizioni immediate », fosse l'effetto di una volontà politica, della « volontà decisa» di creare una nuova « struttura sociale » « e un certo tipo di Stato ». L'economicismo delle avanzate tendenze corporative si rivela cosi:, agli occhi di Gramsci, radicalmente intriso di idealismo, cioè come l'effetto ideologico di una separazione tradizionale tra economia e politica, o, che è lo stesso, di una assolutizzazione dello Stato economico come spazio di autopromozione degli intellettuali, primato delle competenze, e quindi unificazione di economia e politica al livello dell'apparente progressismo dell'ideologia, in realtà unificazione empirica dell'economia esistente e dello Stato esistente. Da questo complesso cli esigenze, non sempre confessate, nasce la giustificazione storica delle cosiddette tendenze corporative, che si manifestano prevalentemente come esaltazione dello Stato in generale, concepito come qualcosa cli assoluto e come diffidenza e avversione alle forme tradizionali del capitalismo. Ne consegue che teoricamente lo Stato pare avere la sua base politicosociale nella « piccola gente• e negli intellettuali ma in realtà la sua struttura rimane plutocratica e riesce impossibile rompere i legami col grande capitalismo finanziario.
È questa la ragione per cui l'ideologia corporativa, fondata sull'illusione di una razionalizzazione meramente organizzativa (« simile rivolgimento ~organizzativo" del1'apparecchio economico »), appare organica e subalterna alle tendenze generali del regime. Perché non ne mette in discussione la logica, i contenuti di potere: « In realtà finora l'indirizzo corporativo ha funzionato per sostenere posizioni pericolanti di classi medie, non per eliminare queste, e sta sempre piu diventando, per gli interessi costituiti che sorgono sulla vecchia base, una macchina di conservazione dell'esistente cosl com'è » 29 • 29 Ibidem, p. 2157. Cfr. S. Lanaro, Appunti sul fascismo « di sinistra•, in « Belfagor ,., settembre 1971.
43
Egemonia e fascismo
Sembra qui evidenziarsi, proprio nelle pagine sul corporativismo e sulla sua assolutizzazione dello Stato economico, la ragione di fondo dell'insistita riduzione della funzione e dell'incidenza politica di Gentile rispetto alla realtà complessiva del regime (della formazione dell' esperienza fascista a tutti i livelli della società italiana, e delle forme attuali del suo rapporto con i vari livelli della società italiana). Lo stadio « economico-corporativo» della statualità gentiliana, l'immediatezza della sua sublimazione dell'esistente, sono aspetti ideologici della storia sociale degli intellettuali, modi del suo sviluppo e della sua continuità primonovecentesca: ma non ne rappresentano l'elemento egemonico, il reale protagonismo rispetto alle forme politiche della direzione borghese. Registrano e glorificano il fatto, non lo spiegano in un disegno provvidenziale, in una durata comprensiva dei chiaroscuri della storia, e cioè nell'esercizio di una egemonia capace realmente di universalizzare lo Stato e di mettere in rapporto l'individuo con esso, anzi di collocarne l'universalità nella« società_ civile», dove ha il sostegno per diventare forma di una organizzazione reale. È per questo che non è Gentile, o il cot:porativismo, la garanzia ideologica piu complessiva della necessità del fascismo nella storia italiana, la condizione etico-politica che giustifica e risarcisce (perché riassorbe e trascende come momento di pura funzionalità congiunturale) la immediatezza economicoorganizzativa dello Stato fascista e della sua provvisoria rottura dello Stato liberale 30 • È bensl Croce, secondo Gramsci: « il partito ideologico della borghesia », il grande unificatore di quella « società civile » che comprende e supera nella prospettiva metapolitica della libertà l'angustia pur necessaria dello Stato economico-politico. Questa persuasione gramsciana è talmente disseminata nei Quaderni, talmente insistita nelle sue pronunzie piu esplicite, che certamente non c'è commento o parafrasi che possa sperare di renderla piu evidente e leggibile. ~
44
Cfr., in tal senso, i molti giudizi su Gentile, nei Quaderni.
Gramsci e l'egemonia degli anni Trenta
Complessivamente parlando, è proprio il nesso sorprendente che Gramsci pone tra Croce e il fascismo, tra operazione « restauratrice » crociana e regime reazionario di massa, a rendere possibile l'interpretazione del « movimento fascista» come rivoluzione passiva: non in sé, nella consistenza autonoma della sua forma politica di dominio, ma in quanto inserito in un sistema di funzioni che è esso a significarlo, « nelle condizioni attuali », come il movimento corrispondente a quello del liberalismo moderato e conservatore 31 • Croce sopprime il momento dell'antitesi, della rivoluzione, della lotta e della classe operaia, dalla sua storia tendenziosa dell'Ottocento italiano ed europeo, privilegiando l'aspetto «passivo», restaurativo, e da questa operazione storiografica ricava e propone un « paradigma » di storia in atto, la teoria della storia etico-politica, che assorbe e annulla in sé la contraddizione, l'elemento maschile della storia. Ebbene, se è possibile pensare che questa elaborazione crociana « abbia un riferimento attuale e immediato », cioè « il fine di creare un movimento ideologico corrispondente a quello del tempo trattato dal Croce... in cui si riusci cos{ a salvare la posizione politica ed economica delle vecchie classi... e specialmente ad evitare che le masse popolari attraversassero un periodo di esperienze politiche», allora occorre porsi la domanda se « nelle condizioni attuali il movimento corrispondente a quello del liberalismo moderato e conservatore non sarebbe piu precisamente il movimento fascista » 32 • L'uso crociano della congiuntura fascista, e cioè la spiegazione dell'apparente paradosso per cui « Croce, mosso da preoccupazioni determinate, giungesse a contribuire a un rafforzamento del fascismo, fornendogli indirettamente una giustificazione mentale », consisterebbe dunque nell'integrarne il ruolo subalterno di organizzatore economico e di strumento politico necessario ad una stra31 Cfr. le osservazioni di L. Mangani, Il problema del fascismo nei Quaderni, cit., pp. 414 sa. 32 Quaderni, cit., Il, pp. 1227-1228.
4.5
Egemonia e fascismo
tegia restaurativa di tipo liberal-moderato. Nelle condizioni attuali (caratterizzate dalla minaccia delle masse, politicamente attive fino al '24, e attivabili in ogni momento), l'operazione di controllo dall'alto della produzione e di saggia pianificazione dell'economia 13 sembrerebbe di fatto l'unica operazione « riformistica » formalmente non traumatica, e perciò non rischiosa per l'egemonia, garantita dal consenso, e insieme funzionale al mantenimento de] potere delle classi dominanti. Si tratta, come Gramsci dichiara, di una ipotesi ideologica 34 • Ma è certo che la « ambientazione » crociana le conferisce una plausibilità che, per una volta sola, arricchisce l'analisi del fascismo di riferimenti al livello del consenso e dell'egemonia. Per la prima volta i concetti di « sviluppo » e di « piano » si irrobustiscono di significati complessivamente politici: e la macchina economico-istituzionale del regime appare la funzione di un disegno storico che la include e la destina in un rapporto di piu ampio respiro. Si tratta del resto di una ipotesi ideologica che vale, importa politicamente, ben al di là delle forme della sua improbabile realizzazione: Che tale schema possa tradursi in pratica e in quale misura e in quali forme, ha un valore relativo: ciò che importa politicamente e ideologicamente è che esso può avere ed ha realmente la virtu di prestarsi a creare un periodo di attese e di speranze, specialmente in certi gruppi sociali italiani, come la grande massa dei piccoli-borghesi urbani e rurali, e quindi a mante13 « Nel quadro concreto dei rapporti sociali italiani questa potrebbe essere l'unica soluzione per sviluppare le forze produttive ddl'industria sotto la direzione delle classi dirigenti tradizionali• (ibidem, p. 1228). 34 « L'ipotesi ideologica potrebbe essere formulata in questi termini: si avrebbe una rivoluzione passiva nel fatto che per l'intervento legislativo dello Stato e attraverso l'organizzazione corporativa, nella struttura economica del paese verrebbero introdotte modificazioni piu o meno profonde per accentuare l'elemento « piano di produzione •, verrebbe accentuata cioè la socializzazione e la cooperazione della produzione sema perciò toccare (o limitandosi a regolare e controllare) l'appropriazione individuale e cli gruppo del profitto i. (ibidem).
46
Gramsci e l'egemonia degli 1111ni Trenta
nere il sistema egemonico (: le forze di coercizione militare e civile a disposizione delle classi dirigenti tradizionali 35 •
Com'è evidente, non si parla qui di due « categorie dello spirito» (liberalismo e fascismo) accostate o identificate in un astratto rapporto di continuità o dipendenza: ma neppure, beninteso, di due momenti «autonomi• della storia italiana e della sua direzione politica, relazionati in una alleanza tattica e congiunturale, al di là della diversa natura e dei destini divergenti. Gramsci sta parlando di fatti concreti, e di «ipotesi» strategiche fondate su dati inconfutabili della realtà degli anni Trenta. Sta parlando ancora una volta, e questa volta in una prospettiva tutta calata nel presente, del blocco storico dominante nella società italiana a partire dal Risorgimento, della sua crisi di egemonia e della sua forma ultima di dominio: crisi che consiste nel presentarsi ormai dissociate, non piu risolte nella sintesi dello Stato, delle forze dell'egemonia e del dominio, del consenso e della forza; e insieme del loro sotterraneo necessitare, al di là della dissociazione formale, di una complementarità operante, di una giustificazione consensuale della coercizione. L'egemonia liberal-moderata è costretta, dal crescere dell'attività delle masse nel dopoguerra, a patire una interruzione, una rottura delle sue forme istituzionali e politiche: per cancellare l'antitesi che l'avrebbe rovesciata e distrutta. Ha bisogno di suscitare, e certo di distanziare, una cultura allevata nel suo seno, cioè la propria riduzione pragmatistica e piccolo-borghese, la propria socializzazione piccolo-intellettuale, la versione attivistica e promozionale della propria contraddizione storica. Ma proprio per questo ha bisogno di costituirsi un'altra forma di Stato, dove la cancellazione dell'antitesi trascenda il livello esplicito della lotta di classe e della sua repressione, e si risolva nella continuità e universalità dei valori morali, che non si riferiscono a classi, perché riguardano l'urnalS
Ibidem.
47
Egemonia e fascismo
nità 36 • La specificità del fascismo è dunque, per Gramsci, il suo essere la forma esplicita di un dominio di classe esercitato per conto di una committenza egemonica che, per renderlo possibile, si dissocia da esso, delegandogli il terreno economico-corporativo dello Stato, e attribuendosi il campo allusivo e ideale della società civile come luogo privilegiato della nascita e della durata piu ampia della vera universalità dello Stato. Tutto questo è possibile - Gramsci lo ha affermato - per le condizioni reali della società italiana, cioè per quella struttura sociale (sacche ingenti di parassitismo, sviluppo abnorme della mediazione ideologica) che rende impensabile l'applicazione del regime fordista alla nostra organizzazione economica. L'americanizzazione comporta molte condizioni, ma la sua caratteristica risultante è il rapporto direttamente produttivo tra capitale e lavoro, la centralità della fabbrica come luogo di crescita del!'egemonia, cioè la sostanziale eliminazione dell'attività di mediazione ideologico-politica della funzione separata del.. l'intellettuale: l'assorbimento del consenso entro l'ambito stesso del rapporto di produzione. Ebbene, se anche per gli anni Trenta in Italia si deve parlare di rivoluzione passiva, se anche l'operazione fascista nel suo complesso è da includersi tra i fenomeni di rivoluzione passiva in relazione al grande momento rivoluzionario suscitato dall'ottobre sovietico, e se proprio per tale carattere questo momento di rivoluzione passiva è da collegarsi a quella classica che fece seguito alla Rivoluzione francese dal 1815 al 1870, ebbene allora appare chiaro che il fascismo, in tanto può intendersi come elemento di una rivoluzione passiva, forma italiana e specifica di quel generale processo di cui l'americanismo è espressione compiuta (per la 36 Gramsci lo nota a proposito dei tanti luoghi crociani dove questa funzione « statuale » è direttamente affermata: « 1o Stato, in questo senso, si identifica ron gli intellettuali •liberi", e ron quel gruppo di essi appunto che rappresenta il principio etico-politico intorno a cui si verifica l'unità sociale per il progresso della civiltà • (ibidem, p. 1087).
48
Gramsci e l'egemonia degli anni Trenta-
condizione fondamentale dello Stato liberale), in quanto non ci si limiti agli aspetti economici e istituzionali del regime (coercizione, controllo, negazione della iniziativa « di società civile »), ma in quanto lo si integri con l'elemento liberale ed egemonico che gli rimane formalmente estraneo: in quanto regime-istituzione di un sistema egemonico. L'americanismo è in sé rivoluzione passiva,. data la struttura sociale che consente la tendenziale identificazione tra organizzazione e consenso. Il fascismo non è in sé rivoluzione passiva n, lo è in quanto l'attività della mediazione-egemonia, che non è interna alla forma della organizzazione, trovi comunque la sua funzione, la « produttività » del suo parassitismo, nella sfera dello Stato. E lo Stato in cui questo avviene è appunto lo Stato ideale della società civile, la crociana storia etico-politica, giustificatrice del fascismo in una trama di rivoluzione passiva che lo comprende e lo « trascende ». Forse è inutile ricordare che la eventuale fondatezza di queste osservazioni gramsciane è comunque da vermcarsi nel piu largo contesto della sua riflessione su Croce,. sulla sua funzione di teorico della rivoluzione passiva, di « papa laico» della cultura italiana ed europea: nonché nell'impianto anche piu complessivo della meditazione teorico-politica di Gramsci, nella elaborazione della nozione di egemonia, di Stato, nella ininterrotta analisi della storia degli intellettuali, della « crisi organica», e della storia e della funzione del partito della classe operaia. Fuori di questo quadro minutissimo e complessivo, e cioè a prescindere dalla molteplicità e dall'unità profonda dei livelli analitici, può accadere ancora oggi di non penetrare il senso ultimo di questo lavoro: che è da cercarsi nella individuazione lucidissima degli effetti politici, dei meccanismi di egemonia e di dominio, della « formazione liberale » nella società italiana, attraverso la rivelazione 'SI Si vedano le osservazioni di N. Badaloni (Liberti individuale e uomo co/.lettivo in A. Gramsci, in Politica e storia, cit., p. )> proprio in riferimento alla impossibilità di ogni analogia tra americanismo e fascismo.
,3
49
Egemonia e Iascismo
della realtà dell'ideologia, della sua genesi reale dentro i processi della società e della sua concreta funzione dentro l'organizzazione e le istituzioni della società. Il fatto è che il pensiero di Gramsci è precisamente il contrario, il rovesciamento teorico, del primato dell'ideologia, del privilegiamento delle forme intellettuali nella visione storica del passato e del presente. Ma in tanto è qù~to, in quanto è la forma piu alta sinora proposta di conoscenza storico-materialistica del primato dell'ideologia, del suo effetto di dominanza e di occultamento dei processi reali. Entro la costituzione e il funzionamento del dato, nella struttura fenomenica del suo presente, Gramsci cercava le ragioni profonde, le garanzie connettive, i nuclei di storicità portante: non già altro dalle forme di organizzazione reale, ma i meccanismi di significazione e di riproduzione di quelle forme. Cercava lo Stato nella sua istituzionalità piu dilatata, piu comprensiva e durevole, ai livelli differenziati delle sue attuali trincee difensive, nei suoi diversi piani di ricomposizione della dialettica sociale, nelle sue sfere di mediazione complementari: non già sottovalutandone il volto della mobilitazione e della coercizione attiva, ma anzi cogliendone la forza e la possibilità di dominio nel sostegno concentrico delle casematte della « guerra di posizione », nella socialità delle mediazioni, nella congenialità oggettiva e di lunga gittata del movimento ideologico nella società civile È per questo che il bersaglio politico di Gramsci, e· della lotta egemonica della classe operaia secondo Gramsci, comporta l' anti-Croce come momento che comprende e supera quello della lotta al fascismo in quarito tale. Anzi, poiché bersaglio politico di una classe chiamata alla direzione nuova della società, comporta l'anti-Croce come condizione di uno sviluppo politico della classe operaia che di per sé implica il crollo del regime fascista. Non il contrario, come poi la storia ha insegnato. L'obiettivo politico della lotta al fascismo non poteva essere esaustivo della strategia di una classe chiamata alla direzione nuova della società, bensf pure esso funzionale al50
Gramsci e l'egemonia degli anni Trenlfl
l'altro e complessivo bersaglio, alla «disgregazione,. del blocco storico che sarebbe sopravvissuto al fascismo, rafforzato dalla sua caduta e pronto a gestire una nuova fase della rivoluzione passiva. L' anti-Croce era chiaramente per Gramsci la forma teorica di una critica politica di massa delle istituzioni liberali e dell'egemonia moderata nella società italiana: cioè la lotta per una riforma intellettuale e morale - perseguita da una azione politica in tal senso orientata - della struttura storica di una società in cui lo sviluppo ineguale, la patologia del «parassitismo,., il protagonismo instabile e improduttivo del ceto intellettuale, hanno reso necessaria e possibile una forma metapolitica dello Stato accanto o dentro, o formalmente fuori e persino contro, la forma politica dello Stato-amministrazione. Croce è, per Gramsci, l'espressione e il soggetto di riproduzione ideologica piu consapevole e armato di questa forma dello Stato borghese in Italia, della funzione dello Stato-coscienza nel liberalismo individualistico, esteticocompensativo, della piccola borghesia intellettuale, e, attraverso tale diffusissima mediazione, della religione della libertà, come ideologia di corpo e insieme universalità riparatrice delle mortificazioni «economiche• dell'organizzazione, nel senso comune delle masse imprcxluttive inseguite dallo spe_ttro del comunismo: cioè il Croce ideologo della storia come storia degli intellettuali, il Croce «istituzione», l'ispiratore delle forme di coscienza che hanno orientato e organizzato la soggettività sociale delle istituzioni, e, mediatamente, lo stesso funzionamento politico di esse nella durata reale dei contenuti e dei codici ideologici dentro le istituzioni del tempo fascista. Il Croce del primo Novecento, dell'enorme effetto di « morfinismo politico » e di coscienzialismo antidemocratico della Filosofia dello Spirito, e il Croce del dopoguerra, protagonista teorico e politico della distinzione (non già opposizione) tra liberalismo e fascismo, il Croce dell'etica che supera la politica e perciò è indifferente ai suoi errori empirici e tuttavia salutari. A differenza di alcuni suoi .51
Egemonia e fascismo
frettolosi lettori, che datano al 1911, o al 1913, o altrove, con sicurezza inversamente proporzionale all'analisi, l'estinguersi del dominio intellettuale di Croce, il Croce cui Gramsci attribuisce un « grandissimo significato» è quello che opera dal 1919 agli anni Trenta, quando si realizza lo « spostamento » dalla posizione «critica» a « una posizione tendenzialmente pratica e di preparazione all'azione politica effettiva» 38 • La forza di Croce, anzi, la grande funzione complessivamente politica dell'operazione crociana da allora ad oggi, che sta nell' effetto di separazione economicistica della classe operaia attraverso l'integrazione dei ceti medi al blocco ideologico borghese, procede proprio dal suo prendere le distanze dalla compromissione con l'immediato politico, dalla empiria sublimata in filosofia (attualismo): dal suo resistere, cosi, « alla pressione della realtà storica », al primato della politica comunque voluto dalla grande ondata di massa nel dopoguerra, nella consapevolezza che ogni subalternità ideologica a questa pressione aprirebbe la strada al bisogno di marxismo e di comunismo che urge dentro i movimenti profondi della società contemporanea. L'idealismo attuale fa coincidere verbalmente ideologia e filo-
sofia ( ...unità superficiale postulata da esso fra reale e ideale, fra teoria e pratica, ecc.), ciò che rappresenta una degradazione della filosofia tradizionale rispetto all'altezza cui l'aveva portata il Croce con la cosiddetta dialettica dei «distinti» ... La resistenza del Croce a questa tendenza è veramente « eroica ,. : il Croce ha viva la consapevolezza che tutti i movimenti del pensiero moderno conducono a una rivalutazione trionfale della filosofia della prassi. Il Croce resiste con tutte le sue forze alla pressione della realtà storica, con una intelligenza eccezionale dei pericoli e dei mezzi idonei per ovviarli. Perciò lo studio dei suoi scritti dal '19 ad oggi ha un grandissimo significato. La preoccupazione del Croce nasce con la guerra mondiale che egli stesso affermò essere la « guerra del materialismo storico•· La sua posizione « au dessus », in un certo senso, è già indice di questa preoccupazione ed è una posizione di allarme 39• 38 39
52
Quaderni, cit., p. 1356. Ibidem, pp. 135'-1356.
Gramsci e l'egemonia degli anni Trenta
Dal confronto, altre volte piu diffuso ma qui incentrato sull'opposizione di fondo tra l'indistinzione attualistica di partito e Stato (ideologia e filosofia) e la distinzione crociana di politica e cultura, sociologia e teoria, risulta evidente la ragione per cui Gramsci riconosce nell'operazione di Croce un'ampiezza di manovra egemonica, uno spessore di elaborazione e una idea di Stato, rispetto a cui la « degradazione ~ gentiliana rappresenta un esito banalizzante e riduttivo, nonché compromettente e povero di espansività. Poteva essere, e fu, l'ideologia della commutazione politica immediata di un piccolo vertice del ceto intellettuale nel tempo che corre dalla repressione di fine secolo al caos postbellico: ma in tale sogno promozionale materializzava e bruciava l'universale funzione del primato della coscienza come mediazione spirituale di un ceto « generale », non sociologico, superiore alle classi, essenziale alla loro conciliazione. L'attualismo economicizzava la sua « matrice necessaria », la filosofia crociana, come sua dipendenza interna, sua funzione-limite di giustificazione dell'esistente. « La necessità per il Croce e per la filosofia crociana di essere la matrice dell'attualismo gentiliano» designa chiaramente l'origine e la durata oggettiva di un rapporto tra due funzioni ideologiche del blocco storico dominante nella società italiana, di due forme di cui una comprende l'altra distinguendosene, e perciò superandone la necessità in una sua necessità storica piu durevole. L'importanza della funzione di Croce « dal punto di vista dell'egemonia, come ordinatore dell'ideologia che dà il cemento piu intimo alla società civile e quindi allo Stato» 40 , è tutt'altro evidentemente che nel valore assoluto della sua superiorità filosofica (che l'analisi di Gramsci non fa che storicizzare, cioè ricondurre alle spinte reali, economiche in ultima analisi). La sua importanza, la sua necessità di competere e di distinguersi dall'attualismo, sta nell'ordine del rapporto piu generale tra liberalismo (blocco storico-ideologico fondamentale) e 40
Ibidem, p. 13.56. 53
Egemonia e fascismo
fascismo: nella ricognizione del terreno oggettivo di formazione e di crisi dello Stato unitario, della storia dei gruppi dirigenti, della struttura reale e della mediocre egemonia borghese nella sòcietà italiana. Sta nella storicità cli un dominio di classe che in tanto può giustificare una sua difesa cosf repressiva contro l'attività delle masse, in quanto non si identifica formalmente con essa, anzi la dichiara una necessità da superare, e distingue in essa la funzione empirica e amministrativa dello Stato (fase economico-corporativa dello Stato politico) per attribuirsi e conservare la prospettiva cli lungo termine dello Stato in quanto civiltà-moralità 41 • Proprio all'altezza del problema dello Stato, la distinzione crociana tra società civile e società politica, cioè il primato dell'etico-politico sull'economico-politico, era per Gramsci una posizione enormemente piu « avanzata » (cioè egemonica, in quel momento e per quello successivo) di quanto non fosse la « fase statale positiva » rappresentata da Gentile, che « pone la fase corporativo-(economica) come fase etica dell'atto storico: egemonia e Stato sono indistinguibili, la forza è consenso senz'altro ... : esiste solo lo Stato e naturalmente lo Stato-governo• 42 • Perché dietro questa posizione non c'era che l'apparato coercitivo dello Stato fascista: nonché la «politicizzazione», come si usa dire parlando in realtà dell'attivismo ideologico, cli una sparuta minoranza cli intellettuali. Dietro l'altra c'era un apparato piu grande, che lo comprende, lo rende possibile nella passività del consenso, nella spoliticizzazione di massa. C'era un apparato «privato» che a suo modo organizzava da trent'anni la società civile, forniva il « cemento piu intimo», di incalcolabile tenuta, alla disgregazione reale dei ceti parassitari meridionali, alla storica insofferenza antistatuale della piccola borghesia, offriva un riferimento «universale» al senso comune, una religione 41
Cfr. la celebre analisi teorica dei momenti del « rapporto di
forza» (ibidem, pp. 1583-1.58.5). cz Op. cit., I, p. 691.
54
Gramsci e l'egemonia degli anni Trenta
della libertà alla schiavitu della società improduttiva, separandola dalla politica, organizzandola come base di massa a quel dominio economico-politico e unificanàola alla grande madre borghese in nome del comune nemico, il comunismo e la classe operaia. Nasce di qui !~immagine perentoria della « concordia d.iscors » come espressione oggettiva della funzione storica di Croce nel tempo del fascismo: che è appunto il risultato di una analisi estremamente articolata e complessa, fondata da lontano, dell' « ultimo uomo del Rinascimento », dell' « intellettuale cosmopolita », che Gramsci indicava alla classe operaia come oggetto pregnante della lotta per la nuova egemonia e perciò per la conquista politica della società italiana. L'operosità del Croce appare oggi come la piu potente macchina per « conformare ,. le forze nuove ai suoi interessi vitali (non solo immediati, ma futuri) che il gruppo dominante oggi possiede e che io credo apprezzi giustamente, nonostante qualche superficiale apparenza. Quando si gettano in fusione corpi diversi da cui si vuole ottenere una lega, l'apparenza superficiale indica appunto che la lega si sta formando e non viceversa. Del resto, in questi fatti umani la concordia si presenta sempre come discors, come una lotta e una zuffa e non come abbracciamento da palcoscenico. Ma è sempre concordia, e delle piu intime e fattive 43 •
43
Lettere da/. carcere, Torino, 1965, pp. 633-634.
55
CAPITOLO TERZO
Cultura e organizzazione
Credo che una interpretazione corretta del fascismo, e cioè un tentativo di intelligenza concreta del rapporto tra cultura e fascismo, una impostazione non ideologica di questo nodo fondamentale della storia della società italiana negli anni Trenta, non possa oggi in alcun modo prescindere dalla interpretazione gramsciana, dal suo valore eccezionale di testimonianza e dallo spessore complessivo delle sue implicazioni teoriche e politiche; non certo per accettarla acriticamente, ma almeno per verificarla, per coglierne comunque il senso e le condizioni, eventualmente per limitarne la fungibilità rispetto alla necessità di un bilancio evidentemente complicato da quarant'anni di storia sociale e di esperienza politica. Certo per non rischiare di rimuovere una esperienza conoscitiva cosi motivata e sofferta in nome di una visione preconcetta degli anni Trenta, cioè di una continuità ideologica rispetto all'una o all'altra immagine di sé che quella stagione ci ha trasmesso: di una continuità storicistica dello stesso schema conflittuale liberalismo-fascismo, CroceGentile, cultura e politica, che alcuni intellettuali fascisti divulgavano, inconsapevolmente ripetendo e materializzando la ragione politica profonda della egemonia crociana. Si tratta di verificare, mi sembra, in una analisi che renda attive e complessivamente significanti le utili indagini già avviate sugli aspetti quantitativi e legislativi delle istituzioni fasciste della cultura, l'effettiva funzione politica della cultura italiana nel suo complesso rispetto alla organizzazione della società negli anni Trenta, e insieme l'incidenza di questa organizzazione, e del regime nella sua ampia accezione, rispetto alle modificazioni della produzione e del ruolo intellettuale sollecitate dallo svi57
Egemonia e fascismo
luppo della società almeno dal primo Novecento agli anni della grande crisi mondiale: dove perciò sia chiara la necessaria distinzione, spesso offuscata, tra processi sociali e risposte politiche, tra tempi oggettivi della mutazione e forme di possibile incidenza della sua gestione politica, cioè delle istituzioni che intervengono nel processo .di mutazione sociale e gli imprimono comunque un orientamento; e dove sia altrettanto chiaro che l'interpretazione di tale vicenda (rapporto tra sviluppo oggettivo e sua direzione politica) dipende fortemente dal respiro teorico che sostiene le nozioni stesse di « politica » e di « organizzazione », cioè dalla distanza che corre tra una accezione formale, economicistica e sociologica, di questi concetti, ed una accezione forte (politica in senso gramsciano) della loro funzione di direzione e di egemonia. Nel primo caso, appunto, la funzione politica della cultura italiana negli anni Trenta sembrerebbe ridursi alle dimensioni propagandistiche o di potere-governo dell'apparato culturale del regime, e complementarmente dovrebbe negarsi, in quanto sopravvivenza di una tradizionale separazione, per quanto riguarda l'attività intellettuale estranea al regime: e l'incidenza della organizzazione fascista verrebbe individuata nella moltiplicazione e settorializzazione degli istituti e delle forme associative della cultura e della professionalità, attraverso cui lo Stato fascista intese realizzare il controllo della società e in particolare degli intellettuali, « sviluppando» cosi per ciò stesso, e cioè in queste forme di istituzionalizzazione e di controllo, la politicizzazione degli intellettuali, la trasformazione del loro ruolo e della loro coscienza del ruolo. Nel secondo caso, la funzione politica della cultura andrebbe invece cercata nel rapporto complesso ma non misterioso tra forme di coscienza e forme di organizzazione, nella formazione del senso comune e dei suoi contenuti profondi; e l'incidenza politica dell'organizzazione culturale fascista andrebbe cercata nella sua eventuale capacità di produrre, in risposta alla crisi cli un vecchio ruolo ideologico (di una forma separata della 58
Cultur• e organir.uvone
riproduzione e della mediazione), una modificazione complessiva della funzione intellettuale, del suo rapporto con la politica e con lo Stato, una socializzazione della produzione del sapere in quanto funzione della espansione dello Stato, e perciò in quanto contenuto e terreno reale del funzionamento e della prcxluttività politica delle istiruzioni. Voglio dire che il problema riguarda la misura e la direzione in cui il regime fascista, il tipo di organizzazione sociale da esso promosso e realizzato negli anni Trenta, ha risposto ai processi di crisi del ruolo produttivo e della funzione politica della cultura già maturati oggettivamente nell'ultimo ventennio dello Stato liberale; in che misura ha modificato, non tanto gli atteggiamenti ideologici e le forme piu elaborate di coscienza di singoli intellettuali (la storia delle idee in sé), e neppure le istituzioni del lavoro intellettuale di massa in quanto mcxli puramente giuridico-formali (la storia delle forme in sé), quanto il funzionamento sociale reale del ruolo intellettuale nelle sue molteplici specificazioni: che consisteva prima, comunque (in forme liberamente culturali e poi sempre piu istituzionalizzate e impersonali fino al progressivo esautoramento nei partiti e nello Stato), nella produzione e gestione della politica, cioè nella elaborazione e diffusione e nell'esercizio a vari livelli della mediazione tra i conflitti di classe e la loro ricomposizione nella sfera statuale. Questa indicazione è indubbiamente generica, se non è il risultato di una analisi storica del ceto intellettuale in Italia almeno dall'Unità al tempo del regime fascista, come appunto era per Gramsci, nelle sue grandi linee e nei suoi nodi fondamentali: dal rapporto città-campagna nelle lotte del Risorgimento alla formazione della burocrazia nell'articolazione dello Stato unitario, dalle forme di autorganizzazione di gruppi intellettuali nell'età giolittiana alla grande operazione di morfismo politico costruita da Croce. Certo è che questo esercizio, ai suoi vari livelli, viene ad essere modificato dall'avvento della società di massa, 59
Egemonia e fascismo
e comunque dai processi di industrializzazione e di organizzazione politica delle masse, che mettono progressivamente in crisi, nel primo Novecento, la funzione e lo spazio di mediazione dello « Stato liberale »: quando cioè si apre la contraddizione fondamentale tra la crescita tendenzialmente di massa del ceto intellettuale (dunque della mediazione, ai livelli sempre meno elaborativi e sempre piu d'esercizio) e il processo di specializzazione e di istituzionalizzazione della politica (partiti e organizzazioni sindacali). È difficile comprendere, fuori di questa spinta reale, la grande e unitaria immagine di autonomia e di rivolta ideale elaborata dalla piu rappresentativa intellighentia primonovecentesca. La verità è che l'alta cultura tende a formalizzare una sua ideologia della separazione (perdita dell'aureola-universalità alternativa) quando nasce una tecnica della mediazione che sembra renderla politicamente superflua. E d'altra parte i fenomeni notissimi di autopromozione attivistica alla politica (nazionalismo, vocianesimo, futurismo) rappresentano, nella stessa fase, la spinta spontanea all'esercizio della nuova universalità da parte di un corpo sociale esautorato nell'antica funzione politica della universalità culturale, precipitato nell'economico (sviluppo di massa) e terrorizzato dalla democrazia in quanto standardizzazione, anonimato dell'uguaglianza e sua organ.i?zazione 1• Ora, il movimentismo del ceto medio nell'immediato dopoguerra 2, e in esso l'eclettismo ideologico di quel 1 Persino ai livelli moralmente piu alti sarà possibile riconoscere i segni durevoli di questa vicenda comune. Si ricordino le affermazioni assai simili di due importanti intellettuali di formazione idealistica, presto allontanatisi da Gentile: G. Lombardo Radice (« anror piu dei fascisti, noi siamo anticomunisti.», nel '23, Accanto ai mae-
stri, poi in Nuovi saggi di propaganda pedagogica, Torino, 1925, p. XV); e G. De Ruggiero (meglio il fascismo che il trionfo del movimento operaio! Cfr. alcuni scritti del '24, ricordati da E. Garin, Intellettuali italiani del XX secolo, Roma, 1974, pp. 119 ss.). 2 n movimento dei combattenti (studiato da G. Sabbatucci: I combattenti del primo dopoguerra, l,\ari, 1974) ne rappresenta un episodio assai significativo: per la spinta di sinistra di una fou.a intermedia che presume di agire al di sopra e contro i partiti di massa.
60
Cultura e organiuazione
polo di indubbia attrazione che fu il movimento fascista,. il sovversivismo innescato da una frustrazione di massa e amministrato da una élite di piccoli intellettuali senza partito o già transfughi dalle organizzazioni, è un fenomeno sicuramente legato a questa ideologia della conversione politica del protagonismo intellettuale, cioè a questo immediato rovesciamento pragmatico di un deperimento oggettivo del vecchio ruolo nelle trame moltiplicate della società di massa. Lungi dall'essere una risposta politica a questo processo, il fascismo originario ne era dunque una espressione ideologica, cioè una forma tutta interna alla sua immediatezza sociale (come, del resto, le sue varie « fonti », da Corradini a Mosca a Sorel). E continuerà ad esserlo, com'è noto, anche oltre la marcia su Roma in vagone letto: cosi nella resistenza della « prima ondata » entro la prima stabilizzazione nazionalistica del partito-organizzazione, come nel sogno della « seconda ondata » che ripropone il partito-movimento contro il vincente partito-stato 3 ; e persino poi, all'interno dello Stato-regime (della normalizzazione totalitaria che spegne quell'incomodo protagonismo sociale), nello spazio separato concesso a piccoli gruppi intellettuali, nel senso ultimo dei loro dibattiti progettuali, della loro inquietudine sociale in cerca di rappresentanza politica. Per gli intellettuali e per la cultura, il tempo del regime sembra disegnarsi come la lunga ricerca di un ruolo in un universo « tutto politico», e perciò senza deleghe e senza ruoli. È un lungo processo, che non a caso inizia Ma, piu in generale, sulla « emergenza » di un protagonismo piccoloborghese, legata alla crisi economica e sociale del dopoguerra e alla dissoluzione dello Stato, è ancora illuminante il volume Nascita e avvento del fascismo, Firenze, 1950, di A. Tasca: a parte gli studi successivi, già ricordati o citati in seguito. 3 Si tratta della opposizione alla evoluzione « borghese » e costituzionale del fascismo da parte degli intransigenti e dello squadrismo provinciale. Ne furono espressione, com'è noto, il «Selvaggio,.. di Maccari e « La conquista dello Stato •, di Malaparte, a partire· dsl 1924. Interessanti analisi del dibattito, e della polemica strapecsana piu in generale, nel voi. della Mangoni, L'interventismo del/4cultura, Bari, 1974.
61
Egemonia e Iascismo
emblematicamente con Gentile e finisce emblematicamente con Croce: e cioè inizia con una relativa aggregazione ideologica intorno all'intellettuale che piu di ogni altro esprime la vocazione statuale del movimento (Gramsci: lo Stato assoluto degli intellettuali), e termina con una uscita di massa all'insegna della religione della libertà e del primato etico-politico della coscienza. In realtà, la stessa autocandidatura dell'avanguardia intellettuale al potere politico, cosl estroversa nel mito gentiliano dello Stato assoluto, non era che la metafora ideologica della immediatezza del movimento, l'espressione di un individualismo piccolo-borghese minacciato dall'autoritarismo reale
incomunicante rispetto all'enorme spazio di un « consenso » ben altrimenti assicurato, il lusso della libertà d'opinione e di dibattito è una realtà inversamente proporzionale alla compattezza massimale della repressione politica. Non è inutile rilevarlo, perché è anche questo un elemento interno alla logica del regime, alla qualità dei suoi rapporti con la società italiana, cioè al suo modo di dirigerla, di conservarne le contraddizioni, di non trasformare i ruoli. L'iniziativa degli intellettuali « pensanti » e « scriventi », rivolta a promuovere la funzione politica della cultura, si moltiplica negli anni Trenta nelle forme piu varie di un «interventismo» tanto piu esaltato e concorde quanto piu ogni volta rimbalzante nello spazio chiuso dell'ideologia: significandosi in una sorta di rodaggio dei bisogni, in un tirocinio di predisposizione involontaria all'avvento di un altro spazio politico. E forse il caso piu clamorosamente velleitario di fedeltà a un fascismo irreale, di estraneità al fascismo dentro il ghetto ideologico tenuto in vita dal fascismo, è quello di Berto Ricci e del suo foglio, l' « Universale », anch'esso organo di un certo « realismo », e soprattutto anch'esso impegnato sui temi politici di vario genere: dalla politica estera al « corporativismo morale», dalla burocrazia all'impero. In realtà, fra tanta eversione di miti tradizionali (la Chiesa, la cultura idealistica, il capitalismo), la polemica di Ricci non sfiora mai l'analisi di queste realtà tradizionali e presenti: perciò sopravvive ad ogni delusione, a differenza del piu travagliato anticonformismo di Garrone :a>. Preda di tutti i fermenti 20 Sulla posizione di Gattone, cfr. A. Panicali, Appunti sul realismo degli anni Trenta: Dino Garrone, in « Angelus Novus i., n. 23, p. 1972; nonché L. Mangoni, L'interventismo della cultura, Bari., 1974.
93
Egemonia e fascismo
attivistici e antidemocratici della nostra cultura primonovecentesca, Ricci sembra affidare all'operazione retorica dell' « Universale » il compito di aggregare l'intellighenzia autonoma, « il meglio dell'Italia pensante e scrivente», e di attribuirle il mandato « spirituale» di costruire la nuova forma politica del fascismo 211.. Ma l'en. tusiasmo dell'azione, della guerra di Etiopia, lo riconvertiva subito alla rivoluzione che « torna allo squadrismo attraverso l'espansione imperiale» (25-2-1935): che era il segno di una autodegenerazione attivistica, di un protagonismo rovesciato, di quel ruolo intellettuale impossibile e perciò destinato ad ogni sorta di riconversione. Il fatto è che, ove si eccettui l'opportunismo oggettivo o anche il piu esplicito integralismo fascista di buona parte della cultura cattolica, tanto piu organica al regime quanto piu tesa ad usarne lo spazio in funzione di una pur variamente intesa cattolicizzazione della società e dello Stato 22 , la spinta antiidealistica (antigenL'« Universale•, 25.6.1933 e 10.5.1934. Mi riferisco al cattolicesimo ufficia:le e all'attività dei gruppi intellettuali piu influenzati dalle sue scelte dottrinarie e politiche (non escluso il gruppo del «Frontespizio•, anche nella fase in cui piu vi opera la direzione culturale - certamente piu elaborata e meno settaria - di Don Giuseppe De Luca: dr. le pagine equilibrate ed efficaci di L. Mangoni, op. dt., pp. 239-283). Sui rapporti tra Ouesa e regime dopo il C.Oncordato, e dunque sulle posizioni politiche del mondo cattolico piu responsabile, gli studi sono ormai molto avanzati (oltre quelli di Scoppola, ed altri già ricordati, mi limito a indicare: G. Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, Roma, 19723 ; C.A. }emolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino, 1%75 ). Stenta invece a svilupparsi l'analisi della dialettica culturale interna al mondo cattolico, delle posizioni in qualche modo organizzate e autonomamente operanti al di là della presenza diffusa di intellettuali cattolici nei vari dibattiti culturali e politici degli anni Trenta: l'analisi cioè dei gruppi di « cattolici intcllettuali •, piu che di «« intellettuali cattolici•, come diceva Don De Luca con significativa distinzione (interessanti, intanto, le ricerche di R. Moro, ora proposte nel voi. La formazione della classe dirigente cattolica, Bologna, 1979; e alcuni contributi offerti dal voi. coll. I cattolici tra fascismo e democrazia, a cura di P. Scoppola e F. Traniello, Bologna, 1975). In realtà, con la caduta di ogni illusione sulla « riconquista • cattolica dello Stato (a partire dal '31, dalla prova di forza e dalla 21 22
94
L'alternativa culturale
tiliana) che unifica le varie tendenze della giovane intellettualità italiana non può non leggersi, nei primi anni Trenta, come l'espressione univoca cli una crisi complessa, che ha al suo centro il piu o meno globale rifiuto di minaccia di scioglimento dell'Azione cattolica da parte del regime, preoccupato delle conseguenze del C.OOcordato in ordine al problema dell'educazione e dell'organizzazione dei giovani), l'integralismo cattolico dové concedere spazio a posizioni piu morbide e di lungo respiro: certo avversandole il piu possibile (a parte la gerarchia e la polemica piu sottile dei Gesuiti, il gruppo di «Vita e pensiero i., dell'Università cattolica, Gemelli in testa, continuerà a rappresentare l'ala pu intransigente e piu disinvoltamente «fascista• della cultura cattolica), ma senza poter evitare che una parte cospicua della llite intellettuale animata dall'impegno della « presenza cristiana• nel mondo contemporaneo si orientasse verso un tipo di rapporto meno l'O'LZSIIlente antagonistico e repressivo con la cultura moderna. Questa distinzione di atteggiamenti e di disposizioni di metodo è ormai acquisita, e in generale è proposta come la distanza-complementarità, nell'ambito di una comune matrice dogmatica (teorica), tra una strumentalizzazione totalitaria della politica (l'uso dello spazio offerto imprevedibilmente dall'autoritarismo fascista alla «riconquista• cattolica, dopo l'offesa dell'eresia liberale) e un impegno culturale invece rivolto a preparare strumenti piu sensibili di assimilazione di alcune spinte del mondo moderno: la storia interna della FUCI di Montini e Righetti è in gran parte la storia di una preparazione e di una altemariva di questo genere, distante dall'integralismo manicheo del gruppo gemelliano ma anche dal popolarismo della recente tradizione sturziana e dall'ispirazione sociale di certo sindacaUsmo ca~ lico (sulla FUCI e sui dibattici della « Azione fucina•• cfr. G. Marcua:i Fanello, Storia della Federazione Universitaria Cattolica Itali11na, Roma, 1971 ). Quello che certo è meno chiaro è il rapporto che deve istituirsi (pena la rinunzia a conoscere storicamente alcuni processi fondamentali della vita italiana in questo quarantennio) tra questa propedeusi «culturale• del mondo cattolico negli anni Trenta, questa sua verifica metodologica (importante !!articolo di Montini, I cattolici e la cultura, in « Azione fucina» del 31.8.1930), e la qualità e la tenuta eminentemente (esclusivamente) politica della sua «presenza• nella fase della ricostruzione e della gestione dello Stato liberaldemocratico: cioè la maggiore e sempre piu funzionante organicità della esperienza laica e pluralista di questa « terza via» della cultura cattolica (tra integralismo e popolarismo) rispetto al bisogno di nuove forme di direzione liberal-democratica dello sviluppo imposto al capitalismo italiano nella fase democratica della società di massa. Credo che, rispetto a questo problema estremamente complesso, almeno alcune considerazioni preliminari si debbano proporre, proprio riguardo al singolare « giacobinismo • che questi intellettuali cattolici degli anni Trenta a lor modo disegnano nella ideologia elitaria della « presenza cristiana nel mondo», dei portatori di verità
95
Egemonia e fascismo
uno Stato sostanzialmente estraneo alle spinte nuove della società (antiborghesismo, anticapitalismo, corporativismo, partecipazione di massa), carente di prestigio e di direzione ideale perché non bisognoso della funnell'azione collettiva, e cioè in questa idea di cultura come assimilazione di metodi, esercizio di incontri, beccssaria mediazione e appunto presenza nel mondo. Forse quando si parla di cultura cattolica, si dovrebbe tener conto piu spesso di questa specificità, cioè del suo .carattere di « vocazione i., di delega temporale (distinzione di poteri -e responsabilità) di un discorso di ordine superiore. La problC'lll1ltica della crisi, negli anni Trenta, può offrire un esempio interessante di questa specificità. 1) La certezza preventiva della qualità morale ed escatologica della crisi, e dunque della inevitabile -qualità cristiana della sua solll2lione, è la condizione specifica di una concezione e di una pratica del ruolo intellettuale, e cioè di una rimozione sostanziale della sua crisi sociale e politica, che rendono inessenziale quella ricerca di identità che sollecita in vari modi l'esperienza critica della cultura contemporanea. Perciò questa cultura cattolica non può essere una cultura di ricerca e di elaborazione teorica, ma un progetto cli ronciliazione e di autoverifica a partire da un principio di verità a ari riportare i bisogni e gli errori del mondo. 2) Tale natura politico-culturale, e cioè pratico-funzionale rispetto a una teoria in sé data e immodificabile (dogma), dell'impegno dei gruppi cattolici piu .avanzati, è tutta inerente alla concezione stessa della conquista cristiana della sooietà e alla necessità di correzioni tattiche in essa sollecitate dalla ormai irreversibile esperienza della distinzion~separazione tra Stato e Chiesa. L'autonomia della politica, proposta da Maritain in altre condizioni politiche e istituzionali, nasce nei gruppi fucini proprio dall'assoluta impossibilità di una autonomia teorica della politica e della cultura, e cioè dalla strumentalità compromissoria dell'agire-nel-mondo rispetto a un disegno di conquista di natura spirituale. Non è una autonomia per attribuzione di complessività, un primato teorico o storico, ma, al contrario, uno scarico di relatività, un compartimento-stagno pragmatico del foro interiore. Non vive un rapporto di indipendenza e di autodecisione rispetto all'ordine ideale: ma di distinzione subordinata, tecnica, di imperfezione giustificata (resa giusta, riparata) ad esso. È la mediazione tra le conflittualità e le istituzioni del «secolo» (economia, classi, società civile, cultura, Stato), vocata alla loro ricomposizione. Ed è proprio la sua assoluta .eteronomia a renderla assolutamente autonoma nello spazio storico, ,che le compete. Questo rapporto risulterà certo piu visibile nella fase del dominio politico dei cattolici sulla società italiana. Ma è già ffVvertibile nell'impegno culturale degli anni Trenta, nel lavoro di formazione di quadri intcllettuali aperti alla assimilazione del sapere moderno proprio nei modi di un aggiornamento metodologico e di una integrazione di contenuti politici, e mai di un confronto teorico e di una messa in discussione dei principi, evidentemente. 3) Questa .autonomia della politica, il primato della mediazione come drluizioneestenuazione delle risposte di ricomposizione dei processi reali, l'etica
96
L'alternativa culturale
zione trainante degli intellettuali (onde il ruolo esclusivamente ideologico e subalterno della predicazione di Bottai). Ma la minacciosa realtà della grande crisi, il disastro economico che investe l'Europa e il mondo, sembrano non attraversare la tematica della « crisi » emergente da questi dibattiti: tutta di ordine spirituale o formalmente politico, inerente al tramonto di un vecchio ordine culturale e alla pratica sopravvivenza del suo dominio, all'effetto di separazione che tale resistenza comporta tra politica e cultura, tra cultura e bisogni della società. Chi parla di Stato, parla di un altro Stato, di un ruolo nuovo degli intellettuali, di una politica in senso nuovo. Chi non parla di Stato, parla comunque della sua alternativa, che è la cultura, la riforma spirituale della società. La separazione oggettiva può essere assunta come il termine di un volontaristico superamento, la condizione dialettica dell'impegno politico, oppure come il luogo ideale in cui si consolida e si fa autosufficiente la forza della soggettività. Ma, in comune, cresce su tutto il fronte la convinzione profonda che è compito della cultura, sua funzione insostituibile, produrre del cinismo (il senso dello Stato), sembrano in ta!l senso i caratteri di una concezione del potere impossibilitata all'origine a costituirsi sulle spinte di una fon:a sociale in ascesa e sul suo reale protagonismo culturale: perciò indifferente al problema dell'egemonia, e dello Stato come forma e strumento di egemonia. Il consenso alla verità, ai principi de1:la riconquista cristiana del mondo, non sono di pertinenza dello Stato, né del partito cattolico: bens{ della Chiesa, del potere spirituale che aggrega le masse nella direzione contraria allo sviluppo della coscienza di massa. E l'autonomia della politica, protetta e favorita àa questo, sembra lo strumento piu idoneo a ridurre sempre di piu e tendenzialmente a eliminare lo stesso terreno della lotta tra egemonie: ampliando sempre piu, sotto la spinta della contraddizione, il quadro istituzionale della politica, la presenza formale delle masse nello Stato, e separando sempre piu questo quadro dai rischi della democrazia reale. In questo senso, la cultura politica dei cattolici, sempre meno confessionale, sembra aver accolto sin dagli inizi delia nuova storia (dagli appelli insistenti di Croce, negli anni Quaranta, alla conciliazione politica tra cristianesimo e liberalismo, contro il comune nemico) molti aspetti del metodo liberale: identificando in questo la cultura politica « moderna • e per suo conto aggiornandola tecnicamente in ordine ai nuovi processi della società di musa.
97
Egemonia e fascismo
l'uscita dalla crisi: è la società civile a produrre la forma della sua ricomposizione, si chiami coscienza o Stato. La rivoluzione vera è quella degli spiriti, non quella dei
codici e dei segni esteriori. t qui, nella sfera della coscienza, nella lotta contro ogni forma di incomprensione, d'indifferenza
e di assenteismo, che occorre maggior hlvoro, piu Dobbiamo quindi, noi intellettuali, sentire l'orgoglio responsabilità di vedere a noi affidato il piu alto, compito. Sta a chi piu sa l'insegnare, a chi piu crede il convincere 2.1.
aspra fatica. e insieme la il piu grave sente e piu
Solo in un mondo ideale si può raggiungere la fusione perfetta tra il sociale e l'individuale. Sembra dunque abbastanza impropria, superficialmente « fenomenica», la tendenza a isolare da questo fronte culturale complessivo le motivazioni profonde della piu « tradizionale » attività di « Solaria » e della sua specifica frequentazione del tema della crisi: nonché, piu tardi, la singolare proposta di « vitalismo mediato » elaborata da Bo e dagli ermetici. Si tratta certo di un protagonismo condizionato e protetto da una solitudine ideologica predeterminata, da una totalizzazione piu oltranzistica dello specialismo della cultura, della letteratura, e che perciò, traducendo alla lettera (al di là di alcuni « distinguo », tutti interni alla stessa matrice) il Croce piu puro e coscienziale della prima « Estetica », schematizza nella opposizione letteratura-politica il disgusto moralistico ed estetico per le vicine fanfare strapaesane: predicando il recupero della tradizione antivociana, dalla « Ronda al Baretti», come condizione di una interiorità feconda di resistenza e di controllo critico. Ma è altrettanto certo che nelle trame di un gusto che si offre come continuamente minacciato dall'invadenza della cronaca politica, nella spirale di una atmosfera iperletteraria di sapienza 2.1 Dal «Campano», organo del GUF dell'Ateneo di Pisa! Il commento della redazione di « Critica fascista• non è meno eloquente: senza tale « «conquista degli spiriti» è inutile creare nuovi sistemi: saranno « semplici forme destinate ad ospitare anime diverse da quella che vogliamo» (n. 7, 1934, p. 131).
98
L'alternativa culturale
europea, quello che emerge è il senso di una attività e di una funzione tutt'altro che dilettantistica o marginale, di uno sperimentalismo e di un impegno analitico come modi d'essere di una ricerca morale che in quanto tale è destinata a superare l'attuale disordine nella costruzione di una comune « atmosfera spirituale », di una « effettiva adunata » dei migliori. Si vuol dire che la separazione, persino programmatica ed esibita, della letteratissima « Solarla ~ 2-4, pur se crocianamente impiantata sulla distinzione tra cultura e politica, in realtà tende a significare, altrettanto crocianamente, il riassorbimento delle funzioni generali della politica nella specialità morale della cultura, e cioè la risoluzione della crisi nell'attività « demiurgica » della coscienza intellettuale is. L'impegno della cultura, la sua caratterizzazione politica, non è un discrimine qualitativo del restauro (aggressivo o difensivo) del ruolo intellettuale nella società di massa. Al fondo, in ogni caso, l'orizzonte di una crisi spirituale, di un tramonto inquietante di civiltà, è la proiezione universalistica di una oggettiva emarginazione del ceto intellettuale, della sua estraneità alla politica, la metafora ideologica della sua separazione dalle frontiere organizzate della società e dello Stato: è l'occasione, la condizione di autoinvestitura, per una offerta del proprio specifico come strumento di salvezza e di ricomposizione generale. La poesia come civiltà, la ragione come salvezza dal catastrofismo di certa possibile disperazione esistenziale, dalla sofferente passività di fronte alla forza dell'irrazionalità codificata nelle cose e nelle istituzioni. La cultura, insomma, come difesa preventiva dall'angoscia, e preparazione morale 26 • Era questo il punto d'incontro tra :M ar., nell'articolo di R. Franchi («Solarla», 1927, n, 1), la definizione della rivista come « orto concluso della critica», microcosmo, discorso per pochi. 25 Cfr. F. Burzio, Il problema del demiurgo, in «ibidem», (1928), n. 4. 26 Per una ricognizione sistematica di questa stagione letteraria, cfr. G. Luti, La letteratura ne/. ventennio nero, Firenze, 1972; nonché G. Manacorda, Letteratura e cultura nel periodo fascista, Milano, 1978.
99
Egemonia e fascismo
esperienze intellettuali di origine evidentemente differenziata, la parentela fondamentale tra i vari modi d'essere dello spiritualismo storicistico, e anche, su un piano di piu immediata riflessione culturale, tra l'europeismo moralistico della linea Baretti-Solaria (in vario modo ancora operante in « Letteratura » e « Campo di Marte ») e l'universalismo personalistico e antiistituzionale degli ermetici. In questi ultimi in particolare il rifiuto della storia (e dell'idealismo in quanto storicizzazione) sembrerà condurre ad una assoluta - assolutamente crociana sostituzione della forma-Stato (della sua funzione di direzione-educazione) con la forma-Arte, e cioè con la forma che realizza la vera universalizzazione dell'esperienza individuale, la sua compiuta conservazione-trascendimento. La soggettività primonovecentesca sembra aver realizzato, anche attraverso il tardivo recupero simbolista, la sua estrema distillazione: « Nell'agonia raggiunta completamente della realtà è la matrice intatta della poesia ». « La poesia è la voce che non riconosce: è quello che non sappiamo, il nostro piu vero presente» 'Zl. · Il vero punto d'incontro, e di superamento di una crisi cosl già mediata, era in definitiva l'ideologia di una civiltà, di una comunicazione elitaria, di cui la letteratura era l'espressione e il codice piu qualificante: sia nella direzione di uno scontroso distacco dall'esperienza politica e dalla realtà di massa dell'organizzazione, di un'alternativa ideale totalizzante, sia nel senso di una separazione tecnica e metodologica che si fonda sulla distinzione e sulla convivenza delle due sfere, su una autonomia disponibilissima al consenso formale 1.8. L'avventura di Spagna, e poi le grossolanità anche culturali degli ultimi anni del regime, valgono certo ad accentuare C. Bo, L'assenza, la poesia, in «Prospettive» del 15 ottobre 1940. t il brescianesimo di tanti scrittori e intellettuali, registrato da Gramsci ininterrottamente nei Quaderni. Particolarmente importante è l'attacco ad Angioletti e all'antologia Scrittori nuovi di Falqui e Vittorini, « ... sacerdoti dell'arte in regime di Concordato e di monopolio» (I, p. 427). 'Z1 1.8
100
L'a/.ternativa cultura/.e
la diaspora o l'isolamento di tanti intellettuali, o anche ad attivare una ripresa del dibattito e una tendenziale inversione dell'impegno iniziale (a parte la confusione dei reiterati programmi di « unificazione intellettuale », quale ad esempio quello di « Incontri », del '40, o il già maturo antifascismo culturale, di stampo kantiano, di « Argomenti », questa posizione di esplicito disimpegno e di rivendicazione della superiore eticità della cultura è proposta da « La Ruota », a partire dal '3 7) 29 : contribuendo fra l'altro alla formazione di quella singolare rassegna di crisi capillare della « cultura fascista » che furono i littoriali 30 , esempio cospicuo della estraneità sostanziale della forma politico-organizzativa delle istituzioni fasciste rispetto ai loro contenuti ideologici e sociali. Ma la verità è che si tratta di una condizione di diversità, di spontaneità idealistica della cultura, che lungamente si era maturata all'origine del regime reazionario di massa, coperta dalla sovrastruttura organizzativo-istituzionale, dai giuramenti e dall'inquadramento burocratico nella scuola e negli altri enti culturali, ma continuativamente autoriprodotta dentro e sotto di essa, nella non-tenuta reale di essa, nel suo effetto complessivo di separazione delle masse e degli intellettuali dalle soglie della partecipazione e della direzione politica. Certo non è un caso che nel cuore degli anni Trenta, tra la guerra di Spagna e la parabola cri tic a del regime, sia maturato nella nostra cultura un cosl diffuso rilancio dell'estetica: non già solo nella dimensione fondamentale dell'autonomia dell'arte (primato universale della coscienza), ma altresf nella sua dimensione di gnoseologia capillare, di scienza del sociale in quanto trama della 29 Vedi ora la Antologia della rivista « La Ruota», a cura di R. Serpa, Napoli, 1978. 30 Sui littoriali, tra l'altro, dr. C. Casucci, La generazione del littorio, nello « Spettatore italiano», 1 gennaio 1956; R. Zangrand.i, Lungo viaggio attraverso il fascismo, Milano, 19645; A. Addis Saba, Giooentu italiana del littorio, Milano, 1973; nonché i volumi di E. Papa (Fascismo e cultura, Padova, 1974) e di U. Silva (ldeo/.ogia e arte del fascismo, Milano, 1975).
101
Egemonia e fascismo
vitalità, dei bisogni. Si tratta di una sorta di razionalizzazione extraistituzionale e privata, eminentemente spirituale e coscienziale, che trascorre dall'interesse per la psicanalisi alla scoperta diffusa del surrealismo, dai dibattiti sulle avanguardie poetiche e figurative del primo Novecento alla «letteratura» e alla « vitalità » di Croce (alla accentuazione metodologica delle due scienze mondane, l'economia e l'estetica). La stagione della Poesia (1936) è in realtà il momento di una convergente fissazione filosofica della ricchezza della soggettività esistenziale, oggettivamente alternativa alla politica come ipotesi di ricomposizione della realtà: il momento della emergenza di una mediazione tutta scientifica e culturale dei bisogni, e cioè di una ideologia della società civile che si pone protagonisticamente come interpretazione di un movimento sotterraneo e privato, attivo sotto le maglie di una esterna organizzazione. A parte il riferimento diretto o inconsapevole al pensiero di Croce, si pensi alle tutte contemporanee esperienze estetiche di della Volpe, Banfi, Stefanini, Guzzo, Carlini, Carabellese, Baratono, Anceschi, Paci, nonché alla tensione estetica di tante esperienze critiche emerse in questo momento, da Bo ad altri ermetici, a Macrf, a Gargiulo,· agli ideologi della «poetica» (mediazione tecnico-metodologica tra poesia e storia, di fatto autonomizzazione tutta culturale della storia degli intellettuali). Non è certo in questa singolare concentrazione tematica la vicenda complessiva degli intellettuali italiani nei secondi anni Trenta. Ma converrà una volta tanto almeno ricordare l'effetto straordinariamente univoco e durevole di questo tornante restauro dell'individuo di fronte alla società di massa, cioè di questa fissazione autogenetica e autocatartica del « privato », nelle forme di coscienza intellettuale di poi, non solo nell'organizzazione culturale della scuola e dell'Università da allora ad oggi, ma altresi nella lettura che gli intellettuali hanno fatto dei processi reali, nella tendenziale rimozione della politica che ha caratterizzato pure gli incontri necessari tra intellettuali e politica, 102
L'alternativa culturale
nella resistenza «spontanea» di massa di una concezione extraistituzionale della storia della cultura e dei suoi produttori. In ogni caso resta tutta da fare, pur dopo tanto recente sviluppo di studi storici e filosofici, la storia di questo articolato umanesimo degli anni Trenta, cosl sensibile alle suggestioni della cultura europea (da certo spiritualismo cattolico all'esistenzialismo, dalla filosofia della vita alla fenomenologia), eppure cosI specificamente organico alla tradizione italiana, cosI strutturalmente riferito al versante metodologico e storicistico del cosiddetto idealismo novecentesco. Perché in verità un costume fondamentalmente scolastico, tutto subalterno alle autoclassificazioni formali dei metodi e delle idee, ha sinora piuttosto occultato la realtà di una dialettica culturale rispetto alla quale l'intelligenza vera delle distinzioni è resa possibile soltanto dalla conoscenza delle relazioni, dalla ricostruzione delle condizioni oggettive. Credo che da tale sforzo di conoscenza possa risultare che, nella varietà tutta da analizzare degli strumenti e degli itinerari tecnici, la convergente riflessione sulla centralità dell'estetica, sulla natura e sulla funzione dell'arte e della cultura nel mondo contemporaneo, portava nelle sue stesse modalità di elaborazione due esigenze fondamentali, storicamente specifiche della condizione intellettuale negli anni Trenta: quella di cogliere e privilegiare la dimensione dinamica, la provocazione irrazionale, la irriducibilità istituzionale e organizzativa, della realtà presente, il « caos del vivente »; e insieme quella di riorganizzarla, formalizzarne la necessità, realizzarne la « composizione razionale » (Banfi). La filosofia tende ad acuminarsi nella frontiera dell'estetica per aderire alla massima emergenza della spontaneità esistenziale, in un mondo che sta rivelando lo scoppio irreversibile della vecchia sistematicità, la sua degenerazione rovinosa (la rottura, sI, della vecchia civiltà, ma nel senso della sua consunzione): ma in quanto filosofia, forma intellettuale, coscienza, di per sé separata dalla rovina, e perciò abilitata a risar103
Egemonia e fascismo
cirla. L'intellettuale s1 tmmerge nella vitalità dei bisogni, nella relatività del vivere, che spezza i falsi assolu ti, le metafisiche della repressione: ma per ordinare le relazioni della relatività, per proporre i metodi della propria funzione rinnovata. In questo senso, non tanto contano i modi della rifondazione di questa comune composizione razionale del caos, o di questa esistenzialità del campo intellettuale, che definisce l'autonomia dell'estetica e, per essa, la struttura trascendentale della cultura (Banfi): quanto la sostanziale concordia, la necessità ultima, di questa rifondazione, del primato ideale che vi si formalizza 31 • La tradizione del pensiero novecentesco riesce a far blocco contro le filosofie della crisi attraverso questo singolare rilancio della piu «mondana» delle sue forme di autoidentificazione e di autoriproduzione: quali che siano 3l :È su questo che avviene l'incontro tra ermetici e gruppo ban6.ano, in « Corrente di vita giovanile» (1938-1940). Pur nell'eclettismo degli interessi (pittura, architettura, cinema, ortodossia fascista, politica culturale), il motivo centrale sembra essere la poesia, come « unica alternativa » (V. Sereni, Presentazione di « Corrente di vita giovanile », Roma, 1975, p. 12). Il n. 15 (giugno 1939) raccoglie sulila « eternità della poesia» una serie di contributi (Macd, Quasi.modo, Bo, Gatto, Bigongiari, Pavolini, Falqui, Parronchi, Luzi, Rebora, Alimante, Contini, Vigorelli, Ungaretti, Bonfanti, Fallacara,z Betocchi, Bertolucci). Tutto intorno all'intervento d'apertura di Bant:1, Poesia. Importante il passo: « Ciò che nella parola si esprime è sempre una sintesi organica di coscienza, ove l'esperienza tutta si raccoglie e si significa ... La parola è spirito e come spirito illumina e insieme trascende l'anima individua e la realtà determinata che la circonda; per essa il caos dell'esperienza si chiarisce ed esprime da sé la propria forma, come forma del mondo. Ma soprattutto è degno di nota e qui a noi interessa particolarmente il fatto che l'ideale obbiettività del linguaggio, quella pura indipendente validità della parola, ha un senso differente a seconda delle sfere spirituali in cui si afferma, dei valori che vi si mcarnano. Perché quella indipendenza obbiettiva del linguaggio è in tutte le altre sfere simbolo e via a una concreta realtà spirituale d'altra natura; ma nella poesia è il suo essere stesso... Sulla vita combattuta, sulla realtà rontrastante il discorso della poesia sta come il cielo della catarsi... fuori o meglio oltre i limiti delle altre sintesi spirituali, della morale come della religione e della scienza. Ma appunto per ciò il linguaggio come poesia, il discorso poetico, è linguaggio; discorso in sé concluso». (Ibidem, p. 1).
104
L'a/.ternativa culturale
i contenuti del suo orizzonte di attenzione (lo sviluppo, la scienza, o il vecchio sentimento d~l senso comune), e quali che siano i modi della continuità formale che salda la funzione presente dell'estetica al valore permanente della cultura (l'autonomia categoriale del pensiero o il principio banfi.ano della continuità teoretica della tradizione filosofi.ca) 32 • Credo che meriterebbe uno studio un po' meno convenzionale, non ipotecato dalle ancora resistenti categorie filosofiche della storia della filosofi.a (come continuità ideale), il pur limitato fenomeno del « banfismo » negli ultimi anni Trenta: relativo ad un gruppo di intellettuali « urbani », settentrionali, filosofi. universitari, decisamente isolati, tutti esordienti, privi di strumenti e anche di progetti di aggregazione; ma assai significativo come testimonianza della oggettiva unità di spinte e di orizzonti ideali che in quegli anni connota la condizione degli intellettuali « pensanti », al di là della provincia metodologica dalla quale si collegano all'Europa e ai problemi generali del presente. Quanto piu sapida di novità era la tematica filosofi.ca che attraverso l'insegnamento di Banfi arricchiva le esperienze degli scolari (Simmel e la filosofi.a della vita, poi la fenomenologia di Husserl, soprattutto), tanto piu eloquente è la mediazione che di essa si realizzava rispetto a una realtà culturale profonda, radicata nella storia reale e nelle forme di coscienza degli intellettuali. È un processo evidente nella :fitta elaborazione estetica dei banfi.ani, soprattutto, ma in genere nella curvatura fenomenologica a cui alcuni di essi sottopongono il trascendentalismo del maestro, nonché il recupero già 32 « La visione della vita e del mondo che in ciascuna (visione :filosofica) si esprime ha una vitalità che supera tutte le contraddizioni ... e che non s'origina semplicemente dalla situazione storica ... ma si estende e si sviluppa fecondando tutta la storia della cultura». « Quanto piu esse vengono considerate nella purezza dei loro m, 1940, n. 4, rist. a cura di E. Garin, Bologna, 1972, p. 371).
«> Ibidem, p. 363.
110
L'alternativa culturale
I fondamenti dell'estetica crociana sono qui riproposti, con fedeltà anche terminologicamente singolare, da un pensatore lontanissimo dal riconoscersi nell'area del crocianesimo, e piu tardi impegnato, com'è noto, in una generosa e implacabile denunzia delle precipitazioni moderate e persino reazionarie della « :filosofia italiana per eccellenza, per trent'anni » 41 • È difficile non notarlo, per chi abbia qualche rispetto per i testi. Ed è anche piu difficile non convincersi - di fronte a prove cosl parlanti - della realtà profonda di una egemonia culturale che, operante al di là delle consapevolezze e delle etichette filosofiche, è penetrata nel senso comune, nella memoria spontanea e nella persuasione prefilosofica, di intere generazioni di intellettuali, perché originata e sostenuta dalla direzione stessa dei processi reali. Certo, negli anni che precedono immediatamente il crollo del fascismo, le vie del rilancio della funzione riparatrice e progettuale della cultura furono piu di una: ma convergevano tùtte, alla fine di un'esperienza politica e ideale che aveva reso come invisibile la dialettica delle forze reali, nella prospettiva di un metodo generale, di un'etica, di un apparato ideale, di una cifra di autonomia che identifica la vita con il pensiero, la società con l'esistenza e l'esistenza con le forme della coscienza. Questa convergenza era piu forte della distanza tra antico e modemo, meridionale ed europeo, tra le dichiarazioni di apertura alla scienza e la religione della libertà: per il semplice fatto che la varietà della geografia culturale si snodava sul fondamento di un comune riferimento di universalità, e si svolgeva a partire da un meccanismo ideologico di autoriproduzione dell'autonomia culturale. Era cosl la fenomenologia di un incontro, un terreno consanguineo di comunicazione. Di fronte alla crisi, « la filosofia, assunta quella come problematica assoluta, ridona certezza e fiducia nella vita. Umano equi41 Verità e unità nel pensiero contemporaneo, del '47, poi nell'Uomo copernicano, Milano, p. 166.
111
Egemonia e fascismo
librio » 42 • È per questo che la importante operazione tentata da Banfi e da « Studi filosofici », dal '40 al '43, cui scolasticamente usa attribuirsi il merito di aver introdotto e discusso la tematica dell'esistenzialismo e piu in generale del pensiero non-idealistico (Simmel, Bergson, Heidegger, Jaspers, Dilthey, Husserl, Santayana, ecc.), in realtà ha il ben piu significativo merito di aver proposto e teorizzato una critica della crisi come definizione positiva della :filosofia in quanto « purificazione teoretica» della realtà. Il merito, cioè, di una operazione che ha un senso preciso, non di neutrale aumento di conoscenze, nella storia degli intellettuali. La crisi è identificata con la « atmosfera critica della :filosofia», con la « realtà in cui operare ». E in questo rapporto metodologico, che « intravvede il senso della relatività di tutte le soluzioni, segue le linee ideali progressive di queste, annulla le pretese delle ideologie particolari » e, in questo è la « storicità del sapere filosofico ». Voglio dire che il connotato piu riconoscibile e unitario della operazione avviata da « Studi filosofici » (ricca di apporti diversi, di interessi e sviluppi diversi: Preti, Paci, Cantoni, Bertin, Anceschi, Papi, tra gli altri) è proprio in questo atteggiamento di comprensione, in cui l'eclettismo è autorizzato e insieme trasceso dal sostanziale storicismo del metodo (sistematica aperta e uso teleologico della tradizione) e dal presupposto aprioristico della totalità della ragione. Se l'esperienza (nozione fluida e puramente dialettica, mai precisata in processi, istituzioni, realtà sociale) « si integra e si ordina » nella ragione, questo è evidentemente un apriori che rende legittimo: a) che la « natura scientifica del sapere :filosofico ripugn(i) alla contaminazione tra ordine delle idee e valori e fini particolari »; b) che il compito degli intellettuali sia quello di contribuire all'opera di « restau42 A. Banfi, Paro/.e d'introduzfrme, in « Studi filosofici», I (1940), p. 25. e Ibidem, pp. 24-25.
112
L'alternativa culturale
razione e di universalizzazione del carattere strutturalmente scientifico della filosofia » 44 • Restaurare e universalizzare. A parte la specificità dei modi e delle originali proposte filosofiche di Banfi, cosf ricche poi di sviluppi e di contraddizioni dopo l'incontro col marxismo, queste funzioni della cultura (della filosofia, dell'arte, della coscienza che le produce) riemergono come costanti costitutive a monte di un atteggiamento in varia guisa diffuso e formalizzato nel ceto intellettuale italiano nel tempo della società di massa. Esso comporta che la vita intellettuale sia per sua natura altra cosa dall'esperienza, e sia per questo fattrice di « un ordine nuovo », « tra$gurazione razionale »: « piu che vita». Che sia trasformatrice dell'esperienza, intesa come separazione e sconnessione, negatività da trascendere: Gli aspetti e gli elementi della realtà che l'esperienza empirica separa e sconnette ed oppone, si risolvono, riconnettendosi in un ordine nuovo. L'aspirazione spirituale in cui l'anima si travaglia verso la sintesi di ciò che l'esperienza divide ed allontana, trova nella trasfigurazione razionale del mondo la forma della sua certezza ed attualità. Cosi la ragione appare come l'ordine di una piu univet'$8le e profonda esperienza, tanto piu universale e tanto piu profonda, quanto piu radicalmente gli aspetti e le forme empiriche si risolvono sotto la potenza dell'analisi razionale: essa è l'esperienza della vita, come della attiva partecipazione del tutto a tutto, ma della vita che è vera vita, in quanto è piu che vita ed è al proprio interno un inesausto trascendere se stessa 45 •
In realtà, il senso di questo episodio, di per sé non centrale, sta soprattutto nella sua organicità rispetto ali'atteggiamento di fondo che connota tutta la giovane cultura italiana nella fase finale del regime fascista. Il restauro dell'individuo· in quanto coscienza, una sensibilità etica ormai decisa ad un diretto rapporto di responsabilità ricompositiva con la vita, questo è il tono attivo che sembra sempre piu caratterizzare gran parte 44 45
Ibidem, p. 1. A. Banfi, Principi di una teoria della ragione, cit., p. XXII.
113
Egemonia e fascismo
del dibattito intellettuale dopo l'impresa etiopica: che, comportando in alcuni settori una riaccensione tutta prammatica e ultimativa dell'impegno degli intellettuali (della sospensione attivistica di ogni dubbio o dissenso), aveva anche attivato una piu netta opposizione tra cultura e azione, sino a costringere la mediazione bottaiana a formulare una distinzione paritetica tra cultura disinteressata e uso politico dei suoi prodotti, tra autonomia intellettuale e istituzioni organizzative della cultura, ambedue indispensabili in quanto tali (il compito degli istituti di cultura è quello di selezionare e rendere utili politicamente le idee prodotte autonomamente altrove) 46 • E tuttavia non tanto importa sottolineare questa sorta di sanzione ufficiale della separazione, una volta aspramente condannata, e pure ora da qualche parte osteggiata in nome dell'azione che tutto conquista e risolve, quanto le motivazioni oggettive della scelta tattica di Bottai, costretto a fare i conti con la realtà crescente dell'autonomismo intellettuale, e comunque a tentare di rendere possibile un terreno di alleanze o almeno di neutrale disponibilità. Nonostante le suggestioni operate su di lui da don De Luca, tra l'ortodossia fascista del cattolico « Frontespizio » e l'orizzonte distaccato della libera produzione di idee, Bottai sceglieva l'interlocutore piu forte e piu rappresentativo, la « cultura-laboratorio », riconoscendola come elemento di direzione e di necessario alimento della « cultura-azione »: come contenuto dell'uso politico, in realtà come oggetto che dà senso e necessità al funzionamento delle istituzioni. Si trattava evidentemente dell'estremo tentativo di recuperare, in nome del regime ma con la garanzia di una disinvolta distanza dai suoi controlli piu grossolani, una élite intellettuale disorganizzata e inquieta, misura vivente di un fallimento organizzativo e politico-culturale difficilmente risarcibile nell'imminenza della guerra ,fl. Una ope46 47
114
Cfr. Cultura in azione, in « Critica fascista,., 15 settembre 1936. Lo testimonia fra l'altro una importante lettera di Bottai a Mus-
L'alternativa culturale
razione di contenimento e di difesa, anche se probabilmente non immune dalla speranza di preparare lo spazio dirigente, la riqualificazione culturale, di un diverso futuro politico interno o no al fascismo 48 : in ogni caso la prima ed ultima proposta, in vent'anni, di organizzazione di gruppi intellettuali in quanto tali, fuori delle istituzioni, liberi da ogni impegno politico e da ogni direzione ideale, fruitori e insieme garanti di un pluralismo che sembra dunque essere paradossalmente (in realtà, necessariamente) l'unica condizione di convivenza tra cultura e regime, tra laboratorio e azione, elaborazione intellettuale e suo uso istituzionale e politico. In verità « Primato » visualizza fino all'epifania di uno schema irreversibile un rapporto che il processo totalitario dello Stato fascista ha alimentato e cristallizzato per un ventennio, cioè una condizione di separazione della cultura (e dunque, nello sviluppo della società di massa, una condizione di evidente sua improduttività, di sottosviluppo ideale), che alla fine, quando sarà necessario richiamare alla collaborazione politica, il regime (o Bottai) dovrà accettare e «recuperare» in quanto tale, in quanto autonomia ed effettiva separazione. Dovrà accettare di accogliere in uno spazio esternamente politico, con molte cautele, senza in alcun caso dirigere o conformare o utilizzare in senso attivo, una spontaneità culturale autogestita ed eclettica, tanto separata ed autonoma da acquistare il senso di una operazione di riqualificazione - dentro una rivista fascista - di gruppi intellettuali che si allontanano dal fascismo e si preparano alla democrazia. La riquasolini, che parla degli ultimi anni Trenta come di anni « di silenzio ostile della cultura», decisivi per la coscienza politica nazionale. « Sempre piu antirivoluzionaria, la classe intellettuale si ritrova sulle sue posizioni tradizionali» (lettera a Mussolini dell'agosto 1940, in G. Bottai, Vent'anni e un giorno, Milano, 1949, p. 164). 48 Sulle ragioni politico-culturali dell'ultimo Bottai, oltre i lavori monografici già ricordati, cfr. la premessa alla equilibrata antologia di L. Mangoni (« Primato », Bari, 1978), nonché, della stessa autrice, il volume L'interventismo della cultura, citato, in particolare le pp. 358-359. Cfr. anche il vivace articolo di L. Martinelli, Fascismo e cultura, in « Problemi », n. 53, 1978.
115
Egemonia e fascismo
lliìcazione fascista della cultura diventa il crogiuolo dell'eventuale riqualificazione antifascista della cultura. Certo è che l'eclettismo di « Primato » non è solo un modo diverso di nominare la complessità e l'articolazione del dibattito, o anche il carattere non pacifico e tutt'altro che semplificabile degli itinerari ideali vissuti dai molti collaboratori in quel momento di precipitazione delle solitudini e delle impotenze di un ventennio. Ma è per l'appunto il dato vistoso della natura in certo senso sperimentale, disorientata, di quella partecipazione: sospinta da un inatteso restauro anche ufficiale del ruolo, dal disagio di una autogestione protetta, e anche dalla solennità che il restauro e la protezione comportavano. L'eclettismo è il portato di un rilancio fiduciario dell'autonomia della cultura, dell'appello al «laboratorio» 4'J cioè di un modulo di unificazione già assicurato in partenza, generico e scontato: ed è reso possibile perciò dalla mancanza di un contenuto unificante, di una idea fondamentale, e di un vero orizzonte politico dell'operazione. Il fascismo non poteva dargliela, tanto piu allora. Né, d'altra parte, questi intellettuali potevano ricavare dalla loro formazione culturale una alternativa visibile alla crisi avanzata del regime. Potevano bensf solamente rimuovere la condizione esplicita di compromesso cui l'appello di Bottai li chiamava, attraverso la compromissoria distinzione che un mutato rapporto di forza consentiva ora loro di imporre come condizione di collaborazione: cioè attraverso la distinzione tra cultura e politica, attraverso quella ideologia della specializzazione che libera il chierico dalle responsabilità di parte e ne garantisce la funzione universale di difesa della civiltà da piu parti minacciata 50 • · ..., « Come i littoriali, anche «Primato• veniva cosf a proporsi come un luogo privilegiato in cui gli intellettuali potessero « conoscersi tra di loro i., e quindi necessariamente, una volta costituitisi come categoria, misurare appunto in sé stessi il « coraggio della concordia • (L. Mangoni, Premessa a «Primato•, cit., p. 9). . 50 « La questione sta nel richiamo di Bottai all'autonomia dc1la atltura e dell'arte, allo spirito dello « iuxta propria principia•• alla repubblica delle lettere, nell'ambito della quale il « coraggio della
116
L'alternativa culturale
La riconquista dello spazio intellettuale, in definitiva, sembrava risarcire il compromesso politico, e in ogni caso poté alimentare una ambiguità, rinviare una scelta, o anche prolungare una crisi e intanto concederle forme metaforiche di espressione: lungo una esperienza durata sin dentro il '43. Non si tratta di giudicare, o di stupirsi del fatto che fu necessaria la visibilità traumatica delle masse a trascinare poi le coscienze verso rimpegno politico e civile del dopoguerra. Né si tratta di immaginare infiltrazioni tattiche di intellettuali antifascisti nell'impresa fascista di «Primato», o anche di extrapolare temi e motivi « moderni » e « progressisti » in alcuni contributi, dimenticando i contesti entro i quali compaiono 51 • Non si tratta di tutto questo. Credo che il problema riguardi piuttosto una ambiguità tutta intrinseca alla storia sociale e politica del ceto intellettuale durante il ventennio, alla stessa qualità dell' « impegno » che aveva caratterizzato il movimento vociano e poi quello alle origini del fascismo, e che il regime aveva frustrato e condannato al riflusso e alla separazione: cioè un'ambiguità relativa alla cultura maturata nel Novecento, ai modi e alle forme in cui gli intellettuali avevano tradotto o sublimato il protagonismo difensivo e aggressivo dei ceti piccolo-borghesi insejt'y:. ~; è{.'.1;:j concordia» era possibile. La «cultura-laboratorio» era anche « culturaprivilegio »; non fu questa una delle ultime ragioni delle adesioni a «Primato» (ibidem, p. 13). 51 Gli interessanti spunti antistoricistici di alcuni interventi di della Volpe, che oppone le nozioni di «tecnica» e di «lavoro» all'umanitarismo e all'illuminismo della cultura occidentale ( « plutodemocratica » ), o anche piu specificamente al nostro idealismo e al comportamento dei chierici, sono spunti che tuttavia non è corretto isolare dal loro contesto ideologico: dove in quel momento l'alternativa alla corrotta democrazia occidentale è esplicitamente la Germania di Hitler. « Non a caso Nietzsche è ritornato, in trionfo, nella Germania hitleriana, mentre nella Germania guglielmina e democraticheggiante corifei spirituali furono i Weber e i Troeltsch e gli altri, che erano tutti dei cristiani «ragionevoli» (antologia di «Primato», cit., p. 221). Occorre certo dire che questo non impediva al filosofo di cogliere alcuni caratteri profondi della intellettualità italiana, e di denunziare ad esempio la portata complessiva e allarmante della egemonia crociana dentro l'organizzazione e le forme di funzionamento dell'Università italiana (n. 9, 1 maggio 1941).
117
Egemonia e fascismo
guiti dallo sviluppo di massa. Il problema riguarda la storia reale e comune degli intellettuali, nella quale la varietà degli atteggiamenti e delle risposte, degli orientamenti culturali, appare durante il ventennio straordinariamente unitaria nelle radici ideologiche e nella costanza dei valori fondamentali Sono questi valori a orientare le speranze nel fascismo, la delusione del fascismo, e poi la ricerca di nuovi mandati e di nuove identità: nuove identificazioni dello spazio protagonistico di valori sempre ideali. Non c'è dubbio che l'incontro in « Primato » rappresenti nei fatti l'occasione entro cui si maturava la presa di coscienza di una rottura ormai definitiva con la realtà istituzionale del regime, e in qualche modo la disponibilità a un rapporto diverso con la società, la prefigurazione di un contenuto nuovo della ricerca e della elaborazione. Ma non c'è dubbio ancor. piu che tale maturazione recava in sé, con la forza delle circostanze oggettive, anche l'ambiguità inerente alla sua condizione ideologica originaria tutt'altro che trasformata nella separazione del ventennio, inerente alla specificità del suo essere un processo culturale, cioè una crisi storica e politica dentro una mediazione intellettuale ininterrotta. Il che significa di fatto che, lungi dal disporsi come bilancio, o analisi, o interrogazione ravvicinata, dei problemi profondi di un momento drammatico della società italiana e della cultura in essa, quell'incontro dové risolversi in una rinnovata proposizione della funzione salvifica della cultura nei confronti della civiltà occidentale, in una articolata difesa dei suoi valori fondamentali. Non è un caso che il dibattito ideologico si facesse piu vivace e impegnatq nelle inchieste su grandi spaccati culturali (il romanticismo, l'esistenzialismo, anche l'ermetismo: se pure, per quest'ultimo, con una piu evidente preoccupazione di confronto ravvicinato e di politica culturale) 52 : dove piu evidente è la proiezione universali52 « Abbiamo sempre intuito come la nostra sia anche funzione di chiarimento, una funzione, per cosf dire, d'inventario ... C.OSicché
118
L'alternativa culturale
stica del conflitto tra modelli culturali (tra romanticismo e nuova razionalità) e insieme la tendenza razionalizzatrice di un nuovo umanesimo nei confronti della crisi e delle sue ideologie (l'esistenzialismo: si vedano soprattutto gli interventi, diversamente motivati, di Banfi e della Volpe, a partire dal gennaio '43). Rispetto all'attenzione da Bottai sollecitata ai fatti istituzionali e produttivi del presente culturale (inchiesta sull'Università; interesse per i gruppi editoriali, soprattutto Einaudi e Bompiani; e per centri e istituti culturali), pragmaticamente rilanciati - per la suggestione di De Luca - come elementi concreti di una possibile strategia delle alleanze e di riorganizzazione « post-fascista » delle funzioni intellettuali, l'attenzione spontanea dei collaboratori di «Primato» era invece rivolta alla ricerca-proposizione di una terza via culturale, metaforicamente polemica verso la « cultura fascista» e insieme distante dalla vecchia cultura liberale, in ogni caso in grado di sostituirla nel ruolo di direzione ideale della società. E analogamente, rispetto alla realtà della guerra, alle forze in campo, alla logica dei fatti e ai meccanismi del tragico conflitto dei poteri e degli interessi, il dibattito riusciva a realizzare una sorta di sistematica trasfigurazione (doveri degli intellettuali, ritorno all'Europa, difesa dei piccoli Stati contro l'imperialismo delle grandi democrazie; e poi invece, dopo l'invasione nazista della Russia, difesa della tradizione europea), un'idea scorporata della crisi e delle sorti del mondo occidentale 53 • anche alle tendenze meno popolari e piu spinosamente sospette a quel lettore comune al quale è nostro desiderio arrivare, abbiamo rivolto un'attenzione solidale e insieme obiettiva... L'avere promosso questa collaborazione implica altres{ un atto di rispetto ~ la buona fede che negli «ermetici• migliori deve indubbiamente esistere; verso la serietà del loro lavoro; insomma verso il loro amore per l'arte letteraria, il quale in sostanza è il motivo unico ma piu che sufficiente della nostra solidarietà con loro• (1 giugno 1940). 53 Il motivo della guerra come tramonto della civiltà europea, comune alla gran parte della cultura del tempo, in « Primato • sembra esaltare la funzione degli intellettuali, mentre per gli ermetici esplicitamente si risolve in affermazioni di disimpegno e di estrema coscienza della dissoluzione. Le interpretava chiaramente C. Malaparte,
119
Egemonia e fascismo
Una passione autentica per la cultura funzionava anche questa volta nella direzione di una rimozione idealistica delle condizioni reali. Si trattava, in effetti, di una singolare ripresa-rivalsa del primato della cultura, di un rilancio singolarmente esplicito e già quasi fiducioso dell'umanesimo, proprio di un ceto « tradito » (lo diceva Bottai), tradito dal fascismo e di fatto trascinato, per la storica omogeneità delle sue forme di coscienza, nell'orizzonte di quella libertà ideale che nel tempo del fascismo preparava e organizzava il primato della coscienza contro i rischi presenti e futuri della massificazione. Non c'è davvero bisogno di sottolineare ulteriormente il recupero di Croce nel secondo tempo della rivista 54 per valutare la piu originaria modalità « idealistica» dell'esperienza complessiva di « Primato», la indubbia omogeneità di fondo che consente una partecipazione cosi numerosa di intellettuali anche diversi, e che piu tardi consentirà una assunzione di impegno cosi esaltante e cosf acriticamente comune. A parte gli opportunismi individuali e le singole tattiche della sopravvivenza morale, anche le piu convinte tesi sulla immunità, sulla non-compromissione e non-responsabilità della cultura, sono dirette proiezioni della ideologia della sua autonomia, della sua estraneità naturale alla conflittualità pratica delle parti, della sua innocenza di valore. È una tesi spontanea, in tanto capace di unificare tendenzialmente una intera cultura, sf da disporla vergine al rapporto con una nuova committenza ideale, in quanto intrinseca a uno statuto culturale che sf è riprodotto come soggetto permanente di giudizio e di storia, come eticità che di volta in volta accetta o sollecita contenuti politici, forma della responsabilità universale, immune da responsabilità storiche. Il rilancio dell'umanesimo, entro il quale in «Primato» in un intervento in «Prospettive• (Cadaveri squisiti, del 15.7.1940). 54 Sul riferimento a Croce, interlocutore diretto e indiretto di «Primato•, cfr. Mangoni, Premessa· alla antologia di «Primato>, cit., pp. 30-31. Cfr. anche le osservazioni di L. Polato nella introduzione alla antologia Prospettive-Primato, Treviso, 1978.
120
L'alternativa culturale
si incontrano linee e orientamenti diversi del pensiero contemporaneo, è di fatto l'orizzonte ideologico che unifica profondamente questo processo di autoriqualificazione della giovane cultura italiana, questa improvvisamente possibile milizia della cultura in nome della cultura. Questi intellettuali accorsero a collaborare ad un programma che li vedeva protagonisti, mentre si annunziava la dispersione di una società organizzata, rispetto alla quale sembrava rinascere uno spazio non piu represso dalla politica: perciò nel loro discorso la politica, le sue nozioni persino, impallidiscono, si allontanano, di fronte a una problematica direttamente culturale. Il rapporto cercato, e possibile, l'interlocutore reale, non sono piu lo Stato, le istituzioni, l'economia, i processi della società, ma la vita, la crisi spirituale, la civiltà europea, la guerra « difficile». Il linguaggio della discussione si fa sempre piu espressione della società civile, torna all'umanità, al tono universalistico di una condizione morale. Il suo significato storico va cercato in questa sua qualità: nel suo essere il linguaggio delle idee che si riconoscono, del primato della cultura che tende a rinnovare i suoi contenuti. La missione affidata agli intellettuali dall'appello originario di « Primato » 55 diventava cosf definitivamente, in coerenza con la qualità dei suoi protagonisti, con la natura storica del loro protagonismo, la riaffermazione di un valore ormai autonomo dalle necessità contingenti (la guerra, il fascismo), anzi da difendersi dalle loro compromissioni e da salvare rispetto alle loro responsabilità. Il « coraggio della concordia », lungi dall'avviare quel recupero delle forze intellettuali separate alla collaborazione politica, si risolveva nel ritrovamento di una autonomia positiva, di una unità separata dalla rovina del regime, pronta ora a misurare esplicitamente il proprio distacco, 55 ~ Rendere concreto ed efficace il rapporto tra cultura e politica, tra arte e vita, operare l'unione fra alta cultura e letteratura militante, fra universalità e giornale, fra gabinetto scientifico e scuola d'arte, lavorando nel nome e nell'interesse della patria,. (Bottai, Il coraggio della concordia, in «Primato>, 1 marzo 1940, n. 1).
121
Egemonia e fascismo
a inaugurare la propria difesa attraverso un processo al « sistema» responsabile della lunga separazione. Non è
senza significato che sia proprio Bottai a registrare gli umori di questa difesa della cultura, centrando il problema delle difficoltà del rapporto tra intellettuali e regime sul piano delle forme politico-sociali piu che su quello dei contenuti ideali: « Il vizio è altrove ... è in un sistema... Il problema è quello piu radicale del rapporto tra intellettuali e un regime totalitario ... E certo che andare incontro veramente e storicamente agli intellettuali vuol dire accettare anche, in un modo o nell'altro, alcune delle esigenze aprioristicamente intrinseche alla loro attività e alla loro classe » 56• Il regime, come afferma sintomaticamente Bottai, non aveva soddisfatto le esigenze « aprioristicamente intrinseche» alla classe intellettuale: né le aveva trasformate, evidentemente, in una reale organizzazione di ruoli e di funzioni nuove. La dolorosa ammissione del gerarca piu consapevole e lucido del regime mi pare fornisca con estrema chiarezza almeno due dati non sorvolabili: a) la subalternità della stessa concezione fascista della cultura a un'idea tutta tradizionale di « intellettuali », e cioè alla vecchia cultura della « classe dei colti »; b) l'intrinseco fallimento della politica culturale del regime, della organizzazione degli intellettuali, del loro ruolo politico nello sviluppo della società di massa, della loro iscrizione non formale dentro la vita e gli apparati dello Stato. Tra i due dati c'è peraltro un rapporto profondo, che conferma l'impossibilità del fascismo di trasformare una realtà cui.:. turale, alla quale invece, ideologicamente parlando, era tutto interno: l'impossibilità, in definitiva, di dirigere e di suscitare un consenso, di svilupparne la mediazione attiva, o almeno di « rompere » le forme di coscienza degli intellettuali e di organizzare istituzioni capaci di modificarne la riproduzione. Lo scollamento tra essi e la realtà del regime, da tutti ammesso almeno a partire dal '34, non 56
122
Gli intellettuali e la gue"a, in «Primato• del 152.1943.
L'alternativa culturale
sembra davvero aver l'aria di una improvvisa perdita di identità, o della scoperta di un nuovo riferimento culturale e politico. Era piuttosto la crisi del rapporto tra una domanda sociale specifica (esigenze aprioristicamente intrinseche), inerente allo sviluppo di massa ma in contraddizione con le sue forme di organizzazione, e la genericità appunto di una risposta politica nata per disidentificare e reprimere le specificità dello sviluppo sociale entro una organizzazione totalitaria e formale. Era una crisi di rigetto della indistinzione e della quantità, priva di un interlocutore positivo, e perciò tendenzialmente rivolta al recupero della distinzione e della qualità. Il che rende, mi pare, veramente improprio discutere ancora se la cultura italiana sia stata fascista o incontaminata, o scissa tra gli accademici e gli organizzatori (ahimè, inespressi~ indocumentabili, e perciò tout-court iscrivibili, dagli storiografi degli apparati che di per sé trasformano, tra i trasformati dalla macchina-Stato). In realtà, tutt'altro che estranea al fascismo perché terreno sociale di originaria alimentazione delle ideologie attraverso cui il fascismo rappresentò movimenti e contraddizioni della società italiana, la cultura italiana (gli intellettuali, il loro modo di produrre e riprodurre forme di coscienza, e cioè di esprimere e ricomporre istanze di strati profondi della società) visse poi negli anni maturi del regime il suo momento di massima separazione dalla politica e dallo Stato, di massima frustrazione del suo protagonismo politico e sociale: perciò di regressione coatta all'universo ideologico tradizionale, etico-coscienziale e universal-specialistico. Il fascismo, d'altronde, era soggetto del potere proprio in quanto strumento della non-trasformazione, com'è noto a tutti. Perciò non poteva che costruire una forma dello Stato opposta alla forma politica dello sviluppo sociale, e anche diversa da quella che la « terza via » del corporativismo idealistico-giovanile aveva modellato nella sua utopia promozionale, cioè lo. Stato «immune» da interessi di classe e dunque espressione della classe-non classe 123
Egemonia e fascismo
(piccola borghesia) e diretto dal ceto generale e ideale (gli intellettuali). Diversa da quella che, sull'onda del generico movimentismo delle origini, era stata la prospettiva utopica nella quale si erano unificate le forze intellettuali piu organiche, nel lungo dibattito sulla crisi mondiale e sullo Stato corporativo: intorno ai motivi sintomatici e promozionali della qualità contro la quantità (GentileBottai, preceduti da Croce, com'è noto), del potere ai competenti, del riformismo e della tecnocrazia. La politica culturale del regime negli anni trenta, coerente alle forze reali di cui era funzione, era rivolta precisamente alla riduzione di simili spazi, al contenimento di queste attese entro un campo puramente ideologico. Si proiettava bensf in uno sforzo crescente di organizzazione, tutto quantitativo e dequalificante, in una struttura di impedimento capillare di ogni funzione intermedia di elaborazione e di iniziativa: da un lato formalizzando- la settorializzazione dei mestieri, dei sindacati governati dall'alto, l'irrigidimento delle spinte economico-corporative proprio dentro lo spazio tradizionale della mediazione, il ruolo passivo e burocratico delle istituzioni; dall'altro tentando di unificare 1~ diversità al livello della conformizzazione generale, attraverso i mass-media programmati dalle veline del Minculpop, e identificandosi operativamente in una centrale di propaganda e di « bonifica della cultura». Si può dire d'altronde che, proprio per quanto riguarda i settori piu « avanzati » della intellettualità degli anni Trenta~, la loro graduale dissociazione dal fascismo sia stata promossa da una evidente carenza di politica culturale, da una incapacità sostanziale di direzione e di identificazione ideologica e operativa. Si pensi alla evoluzione della riflessione di alcuni intellettuali (Edoardo n Per i settori piu «arretrati• il discorso sarebbe ovviamente piu facile, e incontrerebbe terreru. cli piu immediata continuità tra cultura tradizionale e fascismo. Un esempio tra i possibili nella funzione delle ideologie classicistico;'imperialistidie. Cfr. il volumetto, assai fine, cli M. Cagnetta, Antichisti e impero fascista, Bari, 1979. Di L. Canfora dr. ora gli interessanti contributi su cultura classica e fascismo nel volume Ideologie del classicismo, Torino, 1980.
e
124
L'alternativa culturale·
P~sico in primo luogo) intorno al programma « fascistarivoluzionario » del razionalismo architettonico, alla conversione italiana della poetica di Gropius e del Bauhaus proposta da «Quadrante» e da « Casa bella», alla « misura umana » teorizzata da queste esperienze contro il monumentalismo retorico e celebrativo di Piacentini 58 • Si trattava di portare l'architettura fascista a livello dell'arte moderna, e insieme di renderla «funzionale» allo sviluppo sociale di cui il fascismo doveva essere la direzione rivoluzionaria. Ma la risposta politico-culturale del regime fu quella di una conciliazione tutta esterna ed eclettica,. « organizzativa » nel senso della corruzione di gruppi di architetti, della manipolazione delle commesse e dei progetti, nonché dell'appoggio alla mediazione di Piacentini,. al suo trasformismo disprezzato dai giovani. Non è certo un caso che, a partire dalla metà degli anni Trenta, dopo la prima esperienza di architettura razionalista (la casa del Fascio di Como, Sabaudia, la stazione di Firenze), lo slancio espansivo di questa importante avanguardia si vada ritraendo in una riflessione teorica piu concentrata e sospesa, sempre piu distante dall'impegno politico, e sempre piu idealisticamente rivolta (Persico, Giolli, ma anche Rogers ed altri architetti) alla definizione dei valori architettonici in quanto arte 5'>. E si pensi anche, in un settore piu immediatamente relativo all'organizzazione del consenso, e dunque piu disponibile alla specificità della politica culturale del regime, alla singolare latitanza del fascismo nel controllo dell'attività e dell'industria cinematografica, alla ben nota mancanza di chiarezza nel concepire e portare avanti una politica cinematografica e nello 58 Clr. almeno il vol. di C. De Seta, La cultura architettonica inItalia tra le due gue"e, Il, Bari, 1978; e quello di L. Patetta, L'architettura in Italia, 1919-1943. Le polemiche, Milano, 1972. 5'> Interessanti, in tal senso, alcuni spunti presenti negli interventi di « Corrente », cit. Significative anche, su un piano piu generico e umanistico, la confusione fra tradizione e avanguardia, la conciliazione tra classicismo e razionalismo, in un intervento di E. Vittorini ( « Il Bargello », 1933, n. 12): in cui la stazione di Firenze (di Michclucci) è proposta come modello di restauro della classicità.
125
Egemonia e fascismo
stesso· intendere le enormi possibilità del cinema come mass-medium&_ Lungi dal diventare strumento politico dello Stato organizzatore, la produzione filmica degli anni Trenta (a parte il monopolio dei documentari LUCE, rozzamente propagandistici) fu favorita nella direzione dell'evasione spoliticizzante, del cinema dei « telefoni bianchi» 61 : cui segul, con la guerra, la tardiva scoperta dell'occasione mancata, e un ormai inutile e inefficace tentativo di recupero. E non è certo un caso, anche qui, che, nella generale carenza di una produzione di qualche livello (a parte pochissime eccezioni), la pur animata discussione culturale e teorica (dal '36 esce «Cinema», di V. Mussolini, nel '37 « Bianco e nero» di L. Chiarini) tendesse ad investire una problematica - industria o arte? - alquanto lontana dalle dimensioni politiche della questione, e che le elaborazioni pur piu consapevoli (Barbaro, Chiarini) fossero rivolte a riproporre il problema della essenza della nuova arte, e cioè a sistemare la specificità del cinema entro i termini di una generale classificazione dei valori. In definitiva, dove comunque poteva realizzarsi, lo sforzo politico-culturale del regime era uno sforzo destinato a lasciare pressocché intatti i contenuti reali dello sviluppo del lavoro e della formazione intellettuale: e cioè, soprattutto per quanto riguarda le istituzioni della cultura, di un esempio veramente singolare di organizzazione conservativa, di trasmissione e anche socializzazione indolore di un patrimonio attivo di idee e di comportamenti produttivi e sociali 62 • Ed è del tutto evidente come «J Cfr. C. Bordoni, Cultura e propaganda nell'Italia fascista, Messina, 1974. Per una ricostruzione piu specifica e sistematica, cfr. M. Gromo, Cinema italiano (1903-1953), Verona, 1954; e C. Lizzani, Storia del cinema italiano, Firenze, 1%1. 61 « Se mai un governo ebbe bisogno cli film cli evasione, questo fu appunto il governo fascista. Fu quindi escogitata una legge che concedeva premi alla produzione cinematografica proporzionalmente agli incassi» (U. Barbaro, in « Filmcritica », 1950, I, p. 11). Su questi autori, cfr. T. Tinazzi, Il cinema italiano dal fascismo all'antifascismo, Padova, 1966. 62 Questa funzione conservativa del regime è ormai documentata
126
L'alternativa culturale
questa singolarità risulti importante e significativa, ben piu che negli istituti predisposti alla produzione di idee e alla aggregazione dei grandi intellettuali (l'Enciclopedia, l'Accademia: dove la cui tura liberale visse il suo facile e vincente compromesso con le ambizioni del regime, e perciò dove le forme ufficiali di organizzazione si presentavano dichiaratamente giustapposte ai contenuti ideali), soprattutto per quel che riguarda gli apparati della riproduzione, la scuola e l'Università, dove la condizione del conservare e quella del trasformare implicano proporzioni e processi di lunga gittata, incidono sulla dinamica delle forme di coscienza di intere generazioni, e realizzano effetti di enorme portata sociale. Non è senza ragione, evidentemente, l'assoluto silenzio che a questo argomento riservano le sintesi ideologiche dei teorici dello sviluppo e dell'organizzazione fascista degli intellettuali, cioè quelle interpretazioni che, concedendo che l'alta cultura sia stata neutrale e separata (perciò non analizzandola), sostengono che il regime riusciva ad organizzare ben altro, e a spostare ben altro verso la politica, a organizzare e politicizzare gli intellettuali in quanto nuove figure e nuove funzioni tendenzialmente di massa. In realtà il silenzio sulla scuola, sulla formazione reale di masse crescenti anche per quel che riguarda istituzioni piu direttamente inerenti al potere e all'amministrazione dello Stato, nelle quali l'etichetta fascista copriva forme preesistenti, e perciò, lungi dal trasformare i ruoli o le coscienze, lasciava tutto al suo posto: non solo nella soggettività di questo funzionariato intellettuale, ma anche proprio negli ordinamenti e nel funzionamento istituzionale. Ottime ricerche recenti lo mostrano in un arco ormai vasto di settori: dalla sopravvivenza indisturbata della burocrazia tradizionale ai livelli piu alti dell'apparato di Stato (persino nel ministero delle Corporazioni!) alla dominanza .della scienza giuridica prefascista e della relativa amministrazione della giustizia: tutto fascistizzato nel senso di trasferito di peso nelle istituzioni del regime. Oltre che il voi. cit. di Aquarone (passim), dr. le ricerche di S. Cassese (Le istituzioni del fascismo, in « Quaderni storici•, 1%9, n. 12), di G. Neppi Modona (La magistratura e il fascismo, nel voi. Fascismo e società italiana, a cura cli G. Quazza, Torino, 1973), di G. Amato (Individuo e autorità nella disciplina della libertà persnale, Milano, 1967), di N. Tranfaglia (Dallo Stato liberale al regime fascista, Milano, 1976, passim).
127
Egemonia e fascismo