Egemonia e Fascismo. Il problema degli intellettuali negli anni Trenta

137 99 7MB

Italian Pages 197 Year 1981

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Egemonia e Fascismo. Il problema degli intellettuali negli anni Trenta

Citation preview

SAGGI 203.

1

ARCANGELJ-;:;ONE DE CAS~ :L

.

Egemonia e fascismo Il problema degli intellettuali negli anni Trenta

IL MULINO

X:·~tL~

3 q 67 M~. l:\j

C.opyright 0 1981 by Società editrice il Mulino, Bologna

Introduzione

Concluso nel '79, questo lavoro credo abbia bisogno, già dopo quasi due anni, di una breve presentazione « storica »: non tanto in riferimento ai pochissimi contributi di cui non ha potuto tener conto, quanto rispetto ad alcune circostanze oggettive di ordine generale. Tra queste, forse la piu incidente è da cercarsi nella complessità dei processi entro i quali sembra improvvisamente essersi reso meno operoso e credibile il « primato della politica»: o almeno una sua interpretazione generosa e rischiosa, che comportava - nei dibattiti degli anni Settanta una forte accentuazione del problema dello Stato, della funzione in sé positiva dell'organizzazione, e per questo di fatto un rilancio degli intellettuali in quanto soggetti politici nelle istituzioni. Si trattava di una proposta teorica, e di una metodologia politica, secondo me indubbiamente capace di ravvivare l'orizzonte del marxismo italiano e delle sue espressioni politiche. Ma era anche profondamente « continua » rispetto ai connotati centrali della loro elaborazione tradizionale: cioè rispetto alle vicende di una concezione e di una pratica della direzione ideale del movimento, secondo le quali, nella realtà dei processi di trasformazione, il momento decisivo è fondamentalmente di pertinenza delle forme formate della politica, dei rapporti di forza a livello istituzionale. Come tutti sappiamo, proprio l'interpretazione del fascismo ha rappresentato il campo problematico nel quale questa concezione si è tradotta in una immediata proiezione storiografica. La nozione di « regime reazionario di massa » è stata al centro di una riflessione non sempre esplicita, piuttosto polverizzata e talvolta indiretta, ri5

Egemonia e fascismo

spetto alla vastità del campo di analisi offerto dagli anni Trenta: comunque di una riflessione in cui si è talora finito con l'assumere come scontata e preliminare una signific~one formalmente positiva (modernità, rottura) di una struttura (regime di massa) che invece doveva essere l'oggetto impregiudicato della conoscenza storica; e si è dunque finito con l'assumere come accidente, su cui convogliare il giudizio negativo, quell'aggettivo (reazionario) che invece - nella indicazione togliattiana e nella realtà storica - sollecita una analisi tutt'altro che formale o distintiva della società italiana, nei rapporti reali del suo sviluppo di massa con le forme della sua gestione politica. Voglio dire che l'accentuazione ideologica della « funzionalità» dei modelli di organizzazione fascista della società ha comportato una evidente elusione conoscitiva dei contrasti sociali, delle contraddizioni e dei bisogni, delle loro espressioni e delle loro introversioni complesse: cosi come invece, a questo riguardo, talune indagini non pregiudicate e concrete sulla realtà istituzionale del regime hanno fruttato conoscenze rilevanti rispetto a una vicenda storica non riducibile agli schemi di una continuità del prima o del dopo. Questa volta, la « storia politica~ ha trascurato e deformato, molto piu di altre storiografie, la lezione politica della storia. Per quanto sembri paradossale, quella accentuazione inverifìcata non ha rovesciato criticamente, ma di fatto ha contribuito a riprodurre, l'ideologia della « autonomia del fascismo~ che certa tradizione storicistico-liberale aveva accreditato nella cultura italiana: «originalità» e « rottura » non sono termini semanticamente eterogenei rispetto a «parentesi» e «malattia». Ambedue le serie definiscono nel fascismo una forma che non ha rapporti spiegabili e ricostruibili con la storia reale della società italiana. Privilegiano l'autonomia (tecnicamente avanzata, o moralmente patologica e tuttavia a lungo vincente) di un ceto politico dirigente e organizzatore. Credo che in entrambi i casi, e nel loro legame profondo, si riproduca in tempi e modi social6

Introduzione

mente diversi una visione giacobina del potere e della storia tout-court. Ora l'ipotesi che questo mio studio cerca di verificare, e cioè che le interpretazioni « positive » del fascismo proposte all 'intemo della cultura marxista negli anni Settanta (primato dell'organizzazione e interventismo dello Stato) si costruiscono sulla condizione di una notevole carenza di analisi, e in particolare su di una valutazione abbastanza tradizionale della funzione degli intellettuali (funzionari dello Stato hegeliano e organizzatori prammatici del consenso), questa mia ipotesi, a parte la eventuale quantità di restauro storico che consenta di avviare, può rischiare oggi comunque di apparire intempestiva almeno per quanto riguarda quegli elementi polemici della sua genesi. Non è venuto meno, di certo, il bisogno profondo di una analisi delle funzioni reali della cultura italiana - a vari livelli - nei processi di formazione e di stabilizzazione e di crisi delle strutture politiche del fascismo: cioè il bisogno di una storia degli intellettuali italiani, e dei loro rapporti con il potere e con l'egemonia, dentro l'orizzonte composito e travagliato della cultura europea tra le due guerre. Ma l'interlocutore ideologico e anche politico del mio modo di esercitare questo bisogno di conoscenza, e cioè il giacobinismo dello Stato organizzatore, sembra non sostenersi piu (non trovare sostegni) in questi anni recentissimi: e d'altra parte la scomparsa dei suoi rischi di totalità e di organicismo sembra rivelare nelle cose una perdita di iniziativa e di identificazione teorica della formazione del presente. Non è possibile qui, com'è ovvio, una evocazione meno veloce dei grandi soggetti collettivi entro i quali queste crisi ideologiche si sono sviluppate, e che sono stati essi stessi i portatori di senso e insieme i segni piu drammatici della crisi generale della società. Parlo di soggetti sociali e di soggetti politici, dentro e rispetto ai quali gli intellettuali «pensanti» hanno pure radici profonde e altrettanto profonde istanze di autonomia. Quello che è certo è che sul declino del « primato della politica» 7

Egemonia e fascismo

(dico delle sue implicazioni teorico-ideologiche) si è sempre piu andata innestando l'idea di un protagonismo dei poteri dei saperi, della pluralità (sociale) degli specialismi e dello specialismo (politico) dei poteri di decisione. Quello che a me sembra certo, e non è stato notato, è che questo innesto è avvenuto secondo i modi di una dialettica indolore, di una interdipendenza necessaria, e, di fatto, di una « consegna » di iniziativa culturale: dove il livello di necessità che lo rende indolore è stato il « rispecchiamento» immediato dell'esistente, la « oggettività » della crisi. La risposta politica della cultura alla emergenza di una crisi complessa e « mondiale» è stata prevalentemente negli ultimissimi anni, nel settore di cui parlo, una cultura della crisi. Lo è tuttora, in modi articolati che vanno tutti specificati: ma certo quasi sempre attraverso un recupero di forme e momenti della grande cultura della crisi europea sviluppata dentro e attorno ai fascismi storici negli anni Venti e Trenta, e cioè attraverso quella riattivazione della spinta cosmopolitica degli intellettuali, che Gramsci aveva indicato come ricorrente in tutti i momenti di crisi della forma-Stato dalle Signorie ai giorni suoi. Dunque un discorso storico «tempestivo» sarebbe oggi, piu che il tentativo di una interpretazione impregiudicata della dialettica culturale dentro il ventennio, la ricerca diretta di quel variegato appello alla autonomia del sociale che fu, nel ventennio europeo, la cultura della crisi? E sarebbe questo il terreno storico-culturale rispetto al quale piu facilmente incontrare l'interlocutore di oggi, il pensiero neonegativo settentrionale, la critica del panstatalismo storicistico, la positivizzazione della crisi come liberazione dei saperi ribelli a qualsiasi egemonia nell'avanzata società di massa? Ebbene, se si trattasse di questo, anche nella formazione di questo gioca un ruolo fondamentale il rapporto storico tra cultura e fascismo: non solo, com'è ovvio, riguardo alle premesse « liberali » e poi alle precipitazioni organicamente totalitarie delle varie culture « di Weimar », ma soprattutto rispetto alle 8

I nfrod u:.ione

filosofie non-critiche di oggi, alle eredità scientifiche della volontà di potenza-per-divisione, cioè rispetto al modo di proporsi-promuoversi che gruppi di intellettuali realizzano e teorizzano nello sviluppo del movimento e nella sua crisi. La crisi della ragione è reale, e significa crisi della società, dello Stato, delle forme politiche del movimento. Non c'è dubbio. Ma nel descriverla come se fosse la fine di una illusione collettiva di trasformazione, si parla in realtà di una ragione vecchia e indifferenziata, forse degna di nostalgia, comunque vinta da una strana e non-identificata libertà di microragioni da promuovere al rango del potere. Cioè si parla ancora di filosofia, non ancora della ricerca e della costruzione collettiva di una ragione-liberazione. La filosofia si fa ancora politica, ma azzerando i soggetti reali della politica, riducendoli a pochi individui dotati di negazione-programmazione. Questo studio ha creduto di ricostruire negli anni Trenta, all'interno della prigione statuale-organizzativa, il funzionamento di alcune forme di questo stato d'animo «filosofico», nel momento di uno sviluppo tendenzialmente di massa del lavoro intellettuale e di una singolare carenza di direzione politico-ideale del lavoro intellettuale. Non si tratta, oggi, di continuità ideologiche, bensf di non profondamente trasformate condizioni reali. Sono soggetti sociali a trattare le forme che le istituzioni conservano e mettono in crisi: le forme della ricerca di identità, della difesa del ruolo, della tentata organicità al movimento di massa, della separazione dal terrore dello sviluppo di massa. Conoscerle non è giudicarle: è trovarle in noi predisposte, scoprirne il funzionamento, tentarne collettivamente il superamento. Sono le forme della storia ideologica degli intellettuali, e agiscono finché agiscono nella storia reale degli intellettuali.

9

CAPITOLO PRIMO

Tra coscienza e organizzazione

Le indagini «orizzontali» e minute sulla organizzazione culturale fascista, cioè sulle forme di quotidiana trasmissione delle idee e dei miti del regime, sulla gestione e sull'orientamento del senso comune nel ventennio, possono rappresentare indubbiamente un contributo importante alla conoscenza sempre piu fondata del regime reazionario di massa e della realtà molecolare della società italiana 1• Nel loro muovere da una accezione piu larga, socialmente piu rappresentativa, della nozione di « intellettuale » e di « cultura », e nella loro speranza di attingere - attraverso il moltiplicarsi degli approcci e delle fonti il livello ultimo e impervio della soggettività delle masse, queste ricerche potrebbero offrire un terreno non marginale al chiarimento ulteriore di alcuni problemi centrali della storiografia generale sul fascismo: su nodi cioè tuttora abbastanza aperti alla ·discussione e alla verifica, quali il «consenso» (spesso confuso con l'organizzazione del consenso), la specificità del fascismo nella storia italiana (continuità o rottura), il rapporto tra l'esperienza fascista e la democrazia nata dal crollo delle sue istituzioni politiche. E tuttavia il bisogno diffuso di storia minuta, di positività e di materialità degli oggetti, che da tempo sembra sollecitare questo tipo di angolazione storiografica sul tema degli intellettuali e delle loro funzioni, non è un 1 A parte molti assaggi pamali e prevalentemente occasionali, ricordati piu oltre, dr. ora i sondaggi a loro modo sistematici (cioè collocatli in una ricerca programmatica, anche se con lucida consapevolezza del loro carattere campionario e provvisorio) di M. lsnenghi,

Intellettuali militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Torino, 1979 (e anche, dello stesso, L'eductl1.ione dell'italiano, Bologna, 1979).

11

Egemonia e fascismo

bisogno che nasca dalla pienezza di un maturo dibattito storico-teorico, di una crescita interpretativa, da una verifica a molti livelli del problema complessivo del rapporto tra cultura e fascismo. Sembra nascere invece da una sorta di vuoto di riflessione intorno ad esso, e cioè dallo stallo conoscitivo a lungo imposto dalla tradizione liberal-crociana (non è esistita una Cultura fascista, per la contraddizione che noi consente) e mai veramente superato da iniziative corrette di definizione storica del problema. Sicché si ha l'impressione che, per questa via, il pur sacrosanto rifiuto dell'astrattezza di questa posizione 2 possa tendere a risolversi di fatto non già in una necessaria moltiplicazione dei livelli di indagine, bensf nella elusione di un suo livello fondamentale (le funzioni della cultura nel ventennio, le forme dell'egemonia) e in una alternativa puramente metodologica alla sua stessa fondamentalità: cioè in una definizione altrettanto aprioristica e non critica del problema medesimo. La complessità del problema della « cultura » tenderebbe cosf ad esaurirsi nei livelli della propaganda, della oircolazione dei miti, dei modi rituali di unificazione del senso comune, dei comportamenti e dei rapporti tra società e istituzioni del regime: tenderebbe ad accogliere tanti fatti, meno che il fatto della produzione di idee, della funzione e del contesto sociale delle idee, degli effetti .politici delle forme di coscienza. Sembrerebbe la negazione liberatoria di una zona particolarmente accidentata della realtà storica, se non rischiasse piu specificamente di essere la sua rimozione in sede critico-conoscitiva, e cioè la conservazione tutt'altro che liberatoria della indisponibilità di quella «cultura» a lasciarsi affrontare come oggetto di storia. Se il rapporto intellettuali-fascismo non può esaurirsi al livello degli intellettuali in senso tradizionale, di una élite di coscienze e di una pura dialettica ideologica, 2 Gircolante in vari modi da Croce .i:n poi, essa è stata riproposta da ultimo, in termini di piu distaccata «constatazione~, da N. Bobbio, nel voi. collettivo Fascismo e società italiana, a cura cli G. Quazza, Torino, 1973.

12

Tra coscienza e organizzazione

ma deve estendersi alla realtà sociale articolata e complessa della funzione ,intellettuale, ebbene quale effetto conoscitivo può raggiungere una analisi che accetti ontologicamente e materializzi una simile distinzione e cosi confermi la non-storicizzabilità delle idee? Quale effetto conoscitivo può realizzare una rinunzia all'analisi della formazione e della vita articolata di quel « potere culturale» che ha sancito la propria separazione, e il cui privilegio si è difeso precisamente nei termini di una «autonomia» che l'ha messo al riparo dall'analisi storica? H fatto è che, a parte l'utilità di indagini diffuse e consapevoli 3 , questa tendenza ad accettare un terreno «minore» di ricostruzione storiografica, e a dichiararlo «maggiore» o esaustivo per quel che attiene la conoscibilità del rapporto intellettuali-fascismo, appare sempre piu promossa e alimentata da un preconcetto, da una opzione ideologico-politica che diventa metodo interpretativo e tesi storiografica: e cioè dal bisogno di un campo di analisi dove sia possibile dimostrare quelia positività (specificità) della cultura fascista che si immagina lontana e autonoma dalla « cultura Liberale », e cioè i modi e i segni di una trasformazione molecolare e profonda della società, la rottura nei fatti della vecchia « egemonia • nella direzione di una nuova coscienza di massa, l'effetto egemonico della pedagogia reale del regime nella vita quotidiana degli italiani. È una tendenza, cioè, tutt'altro che erudita o neutralmente storiografica. È bens{ tutta interna ad una piu generale tendenza interpretativa, diffusa in certo settore della cultura marxista, che oppone dichiaratamente alla tesi radicale della « continuità » (e della parentesi patologica, che ne è il rovescio formale) la tesi del fascismo-rottura e forma politica dello sviluppo della società italiana: e che deduce dallo sviluppo 3

Credo che il lavoro di lsnenghi, appunto, si sottragga in gran mchi indicati, per la cautela con cui gli oggetti dell'indagine e la stessa nozione di « cultura orizmntale »- vengono proposti: oomc oomplementari ad altri livelli, e non in sé abilitatli ad una « risposta conclusiva i. (pp . .5-6).

parte ai

13

Egemonia e fascismo

dell'organizzazione realizzato negli anni Trenta una trasformazione necessaria del ruolo degli intellettuali, una modificazione sostanziale del loro rapporto con la politica, e perciò l'autonomia e la modernità della politica culturale fascista, fattore di emarginazione della cultura liberale e di rottura del suo « primato della coscienza • 4 • Non si tratta beninteso di negare che l'esigenza di superare in termini di storia reale (all'interno del terreno problematico definito dalla nozione di « regime reazionario di massa ») l'irreale immagine di sé riprodotta dalla cultura storicistico-crociana, è una esigenza che procede dal vivo dei bisogni piu avanzati di oggi: dalla necessità di una storia degli intellettuali che, dentro lo sviluppo delle istituzioni e delle forme di organizzazione della società, ricostruisca i nessi e le rotture che identificano e 4 Tale tendenza non può definirsi una esplicita e argomentai. interpretazlionc, perché non si ~ ancora identificata in lavori organici e arlli.colati, e neppure in saggi parziali ma di impegno analitico. :8 piuttosto uno « stato d'animo» abbastam.a diffuso negli anni Settanta tra giovani filosofi e storiai marxisti, forse un uso un po' troppo immediato e generico della formula del « primato della politica >, sullo slancio della opportuna reazione alle negazioni moralistiche e difensive della specificità del fasci.6mo nella storia italiana: comunque una prospetti.va ancore incerta pur se ricca di sollecitazioni, come esitante di fronte alla necessità di verifiche corrette, acsc:cntc pez deduzioni ideologiche, e perciò facilmente riprodotta in un tempo di immediata vocazione politica del dibattito intellettuale. le citazioni sarebbero moltissime ma tutte eccessivamente responsabilizzanti, trattandosi di saggi o articoli in cui .iJ. problema non è mai afirontato con pienezza, ma resta sullo sfondo, come già fissato, e semmai rievocato da alcune categorie generiche o ambigue: società di massa, consenso, trasformazione dei ruoli, iscrizione delle masse nello Stato, programmazione, impegno degli intellettuali. :8 dunque una premessa ideologica tendenzialmente generalizzata in certi settori inteillettuali del movimento operaio, che tuttavia si esprime in forme frantumate e qu.i sempre occasionali: non 90lo ci.guardo a temi e oggetti interni al campo storico del fascismo, ma anche nel recente dibattito su Gramsci, sugli anni Trenta in Italia e in Europa, sulla scienza politica e sulla forma-Stato, nel risveglio di interessi su Gentile; ed anche, in misure piu rapide, in interventi immediati sui molti libri in questi. anni pubblicati su momenti e figure del regime (Bottai, antologie di riviste), o sulle molte ricerche ed esposizioni onestamente documentarie relative alle istituzioni e alle forme di otgsoiZ?.azionc della vita culturale durante il fascismo.

14

Tra coscienu e organiuazione

condizionano il terreno di formazione del presente, di questa forma democratica dello Stato e delle sue contraddizioni, di questa difficile crescita di una forma nuova della politica nelle tensioni profonde di una fase avanzata della società di massa. Ma non c'è dubbio alttesf che questa verifica storica non può farsi esorcizzando i suoi oggetti, o destorificandone il rapporto, o nascondendone il funzionamento reale. È una verifica che tanto piu può arricchirsi di capacità conoscitiva e di consapevolezza politica quanto piu, lungi dall'isolare (e perciò confermare), storicizzi compiutamente quella immagine di sé affidataci dalla strategia ideologica dello storicismo liberal-crociano: l'immagine di una cultura separata e neutrale, non politica e non produttrice di istituzioni, eterogenea e sfasata rispetto ai tempi della società di massa, dei nuovi meccanismi produttivi e della macchina dello Stato moderno e organizzatore. In verità, gli approcci piu analitici e fondati ad alcuni aspetti centrali del rapporto intellettuali-fascismo 5 sono lontani dal fornire pezze d'appoggio omogenee ad entrambe le posizioni, anche se accade talvolta che ne siano utilizzati arbitrariamente, persino con vistose deformazioni dell'apparato documentario e delle conclusioni storico-critiche. È piuttosto il lavoro di Renzo De Felice, 1a sua impostazione di fondo e alcune sue considerazioni exttaanalitiche, a risultare piu fedelmente utilizzato da parte della tendenza che privilegia gli aspetti istituzionali del regime rispetto ai contenuti e alle funzioni ideali della produzione intellettuale nel ventennio: « pressoché nulla è stato fatto nella direzione di uno studio della cultura come una istituzione del regime, di una istituzione nella quale piu del contenuto... contavano il suo inserimento e il suo agire nel tessuto connettivo della società ita5 Penso soprattutto al volume di L. Mangoni, L'interventismo della cultura, Bari, 1974; e alla assai documentata ricostruzione che J. Cann.istraro fornisce della organizzszfone culturale del regime (La fabbrica del consenso, Bari, 197'). Ma si avrà oocasionc di ricordare e utilizzare molti altri studi.

15

Egemonia e fascismo

liana » 6 • Era qui che il fastidio per la tradizionale riduzione del problema al dilemma sulla esistenza o meno di una cultura fascista sembrava risolversi per la prima volta nella tendenziale eliminazione dei « contenuti », e cioè nella indicazione perentoria della prassi politico-culturale del regime come vero luogo di definizione del problema reale: e cioè nella indicazione delle « istituzioni», dell'apparato organizzativo dei settori culturali, come li.vello da privilegiare nella prospettiva di una storia degli intellettuali nel ventennio 7 • H che peraltro non escludeva che, nella composita analisi del fascismo proposta da De Felice, piu volte affiorasse la conservazione di altri livelli del problema, come la sostanziale autonomia e agibilità della cultura tradizionale, o il risalto del1'eclettismo ideologico della dottrina fascista, o la imperturbata diffusione del crocianesimo nelle istituzioni culturali: e cioè che si ripresentasse la ben nota oscillazione tra una nozione liberale di cultura e una nozione empirica di organizzazione, di intellettuali, di politica culturale. L'impressione comunque è che la storiografi.a piu recente, che pure ha prodotto indagini cospicue su aspetti particolari e anche interpretazioni di rilievo della struttura complessiva del regime reazionario· di massa, sembra tuttora esitare di fronte al problema degli intellettuali e della funzione culturale nel ventennio: da un lato rinviando ad indagini piu concrete e fondate, dall'altro invocando implicitamente il sussidio di una specialità storiografi.ca, la storia degli intellettuali, che invece nei fatti non esiste nella nostra organizzazione del sapere, se non appunto nelle forme dissociate della storia delle idee e della storia delle istituzioni. Credo che sia giusto, a proposito della immaturità del problema intellettuali-fasci6 R. De Felice, Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-')4, Torino, 1974, p. 102. 7 Cfr. anche " prefazione dello stesso Dc Felice al volume del Cannistraro, cit. (che invece appare assei consapevole del gglio e dei contenuti del proprio lavoro).

16

Tra coscienza e organizzazione

smo, riconoscere una difficoltà della « storia generale» sul fascismo 8, una sorta di responsabilità di ordine complessivo: ma è giusto nella misura in cui la scarsa conoscenza di questo tema, la sua pretesa settorialità, è alla origine della difficoltà degli studi complessivi, è un impedimento reale alla conoscenza tout-court del fascismo, della sua funzione, della sua durata, della sua collocazione complessiva dentro la storia della società italiana. Credo cioè che la settorialità di questo tema, la sua resistente autonomia, infici all'origine la visibilità teorica del problema generale: e non già perché si voglia privilegiare ancora una volta la storia delle idee, ma al contrario perché il superamento di quella separazione privilegiata (cioè la critica della sua funzione di soggetto-di-storia, punto di vista occulto e totalitario). consiste nel renderla oggetto di conoscenza storica, contestuale con gli altri, inseparabile dal sistema di funzioni e di relazioni che costituiscono il processo storico. Il rovesciamento conoscitivo della storia autonoma della cultura sta nella conoscenza dei suoi modi di produzione e delle sue funzioni politiche, della oggettività politica della storia degli intellettuali, cioè della complessità del processo storico reale dentro il quale si determina, dal primo Novecento a tutt'oggi, la funzione sociale delle forme di coscienza e il loro rapporto con le nuove forme organizzate della vita sociale, i partiti e le istituzioni. Queste forme hanno funzionato, si sono sviluppate, e sono conoscibili storicamente, in quanto forme di mediazione e di composizione ideologicamente strutturate, e perciò dirigenti, non certo in quanto forme meccanicamente semoventi, pure combinazioni prammatiche, recipienti di volontà politica separata dal sociale. Se questa esigenza è fondata, e se comporta la irri8 Or. N. Tranfaglia, Intellettuali e fascismo. Appunti per una storia da scrivere, in Dallo Stato liberale al regime fascista, Milano, 19763, p. 113: in particolare l'interessante accenno alla singolarità, senza seguito, della proposta gramsciana cli u.na storia aociale degli intellettuali.

17

Egemonia e fascismo

ducibilità del problema del rapporto inteliettuali-fascismo ai suoi aspetti piu quantitativamente e formalisticamente istituzionali, comporta analogamente (perché analoga è l'ottica di separazione che governa le due operazioni) che esso non è destinato a crescere come problema storico quando lo si affronti al livello di singoli intellettuali, in un approccio ricco di sottili distinzioni, di comprensione profonda delle luci e delle ombre dell'intelligenza e delle sue dimensioni morali, ma appunto programmaticamente circoscritto alle responsabilità e alle libertà della coscienza, assunte idealisticamente come riferimenti assai piu complessi e articolati rispetto a una vicenda « riduttivamente » politica 9 • La funzione di questi sondaggi, che certo arricchiscono la conoscenza di livelli indubbiamente importanti del nostro problema, è quella di misurare ancora una volta l'astrattezza e l'infecondità delle totalitarie difese della innocenza della cultura italiana, o delle condanne in blocco della sua compromissione: ma non certo quella di verificare l'effettivo funzionamento della cultura italiana dentro lo sviluppo della società e rispetto alle forme della sua direzione politica. Piuttosto, al di là di ogni residuo moralismo 10 o anche di ogni residuo storicismo conciliatore, l'invito conclusivo di Garin · a spostare il discorso sulle origini della cultura novecentesca ha il merito di riproporre un campo di analisi che è ancora essenziale, quello delle condw.oni culturali dd potere e del regime fascista 11 : un campo non ignorato 9 Cfr., di E. Garin, alcuni dei saggi raccolti nel volume Intellettuali del secolo XX, Roma, 1974.

10 « Mentre assistiamo alle piu vigliacche dedizioni degli intellettuali ai &sci noi ci sentiamo tanto piu ferocemente nemici di questa intellettualità delinquente, di questa classe bastarda• (P. Gobetti, Opere, I, a cura di P. Spriano, Torino, 1960, pp. 145). Si tratta di uno sdegno che, riprodotto al di fuori della congiuntura storica (1925), ha finito con l'ingigantire gli aspetti morali del problema del fascismo e della autonomia della cultura. 11 « Si tratta di riconoscere le correnti di pensiero che hanno concorso ... a creare le contraddizioni culturali che hanno permesso l'avvento del fascismo al potere e la sua trasformazioDIC in regime • (G. Amendola, Intellettuali e fascismo, ora in Fascismo e movimento operaio, Roma, 1975, p. 41).

18

Tra coscienu e org1111iUll%ione

anche da contributi recenti 12, ma piu attraversato da sondaggi di storia delle idee e dei movimenti ideologici (le « matrici » del fascismo), che non illuminato da una analisi pregnante e articolata della « crisi dello Stato liberale ». Si tratta cioè di un campo che in tanto può rivelarsi sempre piu significativo, in quanto la sua « continuità » con quello del fascismo non si riferisca alla durata e alla operosità di alcuni contenuti ideologici (nazionalismo, antisocialismo, imperialismo, ecc.), ma si interroghi sul piano piu generale della dialettica culturale della società post-unitaria e delle sue strutture profonde: non già per annullare le distinzioni e le rotture nella storia reale delle forme di coscienza e nelle loro incidenze politiche, ma per cogliere il senso delle distinzioni e delle rotture, per non accettarle miracolisticamente a partire dall'autocoscienza degli intellettuali o dall'automatismo dei processi che li trasformano. Si tratta di rovesciare criticamente, ancora una volta, il paradosso secondo il quale la « cultura liberale», emarginata ma non vinta dalla tirannide fascista, avrebbe ricavato proprio dal valore della sua opposizione l'autorità necessaria alla ripresa della sua egemonia, la sua missione di sintesi e di direzione ideale nei confronti delle nuove contraddizioni della società democratica; nonché l'omologo paradosso secondo il quale la rottura delle forme politiche dello Stato liberale, consumata dal fascismo, avrebbe cancellato dalla storia italiana la durata e l'effetto politico della cultura liberale, la figura e la credibilità sociale del vecchio ruolo dell'intellettuale, avviando un processo « irreversibile » di socializzazione della cultura, di condizionamento « democratico » e di riqualificazione politica delle masse intellettuali. Il regime fascista come condizione e terreno di pre12 Cfr. P. Alatri, Liberalismo e fascismo, nel vol. collettivo P11scismo e capitalismo, a cura di N. Tranfaglia, Milano, 1976 e, dello stesso autore, Le origini del fascismo, Roma, 19715; e inoltre, fra gli altri, F. Gaeta, Nazionalismo italiano, Napoli, 196, e M. lsnenghi, Il mito della grande guerra, Bari, 1970.

19

Egemonia e fascismo

parazione della democrazia! Lo dicevano molti intellettuali fascisti, com'è noto, ma onestamente dichiarando il genere di democrazia del quale parlavano, e cioè l'organizzazione delle masse e la loro integrazione nello Stato ad opera di una élite funzionaria del potere, avanguardia politica della società di massa, garanzia tecnica del suo sviluppo produttivo 13 • Ed era il sogno, com'è noto, di una parte cospicua della cultura europea del primo Novecento, avveratosi poi, in termini burocratici-riduttivi, nella versione autoritaria della « gerarchia » 14 ; e in qualche modo sopravvissuto, con una durata dialetticamente interna ai processi sociali, nelle impegnate aspirazioni di molti intellettuali anche militanti nel movimento operaio. In realtà, questa ideologia della continuità tra fascismo e democrazia, della educazione delle masse alla politica, della predisposizione degli intellettuali all'impegno, appare veramente la positivizzazione immediata, la materializzazione empirica, della tesi crociana secondo la quale la limitazione fascista della libertà era tuttavia funzionale alla libertà, la preparava, ne sviluppava il culto nei cuori: era la condizione di crescita della libertà. ~ la teoria crociana dell'errore, momento sacro e insopprimibile nel processo della verità. Ed è, com'è noto, una tesi che procede direttamente dalla sostanza profonda dello storicismo crociano, e investe il carattere sacro del passato in quanto determinazione del presente, e la visione provvidenziale della storia e dell'astuzia _della storia, e piu in concreto, per Croce, la giustificazione del suo presente, e piu complessivamente la difesa dell'autonomia e cioè della continuità della storia degli intellettuali: sempre positiva a dispetto dei contenuti storici, come sempre positiva è l'organizzazione e la politica, a prescindere dai contenuti 13 e&. il noto volume di Bottai, Vent'anni e un giorno, Milano, 1949; nonché il dibattito successivamente analizzato. 14 A. Capizzi (Alle radici ideologiche dei fascismi, Roma, 1977) ricostruisce la progressiva involuzione, nella nozione e nel culto della «gerarchia» (che si stabilizzano nel '21), delle parole d'ordine dei vari settori del movimento (aristocrazia, qualità, minoranza): che tuttavia, com'è noto, continueranno ad operare.

20

Tra coscienza e organizzai.ione

storici, perché appunto forme prcxlotte dalla coscienza degli intellettuali. Queste operazioni di rimozione del vero oggetto del1'analisi storica non possono essere in realtà superate se non attraverso un restauro storico dell'oggetto, una sua messa a fuoco oggettiva, che si sviluppi sulla base degli ultimi risultati delle ricerche particolari, e che li integri in un quadro critico e problematico, relativo ai modi della partecipazione intellettuale alla origine e alla tenuta del regime reazionario di massa, alle modificazioni effettive, documentabili, del rapporto tra intellettuali e potere nel tempo che va dall'avvento del fascismo al suo crollo. Un restauro storico che, lasciandosi alle spalle (e storicizzando) la vecchia querelle sulla estraneità della cultura rispetto alle responsabilità politiche del ventennio, risponda finalmente alle domande reali che rappresentano il campo problematico oggi maturo: quale fu il ruolo effettivo (nelle sue articolazioni non semplificabili) della cultura, della prcxluzione intellettuale, nella formazione delle nuove forme politiche della società italiana, cioè della transizione dallo Stato liberale allo Stato fascista? In che misura e in quale direzione gli intellettuali (le loro articolate funzioni, i loro ruoli produttivi) furono coinvolti in questa trasformazione istituzionale, nella direzione politica della società, nella organizzazione del consenso? E in che misura la nuova forma di organizzazione della società borghese trasformò questa funzione, il mcxlo separato della prcxluzione e dell'esercizio intellettuale, gli statuti ideologici e il rapporto complessivo con la realtà di massa: sl da potersi verificare, all'indomani del crollo delle istituzioni politiche di quella trasformazione, la scomparsa o il rilancio del vecchio statuto intellettuale, l'irreversibile rottura o la sopravvivenza contraddittoria della soggettività primonovecentesca? La pertinenza di queste domande, qui approssimativamente formulate, sta evidentemente nella pregnanza storico-analitica delle eventuali risposte. Nel senso che molte altre se ne possono formulare, e anche, come sinora si 21

Egemonia e fascismo

è fatto, di piu specifiche e articolate. Ma è certo che la sostanza del problema tanto piu può illimpidirsi e conoscersi quanto meno le categorie fondamentali che lo circoscrivono (Stato liberale e regime reazionario di massa, liberalismo e fascismo in primo luogo) si sottraggono esse stesse alla verifica storica, cioè quanto piu si calino nel contesto della loro contraddittoria formazione ideologica e del loro vario uso politico: perché non si rischi ancora di assumerle come categorie già date, misure astratte di una misurazione perciò non conoscitiva 15 • In verità, ogni volta che si sente parlare di opposizione o contraddizione tra le due coppie di termini, o di trasformazione profonda e irreversibile, o di estraneità e separazione, e lotta e vittoria, subito viene in mente (con immediatezza poi bisognosa anch'essa di elaborazione) che, a stare ai fatti, fu lo Stato liberale, la sua classe politica e culturale, il suo apparato istituzionale nel senso piu vero, ad affidare direttamente al fascismo la risoluzione della crisi, e fu la piu rappresentativa cultura liberale a volere e a salvare inizialmente il fascismo 16 : non già solo ad accettarlo, ma a volerlo, sia pure come una provvisoria « panacea », di fronte al disordine e alla minac15 Sulla necessità di tenere e svolgere i nessi tra la realtà del fascismo e la storia dell'Italia unitaria, cfr. le interessanti osservazioni di G. Procacci (Appunti in tema di crisi dello Stato liberale e di origini del fascismo, in « Studi storici», 1%5, n. 2). ar. anche R. Killml, Due forme di dominio borghese: liberalismo e fascismo, Milano, 19762: almeno per quanto riguarda il grado di involuzione elitario-autoritaria delle istituzioni liberali nel primo Novecento e gli orientamenti prevalentemente antidemocratici della cultura italiana. 16 Cfr. fa precisa sintesi di G. Quazza, Antifascismo e fascismo nel nodo delle origini, in Fascismo e capitalismo, a cura di N. Tranfaglia, Milano, 1976. Dello stesso autore si veda l'introduzione al vol. collettivo Fascismo e società italiana, oi.t., e, in particolare le considerazioni sintetiche ma assai lucide sulle spinte della cultura italiana: « Le esigenze di union sacrèe, di compattezza nazionale imposte dal conflitto, continuano inoltre a gravare di piu pesanti ipoteche la cultura, che, in parte manipolata, in parte essa stessa vogliosa di manipolarsi nelle università, nelle. accademie, nelle scuole, « serra i ranghi » per accreditare con piu intransigente esclusivismo i « valori » del gruppo dominante, mentre la stampa subi.sa: k metodica conquista da parte dei gruppi economici piu potenti• (p. 14).

22

Tra coscienza e orgfl1liuazione

eia della classe operaia. A dargli espressione e rappresentatività di direzione politica, a scegliere cioè la soluzione evidentemente piu organica alla propria storia, rispetto alla estraneità sconvolgente del socialismo: non già solo nell'assunzione al governo e nel conferimento dei pieni poteri, ma altresl dopo il delitto Matteotti, votando la fiducia a Mussolini (o, per gli aventiniani, astenendosi dalla lotta politica) pur di non rischiare l'appello alle masse, alla società furibonda, nel momento della prevista caduta della breve parentesi fascista 17 • Bene. Non si tratta di assumere questa circostanza come meccanicamente qualificante rispetto agli sviluppi successivi della politica e dei rapporti di classe nella società italiana del ventennio. Ma io credo che questa notissima genesi del regime fascista, nonché questo evidente suicidio dello Stato liberale, e i modi concreti ed in fieri del loro prodursi, la complessità di forze che coinvolsero, 17 Si tratta di fatti notissimi, ma talora del tutto trascurati. Li . ricordava con particolare rilievo già lo scritto di F. Gambetti, Inchiesta sul fascismo, Napoli, 1953, p. 137. Una interessante testimonianza era fornita, addirittura nel '22, da D. Grandi (A. Zerboglio-D. Grandi, Il Fascismo, Bologna, 1922), che c1cnarva le circostanze di cui il fascismo si era giovato, e concludeva: « Si ~ giovato del vecchio Stato liberale che, ormai sull'orlo del precipizio e · del fallimento, ha trovato romodo appoggiarsi all'azione dei Fasci pc,: ristabilire un simulacro di autorità, e ridare al meccanismo delle sue funzioni una vitalità apparente che ne maschera tutto l'intimo dissolvimento• (p. 61). A proposito della fwmone affidata al fascismo dalla borghesia e dalla sua cultura piu organica, che cm quella di ripristinare il dominio delle classi privilegiate nel momento in cui la democrazia politica rischiava di diventare sociale, A. Tasca ricorda un'affermazione di Mussolini nel '22: « Lo Stato di tutti finirà col tornare lo Stato di pochi• (dr. il noto e importante volume Nascita e avvento del fascismo, Firenze, 19.50, p. 376). D'altronde non mancano convergenze precise e documentabili di liberali e fascisti ndl'attacco alle stesse istituzioni e alle masse popolari: come ricorda la ricca ricostruzione di C.S. Maier, a proposito dei fatti di Bologna e di Cremona nel '22, che « confermarono l'esistenm di un'offensiva liberal-fascista • (La rifondazione dell'Europa borghese. Francia, Ger-

mania e Italia nel decennio successivo alla prima guerra mondiale,

Bari, 1979). Piu in generale, Maier parla di un « tentativo liberale di

servirsi del fascismo come forza capace di restaurare l'ordine i., nonché di « convei,genza fra movimento liberale e movimento fascista • (pp. 338-341).

23

Egemonia e fascismo

l'inestricabilità dei rapporti che comportarono, siano fatti talmente ricchi di significati e di valenze reali da costituire a pieno diritto il primum di ogni interpretazione del ventennio: non già della sua pretesa continuità rispetto al periodo «liberale» della società italiana, ma della sua specificità storica, del rapporto tra rottura e continuità, della logica profonda di tale rapporto, delle connessioni articolate tra le sue forme e i suoi contenuti, tra politica e società, tra necessità liberale della rottura (delega dei poteri alla violenza) e necessità fascista della continuità (la normalizzazione successiva), tra continuità profonda del dominio di classe e divaricazione funzionale delle sue forme (pratica e ideale), tra tattica e strategia della guerra di posizione della borghesia, tra politica ed egemonia. Voglio dire che è inevitabile proporre un prima e un poi del fascismo come tempo reale del suo significato storico, come durata delle sue motivazioni profonde, spazio di formazione e di deperimento della sua funzione non casuale nella storia dello sviluppo e dello scontro tra le forze trainanti della società italiana: e cioè come oggetto di una indagine storica che, lungi dall'isolarlo in una autonomia «epocale» (eteronomia europea o mondiale), connoti la sua specificità nel tempo lungo della crisi di uno Stato originariamente impossibilitato a conciliare la spinta di classe nella forma avanzata di una democrazia di massa 18 • In tal senso, anche l'analisi del rapporto tra intellettuali e politica nel ventennio può guadagnare una credibilità e un respiro di elaborazione piu proporzionato alle dimensioni reali del problema, libero cioè dall'ipoteca di un confronto meccanico tra coscienza e organizzazione, tra libertà astratta della cultura e automatismo irreale della trasformazione. Il tempo del fascismo, la sua funzione storica, il suo modo d'essere una 18 Il motivo, gramsciano, è alla base ormai di quasi rotte le recenti ricostruzioni della __genesi del fascismo. Lo riprende e lo svolge persuasivamente N. Tranfaglie, Dallo Stato liberale al regime fascista, cit., passim.

24

Tra coscienza e organhz.az.ione

espressione necessaria e significativa dello sviluppo e della crisi della società italiana, in tanto sono fatti storicizzabili in quanto interni alla realtà complessiva di questo sviluppo e di questa crisi: in quanto non riducibili alla istantaneità formale delle loro scansioni istituzionali e politiche, ma da rapportare alle condizioni complesse e contraddittorie della loro dinamica profonda. C'è una contraddizione rilevante, a me sembra, tra la lettura marxista delle origini del fascismo (già inizialmente, in Gramsci e in Togliatti, tanto piu ricca di spessore storico rispetto allo schematismo della Terza Internazionale) e la nozione di politica alla luce della quale alcuni marxisti di oggi valutano la vocazione organizzativo-di massa del regime fascista: isolando appunto la pura nozione dai suoi contenuti storici, positivizzando una pura forma del1'organizzazione a prescindere dal senso che la rende riconoscibile, dal contesto e dal tipo di sviluppo cui era funzionale. Ed è una contraddizione che evidentemente coinvolge una visione complessiva dello sviluppo sociale e della funzione intellettuale dentro di esso, nonché, proprio teoricamente, il concetto stesso di politica, di organizzazione delle masse, di forma dello Stato, in occasione del giudizio sul fascismo, ma anche, evidentemente, in riferimento alla analisi materialistica del presente, alle strategie politiche cui questa analisi è funzionale. Certo è significativo che Gramsci individuasse già allora, negli anni Trenta, e proprio rispetto al problema della realtà complessiva del fascismo, i rischi conoscitivi e politici di ogni possibile riduzione formale del problema del « dominio della borghesia»: quando criticava la nozione gentiliana di « politica » e di « Stato», e ne segnalava la oggettiva subalternità rispetto a quella crociana. Non era un giudizio di valore, ma una individuazione dei diversi livelli di egemonia e perciò di pericolosità reale dell'ideologia borghese. Era un giudizio politico, e un postulato teorico ricavato da una profonda conoscenza della storia degli intellettuali: tanto che perentoriamente coinvolgeva in tale giudizio di inferiorità 25

Egemonia e fascismo

«economico-corporativa» (la politica come organizzazione formale) tutti quegli intellettuali i quali, parlando di « superiorità politica » della filosofia di Gentile, sublimassero in termini teorici quel bisogno di protagonismo e di immediata organicità all'esistente che connota la crisi del ceto intellettuale in tutti i passaggi fondamentali dello sviluppo della società di massa. . Ed è subito evidente che l'influsso del Croce, nonostante tutte le apparenze, è di molto superiore a quello del Gentile ... Mi pare che la :filosofia del Gentile, l'attualismo, sia piu nazionale solo nel senso che è strettamente legata a una fase primitiva dello Stato, allo studio economico-corporativo, quando tutti i gatti sono bigi. Per questa stessa ragione si può credere alla maggiore importanza e influsso di questa :filosofia, cosf come molti credono che in Parlamento un industriale sia piu di un avvocato rappresentante degli interessi industriali (o di un professori o magari di un leader dei sindacati operai), senza pensare che, se l'intera maggioranza parlamentare fosse di industriali, il Parlamento perderebbe immediatamente la sua funzione di mediazione politica ed ogni prestigio 19•

19 A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, 1975, Il, p. 1306.

26

CAPITOLO SECONDO

Gramsci e l'egemonia negli anni Trenta

L'osservazione riguarda, nel suo contesto complessivo, la problematica dello Stato e l'accentuazione, in essa, del problema dell'egemonia e dei suoi rapporti col potere: cioè è tutta interna alla lunga e complessa riflessione gramsciana sulla nuova scienza della politica. E tuttavia nasce, come ogni altra apertura teorica del discorso gramsciano, dall'emergenza del presente, dall'analisi del fascismo in quanto regime, delle sue forme di organizzazione della società, dei riferimenti teorici e culturali del consenso che lo rende possibile e lo sostiene. Rispetto a tutto questo, i reiterati confronti gramsciani tra Croce e Gentile sono di una importanza fondamentale. Se non risulta che queste pagine siano state discusse dai recenti interpreti marxisti del fascismo, e se una sorte del genere è toccata anche ad altri momenti essenziali dell'analisi gramsciana della società italiana negli anni Trenta, questo è un problema storico (di storia presente degli intellettuali) di notevole rilievo teorico e politico. La separazione di una parte del pensiero storico-politico di Gramsci dentro un volume che sembrava contenere un confronto tra filosofie (Il materialismo storico e la filosofia di B. Croce) certo è anche essa un elemento tutto interno a questa storia. Ma è anche vero che il successivo recente rilancio della « scienza della politica», nonché delle sue eventuali matrici gramsciane, avrebbe potuto muovere (almeno per la resistenza del costume specialistico) precisamente dal settore della ricerca teorica: e cioè non avrebbe dovuto inaugurarsi con una rimozione di oggetti cosl vistosi della riflessione gramsciana, quali il materialismo storico e la filosofia di Croce, anche prima che l'edizione critica dei Quaderni costringesse la nostra 27

Egemonia e fascismo

sensibilità filologica a una lettura meno condizionata e piu sistematica 1• Almeno oggi comunque dovrebbe essere impensabile quello che pure recentemente è avvenuto: oltre che ignorare, talora capovolgere il senso dell' analisi gramsciana, forzarla in funzione di categorie ideologiche, cioè di bisogni non mediati, frantumarla secondo la varietà dei suoi oggetti (economia, politica, filosofia, letteratura, giornalismo) ignorando l'unità oggettiva di essi nella prospettiva conoscitiva di Gramsci, selezionare i temi e i livelli piu «utilizzabili», secondo un uso storicistico che, per essere diversamente orientato che in precedenza, resta ugualmente storicistico. Oggettivamente parlando, il problema del fascismo è al centro della riflessione dei Quaderni, ininterrottamente e sistematicamente. In questa riflessione il fascismo, proprio in quanto non è una categoria, un termine astrattamente nominabile e perciò autonomo ed universale, vive come una realtà storica da conoscere, una condizione complessa da interrogare. Questo non è un giudizio, ovviamente, ma la forma oggettiva di un «metodo» interpretativo che non può non avere le sue ragioni profonde: e credo significhi la totale politicità della visione gramsciana, la completa assenza di moralismo (di parzialità intellettuale) nella sua valutazione. Dico politicità nel senso di oggettività, di universalità, di superamento di ogni soggettività nei rapporti col proprio tema, e perciò di ogni strumentalismo, di ogni accentuazione che - per rilevare un elemento - finisca col nascondere altri e compromettere la piena visibilità del fenomeno, la sua aggredibilità conoscitiva e in definitiva politica. Gramsci combatte il fascismo, nei Quaderni, con l'arma unica e totale di cui dispone: cercando di conoscerlo, e di trasmetterne la conoscenza, nel piu storico dei modi possibili, cioè ricostruendo la sua essenza reale, e il suo 1 Sugli effetti assai rilevanti delle diversità tra le due edizioni, cfr. le interessanti osservazioni di L. Mangoni, nel saggio Il problema del fasdsmo nei « Quaderni del carcere »-, compreso nel volume collettivo Politica e storia in Gramsd, Roma, 1977, pp. 39 s.

28

Gramsci e l'egemonia degli anni Trent"

« consistere » nella società italiana, dentro i suoi modi d'essere e di consistere nella trama di condizioni e di eventi che definiscono la sua attualità nella società italiana. È per questa condizione disincantata che l'analisi gramsciana del fascismo si dispone all'interno di un campo storico-teorico di piu ampio respiro, i cui termini dilatati trascorrono dalla insistente indagine sui processi di formazione dello Stato unitario (cioè sulla formazione del blocco storico che realizza il potere della formazione borghese dall'età della Restaurazione alla fondazione dello Stato liberale, e che entra in crisi nel momento stesso di quella fondazione, e vive la sua crisi nella stagione crispino-giolittiana fino all'opzione del regime fascista) alla verifica dello spostamento della « base storica dello Stato », cioè del « distacco della società civile da quella politica », della « forma estrema di società politica » (per Gramsci, estrema riduzione economica dello Stato). Gramsci di fatto indaga le modalità di formazione del blocco storico dominante proprio in funzione della comprensione del fascismo, e a partire dalla sua tenuta negli anni Trenta: e cioè a partire da una realtà politica le cui radici erano per lui vistosamente interne alla costituzione storica dello Stato unitario, alla specificità delle sue forme politiche e della sua egemonia, e cioè alla composizione del blocco storico e ai tempi e ai modi della sua conquista e del suo esercizio del potere, della organizzazione della società e dello Stato. Lungi dall'attenuare la specificità del fascismo e dal sottovalutare la forma presente del dominio di classe 2, egli distingueva la natura oggettiva di tale specificità dalla qualità ideologica della presunta autonomia (originalità senza parametri) del suo oggetto storico: e cioè individuava la peculiarità del fascismo non già nella sua rottura formale dell'età liberale, ma nella peculiarità delle sue com2 Cfr. le osservazioni sulla «novità» del fascismo rispetto agli altri partiti borghesi, contenute nel vol. La costruzione del partito comunista (1923-26), Torino, 1971, pp. 33-34.

29

Egemonia e fascismo

ponenti effettive all'interno delle condizioni reali della società italiana 3, nelle modalità oggettive cli un momento specifico di quello « equilibrio instabile tra le forze sociali in lotta » che gli sembrava il fattore piu profondo e tuttora emergente della lunga «. crisi organica » dello Stato borghese. Questo vuol dire, credo, che era appunto l'ampissima ricognizione del terreno nazionale, del campo oggettivo e dinamico dei rapporti di forza operanti nella società, l'analisi estremamente densa e particolareggiata della formazione della classe dirigente, del senso comune, dei rapporti di classe e delle forme di coscienza attive nei processi di aggregazione politica e di classe, era tutto questo a dotare di superiore capacità conoscitiva e cli vasto respiro di prospettiva politica la chiave di interpretazione di quel singolare momento del dominio borghese nella società italiana: tanto piu singolare, per Gramsci, e potenzialmente aperto nella sua apparente chiusura totalitaria, quanto piu immediatamente connesso all'attualità oggettiva, sul piano europeo e mondiale, del problema del socialismo. In questo senso, la riflessione carceraria riprende direttamente, e sviluppa in una elaborazione piu esperta e avanzata, i motivi centrali della interpretazione già avviata negli anni precedenti, nel vivo della lotta contro il fascismo montante e poi del lucido disegno della nuova strategia clandestina della classe operaia. Forse è sostanzialmente mancato, negli studi su Gramsci e sul fascismo, il soccorso di questa connessione cosf significativa e fondamentale, cioè la piena consapevolezza della genesi politica specifica cli quella urgenza di intelligenza storica del fascismo che costituisce la trama e il sostegno di fondo della riflessione dei Quaderni. Gramsci vedeva già con chiarezza, nel vivo della lotta, 3 « Il fascismo cosf come ci si presenta in Italia è una forma particolare di reazione borghese che sta in rapporto alle peculiari

condizioni storiche della classe borghese in generale, e del nostro paese in particolare• (è la nota testimonianza riferita da A. Lisa, nel voi. Memoria. In carcere con Gramsci, Milano, 1973, p. 91).

30

Gramsci t l'egemonid degli 11nni Trenta

le « circostanze elementari», sociali e istituzionali, che determinavano la posizione politica del fascismo 4 , e cioè le premesse immediate, di ordine positivo (l'attività delle masse) e negativo (crisi di egemonia della classe dominante e dello Stato) di quella « piena atmosfera di colpo di Stato» che, in assenza di una lotta popolare organizzata e diretta dalla classe operaia, non potrà che risolversi « con un colpo di forza diretto contro gli organi centrali di Governo » 5• E cioè coglieva con una analisi di straordinaria lucidità, pur in scritti di immediato intervento, i meccanismi di fondo della crisi italiana, la centralità - in essa - dei « ceti medi e piccolo-horghesi », e insieme la loro impotenza a condizionare realmente qualsiasi soluzione politica della loro crisi. Di fronte ai partiti della « cosiddetta opposizione costituzionale», verso i quali pure il delitto Matteotti ha spostato per un momento l'oscillante paura della piccola borghesia, decimando la stessa originaria base di massa del movimento fascista, « qualsiasi soluzione parlamentare sarà impotente~= le illusioni dell'Aventino dimenticavano che « il fascismo nella sua vera essenza è costituito dalle forze armate operanti direttamente per conto della plutocrazia capitalistica e degli agrari» 6 • Il sistema di rapporti reali dentro il quale già qui è collocata l'essenza storica del fascismo, a parte le accentuazioni di volta in volta volute dalle scansioni oggettive della crisi italiana e perciò della delineazione dei compiti del partito, non subirà alcun mutamento sostanziale nella riflessione successiva di Gramsci. Al centro di quella essenza storica, tra gli elementi di fondo che la individuano, tra crisi del capitalismo (sua oltranzistica difesa) e percorso oscillante e passivamente protagonistico della piccola borghesia e protagonismo rivoluzionario mancato della classe operaia, un risalto primario (possibile oggetto di contraddittorie ricomposizioni politiche) acquiScritti politici, a cura di P. Spriano, Il, Roma, 1973, p. 223. s Ibidem, p. 250. Ibidem, III, p. 86.

4 6

31

Egemonia e fascismo

sta già ora l'elemento « classe politica tradizionale »: non già il suo « fallimento», ma l'effettiva incidenza che la annosa vicenda delle forze politiche e culturali tradi2ionali ha esercitato nella genesi del regime. Questa incidenza riguarda non solo le origini del compromesso e del potere legale 7 , ma altresi il momento in cui la crisi del fascismo nel '24, se non si risolveva nella sua caduta, non poteva che risolversi nella dittatura dichiarata, cioè in una soluzione di forza, che, superando il compromesso, difendesse dalla crisi la sostanza antidemocratica e anticomunista del compromesso, il potere reazionario del fascismo e il « carattere conservatore dell'antifascismo». Il compromesso non è da escludere assolutamente; esso è però molto improbabile. La crisi che attraversa il paese non è un

fenomeno superficiale, sanabile con piccole misure e piccoli espedienti: essa è la crisi storica della società capitalistica italiana, il cui sistema economico si dimostra insufficiente ai bisogni della popolazione. Tutti i rapporti sono esasperati: grandissime masse di popolazione attendono ben altro che un piccolo compromesso. Se questo si verificasse, esso significherebbe il suicidio dei maggiori partiti democratici ... Avverrà dunque un urto armato? Una lotta in grande stile sarà evitata sia dalle opposizioni che dal fascismo. Avverrà il fenomeno inverso che nell'ottobre 1922: allora la marcia su Roma fu la parata coreografica di un processo molecolare per cui le forze reali dello Stato borghese (esercito, magistratura, giornali, Vaticano, massoneria, corte, ecc.) erano passate dalla parte dd fascismo. Se il fascismo volesse resistere, esso sarebbe distrutto in una lunga guerra civile alla quale non potrebbero non prendere parte il proletariato e i contadini. Opposizione e fascismo non desiderano ed eviteranno sistematicamente che una lotta a fondo si impegni. Il fascismo tenderà invece a conservare una base di organizzazione armata da far rientrare in campo appena si profili una nuova ondata rivoluzionaria, ciò che è ben lungi dal dispiacere agli Amendola e agli Albertini e anche ai Turati e ai Treves 8 • 7 « Otl ha dato i suoi ministri al governo di Mussolini? I popolari questo lo sanno e lo sanno pure gli amici di Amendola e di De Cesarò. Chi ha illuso le masse, facendo credere alla possibilità ,che Mussolini •normalizzasse" il fascismo?• (Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, 1975, III, p. 89). s Ibidem, p. 103.

32

Gramsci e l'egemonia degli anni Trenta

Questa convergenza di forze in campo, questa dialettica sociale e culturale interna alla crisi italiana, cioè unificata in negativo dal rifiuto della classe operaia come agente primario della crisi e unica forza potenzialmente capace della sua risoluzione in avanti, questa è per Gramsci, nel '24, l'essenza del potere fascista nella società italiana (« la verità è che non esiste una essenza del fascismo nel fascismo stesso » 9 ). Il che è tutt'altro da escludere che si possa parlare di una «originalità» del fascismo, che « consiste nell'essere riuscito a costituire una organizzazione di massa della piccola borghesia »: una organizzazione militare, e cioè la forma di organizzazione possibile « per una classe sociale che è stata sempre incapace di avere una compagine e una ideologia unitaria » 10 • È per questo che la Milizia è il perno del partito fascista, a tal punto tributario di questa sua ragione organizzativa da essere totalmente inibito rispetto ad altri compiti: « non esiste un partito fascista che faccia diventare qualità la quantità, che sia un apparato di selezione politica d'una classe e di un ceto: esiste solo un aggregato meccanico indifferenziato e indifferenziabile dal punto di vista delle capacità intellettuali e politiche » 11 • Il che comporta che, in quanto tale, cioè ridotto alla sua forza intrinseca, il fascismo non possa conquistare lo Stato. Ché, « per conquistare lo Stato, occorre essere in grado di sostituire la classe dominante nelle funzioni che hanno una importanza essenziale per il governo della società. In I talla, come in tutti i paesi capitalistici, conquistare lo Stato significa anzitutto conquistare la fabbrica, significa avere la capacità di superare i capitalisti nel governo delle forze produttive del paese» 12 • 9 10 11

Ibidem, p. 100. Ibidem. Ibidem.

12 « Ciò può essere fatto dalla classe operaia, non può essere fatto dalla piccola borghesia che non ha nes&Una funzione essenziale nd

campo produttivo. La piccola borghesia può conquistare lo Stato solo alleandosi con la classe operaia•· « La formula •oonquista dello Stato" è vuota di senso in bocca ai fascisti o ha un solo significato: esco-

33

Egemonia e Iascismo

Si tratta, com'è evidente, di una v1s1one organica, cioè non piu correggibile perché fondata su di una analisi profonda della storia italiana, del nesso tra i caratteri specifici della reazione fascista e. la sua continuità nel « quadro della politica tradizionale delle classi dirigenti italiane e nella lotta del capitalismo contro la classe operaia » 13 : un nesso che per Gramsci non era una contraddizione, come sarà poi per le interpretazioni liberali e per i loro rovesciamenti ideologici (cioè per la tesi della « malattia » e per quella della « rottura epocale »). Giacché la contraddizione è il connotato costitutivo della stessa specificità, è tutta contenuta in essa: sta nella base sociale, tendenzialmente anticapitalistica, di una forma politica immediatamente diretta dal capitalismo alla repressione politica e sociale. L'originalità del fascismo, e cioè il fatto che esso « nella sostanza modifica il programma di conservazione e di reazione che ha sempre dominato la politica italiana soltanto per un diverso modo di compiere il processo di unificazione delle forze reazionarie », sostituendo « alla tattica degli accordi e dei compromessi il proposito di realizzare una · unità organica di tutte le forze della borghesia in un solo organismo politico » 14 , sta dunque nella necessità di ricomporre la contraddizione originaria e costante della sua funzione politica al di fuori della mediazione politica, all'unico livello al quale è possibile contenere il contrasto tra le rivendicazioni e le spinte ideologiche della sua base sociale e la direzione capitalistica della sua azione e della sua committenza reale. L'unità organica di tutte le forze della borghesia avviene al livello della organizzazione economica e della repressione, cioè della soppressione della politica: attraverso la messa in atto (siamo gitazione di un meccanismo elettorale che dia la maggioranza pm-lamentare ai fascisti sempre e ad ogni costo» (ibidem, p. 101). 13 Ibidem, p. 279. Si tratta delle tesi del Congresso di Lione, del '26, scritte da G r ~ con la collaborazione di Togliatti. « Esso è perciò favorito nelle sue origini, nella sua organizzazione e nel suo cammino da tutti indistintamente i vecchi gruppi dirigenti i. (ibidem). 14 Ibidem, p. 279.

34

Gramsci e l'egemonia degli anni Trenta

nel '26) di « una serie di misure... per favorire una nuova concentrazione industriale », di « altre misure a favore degli agrari e contro i piccoli e medi coltivatori ,. (« l'accumulazione che queste misure determinano non è un accrescimento di ricchezza nazionale, ma è spoliazione di una classe a favore di un'altra»), di misure finanziarie e di politica bancaria 15 ; nonché attraverso il rispondere alle « profonde reazioni delle masse » e al malcontento della piccola borghesia (« la quale credeva giunta l'era del suo dominio») con l'autoritarismo progressivo di un vero e proprio Stato di polizia, con l'abolizione dei sindacati, dei partiti, e con lo schiacciamento economico-organizzativo delle masse lavoratrici. Ai pericolosi spostamenti e ai nuovi reclutamenti di forze che sono provocati dalla sua politica il fascismo reagisce facendo gravare su tutta la società il peso di una forza militare e un sistema di compressione il quale tiene la popolazione inchiodata al fatto meccanico della produzione senza possibilità di avere una vita propria, di manifestare una propria volontà e di organizzarsi per la difesa dei propri interessi... La cosiddetta legislazione fascista non ha altro scopo che quello di consolidare e rendere permanente questo sistema 16•

~rto, l'immagine del fascismo risultante da questi scritti fino al '26 è inevitabilmente limitata a una parte della « conquista » fascista dello Stato e del processo di organizzazione della società italiana. Ma l'importante è che questa intelligenza esercitata a caldo, e lll organica relazione alla diagnosi della sconfitta del movimento operaio, rappresenta una esperienza ineliminabile, come un fondamento filologico e politico, rispetto all'analisi dei Quaderni: la base originaria di una riflessione che ora 15 « La soppressione delle banche meridionali come banche cli emissione farà passare questa funzione alla grande industria dd Nord, che controlla, attraverso la Banca commercia1e, la Banca d'Italia, e verrà in questo modo accentuato lo sfruttamento economico « col~ niale • e l'impoverimento del Mezzogiorno, nonché accelerato il lento processo di distacco dallo Stato anche della piccola borghesia meridi~ nale • (ibidem, III, p. 281). 16 Ibidem, pp. 282-283.

35

Egemonia e fascismo

si inoltra fino al plenum degli anni Trenta, libera da ogni scadenza prammatica e interamente affidata ai tempi lunghi della conoscenza e della strategia. A ben guardare, la struttura delle Tesi, che arrivano a parlare del fascismo seguendo il corso della storia sociale e politica dall'Unità (la lunga crisi dello Stato liberale, nella concretezza della lotta politica e di classe), si ripropone nella complessiva struttura teorica del successivo discorso gramsciano: in cui ogni grande settore tematico, il Risorgimento, gli intellettuali, la filosofia di Croce, le note sul Principe, le piu minute schede di registrazione di eventi politici e letterari, tutto si iscrive in una grande linea di interrogazione del passato da parte di un bisogno conoscitivo che ha nel presente del fascismo, cioè nel contenuto problematico delle forme di questo presente, il suo centro necessario e sistematico. Gramsci riprende e dilata, in forza di una elaborazione che crea nuclei autonomi di analisi teorica, il discorso fondamentale sul blocco storico dominante nella società italiana dal Risorgimento agli anni Trenta: sulle radici profonde del fascismo, sulla sua specificità dentro la storia della reazione borghese, cioè sul sistema di relazioni e di implicazioni attive che si esprime nella singolarità tutta storicamente determinata della crisi italiana. Non tanto piu le origini del potere fascista costituiscono l'oggetto della sua riflessione («Nella guerriglia civile il movimento fascista fu in linea con lo Stato, non contro lo Stato, altro che per metafora e secondo la forma esterna della legge » 17 ) quanto piuttosto l'equilibrio attuale delle contraddizioni, il « libero destino~ di quelle origini, cioè il tempo statuale di quella guerra di posizione contro il proletariato che sembra essere il mandato del regime negli anni Trenta. La trasformazione dell'economia e dello Stato, del meccanismo produttivo e del suo governo politico, diventano allora gli oggetti privilegiati dell'analisi gramsciana, in un rapporto strettissimo di interdipendenza che forse 11

36

Quaderni, cit., I, p. 809.

Gramsci e l'egemonia degli anni Treni•

non è stato colto in tutta la sua ricchezza di spessore teorico e di intelligenza storica. Gramsci non si poneva il problema di valutare in termini di astratta « modernità » le modificazioni introdotte dalla politica del regime nella organizzazione economica, la continuità o la rottura da quella realizzata rispetto al vecchio modello di produzione e di accumulazione capitalistica: bensi il problema del segno politico che orientava quell'intervento, della sua necessità rispetto al rapporto di fondo che legava il regime alla storica arretratezza delle classi dominanti, cioè rispetto alla impossibilità oggettiva di sviluppo reale della società, voluta dalla condizione inevitabilmente economicistica della politica e dello Stato fascista (la natura di classe del dominio in esso immediatamente formalizzato, al di là di ogni mediazione dialettica). Gramsci intuiva che l'intervento statale nella organizzazione dell'economia, la politica « di piano », la programmazione, cosi come sembravano avviarsi nei timidi tentativi del regime 18 , erano e sarebbero stati comunque « arretrati » perché realizzati da quello Stato a una dimensione, poverissimo di egemonia e cioè di autentiche basi di massa, costretto ad accentuare il sottosviluppo meridionale in funzione del blocco operaio-industriale, e dunque capace semmai di salvare l'apparato produttivo dalla rovina della crisi mondiale, ma al prezzo della miseria e della repressione delle masse produttive 19 • Ma conviene dirlo apertamente, cioè dire che non si tratta della realizzazione di un progresso effettivo, ma della constatazione di una arretratezza cui si vuole ovviare « ad ogni costo » 18 CTr. V. Castronovo, Potere economico e fascismo, in « Rivista di storia contemporanea», 1972, I, pp. 273-313; E. Santarelli, Storia del movimento e del regime fascista, Roma, 1%7, voi. II. 19 Quaderni, cit., III, p. 2157. :t!. una analisi confermata dagli studi piu recenti (cfr. V. Castronovo, La storia economica, nella Storia d'Italia, IV, tomo I, Torino, 1975). In particolare, sulla incapacità di assorbimento delle innovazioni tecnologiche da parte di un capitalismo industriale che non vuole lo sviluppo nel senso moderno, cfr. V. Castronovo, op. cit., p. 78; e A. Lyttelton, La conquista del potere, Bari, 1974.

37

Egemonia e /tUcismo

e pagandone lo scotto. Non è neanche vero che se ne paga lo scotto una volta per tutte: lo scotto che si paga oggi non eviterà di pagare un altro scotto quando dalla nazionalizzazione per rimediare a una certa arretratezza, si passerà alla nazionalizzazione come fase storica organica e necessaria nello sviluppo dell'economia verso una costruzione programmatica. La fase attuale è quella corrispondente, in un certo senso, alle monarchie illuminate del Settecento. Di moderno ha solo la terminologia esterna e meccanica, presa da altri paesi dove questa fase è realmente moderna e progressiva ».

Il prezzo sociale e politico di oggi sarà la condizione di un ritardo che la società italiana sconterà piu tardi, nel momento del passaggio effettivo --alla economia programmata. Sembra del tutto chiara la persuasione di fondo che impedisce a Gramsci ogni pur minima confusione tra la « razionalizzazione » fascista dell'economia e il taylorismofordismo. Il rapporto tra le due esperienze si costruisce anzi per opposizione, fondandosi per Gramsci sulla esistenza-inesistenza di classi parassitarie: e cioè sul peso che lo storico accumulo di masse di disoccupati e di funzioni sociali improduttive (i « pensionati della storia economica ») esercita in una struttura economica governata sostanzialmente dal reddito agricolo e dall'individualismo industriale, e caratterizzata costitutivamente dal crescente par~ssitismo dell'apparato amministrativo dello Stato 21 • Il genere di accumulazione capitalistica che è alla base del ~ 21

Ibidem, pp. 1749-17.50. 2 del 1933. Ibidem, p. 2143. Sulla elefantiasi burocratica, cioè sulla dilatazione della piccola borghesia parassitaria negli apparati dello Stato, dr. E. Ragionieri, in Storia d'Italia, 4, tomo III, Torino, 1976, p. 2097. Piu in generale, sul problema dello sviluppo economico e sociale, si veda l'importante studio di P. Grifone, Il capitale finan%iario in Italia, Torino, 1971, e la introduzione di V. Foa, che parla di « autogestione capitalistica del sistema, col costante aiuto amministrativo e l'avallo giuridico dello Stato•· Cfr. altres{ la persuasiva analisi di L. Villari (Economia fascista e capitalismo, in « Problemi dd socialismo i., 1970, n. 2), che esclude si possa parlare, per gli anni Trenta in Italia, di capitalismo monopolistico di Stato. Si tratterebbe, per lo stesso studioso (Processi di razionalizzazione nei paesi fascisti, in AA.VV., Crisi e piano, a cura di M. Telò, Bari, 1979, p. 146), di una « pianificazione senza riforme•, che non trasforma i rapporti sociali.

38

Gramsci e l'egemonia degli anni Trenta

fenomeno dell'americanismo è reso possibile appunto dall'inesistenza di questo dato storico della società europea, e italiana in particolare, ma insieme, in senso attivo, dal meccanismo che ne impedisce la formazione e ne elimina i residui, dal tipo di razionalizzazione produttiva, che non ha bisogno di figure professionali della mediazione, ma elabo!a essa stessa, a partire dalla fabbrica, l'elemento egemonico della persuasione (alti salari, ideologie produttivistiche, ecc.). Ora la « fanfara fordistica » che ha avuto inizio in Italia, se è sembrata segnare una prima incrinatura nella tenuta assoluta della vecchia mentalità dominante, è stata immediatamente seguita, nella propaganda del regime, dalla « conversione al ruralismo e all'illµministica depressione della città», dalla « esaltazione dell'artigianato e del patriarcalismo idillico ... » 22 • Si tratta cioè di una controversia ideologica ben lontana dal registrare o promuovere un mutamento di indirizzo nella politica economica del regime, nonché una modificazione reale - un .« ammodernamento » qualitativo - della nostra struttura produttiva L'opposizione americanismofascismo (o, meno ideologicamente, fordismo-governo fascista dell'economia) viene qui argomentata da Gramsci non piu in ordine alle premesse giuridico-costituzionali dei due sistemi, ma in ordine agli strumenti ed ai fini della loro iniziativa. Per quanto riguarda il primo dei due livelli, del resto, il tipo di Stato entro cui può darsi il processo di americanizzazione, lo Stato liberale, questo è molto piu - nel discorso gramsciano - di una forma astratta e di un modello classico, cioè di una condizione ineludibile in quanto formalmente esclusiva. È invece, a guardare bene, la forma politica complessiva dello sviluppo capitalistico nella fase avanzata della società di massa: ~ lo Stato è lo Stato liberale, non nel senso del liberismo doganale o della libertà effettiva politica, ma nel senso piu fondamentale della libera iniziativa e dell'individualismo economico che giunge con mezzi propri, 22

Ibidem, p. 2147.

39

Egemonia e fascismo 11

come « società civile per lo stesso sviluppo storico, al regime della concentrazione industriale e del monopolio» 23 • Sicché, è l'interruzione di questo « sviluppo storico », e cioè la continuità «necessaria» di un modo di produzione e di accumulazione arcaico e « semifeudale », è questo l'elemento che nega al regime fascista ogni possibilità di promuovere un «rivolgimento tecnico-economico». ,

La sparizione del tipo semifeudale del redditiero è (sarebbe) in Italia una delle condizioni maggiori del rivolgimento industriale ... , non una conseguenza. La politica economico-finanziaria dello Stato è (sarebbe) lo strumento di tale sparizione: ammortamento del debito pubblico, nominatività dei titoli, maggior peso della tassazione diretta. Non pare che questo sia o sia per diventare l'indirizzo della politica finanziaria. Anzi. Lo Stato crea nuovi redditieri, cioè promuove le vecchie forme di accumulazione parassitaria del risparmio e tende a creare dei quadri chiusi sociali 24 •

Non sembra che Gramsci dubiti ora, nel '34, della direzione e della qualità schiettamente conservativa e congiunturale della politica economica del regime: e neppure che la sua analisi corra mai il rischio di appiattire questa forma dell~ storia del capitalismo italiano alla misura di una semplice « variante » della morfologia mondiale del capitalismo. Al contrario, come la sua riflessione neutralmente incorpora nell'immagine dell'americanismo le contraddizioni nuove che quella civiltà suscita e contiene (la repressione indiretta, l'omologazione, la cinica teleologia dell'automatismo tayloriano), cosf scientificamente individua nelle forme « originali » della organizzazione fascista della società i segni e le sopravvivenze della vecchia storia italiana. La specificità del fascismo è sempre salva e parlante, in queste pagine letteralmente deformate da chi vi ha cercato un sostegno al mito corrente dello Stato organizzatore, all'ideologia del carattere comunque progressivo dell'organizzazione, del primato della politica 23 24

40

Ibidem, p. 2157. Ibidem.

Gramsci e l'egemonia degli anni Trenta

negli anni Trenta. Ed è una specificità che, nell'analisi . concreta, si configura sempre piu come lo sviluppo di una forma di organizzazione e di stabilizzazione delle condizioni di un sottosviluppo complessivo (non un « ristagno dell'economia», ma una accelerazione senza futuro delle possibilità produttive di una struttura economica già esaurita): in definitiva, si configura come la cristallizzazione burocratica, la fissazione ideologica e istituzionale, di un rapporto di produzione senza dialettica delle forze produttive. Tutta la sequenza di Americanismo e fordismo è attraversata dal rilievo della presenza e dell'assenza della classe operaia, dell'elemento-lavoro, dell'antitesi sociale, della produttività reale, nei due campi (società americana e italiana) che sono l'oggetto della sua riflessione. Alle note colorite e fervide sui lavoratori in America, sul proibizionismo, sul sesso, sul « gorilla ammaestrato » e sulla possibile crescita della sua coscienza e della sua lotta, fanno riscontro le pagine rigorose in cui la « razionalizzazione» del regime, come forma opaca senza riscontro di visi umani, si smonta in una distaccata verifica del suo economicismo subalterno. È anche questo il caso delle osservazioni sul corporativismo, per il quale, pur ricordandone le spinte originarie tutt'altro che progressive («l'indirizzo corporativo non ha avuto origine dalle esigenze di un rivolgimento delle condizioni tecniche dell'industria e neanche da quello di una nuova politica economica, ma piuttosto dalle esigenze di una polizia economica, esigenze aggravate dalla crisi del '29 e ancora in corso») 25 , Gramsci non sembra escludere un uso o un esito piu avanzato. Non sarebbe da escludere che la sua esistenza in quanto movimento ideologico, e le realizzazioni giuridiche già avvenute, abbiano creato « le condizioni formali in cui il rivolgimento tecnico-economico può verificarsi su larga scala » 26 , funzionando come strumenti di una « astuzia della provvidenza», cioè forme 25 26

Ibidem, p. 2156. Ibidem.

41

Egemonia e fascismo

di un rivolgimento possibile al di là o contro i propositi politici n. La proposta di Fovel, e in genere le motivazioni teoriche del « corporativismo di sinistra,., sono esaminate riguardo al tema centrale del nuovo ritmo di accumulazione capitalistica che il « blocco industrialei)roduttivo » autonomo consentirebbe, rispetto all'eccessivo consumo di plus-valore oggi inerente a un meccanismo produttivo costantemente sbilanciato dal parassitismo dei cosiddetti « produttori di risparmio». « La produzione del risparmio dovrebbe diventare una funzione interna (a miglior mercato) dello stesso blocco produttivo, attraverso uno sviluppo della produzione a costi decrescenti che permetta, oltre a una maggiore massa di plusvalore, piu alti salari». « Si dovrebbe avere cosi un ritmo piu accelerato di accumulazione di capitali nel senso stesso dell'azienda e non attraverso l'intermediario dei "produttori di risparmio", che in, realtà sono divoratori di plusvalore ». Teoricamente parlando, questo comporterebbe uno spostamento sostanziale delle alleanze di classe all'interno della produzione, e cioè una sostituzione del vecchio ceto improduttivo (redditieri, pensionati della storia economica, taglieggiatori del plusvalore) con la classe operaia e, in genere, con gli strati produttivi della società. Nel blocco industriale-produttivo l'elemento tecnico - direzione e operai - dovrebbe avere il sopravvento sull'elemento «capitalistico» nel senso piu «meschino» della parola, cioè all'alleanza tra capitani d'industria e piccoli borghesi risparmiatori dovrebbe sostituirsi un blocco di tutti gli elementi direttamente efficienti nella produzione, che sono i soli capaci di riunirsi in sindacati e quindi di costituire la Corporazione produttiva (donde le conseguenze estreme, tratte dallo Spirito, della Corporazione proprietaria) 28 •

Sennonché questo « rivolgimento tecnicO-«Ollomico », r, Alla luce di questa eventualità, Gramsci esamina le proposte di Fovel (con richiami a Spirito) della « corpo.razione proprietaria», anche nell'ipotesi che tale posizione sia ispirata da « determinate

forze economiche » pur interne ai « quadri dd vecchio industrialismo ». 218

42

Ibidem.

Gramsci e l'egemonia degli 1111ni Trenta

anche ammesso che ne esistano le condizioni formali, le strutture giuridiche, non è possibile in virru di una pura astuzia della provvidenza: sarebbe possibile solo se, al di là di simili « condizioni immediate », fosse l'effetto di una volontà politica, della « volontà decisa» di creare una nuova « struttura sociale » « e un certo tipo di Stato ». L'economicismo delle avanzate tendenze corporative si rivela cosi:, agli occhi di Gramsci, radicalmente intriso di idealismo, cioè come l'effetto ideologico di una separazione tradizionale tra economia e politica, o, che è lo stesso, di una assolutizzazione dello Stato economico come spazio di autopromozione degli intellettuali, primato delle competenze, e quindi unificazione di economia e politica al livello dell'apparente progressismo dell'ideologia, in realtà unificazione empirica dell'economia esistente e dello Stato esistente. Da questo complesso cli esigenze, non sempre confessate, nasce la giustificazione storica delle cosiddette tendenze corporative, che si manifestano prevalentemente come esaltazione dello Stato in generale, concepito come qualcosa cli assoluto e come diffidenza e avversione alle forme tradizionali del capitalismo. Ne consegue che teoricamente lo Stato pare avere la sua base politicosociale nella « piccola gente• e negli intellettuali ma in realtà la sua struttura rimane plutocratica e riesce impossibile rompere i legami col grande capitalismo finanziario.

È questa la ragione per cui l'ideologia corporativa, fondata sull'illusione di una razionalizzazione meramente organizzativa (« simile rivolgimento ~organizzativo" del1'apparecchio economico »), appare organica e subalterna alle tendenze generali del regime. Perché non ne mette in discussione la logica, i contenuti di potere: « In realtà finora l'indirizzo corporativo ha funzionato per sostenere posizioni pericolanti di classi medie, non per eliminare queste, e sta sempre piu diventando, per gli interessi costituiti che sorgono sulla vecchia base, una macchina di conservazione dell'esistente cosl com'è » 29 • 29 Ibidem, p. 2157. Cfr. S. Lanaro, Appunti sul fascismo « di sinistra•, in « Belfagor ,., settembre 1971.

43

Egemonia e fascismo

Sembra qui evidenziarsi, proprio nelle pagine sul corporativismo e sulla sua assolutizzazione dello Stato economico, la ragione di fondo dell'insistita riduzione della funzione e dell'incidenza politica di Gentile rispetto alla realtà complessiva del regime (della formazione dell' esperienza fascista a tutti i livelli della società italiana, e delle forme attuali del suo rapporto con i vari livelli della società italiana). Lo stadio « economico-corporativo» della statualità gentiliana, l'immediatezza della sua sublimazione dell'esistente, sono aspetti ideologici della storia sociale degli intellettuali, modi del suo sviluppo e della sua continuità primonovecentesca: ma non ne rappresentano l'elemento egemonico, il reale protagonismo rispetto alle forme politiche della direzione borghese. Registrano e glorificano il fatto, non lo spiegano in un disegno provvidenziale, in una durata comprensiva dei chiaroscuri della storia, e cioè nell'esercizio di una egemonia capace realmente di universalizzare lo Stato e di mettere in rapporto l'individuo con esso, anzi di collocarne l'universalità nella« società_ civile», dove ha il sostegno per diventare forma di una organizzazione reale. È per questo che non è Gentile, o il cot:porativismo, la garanzia ideologica piu complessiva della necessità del fascismo nella storia italiana, la condizione etico-politica che giustifica e risarcisce (perché riassorbe e trascende come momento di pura funzionalità congiunturale) la immediatezza economicoorganizzativa dello Stato fascista e della sua provvisoria rottura dello Stato liberale 30 • È bensl Croce, secondo Gramsci: « il partito ideologico della borghesia », il grande unificatore di quella « società civile » che comprende e supera nella prospettiva metapolitica della libertà l'angustia pur necessaria dello Stato economico-politico. Questa persuasione gramsciana è talmente disseminata nei Quaderni, talmente insistita nelle sue pronunzie piu esplicite, che certamente non c'è commento o parafrasi che possa sperare di renderla piu evidente e leggibile. ~

44

Cfr., in tal senso, i molti giudizi su Gentile, nei Quaderni.

Gramsci e l'egemonia degli anni Trenta

Complessivamente parlando, è proprio il nesso sorprendente che Gramsci pone tra Croce e il fascismo, tra operazione « restauratrice » crociana e regime reazionario di massa, a rendere possibile l'interpretazione del « movimento fascista» come rivoluzione passiva: non in sé, nella consistenza autonoma della sua forma politica di dominio, ma in quanto inserito in un sistema di funzioni che è esso a significarlo, « nelle condizioni attuali », come il movimento corrispondente a quello del liberalismo moderato e conservatore 31 • Croce sopprime il momento dell'antitesi, della rivoluzione, della lotta e della classe operaia, dalla sua storia tendenziosa dell'Ottocento italiano ed europeo, privilegiando l'aspetto «passivo», restaurativo, e da questa operazione storiografica ricava e propone un « paradigma » di storia in atto, la teoria della storia etico-politica, che assorbe e annulla in sé la contraddizione, l'elemento maschile della storia. Ebbene, se è possibile pensare che questa elaborazione crociana « abbia un riferimento attuale e immediato », cioè « il fine di creare un movimento ideologico corrispondente a quello del tempo trattato dal Croce... in cui si riusci cos{ a salvare la posizione politica ed economica delle vecchie classi... e specialmente ad evitare che le masse popolari attraversassero un periodo di esperienze politiche», allora occorre porsi la domanda se « nelle condizioni attuali il movimento corrispondente a quello del liberalismo moderato e conservatore non sarebbe piu precisamente il movimento fascista » 32 • L'uso crociano della congiuntura fascista, e cioè la spiegazione dell'apparente paradosso per cui « Croce, mosso da preoccupazioni determinate, giungesse a contribuire a un rafforzamento del fascismo, fornendogli indirettamente una giustificazione mentale », consisterebbe dunque nell'integrarne il ruolo subalterno di organizzatore economico e di strumento politico necessario ad una stra31 Cfr. le osservazioni di L. Mangani, Il problema del fascismo nei Quaderni, cit., pp. 414 sa. 32 Quaderni, cit., Il, pp. 1227-1228.

4.5

Egemonia e fascismo

tegia restaurativa di tipo liberal-moderato. Nelle condizioni attuali (caratterizzate dalla minaccia delle masse, politicamente attive fino al '24, e attivabili in ogni momento), l'operazione di controllo dall'alto della produzione e di saggia pianificazione dell'economia 13 sembrerebbe di fatto l'unica operazione « riformistica » formalmente non traumatica, e perciò non rischiosa per l'egemonia, garantita dal consenso, e insieme funzionale al mantenimento de] potere delle classi dominanti. Si tratta, come Gramsci dichiara, di una ipotesi ideologica 34 • Ma è certo che la « ambientazione » crociana le conferisce una plausibilità che, per una volta sola, arricchisce l'analisi del fascismo di riferimenti al livello del consenso e dell'egemonia. Per la prima volta i concetti di « sviluppo » e di « piano » si irrobustiscono di significati complessivamente politici: e la macchina economico-istituzionale del regime appare la funzione di un disegno storico che la include e la destina in un rapporto di piu ampio respiro. Si tratta del resto di una ipotesi ideologica che vale, importa politicamente, ben al di là delle forme della sua improbabile realizzazione: Che tale schema possa tradursi in pratica e in quale misura e in quali forme, ha un valore relativo: ciò che importa politicamente e ideologicamente è che esso può avere ed ha realmente la virtu di prestarsi a creare un periodo di attese e di speranze, specialmente in certi gruppi sociali italiani, come la grande massa dei piccoli-borghesi urbani e rurali, e quindi a mante13 « Nel quadro concreto dei rapporti sociali italiani questa potrebbe essere l'unica soluzione per sviluppare le forze produttive ddl'industria sotto la direzione delle classi dirigenti tradizionali• (ibidem, p. 1228). 34 « L'ipotesi ideologica potrebbe essere formulata in questi termini: si avrebbe una rivoluzione passiva nel fatto che per l'intervento legislativo dello Stato e attraverso l'organizzazione corporativa, nella struttura economica del paese verrebbero introdotte modificazioni piu o meno profonde per accentuare l'elemento « piano di produzione •, verrebbe accentuata cioè la socializzazione e la cooperazione della produzione sema perciò toccare (o limitandosi a regolare e controllare) l'appropriazione individuale e cli gruppo del profitto i. (ibidem).

46

Gramsci e l'egemonia degli 1111ni Trenta

nere il sistema egemonico (: le forze di coercizione militare e civile a disposizione delle classi dirigenti tradizionali 35 •

Com'è evidente, non si parla qui di due « categorie dello spirito» (liberalismo e fascismo) accostate o identificate in un astratto rapporto di continuità o dipendenza: ma neppure, beninteso, di due momenti «autonomi• della storia italiana e della sua direzione politica, relazionati in una alleanza tattica e congiunturale, al di là della diversa natura e dei destini divergenti. Gramsci sta parlando di fatti concreti, e di «ipotesi» strategiche fondate su dati inconfutabili della realtà degli anni Trenta. Sta parlando ancora una volta, e questa volta in una prospettiva tutta calata nel presente, del blocco storico dominante nella società italiana a partire dal Risorgimento, della sua crisi di egemonia e della sua forma ultima di dominio: crisi che consiste nel presentarsi ormai dissociate, non piu risolte nella sintesi dello Stato, delle forze dell'egemonia e del dominio, del consenso e della forza; e insieme del loro sotterraneo necessitare, al di là della dissociazione formale, di una complementarità operante, di una giustificazione consensuale della coercizione. L'egemonia liberal-moderata è costretta, dal crescere dell'attività delle masse nel dopoguerra, a patire una interruzione, una rottura delle sue forme istituzionali e politiche: per cancellare l'antitesi che l'avrebbe rovesciata e distrutta. Ha bisogno di suscitare, e certo di distanziare, una cultura allevata nel suo seno, cioè la propria riduzione pragmatistica e piccolo-borghese, la propria socializzazione piccolo-intellettuale, la versione attivistica e promozionale della propria contraddizione storica. Ma proprio per questo ha bisogno di costituirsi un'altra forma di Stato, dove la cancellazione dell'antitesi trascenda il livello esplicito della lotta di classe e della sua repressione, e si risolva nella continuità e universalità dei valori morali, che non si riferiscono a classi, perché riguardano l'urnalS

Ibidem.

47

Egemonia e fascismo

nità 36 • La specificità del fascismo è dunque, per Gramsci, il suo essere la forma esplicita di un dominio di classe esercitato per conto di una committenza egemonica che, per renderlo possibile, si dissocia da esso, delegandogli il terreno economico-corporativo dello Stato, e attribuendosi il campo allusivo e ideale della società civile come luogo privilegiato della nascita e della durata piu ampia della vera universalità dello Stato. Tutto questo è possibile - Gramsci lo ha affermato - per le condizioni reali della società italiana, cioè per quella struttura sociale (sacche ingenti di parassitismo, sviluppo abnorme della mediazione ideologica) che rende impensabile l'applicazione del regime fordista alla nostra organizzazione economica. L'americanizzazione comporta molte condizioni, ma la sua caratteristica risultante è il rapporto direttamente produttivo tra capitale e lavoro, la centralità della fabbrica come luogo di crescita del!'egemonia, cioè la sostanziale eliminazione dell'attività di mediazione ideologico-politica della funzione separata del.. l'intellettuale: l'assorbimento del consenso entro l'ambito stesso del rapporto di produzione. Ebbene, se anche per gli anni Trenta in Italia si deve parlare di rivoluzione passiva, se anche l'operazione fascista nel suo complesso è da includersi tra i fenomeni di rivoluzione passiva in relazione al grande momento rivoluzionario suscitato dall'ottobre sovietico, e se proprio per tale carattere questo momento di rivoluzione passiva è da collegarsi a quella classica che fece seguito alla Rivoluzione francese dal 1815 al 1870, ebbene allora appare chiaro che il fascismo, in tanto può intendersi come elemento di una rivoluzione passiva, forma italiana e specifica di quel generale processo di cui l'americanismo è espressione compiuta (per la 36 Gramsci lo nota a proposito dei tanti luoghi crociani dove questa funzione « statuale » è direttamente affermata: « 1o Stato, in questo senso, si identifica ron gli intellettuali •liberi", e ron quel gruppo di essi appunto che rappresenta il principio etico-politico intorno a cui si verifica l'unità sociale per il progresso della civiltà • (ibidem, p. 1087).

48

Gramsci e l'egemonia degli anni Trenta-

condizione fondamentale dello Stato liberale), in quanto non ci si limiti agli aspetti economici e istituzionali del regime (coercizione, controllo, negazione della iniziativa « di società civile »), ma in quanto lo si integri con l'elemento liberale ed egemonico che gli rimane formalmente estraneo: in quanto regime-istituzione di un sistema egemonico. L'americanismo è in sé rivoluzione passiva,. data la struttura sociale che consente la tendenziale identificazione tra organizzazione e consenso. Il fascismo non è in sé rivoluzione passiva n, lo è in quanto l'attività della mediazione-egemonia, che non è interna alla forma della organizzazione, trovi comunque la sua funzione, la « produttività » del suo parassitismo, nella sfera dello Stato. E lo Stato in cui questo avviene è appunto lo Stato ideale della società civile, la crociana storia etico-politica, giustificatrice del fascismo in una trama di rivoluzione passiva che lo comprende e lo « trascende ». Forse è inutile ricordare che la eventuale fondatezza di queste osservazioni gramsciane è comunque da vermcarsi nel piu largo contesto della sua riflessione su Croce,. sulla sua funzione di teorico della rivoluzione passiva, di « papa laico» della cultura italiana ed europea: nonché nell'impianto anche piu complessivo della meditazione teorico-politica di Gramsci, nella elaborazione della nozione di egemonia, di Stato, nella ininterrotta analisi della storia degli intellettuali, della « crisi organica», e della storia e della funzione del partito della classe operaia. Fuori di questo quadro minutissimo e complessivo, e cioè a prescindere dalla molteplicità e dall'unità profonda dei livelli analitici, può accadere ancora oggi di non penetrare il senso ultimo di questo lavoro: che è da cercarsi nella individuazione lucidissima degli effetti politici, dei meccanismi di egemonia e di dominio, della « formazione liberale » nella società italiana, attraverso la rivelazione 'SI Si vedano le osservazioni di N. Badaloni (Liberti individuale e uomo co/.lettivo in A. Gramsci, in Politica e storia, cit., p. )> proprio in riferimento alla impossibilità di ogni analogia tra americanismo e fascismo.

,3

49

Egemonia e Iascismo

della realtà dell'ideologia, della sua genesi reale dentro i processi della società e della sua concreta funzione dentro l'organizzazione e le istituzioni della società. Il fatto è che il pensiero di Gramsci è precisamente il contrario, il rovesciamento teorico, del primato dell'ideologia, del privilegiamento delle forme intellettuali nella visione storica del passato e del presente. Ma in tanto è qù~to, in quanto è la forma piu alta sinora proposta di conoscenza storico-materialistica del primato dell'ideologia, del suo effetto di dominanza e di occultamento dei processi reali. Entro la costituzione e il funzionamento del dato, nella struttura fenomenica del suo presente, Gramsci cercava le ragioni profonde, le garanzie connettive, i nuclei di storicità portante: non già altro dalle forme di organizzazione reale, ma i meccanismi di significazione e di riproduzione di quelle forme. Cercava lo Stato nella sua istituzionalità piu dilatata, piu comprensiva e durevole, ai livelli differenziati delle sue attuali trincee difensive, nei suoi diversi piani di ricomposizione della dialettica sociale, nelle sue sfere di mediazione complementari: non già sottovalutandone il volto della mobilitazione e della coercizione attiva, ma anzi cogliendone la forza e la possibilità di dominio nel sostegno concentrico delle casematte della « guerra di posizione », nella socialità delle mediazioni, nella congenialità oggettiva e di lunga gittata del movimento ideologico nella società civile È per questo che il bersaglio politico di Gramsci, e· della lotta egemonica della classe operaia secondo Gramsci, comporta l' anti-Croce come momento che comprende e supera quello della lotta al fascismo in quarito tale. Anzi, poiché bersaglio politico di una classe chiamata alla direzione nuova della società, comporta l'anti-Croce come condizione di uno sviluppo politico della classe operaia che di per sé implica il crollo del regime fascista. Non il contrario, come poi la storia ha insegnato. L'obiettivo politico della lotta al fascismo non poteva essere esaustivo della strategia di una classe chiamata alla direzione nuova della società, bensf pure esso funzionale al50

Gramsci e l'egemonia degli anni Trenlfl

l'altro e complessivo bersaglio, alla «disgregazione,. del blocco storico che sarebbe sopravvissuto al fascismo, rafforzato dalla sua caduta e pronto a gestire una nuova fase della rivoluzione passiva. L' anti-Croce era chiaramente per Gramsci la forma teorica di una critica politica di massa delle istituzioni liberali e dell'egemonia moderata nella società italiana: cioè la lotta per una riforma intellettuale e morale - perseguita da una azione politica in tal senso orientata - della struttura storica di una società in cui lo sviluppo ineguale, la patologia del «parassitismo,., il protagonismo instabile e improduttivo del ceto intellettuale, hanno reso necessaria e possibile una forma metapolitica dello Stato accanto o dentro, o formalmente fuori e persino contro, la forma politica dello Stato-amministrazione. Croce è, per Gramsci, l'espressione e il soggetto di riproduzione ideologica piu consapevole e armato di questa forma dello Stato borghese in Italia, della funzione dello Stato-coscienza nel liberalismo individualistico, esteticocompensativo, della piccola borghesia intellettuale, e, attraverso tale diffusissima mediazione, della religione della libertà, come ideologia di corpo e insieme universalità riparatrice delle mortificazioni «economiche• dell'organizzazione, nel senso comune delle masse imprcxluttive inseguite dallo spe_ttro del comunismo: cioè il Croce ideologo della storia come storia degli intellettuali, il Croce «istituzione», l'ispiratore delle forme di coscienza che hanno orientato e organizzato la soggettività sociale delle istituzioni, e, mediatamente, lo stesso funzionamento politico di esse nella durata reale dei contenuti e dei codici ideologici dentro le istituzioni del tempo fascista. Il Croce del primo Novecento, dell'enorme effetto di « morfinismo politico » e di coscienzialismo antidemocratico della Filosofia dello Spirito, e il Croce del dopoguerra, protagonista teorico e politico della distinzione (non già opposizione) tra liberalismo e fascismo, il Croce dell'etica che supera la politica e perciò è indifferente ai suoi errori empirici e tuttavia salutari. A differenza di alcuni suoi .51

Egemonia e fascismo

frettolosi lettori, che datano al 1911, o al 1913, o altrove, con sicurezza inversamente proporzionale all'analisi, l'estinguersi del dominio intellettuale di Croce, il Croce cui Gramsci attribuisce un « grandissimo significato» è quello che opera dal 1919 agli anni Trenta, quando si realizza lo « spostamento » dalla posizione «critica» a « una posizione tendenzialmente pratica e di preparazione all'azione politica effettiva» 38 • La forza di Croce, anzi, la grande funzione complessivamente politica dell'operazione crociana da allora ad oggi, che sta nell' effetto di separazione economicistica della classe operaia attraverso l'integrazione dei ceti medi al blocco ideologico borghese, procede proprio dal suo prendere le distanze dalla compromissione con l'immediato politico, dalla empiria sublimata in filosofia (attualismo): dal suo resistere, cosi, « alla pressione della realtà storica », al primato della politica comunque voluto dalla grande ondata di massa nel dopoguerra, nella consapevolezza che ogni subalternità ideologica a questa pressione aprirebbe la strada al bisogno di marxismo e di comunismo che urge dentro i movimenti profondi della società contemporanea. L'idealismo attuale fa coincidere verbalmente ideologia e filo-

sofia ( ...unità superficiale postulata da esso fra reale e ideale, fra teoria e pratica, ecc.), ciò che rappresenta una degradazione della filosofia tradizionale rispetto all'altezza cui l'aveva portata il Croce con la cosiddetta dialettica dei «distinti» ... La resistenza del Croce a questa tendenza è veramente « eroica ,. : il Croce ha viva la consapevolezza che tutti i movimenti del pensiero moderno conducono a una rivalutazione trionfale della filosofia della prassi. Il Croce resiste con tutte le sue forze alla pressione della realtà storica, con una intelligenza eccezionale dei pericoli e dei mezzi idonei per ovviarli. Perciò lo studio dei suoi scritti dal '19 ad oggi ha un grandissimo significato. La preoccupazione del Croce nasce con la guerra mondiale che egli stesso affermò essere la « guerra del materialismo storico•· La sua posizione « au dessus », in un certo senso, è già indice di questa preoccupazione ed è una posizione di allarme 39• 38 39

52

Quaderni, cit., p. 1356. Ibidem, pp. 135'-1356.

Gramsci e l'egemonia degli anni Trenta

Dal confronto, altre volte piu diffuso ma qui incentrato sull'opposizione di fondo tra l'indistinzione attualistica di partito e Stato (ideologia e filosofia) e la distinzione crociana di politica e cultura, sociologia e teoria, risulta evidente la ragione per cui Gramsci riconosce nell'operazione di Croce un'ampiezza di manovra egemonica, uno spessore di elaborazione e una idea di Stato, rispetto a cui la « degradazione ~ gentiliana rappresenta un esito banalizzante e riduttivo, nonché compromettente e povero di espansività. Poteva essere, e fu, l'ideologia della commutazione politica immediata di un piccolo vertice del ceto intellettuale nel tempo che corre dalla repressione di fine secolo al caos postbellico: ma in tale sogno promozionale materializzava e bruciava l'universale funzione del primato della coscienza come mediazione spirituale di un ceto « generale », non sociologico, superiore alle classi, essenziale alla loro conciliazione. L'attualismo economicizzava la sua « matrice necessaria », la filosofia crociana, come sua dipendenza interna, sua funzione-limite di giustificazione dell'esistente. « La necessità per il Croce e per la filosofia crociana di essere la matrice dell'attualismo gentiliano» designa chiaramente l'origine e la durata oggettiva di un rapporto tra due funzioni ideologiche del blocco storico dominante nella società italiana, di due forme di cui una comprende l'altra distinguendosene, e perciò superandone la necessità in una sua necessità storica piu durevole. L'importanza della funzione di Croce « dal punto di vista dell'egemonia, come ordinatore dell'ideologia che dà il cemento piu intimo alla società civile e quindi allo Stato» 40 , è tutt'altro evidentemente che nel valore assoluto della sua superiorità filosofica (che l'analisi di Gramsci non fa che storicizzare, cioè ricondurre alle spinte reali, economiche in ultima analisi). La sua importanza, la sua necessità di competere e di distinguersi dall'attualismo, sta nell'ordine del rapporto piu generale tra liberalismo (blocco storico-ideologico fondamentale) e 40

Ibidem, p. 13.56. 53

Egemonia e fascismo

fascismo: nella ricognizione del terreno oggettivo di formazione e di crisi dello Stato unitario, della storia dei gruppi dirigenti, della struttura reale e della mediocre egemonia borghese nella sòcietà italiana. Sta nella storicità cli un dominio di classe che in tanto può giustificare una sua difesa cosf repressiva contro l'attività delle masse, in quanto non si identifica formalmente con essa, anzi la dichiara una necessità da superare, e distingue in essa la funzione empirica e amministrativa dello Stato (fase economico-corporativa dello Stato politico) per attribuirsi e conservare la prospettiva cli lungo termine dello Stato in quanto civiltà-moralità 41 • Proprio all'altezza del problema dello Stato, la distinzione crociana tra società civile e società politica, cioè il primato dell'etico-politico sull'economico-politico, era per Gramsci una posizione enormemente piu « avanzata » (cioè egemonica, in quel momento e per quello successivo) di quanto non fosse la « fase statale positiva » rappresentata da Gentile, che « pone la fase corporativo-(economica) come fase etica dell'atto storico: egemonia e Stato sono indistinguibili, la forza è consenso senz'altro ... : esiste solo lo Stato e naturalmente lo Stato-governo• 42 • Perché dietro questa posizione non c'era che l'apparato coercitivo dello Stato fascista: nonché la «politicizzazione», come si usa dire parlando in realtà dell'attivismo ideologico, cli una sparuta minoranza cli intellettuali. Dietro l'altra c'era un apparato piu grande, che lo comprende, lo rende possibile nella passività del consenso, nella spoliticizzazione di massa. C'era un apparato «privato» che a suo modo organizzava da trent'anni la società civile, forniva il « cemento piu intimo», di incalcolabile tenuta, alla disgregazione reale dei ceti parassitari meridionali, alla storica insofferenza antistatuale della piccola borghesia, offriva un riferimento «universale» al senso comune, una religione 41

Cfr. la celebre analisi teorica dei momenti del « rapporto di

forza» (ibidem, pp. 1583-1.58.5). cz Op. cit., I, p. 691.

54

Gramsci e l'egemonia degli anni Trenta

della libertà alla schiavitu della società improduttiva, separandola dalla politica, organizzandola come base di massa a quel dominio economico-politico e unificanàola alla grande madre borghese in nome del comune nemico, il comunismo e la classe operaia. Nasce di qui !~immagine perentoria della « concordia d.iscors » come espressione oggettiva della funzione storica di Croce nel tempo del fascismo: che è appunto il risultato di una analisi estremamente articolata e complessa, fondata da lontano, dell' « ultimo uomo del Rinascimento », dell' « intellettuale cosmopolita », che Gramsci indicava alla classe operaia come oggetto pregnante della lotta per la nuova egemonia e perciò per la conquista politica della società italiana. L'operosità del Croce appare oggi come la piu potente macchina per « conformare ,. le forze nuove ai suoi interessi vitali (non solo immediati, ma futuri) che il gruppo dominante oggi possiede e che io credo apprezzi giustamente, nonostante qualche superficiale apparenza. Quando si gettano in fusione corpi diversi da cui si vuole ottenere una lega, l'apparenza superficiale indica appunto che la lega si sta formando e non viceversa. Del resto, in questi fatti umani la concordia si presenta sempre come discors, come una lotta e una zuffa e non come abbracciamento da palcoscenico. Ma è sempre concordia, e delle piu intime e fattive 43 •

43

Lettere da/. carcere, Torino, 1965, pp. 633-634.

55

CAPITOLO TERZO

Cultura e organizzazione

Credo che una interpretazione corretta del fascismo, e cioè un tentativo di intelligenza concreta del rapporto tra cultura e fascismo, una impostazione non ideologica di questo nodo fondamentale della storia della società italiana negli anni Trenta, non possa oggi in alcun modo prescindere dalla interpretazione gramsciana, dal suo valore eccezionale di testimonianza e dallo spessore complessivo delle sue implicazioni teoriche e politiche; non certo per accettarla acriticamente, ma almeno per verificarla, per coglierne comunque il senso e le condizioni, eventualmente per limitarne la fungibilità rispetto alla necessità di un bilancio evidentemente complicato da quarant'anni di storia sociale e di esperienza politica. Certo per non rischiare di rimuovere una esperienza conoscitiva cosi motivata e sofferta in nome di una visione preconcetta degli anni Trenta, cioè di una continuità ideologica rispetto all'una o all'altra immagine di sé che quella stagione ci ha trasmesso: di una continuità storicistica dello stesso schema conflittuale liberalismo-fascismo, CroceGentile, cultura e politica, che alcuni intellettuali fascisti divulgavano, inconsapevolmente ripetendo e materializzando la ragione politica profonda della egemonia crociana. Si tratta di verificare, mi sembra, in una analisi che renda attive e complessivamente significanti le utili indagini già avviate sugli aspetti quantitativi e legislativi delle istituzioni fasciste della cultura, l'effettiva funzione politica della cultura italiana nel suo complesso rispetto alla organizzazione della società negli anni Trenta, e insieme l'incidenza di questa organizzazione, e del regime nella sua ampia accezione, rispetto alle modificazioni della produzione e del ruolo intellettuale sollecitate dallo svi57

Egemonia e fascismo

luppo della società almeno dal primo Novecento agli anni della grande crisi mondiale: dove perciò sia chiara la necessaria distinzione, spesso offuscata, tra processi sociali e risposte politiche, tra tempi oggettivi della mutazione e forme di possibile incidenza della sua gestione politica, cioè delle istituzioni che intervengono nel processo .di mutazione sociale e gli imprimono comunque un orientamento; e dove sia altrettanto chiaro che l'interpretazione di tale vicenda (rapporto tra sviluppo oggettivo e sua direzione politica) dipende fortemente dal respiro teorico che sostiene le nozioni stesse di « politica » e di « organizzazione », cioè dalla distanza che corre tra una accezione formale, economicistica e sociologica, di questi concetti, ed una accezione forte (politica in senso gramsciano) della loro funzione di direzione e di egemonia. Nel primo caso, appunto, la funzione politica della cultura italiana negli anni Trenta sembrerebbe ridursi alle dimensioni propagandistiche o di potere-governo dell'apparato culturale del regime, e complementarmente dovrebbe negarsi, in quanto sopravvivenza di una tradizionale separazione, per quanto riguarda l'attività intellettuale estranea al regime: e l'incidenza della organizzazione fascista verrebbe individuata nella moltiplicazione e settorializzazione degli istituti e delle forme associative della cultura e della professionalità, attraverso cui lo Stato fascista intese realizzare il controllo della società e in particolare degli intellettuali, « sviluppando» cosi per ciò stesso, e cioè in queste forme di istituzionalizzazione e di controllo, la politicizzazione degli intellettuali, la trasformazione del loro ruolo e della loro coscienza del ruolo. Nel secondo caso, la funzione politica della cultura andrebbe invece cercata nel rapporto complesso ma non misterioso tra forme di coscienza e forme di organizzazione, nella formazione del senso comune e dei suoi contenuti profondi; e l'incidenza politica dell'organizzazione culturale fascista andrebbe cercata nella sua eventuale capacità di produrre, in risposta alla crisi cli un vecchio ruolo ideologico (di una forma separata della 58

Cultur• e organir.uvone

riproduzione e della mediazione), una modificazione complessiva della funzione intellettuale, del suo rapporto con la politica e con lo Stato, una socializzazione della produzione del sapere in quanto funzione della espansione dello Stato, e perciò in quanto contenuto e terreno reale del funzionamento e della prcxluttività politica delle istiruzioni. Voglio dire che il problema riguarda la misura e la direzione in cui il regime fascista, il tipo di organizzazione sociale da esso promosso e realizzato negli anni Trenta, ha risposto ai processi di crisi del ruolo produttivo e della funzione politica della cultura già maturati oggettivamente nell'ultimo ventennio dello Stato liberale; in che misura ha modificato, non tanto gli atteggiamenti ideologici e le forme piu elaborate di coscienza di singoli intellettuali (la storia delle idee in sé), e neppure le istituzioni del lavoro intellettuale di massa in quanto mcxli puramente giuridico-formali (la storia delle forme in sé), quanto il funzionamento sociale reale del ruolo intellettuale nelle sue molteplici specificazioni: che consisteva prima, comunque (in forme liberamente culturali e poi sempre piu istituzionalizzate e impersonali fino al progressivo esautoramento nei partiti e nello Stato), nella produzione e gestione della politica, cioè nella elaborazione e diffusione e nell'esercizio a vari livelli della mediazione tra i conflitti di classe e la loro ricomposizione nella sfera statuale. Questa indicazione è indubbiamente generica, se non è il risultato di una analisi storica del ceto intellettuale in Italia almeno dall'Unità al tempo del regime fascista, come appunto era per Gramsci, nelle sue grandi linee e nei suoi nodi fondamentali: dal rapporto città-campagna nelle lotte del Risorgimento alla formazione della burocrazia nell'articolazione dello Stato unitario, dalle forme di autorganizzazione di gruppi intellettuali nell'età giolittiana alla grande operazione di morfismo politico costruita da Croce. Certo è che questo esercizio, ai suoi vari livelli, viene ad essere modificato dall'avvento della società di massa, 59

Egemonia e fascismo

e comunque dai processi di industrializzazione e di organizzazione politica delle masse, che mettono progressivamente in crisi, nel primo Novecento, la funzione e lo spazio di mediazione dello « Stato liberale »: quando cioè si apre la contraddizione fondamentale tra la crescita tendenzialmente di massa del ceto intellettuale (dunque della mediazione, ai livelli sempre meno elaborativi e sempre piu d'esercizio) e il processo di specializzazione e di istituzionalizzazione della politica (partiti e organizzazioni sindacali). È difficile comprendere, fuori di questa spinta reale, la grande e unitaria immagine di autonomia e di rivolta ideale elaborata dalla piu rappresentativa intellighentia primonovecentesca. La verità è che l'alta cultura tende a formalizzare una sua ideologia della separazione (perdita dell'aureola-universalità alternativa) quando nasce una tecnica della mediazione che sembra renderla politicamente superflua. E d'altra parte i fenomeni notissimi di autopromozione attivistica alla politica (nazionalismo, vocianesimo, futurismo) rappresentano, nella stessa fase, la spinta spontanea all'esercizio della nuova universalità da parte di un corpo sociale esautorato nell'antica funzione politica della universalità culturale, precipitato nell'economico (sviluppo di massa) e terrorizzato dalla democrazia in quanto standardizzazione, anonimato dell'uguaglianza e sua organ.i?zazione 1• Ora, il movimentismo del ceto medio nell'immediato dopoguerra 2, e in esso l'eclettismo ideologico di quel 1 Persino ai livelli moralmente piu alti sarà possibile riconoscere i segni durevoli di questa vicenda comune. Si ricordino le affermazioni assai simili di due importanti intellettuali di formazione idealistica, presto allontanatisi da Gentile: G. Lombardo Radice (« anror piu dei fascisti, noi siamo anticomunisti.», nel '23, Accanto ai mae-

stri, poi in Nuovi saggi di propaganda pedagogica, Torino, 1925, p. XV); e G. De Ruggiero (meglio il fascismo che il trionfo del movimento operaio! Cfr. alcuni scritti del '24, ricordati da E. Garin, Intellettuali italiani del XX secolo, Roma, 1974, pp. 119 ss.). 2 n movimento dei combattenti (studiato da G. Sabbatucci: I combattenti del primo dopoguerra, l,\ari, 1974) ne rappresenta un episodio assai significativo: per la spinta di sinistra di una fou.a intermedia che presume di agire al di sopra e contro i partiti di massa.

60

Cultura e organiuazione

polo di indubbia attrazione che fu il movimento fascista,. il sovversivismo innescato da una frustrazione di massa e amministrato da una élite di piccoli intellettuali senza partito o già transfughi dalle organizzazioni, è un fenomeno sicuramente legato a questa ideologia della conversione politica del protagonismo intellettuale, cioè a questo immediato rovesciamento pragmatico di un deperimento oggettivo del vecchio ruolo nelle trame moltiplicate della società di massa. Lungi dall'essere una risposta politica a questo processo, il fascismo originario ne era dunque una espressione ideologica, cioè una forma tutta interna alla sua immediatezza sociale (come, del resto, le sue varie « fonti », da Corradini a Mosca a Sorel). E continuerà ad esserlo, com'è noto, anche oltre la marcia su Roma in vagone letto: cosi nella resistenza della « prima ondata » entro la prima stabilizzazione nazionalistica del partito-organizzazione, come nel sogno della « seconda ondata » che ripropone il partito-movimento contro il vincente partito-stato 3 ; e persino poi, all'interno dello Stato-regime (della normalizzazione totalitaria che spegne quell'incomodo protagonismo sociale), nello spazio separato concesso a piccoli gruppi intellettuali, nel senso ultimo dei loro dibattiti progettuali, della loro inquietudine sociale in cerca di rappresentanza politica. Per gli intellettuali e per la cultura, il tempo del regime sembra disegnarsi come la lunga ricerca di un ruolo in un universo « tutto politico», e perciò senza deleghe e senza ruoli. È un lungo processo, che non a caso inizia Ma, piu in generale, sulla « emergenza » di un protagonismo piccoloborghese, legata alla crisi economica e sociale del dopoguerra e alla dissoluzione dello Stato, è ancora illuminante il volume Nascita e avvento del fascismo, Firenze, 1950, di A. Tasca: a parte gli studi successivi, già ricordati o citati in seguito. 3 Si tratta della opposizione alla evoluzione « borghese » e costituzionale del fascismo da parte degli intransigenti e dello squadrismo provinciale. Ne furono espressione, com'è noto, il «Selvaggio,.. di Maccari e « La conquista dello Stato •, di Malaparte, a partire· dsl 1924. Interessanti analisi del dibattito, e della polemica strapecsana piu in generale, nel voi. della Mangoni, L'interventismo del/4cultura, Bari, 1974.

61

Egemonia e Iascismo

emblematicamente con Gentile e finisce emblematicamente con Croce: e cioè inizia con una relativa aggregazione ideologica intorno all'intellettuale che piu di ogni altro esprime la vocazione statuale del movimento (Gramsci: lo Stato assoluto degli intellettuali), e termina con una uscita di massa all'insegna della religione della libertà e del primato etico-politico della coscienza. In realtà, la stessa autocandidatura dell'avanguardia intellettuale al potere politico, cosl estroversa nel mito gentiliano dello Stato assoluto, non era che la metafora ideologica della immediatezza del movimento, l'espressione di un individualismo piccolo-borghese minacciato dall'autoritarismo reale

incomunicante rispetto all'enorme spazio di un « consenso » ben altrimenti assicurato, il lusso della libertà d'opinione e di dibattito è una realtà inversamente proporzionale alla compattezza massimale della repressione politica. Non è inutile rilevarlo, perché è anche questo un elemento interno alla logica del regime, alla qualità dei suoi rapporti con la società italiana, cioè al suo modo di dirigerla, di conservarne le contraddizioni, di non trasformare i ruoli. L'iniziativa degli intellettuali « pensanti » e « scriventi », rivolta a promuovere la funzione politica della cultura, si moltiplica negli anni Trenta nelle forme piu varie di un «interventismo» tanto piu esaltato e concorde quanto piu ogni volta rimbalzante nello spazio chiuso dell'ideologia: significandosi in una sorta di rodaggio dei bisogni, in un tirocinio di predisposizione involontaria all'avvento di un altro spazio politico. E forse il caso piu clamorosamente velleitario di fedeltà a un fascismo irreale, di estraneità al fascismo dentro il ghetto ideologico tenuto in vita dal fascismo, è quello di Berto Ricci e del suo foglio, l' « Universale », anch'esso organo di un certo « realismo », e soprattutto anch'esso impegnato sui temi politici di vario genere: dalla politica estera al « corporativismo morale», dalla burocrazia all'impero. In realtà, fra tanta eversione di miti tradizionali (la Chiesa, la cultura idealistica, il capitalismo), la polemica di Ricci non sfiora mai l'analisi di queste realtà tradizionali e presenti: perciò sopravvive ad ogni delusione, a differenza del piu travagliato anticonformismo di Garrone :a>. Preda di tutti i fermenti 20 Sulla posizione di Gattone, cfr. A. Panicali, Appunti sul realismo degli anni Trenta: Dino Garrone, in « Angelus Novus i., n. 23, p. 1972; nonché L. Mangoni, L'interventismo della cultura, Bari., 1974.

93

Egemonia e fascismo

attivistici e antidemocratici della nostra cultura primonovecentesca, Ricci sembra affidare all'operazione retorica dell' « Universale » il compito di aggregare l'intellighenzia autonoma, « il meglio dell'Italia pensante e scrivente», e di attribuirle il mandato « spirituale» di costruire la nuova forma politica del fascismo 211.. Ma l'en. tusiasmo dell'azione, della guerra di Etiopia, lo riconvertiva subito alla rivoluzione che « torna allo squadrismo attraverso l'espansione imperiale» (25-2-1935): che era il segno di una autodegenerazione attivistica, di un protagonismo rovesciato, di quel ruolo intellettuale impossibile e perciò destinato ad ogni sorta di riconversione. Il fatto è che, ove si eccettui l'opportunismo oggettivo o anche il piu esplicito integralismo fascista di buona parte della cultura cattolica, tanto piu organica al regime quanto piu tesa ad usarne lo spazio in funzione di una pur variamente intesa cattolicizzazione della società e dello Stato 22 , la spinta antiidealistica (antigenL'« Universale•, 25.6.1933 e 10.5.1934. Mi riferisco al cattolicesimo ufficia:le e all'attività dei gruppi intellettuali piu influenzati dalle sue scelte dottrinarie e politiche (non escluso il gruppo del «Frontespizio•, anche nella fase in cui piu vi opera la direzione culturale - certamente piu elaborata e meno settaria - di Don Giuseppe De Luca: dr. le pagine equilibrate ed efficaci di L. Mangoni, op. dt., pp. 239-283). Sui rapporti tra Ouesa e regime dopo il C.Oncordato, e dunque sulle posizioni politiche del mondo cattolico piu responsabile, gli studi sono ormai molto avanzati (oltre quelli di Scoppola, ed altri già ricordati, mi limito a indicare: G. Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, Roma, 19723 ; C.A. }emolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino, 1%75 ). Stenta invece a svilupparsi l'analisi della dialettica culturale interna al mondo cattolico, delle posizioni in qualche modo organizzate e autonomamente operanti al di là della presenza diffusa di intellettuali cattolici nei vari dibattiti culturali e politici degli anni Trenta: l'analisi cioè dei gruppi di « cattolici intcllettuali •, piu che di «« intellettuali cattolici•, come diceva Don De Luca con significativa distinzione (interessanti, intanto, le ricerche di R. Moro, ora proposte nel voi. La formazione della classe dirigente cattolica, Bologna, 1979; e alcuni contributi offerti dal voi. coll. I cattolici tra fascismo e democrazia, a cura di P. Scoppola e F. Traniello, Bologna, 1975). In realtà, con la caduta di ogni illusione sulla « riconquista • cattolica dello Stato (a partire dal '31, dalla prova di forza e dalla 21 22

94

L'alternativa culturale

tiliana) che unifica le varie tendenze della giovane intellettualità italiana non può non leggersi, nei primi anni Trenta, come l'espressione univoca cli una crisi complessa, che ha al suo centro il piu o meno globale rifiuto di minaccia di scioglimento dell'Azione cattolica da parte del regime, preoccupato delle conseguenze del C.OOcordato in ordine al problema dell'educazione e dell'organizzazione dei giovani), l'integralismo cattolico dové concedere spazio a posizioni piu morbide e di lungo respiro: certo avversandole il piu possibile (a parte la gerarchia e la polemica piu sottile dei Gesuiti, il gruppo di «Vita e pensiero i., dell'Università cattolica, Gemelli in testa, continuerà a rappresentare l'ala pu intransigente e piu disinvoltamente «fascista• della cultura cattolica), ma senza poter evitare che una parte cospicua della llite intellettuale animata dall'impegno della « presenza cristiana• nel mondo contemporaneo si orientasse verso un tipo di rapporto meno l'O'LZSIIlente antagonistico e repressivo con la cultura moderna. Questa distinzione di atteggiamenti e di disposizioni di metodo è ormai acquisita, e in generale è proposta come la distanza-complementarità, nell'ambito di una comune matrice dogmatica (teorica), tra una strumentalizzazione totalitaria della politica (l'uso dello spazio offerto imprevedibilmente dall'autoritarismo fascista alla «riconquista• cattolica, dopo l'offesa dell'eresia liberale) e un impegno culturale invece rivolto a preparare strumenti piu sensibili di assimilazione di alcune spinte del mondo moderno: la storia interna della FUCI di Montini e Righetti è in gran parte la storia di una preparazione e di una altemariva di questo genere, distante dall'integralismo manicheo del gruppo gemelliano ma anche dal popolarismo della recente tradizione sturziana e dall'ispirazione sociale di certo sindacaUsmo ca~ lico (sulla FUCI e sui dibattici della « Azione fucina•• cfr. G. Marcua:i Fanello, Storia della Federazione Universitaria Cattolica Itali11na, Roma, 1971 ). Quello che certo è meno chiaro è il rapporto che deve istituirsi (pena la rinunzia a conoscere storicamente alcuni processi fondamentali della vita italiana in questo quarantennio) tra questa propedeusi «culturale• del mondo cattolico negli anni Trenta, questa sua verifica metodologica (importante !!articolo di Montini, I cattolici e la cultura, in « Azione fucina» del 31.8.1930), e la qualità e la tenuta eminentemente (esclusivamente) politica della sua «presenza• nella fase della ricostruzione e della gestione dello Stato liberaldemocratico: cioè la maggiore e sempre piu funzionante organicità della esperienza laica e pluralista di questa « terza via» della cultura cattolica (tra integralismo e popolarismo) rispetto al bisogno di nuove forme di direzione liberal-democratica dello sviluppo imposto al capitalismo italiano nella fase democratica della società di massa. Credo che, rispetto a questo problema estremamente complesso, almeno alcune considerazioni preliminari si debbano proporre, proprio riguardo al singolare « giacobinismo • che questi intellettuali cattolici degli anni Trenta a lor modo disegnano nella ideologia elitaria della « presenza cristiana nel mondo», dei portatori di verità

95

Egemonia e fascismo

uno Stato sostanzialmente estraneo alle spinte nuove della società (antiborghesismo, anticapitalismo, corporativismo, partecipazione di massa), carente di prestigio e di direzione ideale perché non bisognoso della funnell'azione collettiva, e cioè in questa idea di cultura come assimilazione di metodi, esercizio di incontri, beccssaria mediazione e appunto presenza nel mondo. Forse quando si parla di cultura cattolica, si dovrebbe tener conto piu spesso di questa specificità, cioè del suo .carattere di « vocazione i., di delega temporale (distinzione di poteri -e responsabilità) di un discorso di ordine superiore. La problC'lll1ltica della crisi, negli anni Trenta, può offrire un esempio interessante di questa specificità. 1) La certezza preventiva della qualità morale ed escatologica della crisi, e dunque della inevitabile -qualità cristiana della sua solll2lione, è la condizione specifica di una concezione e di una pratica del ruolo intellettuale, e cioè di una rimozione sostanziale della sua crisi sociale e politica, che rendono inessenziale quella ricerca di identità che sollecita in vari modi l'esperienza critica della cultura contemporanea. Perciò questa cultura cattolica non può essere una cultura di ricerca e di elaborazione teorica, ma un progetto cli ronciliazione e di autoverifica a partire da un principio di verità a ari riportare i bisogni e gli errori del mondo. 2) Tale natura politico-culturale, e cioè pratico-funzionale rispetto a una teoria in sé data e immodificabile (dogma), dell'impegno dei gruppi cattolici piu .avanzati, è tutta inerente alla concezione stessa della conquista cristiana della sooietà e alla necessità di correzioni tattiche in essa sollecitate dalla ormai irreversibile esperienza della distinzion~separazione tra Stato e Chiesa. L'autonomia della politica, proposta da Maritain in altre condizioni politiche e istituzionali, nasce nei gruppi fucini proprio dall'assoluta impossibilità di una autonomia teorica della politica e della cultura, e cioè dalla strumentalità compromissoria dell'agire-nel-mondo rispetto a un disegno di conquista di natura spirituale. Non è una autonomia per attribuzione di complessività, un primato teorico o storico, ma, al contrario, uno scarico di relatività, un compartimento-stagno pragmatico del foro interiore. Non vive un rapporto di indipendenza e di autodecisione rispetto all'ordine ideale: ma di distinzione subordinata, tecnica, di imperfezione giustificata (resa giusta, riparata) ad esso. È la mediazione tra le conflittualità e le istituzioni del «secolo» (economia, classi, società civile, cultura, Stato), vocata alla loro ricomposizione. Ed è proprio la sua assoluta .eteronomia a renderla assolutamente autonoma nello spazio storico, ,che le compete. Questo rapporto risulterà certo piu visibile nella fase del dominio politico dei cattolici sulla società italiana. Ma è già ffVvertibile nell'impegno culturale degli anni Trenta, nel lavoro di formazione di quadri intcllettuali aperti alla assimilazione del sapere moderno proprio nei modi di un aggiornamento metodologico e di una integrazione di contenuti politici, e mai di un confronto teorico e di una messa in discussione dei principi, evidentemente. 3) Questa .autonomia della politica, il primato della mediazione come drluizioneestenuazione delle risposte di ricomposizione dei processi reali, l'etica

96

L'alternativa culturale

zione trainante degli intellettuali (onde il ruolo esclusivamente ideologico e subalterno della predicazione di Bottai). Ma la minacciosa realtà della grande crisi, il disastro economico che investe l'Europa e il mondo, sembrano non attraversare la tematica della « crisi » emergente da questi dibattiti: tutta di ordine spirituale o formalmente politico, inerente al tramonto di un vecchio ordine culturale e alla pratica sopravvivenza del suo dominio, all'effetto di separazione che tale resistenza comporta tra politica e cultura, tra cultura e bisogni della società. Chi parla di Stato, parla di un altro Stato, di un ruolo nuovo degli intellettuali, di una politica in senso nuovo. Chi non parla di Stato, parla comunque della sua alternativa, che è la cultura, la riforma spirituale della società. La separazione oggettiva può essere assunta come il termine di un volontaristico superamento, la condizione dialettica dell'impegno politico, oppure come il luogo ideale in cui si consolida e si fa autosufficiente la forza della soggettività. Ma, in comune, cresce su tutto il fronte la convinzione profonda che è compito della cultura, sua funzione insostituibile, produrre del cinismo (il senso dello Stato), sembrano in ta!l senso i caratteri di una concezione del potere impossibilitata all'origine a costituirsi sulle spinte di una fon:a sociale in ascesa e sul suo reale protagonismo culturale: perciò indifferente al problema dell'egemonia, e dello Stato come forma e strumento di egemonia. Il consenso alla verità, ai principi de1:la riconquista cristiana del mondo, non sono di pertinenza dello Stato, né del partito cattolico: bens{ della Chiesa, del potere spirituale che aggrega le masse nella direzione contraria allo sviluppo della coscienza di massa. E l'autonomia della politica, protetta e favorita àa questo, sembra lo strumento piu idoneo a ridurre sempre di piu e tendenzialmente a eliminare lo stesso terreno della lotta tra egemonie: ampliando sempre piu, sotto la spinta della contraddizione, il quadro istituzionale della politica, la presenza formale delle masse nello Stato, e separando sempre piu questo quadro dai rischi della democrazia reale. In questo senso, la cultura politica dei cattolici, sempre meno confessionale, sembra aver accolto sin dagli inizi delia nuova storia (dagli appelli insistenti di Croce, negli anni Quaranta, alla conciliazione politica tra cristianesimo e liberalismo, contro il comune nemico) molti aspetti del metodo liberale: identificando in questo la cultura politica « moderna • e per suo conto aggiornandola tecnicamente in ordine ai nuovi processi della società di musa.

97

Egemonia e fascismo

l'uscita dalla crisi: è la società civile a produrre la forma della sua ricomposizione, si chiami coscienza o Stato. La rivoluzione vera è quella degli spiriti, non quella dei

codici e dei segni esteriori. t qui, nella sfera della coscienza, nella lotta contro ogni forma di incomprensione, d'indifferenza

e di assenteismo, che occorre maggior hlvoro, piu Dobbiamo quindi, noi intellettuali, sentire l'orgoglio responsabilità di vedere a noi affidato il piu alto, compito. Sta a chi piu sa l'insegnare, a chi piu crede il convincere 2.1.

aspra fatica. e insieme la il piu grave sente e piu

Solo in un mondo ideale si può raggiungere la fusione perfetta tra il sociale e l'individuale. Sembra dunque abbastanza impropria, superficialmente « fenomenica», la tendenza a isolare da questo fronte culturale complessivo le motivazioni profonde della piu « tradizionale » attività di « Solaria » e della sua specifica frequentazione del tema della crisi: nonché, piu tardi, la singolare proposta di « vitalismo mediato » elaborata da Bo e dagli ermetici. Si tratta certo di un protagonismo condizionato e protetto da una solitudine ideologica predeterminata, da una totalizzazione piu oltranzistica dello specialismo della cultura, della letteratura, e che perciò, traducendo alla lettera (al di là di alcuni « distinguo », tutti interni alla stessa matrice) il Croce piu puro e coscienziale della prima « Estetica », schematizza nella opposizione letteratura-politica il disgusto moralistico ed estetico per le vicine fanfare strapaesane: predicando il recupero della tradizione antivociana, dalla « Ronda al Baretti», come condizione di una interiorità feconda di resistenza e di controllo critico. Ma è altrettanto certo che nelle trame di un gusto che si offre come continuamente minacciato dall'invadenza della cronaca politica, nella spirale di una atmosfera iperletteraria di sapienza 2.1 Dal «Campano», organo del GUF dell'Ateneo di Pisa! Il commento della redazione di « Critica fascista• non è meno eloquente: senza tale « «conquista degli spiriti» è inutile creare nuovi sistemi: saranno « semplici forme destinate ad ospitare anime diverse da quella che vogliamo» (n. 7, 1934, p. 131).

98

L'alternativa culturale

europea, quello che emerge è il senso di una attività e di una funzione tutt'altro che dilettantistica o marginale, di uno sperimentalismo e di un impegno analitico come modi d'essere di una ricerca morale che in quanto tale è destinata a superare l'attuale disordine nella costruzione di una comune « atmosfera spirituale », di una « effettiva adunata » dei migliori. Si vuol dire che la separazione, persino programmatica ed esibita, della letteratissima « Solarla ~ 2-4, pur se crocianamente impiantata sulla distinzione tra cultura e politica, in realtà tende a significare, altrettanto crocianamente, il riassorbimento delle funzioni generali della politica nella specialità morale della cultura, e cioè la risoluzione della crisi nell'attività « demiurgica » della coscienza intellettuale is. L'impegno della cultura, la sua caratterizzazione politica, non è un discrimine qualitativo del restauro (aggressivo o difensivo) del ruolo intellettuale nella società di massa. Al fondo, in ogni caso, l'orizzonte di una crisi spirituale, di un tramonto inquietante di civiltà, è la proiezione universalistica di una oggettiva emarginazione del ceto intellettuale, della sua estraneità alla politica, la metafora ideologica della sua separazione dalle frontiere organizzate della società e dello Stato: è l'occasione, la condizione di autoinvestitura, per una offerta del proprio specifico come strumento di salvezza e di ricomposizione generale. La poesia come civiltà, la ragione come salvezza dal catastrofismo di certa possibile disperazione esistenziale, dalla sofferente passività di fronte alla forza dell'irrazionalità codificata nelle cose e nelle istituzioni. La cultura, insomma, come difesa preventiva dall'angoscia, e preparazione morale 26 • Era questo il punto d'incontro tra :M ar., nell'articolo di R. Franchi («Solarla», 1927, n, 1), la definizione della rivista come « orto concluso della critica», microcosmo, discorso per pochi. 25 Cfr. F. Burzio, Il problema del demiurgo, in «ibidem», (1928), n. 4. 26 Per una ricognizione sistematica di questa stagione letteraria, cfr. G. Luti, La letteratura ne/. ventennio nero, Firenze, 1972; nonché G. Manacorda, Letteratura e cultura nel periodo fascista, Milano, 1978.

99

Egemonia e fascismo

esperienze intellettuali di origine evidentemente differenziata, la parentela fondamentale tra i vari modi d'essere dello spiritualismo storicistico, e anche, su un piano di piu immediata riflessione culturale, tra l'europeismo moralistico della linea Baretti-Solaria (in vario modo ancora operante in « Letteratura » e « Campo di Marte ») e l'universalismo personalistico e antiistituzionale degli ermetici. In questi ultimi in particolare il rifiuto della storia (e dell'idealismo in quanto storicizzazione) sembrerà condurre ad una assoluta - assolutamente crociana sostituzione della forma-Stato (della sua funzione di direzione-educazione) con la forma-Arte, e cioè con la forma che realizza la vera universalizzazione dell'esperienza individuale, la sua compiuta conservazione-trascendimento. La soggettività primonovecentesca sembra aver realizzato, anche attraverso il tardivo recupero simbolista, la sua estrema distillazione: « Nell'agonia raggiunta completamente della realtà è la matrice intatta della poesia ». « La poesia è la voce che non riconosce: è quello che non sappiamo, il nostro piu vero presente» 'Zl. · Il vero punto d'incontro, e di superamento di una crisi cosl già mediata, era in definitiva l'ideologia di una civiltà, di una comunicazione elitaria, di cui la letteratura era l'espressione e il codice piu qualificante: sia nella direzione di uno scontroso distacco dall'esperienza politica e dalla realtà di massa dell'organizzazione, di un'alternativa ideale totalizzante, sia nel senso di una separazione tecnica e metodologica che si fonda sulla distinzione e sulla convivenza delle due sfere, su una autonomia disponibilissima al consenso formale 1.8. L'avventura di Spagna, e poi le grossolanità anche culturali degli ultimi anni del regime, valgono certo ad accentuare C. Bo, L'assenza, la poesia, in «Prospettive» del 15 ottobre 1940. t il brescianesimo di tanti scrittori e intellettuali, registrato da Gramsci ininterrottamente nei Quaderni. Particolarmente importante è l'attacco ad Angioletti e all'antologia Scrittori nuovi di Falqui e Vittorini, « ... sacerdoti dell'arte in regime di Concordato e di monopolio» (I, p. 427). 'Z1 1.8

100

L'a/.ternativa cultura/.e

la diaspora o l'isolamento di tanti intellettuali, o anche ad attivare una ripresa del dibattito e una tendenziale inversione dell'impegno iniziale (a parte la confusione dei reiterati programmi di « unificazione intellettuale », quale ad esempio quello di « Incontri », del '40, o il già maturo antifascismo culturale, di stampo kantiano, di « Argomenti », questa posizione di esplicito disimpegno e di rivendicazione della superiore eticità della cultura è proposta da « La Ruota », a partire dal '3 7) 29 : contribuendo fra l'altro alla formazione di quella singolare rassegna di crisi capillare della « cultura fascista » che furono i littoriali 30 , esempio cospicuo della estraneità sostanziale della forma politico-organizzativa delle istituzioni fasciste rispetto ai loro contenuti ideologici e sociali. Ma la verità è che si tratta di una condizione di diversità, di spontaneità idealistica della cultura, che lungamente si era maturata all'origine del regime reazionario di massa, coperta dalla sovrastruttura organizzativo-istituzionale, dai giuramenti e dall'inquadramento burocratico nella scuola e negli altri enti culturali, ma continuativamente autoriprodotta dentro e sotto di essa, nella non-tenuta reale di essa, nel suo effetto complessivo di separazione delle masse e degli intellettuali dalle soglie della partecipazione e della direzione politica. Certo non è un caso che nel cuore degli anni Trenta, tra la guerra di Spagna e la parabola cri tic a del regime, sia maturato nella nostra cultura un cosl diffuso rilancio dell'estetica: non già solo nella dimensione fondamentale dell'autonomia dell'arte (primato universale della coscienza), ma altresf nella sua dimensione di gnoseologia capillare, di scienza del sociale in quanto trama della 29 Vedi ora la Antologia della rivista « La Ruota», a cura di R. Serpa, Napoli, 1978. 30 Sui littoriali, tra l'altro, dr. C. Casucci, La generazione del littorio, nello « Spettatore italiano», 1 gennaio 1956; R. Zangrand.i, Lungo viaggio attraverso il fascismo, Milano, 19645; A. Addis Saba, Giooentu italiana del littorio, Milano, 1973; nonché i volumi di E. Papa (Fascismo e cultura, Padova, 1974) e di U. Silva (ldeo/.ogia e arte del fascismo, Milano, 1975).

101

Egemonia e fascismo

vitalità, dei bisogni. Si tratta di una sorta di razionalizzazione extraistituzionale e privata, eminentemente spirituale e coscienziale, che trascorre dall'interesse per la psicanalisi alla scoperta diffusa del surrealismo, dai dibattiti sulle avanguardie poetiche e figurative del primo Novecento alla «letteratura» e alla « vitalità » di Croce (alla accentuazione metodologica delle due scienze mondane, l'economia e l'estetica). La stagione della Poesia (1936) è in realtà il momento di una convergente fissazione filosofica della ricchezza della soggettività esistenziale, oggettivamente alternativa alla politica come ipotesi di ricomposizione della realtà: il momento della emergenza di una mediazione tutta scientifica e culturale dei bisogni, e cioè di una ideologia della società civile che si pone protagonisticamente come interpretazione di un movimento sotterraneo e privato, attivo sotto le maglie di una esterna organizzazione. A parte il riferimento diretto o inconsapevole al pensiero di Croce, si pensi alle tutte contemporanee esperienze estetiche di della Volpe, Banfi, Stefanini, Guzzo, Carlini, Carabellese, Baratono, Anceschi, Paci, nonché alla tensione estetica di tante esperienze critiche emerse in questo momento, da Bo ad altri ermetici, a Macrf, a Gargiulo,· agli ideologi della «poetica» (mediazione tecnico-metodologica tra poesia e storia, di fatto autonomizzazione tutta culturale della storia degli intellettuali). Non è certo in questa singolare concentrazione tematica la vicenda complessiva degli intellettuali italiani nei secondi anni Trenta. Ma converrà una volta tanto almeno ricordare l'effetto straordinariamente univoco e durevole di questo tornante restauro dell'individuo di fronte alla società di massa, cioè di questa fissazione autogenetica e autocatartica del « privato », nelle forme di coscienza intellettuale di poi, non solo nell'organizzazione culturale della scuola e dell'Università da allora ad oggi, ma altresi nella lettura che gli intellettuali hanno fatto dei processi reali, nella tendenziale rimozione della politica che ha caratterizzato pure gli incontri necessari tra intellettuali e politica, 102

L'alternativa culturale

nella resistenza «spontanea» di massa di una concezione extraistituzionale della storia della cultura e dei suoi produttori. In ogni caso resta tutta da fare, pur dopo tanto recente sviluppo di studi storici e filosofici, la storia di questo articolato umanesimo degli anni Trenta, cosl sensibile alle suggestioni della cultura europea (da certo spiritualismo cattolico all'esistenzialismo, dalla filosofia della vita alla fenomenologia), eppure cosI specificamente organico alla tradizione italiana, cosI strutturalmente riferito al versante metodologico e storicistico del cosiddetto idealismo novecentesco. Perché in verità un costume fondamentalmente scolastico, tutto subalterno alle autoclassificazioni formali dei metodi e delle idee, ha sinora piuttosto occultato la realtà di una dialettica culturale rispetto alla quale l'intelligenza vera delle distinzioni è resa possibile soltanto dalla conoscenza delle relazioni, dalla ricostruzione delle condizioni oggettive. Credo che da tale sforzo di conoscenza possa risultare che, nella varietà tutta da analizzare degli strumenti e degli itinerari tecnici, la convergente riflessione sulla centralità dell'estetica, sulla natura e sulla funzione dell'arte e della cultura nel mondo contemporaneo, portava nelle sue stesse modalità di elaborazione due esigenze fondamentali, storicamente specifiche della condizione intellettuale negli anni Trenta: quella di cogliere e privilegiare la dimensione dinamica, la provocazione irrazionale, la irriducibilità istituzionale e organizzativa, della realtà presente, il « caos del vivente »; e insieme quella di riorganizzarla, formalizzarne la necessità, realizzarne la « composizione razionale » (Banfi). La filosofia tende ad acuminarsi nella frontiera dell'estetica per aderire alla massima emergenza della spontaneità esistenziale, in un mondo che sta rivelando lo scoppio irreversibile della vecchia sistematicità, la sua degenerazione rovinosa (la rottura, sI, della vecchia civiltà, ma nel senso della sua consunzione): ma in quanto filosofia, forma intellettuale, coscienza, di per sé separata dalla rovina, e perciò abilitata a risar103

Egemonia e fascismo

cirla. L'intellettuale s1 tmmerge nella vitalità dei bisogni, nella relatività del vivere, che spezza i falsi assolu ti, le metafisiche della repressione: ma per ordinare le relazioni della relatività, per proporre i metodi della propria funzione rinnovata. In questo senso, non tanto contano i modi della rifondazione di questa comune composizione razionale del caos, o di questa esistenzialità del campo intellettuale, che definisce l'autonomia dell'estetica e, per essa, la struttura trascendentale della cultura (Banfi): quanto la sostanziale concordia, la necessità ultima, di questa rifondazione, del primato ideale che vi si formalizza 31 • La tradizione del pensiero novecentesco riesce a far blocco contro le filosofie della crisi attraverso questo singolare rilancio della piu «mondana» delle sue forme di autoidentificazione e di autoriproduzione: quali che siano 3l :È su questo che avviene l'incontro tra ermetici e gruppo ban6.ano, in « Corrente di vita giovanile» (1938-1940). Pur nell'eclettismo degli interessi (pittura, architettura, cinema, ortodossia fascista, politica culturale), il motivo centrale sembra essere la poesia, come « unica alternativa » (V. Sereni, Presentazione di « Corrente di vita giovanile », Roma, 1975, p. 12). Il n. 15 (giugno 1939) raccoglie sulila « eternità della poesia» una serie di contributi (Macd, Quasi.modo, Bo, Gatto, Bigongiari, Pavolini, Falqui, Parronchi, Luzi, Rebora, Alimante, Contini, Vigorelli, Ungaretti, Bonfanti, Fallacara,z Betocchi, Bertolucci). Tutto intorno all'intervento d'apertura di Bant:1, Poesia. Importante il passo: « Ciò che nella parola si esprime è sempre una sintesi organica di coscienza, ove l'esperienza tutta si raccoglie e si significa ... La parola è spirito e come spirito illumina e insieme trascende l'anima individua e la realtà determinata che la circonda; per essa il caos dell'esperienza si chiarisce ed esprime da sé la propria forma, come forma del mondo. Ma soprattutto è degno di nota e qui a noi interessa particolarmente il fatto che l'ideale obbiettività del linguaggio, quella pura indipendente validità della parola, ha un senso differente a seconda delle sfere spirituali in cui si afferma, dei valori che vi si mcarnano. Perché quella indipendenza obbiettiva del linguaggio è in tutte le altre sfere simbolo e via a una concreta realtà spirituale d'altra natura; ma nella poesia è il suo essere stesso... Sulla vita combattuta, sulla realtà rontrastante il discorso della poesia sta come il cielo della catarsi... fuori o meglio oltre i limiti delle altre sintesi spirituali, della morale come della religione e della scienza. Ma appunto per ciò il linguaggio come poesia, il discorso poetico, è linguaggio; discorso in sé concluso». (Ibidem, p. 1).

104

L'a/.ternativa culturale

i contenuti del suo orizzonte di attenzione (lo sviluppo, la scienza, o il vecchio sentimento d~l senso comune), e quali che siano i modi della continuità formale che salda la funzione presente dell'estetica al valore permanente della cultura (l'autonomia categoriale del pensiero o il principio banfi.ano della continuità teoretica della tradizione filosofi.ca) 32 • Credo che meriterebbe uno studio un po' meno convenzionale, non ipotecato dalle ancora resistenti categorie filosofiche della storia della filosofi.a (come continuità ideale), il pur limitato fenomeno del « banfismo » negli ultimi anni Trenta: relativo ad un gruppo di intellettuali « urbani », settentrionali, filosofi. universitari, decisamente isolati, tutti esordienti, privi di strumenti e anche di progetti di aggregazione; ma assai significativo come testimonianza della oggettiva unità di spinte e di orizzonti ideali che in quegli anni connota la condizione degli intellettuali « pensanti », al di là della provincia metodologica dalla quale si collegano all'Europa e ai problemi generali del presente. Quanto piu sapida di novità era la tematica filosofi.ca che attraverso l'insegnamento di Banfi arricchiva le esperienze degli scolari (Simmel e la filosofi.a della vita, poi la fenomenologia di Husserl, soprattutto), tanto piu eloquente è la mediazione che di essa si realizzava rispetto a una realtà culturale profonda, radicata nella storia reale e nelle forme di coscienza degli intellettuali. È un processo evidente nella :fitta elaborazione estetica dei banfi.ani, soprattutto, ma in genere nella curvatura fenomenologica a cui alcuni di essi sottopongono il trascendentalismo del maestro, nonché il recupero già 32 « La visione della vita e del mondo che in ciascuna (visione :filosofica) si esprime ha una vitalità che supera tutte le contraddizioni ... e che non s'origina semplicemente dalla situazione storica ... ma si estende e si sviluppa fecondando tutta la storia della cultura». « Quanto piu esse vengono considerate nella purezza dei loro m, 1940, n. 4, rist. a cura di E. Garin, Bologna, 1972, p. 371).

«> Ibidem, p. 363.

110

L'alternativa culturale

I fondamenti dell'estetica crociana sono qui riproposti, con fedeltà anche terminologicamente singolare, da un pensatore lontanissimo dal riconoscersi nell'area del crocianesimo, e piu tardi impegnato, com'è noto, in una generosa e implacabile denunzia delle precipitazioni moderate e persino reazionarie della « :filosofia italiana per eccellenza, per trent'anni » 41 • È difficile non notarlo, per chi abbia qualche rispetto per i testi. Ed è anche piu difficile non convincersi - di fronte a prove cosl parlanti - della realtà profonda di una egemonia culturale che, operante al di là delle consapevolezze e delle etichette filosofiche, è penetrata nel senso comune, nella memoria spontanea e nella persuasione prefilosofica, di intere generazioni di intellettuali, perché originata e sostenuta dalla direzione stessa dei processi reali. Certo, negli anni che precedono immediatamente il crollo del fascismo, le vie del rilancio della funzione riparatrice e progettuale della cultura furono piu di una: ma convergevano tùtte, alla fine di un'esperienza politica e ideale che aveva reso come invisibile la dialettica delle forze reali, nella prospettiva di un metodo generale, di un'etica, di un apparato ideale, di una cifra di autonomia che identifica la vita con il pensiero, la società con l'esistenza e l'esistenza con le forme della coscienza. Questa convergenza era piu forte della distanza tra antico e modemo, meridionale ed europeo, tra le dichiarazioni di apertura alla scienza e la religione della libertà: per il semplice fatto che la varietà della geografia culturale si snodava sul fondamento di un comune riferimento di universalità, e si svolgeva a partire da un meccanismo ideologico di autoriproduzione dell'autonomia culturale. Era cosl la fenomenologia di un incontro, un terreno consanguineo di comunicazione. Di fronte alla crisi, « la filosofia, assunta quella come problematica assoluta, ridona certezza e fiducia nella vita. Umano equi41 Verità e unità nel pensiero contemporaneo, del '47, poi nell'Uomo copernicano, Milano, p. 166.

111

Egemonia e fascismo

librio » 42 • È per questo che la importante operazione tentata da Banfi e da « Studi filosofici », dal '40 al '43, cui scolasticamente usa attribuirsi il merito di aver introdotto e discusso la tematica dell'esistenzialismo e piu in generale del pensiero non-idealistico (Simmel, Bergson, Heidegger, Jaspers, Dilthey, Husserl, Santayana, ecc.), in realtà ha il ben piu significativo merito di aver proposto e teorizzato una critica della crisi come definizione positiva della :filosofia in quanto « purificazione teoretica» della realtà. Il merito, cioè, di una operazione che ha un senso preciso, non di neutrale aumento di conoscenze, nella storia degli intellettuali. La crisi è identificata con la « atmosfera critica della :filosofia», con la « realtà in cui operare ». E in questo rapporto metodologico, che « intravvede il senso della relatività di tutte le soluzioni, segue le linee ideali progressive di queste, annulla le pretese delle ideologie particolari » e, in questo è la « storicità del sapere filosofico ». Voglio dire che il connotato piu riconoscibile e unitario della operazione avviata da « Studi filosofici » (ricca di apporti diversi, di interessi e sviluppi diversi: Preti, Paci, Cantoni, Bertin, Anceschi, Papi, tra gli altri) è proprio in questo atteggiamento di comprensione, in cui l'eclettismo è autorizzato e insieme trasceso dal sostanziale storicismo del metodo (sistematica aperta e uso teleologico della tradizione) e dal presupposto aprioristico della totalità della ragione. Se l'esperienza (nozione fluida e puramente dialettica, mai precisata in processi, istituzioni, realtà sociale) « si integra e si ordina » nella ragione, questo è evidentemente un apriori che rende legittimo: a) che la « natura scientifica del sapere :filosofico ripugn(i) alla contaminazione tra ordine delle idee e valori e fini particolari »; b) che il compito degli intellettuali sia quello di contribuire all'opera di « restau42 A. Banfi, Paro/.e d'introduzfrme, in « Studi filosofici», I (1940), p. 25. e Ibidem, pp. 24-25.

112

L'alternativa culturale

razione e di universalizzazione del carattere strutturalmente scientifico della filosofia » 44 • Restaurare e universalizzare. A parte la specificità dei modi e delle originali proposte filosofiche di Banfi, cosf ricche poi di sviluppi e di contraddizioni dopo l'incontro col marxismo, queste funzioni della cultura (della filosofia, dell'arte, della coscienza che le produce) riemergono come costanti costitutive a monte di un atteggiamento in varia guisa diffuso e formalizzato nel ceto intellettuale italiano nel tempo della società di massa. Esso comporta che la vita intellettuale sia per sua natura altra cosa dall'esperienza, e sia per questo fattrice di « un ordine nuovo », « tra$gurazione razionale »: « piu che vita». Che sia trasformatrice dell'esperienza, intesa come separazione e sconnessione, negatività da trascendere: Gli aspetti e gli elementi della realtà che l'esperienza empirica separa e sconnette ed oppone, si risolvono, riconnettendosi in un ordine nuovo. L'aspirazione spirituale in cui l'anima si travaglia verso la sintesi di ciò che l'esperienza divide ed allontana, trova nella trasfigurazione razionale del mondo la forma della sua certezza ed attualità. Cosi la ragione appare come l'ordine di una piu univet'$8le e profonda esperienza, tanto piu universale e tanto piu profonda, quanto piu radicalmente gli aspetti e le forme empiriche si risolvono sotto la potenza dell'analisi razionale: essa è l'esperienza della vita, come della attiva partecipazione del tutto a tutto, ma della vita che è vera vita, in quanto è piu che vita ed è al proprio interno un inesausto trascendere se stessa 45 •

In realtà, il senso di questo episodio, di per sé non centrale, sta soprattutto nella sua organicità rispetto ali'atteggiamento di fondo che connota tutta la giovane cultura italiana nella fase finale del regime fascista. Il restauro dell'individuo· in quanto coscienza, una sensibilità etica ormai decisa ad un diretto rapporto di responsabilità ricompositiva con la vita, questo è il tono attivo che sembra sempre piu caratterizzare gran parte 44 45

Ibidem, p. 1. A. Banfi, Principi di una teoria della ragione, cit., p. XXII.

113

Egemonia e fascismo

del dibattito intellettuale dopo l'impresa etiopica: che, comportando in alcuni settori una riaccensione tutta prammatica e ultimativa dell'impegno degli intellettuali (della sospensione attivistica di ogni dubbio o dissenso), aveva anche attivato una piu netta opposizione tra cultura e azione, sino a costringere la mediazione bottaiana a formulare una distinzione paritetica tra cultura disinteressata e uso politico dei suoi prodotti, tra autonomia intellettuale e istituzioni organizzative della cultura, ambedue indispensabili in quanto tali (il compito degli istituti di cultura è quello di selezionare e rendere utili politicamente le idee prodotte autonomamente altrove) 46 • E tuttavia non tanto importa sottolineare questa sorta di sanzione ufficiale della separazione, una volta aspramente condannata, e pure ora da qualche parte osteggiata in nome dell'azione che tutto conquista e risolve, quanto le motivazioni oggettive della scelta tattica di Bottai, costretto a fare i conti con la realtà crescente dell'autonomismo intellettuale, e comunque a tentare di rendere possibile un terreno di alleanze o almeno di neutrale disponibilità. Nonostante le suggestioni operate su di lui da don De Luca, tra l'ortodossia fascista del cattolico « Frontespizio » e l'orizzonte distaccato della libera produzione di idee, Bottai sceglieva l'interlocutore piu forte e piu rappresentativo, la « cultura-laboratorio », riconoscendola come elemento di direzione e di necessario alimento della « cultura-azione »: come contenuto dell'uso politico, in realtà come oggetto che dà senso e necessità al funzionamento delle istituzioni. Si trattava evidentemente dell'estremo tentativo di recuperare, in nome del regime ma con la garanzia di una disinvolta distanza dai suoi controlli piu grossolani, una élite intellettuale disorganizzata e inquieta, misura vivente di un fallimento organizzativo e politico-culturale difficilmente risarcibile nell'imminenza della guerra ,fl. Una ope46 47

114

Cfr. Cultura in azione, in « Critica fascista,., 15 settembre 1936. Lo testimonia fra l'altro una importante lettera di Bottai a Mus-

L'alternativa culturale

razione di contenimento e di difesa, anche se probabilmente non immune dalla speranza di preparare lo spazio dirigente, la riqualificazione culturale, di un diverso futuro politico interno o no al fascismo 48 : in ogni caso la prima ed ultima proposta, in vent'anni, di organizzazione di gruppi intellettuali in quanto tali, fuori delle istituzioni, liberi da ogni impegno politico e da ogni direzione ideale, fruitori e insieme garanti di un pluralismo che sembra dunque essere paradossalmente (in realtà, necessariamente) l'unica condizione di convivenza tra cultura e regime, tra laboratorio e azione, elaborazione intellettuale e suo uso istituzionale e politico. In verità « Primato » visualizza fino all'epifania di uno schema irreversibile un rapporto che il processo totalitario dello Stato fascista ha alimentato e cristallizzato per un ventennio, cioè una condizione di separazione della cultura (e dunque, nello sviluppo della società di massa, una condizione di evidente sua improduttività, di sottosviluppo ideale), che alla fine, quando sarà necessario richiamare alla collaborazione politica, il regime (o Bottai) dovrà accettare e «recuperare» in quanto tale, in quanto autonomia ed effettiva separazione. Dovrà accettare di accogliere in uno spazio esternamente politico, con molte cautele, senza in alcun caso dirigere o conformare o utilizzare in senso attivo, una spontaneità culturale autogestita ed eclettica, tanto separata ed autonoma da acquistare il senso di una operazione di riqualificazione - dentro una rivista fascista - di gruppi intellettuali che si allontanano dal fascismo e si preparano alla democrazia. La riquasolini, che parla degli ultimi anni Trenta come di anni « di silenzio ostile della cultura», decisivi per la coscienza politica nazionale. « Sempre piu antirivoluzionaria, la classe intellettuale si ritrova sulle sue posizioni tradizionali» (lettera a Mussolini dell'agosto 1940, in G. Bottai, Vent'anni e un giorno, Milano, 1949, p. 164). 48 Sulle ragioni politico-culturali dell'ultimo Bottai, oltre i lavori monografici già ricordati, cfr. la premessa alla equilibrata antologia di L. Mangoni (« Primato », Bari, 1978), nonché, della stessa autrice, il volume L'interventismo della cultura, citato, in particolare le pp. 358-359. Cfr. anche il vivace articolo di L. Martinelli, Fascismo e cultura, in « Problemi », n. 53, 1978.

115

Egemonia e fascismo

lliìcazione fascista della cultura diventa il crogiuolo dell'eventuale riqualificazione antifascista della cultura. Certo è che l'eclettismo di « Primato » non è solo un modo diverso di nominare la complessità e l'articolazione del dibattito, o anche il carattere non pacifico e tutt'altro che semplificabile degli itinerari ideali vissuti dai molti collaboratori in quel momento di precipitazione delle solitudini e delle impotenze di un ventennio. Ma è per l'appunto il dato vistoso della natura in certo senso sperimentale, disorientata, di quella partecipazione: sospinta da un inatteso restauro anche ufficiale del ruolo, dal disagio di una autogestione protetta, e anche dalla solennità che il restauro e la protezione comportavano. L'eclettismo è il portato di un rilancio fiduciario dell'autonomia della cultura, dell'appello al «laboratorio» 4'J cioè di un modulo di unificazione già assicurato in partenza, generico e scontato: ed è reso possibile perciò dalla mancanza di un contenuto unificante, di una idea fondamentale, e di un vero orizzonte politico dell'operazione. Il fascismo non poteva dargliela, tanto piu allora. Né, d'altra parte, questi intellettuali potevano ricavare dalla loro formazione culturale una alternativa visibile alla crisi avanzata del regime. Potevano bensf solamente rimuovere la condizione esplicita di compromesso cui l'appello di Bottai li chiamava, attraverso la compromissoria distinzione che un mutato rapporto di forza consentiva ora loro di imporre come condizione di collaborazione: cioè attraverso la distinzione tra cultura e politica, attraverso quella ideologia della specializzazione che libera il chierico dalle responsabilità di parte e ne garantisce la funzione universale di difesa della civiltà da piu parti minacciata 50 • · ..., « Come i littoriali, anche «Primato• veniva cosf a proporsi come un luogo privilegiato in cui gli intellettuali potessero « conoscersi tra di loro i., e quindi necessariamente, una volta costituitisi come categoria, misurare appunto in sé stessi il « coraggio della concordia • (L. Mangoni, Premessa a «Primato•, cit., p. 9). . 50 « La questione sta nel richiamo di Bottai all'autonomia dc1la atltura e dell'arte, allo spirito dello « iuxta propria principia•• alla repubblica delle lettere, nell'ambito della quale il « coraggio della

116

L'alternativa culturale

La riconquista dello spazio intellettuale, in definitiva, sembrava risarcire il compromesso politico, e in ogni caso poté alimentare una ambiguità, rinviare una scelta, o anche prolungare una crisi e intanto concederle forme metaforiche di espressione: lungo una esperienza durata sin dentro il '43. Non si tratta di giudicare, o di stupirsi del fatto che fu necessaria la visibilità traumatica delle masse a trascinare poi le coscienze verso rimpegno politico e civile del dopoguerra. Né si tratta di immaginare infiltrazioni tattiche di intellettuali antifascisti nell'impresa fascista di «Primato», o anche di extrapolare temi e motivi « moderni » e « progressisti » in alcuni contributi, dimenticando i contesti entro i quali compaiono 51 • Non si tratta di tutto questo. Credo che il problema riguardi piuttosto una ambiguità tutta intrinseca alla storia sociale e politica del ceto intellettuale durante il ventennio, alla stessa qualità dell' « impegno » che aveva caratterizzato il movimento vociano e poi quello alle origini del fascismo, e che il regime aveva frustrato e condannato al riflusso e alla separazione: cioè un'ambiguità relativa alla cultura maturata nel Novecento, ai modi e alle forme in cui gli intellettuali avevano tradotto o sublimato il protagonismo difensivo e aggressivo dei ceti piccolo-borghesi insejt'y:. ~; è{.'.1;:j concordia» era possibile. La «cultura-laboratorio» era anche « culturaprivilegio »; non fu questa una delle ultime ragioni delle adesioni a «Primato» (ibidem, p. 13). 51 Gli interessanti spunti antistoricistici di alcuni interventi di della Volpe, che oppone le nozioni di «tecnica» e di «lavoro» all'umanitarismo e all'illuminismo della cultura occidentale ( « plutodemocratica » ), o anche piu specificamente al nostro idealismo e al comportamento dei chierici, sono spunti che tuttavia non è corretto isolare dal loro contesto ideologico: dove in quel momento l'alternativa alla corrotta democrazia occidentale è esplicitamente la Germania di Hitler. « Non a caso Nietzsche è ritornato, in trionfo, nella Germania hitleriana, mentre nella Germania guglielmina e democraticheggiante corifei spirituali furono i Weber e i Troeltsch e gli altri, che erano tutti dei cristiani «ragionevoli» (antologia di «Primato», cit., p. 221). Occorre certo dire che questo non impediva al filosofo di cogliere alcuni caratteri profondi della intellettualità italiana, e di denunziare ad esempio la portata complessiva e allarmante della egemonia crociana dentro l'organizzazione e le forme di funzionamento dell'Università italiana (n. 9, 1 maggio 1941).

117

Egemonia e fascismo

guiti dallo sviluppo di massa. Il problema riguarda la storia reale e comune degli intellettuali, nella quale la varietà degli atteggiamenti e delle risposte, degli orientamenti culturali, appare durante il ventennio straordinariamente unitaria nelle radici ideologiche e nella costanza dei valori fondamentali Sono questi valori a orientare le speranze nel fascismo, la delusione del fascismo, e poi la ricerca di nuovi mandati e di nuove identità: nuove identificazioni dello spazio protagonistico di valori sempre ideali. Non c'è dubbio che l'incontro in « Primato » rappresenti nei fatti l'occasione entro cui si maturava la presa di coscienza di una rottura ormai definitiva con la realtà istituzionale del regime, e in qualche modo la disponibilità a un rapporto diverso con la società, la prefigurazione di un contenuto nuovo della ricerca e della elaborazione. Ma non c'è dubbio ancor. piu che tale maturazione recava in sé, con la forza delle circostanze oggettive, anche l'ambiguità inerente alla sua condizione ideologica originaria tutt'altro che trasformata nella separazione del ventennio, inerente alla specificità del suo essere un processo culturale, cioè una crisi storica e politica dentro una mediazione intellettuale ininterrotta. Il che significa di fatto che, lungi dal disporsi come bilancio, o analisi, o interrogazione ravvicinata, dei problemi profondi di un momento drammatico della società italiana e della cultura in essa, quell'incontro dové risolversi in una rinnovata proposizione della funzione salvifica della cultura nei confronti della civiltà occidentale, in una articolata difesa dei suoi valori fondamentali. Non è un caso che il dibattito ideologico si facesse piu vivace e impegnatq nelle inchieste su grandi spaccati culturali (il romanticismo, l'esistenzialismo, anche l'ermetismo: se pure, per quest'ultimo, con una piu evidente preoccupazione di confronto ravvicinato e di politica culturale) 52 : dove piu evidente è la proiezione universali52 « Abbiamo sempre intuito come la nostra sia anche funzione di chiarimento, una funzione, per cosf dire, d'inventario ... C.OSicché

118

L'alternativa culturale

stica del conflitto tra modelli culturali (tra romanticismo e nuova razionalità) e insieme la tendenza razionalizzatrice di un nuovo umanesimo nei confronti della crisi e delle sue ideologie (l'esistenzialismo: si vedano soprattutto gli interventi, diversamente motivati, di Banfi e della Volpe, a partire dal gennaio '43). Rispetto all'attenzione da Bottai sollecitata ai fatti istituzionali e produttivi del presente culturale (inchiesta sull'Università; interesse per i gruppi editoriali, soprattutto Einaudi e Bompiani; e per centri e istituti culturali), pragmaticamente rilanciati - per la suggestione di De Luca - come elementi concreti di una possibile strategia delle alleanze e di riorganizzazione « post-fascista » delle funzioni intellettuali, l'attenzione spontanea dei collaboratori di «Primato» era invece rivolta alla ricerca-proposizione di una terza via culturale, metaforicamente polemica verso la « cultura fascista» e insieme distante dalla vecchia cultura liberale, in ogni caso in grado di sostituirla nel ruolo di direzione ideale della società. E analogamente, rispetto alla realtà della guerra, alle forze in campo, alla logica dei fatti e ai meccanismi del tragico conflitto dei poteri e degli interessi, il dibattito riusciva a realizzare una sorta di sistematica trasfigurazione (doveri degli intellettuali, ritorno all'Europa, difesa dei piccoli Stati contro l'imperialismo delle grandi democrazie; e poi invece, dopo l'invasione nazista della Russia, difesa della tradizione europea), un'idea scorporata della crisi e delle sorti del mondo occidentale 53 • anche alle tendenze meno popolari e piu spinosamente sospette a quel lettore comune al quale è nostro desiderio arrivare, abbiamo rivolto un'attenzione solidale e insieme obiettiva... L'avere promosso questa collaborazione implica altres{ un atto di rispetto ~ la buona fede che negli «ermetici• migliori deve indubbiamente esistere; verso la serietà del loro lavoro; insomma verso il loro amore per l'arte letteraria, il quale in sostanza è il motivo unico ma piu che sufficiente della nostra solidarietà con loro• (1 giugno 1940). 53 Il motivo della guerra come tramonto della civiltà europea, comune alla gran parte della cultura del tempo, in « Primato • sembra esaltare la funzione degli intellettuali, mentre per gli ermetici esplicitamente si risolve in affermazioni di disimpegno e di estrema coscienza della dissoluzione. Le interpretava chiaramente C. Malaparte,

119

Egemonia e fascismo

Una passione autentica per la cultura funzionava anche questa volta nella direzione di una rimozione idealistica delle condizioni reali. Si trattava, in effetti, di una singolare ripresa-rivalsa del primato della cultura, di un rilancio singolarmente esplicito e già quasi fiducioso dell'umanesimo, proprio di un ceto « tradito » (lo diceva Bottai), tradito dal fascismo e di fatto trascinato, per la storica omogeneità delle sue forme di coscienza, nell'orizzonte di quella libertà ideale che nel tempo del fascismo preparava e organizzava il primato della coscienza contro i rischi presenti e futuri della massificazione. Non c'è davvero bisogno di sottolineare ulteriormente il recupero di Croce nel secondo tempo della rivista 54 per valutare la piu originaria modalità « idealistica» dell'esperienza complessiva di « Primato», la indubbia omogeneità di fondo che consente una partecipazione cosi numerosa di intellettuali anche diversi, e che piu tardi consentirà una assunzione di impegno cosi esaltante e cosf acriticamente comune. A parte gli opportunismi individuali e le singole tattiche della sopravvivenza morale, anche le piu convinte tesi sulla immunità, sulla non-compromissione e non-responsabilità della cultura, sono dirette proiezioni della ideologia della sua autonomia, della sua estraneità naturale alla conflittualità pratica delle parti, della sua innocenza di valore. È una tesi spontanea, in tanto capace di unificare tendenzialmente una intera cultura, sf da disporla vergine al rapporto con una nuova committenza ideale, in quanto intrinseca a uno statuto culturale che sf è riprodotto come soggetto permanente di giudizio e di storia, come eticità che di volta in volta accetta o sollecita contenuti politici, forma della responsabilità universale, immune da responsabilità storiche. Il rilancio dell'umanesimo, entro il quale in «Primato» in un intervento in «Prospettive• (Cadaveri squisiti, del 15.7.1940). 54 Sul riferimento a Croce, interlocutore diretto e indiretto di «Primato•, cfr. Mangoni, Premessa· alla antologia di «Primato>, cit., pp. 30-31. Cfr. anche le osservazioni di L. Polato nella introduzione alla antologia Prospettive-Primato, Treviso, 1978.

120

L'alternativa culturale

si incontrano linee e orientamenti diversi del pensiero contemporaneo, è di fatto l'orizzonte ideologico che unifica profondamente questo processo di autoriqualificazione della giovane cultura italiana, questa improvvisamente possibile milizia della cultura in nome della cultura. Questi intellettuali accorsero a collaborare ad un programma che li vedeva protagonisti, mentre si annunziava la dispersione di una società organizzata, rispetto alla quale sembrava rinascere uno spazio non piu represso dalla politica: perciò nel loro discorso la politica, le sue nozioni persino, impallidiscono, si allontanano, di fronte a una problematica direttamente culturale. Il rapporto cercato, e possibile, l'interlocutore reale, non sono piu lo Stato, le istituzioni, l'economia, i processi della società, ma la vita, la crisi spirituale, la civiltà europea, la guerra « difficile». Il linguaggio della discussione si fa sempre piu espressione della società civile, torna all'umanità, al tono universalistico di una condizione morale. Il suo significato storico va cercato in questa sua qualità: nel suo essere il linguaggio delle idee che si riconoscono, del primato della cultura che tende a rinnovare i suoi contenuti. La missione affidata agli intellettuali dall'appello originario di « Primato » 55 diventava cosf definitivamente, in coerenza con la qualità dei suoi protagonisti, con la natura storica del loro protagonismo, la riaffermazione di un valore ormai autonomo dalle necessità contingenti (la guerra, il fascismo), anzi da difendersi dalle loro compromissioni e da salvare rispetto alle loro responsabilità. Il « coraggio della concordia », lungi dall'avviare quel recupero delle forze intellettuali separate alla collaborazione politica, si risolveva nel ritrovamento di una autonomia positiva, di una unità separata dalla rovina del regime, pronta ora a misurare esplicitamente il proprio distacco, 55 ~ Rendere concreto ed efficace il rapporto tra cultura e politica, tra arte e vita, operare l'unione fra alta cultura e letteratura militante, fra universalità e giornale, fra gabinetto scientifico e scuola d'arte, lavorando nel nome e nell'interesse della patria,. (Bottai, Il coraggio della concordia, in «Primato>, 1 marzo 1940, n. 1).

121

Egemonia e fascismo

a inaugurare la propria difesa attraverso un processo al « sistema» responsabile della lunga separazione. Non è

senza significato che sia proprio Bottai a registrare gli umori di questa difesa della cultura, centrando il problema delle difficoltà del rapporto tra intellettuali e regime sul piano delle forme politico-sociali piu che su quello dei contenuti ideali: « Il vizio è altrove ... è in un sistema... Il problema è quello piu radicale del rapporto tra intellettuali e un regime totalitario ... E certo che andare incontro veramente e storicamente agli intellettuali vuol dire accettare anche, in un modo o nell'altro, alcune delle esigenze aprioristicamente intrinseche alla loro attività e alla loro classe » 56• Il regime, come afferma sintomaticamente Bottai, non aveva soddisfatto le esigenze « aprioristicamente intrinseche» alla classe intellettuale: né le aveva trasformate, evidentemente, in una reale organizzazione di ruoli e di funzioni nuove. La dolorosa ammissione del gerarca piu consapevole e lucido del regime mi pare fornisca con estrema chiarezza almeno due dati non sorvolabili: a) la subalternità della stessa concezione fascista della cultura a un'idea tutta tradizionale di « intellettuali », e cioè alla vecchia cultura della « classe dei colti »; b) l'intrinseco fallimento della politica culturale del regime, della organizzazione degli intellettuali, del loro ruolo politico nello sviluppo della società di massa, della loro iscrizione non formale dentro la vita e gli apparati dello Stato. Tra i due dati c'è peraltro un rapporto profondo, che conferma l'impossibilità del fascismo di trasformare una realtà cui.:. turale, alla quale invece, ideologicamente parlando, era tutto interno: l'impossibilità, in definitiva, di dirigere e di suscitare un consenso, di svilupparne la mediazione attiva, o almeno di « rompere » le forme di coscienza degli intellettuali e di organizzare istituzioni capaci di modificarne la riproduzione. Lo scollamento tra essi e la realtà del regime, da tutti ammesso almeno a partire dal '34, non 56

122

Gli intellettuali e la gue"a, in «Primato• del 152.1943.

L'alternativa culturale

sembra davvero aver l'aria di una improvvisa perdita di identità, o della scoperta di un nuovo riferimento culturale e politico. Era piuttosto la crisi del rapporto tra una domanda sociale specifica (esigenze aprioristicamente intrinseche), inerente allo sviluppo di massa ma in contraddizione con le sue forme di organizzazione, e la genericità appunto di una risposta politica nata per disidentificare e reprimere le specificità dello sviluppo sociale entro una organizzazione totalitaria e formale. Era una crisi di rigetto della indistinzione e della quantità, priva di un interlocutore positivo, e perciò tendenzialmente rivolta al recupero della distinzione e della qualità. Il che rende, mi pare, veramente improprio discutere ancora se la cultura italiana sia stata fascista o incontaminata, o scissa tra gli accademici e gli organizzatori (ahimè, inespressi~ indocumentabili, e perciò tout-court iscrivibili, dagli storiografi degli apparati che di per sé trasformano, tra i trasformati dalla macchina-Stato). In realtà, tutt'altro che estranea al fascismo perché terreno sociale di originaria alimentazione delle ideologie attraverso cui il fascismo rappresentò movimenti e contraddizioni della società italiana, la cultura italiana (gli intellettuali, il loro modo di produrre e riprodurre forme di coscienza, e cioè di esprimere e ricomporre istanze di strati profondi della società) visse poi negli anni maturi del regime il suo momento di massima separazione dalla politica e dallo Stato, di massima frustrazione del suo protagonismo politico e sociale: perciò di regressione coatta all'universo ideologico tradizionale, etico-coscienziale e universal-specialistico. Il fascismo, d'altronde, era soggetto del potere proprio in quanto strumento della non-trasformazione, com'è noto a tutti. Perciò non poteva che costruire una forma dello Stato opposta alla forma politica dello sviluppo sociale, e anche diversa da quella che la « terza via » del corporativismo idealistico-giovanile aveva modellato nella sua utopia promozionale, cioè lo. Stato «immune» da interessi di classe e dunque espressione della classe-non classe 123

Egemonia e fascismo

(piccola borghesia) e diretto dal ceto generale e ideale (gli intellettuali). Diversa da quella che, sull'onda del generico movimentismo delle origini, era stata la prospettiva utopica nella quale si erano unificate le forze intellettuali piu organiche, nel lungo dibattito sulla crisi mondiale e sullo Stato corporativo: intorno ai motivi sintomatici e promozionali della qualità contro la quantità (GentileBottai, preceduti da Croce, com'è noto), del potere ai competenti, del riformismo e della tecnocrazia. La politica culturale del regime negli anni trenta, coerente alle forze reali di cui era funzione, era rivolta precisamente alla riduzione di simili spazi, al contenimento di queste attese entro un campo puramente ideologico. Si proiettava bensf in uno sforzo crescente di organizzazione, tutto quantitativo e dequalificante, in una struttura di impedimento capillare di ogni funzione intermedia di elaborazione e di iniziativa: da un lato formalizzando- la settorializzazione dei mestieri, dei sindacati governati dall'alto, l'irrigidimento delle spinte economico-corporative proprio dentro lo spazio tradizionale della mediazione, il ruolo passivo e burocratico delle istituzioni; dall'altro tentando di unificare 1~ diversità al livello della conformizzazione generale, attraverso i mass-media programmati dalle veline del Minculpop, e identificandosi operativamente in una centrale di propaganda e di « bonifica della cultura». Si può dire d'altronde che, proprio per quanto riguarda i settori piu « avanzati » della intellettualità degli anni Trenta~, la loro graduale dissociazione dal fascismo sia stata promossa da una evidente carenza di politica culturale, da una incapacità sostanziale di direzione e di identificazione ideologica e operativa. Si pensi alla evoluzione della riflessione di alcuni intellettuali (Edoardo n Per i settori piu «arretrati• il discorso sarebbe ovviamente piu facile, e incontrerebbe terreru. cli piu immediata continuità tra cultura tradizionale e fascismo. Un esempio tra i possibili nella funzione delle ideologie classicistico;'imperialistidie. Cfr. il volumetto, assai fine, cli M. Cagnetta, Antichisti e impero fascista, Bari, 1979. Di L. Canfora dr. ora gli interessanti contributi su cultura classica e fascismo nel volume Ideologie del classicismo, Torino, 1980.

e

124

L'alternativa culturale·

P~sico in primo luogo) intorno al programma « fascistarivoluzionario » del razionalismo architettonico, alla conversione italiana della poetica di Gropius e del Bauhaus proposta da «Quadrante» e da « Casa bella», alla « misura umana » teorizzata da queste esperienze contro il monumentalismo retorico e celebrativo di Piacentini 58 • Si trattava di portare l'architettura fascista a livello dell'arte moderna, e insieme di renderla «funzionale» allo sviluppo sociale di cui il fascismo doveva essere la direzione rivoluzionaria. Ma la risposta politico-culturale del regime fu quella di una conciliazione tutta esterna ed eclettica,. « organizzativa » nel senso della corruzione di gruppi di architetti, della manipolazione delle commesse e dei progetti, nonché dell'appoggio alla mediazione di Piacentini,. al suo trasformismo disprezzato dai giovani. Non è certo un caso che, a partire dalla metà degli anni Trenta, dopo la prima esperienza di architettura razionalista (la casa del Fascio di Como, Sabaudia, la stazione di Firenze), lo slancio espansivo di questa importante avanguardia si vada ritraendo in una riflessione teorica piu concentrata e sospesa, sempre piu distante dall'impegno politico, e sempre piu idealisticamente rivolta (Persico, Giolli, ma anche Rogers ed altri architetti) alla definizione dei valori architettonici in quanto arte 5'>. E si pensi anche, in un settore piu immediatamente relativo all'organizzazione del consenso, e dunque piu disponibile alla specificità della politica culturale del regime, alla singolare latitanza del fascismo nel controllo dell'attività e dell'industria cinematografica, alla ben nota mancanza di chiarezza nel concepire e portare avanti una politica cinematografica e nello 58 Clr. almeno il vol. di C. De Seta, La cultura architettonica inItalia tra le due gue"e, Il, Bari, 1978; e quello di L. Patetta, L'architettura in Italia, 1919-1943. Le polemiche, Milano, 1972. 5'> Interessanti, in tal senso, alcuni spunti presenti negli interventi di « Corrente », cit. Significative anche, su un piano piu generico e umanistico, la confusione fra tradizione e avanguardia, la conciliazione tra classicismo e razionalismo, in un intervento di E. Vittorini ( « Il Bargello », 1933, n. 12): in cui la stazione di Firenze (di Michclucci) è proposta come modello di restauro della classicità.

125

Egemonia e fascismo

stesso· intendere le enormi possibilità del cinema come mass-medium&_ Lungi dal diventare strumento politico dello Stato organizzatore, la produzione filmica degli anni Trenta (a parte il monopolio dei documentari LUCE, rozzamente propagandistici) fu favorita nella direzione dell'evasione spoliticizzante, del cinema dei « telefoni bianchi» 61 : cui segul, con la guerra, la tardiva scoperta dell'occasione mancata, e un ormai inutile e inefficace tentativo di recupero. E non è certo un caso, anche qui, che, nella generale carenza di una produzione di qualche livello (a parte pochissime eccezioni), la pur animata discussione culturale e teorica (dal '36 esce «Cinema», di V. Mussolini, nel '37 « Bianco e nero» di L. Chiarini) tendesse ad investire una problematica - industria o arte? - alquanto lontana dalle dimensioni politiche della questione, e che le elaborazioni pur piu consapevoli (Barbaro, Chiarini) fossero rivolte a riproporre il problema della essenza della nuova arte, e cioè a sistemare la specificità del cinema entro i termini di una generale classificazione dei valori. In definitiva, dove comunque poteva realizzarsi, lo sforzo politico-culturale del regime era uno sforzo destinato a lasciare pressocché intatti i contenuti reali dello sviluppo del lavoro e della formazione intellettuale: e cioè, soprattutto per quanto riguarda le istituzioni della cultura, di un esempio veramente singolare di organizzazione conservativa, di trasmissione e anche socializzazione indolore di un patrimonio attivo di idee e di comportamenti produttivi e sociali 62 • Ed è del tutto evidente come «J Cfr. C. Bordoni, Cultura e propaganda nell'Italia fascista, Messina, 1974. Per una ricostruzione piu specifica e sistematica, cfr. M. Gromo, Cinema italiano (1903-1953), Verona, 1954; e C. Lizzani, Storia del cinema italiano, Firenze, 1%1. 61 « Se mai un governo ebbe bisogno cli film cli evasione, questo fu appunto il governo fascista. Fu quindi escogitata una legge che concedeva premi alla produzione cinematografica proporzionalmente agli incassi» (U. Barbaro, in « Filmcritica », 1950, I, p. 11). Su questi autori, cfr. T. Tinazzi, Il cinema italiano dal fascismo all'antifascismo, Padova, 1966. 62 Questa funzione conservativa del regime è ormai documentata

126

L'alternativa culturale

questa singolarità risulti importante e significativa, ben piu che negli istituti predisposti alla produzione di idee e alla aggregazione dei grandi intellettuali (l'Enciclopedia, l'Accademia: dove la cui tura liberale visse il suo facile e vincente compromesso con le ambizioni del regime, e perciò dove le forme ufficiali di organizzazione si presentavano dichiaratamente giustapposte ai contenuti ideali), soprattutto per quel che riguarda gli apparati della riproduzione, la scuola e l'Università, dove la condizione del conservare e quella del trasformare implicano proporzioni e processi di lunga gittata, incidono sulla dinamica delle forme di coscienza di intere generazioni, e realizzano effetti di enorme portata sociale. Non è senza ragione, evidentemente, l'assoluto silenzio che a questo argomento riservano le sintesi ideologiche dei teorici dello sviluppo e dell'organizzazione fascista degli intellettuali, cioè quelle interpretazioni che, concedendo che l'alta cultura sia stata neutrale e separata (perciò non analizzandola), sostengono che il regime riusciva ad organizzare ben altro, e a spostare ben altro verso la politica, a organizzare e politicizzare gli intellettuali in quanto nuove figure e nuove funzioni tendenzialmente di massa. In realtà il silenzio sulla scuola, sulla formazione reale di masse crescenti anche per quel che riguarda istituzioni piu direttamente inerenti al potere e all'amministrazione dello Stato, nelle quali l'etichetta fascista copriva forme preesistenti, e perciò, lungi dal trasformare i ruoli o le coscienze, lasciava tutto al suo posto: non solo nella soggettività di questo funzionariato intellettuale, ma anche proprio negli ordinamenti e nel funzionamento istituzionale. Ottime ricerche recenti lo mostrano in un arco ormai vasto di settori: dalla sopravvivenza indisturbata della burocrazia tradizionale ai livelli piu alti dell'apparato di Stato (persino nel ministero delle Corporazioni!) alla dominanza .della scienza giuridica prefascista e della relativa amministrazione della giustizia: tutto fascistizzato nel senso di trasferito di peso nelle istituzioni del regime. Oltre che il voi. cit. di Aquarone (passim), dr. le ricerche di S. Cassese (Le istituzioni del fascismo, in « Quaderni storici•, 1%9, n. 12), di G. Neppi Modona (La magistratura e il fascismo, nel voi. Fascismo e società italiana, a cura cli G. Quazza, Torino, 1973), di G. Amato (Individuo e autorità nella disciplina della libertà persnale, Milano, 1967), di N. Tranfaglia (Dallo Stato liberale al regime fascista, Milano, 1976, passim).

127

Egemonia e fascismo

  • la maggior parte ignora penino quale sia il compito della nuova scuola, quale lo spirito della riforma fascista. L'educatore che deve contribuire a formare la nuova scuola dev'essere di fede fascista•· 67 In queste organizzazioni giovanili, compresa la GIL, la « attività sportiva ha quasi completamente e ovunque precluso la via ad ogni altra cura e preoccupazione, che ponesse i suoi fini nell'educazione di una pur limitata cultura e consapevolezza politica nella massa dei giovani organizzati• (E. Capaldo, Gruppi Universitari e Gioventu Italiana del Littorio, in « Critica fascista>, 1 novembre 1938). Assai piu fosche le tinte per quel che riguaroava la condizione dei giovani lavoratori ( « profonda e oscura ignoranza... relativamente al regime in cui pure vivono, alla sua storia, alla sua azione, alla sua ideologia ... • ). 68 Bellucci-Ciliberto, La scuola e la pedagogia del fascismo, Torino> 1978, p. 346. (IJ G. Bottai, La cart(J della scuola, Milano, 1939.

    130

    L'altern11tiv11 culturale

    generazioni cli cittadini sudditi del regime e generazioni cli intellettuali che presto avrebbero ritrovato libertà e dignità: cioè aveva operato dentro il regime come in una forma esile e vuota. Per quanto ispirato da una visione rigidamente classista della organizzazione del sapere, cli per sé subalterna ad una ideologia umanistica della scienza e dello sviluppo, ad un imperialismo umanistico che esalta la scienza moderna per esorcizzarne i danni 70, tuttavia il velleitarismo cli Bottai segnalava la separatezza e l'immobilità dell'asse culturale che aveva continuato a governare la scuola italiana, la sua lontananza dalla vita. L'organizzazione reale dei processi formativi, l'assetto e la gerarchia delle discipline, i valori, i contenuti dell'insegnamento, i metodi e gli strumenti, i manuali e la selezione dei testi, l'uso del passato e la subalternità del presente, tutto ciò seguita cli fatto, senza soluzione cli continuità, a trasmettere e rielaborare (cioè anche nei testi scolastici e universitari prodotti negli anni Trenta, storie della filosofia, storie della letteratura, storiografia generale) la tradizione liberal-spiritualistica del Novecento (che talora assorbe con disinvoltura, senza con questo smentirsi, un capitoletto finale sul fascismo o sulla prosa di Mussolini), anzi ne accentua l'egemonia nei confronti della residua cultura storica e positivista dei primi anni del secolo: si da presentarsi poi realmente, com'è noto a chiunque conosca anche sommariamente la realtà cli questa non trascurabile istituzione culturale, come una organizzazione integralmente accreditabile, perché nei contenuti tutt'altro che allergica, dal nuovo assetto democratico della società italiana. Il controllo formale e amministrativo della scuola fascista era cosi lontanissimo, a stare ai fatti, dal modifi70 Il nuovo umanesimo fascista della Carta della scuola doveva accogliere la scienza, che « ha escluso l'uomo da se stesso•, lo ha spinto verso il materialismo e l'utilitarismo, allontanandolo da quel disinteresse (germe della dignità umana) che aveva generato gli studia humaniores (dr. il discorso di Bottai del 12.11.1939, riassunto da D. Bertoni Jovine, La scuola italiana dal 1870 ai giorni nostri, Roma, 197.53, p. 358).

    131

    Egemonia e fascismo

    care o rinnovare o interrompere i contenuti culturali (gli orientamenti, i concreti processi formativi) della scuola durante il ventennio. Ed è una circostanza specifica che, per il grado di rilevanza generale della sua specificità, concorre a definire in misura fondamentale una circostanza piu complessiva, già da altri lati emergente. E cioè che la funzione storicamente accertabile del regime comportava dunque, non già la trasformazione del ruolo e delle forme di coscienza degli intellettuali, ma uno sviluppo della loro separazione dalla politica; una separazione dell'intera società italiana, evidentemente (politica e lavoro, com'è noto, erano termini in opposizione nelle formule propagandistiche piu diffuse, dalla fabbrica al dopolavoro agli uffici: e le istituzioni di massa avevano l'obbligo di non occuparsi di politica), ma in particolare degli intellettuali: non già tanto attraverso divieti o formule di persuasione, ma attraverso la pratica soppressione di ogni partecipazione e di ogni ruolo di mediazione politica, e attraverso la pratica conservazione-accentuazione dello spazio ideale del1'autonomia, della comunicazione ideologica come terreno di ghettizzazione e di inoffensiva tautologia. In verità, la « coscienza » si avvertiva come non mai l'alternativa della « organizzazione ». E non stupisce dunque che sia stata l'organizzazione (in quanto risposta non qualitativa - separante - allo sviluppo sociale degli intellettuali) la condizione della egemonia crociana, piu in partitolare la condizione del fatto che l'egemonia crociana raggiunge il suo culmine negli anni Trenta.

    132

    CAPITOLO QUINTO

    Il senso della egemonia crociana

    Il primato di Croce nella cultura italiana degli anni Trenta è un fatto concordemente registrato, se pure genericamente, in molti studi recenti: e solo sottaciuto da chi comunque conserva in termini di opposizione l'imagine del rapporto cultura-fascismo (e Croce-fascismo). La verità è che, sul fondamento di quella separazione reale, di quella crescente spoliticizzazione di massa, non poteva darsi cultura che non fosse in qualche mcxlo condizionata dal crocianesimo: ivi compresa, com'è noto, la cultura reduce dalla non eterogenea avventura attualistica, nonché gran parte di quella di matrice cattolica, una volta smaltito col Concordato, e mediante la sapiente manovra unitaria di Croce, il radicalismo ideale che aveva opposto la Chiesa alla tradizione del Risorgimento 1• Giacché non si parla, evidentemente, di una unità o compattezza culturale al livello degli orientamenti consapevoli e dei singoli temi ideologici: bensf di un rapporto tanto piu egemonico e decisivo quanto piu «liberamente» sotterraneo, relativo alla condizione di fondo della storia degli intellettuali, a una religio oggettiva delle loro autorisposte negli anni Trenta, al risarcimento ideale dei bisogni e delle frustrazioni su cui quelle risposte nascevano, e cioè relativo alla funzione restaurativa e identificante di un sistema compatto e insieme duttile di valori (la storia, la civiltà, la libertà individuale, il dovere morale) entro una visione spirituale della crisi e in quanto terreno teorico-pratico 1 La manovra crociana di rimozione dell'anticlericalismo veteroliberale a fini egemonici (intuita da Gramsci) non sfuggiva, del resto, ai cattolici ufficiali, se è vero che dal '31 la FUCI e l'Azione Cattolica riprendevano la polemica ideologica con Croce (cfr. R. Moro, La formazione della classe dirigente cattolica, 1979, p. 747).

    133

    Egemonia e fascismo

    della sua soluzione. Si tratta cioè di un rapporto in cui, piu che il riferimento immediato e contingente, la derivazione scolastica o contenutistica (il crocianesimo esplicito, pur molto diffuso, cui tuttora si riferisce, per affermare o negare, molta nostra storiografia filosofica o specialisticamente politica), conta il senso complessivo di un atteggiamento ideologico, la forma ultima e la direzione profonda del discorso culturale, l'effetto di autocoscienza e di autoorganizzazione che in esso si produce. Conta la crescita di una direzione ideale, la cui operatività si verifica nella realtà politica dell'uscita degli intellettuali dall'esperienza fascista, nei modi articolati e unitari dell'incontro con la storia successiva, negli statuti e nei modi della funzione formativa dell'istituzione scolastica del dopoguerra, nello sviluppo di massa dei valori culturali e delle resistenze ideali al comunismo da allora ad oggi: e intanto, negli anni Trenta, si verifica nella formazione di una convergente autoposizione liberale ed extraistituzionale della cultura, di una sua convergente restituzione (dopo il lungo momento vociano) al primato politico della coscienza o pensiero, cioè alla funzione superiormente politica - in quanto morale e ideale - della direzione intellettuale. La dissociazione effetti va tra pensiero e azione, la forzosa inerzia della soggettività nella storia, si sublimano per questo, diffusamente, nel primato del pensiero sull'azione. Ora la realtà storica di questo processo è assai piu complessa e profonda delle sue emergenze immediate e comunemente registrate, e anche delle sue dimensioni piu esplicitamente politiche, di solito non analizzate nel contesto piu ampio dei loro significati e delle loro ragioni complessive. Non è davvero l'atteggiamento ufficiale di Croce nei confronti del fascismo (benevolo :fino a dopo il delitto Matteotti e al voto di fiducia successivo, autonomo e culturalmente « liberale » a partire dal Manifesto degli intellettuali fascisti, e poi sempre piu concentrato intorno alla predicazione di una libertà superiore alle vicende politiche, solo nel '43 impegnato nella funzione politica della direzione ideale delle articolate istanze libe134

    Il senso dell'egemonill crociana

    rali contro i pericoli della « convalescenza » della società italiana) a determinare immediatamente i livelli della sua influenza sul comportamento degli intellettuali durante il ventennio: al contrario, com'è noto, proprio gli anni iniziali, gli anni del Croce piu vicino al fascismo (20-25), segnano il periodo di piu visibile attenuazione della sua influenza, o comunque di sua complicazione attraverso la mediazione gentiliana; mentre la sua successiva separazione dalle fortune del regime coincide col progressivo restauro della sua egemonia fino alla guerra, fino a configurarsi come la massima istituzione culturale della società civile, l'istituzione-cultura per antonomasia, proprio nel momento in cui il regime produce il suo massimo sforzo organizzativo anche nei confronti degli intellettuali: cioè, come si diceva, nel momento di massima separazione degli intellettuali, e delle masse, dalla politica e dallo Stato. Questo vuol dire che la piattaforma di riferimenti ideali fornita da Croce in quegli anni non tanto veniva assunta, o discussa, come immediata alternativa al fascismo, alla cultura del fascismo, quanto come terreno di una ricerca di autoidentificazione ideologica che l'organizzazione fascista della cultura (lo Stato nel suo complesso) non riusciva a fornire, anzi come riferimento di una funzione della cultura reso ineludibile ed. esclusivo dall'effetto di separazione prodotto dall'organizzazione fascista degli intellettuali. Questa separazione oggettiva dalla politica era la condizione piu immediata della pur differenziata presenza di Croce tra gli intellettuali italiani, almeno quanto questa capillare presenza, alimentando la loro separazione soggettiva, era la condizione della riprcxluzione non traumatica di quella separazione oggettiva. Credo sia questo il significato piu pregnante della formula gramsciana della « concordia discors » tra Croce e il fascismo, cioè della natura profonda del rapporto tra l'operazione di Croce e le forme complessive del dominio borghese nella società italiana (scomposizione-unificazione). Gramsci coglieva la complessità di questo rapporto oggettivo, la sua necessità storica, nei modi di un intreccio tra unità e distinzione 135

    Egemonia e fascismo

    (potere-egemonia, Stato-società civile, fascismo-moderatismo liberale, specificità-continuità del blocco storico borghese) che superava già allora con straordinaria concretezza l'immediatezza ideologica delle interpretazioni terzinternazionalistiche del fascismo, nonché l'economicismo apparentemente opposto degli ideologi della rottura e della trasformazione. Proponeva una visione del regime fascista come momento specifico (modo d'essere, specificabile in un rapporto al di fuori del quale è incomprensibile) di una storia sociale e politica assai piu lunga e complessa, nonché come elemento di una sincronia articolata, di un presente esso stesso composito: di una unità di distinti, àppunto. Il fatto è che tale concordia discors è destinata a risultare difficilmente utilizzabile in una lettura complessiva degli anni Trenta solamente a chi la assuma pregiudizialmente e riduttivamente a un livello immediatamente politico: quando cioè si immagini che essa riguardi l'atteggiamento di Croce (o della cultura crociana in senso stretto) nei confronti del fascismo; o a chi cerchi in questo, nell'adesione iniziale e poi nel distacco e in ultimo nella opposizione « morale », il rapporto di Croce con il fascismo. A questo livello, anzi, è noto che il comportamento crociano contribui non poco a complicare la visibilità del suo rapporto profondo con la realtà italiana del ventennio, e a rendere in definitiva cosi ambigua e ancora oggi polivalente, riduttiva o generica, la nozione stessa· di « crocianesimo »: cosi poco di parte, cosf ideologicamente rimuovibile, cosl operosamente sopravvissuta e perpetuabile, la sostanza metodologica del crocianesimo reale. Come la sua accettazione del fascismo e poi il suo astensionismo valsero a rendere autonomi, o delusi o anche polemici (e talora illusoriamente non-crociani e persino anticrociani), i vari gruppi di giovani intellettuali di formazione gobettiana e radicale, poi liberal-socialisti e azionisti, cosl il suo distacco e la sua opposizione morale al regime allontanarono dalla lettera della sua filosofia i tanti giovani impegnati nella « costruzione » dello Stato 136

    Il senso dell'egemonia crocian11

    corporativo e nel rilancio della funzione politica e dirigente degli intellettuali. E neanche importa molto, per un discorso rivolto a cogliere la sostanza profonda e gli effetti piu durevoli dell'operazione crociana, praticare l'altro livello dei rapporti espliciti tra Croce e la politica culturale del regime: dei continui tentativi che questo avviò - almeno fino a una certa fase - per guadagnare in qualche modo la collaborazione del piu illustre tra gli intellettuali italiani, e comunque per assicurare la sua prestigiosa presenza (anche incondizionata) alle proprie istituzioni ufficiali 2 ; o anche dei meno ufficiali inviti o appelli rivolti a Croce da intellettuali e politici del regime, in nome della sua autori tà di « precursore » del fascismo 3 , di « artefice » o affine, in ogni caso di pontefice massimo della cultura italiana; e in particolare delle esplicite avances di Gentile e Bottai per l'Accademia e l'Enciclopedia e in generale del rifiuto costante che Croce oppose a questa mediazione istituzionale del suo rapporto col fascismo, fornendo implicitamente l'immagine di se stesso come istituzione (la sua rivista, il suo pensiero, la sua influenza crescente sulla parte piu viva della giovane cultura italiana). Sono cose notissime, e ormai abbondantemente documentate negli studi recenti 4 • Ma la loro significatività è destinata ancora a disperdersi, come in un clima tutto aneddotico o di pura risonanza biografica, quando si trascuri di cercarla nel tessuto 2 Sono noti i vari tentativi operati dal regime per ottenere l'ade-sione o l'integrazione ufficiale di Croce. Piu diffusamente li riferiscono gli studi di E. Papa e cli R. De Felice, citati nei capitoli precedenti. 3 Si trattò, almeno :fino al '25, piu o meno di un coro. Usa ricordare in particolare l'atteggiamento di Gentile: « tutta l'elaborazione filosofica e culturale e la costante e la piu profonda ispirazione del pensiero di Croce • ne fanno « uno schietto fascista senza camicia nera• (in «Epoca•• del 21.3.1925). Carlini, Giusso, Brunello, si distinsero in questi appelli, mentre Tilghet vedeva addirittura nell'Estetica la matrice del fascismo. 4 Cfr. i lavori di E. Papa (Fascismo e cultura, Padova, 1974), E. Garin (Cronache di filosofia italiana, Bari, 1955); nonché A. Asor Rosa, La cultura, in Storia d'Italia, IV, 2, Torino, 1976.

    137

    Egemonia e fascismo

    di continuità e di necessità che rese possibile questo singolare « concordato » tra il regime e una delle piu operanti istituzioni della società civile: quando cioè una sostanziale subalternità alla separazione ideologica tra cultura e politica impedisca di cogliere la relazione reale tra le forme del processo storico. In realtà, nella parabola degli anni Trenta, l'operazione di Croce consiste nell'esercizio puntiglioso e capillare di quello spazio che proprio l'ambiguo rapporto iniziale col regime gli aveva fruttato: lo spazio, mai insidiato rea/,mente 5, dell'autonomia della cultura, della metapoliticità del grande intellettuale, cioè della separazione che non nega l'impegno, ma ne supera l'immediatezza integrandone la parzialità, il limite empirico. Non aveva messo in discussione il fascismo, anzi l'~veva accettato, e per suo conto favorito, come l'elemento che la storia «forniva» contro i pericoli estremi della democrazia giolittiana, e cioè contro la forza ormai minacciosa delle masse: come funzione, paradossalmente sgradevole e violenta, della restaurazione di quella libertà che è di pertinenza dei pochi e come tale comporta la subordinazione e l'irregimentazione dei molti. Il fascismo era un fatto pratico, uno strumento politico, senza alternative in quel momento della storia italiana, e sia pure una pausa nel processo della civiltà, ma non tale da comprometterne la natura e la forma: anzi garante della salvezza di questa forma rispetto ai rischi di una tr~formazione che poteva dis « Invero, l'indisturbata attività di Croce fu il segno piu clamorosamente evidente del fallimento del tentativo mussoliniano di affrontare la realtà della cultura italiana in un modo genuinamente totalitario• (J. Cannistraro, La fabbrica del consenso, Bari, 1975, p. 55). Si ricordi la testimonianza di Croce: « Io sono rassegnato, io sto in Napoli a un dipresso come il Vesuvio sul suo golfo. Si può impedire al Vesuvio di fare, quando gli piace, le sue eruzioni?• (Relazioni o non relazioni col Mussolini, del 1944, poi in Nuove pagine sparse, I, Milano-Napoli, 1949, p. 71). « L'ostilità contro di me, che si manifestava in giudizi iniqui e stolte parole, non mi offendeva, perché sapevo che, nel fondo di essa, non c'era niente di reale, o c'era negli animi il contrario di quelle parole e di quei giudizi• (ibidem). 138

    Il senso ddl'egmionill t:1'0CUl1III

    struggerla per sempre. Il voto di fiducia al Senato dopo il delitto Matteotti, nel momento della prevista imminente caduta del governo Mussolini, è il gesto di una coerenza che invano si cercherebbe in molti protagonisti del1'Aventino. Quello che subito Croce metteva in discussione era invece l'indistinzione gentiliana: non il fascismo in quanto tale, ma la pretesa di una identificazione fascista della cultura, cioè la confusione attualistica tra parte-strumento e totalità-eticità della libertà intellettuale, la compromissione politica e pertanto la soppressione social-istituzionale delle individualità culturali, e dunque inevitabilmente la socializzazione della proprietà dello Spirito. Come si fa a intendere il Croce del ventennio, l'effetto della sua « solitudine » sulla diffusa intellettualità italiana, sui processi della formazione nella scuola e sugli orientamenti del senso comune che non è ignaro di ciò che si impara a scuola, senza conoscere profondamente il Croce del primo Novecento, l'Estetica e la Filosofia della pratica? ~ una strana pretesa, e una strana sicurezza scientifica, e politica, quella che talora ci induce a interpretare i fatti, e quei fatti che sono i testi, le espressioni ideologiche, privi del contesto della loro formazione e perciò dei loro significati. Croce aveva abbondantemente previsto, almeno dal 1914, il rischio della prigione dell'atto puro 6 : cioè l'immane pericolo dell'atto che sacrifica la sua totalità nel fatto, perdendosi in esso, perdendolo, e perdendo cosf la possibilità logica e reale di riattingere il proprio primato. Ebbene l'atto teorico che totalizza il fascismo, le sue istituzioni, lo Stato, che si frantuma cioè nell'empiria delle forme fattuali, quella coscienza dimissionaria che esalta la sua voracità spirituale nella universalizzazione del suo limite pratico, tenterà invano (proprio come Croce aveva avvertito) di riattingere il suo primato dal buio dell'indistinzione, dalla compromissione della totalità politico-istituzionale in cui 6 È il celebre articolo nella «Voce> del 1914, lntrno all'idealismo attuale, (poi nel vol. II delle Conversazioni critiche).

    139

    Egemonia e fascismo

    si era identificata: e questa delusione segnerà poi com'è noto, a partire dal '25-'26, il progressivo ritorno all'era crociana di alcuni attualisti in crisi 7, e, piu in generale, lo spontaneo processo di reidenti:ficazione culturale di gran parte dell'intellettualità italiana degli anni Trenta. Rispetto a una vicenda cosi complessa, non si tratta dunque di rivendicare, in nome di categorie ipostatiche ed evidentemente libresche, la «modernità» di Gentile, la sua politicità piu avanzata, di fronte alla « eticità » anacronistica di Croce, alla sua « separazione». O viceversa. Si tratta di conoscere senza pregiudizi la rappresentatività di queste scelte nella storia politica tra le due guerre, le loro radici nelle vicende profonde della società italiana e il loro effetto politico nella ricomposizione borghese-mcxlerata dei movimenti profondi della società italiana. In realtà l'attualismo, nella sua immediata traslazione statolatrica delle spinte movimentistiche alimentate dalla crisi post bellica nei ceti medi, e negli intellettuali in particolare, cioè nel suo hegelismo sfasato dentro il tempo della società di massa, aveva consumato sino in fondo il margine irrazionalistico della sua « matrice crociana» (Gramsci): funzionando nei fatti come avanguardia sperimentale della egemonia neoidealistica, materializzazione provvisoria e caduca delle sue spinte piu originariamente antidemocratiche e piccolo-borghesi Nei confronti di tale materializzazione, che parzializzava in un illusorio primato della politica la politicità universale della funzione intellettuale, Croce riguadagnava per intero il terreno della generalità, portandolo sino in fondo: non già, mai, opponendo al fascismo un qualsivoglia contenuto politico, una parzialità alternativa, ma opponendo all'indistinzione, e perciò alla falsa totalità teorizzata dall'attualismo, il metodo della distinzione tra parte e tutto, fascismo e cultura, tra azione politica e coscienza intellettuale. È per questo che, mentre ammetteva che il fascismo 7

    140

    Lo ricorda anche E. Garin, nelle Cronache, cit., pp. 418-419.

    Il senso dell'egemonia crociana

    usasse anche la violenza per ricondurre all'ordine la società inquieta, e si adoperava politicamente per questo genere di ritorno alla normalità, coglieva invece la grande occasione offertagli dall'ingenuo Gentile per aggregare intorno al suo Manifesto una serie di intellettuali prestigiosi (alcuni politicizzati in senso antifascista): cioè intorno a una presa di posizione che di politico non aveva se non la difesa della libertà della cultura, l'affermazione della sua universalità, la distinzione tra le due sfere, la denunzia di ogni possibile confusione, e aveva altresl, da una chiara posizione di forza, l'avvertimento della non convenienza (per il regime) di confrontare la qualità e il prestigio delle due opposte schiere di firmatari. Ed è per questo che il suo rifiuto costante di partecipare a iniziative culturali ufficiali, pur' in condizioni di assoluta libertà, e di accettare cariche di prestigio, non fu mai motivato con altro argomento che non fosse il metodo della distinzione, la « naturale» riluttanza alle istituzioni, intese come organizzazione pratica della cultura, e cioè momento di ordine diverso rispetto a quello del pensiero e della missione intellettuale. Croce lasciava interamente a Gentile il compito di elaborare la « cultura del fascismo », e cioè di correre il rischio di una operazione inferiore e subalterna perché originariamente compromessa dal carattere pratico-teorico del programma, dalla indistinzione che essa avrebbe prodotto nei contenuti e nei soggetti della sua costruzione. E rivendicava invece per sé, e otteneva in una misura che ha del sorprendente, il compito paziente di rappresentare in ogni momento la verifica positiva di quella impossibilità, la costruttività della distinzione come condizione di universalità, cioè di tendenziale unificazione di quei contenuti e di quei soggetti. Otteneva di essere, fuori dalle istituzioni, l'istituzionecultura, che non nega quelle altre, ma si disegna come il superamento ideale della loro utilità o materialità: come il luogo al quale è dunque inevitabile che tornino ad aspirare tutti coloro che, costretti dalla necessità, sono tuttavia i portatori della libertà. 141

    Egemonia e /ascismo

    L'ordine ideale di Croce negli anni Trenta, ormai distaccato dal momento acuto della distinzione attiva, dalla presa di posizione che lo aveva reso possibile, è un ordine tutto sovrastante rispetto all'ordine che alla società italiana aveva ormai conferito stabilmente il regime. È l'ordine della continuità dei valori che devono governare il mondo, sostanzialmente indifferente agli strumenti politici che ne realizzano la conservazione: tale da giustificarli e comprenderli nella forza della loro necessità 8, ma sempre al di qua del rischio di confondere in essi, nella loro parzialità, il proprio destino di egemonia 9 • Nella comune battaglia contro la comune alternativa reale, che era lo sviluppo dell'ordine della democrazia, della quantità (masse) contro la qualità (valori), l'ordine crociano era la riserva della civiltà che, distinguendosene, comprende e protegge le sue difese congiunturali. Veniva molto prima, nelle radici sociali della cultura italiana, dell'ordine del fascismo. Ed era per questo che, realizzando un tipo di unificazione diverso da quello politico-organizzativo del fascismo, poteva raccogliere le inquietudini e le domande degli intellettuali anche divisi in opposte frontiere: poteva accettare, senza scomporsi, l'appello di chi cercava in esso la genesi ideale del proprio impegno fascista e insieme la garanzia di una continuità complessiva della cultura ita8 Cfr. il sottile atteggiamento di giustificazione-distinzione svolto nelle noterellc del '22-'23, raccolte nella seconda edizione di Cu/.tur11 e vita morale (Troppa filosofia, Contro la filosofia politica, ccc.). Già allora riservava al « liberalismo ,. il valore della universalità, e ammetteva sul piano pratico-ideologico qualsiasi azione di parte. Di fatto, giustificava la «parte,. esistente: « ne è vano e malvagio lo sform dell'autoritarismo e reazionarismo, che interviene in certi momenti a salvare la società mercé le dittature e le restrizioni cli libertà,. (Liberalismo, in Cultura e vita morale, Bari, 1955-1, p. 285). 9 « Il poeta, il filosofo, lo storico conoscono veramente l'uomo; e da quel che essi hanno veduto nel rapimento dell'ispirazione e nella pacatezza della meditazione nascono gli ideali che riscaldano i petti e segnano la via dell'azione. Qui si può veramente sorridere dalla parte degli uomini di pensiero, che hanno mosso e guidato il ballo, e ora mirano dall'alto quel furioso danzare dei furbi politici, ebbri del loro danzare, ignari cli muoversi a posta altrui,. (IA storia come pensiero e come azione, Bari, 19546, pp. 180-181).

    142

    Il senso deU1egemonia crocuma

    liana; nonché l'adesione sempre piu popolosa dei giovani antifascisti, bisognosi di un riferimento morale da opporre ad una servitu politica tutta priva di alternative reali. Ma l'operazione di Croce andava molto piu in là dei limiti di questa « accentuazione », ed anche piu in là dei termini di un rapporto cosi individuato e diretto, politicamente definibile nei momenti generici e opposti del fascismo e dell'antifascismo. La stessa ricomposizione culturale degli opposti politici non sarebbe risultata un effetto di larga gittata, e ricco di avvenire, se dalla individualità di una meditazione teorica, di una personale e sia pure attraente posizione di pensiero, non si fosse trasferita alla articolazione di una piu dialogica ottica culturale, ad una metodologia della storia versata sul presente, in fondo ad un'opera di pedagogia storiografica e di analisi etica del presente: dal crocianesimo come totalità filosofica al crocianesimo come illuminazione in atto dei valori culturali e identificazione militante delle funzioni intellettuali. È questa la persuasione che guida il :filosofo a farsi, dal '22 al '43 precisamente, l'intellettuale etico non già opposto alla realtà politica del ventennio, ma impegnato a giustificarla-trascenderla in un attivo e duttile impiego del nesso unità-distinzione Le date di pubblicazione del primo nucleo di Etica e politica (i Frammenti di Etica, del '22, appunto) e poi della raccolta definitiva di queste riflessioni già modulate nella operosità continua della «Critica» ('43 e '45), segnano con sorprendente chiarezza la costanza e la crescita di una strategia culturale tutta impegnata a ridefinire il presente sulla base di una fondazione intellettuale (il Contributo alla critica di me stesso, che conclude il volume) che sollecita a risolverne le contraddizioni in una prospettiva di fermo dominio ideale. Croce è il primo ad avvertire la continuità di questo tempo pedagogico della sua operazione rispetto alle origini teoriche-sistematiche del suo lavoro agli inizi del secolo: a tal punto che, com'è noto, le due grandi Storie esibiscono la centralità di quella sua opera di «restauro» dei grandi valori della tradizione,

    143

    Egemonia e fascismo

    saldando in essa il secolo della libertà al bisogno spmtuale di libertà che attraversa le spinte contraddittorie della storia recente. E tuttavia egli dà ora per scontate le conquiste raggiunte in quella battaglia di « pulizia filosofica », in una ripresa operativa che sembra aver smaltito le punte estreme di quella, le pronunzie assolute: come obbedendo anche questa volta ad una necessità di ordine oggettivo, ad una strutturazione diversa dd pubblico reale della sua predicazione, alla diversa disposizione che la stessa battaglia culturale non può non assumere nel sistema piu contratto entro cui si trova ad operare. Si dovrebbe dire, per l'appunto, che all'attenzione di Croce non sfugge la nuova dimensione organizzativa che nel ventennio va assumendo la società di massa, e, in essa, lo stesso problema degli intellettuali: e che la stessa riduzione operativa del circolo dei distinti (unità e articolazione dei quattro atti spirituali) in unità e distinzione di etica e politica (attività interne allo spirito pratico), e cioè di fatto la riassunzione nell'etica della piu alta rappresentatività spirituale e lo stesso sollevamento nella politica della piu bassa rappresentatività del processo (l'economia), si dovrebbe dire che questa riduzione segna, non già evidentemente la sconferma o l'abbandono, ma la dilatazione culturale e la concentrazione storico-pedagogica, dei presupposti teorici della operazione crociana. Lo stesso risalto pragmatico delle Storie, e il fittissimo intrecciarsi di analisi particolari e ravvicinate nella « Critica », di riflessioni immediate e di verifiche di ogni minimo evento culturale, e altresf la rivalutazione della nozione di « letteratura » come costume e civiltà diffusa, posta accanto ai vertici della poesia come suo terreno di alimentazione e di crescita, quasi un legame orizzontale delle individualità, una organizzazione «produttiva» (La Poesia): sono tutte spie di un consapevole ridimensionamento del progetto crociano, del metodo della sua azione culturale, tuttavia solidamente interno ad una concezione irrimmziabile della storia degli intellettuali, e anzi tutto funzionale alla massi-

    144

    Il senso dell'egemonia C1'0CUIIUI

    ma dilatazione egemonica del suo modello e della sua originaria politicità. Lontanissimo dall'estraniarsi dalla realtà del nuovo rapporto tra masse e Stato, tra istituzioni del regime e inquieta sonnolenza della società, Croce al contrario assumeva questa mutata realtà come il terreno piu favorevole alla crescita della sua direzione ideale: non solo non cedendo un palmo del suo antico prestigio rispetto alla « piu avanzata» funzione culturale del partito di massa, ma colmandone invece il vuoto di egemonia, fornendo contenuti alle forme di organizzazione, fissando a un livello cli unificazione ideale praticamente libero da ogni controllo una circolazione di massa al di sopra delle divisioni politiche e contingenti, comprensiva delle loro ragioni e perciò destinata ad eliderne la contraddittorietà 10 • Non sembra che, da Gramsci in poi, si sia fatta sufficiente attenzione alla ricchezza di implicazioni profonde e di capacità cli aggregazione oggettiva della formula crociana di « storia etico-politica », comunque del livello costantemente eticopolitico del discorso crociano negli anni Trenta. Quella formula, riscattando la politica - nel tempo del suo formale primato (partito, Stato) ma anche del suo bisogno diffuso - dalla condizione di inferiorità cui era costretta nel sistema (lo spirito si libera dall'economia o politica attingendo l'universalità della vita etica), accreditava come fondamentale e di pertinenza degli intellettuali la sfera dell'attività politica, la categoria dell'impegno: ma reintroducendo al livello del valore-politica la distinzione tra etico ed economico. La distinzione si pone ora tra eticopolitico ed economico-politico, tra intellettuali e istituzioni> tra coscienza e organizzazione. Croce accettava cioè il terreno storico di quel bisogno di « rivoluzione » che aveva mosso le giovani generazioni intellettuali e che ancora alimentava il loro sogno di rinnovamento del fascismo, ma dirottava tale protagonismo e la sua carica individualisticoW Cfr. I partiti politici e il loro carattere storico, del '38 (nella Storia, cit., pp. 230 sa.).

    145

    Egemonit1 e ft1scismo

    libertaria dal piano dei conflitti economici e dei sogni di palingenesi sociale a quello dei valori morali, del rinnovamento ideale e dell'impegno aristocratico della coscienza: rivitalizzando cosf, proprio nel momento della sua massima asfissia collettiva, il ruolo ideologico della cultura e fornendo perciò una risposta antica, ma singolarmente fruibile da una massa di individui non trasformati, alla ripetuta domanda di identità, di protagonismo, di creatività politica, ossessivamente sollevata dalle élites intellettuali deluse e separate dalla « quantità » fascista. Non tanto importa che queste si riconoscessero crociane, quanto che, in assenza di un avvenire visibile, cercassero la tradizione, i valori da ricostituire, che parlassero di politica come di un problema della coscienza, che si angosciassero per le sorti della civiltà occidentale 11 • Il crocianesimo che conta e che dura è stato sempre questo. Contava, ed era il frutto della paziente ininterrotta pedagogia crociana (del suo essere la forma ideologica piu spontaneamente di massa dello sviluppo del ceto intellettuale del primo Novecento), che in questa mediazione dell'universalità latente dello Stato 12, i dispersi intellettuali italiani, quale che fosse il contenuto della loro ansia politica, riconoscessero il mandato della cultura, la sua politicità, la funzione pubblica della sua eticità. Contava il fatto che dunque la storia, questo presente cosi bisognoso di valori per il futuro, si rivolgesse al passato: che l'alternativa fosse il passato, che la storia reale si iden11 .:S interessante ad esempio, e troppo poco noto, mi pare, che già dal '31 il «fascista> Vittorini (in realtà alunno della «Ronda>, come diceva) affermasse perentoriamente: « Lo scrittore è profeta, e non cronista, promuo~ le rivoluzioni e gli Stati, non li esalta a cose fatte> (nel «Bargello> del 1931). 12 « L'idea dello Stato, appunto perché idea, ~ sommamente irrequieta; e nello sfo1'7.0 di richiuderla in questo o quell'istituto, o in un complesso di istituti, si rischia di mettere le mani sulla sua vuota parvenza o sulla sua effettiva negazione ... Non è raro che un uomo di pensiero, innanzi agli Stati empirici, sia tratto ad esclamare: l'Ettlt c'est moi; e può avere in ciò pienamente ragione* (Il ~ glio filosofico e lt1 culturt1 italiana, del 1908, in Cultura e vita morale, Bari, 195.53, p. 25).

    146

    Il senso dell'egemoni4 cmcillna

    tificasse nella storia degli intellettuali. Quando non si coglie la necessità di questo uso etico di Croce, la sponta- neità di questo uso perciò anche vario ed eterodosso, si deve deformare tutto della storia degli intellettuali italia• ni dagli anni Trenta ad oggi, e cioè della storia dei rapporti tra cultura e politica, della storia dei modi di direzione politica della nostra società. Perché l'operazione della mediazione, che quegli intellettuali velleitariamente proponevano al regime fascista, o a fantomatiche realtà ad esso opposte, non era piu ottocentescamente una mediazione per conto dello Stato, o della classe dominante. La mediazione era in nome di sé, perché essa stessa, il suo corpo sociale, si autonominava universalità. La crisi dello Stato liberale comporta questo, Croce significa questo: nel senso che questo comporta, nella società italiana del Novecento, nel tipo di sviluppo capitalistico comunque realizzato e perciò nel tempo della società di massa, la curvatura parassitaria e corporativa della piccofa borghesia intellettuale emarginata dal giolittismo e isolata-repressa dal fascismo. Rispetto alla improduttività della sua collocazione nella pratica (le funzioni esclusivamente burocratico-esecutive dell'organizzazione), essa tende a ritirarsi nella universalità della teoria, come Croce insegnava. Ma per dominare e illuminare la pratica. La perentoria opposizione (teoria-pratica) del primo tempo crociano tende anche qui ad attenuarsi, nel tempo colmo della mediazione universale: e a disporsi anzi, con una insistenza che fa di questo tema uno degli assi fondamentali della ininterrotta predicazione di Croce, nel senso di una risoluzione positiva dell'impegno pratico nella sfera dell'etica., di una individuazione piu pregnante del suo sbocco piu produttivo: attraverso cioè un nesso di distinzione che appare piu come specializzazione di una fondamentale unità che non come separazione di opposti e negazione reciproca. Non è davvero un caso che Croce prendesse le distanze, già nel '28, dal fortunato e molto discusso pamphlet di Benda sul tradimento degli intellettuali. Se lo 147

    Egemonia e fascismo

    scrittore francese, afferma Croce, ha ragione nel notare nell'ultimo cinquantennio di storia europea l' « asservimento» degli intellettuati agli interessi del potere politico ed economico (che, teoricamente parlando, potrebbe definirsi lo « scambio o sofisma di attribuire valore assoluto ai concetti empirici di nazione, classe, Stato, innaluti a categorie spirituali »), egli ha poi torto nel sostenere, contro « l'indebita identificazione », la necessità della •separazione•· Questa è impensabile, e Croce lo argomenta assumendo significativamente se stesso come esempio di intellettuale che, in quanto « uomo di contemplazione», volesse distaccarsi dalla realtà politica ed economica, e farsi verso di questa « chiuso e indifferente». Tale indifferenza non potrebbe che risolversi in una perdita di ogni « alimento» per « i miei pensieri», cioè in una riduzione mortuaria e negativa del mio desiderio di purità e di libertà. Tagliando i « lacci che annodano alla realtà umana» il pensiero e l'azione, fintellettuale smarrisce, per Croce, la realtà stessa della sua vita morale, diventa un « parassita improbo »: e cioè di fatto rinunzia alla produttività della sua funzione. Ed è invece questa funzione, al di là di ogni separazione, e di ogni confusione, che occorre difendere e sviluppare 13 • La presa delle opportune distanze da ogni nostalgia aristocratica sembra fondarsi, come in altri luoghi crociani (il Contributo ad esempio), sulla consapevolezza e sulla rivendicazione del valore politico del proprio lavoro, nonché risolversi nella indicazione-esortazione di una politicità intrinseca della funzione intellettuale, che, in quanto tale, nella sua specialità (« age rem tuam »), sembra realizzare correttamente il necessario rapporto con la totalità della vita. Su questo elemento della specializzazione, del resto, Croce costruisce, a partire dal dopoguerra, e in modulazioni successive di notevole duttilità, la consapevole definizione della propria funzione nei confronti del fascismo: nonché, indirettamente, la differen13

    148

    L'Italia dal 1914 al 1918, Bari, 1950}, p . .349.

    Il senso dell'egemonia crociana

    ziata autoidentificazione di compiti e di riserve rispetto ad altri settori della cultura italiana. Almeno fino al '25 questo elemento è proposto da Croce, di fronte alle lusinghe e insieme alle accuse di incoerenza che gli sono mosse dai fascisti gentiliani, come una riserva di autonomia che oscilla tra la richiesta di non-compromissione e l'offerta di un collaborazionismo oggettivo. Alle troppo benevoli recensioni di parte fascista al volumetto Elementi di politica, e alle lodi di quelli che lo indicano come il filosofo che ha « preconizzato il nuovo Stato fascista», risponde ambiguamente che, se non ha mai inteso essere un precursore, è felice di aver contribuito a far piovere un po' di luce sui problemi storici e teorici. Quello che veramente respinge è l'accusa di indifferentismo, alla quale oppone la Storia del regno di Napoli ( « credono... che io non abbia fatto della politica ... ? »), opera che non sarebbe mai nata senza la « passione politica e del passato e del presente» 14. « Al di sopra dell'opera politica» che gli « accade di compiere come ogni probo cittadino», la migliore opera politica dell'intellettuale si realizza in altro momento della « economia delle forze sociali ». È in questo passaggio il momento di piu produttivo sviluppo della posizione crociana, e cioè il varco di progressiva egemonia del suo clistinzionismo. La « specializzazione», lungi dall'essere separazione o negazione dell'universalità, « è la sola scxla universalità possibile», è il suo modo d'essere reale, pena l'indistinzione, cioè la falsa totalizzazione dell'empiria (Gentile, cui si rivolge). Ed è universalità proprio perché, colma di senso politico e pratico, non si confonde con i loro contenuti congiunturali, cioè non si divide in essi, perdendo l'intero. Nella economia sociale di un tempo storico, la funzione degli intellet14 Cultura e vita morale, cit., p. 292. « Per intanto, quel mio libro va penetrando nelle menti e negli animi, e lo vedo di continuo richiamato, da fascisti e non fascisti ... Ed ecco (al di sopra di quella che mi accade di adempiere cane ogni probo cittadino) la mia migliore e piu continua « opera politica•· (Ibidem, del 192.5).

    149

    Egemonia e fascismo

    tuali - fin dall'interno delle lotte politiche e degli istituti che organizzano la società - è quella di guardare all'universale che sottende i fenomeni, di intenderli nella prospettiva di una piu vasta coscienza: questo è la sua spedalità, alimentata e distinta dall'esperienza, e cioè è questo il suo modo di realizzare la piu alta politicità. Non è la totalità ideologica della parte. È lo specialismo della totalità 15 • Collocandosi dunque all'interno di quella disposizione comunque all'impegno che contrassegnava una fase nuova - tendenzialmente di massa della storia sociale degli intellettuali nei termini di una ricerca di «utilità», di funzione produttiva, Croce tende a curvarla nella direzione di una specialità che sembrava tanto piu ribadirne la necessità quando piu ne qualificava Io spazio operativo rispetto alla indistinzione del praticismo generico, della confusione attivistica: proprio negli anni in cui l'illusione parapolitica dell'attualismo si andava disperdendo nella realtà di una organizzazione statuale sostanzialmente autonoma (separante e isolante) rispetto allo sviluppo dei bisogni di socialità e di politica. Si può dire che non ci sia scritto di Croce, o anche riflessione sparsa o intervento occasionale, che non affermi o esemplifichi o applichi, o anche sviluppi e maturi, nell'arco degli anni Trenta; l'immagine di questo spazio non deperibile della specialità intellettuale dentro il mondo pratico, questa universalità politica non confondibile con la politica e con lo Stato. « L'universale non è il numero, la moltitudine, la gregge, e si distingue dal piu o meno generale appunto perchè non quantitativo ma qualitativo » 16 • L'universale è la specializzazione. Certo, non è un caso che questa immagine, prima dosata dall'equilibrio sottile della distinzione, e perciò ricca di risonanza in un mondo giovane-intellettuale ancora animato dal bisogno di una qualificazione comunque po15 La politica dei non politici, in Etica e politica, Bari, 19564, p. 288. 16 Converstn.ioni critiche, V, Bari, 19512 , p. 342.

    150

    Il senso dell'egemonia cro.."iana

    litica della propria funzione, tenda poi sempre piu a definirsi in relazione dialettica rispetto alla falsa universalità (esplicitamente nominata) delle nozioni di « organizzazione » e di « masse »: cioè tanto piu quanto, al di là della inoffensiva (accettata, necessaria per evitare ben altro) 17 organizzazione fascista della società, la vigile pedagogia di Croce sembra intravvedere futuri e diversi pericoli di «sottomissione» degli intellettuali e di « dissoluzione » dell'individualità. È un sintomo, questo, di quella «malattia» del secolo che Croce ha combattuto a viso aperto sin dall'Estetica, com'è noto, in nome di un primato della qualità intellettuale decisamente opposto alla democrazia e alle sue istituzioni: e che torna a combattere, a partire dal '38, dopo una· lunga pausa di piu sottile difesa della aristocrazia culturale - di distinzione di ambiti e di funzioni - nel tempo della latenza della democrazia. Il bisogno di uniformità, la ricerca di « un qualcosa » cui aderire (« un partito, una chiesa, uno Stato, una razza, e via»), cioè quel confuso ma avvertibile riaffiorare di un movimento di idee e di esigenze in alcune zone della società italiana, in alcuni gruppi intellettuali particolarmente, questo sembra a Croce il segno di una pe.tdita di fiducia dell'individuo in se stesso, la ricerca equivoca e difensiva di una azione con gli altri, « con gli altri che prevalgono nel presente o che si pensa che preva"anno nel prossimo avvenire » 18 • In realtà si trattava delle isolate espressioni di un bisogno diffuso di socialità e di politica, nato all'interno di uno sviluppo sociale singolarmente privato di espressione politica: e cioè si trattava davvero, crocianamente parlando, della emergenza sintomatica e ancora indiretta di una nuova domanda di qualità dentro le frontiere separanti di una organizzazione quantitativa. Croce dequalifica come malattia, o addirittura opportunismo, questa inquietudine che tende a diffondersi, 17 18

    Cfr. Liberalismo, del 1926, poi in Cultura e vita morale, cit. Ibidem, p. 341.

    151

    Egemonia e fascismo

    questo bisogno di sentirsi uniti, chiaramente scoprendo il senso politico della sua preoccupazione (« con gli altri che... si pensa che prevarranno nel prossimo avvenire »). E per la prima volta dopo molti anni abbandona ogni ambiguità, ritira ogni concessione all'equilibrio teorico-pratico della sua predicazione culturale, riaccentuando in termini di confronto valutativo, di universalità che supera e indirizza e domina, il rapporto intellettuali-masse sin qui contenuto nei modi mediati di una distinzione funzionale: Il mondo non sa quanto prt2iosi a lui siano gli sparsi uomini, il piccolo drappello, che si volge sempre non al falso universale, che è la generalità, ma al vero, che sorpassa e domina ogni generalità. Questi uomini non soffrono della solitudine, perché ciò che pare solitudine agli occhi del volgo, il quale non li vede stare con le moltitudini e da esse attorniate, è per loro la piu alta unione, la somma società, la relazione col tutto. E dal tutto si aprono il passaggio agli altri e alle loro unioni, cioè alla realtà di volta in volta inferiore, per dominarla, per indirizzarla, per valersene, e non già per confondersi con lei, a lei adeguandosi 19•

    In realtà, la lucidissimà operazione condotta da Croce negli anni Trenta cominciava a trovarsi di fronte, dal '38 appunto, la prospettiva del deterioramento ultimo e poi del crollo del fascismo: e cioè il rischio del venir meno di quella separazione tra intellettuali e masse che il regime aveva stabilizzato, e che la predicazione crociana aveva assunto come il terreno positivo della sua manovra egemonica. È per questo che la nuova curvatura dell'etico-politico, del rapporto teoria-pratica, accentua da questo momento l'universalismo della funzione intellettuale, la sua autosufficienza e la dimensione elitaria della sua natura, rispetto a quella dimensione di. massa del bisogno di libertà che non era mai stata in alcun caso compresa nel «liberalismo» crociano. Si tratta di due «razze» diverse ed opposte: « quella degli uomini volti 19

    152

    Conversazioni critiche, V, cit., p. 342.

    Il senso deU'egemoni4 croci""4

    unicamente o quasi unicamente al loro particolare, e quella degli uomini che hanno viva la coscienza e il travaglio dell'universale: gli uomini materiali ... e gli spirituali ... il volgo e l'aristocrazia umana,. :a>_ Due razze fatalmente opposte 21 • Le loro combinazioni e i loro punti di incontro possono essere svariati, ma la loro incomunicabilità è garantita dalla eternità dei valori che sono il retaggio della razza intellettuale: cioè dalla fissità dei « principi costitutivi », dei quali è « risibile • pretendere il « cangiamento »: giacché il « cangiamento delle cose si effettua appunto per la costanza dei principi, i quali costantemente operano a produrre il cangiamento: se i principi stessi cangiassero, niente piu cangerebbe perché il cosmo piomberebbe nel caos » 22 • È questa archetipica continuità della storia degli intellettuali, la cui radicalità primonovecentesca e la cui forza di autoriproduzione ideologica e di funzionalità politica sono ancora oggi elementi non sufficientemente oggettivati della nostra formazione culturale, è questo presupposto della non cangiabilità dei valori (della eternità del loro produrre il cangiamento dei propri contenuti e usi storici), è questo a comportare la negazione crociana del futuro ( « Si lavora sempre per sé e per il presente, e non per altri e per l'avvenire; ma per quel «sé» che è lo spirito, e per quel sempre presente che è « l'eterno »), nonché a consentire l'irrisione della formula « il mondo va verso ... », cioè della presunta « necessità storica ,. e del conformismo che su di essa si crea. È questo in una parola a comportare il primato del passato. Esso è la vita del presente: non già « ritorno », ma costanza di principi che « ripigliano vigore » 2.1. Giacché la crociana storia etico-politica, o storia degli intellettuali, forma :a> Le due razze, in ibidem, p. 344. 21 « ~ raro, qu•i miracoloso, che una conver9ione effettiva

    abbia

    luogo». (Ibidem). 22 Il cangiamento dei principi costitutivi, della stessa serie di noterelle, del '38, in ibidem, pp. 354-355. 23 Restaurazioni e ritorni al passato, in ibidem, p. 358.

    153

    Egemonia e fascismo

    teorica piu elaborata e compiuta della risposta intellettuale ai processi di massa del primo Novecento, riacquista trasparenza e aggressività antidemocratica nel momento storico in cui l'immediato futuro sembra poter comportare una libertà delle masse di per sé rovinosa per le funzioni protagonistiche dell'aristocrazia intellettuale. Si acutizzava cosf, non piu ponendosi come teoricamente complementare alla propaganda e alla repressione del regime, l'assillo antimarxista che aveva connotato e sorretto sin dall'origine la lunga operosità crociana, e che spesso non aveva esitato ad assumere forme immediate di anticomunismo (nel '17-'19); per ripiegare poi nei modi di una piu distanziata polemica teorica nel tempo in cui il pericolo risultava allontanato, e semmai confinato nella confusione di certo velleitario collettivismo di marca giovane-gentiliana. Al livello di questo problema cosi inestricabilmente connesso con la genesi del suo pensiero, Croce non aveva esitato a farsi promotore di operazioni decisamente strumentali, come nel caso del mediocre libro di De Man, patrocinato e presentato in Italia nel '28 come una conferma di quel « superamento del marxismo » già realizzato da tempo tra noi (da lui personalmente), ma ora significativamente testimoniato da un intellettuale che era stato dirigente politico del socialismo belga. L'osservazione della realtà, affermava Croce, ha costretto De Man a rivedere le sue convinzioni, e ad abbandonare la teoria e il metodo politico del marxismo, per giungere alla persuasione che la storia della società umana è storia di ideali reali, condotta da intellettuali 24 • Si trattava del resto di uno dei tanti momenti di quella sistematica attenzione ai fatti europei e mondiali (dagli Stati Uniti alla Russia) che le annate della « Critica» testimoniano in misura imprevedibile; migliaia di interventi, recensioni a tappeto di tutte le opere straniere significative in tutti i settori · 24

    154

    Poi in Pagine sparse, Il, Milan~Napoli, 1949, p . .380.

    Il senso dell'egemonill crocillnll

    delle scienze umane, un controllo capillare quale solo una vera e propria « politica culturale » può fornire, e in ogni caso una offerta bibliografica che il provincialismo successivo della nostra cultura ha impedito di utilizzare anche solo in senso erudito. Ma si trattava, in particolare, del controllo del marxismo, che Croce continuava ad esercitare a proposito della sua «sopravvivenza» in opere :filosofiche, storiche, di pubblicistica varia: come, ad esempio, nella nota JS sulla presenza insidiosa di alcuni concetti marxisti nelle teorie politiche odierne (« classe dominante », « lotta di classe », « borghesia »). Si tratta di termini derivati dal « paneconomismo » di Marx, inteso come « la piu radicale opposizione alla concezione etica e politica liberale, quale si era formata col successivo affinamento della vita spirituale dell'umanità attraverso il mondo antico, il cristianesimo, il rinascimento». La sollecitazione a « scacciar via quanto di essi (con- cetti) vi si è introdotto e vi persiste» è motivata proprio dalla «contaminazione» che di queste « dottrine tra loro repugnanti » (liberalismo e marxismo) pur è stata tentata da scrittori liberali, che « stimano di poter accettare le tesi marxiste o accoglierne alcuni elementi, quasi a correggere e integrare ciò che nella loro ideologia pareva troppo idealistico o troppo generico » 216 • La valutazione strumentalmente elogiativa delle tesi di De Man sul superamento del marxismo n, si integra qui, contemporaneamente, con la grintosa denunzia di quanto del marxismo è stato assimilato e perpetuato da « dottrine e discussioni politiche odierne». Ad onta della sua sistematica eliminazione teorica di certi « pseudoconcetti» della storiografia moderna, Croce avvertiva, in25 Scritta nel '28 per un'antologia commemorativa di un grande giornale americano, poi pubblicata nella «Criticai. del '33, ora in Conversazioni critiche, cit., V, p. 207. 26 Ibidem, p. 209. n Sulle spinte anticomuniste del revisionismo di De Man, cfr. le osservazioni di Gramsci nei Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, 197.5, I, p. 72.

    155

    Egemonia e fascismo

    sieme con l'immanenza non sorvolabile cli certe tendenze centrali dello sviluppo della società capitalistica (la classe operaia, la cultura dello Stato-piano), anche le suggestioni - per quanto distorte e contraddittorie - che la nuova realtà sovietica insinuava in certi settori della giovane intellettualità fascista. Se si pensi alla data cli elaborazione cli questo articolo ( 1928) e alla sua ripubblicazione nel '3 3 (identico, nella « Critica »), riesce difficile non cogliere il riferimento a certi spunti del « corporativismo cli sinistra » e al dibattito relativo nella pubblicistica fascista dei primissimi anni Trenta. Nonostante la corrosione che la « critica filosofica » aveva realizzato del materialismo storico (la sua sepoltura, com'è noto), a Croce non sfuggiva il fatto che la società contemporanea, al cli là delle forme politiche della sua organizzazione, portava nella stessa trama del suo sviluppo le condizioni dell'attualità del marxismo («queste impronte sono maturate e rinfrescate cli continuo da alcune tendenze della società contemporanea, impetuosamente economiche »): e cioè che la prospettiva del socialismo urgeva oggettivamente dentro la stessa forma della società borghese, sollecitandone dunque un processo di massificazione e cli « materializzazione » difficilmente governabile. In effetto, la classe operaia è portata dai suoi interessi particolari e dalla sua psicologia (De Man) e dalle teorie che a lei si somministrano, a dare il primo anzi l'unico posto, nelle spiegazioni dei fatti, negli ideali pratici, nei programmi e nei metodi dell'azione, al principio economico; e la stessa disposizione si mostra nella classe capitalistica e plutocrati.ca, che si difende contro l'altm con armi della stessa tempra, e in alcuni paesi ha addirittura copiato i metodi e gl'istituti della dittatura operaia, procurando di metterli a servizio di dittature capitalistico-plutocratiche o di combinazioni eclettiche di diversi interessi in concorrenza 28 •

    Non è dunque la lotta cli classe che questa negazione 28

    156

    Conversazioni critiche, V, cit., pp. 210-211.

    Il senso dell'egemonia crocianll

    crociana degli pseudoconcetti marxisti tende a negare, in questa cosl calcolata e insieme indispettita ammissione della realtà storica: ma al contrario l'idea che sia essa,. e il suo soggetto primario (la classe operaia), a poter determinare i concetti della interpretazione storica, ad esautorare di fatto il potere spirituale della cultura, la necessità della funzione intellettuale. La classe capitalistica nasce per Croce, e lotta mimeticamente, per difendere l'esistente dall'attacco della classe operaia, dal primato dell'economia che questa incarna e tende a universalizzare. Anzi, com'è evidente, diventa capitalistica in funzione di questa difesa economica, in funzione antiproletaria: e, per tale determinazione, è subalterna all'altra, ne è l'opposizione allo stesso livello. Se questa fosse la totalità dello scontro, il « prevedibile avvenire» sarebbe « tutto nell'economia». Non c'è dunque che un altro modo di lotta per scongiurare, per impedire, l'economizzazione della classe dirigente, per far sf che la « classe dominante» (pseudoconcetto, riduzione economistica) riacquisti la sua funzione generale nella società ( « la vera classe dominante politica è la classe dirigente,. coi suoi concetti religiosi, filosofici, morali »), il suo ufficio di governo, per cui « si richiede che i fatti economici siano abbassati a semplice materia di governo, e sopra di essi sorga una finalità di governo, che sarà sempre un ideale etico ». È lo sviluppo della classe operaia a economizzare la borghesia, a mettere a nudo il volto economico della borghesia. Per coprirlo, e scongiurare la materializzazione dello scontro, che significherebbe l'assimilazione progressiva della borghesia al primato proletario dell'economia, e cioè la fine storica della borghesia e della sua civiltà, non c'è che il restauro della generalità attraverso l'azione autonoma della cultura, l'integrazione ideale, dematerializzante, dell'attività intellettuale. « Di quelle cose (cura delle anime, provvedere alla vita morale e politica, all'educazione della società umana) il genere umano ha sempre affidato la cura alla « gente spirituale », ai fondatori e riformatori di reli157

    Egemonia e fascismo

    gioni, agli apostoli, ai sacerdoti, e poi agli uomini di intelletto e di sapere ». Croce lo ricordava al regime, oltre che ai giovani impigliati nella pericolosa terminologia senza distinzioni, suggestionati dal tema delle masse perché portatori essi stessi di una contraddittoria spinta di massa, e tuttavia .alla fine disponibili alle lusinghe di un primato ideale da esercitare per le masse: non già nelle spire disindividualizzanti dell'economia, ma nell'universalità del pensiero e della sua utilità non misurabile. E inaugurava cosi nel '28, proprio in antitesi al primato dell'economia e della materialità delle masse, quella identificazione religiosa della nozione di libertà, che, privilegiando i bisogni assoluti dell' « anima umana » contro bisogni storici e reali, predisponeva alla sua successiva riunificazione « liberale » la convergenza di tradizioni e di istanze ideologiche e politiche diverse, dai cattolici non clericali ai fascisti in crisi a tanto antifascismo etico di varia origine 29 • La libertà è « la forma moderna del cristianesimo ». Ben prima del grande messaggio unitario del '42, che, di fronte al crollo imminente del fascismo e nella crisi dell'alleanza Chiesa-regime, proponeva al mondo cattolico di riconoscere nel suo liberalismo la continuità cristiana del mondo moderno (« siamo figli ... »), e cioè lo sviluppo del pensiero occidentale in quanto solidale contro il comune nemico, il comunismo 30, già in clima 29 Su tale unificazione «spontanea», cfr. R. De Felice, Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-34, Torino, 1974, pp. 115-116; e Asor Rosa, op. cit., pp. 1414-1415. Ma si tratta di un fatto nor-.aìnato e documentato da molti studiosi: sia per quanto riguarda il

    convergere verso Croce, dopo il '25, di molti attualisti (E. Garin, op. cit., p. 418); sia per la taccia di «crociano», diffusissima e redproca tra gli intellettuali (Carlini chiamava crociani i giovani del ~Saggiatore», nonché Cafogero e Spirito; ibidem, pp. 452 e 416 ss.): sia per la matrice in varie guise crociana dei gruppi liberali e liberalsocialisti; sia in definitiva per quanto riguarda il « complesso • crociano di tutta la cultura dei secondi anni Trenta. Secondo G. Ferrata (Croce e l'età, nel «Bargello• del 18.4.37), Croce ~ per la cultura italiana una ossessione (dr. G. Luti, Cronache letterarie tra le due _gue"e, Bari, 1%6, p. 198). 30 Perché non possiamo non dirci cristiani, in Disçorsi di varia

    158

    Il senso dell'egemoni4 crociana

    di Concordato avvertiva nell'universalismo personalistico della tradizione cattolica un elemento fondamentale nella formazione della società nazionale, e perciò una base imprescindibile per lo sviluppo del potere ideale della cultura moderna. « E il cristianesimo... dev'essere considerato la « religione assoluta», quella che può essere sempre piu sviluppata e di continuo elaborata e rinvigorita dal pensiero, ma non può mai venire strappa~a dal cuore dell'uomo» 31 • Proponeva cioè, in un discorso fondamentalmente rivolto agli intellettuali e alle giovani generazioni, un percorso comune verso «l'avvenire», tanto piu fecondo cli consenso quanto piu conciliante rispetto alla intercambiabilità delle istituzioni e dei contenuti ideologico-politici. La Storia d'Europa resta scarsamente comprensibile se non si colga questa connotazione cosi concretamente egemonica e progettuale dell' « avvenire eterno » che ha in sé l'idea liberale: precipitazione nella storia di una continuità che trascende le sue pur dolorose contraddizioni, sintesi del senso del passato, e perciò incontro universale di spiriti-azioni che costruiscono il libero avvenire. La straordinaria conciliazione che questa universalità realizza nei confronti di tutto ciò che sembra averla interrotta nel corso dell'ultimo secolo, il suo piegarsi sulla realtà a assorbirne e come santificarne le contraddizioni, rappresentano qui veramente le trame di una strategia politica tutta consapevole della qualità e della collocazione ideologica dei suoi interlocutori. Li mette a confronto, come per assistere da lontano, moderatamente, all'evento oggettivo della loro limitazione o correzione reciproca. Ma poi li assume come processi che devono modificare l'antico liberalismo, e rinnovarne la funzione: cosi le tendenze « sociali » dovranno diventare « oggetto di piu appassionata attenzione e di piu fervida cura»; cosi il dibattito sulla economia « razionalizzata » dovrà filosofia, I, Bari, 1943. 31

    Storia d'Europa, Bari, 195'79, p. 215.

    159

    Egemonia e fascismo

    clar vita a un piu equilibrato rapporto tra la programmazione e l'indispensabile libera iniziativa. Nulla di tutto ciò sembra essere inutile alla esperienza di quella religione della libertà che, per questo, si costruisce al di sopra delle sue pietre di costruzione: e tutte le vie, che obbediscono a un « comando interiore », preparano bene l'avvenire. « Una storia informata al pensiero liberale non può, neppure nel suo corollario pratico e morale, terminare con la ripulsa e la condanna assoluta dei diversamente senzienti e pensanti » 32 • In verità questa pietas della Storia, che continua nella fiducia della « nostra educazione cristiana » nella « divina provvidenza », « che ne sa piu di noi singoli e lavora con noi», propone e idealizza un legame politico di emergenza, se pure di una emergenza da fronteggiare sui tempi lunghi, contro il « nemico acerrimo» e incombente della civiltà occidentale: sollecita un fronte, entro cui sospendere ogni diversità congiunturale, contro il comunismo, l'unica realtà contro la quale eccezionalmente anche il pensiero è tenuto a sentirsi « preso nel movimento» e ad « intervenire con l'azione secondo la parte che a ciascuno spetta e che la coscienza assegna e il dovere comanda » 33 • Anche soggettivamente parlando, come diceva Gramsci, c'è dunque un momento in cui la tanto difesa teoricità crociana della teoria si scopre esplicitamente sostituita dalla vilipesa ideologia, e la religione liberale si offre come passione di parte, pre_giudizio e partito: proprio essa, che si era offerta come -« l'unico ideale che affronti sempre l'avvenire e non pretenda di concluderlo in una forma particolare e contingente, l'unico che resista alla critica e rappresenti per la società umana il punto intorno al quale, nei frequenti ·squilibri, nelle continue oscillazioni, si ristabilisce in perpetuo l'equilibrio » 34 • 32 33 34

    160

    Ibidem, p. 372. Ibidem, p. 364. Ibidem, p. 368.

    Il senso deU'egemonill crocuu111

    Era dunque una parte che si attribuiva la religione dell'universalità. Giova ricordarlo, per non ignorare l'attrazione profonda che questa contraddizione socialmente pregnante esercitava nelle coscienze inquiete della giovane intellettualità italiana, compensando nel mito della « qualità » la frustrazione della improduttività del suo sviluppo quantitativo, orientando le modalità del suo rapportarsi alla visibilità delle masse, condizionando le resistenze antiistituzionali del suo nuovo incontro con la politica, ipotecando in direzione anticomunista la qualità profonda del suo antifascismo. Certo è che mai come in questa immagine della religio l'universalità crociana della libertà sublimava i confini di una parte del corpo sociale, disegnando una avanguardia di « nobili intelletti ... dispersi e isolati », che, nella realtà frantumata della organizzazione degli anni Trenta, era lui, Croce, a riunificare in « una aristocratica ma piccola respublica literaria »: cioè una élite resa piu compatta e persino eroica dalla separazione, e ormai in attesa di un restauro imminente della sua funzione « assoluta »: e la perseguono (la libertà) di piu ardente amore che non nei tempi nei quali non c'era chi l'offendesse o ne revocasse in dubbio l'assoluta signoria, e intorno le si affollava il volgo conclamandone il nome. e con ciò stesso contaminandolo cli volgarità, della quale ora si è deterso 35 •

    L'opposizione religiosa tra intellettuali e masse, liberalismo e comunismo, saldissima a partire dal primo Croce e in questi anni riattivata come sotto l'urgenza di un momento ultimativo dello scontro secolare, tende sempre piu a caricare di responsabilità politiche lo spazio ideale dell'autonomia della cultura: da un lato fugando progressivamente l'immagine iniziale di un Croce . indifferente o di fatto ostile ai bisogni e agli impegni dei giovani intellettuali, dall'altro consolidando la sua oggettiva funzionalità all'anticomunismo ossessivo del re35

    Ibidem, p. 369.

    161

    Egemonia e fascismo

    gime. Si trattava d'altra parte di un liberalismo in cui non era difficile a molti riconoscere elementi essenziali della propria disposizione etico-politica, in quanto, mentre celebrava una libertà morale sapientemente neutrale rispetto alle soluzioni giuridiche e istituzionali dei problemi sociali 36, dava poi spazio di cittadinanza (perché tutti rappresentanti di libertà) agli « uomini veri, animati dall'assidua ricerca del bene comune e perciò da ideale morale», nonché alla funzione dei partiti, quando non tendano ad « adeguarsi nell'inerzia dell'azione, del docile assenso e dell'indifferenza» 37 • Non c'è dubbio che, dal '38, in coerenza con gli elementi già esaminati, la pedagogia crociana si apre a una riqualificazione della politica, nella chiave di una ambigua teorizzazione del carattere storico dei partiti: che, se non turba il regime perché non investe esplicitamente il problema del pluralismo né quello delle condizioni politiche della libertà, tocca invece da vicino le inquietudini degli intellettuali parlando di necessari « contrasti », di specificazioni diverse della libertà, e criticando il conformismo e l'indifferenza. Questa necessaria ambiguità si scioglie nel momento in cui, di fronte alla considerazione del carattere di massa della società contemporanea, che secondo taluni sottrarrebbe le « condizioni di fatto » della libertà come si formò e operò politicamente nel passato, il discorso crociano ribadisce la natura puramente morale e ideale dell'idea liberale, la sua immanenza (trascendenza) rispetto a qualsiasi condizione «materiale», al progresso tecnico, alla pianificazione economica, allo sviluppo produttivo. La libertà non ha nulla da obiettare ai mutamenti economici, « ma si oppone unicamente alla statizzazione, ossia alla vendita di quel che non si vende, l'anima, e da sua parte li accetta o respinge (i mutamenti) solo in relazione a questo suo principio supremo » 38 • È questo dun36 La storiografia etico,-politica e i fatti economici, nella Storia, cit., pp. 227 ss. 31 I partiti, in ibidem, p. 233. 38 Ibidem, p. 240.

    162

    Il senso dell'egml01lit, crocumt1

    que, l'alienazione della coscienza nella forma economicostatuale della sua massificazione, l'unica condizione inconciliabile col regime ideale della libertà, il suo principio antitetico: perché questo è l'aberrazione dell'economia che si promuove a morale e a filosofia, a politica e a Stato, è il mostro della quantità che si presume trasformazione qualitativa, e nega per questo la natura aristocratica della qualità, il ruolo della cultura. ~ la parte che si proclama tutto. Ed è perciò l'unica estraneità, anzi il comune nemico, di quel fronte di forze e di impegni dal quale per Croce, « per cooperazione, composizione ed elezione delle loro diverse o contrarie tendenze», dovrà venir fuori « l'elemento storico », cioè la « creazione di una nuova e piu ricca forma di vita, e perciò progresso di libertà » 3IJ. Croce forniva dunque, nella religione della libertà e nelle sue articolate prospettive, il riferimento straordinariamente efficace di una teoria della rigenerazione della società umana combinata con una teoria delle élites 40 : il senso di una funzione il cui valore universale si identifica nella qualità morale della autonomia che la esercita. In questo senso, l'unificazione di questa parte speciale della società, già perseguita per tutti gli anni Trenta, diventava per lui un compito indispensabile negli anni della guerra, quando cioè il corrompersi ultimo del regime e l'evidenziarsi tragico della crisi europea rischiavano di disperdere in mille inquietudini e tentazioni diverse la tenuta della cultura, la sua capacità di fronteggiare il nemico di poi 41 • ~ per questo che la battaglia Ibidem, p. 233. ar. N. Badaloni, in AA.VV., Letteratur11 italiana, diretta da C. Muscetta, voi. 62, Bari, 1977, pp. 62 ss. 41 Si ricordino le osservazioni illuminanti di Gramsci (Quaderni, cit., I, pp. 83-84, 116, 311-312) sulia crisi e la questione dei giovani e la funzione di Croce. Alla « ondata di materialismo•, che è collegata alla « crisi di autorità• della classe dominante (le masse si distaccano dalle ideologie tradizionali), Croce si oppone restaurando la stabilità di quei valori dentro l'ordine fascista, ma distinguendo la propria operazione «spirituale• da quella soluzione repressiva della 39 40

    163

    Egemonia e fascismo

    morale e politica cli questi anni include perentoriamente motivi e interlocutori teorici, disponendosi per la prima volta nelle forme cli una lotta visibile per l'egemonia, per la tenuta di una sintesi pur disponibile alle sollecitazioni cli nuove esperienze. Mentre si infittisce la rassegna di note e recensioni nella « Critica», in particolare di quelle dedicate alla cultura europea, si fa acuta l'attenzione alle filosofie della crisi, e ai varchi che ad essa possono aprirsi tra noi, tra i giovani intellettuali « urbani ». Eà è tutt'altro che occasionale, e tutt'altro che infruttuosa (a giudicare dall'atteggiamento da allora assunto da tanta filosofia italiana verso l'esistenzialismo), la netta delimitazione del rapporto possibile con l'irrazionalismo e il vitalismo, quasi premessa da Croce, nel '40, ad ogni futuro discorso. Questa filosofia non è tale, ma è vita, e perciò materia della filosofia, immediatezza di una crisi che il pensiero deve comprendere, conoscere e superare 42 • E tuttavia, alle esigenze antimetaifisiche di un clima culturale entro il quale i contrasti visibili della realtà storica aprivano stimoli e dimensioni rimaste ignote e sottovalutate, Croce rispondeva in positivo accentuando quella sua integrale risoluzione etico-storica della filosofia, che già nel '30, con l'immagine della morte del puro filosofo, aveva suggerito come elemento cli distinzione complessiva del suo lavoro rispetto ai molti filosofi. di professione 4.l. Da un lato riprendeva la riflessione sulla « vitalità », « origine e motore della dialettica » 44, definita poi, nelle Indagini sullo Hegel, « la categoria in cui rottura del dopoguerra. La sua lotta all'economicismo significava ricomporre la rottura, impedire la formazione di una nuova cultura, tentare di risolvere la crisi in termini di restaurazione. 42 Filosofia moderna e filosofia dei tempi, nella «Critica• del '40, poi ne Il carattere della filosofia moderna, Bari, 1941. 43 Sulla « trasformazione • della filosofia crociana in impegno storico e azione culturale tra il '20 e il '4.5 e sugli enormi effetti di influenza di tale operazione, cfr. G. Sasso, Passato e presente nell4 storia della filosofia, Bari, 1967. 44 Terze pagine sparse, cit., I, p. 12.5.

    164

    Il senso dell'egemonia crociana

    lo spmto soddisfa la brama del benessere individuale», la necessaria molla del divenire, la forma verde e cruda, selvatica, la negatività essenziale al movimento: una nozione in cui è parso poter vedere la crisi non risolta dell'ultimo pensiero crociano, la supercategoria che rompe il funzionamento del circolo 45 , e che in ogni caso è talmente imprescindibile nella vita dello spirito (motore della dialettica) da far sf che in definitiva tutto il lavoro del circolo appare svolgersi in funzione della sua « persistente negatività » 46 • D'altro lato accoglieva su questo punto i riconoscimenti di congenialità che gli provenivano dal fronte della giovane filosofia non-idealista, il recupero « esistenzialista » che del suo pensiero si proponeva, dialogando con « Studi filosofi.ci » ( « Critica », dal '42), con Paci in particolare: che identificava appunto, come si è visto, « la funzione dell'esistenza nella vita dello spirito » con quella « dal Croce assegnata alla forma pratica ed economica », e riconosceva a tale categoria (pura esistenzialità, materia; invece forma, perché inerente allo Spirito, rispondeva Croce; e Paci accetta la rettifica) il valore di momento fondamentale, « senza il quale non è possibile né l'arte, né la vita morale, né la stessa filosofi.a » (Croce: origine e motore della dialettica). Certo non è senza ragioni il fatto che le suggestioni delle varie filosofi.e della crisi, che rappresentano altrove la non-tenuta dello specialismo liberale della totalità politica (weberismo) rispetto a nuove frontiere dell'organizzazione dello sviluppo di massa e delle tecnologie produttive, siano contenute nella cultura italiana degli anni Trenta nelle forme di un controllo razionale, di una vi45 G. Sasso, op. cit., pp. 106 ss. (che accenna a una analogia col precategoriale husserliano ). In verità, dalle origini della filosofia dei distinti, è la categoria dell'economico che rompe la circolarità, come si è accennato. · 46 Sull'emergenza marxismeeonomia sviluppo delle masse crisi dello Stato liberale, come condizione primaria del primo sistema crociano, dr. La fiJosofia di Croce e la società di massa, in Croce, Luleacs, della Volpe, Bari, 1978.

    165

    Egemonia e fascismo

    gilanza etica, che sembra svolgere senza tentazioni mistiche (o subito rifiutandole) il percorso storico della crisi dello Stato liberale :fino alla catastrofe della forma estrema del totalitarismo fascista. Non c'è dubbio che Croce rendeva difficile il diffondersi di una filosofia della crisi, nella misura in cui per trent'anni aveva sospinto le forme di coscienza degli intellettuali fuori dalla problematica dello Stato, costruendo e identificando un luogo ideologico alternativo allo specialismo della politica. Aveva profondamente condizionato la lettura della crisi, esorcizzandone l'ontologia, diffondendone una capillare razionalizzazione. La cultura italiana non aveva bisogno dell'esistenzialismo 47 , perché era attraversata da una diffusa metodologia della mediazione. iÈ importante l'accentuazione con cui Croce riprende, nel '41, la polemica contro il «panlogismo» in nome della distinzione, indicando nella « costanza » ininterrotta di questo « motivo mio » il senso di un'operazione perennemente vigile contro nemici non sostanzialmente diversi. Il nemico unico e vero era l'ideologia dell'identico, sia che fosse l'atto puro dell'attualismo, o l'esistenzialità come totale materialità, o la pura e vorace economicità del marxismo. E invece all'indistinzione, che arbitrariamente privilegia una sola forma e fa si che le altre svaniscano, Croce aveva sempre opposto la distinzione, perché è questa a garantire ciò che è proprio della forma, la sua relazione con le altre. 47

    Si pensi ancora all'esperienza di Banfì, al suo trasferire in questi

    anni sul tema della « crisi i., tutta visibilizzata nelle sue dimensioni etico-politiche e culturali, l'ottica di una ragione come « vivente coscienza dell'umanità •· Assumere la crisi nella sua radicale positività, nella universalità che la rende positiva, cioè nel suo rendersi punto di vista; destare questa coscienza dell'infinita inquietudine che in essa

    segna il passaggio dalla caduta dei falsi valori alla vittoria creativa su di essi: è questa la « duttilità vivente• della ragione. Pur rinunziando alla pretesa di offrire soluzioni, essa si pone - nel suo fondamentale storicismo (coscienza della positività del negativo, provvidenzialità del movimento oltre ogni fissità) - come superiore e integrale metodo di comprensione della realtà, etica trascendentale, verità del tutto indipendente dal fare, autosufficienza della coscienza. (La crisi, Milano, 1967, in particolare le pp. 70 ss. Lo scritto è del 19341935).

    166

    Il senso deU1egemonu, crocillna

    È questa la laicità, la sostanza etica, della religione in-

    tellettuale, la superiorità metodologica del «liberalismo», la sua vittoria contro ogni misticismo: essa sta nella relazionalità immanente della forma. « La sua vita sta in quella relazione, dalle altre le viene la materia del suo perpetuo lavoro, e quanto piu è se stessa, tanto piu strettamente si abbraccia con le altre» 48 • Di fronte alla crisi, che coinvolgeva ormai definitivamente l'equilibrio instabile del recente passato, e scatenava nuove immagini della soggettività sospinte da movimenti profondi delle cose e delle forze i:eali, ebbene l'accento di Croce insiste sempre piu sul carattere operoso e unitario di questa etica della distinzione-relazione, cioè sul compito antimistico e anticontemplativo della cultura. Le vere creazioni intellettuali, le :filosofie vere e proprie, nascono sempre in presenza di un'angoscia, per superarla: « non che pascersi di una sterile contemplazione ... , nonché essere una liberazione dal travaglio della vita, si travaglia(no) perpetuamente partecipando alla continua creazione di un mondo sempre nuovo » 49 • Questa tonalità cosf attiva di un progetto culturale piu volte letto come distaccato e impartecipe, risponde in realtà ·a un proposito ormai maturo di mobilitazione degli intellettuali: per superare una « angoscia» (il risveglio delle masse) sempre avvertita nel profondo dei processi della società italiana, ed ora sentita come incombente nell'ora della prossima svolta politica. Era questo del resto, già nel '38, come si è visto, il proposito secondo il quale Croce accompagnava la lenta diaspora degli intellettuali italiani dalla realtà del regime: non a caso presentando come definitiva, in quell'anno, la sua « sepoltura » teorica del marxismo 50• Nel '42 l'attacco teorico si fa an48 Panlogismo e distinzione, nel vol. Il carattere deUa filosofia moderna, cit., p. 269. 49 Ibidem, p. 271. 50 Cfr. il saggio Come nacque e come mori il marxismo teorico in ltalill, pubblicato come introduzione alla ristampa di A. Labriola, La concezione materialistica della storia, Bari, 19.38.

    167

    Egemonia e fascismo

    che piu direttamente politico, e la « sostanza cr1St1ana » del liberalismo si disegna esplicitamente nella celebrazione di un « oroine nuovo », estraneo ad ogni « uguaglianza materialistica», capace di « regolare» le lotte economiche perché superiore alle forme politiche « di parte», ispirato a una libertà che non lasci « vuoto il cuore dell'uomo » si. Il lungo dialogo con la cultura cattolica, della cui ispirazione storica questo «liberalismo» si presenta come il piu legittimo erede, si chiarisce ora e si risolve nell'appello ad una ricostruzione nazionale che non proceda certo « per principio contro le rivoluzioni », ma che cerchi « di evitare i rischi, di convertirle in accordi ». Ma in positivo, rinunziando all'utopia assurda del comunismo, che è contro la storia, e il cui metodo « ha preparato il disfacimento». È un violentissimo attacco 52, che si conclude con l'immagine rilevata di un « contrasto profondo » tra spirito comunista e spirito liberale, e con l'indicazione accurata della necessità di un impegno degli intellettuali per lo sviluppo di una « cultura superiore», la cultura positiva della libertà. Di fronte alla ormai estrema degradazione dei temi propagandistici e degli appelli irrazionali in cui si risolve la bancarotta politico-culturale del regime e delle sue istituzioni 53 , l'autorità crescente della operazione crociana realizza un progetto di unificazione intellettuale entro il quale la generalità delle inquietudini e delle inscxldisfasi Soliloquio di un vecchio filosofo, del '42, poi in Discorsi di varia filosofia, I, Bari, 19592. Si tratta di una politicità che, come è noto, troverà accentuazioni sempre piu nette negli anni successivi, e che nel '46 esplicitamente indicherà la frontiera in cui quel « liberalismo » deve schierarsi: quando inviterà a combattere per quel partito in grado di impegnarsi « pro aris et foris,. (religione e proprietà, strumento e fine). Cfr. La fine della civiltà, in « Quaderni della critica », novembre 1946, n. 6. 52 Per la storia del comunismo in quanto realtà -politica, del '43, poi, in Discorsi di varia filosofia, I, cit., pp. 284-285. 53 ar. la documentazione di tale «bancarotta~ negli ultimi anni Trenta, soprattutto nei suoi riflessi nel mondo giovanile e intellettuale, fornita dal Cannistraro nel lavoro citato.

    168

    Il senso dell'egemonia croc:ian11

    zioni sembra potersi rovesciare in un mandato tutto positivo della cultura, nella prospettiva di un uso costruttivo e salvifico della sua autonomia, cosl coerentemente difesa e colmata di valori attivi. A funzionare in tal senso non era in sé la filosofia di Croce, in quanto elaborazione specificamente formale, bensl l'organicità cli quel disegno e dei suoi contenuti alle radici e alle contraddizioni sociali della intellettualità italiana, alle sue ideologie difensive, al suo protagonismo frustrato e perciò metapolitico ed extraistituzionale, cioè a una vicenda sociale non interrotta dalla risposta organizzativa ma tutt'altro che ricompositiva del regime fascista: anzi riprodotta e moltiplicata dalla sua strutturale impossibilità di trasformare le forme della produzione intellettuale, e in ogni caso di sviluppare un ruolo politico che non fosse - dentro il suo mcxlello di sviluppo della società di massa - il servizio burocratico del controllo delle masse. ·È questa estrema riduzione quantitativa della « politica », questa dequalificazione dell' « impegno » cosf a lungo cercato, a favorire la separazione ideologica dei gruppi intellettuali dalla realtà del fascismo, a conservare i codici di un vecchio rapporto tra cultura e società, a rendere disponibile la «coscienza» al recupero non sconvolgente del liberalismo crociano, e cioè a riprodurre e proiettare in una progressiva e generalizzata attesa di antifascismo il moderatismo storico della cultura italiana: in ogni caso a motivare dal di dentro, a livelli di diversa consapevolezza e leggibilità, e l'individuale travagliato recupero di Croce nella esemplare vicenda teorica e politica di un Cantimori 54 , e insieme l'autorisarcimento col54 Cfr. ora su Cantimori il saggio di M. Ciliberto (Intellettuali e fasdsmo. Saggio su Delio Cantimori, Bari, 1978): assai penetrante nell'analisi, non ipotecata dalla iniziale sopravalutazione della «politicità» fascista. Si pensi all'itinerario comt}lesso di Cantimori, che, di fronte al crollo del sogno dello Stato etico-corporativo, consuma in questi anni il suo generoso rapporto con la politica, e ritrova, nella rivendicazione drammatica dell'autonomia «strutturale» della cultura, il valore della distinzione crociana, la ragione intellettuale contro la politica-passione: che permeerà poi stabilmente il suo complesso rap-

    169

    Egemoni4 e f.scismo

    lettivo che in nome dei valori culturali si verliica negli ultimi anni del regime.

    porto col marxismo, nonché la sua non superata difficoltà di intendere e praticare la realtà della milizia politica in quanto vincolo organizzativo.

    170

    CAPITOLO SESTO

    Per una storia politica

    Non c'è dubbio, per chi voglia stare ai fatti accertabili, che la conversione antifascista della massima parte degli intellettuali italiani, a partire dalla generazione dei littoriali, passi per questa vicenda culturale, cioè per questa scoperta spontaneamente composita e per questo uso polivalente e scarsamente critico della « alternativa » di Croce. Questo non significa affatto che la funzione di Croce sia identificabile, dentro quella conversione collettiva, con la sua ragione profonda, che è complessa e anzitutto inerente alle spinte sociali. Ma significa che la direzione di quella conversione di massa è incomprensibile al di fuori di una mediazione ideologica di straordinaria e unitaria visibilità: che. a sua volta in tanto operava cosi attivamente e diffusamente. in quanto essa stessa era portata dai solchi reali della storia degli intellettuali, cresciuta nella vicenda di un ceto particolare in un luogo specifico della crisi dello Stato liberale e dello sviluppo della società di massa. Gli ultimi anni Trenta segnano una espansione inedita della influenza di Croce, non già per una sorta di mistero, o per la potenza incredibile di un intelletto (cose da rifiutare, com'è giusto, ma dopo averle studiate, e cioè ridotte all'intelligenza storica, per non correre il rischio di opporre altri misteri, non riducibili), ma perché le condizioni reali della società italiana aprivano un varco di promozione e di autoinvestitura ideale della cultura, una promessa di rinnovamento e di universalità, che Croce aveva disegnato a partire dalle origini stesse di quella emergenza collettiva che era la sperduta cultura italiana nel tempo iniziale della società di massa: dalla formazione di quel ceto piccolo-intellettuale che non aveva mai potuto identificarsi con lo Stato, e che aveva sempre, da allora, esercitato 171

    Egemonia e fascismo

    o sognato, contro la minaccia dello sviluppo e della democrazia, la mediazione « liberale» della totalità-coscienza. Si tratta di un dialogo profondo, perché consanguineo, tra il protagonismo deluso dei giovani e una difesa ideale dei valori che li privilegiano e li identificano per la «preparazione» del futuro. Ed è certo che di tal genere, a parte ogni verifica successiva nella realtà politica del dopoguerra, è la tonalità, lo stato d'animo, che emerge dalle memorie-testimonianze piu tardi fornite da intellettuali di varia esperienza in merito al passaggio, negli ultimi anni Trenta, dalla passività (o dal fascismo) alla scelta antifascista 1• Non tanto importano anche qui le espressioni che rievocano il senso dell'incontro con Croce, « scoperta», « amore smodato », « Croce decisivo», « Croce determinante », « guida spirituale », quanto la impressionante analogia delle molte vicende, la centralità del fattore-culturale e la qualità individuale del percorso di conversione, la natura morale della crisi e dell'impegno di rigenerazione, la rara e scarsa problematizzazione politica del passaggio, la strumentazione tutta elitaria del ritrovamento di sé 2 • Il regime aveva deprivato gli intellettuali, nonché le masse ovviamente, di ogni problematica politica: e la crisi, il senso profondo di crisi che li investiva, non fu risolta da un impegno politico (Rossanda). La spinta culturale che li unificava non interrompeva evidentemente la loro separazione dalle masse e dallo Stato: era il linguaggio di una conversione sostanzialmente indolore, di una autonomia che disimpegnava sé dal fascismo, ma in nome di valori che inibiranno a lungo, cioè condizioneranno fino ad esiti anche drammatici, il prossimo impegno di massa oflerto dalle cose. Il passaggio all'anti1 Cfr. La generazione degli anni difficili, Bari, 1962: testimoniame di molti intellettuali nati negli anni Venti. 2 ar. in particolare le testimoniamJe di M. Abbate, U. Alfassio Grimaldi, M. Alleata, C. Cassola, F. Compagna, R. Doni, V. Fiore, M. Pomilio, A. Giolitti, G. Montesanto, O. Ottieri, R. Zangrandi. ar. anche la perentoria espressione di E.R. Tannenbaum, L'esperienza fascista, Milano, 1974: secondo cui l'autonomia dell'arte e la religione della libertà furono il punto d'incontro di tutti gli antifascisti.

    172

    Per una storia politica

    fascismo fu sostanzialmente mediato, nella gran parte degli intellettuali italiani (e perciò possibile in misura cosl generale e c~{ al riparo da verifiche profonde), dalla protezione di una cultura che ancora una volta li identificava al di sopra delle contraddizioni reali, come soggetti deludibili sf dalla storia ma subito poi fiduciosi della loro soggettività nella storia, mai responsabili dei suoi errori e perciò pronti a guidare il mutamento con gli stessi strumenti che avevano contribuito a impedirlo: garantiti cioè della continuità di una cultura che aveva attraversato il fascismo senza mai metterne in discussione la legittimità morale e politica, anzi combattendo sistematicamente (come nemico della funzione stessa delle élites intellettuali) l'alternativa della democrazia e del comunismo 3, richiamando sempre piu al tirocinio della « specializzazione » il compito storico degli intellettuali, scindendolo - al di sopra delle parti - dall'impegno politico, cioè proteggendone di fatto il percorso, a partire dall'estetica dei pugni 4 fino all'etica della « provvidenza » liberale, dall'interventismo politico al primato della cultura, che ne compensa la delusione e ne orienta la spinta protagonista nel laboratorio della preparazione aristocratica del futuro 5• Non è un caso che la storia degli intellettuali nel dopoguerra, cioè il futuro reale di quel disegno di rigenerazione ideale del mondo abbozzato nella separazione degli anni Trenta, si svolga all'insegna di un rilancio crescente, di una straordinaria rivitalizzazione egemonica, 3 C. Pellizzi riconosceva in questo elemento il fattore piu « formativo » dell'influenza intellettuale e politica di Croce: « la critica alla tradizionale concezione italiana della democrazia dovuta a Benedetto Croce - è stato un elemento formatore della mia cultura, particolarmente di quella «politica» (dalla Prefazione di U. Alfassio Grimaldi al voi. di M. Addis Saba, Gioventu italiana nel littorio, Milano, 197.3, p. 41). 4 Cfr. l'esaltazione dei pugni, a proposito dei futuristi, nella « Critica» del 20.5.1924. 5 Cfr. il noto articolo di A. Lapenna, I giovanissimi e la cultura negli ultimi anni del regime, in «Società», 1946, n. 7-8. Anche Bottai parlava di « inesausta influenza di Croce » ( « Critica fascista », 1 gennaio 1943).

    173

    Egemonia e fascismo

    della cultura storicistico-liberale: di un incontro cioè - tutt'altro che lineare ed univoco, ma certo poverissimo di crisi sconvolgenti - tra il processo democratico e quella libertà elitaria che si era ricostituita nelle coscien1.e al riparo dalla « deviazione » della storia italiana. La mobilitazione antifascista di buona parte della nostra cultura dopo il crollo del regime, l'ondata successiva di progressismo e di adesione ideale alle forze nuove della società, lungi dal rappresentare paradossalmente l'effetto di una precedente politicizzazione degli intellettuali, di un loro sedimentato rapporto con le masse, rappresentano evidentemente l'effetto di incontro tra la liberazione generale della società portata dalla spinta di nuove forze organizzate, e lo scoppio spontaneo di un protagonismo tanto a lungo represso. Segnano cioè la scoperta di un nuovo spazio politico e ideale da parte di un settore dello sviluppo sociale sinora disidentificato nella organizzazione quantitativa della società di massa. Rappresentano un nuovo modo d'essere storicamente determinato, di quella autocandidatura alla funzione politica, che, almeno a partire dal primo emergere della crisi dello Stato liberale (primo sviluppo industrialenascita delle oragnizzazioni politiche dei movimenti di massa), le avanguardie intellettuali hanno presentato nei momenti piu acuti dello sviluppo sociale e della crisi del loro ruolo tradizionale. In quanto avanguardie, pur se sempre piu socialmente diffuse: e perciò portatrici, fuori o dentro il partito e l'organizzazione, di una riserva ideale nei confronti del partito e dell'organizzazione, e perciò di un ruolo ideologico che, destinato a logorarsi e a sparire nei suoi modelli monumentali tradizionali per lo stesso sviluppo di un soggetto culturale collettivo, il partito di massa, tuttavia tende evidentemente a riprodursi dentro la nuova dimensione, a diffondere una contraddizione sociale dentro le forme della politica. Forse questo è stato difficile intendere: il fatto che l'impegno politico possa comportare separazione ideologica. E invece, storicamente parlando, si tratta di questo, di un impegno che non ri-

    174

    Per una storia politica

    selve di per sé la separazione, quando si esercita a partire da una matrice culturale immoclificata, non verificata, cioè da uno specialismo che porta dentro di sé, nella sua struttura ideologica, il mandato della totalità: per il quale autonomia e burocrazia sono le facce di una stessa medaglia. Ebbene è questo il dato sostanziale che anche la svolta democratica degli anni Quaranta ha stentato a modificare, pur in un processo ricco di nuove contraddizioni e, di spinte avanzate. Ha stentato a modificare il ruolo soggettivo degli intellettuali, la loro modalità produttiva e politica, perché il processo di crescita delle loro istituzioni, lo sviluppo della democrazia e dello Stato, sono stati diretti da una prassi politica congiunturale e contraddittoria, in ogni caso in misure diverse organica alla stessa cultura entro la quale quel ruolo si era formato e riprodotto. Non si tratta evidentemente di sottovalutare le discontinuità effettive che anche la storia degli intellettuali registra dal primo Novecento ad oggi, e cioè la crisi di status che lo sviluppo progressivamente di massa comporta in un ceto costantemente impegnato nella difesa di una funzione minacciata dentro un processo di riclassificazione dei ruoli sociali e delle attività prcxluttive. Né si tratta di · ricostituire ideologicamente una continuità irreale, una costanza meccanica e metastorica, dalla « separatezza » primonovecentesca (che non è mai esistita nei fatti, se non per chi debba inventare la « rottura » fascista) alla « neutralità » degli anni Trenta (che serve a chi deve difendere l'atteggiamento incontaminato della cultura rispetto alla « deviazione » del fascismo); né, tanto meno, dall'impegno degli intellettuali del' « fascismo di sinistra » all'impegno democratico durante e dopo la liberazione. Se questa connessione appare decisamente paradossale, elementarmente subalterna al principio storicistico della continuità (l'autonomia della politica, cioè l'universalità della sua forma, consente che qualsiasi contenuto dell'impegno sia intercambiabile), la verità è che ogni tipo . di continuità si equivale nel funzionare come 17.5

    Egemonia e fascismo

    impedimento alla conoscenza dei processi reali. Quello che conta, per rendere possibile tale conoscenza, sono i modi in cui si producono le forme di coscienza del processo storico, cioè la concretezza delle modalità attraverso cui le rotture oggettive - e lo sviluppo sociale, e le svolte politiche e istituzionali - incidono nella produzione di risposte ideologiche evidentemente costruite con materiali culturali già dati. Quello che conta, è da credere, è la qualità storicamente determinabile delle componenti reali di un processo storico, nel quale gli elementi ideologici hanno un peso e un potere d'incontro come gli altri, perché sono anch'essi elementi oggettivi, sono mcxli d'essere di una storia sociale, costitutivi dell'organizzazione, radicati nelle istituzioni. Solo chi è inestricabilmente legato a una nozione astratta e irriducibile di «cultura» può ritenere che la cultura, non trasformabile in proprio, sia riciclabile attraverso la organizzazione amministrativa dei suoi produttori o funzionari: considerati come scissi dal loro essere sociale reale, come ceto identificabile al di fuori delle sue forme storicamente specifiche di identità. Solo per questa scissione idealistica si può pensare che una nuova politica possa realizzarsi a prescindere da una lotta per un nuovo modo di produzione della ~ltura, senza che il processo di massa coinvolga le forme delle istituzioni, agendo come critica sociale delle vecchie forme culturali e sviluppo democratico dei soggetti iscritti ab origine nella logica di quelle forme. Credo che il dopoguerra sia il tempo esemplare di questa sostanziale salvazione della cultura dentro i processi di rinnovamento della società italiana: non già della continuità tout-court delle vecchie forme culturali, ma del loro rilancio, del loro rinnovamento storicamente determinato, cioè determinato da una urgenza di contenuti e di rapporti nuovi e insieme da una spontaneità di tensioni etiche e coscienziali mai revocate in dubbio, mai attraversate profondamente da una analisi realmente politica delle loro radici storiche nel presente. Fu per questo che il nuovo mandato sociale delle avanguardie intellet176

    Per una storia politica'

    tuali si costituf, di fronte alle forze della trasformazione e persino dentro il loro spazio progettuale, a partire da una scelta soggettiva della propria funzione e della sua incidenza politica generale, e cioè portando nel suo stesso modo di proporsi (insostituibile, autorizzato dal passato) le spinte attive di una tradizione non bisognosa di verifiche totali: un protagonismo generoso e non piu difensivo tanto piu universale e carente di forza critica quanto piu mancante di universalità e di conciliazione appariva quella realtà di classe che era invece una parte e un soggetto emergente della scissione storica. Penso che il significato piu complessivo della polemica tra Vittorini e Togliatti stia nella rappresentazione esemplare di questo equivoco,. e non nella fruttuosa dissipazione di un equivoco: la rappresentazione esemplare di un equivoco che nelle sue radici profonde ha continuato a operare, attestandosi nella polarità di due atteggiamenti ideologici assolutamente complementari. Storicamente parlando, politica e cultura risultano realtà « naturalmente » diverse solo all'interno di un'unica logica della separazione, cioè di una cultura precisa e di un'antica tradizione dei distinti, del rapporto passato-presente e del potere propulsivo della tradizione. Certo è che, dentro il ricco fiorire di conversioni democratiche nella cultura italiana, quello che occorre ancora oggi individuare analiticamente, per non ridurre ancora una volta il discorso a un giudizio generico e fenomenologico, è la qualità dell'impegno, le modalità spontanee dell'autorisposta con cui gli intellettuali incontrarono le sollecitazioni della libertà politica, la natura e i confini sociali di quel compito di « rigenerazione » e di direzione ideale che si assunsero nella ritrovata democrazia, l'uso che di questa autoinvestitura fu esercitato dalle forze politiche nel loro progetto di ristrutturazione della società italiana. Perché non c'è dubbio che il congelato riemergere - nei momenti nodali della storia di questi trent'anni - della tematica che allora oppose Vittorini a Togliatti, la cultura alla politica, l'autonomia all'empiria, il ripresentarsi immobile ed emblematico di un nodo irri177

    Egemonifl e fascismo

    solto della coscienza politica degli intellettuali, non c'è dubbio che questo significhi il riprodursi di una condizione culturale tutta conservata e alimentata da una contraddizione politica. Non si tratta qui tanto di analizzare le motivazioni e le modalità ideologiche dei rapporti esplicitamente politici dei «grandi» intellettuali, di certa stampa « illuminata », di operatori democratici in tanti settori, con la cultura del movimento operaio: di mettere in luce le persuasioni profonde, come naturali e mai problematizzate, a partire dalle quali muove ogni loro discorso sulla libertà, sulla civiltà occidentale, sul socialismo, sul progresso, sull'organizzazione. Né si tratta di ricondurre alle loro ultime istanze i modi dello sviluppo piu propriamente teorico e produttivo della cultura italiana, della ricerca storica, della critica nei vari campi, del dibattito filosofico e sociologico: cioè di una varietà e di una articolazione metodologica tuttavia irresistibilmente convergente nei presupposti fondamentali, nei valori a monte, del suo procedere. Si tratterebbe semmai, e sarà infine necessario, di chiedersi perché mai non si coglie l'urgenza e l'effetto conoscitivo fondamentale di una analisi sistematica di tutto questo. Ma intanto si tratta piuttosto di osservare almeno una condizione culturale piu generale e di massa, ricevuta e riprodotta nel senso comune e nella realtà sociale delle istituzioni, nella cultura militante delle forze politiche, nel radicalismo standardizzato del mondo giovanile: dove, rispetto alla auspicata cultura della trasformazione, quel che resiste e si riproduce è la vecchia cultura in crisi, non altro: la crisi di un ordine, di una egemonia, non c'è dubbio, ma nel senso della estrema socializzazione, della riproduzione di massa, delle forme non piu compatte ed elitarie di quell'ordine e di quella egemonia. In verità, l'effetto politico (separazione delle masse) del vecchio sistema culturale tanto piu si è prodotto e ha funzionato, nella fase dello sviluppo democratico della società italiana, quanto piu è rimasta sconosciuta e rimossa (perciò non affrontata politicamente) la connes178

    Per una storia politica

    sione profonda tra le forme dell'alta cultura e questa molecolare socialità della loro precipitazione di massa: cioè quanto piu è sembrato eterogeneo il sociale della cultura~ la sua riproduzione « spontanea» nelle istituzioni, rispetto alle forme di direzione profonda della sua spontaneità e della sua contraddittorietà; quanto piu, anche quando la dimensione sociale è stata in qualche modo assunta nel raggio della prassi politica, la si è comunque assunta come livello diverso di approccio e di direzione: le forme del1'alta cultura come termine di dialogo e di alleanza esterna al suo modo di produzione, le forme di massa còme termine di propaganda esterna rispetto ai bisogni specificamente produttivi. Gramsci, a partire dall'esperienza storica degli anni Trenta, aveva colto con sicurezza allarmata questa connessione profonda, questo effetto politico reale della autonomia culturale, cioè questo dominio sociale di una tradizione ideale: e sull'esperienza politica della classe operaia in Occidente aveva elaborato in termini teorici le nozioni di « intellettuale collettivo » e di « egemonia », indicando come massimo compito politico dell'immediato avvenire quello della rottura (rovesciamento critico) di questa connessione, di questo resistentissimo e capillare effetto di dominanza del blocco storico moderato nella società italiana. La riforma intellettuale e morale passava per lui per l'anti-Croce, in quanto esperienza conoscitiva immediatamente funzionale alla lotta per la trasformazione di un sistema di autoriproduzione del passato nelle contraddizioni della società civile, e cioè per lo sviluppo della democrazia in quanto negazione sociale e politica della separazione. Interrompendo l'anti-Croce, e cioè di fatto una concezione politica della cultura del tutto libera delle ipoteche dell'idealismo e dell'economicismo, il movimento operaio ha rischiato di perdere la consapevolezza della centralità della storia degli intellettuali (dell'effetto politico del meccanismo di riproduzione dell'autonomia e della separazione ideologica) nella formazione della società italiana, e perciò •nella realtà dei processi istituzionali e 179

    Egemonia e fascismo

    dello sviluppo e della composizione di classe: cioè della sua centralità come terreno di una lotta per la trasformazione complessiva di questa democrazia e di questo Stato. Si riduceva, per questo, il terreno storico dell'egemonia, cioè della direzione ideale in quanto sviluppo sociale di un nuovo modo di produzione della cultura-politica, in quanto reale attivazione democratica di un ceto ormai sempre piu dilatato in termini di massa, di forza-lavoro, tanto piu esposto alla disgregazione e alla separazione corporativa quanto piu estraneo oggettivamente alle lusinghe di una vecchia alleanza selettiva e insieme respinto dalle forme di una generica organizzazione. L'esigenza del recupero di una tradizione democratica, con cui garantire spessore e ispirazione nazionale al progetto di alleanze della classe operaia, nasceva in realtà, per poi ribadirla e perpetuarla nella nostra piu diffusa cultura, dalla spinta profonda che assicura continuità e sottrae ogni istanza critica al ruolo intellettuale tradizionale: e cioè dalla certezza che, essendo la cultura nella sua essenza un modo universale, un effetto perenne, anche il movimento rivoluzionario ha bisogno di essa, di usarla, di educarsene in positivo, storicisticamente selezionandone le espressioni progressive. Ed era questa ontologizzazione della realtà culturale (di fatto sottratta alle contraddizioni reali, perciò alla conoscenza-trasformazione dei suoi meccanismi di produzione) a motivare dal profondo la scelta delle alleanze come terreno di rapporti privilegiati con gli intellettuali, cioè con una funzione depositaria di contenuti positivi, di valori perciò trasformabili. Se la concretezza di una scelta tattica coglieva l'opportunità reale di un consenso che era la condizione per la formazione di un blocco storico nuovo, tuttavia l'operazione era limitata, impoverita di futuro, dalla visione statica e ideologica del ceto intellettuale e del valore-cultura, come di una forma produttiva che una intrinseca continuità-autonomia rendeva consanguinea alla politica, non necessariamente sintonizzata, comunque soggetto della ricomposizione. In verità neppure la successiva deontologia della orga-

    180

    Per una storia politica

    nizzazione, affiorata nel movimento operaio nel tempo in cui piu visibile si era fatta la dimensione di massa del lavoro intellettuale dentro l'ormai precipitante crisi delle istituzioni, neppure questa opzione portava in sé l'idea della trasformazione, della cultura (intellettuali) come oggetto di trasformazione. Perché neppure essa procedeva da una visione critica, sociale, delle istituzioni culturali, cioè da una cultura politica non ipotecata dalla tirannia ideologica dell'autonomia e della non-riducibilità storica della cultura. La dimensione di massa del lavoro intellettuale, riducendo di fatto a termini esigui la singolarità e il protagonismo che prima la pratica dell'alleanza aveva privilegiato, costringeva a spostare l'accento sulla organizzazione e sulla riforma delle istituzioni: ma da queste nozioni, e dalle pratiche convergenti, restava tuttavia sempre fuori l'idea della trasformabilità dei meccanismi di produzione ideale, della produttività reale dei lavoratori intellettuali e delle loro istituzioni. Restava l'idea di una forzalavoro generica, di una organizzazione generica, realizzabile a prescindere dalle forme di autoorganizzazione e dal funzionamento delle istituzioni culturali: e cosf di una democrazia dove ancora una volta la prassi politica, il processo giacobino del potere, si attuano nel compromesso strumentale con l'autonomia e la competenza degli specifici culturali. Il primato della politica restava il codice di una scienza-pratica generale ed elitaria, scienza positiva in quanto normativa e non critica, non bisognosa di crescita sociale di nuova conoscenza. Come tale, isolandosi dalla realtà sottostante, delle nuove contraddizioni emergenti nella realtà di massa delle istituzioni culturali, non poteva accorgersi del fatto che in quella disgregazione di massa, nella dequalificazione e svalorizzazione del lavoro intellettuale, nella rassegnazione e nella disperazione, nella funzionalità di questa corruzione agli attuali equilibri del mercato capitalistico e dello Stato assistenziale, agisce profondamente - direttamente - la crisi del sapere e le sue forme di stabilizzazione, i contenuti della vecchia cul181

    Egemoni4 e fascismo

    tura, l'organica disorganizzazione dei suoi codici profondi, dei suoi statuti relativizzati e tuttavia operanti. Un formidabile meccanismo di separazione, di corporativizzazione, di autogestione di massa della separazione e del rifiuto della politica. È questo, oggi, l'effetto politico della cultura, della stessa cultura che noi abbiamo conservato e continuiamo a promuovere, senza spinta critica, ignorando la storia, imponendo alla storia reale una mediazione che la nasconde. Il primato della politica comp0rtava, con tutto questo, la riscoperta degli anni Trenta, e, in essa, la valorizzazione « politica » (Stato-piano, organizzazione, superamento della separazione tra intellettuali e masse) del regime reazionario di massa? Lo ha comportato, nelle interpretazioni istintive che si sono diffuse negli anni Settanta, e sembrano talora funzionare come un dato storiografico acquisito. Credono d'essere autorizzate dalle famose lezioni di Togliatti, ma in realtà forzano sino ad esiti del tutto arbitrari quelle pagine assai piu ricche di analisi e di consapevolezza, scritte nel '35 per sventare i pericoli di una sottovalutazione del potente e capillare apparato repressivo dell'organizzazione fascista della società, lontanissime dal negare l'organicità del potere fascista alla cultura e al blocco storico tradizionale (piu volte affermato, e qua e là analiticamente, a partire dalle Tesi di Lione, fino alle polemiche con Croce nei primi anni dopo la liberazione). Il che non toglie che, non già solo al Togliatti che decide la fine dell'anti-Croce, ma alla generale ipoteca idealistica della cultura politica del movimento operaio, alla sua lettura storicisticamente « democratica » della tradizione e cioè alla carente verifica critica del rapporto con la presenza del passato nel processo rivoluzionario (il ruolo degli intellettuali, la continuità profonda di vecchie forme nella lotta per l'egemonia), siano da collegarsi anche le ideologie della organizzazione, della ricomposizione, della formaStato, con cui si è manifestato al suo interno, dopo l'eclettismo difensivo o sostanzialmente antiistituzionale degli anni Sessanta, il nuovo protagonismo di gruppi intellet182

    Per una storia politica

    tuali marxisti nella fase montante dello sviluppo di massa del partito e del suo approccio al problema del governo della società. I processi reali, anche quelli politici evidentemente, hanno profondamente modificato le condizioni entro cui si è svolta l'autocoscienza degli intellettuali dal dopoguerra agli anni Settanta, logorando progressivamente il terreno oggettivo della loro separazione, nonché lo spazio protagonistico che la crisi dello Stato liberale aveva inquietamen te attivato, e che, fiaccato dalla morte della politica nel ventennio, il risveglio ideale della nuova democrazia aveva rilanciato nei termini di una autonomia culturale naturalmente impegnata nel progetto di rinnovamento morale e politico della società. E tuttavia le forme con cui quella autonomia ha risposto a questi processi reali, i modi attivi del suo rapporto con le nuove contraddizioni della società, sono anch'essi fatti reali, contraddizioni operanti, pezzi formalizzati di storia sociale incidenti nella nuova storia sociale e nella sua dinamica politica. Non si tratta di una resistenza invincibile di archetipi fuori dalla storia. Si tratta di un processo che riguarda cose concrete e tutte inerenti alle modalità del contesto storico, dei rapporti . sociali, del funzionamento delle istituzioni, della dialettica politica e della lotta per il potere. t mai possibile che una società pur evidentemente mutata, ma nella quale il mutamento stenta visibilmente a trovare una prospettiva riconoscibile, a farsi mutamento della forme della sua organizzazione, proiezione positiva della sua crisi, critica organica dell'esistente, crescita politica della nuova soggettività, è mai possibile che questa società abbia veramente superato sia pure tendenzialmente le sue divisioni, i suoi ruoli, i meccanismi di riproduzione dei suoi ruoli, cioè la cultura che li ha resi stabili, i valori ormai difensivi che li avevano attivati? Ed è posisbile che questa società muti, se la fiacchezza e la confusione della lotta per criticare la istituzionalità di quei valori rendono parziale e confusa la lotta generale per la sua trasformazione? Certo è che se questa domanda può essere problema183

    Egemonia e fascismo

    tica, tutt'altro che problematico è il dato che l'esperienza di oggi conferma in misura come non mai definita e vistosa: la crisi della politica nell'attuale diffusione di massa di una vecchia logica politica è resa stabile e paralizzante dalla difficoltà della crescita di una nuova forma di direzione politica, di una critica di massa delle competenze e degli specialismi tradizionali, di una formazione collettiva delle funzioni conoscitive e dirigenti. È resa stabile, e sembra fatale, dalla carente storicizzazione di una cultura che riproduce ruoli e categorie funzionali alla separazione e alla divisione, che sta nel sociale e ancora funziona come forma e coscienza della sua organizzazione inibente, cristallizza deleghe e giustifica moduli arcaici di lotta e di direzione, deforma la visibilità dei processi reali e dei bisogni di movimento, separa la manovra politica nelle mille forme di autonomia che il suo eclettismo metodologico rifonda nei termini di un pluralismo della conservazione. In realtà, l'antigramscismo piu o meno esplicito e consapevole di gran parte della cultura « rivoluzionaria » degli anni Sessanta ha rappresentato, nella storia degli intellettuali già convertiti alla democrazia e al marxismo, ben piu che un rifiuto del populismo storicistico. Ha rappresentato un rifiuto dell'intellettuale collettivo nel senso di Gramsci, e una opzione per il potere della scienza in alternativa alla nozione di egemonia. Perché l'egemonia comportava una socializzazione reale del mcxlo di produzione della conoscenza e della politica, cioè la critica storica del ruolo tradizionale dell'intellettuale e la lotta per l'oggettività, l'espansione della soggettività ben oltre i confini di un ceto e di una competenza istituzionalizzata. Una analisi articolata di questa continuità storicamente intesa, cioè di questa contraddittoria resistenza della autocoscienza intellettuale lungo i processi che la mettono in crisi, e pur dentro le istituzioni politiche della classe operaia, varrà a chiarire molti punti tuttora oscuri dell'incontro ancora in fieri tra intellettuali e classe operaia, cioè della storia di una cultura che cerca una sua nuova committenza spontaneamente riproponendo i logorati valori 184

    Per una storia politica

    del ruolo tradizionale della coscienza. Certo è che l'ottica storiografica secondo la quale l'organizzazione fascista della società italiana avrebbe trasformato il ruolo e la coscienza degli intellettuali, educandoli al rapporto politico con le masse e in qualche modo condizionando la corsa successiva alla lotta per la liberazione, si rivela oggi un momento tutto riconoscibile del percorso ideologico degli intellettuali interni al movimento operaio e alla lettura postsessantottesca del marxismo, interni al processo di massificazione del lavoro culturale e alla crisi profonda delle istituzioni universitarie, investiti dalla crisi di identità della ricerca e del protagonismo del ruolo, e generosamente avvertiti della inadeguatezza della politica culturale ancora operante nei primi anni Settanta, alleanzistica ed eclettica, propagandistica e formalmente pluralistica, rispetto alla realtà degradata, allo spontaneismo frantumato e alla frustrazione del sottosviluppo di massa nell'Università. Nella proiezione mitografica degli anni Trenta, questa ottica esprimeva l'istanza di una critica politica delle alleanze con l'alta cultura e della complementare sottovalutazione conoscitiva e organizzativa (da parte del movimento operaio) del lavoro intellettuale di massa, che già negli anni Trenta era emerso come fenomeno comunque bisognoso di una risposta politica. Senonché l'immediatezza ideologica di questa critica non solo comportava una insostenibile falsificazione storiografica, ma portava anche vistosamente il segno della resistenza non ancora fiaccata del vecchio ruolo dell'intellettuale, ne recitava una nuova modalità: era la risposta di una cultura sostanzialmente non trasformata, di una conversione politica insufficiente, rispetto al problema reale del nuovo rapporto tra masse e Stato all'altezza di una crisi inedita delle forme della democrazia. Il mito dell'organizzazione, della socializzazione della politica, dello Stato-ricomposizione, lungi dall'interpretare in avanti la domanda di massa di partecipazione alla produzione di nuove forme del sapere e di governo del lavoro, la fissava come oggetto di una risposta istituzionalizzante, di 185

    Egemonill e fascismo

    una formaUn.aoone statuale, tutta ordinata dall'alto, da un primato della politica totalizzante e provvidenziale, giacobino e riformistico. Lo Stato delle élites intellettuali: non a caso teoricamente nominato con insistenti riprese della lezione hegeliana, e non a caso sostenuto con «neutrali• richiami a certa tematica dell'attualismo, non esclusi recuperi piu o meno consapevoli del dibattito di certo « fascismo di sinistra » sulla organizzazione delle masse e la funzione statuale degli intellettuali. Questa idea dell'organizzazione degli intellettuali, a parte naturalmente il fascismo, è stata comunque organica a una diffusa pratica politica, generica e separante, inidonea a dirigere lo sviluppo di massa e a frenarne almeno la crisi. Se si guardi alla realtà, questa forma di organizzazione è stata anzi fattore di crisi. Perché il suo economicismo è idealistico: presuppone la quantità, la conserva come tale, e sottrae la qualità, la cultura come direzione, alla verifica della critica storica. Isola lo Stato, il partito, i quadri intellettuali, come funzioni permanenti della ricomposizione, ne conserva il privilegio qualitativo inevitabilmente sublimando forme cariche invece di contraddizione storica: e perciò tende a sopprimere la dialettica reale, come diceva Gramsci, garantendo dall'alto lo sviluppo della democrazia, e perciò riproducendo il modello della sua riduzione formale. Escludere la cultura dal processo della critica reale, affermando che il problema degli intellettuali è stato ed è sostanzialmente in funzione di questo genere di organizzazione, signi6.ca esattamente impedire ai soggetti di massa di conoscere la propria contraddizione, cioè l'effetto politico e separante della vecchia cultura nel presente, il suo potere reale: signi6ca salvarla, conservare il funzionamento elitario della soggettività. Significa garantire la continuità della cultura liberale, che altrimenti sarebbe incredibile, alle soglie degli anni Ottanta, dopo il succedersi di processi che stanno comunque cambiando il mondo. E infatti sembra inspiegabile a tutti quelli che rimuovono questa enorme contraddizione, e cosf sostanzialmente continuano la storia etico-politica, 186

    Per una storu, politica

    figli inconsapevoli di Croce, del sistema ideale che lo comprende, del senso comune che non lo conosce neppure. Il senso comune vive oggi un tramestio drammatico delle sue « naturali » categorie, dei suoi specialismi sempre meno regionali, dei suoi radicalismi standardizzati: ma si ritrova saldo in certi miti positivi (proprietà, libertà) e anche nel mitico terrore dell'uguaglianza, della libertà non liberale.

    187

    INDICI

    Indice dei nomi

    Abbatc, M., 172 Addis Saba, A., 101, 173 Alatri, P., 19 Albcrtini, L., 32 Alleata, M., 172 Alfassio Gnmaldi, U., 172, 17) Alvaro, C., 92 Amato, G., 1Z7 Amcndola, Giovanni, 32 Amcndola, Giorgio, 18 Anceschi, L., 102, 106, 112 Angioletti, G.B., 100 Aquarone, A., 64, 67, 74, 78, 79, 82, 127 Asor Rosa, A., 137, 1,8 Badaloni, N., 49, 163 Banfi, A., 102, 103, 104, 10,, 106, 110, 112, 113, 119, 166 Baratono, A., 102 Barbagli, M., 129 Barbaro, U., 126 Bartoli, D., 91 Bellucci, M., 130 Benda, J., 92, 147 Benussi, C., 63, 73 Bcrgson, H., 112 Bertin, G.M., 112 Bertoni }ovine, D., 131 Betocchi, c., 104 Bertolucci, A., 104 Bigongiari, P., 104 Bilenchi, R., 91 Bo, c., 98, 100, 102, 104 Bobbio, N., 12 Bordoni, C., 126 Borgcse, G.A., 92 Bottai, G., 14, 20, 67, 68, 69, 70, 71, 73, 1,, 76, 78, 79, 83, 86, 91, 92, 97, 116, 119, 120, 121, 122, 124, 129, 130, 131, 137, 173 Btu.ncllo, B., 137

    Bruno, F., 92 Bwzio, F., 99

    ugnctta, M., 124 Calogero, G., 1.58 Candeloro, G., 94 Canestri, G., 128 Canfora, L., 124 Cannistraro, J., 1,, 16, 70, 71, 73, 86, 138, 168 Cantimori, D., 169 Cantoni, R., 112 Capaldo, E., 130 Capiz.zi, A., 20 Carabellese, P., 102 Carella, D., 87 Carlini, A., 102, U7 Casati, G., 128 Casini, G., 73, 74 Casscse, s., 67, 78, 127 Cassola, c., 172 Castronovo, V., 37 Casucci, C., 101 Oiabod, F., 64 Ouarini, L., 126 Ciliberto, M., 130, 169 Codignola, E., 63 Compagna, F., 172 Contini, G., 104 C.orradini, E., 61 Croce, B., 12, 20, 26, Z7, 36, 44, 4.5, 49, .50, ,1, ,2, .53, ,,, .57, ,9, 62, 63, 64, 8.5, 92, 97, 98, 102, 106, 108, 109, 120, 133-170, 171, 172, 173, 182, 187 D'Andrea, U., 89 De Felice, R., 1.5, 16, 64, 74, 78, 79, 137, 1.58 De Grand, A.J;i. 64, 67 Della Volpe, u., 102, 109, 117, 119, 16.5

    191

    Indice dei nomi Dc Luca, G., 94, 114, 119 De Man, H., 1.54, 1.5.5, 1.56 De Marsanich, A., 71 Dc Ruggiero, G., 60, 63 De Seta, c., 125 De Vecchi, C., 72, 130 Dilthey, w., 112 Doni, R., 172 Drago, P .C., 87

    Fallacara, L., 104 Falqui, E., 100, 104 Ferrarotto, M., 64 Ferrata, G., 1.58 Fiore, V., 172 Foa, V., 38 Fovel, M., 42

    Gaeta, F., 19, 64 Galvano, E., 91

    Gambetti, F., 23 Gargiulo, A., 102 Garin, E., 18, 60, 110, 1.37, 140, 1.58

    Ganone, D., 93 Gatto, A., 104 Gemelli, A., 95 Gentile, E., 7.5 Gentile, G., 14, 26, 27, 44, 54, 57, 60, 62, 63, 64, 6.5, 67, 68, 8.5, 124, 128, 1.30, 137, 140, 141, 149

    Germani, G., 86 Gerratana, V., 26, 32, 92 Giolitti, A., 172 Giolli, R., 12.5 Giusso, L., 1.37 Gobctti, P., 18 Gramsci, A., 8, 14, 27-.5.5, 59, 7.5, 92, 100, 133, 135, 140, 14.5, 1.5.5, 160, 163, 179, 184,

    186 Grandi, D., 23 Grassi, A., 25, 26 Grifone, P., 38 Gromo, M., 126 Gropius, W., 12.5 Guerci, G.B., 69 Guzzo, A., 102

    Hegel, G.W.F., 164 Heidegger, M., 112 Hitler, A., 117

    192

    Husscrl, E., 105, 112 Isnenghi, M., 11, 13, 19, 69

    Jasper, K., 112 Jemolo, C.A., 94

    Kelsen, H., 77 Kuhnl, R., 22 Labriola, A., 167 Lambrassa, G., 72 Lami, G., 91 Lanaro, s., 43, 78 Lapenna, L., 173 Lessona, A., 79 Lisa, A., 30 Lizzani, C., 126 Lombardo Radice, G., 60, 63 Lukacs, G., 109, 16.5 Luti, G., 99, 1.58 Luzi, A., 104 Lyttelton, A., 37

    Maccari, M., 61 Macrf, o, 102, 104

    Maier, C.S., 23 Malaparte, c., 61, 119

    Manacorda, G., 99 Mangani, L., 1.5, 28, 45, 61, 69, 9.3, 94, 11.5, 116, 120 Marcucci Fanello, G., 9.5 Maritain, J., 96 Martinelli, L., 11.5 Mazzeri, G., 64 Miccoli, G., 7.5 Michelucci, P ., 12.5 Momigliano, A., 64 Montesanto, G., 172 Montini, G.B., 9.5 Moravia, A., 92 Moro, R., 94, 1.33 Mosca, G., 61 Muscetta, C., 163 Mussolini, A., 73 Mussolini, B., 16, 23, 32, 69, 70, 71, 74, 7.5, 78, 86, 114, 115, 126, 131, 1.38 Neppi Modona, G., 127 Nietzsche, F., 117

    Indice dei nomi Ojetti, P.,

    1,

    Orlando, F., 88 Ottieri, o., 172 Paci, E., 102, 106, 107, 108, 109, 110, 114, 16.5 Panicali, A., 93 Papa, E., 101, 137 Papi, F., 112 Parronchi, A., 104 Patetta, L., 12.5 Pavolini, C., 104 Pellizzi, C., 74; 75, 92, 173 Perrotti, N ., 89, 90 Persico, E., 12' luccntini, M., 12.5 Polato, L., 120 Pomilio, M., 172 Pompei, M., 72 Porci, C., 91 Preti, G., U2 Procacci, G., 22

    Quasimodo, S., 104 Quazza, G., 12, 22, 1,, 127, 128 Racinaro, R., 83 Ragionieri, E., .38, 77 Re6ora, C., 104 Recuperati, G., 128

    Ricci, B., 91, 93, 94 Riccio, A., 87 Roa:o, A., 64, 67. 68 Rogcrs, E., Rossanda, R., 172

    12,

    Sabbatucd, G., 60 Salvcmini, G., 128 Santarclli, E., 37

    Sechi, M., 106 Sereni, V., 104 Serpa, R., 101 Silva, U., 101

    Simmcl, G., 10.5, 112 Sorel, G., 61 Spampanato, B., 74, 83 Spirito, U., 42, 1.58 Spriano, P., 18, 31

    Starace, A., 79 Stefanini, L., 102 Stella, V., 128 Svevo, I., 92 Tamaro, A., 79 Tannenbaum, E.R., 79, 172

    Tasca, A., 23, 61 Traniello, F., 94

    Tclò, M., 38 Tilgher, A., 137 Tinazzi, T., 126 Togliatti, P., 2', 32, 7.5, 177, 182 Tomasi, T., 128 Tranfaglia, N., 17, 19, 22, 24, 127 Trevcs, C., 32 Turati, F., 32 Turi, G., 64 Ungaretti, G., 104 Ungari, P., 64

    Vcrnasaa, M., 78 Vigorelli, G., 104 Villari, L., 38 Viscntini, G., 91 Vittorini, E., 100, 12.5, 146, 177

    Santayana, G., 112

    Webcr, M.1 117 Wcbster, A., 75

    Sarfatti, M., 90 Sasso, G., 164, 16, Scoppola, P., 7', 94

    Zangrandi, R., 101, 172 àrboglio, A., 2.3

    19.3

    Indice del volume

    Introduzione

    p.

    5

    I.

    Tra coscienza e organizzazione

    11

    II.

    Gramsci e l'egemonia negli anni Trenta

    27

    III.

    Cultura e organizzazione

    57

    IV.

    L'alternativa culturale

    81

    V.

    Il senso dell'egemonia crociana

    133

    VI.

    Per una storia politica

    171

    Indice dei nomi

    191

    195

    Finito di stampare nel febbraio 1981 dalle Grafiche Galeati di Imola

    Saggi

    1

    2

    PRIMO CONVEGNO AMICI B COLLABORATORI DEL MULINO, Re-

    14 GIOVANNI SARTORI, Democrazia

    lazione introduttiva. VIT-

    1,

    Geografu, delle elezioni italiane dal 1946 "1 1953.

    16

    FRANCESCO

    COMPAGNA

    B

    e definizioni.

    TORIO DE CAPRARIIS,

    MILOVAN

    La

    GILAS,

    nuov•

    classe.

    Il marxismo nellVnione Sovietica.

    HENRI CHAMBRE,

    3 AA.vv., Filosofia e sociologia. 17 GIORGIO GALLI, La sinistra ita-

    4

    HANS

    KELSEN,

    liana nel dopogue"a.

    Democrazia e

    cultura. '

    HENRY

    S'J;'EELE

    COMMAGER,

    pericolo del conformismo. 6

    7

    Il

    Geografia elettorale del Delta Padano.

    18

    ELISEO VIVAS,

    Creazione e sco-

    perta. 19

    Giovani soli.

    MASSIMO DURSI,

    LUCIANO MAZZAFEllRO,

    HERBERT

    LOTHY,

    20 RENATO

    La Francia

    contro se stessa.

    21

    8 MORTON WHITE, La rivolta con-

    tro il formalismo.

    La

    nuov•

    SANTUCCI, Esistenzialismo e filosofia ittdiluM

    ANTONIO

    22 NICOLA MATTEUCCI, Jean Do-

    mai, un magistrato giansenist11.

    9 ltODOLPO MONDOLP0, Alle ori-

    gini della filosofia della cultura. 10 TALCOTT

    GIORDANO,

    frontiera.

    23

    GUIDO

    PASSÒ,

    La democrazi11

    in Grecia. PARSONS,

    Società e

    dittatura.

    24

    ALTIERO

    SPINELLI,

    L'Europ.

    non cade dal cielo. 11 HAJO HOLBORN, Storia dell'Eu-

    ropa contemporanea.

    25 AA. vv., Problemi sullo sviluppo delle aree ~etrate.

    AA.VV., La ricerca filosofica nella coscienza delle nuove generazioni.

    26

    13 AA.vv., L'integrll%ione europea, • cura di C. Grove Haines.

    27

    12

    ENZO MELANDRI,

    Logic11 e esp...

    rienza in H usserl. MARIO BASTIANETI'0,

    gli europei.

    Storia de-

    28

    BI.UNO MINOZZI, Saggio di una teoritJ dell'essere come presenu

    42

    GUIDO

    La legge dellll

    PASSÒ,

    ragione.

    pura. 29

    ALBEI.TO PASQUINELLI,

    Linguag-

    43

    30 Il Fascismo. Antologia di scritti critici • cura di C.OStanzo Casucci. 31

    PmTI.O SCOPPOLA, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia.

    32

    AMtocritica. Una domanda sul comunismo.

    33

    OSCAll

    44 nux GILB:nT, Niccoll, Machiavelli e la vita culturak del suo tempo.

    4.5

    46

    34

    RENATO POGGIOLI, TeoritJ dell'arte d'avanguardia.

    3.5

    HANS

    36

    I.OLAND H.

    RENATO

    Per un'este-

    BAIULLI,

    tica mondana.

    47 48

    ADIGO COLOMBO, Martin Heidegger. Il ritorno dell'essere.

    Il grande di-

    RAYMOND Al.ON,

    battito.

    49

    JOSÉ OH.TEGA Y GASSET,

    La ri-

    bellione delle masse.

    J. MOB.GENTHAU, Lo scopo della politica americana.

    50 JEAN La lotta per la libertà religiosa.

    Il proble-

    AUGUSTO DEL NOCE,

    ma dell'ateismo.

    EDGAI. MORIN,

    CULLMANN, Cattolici e protestanti. Un progetto di solidarietà cristiana.

    Consumi

    FI.ANCESCO ALBEB.ONI,

    e società.

    gio, scienu e filosofia.

    GUITTON,

    Profili paralleli.

    BAINTON,

    51

    HANS

    I

    KELSEN,

    fondamenti

    della democrll%ia.

    37

    ERNST ROBERT CURTIUS,

    Studi

    di letteratura europea.

    38

    52

    TRANIELLO,

    Società

    religiosa e società civile in Rosmini.

    L'industria cul-

    EDGAR MORIN,

    FRANCESCO

    turale.

    39

    ANTONIO SANTUCCI,

    53

    DANIEL L. HOllOWITZ, StoritJ del movimento sindacale in Italia.

    54

    PmTRO SCOPPOLA, Coscienu religiosa e democrll%ia nell'Italia contemporanea.

    Il pragma-

    tismo in Italia.

    40

    JAYAPRAKASH

    NARAYAN,

    Verso

    una nuova società.

    41

    ALDO BEI.SELLI, La destra storica dopo lVnità: I. L'idea liberale e la Chiesa cattolica. II. Italia legale e Italia reale.

    55

    PmTRo

    RESCIGNO,

    Persona e

    comunità.

    56

    LUIGI BAGOLINI,

    dialogo.

    Mito, potere

    ~

    'SI

    BATl'AGLIA, Heidegger , lii filoso/i4 dei valori.

    PELICB

    ,s LEA

    JlITTER

    SANTINI,

    DA

    llIBSMAN,

    u,

    GIANNI GIANNOTl'I,

    e Scie1'U

    della cultura ,. nel pensiero sociale americano contemporaneo.

    L'italitl-

    no Heinrich Mann.

    ,9 taria.vm

    74

    1,

    La folli, soli-

    SIMONCINI, Architetti e architettura nella cultura del Rinascimento.

    GIORGIO

    60

    ALFONSO

    PRANDI, Religiosità t cultura nel 1700 italiano.

    76

    61

    RANCO SEDA, Humboldt t lii rivoluzione tedesca.

    TT

    FRANCESCO ALBERONI, Statu 1111scenti. Studio sui processi colkttwi.

    78

    PHILIP llIBFF,

    sofi tedeschi d'oggi.

    79

    CHARLES

    Il sogno finito. Saggio sulla storicità della fenomenologia.

    80

    Letture

    81

    62

    LUIGI

    aòsmLLo, Linguistica il-

    luminista.

    63 64

    6, 66

    ADORNO, BLOCH E ALTB.I,

    Filo-

    CHAltLES

    S.

    La sfida tecno-

    82

    SINGLETON,

    Viag-

    83

    84 LUCIANO CAVALLI,

    LUIGI BAGOLINI, Visioni della giustizia e senso comune.

    85

    Principi di linguistica applicata.

    86

    La teo-

    87

    DI ROBILANT, Modelli nella filosofia del diritto.

    88

    73 OSCAR CULLMANN, Introduzione al Nuovo Testamento.

    89

    70 71

    ENRICO ARCAINI,

    GIAN ENRICO RUSCONI,

    ENRICO

    MAURO

    CAPPELLETl'I,

    Processo

    ERNST FISCHEB.,

    Arte e coesi-

    AGNELLI, Questione nazionale e socialismo.

    ARDUINO

    FRANCESCA

    GUEllEB.A

    BREZZI,

    nIOMAS LUCICMANN,

    La religio-

    ne invisibile. BERNAB.D

    CRICK,

    Di/esa della

    politica.

    ria critica della società. 72

    La vigili4

    VENERUSO,

    Filosofi4 e interpretazione. Saggio sull'ermeneutica restauratri• ce di Paul Ricoeur.

    Max Weber:

    religione e società. 69

    DANILO

    stenza.

    gio a Beatrice. 68

    Saggio

    e ideologie.

    logica. 67

    SINGLETON,

    del fascismo.

    galileiane. SERGIO COTl'A,

    s.

    Freud moralista.

    sulla « Vita Nuova•·

    GUGLIELMO FORNI,

    ALBERTO PASQUINELLI,

    L'uomo e la

    FABRIZIO ONOFJlI,

    rivoluzione.

    EB.VING GOFFMAN, La vita quotidiana come rappresentazione. VICTOll ~KLOVSKIJ,

    Let1ur11 del

    Decameron. GIAN GUALBEllTO ARCHI,

    niano legislatore

    Giusti-

    90

    PAOLO UNGAltI, Il diritto di /11miglia in Italia.

    93

    94

    HERBERT BUTTERPIELD,

    108

    PERCY s. COHE.N, La teoru, sodologica contemporanea.

    torità.

    109

    Il stZCro esperimento. Teologia e politica nell'America puritam,.

    SABINO CASSESE, Cultura e politica del diritto amministr11tivo.

    110

    FELIX E. OPPENHEIM,

    THEODO.ll ESCHENBUIG,

    Dell'au-

    TIZIANO BONAZZI,

    ALBERTO SAMONÀ,

    ALAIN

    111

    TOU.llAINE,

    96

    HEltMANN LtmBB,

    112

    La secolariz-

    zazione.

    97

    PBANCBSCO ALBllONI,

    Cl4ssi e

    generazioni. 98

    99

    100

    HELMUT

    102

    103

    GUGLIELMO FORNI,

    Il soggetto

    11.5

    SHLOMO AVINE.Ili,

    PASQUINO, Moderniuazione e sviluppo politico.

    116

    NICOLA MATTEUCCI, Il liber11lismo in un mondo in trasformazione.

    GIANFRANCO

    IAN T. ltAMSEY,

    Il linguaggio 117

    Conservatorismo politico e riformismo religioso. La « Rassegna Nazionale • dal 1898 al 1908.

    Da Calvino a Rousseau. Tradizione e modernità nel pensiero socio-politico della Riforma alla Rivoluzione francese. HE.llBRRT

    GIANNI

    Chiesa

    E.llIC

    ROLL,

    Il mondo dopo

    GIULIANO URBANI,

    sistema politico.

    L'analisi del

    CHARLES H. HASKINS,

    La ri1111-

    Da Bacone a Kant. Saggi di estetica.

    118

    LUCIANO ANCBSClfl,

    119

    EZIO RAIMONDI,

    120

    WALTER ULLMANN, Principi di governo e politica nel medioevo.

    LOTHY,

    BAGET BOZZO,

    Il pensiero politico e sociale di Marx.

    scita del XII secolo.

    01.NELLA CONFESSORE,

    Keynes. 10,

    ALDO ANDREOLI, Nel mondo di Lodovico Antonio Muratori.

    e la storia.

    Marxi-

    e utopia. 104

    Il pensiero

    smo e storia.

    religioso. 101

    STROHL,

    113 ROBllT c. ZAEHNBll, L'Indrusmo. 114

    PLBISCHE.ll,

    HE.NRY

    della Riforma.

    La societ~

    post-industri4le.

    Etica e

    filosofia politica.

    L'ordine del-

    l'architettura

    9,

    Le origini della sdenza modern11.

    107

    91 PAUL e PllCIVAL GOODMAN, Communitas. Meui di soste• lamento e modi di vita. 92

    106 ANDU BENOIT, Attualit~ dri Padri della Chiesa.

    Politica e commedia. (Dal Beroaldo tll Mllchi4veUi).

    121 ALVIN \V. GOULDNER, La crisi della sociologia. 122

    ERNST BLOCH,

    123

    GIANFRANCO

    della società.

    Karl Marx.

    POGGI,

    Immagini

    124 ALESSANDRO SERPIERI,

    T. S.

    141

    125 P. L. BERGER • T. LUCKMANN,

    La realtà come costruzione sociale.

    142

    144

    MARCELLO PAGNINI, Lingua e musica. Proposta per un'indagine strutturalistico-semiotica.

    La struttura

    145

    MARIO BENDISCIOLI,

    Apologia della storia giuridica.

    146

    GIORGIO PRODI,

    JACQUES FONTAINE,

    La lettera-

    CLEANTH BROOKS,

    della poesia.

    129

    BRUNO PARADISI,

    130

    ATTILIO BRILLI,

    Retorica della

    147

    satira.

    131

    JURGEN HABERMAS,

    132

    EDWARD A. HOEBEL,

    Prassi politica e teoria critica della società.

    EDUARDO SACCONE,

    136

    137

    Commento

    JOSEPH

    NEEDHAM,

    150

    Scienza e

    GIOVANNI

    151

    TARELLO,

    Diritto,

    enunciati, usi. Studi di teoria e metateoria del diritto.

    152

    ARE, Economia e politica nell'Italia liberllle ( 1890-1915).

    153

    GIUSEPPE

    GUIDO PADUANO, Il giudice giudicato. Le funzioni del comico nelle « Vespe i. di Aristofane.

    138

    LEONAllDO CASINI, Storu, Umanesimo in Feuerbach.

    139

    GIORGIO NEGltELLI,

    e

    L'illuminista

    diffidente. 140

    149

    «Zeno•·

    società in Cina.

    135

    148

    Il diritto nelle società primitive.

    a

    134

    Se il fine

    RICCAllDO GUASTINI,

    tura latina cristiana.

    133

    GIULIANO PONTARA,

    143

    ne religiosa e libertà umana in Laberthonnière (1880-1903).

    128

    Dal sistema al

    giustifichi i mezzi.

    126 LUCIANO PAZZAGLIA, Educazio-

    127

    LUIGI TURCO,

    senso comune.

    Eliot: le strutture profonde.

    MARIO ALINEI,

    lessico.

    La struttura del

    154

    Marx: dalla filosofia del diritto alla scienza della società.

    Dalla Riforma alla Controriforma.

    La scienza, il potere, la critica. ENRICO FINZI, Alle origini del movimento sindacale: i ferrovieri REMO BODEI, Sistema ed epoca in Hegel. PIER GIORGIO ZUNINO, La questione cattolica nella sinistra italiana (1919-1939). ALFONSO PJtANDI, Cristianesimo offeso e difeso. Deismo e apologetica cristiana nel secondo Settecento. HANS M. WOLFF, Friedrich Nietzsche. Una via verso il nulla. STEPHEN ULLMANN, La sem,'11tica. Introduzione alla scien. ~ del significato. KURT LENK, Marx e la socio• logia della conoscenza. ROBERT SCHOLES - ROBERT KEL-

    LOGG,

    La natura della narra-

    tiva.

    155

    BANDINO GIACOMO ZENOBI, Ceti e potere nella Marca pontificia. Formazione e organizzazione della piccola nobiltà fra '500 e '700. 156 ROBERT M. GRANT, Gnosticismo e cristianesimo primitivo.

    1.57

    158

    1.59

    160

    Il lingU4ggio creatore. T eori4 delld lei• teratura e sistema deU. pa,old nell'Illuminismo inglese.

    GIOVANNA CAPONB,

    Da De Stmctis " Grfl11lsci: il lingU11ggio della critica.

    172

    Alie114%ione e storia. Saggio su Rousseau.

    GBOJlGES CANGUILHEM,

    La

    PIEJl GIOJlGIO ZUNINO, ÙJ questione cattolica nella sinistr• italiana (1940-1945 ).

    174

    NIICLAS LtmMANN, Sistema giuridico e dogmatica giuridica.

    175

    CAllLO SINI,

    176

    161

    llAINEJl EISFELD, Il pluralismo tra liberalismo e socialismo.

    177

    162

    HAllALD WEINRICH,

    163

    JlEil'fflAltT KOSELLECX,

    illuminista e crisi della società borghese.

    164

    GIAN PAOLO BIUZZI,

    165

    zyGMUNT BAUMAN,

    178

    SANDRO

    PIERO

    I Cattolici sindacale (1943-

    FONTANA,

    CAMPOJlESI,

    ALBERTO TENENTI, Credenze, ideologie, libertinismi tra Medioevo ed Età moderna.

    180

    PIERO CALANDRA, Storia dell'amministrazione pubblica in Italia.

    181

    NORTHROP PRYE,

    Cultura co-

    167

    Cristo/ano e la peste. Un caso di storia del sistema sanitario in Toscana nell'età di Galileo. CARLO M. CIPOLLA,

    BARTOLO GARIGLIO, Cattolici democratici e clerico-fascisti. Il mondo cattolico torinese alla prova del fascismo (19221927)

    168

    Sindacato e istituzioni nel dopoguerra

    169

    Chi ruppe i rastelli a Montelupoì

    170

    FEDERICO n'AGOSTINO, Immaginazione simbolica e struttura sociale

    171

    EDOARDO RUPPINI,

    PIERO

    182

    VERA ZAMAGNI,

    183

    FERRUCCIO MASINI, Lo scriba del caos. Interpretazione di Nietzsche.

    184

    KARL eosL,

    Industriali%%11zione e squilibri regionali in Italia.

    Modelli di socie-

    tà medievale.

    185

    CHIARA

    186

    GENNARO

    187

    JlENATO MORO,

    CARLO M. CIPOLLA,

    dei piu.

    La scrittura

    secolare.

    CRAVERI,

    La ragione

    paese

    179

    me prassi.

    166

    Il

    della fame.

    La forma-

    zione della cldsse dirigente nel Sei-Settecento.

    OUSTANO, Azione, Diritti soggettivi, Persone giuridiche.

    RICCAllDO

    e l'unità 1947).

    Meta/or• e menzogna: la serenità dell'arte.

    Criticd

    Semiotica e filo-

    sofia.

    CO-

    noscenu della uita.

    I sistemi del-

    173

    GUIDO GUGLIELMI,

    GUGLIELMO PO:INI,

    STEFANO POGGI,

    l'esperienu.

    GIUNTINI, Panteismo e ideologia repubblicana: fohn Toland. SASSO, Il progresso e la morte. Saggi su Lucrezio.

    La formazione della classe dirigente cattolica (1929-1937).

    188

    EltCOLE SORI, L'em~grtlZ.ione italiana dall'U nit~ alla seconda gue"a mondiale.

    189

    Le idee di Felice Balbo. U114 filosofia pragmatic11 deUo sviluppo.

    190

    PIERO CAMPOUSI,

    196

    OTTO BRUNNEit,

    GIOVANNI INVITTO,

    PAOLO POMBENI, Il gruppo dossettiano e la fondtlZ.ioM della democrava italilllUI

    (1938-1948).

    191

    19.5

    CAllO M. CIPOLLA,

    e il Granduca. 192

    OVIDIO

    193

    HDBDT

    194

    MAUIO VOLPI,

    CAPITANI,

    passato prossimo.

    I pidocchi Medioevo

    DIEClCMANN,

    nismo e rococò. 11Utoritari4.

    Illumi-

    u, democra.u

    vaggio.

    Il pane sel-

    Storia sociale dell'Europa nel Medioevo.

    197 ANDd JACOB, Introduzione lll,. la filosofia del linguaggio.

    Burocrtn.ia e socitJJismo neU'Itali4 liberale. 199 ENRICO BELLONE, Il sogno di Galileo. Oggetti e immagini della ragione. 200 NORBEltT ELIAS, u societ~ di corte. 198

    GUIDO MELIS,

    201

    GABRIELE TURI, Il fascismo e il consenso degli intellettuali.

    202

    PAOLO PAUINI, Una filosofia senza dogmi. Per un bilancio deU'empirismo contempor1111eo.