E il giardino creò l’uomo: [un manifesto ribelle e sentimentale per filosofi giardinieri] [3a rist. ed.] 9788862205498, 886220549X

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E il giardino creò l’uomo: [un manifesto ribelle e sentimentale per filosofi giardinieri] [3a rist. ed.]
 9788862205498, 886220549X

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Il giardino: ultimo rifugio della spiritualità e della poesia; ultima frontiera al di qua della barbarie e dell'alienazione; ultima utopia - ma un'utopia pratica, tangibile. Questi i temi che il giardiniere-filosofo Jorn de Précy attivo a cavallo fra Otto e ovecento e di cui poco si sa, ma che è da sempre oggetto di venerazione da parte degli appassionati - ha riunito nel suo E il giardino creò l'uomo. Questo scritto vibrante è soprattutto il manifesto di un'idea del giardino che l'autore riuscì a realizzare nella sua tenuta di Greystone, nell'Oxfordshire; un'idea straordinariamente attuale e ancora, nella sostanza come nella forma, rivoluzionaria, quella del giardino selvatico. Nel fare il giardino, l'uomo- sostiene de Précy - deve restare in ascolto della natura, del genius loà, non forzare ma assecondare le forze che vi operano, mettendosi al loro servizio e riallacciando così il legame con il mondo naturale; il quale lo ripagherà regalandogli il piacere più compiuto e nello stesso tempo inesauribile, lo spettacolo della vita e delle stagioni. Trattato di storia dei giardini, memoir e nello stesso tempo appassionato pamphlet politico, E il giardino creò l'uomo è anche il ritratto di un uomo originale e, a suo modo, enigmatico; al termine della lettura ci sembra di vederlo scomparire lungo uno dei sentieri dell'amato Greystone, a raggiungere gli dèi che si celano tra le sue piante.

Jorn de Précy nasce a Reykjavik nel 183 7, figlio di un ricco commerciante discendente di stirpe bretone. Dopo aver visitato Roma e la Toscana e aver vissuto a Venezia e a Parigi, nel 1861 si stabilisce in Inghilterra. Trascorre alcuni anni a Londra e quindi nell'Oxfordshire, dove nel 1865 acquista il giardino di Greystone. E il giardino creò l'uomo, pubblicato in Inghilterra nel 1912, è il suo unico scritto giunto alla pubblicazione. Marco Martella è storico dei giardini. Vive e lavora a Parigi, dove ha fondato nel 2010 la rivistajardins (éditions du Sancire) sulla filosofia e la poetica del giardino.

Il nostro indirizzo Internet è: www. ponteallegrazie.it

In copertina: TI1e head gardener in «New Zealand>>, c. 1880. Rielaborazione grafica

Euro 10,00

]ORN DE PRÉCY

E IL GIARDINO CREÙ�UOMO A cura di Marco Martella

Traduzione di Laura De Tomasi



PONTE ALLE GRAZIE

Titolo originale:

The Lost Garden

Prima edizione: maggio 2012 Quarta ristampa: settembre 2015 Quinta ristampa: marzo 2017

In copertina: The head gardener in ((New Zealand», c.1880. Rielaborazione grafica Grafica: GrafCo3 Ponte alle Grazie è un marchio di Adriano Salani Editore s.u.r.l. Gruppo editoriale Mauri Spagnol Il nostro sito Internet è:

www .ponteallegrazie.it

Per essere informato sulle novità del Gruppo editoriale Mauri Spagnol visita: www.illibraio.it

© Actes Sud, 2011 © 2012 Adriano Salani Editore- Milano ISBN 978-88-6220-549-8

L'enigma dijom de Précy

Poco si sa di jorn de Précy. In luogo di fatvi luce, gli scarsi elementi biografici in nostro possesso sembrano rendere ancora più fitto il mistero che lo circonda. Schivo fino all'isolamento rispetto ai contem­ poranei, a dispetto della sua condotta da eremita de Précy ha influenzato profondamente l'arte dei giardini, soprattutto quella inglese. Il suo tratta­ to The Lost Garden, pubblicato nel 1912, circola ancora oggi nelle scuole di paesaggismo britan­ niche, pur non figurando tra i libri di testo di alcun corso. Un esemplare generosamente anno­ tato dell'opera è stato rinvenuto nella biblioteca del celebre paesaggista inglese Russell Page dopo la sua moite. Il grande architetto di giardini bra­ siliano Roberto Burle Marx affermò un giorno di aver colto per la prima volta il nesso tra giardi­ naggio e spiritualità proprio leggendo The Lost Garden. Ma allora, perché non c'è traccia di de Précy nella storia ufficiale del giardino moderno? 5

Perché il suo nome è noto oggi esclusivamente a un pugno di appassionati sparsi per il mondo, che quasi ne venerano la memoria? Nato a Reykjavik nell837, figlio di un ricco com­ merciante discendente di stirpe bretone, ]om de Précy lascia l'Islanda nell854. Una fortuna con­ siderevole, forse un'eredità, gli permette di vive­ re di rendita. Visita Roma e la Toscana, trascor­ re un intero anno a Venezia e due a Parigi. Qui esordisce come scrittore, carriera di cui non resta purtroppo alcuna traccia. I fratelli Goncoun ne disegnano un ritratto venato d'ironia neljoumal, descrivendo un «giovane islandese dallo sguar­ do assente, perso in qualche sogno astruso, ma capace di commuoversi se si trova faccia a fac­ cia con una rosa appena sbocciata o una quer­ cia secolare del Jardin des Plantes�. Nel 1861 si stabilisce in Inghilterra. Trascorre alcuni anni a Londra e quindi nell'Oxfordshire, dove nell865 acquista il giardino di Greystone. Non se ne al­ lontanerà che raramente, per visitare i parchi del Regno Unito. Ma chi era ]om de Précy? Un uomo distaccato, timido e orgoglioso allo stesso tempo. Talora freddo, anche con gli ami­ ci, era capace di improvvise generosità e slanci sentimentali. I suoi occhi azzurro ghiaccio met6

tevano in soggezione l'interlocutore, ma sapeva­ no anche esprimere profonda empatia. Non vi è notizia di vicende sentimentali e, se si eccettua

la fedele amica Gertrude jekyll, la famosa giardi­ niera, non intrattenne relazioni con donne, nep­ pure di carattere amicale. Risiedeva nella gran­ de dimora al centro del giardino di Greystone, che ebbe l'occasione di definire, citando Chateau­ briand, � mon cher déserb. A breve distanza, in un cottage, abitava Samuel Bloch, assunto nell892 all'età di ventisette anni, l'unico giardiniere che abbia lavorato a Greystone. Nella sola fotografia da me rinvenuta del luogo, de Précy è ritratto insieme a lui, giovane uomo di piacevole aspetto, sorridente e dallo sguardo aperto. Entrambi, il gentiluomo e il giardiniere, sono armati di zap­ pa. Evidentemente hanno appena scavato la buca dove si apprestano a piantare un giovane cedro. De Précy era un giardiniere-filosofo, benché il suo rapporto con la filosofia fosse abbastanza pro­ blematico. Amava prendersi gioco dei pensatori �di professione� del suo tempo, diffidava delle teorie e dei sistemi filosofici e si limitava, il più delle volte, a manifestare le proprie idee senza cercare di approfondirle né di argomentarle: più che pensare da filosofo, viveva da filosofo.Come i grandi pensatori dell'Antichità, cercava prima 7

di tutto di incarnare una visione del mondo, una filosofia dell'uomo, un ideale di vita. Greystone è quindi, fatte le debite proporzioni, l'erede dei grandi giardini filosofici del passato, come quello di Epicuro o di Erasmo da Rotterdam. Alcune delle idee contenute nel Lost Garden fanno ormai parte della nostra visione del mon­ do; in piena era positivista, però, suonavano as­ sai all'avanguardia: la solitudine dell'uomo-massa, la proliferazione di quegli spazi che l'antropolo­ go francese Mare Augé chiama «non-luoghi del­ la surmodernità», il nomadismo dell'individuo moderno. In materia di giardinaggio, de Précy anticipa le pratiche naturali, o «bio», oggi di moda. La sua idea del giardino selvatico venne elaborata molto prima che l'ecologia moderna attirasse l'attenzio­ ne dell'opinione pubblica su ciò che minaccia gli ecosistemi più fragili o la biodiversità. L'utopia dell'uomo come «giardiniere della terra», cui de Précy dedica un capitolo del trattato, si ritrova alla fine del XX secolo nel «jardin planétaire» del paesaggista Gilles Clément. Questi probabilmen­ te non sapeva nulla di de Précy, ma la sua idea di «giardino in movimento», dove le piante si dif­ fondono liberamente e il giardiniere si limita a regolare il flusso della vita selvatica, si trova già accennata in alcune pagine del Lost Garden. 8

La lungimiranza di tanta sensibilità ecologica lascia sorpresi; in realtà, nel mondo moderno la coscienza ambientale comincia ad affacciarsi alla fine del XIX secolo. In questo periodo una nuova branca della biologia, l' «ecologia», studia l'ecosi­ stema come gioco di interazioni al quale l'uomo prende parte allo stesso titolo delle altre specie viventi. Alcuni pensatori marxisti inglesi metto­ no in relazione gli squilibri sociali ed economici provocati dalla rivoluzione industriale con il de­ grado ambientale che ha luogo sul piano sia pae­ saggistico, sia naturale. Negli Stati Uniti i natu­ ralisti manifestano preoccupazione per i pericoli per la flora e la fauna locali rappresentati dall'e­ spansione delle città e dall'agricoltura intensiva. Chiaramente, l'approccio di jorn de Précy è ancora rudimentale se paragonato all'ecologia con­ temporanea, e appare più che altro il portato di una visione poetica e spirituale dell'uomo. Più che l'odierna teoria dello sviluppo sostenibile, sembra anticipare l'ecologia «profonda», olistica, ma anche il movimento hippy. Come i rappre­ sentanti della controcultura degli anni Sessanta, de Précy è infatti influenzato dalle filosofie del­ la liberazione orientali, in particolare taoismo e buddismo, già note in Europa nel XIX secolo. Come loro, egli preconizza il ritorno a una na­ tura primitiva, non ancora corrotta dalla civiltà, 9

e una cesura radicale rispetto al consumismo e al conformismo intellettuale della società di mas­ sa. Non stupisce quindi di trovare, tra le tante canzoni composte ma mai incise da Bob Dylan negli anni Sessanta, una ballata dal titolo ]om's Wildjlowers, cantata nell964 a Washington, nel corso di una manifestazione di protesta contro la guerra in Vietnam •.

Greystone era il suo opus magnum, forse il suo solo vero amore. Il luogo, a detta dei contempora­ nei, era meraviglioso e inquietante. Claude Mo­ net, che lo visita nel 1906, scrive: �n giardino di M. de Précy offre dei quadri d'un fascino in­ tenso e indefinibile che vanno dritti al cuore. Il selvaggio si mescola costantemente all'artificiale, il sogno alla realth. Malgrado il suo aspetto in­ selvatichito, il parco era sempre aperto. P�r vi­ sitarlo, bastava suonare la campana al cancello. Ad accogliere l'ospite giungeva personalmente il proprietario, vestito di uno dei suoi eleganti abiti un poco logori e con in testa il cappello di •

L'incipit della ballata è esplicito: «They say ]om's wildjlowers have died l but I saw Greystone in a dream last night l and ali the roses started to bloom l when l stepped into the garden. (Dicono che i fiori selvatici di Jom sono morti l io perO Greystone l'ho sognato, la notte scorsa l e tutte le rose hanno iniziato a sbocciare l quando ho messo piede in quel giardino).

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paglia, seguito dal giardiniere. Con un gesto cor­ tese apriva la strada al visitatore stupefatto. E gli mostrava tutto: gli angoli più nascosti, i punti più selvaggi del bosco, dove bisognava aprirsi un varco tra le liane delle clematidi, i fiori e i rovi. A beneficio del visitatore ricordava, con il sUo marcato accento islandese, il giorno in cui aveva piantato questo o quello. Gli additava fiero le or­ chidee nascoste nei prati, scostando l'erba con la punta del bastone. Il titolo del trattato, The Lost Garden, alludeva nello stesso tempo all'emarginazione del giardi� no nel mondo moderno e all'incerto futuro di Greystone. Sprovvisto di eredi, de Précy aveva deciso di lasciare la proprietà al suo giardinie­ re. Samuel se ne sarebbe occupato con amore, certamente, ma neppure lui aveva figli. Che ne sarebbe stato del giardino dopo la sua morte? Purtroppo, i timori di jorn de Précy si rivela­ rono fondati. Negli anni Trenta, dopo la morte di Samuel, Greystone precipitò nell'abbandono, trasformandosi in una giungla. Nell956 la pro­ prietà venne acquistata e trasformata in hotel di lusso. Oggi dell'antico giardino non resta nulla, tranne qualche vecchio cedro e il tracciato dei sentieri principali, ormai asfaltati e bordati di begonie, fiori che de Précy detestava sopra ogni cosa. 11

The Lost Garden è un trattato singolare. In un ceno senso è una «biografia botanica�. In filigra­ na vi si leggono la vita, le passioni e le amicizie di jom de Précy, i giardini che ha conosciuto e amato di più. Gli argomenti che tratta sono com­ pletamente diversi da quelli della letteratura sui giardini dell'epoca. Di qui, probabilmente, la scar­ sa risonanza suscitata dal libro. Stampato in due­ mila copie a spese dell'autore, alla sua pubbli­ cazione non fu oggetto di alcuna recensione da parte della stampa specializzata. Quelle duemila copie, però, continuano a circolare. Può accade­ re di imbattersi in una di loro, ancora sporca di terra, in un mercato delle pulci di Londra (come è accaduto a me tre anni fa, dando inizio alle mie ricerche sul giardiniere islandese), in una pic­ cola biblioteca di provincia o nel salotto di uno dei «fedeli adepti» di jom de Précy sparsi per il mondo. Il trattato e una manciata di articoli sono le uni­

che tracce che ci restano di lui e della sua esi­ stenza solitaria, consacrata al giardino. Nulla è rimasto, che io sappia, della sua corrispondenza, tranne un biglietto stropicciato. Venne rinvenu­ to per caso nella biblioteca di Greystone durante i lavori di costruzione dell'hotel, sfuggito dalle pagine di una copia del trattato i!l cui de Précy 12

l'aveva probabilmente dimenticato subito dopo averlo scritto·. Era chiaramente indirizzato al suo giardiniere: La prima gelata dell'inverno è alle porte. Questo pomeriggio non si dimentichi di ritirare nella ve­

randa il limone in vaso. Come ogni inverno, certamente, e dopo tanti anni. Lei lo sa gid, me ne rendo conto, e queste parole che le sto scrivendo non servono a granché. n giar­ diniere è lei. Io, persino qui, persino alla mia etd, mi sento null'altro che un impostore, un falso giardiniere. Continui dunque a portare pazienza con me, Samuel. n cielo annun­ da pioggia, la casa è gelata, ed è ora di accendere il fuoco nel camino. La aspetto per il tè, stasera. Come sempre, mi troverd accanto alla finestra del salone mentre guardo fuori, mai stanco di aspettare. . .

]om de Précy mort il 12 novembre 1916. È se­ polto nel cimitero di Chipping Nonon, villaggio nell'Oxfordshire, a pochi passi dal muro che rac­ chiudeva il suo giardino perduto. Marco Martella



Appaniene all'attuale proprietario dell'hotel, che lo conserva gelosamente nella cassafone del suo ufficio.

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A mon Pascal

Vedendosi, ridono: Ah! Ahi Quante foglie cadono, nel parco! Anonimo cinese

Prefazione

«Ecco l'ennesimo trattato scritto da uno dei no­ stri aristocratici, giardiniere dilettante e proprie­ tario di un parco immenso, per rifilarci le sue bizzarre idee sui giardini!» Mi sembra già di sentirli, i commenti del let­ tore che sfoglia questo opuscolo, raccolto sullo scaffale della libreria. Commenti veri e falsi nel­ lo stesso tempo. Falsi, perché io non apparten­ go né all'aristocrazia inglese, né - come spes­ so il mio nome fa credere - a quella francese. Sono nato più di settant'anni fa a Reykjavik, in Islanda, isola che ho lasciato a diciotto diretto in Inghilterra, la patria dei giardini. Veri, per­ ché sono, sl, un «giardiniere dilettante», tito­ lo di cui vado fiero. Quanto al mio parco, che si estende per appena quattro ettari, si trova nell'Oxfordshire: è il giardino di Greystone, di cui avrete certamente sentito parlare se l'arte dei giardini v'interessa anche solo un poco. Infine, per ciò che concerne le mie idee sul giardinag19

gio, lo ammetto: anche a me, talvolta, suonano leggermente bizzarre. Bambino, ho scoperto i giardini grazie ai ro­ manzi inglesi e francesi che mia madre faceva arrivare dal Continente e che adoperava, dopo averli letti, per insegnarmi le lingue straniere, la sera, accanto al caminetto. Quelle descrizioni di luoghi incantati, carichi di profumi e di fiori dai colori meravigliosi, mi facevano forse sognare? Non proprio. Cosa significavano per me? Se si eccettuava qualche sparuto ono di campagna, non c'erano giardini nella mia isola, battuta sen­ za tregua dai venti. l fiori erano rari, gli alberi rachitici, i paesaggi vuoti. Un giorno (quanti anni avevo? Quattordici? Quindici?), mentre camminavo senza meta sul­ le colline nude, perduto in chissà quali pensieri tormentati come spesso accade durante l'adole­ scenza, mi imbattei in un boschetto di betulle. Erano disposte in cerchio, un cerchio perfetto, come tracciato col compasso. Le loro cortec­ ce argentate, biffate di nero, attirarono prima i miei occhi, poi la mia mano. All'interno del cer­ chio, colpite da un raggio di sole, mi apparvero in mezzo all'erba e al muschio le corolle color malva di minuscoli ciclamini. Le betulle m'invi­ tavano a entrare in quel cerchio. Non appena lo feci, mi sentii invadere da una gioia indescrivi20

bile - sl, �invadere» è il termine esatto, perché quel sentimento penetrò in me. Mi trovavo forse presso la dimora di un elfo o di una delle tan­ te creature senza nome che abitano la mia isola? Mi sedetti su quel morbido tappeto, appoggiai la schiena a un tronco, e chiusi gli occhi. Quando li riaprii mi parve che, inspiegabilmente, l'univer­ so intero mi si offrisse alla vista. Potevo vedere oltre la valle che si stendeva davanti a me, oltre la cresta rossastra dei vulcani, fino al mare, dove un peschereccio navigava placido, e ancora oltre, per quanto potesse sembrare strano, fino alle co­ ste dell'Europa. La terra nella sua vastità là fuori e quel cerchio felice, come un ventre materno, un luogo protetto ... �È dunque questo, un giar­ dino...» dissi a me stesso, la gola serrata. Mentre il giorno muore, osservo le tenebre ca­ lare su Greystone fuori dalla finestra del mio stu­ dio. Le cime delle querce, dei sicomori e dei car­ pini che io stesso ho piantato iniziano a prendere i colori autunnali. Guardo le loro sagome sfuma­ te dalla nebbia e rivedo quegli alberi dal tronco bianco e il tappeto di ciclamini che m'accolsero quel giorno. Saranno ancora là, in quella valle solitaria ai confini del mondo? Un filo invisibile unisce questi due luoghi, il giardino che per pri­ mo mi ha incantato, e che non era opera dell'uo­ mo, e il giardino che ho creato io stesso. So bene 21

che Greystone, di cui vado tanto orgoglioso e che paesaggisti e giardinieri vengono da lontano a visitare, è null'altro che la copia del primo, la sua eco attraverso il tempo e lo spazio. La felici­ tà che dona è la stessa. Ancora oggi, quando vi passeggio, mi accade, proprio come quella prima volta, di provare la sensazione che nel giardino il mondo può trovare, come per magia, un ordine felice. Se fossi filosofo, direi addirittura: un sen­ so. Ma quale senso? In cosa consiste questa gioia traboccante, quest'abbondanza di vita? Ancora oggi non sono in grado di rispondere. Non sono filosofo, ma questo so: nel nostro tem­ po troppo pieno di sé e delle sue conquiste, in questa nostra società in cui sembra che il desti­ no di qualsiasi attività sia generare ricchezza, soddisfare desideri perlopiù superflui, abbiamo dimenticato un bisogno, tanto essenziale quan­ to mangiare o bere: abitare un mondo dotato di senso. Parlo naturalmente del nostro bisogno di spi ntualità.

Oh, me ne rendo conto, questa parola desueta suona sospetta alle orecchie dei devoti della mo­ dernità. Evoca immagini tenebrose di cattedrali gotiche, di tribunali dell'Inquisizione, di vecchi bigotti malevoli dai volti coperti di rughe. Si as­ socia immancabilmente all'ideale romantico più 22

retrogrado, quello del ritorno a un passato di su­ perstizione, abuso e violenza. In me, invece, essa evoca lo stupore di fronte alla magia del mondo e visioni di giardini ricolmi di una bellezza bene­ fica alla quale, nella nostra società democratica, ha accesso un numero sempre più esiguo di per­ sone. Nella distanza, ogni giorno più grande, che abbiamo messo tra noi e la natura vediamo gli effetti nefasti di questa perdita di spiritualità. Ci siamo allontanati, forse irrimediabilmente, dal mondo naturale, sano e vigoroso in cui il mistero della vita si manifesta in tutta la sua luminosa pienezza, e che per millenni è stato la dimora de­ gli uomini. Presto lo scenario delle nostre vite sarà esclusivamente l'ambiente artificiale della città moderna. In quel labirinto sordido e turbolento che chiamano Londra - a Charing Cross, mentre af­ frettiamo il passo verso il treno che ci riporterà nei suburbi, o sul marciapiede di Oxford Street, in mezzo alla folla e agli edifici neri di smog -, noi siamo sempre più soli. E non è molto diverso nei villaggi e nelle campagne, sovente sfigurati da un'agricoltura meccanizzata e senz'anima, dal­ la bruttezza delle officine e dei manifesti pubbli­ citari da poco in voga. Ormai siamo circondati da uno spazio inene che non esprime più nulla, 23

che non ha niente da raccontare ai nostri cuori fattisi sordi, ma pur sempre assetati di storie e di mistero. Può essere che la terra stessa - gli ani­ mali, le pietre, i fiori - senta la nostra mancanza, percepisca la scomparsa dello sguardo amoroso dell'uomo? Cosl l'uomo moderno, che già cono­ sce nel proprio intimo la separazione di corpo e mente, ragione e sentimento, ogni giorno si al­ lontana un poco di più dal mondo che lo circon­ da. Non avendo più accesso alla propria umani­ tà, si limita a funzionare, come la macchina che è divenuta il suo modello, in un universo che gli è completamente estraneo. Ecco: solo i giardi­ ni resistono al naufragio della modernità. Di questo tratta il libro che tenete fra le mani: di come solo questi luoghi sfuggano ai disastri della storia invitandoci in rifugi incantati, lonta­ ni dalle perversioni della civiltà. La sua dunque è una grande ambizione, e forse soprawanza i miei poverissimi mezzi: dimostrare che nel no­ stro mondo esistono ancora luoghi reconditi in cui possiamo ritrovare, nel dialogo e nella fami­ liarità con la natura, nei nostri cuori, ciò che ci rende umani e degni del bello che la vita offre. Prima di continuare, però, mi scuso con il letto­ re se le mie argomentazioni potranno apparirgli faziose. Sono già stato rimproverato per le mie 24

prese di posizione radicali e per la mancanza di obiettività che permea le mie idee in materia di giardini. Lo ammetto: sono troppo vecchio per perdere tempo con l'obiettività e il distacco criti­ co. Peraltro, confesso di non aver mai compreso a cosa serva veramente questo famoso distacco. Un argomento come quello del giardino, che tocca le corde più intime, sensibili, talvolta con­ traddittorie del nostro essere, ha forse bisogno di rigore scientifico? In queste pagine, allora, io of­ frirò esclusivamente i frutti delle mie riflessioni, maturati negli anni grazie all'amore e alla pratica del giardinaggio. Si tratta di ciò che di più inti­ mo vi è in me. E, nonostante il mio tono possa apparire perentorio, lo farò con tutta l'umiltà di cui sono capace. Questo libro non è dunque l'ennesimo trat­ tato che ha per oggetto regole compositive, ma piuttosto una meditazione su quell'arte dei giar­ dini che è molto più di un'arte, pur acconten­ tandosi di uno status più umile rispetto a quel­ lo delle arti patentate (tanto umile, che spesso viene considerata un semplice passatempo). È una raccolta di liberi pensieri su tutto ciò che, nell'esperienza del giardino, ci chiama in causa come esseri umani. Non ho regole da insegnare al lettore, perché nell'arte dei giardini non ve ne sono, a eccezione di quella che impone rispetto 25

per il luogo in cui operiamo. Quando si crea o si mantiene un giardino bisogna sempre fare atto di modestia. Il luogo ha origini lontane, più lontane delle nostre. Possiede una storia in cui abbiamo il dovere di entrare in punta di piedi. A parte questo, ripeto, niente regole. Non tratterò neppure di tecnica; benché sia appassionato di orticoltura, la tecnica in sé mi annoia. Il giardinaggio è un esercizio spirituale, una maniera di guardare il mondo, di interrogare la natura da vicino. Non è tecnica, ma poesia. E qui vedo il lettore scuotere ancora la testa. Che sia giardiniere esperto o dilettante, magari ab­ bonato a Gardening nlustrated, commenterà, tra sé e sé: �Quante baggianate! Neanche se il giar­ dinaggio fosse un affare da poeti! Non consiste forse nel conoscere le piante e le loro necessità, le diverse specie di suolo, le tecniche per molti­ plicare per talea o per innesto, potare, trapianta­ re, debellare i pidocchi e le cocciniglie?» Tutto ciò è - come negarlo?- fondamentale per la vita del giardino. Ma questo lettore ha imboccato il sentiero sbagliato: ragiona come un uomo del suo tempo, per il quale è sempre questione di conoscenze da padroneggiare. Ebbene, no: il la­ voro del giardiniere non conosce interruzione tra l'operato della mano, dello spirito e del cuore! Quando rimescola sapientemente il terreno con 26

le dita, allargando lo scavo in cui metterà a di­ mora una pianta, il suo spirito esplora il mistero di quella profondità accogliente, umida, formi­ colante di vita. Mentre diserba, e pensieri, ricordi e fantasticherie gli attraversano la mente, s'inter­ roga sulla vita e si lascia interrogare da essa. Il giardinaggio, caro lettore, non è che un dialogo ininterrotto con la terra. Ceno, come dicono le riviste di giardinaggio più sempliciotte, se nel mondo vi è ancora un poeta, questi è proprio il giardiniere! Un poeta felice, un idealista che per qualche ora al giorno vive immerso nel proprio ideale e senza posa lo trasforma in realtà grazie alla compiacenza della natura. E mentre lavora dimentica tutto, compreso se stesso. Anche in questa sera d'autunno l'erba non smette di crescere nel prato attorno a lui, mentre le foglie approfittano degli ultimi raggi di sole. Su un ramo, un frutto sta maturando, ciliegia o mela, arrotondandosi sotto la volta del cielo. La terra odora di fresco, di foglie mone bagnate, del­ la notte che si approssima. E il giardiniere si fer­ ma. Appoggiato alla zappa, contempla con tutto comodo il giardino al calare del buio. Mormora parole che lui stesso non comprende. Qualche formula pagana, senza dubbio, ritornata a gal­ la da tempi immemorabili. Forse nel suo sorri27

so c'è un'ombra, la traccia di qualche tormento, un leggerissimo dolore. Avrà percepito la prima fragranza dell'inverno, il primo brivido di freddo del giardino? Il giardiniere ama l'inverno. Prova affetto per i lunghi mesi in cui non vi è altro da fare che portare pazienza, osservare, contemplare l'intrico dei rami spogli, il sole basso all'orizzon­ te che si riflette sulla superficie dello stagno. Ma l'inverno è melanconico, e forse il giardiniere si sta interrogando. «Mio bel giardino, ci sarai anco­ ra, la prossima primavera? Davvero ritornerai?» Greystone Garden, Chipping Norton, l ottobre 1911

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Genius loci

Le divinità del luogo e il bosco sacro - magia dei

giardini del Rinascimento - (