Durata e tempo. Sulle misure. Sulla natura e proprietà dei continui
 8874705670, 9788874705672

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collana diretta da Costantino Esposito e Pasquale Porro

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© 2017, Pagina soc. coop., Bari

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Teodorico di Freiberg

Durata e tempo Sulle misure Sulla natura e proprietà dei continui Introduzione, traduzione e note di Andrea Colli

Il presente volume è stato pubblicato grazie al finanziamento della Provincia Autonoma di Trento, nell’ambito del progetto Nobilitas, bando “post-doc 2011”, determinazione del dirigente n. 2 del 27 gennaio 2012.

Versione digitale (pdf) isbn 978-88-7470-568-9

Indice

Introduzione 7 1. Il problema del tempo nel XIII secolo

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1.1. Tradizioni a confronto, p. 8 - 1.2. Numerus motus e distentio animi, p. 11 - 1.3. La proposizione 200 della Condanna del 1277, p. 16

2. Durata e tempo negli scritti di Teodorico di Freiberg

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2.1. Il quinto capitolo de L’origine delle realtà predicamentali, p. 18 - 2.2 Gli scritti sul tempo, p. 20 - 2.2.1. La datazione, p. 21 2.2.2. Le fonti, p. 22

3. Il De mensuris 33 3.1. Ordo, mensura, pondus. La misurabilità del creato, p. 33 - 3.2. La durata come ragione e proprietà delle cose. Analisi delle opinioni dei precursori, p. 34 - 3.3. Le cinque tipologie di durata, p. 37 3.3.1. Superaeternitas, p. 37 - 3.3.2. Aeternitas, p. 38 - 3.3.3. Aevum, p. 39 - 3.3.4. Aeviternitas, p. 40 - 3.3.5. Tempus, p. 41 - 3.4. Passato, presente, futuro e la nozione di aevum currens, p. 43 - 3.5. La durata di una sostanza spirituale-individuale, p. 45 - 3.6. La nozione di «istante» e l’attività di misurazione, p. 48

4. Il De natura et proprietate continuorum 50 4.1. La natura e i generi dei continui, p. 50 - 4.2. Analisi della definizione aristotelica di tempo, p. 52 - 4.3. Il tempo e l’apprehensio rationis, p. 55 - 4.4. Per concludere: il tempo e le cose, p. 56 - 4.5. Argomenti contrari e risposte, p. 58 - 4.5.1. Il movimento e il binomio potenza-atto, p. 58 - 4.5.2. Tempo in atto e in potenza, p. 59 - 4.5.3. Esiste un tempo senza l’anima?, p. 59

5. L’indagine sulla natura del tempo. Un bilancio provvisorio

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Indice

Nota biografica

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Nota editoriale

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Trattato sulle misure

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Trattato sulla natura e proprietà dei continui

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Bibliografia

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Indice delle fonti

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Indice dei nomi

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Introduzione Noi diciamo: il tempo trascorre. Sta bene, lasciamolo trascorrere. Ma per poterlo misurare... Ecco, per essere misurabile dovrebbe trascorrere uniformemente, e dov’è scritto che lo fa? Per la nostra coscienza non lo fa, noi per motivi di ordine superiore poniamo soltanto che lo faccia, e le nostre misure sono soltanto convenzionali. T. Mann, Der Zauberberg1

1. Il problema del tempo nel XIII secolo Il pensiero scolastico è profondamente affascinato dal problema del tempo e gran parte degli scritti del XIII secolo ne costituiscono una significativa conferma. L’esistenza e la definizione del tempo, il suo legame con il movimento e con l’anima, la nozione di durata, la relazione tra eternità e temporalità sono tutte angolature o prospettive differenti, attraverso cui gli autori di questo periodo si interrogano sul divenire delle sostanze, indagando su ciò che si sottrae alla mutevolezza e alla caducità. La natura dei problemi sollevati e la raffinatezza degli argomenti addotti per risolverli non sono dunque mai artificiosi, bensì sottendono, quasi sempre, l’esigenza più radicale di offrire risposte a istanze che, in altre epoche, non esiteremmo a definire “esistenziali”. I punti di riferimento di questo ampio dibattito filosofico sono molteplici, come è stato approfonditamente documentato dalle ricerche di Auguste Mansion, Annaliese Maier, Udo Jeck, Kurt Flasch e Pasquale Porro2. Tuttavia, introducendo la traduzione e il commento del De mensuris e del De natura et proprietate continuorum – opere che il filosofo domenicano Teodorico di FreiT. Mann, La montagna incantata, trad. it. di E. Pocar, Tea, Milano 2005, p. 60. Si vedano tra gli altri A. Mansion, La théorie aristotélicienne du temps chez les péripatéticiens médiévaux, «Revue néo-scolastique de philosophie», 36 (1934), pp. 275-307; A. Maier, Die Subjektivierung der Zeit in der scholastischen Philosophie, «Philosophia naturalis», 1 (1951), pp. 361-398; A.  Maier, Scholastische Diskussionen über die Wesensbestimmung der Zeit, «Scholastik», 26 (1951), pp. 520-556; K. Flasch, Was ist die Zeit? Augustinus von Hippo. Das XI. Buch der Confessiones. Historisch-philosophische Studie. Text – Übersetzung – Kommentar, Klostermann, Frankfurt am Main 1993, in particolare pp. 160-195; U.R. Jeck, Aristoteles contra Augustinum. Zur Frage nach dem Verhältnis von Zeit und Seele bei den antiken Aristoteleskommentatoren, im arabischen Aristotelismus und im 13. Jahrhundert, Grüner Verlag, Amsterdam-Philadelphia 1994 (Bochumer Studien zur Philosophie, 21); P. Porro, Forme e modelli di durata nel pensiero medievale. L’aevum, il tempo discreto, la categoria «quando», Leuven University Press, Leuven 1996 (Ancient and Medieval Philosophy, I/16). 1 2

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Durata e tempo

berg (1240-1310)3 dedica al problema del tempo e della durata –, non ci si può esimere dal distinguere, pur in modo piuttosto schematico e generale, le principali tradizioni che possono aver contribuito alla formazione del dibattito scolastico, consapevoli che la rigidità della catalogazione non può rendere effettiva giustizia delle infinite sfumature che contraddistinguono le singole concezioni del tempo, per le quali si rimanda invece agli studi sopracitati.

1.1. Tradizioni a confronto Le riflessioni sul tempo, elaborate nella seconda metà del XIII secolo, hanno come principale punto di riferimento il IV libro della Fisica di Aristotele. Come avviene anche per gli altri libri naturales aristotelici, la versione latina dell’opera si diffonde grazie a una prima, ma lacunosa, Translatio Vetus4, utilizzata sia da Roberto Grossatesta (1175-1253) che da Alberto Magno (1206-1280) nella redazione dei loro rispettivi commenti. In seguito, la traduzione assume una fisionomia più completa grazie alla Translatio Nova (o Recensio Nova) di Guglielmo di Moerbeke (1215-1286)5, il cui utilizzo è attestato a partire dalla redazione del Commento alla Fisica di Tommaso d’Aquino (1225-1274), databile intorno al 12696. Per amor di completezza, a queste due versioni latine dell’opera va aggiunta una terza traduzione che non prende le mosse dall’originale greco, bensì da una traduzione araba. Essa influenza la ricezione della Translatio Vetus nella prima metà del secolo, mentre risulta decisamente ininfluente con l’affermarsi della versione di Guglielmo7. 3

Cf. la successiva Nota biografica, pp. 63 sg. 

4 Aristoteles Latinus, Physica: translatio vetus, ed. F. Bossier, J. Brams, E. J. Brill, Leiden-New York

1990 (Aristoteles Latinus VII.1.2), pp. 7-340. 5 Pur non trattandosi di un testo in edizione critica, si può qui assumere come punto di riferimento (e lo si farà anche in nota alla traduzione del testo) la Translatio nova (d’ora in poi sempre indicata con questa denominazione) allegata a S. Thomae Aquinatis Doctoris Angelici, In octo libros Physicorum Aristotelis Expositio, cura et studio P.M. Maggiolo, Marietti, Torino-Roma 1954. A proposito del dibattito sulla traduzione e trasmissione della Physica nel XIII secolo si vedano tra gli altri J. Brams, Das Verhältnis zwischen der Translatio Vaticana und der Translatio Vetus der Aristotelischen Physik, in A. Zimmermann (Hrsg.), Aristotelisches Erbe im arabisch-lateinischen Mittelalter. Übersetzungen, Kommentare, Interpretationen, De Gruyter, Berlin 1986 (Miscellanea Mediaevalia, 18), pp. 194-214; J. Brams / G. Vuillemin-Diem, Physica Nova und Recensio Matritensis – Wilhelm von Moerbekes doppelte Revision der Physica Vetus, in A. Zimmermann (Hrsg.), Aristotelisches Erbe im arabisch-lateinischen Mittelalter cit., pp. 215-288; J. Brams, La Recensio Matritensis de la Physique, in J. Brams, W. Vanhamel (a cura di), Guillaume de Moerbeke. Recueil d’études à l’occasion du 700e anniversaire de sa mort (1286) (Actes du Colloque), Leuven University Press, Leuven 1989 (Ancient and medieval philosophy I/7), pp. 193-220. 6 Brams / Vuillemin-Diem, Physica Nova und Recensio Matritensis – Wilhelm von Moerbekes doppelte Revision der Physica Vetus cit., p. 275. 7 Jeck, Aristoteles contra Augustinum cit., pp. 182-199.

Introduzione

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Alla Recensio Guillelmi, che è senza dubbio un testo fondamentale per poter comprendere il dibattito sul problema del tempo alla fine del XIII secolo, va affiancato il commento di Averroè (1126-1198), tradotto in latino da Michele Scoto (1175-1236) intorno al 12358. Pur trattandosi di una traduzione disorganica, cui non sarà apportata alcuna revisione fino al Cinquecento9, l’opera costituisce un compendio fondamentale per la lettura e l’interpretazione della concezione aristotelica del tempo, tanto da divenire, in molte rielaborazioni di fine XIII secolo, parte integrante delle definizioni contenute nel IV libro della Fisica. Alla dottrina del tempo aristotelica o, più correttamente, all’ampio e policromo quadro filosofico che si sviluppa intorno alla sua interpretazione, si vanno ad affiancare almeno altre due tradizioni, spesso intrecciate, che approdano nel XIII secolo dopo aver goduto di indiscutibile fortuna nell’Alto Medioevo, ragione che contribuisce, in molti casi, a rendere difficile un loro definitivo superamento da parte della «nuova» filosofia peripatetica. Una prima concezione di tempo, legata alla cultura neoplatonica, ha la sua, forse più autorevole, espressione ne La divisione della natura di Giovanni Scoto Eriugena (810-877), trovando poi ampio spazio nei secoli successivi anche grazie al contributo di autori come Gilberto Porretano (1070-1154)10. La particolarità di questa posizione consiste nel fissare l’attenzione sul problema metafisico della durata delle diverse sostanze e non tanto sul nesso fisico che si costituisce tra tempo e movimento. In tal senso, dunque, definire o descrivere la temporalità significa esaminare generalmente le distinzioni tra i livelli di durata (eternità, eviternità, tempo, ecc.) che possono essere attribuiti alle differenti realtà che compongono l’universum entium (Dio, intelligenze divine, corpi celesti, creature angeliche, sostanze corruttibili). Si tratta di una posizione profondamente radicata nella riflessione neoplatonica di Proclo (412-485) e dello Pseudo-Dionigi. Come potremo constatare analizzando gli scritti di Teo8 Sull’attribuzione della traduzione latina del Commentarium Magnum di Averroè alla Fisica si vedano, tra gli altri, H. Schmieja, Secundum aliam translationem – Ein Beitrag zur arabisch-lateinischen Übersetzung des großen Physikkommentars von Averroes, in G. Endress / J.A. Aertsen (eds.), Averroes and the Aristotelian Tradition: Sources, Constitution, and Reception of the Philosophy of Ibn Rushd (1126-1198): Proceedings of the Fourth Symposium Averroicum, Cologne 1996, E.J. Brill, Leiden 1999, pp. 316-336; D.N. Hasse, Latin Averroes Translations of the First Half of the Thirteenth Century, Olms, New York 2010. 9 Averroes, Aristotelis opera cum Averrois commentariis, Physicorum libri VIII, Venetiis apud Junctas, 1562-1574, vol. 4 [réimpr. Frankfurt, Minerva, 1962]. 10 P. Porro, Il vocabolario filosofico medievale del tempo e della durata, in R. Capasso / P. Piccari (a cura di), Il tempo nel Medioevo. Rappresentazioni storiche e concezioni filosofiche, Società Italiana di Demodossalogia, Roma 2000, pp. 70-71.

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dorico di Freiberg, tale lettura del problema troverà ampio spazio all’interno dei dibattiti sulle distinzioni essenziali tra le durate, dal momento che Aristotele, a questo proposito, offre certamente un contributo poco significativo. Un’altra importante tradizione filosofica, sorta nel solco della classicità latina, è senza dubbio quella agostiniana. Nel corso del XIII secolo l’XI libro delle Confessioni – sezione del testo in cui si affronta in modo approfondito il problema del tempo – rappresenta di fatto l’unica riflessione organica e articolata sull’esistenza e sulla natura della temporalità non riconducibile alla tradizione arabo-peripatetica. La lettura integrale dell’opera è fortemente caldeggiata nei noviziati di alcuni ordini religiosi, come documentato da alcune precise indicazioni di Umberto di Romans, maestro generale dell’Ordo Praedicatorum dal 1254 al 126311. Ciò attesta, dunque, una buona conoscenza e un’ampia diffusione delle Confessioni negli studia e nelle universitates studiorum del XIII secolo. Ciononostante, il particolare genere letterario, certamente molto lontano dalla trattatistica tipica di altre tradizioni di pensiero, ma anche fortemente dissimile dallo stile che lo stesso Agostino adotta in altri suoi scritti, induce i maestri universitari a fare riferimento perlopiù a passi desunti dagli ultimi tre libri (XI, XII e XIII) dell’opera, in quanto più facilmente interpretabili in chiave speculativa. In tal senso, dunque, l’XI libro delle Confessioni risulta frequentemente utilizzato come una sorta di trattato «autonomo» sul tempo e, per questa ragione, direttamente confrontabile con il IV libro della Fisica. Il confronto tra le tesi propugnate da due auctoritates così differenti dà luogo a esiti decisamente contrastanti. Molti maestri del XIII secolo, riconoscendo la diversa natura dei due testi, scelgono di non tener conto delle istanze teoriche agostiniane nel quadro di un’analisi strettamente filosofica del problema del tempo. Altri (la maggior parte) prendono nettamente le distanze dalle tesi agostiniane sul tempo salva reverentia beati Augustini12. Infine alcuni, tra cui Teodorico di Freiberg o Roberto Grossatesta13, provano, Humbertus de Romanis, Opera de vita regulari, ed. J. Berthier, Marietti, Torino 1956, p. 110. Henricus de Gandavo, Quodl. III, q. 11, ed. U. Jeck, in Jeck, Aristoteles contra Augustinum cit., p. 470, ll. 3-4: «Salva reverentia beati Augustini, non omnino negandum est tempus esse extra animam». 13 Robertus Grosseteste, Commentarius in VIII libros Physicorum Aristotelis et fontibus manu scriptis nunc primum in lucem, ed. R.C. Dales, University of Colorado Press, Boulder 1963, p. 88: «Nulla enim diffinicio temporis nocior ista, ut puto, potest inveniri, et omnes qui audiunt hoc nomen tempus intelligunt statim quod illud quod nominatur per tempus quicquid illud sit; mensura quidem motus est secundum prius et posterius. Et Augustinus cum quesivit essenciam temporis adhuc sibi ignotam apertissime novit et pronunciavit tempus esse mensuram motus. Non novit temporis essenciam et tamen novit quod tempus quicquid illud sit, habet comparacionem ad motum sicut mensura ad illud quod per illam mensuratur». 11 12

Introduzione

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in modo decisamente originale, a edulcorare le differenze tra le due posizioni per tentarne una possibile conciliazione. Pur essendo impossibile ripercorrere in poche pagine tutte le tappe di questo confronto teorico, è opportuno descrivere, almeno a grandi linee, le peculiarità delle due tradizioni, quella peripatetica e quella agostiniana, con lo scopo di individuarne i possibili punti di convergenza. Ciò potrebbe forse rendere più facile la comprensione di alcuni passaggi del De mensuris e del De natura et proprietate continuorum.

1.2. Numerus motus e distentio animi La definizione aristotelica costituisce un punto di partenza ineludibile per affrontare il problema del tempo. Essa esprime con tale chiarezza la stretta relazione tra l’esperienza della temporalità e il movimento fisico, che – secondo il Filosofo – la prima non potrebbe darsi senza la presenza del secondo: «Insomma, possiamo affermare che ci sia un tempo quando c’è un prima e un poi, proprio perché il tempo è il numero del movimento secondo il prima e il poi»14.

Al contrario, le osservazioni contenute nell’XI libro delle Confessioni mettono in luce un’esplicita diffidenza nei confronti di una radice fisica del tempo e insistono piuttosto su implicazioni di natura psicologica: «Mi è quindi sembrato che il tempo non sia altro che una distensione. Però non so di che cosa; ma sarebbe strano se non fosse distensione dell’anima stessa»15.

Assumendo per un attimo la posizione di quei maestri del XIII secolo che reputavano inopportuno paragonare due soluzioni così antitetiche, in quanto 14 Aristoteles Latinus, Physica, IV, 11, 219b1-2; translatio vetus, p. 175, ll. 15-17: «Cum prius et posterius est, tunc dicimus tempus; hoc enim est tempus: numerus motus secundum prius et posterius». Translatio nova, p. 281: «Cum autem prius et posterius est, tunc dicimus tempus: hoc enim est tempus, numerus motus secundum prius et posterius». Trad. it. di R. Radice, Bompiani, Milano 2011, p. 389. 15 Augustinus, Confessiones, XI, 26, n. 33, ed. L. Verheijen, Brepols, Turnhout 1983 (Corpus Christianorum Series Latina, 27), p. 211: «Inde mihi visum est nihil esse aliud tempus quam distentionem: sed cuius rei, nescio, et mirum, si non ipsius animi». Trad. it. di G. Reale, Bompiani, Milano 2013, p. 1071. Si è ritenuto opportuno apportare qui una modifica alla versione di Reale. Per rendere ragione, della distinzione tra i termini distentio, intentio ed extentio che lo stesso Agostino introduce nell’XI libro delle Confessioni (Augustinus, Confessiones, XI, 29, n. 39, ed. L. Verheijen, CCSL 27, pp. 214-215), si è scelto di tradurre distentio con «distensione» e non con «estensione», come proponeva il traduttore. Il termine scelto è presumibilmente poco efficace in italiano, ma evita di essere equivocato con il latino extensio che Agostino usa con tutt’altro significato.

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elaborate secondo registri epistemologici differenti, proviamo a mettere in luce la diversa natura delle due opere e le distinte ragioni che muovono i loro rispettivi autori. Aristotele colloca la sua analisi in totale continuità con la riflessione fisica che aveva condotto nelle pagine precedenti del suo trattato e che aveva interessato, tra le altre cose, la nozione di continuo, di spazio, di movimento e di vuoto. Agostino, invece, pur cimentandosi in un’analisi, in un certo senso, speculativa, affronta il problema del tempo in stretta continuità con quanto era emerso dalla narrazione delle sue vicissitudini esistenziali e in modo particolare con l’articolata digressione sulla memoria contenuta nel X libro. In tal senso, infatti, si spiega la profonda attenzione rivolta all’atto memorativo e, più in generale, agli sviluppi psicologici che il problema della temporalità comporta. Sebbene ciò non significhi necessariamente che un confronto teorico tra le due posizioni sia del tutto impraticabile, è comunque indispensabile individuare una «breccia» nell’una e nell’altra tesi, affinché possano essere messe in comunicazione. In questa direzione si muovono alcune riflessioni che individuano nella complessa relazione tra anima e tempo, che Aristotele descrive nel quattordicesimo capitolo del IV libro della Fisica (223a21-29), il possibile punto di contatto tra le due tradizioni. «A tal punto qualcuno potrebbe sollevare il seguente problema: se non ci fosse l’anima, il tempo ci sarebbe, oppure no? Nell’impossibilità che esista un soggetto numerante è impossibile che esista un oggetto numerato, e quindi ecco dimostrato che il numero non ci sarebbe, perché esso o è realtà numerante o è realtà numerata. Ma se in natura non si dà nulla tranne l’anima e l’intelletto dell’anima numerare, in assenza dell’anima necessariamente non esisterebbe il tempo, se non nella forma dell’ente che è in qualsiasi momento: questo, ad esempio, nell’ipotesi che possa esserci il movimento, ma non l’anima. In tal caso il prima o il poi risiedono nel movimento e il tempo consiste in questo prima e poi ma in quanto sono numerabili»16. 16 Aristoteles Latinus, Physica, IV, 14, 223a21-29; translatio vetus, p. 188, l. 10 - p. 189, l. 2: «Utrum autem cum non sit anima, erit tempus aut non? Dubitabit enim aliquis; inpossibile enim cum sit numerantem esse, inpossibile est et numerabile aliquod esse; quare manifestum est quia neque numerus; numerus enim est aut quod numeratur aut numerabile. Si autem nichil aliud aptum natum est quam anima numerare et anime intellectus, inpossibile est esse tempus anima si non sit, sed aut hoc quod aliquando cum sit, tempus est, ut si contingit motum esse sine anima. Prius autem et posterius in motu sunt; tempus autem hec sunt secundum quod numerabilia sunt». Translatio nova, p. 308: «Utrum autem, cum non sit anima, erit tempus an non, dubitabit utique aliquis. Impossibile enim cum sit numeraturum esse aliquem, impossibile est numerabile esse aliquod. Quare manifestum est quia neque numerus est: numerus enim aut quod numeratur est, aut numerabile. Si autem nihil aliud aptum natum

Introduzione

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A ben guardare, però, l’argomentazione aristotelica, anche in questo particolare passaggio, è piuttosto distante dai presupposti teorici che muovono la riflessione agostiniana dell’XI libro delle Confessioni. Per Aristotele, infatti, il problema centrale resta la numerazione del movimento e l’attività dell’anima è chiamata in causa esclusivamente con lo scopo di designare una causa agente nel processo di misurazione. Nelle Confessioni, invece, il nesso con il movimento, sia esso locale o celeste, è considerato troppo debole per costituire il fondamento del tempo17, che convenzionalmente è tripartito in passato, presente, futuro, ma in realtà consiste in una distensione (distentio) dell’animo umano che fa esperienza del passato nella memoria, del presente nell’attenzione, del futuro nell’attesa. «Questo, però, ora è chiaro ed evidente, che né il futuro né il passato sono, e che non è appropriato dire: i tempi sono tre, passato, presente e futuro; sarebbe forse più appropriato dire: i tempi sono tre: il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro. Questi tre tipi di tempi sono in qualche modo nell’anima, io non li vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente è l’immediato vedere e il presente del futuro è l’attesa. Se mi si permette di esprimermi in quest’altro modo vedo tre tempi e confesso che sono tre. Si continui pure a dire che i tempi sono tre, ossia passato, presente e futuro, così come si è abituati a dire; si dica pure così. Io non me ne curo, né faccio opposizione, né muovo rimproveri; a patto che si comprenda ciò che si dice, ossia che il futuro ora non è, e che neppure il passato è. Sono poche le volte in cui noi parliamo in modo appropriato; il più delle volte noi non ci esprimiamo con proprietà, però viene compreso quello che intendiamo dire»18.

est quam anima numerare, et animae intellectus, impossibile est tempus esse, anima si non sit. Sed aut hoc, quod utcumque ens est tempus, ut si contingit motum esse sine anima. Prius autem et posterius in motu sunt: tempus autem haec sunt secundum quod numerabilia sunt». Trad. Radice, p. 413. 17 Augustinus, Confessiones, XI, 23, n. 29, ed. L. Verheijen, CCSL 27, pp. 208-209: «Audivi a quodam homine docto, quod solis et lunae ac siderum motus ipsa sint tempora, et non adnui. Cur enim non potius omnium corporum motus sint tempora? An vero, si cessarent caeli lumina et moveretur rota figuli, non esset tempus, quo metiremur eos gyros et diceremus aut aequalibus morulis agi, aut si alias tardius, alias velocius moveretur, alios magis diuturnos esse, alios minus? Aut cum haec diceremus, non et nos in tempore loqueremur aut essent in verbis nostris aliae longae syllabae, aliae breves, nisi quia illae longiore tempore sonuissent, istae breviore? Deus, dona hominibus videre in parvo communes notitias rerum parvarum atque magnarum. Sunt sidera et luminaria caeli in signis et in temporibus et in diebus et in annis. Sunt vero; sed nec ego dixerim circuitum illius ligneolae rotae diem esse, nec tamen ideo tempus non esse ille dixerit». 18 Augustinus, Confessiones, XI, 20, n. 26, ed. L. Verheijen, CCSL 27, p. 207: «Quod autem nunc liquet et claret, nec futura sunt nec praeterita, nec proprie dicitur: tempora sunt tria, praeteritum, praesens et futurum, sed fortasse proprie diceretur: tempora sunt tria, praesens de praeteritis, praesens de praesentibus, praesens de futuris. Sunt enim haec in anima tria quaedam et alibi ea non video,

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La scelta di confrontare o di contrapporre due argomentazioni di natura così differente è stata fatta presumibilmente nella consapevolezza che non si stavano considerando adeguatamente tutti gli elementi dell’uno e dell’altro testo, in modo particolare delle Confessioni, ma che era, in ogni caso, necessario ingaggiare il maggior numero di auctoritates al fine di mostrare la centralità dei problemi che si andavano ad analizzare. L’appiglio che consente questo tipo di operazione è rappresentato dall’aporeticità con cui Aristotele pone il problema della relazione tra anima e tempo e che emerge, pur in modo differente, anche nelle pagine dello scritto agostiniano. Tra l’altro la vicinanza tra alcune affermazioni di Agostino e quanto contenuto nelle Enneadi di Plotino19, che di certo aveva letto Aristotele, potrebbe lasciare aperta la possibilità che attraverso una serie di mediazioni indirette, il filosofo di Ippona fosse stato effettivamente influenzato dalla tradizione greca, quantomeno nella posizione del problema. In ogni caso, secondo molti autori del XIII secolo, Agostino, pur avendo frainteso la vera natura del tempo – che si fonda sul nesso con il movimento –, ha avuto il pregio di comprendere che l’anima ha una funzione fondamentale nella sua costituzione, in quanto – aristotelicamente parlando – rende numerato ciò che nella realtà extramentale è numerabile. Nel quadro di questo riadattamento aristotelico della dottrina del tempo agostiniana giocano un ruolo fondamentale l’interpretazione di Fisica 223a21-29 proposta da Averroè e, aspetto generalmente trascurato dagli studi critici, ma decisamente rilevante, altri scritti agostiniani, ben noti agli autori del XIII secolo, che toccano, seppur tangenzialmente, il problema del tempo, andando con maggior convinzione nella direzione tracciata dalla tradizione aristotelica, quali, per esempio, La Genesi alla lettera o L’immortalità dell’anima20. Per quanto riguarda la prima interpretazione occorre ricordare che, secondo Averroè, affermare che il tempo è numerus motus secundum prius et posterius significa porre l’accento sulla sua duplice natura: estrinseca, in virtù della relazione con il movimento (partim in re extra); intrinseca, in quanto legata in modo imprescindibile all’esistenza di un numerante, l’anima (partim in praesens de praeteritis memoria, praesens de praesentibus contuitus, praesens de futuris exspectatio. Si haec permittimur dicere, tria tempora video fateorque, tria sunt. Dicatur etiam: “Tempora sunt tria, praeteritum, praesens et futurum”, sicut abutitur consuetudo; dicatur. Ecce non curo nec resisto nec reprehendo, dum tamen intellegatur quod dicitur, neque id, quod futurum est, esse iam, neque id, quod praeteritum est. Pauca sunt enim, quae proprie loquimur, plura non proprie, sed agnoscitur quid velimus». Trad. Reale, p. 1057. 19 Plotinus, Enneades, III, 7, ed. P. Henry / H. Schwyzer, Clarendon Press, Oxford 1964, pp. 337-361. 20 A. Colli, Tracce agostiniane nell’opera di Teodorico di Freiberg, Marietti 1820, Milano-Genova 2010 (Collana di Saggistica, 121), pp. 144-146.

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anima)21. Recuperando, dunque, la coppia concettuale aristotelica «potenzaatto» (o «materia-forma»), il filosofo di Cordova mostra come, da un punto di vista meramente materiale, il tempo possa essere considerato alla stessa stregua delle quantità successive che determinano il movimento, mentre, da un punto di vista attuale, e dunque nella completezza della sua definizione (complementum formale), esso richieda l’intervento di un agente numerante. In questa prospettiva, secondo Enrico di Gand († 1293), affermato interprete della concezione averroistica del tempo, l’azione dell’anima introduce un elemento discreto nel continuo del movimento, costituendo, di fatto, il 21 Averroes, Aristotelis opera cum Averrois commentariis, Physicorum liber IV, comm. 131, Venetiis apud Junctas, 1562-1574, vol. 4 [réimpr. Frankfurt, Minerva, 1962], 202rB-202vH: «Cum dissolvit secundam quaestionem, reversus est ad primam, et dixit: Et quaerendum est, utrum sit possibile, etc. Idest, et quaeritur de tempore, utrum inveniatur extra animam, sicut est in anima. Et sic erit, licet non comprehendatur ab anima, si posuerimus animam deficere, sicut erit si apprehensatur ab anima. Et ista est dispositio entium naturalium. Aut est impossibile, ut sit in actu, nisi anima sit. Deinde incepit declarare hoc, et dixit: Dicamus igitur, quod, cum numerans non fuerit, ergo numerare non erit, idest, et, cum res numerans, quae est anima, non fuerit, tunc numerare, quod est actio rei numerantis non erit. Deinde dixit: Manifestum est igitur, quod numerus, etc. Idest, et cum numerare, quod est actio numerantis, non fuerit, manifestum est, quod numerus non erit. Numerus enim aut est numeratum aut actio numerantis in numerato, ides illud, per quod numerat numerans. Et hoc intendebat, ut mihi videtur, cum dixit, aut illud, per quod numeratur, idest, aut illud, per quod numerat numerans. Et, cum manifestum est, quod numerus non est numeratum, ergo est actio numerantis in numerato. Et est manifestum, quod, cum numerans non fuerit, actio eius non erit. Deinde dixit: Et, cum nihil innatum sit, etc. Idest, et, cum sit declaratum, quod, cum numerans non fuerit, non erit numerus. Et est impossibile, aliquid aliud numerare praeter animam et de anima intellectus. Manifestum est, quod, si anima non fuerit, non erit numerus. Et, cum numerus non fuerit, non erit tempus. Et, quia esse numeri in anima non est omnibus modis esse , quoniam, si ita , esse fictum et falsum, ut Chimera et Hircocervus. Sed esse eius extra mentem est in potentia propter subiectum proprium. Et esse eius in anima est in actu, scilicet quando anima egerit illam actionem in subiecto praeparato ad recipiendum illam actionem, quae dicitur numerus, dixit: Nisi sit ex illo, etc. Idest, et cum non fuerit anima, non erit tempus, nisi aliquis dicat, quod erit, et si anima non fuerit ex illo, quod, cum fuerit in actu, tempus erit in potentia. Et hoc est suum subiectum proprium, scilicet motus aut motum. Et hoc intendebat, cum dixit: verbi gratia quoniam possibile est, et motus sit absque eo, quod anima sit. Idest, et motus erit, et si anima non erit. Et secundum quod prius et posterius sunt in eo numerata in potentia, est tempus in potentia. Et secundum quod sunt numerata in actu, est tempus in actu. Tempus igitur in actu non erit, nisi anima sit. In potentia vero erit, licet anima non sit. Deinde dixit: Et quod prius et posterius sunt in motu, idest, et non potest aliquis dicere, quod tempus est, et si anima non erit nisi quia motus est, et si anima non fuerit. Et similiter sunt in eo prius et posterius. Et tempus nihil aliud est quam prius et posterius in motu, sed secundum quod sunt numerata. Et ideo indiget in hoc, quod sit in actu anima, scilicet secundum quod est prius et posterius numerata. Et quasi per hoc, quod dixit: et tempus est haec duo, secundum quod sunt numerata, innuit, quod tempus diminuitur ab eo ex esse perfecto extra animam hoc, quod numeratur ab anima tantum. Secundum igitur hunc modum dicitur tempus habere esse extra animam simile perfecto, et si non sit perfectum. Et ista perscrutatio de tempore magis est philosophica quam naturalis, sed induxit ipsam in hoc loco, quia est causa in ipsum latere, scilicet quia est diminutum in se».

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«prima» e il «poi»22. A partire da questa duplice provenienza, estrinseca e intrinseca, del tempo, Averroè, ma soprattutto i suoi interpreti di fine XIII secolo, possono sottrarsi all’aporia sull’inesistenza di «passato» e «futuro», affidando proprio all’istante «segnato» dalla numerazione dell’anima, il compito di salvaguardare la realtà di queste dimensioni, esistenti potenzialmente nella continuità del movimento23. A proposito, invece, dell’influenza esercitata da altre opere di Agostino sulla formulazione delle dottrine sul tempo, va sottolineato come la scelta di valorizzare maggiormente la relazione tra tempo e movimento, come per esempio avviene con la descrizione del tempus factum ne La Genesi alla lettera24, renda di certo meno forzata la scelta di leggere anche le Confessioni come una parziale conferma della concezione aristotelica del tempo.

1.3. La proposizione 200 della Condanna del 1277 Un altro elemento che va segnalato, accingendosi ad analizzare due testi sul tempo redatti alla fine del XIII secolo, è la presa di posizione assunta, a questo proposito, dai teologi parigini nel 1277. Tra le proposizioni filosofiche che il vescovo Stefano Tempier († 1279) e la sua commissione teologica – di cui fa parte tra gli altri anche il già citato Enrico di Gand – decidono di inPorro, Il vocabolario del tempo filosofico medievale del tempo e della durata cit., pp. 63-102. Henricus de Gandavo, Quodl. III, q. 11, ed. U. Jeck, in Jeck, Aristoteles contra Augustinum cit., p. 475, ll. 1-10: «Si enim praeteritum et futurum considerentur ut stantia inter sua instantia iam omnino praeterita et futura, verum est, quod non sunt nisi in anima et non sine anime. Sed illa eius consideratio multum insufficienter respexit naturam temporis in praeterito et futuro includendo ipsa inter instantia praeterita et futura e non copulando ad instans praesens, sicut in sua consideratione copulavit ea Aristoteles et valde bene. Ipsum enim nunc est tota substantia temporis, in quo consistit totum esse temporis, quod per suum fluxum secundum aliud et aliud esse causat unum tempus continuum compositum ex praeterito et futuro ab initio mundi usque ad finem suum». 24 Augustinus, De Genesi ad litteram, V, 5, n. 12, ed. I. Zycha, Salzburg 1894 (Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, 28/1), pp. 145-146: «Factae itaque creaturae motibus coeperunt currere tempora: unde ante creaturam frustra tempora requiruntur, quasi possint inveniri ante tempora. Motus enim si nullus esset vel spiritalis vel corporalis creaturae, quo per praesens praeteritis futura succederent, nullum esset tempus omnino. Moveri autem creatura non utique posset, si non esset. Potius ergo tempus a creatura, quam creatura coepit a tempore; utrumque autem ex Deo. Ex ipso enim, et per ipsum, et in ipso sunt omnia. Nec sic accipiatur quod dictum est: Tempus a creatura coepit, quasi tempus creatura non sit; cum sit creaturae motus ex alio in aliud, consequentibus rebus secundum ordinationem administrantis Dei cuncta quae creavit. Quapropter cum primam conditionem creaturarum cogitamus, a quibus operibus suis Deus in die septimo requievit; nec illos dies sicut istos solares, nec ipsam operationem ita cogitare debemus, quemadmodum nunc aliquid Deus operatur in tempore: sed quemadmodum operatus est unde inciperent tempora, quemadmodum operatus est omnia simul, praestans eis etiam ordinem, non intervallis temporum, sed connexione causarum, ut ea quae simul facta sunt, senario quoque illius diei numero praesentato perficerentur». 22

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serire nella loro «condanna» ve ne è una, la proposizione 200, che interessa direttamente il problema della natura e dell’origine del tempo: «Quod aevum et tempus nichil sunt in re, sed solum in apprehensione»25. La commissione teologica mette all’indice quelle dottrine sul tempo che ne disconoscono la natura extramentale, riducendolo a mera apprensione o percezione soggettiva. Così facendo viene tracciata una linea di confine che l’attività dell’anima non può valicare: il tempo rimane, dunque, una proprietà delle res, alla cui costituzione collabora una ragione numerante, probabilmente nelle modalità suggerite da Aristotele nella Fisica. Ora, è effettivamente molto difficile individuare sia prima che dopo il 1277 autori che eccedono così radicalmente nel rimarcare l’origine soggettiva del tempo e, per questa ragione l’obiettivo polemico dei teologi parigini resta ancor oggi poco chiaro26. Inoltre il lessico della proposizione contribuisce a creare ulteriori perplessità sulla tradizione da cui Tempier e i suoi collaboratori intendono metterci in guardia. In primo luogo l’uso congiunto di aevum e tempus rende inverosimile la tesi, talvolta sostenuta, che oggetto della condanna possa essere la dottrina agostiniana: Agostino non utilizza la nozione di aevum nella medesima accezione cui fanno riferimento gli autori del XIII secolo. In secondo luogo, sebbene il vescovo di Ippona venga talvolta accusato di essere un sostenitore di una perceptio temporis che, conseguentemente, indurrebbe a credere al movimento come a una sensazione soggettiva27, la sua descrizione dell’esperienza temporale non è mai stata utilizzata per sostenere un soggettivismo cronologico così marcato come quello indicato dalla proposizione 200. Infine, sebbene l’uso del termine apprehensio sia tipico della tradizione peripatetica, è francamente difficile sostenere che l’obiettivo polemico della condanna possa essere la Fisica di Aristotele o l’interpretazione che ne offre Averroè che, al contrario, sembra piuttosto attento nel bilanciare 25 H. Denifle / É. Chatelain, Chartularium Universitatis Parisiensis, I, Paris 1889, p. 486 (tesi 200); R. Hissette, Enquête sur les 219 articles condamnés à Paris le 7 mars 1277, Peeters, Louvain-Paris 1977 (Philosophes médiévaux, 22), pp. 152-154; D. Piché, La condamnation parisienne de 1277, nouvelle édition du texte latin, traduction, introduction et commentaire, Vrin, Paris 1999, p. 140; L. Bianchi, Il vescovo e i filosofi. La condanna Parigina del 1277 e l’evoluzione dell’aristotelismo scolastico, Lubrina, Bergamo 1990 (Quodlibet. Ricerche e strumenti di filosofia medievale, 6), pp. 107-148. 26 Jeck, Aristoteles contra Augustinum cit., pp. 177-181, 329-338; K. Flasch, Welche Zeittheorie hat der Bischof von Paris 1277 verurteilt?, in F. Niewöhner / L. Sturlese (Hrsg.), Averroismus im Mittelalter und in der Renaissance, Spur Verlag, Zürich 1994, pp. 42-50. 27 Albertus Magnus, Summa de creaturis I (De IV coaequaevis), tr. 2, q. 5, a. 1, ed. A. Borgnet, Bibliopolam Editorem, Paris 1885, p. 367B: «Sed a simili si tempus non esset nisi in anima, secundum unum esset tempus, scilicet attendentem motum: secundum alium non esset, scilicet non attendentem motum: ergo esse temporis non dependet ab anima, sed temporis perceptio».

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il contributo della natura e quello dell’anima nella costituzione del tempo. Inoltre il fatto che proprio alle osservazioni averroiste faccia riferimento, qualche anno più tardi, il teologo Enrico di Gand per elaborare le sue tesi sulla nozione di tempo28, è certamente una valida conferma dell’infondatezza di un’ipotesi che vedrebbe, in questo caso specifico, la filosofia averroista oggetto principale della critica di Tempier. Se dunque l’intenzione è quella di attribuire una paternità certa alla proposizione 200, si può concludere che il problema è, al momento, ancora molto aperto29. Considerando, invece, il modo in cui è stata redatta la condanna e le perplessità sulla paternità di altre proposizioni in essa contenute, è del tutto plausibile che la vera questione non sia trovare l’autore che ha pronunciato la tesi incriminata, bensì convincersi che dietro la tesi sul tempus e l’aevum in apprehensione non vi sia un pensatore reale, bensì una vulgata che forse ha colto erroneamente aspetti di differenti tradizioni filosofiche, alterandone i contenuti. In ogni caso, ciò che resta certo, e che la condanna del 1277 conferma ulteriormente, è il ruolo di primo piano che il problema del tempo assume all’interno del dibattito scolastico. Non solo le diverse tradizioni che lo caratterizzano, ma anche la scelta di determinarne le coordinate da un punto di vista istituzionale ne costituiscono, infatti, una valida conferma. Perciò analizzare le considerazioni sul tempo e sulla durata proposte da Teodorico di Freiberg tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo non significa semplicemente prendere in esame una delle possibili «variazioni sul tema», bensì avere la possibilità di collocarsi nella posizione privilegiata di chi, ad uno stato avanzato della discussione, può, in un certo senso, «tirarne le fila», verificando il processo evolutivo del dibattito duecentesco sul problema del tempo.

2. Durata e tempo negli scritti di Teodorico di Freiberg 2.1. Il quinto capitolo de L’origine delle realtà predicamentali Un primo significativo accenno al problema del tempo negli scritti di Teodorico di Freiberg è contenuto nel quinto capitolo de L’origine delle realtà

28 Henricus de Gandavo, Quodl. III, q. 11, ed. U. Jeck, in Jeck, Aristoteles contra Augustinum cit., pp. 463-476. 29 Per una possibile soluzione al problema si veda P. Porro, Tempo e aevum in Enrico di Gand e Giovanni Duns Scoto, in G. Alliney / L. Cova (a cura di), Tempus, aevum, aeternitas. La concettualizzazione del tempo nel pensiero tardomedievale. Atti del Colloquio Internazionale. Trieste, 4-6 marzo 1999, L.S. Olschki, Firenze 2000, in particolare, pp. 100-101.

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predicamentali. Il domenicano sassone vi allude con l’intenzione di documentare l’esistenza di accidenti che non appartengono alla quiddità delle res extramentali, ma che si costituiscono piuttosto in rapporto con un «soggetto conoscente». In altre parole, il tempo, il luogo e altre relazioni non vanno pensate come proprietà intrinseche all’ente di cui sono predicate, ma come definizioni determinate estrinsecamente da un intellectus constituens. «Inoltre conferma la posizione proposta ciò che si trova presso i filosofi riguardo alla causalità di alcuni enti, che, secondo loro, sono costituiti per l’atto dell’intelletto. Sembra infatti che questa fosse l’intenzione del Filosofo, e il suo Commentatore espone ciò chiaramente per quanto riguarda il tempo nel IV libro della Fisica. Anche Agostino nell’XI libro delle Confessioni argomenta questa cosa chiaramente e ampiamente. Anche Boezio nel libro De trinitate dice, riguardo al numero, che non si tratta di una qualche realtà di natura. E se il tempo è tale secondo l’opinione dei filosofi, quale sarà lo stesso quando, “che risulta dall’adiacenza del tempo?”»30.

La tesi, decisamente innovativa e sulla quale sono stati elaborati molteplici studi critici31, risulta, nel nostro caso, ancor più interessante, dal momento che Teodorico sceglie di mostrare come l’intelletto agisca sulla realtà extramentale riferendosi alla categoria «tempo», che dunque non può essere predicata di un ente se non vi è un intelletto a costituirla32. Pur trattandosi di un esempio cui vengono dedicate poche righe, alcuni aspetti della descrizione teodoriciana non possono passare inosservati. È si30 Dietrich von Freiberg, De origine rerum praedicamentalium, 5, 2, ed. L. Sturlese, in Dietrich von Freiberg, Opera omnia, III: Schriften zur Naturphilosophie und Metaphysik, Quaestiones, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1983 (Corpus Philosophorum Teutonicorum Medii Aevi, II/3), p. 181, ll. 12-19: «Attestatur autem propositae intentioni hoc, quod invenitur apud philosophos de causalitate quorundam entium, quae secundum eos per actum intellectus constituuntur. Videtur enim fuisse intentio Philosophi, et Commentator suus manifeste hoc exponit de tempore in IV Physicorum. Augustinus etiam hoc plane et late determinat in XI Confessionum. Boethius etiam in libro De Trinitate dicit de numero, quod numerus non sit aliqua res naturae. Et si tempus est tale secundum opinionem philosophorum, quale erit ipsum quando, quod ex adiacentia temporis relinquitur?» Trad. it. di A. Colli, Bompiani, Milano 2010 (Testi a fronte, 135), p. 203. 31 K. Flasch, Kennt die mittelalterliche Philosophie die konstitutive Funktion des menschlichen Denkens? Eine Untersuchung zu Dietrich von Freiberg, «Kant Studien», 63 (1972), pp. 182-206; K. Flasch, Einleitung, Dietrich von Freiberg, Opera omnia III, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1983, pp.  lxxxilxxxiii; K. Flasch, Dietrich von Freiberg, Philosophie, Theologie, Naturforschung um 1300, Klostermann, Frankfurt 2007, p. 137; P. Porro, Res praedicamenti e ratio praedicamenti. Una nota su Teodorico di Freiberg e Enrico di Gand, in J. Biard / D. Calma / R. Imbach (éds.), Recherches sur Dietrich de Freiberg, Brepols, Turnhout 2009 (Studia Artistarum, 19), pp. 131-144. 32 Cf. P. Porro, Teodorico di Freiberg. L’intelletto come causa delle realtà predicamentali, in M. Bettetini / L. Bianchi / C. Marmo (a cura di), Filosofia Medievale, Cortina, Milano 2004, pp. 287-294.

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gnificativo anzitutto che Teodorico indichi la temporalità come caso più adeguato per corroborare la propria tesi, quindi che nel farlo scelga di suffragare le proprie convinzioni non solo ricorrendo al IV libro della Fisica di Aristotele e al rispettivo commento di Averroè, ma anche all’XI libro delle Confessioni. Sull’atipico accostamento di queste due tradizioni si tornerà nel corso dell’analisi del De mensuris e del De natura et proprietate continuorum, tuttavia è opportuno, da subito, indicarlo come uno dei tratti più originali della riflessione di Teodorico. Come si è avuto modo di illustrare nel paragrafo precedente, le concezioni del tempo aristotelica e agostiniana sono generalmente contrapposte; ciononostante esse non sono del tutto sprovviste di aspetti su cui è possibile trovare una certa convergenza, magari a discapito delle peculiarità di una delle due tesi. Teodorico di Freiberg rappresenta un caso emblematico di questo tentativo, talvolta eclettico, di costituire una sorta di «terza via» tra le critiche alla nozione agostiniana di tempo sviluppate da autori come Alberto Magno (1206-1280), Ulrico di Strasburgo (1220-1277), Enrico di Gand e Pietro Giovanni Olivi (1248-1298), e il dissenso silenzioso di Sigieri di Brabante († 1282) ed Egidio Romano (1243-1316)33. Sebbene sia indiscutibile la funzione essenziale esercitata da Averroè al fine di rendere più efficace questo processo di conciliazione tra tradizione aristotelica ed agostiniana, va tuttavia riconosciuto che, a differenza di quanto avviene negli scritti di altri autori contemporanei a Teodorico, le citazioni di Agostino sono, in questo caso, più esplicite e frequenti.

2.2. Gli scritti sul tempo Gli scritti di Teodorico di Freiberg dedicati al problema del tempo e della durata sono, secondo la titolazione proposta nell’edizione critica di Rehn34, il De mensuris e il De natura et proprietate continuorum. Nella precedente e prima trascrizione moderna dei due testi, Stegmüller aveva optato per De mensuris durationis e De tempore35, alludendo, probabilmente in modo più esplicito, al problema della temporalità, ma trascurando di fatto quanto indicato nella maggior parte dei testimoni manoscritti. È molto difficile stabilire una datazione assoluta delle due opere, come anche collocarle all’interno della vasta produzione teodoriciana. Ciononostante non ci si può esimere dal formulare qualche ipotesi almeno per quanto riguarda la datazione relativa. Colli, Tracce agostiniane nell’opera di Teodorico di Freiberg cit., pp. 151-152. Cf. Nota editoriale, p. 65.  35 F. Stegmüller, Meister Dietrich von Freiberg: über die Zeit und das Sein, «Archives d’Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen-âge», 13 (1940-42), pp. 153-221. 33 34

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2.2.1. La datazione Innanzitutto è piuttosto verosimile che le due opere siano state scritte a breve distanza di tempo. Le ragioni di questa convinzione sono da rintracciare nella coerenza e nelle numerose corrispondenze teoriche che rendono i testi complementari. L’impressione, infatti, è che Teodorico intenda affrontare sistematicamente alcuni tra i numerosi temi che emergono dalla ricezione e dall’interpretazione della Fisica aristotelica senza tuttavia limitarsi a un semplice commento o a una parafrasi. Egli, infatti, non vuole in alcun modo rinunciare alla sua propensione ad elaborare riflessioni filosofiche sotto forma di trattato autonomo, servendosi di altre tradizioni filosofiche, in modo particolare di matrice neoplatonica. Oltre alla ovvia dipendenza del De mensuris e del De natura et proprietate continuorum dalla relazione intelletto-tempo descritta nel quinto capitolo de L’origine delle realtà predicamentali, è piuttosto evidente, soprattutto nel caso del De mensuris, l’influenza del quadro noetico descritto nel De intellectu et intelligibili, da cui sono mutuate alcune decisive scelte teoriche: la gerarchia delle maneries entium a fondamento della classificazione delle durate36 e la formulazione di una nuova nozione del principium individuationis37. Al contrario, non sono rinvenibili tracce del De visione beatifica, testo in cui Teodorico, pur riferendosi esplicitamente alla natura separata e individuale dell’anima razionale, si serve tuttavia prevalentemente della nozione di intellectus agens38 che, invece, non compare né nel De mensuris né nel De natura et proprietate continuorum, dove egli preferisce utilizzare intellectus speculativus39. L’espressione, di provenienza avicenniana, è verosimilmente mutuata da Alberto Magno e compare anche nel Fragmentum de ratione potentiae40, testo che Teodorico scrive qualche anno più tardi rispetto agli scritti sul tempo. Tenendo conto degli studi più recenti, che collocano la stesura del De visione non prima del 130041, è piuttosto verosimile che i due trattati in

Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 3, (4), p. 91. Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 4, (29), pp. 109-111. 38 Dietrich von Freiberg, De visione beatifica, 1, ed. B. Mojsisch, in Dietrich von Freiberg, Opera omnia, I: Schriften zur Intellekttheorie, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1977 (Corpus Philosophorum Teutonicorum Medii Aevi, II/1), pp. 15-63. 39 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 4, (12), p. 101. 40 Dietrich von Freiberg, Fragmentum de ratione potentiae, 20, ed. M.R. Pagnoni-Sturlese, in Dietrich von Freiberg, Opera omnia, III cit., p. 381, ll. 145-158. 41 A. Beccarisi, Johannes Picardi von Lichtenberg, Dietrich von Freiberg und Meister Eckhart: Eine Debatte in Deutschland um 1308, in A. Speer / D. Wirmer (Hrsg.), 1308. Eine Topographie historischer Gleichzeitigkeit, De Gruyter, Berlin 2010 (Miscellanea Mediaevalia, 35), pp. 516-538. 36 37

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questione siano stati redatti negli ultimi anni del XIII secolo, forse durante l’ultimo soggiorno di Teodorico a Parigi (1297-1300). Un altro elemento che ci permette di situare cronologicamente i trattati sul tempo nella produzione scritta teodoriciana è rappresentato dalla scelta di distinguere i motori celesti dalle creature angeliche, a differenza di quanto avviene negli scritti di molti teologi a lui contemporanei42. Nel De mensuris, infatti, Teodorico elabora una gerarchia delle durate dando per assodato il fatto che angeli e corpi celesti partecipino di due generi di classificazione differenti. Ciò potrebbe implicare che il De animatione caeli, testo in cui il filosofo sassone giustifica con attenzione questa sua tesi43, sia stato scritto prima e, in base a quanto scrive Sturlese nell’introduzione all’edizione critica del testo44, è verosimile che esso sia stato scritto intorno al 1290. A ulteriore sostegno di questa ipotetica collocazione cronologica delle due opere possono essere passate in rassegna le fonti esplicitamente citate da Teodorico, così da accertarne la presenza in altri suoi scritti.

2.2.2. Le fonti Sulle fonti e sulle tradizioni che hanno influenzato il pensiero di Teodorico di Freiberg, sono stati prodotti numerosi studi: oltre alla già segnalata presenza di tesi aristoteliche e agostiniane, va tenuto conto del gran numero di citazioni provenienti dalla tradizione neoplatonica45. Decisamente molto complessa, invece, resta la collocazione del filosofo domenicano all’interno del dibattito accademico a lui contemporaneo. Sebbene, a tal proposito, dalla monumentale monografia di Flasch46 in poi, siano stati fatti passi molto significativi, bisogna riconoscere che molti sono ancora i nodi da sciogliere, soprattutto quando Teodorico, che peraltro si cimenta quasi sempre in un genere letterario che non ha nulla a che vedere con lo stile dei commentarii o delle quaestiones universitarie, si serve di vocaboli o espressioni lessicali inusitate per un maestro parigino di fine XIII secolo47. 42 L. Sturlese, Storia della filosofia tedesca nel Medioevo. Il XIII secolo, L.S. Olschki Editore, Firenze 1996, p. 206. 43 Dietrich von Freiberg, De animatione caeli, 19-28, ed. L. Sturlese, in Dietrich von Freiberg, Opera omnia, III cit., pp. 29-36. 44 L. Sturlese, Einleitung, in Dietrich von Freiberg, De animatione caeli, ed. L. Sturlese, in Dietrich von Freiberg, Opera omnia, III cit., pp. 7-8. 45 D. Calma, Le poids de la citation. Étude sur les sources arabes et grecques dans l’oeuvre de Dietrich de Freiberg, Academic Press Fribourg, Fribourg 2010 (Dokimion, 35). 46 Flasch, Dietrich von Freiberg. Philosophie, Theologie, Naturforschung um 1300 cit. 47 Tra le altre si ricorda il singolare uso di res praedicamentales nel De origine rerum praedicamenta-

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Come detto, nel De mensuris e nel De natura et proprietate continuorum, un ruolo di primo piano è senz’altro svolto dagli scritti aristotelici. Per questa ragione è opportuno offrire un catalogo dettagliato delle citazioni esplicite. Analytica Posteriora De mensuris

De natura et proprietate continuorum In quarum definitionibus cadunt propria subiecta, quorum sunt huiusmodi passiones per se quantum ad secundum modum dicendi per se secundum Philosophum in libro Posteriorum. (5.2, 1)

De mensuris

De natura et proprietate continuorum Unde et in Metaphysica non enumeratur tempus in capitulo de quantitate, sed in Praedicamentis. (4, 20)

I, 4, 73b3-5

Categoriae

VI, 4b20-24

VI, 4b23-25 Sed nec quantitas, quod patet enumerando omnes species quantitatis, quia nec est linea nec superficies nec corpus nec locus nec tempus, quae enumerat Philosophus in Praedicamentis. (4, 8) VIII, 10a2729

Unde Philosophus in Praedicamentis in capitulo de qualitate dicit, quod species qualitatis, quae consueverunt dici, paene enumeratae sunt. (4, 20)

lium, l’espressione manieres entium nel De intellectu et intelligibili o la desueta espressione respectivus nel De habitibus. A tal proposito si rimanda, tra gli altri, rispettivamente a A. Colli, Introduzione, in Teodorico di Freiberg, L’origine delle realtà predicamentali, cit., pp. 5-58; M.R. Pagnoni-Sturlese, Filosofia della natura e filosofia dell’intelletto in Teodorico di Freiberg e Bertoldo di Moosburg, in K. Flasch (Hrsg.), Von Meister Dietrich zu Meister Eckhart, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1984 (Corpus Philosophorum Teutonicorum Medii Aevi. Beiheft 2), pp. 115-127; A. Colli, Il Tractatus de habitibus di Teodorico di Freiberg. Datazione dell’opera e ricostruzione delle fonti, «Divus Thomas. Rivista quadrimestrale di filosofia», 116 (2013), pp. 213-241.

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De caelo De mensuris II, 286a8-9

De natura et proprietate continuorum

Quod sic patet. Secundum Philosophum enim in II De caelo et mundo unaquaeque res est propter suam operationem. (4, 17) Quoniam unaquaeque res est propter suam operationem secundum Philosophum [...]. (4, 20)

II, 10, 336b12-14

Unde proprie durationis huiusmodi substantiae, scilicet generabilis et corruptibilis, mensuram determinat Philosophus in II De generatione vocans eam periodum proprium uniuscuiusque talis substantiae. (2, 31)

Metaphysica De mensuris IV, 2, 1004b33-34

IV, 2, 1005a3-5

De natura et proprietate continuorum Primo, quia habet se ex additione ad numerum simpliciter, qui est numerus formalis simpliciter abstractus, qui communis est omnibus entibus numeratis, secundum quod unum et multa dividunt totum ens secundum Philosophum in IV et X Primae philosophiae. (5.2, 2) Primo, quia habet se ex additione ad numerum simpliciter, qui est numerus formalis simpliciter abstractus, qui communis est omnibus entibus numeratis, secundum quod unum et multa dividunt totum ens secundum Philosophum in IV et X Primae philosophiae. (5.2, 2)

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V, 13, 1020a7-32

Unde et in Metaphysica non enumeratur tempus in capitulo de quantitate, sed in Praedicamentis. (4, 20)

V, 13, 1020a18-22

Mensuratur autem, inquantum in ipso attenditur distantia maior vel minor inter terminos distantiae, et sic mensuratur secundum rationem magni et parvi, quae pertinent ad genus quantitatis secundum Philosophum in V Metaphysicae. (3, 2)

V, 13, Quoad secundum, videlicet quan1020a23-25 tum ad extensionem substantiae continui inter terminos, competit continuo proprie mensurari, et secundum hoc dicitur magnum et parvum, quae etiam vocat Philosophus quantitates in V Metaphysicae, cum tamen secundum rei veritatem sint quaedam proprietates et modi accidentales quantitatis. (1, 2) V, 13, Sed nec est motus, quem ponit 1020a29-30 Philosophus in V Metaphysicae in genere quantitatis. (4, 8) VII, 10, [...] qui modus talium substantia1035b11-12 rum est individualitas, sine quo modo nec ipsa substantia individualis esset nec ipsa natura speciei, quae ad hoc, quod sit, determinari habet in individuum, cuius ratio consistit in habendo partes posteriores toto, quas vocat Philosophus partes secundum materiam in VII Metaphysicae. (4, 17) VII, 10, Unde Philosophus VII Metaphysi1036b28-30 cae exemplificans specialiter de animalibus dicit: «Rectum est, quod animal habeat sensum, et ideo non est sine motu, et ideo non est sine partibus». (4, 18)

26

Durata e tempo

X, 3, 1054a20-23

Primo, quia habet se ex additione ad numerum simpliciter, qui est numerus formalis simpliciter abstractus, qui communis est omnibus entibus numeratis, secundum quod unum et multa dividunt totum ens secundum Philosophum in IV et X Primae philosophiae. (5.2, 2) Primo, quia habet se ex additione ad numerum simpliciter, qui est numerus formalis simpliciter abstractus, qui communis est omnibus entibus numeratis, secundum quod unum et multa dividunt totum ens secundum Philosophum in IV et X Primae philosophiae. (5.2, 2)

X, 6, 1056b3-4

Physica De mensuris I, 1, 184a16-24

III, 1, 200b26-33 III, 1, 200b33-34

De natura et proprietate continuorum Nec obstat, si quis iam dictis obviare vellet dicens Philosophum in consideratione temporis processisse secundum modum nobis consuetum et proportionatum, quo videlicet in inquisitione scientiarum procedimus a posterioribus natura nobis autem magis notis secundum Philosophum in I Physicorum. (4, 16) [...] scilicet in genere rei vel passionis, in qua fit motus, secundum Philosophum III Physicorum. (2, 5)

Unde fere per solam reductionem est in genere eius naturae, in qua est motus, puta secundum locum, secundum qualitatem, secundum quantitatem secundum Philosophum III Physicorum. (2, 34)

Introduzione

27

III, 1, 201a10-16

Motus enim secundum Philosophum est actus existentis in potentia inquantum huiusmodi. (2, 5)

III, 1, 201a9-11

Circa primum istorum considerandum propositum ex definitione motus, quam dat Philosophus, videlicet quod motus est actus existentis in potentia inquantum huiusmodi. (6.1, 1)

III, 6, 206b13-16

Sicut in simili videmus secundum Philosophum III Physicorum de existentia infiniti, quod non est in rerum natura, nisi aliquid eius sit actu, et secundum processum in infinitum fiat replicatio potentiae super actum et actus super potentiam. (4, 2)

IV, 10, 217b30-32

Primo, quia numquam aliqua alia via inventa est apud Philosophum in consideratione temporis quam ea, quae hic dicta est, ut in IV Physicorum apparet. (4, 16)

IV, 10, 218a33-b7

Philosophus IV Physicorum contra eos, qui dixerunt tempus esse in motu, arguit ostendens falsitatem huius ex eo, quoniam, si plures mundi essent, plures essent motus et tamen unum tempus. (3, 7)

IV, 11, 218b21-29

Unde illi, de quibus dicit Philosophus, qui dormiunt in Sardis, non apprehendunt tempus, quia non apprehendunt duo instantia, inter quae continuarent temporis durationem. (4, 18)

IV, 11, 219a22-29

His visis manifestum est secundum Philosophum in IV Physicorum, quod secundum illum modum constituitur tempus in esse et mensuratur secundum apprehensionem rationis. (4, 13)

28

Durata e tempo

IV, 11, 219b1-2

Quod patet ex ipsius temporis definitione, quam dat Philosophus, scilicet quod tempus est numerus motus secundum prius et posterius. (3, 3) Idem patet ex proposito modo definiendi ipsum tempus quem perfecte inducit Philosophus in dicta definitione. (3, 6)

IV, 11, 219b10-20

Et propterea etiam substantiae individuae, quae subiciuntur motui, propter talem permanentiam assignatur mensura ipsum nunc, quod permanet nec transit nec desinit in tempore, ut dicitur in IV Physicorum. (4, 27)

IV, 11, 219b10-33

In huiusmodi, inquam, distinguitur inter nunc, quod attribuitur substantiae rei habentis talem durationem, et inter nunc, quod est talis mensurae in suis partibus continuativum, et inter ipsam mensuram, ut patet in tempore, secundum quod Philosophus pertractat in IV Physicorum. (7, 3)

IV, 11, 219b12-15

Unde correspondet sibi tamquam propria mensura nunc temporis, quod manet in toto tempore, sicut habetur in IV Physicorum. (5, 5)

IV, 11, 220a1-5

[...] et ipsum nunc, quod est mensura mobilis secundum Philosophum IV Physicorum, currit per diversa nunc temporis, quae sunt termini temporis inquantum continuum. (2, 24)

IV, 12, 221b21-22

Secundum Philosophum in IV, sicut tempus numerat seu mensurat motum, sic instans temporis est mensura mobilis. (3, 8)

Tempore autem mensurantur, quae proprie sunt in tempore secundum Philosophum, quia continentur et exceduntur a tempore et quantum ad initium et finem suae durationis. (2, 1)

Introduzione

29

IV, 12, 221a28-31

[...] et hoc est proprie esse in tempore, id est excedi a tempore et concludi in tempore, sicut esse in loco est in loco includi secundum Philosophum. (2, 26)

IV, 12, 221b28-31

[...] determinamus etiam mensuras substantiis generabilibus et corruptibilibus, quae proprie sunt in tempore secundum Philosophum [...]. (2, 26)

IV, 14, 223a21-22

Et si ponamus animam non esse, quin sit tempus, vel si est, vel non est tempus, anima non existente, sicut et Philosophus quaerit in IV Physicorum. (6, 4)

IV, 14, 223a21-24

Et hoc dicit Philosophus IV Physicorum, quod si numerans, id est anima, ut dicit, non fuerit, necesse est numerum non esse. Similiter etiam se habet circa rationem mensurae et mensurati. (3, 3)

IV, 14, 223a21-26

Philosophus etiam in IV Physicorum quaerens et determinans propositam quaestionem dicit, ex quo tempus non est nisi numerus, et numerus non est, nisi sit numerans, et numerans non est nisi anima, concludit tempus non esse, nisi anima sit. (3, 4)

IV, 14, 223a21-27

[...] quod Philosophus determinat hanc quaestionem in IV Physicorum concludens suam determinationem in eo, videlicet quod tempus est numerus motus, numerus autem non est, nisi sit numerans, quod est anima [...]. (6.3, 1)

IV, 14, 223a21-29

[...] quae mensura seu numerus motus est tempus secundum Philosophum IV Physicorum et Commentatorem ibidem et Augustinum XI Confessionum [...]. (8, 5)

30

IV, 14, 223a24-26

IV, 14, 223a27-28

V, 2, 226a27

V, 3, 227a10-17

VI, 1, 231a22

VI, 1, 231a24

VI, 3, 234a15-16

Durata e tempo

Ubi advertendum, quod, si vera littera est: inquantum numerata, habetur propositum, scilicet quod tempus non est nisi ab anima, quoniam numeratio passiva non est nisi ab actu animae secundum Philosophum ibidem. (3, 5) Philosophus autem dictam exceptionem intulit loquens sub condicione et quasi ex suppositione, si quis sic ponere vellet. (3, 5) Probat autem Philosophus in IV Physicorum, quod motus non est alteritas; omne autem, quod est alterum, est aliquo alterum, aliqua videlicet forma vel passione. (1, 5) Circa primum considerandum, quoniam de ratione continuorum est habere partes copulates ad unum aliquem communem terminum secundum Philosophum V et VI Physicorum; continua enim secundum ipsum sunt, quorum ultima sunt unum. (1, 1) Circa primum considerandum, quoniam de ratione continuorum est habere partes copulates ad unum aliquem communem terminum secundum Philosophum V et VI Physicorum; continua enim secundum ipsum sunt, quorum ultima sunt unum. (1, 1) Ex his sequitur quinto, quod etiam Philosophus probat, videlicet quod continuum non essentiatur nec componitur ex indivisibilibus, quales sunt termini continuativi partium continuorum. (1, 8) [...] cum secundum Philosophum in VI Physicorum hoc sit de ratione motus, videlicet quod sit partim in termino a quo et partim in termino ad quem. (6.1, 3)

Introduzione

31

VI, 3, 234a16-18

VI, 4, 234b20

Sunt enim quantitates et partes spatii quanti, et in ipsis invenitur mobile in actu, non solum in principio, antequam incipiat motus, et in fine, quando terminatus est motus, sed etiam in ipso motu, inquantum ipsum mobile est partim in terminis a quo et partim in termino ad quem, secundum Philosophum in VI Physicorum. (2, 7) Sicut enim in corporalibus quantitas, divisibilitas, continuitas mobilis est causa harum proprietatum in motu et in re eius generis, in quo est motus secundum Philosophum VI Physicorum, sic simplicitas substantiae spiritualis est causa simplicitatis indivisibilitatis et incontinuitatis dictarum dispositionum seu formarum, secundum quas spiritualis substantia transmutatur. (2, 41)

In his igitur, quae dicta sunt, fundatur ratio Philosophi in VI Physicorum, qua probat, quod indivisibile non movetur. (2, 8)

VI, 5, 236a26-27

Quamvis enim post primum instans temporis et post primum mutatum esse, in quo mobile incipit moveri, non sit accipere primum locum seu spatium, in quod primo transmutatum est mobile, secundum Philosophum in VI Physicorum [...]. (6.1, 6)

VI, 9, 240a29-32

[...] secundum quod Philosophus ostendit in VI Physicorum elidens rationem Zenonis. (6.1, 5) Hanc autem rationem Zenonis elidit ibi Philosophus secundum sextam distinctionem, qua dicit caelum semper manere in loco eodem secundum subiectum. (6.1, 5)

VI, 9, 240a33-b7

VI, 10, 240b8-9

In his igitur, quae dicta sunt, fundatur ratio Philosophi in VI Physicorum, qua probat, quod indivisibile non movetur. (2, 8)

32

VII, 3, 246b10247b13

Durata e tempo

Et ideo etiam in ea variatione, quae attenditur secundum praedicta, quae enumerat Philosophus in VI Physicorum, non est motus, puta in substantia, in habitibus, in relationibus et similibus, quia id, quod secundum ea variatur, non est partim in termino a quo et partim in termino ad quem, sed secundum se totum transit de termino a quo ad terminum ad quem. (6.1, 3) Patet etiam responsio ad ea, quae inducebantur de embryone et aliis transmutationibus et de his, quae enumerat Philosophus VII Physicorum, quoniam alterius rationis sunt potentia et actus in huiusmodi, quam sunt, inquantum cadunt in definitione motus. (6.1, 10)

VII, 3, 246b10248a9

[...] ut dicit Philosophus in VII Physicorum, quod in ad aliquid et in habitibus et in substantia non est motus, similiter et in scientia. (2, 8) Similiter videtur se habere in his, quae enumerat Philosophus VII Physicorum, puta in transmutatione secundum scientiam et universaliter in habitibus, in substantia, in relationibus, in quibus tamen non invenitur motus secundum Philosophum. (6.1, 2)

VIII, 1, 251b19-28

[...] sicut dicit Philosophus VIII Physicorum, scilicet quod signum, id est instans, est sequentis passionis. (1, 3)

Introduzione

VIII, 9, 265b8-11

33

Quoad primum manifestum est, quod primaria et simpliciter prima causa, sed remota et non immediata est motus caeli, in quem omnes motus et mobilium proprietates et passiones reducuntur tamquam in primam et per se causam in genere mobilium et motorum secundum Philosophum in VIII Physicorum. (5.1, 1)

Inferiori di numero, ma non per questo meno significativi sono i rimandi ai testi di Agostino (Confessioni, La Genesi alla lettera e La natura del bene). Come infatti avremo modo di commentare nel corso dell’analisi delle due opere teodoriciane, si tratta di riferimenti essenziali per poter cogliere la singolarità del modo di procedere del filosofo domenicano. Da ultimo occorre fare qualche accenno al sistema neoplatonico secondo cui si struttura l’universitas entium, da cui discendono – nel De mensuris – i generi di durata. A differenza di quanto accade in altre opere, Teodorico è decisamente parco di citazioni o riferimenti alla metafisica neoplatonica degli Elementi di teologia di Proclo o del Liber de causis, ciononostante pare piuttosto evidente come la sua concezione di durata sia radicata in un sistema gerarchico di sostanze che proviene, con i dovuti aggiustamenti, da questa tradizione. In tal senso, dunque, gli scritti sul tempo sono probabilmente l’esito della metabolizzazione di un sistema di riferimento filosofico, quello procliano che, dal De intellectu et intelligibili in poi, diviene una vera e propria stella polare del pensiero di Teodorico. Consideriamo ora dettagliatamente i due scritti tradotti in questo volume, così da poter chiarire alcune delle osservazioni formulate in questa prima parte dell’introduzione.

3. Il De mensuris 3.1. Ordo, mensura, pondus. La misurabilità del creato Il De mensuris è suddiviso in otto capitoli, preceduti – come avviene piuttosto abitualmente negli scritti di Teodorico di Freiberg – da un proemio che illustra il contenuto dell’opera. L’obiettivo del trattato è «considerare le misure della durata degli enti»48, tuttavia ciò non può avvenire senza aver 48

Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, proemio, 1, p. 69.

34

Durata e tempo

preventivamente chiarito i termini della questione, ovvero quale significato debba essere attribuito a una qualsiasi attività di misurazione, tema a cui viene dedicato il primo capitolo dell’opera. Teodorico definisce il «misurare» come la facoltà di attribuire a un ente una determinazione in base al suo modo d’essere49. Pertanto, dal momento che gli enti sono disposti «secondo numero, misura e peso»50, un’autentica attività di misurazione non avrà altro compito se non quello di ordinarli secondo il loro «modo di essere», riferendosi alle categorie di «quantità» (grandezza) e «qualità» (valore). La scelta di richiamarsi alla triade sapienziale (numerus, mensura, pondus), al fine di documentare un ordine e una misurabilità del creato di tipo «essenziale», non è certamente una peculiarità esclusiva della riflessione di Teodorico di Freiberg: la citazione biblica, infatti, è indubbiamente una sorta di patrimonio culturale del pensiero medievale. Decisamente più atipici sono i due riferimenti ad Agostino, e precisamente a La Genesi alla lettera e a La natura del bene. Pur non aggiungendo nulla a quanto già espresso esaustivamente dal Libro della Sapienza, essi costituiscono un indizio rilevante nella valutazione delle fonti e delle tradizioni culturali che fanno da sfondo alla teoria delle durate di Teodorico, se non altro per il fatto che tra i suoi contemporanei nessuno sceglie di citare le due opere di Agostino in un contesto analogo. Le ragioni che spingono il filosofo domenicano in questa direzione sono senz’altro rintracciabili nella successiva rassegna delle durate, dove, come criterio di catalogazione, viene assunto il «modo d’essere» delle diverse sostanze misurabili, piuttosto che la loro relazione con un’unità di misura estrinseca. In altre parole, Teodorico attribuisce all’attività di misurazione lo scopo di cogliere l’ordine essenziale della natura e in questa prospettiva tanto l’idea agostiniana di ordo naturae quanto la gerarchia ontologica di provenienza neoplatonica cui, in seguito, si faranno alcune allusioni, risultano essere particolarmente funzionali. In ogni caso prima di entrare nel merito delle soluzioni avanzate da Teodorico, seguiamone attentamente il modo di procedere.

3.2. La durata come ragione e proprietà delle cose. Analisi delle opinioni dei precursori Così come avviene anche in altri suoi scritti, il filosofo domenicano sceglie di anteporre alle sue osservazioni quella che potremmo definire una «rassegna 49 50

Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 1, (1), p. 71.  Sap. XI, 21.

Introduzione

35

dei precursori». A proposito della classificazione delle durate egli distingue in via preliminare due tesi principali. Alcuni ritengono che la durata sia un fenomeno da osservare alla luce dei termini entro cui si sviluppa, ovvero della «distanza» tra un istante iniziale e un istante finale. In questa prospettiva, dunque, l’eternità (aeternitas) è un tratto distintivo unicamente di Dio, cioè dell’unica sostanza che ha durata priva di inizio e di fine. L’evo (aevum) descrive la durata di quelle sostanze che possiedono un istante iniziale, ma sono sprovviste di un istante finale e possono, pertanto, essere considerate enti creati, ma incorruttibili. Tutto ciò che è provvisto di entrambi gli istanti, iniziale e finale, è misurato secondo il tempo (tempus)51. I sostenitori della seconda opinione affermano, invece, che sia necessario trovare un ente la cui durata possa assumere la funzione di «unità di misura» per definire tutte le altre. A Dio viene, perciò, attribuita l’eternità, in virtù della sua antecedenza nei confronti dell’universo, che invece è sempiterno (sempiternum), ovvero eterno, ma in misura minore rispetto alla sostanza divina. La perpetuità (perpetuitas) è la durata propria delle sostanze (angeli e anime razionali) che, pur sopravvivendo alla fine dell’universo fisico, sperimentano antecedenza e successione. Infine tutto ciò che è mutabile e corruttibile è soggetto al tempo (tempus). Sebbene la mancanza di citazioni esplicite renda complicato indicare l’effettiva paternità delle due posizioni che Teodorico sta esaminando, i segnali per poterne quantomeno ipotizzare la provenienza sono abbastanza evidenti. La tripartizione eternità, evo, tempo (aeternitas, aevum, tempus) fa certamente riferimento alla sistematizzazione delle durate avvenuta nella prima metà del XIII secolo. Esempi piuttosto chiari di un approccio di questo genere al problema possono essere rintracciati nella Summa Halensis52 e nelle Quaestiones in libros Sententiarum di Roberto Kilwardby53. Una classificaCf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (1), p. 73. Alexander Halensis, Summa theologica, I, pars 1, inq. 1, tr. 2, q. 4, membrum 3, cap. 1, ed. Quaracchi, prope Florentiam 1924, p. 100: «Si ergo durationes differunt secundum differentem extensionem esse, cum triplex sit extensio esse, ut dictum est, seu quasi extension sive protensio, erunt tres durations; ergo cum duratio primi sit aeternitas, duratio secundi sit tempus, duratio tertii erit aevum». 53 Robertus Kilwardby, In II Sent., dist. 2, q. 10, ed. G. Leibold, Verlag der bayerischen Akademie der Wissenschaften, München 1992, pp. 40-41: «Sciendum autem quod aevum sumitur multipliciter. Aliquando enim ponitur aeternitas pro aevo, ut in Libro de causis, proposizione secunda: Omne, inquit, esse vel est supra aeternitatem [...] vel in aeternitate, etc. Et dicit quod supra aeternitatem est Deus, id est supra aevum, quia constat quod supra veram aeternitatem non est. Aliquando autem sumitur aevum pro aeternitate, ut apud Isidorum et Platonem [...]. Aliquando autem sumitur aevum communiter pro 51

52

36

Durata e tempo

zione tripartita secondo questi modelli di durata trova poi spazio tanto negli scritti di Alberto Magno54 quanto in quelli di Tommaso d’Aquino55. La quadripartizione eternità, sempiternità, perpetuità, tempo (aeternitas, sempiternitas, perpetuitas, tempus) è, invece, un sistema di catalogazione più datato, con tutta probabilità ricavato da una rielaborazione della riflessione altomedievale sul problema della durata delle sostanze56. Si tratta di due classificazioni profondamente differenti, ciononostante Teodorico di Freiberg intende mostrare l’inadeguatezza del loro comune fondamento teorico: si costituiscono «attraverso la relazione e il paragone con altre cose» (Dio, l’universo, ecc.) e non tengono conto della sostanza dell’ente cui la durata appartiene57. Secondo il domenicano tedesco, invece, per ordinare le «cose misurabili» non è possibile limitarsi a considerarne i riferimenti estrinseci, ma occorre valutarne con attenzione anche le proprietà e il modo. Dal momento che anche nell’analisi del movimento «non osserviamo solamente i due termini, tra i quali esso si sviluppa, ma anche la variazione nella sostanza»58, per poter studiare le differenti durate delle cose misurabili è necessario osservarne «la perfezione e il modo della sua essenza o della sua esistenza in modo, per così dire, intensivo»59. Come i riferimenti iniziali al Libro della Sapienza e agli scritti di Agostino lasciano presagire, l’intenzione di Teodorico è quella di smarcarsi da una tempore et e converso, ut aevum dicitur aetas unius hominis. Aliquando etiam dicitur una tota generatio aevum [...]. Proprie tamen aevum est mensura esse stabilis rerum perpetuarum. Perpetua enim sunt quae incipiunt, sed non desinunt». 54 Albertus Magnus, Super Dionysium De divinis nominibus, c. 10, ed. P. Simon, Aschendorff, Münster 1972 (Alberti Magni, Opera omnia, XXXVI/1), p.  400, ll.  28-33: «Est enim triplex durationis mensura: una, quae habet principium et finem, scilicet tempus, altera, quae habet principium, sed non finem, scilicet aevum, tertia, quae nec principium habet nec finem, scilicet aeternitas; sed ipse non point nisi duas ad manifestationem antiquitatis; ergo videtur insufficiens». Cf. H. Anzulewicz, Aeternitas-Aevum-Tempus: the concept of time in the system of Albert the Great, in P. Porro (ed.) The medieval concept of time. The scholastic debate and its reception in early modern philosophy, E.J. Brill, Leiden 2001 (Studien und Texte zur Geistesgeschichte des Mittelalters, 75), pp. 83-130. 55 Thomas Aquinas, Scriptum super libros Sententiarum magistri Petri Lombardi episcopi Parisiensis, liber primus, dist. 19, q. 2, art. 1, sol., ed. P. Mandonnet, P. Lethielleux, Paris 1929), p. 467: «Sic igitur patet quod est triplex actus. Quidam cui non substernitur aliqua potentia; et tale est esse divinum et operatio ejus; et huic respondet loco mensurae aeternitas. Est alius actus cui substat potentia quaedam; sed tamen est actus completus acquisitus in potentia illa; et huic respondet aevum. Est autem alius cui substernitur potentia, et admiscetur sibi potentia ad actum completum secundum successionem, additionem perfectionis recipiens; et huic respondet tempus». 56 P. Porro, Forme e modelli di durata nel pensiero medievale cit., pp. 51-164. 57 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (3), p. 75.  58 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (5), p. 75.  59 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (5), p. 75. 

Introduzione

37

lettura esclusivamente «fisico-quantitativa» della nozione di durata, radicata prevalentemente nella tradizione aristotelica, favorendo piuttosto uno studio degli enti che tenga conto della loro essenza misurabile e della loro possibile collocazione in una sorta di gerarchia delle sostanze. Quest’ultimo aspetto è ulteriormente confermato dall’affinità tra alcune osservazioni contenute nel De mensuris e quanto scritto, presumibilmente qualche anno prima, nel De intellectu et intelligibili60.

3.3. Le cinque tipologie di durata Completata quella che potremmo considerare una pars destruens, dove la «rassegna» delle opinioni altrui non è che un pretesto per sottolineare il radicale errore di valutazione in cui sono incorse tanto le tesi più recenti, quanto quelle più datate, Teodorico introduce quattro criteri per poter intraprendere una nuova lettura del problema e di conseguenza offrire una più adeguata classificazione delle durate. «Per ottenere quindi le misure proprie della durata delle cose – scrive il filosofo sassone –, bisogna esaminarle secondo quattro condizioni»61: 1) le proprietà essenziali che caratterizzano ciascun ente; 2) le variazioni cui è soggetta ogni sostanza; 3) i termini iniziale e finale che la «delimitano»; 4) il suo modo di darsi «presente». Dalla determinazione di questi quattro criteri, entro cui leggere il fenomeno della durata, segue l’individuazione di cinque tipologie di enti misurabili: la sostanza divina, le intelligenze, le sostanze spirituali, i corpi celesti, gli enti generabili e corruttibili.

3.3.1. Superaeternitas La sostanza divina è «supereterna» (superaeterna), in quanto è infinita e raccoglie in sé tutte le perfezioni degli enti di altro genere. Ne consegue che essa è priva di qualsiasi variazione, non è racchiusa tra due termini iniziale e finale e, infine, l’«essere-sempre-presente» è il suo unico modo d’essere62. La scelta di attribuire alla sostanza divina la durata della «supereternità» docu60

Cf. Dietrich von Freiberg, De intellectu et intelligibili, 1, 4, ed. B. Mojsisch, in Dietrich von Frei-

berg, Opera omnia, I cit., pp. 138-139. 61 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, 62

c. 2, (6), p. 77.  Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (7-10), p. 77. 

38

Durata e tempo

menta ancora una volta l’influenza della tradizione neoplatonica: Teodorico, infatti, sembra interessato a organizzare gerarchicamente le differenti durate, attribuendo al primo principio una superiorità che lo elevi al di sopra delle forme comunemente usate per indicare la durata, accentuando, piuttosto, una maggiore continuità ontologica tra i successivi livelli di realtà misurabili63. Questo tipo di operazione evoca quanto proposto nel De intellectu et intelligibili, quando, parafrasando il Liber de causis, Teodorico descriveva la causa prima al di sopra di qualsiasi cosa e impossibile da descrivere64.

3.3.2. Aeternitas Un’ulteriore conferma di questa interpretazione può essere rinvenuta nella descrizione del livello successivo, in cui Teodorico sceglie di attribuire l’«eternità» a quelle sostanze superiori che «i filosofi» chiamano «intelligenza» o «intelligenze» e che, pur essendo di grado «infinitamente inferiore» rispetto al primo principio, presentano le medesime quattro caratteristiche65. Si tratta di sostanze che rispecchiano piuttosto esplicitamente i caratteri delle ipostasi intermedie che, nel paradigma neoplatonico, hanno compito di mediazione tra l’Uno e i molti. Tuttavia nulla vieta di pensare che Teodorico alluda qui a quei motori immobili della tradizione aristotelica, successivi al primo e trasformati in intelligenze da al-Fa- ra-bı- e da Avicenna. In effetti, il riferimento ai philosophi che avrebbero stabilito la loro esistenza spetta generalmente ai peripatetici piuttosto che ai neoplatonici, comunemente definiti theologi e dunque sembra corroborare la seconda ipotesi. Tuttavia Teodorico non è nuovo a un utilizzo equivoco del termine philosophi, visto che ne L’origine delle realtà predicamentali annovera tra i cosiddetti «filosofi» anche Agostino66; inoltre la scelta di citare, in questo contesto, la proposizione 19 del Liber de causis67, lascia comunque aperta la possibilità che, anche nella descrizione di questo secondo grado di durata, un punto di riferimento dell’argomentazione teodoriciana possa essere la tradizione neoplatonica.

63 C. Steel, The neoplatonic doctrine of time and eternity and its influence on medieval philosophy, in Porro (ed.), The medieval concept of time cit., pp. 25-28. 64 Dietrich von Freiberg, De intellectu et intelligibili, I, 4, (2) ed. B. Mojsisch, p. 138, ll. 47-57. 65 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (11-12), p. 79. 66 Dietrich von Freiberg, De origine rerum praedicamentalium, 5, 2, ed. L. Sturlese, p. 181, ll. 1219: cf. nota 30. 67 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (11), p. 79.

Introduzione

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3.3.3. Aevum Di grado inferiore rispetto alle precedenti è «qualsiasi sostanza spirituale [...] sia essa un angelo o un’anima razionale»68 e a essa va attribuita la durata dell’«evo». Secondo Teodorico una sostanza spirituale non è «un ente in modo semplice» come Dio o le intelligenze superiori, ma possiede «una natura determinata», cioè individuale, infatti «angelo esprime la specie, mentre Michele, Gabriele l’individuo»69. Pur essendo indiscutibile l’interesse del filosofo sassone per le questioni angelologiche, è piuttosto palese come l’appartenenza congiunta di creature angeliche e anime razionali alla categoria dell’aevum, stimoli a rileggere ogni argomentazione addotta per chiarire la particolare natura degli angeli nella direzione di un approfondimento della natura e dei caratteri attribuibili all’anima razionale umana. Non sarebbe, dunque, troppo forzato sostenere che in questo caso il principale obiettivo di Teodorico sia, anzitutto, mettere al sicuro, seppur in modo indiretto, la natura individuale dell’anima razionale, sottraendosi, come già avviene nelle opere noetiche, a quelle critiche che lo vorrebbero inserire tra i cosiddetti «averroisti latini», in virtù delle evidenti propensioni a considerare l’intelletto (o anima razionale) una sostanza. In altre parole, la scelta di considerare la parte razionale dell’uomo una sostanza misurabile soggetta ad aevum non significa necessariamente sostenerne la separatezza rispetto alle facoltà inferiori dell’anima, bensì segnalare l’impossibilità di una sua completa sottomissione al divenire temporale. La perfezione delle sostanze spirituali è distante «in modo quasi incomparabile» da Dio e dalle intelligenze e ciò può, da un lato, rendere ragione della natura creata degli angeli e delle anima razionali, dall’altro limitare quell’accentuata «deiformità» che Teodorico sembra attribuire all’anima razionale in altri scritti70. Tali sostanze sono variabili in modo ambiguo, cioè sono soggette al movimento, ma non come gli enti generabili e corruttibili71 e ciò mostra con inequivocabile chiarezza la superiorità dell’uomo, su cui Teodorico tornerà approfonditamente nei paragrafi successivi: la sua natura, infatti, è «corporalmente» determinata dal movimento, ma «spiritualmente» libera da esso. «La dottrina della verità dei santi» dispone, inoltre, che tale sostanza abbia «inizio con la totalità degli enti, pur essendo priva della fine della duraCf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (13), p. 79. Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (13), p. 79. 70 Cf. ad esempio Dietrich von Freiberg, De intellectu et intelligibili, 2, 24-25, ed. B. Mojsisch, pp. 163-164. 71 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (15), pp. 79-81. 68 69

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ta». In tal senso, dunque, essa possiede un istante iniziale, ma non finale72, posizione, quest’ultima, che salvaguarda l’immortalità tanto delle creature angeliche, quanto dell’anima razionale. Sulla relazione tra queste sostanze e le tre dimensioni temporali (passato, presente e futuro), che costituisce il quarto criterio per determinare una durata, Teodorico si soffermerà a lungo alla fine del terzo capitolo73. In questa circostanza si limita piuttosto a sottolineare come angeli e anime razionali non possano essere considerati sempre presenti come le intelligenze o il primo principio, bensì si costituiscano nella loro presenzialità alla luce del decorso temporale delle cose con cui entrano in relazione. Si tratta dunque di «un’esistenza presenziale, che possiamo chiamare esistenza come “istante”, per la sua connotazione dei rapporti con passato e futuro»74.

3.3.4. Aeviternitas La quarta tipologia di durata, l’«eviternità», appartiene ai corpi celesti. Si tratta di un genere di sostanza evidentemente inferiore rispetto alle precedenti75, in virtù della propria corporeità. Essa necessita di una disposizione secondo il luogo e di un movimento corporeo76; «ha – secondo la Scrittura [...] – un inizio della sua esistenza, pur essendo priva di una fine della durata»77; come le sostanze spirituali «si estende dal passato al presente e dal presente al futuro, non per un mutamento sostanziale» ma in relazione al luogo78. Tra le caratteristiche che contraddistinguono questo quarto grado di classificazione, va segnalata anzitutto la scelta di non identificare le sostanze angeliche con le intelligenze che muovono i corpi celesti, tesi che – come detto in precedenza – Teodorico sostiene anche nel De animatione caeli e che è contraria a quanto teorizzato, in ambiente domenicano, da autori come Alberto Magno e Ulrico di Strasburgo. Inoltre occorre offrire qualche spiegazione sull’assenza di un termine conclusivo che il filosofo sassone attribuisce ai corpi celesti e quindi all’universo fisico in generale: da una parte, infatti, egli si richiama alla Scrittura, sostenendo la creaturalità dei corpi celesti e quindi il loro inizio nel tempo, dall’altra insiste sull’assenza di un istante

Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (16), p. 81. Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 3, (14-15), p. 95. 74 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (18), p. 81. 75 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (21), p. 83. 76 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (22), p. 83. 77 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (23), p. 83. 78 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (24), p. 83. 72 73

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«conclusivo»79. Le ragioni di questa operazione non sono di natura cosmologica, ma escatologica. Teodorico, infatti, non ha qui in mente le tesi sull’eternità del mondo: se così fosse, infatti, il problema sarebbe costituito più dall’eternità nel passato che da quella nel futuro. Al contrario, in questione è qui il fatto che i corpi celesti sono privi di un principio intrinseco di corruzione, in quanto sottratti alla contrarietà delle forme sostanziali, e pertanto la loro fine è da considerarsi esclusivamente soprannaturale e non naturale.

3.3.5. Tempus L’ultimo grado degli enti misurabili è quello definito dal tempo e di esso fanno parte le sostanze generabili e corruttibili, che sono imperfette, non mutano solo in modo accidentale, ma anche sostanziale, posseggono un istante iniziale e uno finale, non sono sempre presenti e nemmeno si costituiscono come «ora» in relazione a passato e futuro, bensì sono soggette a divenire secondo le tre dimensioni temporali80. Alla breve descrizione del tempo, come quinto grado di durata, fa seguito un corollario piuttosto corposo dedicato alla nozione di movimento, componente essenziale nella definizione aristotelica di tempo. Teodorico distingue un movimento continuo, proprio degli enti corruttibili, da uno discreto che appartiene invece alle sostanze spirituali81. Nel primo caso la relazione tempo-movimento è efficacemente descritta dalla definizione aristotelica (numerus motus secundum prius et posterius)82, nel secondo caso, invece, dal momento che «nelle sostanze spirituali [...] non troviamo [...] alcun mutamento o alterazione [...] è conveniente attribuire loro una misura di altro genere, anzi una misura specifica per questo genere di mutamento»83. Per questa ragione Teodorico accosta al tempo continuo un tipo di variazione che indica descriptive come tempo che consta di indivisibili (tempus constans ex indivisibilibus)84 e che può essere identificato con il «tempo discreto» cui sembra alludere Agostino nel suo De Genesi ad litteram liber imperfectus85. 79 R.C. Dales, Medieval discussions of the eternity of the world, E.J. Brill, Leiden 1990 (Brill’s Studies in Intellectual History, 18), pp. 192-196. 80 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (26-32), pp. 83-85. 81 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (33), p. 85. 82 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (38), p. 87. 83 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (39), p. 87. 84 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 2, (48), p. 89. 85 Augustinus, De Genesi ad litteram liber imperfectus, 3, n. 8, ed. I. Zycha, CSEL 28/1, p. 463: «Haec enim tempora, si nullus motus corporum esset, nulla essent, et ipsa sunt hominibus manifestiora. Quod si admittimus, quaerendum est utrum praeter motum corporum possit esse tempus in motu incorporeae

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La scelta di attribuire alle creature angeliche un tempo specifico, differente rispetto a quello cui sono soggette le sostanze corruttibili, documenta l’esigenza – di provenienza neoplatonica – di salvaguardare lo statuto intermedio delle sostanze spirituali che partecipano in parte dell’immutabilità degli enti superiori (Dio e intelligenze), in parte del mondo fisico mutabile86. Quindi, sebbene la collocazione di questo problema a margine della ben più curata classificazione delle durate, possa indurre a credere che questi paragrafi siano il frutto di un’integrazione successiva – ipotesi tutt’altro che infondata, se si considerano altre opere teodoriciane – va detto, invece, che celata dietro l’esigenza di specificare la natura del movimento, vi è un tema che costituisce un filo rosso di tutto il trattato, ovvero l’ambigua posizione delle sostanze spirituali, o più precisamente dell’anima razionale, che è certamente superiore alle condizioni cui sono soggetti i corpi corruttibili, ma che non vivendo completamente separata da essi, deve in qualche modo confrontarsi con le medesime dinamiche cronologiche che li caratterizzano. Prima però di affrontare analiticamente questo problema, commentando i capitoli successivi del De mensuris, riassumiamo come le sostanze descritte rispondano ai quattro criteri secondo cui, per Teodorico, deve essere sottoposta ogni tipologia di durata: Sostanza

Dio

Modo e proprietà della sostanza

Variazione della sostanza

Termini (inizialefinale)

Modo della presenza

Durata

Superaeternitas

Raccoglie le per- Invariabile fezioni di tutti i generi

Nessuno

Solo presente

Intelligen- Raccoglie le per- Invariabile za separata fezioni di tutti i generi, ma in modo minore rispetto a Dio

Nessuno

Presenti a tutte Aeternitas le cose secondo il suo modo e la sua proprietà

creaturae, veluti est anima vel ipsa mens; quae utique in cogitationibus movetur, et in ipso motu aliud habet prius, aliud posterius, quod sine intervallo temporis intellegi non potest. Quod si accipimus, etiam ante coelum et terram potest intellegi tempus fuisse, si ante coelum et terram facti sunt Angeli. Erat enim iam creatura quae motibus incorporeis tempus ageret: et recte intellegitur cum illa etiam tempus esse, ut in anima quae per corporeos sensus corporeis motibus assuefacta est. Sed fortasse non est in principibus et creaturis supereminentibus». 86 Porro, Il vocabolario filosofico medievale del tempo e della durata cit., pp. 92-96.

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Sostanza spirituale

Corpo celeste

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Aevum Presente in relazione con passato e futuro secondo il decorso delle cose Variabile in Iniziale, Passato, pre- Aeviternitas quanto sogget- ma non sente e futuro ta al movimen- finale to locale Varia in modo Iniziale e Presente in re- Tempus sostanziale finale lazione a passato e futuro

Non raccoglie le Variabile se- Iniziale, perfezioni di tutti condo una di- ma non gli enti sposizione ac- finale cidentale Non è perfetta in quanto è corporea

Sostanza Non è perfetta in corruttibile quanto corruttibile

3.4. Passato, presente, futuro e la nozione di aevum currens Nel terzo capitolo Teodorico introduce un nuova catalogazione delle durate, suddividendo le sostanze misurabili in base alla loro relazione con le tre dimensioni proprie del decorso temporale: passato, presente e futuro. Si tratta, di fatto, di una rivisitazione approfondita del quarto criterio esposto nella precedente classificazione, la presenzialità. Nel compiere questa operazione il filosofo sassone introduce un’importante distinzione che costituisce senz’altro uno dei caratteri più originali della sua trattazione. Le durate sono infatti divise in una durata in sé e una durata secundum rationem mensurae87. Tale alternativa consente a Teodorico di esaminare il difficile problema della durata, interrogandosi sul rapporto che intercorre tra misurante e misurato, ossia tra l’anima che ordina le diverse forme di durata e gli enti mutabili cui applica le categorie di «quantità» e «qualità». La durata in sé definisce l’essenza della cosa88 ovvero quell’ordine, misura e peso che gli enti misurabili possiedono in quanto creati. La durata secundum rationem, invece, è determinata «per l’azione dell’intelletto» e ha in qualche modo a che fare con la «nostra conoscenza»89. Con questa precisazione Teodorico non solo rende ragione in modo più esaustivo di tutti fattori che costituiscono l’attività di misurazione, ma allude senz’altro alla funzione costitutiva attribuita al soggetto conoscente nel quinto capitolo de L’origine delle realtà predicamentali. Ora, la distinzione tra le due forme di

Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 3, (1), p. 91. Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 3, (2), p. 91. 89 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 3, (3), p. 91. 87 88

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durata costringe quantomeno a una rivisitazione del modello classificatorio precedente. Nel caso della sostanza divina (superaeternitas) e delle intelligenze (aeternitas), Teodorico ribadisce la loro assoluta presenzialità e massima semplicità (superexcedenter in modo simplici)90 nei confronti della triplice dimensione temporale. Nel caso dell’aevum e dunque delle sostanze spirituali che ne sono soggette, passato e futuro non sono compresi nella presenzialità come avviene per le due sostanze precedenti, ma vanno tenuti in considerazione come «negazione o privazione»91. Nella medesima condizione versano anche i corpi celesti, precedentemente classificati come eviterni92. Da ultimo, ovviamente, il tempo si relaziona con passato e futuro secondo una modalità differente: il rapporto tra le tre dimensioni della durata è infatti diretto, così che anche passato e futuro portano determinazioni positive nella cosa stessa93. Al termine dell’esposizione di questo nuovo criterio per la classificazione delle durate, le sostanze possono essere suddivise in tre livelli: un primo grado che comprende la sostanza divina e le intelligenze; un secondo che vede accomunate sostanze spirituali e corpi celesti; un ultimo che comprende ciò che è mutevole e corruttibile. Il capitolo, tuttavia, non si chiude con una rassegna delle sostanze che vanno a costituire questa nuova catalogazione o con un confronto tra la prima e la seconda classificazione proposta, bensì con alcune osservazioni sulla natura delle sostanze spirituali che rivelano con chiarezza quale sia il vero nucleo di interesse della trattazione teodoriciana. Dopo aver descritto il legame tra passato, presente e futuro nelle sostanze temporali, il filosofo domenicano accenna, infatti, alla possibilità che anche le sostanze soggette all’aevum possano, in un certo qual modo, fare i conti con una dimensione di temporalità simile a quella degli enti corruttibili. In altre parole, Teodorico è persuaso che vi siano sostanze spirituali che non si limitino ad avere passato e futuro «secondo privazione», ma siano a tutti gli effetti soggette al decorso temporale. Dal momento che è sconveniente parlare di temporalità effettiva per queste sostanze, egli introduce una distinzione tra un aevum stans e un aevum currens, con cui intende salvaguardare da un lato l’alterità delle sostanze spirituali rispetto a quelle corruttibili, dall’altro la non-totale estraneità delle prime rispetto alla dilatazione temporale delle seconde94. Quella che dovrebbe essere una semplice puntualizzazione si Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 3, (7), p. 93. Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 3, (9), p. 93. 92 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 3, (11-12), pp. 93-95. 93 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 3, (13), p. 95. 94 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 3, (15), p. 95. 90 91

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rivela, in verità, come uno dei passaggi più densi e interessanti dell’intera trattazione. Occorre, infatti, interrogarsi sulle esigenze teoriche che inducono Teodorico ad apportare questa modifica al sistema precedentemente proposto; quindi, va fatta qualche riflessione sulla possibile provenienza filosofica di una nozione così problematica come quella di aevum currens. Sulla prima questione, ovvero sulle ragioni che spingono Teodorico a introdurre nel quadro già articolato dei modelli di durata una distinzione tra aevum currens ed aevum stans, è del tutto plausibile che egli non si stia riferendo, in modo generico, alle sostanze spirituali, ma in modo specifico al caso dell’anima razionale. Sebbene, infatti, anche per le creature angeliche si possa porre il problema di una loro possibile dipendenza dal tempo, quantomeno legata all’interazione con gli enti corruttibili, è tuttavia più probabile, come già sembra annunciare la presenza di una durata opere rationis, che il tema cruciale sia in questo caso l’unione tra anima e corpo, che si traduce inevitabilmente, secondo la prima classificazione delle durate, in un’unione tra aevum e tempus. Dunque, Teodorico manifesta qui l’esigenza di rendere ragione dell’unità temporale dell’agire umano, e di conseguenza di tutte quelle operazioni che l’anima razionale compie per mezzo del corpo e che sono necessariamente soggette al tempo, secondo le sue tre dimensioni. A proposito del secondo problema, e quindi delle fonti che possono aver influenzato il ragionamento teodoriciano, la soluzione presentata dal domenicano sassone non sembra molto lontana da quella prospettata, in ambiente francescano, da Bonaventura da Bagnoregio e Pietro Olivi95; tuttavia l’uso dell’espressione aevum currens resta una peculiarità del De mensuris.

3.5. La durata di una sostanza spirituale-individuale Se si considerano complessivamente le opere di Teodorico di Freiberg, si nota immediatamente come la natura del quarto capitolo del De mensuris sia piuttosto atipica. L’autore, infatti, indica alcune possibili obiezioni a quanto sostenuto nei capitoli precedenti, secondo una modalità che ricorda più il metodo delle quaestiones disputatae che quello di un semplice trattato. Sebbene non manchino anche in altre sue opere le interazioni con gli avversari, è ben raro non solo che il filosofo sassone attribuisca all’analisi delle critiche un luogo autonomo all’interno di un trattato, ma anche che i capitoli immediatamente successivi siano destinati alle risposte alle obiezioni. I principali problemi messi in rilievo da Teodorico sono legati alla durata 95 Cf. P. Porro, Angelic Measures: Aevum and Discrete Time, in Porro (ed.) The medieval concept of time cit., pp. 131-159.

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delle sostanze spirituali che, a questo punto della nostra analisi, può essere verosimilmente considerato un tema cruciale della riflessione teodoriciana del De mensuris. Come si è avuto modo di precisare a proposito dell’uso della nozione di aevum currens, è piuttosto evidente che la preoccupazione del filosofo sassone sia rivolta alle anime razionali piuttosto che alle creature angeliche. In modo particolare si tratta di chiarire per quale ragione il loro «essere-presenti» non possa essere equiparato alla presenzialità della sostanza divina o delle intelligenze. Il problema è decisivo non solo nel quadro dell’attribuzione delle singole durate ma, più in generale, nella descrizione della gerarchia delle sostanze che fa da sfondo alla trattazione teodoriciana e che mira a garantire una corretta relazione e continuità tra le diverse tipologie o modi d’essere degli enti misurabili. Alcune risposte agli interrogativi sulla tipologia della durata attribuibile a questo genere di sostanze non sono altro che la naturale conseguenza dell’atipica descrizione di quest’ultime come «separate» e, allo stesso tempo, «individuali», scelta che sottende un’innovativa concezione del principio di individuazione su cui sarà bene spendere qualche parola. In linea con quanto sostenuto anche da Tommaso d’Aquino, Teodorico considera «individualità» sinonimo di «composizione»96, ciononostante rifiuta la tesi per cui sia unicamente la materia a costituire il principio di individuazione di una sostanza. In altre parole, secondo il filosofo sassone, è restrittivo fondare l’individualità di un ente sulla sua materialità; al contrario essa è piuttosto il risultato di una ragione formale che costituisce intrinsecamente ciascuna realtà97. Per questa ragione affermare che gli angeli o, in generale, le sostanze spirituali sono al tempo stesso «separate» (e dunque prive di materia) e «individuali», non è contradditorio. Rifiutando dunque l’opinione di Alberto Magno e di Tommaso d’Aquino, per i quali ciascun angelo è sì un individuo, ma l’unico all’interno della propria specie, Teodorico sostiene che anche le creature spirituali sono «individuabili», dal momento che non si presentano come essenze pure, alla stessa stregua della sostanza divina o delle intelligenze, ma come composti di essenza e parti sovrapposte98.

96 Dietrich von Freiberg, De intellectu et intelligibili, 2, 27, ed. B. Mojsisch, p. 165, l. 60 - p. 166, l. 101; De luce et eius origine, 10, ed. W.A. Wallace, in Dietrich von Freiberg, Opera omnia, IV: Schriften zur Naturwissenschaft, Briefe, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1985 (Corpus Philosophorum Teutonicorum Medii Aevi, II/4), p. 17, ll. 79-100. 97 Dietrich von Freiberg, De intellectu et intelligibili, 2, 27, ed. B. Mojsisch, in Dietrich von Freiberg, Opera omnia, I cit., pp. 163-164. 98 Cf. T. Suarez-Nani, Les anges et la philosophie. Subjectivité et fonction cosmologique des substances séparées à la fin du XIIIe siècle, Vrin, Paris 2002, pp. 55-73.

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Alla luce di queste premesse, bisogna escludere che tali sostanze possano essere soggette a una variazione quantitativa o qualitativa, secondo l’accezione che Aristotele attribuisce alle due categorie. Nel primo caso, infatti, è piuttosto evidente che la sostanza spirituale non si comporta come un corpo geometrico e tantomeno può essere sottomessa al movimento locale99, elementi che appartengono rispettivamente alle sfere celesti e agli enti corporei terreni e caratterizzano una variazione di tipo quantitativo. Nel caso di una variazione qualitativa si dovrebbe, invece, ammettere che essa sia determinata da disposizioni come la «potenza» e l’«impotenza»100, ma «questa non è una tesi sostenibile», in quanto andrebbe a compromettere la natura sempre attuale delle creature angeliche e delle anime razionali101. Occorre dunque prendere le distanze dal paradigma e dal lessico aristotelico per osservare la composizione delle sostanze spirituali secondo la gerarchia degli enti descritta da Proclo negli Elementi di teologia, cui Teodorico fa riferimento nel De intellectu et intelligibili. La difficoltà a determinare con esattezza il rapporto che intercorre tra gli enti spirituali e le tre dimensioni temporali (passato, presente, futuro) consiste proprio nella loro duplice natura: sono infatti sostanze separate – sebbene non come gli enti che appartengono ai primi due livelli –, ma sono individuali, cioè sono un «questo ente» cui appartiene una «questa esistenza» e, in ultima analisi, un «questo istante». Tale condizione, dunque, le porrà necessariamente in relazione con un passato e un futuro, senza elevarle a una presenzialità sovratemporale, come quella che contraddistingue la sostanza divina e le intelligenze. «In base a ciò una tale durata non è tutta insieme, ma ha un’estensione dal passato, attraverso il presente, verso il futuro, non soltanto secondo un rapporto di coesistenza con le cose passate, presenti e future in base al decorso di questo universo»102. Si tratta, quindi, di un’estensione che interessa la sostanza spirituale, allontanandola dagli enti misurabili che le sono inferiori: la relazione tra il «questo istante» delle sostanze spirituali e le altre due dimensioni cronologiche infatti «non si pone nel numero»103 come avviene per gli enti corruttibili. Nel quinto e nel sesto capitolo del De mensuris, Teodorico prova a sintetizzare la precedente discussione sulla natura e la durata delle sostanze

Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 4, (8), pp. 99-101. Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 4, (9), p. 101. 101 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 4, (10), p. 101. 102 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 4, (17), p. 103. 103 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 4, (22), p. 107. 99

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spirituali in tre grandi questioni104: (1) come in esse si possa coniugare la permanenza e la relazione con passato e futuro105; (2) in che modo vada considerata la durata di tali sostanze106; (3) se esse siano divisibili o indivisibili107. Le risposte non sono altro che una ripetizione schematica di quanto già emergeva nelle argomentazioni dei capitoli precedenti. Alla prima domanda Teodorico replica che le sostanze spirituali si relazionano con il passato e il futuro in modo essenziale, senza dunque che un parte di esse sia corrotta o non esista ancora. A proposito della loro durata, il maestro domenicano torna a sostenere che non è da considerare come estensione di una quantità, bensì come modo d’essere della sostanza stessa. Infine, in continuità con quanto esposto nel terzo capitolo a proposito della distinzione tra tempo continuo e discreto, egli ribadisce l’indivisibilità di queste sostanze: il loro fluire, infatti, non è un vero e proprio mutamento, pertanto con la stessa relazione esse entrano in rapporto con passato e futuro108.

3.6. La nozione di «istante» e l’attività di misurazione Gli ultimi due capitoli dell’opera possono risultare decisamente pretenziosi, dal momento che Teodorico intende chiarire in poche righe (summarie)109 due problemi molto complessi, cui più volte ha fatto riferimento nel corso della sua trattazione: la nozione di nunc e la funzione da attribuire all’attività di misurazione. Nel primo caso egli allude ancora una volta alle sostanze spirituali dal momento che, in quanto individuali, si costituiscono in un «questo istante», occorre definire questa nozione anche in relazione alle altre sostanze misurabili. Il secondo problema, che prende le mosse dalle conclusioni raggiunte a proposito della definizione di nunc, è ancora più radicale e recupera, almeno in parte, la distinzione tra durata in sé e durata secundum rationem. Quali siano le ragioni che spingono Teodorico a isolare e trattare così sbrigativamente questi due problemi non è dato a saperlo. Per quanto riguarda la definizione di «istante» è verosimile che il filosofo sassone si stia limitando a chiarire quanto lasciato in sospeso nella descrizione dell’individualità della sostanza spirituale. A proposito dell’attività di misurazione, invece, oltre a un richiamo alla distinzione tra le durate, si può notare una continuità con le

Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 5, (1), p. 111. Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 5, (2), p. 111. 106 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 5, (3), p. 111. 107 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 5, (4), p. 113. 108 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 5, (4), p. 113. 109 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 7, (3), p. 117. 104 105

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istanze teoriche contenute nella parte iniziale del trattato quando si alludeva ai modi d’essere degli enti misurabili. Ma procediamo con ordine. Il settimo capitolo prende le mosse dalla definizione di nunc come qualcosa di indivisibile e determinato dall’attività astrattiva della ragione110. Perciò, alla luce di quanto scritto nel IV libro delle Fisica, si può considerare l’«istante» di una sostanza, rispetto alla misurazione di tale sostanza e come misura stessa111. L’analisi delle durate, in modo particolare in riferimento alle tre dimensioni del tempo, fa sempre riferimento all’«istante» come carattere attribuito dal misurante e non come proprietà essenziale dell’ente misurabile112. Date queste premesse, dunque, Teodorico si sente in dovere di dare qualche spiegazione ulteriore sul «contributo» che il soggetto apporta nella sua attività di misurazione. Si tratta di capire, infatti, se l’attività di misurazione stabilisca qualcosa di reale nell’ente misurabile113. Teodorico esclude che il misurare possa aggiungere qualcosa alla sostanza che sta considerando, dal momento che non solo le creature superiori, ma anche quelle inferiori non possono acquisire una determinazione estrinseca di questo genere. Pertanto bisogna concludere che «la misura della durata degli enti non sarà qualcosa di reale e naturale che esiste al di fuori dell’anima», bensì qualcosa di determinato dalla ragione114. Così facendo, Teodorico riporta l’attenzione sul nesso tra anima e tempo. Tuttavia ciò che certamente suscita maggior interesse, in quest’ultimo paragrafo del trattato, è lo strano connubio di fonti cui il filosofo sassone si affida per corroborare la sua tesi: «il Filosofo, nel IV libro della Fisica, il Commentatore nel medesimo libro e Agostino nell’XI libro delle Confessioni»115. Per comprendere adeguatamente la scelta di considerare complementari la filosofia peripatetica a quella agostiniana è opportuno ora introdurre il secondo trattato oggetto del nostro studio, il De natura et proprietate continuorum. In esso trovano sviluppo alcuni dei problemi emersi dall’analisi del De mensuris e si mostra con ulteriore chiarezza il valore del connubio tra paradigma peripatetico e pensiero agostiniano.

Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 7, (2), p. 117. Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 7, (3), p. 117. 112 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 7, (6), p. 117. 113 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 8, (1), pp. 117-119. 114 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 8, (5), p. 119. 115 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulle misure, c. 8, (5), p. 119. 110 111

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4. Il De natura et proprietate continuorum 4.1. La natura e i generi dei continui Il proposito di Teodorico è manifestamente quello di considerare la sostanza e la natura del tempo116. Tuttavia il De natura et proprietate continuorum, come indicato dal titolo dell’opera – secondo la denominazione proposta da Rehn – prende le mosse da un’analisi dei continui in generale117, che interessa i primi due capitoli dell’opera e segue piuttosto fedelmente non solo la Fisica di Aristotele, ma anche gran parte del dibattito scolastico su questo tema118. A questo proposito è interessante che il filosofo sassone, prima di intraprendere un’analisi decisamente complessa sulla relazione tra anima e tempo, in quanto numerante e numerato, intenda soffermarsi, anzitutto, su un’indagine apud naturam dei continui, le cui caratteristiche vengono pertanto registrate prescindendo dalla «dialettica» conoscente-conosciuto che interesserà, invece, la restante parte del trattato. In questa prospettiva, dunque, Teodorico individua nell’«essere provvisto di parti» e di «una certa estensione e distanza tra gli estremi»119 le due proprietà fondamentali di una sostanza che si intenda definire «continua». Quindi egli si interroga sulla relazione che si instaura tra essa e i suoi termini, arrivando a sostenere che sono questi ultimi a ricavare la ragione del proprio genere e della propria essenza dalla sostanza e non viceversa120. La tesi viene corroborata con cinque differenti argomentazioni: (a) i termini non possono attribuire alcuna determinazione positiva a un continuo, ma ne possono costituire soltanto una privazione; (b) nessun termine, che rappresenta un punto di convergenza indivisibile di due continui, può conferirvi due ragioni d’essere distinte. In altre parole, se un punto 0 si colloca come estremo finale di un segmento A e come estremo iniziale di un segmento B, non è possibile che la sostanza dei due segmenti differenti derivi, in qualche modo, dal medesimo termine (per uno finale e per l’altro iniziale). In tal caso, infatti, si dovrebbe ammettere l’indistinguibilità delle due sostanze A e B, oppure la possibilità, altrettanto assurda, che da un unico termine discendano due sostanze continue differenti. (c) Secondo quanto sostenuto da Euclide, il punto – esempio emblematico di «termine» – non è un genere, una differenza specifica, una Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, prooemio, (1), p. 123. Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, prooemio, (2), p. 123. 118 Si veda tra gli altri W. Breidert, Das aristotelische Kontinuum in der Scholastik, Aschendorff, Münster 1970 (Beiträge zur Geschichte der Philosophie und Theologie des Mittelalters. Neue Folge, 1). 119 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 1, (1), p. 125. 120 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 1, (5), pp. 125-127. 116 117

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specie o un individuo; si tratta piuttosto di una cosa la cui parte non esiste121, pertanto è inverosimile che sia esso a determinare la natura di una sostanza continua. (d) Nel caso in cui un termine, iniziale o finale, fosse in atto, sarebbe necessario che lo fossero anche tutte le parti del continuo cui si riferisce, ma così non accade. Pertanto «l’essenza e la natura dei termini [...] dipendono dalle cose di cui sono termini e non viceversa»122. (e) In base a quanto sostiene Aristotele, il continuo non è formato da grandezze indivisibili, come sono invece i termini123. A partire da queste considerazioni iniziali, Teodorico indica due differenti generi o modi di «continuo»: le sostanze continue permanenti e quelle successive. Nel primo caso si tratta di sostanze che appartengono al genere delle dimensioni, come estensione, la cui sostanza si trova tutta simultaneamente in atto124. I continui successivi, invece, come il tempo e il movimento, si costituiscono secondo un processo che prevede la fine e il decadimento dei loro termini iniziali e la tensione verso quelli finali125. Dopo aver introdotto la distinzione tra continui permanenti e successivi, l’attenzione dell’autore si rivolge esclusivamente al secondo genere di sostanze, in modo particolare al moto, esempio piuttosto significativo, visto che il suo mutamento «è misurato da un istante di tempo»126. A questo proposito egli indica due differenti modalità di considerare il moto locale: da una parte come un atto esistente in potenza, in cui l’«essere mutato» non è altro che un termine in continuo movimento, che non raggiunge mai un termine conclusivo127; dall’altro come movimento da A a B secondo una quantità definita nello spazio128. In entrambi i casi non è però possibile parlare di una vera e propria alterazione del continuo nella sua totalità, ma sempre secondo le sue parti. Tale osservazione induce Teodorico a puntualizzare, sempre parafrasando Aristotele, che il processo del divenire non è una forma di movimento, perché interessa, al contrario, l’intera sostanza che muta. Al fine di confermare ulteriormente questa distinzione, che permette a Teodorico di isolare il movimenCf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 1, (6), p. 127. Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 1, (7), p. 127. 123 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 1, (8), p. 127. 124 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 2, (3), p. 129. 125 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 2, (4), p. 129. 126 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 2, (5), pp. 129-131. 127 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 2, (5-6), pp. 129-131. 128 Cf. Sulla natura e proprietà dei continui, c. 2.7, p. 131. A questo proposito si veda N. Largier, Zeit, Zeitlichkeit, Ewigkeit. Ein Aufriss des Zeitproblems bei Dietrich von Freiberg und Meister Eckhart, Lang, Bern 1989, p. 13. 121 122

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to locale come caso distinto di moto perfettamente continuo – apprestandolo così a diventare il materiale su cui saranno applicate le categorie del tempo –, sono confutati alcuni casi particolari in cui si potrebbe arrivare a sostenere, in modo errato, un mutamento o un’alterazione continua di una sostanza secondo tutte le sue parti129. Secondo il filosofo sassone si tratta di ipotesi che scaturiscono da una inesatta valutazione delle esperienze percettive che reputano continuo ciò che di fatto non lo è. Il suono di una corda di uno strumento musicale, per esempio, dovrebbe costituire uno di quei casi in cui la sostanza si altera in modo continuo, passando da suoni gravi a suoni acuti, secondo tutta se stessa, tuttavia – puntualizza Teodorico – a un’analisi attenta del fenomeno ci si potrà accorgere che si tratta di un mutamento secondo le singole e infinite parti della sostanza130. In base a quanto afferma Averroè nel suo Commento alla Fisica, il movimento locale è una quantità continua perfetta, e il tempo è anch’esso una quantità continua perché coincide, nel suo aspetto materiale, proprio con la quantità successiva del movimento131. Si tratta dunque di comprendere come questa peculiarità possa essere vantaggiosa nella prospettiva di un’analisi del tempo e in che modo ciò che è stato detto a proposito dei continui in generale possa influenzare il caso particolare rappresentato dalla temporalità132.

4.2. Analisi della definizione aristotelica di tempo La prima caratteristica attribuita al tempo è la sua numerabilità e ciò avviene in stretta relazione con la distanza fisica cui si riferisce. Tuttavia il «molto» e il «poco», che contraddistinguono la determinazione temporale, non potrebbero sussistere se non esistesse un’anima numerante, aspetto, quest’ultimo, che costituisce il filo conduttore di tutta la seconda parte del De natura et proprietate continuorum, dedicata specificamente al «continuo-tempo»133. Il punto di riferimento di Teodorico è, in questo passaggio particolare, il quattordicesimo capitolo del IV libro della Fisica, dove Aristotele descrive il legame tra anima e tempo134, tema che sarà ripreso approfonditamente da Averroè, trovando ampia risonanza – come si è avuto modo di sottolineare in precedenza – nel corso di tutto il XIII secolo. Secondo Teodorico già nella Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 2, (9), pp. 131-133. Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 2, (11), p. 133. 131 Averroes, Aristotelis opera cum Averrois commentariis, Physicorum liber VIII, comm. 56, Venetiis apud Junctas, 1562-1574, vol. 4 [réimpr. Frankfurt, Minerva, 1962], 397vL. 132 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 2, (13), p. 135. 133 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 3, (1-2), p. 135. 134 Aristoteles, Physica, IV, 14, 223a21-29: cf. nota 16. 129 130

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definizione aristotelica di tempo, tempus est numerus motus secundum prius et posterius, è contenuta la decisiva relazione tra numerante e numerato. Il tempo è il numero del movimento, poiché grazie al tempo o alle sue parti è percepito il moto. Di conseguenza «numero» è il genere, mentre «moto» e «prima e poi» stanno ad indicare la categoria delle differenze135. Proprio queste ultime determinazioni vanno osservate con attenzione: il «prima» e il «poi», infatti, non potrebbero esistere «se non in virtù della percezione e della determinazione dell’anima»136. A questo proposito l’auctoritas aristotelica sembra – secondo Teodorico – trovare un’adeguata conferma nell’argomentazione contenuta nell’XI libro delle Confessioni di Agostino. Sull’originalità di questo accostamento di fonti si è già avuto modo di fare qualche osservazione in precedenza, tuttavia va aggiunto che, almeno in questo caso, l’intenzione del filosofo sassone non è tanto quella di approfondire il contenuto delle tesi di Agostino, quanto portarle a sostegno dell’analisi della relazione animatempo aristotelica che intende proporre nelle righe immediatamente successive. Infatti, ribadendo l’assoluta intercambiabilità tra le tesi agostiniane e quelle aristoteliche, Teodorico arriva a concludere che non vi sarebbe tempo in assenza dell’anima, a meno che non vi sia qualcosa al di fuori di essa che consenta di predicare il «prima» e il «poi» del movimento. Sebbene le analogie con la proposizione 200 condannata nel 1277 siano piuttosto evidenti, è difficile credere che Teodorico stia propugnando una concezione di tempo completamente sbilanciata sull’attività costitutiva dell’anima. Più probabile, invece, che il filosofo sassone intenda riprendere la lettura averroista della relazione anima-tempo, come del resto aveva suggerito qualche anno prima Enrico di Gand. Non è un caso, infatti, che la successiva precisazione, offerta da Teodorico a proposito della traduzione del testo aristotelico, tenga effettivamente conto, in modo particolare dell’interpretazione che ne offre Averroè nel suo commentario. Una traduzione della Fisica, infatti, sostiene che queste cose (realtà extramentali) sono tempo «in quanto sono numerabili», un’altra, invece, riporta «in quanto sono numerate»137. A questo proposito il Commentatore segnala come la differenza tra le due versioni sia notevole, dal momento che in un caso si dovrebbe parlare di tempo in potenza, mentre nel secondo di tempo in atto, alternativa che modificherebbe senz’altro la funzione dell’anima numerante e dunque l’origine della temporalità stessa. Se infatti la vera traduzione fosse «in quanto sono numerate», Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 3, (3), pp. 135-137. Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 3, (4), p. 137. 137 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 3, (4), p. 137. 135 136

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sarebbe corretto sostenere che il tempo non esiste se non in virtù di un’azione dell’anima. Al contrario, se si accettasse la versione «in quanto sono numerabili», si dovrebbe arrivare a concludere che il tempo, in natura, ha uno statuto potenziale che viene posto in atto dalla determinazione dell’anima. Questa seconda ipotesi, sposata da Averroè, è largamente diffusa nel XIII secolo, perché permette da una parte di liberarsi dalle possibili accuse di un soggettivismo temporale, dall’altro di tener conto della stretta relazione che si instaura tra anima e tempo. Dire dunque che il tempo non esiste in natura se non ab anima, sta a significare che ciò che è numerabile, per esempio il moto, è predisposto a essere determinato secondo il tempo, ma è necessario l’intervento di un agente numerante (anima) che renda attuale la temporalità e, di fatto, la costituisca. Dopo aver sviluppato e approvato l’interpretazione averroista di questo passaggio della Fisica, Teodorico ne fa la lectio peripatetica per eccellenza, elencando sei dimostrazioni che corroborano la sua lettura della definizione aristotelica di tempo. (a) Non vi è nessun agente naturale che possa determinare nel movimento l’essenza del tempo, pertanto è ragionevole supporre che la funzione attualizzante vada attribuita all’anima138. (b) Se il tempo fosse al di fuori dell’anima (extra animam), si dovrebbe arrivare all’assurda conclusione che, nel caso esistessero più mondi e quindi più movimenti, anche il tempo non sarebbe più unico, bensì molteplice139. (c) Il tempo numera il movimento e come unità di misura per numerare il mobile, identico per tutto il moto, viene assunto l’istante che presenta la medesima caratteristica, quella cioè di rimanere identico per tutta la durata del tempo. Se l’istante non fosse posto ab anima non potrebbe rimanere identico a se stesso, ma subirebbe una variazione, come avviene per tutte le cose naturali140. (d) Il medesimo istante si trova in diversi oggetti mobili, sebbene le cose siano distinte nel luogo, e ciò non sarebbe possibile se si trattasse di una proprietà naturale141. (e) Se si trattasse di un carattere proprio delle sostanze cui afferisce, come un colore o una dimensione, l’istante dovrebbe, per assurdo, essere in movimento e subire tutte le passioni cui è soggetta la sostanza in cui si trova142. (f) Il tempo e l’istante misurano o numerano in modo accidentale lo stato di quiete, tuttavia questa considerazione non implica l’esistenza extra animam di entrambi, ma Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 3, (6), p. 139. Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 3, (7), pp. 139-141. 140 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 3, (8), p. 141. 141 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 3, (9), p. 141. 142 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 3, (10-11), p. 141. 138 139

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al contrario, dal momento che il paragone tra la quiete e il moto sorge dall’anima, costituisce un’ulteriore conferma dell’esistenza del tempo ab anima143. Alla luce di questa argomentazione, quindi, il tempo rappresenta una sostanza continua particolare che non può essere pensata esistente in natura senza tener conto della funzione costitutiva esercitata dall’anima che determina, nel continuo mutamento delle cose, un istante che diviene punto di partenza da cui analizzare l’«estensione» del tempo che lo precede e che dovrà raggiungere144. In questa prospettiva, non solo si inverte il rapporto di dipendenza tra la sostanza continua e i suoi termini, ma si va sempre più ad affermare una corrispondenza e una comunicabilità tra quanto posto dall’intelletto e ciò che già è presente nella natura.

4.3. Il tempo e l’apprehensio rationis Il De natura et proprietate continorum non può essere considerato estraneo ai grandi temi filosofici che caratterizzano la riflessione di Teodorico: una piena comprensione del trattato e delle osservazioni teodoriciane sul problema del tempo, infatti, non possono prescindere dall’individuazione di nessi con quanto il filosofo sassone sostiene in altri suoi scritti, in modo particolare a proposito della funzione costitutiva dell’intelletto nei confronti della realtà extramentale. Nella seconda parte del quarto capitolo il filosofo sassone precisa che la relazione tra intelletto e natura, nella costituzione della categoria «tempo», non si limita a seguire quel rapporto di proporzionalità tra pensiero ed essere che caratterizza l’intero sistema delle categorie aristotelico, bensì documenta una vera e propria «produzione» di enti di prima intenzione (entia primae intentionis) da parte dell’intelletto speculativo. In altre parole, l’attività di pensiero non si limiterebbe, almeno in questo caso, a registrare un dato naturale, ma contribuirebbe a determinarne l’essenza stessa. In questa descrizione sono piuttosto evidenti i richiami a L’origine delle realtà predicamentali non solo per la scelta di distinguere la costituzione del tempo, in quanto ente di prima intenzione, da quella degli enti di ragione (o di seconda intenzione), ma anche per l’uso generico dell’espressione intellectus speculativus che elude il controverso problema del legame tra intelletto agente e possibile e si richiama piuttosto a una riflessione di stampo avicenniano, verosimilmente ereditata dagli insegnamenti di Alberto Magno. Nelle righe seguenti, inoltre, Teodorico dice di riferirsi alla Fisica di Aristotele quando definisce il tempo come apprehensio rationis, tuttavia tale espressione 143 144

Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 3, (12-13), p. 141. Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 4, (1-10), pp. 143-147.

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non compare mai nell’Aristoteles Latinus. Essa è piuttosto riconducibile alla lettura araba del problema cronologico, elaborata non solo da Averroè, ma anche da Avicenna che nella sua Metafisica e nella sua Fisica tocca più volta il tema della relazione tra anima-tempo. Dunque, sebbene il fondamento di questa parte del trattato teodoriciano sia senz’altro la dottrina aristotelica del tempo contenuta in modo particolare nei capitoli 10 e 14 del IV libro della Fisica, è piuttosto evidente come, sulle scelte teoriche operate da Teodorico, una funzione fondamentale sia esercitata dalla mediazione araba, in modo particolare per quel che riguarda i caratteri attribuiti all’azione dell’intelletto. In questo scenario dai caratteri prevalentemente peripatetici, si inseriscono ancora una volta riferimenti all’XI libro delle Confessioni di Agostino145 che, in questo caso, sono difficilmente sovrapponibili alla tradizione peripatetica. Per questa ragione, forse, i richiami sono, in questo caso, indiretti e piuttosto generici. Il filosofo sassone allude a espressioni quali apprehensio o compositio che in realtà non sono contenute nell’argomentazione agostiniana e sembrano essere piuttosto ripetizioni della lettura araba di Aristotele.

4.4. Per concludere: il tempo e le cose Nel quinto capitolo, dopo averne determinato l’origine, Teodorico torna a considerare il tempo come continuo. Da questa operazione scaturisce una sorta di conclusione dell’opera cui farà seguito solo la rassegna di argomenti contrari con le rispettive risposte. L’argomentazione del filosofo sassone può essere qui riassunta in tre passaggi essenziali: l’indagine sulle cause del tempo, il problema della sua definizione, l’effettiva possibilità di attribuirgli una sostanzialità146. Per quanto riguarda il primo problema Teodorico individua due tipologie di cause: una remota e non immediata, rappresentata dal movimento del cielo, e una causa agente costituita invece dalla «nostra immaginazione»147, cui fa seguito la ragione che «stabilisce una certa estensione della durata che chiamiamo “tempo”»148. In questo modo, Teodorico mostra con chiarezza che non è sua intenzione insistere sulla soggettività della natura del tempo che, in effetti, è qui posto in stretta relazione col movimento astrale. D’altro canto, però, è indiscutibile il fatto che la completa attuazione del fenomeno possa avvenire solo attraverso la relazione con il soggetto conoscente. In Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 4, (17), p. 149. Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 5, (1), p. 153. 147 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 5.1, (1), p. 153. 148 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 5.1, (2), p. 155. 145 146

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questa prospettiva, dunque, Teodorico ribadisce nuovamente che «l’intelletto speculativo determina la quiddità del tempo»149. Per affrontare la seconda questione, ovvero per determinare in che modo debba essere formulata la definizione del tempo, il domenicano sassone – come avvenuto nel terzo capitolo150 – sottomette l’espressione contenuta nel IV libro della Fisica (numerus motus secundum prius et posterius) a una lettura logico-linguistica. In base ai criteri suggeriti dallo stesso Aristotele negli Analitici secondi, il «numero è considerato al posto del genere, il moto al posto della differenza e, invece, il prima e il poi al posto delle differenze ultime»151. Da queste considerazioni, Teodorico ricava gli elementi per affrontare anche l’ultima questione che aveva sollevato all’inizio del capitolo, ossia il problema della natura sostanziale del tempo. In effetti, il fatto che esso sia concepito come un numero lo rende principio degli enti misurabili, così come «parlando della totalità degli enti, diciamo che Dio è la misura di tutti gli enti»152. Così Teodorico riassume le tre problematiche esposte poc’anzi: «Alla luce delle cose che sono state dette, è allora chiaro che il tempo, per quanto riguarda la sua origine è riconducibile – secondo la sua sostanza – al moto celeste come a una causa primaria; in secondo luogo e in modo più immediato è invece riconducibile all’atto della nostra immaginazione, per mezzo della quale percepiamo di essere in un essere divisibile; in terzo luogo è invece riconducibile alla nostra stessa attività di ragione, per mezzo della quale, in base ai diversi termini di ciò che è stato chiamato «essere divisibile», determiniamo due istanti e tra essi una qualche, per così dire, estensione della durata. Secondo il modo d’essere della sua quiddità poi [il tempo], in base alla definizione che dice che cosa è, proviene dall’intelletto speculativo. Invece, secondo la proprietà della sua sostanza, per cui si parla di «numero», [il tempo] è in qualsiasi moto come in un soggetto. In realtà, in quanto ha modo d’essere di misura, [il tempo] è propriamente nel primo moto, che è [il moto] del primo cielo, considerando il primo cielo secondo l’ordine del posto o del luogo a partire da ciò che è supremo fino a ciò che è infimo»153.

Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 5.2, (1), p. 155. Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 3, (3), pp. 135-137. 151 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 5.2, (1), p. 155. 152 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 5.3, (3), pp. 157-159. 153 Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 5.3, (6), p. 159. 149 150

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4.5. Argomenti contrari e risposte Come avviene nel De mensuris, Teodorico dedica l’ultima parte del De natura et proprietate continuorum alle obiezioni che potrebbero essere rivolte alle sue tesi. Si tratta di tre dubitationes che vertono rispettivamente sulla nozione di movimento in atto e in potenza, sul modo di darsi di un mobile nel tempo e, ancora una volta, sull’attività esercitata dall’anima nella costituzione del tempo.

4.5.1. Il movimento e il binomio potenza-atto A proposito della prima questione si obietta a Teodorico il fatto che un mobile deve esistere in atto in qualche parte dello spazio in cui si muove e pertanto risulta contraddittoria l’affermazione secondo cui «nulla che muta esiste in atto». Il filosofo sassone risponde invitando i suoi interlocutori a considerare attentamente la definizione di movimento contenuta nel III libro delle Fisica di Aristotele: «Dunque il moto non è né una potenza di qualche cosa di esistente in potenza, né un atto di qualche cosa di esistente in atto, ma è l’atto di un qualche cosa di esistente in potenza [...]»154.

Secondo Teodorico occorre distinguere l’uso del binomio potenza-atto nella mutazione intesa in senso generale da ciò che, più specificatamente, si riferisce al movimento circolare e locale. Se infatti consideriamo una variazione come quella dell’embrione nella dinamica generativa, dobbiamo concludere che vi è da parte dell’organismo vivente un continuo passaggio da una forma prossima a una distante che gli permette di essere contemporaneamente in atto l’una e in potenza l’altra. Tuttavia si tratta di una variazione che comporta l’avvicendarsi di due forme o disposizioni «realmente differenti». Nel caso dei movimenti circolari e locali, soggetti per definizione alla misurazione operata dal tempo, il discorso invece è differente: «Sebbene infatti, come è chiaro soprattutto nel moto circolare, un mobile sia modificato da un luogo a un altro secondo la forma, e in questo modo è un mobile che, 154 Aristoteles, Physica, III, 1, 201a10-11; translatio vetus, p. 98, l. 13, p. 99, l. 1: «Diviso autem secundum unumquodque genus hoc quidem entelecheia esse alio autem potentia, potentie existentis entelecheia secundum quod huiusmodi est». Translatio nova, p. 144: «Divisio autem secundum unumquodque genus hoc quidem esse actu, aliud autem potentia; potentia existentis entelechia secundum quod huiusmodi est, motus est». Trad. Radice, p. 249.

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quanto alla sua alterazione, esiste in un solo luogo in potenza, rispetto ad un altro secondo la forma; tuttavia tutti i luoghi di questo genere sono uno solo realmente e nel soggetto in virtù di un’identità essenziale»155.

Così facendo, Teodorico può escludere queste tipologie di mutamento dall’affermazione aristotelica per cui nulla che muta esiste in atto, perché ciò comporterebbe o l’ammissione della non esistenza del movimento circolare o locale o una lettura del problema nei termini usati per l’esempio dell’embrione: passando da una forma a un’altra, ci troveremmo dinanzi a un’effettiva trasformazione sostanziale.

4.5.2. Tempo in atto e in potenza La seconda dubitatio è, di fatto, una diretta conseguenza del fraintendimento nell’uso del binomio potenza-atto cui si è fatto riferimento a proposito della prima obiezione. Teodorico, infatti, si trova a rispondere a coloro che gli domandano per quale ragione «il tempo non sia un ente in atto secondo una qualche sua parte»156, come invece avviene per il mobile in movimento. Secondo il filosofo domenicano il tempo è «agostinianamente» un tendere in nihilum, pertanto non può esistere in atto né secondo tutto se stesso, né secondo una parte. In tal senso, dunque, il tempo non è riducibile al movimento, ma ne costituisce il numero, ovvero una modalità di misurazione sostanzialmente estrinseca a esso.

4.5.3. Esiste un tempo senza l’anima? L’ultimo quesito ha nuovamente per oggetto la delicata relazione animatempo. Il filosofo sassone intende chiarire una volta per tutte la natura del legame «ontologico» che sembra talvolta dare l’impressione che l’anima svolga la funzione di «agente creatore» del tempo. A tale scopo egli assume nuovamente come punto di partenza la definizione aristotelica «il tempo è il numero del movimento secondo il prima e il poi», insistendo sul significato e sull’origine dell’entità numerica. Il numero trae la sua origine solo da un numerante, che è evidentemente l’anima, perciò si dovrebbe ragionevolmente concludere che, in assenza di un’anima, non vi sarebbe tempo. Senza andare in una direzione strettamente soggettivistica, come quella descritta dalla proposizione 200 della condanna del 1277, Teodorico sembra propendere 155 156

Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 6.1, (8), p. 169. Cf. Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui, c. 6.2, (1), p. 171.

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per un’interpretazione averroista del problema, incentrata sul binomio attopotenza. L’anima, dunque, si limita ad attualizzare un tempo che già esiste in potenza nel divenire delle cose. Il maestro domenicano, però, si spinge oltre, puntualizzando che attraverso questo meccanismo di attualizzazione, l’anima può porre in atto anche quanto avvenuto nel passato e che, non esistendo, non aveva potuto «liberare» dalla potenzialità. In altre parole, il meccanismo di numerazione dell’anima si estende nelle tre dimensioni temporali: è infatti la sua presenzialità a rendere possibile anche l’attualizzazione di ciò che è avvenuto in passato e di ciò che accadrà in futuro.

5. L’indagine sulla natura del tempo. Un bilancio provvisorio Sulla «modernità» del pensiero di Teodorico di Freiberg si sono spese molte parole e indubbiamente l’originalità di alcune sue tesi contribuisce ad alimentare queste chiavi interpretative157. Tuttavia lo scopo di quest’ultima parte del nostro saggio introduttivo non è quello di muoversi ancora una volta in questa direzione, bensì quello di provare a riordinare alcune tematiche centrali emerse dallo studio di De mensuris e De natura et proprietate continuorum, valutandone da un lato la provenienza, dall’altro l’impatto teorico in questo scorcio di fine XIII secolo. Al termine di questa operazione sarà possibile avere tra le mani un bilancio, quantomeno provvisorio, sulla specificità delle posizioni assunte da Teodorico e solo a partire da qui il lettore potrà valutare autonomamente analogie e differenze con quanto sostenuto nei secoli successivi. Un primo elemento caratterizzante l’indagine teodoriciana sul tempo è rappresentato dal sistema metafisico cui fa riferimento: essa interessa solo una minima parte dell’universum entium, ovvero quella cui appartengono le sostanze generabili e corruttibili. In tal senso, dunque, tale ricerca non può essere messa a fuoco correttamente se non è collocata all’interno dell’ampia classificazione delle durate contenuta nel De mensuris. Come si è avuto modo di argomentare in precedenza, Teodorico si mostra particolarmente sensibile non tanto alla catalogazione in sé, bensì ai criteri attraverso cui essa può essere pensata e per questa ragione l’insistenza sulla concezione di durata come proprietà intrinseca alla sostanza è cruciale. In questo modo, l’autore documenta una volta di più la sua adesione a un sistema metafisico di stampo 157 Per una ricostruzione del dibattito sulla «modernità» di Dietrich si veda Colli, Tracce agostiniane nell’opera di Teodorico di Freiberg cit., pp. 13-20.

Introduzione

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neoplatonico, in cui i diversi enti che costituiscono l’universo si organizzano secondo una scala gerarchica di tipo qualitativo, in cui le inevitabili differenze tra i livelli sono controbilanciate da una continuità ontologica di fondo. Le ragioni di questa adesione al paradigma neoplatonico nella forma espressa dagli Elementi di teologia di Proclo sono indubbiamente legate alle possibili risorse che tale modello può offrire in ambito noetico e psicologico. Occorre, infatti, non perdere di vista il fatto che in molti suoi scritti, a partire da L’origine delle realtà predicamentali, attraverso il De intellectu et intelligibili (testo in cui si consacra il ruolo fondamentale della filosofia di Proclo) fino al De visione beatifica, Teodorico di Freiberg insista nel documentare come la mente umana sia da pensare come possibile punto di convergenza di temporalità ed eternità, mostrando come le analogie tra questi due distinti livelli ontologici siano superiori alle differenze. Un secondo aspetto rilevante è legato al binomio anima-tempo. Nel corso dell’analisi dei due testi si è già avuto modo di porre ripetutamente l’accento su questa relazione, ciononostante è opportuno fissare in via definitiva alcuni punti che caratterizzano l’indagine di Teodorico. Anzitutto va ribadito come la dipendenza del tempo dall’anima sia un tema presente in tutte le fonti che animano il dibattito del XIII secolo: tanto nella Fisica, quanto nelle Confessioni il problema è centrale. È altrettanto vero, però, che non tutte le modalità di analizzare il problema possono essere considerate interscambiabili. Dal De natura et proprietate continuorum emerge con sufficiente chiarezza che la scelta di Teodorico si richiama alla lettura che ne offre Averroè e che Enrico di Gand utilizza nella quaestio 11 del suo Quodlibet III. In tal senso, dunque, consapevoli di altre affinità tra il modo di procedere dei due maestri parigini, si può ragionevolmente pensare che il domenicano tedesco voglia collocarsi nel medesimo solco interpretativo. Il tratto veramente unico della riflessione di Teodorico resta, però, l’abbondanza di riferimenti ad Agostino che di fatto rendono difficile affermare senza riserve che la dottrina teodoriciana sul tempo sia solo una riproposizione della tesi averroista partim in anima – partim in re extra. L’uso degli scritti del filosofo di Ippona induce a credere, come ampiamente documentato altrove158, che il progetto di Teodorico sia più originale, pur essendo estremamente difficile, in questo caso, tracciare una linea di demarcazione netta tra i fatti e le suggestioni teoriche. Un ultimo aspetto significativo – diretta conseguenza dei precedenti – è legato alla rilevanza che Teodorico attribuisce alla descrizione della particolare 158

Colli, Tracce agostiniane nell’opera di Teodorico di Freiberg cit.

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condizione dell’anima razionale. Sebbene, infatti, la preoccupazione del filosofo sassone sia rivolta alle sostanze separate in generale (di cui fanno parte anche le creature angeliche), è piuttosto evidente il significato fondamentale che riveste il problema della collocazione dell’anima in una durata che possa da un lato confermarne l’unione con il corpo, realtà generabile e corruttibile, dall’altro valorizzarne quelle operazioni che non la rendono completamente riducibile a una realtà diveniente e caduca. In questo modo, forse in modo del tutto inconsapevole, Teodorico si va a inserire in quella nutrita schiera di pensatori che nel corso dei secoli, prima e dopo di lui, hanno affrontato il problema anima-corpo, introducendo nell’indagine psicologica quell’ineludibile costante cui il composto umano non può sottrarsi, il tempo.

Nota biografica

Teodorico di Freiberg (Theodoricus Teutonicus) è un teologo domenicano vissuto tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. Nato a Freiberg in Sassonia intorno al 1240, tra il 1258 e il 1260 entra a far parte dell’Ordo Praedicatorum. Con tutta probabilità inizia i suoi studi proprio a Freiberg sotto la supervisione di Umberto di Romans, maestro generale dei Domenicani dal 1254 al 1263. Nel 1270 diviene Lettore presso il convento domenicano di Freiberg e nel 1271 si reca a Parigi dove rimane fino al 1275 per completare i suoi studi teologici. Nel 1280 diviene Lettore presso il convento domenicano di Trier, quindi torna nuovamente a Parigi, a metà degli anni Ottanta, come Lettore delle Sentenze. Con tutta probabilità vi resta fino al 1293, anno in cui viene nominato Superiore Generale dell’Ordine domenicano per la Provincia tedesca. Nel 1297 è di nuovo a Parigi dove diviene il primo domenicano tedesco, dopo Alberto Magno, a ottenere i gradi di maestro di teologia. Le ultime notizie biografiche sul suo conto sono legate alla sua partecipazione al Capitolo generale di Tolosa (1304) e a quello di Piacenza (1310). L’edizione critica dei suoi scritti, pubblicata all’interno del «Corpus Philosophorum Teutonicorum Medii Aevi» (Felix Meiner Verlag, Hamburg 19771985) e curata, tra gli altri, da Kurt Flasch e Loris Sturlese, comprende venticinque trattati completi, otto quaestiones disputatate, cinque lettere e due frammenti. È difficile stabilire con esattezza l’ordine cronologico delle sue opere, ciononostante si può considerare molto probabile che i suoi primi trattati siano il De origine rerum praedicamentalium e il De habitibus, cui fanno seguito il De intellectu et intelligibili e i tre scritti (De visione beatifica, De accidentibus, De animatione caeli) racchiusi nel De tribus quaestionibus difficilibus. Particolarmente fortunati sono gli scritti sul tempo De mensuris e De natura et proprietate continuorum e gli studi di ottica, raccolti nel De luce et eius origine, nel De iride et de radialibus e nel De coloribus.

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Tra gli studi più recenti su Teodorico di Freiberg vanno segnalati: L. Sturlese, Il progetto filosofico di Dietrich von Freiberg, in Id., Storia della Filosofia

tedesca nel Medioevo. Il secolo XIII, L. S. Olschki, Firenze 1996, pp. 181-275; K. Flasch, Dietrich von Freiberg. Philosophie, Theologie, Naturforschung um 1300, Klostermann, Frankfurt 2007; J.  Biard / D. Calma / R. Imbach (éds.), Recherches sur Dietrich de Freiberg, Brepols, Turnhout 2009 («Studia Artistarum», 19); A. Colli, Tracce agostiniane nell’opera di Teodorico di Freiberg, Marietti 1820, Milano-Genova 2010; D. Calma, Le poids de la citation. Étude sur les sources arabes et grecques dans l’oeuvre de Dietrich de Freiberg, Academic Press Fribourg, Fribourg 2010 (Dokimion, 35).

Nota editoriale

Per la traduzione del De mensuris e del De natura et proprietate continuorum si è fatto riferimento all’edizione critica proposta da Rudoph Rehn nel Corpus Philosophorum Teutonicorum Medii Aevi: Dietrich von Freiberg, Tractatus de mensuris; Tractatus de natura et proprietate continuorum, in K. Flasch / J. Cavigioli / R. Imbach / B. Mojsisch / M. Pagnoni-Sturlese / R. Rehn / L. Sturlese (Hrsg.), Dietrich von Freiberg, Opera omnia III Schriften zur Naturphilosophie und Metaphysik, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1983, pp. 215-239; pp. 241273 (Corpus Philosophorum Teutonicorum Medii Aevi, II/3). Le note comprendono i riferimenti segnalati esplicitamente da Teodorico, quelli indicati dall’editore e alcuni suggerimenti integrativi emersi nel corso del lavoro di traduzione. Il lavoro costituisce uno sviluppo intermedio del progetto di ricerca «Nobilitas. Testi medievali e mappe ontologiche digitali. Il concetto di nobilitas come speculum per una web-analysis delle teorie dell’intelletto del XIII secolo» presentato sul Bando post-doc 2011 (L.P. 2 agosto 2005, N.14 art. 22 – Provincia Autonoma di Trento). Tale pubblicazione non sarebbe stata possibile senza il sostegno di Alessandra Beccarisi, Alessandro Palazzo e Irene Zavattero. Un ringraziamento speciale va quindi a Pasquale Porro che ha preso a cuore la mia impresa, seguendone pazientemente gli sviluppi, offrendomi preziose indicazioni su come migliorare la qualità del testo. Desidero infine ringraziare Giuditta Girgenti per il tempo che ha dedicato ad esaminare con me alcuni passaggi particolarmente ostici delle due opere, aiutandomi a perfezionare la traduzione italiana. La responsabilità del lavoro resta comunque unicamente mia.

Magistri Theodorici Ordinis Fratrum Praedicatorum Tractatus De mensuris

Maestro Teodorico dell’Ordine dei Frati Predicatori Trattato sulle misure

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Tabula partium Proemium 1. Ratio mensurae durationis in generali. 2. Ratio propria uniuscuiusque mensurae durationis in speciali secundum diversa genera rerum mensurabilium. 3. Diversi gradus mensurarum sumendo rationem ab ipsis mensuris, inquantum secundum aliquem modum connotant seu concernunt praeteritum, praesens et futurum. 4. Instantiae contra praedicta. 5. Inductarum instantiarum dissolutio secundum primum modum assignationis mensurarum praemissum. 6. Instantiarum dissolutio secundum modum secundum assignationis mensurarum. 7. Differentia dictarum mensurarum, secundum quod diversimode se habent ad invicem ipsum nunc et mensura, cuius dicitur esse ipsum nunc. 8. Ostenditur, quid realitas importent dictae mensurae circa res mensuratas.

Prooemium (1) Circa considerationem de mensuris durationis entium primo accipiendum est rationem mensurae durationis in generali. (2) Secundo sumendum rationem propriam uniuscuiusque mensurae durationis in speciali secundum diversa genera rerum mensurabilium. (3) Tertio agendum de diversis gradibus mensurarum sumendo rationem ab ipsis mensuris, inquantum secundum aliquem modum connotant seu concernunt praeteritum, praesens et futurum. (4) Quarto inducuntur instantiae contra praedicta. (5) Quinto ponitur inductarum instantiarum dissolutio secundum primum modum assignationis mensurarum praemissum. (6) Sexto dissolvuntur instantiae secundum modum secundum assignationis mensurarum.

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Sommario Proemio 1. Il modo d’essere della misura della durata in generale. 2. Il modo d’essere proprio di qualsiasi misura della durata in particolare, in base ai diversi generi di cose misurabili. 3. I diversi gradi delle misure secondo il modo d’essere che si può ricavare dalle misure stesse in quanto, in qualche modo, connotano o si riferiscono a passato, presente e futuro. 4. Obiezioni a quanto detto in precedenza. 5. Soluzione alle obiezioni formulate sulla base del primo modo di assegnazione delle misure. 6. Soluzione alle obiezioni formulate sulla base del secondo modo di assegnazione delle misure. 7. Differenze tra le suddette misure, in base al diverso modo in cui si rapportano tra loro l’istante e la misura, cui l’istante stesso si dice appartenere. 8. Si mostra quale realtà comportino le suddette misure, a proposito delle cose misurate.

Proemio (1) Per considerare le misure della durata degli enti, bisogna, in primo luogo, prendere in esame il modo d’essere della misura della durata in generale1. (2) In secondo luogo bisogna considerare il modo d’essere proprio di qualsiasi misura della durata in particolare, secondo i diversi generi delle cose misurabili2. (3) In terzo luogo bisogna discutere dei diversi gradi delle misure, assumendo il modo d’essere dalle misure stesse, in quanto – in qualche modo – connotano o riguardano passato, presente e futuro3. (4) In quarto luogo sono sollevate alcune obiezioni alle cose esposte in precedenza4. (5) In quinto luogo si propone una soluzione alle obiezioni sollevate precedentemente, tenendo conto del primo modo di assegnazione delle misure5. (6) In sesto luogo vengono risolte le obiezioni tenendo conto del secondo modo di assegnazione delle misure6. Cf. infra, c. 1, p. 71. Cf. infra, c. 2, pp. 73-91. 3 Cf. infra, c. 3, pp. 91-95. 4 Cf. infra, c. 4, pp. 97-111. 5 Cf. infra, c. 5, pp. 111-113. 6 Cf. infra, c. 6, pp. 113-115. 1 2

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(7) Septimo ponitur differentia dictarum mensurarum, secundum quod diversimode se habent ad invicem ipsum nunc et mensura, cuius dicitur esse ipsum nunc. (8) Octavo ostenditur, quid realitatis importent dictae mensurae circa res mensuratas.

1. Ratio mensurae durationis in generali (1) Circa primum videndum, quod dicitur Sap. XI: «Omnia in numero, pondere et mensura disposuisti». Importat autem mensura determinationem rei quantum ad aliquem essendi modum secundum quod in ipso modo essendi quantum ad modum significandi importatur aliqua ratio seu proprietas quantitatis, molis videlicet vel virtutis, ut in nomine virtutis intelligatur quantitas intensive secundum qualitatem, molis autem quantitas extensive sive in continuis sive in discretis. Unde secundum iam dicta Augustinus haec tria, scilicet modum, speciem et ordinem, de quibus tractat in libro De natura boni, reducit in IV Super Genesim ad praedicta tria, ut speciem reducat ad numerum, ordinem ad pondus, modum ad mensuram – sive in Deo, ubi haec tria superexcessive sunt – sive in creaturis, ubi limitata sunt et limitantia creaturam secundum proprium modum creaturae. (2) Est autem circa propositum considerandum, quod dupliciter contingit aliquam rem mensurari. Uno modo per aliquid intrinsecum rei mensurabilis, puta decem ulnae mensurantur per unam et dies per horam et universaliter omnis numerus unitate, sive huiusmodi mensurans sit talis generis simplicis secundum rem sive secundum positionem. Alio modo res mensuratur per aliquid a sua substantia extrinsecum, sicut motus mensuratur tempore et locatum loco. Huius generis est mensura durationis entium, de qua hic agitur.

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(7) In settimo luogo viene posta la differenza tra le suddette misure, in base ai diversi modi in cui si relazionano reciprocamente l’istante e la misura cui appartiene7. (8) In ottavo luogo si mostra quale realtà comportino le suddette misure in ciò che misurano8.

1. Il modo d’essere della misura della durata in generale (1) Per quanto riguarda il primo punto9, bisogna osservare quanto si dice nel libro della Sapienza, al capitolo XI: «Tutte le cose hai disposto secondo numero, misura e peso»10. Ora, una misura stabilisce la determinazione di una cosa, quanto al modo d’essere, per il fatto che, nel modo d’essere stesso – quanto al modo di significare –, viene stabilita una ragione o una proprietà della quantità, cioè della grandezza o del valore, dove con «valore» si intende la quantità concepita in modo intensivo secondo la qualità, mentre con «grandezza» si intende la quantità in modo estensivo tanto nelle cose continue quanto in quelle discrete. Di conseguenza, in base a quanto già detto, Agostino nel VI libro de La Genesi alla lettera11, riduce queste tre cose, cioè «modo», «specie» e «ordine», di cui parla ne La natura del bene12, alla tripartizione precedentemente esposta, trasformando cioè «specie» in «numero», «ordine» in «peso», «modo» in «misura», sia in Dio, dove queste tre cose eccedono ogni possibile determinazione, sia nelle creature, dove sono limitate e limitano la creatura secondo il proprio modo d’essere di creatura13. (2) Ora, a proposito del tema che si sta affrontando14, bisogna considerare che ogni cosa può essere misurata in due modi. In un modo attraverso qualcosa di intrinseco alla cosa misurabile, come, per esempio, dieci ulne sono misurate da una e un giorno da un’ora e in generale tutti i numeri dall’unità, o ancora, in modo che l’unità di misura appartenga a un tale genere semplice in senso reale o secondo la posizione. In un altro modo una cosa è misurata attraverso qualcosa di estrinseco alla sua sostanza, come il moto è misurato dal tempo e un corpo localizzato dal luogo. La misura della durata degli enti, di cui qui si parla, appartiene a questo genere. Cf. infra, c. 7, pp. 115-117. Cf. infra, c. 8, pp. 117-119. 9 Cf. supra, proemio, (1), p. 69. 10 Sap. XI, 21. 11 Augustinus, De Genesi ad litteram, IV, 3, n. 7, ed. J. Zycha, Salzburg 1894 (Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, 28/1), pp. 98-99. 12 Augustinus, De natura boni, I, n. 3, ed. J. Zycha, Salzburg 1891/92 (Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, 25), p. 856. 13 Cf. Bonaventura a Balnorea, Commentaria in quatuor libros sententiarum magistri Petri Lombardi, liber I, q. 4, dist. 3, ed. Quaracchi, prope Florentiam 1882, pp. 78-79. 14 Cf. supra, c. 1, (1), p. 69. 7 8

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2. Ratio propria uniuscuiusque mensurae durationis in speciali secundum diversa genera rerum mensurabilium (1) Circa secundum principale in principio praemissum primo advertendum, quod communiter agentes de mensuris rerum coarctant modum mensurae ad mensuram durationis. Et secundum hoc diversitatem et diversam rationem mensurarum accipiunt in ordine seu respectu ad terminos durationis, videlicet ut illa mensura sit aeternitas, qua intelligitur mensurari illud, quod caret termino initiali et finali seu principio et fine secundum durationem, ut Deus. Illud autem, quod caret fine, habens nihilominus suae entitatis seu durationis initium, dicunt mensurari aevo, ut sunt entia creata incorruptibilia. Tempore autem mensurantur, quae proprie sunt in tempore secundum Philosophum, quia continentur et exceduntur a tempore et quantum ad initium et finem suae durationis. (2) Sunt etiam, qui accipiunt mensuram durationis entium per quandam comparationem et in respectu, et hoc vel in comparatione ad totum universum vel in comparatione ad Deum vel in respectu aliquarum rerum repertarum in universo. Secundum hunc modum primo dicunt aeternitatem esse mensuram Dei quoad suam durationem, et hoc propter antecessionem suam ad existentiam universi. Item secundo aiunt mensuram totius universi esse sempiternitatem in comparatione ad aeternitatem eo, quod quantum ad initium suae existentiae primo gradu succedit aeternitati carens fine. Tertio vero dicunt quasdam res quantum ad mensuram suae durationis esse perpetuas, illas scilicet, quae quocumque tempore habeant esse, durant tamen in tota perpetuitate universi sine termino. Quarto determinant mensuram durationis entium quantum ad coexistentiam vel

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2. Il modo d’essere proprio di qualsiasi misura della durata in particolare, in base ai diversi generi di cose misurabili (1) Del secondo punto principale che abbiamo premesso15, bisogna, in primo luogo, notare che coloro16 che comunemente affrontano il problema della misura delle cose riducono il modo della misura alla misura della durata. Per questa ragione considerano la diversità e il diverso modo d’essere delle misure in ordine o in rapporto ai termini della durata, in modo tale che l’eternità sia quella misura da cui ritengono sia misurato ciò che è privo di termine iniziale e finale o di principio e fine secondo la durata, come Dio. Ciò che invece è privo di fine, pur avendo un inizio della sua entità o della sua durata, come sono gli enti creati incorruttibili, dicono sia misurato dall’evo. Dal tempo, invece, sono misurate quelle cose che, secondo il Filosofo17, sono propriamente nel tempo, dal momento che sono contenute e ricomprese nel tempo, sia per quanto riguarda l’inizio, sia per quanto riguarda la fine della loro durata. (2) Vi sono anche altri18 che considerano la misura della durata degli enti attraverso il confronto e in rapporto a qualcosa, e questo avviene o in confronto all’intero universo o in confronto a Dio, o ancora, in rapporto a qualche altra cosa che si trova nell’universo. Così facendo, essi dicono in primo luogo che, per quanto riguarda la durata, l’eternità è la misura di Dio e questo per la sua anteriorità rispetto all’esistenza dell’universo. In secondo luogo, aggiungono che la misura dell’universo nella sua totalità è la sempiternità in confronto all’eternità, per il fatto che l’universo, per quanto riguarda l’inizio della sua esistenza, è secondo solo all’eternità, mentre è privo di una fine. In terzo luogo, essi considerano quelle cose che, quanto alla misura della loro durata, sono perpetue, ovvero quelle cose che, in qualunque tempo abbiano il loro essere, durano tuttavia per tutta la perpetuità dell’universo, senza fine. In quarto luogo, determinano la misura della durata degli enti quanto alla coesistenza, Cf. supra, proemio, 2, p. 69. Cf. Albertus Magnus, Super Dionysium De divinis nominibus, c. 10, ed. P. Simon, Aschendorff, Münster 1972 (Alberti Magni, Opera omnia XXXVI/1), p. 400, ll. 28-33. Thomas Aquinas, Scriptum super libros Sententiarum magistri Petri Lombardi episcopi Parisiensis, I, dist. 19, q. 2, art. 1, sol., ed. P. Mandonnet, P. Lethielleux, Parisiis 1929, p. 467. 17 Aristoteles, Physica, IV, 12, 221b21-22; translatio vetus in Aristoteles Latinus, VII.1, fasc. secundus, ed. F. Bossier, J. Brams, E.J. Brill, Leiden-New York 1990, p. 183, ll. 7-10. Translatio nova, in S. Thomae Aquinatis Doctoris Angelici, In octo libros Physicorum Aristotelis Expositio, cura et studio P.M. Maggiolo, Marietti, Torino-Roma 1954, p. 295. 18 Cf. Boethius, Quomodo trinitas unus Deus ac non tres dii, IV, ed. H.F. Stewart, E.K. Rand, S.J. Tester, Loeb Classics, Cambridge (MA) 1973, p. 20. Gilbertus Pictaviensis, In Boethii De Trinitate, I, 4, in The commentaries on Boethius, ed. N.M. Haring, Pontifical Institute of Medieval Studies, Toronto 1966 p. 132; Richardus de Sancto Victore, De Trinitate, II, 4, ed. J. Riballier, Vrin, Paris 1958, p. 111, ll. 5-9. Teodorico risale alla tradizione altomedievale probabilmente grazie alla mediazione di Alberto Magno: Albertus Magnus, Summa theologiae sive de mirabili scientia Dei, I, pars 1, tract. 5, q. 23, c. 3, art. 3, 1, ed. D. Siedler, W. Kübel, H.G. Vogels, Aschendorff, Münster 1968 (Alberti Magni Opera omnia, XXXIV.1), pp. 141-142. 15 16

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praecessionem vel etiam successionem ipsorum entium ad invicem, ut videlicet in eo, quod aliquae res sunt simul et coexistunt in actu, dicantur esse praesentes et sibi invicem praesentes, secundum praecessionem autem et successionem earum dicantur praeteritae vel futurae et sibi invicem praeteritae vel futurae. Sic ergo determinant secundum hunc comparativum modum quattuor modos seu maneries mensurarum durationis, videlicet aeternitatem, sempiternitatem, perpetuitatem et quartum, quod propter simultatem coexistentiae vel antecessionem et successionem vocamus temporalitatem quasi distinctam secundum praesens, praeteritum et futurum. (3) Sed quoniam uterque istorum modorum assignationis mensurarum entium et primus, videlicet qui solum attendit terminos durationis, scilicet initialem et finalem, et hic secundus, qui accipitur secundum quendam respectum et comparationem, uterque, inquam, istorum modorum est extra proprietatem substantiae rerum et quasi extrinsecus acceptus, ideo uterque est insufficiens et minus proprius. (4) Magis autem proprie attenditur mensura rerum mensurabilium non solum considerando durationem earum in respectu ad terminos initialem et finalem vel per comparationem ad res alias, sed simul attendendo proprietatem et modum substantiae suae. Unde Boethius in V De consolatione dicit, quod, si etiam mundus ab aeterno fuisset sine initio et, sicut modo, currit et sine fine duraret, adhuc non esset coaeternus Deo. Igitur simul cum terminis durationis attendendum est rerum mensurabilium proprios et absolutos modos et perfectiones substantiales. (5) Secundum hoc igitur ad determinandum rebus proprias mensuras durationis non solum accipienda est rei cuiuslibet existentia inter duos terminos durationis quasi extensive nec solum existentia secundum respectum, sed perfectionem attendenda cum his et modum suae essentiae seu existentiae quasi intensive; sicut in motu attendimus non solum duos terminos, inter quos extenditur motus, sed etiam attendimus in substantia motus variationem quandam et successionem secundum aliquam speciem seu rem naturae, in qua est motus. Quae variatio et successio est quasi quaedam qualitativa proprietas motus. Attendendo igitur haec duo in motu, scilicet extensionem inter duos terminos et variationem successivam in substantia motus, determinamus motui eam mensuram, quam communiter vocamus tempus.

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all’anteriorità o anche alla posteriorità reciproca degli enti stessi, in modo tale che alcune cose si dicano presenti, e reciprocamente presenti, per il fatto di essere simultanee e di coesistere in atto e si dicano invece passate e future, e reciprocamente passate e future, secondo la loro anteriorità e posteriorità. Secondo questo criterio comparativo essi stabiliscono quattro modi o generi delle misure della durata, cioè l’eternità, la sempiternità, la perpetuità e un quarto che, in virtù della simultaneità della coesistenza o dell’anteriorità o della posteriorità, chiamiamo «temporalità» come distinta secondo presente, passato e futuro. (3) Ma poiché entrambi questi modi di assegnazione delle misure degli enti, cioè il primo19 che considera unicamente i termini della durata, ovvero quello iniziale e quello finale, e questo secondo20, che si ricava dal rapporto e dal confronto con altre cose, poiché entrambi questi modi – dico –, sono estranei alla proprietà della sostanza e sono ricavati, per così dire, dall’esterno, essi risultano insufficienti e inappropriati. (4) Si osserva invece più adeguatamente la misura delle cose misurabili, non solo tenendo conto della loro durata in rapporto a un termine iniziale o finale, oppure attraverso il paragone con altri enti, ma anche osservando le proprietà e il modo delle loro sostanze. Per questa ragione Boezio nel V libro de La consolazione della filosofia dice che, anche se il mondo fosse eterno, senza inizio e, come ora, corresse e durasse senza fine, non sarebbe comunque coeterno a Dio21. Dunque insieme con i limiti della durata bisogna considerare le proprietà, i modi assoluti e le perfezioni sostanziali delle cose misurabili. (5) Alla luce di queste osservazioni, allora, per determinare le misure proprie della durata nelle cose, non bisogna considerare soltanto, in modo, per così dire, estensivo, l’esistenza di una cosa tra due termini di durata, né l’esistenza in base al rapporto ma, insieme a ciò, bisogna osservarne la perfezione e il modo della sua essenza o della sua esistenza in modo, per così dire, intensivo; così come, nel moto, non osserviamo soltanto i due termini, entro i quali si sviluppa, ma anche una qualche alterazione e successione nella sostanza del moto secondo la specie o la cosa naturale, in cui il moto si trova. Questa alterazione e successione è come se fosse una proprietà qualitativa del moto. Dunque, osservando nel moto queste due cose, ossia l’estensione tra due termini e l’alterazione successiva nella sostanza del moto, attribuiamo al moto la misura che comunemente chiamiamo «tempo».

Cf. supra, c. 2, (1), p. 73. Cf. supra, c. 2, (2), p. 73. 21 Boethius, Philosophiae consolatio, V, 6, 1-5, ed. L. Bieler, Brepols, Turnhout 1984 (Corpus Christianorum Series Latina, 94), p. 100, l. 16 - p. 101, l. 16. Sulla ricezione di questo passo di Boezio si veda Albertus Magnus, Super Dionysium de divinis nominibus, c. 10, ed. P. Simon, p. 400, ll. 56-62. Si veda inoltre Dietrich von Freiberg, De intellectu et intelligibili, II, 29, (5), ed. B. Mojsisch, in Dietrich von Freiberg, Opera omnia, I, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1977 (Corpus Philosophorum Teutonicorum Medii Aevi II, 1), p. 168, ll. 32-40. 19 20

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(6) Ad habendum igitur proprias rerum mensuras durationis quattuor oportet attendere circa res. Unum, videlicet modum et proprietatem suae substantialis perfectionis. Secundum, variationem substantiae suae, et hoc vel ponendo in ea substantia realem et veram variationem vel removendo et abnegando ipsam ab ea. Tertium, terminos – initialem videlicet et finalem – et hos similiter ponendo vel removendo ab huiusmodi substantia vel re, quam convenit mensurari. Quartum, praesentialitatem et modum praesentialitatis existentiae suae. (7) Si igitur haec quattuor, quae dicta sunt, circa substantiam divinam seu essentiam consideramus, ponemus ei mensuram aeternitatem vel potius, ut ita loquamur, superaeternitatem. Quantum enim ad suae substantiae immensitatem manifestum est, quod in se colligit omnium generum entium perfectiones, et sic incomprehensibiliter intra se ipsum sua immensitate infinite intenditur. (8) Ex hoc sequitur secundum, videlicet quod ab omni variatione remota est eius substantia. Iac. I: «Apud quem non est transmutatio nec vicissitudinis obumbratio.» (9) Sed et tertium sequitur ex his, scilicet quod non clauditur inter terminos initialem vel finalem alicuius durationis. (10) Ad quae consequitur quartum, videlicet quod praesentialitas existentiae ipsius omnem cuiuscumque entis durationem circumcludit et solum praesentialiter existit non concernendo nec praeteritum nec futurum. Unde ipse omnibus entibus praesens est et omnia sibi praesentia non solum secundum cognitionem, sed etiam secundum realem coexistentiam. Unde talia, quae dicuntur de Deo secundum rationem praeteriti vel futuri, improprie dicuntur de Deo, ut praescientia et similia, secundum quod dicit Gregorius in fine XX Libri Moralium. Huius autem ratio est, quia omnia sunt in ipso non solum secundum cognitionem, sed secundum realem existentiam, inquantum omnia, secundum quod sunt in ipso, sunt ipse Deus, et ipse secundum hoc est quodammodo omnia per modum causae essentialis, quae est omnia sua causata modo eminentiore, quam sint ipsa causata in se ipsis. (11) Secundo gradu rerum mensurabilium determinabant philosophi mensuram intelligentiae seu intelligentiarum, quas ponebant, et hanc mensuram dice-

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(6) Per ottenere quindi le misure proprie della durata delle cose, bisogna esaminarle secondo quattro condizioni22. La prima è il modo e la proprietà della loro perfezione sostanziale. La seconda è l’alterazione della loro sostanza e questo o ponendo nella sostanza stessa una vera o reale alterazione, oppure eliminandola e negandola. La terza condizione riguarda i termini – cioè quello iniziale e quello finale – in modo analogo, ossia ponendoli o eliminandoli nella sostanza o cosa da misurare. La quarta condizione è la presenza e il modo della presenza dell’esistenza della sostanza23. (7) Se allora consideriamo queste quattro condizioni a proposito della sostanza divina o della sua essenza, vi attribuiamo, come misura, l’eternità o piuttosto, come si dice, la «supereternità». Infatti, quanto all’immensità della sua sostanza, è chiaro che essa raccoglie in sé le perfezioni di tutti i generi di enti e così, in modo incomprensibile, si distende in se stessa infinitamente nella sua immensità. (8) Da questo segue una seconda condizione, cioè che la sua sostanza è estranea a ogni tipo di alterazione, come sta scritto nel capitolo I della Lettera di Giacomo Apostolo: «Presso di Lui non c’è mutazione, né ombra di vicissitudine»24. (9) Ma da queste due cose segue anche una terza condizione, ossia che la sostanza divina non è compresa da un termine iniziale e da uno finale di una qualche durata. (10) Da queste osservazioni segue una quarta condizione, ossia che la presenzialità della sua stessa esistenza racchiude la durata di qualsiasi ente ed esiste solo in modo presenziale, senza interessare passato e futuro. Di conseguenza, Egli è presente a tutti gli enti e tutte le cose sono presenti a Lui, non solo dal punto di vista della conoscenza, ma anche per una coesistenza reale. Perciò le cose che si predicano di Dio, secondo il modo d’essere del passato e del futuro, sono predicate in modo improprio, così come la prescienza e cose simili, secondo quello che dice Gregorio Magno alla fine del XX capitolo del Commento Morale a Giobbe25. La ragione di questo è che tutte le cose esistono in Lui, non solo secondo la conoscenza, ma secondo esistenza reale, in quanto tutte le cose, per il fatto che esistono in Lui, sono Dio stesso, ed Egli stesso è perciò in qualche modo tutte le cose in quanto causa essenziale, che è tutte le cose causate in modo più eminente di come siano le cose stesse causate in sé. (11) Al secondo grado delle cose numerabili, i filosofi26 mettevano la misura dell’intelligenza o delle intelligenze, che essi ponevano, e chiamavano questa misura 22 La scelta di utilizzare il sostantivo ‘condizione’ per alludere ai quattro requisiti necessari all’assegnazione delle diverse durate è suggerita dallo stesso Teodorico. Cf. infra, c. 2 (27), p. 53.  23 Cf. Introduzione, pp. 37-43. 24 Iac., 1, 17. Cf. Albertus Magnus, Super Dionysium de divinis nominibus, c. 10, ed. P. Simon, p. 404, ll. 7-15. 25 Gregorius Magnus, Moralia in Iob, XX, 32, n. 63, ed. M. Adriaen, Brepols, Turnhout 2005 (Corpus Christianorum Series Latina, 143A), pp. 28-36. 26 Cf. Dietrich von Freiberg, De origine rerum praedicamentalium, 1, (13), ed. L. Sturlese, in Dietrich von Freiberg, Opera omnia, III, Felix Meiner Verlag, Hamburg 1983 (Corpus Philosophorum Teutonicorum Medii Aevi II, 3) p. 141, ll. 131-143.

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bant aeternitatem. Unde secunda propositione Libri de causis dicitur, quod omne esse superius aut est superius aeternitate et causa ei, aut est cum aeternite et extenditur cum ea. Primum dicebant primam causam; secundum intelligentiam, quam dicebant mensurari aeternitate, ut patet. Huius autem rei ratio est secundum philosophos, qui ponebant tales substantias, quas intelligentias vocabant, quoniam huiusmodi substantia, scilicet intelligentia, omnium generum entium in se continet perfectiones, sed longe, immo in infinitum inferiore gradu quam prima causa. Ideo et ipsa talis substantia invariabilis est et secundum rationem propriae substantiae, quia ipsa est intellectus in actu per essentiam et caret terminis, initiali et finali scilicet, quantum ad durationem. (12) Ex quibus quarto sequitur, quod ipsa tota simul in essendo praesentialitatem habet et ipsa rebus omnibus simul et omnes res sibi praesentes sunt in actu suo modo, sicut etiam suo modo de prima causa dictum est. (13) Tertio ordine gradu inferiore praedictis assignatur mensura substantiis spiritualibus, scilicet angelis, quam dicimus aevum secundum eam suae substantiae proprietatem, quia videlicet quaelibet talis substantia spiritualis, cuiusmodi est angelus seu anima rationalis, non est ut ens simpliciter, id est solum habens esse specificum, sed in unaquaque earum est natura speciei determinata in individuum, ita ut non solum sit ens simpliciter, sed hoc ens, id est individuum. Et hoc est, quod dicit Damascenus, quod angelus dicit speciem, Michael, Gabriel individuum. (14) Secundum hoc igitur angelus per suam essentiam non continet in se universitatem entium sicut Deus et intelligentiae secundum philosophos; et secundum hoc angelus secundum suae substantiae perfectionem quasi incomparabiliter distat et cadit a perfectione essentiali non solum Dei, sed etiam intelligentiae. (15) Ex his sequitur secundo, quod in huiusmodi individuali substantia spirituali, scilicet in angelo, invenitur variabilitas secundum aliquas dispositiones accidentales, quamvis simplices, secundum quas tamen non subicitur motui proprie loquendo de motu et per consequens nec situi; hoc enim per se convenit

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«eternità». Di conseguenza, nella seconda proposizione del Libro delle cause, si dice che ogni essere superiore, o è superiore all’eternità – ed è causa di essa –, o si costituisce con l’eternità e si estende con essa27. Nel primo caso si riferivano alla causa prima; nel secondo all’intelligenza che evidentemente ritenevano misurata dall’eternità. La ragione di questa posizione è per i filosofi, che ponevano tali sostanze e che chiamavano «intelligenze», il fatto che una tale sostanza, ossia un’intelligenza, contiene in sé le perfezioni di tutti i generi di enti, ma molto meno, anzi in grado infinitamente inferiore, rispetto alla causa prima. Perciò anche tale sostanza è invariabile, e in ragione della propria sostanza, dal momento che essa costituisce un intelletto in atto per essenza e – per quanto riguarda la durata – è priva di termini, cioè di quello iniziale e di quello finale. (12) Da queste cose segue, nella quarta condizione28, che questa sostanza, possedendo tutto il suo essere in modo simultaneo, ha una presenzialità ed è presente simultaneamente a tutte le cose e tutte le cose sono presenti ad essa in atto, ma nel modo che le è proprio, così come anche è stato detto «secondo il suo modo» a proposito della causa prima29. (13) Per terzo, in grado inferiore rispetto alle sostanza di cui si è detto in precedenza, alle sostanze spirituali, cioè agli angeli, è assegnata una misura che chiamiamo «evo», secondo la proprietà della sua sostanza, e questo perché qualsiasi sostanza spirituale di questo genere, sia essa un angelo o un’anima razionale, non è un ente in modo semplice, cioè che ha soltanto un essere specifico, ma in ognuna di queste [sostanze] la natura della specie è determinata nell’individuo, cosicché non è solo un ente in modo semplice, ma anche «questo» ente, cioè un individuo30. E questo è quello che dice Giovanni Damasceno, ossia che «angelo» esprime la specie, mentre «Michele», «Gabriele», l’individuo31. (14) Dunque, in base a questo, un angelo, per sua essenza, non contiene in sé la totalità degli enti, come Dio e – secondo i filosofi – le intelligenze; e per questa ragione, un angelo, in base alla perfezione della sua sostanza, dista e si allontana in modo quasi incomparabile dalla perfezione essenziale, non solo di Dio, ma anche di un’intelligenza. (15) Da queste cose segue, a proposito della seconda condizione, che in una sostanza spirituale individuale di questo genere, cioè in un angelo, si trova un’alterabilità secondo alcune disposizioni accidentali, per quanto semplici, secondo cui tuttavia [tale sostanza] non è soggetta al moto – parlando in modo appropriato del 27 Liber de causis, prop. 2, in A. Pattin, Le Liber de Causis. Edition établie à l’aide de 90 manuscrits avec introduction et notes, «Tijdschrift voor Filosofie», 28 (1966), p. 138. 28 Cf. supra, c. 2, (6), p. 77. 29 Cf. supra, c. 2, (7-10), p. 77. 30 Cf. Introduzione, p. 44.  31 Ioannes Damascenus, De duabus in Christo voluntatibus, 3; PG 95, pp. 130D-131A.

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substantiae, quae est individuum, ut disponatur et varietur seu variabilis sit secundum aliquas dispositiones accidentales. Haec enim est intentio naturae in constituendo individuum secundum propriam rationem individui, ut alibi tractari habet. (16) Ex his tertio sequitur, quod et doctrina veritatis sanctorum declarat, quod videlicet huiusmodi substantia, scilicet angelus, non extenditur in ante infinitum duratione, sed quod cum universitate entium habuit initium, quamvis careat fine durationis. Concluditur enim intra ordinem huius universi, quod transmutationibus et passionibus subiacet in ordine ad ultimum finem, qui est adeptio aeternae beatitudinis quoad creaturas rationales. (17) Ex praemissis habetur quarto, quod subtiliter intuenti apparet, videlicet quod non habet durationem ut simpliciter, id est complectentem et concludentem omnem durationem, id est quod omnia entia sunt sibi secundum coexistentiam praesentia, sicut in aeternitate dictum est, sed solum habet durationem ut hanc, id est secundum quandam suae existentiae praesentialitatem connotans respectum in praeteritum et in futurum, quo videlicet aliqua entium secundum decursum rerum aliquando sunt sibi praesentialiter coexistentia, aliquando praeterita, aliquando futura; et eius cognitio non solum praesentium est ut praesentium, sed etiam extenditur in ea, quae praeterierunt, et in ea, quae futura sunt non solum inquantum praeterita et futura simpliciter secundum decursum rerum, sed etiam, quae suae praesentiali existentiae praeterita sunt vel futura. (18) Huius autem praesentialis existentiae, quam vocare possumus existentiam ut nunc propter connotationem respectuum in praeteritum et in futurum eo modo, qui dictus est, huius, inquam, causa est, quia, sicut in tali substantia spirituali ratio seu proprietas essentiae, quae est essentia ut simpliciter, determinatur in hanc essentiam, ut sit ens hoc, id est individuum, sic et universalitas durationis, quae est ut simpliciter duratio, determinatur in durationem hanc, quam oportet accipere praesentialitatem seu existentiam ut nunc. (19) Attendendo igitur quattuor praedicta in substantia spirituali, quae est angelus, determinatur sibi mensura, quam dicimus aevum. (20) Quarto gradu attendendo circa substantiam corporis caelestis quattuor praedicta rationabiliter assignabimus ipsi mensuram quodammodo inferioris ordinis a praedictis.

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moto – e di conseguenza nemmeno alla posizione; ciò infatti conviene per sé a una sostanza individuale, che sia disposta e alterata o alterabile in base ad alcune disposizioni accidentali. Infatti, questa è l’intenzione naturale nel costituire un individuo secondo il modo d’essere proprio di un individuo, come ho trattato altrove32. (16) Da queste cose segue, per quanto riguarda la terza condizione, ciò che anche la dottrina della verità dei santi33 afferma, ossia che una sostanza di questo genere, cioè un angelo, non si estende secondo una durata precedente infinita, ma che ha inizio con la totalità degli enti, pur essendo priva di una fine della durata. Infatti è compresa all’interno dell’ordine di questo universo, che soggiace alle trasformazioni e alle passioni in vista del fine ultimo che, per quel che riguarda le creature razionali, è il conseguimento della beatitudine eterna. (17) Dalle cose premesse si ha, come quarta condizione, ciò che appare evidente a chi osserva con attenzione, ossia che [un angelo] non ha una durata pura e semplice, che include e comprende cioè ogni durata, ovvero che tutti gli enti gli sono presenti per coesistenza, come è stato detto dell’eternità, ma ha solamente una durata come «questa», connotandosi cioè in rapporto al passato e al futuro secondo una certa presenzialità della sua esistenza, di modo che cioè alcuni enti, secondo il decorso delle cose, gli sono talvolta coesistenti in modo presenziale, talvolta passati, talvolta futuri; anche la sua conoscenza non è solamente delle cose presenti, come presenti, ma si estende anche a quelle cose che sono passate e a quelle che sono future, non soltanto in quanto passate e future in modo semplice secondo il decorso delle cose, ma anche che sono passate e future rispetto alla sua esistenza presenziale. (18) Ora, di questa esistenza presenziale, che possiamo chiamare «esistenza come istante», per la sua connotazione dei rapporti con passato e futuro, nel modo in cui è stato detto34, di questa [esistenza presenziale] – dico – la causa consiste nel fatto che, come in tali sostanze spirituali il modo d’essere o la proprietà dell’essenza, che è essenza pura e semplice, è determinato come «questa essenza», così che sia «questo ente», cioè un individuo, allo stesso modo anche l’universalità della durata, che è durata pura e semplice, è determinata come «questa durata», che bisogna considerare presenzialità o esistenza come istante. (19) Osservando allora le quattro suddette condizioni, alla sostanza spirituale, che è l’angelo, è attribuita la misura che chiamiamo «evo». (20) Nel quarto grado, osservando le suddette quattro condizioni nella sostanza di un corpo celeste, vi assegneremo ragionevolmente una misura in un certo senso di ordine inferiore rispetto a quelle precedenti.

32 Cf. Dietrich von Freiberg, De origine rerum praedicamentalium, 1, (18), ed. L. Sturlese, p. 142, ll. 175-

181. 33 34

Cf. Petrus Lombardus, Sententiae in IV libris distinctae, II, dist. 2, c. 1-3, ed. Quaracchi, pp. 336-339. Cf. supra, c. 2, (17), p. 81.

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(21) Quantum enim ad suam substantiam sua corporeitate cadit a perfectione substantiae spiritualis. (22) Est etiam secundo variabile non quocumque modo, sed inquantum cadit sub motu et movetur secundum locum; ad quod requiritur dispositio secundum situm. (23) Habet autem tertio secundum Scripturam veritatis initium suae existentiae, quamvis careat fine durationis, habens necessitatem in essendo absque corruptione ex propriis suae substantiae principiis longe inferioris gradus a causis incorruptionis repertis in substantiis spiritualibus. (24) Quarto etiam eius duratio ex praeterito in praesens et a praesenti in futurum extenditur non per transmutationem substantialem substantiae ipsius corporis caelestis, sed secundum quod eius praesentialis existentia connotat respectum in praeterita et futura. Cuius etiam praesentialis existentia magis determinata est et re et ratione quoad existentiam ut nunc quam in substantiis spiritualibus eo, quod ipsum mobile, scilicet corpus caeleste, in suo motu transit per diversa mutata esse; et ipsum nunc, quod est mensura mobilis secundum Philosophum IV Physicorum, currit per diversa nunc temporis, quae sunt termini temporis inquantum continuum. (25) Huius igitur substantiae corporis caelestis mensuram determinamus rationabiliter differentem a praedictis, quam vocare possumus aeviternitatem, quasi cadentem a simplicitate aevi, quae est mensura spiritualium. (26) Quinto gradu secundum ordinem mensurarum entium secundum suam substantiam determinamus etiam mensuras substantiis generabilibus et corruptibilibus, quae proprie sunt in tempore secundum Philosophum quia ex utraque parte habent suae durationis terminum, scilicet et initialem et finalem; et hoc est proprie esse in tempore, id est excedi a tempore et concludi in tempore, sicut esse in loco est in loco includi secundum Philosophum. (27) Attendendo igitur quattuor saepe dictas condiciones circa huiusmodi substantias manifestum est, quod quam plurimum distant a perfectione supra dictarum substantiarum.

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(21) Quanto infatti alla sua sostanza, per la sua corporeità si allontana dalla perfezione della sostanza spirituale. (22) Rispetto alla seconda condizione è alterabile non in un modo qualsiasi, ma in quanto è soggetta al moto e si muove secondo il luogo; a tal proposito è richiesta una disposizione secondo la posizione. (23) Rispetto alla terza condizione ha – secondo la Scrittura della verità35 – un inizio della sua esistenza, pur essendo priva di una fine della durata, dal momento che deve essere senza corruzione in virtù dei principi propri della sua sostanza, che sono di gran lunga di grado inferiore rispetto alle cause di incorruttibilità trovate nelle sostanze spirituali. (24) Rispetto alla quarta condizione, anche la durata [di un corpo celeste] si estende dal passato al presente e dal presente al futuro, non per un mutamento sostanziale della sostanza del corpo celeste stesso, ma secondo ciò che la sua esistenza presenziale connota in rapporto alle cose passate e a quelle future. Anche l’esistenza presenziale [del corpo celeste] – per quanto riguarda l’«esistenza come istante» – è più determinata, tanto nella realtà quanto nel concetto rispetto a quanto avviene nelle sostanze spirituali, per il fatto che il mobile stesso, cioè il corpo celeste, con il suo moto passa per diversi esseri mutati; e lo stesso istante che – secondo il Filosofo nel IV libro della Fisica – è la misura del mobile, corre per diversi istanti di tempo, che sono i termini del tempo in quanto continuo36. (25) Quindi, a questa sostanza del corpo celeste attribuiamo ragionevolmente una misura differente rispetto a quelle dette in precedenza, che possiamo chiamare «eviternità», come se decadesse dalla semplicità dell’«evo», che è misura delle sostanze spirituali. (26) Nel quinto grado, secondo l’ordine delle misure degli enti in base alla loro sostanza, attribuiamo anche le misure alle sostanze generabili e corruttibili, che – secondo il Filosofo37 – sono propriamente nel tempo, dal momento che hanno da entrambe le parti un termine della loro durata, cioè sia un termine iniziale che uno finale; e questo significa propriamente «essere nel tempo», cioè provenire dal tempo e concludersi nel tempo, come «essere in un luogo» significa – secondo il Filosofo38 – essere racchiuso in un luogo. (27) Osservando quindi le quattro condizioni, cui si è fatto frequentemente riferimento, a proposito delle sostanze di questo genere, è evidente quanto siano maggiormente distanti dalla perfezione delle sostanze di cui si è detto in precedenza.

Gn 1,1. Aristoteles, Physica, IV, 11, 220a1-5; translatio vetus, p. 177, ll. 7-12. Translatio nova, p. 286. 37 Aristoteles, Physica, IV, 12, 221b28-31; translatio vetus, p. 183, ll. 16-20. Translatio nova, pp. 295296. 38 Aristoteles, Physica, IV, 12, 221a28-30; translatio vetus, p. 182, ll 3-7. Translatio nova, p. 295. 35 36

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(28) Quod primo per se patet quoad substantialem seu essentialem suae substantiae perfectionem. Nec oportet circa hoc immorari. (29) Secundo quoad variationem earum. Non enim solum in accidentalibus dispositionibus variantur, modo simplicibus transmutationibus, modo eis passionibus, quibus subiciuntur motui, verum etiam substantialiter et in sua substantia subsunt generationi et corruptioni. (30) Ex quo tertio suae durationis initium et finem sortiuntur. (31) Ex his quarto sua praesentialitas seu praesentialis existentia deficit a praedictis. Non enim substantia huiusmodi semper praesens est, nec semper connotat in se respectum ad praeterita et futura. Ante enim quam huiusmodi substantia habeat esse, nihil sibi praesens est vel praeteritum vel futurum; similiter quando esse desiit. Unde proprie durationis huiusmodi substantiae, scilicet generabilis et corruptibilis, mensuram determinat Philosophus in II De generatione vocans eam periodum proprium uniuscuiusque talis substantiae. (32) Est igitur uniuscuiusque dictarum quinque generum substantiarum determinata propria mensura secundum proprietatem et modum substantiae cuiuslibet generis ipsarum attendendo circa ipsas saepe dictas quattuor condiciones. (33) Ulterius autem praeter praedicta rerum mensurabilium et mensurarum genera est mensura rerum, quarum essentia in transmutatione et successione consistit habentium nihilominus continuationem ad invicem in suis partibus sibi invicem succedentibus, sicut est motus cum suis speciebus. Manifestum est enim, quod attendendo quattuor saepe dictas condiciones circa motum, quod necessarium est ei attribuere aliud genus mensurae a praedictis. (34) In substantia enim sua deficit a perfectione cuiuscumque generis entium, sed quaedam participatio est naturae eius generis, in quo est motus. Unde fere per solam reductionem est in genere eius naturae, in qua est motus, puta secundum locum, secundum qualitatem, secundum quantitatem secundum Philosophum III Physicorum. (35) Qualiter etiam in ipso attendatur variatio, patet, cum ipse sit ipsa variatio seu transmutatio, secundum quam non ipse motus, sed aliud secundum ipsum variatur. (36) Qualiter etiam quaelibet partium eius inter terminos initialem et finalem concluditur quoad tertiam condicionem praemissam, non oportet circa hoc immorari.

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(28) In primo luogo questo è chiaro rispetto alla perfezione sostanziale o essenziale della loro sostanza. Ma su questo aspetto non bisogna soffermarsi. (29) In secondo luogo, [è evidente] per quel che riguarda la loro alterazione. [Le sostanze generabili e corruttibili], infatti, non sono alterate soltanto nelle disposizioni accidentali, ora nelle mutazioni semplici, ora nelle passioni, per le quali sono soggette al moto, ma anche sostanzialmente e nella loro sostanza sono soggette a generazione e corruzione. (30) In terzo luogo, hanno perciò in sorte un inizio e una fine della loro durata. (31) In virtù di queste cose, in quarto luogo, la loro presenzialità, o esistenza presenziale, si allontana da quanto detto in precedenza. Infatti una sostanza di questo genere non è sempre presente, né connota sempre se stessa in rapporto alle cose passate e a quelle future. Infatti, prima che una sostanza di questo genere abbia l’essere, nulla è ad essa presente, passato o futuro; allo stesso modo quando cessa di esistere. Di conseguenza, nel II libro de La generazione e la corruzione, il Filosofo determina in modo appropriato la misura della durata di tale sostanza, cioè del generabile e del corruttibile, chiamandola «periodo» proprio di ciascuna sostanza39. (32) Dunque, ad ognuno dei suddetti cinque generi di sostanze è stata attribuita una misura specifica, in base alla proprietà e al modo della sostanza, di qualsiasi genere di sostanze, considerando le quattro condizioni frequentemente citate. (33) In più, esclusi i suddetti generi delle cose misurabili e delle misure, esiste poi una misura delle cose, la cui essenza consiste in una mutazione e successione delle cose che hanno tuttavia una continuazione reciproca nelle loro parti, che si succedono l’una nell’altra, come è il moto con le sue specie. Osservando nel moto le quattro già citate condizioni, è infatti evidente che gli si debba attribuire un altro genere di misura rispetto a quelli detti precedentemente. (34) Nella sua sostanza, infatti, [il moto] si allontana dalla perfezione di qualsiasi genere di ente, ma partecipa alla natura del genere in cui si trova. Di conseguenza, per lo più per una sola riduzione, [il moto] è nel genere della natura in cui si trova, ad esempio, secondo il luogo, secondo la qualità, secondo la quantità, come dice il Filosofo nel III libro della Fisica40. (35) In che modo in esso si osservi anche l’alterazione è chiaro, perché [il moto] stesso è l’alterazione stessa o il mutamento, secondo cui non il moto stesso, ma altro è alterato secondo [il moto] stesso. (36) A proposito della terza condizione premessa, non occorre soffermarsi su come anche ogni sua parte sia compresa tra i termini, cioè tra uno iniziale e uno finale. 39 Aristoteles, De generatione et corruptione, II, 10, 336b12-14; Burgundius Pisanus translator Aristotelis in Aristoteles Latinus, IX.1, ed. J. Judycka, E.J. Brill, Leiden 1986, p. 75, ll. 11-15. Recensio Guillelmi de Morbeka in Aristoteles Latinus, IX.2, ed. J. Judycka, Aristoteles Latinus Database. Cf. Dietrich von Freiberg, De origine rerum praedicamentalium, 3, (32), ed. L. Sturlese, p. 166, ll. 265-276. 40 Aristoteles, Physica, III, 1, 200b33-34; translatio vetus, p. 97, l. 14 - p. 98, l. 3. Translatio nova, p. 139.

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(37) Patet etiam quarto, quod praesentialis existentia non est nisi secundum modum, quo vere est ens successivum, cuius partes non simul coexistunt, sed transeundo sibi invicem succedunt. (38) Huiusmodi igitur rei, scilicet motus, mensuram dicimus tempus, quod etiam definitio indicat, quoniam est: numerus motus secundum prius et posterius. (39) Quoniam autem in spiritualibus substantiis, de quarum mensura supra dictum est, invenimus nonnullam transmutationem seu variationem non quidem in essentiis suis, quoniam incorporales sunt, sed secundum aliquas transmutationes accidentalium dispositionum secundum Scripturam veritatis, puta secundum gratiam vel culpam, cognitionem et affectionem et operationes ministeriorum suorum, quoniam omnes administratores spiritus sunt Hebr. I, ideo conveniens est secundum proprietatem huiusmodi transmutationum eis attribuere alterius generis mensuram, immo ipsi tali transmutationi propriam mensuram. (40) Manifestum est enim primo, quod huiusmodi transmutationes spiritualium substantiarum et ipsae dispositiones seu formae, secundum quas fiunt tales transmutationes, aequivocationem habent cum rebus omnium generum praedicamentalium, secundum quod inveniuntur in corporalibus, nisi forte secundum logicam considerationem reducantur ad eandem generum coordinationem cum corporalibus, ut prima facie apparet per divisionem substantiae in corpoream et in incorpoream, similiter, si dicamus potentiam seu impotentiam ipsarum, habitus, passiones et similia ordinari in genere qualitatis, numerum vero repertum in eis pertinere ad genus quantitatis, quae dividitur in continuam et discretam. (41) Manifesta est etiam differentia talium spiritualium transmutationum, ne dicam a perfectione cuiuscumque substantiae, verum etiam a ratione et proprietate motus. Quamvis enim utrobique attendatur transmutatio seu variatio, partes tamen huius spiritualis transmutationis seu formae et dispositiones, secundum quas fit variatio, quamvis sibi invicem succedere possint et succedant, essentia tamen uniuscuiusque earum non extenditur in aliquem fluxum continuum, sed unaquaeque earum habet suam simplicem essentiam totam simul. Unde sicut ipsa talis substantia spiritualis simplex est in eo, quod omnis natura continui ab ea remota est, sic et quaelibet formarum, secundum quam attenditur talis substantiae transmutatio, simplex est et tota simul et remota ab omni fluxu successivo in sua essentia. Sicut enim in corporalibus quantitas, divisibilitas, continuitas mobilis est causa harum proprietatum in motu et in re eius generis, in quo est motus

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(37) In quarto luogo è anche chiaro che [nel moto] non c’è un’esistenza presenziale, se non secondo il modo, per cui è realmente un ente successivo, le cui parti non esistono simultaneamente, ma si succedono, passando l’una nell’altra. (38) Dunque di una cosa di questo genere, cioè del moto, diciamo che la misura sia il tempo, cosa che indica anche la definizione, dal momento che è «numero del moto secondo il prima e il poi»41. (39) Siccome nelle sostanze spirituali, della cui misura si è parlato prima42, non troviamo invece alcun mutamento o alterazione, nemmeno nelle loro essenze, poiché sono incorporee, ma alcune mutazioni delle disposizioni accidentali, secondo la Scrittura della verità43, ad esempio, secondo la grazia o la colpa, la conoscenza o l’affezione e le operazioni dei loro ministeri – siccome sono tutti ministranti dello Spirito –, perciò è conveniente, secondo la proprietà di mutamenti di questo genere, attribuire loro una misura di altro genere, anzi una misura specifica per questo genere di mutamento. (40) In primo luogo è evidente che tali mutamenti delle sostanze spirituali e le stesse disposizioni o forme, in base alle quali tali mutamenti avvengono, sono equivocabili con le cose di tutti i generi predicamentali, in quanto si trovano nelle cose corporali, se non forse sono ricondotte, secondo un’osservazione logica, allo stesso coordinamento dei generi con le cose corporali, come appare, a prima vista, per la divisione della sostanza in corporea e non corporea; allo stesso modo, se diciamo che la loro potenza o impotenza, i loro abiti, le loro passioni o cose simili sono ordinate nel genere della qualità, persino il numero che si ritrova in esse diciamo che appartiene al genere della quantità, che è divisa in continua e discreta. (41) È evidente anche la differenza di tali mutamenti spirituali, non direi dalla perfezione di una qualsiasi sostanza, bensì anche dal modo d’essere e dalla proprietà del moto. Sebbene infatti in entrambi i casi [in una sostanza spirituale e in una corporea] si osservi un mutamento o un’alterazione, tuttavia le parti di questi mutamenti spirituali o le forme e le disposizioni, secondo le quali tale alterazione si verifica – nonostante possano succedere e si succedano l’una nell’altra – tuttavia l’essenza di ognuna di esse non si estende in un flusso continuo, ma ciascuna di esse ha una sua essenza semplice tutta insieme. Di conseguenza, come la sostanza spirituale stessa è semplice per il fatto che da essa è lontana ogni natura del continuo, così anche qualunque forma, secondo cui si osserva il mutamento di tale sostanza, è semplice, tutta insieme e, nella sua essenza, lontana da ogni flusso successivo. Come infatti nelle sostanze corporali la quantità, la divisibilità e la continuità di un mobile sono la causa di queste proprietà nel moto e nelle cose del genere in cui si

Aristoteles, Physica, IV, 11, 220a24-26; translatio vetus, p. 178, ll. 15-16. Translatio nova, p. 291. Cf. supra, c. 2, 13-19, pp. 79-81. 43 Hebr. I, 14. 41 42

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secundum Philosophum VI Physicorum, sic simplicitas substantiae spiritualis est causa simplicitatis indivisibilitatis et incontinuitatis dictarum dispositionum seu formarum, secundum quas spiritualis substantia transmutatur. (42) Sed haec hactenus de differentia transmutationis substantiae spiritualis ad eam, quae invenitur in generibus rerum praedicamentalium. (43) De differentia autem eius ad ea, quae vere sunt extra, immo supra genera praedicamentalia, ut prima causa et intelligentiae, si essent, secundum quod posuerunt philosophi, superfluum est tractare. (44) Patet igitur, cuiusmodi est spiritualis saepe dicta transmutatio secundum suam substantiam. (45) Manifestum est etiam secundum, videlicet qualis sit secundum variationem et quomodo differt a transmutatione, quae attenditur in motu proprie dicto. (46) Sed et tertium liquet, quomodo terminos habet vel habere potest, terminos, inquam, suae durationis inter initium et finem, et ipsa, inquam, transmutatio in se, videlicet quantum ad suam durationem, et quaelibet formarum quoad suam propriam durationem in simplici sua essentia absque successivo fluxu. (47) Quartum etiam ex dictis satis colligitur, videlicet talis transmutationis praesentialis existentia. Non solum enim huiusmodi existentia attenditur in eo indivisibili mutato esse, quo fit transitus ab una dispositione ad aliam, sed potius saepe dicta transmutatio realem existentiam habet in existentia praesentiali cuiuslibet formarum seu dispositionum, secundum quas fit talis transmutatio. (48) Omnibus igitur quattuor saepe dictis condicionibus ad rationem mensurae concurrentibus pensatis necessarium est huius spiritualis substantiae transmutationi assignare mensuram alterius generis a praedictis. Et cum proprium nomen huius non habeamus, descriptive loquendo vocemus ipsum: tempus constans ex indivisibilibus, ut dicatur tempus, quia est numerus alicuius transmutationis secundum prius et posterius ad similitudinem temporis, quod est numerus motus, constans autem ex indivisibilibus, quoniam quaelibet dispositionum seu formarum, secundum quas fit transmutatio, simplex est et indivisibilis in sua essentia et tota simul secundum actum praesentialis existentiae. Quae tamen praesentialis existentia secundum durationem quasi extenditur inter duos

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trova il moto – secondo quanto scrive il Filosofo nel VI libro della Fisica IV44 –, così la semplicità di una sostanza spirituale è causa della semplicità, dell’indivisibilità, della discontinuità delle suddette disposizioni o forme, in base alle quali una sostanza spirituale è modificata. (42) Questo per quanto riguarda, finora, la differenza di mutamento di una sostanza spirituale rispetto a quella che si trova nei generi delle realtà predicamentali45. (43) Sulla loro differenza invece rispetto alle cose che sono effettivamente al di fuori, anzi al di sopra dei generi predicamentali, come la causa prima e le intelligenze, se esistono – secondo quello che sostennero i filosofi46 –, è superfluo trattare. (44) È chiaro allora di che genere è il suddetto mutamento spirituale secondo la sua sostanza. (45) è evidente anche la seconda condizione, cioè come sia secondo l’alterazione e in che modo sia differente rispetto al mutamento che si osserva nel moto propriamente detto. (46) Ma anche in base alla terza condizione è evidente, in che modo [tale mutamento spirituale] abbia o possa avere dei termini; intendo «termini» della sua durata tra l’inizio e la fine, e intendo «la mutazione stessa in sé», cioè quanto alla sua durata, e qualsiasi forma per quel che riguarda la sua propria durata nella sua essenza semplice senza un flusso successivo. (47) Anche la quarta condizione, cioè l’esistenza presenziale di un tale mutamento, si può inferire adeguatamente dalle cose dette. Infatti, un’esistenza di questo genere non solo si osserva nello stesso essere mutato indivisibile, in cui avviene il passaggio da una disposizione a un’altra, ma piuttosto il suddetto mutamento ha un’esistenza reale nell’esistenza presenziale di qualunque forma o disposizione, secondo cui avviene tale mutamento. (48) Dunque, in base a tutte e quattro le suddette condizioni che abbiamo esaminato e che concorrono a stabilire il modo d’essere della misura, è necessario assegnare al mutamento di questa sostanza spirituale una misura di altro genere rispetto a quelle dette in precedenza. Dal momento che non abbiamo per questo [mutamento] un nome appropriato, usando una descrizione, lo chiameremo «tempo costante tra le cose indivisibili»: così che si dica «tempo», in quanto esso è il numero di un qualche mutamento secondo il prima e il poi, in modo simile al tempo che è il numero del moto; «costante tra gli indivisibili», invece, poiché qualsiasi disposizione o forma, secondo cui avviene il mutamento, è semplice e indivisibile nella sua essenza e tutta insieme secondo l’atto dell’esistenza presenziale. Questa esistenza presenziale 44 Aristoteles, Physica, VI, 4, 234b10-20; translatio vetus, p. 229, l. 15 - p. 230, l. 3. Translatio nova, p. 392. 45 Dietrich von Freiberg, De origine rerum praedicamentalium, 1, (16-17), ed. L. Sturlese, p. 142, ll. 163174. 46 Cf. supra, c. 2, (11), pp. 77-79.

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terminos vel veros vel imaginatos, secundum quam extensionem durationis una dispositio vel forma amplius vel minus dicitur permanere quam alia et una anima amplius vel minus esse vel fuisse in gloria vel purgatorio quam alia, ut mox patebit.

3. Diversi gradus mensurarum sumendo rationem ab ipsis mensuris, inquantum secundum aliquem modum connotant seu concernunt praeteritum, praesens et futurum (1) Quamvis autem ea, quae hic praemissa sunt, rationabiliter dicta intelligantur, ut intuenti patere potest, nihilominus tamen ad maiorem propositi evidentiam considerandum, quod duratio rei cuiuscumque dupliciter potest intelligi. Uno modo potest accipi duratio secundum id, quod est secundum rem in ipso durabili; alio modo intelligitur, secundum quod habet rationem mensurae. (2) Primo modo duratio non est nisi essentia rei secundum permanentiam eius in esse, quae omnia, scilicet essentia, permanentia et esse, sunt idem essentialiter. Res enim quaecumque et est et permanet per suam essentiam. (3) Secundo modo duratio est aliquid ratione determinatum circa rem opere intellectus, quo res sit in notitia nostra secundum rationem subsistentiae et permanentiae eius in esse, ut si dicamus tempus esse durationem motus, quod tempus determinamus circa motum. (4) Quantum autem ad utrumque istorum modorum intelligendi durationem invenimus differentiam ipsarum in diversis generibus rerum. Dico autem diversa genera diversos modos et maneries rerum, secundum quas tres modos generales durationum seu mensurarum durationum invenimus, ad quos omnes praedicti secundum proprias rationes distincti reducuntur. (5) Duratio enim secundum suum modum significandi in intellectu suo importat praesens, praeteritum et futurum. Dicimus enim durare rem aliquam, secundum quod aliquo modo se habet secundum haec tria vel secundum aliquod vel secundum aliqua eorum, scilicet praeteritum, praesens et futurum.

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secondo la durata si estende tuttavia come tra due termini veri o immaginati; secondo questa estensione della durata si dice che una sola disposizione o forma permane più o meno a lungo di un’altra e un’anima è o è stata più o meno a lungo nella gloria o nel purgatorio rispetto ad un’altra, come risulterà più chiaro in seguito47.

3. I diversi gradi delle misure secondo il modo d’essere che si può ricavare dalle misure stesse in quanto, in qualche modo, connotano o si riferiscono a passato, presente e futuro (1) Ora, sebbene le cose dette, che sono state qui premesse, siano comprensibili razionalmente, come può essere chiaro a colui che le osserva con attenzione, bisogna tuttavia considerare, per una maggiore chiarezza sull’argomento, che la durata di qualsiasi cosa può essere intesa in due modi. In un modo si può considerare la durata secondo ciò che è in senso reale in ciò che dura; in un altro modo la si considera in base a ciò che ha modo d’essere della misura. (2) Nel primo modo la durata non è altro se non l’essenza di una cosa secondo la sua permanenza nell’essere, dato che tutte le cose, cioè l’essenza, la permanenza e l’essere, sono uguali in modo essenziale. Qualunque cosa, infatti, è e permane, in virtù della sua essenza. (3) Nel secondo modo la durata è qualcosa di determinato nel modo d’essere di una cosa per l’azione dell’intelletto, grazie al quale cui una cosa si trova nella nostra conoscenza48 secondo il modo d’essere della sua sussistenza e permanenza nell’essere, come nel caso in cui diciamo che il tempo è la durata del moto, poiché determiniamo il tempo rispetto al moto. (4) Ora, quanto a questi modi di intendere la durata, troviamo una differenza delle durate stesse nei diversi generi delle cose. Chiamo «diversi generi» i diversi modi e generi delle cose49, in base ai quali troviamo tre modi generali delle durate o delle misure delle durate, cui possono essere ricondotti, secondo i propri modi d’essere, tutte le sostanze distinte in precedenza. (5) Una durata, infatti, secondo il suo modo di significare, include, nel suo concetto, presente, passato e futuro. Diciamo, infatti, che una cosa dura, in base a ciò che in qualche modo si presenta secondo questi tre [modi] o secondo uno di essi, cioè il passato, il presente e il futuro. Cf. infra, c. 4, (3), pp. 97-99. La scelta di tradurre notitia con «conoscenza» è legata alla provenienza agostiniana del termine. Cf. Augustinus, De Trinitate, IX, 4, n. 4, ed. W.J. Mountain, CCSL 50, p. 297. 49 Cf. Proclus, Elementatio theologica, prop. 20, ed. H. Boese, pp. 13-14; Liber de causis, prop. 5; 21; 22, ed. A. Pattin, p. 147. Cf. anche Dietrich von Freiberg, De intellectu et intelligibili, I, 4, (1-2), ed. B. Mojsisch, p. 138, ll. 44-57; Dietrich von Freiberg, De visione beatifica, 3. 2. 9. (5), ed. B. Mojsisch, in Dietrich von Freiberg, Opera omnia, I cit., p. 95, ll. 65-78. 47 48

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(6) Rem autem aliquam habere se aliquo modo secundum haec tria invenitur tripliciter. (7) Uno modo, ut sua duratio seu mensura durationis suae tria iam dicta, scilicet praeteritum, praesens et futurum, eminenter, immo superexcedenter modo simplici in se praehabeat, non sicut inveniuntur in rebus sparsa et suis proprietatibus naturalibus divisa, sed, sicut dictum est, superexcedenter modo simplici et indistincte secundum rationem prioris et posterioris. Et sic substantiae simplices, quas philosophi ponebant, scilicet intelligentiae et maxime prima causa, incomparabiliter eminentius se habent ad tria praedicta, ea scilicet modo simplici intra se concludendo sua simplici et superexcessiva praesentialitate, qua non solum huiusmodi substantiae sibi in se ipsi sint praesentes, sed etiam omnia et praeterita et praesentia et futura eis sint praesentia praesentialitate superexcedente praesentialitatem, qua aliae res inferioris ordinis dicuntur praesentialiter existere. (8) Huiusmodi igitur duratio seu mensura durationis quoad positionem philosophorum de intelligentiis dicitur aeternitas; quoad primam causam dici potest superaeternitas, ut supra dictum est. (9) Alio modo invenimus secundum inferiorem gradum et ordinem entium aliquas res se habere ad tria praedicta, scilicet praeteritum, praesens et futurum, eo modo, quo tales res secundum suam substantiam et secundum suum esse substantiale solum sunt praesentes, non ea praesentialitate, quae iam dicta est in prima causa vel intelligentiis, ut videlicet tales res, de quibus nunc agitur, includant in se tria iam dicta et praehabeant excedenter eo modo, qui dictus est, sed magis ex proprietate suae praesentialitatis excludit a se tam praeteritum quam futurum, tota simul existens et secundum substantiam absolute sumptam et secundum suam durationem seu durationis suae mensuram, quae secundum hoc tota et semper praesens est, respiciens praeteritum et futurum solum secundum abnegationem seu privationem. Et in hoc differt praesentialitas talis substantiae, quae respicit praeteritum et futurum secundum privationem, a praesentialitate intelligentiae, quae, ut dictum est, modo altiore et simplici in se continet et praeteritum et futurum. (10) Huiusmodi autem substantia, cui competit talis praesentialitas seu duratio seu durationis mensura, est substantia spiritualis individua seu etiam corporalis habens totam suam substantiam simul, quam durationem seu durationis mensuram dicimus proprie aevum. (11) Ad eundem autem modum praesentialitatis reducitur quaecumque substantia, etiam corporalis, quae totam suam substantiam intransmutatam habet

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(6) Il presentarsi poi di una cosa in qualche maniera secondo questi tre [modi] avviene secondo tre possibilità. (7) In un modo, così che la sua durata o la misura della sua durata abbia in sé i già detti in tre [modi], cioè passato, presente e futuro, in modo eminente, anzi in modo che eccede in semplicità ogni determinazione, non come cose prive di connessione nella realtà e divise dalle loro proprietà naturali, ma – come detto – in modo semplice aldilà di ogni determinazione e in modo indistinto secondo il modo d’essere del prima e del poi. E in questo modo le sostanze semplici, che ponevano i filosofi50, cioè le intelligenze e soprattutto la causa prima, presentano in un modo assolutamente più eminente, i tre suddetti [modi], racchiudendoli cioè in se stesse in modo semplice, per la loro presenzialità semplice e aldilà di ogni determinazione, grazie alla quale sostanze di questo genere non solo sono in sé a se stesse presenti, ma anche tutte le cose passate, presenti e future, sono loro presenti con una presenzialità che eccede la presenzialità secondo cui altre cose, di ordine inferiore, si dice che esistano in modo presenziale. (8) Dunque una durata di questo genere, o una misura della durata, per quanto riguarda le intelligenze poste dai filosofi, si dice «eternità»; per quel che riguarda la causa prima può essere chiamata «supereternità», come è stato detto sopra51. (9) In un altro modo – secondo un grado e un ordine inferiore degli enti – troviamo che alcune cose si costituiscono rispetto ai tre suddetti [modi], cioè passato, presente e futuro, nello stesso modo in cui esse sono presenti secondo la loro sostanza e il loro solo essere sostanziale, non con la presenzialità, che è già stata detta della prima causa e delle intelligenze, di modo che tali cose, delle quali ora si discute, includano in sé i tre già detti [modi] e li posseggano in modo eccedente, nello stesso modo che è stato detto, ma piuttosto, per la proprietà della sua presenzialità, [una cosa di questo genere] esclude da sé tanto il passato quanto il futuro, esistendo tutta insieme e secondo la sostanza, considerata in assoluto, e secondo la sua durata o secondo la sua misura della durata, che perciò è tutta insieme e sempre presente, riferendosi a passato e futuro solamente per negazione o privazione. E in questo si differenzia la presenzialità di tale sostanza, che si riferisce a passato e futuro secondo privazione, dalla presenzialità delle intelligenze che – come detto – in modo più elevato e semplice racchiude in sé passato e futuro. (10) Ora, una sostanza di questo genere, cui spetta tale presenzialità o durata o misura della durata, è una sostanza spirituale individuale o anche corporale, che ha tutta insieme la sua sostanza, la cui durata o misura della durata chiamiamo propriamente «evo». (11) Allo stesso tipo di presenzialità è poi riconducibile qualsiasi sostanza, anche corporale, che abbia la sua sostanza immutata tutta insieme o in modo semplice e

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Cf. supra, c. 2, (11), pp. 77-79. Cf. supra, c. 2, (7), p. 77.

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simul sive simpliciter et in perpetuum sive secundum aliquod tempus. Et hoc dico, inquantum in ea non invenitur transmutatio in substantia. (12) Ad eundem etiam modum praesentialitatis pertinent omnes formae seu dispositiones, quae consistunt in esse simplici inquantum huiusmodi. Et haec est ratio, ut supra tactum est, quod mobili praeter instans, quod mensurat mutatum esse, in motu attribuitur mensura ipsum nunc sive instans, quod manet in toto tempore semper se toto praesens. (13) Tertio modo se habent aliquae res ad praeteritum, praesens et futurum eo modo, quo nec ipsa talium rerum praesentialitas continet in se praeteritum et futurum, ut dictum est in primo modo, nec respiciunt huiusmodi res sua praesentialitate praeteritum et futurum per privationem, ut se habet in secundo modo iam dicto, sed magis sua praesentialitate respiciunt directe, et secundum rationem positionis habent respectum ad praeteritum et futurum. Quo ipsa talium entium praesentialitas ex sua proprietate et modo significandi in intellectu suo sicut et re ipsa positive important praeteritum et futurum eo, quod huiusmodi res, quaecumque sit, non est tota simul in esse, sed aliquid substantiae seu essentiae eius praeteriit et aliquid futurum est; tales res sunt quaecumque reales transmutationes inquantum huiusmodi. (14) Talium igitur entium durationem seu durationis mensuram dicimus tempus, et hoc vel proprie, inquantum est mensura motus constans ex partibus divisibilibus, vel similitudinarie, inquantum est mensura transmutationis secundum indivisibiles et simplices passiones, quarum passionum unaquaeque inquantum simplex et tota simul duratio seu mensura durationis attenditur quantum ad secundum modum hic praemissum. (15) Videtur etiam ad hunc tertium modum in generali et secundum quandam similitudinis proportionem reduci modus durationis et mensura, inquantum substantia spiritualis concernit dictas differentias, scilicet praeteritum, praesens et futurum, et propter respectum, quem importat ad variabilitatem in suis passionibus, ut supra dictum est. Sed quia propter famositatem et usum loquentium non placet huiusmodi mensuram vocari tempus, posset convenienter vocari aevum currens sicut duratio seu mensura durationis substantiae spiritualis circumscripto dicto respectu vere dicitur aevum stans propter continuam eius praesentialitatem.

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perpetuo o secondo un qualche tempo. E dico questo, in quanto in essa non si trova un mutamento nella sostanza. (12) Allo stesso tipo di presenzialità appartengono anche tutte le forme o disposizioni, che consistono nell’essere semplici in quanto tali. E questa è la ragione – come è stato accennato prima52 – per cui, eccetto l’istante che misura l’essere mutato, a un mobile nel moto è attribuita una misura come l’«ora» o l’istante, che rimane sempre interamente presente a se stesso durante tutto il tempo. (13) In un terzo modo alcune cose si presentano al passato, al presente e al futuro in un modo in cui né la presenzialità stessa di tali cose contiene in sé passato e futuro, come è stato detto del primo modo53, né tali cose, nella loro presenzialità, sono in relazione con il passato e il futuro secondo la privazione, come si ha nel secondo modo54; bensì grazie alla loro presenzialità sono in relazione in modo diretto, e sono in rapporto con il passato e con il futuro secondo il modo d’essere della posizione. Per questa ragione la presenzialità di tali enti, per la sua proprietà e per il suo significato concettuale, come anche nella realtà, determina positivamente passato e futuro, per il fatto che una cosa di questo genere, qualunque essa sia, non è in essere tutta insieme, ma qualcosa della sua sostanza o della sua essenza è passato e qualcosa è futuro; cose di questo genere sono i mutamenti reali in quanto tali. (14) Chiamiamo allora «tempo» la durata o la misura della durata di tali enti, e questo o in senso proprio, in quanto è misura di un moto che consta di parti indivisibili, o per similitudine, in quanto è misura di un mutamento secondo passioni indivisibili e semplici, delle quali passioni ciascuna, in quanto durata semplice e simultanea o misura della durata si osserva rispetto al secondo modo qui considerato55. (15) A questo terzo modo56, in generale e per una certa similitudine, sembrano essere ricondotte anche il modo della durata e la misura, dal momento che una sostanza spirituale si riferisce alle suddette differenze, cioè passato, presente e futuro, in virtù di un rapporto, che introduce un’alterazione nelle sue passioni, come è stato detto sopra57. Ma poiché per fama e consuetudine non si ritiene giusto che una misura di questo genere sia chiamata «tempo», può essere chiamata in modo conveniente «evo in movimento» come durata o misura della durata di una sostanza spirituale in rapporto a quanto detto, mentre si dice «evo immobile» per la sua presenzialità continua58.

Cf. supra, c. 2, (18), p. 81. Cf. supra, c. 3, (7), p. 93. 54 Cf. supra, c. 3, (9), p. 93. 55 Cf. supra, c. 3, (9-12), pp. 93-95.  56 Cf. supra, c. 3, (13), p. 95.  57 Cf. supra, c. 2, (16), p. 81.  58 Cf. Proclus, Elementatio theologica, prop. 106, ed. H. Boese, p. 54; Augustinus, De Genesi ad litteram, VIII, 20, n. 39, ed. I. Zycha, CSEL 28.1, pp. 258-259. 52 53

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4. Instantiae contra praedicta (1) Habent autem ea, quae dicta sunt, non modicam dubitationem. (2) Quomodo enim essentia spiritualis substantiae et actualis eius existentia est tota simul, non extensa in praeteritum nec futurum et solum praesens est nec in essentia nec in existentia actuali transmutatur? Videtur enim secundum hoc etiam eius duratio esse tota simul nec extendi in praeteritum vel futurum; et sic non videtur differre a duratione primae causae vel intelligentiae, quibus nihil praeteritum vel futurum est. Dictum est autem supra, quod, sicut substantia spiritualis non est ut ens simpliciter solum, scilicet secundum rationem specificam, sed est ens hoc, id est ens singulare, individuum, sic et eius duratio non est duratio ut simpliciter, cuiusmodi est Dei et intelligentiae, sed ut haec, id est praesentialitas tantum connotans respectum et in praeteritum et in futurum, quoniam totalis eius duratio extenditur a praeterito per praesens in futurum, et secundum hoc res aliquae sunt sibi aliquando futurae et tandem praesentes et deinde praeteritae secundum extensionem suae durationis per respectum ad res. (3) Praeterea: Ad amplius urgendum ea, quae dicta sunt, ponamus Deum fecisse ab initio creaturae unam talem substantiam spiritualem sub aliqua dispositione, a qua numquam esset transmutanda, hoc enim possibile est Deo; vel gratia maioris evidentiae ponamus Deum, cum produxit universum, fecisse tunc unum solum angelum non transmutandum in aliquo, et nullam aliam rem fecisse cum ipso: utrumne hac positione facta tota duratio sua fuisset praesens et simul aut extendebatur et fluxit ab illo primo initio suae existentiae in futurum, ut ita sit etiam modo coexistentibus aliis rebus in universo, quoniam talis rerum coexistentia non mutat modum substantiae dictae spiritualis, substantiae scilicet angeli? Si igitur dicatur, quod eius duratio est tota simul et praesens, ergo habet durationem ut simpliciter et non ut hanc. Duratio autem, quae est ut haec duratio rei alicuius, consistit in praesentiali existentia rei, quod est ut nunc existere per differentiam et respectum ad praeteritum et futurum. Si igitur ponamus Deum heri fecisse unum angelum, ille hodie tantum durasset quantum ille, quem fecit in principio in initio mundi; et anima, quae fuisset in purgatorio mille annos, non fuisset plus quam quae una hora, quod est absurdum, posito etiam, quod poena fuisset simplex, non per successivam alterationem afflictio. Sic etiam possemus

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4. Obiezioni a quanto detto in precedenza (1) Ora, le cose che sono state dette, sollevano non pochi dubbi. (2) In che modo, infatti, l’essenza di una sostanza spirituale coincide con la sua esistenza attuale, senza estendersi in passato e futuro, ed è solo presente e non è mutata né nell’essenza né nell’esistenza attuale? In base a ciò sembra infatti che anche la sua durata sia tutta insieme e non si estenda in passato o futuro; e così non sembra essere differente dalla durata della prima causa o di un’intelligenza, nelle quali nulla è passato o futuro. È stato invece detto sopra59 che, come una sostanza spirituale non è come un ente inteso solamente in modo semplice, cioè secondo una ragione specifica, ma «questo determinato ente», ossia un ente singolare e individuale, così anche la sua durata non è una durata pura e semplice, di quel genere cui appartiene quella di Dio e di un’intelligenza, ma è «questa determinata durata», cioè una presenzialità che connota unicamente un rapporto con il passato e con il futuro, poiché la sua durata complessiva si estende dal passato, attraverso il presente, verso il futuro e, alla luce di questo, alcune cose sono ad essa future, altre presenti, altre ancora passate, secondo l’estensione della sua durata in virtù del rapporto con le cose60. (3) Inoltre, per mettere alla prova in modo più approfondito le cose che sono state dette, supponiamo che Dio avesse fatto dall’inizio dell’universo un’unica sostanza spirituale di tal genere, sotto una disposizione dalla quale non fosse mai modificabile, questo, infatti, è possibile a Dio; oppure, per maggiore chiarezza, supponiamo che Dio, quando creò l’universo, avesse fatto allora un solo angelo non modificabile in qualcos’altro, e non avesse fatto nessun’altra cosa assieme a lui: forse, fatta questa supposizione, la sua intera durata sarebbe presente e insieme o si estendeva e fluì dal primo inizio della sua esistenza verso il futuro, così da essere nell’universo assieme ad altre cose coesistenti, dal momento che una tale coesistenza delle cose non muta il modo della suddetta sostanza spirituale, cioè della sostanza di un angelo? Se allora si dice che la sua durata è tutta insieme e presente, dunque [tale sostanza spirituale] ha una durata pura e semplice e non come «questa». Invece, la durata di una cosa intesa come «questa durata» di qualcosa, consiste nell’esistenza presenziale della cosa, il che significa esistere come istante per differenza e in rapporto al passato e al futuro. Se allora supponiamo che Dio ieri avesse fatto un angelo, oggi quello sarebbe durato tanto quanto quello creato in principio all’inizio del mondo; e un’anima che si trovasse in purgatorio per mille anni, non sarebbe lì da più tempo rispetto a quella che vi si trova da un’ora, il che è assurdo, posto anche che la pena fosse semplice e non un tormento secondo un’alterazione progressiva61. In questo modo potremmo Cf. supra, c. 2, (13), p. 79. Cf. Bonaventura a Balnorea, Commentaria in quatuor libros sententiarum magistri Petri Lombardi, liber II, dist. 2, p. 1, art. 1, q. 3, ed. Quaracchi, p. 62. 61 Un’obiezione analoga si trova anche negli argomenti contrari alla tesi bonaventuriana sulla simulta59 60

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dicere in illuminatione aeris, quae est quaedam simplex transmutatio, scilicet quod tantum duraret a meridie usque ad vesperam, quantum a mane usque ad vesperam: quod patet esse falsum. (4) Si autem dicatur hoc, quod in altera parte divisionis proponitur, scilicet quod duratio non est tota simul et totaliter praesens, sed fluit a praeterito per praesens in futurum ita, quod aliqua pars eius praeterierit, alia autem sit praesens sub expectatione futuri, si, inquam, sic dicatur, quaerendum primo, quid sit ipsa duratio, quoniam secundum iam dicta non potest dici, quod sit essentia rei, cui convenit duratio, puta ipsa essentia spiritus, quia essentia talis tota simul est nec extenditur in partem praeteritam et partem futuram, sed omnes partes simul sunt, si quas haberet, nec una earum est prior, alia posterior duratione. (5) Similiter se habet, si dicatur, quod duratio talis substantiae sit ipsum esse suum, quod est actus essentialis essentiae. Secundum hoc enim etiam tale esse indifferens ab essentia totum simul est, nec aliqua pars eius praeterit, ut alia succedat. (6) Eodem autem modo se habet, si quis dicat, quod duratio, de qua hic agitur, sit ipsum esse talis essentiae spiritualis, quod multi dicunt differre ab essentia. Tale enim esse secundum eos etiam simplex est, nec secundum partem et partem sui fluit a praeterito in futurum. (7) Quid est igitur ipsa duratio substantiae spiritualis vel etiam cuiuscumque substantiae individualis? (8) Non enim est ipsa substantia, ut dictum est. Sed nec quantitas, quod patet enumerando omnes species quantitatis, quia nec est linea nec superficies nec corpus nec locus nec tempus, quae enumerat Philosophus in Praedicamentis. Sed nec est motus, quem ponit Philosophus in V Metaphysicae in genere quan-

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parlare anche dell’illuminazione dell’aria, che è un mutamento semplice, cioè che durerebbe tanto da mezzogiorno a sera, quanto da mattina a sera: ciò è chiaro che sia falso. (4) Se invece si dice ciò che è proposto nell’altra parte della distinzione62, ossia che la durata non è tutta insieme e completamente presente, ma fluisce dal passato, attraverso il presente verso il futuro così che una sua parte sia passata, un’altra invece sia presente in attesa del futuro, se – dico – si intende in questo modo, bisogna domandarsi in primo luogo che cosa sia la durata stessa, poiché, alla luce di quanto già detto, non si può dire che essa sia l’essenza di una cosa, cui spetta una durata, ad esempio l’essenza stessa dello spirito, poiché tale essenza è tutta insieme e non si estende in una parte passata e in una futura, ma tutte le parti – se le ha – sono insieme e non sono l’una prima e l’altra dopo nella durata63. (5) Si ha la stessa cosa, se si dice che la durata di tale sostanza sia il suo stesso essere, che è atto essenziale dell’essenza. In base a ciò, infatti, anche tale essere, che è indifferente rispetto all’essenza, è tutto insieme e nessuna sua parte è passata, così che un’altra vi succeda. (6) Avviene allo stesso modo, se qualcuno dice che la durata, di cui si sta qui parlando, sia l’essere stesso di tale sostanza spirituale, che molti dicono essere differente dall’essenza. Secondo loro infatti tale essere è anch’esso semplice e non fluisce secondo le sue parti dal passato al futuro64. (7) Che cosa è allora la durata di una sostanza spirituale o anche di qualsiasi sostanza individuale? (8) Non è infatti la sostanza stessa, come è stato detto65. Ma non è nemmeno una quantità, il che risulta chiaro considerando tutti i tipi di quantità, dal momento che [essa] non è una linea, né una superficie, né un corpo, né un luogo, né un tempo, che il Filosofo enumera nelle Categorie66. Ma non è nemmeno il moto, che il Filosofo – nel V libro della Metafisica67 – pone nel genere della quantità. Il moto infatti è un neità. Cf. Bonaventura a Balnorea, Commentaria in quatuor libros sententiarum magistri Petri Lombardi, liber II dist. 2, p. 1, art. 1, q. 3, ed. Quaracchi, p. 62. 62 Cf. supra, c. 4, (2), p. 97. 63 Cf. Thomas Aquinas, Scriptum super libros Sententiarum cit., II, dist. 2, q. 1, art. 1, sol., ed. P. Mandonnet, P. Lethielleux, p. 63. 64 Cf. Bonaventura a Balnorea, Commentaria in quatuor libros sententiarum magistri Petri Lombardi, liber II, dist. 2, p. 1, q. 3, ed. Quaracchi, p. 62-63. Si veda anche Matthaeus ab Aquasparta, Quodlibet I, q. 3, ms. Todi, 44, f. 87vA-B; Quodlibet III, q. 4, ms. Todi, 44, f. 199vB 65 Cf. supra, c. 4, (4), p. 99. 66 Aristoteles, Categoriae, VI, 4b23-25; Boethius translator Aristotelis in Aristoteles Latinus, I.1-5, ed. L. Minio-Paluello, Desclée De Brouwer, Bruges-Paris 1961, p. 13, ll. 23-25. Editio composita in Aristoteles Latinus, I.1-5, ed. L. Minio-Paluello, Desclée De Brouwer, Bruges-Paris 1961, p. 54, ll. 20-21. Guillelmus de Morbeka translator Aristotelis, in Aristoteles Latinus, I.1-5, ed. L. Minio-Paluello, Desclée De Brouwer, Bruges-Paris 1961, p. 93, ll. 2-4. 67 Aristoteles, Metaphysica, V, 13, 1020a29-32; translatio media in Aristoteles Latinus, XXV.2,

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titatis. Motus enim est transmutatio alicuius substantiae secundum aliquam rem naturae alicuius generis, ut motus secundum locum est transmutatio substantiae secundum locum, et alteratio est transmutatio substantiae secundum qualitatem. Sed nihil talium invenitur in duratione rei. Non enim in tali duratione est aliqua res naturae, secundum quam transmutetur substantia abiciens unam partem et aliam recipiens. (9) Fortassis autem aliquis volet durationem rei ponere in genere qualitatis, et hoc in secunda specie qualitatis, quae est potentia vel impotentia aliquid agendi vel patiendi. (10) Sed istud non potest stare. (11) Primo, quia duratio magis videtur pertinere ad genus quantitatis. Importat enim secundum modum intelligendi et secundum dictam positionem, quae ponit ipsam fluere a praeterito in futurum, quandam extensionem in permanendo in esse. (12) Item secundo: Potentia et impotentia dicunt quasdam dispositiones seu qualitates substantiae non extensas secundum partes suas a praeterito in futurum, sed simpliciter absque extensione tali secundum praesentialem existentiam disponentes substantiam. (13) Sic ergo utrobique occurrunt inconvenientia, sive dicamus durationem substantiae individuae totam simul esse, sive dicamus ipsam extendi et fluere a praeterito per praesens in futurum. (14) Ut etiam hoc cum superioribus addatur, videlicet quod, si duratio est aliquid extensum, ut praemissum est, a praeterito seu praesenti in futurum, ergo secundum modum continuae quantitatis in successivis, nec ipsa tota duratio talis nec aliquae suarum partium simul sunt; igitur id, cui talis duratio competit, solum invenitur esse in quodam indivisibili, quod est terminus continuans inter partes durationis sibi invicem succedentes. Quia igitur nullum tale indivisibile invenitur in actu, nisi actu significetur, sed habet solum esse in potentia, ergo substantia, quaecumque existit secundum dictam durationem, solum videtur esse non in actu, sed in potentia, sicut, si imaginemur aliquod indivisibile fluere

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mutamento di una sostanza secondo una cosa naturale di qualche genere, come il moto secondo il luogo è il mutamento di una sostanza secondo il luogo e l’alterazione è il mutamento di una sostanza secondo la qualità. Ma nessuno di tali [mutamenti] si trova nella durata di una cosa. Infatti, in tale durata non c’è alcuna cosa naturale, secondo la quale una sostanza è modificata perdendo una parte e ricevendone un’altra. (9) Forse qualcuno invece vuole porre la durata di una cosa nel genere della qualità, e questo nel secondo tipo di qualità, che è la potenza o l’impotenza di fare o subire qualcosa68. (10) Ma questo non può essere sostenuto. (11) In primo luogo, perché la durata sembra appartenere di più al genere della quantità. Infatti, secondo il modo di intendere e alla luce della suddetta posizione, che stabilisce che [essa] fluisce dal passato al futuro, la durata – nel suo permanere nell’essere – implica una certa estensione. (12) In secondo luogo, potenza e impotenza definiscono disposizioni o qualità di una sostanza non estese secondo le loro parti dal passato al futuro, ma che dispongono la sostanza in modo semplice senza una tale estensione secondo un’esistenza presenziale. (13) Così, dunque, in entrambe le posizioni69 sopraggiungono inconvenienti: vuoi che diciamo che la durata di una sostanza individuale sia tutta insieme70, vuoi che diciamo che essa si estenda e fluisca dal passato, attraverso il presente, verso il futuro71. (14) Dato anche che ciò si aggiunge a quanto detto in precedenza, ossia che, se la durata – come è stato premesso72 – è qualcosa di esteso dal passato o dal presente verso il futuro, allora secondo il modo della quantità continua nelle cose successive, né tale durata intera, né una delle sue parti è insieme; dunque ciò, a cui spetta tale durata, si trova solamente in qualcosa di indivisibile, che è il termine che continua tra le parti di una durata, che si succedono una dopo l’altra. Dal momento che, allora, nessun indivisibile di questo genere si trova in atto – a meno che non sia segnato in atto –, ma ha l’essere solamente in potenza, quindi una sostanza, qualunque essa sia secondo la suddetta durata, non sembra essere in atto, ma solamente in potenza, come, se immaginiamo qualcosa di indivisibile fluire su una linea, non lo troverem-

ed.  G.  Vuillemin-Diem, E.J.  Brill, Leiden 1976, p.  102, ll.  11-15. Recensio et Translatio Guillelmi de Moerbeka in Aristoteles Latinus, XXV.3, ed. G. Vuillemin-Diem, E.J. Brill, Leiden-New York-Köln 1995, p. 111, ll. 539-544. 68 Aristoteles, Metaphysica, V, 14, 1020b18-20; translatio media, p. 103, ll. 9-12. Recensio et Translatio Guillelmi de Moerbeka, p. 112, ll. 566-570. 69 Cf. supra, c. 4, (2), p. 97. 70 Cf. supra, c. 4, (2-3), pp. 97-99. 71 Cf. supra, c. 4, (4), p. 99. 72 Cf. supra, c. 3, (5), p. 99.

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per lineam, in nullo puncto lineae inveniretur in actu, sed in potentia; alias significaret infinita puncta in actu et contingeret lineam componi ex punctis. (15) Ad ista igitur, quae praemissa sunt, intelligendum. (16) Et primo quantum ad primum modum assignationis mensurarum durationis. Quoniam ista quaestio generalis est ad omnem substantiam individualem secundum rationem suae substantiae, quam totam simul habet, quia non extenditur secundum aliquam partem eius in praeteritum et secundum aliam in futurum, secundum hoc considerandum, quod duratio cuiuscumque talis substantiae individualis, sive sit spiritualis sive corporalis, est permanentia talis substantiae secundum actualem existentiam eius ut nunc praesentialiter, sub respectu tamen ad praeteritum et futurum. Dico autem respectum ad praeteritum quantum ad esse rei post suum initium essendi; semper autem – sive in sui initio essendi sive post – habet respectum ad futurum. (17) Ad cuius evidentiam notandum, quod, sicut praemissum est, substantia individualis est substantia, in quam determinata est natura speciei, ut iam talis substantia non sit ut ens simpliciter, scilicet secundum esse specificum, sed est haec substantia, id est individualis et hoc ens, scilicet individuale. Ideo et eius duratio est haec existentia, scilicet secundum nunc sub respectu ad praeteritum et futurum. Et secundum hoc non est huiusmodi duratio tota simul, sed extensionem habet a praeterito per praesens in futurum non solum secundum respectum ad coexistentiam rerum praeteritarum, praesentium et futurarum secundum decursum huius universi, sed etiam in sua propria substantia invenitur huiusmodi extensio quantum ad suum modum substantialem. Quod sic patet. Secundum Philosophum enim in II De caelo et mundo unaquaeque res est propter suam operationem. Operationes autem singularium sunt et individuorum. Individuales enim operationes non exeunt a substantiis nisi secundum modum proprium substantiarum et secundum modum substantialem, quo ultimo et completive sunt substantialiter id, quod sunt, qui modus talium substantiarum est individualitas, sine quo modo nec ipsa substantia individualis esset nec ipsa natura speciei, quae ad hoc, quod sit, determinari habet in individuum, cuius ratio consistit in

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mo in atto in nessun punto della linea, ma in potenza; in caso contrario segnerebbe infiniti punti in atto e accadrebbe che la linea sarebbe composta di punti73. (15) Dunque, a proposito delle cose che sono state dette in precedenza, bisogna riflettere. (16) In primo luogo [bisogna riflettere] sul primo modo di assegnazione delle misure di una durata74. Dal momento che codesta questione generale è relativa ad ogni sostanza individuale secondo il modo d’essere della sua sostanza, che ha tutto insieme – dato che non si estende secondo una qualche sua parte nel passato e secondo un’altra nel futuro –, per questa ragione bisogna considerare che la durata di una qualunque di tali sostanze individuali, siano esse spirituali o corporee, consiste nella permanenza di tale sostanza secondo la sua esistenza attuale come «istante presente», in rapporto, però, al passato e al futuro. Ora, dico «in rapporto al passato» quanto all’essere di una cosa dopo che ha iniziato ad essere; invece è sempre, o nel momento in cui ha iniziato ad essere, o in seguito, «in rapporto al futuro». (17) A sostegno di questo argomento bisogna notare che – come è stato detto prima75 – una sostanza individuale è una sostanza, in cui la natura della specie è determinata, così che già tale sostanza non sia come «un ente puro e semplice», cioè secondo un essere specifico, ma è «questa sostanza», cioè individuale e «questo ente», cioè individuale. Perciò anche la sua durata è «questa esistenza», ossia secondo l’istante, in rapporto al passato e al futuro. E in base a ciò una tale durata non è tutta insieme, ma ha un’estensione dal passato, attraverso il presente, verso il futuro, non soltanto secondo un rapporto di coesistenza con le cose passate, presenti e future in base al decorso di questo universo, ma anche nella sua propria sostanza si trova un’estensione di questo genere relativa al suo modo sostanziale. Ciò è chiaro in questo modo. Infatti, secondo il Filosofo nel II libro del De caelo, qualsiasi cosa è a causa della sua operazione76. Le operazioni poi appartengono alle cose singolari e individuali. Infatti le operazioni individuali non provengono dalle sostanze, se non secondo il modo proprio delle sostanze e secondo il modo sostanziale, grazie al quale sono sostanzialmente ciò che sono in modo definitivo e completo, poiché il modo di tali sostanze è l’individualità; se così non fosse, né la sostanza stessa sarebbe individuale, né la natura stessa della specie che, rispetto a ciò che è, deve essere determinata nell’individuo, il cui modo d’essere consiste 73 Thomas Aquinas, Quaestiones de quodlibet X, q. 2, ad 2, ed. Commissio Leonina-Éditions du Cerf, Roma-Paris 1996, p. 129, l. 121 - p. 130, l. 134. 74 Cf. supra, c. 2, (7-32), pp. 77-85. 75 Cf. supra, c. 4, (20), p. 97. 76 Aristoteles, De caelo, II, 3, 286a8-9; Robertus Grosseteste translator Aristotelis in Aristoteles Latinus, VIII.1, ed. F. Bossier, Aristoteles Latinus Database. Guillelmus de Morbeka translator Aristotelis in Aristoteles Latinus, VIII.2, ed. F. Bossier, Aristoteles Latinus Database. Michael Scotus translator Aristotelis in Averrois Cordubensis commentum magnum super libro De celo et mundo, II vol., ed. F.J. Carmody, R. Arnzen, Peeters, Leuven 2003, p. 297, ll. 6-7.

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habendo partes posteriores toto, quas vocat Philosophus partes secundum materiam in VII Metaphysicae. (18) Ex his autem ulterius sequitur, quod huiusmodi operationes individuales necessario fiunt secundum aliquas dispositiones accidentales adhaerentes seu supervenientes talibus substantiis. A quibus accidentalibus formis et dispositionibus immunes sunt substantiae, quae solum sunt ut simpliciter entia, non individuata, quibus nihil accidere potest eo, quod sunt entia simplicia et suam perfectionem per suam essentiam acquirunt. Formae autem accidentales sunt dispositiones entis habentis partes, quibus huiusmodi entia acquirunt suas perfectiones per suas proprias operationes, quae sunt fines talium entium, propter quas talia entia sunt secundum Philosophum, ut praemissum est. Haec igitur est intentio naturae in constituendo substantias individuales in ordine ad suas operationes, sicut alibi oportunius et evidentius ostenditur. Unde Philosophus VII Metaphysicae exemplificans specialiter de animalibus dicit: «Rectum est, quod animal habeat sensum, et ideo non est sine motu, et ideo non est sine partibus». Manifestum est autem, quod substantiae individuales variantur vel saltem variabiles sunt secundum suas dictas operationes. Omne autem variatum vel variabile inquantum huiusmodi est ut nunc ens, ut patet de motu et partibus eius. Omne enim, quod variatur aut variabile est, variatur et variabile est ut nunc. Variabilitas enim per se et secundum propriam rationem cadit ab esse ut simpliciter et est ut nunc. (19) Colligantur igitur summarie, quae dicta sunt. (20) Quoniam unaquaeque res est propter suam operationem secundum Philosophum, individualis autem substantia hoc ens est sive hoc aliquid subsistens in partibus suis, secundum quas insunt aliquae dispositiones accidentales, quibus elicit suas proprias operationes, unde et secundum huiusmodi variatur vel saltem variabile est. Variatio autem seu variabilitas est ut nunc, et hoc competit ei secundum propriam rationem. Igitur intentio naturae est in constituendo individuales substantias in ordine ad tales operationes, quae sunt ut nunc. (21) Istis igitur ad complementum praesentis considerationis addatur hoc, vi-

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nell’avere assieme interamente le parti «posteriori», che il Filosofo, nel VII libro della Metafisica, chiama «parti secondo la materia»77. (18) Ora, da queste cose segue ulteriormente che operazioni individuali di questo genere si verificano in modo necessario secondo alcune disposizioni accidentali che ineriscono o sopraggiungono in tali sostanze. Da queste forme e disposizioni accidentali sono esenti le sostanze che sono solamente enti in modo puro e semplice, non individuati, ai quali nulla può sopraggiungere, per il fatto che sono enti semplici e acquisiscono la loro perfezione per la loro essenza. Le forme accidentali sono invece disposizioni di un ente che possiede delle parti, grazie alle quali, enti di questo genere, acquisiscono le loro perfezioni per mezzo delle loro operazioni specifiche, che di tali enti costituiscono i fini, per cui – secondo il Filosofo78 – esistono, come è stato detto in precedenza79. È questa allora l’intenzione della natura quando costituisce le sostanze individuali in ordine alle loro operazioni, come altrove80 è stato mostrato in modo più opportuno ed evidente. Di conseguenza il Filosofo, nel VII libro della Metafisica, facendo un esempio riferito in modo particolare agli animali dice: «è giusto che l’animale sia un essere sensibile, e perciò non esiste senza moto, e perciò non esiste senza parti»81. È poi evidente che le sostanze individuali sono alterate o quantomeno sono alterabili secondo le loro suddette operazioni. Ogni cosa poi è alterata o alterabile, in quanto tale, come «ente-presente-ora», come è chiaro nel caso del moto e delle sue parti. Infatti ogni cosa, che è alterata o alterabile, è alterata e alterabile come istante. Infatti, l’alterabilità per sé, e secondo il proprio modo d’essere, discende dall’essere in modo puro e semplice ed è istantanea. (19) Vanno allora riassunte le cose che sono state dette. (20) Dal momento che, secondo il Filosofo82, ogni cosa è in virtù della sua operazione, una sostanza individuale è «questo ente» o «questo qualcosa» che sussiste nelle sue parti, in base alle quali sono presenti alcune disposizioni accidentali, con cui svolge le sue operazioni specifiche; di conseguenza e in questo modo, [una sostanza individuale] è alterata o quantomeno alterabile. Ora, l’alterazione o l’alterabilità è istantanea, e questo le spetta secondo il proprio modo d’essere. L’intenzione della natura allora consiste nel costituire le sostanze individuali in ordine a tali operazioni che sono istantanee. (21) Per completare le presenti considerazioni, va allora aggiunto questo, cioè 77 Aristoteles, Metaphysica, VII, 10, 1035b11-12; translatio media, p. 141, ll. 1-4. Recensio et Translatio Guillelmi de Moerbeka, p. 150, ll. 519-522. 78 Aristoteles, Metaphysica, VII, 10, 1035b11-12: cf. n. 64. 79 Cf. Le misure della durata, 2, (17), p. 81. 80 Dietrich von Freiberg, De origine rerum praedicamentalium, 5, (34), ed. L. Sturlese, p. 190, ll. 312326. 81 Aristoteles, Metaphysica, VII, 10, 1036b28-30; translatio media, p. 144, ll. 4-6. Recensio et Translatio Guillelmi de Moerbeka, p. 154, ll. 604-606. 82 Aristoteles, De caelo, II, 3, 286a 8-9: cf. n. 63.

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delicet quod secundum ea, quae dicta sunt, necessario in substantia individuali invenitur aliquis respectus substantialis ad quamcumque talium dispositionum accidentalium variabilium. Dico autem «substantialis respectus», inquantum in ipsa tali substantia fundatur, non ponens in numerum cum tali suo fundamento, quod est ipsa substantia individui; quod etiam universaliter verum est in omni respectu naturae, scilicet quod non ponit in numerum cum suo fundamento. Ex respectibus enim non est res materialis plus quam sine respectibus. Quod etiam exemplariter patet in materia et respectu ipsius ad formam et in forma et respectu ipsius ad materiam, qui sunt respectus naturae; et inclinatio, non dico «motus», lapidis deorsum, quae inclinatio non ponit in numerum cum forma gravis. Et universaliter se habet ita in respectibus naturae activorum et passivorum ad invicem. (22) Cum ergo respectus substantialis individuae substantiae, qui non ponit in numerum cum tali substantia, sed est ipsa substantia individualis, sit ut hic et nunc ratione sui termini, quem respicit, qui est aliqua dispositio vel forma seu operatio, quae est ut nunc ratione suae variabilitatis, ut dictum est, necessarium est ipsam talem individuam substantiam esse ut nunc. Et secundum respectum saepe dictum, qui est ipsa substantia individua, respicit in praeteritum, praesens et futurum, inquantum talis substantia variatur vel variabilis est in praeterito, praesenti et futuro. Quamvis autem ratione termini, qui est variabilitas, quem respicit dictus respectus, inveniatur ut hic et nunc, habet tamen originaliter hoc ex proprietate sui fundamenti, immo habet hoc ex sui ipsius natura et essentia, qua respectus est concernens utrumque terminum hinc inde, scilicet suum fundamentum ex parte una et saepe dictam variabilitatem ex parte altera. Et sic talis substantia individua secundum suam substantiam invenitur ut nunc existere et nihilominus in sua substantia permanet continue, sed est fluens ex praeterito per praesens in futurum secundum esse. (23) Quod sic patet hic. Secundum ista enim, quae dicta sunt circa substantiam individualem, attenduntur quinque termini, quibus uti possumus in loquendo, proprie vel saltem appropriate quantum ad modum intelligendi et significandi distincti. (24) Attendimus enim in ipsa primo id, quod est secundum substantiam. Item secundo consideramus permanentiam eius, quae importat quandam fixionem et indeficientiam substantiae eius. Tertio videmus et attendimus esse eius, quod est quidam actus existentiae eius concernens et connotans talis substantiae variabilitatem. Quarto invenimus etiam durationem ipsius, quae proprie loquendo importat quasi quandam extensionem esse ipsius inter duos terminos vel veros

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che, in base alle cose che sono state dette, in una sostanza individuale si trova necessariamente un qualche rapporto sostanziale rispetto a qualcuna di tali disposizioni accidentali alterabili. Dico poi «rapporto sostanziale», in quanto si fonda proprio su tale sostanza, senza essere enumerata assieme con il suo fondamento, che è la sostanza stessa dell’individuo; la qual cosa è anche universalmente vera in ogni rapporto naturale, cioè che non viene enumerata assieme con il suo fondamento. Dai rapporti, infatti, non deriva una cosa materiale più che in assenza di rapporti. Ciò è evidente in modo esemplare anche nella materia e nel suo rapporto con la forma e nella forma e nel suo rapporto con la materia, che [in entrambi i casi] sono rapporti naturali; anche l’inclinazione, non dico il «moto», della pietra verso il basso, questa l’inclinazione non viene enumerata con la forma del grave. E generalmente avviene in questo modo nei rapporti naturali delle cose attive con quelle passive e viceversa. (22) Poiché, dunque, un rapporto sostanziale di una sostanza individuale, che non viene enumerata assieme con tale sostanza, ma è la stessa sostanza individuale, esiste come «qui e ora» in ragione del termine, cui si riferisce, che è una disposizione o una forma o un’operazione, che esiste come istante in ragione della sua alterabilità – come è stato detto –, è necessario che proprio tale sostanza individuale esista come istante. In base al rapporto più volte menzionato, che è la sostanza individuale stessa, [tale sostanza individuale] si riferisce al passato, al presente e al futuro, dal momento che tale sostanza è alterata o è alterabile nel passato, nel presente e nel futuro. Sebbene poi in ragione del termine, che è l’alterabilità e a cui si riferisce il suddetto rapporto, [la sostanza individuale] si trovi come «qui e ora», essa possiede tuttavia questa condizione dall’origine e per la proprietà del suo fondamento, anzi, la possiede per la sua stessa natura ed essenza, grazie alla quale il rapporto si riferisce ad entrambi i termini da una parte e dall’altra, cioè il suo fondamento da una parte e la suddetta alterabilità dall’altra. In questo modo tale sostanza individuale si costituisce, secondo la sua sostanza, come «esistere ora» e nondimento essa permane nella sua sostanza in modo continuo, ma fluisce, secondo l’essere, dal passato, attraverso il presente verso il futuro. (23) E che sia così, risulta evidente in questo modo. In base alle cose che sono state dette sulla sostanza individuale infatti, si osservano cinque punti di vista, che possiamo utilizzare parlando, propriamente o quantomeno in modo appropriato, quanto al modo di intendere e attribuire un significato distinto. (24) In primo luogo infatti osserviamo [nella sostanza individuale] stessa ciò che essa è secondo la sostanza. In secondo luogo, consideriamo la sua permanenza, che causa una fissità e un compimento della sua sostanza. In terzo luogo, vediamo e osserviamo il suo essere, che è atto della sua esistenza, che si riferisce e connota l’alterabilità di tale sostanza. In quarto luogo, troviamo anche la sua durata che, propriamente parlando, stabilisce una sorta di estensione del suo stesso essere tra due termini, veri o immaginati, come accade per la durata di una cosa generabile

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vel imaginatos, sicut se habet duratio rei generabilis et corruptibilis, quae continetur tempore et ex parte sui initii et ex parte finis. Circa quam durationem quinto ordine attenditur magnum et parvum seu longum et breve. (25) Substantia igitur individua secundum substantiam est permanens tota simul, et nihil sui fuit in praeterito, quod nunc non sit praesens et sic invenitur in futuro. (26) Secundum esse autem, quod est actus entis, secundum saepe dictum respectum concernit seu connotat variabilitatem quandam, qua ipsum tale esse extenditur a praeterito per praesens in futurum; et secundum hoc talis individua substantia non invenitur in esse indivisibili. Talis autem extensio secundum esse, ut dictum est, considerata inter duos terminos veros vel imaginatos est talis substantiae individuae duratio, quae in aliquibus est longior vel brevior, ut per se patet. (27) Quod autem dictum est, quod saepe dicta substantia individua non est in indivisibili secundum esse, manifestum exemplum et simile habemus et experimur in nobis quantum ad phantasticum nostrum. Quod concipiendo diversa instantia, inter quae continuat tempus, et secundum hoc primo originaliter in anima oritur tempus secundum hoc, inquantum sentit se nostrum phantasticum non esse in indivisibili, et sic plus vel minus extendit tempus inter duos terminos indivisibiles, sicut pertractat Commentator Super IV Physicorum. Sic ergo, quamvis esse talis substantiae non consistat in indivisibili, ipsa tamen substantia individua quantum ad suam substantiam simul est et permanet a praeterito in praesens et futurum. Et propterea etiam substantiae individuae, quae subiciuntur motui, propter talem permanentiam assignatur mensura ipsum nunc, quod permanet nec transit nec desinit in tempore, ut dicitur in IV Physicorum. (28) Ei autem, quod dictum est, scilicet quod individua substantia non est indivisibilis secundum esse, ipsa autem substantia individua tota semper permanet et sic ipsum esse est res fluens, videtur contrarium hoc, quod communiter a multis dicitur, videlicet quod ipsum esse est essentia rei. Quomodo igitur ipsa substantia talis est semper permanens, fluit autem secundum esse, quod est essentia eius? (29) Ad quod dicendum, quod esse est actus entis. Actus autem entis importat non solum id, quod substantiale est, sed etiam id, quod per se concretum est substantiae. Igitur in proposito agendo de esse individuae substantiae ipsum

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e corruttibile, che è limitata nel tempo sia dalla parte del suo inizio, sia da quella della sua fine. In quinto luogo, a proposito di questa durata, si osserva il grande e il piccolo o il lungo e il breve. (25) Dunque una sostanza individuale, secondo la sostanza, permane tutta insieme, e non ci fu nulla di essa nel passato che ora non sia presente e così si trova nel futuro. (26) Secondo l’essere invece, che è atto dell’ente, secondo il rapporto più volte menzionato, [una sostanza individuale] riguarda o connota una certa alterabilità, per mezzo della quale proprio tale essere si estende dal passato, attraverso il presente verso il futuro; e di conseguenza tale sostanza individuale non si trova in un essere indivisibile. Ora, tale estensione secondo l’essere, considerata tra due termini veri o immaginati, è – come è stato detto – la durata di tale sostanza individuale, che in alcune cose è più lunga o più breve, come è chiaro da sé. (27) Di ciò che è stato detto invece, [e cioè] che spesso la suddetta sostanza individuale non è nell’indivisibile secondo l’essere, ne abbiamo un esempio evidente e un caso analogo e ne facciamo esperienza per quanto concerne la nostra immaginazione. Per il fatto che concepiamo nella mente diversi istanti, tra i quali continua il tempo, di conseguenza anche questo sorge anzitutto e in modo originario nell’anima, per il fatto che la nostra immaginazione percepisce di non essere nell’indivisibile, e più o meno in questo modo il tempo si estende tra due termini indivisibili, come tratta il Commentatore nel IV libro della Fisica83. Così dunque, sebbene l’essere di tale sostanza non consista in qualcosa di indivisibile, la sostanza individuale stessa è tuttavia, quanto alla sua sostanza, insieme e permane dal passato, al presente e nel futuro. Perciò anche alla sostanza individuale, che è soggetta al moto, è assegnata, in virtù di tale permanenza, la misura dell’istante che permane e non passa o termina nel tempo, come dice il Filosofo nel IV libro della Fisica84. (28) Invece, a quanto è stato detto, e cioè che una sostanza individuale non è indivisibile secondo l’essere, ma permane sempre insieme, e così l’essere stesso è ciò che fluisce, sembra contrario quanto è sostenuto comunemente da molti e cioè che l’essere stesso è l’essenza della cosa. In che modo, allora, una tale sostanza è sempre permanente, mentre fluisce secondo l’essere, che è la sua essenza? (29) A questo proposito occorre dire che l’essere è atto dell’ente85. Ora, l’atto di un ente non determina soltanto ciò che è sostanziale, ma anche ciò che è per sé concreto di una sostanza. Dunque, trattando dell’essere di una sostanza individuale, proprio 83 Averroes, Aristotelis opera cum Averrois commentariis, Physicorum liber IV, comm. 100, Venetiis apud Junctas, 1562-1574, vol. 4 [réimpr. Frankfurt, Minerva, 1962], 180vH-M. 84 Aristoteles, Physica, IV, 11, 219b10-20; translatio vetus, p. 176, ll. 3-13. Translatio nova, p. 286. 85 Thomas Aquinas, Quaestiones disputatae de veritate, q. 10, art. 8, ad 12, cura et studio fratrum praedicatorum, Edizioni di San Tommaso, Roma, 1970, p. 323, l. 400 - p. 324, l. 406.

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tale esse quantum ad principale significatum est ipsa substantia rei, connotat autem cum hoc quandam accidentalitatem ratione variabilitatis, quam respicit ipsa substantia rei individuae ex proprietate suae individuationis, qua stat sub respectu ad saepe dictam variabilitatem. Et secundum hoc ipsum tale esse differt a substantia absolute accepta. Et secundum hoc posset concedi, quod ipsum esse est etiam accidens essentiae seu substantiae, ut multi dicunt. Sed hoc solum haberet locum in individuis substantiis.

5. Inductarum instantiarum dissolutio secundum primum modum assignationis mensurarum praemissum (1) Secundum ea igitur, quae dicta sunt, patet dissolutio eorum, quae inducta sunt. Et sunt summarie loquendo tria, quae inducta sunt in quaestione dubitationis. (2) Primo enim ex iam dictis manifestum est, quod substantia spiritualis ratione sui respectus substantialis, quem importat ad variabilitatem seu variationem duratio sui esse, non est tota simul, sed respicit in praeteritum et futurum, sive accipiatur duratio existentia sive permanentia eius, sive accipiatur duratio mensura talis permanentiae determinata opere rationis circa ipsam permanentiam, sicut determinamus tempus circa motum secundum distinctionem nominis durationis praemissam. Et secundum hoc patet, quod huius spiritualis substantiae et cuiuslibet simplicis passionis seu formae eius duratio seu mensura differt a mensura aeternitatis et superaeternitatis, et differunt etiam quantum ad extensionem durationes diversarum spiritualium substantiarum prius vel posterius creatarum. (3) Secundo autem de eo, quod dubitatur, quid sit ipsa duratio saepe dictae substantiae spiritualis, dicendum, quod sive accipiatur duratio pro ipsa existentia seu permanentia talis substantiae sub saepe dicto respectu ad variabilitatem, sive accipiatur duratio pro mensura dictae durationis opere rationis determinata, ut dictum est, non est nisi aliquid simile quantitati continuae successivae. Dico autem simile quantum ad durationem, quae est existentia seu permanentia substantiae, quae est ipsa substantia; et constat substantiam non esse quantitatem. Quantum autem ad durationem, quae est mensura opere rationis determinata, dico etiam simile quantitati eo, quod in nullo genere seu specie quantitatis nu-

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tale essere, quanto al suo significato principale, è la sostanza stessa di una cosa, mentre connota assieme a questo una certa accidentalità in virtù di quell’alterabilità, cui si riferisce la sostanza stessa di una cosa individuale a causa della proprietà della sua individuazione, in virtù della quale entra in rapporto con la già menzionata alterabilità. Per questa ragione proprio tale essere differisce dalla sostanza considerata in modo assoluto. Per questa ragione si potrebbe concedere che lo stesso essere sia anche l’accidente di un’essenza o di una sostanza, come molti dicono. Ma questo potrebbe avvenire solo nelle sostanze individuali.

5. Soluzione alle obiezioni formulate sulla base del primo modo di assegnazione delle misure (1) Dunque, la soluzione alle obiezioni che sono state sollevate è chiara alla luce delle cose che sono state dette. Detto in modo sintetico, sono tre le obiezioni che sono state sollevate nel corso della discussione dei punti controversi. (2) In primo luogo, infatti, è evidente, alla luce di quanto detto, che una sostanza spirituale, a motivo del suo rapporto sostanziale – che la durata del suo essere stabilisce con l’alterabilità o l’alterazione –, non è tutta insieme, ma si riferisce al passato e al futuro, sia nel caso in cui si consideri la durata come esistenza, sia che la si consideri come permanenza, o ancora che si consideri la durata come misura di tale permanenza, determinata ad opera della ragione rispetto alla permanenza stessa, così come determiniamo il tempo rispetto al moto, in base alla distinzione dei nomi della durata che abbiamo fornito sopra86. Di conseguenza è chiaro che la durata o la misura della durata di questa sostanza spirituale e di qualsiasi sua passione semplice o forma è differente dalla misura dell’eternità e della supereternità, e quanto all’estensione, sono differenti anche le durate di diverse sostanze spirituali create prima o dopo. (3) In secondo luogo poi, a proposito di quello che si è messo in discussione, e cioè che cosa sia la durata vera e propria della suddetta sostanza spirituale, bisogna dire che, sia nel caso in cui si consideri la durata in ragione dell’esistenza stessa o della permanenza di tale sostanza relativamente al già menzionato rapporto con l’alterabilità, sia che si concepisca la durata in conformità alla misura della suddetta durata, determinata – come è stato detto – con l’azione della ragione, [la durata] non è altro se non qualcosa di simile a una quantità continua successiva. Ora, dico «simile» quanto alla durata, che è esistenza o permanenza di una sostanza, che è la sostanza stessa; ed è certo che la sostanza non sia una quantità. Quanto invece alla durata, che è una misura determinata con l’azione della ragione, dico anche in questo caso «simile a una quantità», per il fatto che non è annoverata in alcun genere o specie di quantità, visto che il genere, cioè la quantità, come anche altri generi di predicamenti, sono 86

Cf. supra, c. 2, (7-38), pp. 77-87.

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meratur, quod genus, scilicet quantitas, sicut et alia genera praedicamentorum secundum suas species magis secundum probabilitatem et famositatem quam secundum veritatem logicae enumerata sunt et distincta; alias enim vere posset dici quantitas, si famositas et auctoritas hoc admitteret, ita sicut de tempore: et nisi etiam hoc obstaret, quod quantitas, de qua logici tractant, attenditur circa corporalia et non circa spiritualia, de quorum proprietatibus et passionibus nihil loquuntur. (4) Quantum autem ad tertium praeinductorum, scilicet quod, si extenditur duratio, quod res habens talem durationem non invenitur nisi in esse indivisibili, et per consequens non invenitur esse nisi in potentia et non in existentia actuali, dicendum, quod substantia stans sub saepe dicto respectu ad variationem, quamvis supra dicto modo extendatur a praeterito per praesens in futurum, talis tamen extensio quoad ipsum respectum nulla est variatio vel transmutatio. Respectus enim quicumque in eo, quod respectus, non facit nec importat variationem aliquam vel transmutationem in re, quae solum attenditur in absolutis. Arguebat autem, ac si talis extensio durationis esset quaedam rei transmutatio seu variatio. Eodem enim respectu, quo res aliqua respicit aliquid futurum, respicit illud idem, cum fuerit praesens et cum transierit in praeteritum. (5) Si concederemus etiam, quod quantum ad dictam durationis extensionem res solum inveniatur in esse indivisibili, nihilominus tamen secundum suam substantiam absolute consideratam circumscripto respectu saepe dicto invenitur semper praesens in actu et sic secundum existentiam actualem, sicut in simili invenitur in mobili quantum ad sui variationem in motu, quod quantum ad quodlibet mutatum esse ipsius variationis invenitur mobile ens in potentia. Et respondet tali mutato esse instans, quod est terminus continuativus temporis. Ipsum autem mobile quantum ad suam substantiam invenitur in esse actuali in tota transmutatione. Unde correspondet sibi tamquam propria mensura nunc temporis, quod manet in toto tempore, sicut habetur in IV Physicorum.

6. Instantiarum dissolutio secundum modum secundum assignationis mensurarum (1) Quantum autem ad secundum praehabitum modum assignationis mensurarum durationis similiter patet responsio ad inductas dubitationes.

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annoverati e distinti in base alle loro specie più per probabilità e modo comune di intendere che per verità logica87; in caso contrario, infatti, si potrebbe veramente definire «quantità» – se il modo comune di intendere e l’autorità lo consentissero – così come lo si dice del tempo: e se non costituisse un impedimento anche questo e cioè che la quantità, di cui trattano i logici, si osserva a proposito delle cose corporali e non di quelle spirituali, delle cui proprietà e passioni non dicono nulla. (4) Quanto invece alla terza obiezione precedentemente sollevata, e cioè che, se una durata si estende, poiché una cosa che possiede tale durata non si trova se non in un essere indivisibile, e di conseguenza non si trova ad essere se non in potenza e non in esistenza attuale, bisogna dire che una sostanza che sta sotto il già menzionato rapporto con l’alterazione, pur estendendosi – come detto in precedenza – dal passato, attraverso il presente, verso il futuro, tuttavia tale estensione, per quanto riguarda il rapporto stesso, non comporta alcuna alterazione o mutamento. Infatti, qualsiasi rapporto, in quanto tale, non produce, né introduce alcuna alterazione o mutamento in una cosa, che si osserva soltanto nelle cose assolute. Si criticava invece anche se tale estensione della durata fosse una qualche modificazione o alterazione della cosa. Infatti, con lo stesso rapporto con cui una cosa si riferisce a qualcosa di futuro, si riferisce al medesimo [futuro], quando fu presente e quando trapassò nel passato. (5) Se anche ammettessimo che, quanto alla suddetta estensione della durata una cosa si trovi soltanto nell’essere indivisibile, tuttavia secondo la sua sostanza, intesa in modo assoluto, escluso il già citato rapporto, si trova sempre presente in atto e così secondo l’esistenza attuale, come in modo simile nel mobile, quanto alla sua alterazione nel moto, avviene che rispetto a qualsiasi essere mutato di una stessa alterazione un ente mobile si trova in potenza. E a tale essere mutato corrisponde un istante che è termine continuativo del tempo. Il mobile stesso, invece, quanto alla sua sostanza, si trova nell’essere attuale durante tutto il mutamento. Di conseguenza, l’istante di tempo, che permane per tutto il tempo, corrisponde [al mobile] come [sua] misura propria, come si dice nel IV libro della Fisica88.

6. Soluzione alle obiezioni formulate sulla base del secondo modo di assegnazione delle misure (1) Quanto invece al secondo modo di assegnazione delle misure di una dura87 Sull’uso e la possibile provenienza dell’espressione magis secundum probabilitatem et famositatem quam secundum veritatem logicae di cui Teodorico si serve – in termini pressoché identici – anche nel De origine rerum praedicamentalium, nel De magis et minus e nel De natura contrariorum, si veda D. Calma, Le poids de la citation. Étude sur les sources arabes et grecques dan l’œuvre de Dietrich de Freiberg, Academic Press Fribourg, Fribourg, 2010 (Dokimion, 35), pp. 30-32, 125-126. 88 Aristoteles, Physica, IV, 11, 219b12-15: cf. nota 84.

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(2) Considerando enim substantiam spiritualem individualem quantum ad ipsam suam substantiam absolute circumscripto saepe dicto respectu dictum est, quod eius praesentialitas seu praesentialis existentia concernit et connotat praeteritum et futurum secundum rationem privationis et non secundum illum modum, quo aeternitas haec tria, scilicet praeteritum, praesens et futurum, in se colligit positive et secundum quandam superexcedentiam in se praehabet eminentiore modo, quam sint in rebus inferioribus, ut praemissum est. (3) Attendendo igitur hoc, quod iam dictum est, manifestum est, quod mensura durationis spiritus separati seu substantiae spiritualis differt a mensura durationis rei aeternae, quae in se continet superexcedenter praesens, praeteritum et futurum positive ea intra se concludens modo eminentiore, quam ipsa sint in se ipsis. Duratio autem seu mensura durationis substantiae spiritualis, de qua sermo est, quantum ad absolutum indivisibile esse eius concernit et connotat ea, scilicet praeteritum et futurum, secundum privationem stans solum et permanens secundum praesentialitatem suae existentiae. (4) Quod etiam secundo inductum est, quid sit mensura durationis talis, dicendum, quod nec est quantitas nec simile quantitati, quia indivisibile est, nec aliquo modo positive extenditur, sed totum indivisibiliter semper praesens existit. (5) Patet etiam tertio, quod saepe dicta substantia spiritualis nec secundum suam durationem nec secundum mensuram suae durationis modo praedicto sibi determinatam subicitur transmutationi seu variationi; et sic secundum simplex esse suae durationis semper est in actu suae existentiae.

7. Differentia dictarum mensurarum, secundum quod diversimode se habent ad invicem ipsum nunc et mensura, cuius dicitur esse ipsum nunc (1) Quoniam autem secundum famosum loquendi usum circa praedictas mensura durationum determinamus opere rationis aliquid habens rationem et proprietatem eius, quod dicimus nunc talis mensurae et ipsam mensuram, considerandum de hoc.

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ta che abbiamo considerato89, la soluzione alle obiezioni sollevate è ugualmente chiara. (2) Infatti, considerando una sostanza spirituale individuale quanto alla sua stessa sostanza in modo assoluto, escluso il già menzionato rapporto, è stato detto che la sua presenzialità o esistenza presenziale riguarda e connota passato e futuro secondo il modo d’essere della privazione e non secondo il modo in cui l’eternità raccoglie in sé in modo positivo questi tre modi, cioè passato, presente e futuro e, in una maniera che eccede ogni determinazione, le ha in sé in modo più eminente rispetto a quanto avviene nelle cose inferiori, come è stato detto sopra90. (3) Osservando allora quanto è già stato detto, è evidente che la misura della durata di uno spirito separato o di una sostanza spirituale differisce dalla misura della durata di una cosa eterna che contiene in sé, eccedendo ogni determinazione, presente, passato e futuro in modo positivo, racchiudendo in sé queste cose in modo più eminente di quanto le cose stesse siano in se stesse. La durata invece o la misura della durata di una sostanza spirituale, di cui si sta parlando, quanto al suo essere assoluto indivisibile, riguarda e connota quelle cose, ovvero passato e futuro, costituendosi soltanto secondo la privazione e permanendo secondo la presenzialità della sua esistenza. (4) In secondo luogo, dato che ci si chiede anche cosa sia la misura di tale durata, bisogna dire che non è una quantità né è simile a una quantità, dal momento che è indivisibile e non si estende in alcun altro modo positivo, ma in modo totalmente indivisibile esiste come sempre presente. (5) In terzo luogo è anche chiaro che la spesso menzionata sostanza spirituale, né secondo la sua durata né secondo la misura della sua durata, determinata nel modo detto in precedenza, è soggetta a mutamento o alterazione; in questo modo, secondo l’essere semplice della sua durata è sempre in atto rispetto alla sua esistenza.

7. Differenze tra le suddette misure, in base al diverso modo in cui si rapportano tra loro l’istante e la misura, cui l’istante stesso si dice appartenere (1) Ora, dato che secondo il modo comune di parlare delle suddette misure91 delle durate, determiniamo con l’azione della ragione qualcosa che ha il modo d’essere e la proprietà di ciò che chiamiamo istante di tale misura e la misura stessa, su questo bisogna fare qualche considerazione.

Cf. supra, c. 3, (7-15), pp. 93-95. Cf. supra, c. 2, (10), p. 77. 91 Si suppone un refuso nel testo dell’edizione critica: perché infatti il passo risulti comprensibile occorre ipotizzare che l’editore intendesse scrivere circa praedictas mensuras e non circa praedictas mensura. 89 90

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(2) Ipsum enim nunc est quiddam indivisibile, et quantum ad proprietatem et modum significandi importat quandam indivisibilitatem in quocumque genere mensurarum. Mensura autem secundum rationem mensurae abstrahit ab hoc modo significandi nec de se inquantum mensura importat indivisibilitatem, quamvis secundum praedicta inveniantur aliquae mensurae indivisibiles. Inveniuntur enim etiam mensurae divisibiles, ut tempus et similia. (3) Ad hoc autem summarie et in genere sufficiat dicere, quod in rebus, quarum duratio extenditur in praeteritum et futurum, ipsa quoque mensura talis durationis extenditur in praeteritum et futurum, sicut apparet in tempore. In huiusmodi, inquam, distinguitur inter nunc, quod attribuitur substantiae rei habentis talem durationem, et inter nunc, quod est talis mensurae in suis partibus continuativum, et inter ipsam mensuram, ut patet in tempore, secundum quod Philosophus pertractat in IV Physicorum. (4) In rebus autem, quarum mensura non extenditur secundum dictum modum, tria iam dicta non differunt secundum rem, sed solum quantum ad modum intelligendi. Cum enim talium entium duratio sit ipsius substantia existentiae seu permanentia in esse, quod substantialiter sibi competit, mensura talis durationis, si intelligatur referri ad substantiam secundum rationem substantiae, habet rationem et modum ipsius nunc, quod est mensura mobilis. (5) Si autem intelligatur referri ad ipsam durationem inquantum duratio, habet similitudinem cum tempore, quod est mensura motus. (6) Si vero intelligamus immo potius si imaginemur, durationem talem extendi et in sua imaginata extensione distingui in partes, scilicet praeteritam, praesentem et futuram, secundum hoc etiam imaginarie dicimus ibi eandem mensuram incidere quasi aliquid indivisibile continuativum partium talis durationis. (7) Sed haec tria, ut dictum est, in tali simplici mensura secundum rem non differunt, puta in aeternitate et similibus, quas dicimus simplices mensuras simplicium durationum entium; de quibus supra actum est.

8. Ostenditur, quid realitatis importent dictae mensurae circa res mensuratas (1) Ultimo autem quantum ad propositum negotium quaerendum, quid importent mensurae durationis circa entia, quorum sunt mensurae, utrum videlicet

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(2) L’istante stesso infatti è qualcosa di indivisibile e, quanto alla proprietà e al modo di significare, introduce una certa indivisibilità in qualunque genere delle misure. Una misura invece, secondo il modo d’essere di una misura, è lontana da questo modo di significare e, in quanto misura, non introduce per sé indivisibilità, sebbene – alla luce di quanto detto92 – si trovino alcune misure indivisibili. Si trovano, infatti, anche misure divisibili, come il tempo e simili. (3) A questo proposito, in modo sommario e generale, è sufficiente dire che nelle cose, la cui durata si estende nel passato e nel futuro, anche la misura stessa di tale durata si estende nel passato e nel futuro, come appare nel caso del tempo. In una cosa di questo genere, dico, si distingue tra l’istante, che è attribuito alla sostanza di una cosa che possiede tale durata, l’istante che rispetto a tale misura è continuativo nelle sue parti, e la misura stessa, come è chiaro nel caso del tempo, secondo quanto tratta il Filosofo nel IV libro della Fisica93. (4) Invece nelle cose, la cui misura non si estende secondo il suddetto modo, i tre suddetti modi del tempo non differiscono realmente, ma soltando secondo il modo di intendere. Infatti, poiché la durata di tali enti consiste nella sostanza della loro esistenza o nella loro permanenza nell’essere, che gli corrisponde in modo sostanziale, la misura di tale durata, se è intesa come riferita alla sostanza secondo il modo d’essere della sostanza, ha il modo d’essere e la natura del suo stesso istante, che è la misura del mobile. (5) Se invece intendiamo fare riferimento alla durata stessa in quanto durata, essa è simile al tempo che è misura del moto. (6) In realtà se intendiamo, anzi meglio, se immaginiamo, che tale durata sia da estendere e, nella sua immaginaria estensione, sia distinta in parti, cioè una parte passata, una presente e una futuro, di conseguenza, in modo altrettanto immaginario, diciamo che la misura stessa divide qualcosa di indivisibile continuativo tra le parti di tale durata. (7) Ma queste tre modi – come è stato detto – non differiscono realmente in tale misura semplice, ad esempio nell’eternità o simili, che chiamiamo misure semplici delle durate degli enti più semplici; di queste cose si è già parlato sopra94.

8. Si mostra quale realtà comportino le suddette misure, a proposito delle cose misurate (1) Da ultimo, in relazione alla questione proposta, bisogna chiedere che cosa le misure della durata determinino negli enti, di cui sono misure, se cioè determinino Cf. supra, c. 4, (27), p. 109. Aristoteles, Physica, IV, 11, 219b10-33: translatio vetus, p. 176, l. 4 - p. 177, l. 6. Translatio nova, p. 286. 94 Cf. supra, c. 7, (4). 92 93

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aliquam rem naturae extra animam seu conceptum intellectus, vel utrum solum in apprehensione consistant et sint quidam modi determinati circa rem mensuratam opere rationis vel intellectus. (2) Ad quod intelligendum, quod quanto entia sunt in suis substantiis simpliciora, tanto magis recedunt et separantur a compositione naturalium et realium accidentium, maxime in quibus accidentibus attenditur motus et transmutatio. (3) Suprema enim in entibus nulli accidenti in se locum tribuunt, puta prima causa et intelligentiae, si sunt secundum positionem philosophorum. (4) Secundo autem loco substantiae spirituales, in quibus natura speciei individuata est, recipiunt quidem accidentia in substantiis suis eo, quod sunt non modo singulares, sed vere individua; sed huiusmodi dispositiones accidentales simplicioris naturae sunt eo, quod spiritualioris, quam ea, quae corporibus insunt inquantum corpora. (5) Corporum igitur corporalia accidentia, ut ita loquar, grossiora sunt et magis cum substantia compositionem important, quia magis ab unitate substantiae recedunt, quia magis ab intimitate et ideo magis quasi ab extrinsecus advenientia et magis extrinsecus existentia magis componunt. Si igitur mensura alicuius corporalis passionis, qualis est motus, non est aliquid reale naturale extra animam existens, sed determinatur talis mensura motui opere rationis, quae mensura seu numerus motus est tempus secundum Philosophum IV Physicorum et Commentatorem ibidem et Augustinum XI Confessionum, multo magis in rebus simplicioribus et a corporeitate separatis mensura durationis eis determinabitur opere rationis. Et sic universaliter omnium entium durationis mensura non erit aliquid reale naturale extra animam existens.

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qualche cosa di naturale al di fuori dell’anima o di un concetto dell’intelletto, o se consistano soltanto in un’apprensione e siano dei modi determinati rispetto a una cosa misurata ad opera della ragione o dell’intelletto95. (2) A questo proposito, bisogna intendere che, quanto più gli enti sono semplici nelle loro sostanze, tanto più si discostano e si separano dalla composizione degli accidenti naturali e reali, e soprattutto in quegli accidenti nei quali si osservano il moto e il mutamento. (3) Infatti, le sostanze superiori tra gli enti, ad esempio la causa prima e le intelligenze – se esistono secondo quella che è l’opinione dei filosofi – non hanno in sé alcun accidente. (4) In secondo luogo invece le sostanze spirituali, nelle quali la natura della specie è individuata, ricevono certamente gli accidenti nelle loro sostanze per il fatto che sono non solo singolari, ma precisamente individuali; ma disposizioni accidentali di questo genere sono di natura più semplice, perché più spirituali, rispetto a quelle che sono presenti nei corpi, in quanto sono corpi. (5) Dunque gli accidenti reali dei corpi sono, per così dire, più grossolani e, assieme con la sostanza, determinano di più una composizione, dal momento che si distaccano maggiormente dall’unità di una sostanza, poiché compongono a partire dal profondo e perciò quasi a partire da qualcosa che sopraggiunge dell’esterno e che esiste estrinsecamente. Se allora la misura di una passione corporale, quale è il moto, non è qualcosa di reale e naturale che esiste al di fuori dell’anima, ma tale misura del moto è determinata ad opera della ragione, la quale misura o numero del moto è il tempo, secondo quanto scrive il Filosofo nel IV libro della Fisica96, il Commentatore nel medesimo libro97 e Agostino nell’XI libro delle Confessioni98, molto di più nelle cose più semplici e separate dalla corporeità una misura della durata sarà in esse determinata dall’azione della ragione99. In questo modo, in generale, la misura della durata di tutti gli enti non sarà qualcosa di reale e naturale che esiste al di fuori dell’anima.

95 L’uso di apprehensio merita particolare attenzione, dal momento che è proprio la concezione di una temporalità in apprehensione ad essere criticata nella proposizione 200 della Condanna del 1277. Cf. Introduzione, pp. 16-18. 96 Aristoteles, Physica, IV, 14, 223a21-29; translatio vetus, p. 188, l. 10 - p. 189, l. 2. Translatio nova, p. 308. 97 Averroes, Aristotelis opera cum Averrois commentariis, Physicorum liber IV, comm. 131, Venetiis apud Junctas, 1562-1574, vol. 4 [réimpr. Frankfurt, Minerva, 1962], 202rC-H. 98 Augustinus, Confessiones, XI, 20, n. 26, ed. L. Verheijen, CCSL 27, pp. 206-207. 99 Cf. Dietrich von Freiberg, De origine rerum praedicamentalium, 5, (2), ed. L. Sturlese, p. 181; ll. 1219.

Magistri Theodorici Ordinis fratrum praedicatorum Tractatus De natura et proprietate continuorum

Maestro Teodorico dell’Ordine dei Frati Predicatori Trattato sulla natura e proprietà dei continui

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Durata e tempo

Tabula partium Prooemium 1. Natura et proprietas continuorum in generali. 2. Diversa genera et proprii modi continuorum. 3. Natura et proprietas temporis. 4. Specialiter de natura temporis inquantum continuum, et hoc per differentiam ad naturam continuorum, quae reperiuntur extra in rebus naturae. 5. Quomodo inveniatur in rebus, quae subsunt tempori. 5.1. Causa temporis et modus suae originis. 5.2. Quiditas et definitio temporis. 5.3. Tempus secundum suam substantiam. 6. Solutio aliquarum dubitationum. 6.1. Prima dubitatio: Quomodo mobile, quod continue variatur, actu invenitur existere in aliqua parte spatii. 6.2. Secunda dubitatio: Quare tempus secundum aliquam sui partem non sit in actu. 6.3. Tertio dubitatio: Quomodo tempus se habet anima non existente.

Prooemium (1) Propositae intentionis est considerare de tempore et quantum ad substantiam et naturam temporis, et utrum tempus habeat esse in anima et ab anima, vel utrum sit aliqua res naturae in rebus extra animam et de aliis quibusdam propriis modis et condicionibus eius. (2) Quoniam autem tempus est de genere continuorum, primo agendum est de natura et proprietate continuorum in generali; secundo magis in speciali considerandum diversa genera et proprios modos continuorum; tertio ex his sumendum naturam et proprietatem temporis; quarto specialiter de natura temporis inquantum continuum, et hoc per differentiam ad naturam continuorum, quae reperiuntur extra in rebus naturae; quinto, quomodo inveniatur in rebus, quae subsunt tempori; sexto solvendum aliquas dubitationes.

Teodorico di Freiberg, Sulla natura e proprietà dei continui

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Sommario Proemio 1. Natura e proprietà dei continui in generale. 2. Diversi generi e modi propri dei continui. 3. Natura e proprietà del tempo. 4. In modo specifico sulla natura del tempo in quanto continuo, e questo in base alla differenza con la natura dei continui che si trovano al di fuori nelle cose naturali. 5. In che modo si trova nelle cose che sono soggette al tempo. 5.1. La causa del tempo e il modo della sua origine. 5.2 Quiddità e definizione del tempo. 5.3. Il tempo secondo la sua sostanza. 6. Soluzione di alcuni dubbi. 6.1. Primo dubbio: in che modo un mobile che è alterato in modo continuo, si trova ad esistere in atto in qualche parte di spazio. 6.2.Secondo dubbio: perché il tempo non è in atto secondo qualche sua parte. 6.3. Terzo dubbio: in che modo si costituisce il tempo, quando l’anima non esiste.

Proemio (1) L’intenzione che ci siamo proposti è quella di considerare il tempo, sia per quanto riguarda la sua sostanza e la sua natura, sia se esso esista nell’anima o a partire dall’anima, oppure se sia una cosa naturale nelle cose al di fuori dell’anima e [insieme al tempo] i suoi modi propri e le sue condizioni. (2) Ora, dal momento che il tempo appartiene al genere dei continui100, bisogna, in primo luogo, trattare della natura e della proprietà dei continui in generale101; in secondo luogo, bisogna considerare, in modo più specifico, i diversi generi e i modi propri dei continui102; in terzo luogo, da queste cose bisogna desumere la natura e la proprietà del tempo103; in quarto luogo, [bisogna considerare] in modo specifico la natura del tempo, in quanto continuo, e questo in base alla differenza rispetto alla natura dei continui che si trovano al di fuori nelle cose naturali104; in quinto luogo, [bisogna considerare] in che modo [il tempo] si trovi nelle cose che gli sono soggette105; in sesto luogo, bisogna risolvere alcuni dubbi106. 100 Aristoteles, Physica, IV, 11, 219a11-14; 220a24-26; translatio vetus, p. 174, ll. 8-12; p. 178, ll. 1516. Translatio nova, p. 281; p. 291. 101 Cf. infra, c. 1, pp. 125-127. 102 Cf. infra, c. 2, pp. 127-135. 103 Cf. infra, c. 3, pp. 135-143. 104 Cf. infra, c. 4, pp. 143-153. 105 Cf. infra, c. 5, pp. 153-159. 106 Cf. infra, c. 6, pp. 161-173.

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1. Natura et proprietas continuorum in generali (1) Circa primum considerandum, quoniam de ratione continuorum est habere partes copulates ad unum aliquem communem terminum secundum Philosophum V et VI Physicorum; continua enim secundum ipsum sunt, quorum ultima sunt unum. Secundum hoc in continuo attendimus et quod habet partes et quod quandam extensionem habet seu distantiam inter ultima sive terminos, ubicumque significentur in continuo. (2) Quantum ad primum convenit cuilibet continuo numerari, et dicitur multum et paucum, quae pertinent ad genus unius et multi. Quoad secundum, videlicet quantum ad extensionem substantiae continui inter terminos, competit continuo proprie mensurari, et secundum hoc dicitur magnum et parvum, quae etiam vocat Philosophus quantitates in V Metaphysicae, cum tamen secundum rei veritatem sint quaedam proprietates et modi accidentales quantitatis. (3) Haec autem, quae hic dicuntur de differentia mensurandi et numerandi, secundum proprie propriam rationem et intentionem istorum terminorum dicta sunt, quamvis communiter loquendo etiam numeri dicantur numeris mensurari, sicut habemus ex X Euclidis, videlicet quod omnis numerus numero commensurabilis est, inquantum unus numerus vel saltem unitas numerat utrumque. (4) Iuxta iam dicta etiam hoc sumendum, quod continuum quodcumque secundum suam substantiam habet rationem sui generis, et est per se in genere, puta si loquatur de continuo in dimensionibus, scilicet linea, superficies, corpus. Termini autem per se non sunt in genere tali, sed per reductionem, videlicet ratione eorum, quorum sunt termini, verbi gratia punctus in genere lineae. Linea etiam, quamvis per se habeat rationem sui generis, inquantum tamen est terminus superficiei, est in genere superficiei per reductionem. Sic etiam se habet de superficie et corpore. (5) Secundum hoc igitur, quod dictum est, habemus, quod termini continuorum capiunt rationem sui generis et suam essentiam ex substantia continuorum et non e converso, maxime cum termini magis videantur importare quandam naturam privationis substantiae continui quam positionis seu quosdam respectus privationis. Nihil enim unum et idem numero de genere entium positivorum est

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1. Natura e proprietà dei continui in generale (1) Riguardo alla prima questione bisogna considerare, perché è proprio del modo d’essere dei continui avere parti legate a un solo termine comune, secondo quanto scrive il Filosofo nel V e nel VI libro della Fisica107: secondo [il Filosofo], infatti, i continui sono ciò le cui estremità sono una cosa sola. Di conseguenza in un continuo osserviamo sia che ha delle parti sia che ha una certa estensione o distanza tra gli estremi o i termini, ovunque essi siano segnati nel continuo. (2) Quanto al primo aspetto, conviene a qualsiasi continuo essere numerato, e si dice «molto» e «poco», [denominazioni] che appartengono al genere dell’uno e del molto. Per quel che riguarda il secondo aspetto, cioè quanto all’estensione di una sostanza continua tra i termini, al continuo spetta d’essere misurato, e perciò si dice «grande» e «piccolo», [denominazioni] che anche il Filosofo chiama «quantità» nel V libro della Metafisica108, quando tuttavia sono realmente solo proprietà e modi accidentali della quantità. (3) Ora, queste cose che sono dette qui sulla differenza tra «misurare» e «numerare», sono state dette correttamente secondo il modo d’essere proprio e l’intenzione di questi termini, sebbene, comunemente parlando, si dica che anche i numeri siano misurati con i numeri, come si dice nel X libro degli Elementi di Euclide109, cioè che ogni numero è commensurabile con un numero, in quanto un numero o almeno un’unità li numera entrambi. (4) Oltre a quanto già detto, bisogna anche desumere che qualsiasi continuo ha secondo la sua sostanza il modo d’essere del suo genere, ed è per se stesso in un genere, ad esempio, se si parla di un continuo nelle dimensioni, cioè una linea, una superficie e un corpo. I termini invece non sono per se stessi in tale genere, se non per riduzione, cioè secondo il modo d’essere di ciò di cui sono termini, ad esempio, il punto nel genere della linea. Anche la linea, sebbene abbia per sé il modo d’essere del suo genere, in quanto tuttavia è termine di una superficie, è nel genere della superficie per riduzione. Così anche si ha per la superficie e il corpo. (5) In base a quanto detto allora, abbiamo che i termini dei continui assumono il modo d’essere del loro genere e la loro essenza dalla sostanza dei continui e non viceversa, soprattutto quando i termini sembrano introdurre una certa natura di privazione della sostanza continua, piuttosto che una determinazione positiva, o certi rapporti di privazione. Nulla infatti, unico ed identico nel numero del genere degli

107 Aristoteles, Physica, V, 3, 227a10-17; translatio vetus, p. 201, l. 14 - p. 202, l. 4. Translatio nova, p. 339; VI, 231a22; translatio vetus, p. 217, l. 5. Translatio nova, p. 339. 108 Aristoteles, Metaphysica, V, 13, 1020a23-25; translatio media, p. 102, ll. 6-8. Recensio et translatio Guillelmi de Moerbeka, p. 110, l. 534 - p. 111, l. 537. 109 Euclides, Elementa, X, 1, ed. E.S. Stamatis, B.G. Teubner, Leipzig 1969 (Bibliotheca scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana), p. 1.

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duarum naturarum numero distinctarum. Quomodo enim unum et idem indivisibile, puta punctus, est de substantia unius partis, et similiter est de substantia alterius partis, quae partes ad invicem in eodem puncto continuantur, si punctus indicat in sua essentia aliquid reale positivum absolutae essentiae. (6) Item: Qui est punctus finalis lineae, qui est quid simplicissimum in genere quantitatis, nullam rem huius generis importat, quia nec est genus, nec differentia, nec species nec individuum, et ideo secundum privationem naturae generis huius definitur in principio Euclidis: «Punctus est, cuius pars non est.» (7) Ex his quarto sequitur, quod, si continuum in sua substantia seu partes continui fuerint in potentia, impossibile est terminum seu terminos esse in actu. Et si terminus continuativus – sive initialis sive finalis – fuerit in actu, necessarium est continuum in sua substantia seu partes esse eius in actu; immo necessarium est, si continuum in sua substantia seu partes non sunt, quod nec termini eorum sunt, et si termini ipsi sunt in rerum natura, quod et illa, quorum sunt termini, etiam sunt in rerum natura. Pendet enim essentia et natura terminorum ex his, quorum sunt termini et non e converso. (8) Ex his sequitur quinto, quod etiam Philosophus probat, videlicet quod continuum non essentiatur nec componitur ex indivisibilibus, quales sunt termini continuativi partium continuorum. Si enim quodcumque punctum in infinitum acceperis in magnitudine, non surget ex hoc aliqua natura continui per compositionem, quoniam semper inter quaelibet puncta est quantitas continua media. (9) Haec igitur sunt, quae invenimus in repertis apud naturam.

2. Diversa genera et proprii modi continuorum (1) Circa secundum praeenumeratorum in principio considerandum, quod secundum diversa continuorum genera ipsa continua diversos modos et proprietates sortiuntur. (2) Sunt enim continua quaedam de genere permanentium, puta corpus seu dimensiones, spatia, locus, quae omnia sunt generis dimensionum; sunt et continua de genere successivorum, puta motus, tempus.

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enti positivi, appartiene a due nature distinte nel numero. In che modo infatti una sola e identica cosa indivisibile, ad esempio un punto, appartiene alla sostanza di una parte, e ugualmente appartiene alla sostanza di un’altra parte, che [entrambe le parti] sono continue reciprocamente nello stesso punto, se il punto indica nella sua essenza una realtà positiva dell’essenza assoluta? (6) Inoltre: quello che è il punto finale di una linea, che è qualche cosa di semplicissimo nel genere della quantità, non determina nessuna cosa di questo genere, poiché non è genere, né differenza, né specie, né individuo, e per questa ragione, all’inizio degli Elementi di Euclide, [il punto] è definito secondo la privazione della natura di questo genere: «il punto è ciò la cui parte non esiste»110. (7) Da queste cose segue, in quarto luogo, che se un continuo nella sua sostanza o le parti di un continuo fossero in potenza, è impossibile che un termine o i termini siano in atto. E se un termine continuativo – sia esso iniziale o finale – fosse in atto, è necessario che un continuo nella sua sostanza o le sue parti siano in atto; anzi, è necessario, se un continuo nella sua sostanza o le sue parti non sono [in atto], che non lo siano nemmeno i suoi termini, e se i termini stessi sono nella natura delle cose, [è necessario] che anche quelle cose, di cui sono i termini, siano anch’esse nella natura delle cose. L’essenza e la natura dei termini infatti dipendono dalle cose di cui sono termini e non viceversa. (8) Da queste cose segue, in quinto luogo, quello che anche il Filosofo dimostra, cioè che un continuo non è formato né composto da cose indivisibili, quali sono i termini continuativi delle parti continue111. Se infatti assumerai come grandezza un punto qualsiasi nell’infinito, da questo non si ricaverà alcuna natura continua per composizione, poiché tra qualsiasi punto esiste sempre una quantità continua di mezzo. (9) Questo è dunque ciò che possiamo rinvenire nelle cose che si trovano in natura.

2. Diversi generi e modi propri dei continui (1) A proposito della seconda questione tra quelle elencate all’inizio, bisogna considerare che, in base ai diversi generi di continui, i continui stessi ottengono diversi modi e proprietà. (2) Esistono, infatti, alcuni continui del genere delle cose permanenti, ad esempio il corpo o le dimensioni, gli spazi, il luogo, che appartengono tutti al genere delle dimensioni; esistono anche continui del genere delle cose successive, ad esempio, il moto e il tempo.

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Euclides, Elementa, I, 1, ed. E. S. Stamatis, p. 7-8. Aristoteles, Physica, VI, 1, 231a24; translatio vetus, p. 216 ll. 1-8. Translatio nova, p. 373.

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(3) Sunt autem continua permanentia huius condicionis et proprietatis, quod inveniuntur in esse et existunt in suis terminis initialibus seu finalibus eo, quod substantia eorum tota simul invenitur in actu, igitur et termini eorum et e converso; quamvis secundum processum generationis et corruptionis rerum instans temporis attribuatur formae seu rei generatae quantum ad initium sui esse, et ipsum mensurat – et non mensuretur – rem corruptam quoad id, quo ultimo est, sicut dicit Philosophus VIII Physicorum, scilicet quod signum, id est instans, est sequentis passionis. (4) Continua autem successiva non inveniuntur nec sunt in suis terminis eo, quod huiusmodi continua secundum proprietatem substantiae suae consistunt in quodam casu et recessu a suis terminis initialibus et in quodam processu et tentione ad terminos suos finales. (5) Ad huius autem maiorem evidentiam ratione facilioris doctrinae attendamus naturam continui et terminorum ipsius in spatio, super quod est motus localis, et in ipso motu locali, in quo terminus initialis seu finalis duobus modis invenitur. Cum enim in tali motu continuo importetur continentia varia mobilis super spatium, dicimus uno modo terminum talis continui quoddam indivisibile, quod vocamus quoddam mutatum esse, quod proprie continuat inter partes variationis mobilis et mensuratur instanti temporis etiam indivisibili. Huiusmodi indivisibile, scilicet mutatum esse, non habet aliquod esse fixum, sed consistit esse suum in quodam transitu; et ideo non est aliquod ens actu, sicut et quodlibet indivisibile in continuo est solum potentia, nisi actu significetur; et ideo in sua essentia non importat aliquam naturam positivam alicuius determinati generis; et ideo non essentiat motum, ut det ei naturam et rationem determinati generis, puta loci, mutationis aut alterationis aut augmenti etc., sed solum est, ut sic loquamur, alteritas quaedam mobilis secundum passiones, in quibus est motus. Probat autem Philosophus in IV Physicorum, quod motus non est alteritas; omne autem, quod est alterum, est aliquo alterum, aliqua videlicet forma vel passione. Ex hoc sequitur, quod mobile in motu participet actu talem passionem. Non enim aliquid est aliud et aliud vel alterum et alterum nisi per aliquid actu ens. Et ideo oportet in motu secundum locum, quod mobile actu sit in loco. Similiter in alteratione necessarium est actu participare qualitatem, secundum quam alteratur, et sic de aliis. Motus enim secundum Philosophum est actus existentis in potentia inquantum huiusmodi, et ita motus est actus aliquis, et secundum hoc motus

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(3) Ora, i continui permanenti sono in questa condizione e proprietà, perché si trovano in essere ed esistono nei loro termini iniziali o finali, per il fatto che la loro sostanza si trova tutta insieme in atto, e allora lo sono anche i loro termini e viceversa; nonostante secondo il processo di generazione e corruzione delle cose un istante di tempo sia attribuito a una forma o a una cosa generata relativamente all’inizio del suo essere, lo stesso istante misura – senza essere misurato – una cosa corrotta fino [al termine] in cui si trova per l’ultima volta, come dice Aristotele nell’VIII libro della Fisica, cioè che il segno, cioè l’istante, appartiene alla passione successiva112. (4) I continui successivi invece non si trovano né esistono nei loro termini, per il fatto che continui di questo genere, in base alla proprietà della loro sostanza, terminano in un certa fine e decadimento rispetto loro termini iniziali e in un certo processo e tensione verso i propri termini finali. (5) Ora, per una maggiore chiarezza, in ragione della spiegazione più facile, osserviamo la natura di un continuo e dei suoi termini nello spazio in cui avviene un moto locale, e in quello stesso moto locale, in cui il termine iniziale o finale si trova in due modi. Poiché infatti in tale moto continuo si stabilisce un punto variabile del mobile nello spazio, in un solo modo definiamo il termine di tale continuo come qualcosa di indivisibile, che chiamiamo «essere mutato», che continua propriamente tra le parti della variazione di un mobile ed è misurato da un istante di tempo, anch’esso indivisibile. Un indivisibile di questo genere, cioè un «essere mutato», non ha un qualche essere fisso, ma il suo essere consiste in qualcosa che passa; e per questa ragione non è un ente in atto, come anche qualsiasi indivisibile in un continuo è solamente in potenza, a meno che non sia segnato in atto; e per questa ragione, nella sua essenza non determina alcuna natura positiva di un qualche genere determinato; e perciò, non conferisce un’essenza al moto, così da conferirgli la natura e il modo d’essere di un genere determinato, ad esempio, del luogo, del mutamento, dell’alterazione, dell’accrescimento, ecc., ma è soltanto – come diciamo – alterazione di un mobile secondo le passioni, in cui il moto si trova. Nel IV libro della Fisica il Filosofo dimostra poi che il moto non è un’alterazione; ora, tutto ciò che è alterato, è alterato in qualcosa, cioè in qualche forma o passione113. Da ciò ne consegue che un mobile, nel moto, partecipa in atto a tale passione. Una cosa infatti non è un’altra e un’altra ancora oppure alterata e alterata di nuovo, se non per mezzo di qualche ente in atto. Perciò, nel moto locale è necessario che il mobile sia in atto nel luogo. Allo stesso modo in un’alterazione è necessario che [ciò che è alterato] partecipi in atto della qualità, secondo cui è alterato, e così via per altre cose. Il moto, infatti, secondo il Filosofo114, è atto di ciò che esiste in potenza in quanto tale, e così anche il moto è

Aristoteles, Physica, VIII, 1, 251b19-28; translatio vetus, p. 281, ll. 3-13. Translatio nova, p. 504. 113 Aristoteles, Physica, V, 2, 226a27; translatio vetus, p. 198, l. 22 - p. 199, l. 1. Translatio nova, p. 335. 112 114

Aristoteles, Physica, III, 1, 201a15-20; translatio vetus, p. 99, ll. 5-10. Translatio nova, p. 144.

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reducitur et est in determinato genere praedicamenti, scilicet in genere rei vel passionis, in qua fit motus, secundum Philosophum III Physicorum. (6) Ex his habemus, quod mutatum esse non est in genere nisi per reductionem ad genus sui motus, cuius ipsum mutatum esse est terminus. Sic igitur uno modo accipitur terminus in motu, scilicet ipsum mutatum esse. (7) Sumitur etiam alio modo terminus motus localis, aliqua videlicet pars spatii commensurata quanti mobilis, secundum quod dicuntur termini motus, a quo et in quem motus. Constat autem hos terminos esse divisibiles. Sunt enim quantitates et partes spatii quanti, et in ipsis invenitur mobile in actu, non solum in principio, antequam incipiat motus, et in fine, quando terminatus est motus, sed etiam in ipso motu, inquantum ipsum mobile est partim in terminis a quo et partim in termino ad quem, secundum Philosophum in VI Physicorum. Et sic ipsum mobile actu est in parte spatii, super quam movetur. Non enim in instanti transit de termino initiali a quo in terminum ad quem finalem. Et sic mobile actu invenitur in loco, et per consequens talis motus est iam in determinato genere loci mutationis. (8) In his igitur, quae dicta sunt, fundatur ratio Philosophi in VI Physicorum, qua probat, quod indivisibile non movetur. Non enim mobile simpliciter participat naturam alicuius passionis, nec motus est simpliciter in determinato genere, immo nec est motus, nisi partim sit in termino a quo et partim in termino ad quem, et sic necessario mobile erit divisibile. Ex his principaliter sumitur ratio, quare ea, quae secundum se tota fiunt et transmutantur et non secundum partem et partem dicto modo, quare, inquam, talia non dicuntur moveri nec vere moventur nec in talia est motus, ut dicit Philosophus in VII Physicorum, quod in ad aliquid et in habitibus et in substantia non est motus, similiter et in scientia. (9) Ex his etiam elicitur aliud quiddam, videlicet quod, si quis vellet imaginari aliquod corpus vel mobile quodcumque transmutari continue secundum se totum, non, sicut dictum est, secundum partem et partem, et sit verbi gratia corpus aliquod, quod secundum se totum continue transeat de minore calore ad maiorem et iterum ulterius ad maiorem, et sic deinceps, dicendum, quod

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un atto e, di conseguenza, il moto è riconducibile ed esiste in un genere determinato di predicamento, cioè nel genere della cosa o della passione, in cui il moto avviene, secondo quanto è scritto dal Filosofo nel III libro della Fisica115. (6) Da queste cose ricaviamo che l’«essere mutato» non è in un genere, se non per riduzione al genere del suo moto, di cui lo stesso «essere mutato» è un termine. Così allora, in un modo, si può considerare il termine nel moto, cioè come un «essere mutato». (7) Il termine di un moto locale può anche essere considerato in un altro modo, cioè in relazione a una qualche parte di spazio commisurata alla grandezza del mobile, in base alla quale i termini del moto si dicono inizio e fine del moto. Ora, si constata che questi termini sono divisibili. Sono, infatti, grandezze e parti di spazio, e in essi si trova il mobile in atto, non solo all’inizio, prima che il moto inizi, e alla fine, quando il moto è terminato, ma anche durante il moto stesso, dal momento che il mobile stesso si trova in parte in un termine e in parte in un altro, secondo [quanto scrive] il Filosofo nel VI libro della Fisica116. E così il mobile stesso è in atto nella parte di spazio su cui è mosso. Non passa, infatti in un istante dal termine iniziale a quello finale. E così un mobile si trova in atto in un luogo e, di conseguenza, tale moto è già nel genere determinato del mutamento di luogo. (8) Dunque, sulle cose che sono state dette si fonda l’argomentazione del Filosofo nel VI libro della Fisica, con cui dimostra che un indivisibile non è mosso117. Infatti un mobile non partecipa in modo semplice alla natura di una passione, né un moto si trova in modo semplice in un determinato genere, anzi non è nemmeno un moto, se non è in parte nel termine iniziale e in parte nel termine finale, e così facendo il mobile sarà necessariamente divisibile. Da queste cose si desume principalmente la ragione per la quale le cose che divengono e sono mutate nella loro interezza e non una parte dopo l’altra, nel modo detto, [la ragione per la quale] – dico – tali cose non si dicono essere mosse, né sono mosse realmente, né esiste il moto in tali cose, come dice il Filosofo nel VII libro della Fisica, ossia che nelle realtà relative, negli abiti e nella sostanza non esiste il moto e allo stesso modo nella conoscenza118. (9) Da queste cose si ricava anche qualcosa d’altro, cioè che se qualcuno volesse immaginare che un corpo o un mobile qualsiasi sia mutato in modo continuo nella sua interezza, non – come detto – una parte dopo l’altra, e sia, ad esempio, un corpo, che nella sua interezza muta in modo continuo da un minore a un maggior calore e

115 Aristoteles, Physica, III, 1, 200b26-33; 201a10; translatio vetus, p.  97, ll.  5-8; p.  98, ll.  13-14 Translatio nova, p. 139; p. 144. 116 Aristoteles, Physica, VI, 3, 234a16-18; translatio vetus, p. 228, ll. 1-6. Translatio nova, p. 392. 117 Aristoteles, Physica, VI, 4, 234b20; VI, 10, 240b8-9; translatio vetus, p. 230, ll. 1-2; p. 252, ll. 5-9. Translatio nova, p. 392; p. 439. 118 Aristoteles, Physica, VII, 3, 246b10-15; 247a1-5; 247b1-7; translatio vetus, p. 266, ll. 1-2; p. 266, ll. 7-19; p. 267, ll. 7-9. Translatio nova, p. 469; p. 473.

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huiusmodi positio est impossibilis et imaginatio falsa. Numquam enim tale corpus secundum dictum transitum inveniretur actu calidum eo, quod omnis gradus caloris secundum suam intensionem tali transitu erit ens in potentia; immo talis transitus, ex quo ponitur continuus, necessario esset in instanti, quia in tali transitu ipsa mutata esse sunt indivisibilia. Quilibet etiam gradus caloris habet esse in indivisibili ex hypothesi; transitus autem indivisibilium, videlicet ubi solum sunt indivisibilia, est in instanti. Necesse est igitur tale corpus, si ponatur secundum se totum transmutari de minore calore usque ad maiorem, quod in huiusmodi transmutatione, in qua invenitur actu calidum, stet actu secundum aliquod tempus in aliquo gradu caloris, et sic huiusmodi transitus et transmutatio non erit continua, et per consequens non erit motus. Et haec est ratio eius, quod dicit Commentator Super Librum Physicorum, quod solus motus secundum locum est perfecte continuus. (10) Nec obstat iam dictis, si quis opponat, quod chorda sonante, si quis trahat digitum vel aliquid simile per longitudinem chordae, videtur enim continuus sonus et continue transire de gravi in acutum vel de acuto in gravem. Item: Si quis ponat corpus indivisibile per lineam, omnia puncta, per quae transit, sunt indivisibilia et tamen non sequitur, quod transeat in instanti. Quod videtur contrarium iam dictis. (11) Ad primum istorum dicendum, quod sonus talis chordae non est vere continuus, quamvis secundum sensum sic videatur. Unde sic se habet, sicut dictum est iam de calore, si corpus ponatur calefieri secundum se totum. Non enim huiusmodi vadunt in infinitum, sed in talibus invenitur aliquid minimum, puta quod faciat calorem in tali gradu intensionis, et aliqua minima portio chordae vel extensionis, quae generet sonum in tali gradu gravitatis vel acuminis. (12) Ad secundum dicendum, quod continua linea, per quam ponitur corpus indivisibile transire, si esset in natura, solum habet terminos et puncta indivisibilia, ipsa autem substantia seu partes lineae non sunt indivisibiles. Non sic autem se habet in passionibus et qualitatibus, ubi et ipsa mutata esse per modum punctorum sunt indivisibilia et ipsae tales qualitates, secundum quemcumque gradum intensionis ponatur, sunt etiam indivisibiles, nec sunt ad invicem continuae, quia non habent ultima.

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di nuovo al maggiore e così di seguito, [se qualcuno, dunque, volesse immaginare un tale corpo] bisogna dire che una posizione di questo genere sarebbe impossibile e un’immaginazione falsa. Infatti, tale corpo non si troverebbe mai caldo in atto secondo il suddetto passaggio, per il fatto che ogni grado di calore sarebbe, secondo la sua intensità, un ente in potenza; anzi tale passaggio, da cui sorge il continuo, sarebbe necessariamente nell’istante, dal momento che in tale passaggio le cose mutate stesse sono indivisibili. Per ipotesi, anche qualsiasi grado di calore ha l’essere in qualcosa di indivisibile; al contrario, il passaggio degli indivisibili, cioè dove esistono solamente cose indivisibili, avviene nell’istante. È allora necessario che tale corpo, se considerato nella sua interezza, sia mutato da un calore minore fino ad uno maggiore, dato che in una mutazione di questo genere, in cui il caldo si trovi in atto, [tale corpo] stia in atto, secondo un tempo determinato, in un grado di calore, e in questo modo un passaggio e un mutamento di questo genere non saranno continui e di conseguenza non saranno un moto. E questa è la ragione di quello che dice il Commentatore nel suo Commento alla Fisica, e cioè che solo il moto secondo il luogo è continuo in modo perfetto119. (10) Non è un’obiezione a quanto già detto, se qualcuno replica che in una corda che suona – se qualcuno la pizzica longitudinalmente con un dito o qualcosa di simile – il suono sembri effettivamente essere continuo e passare continuamente da suoni gravi a suoni acuti o da acuti a gravi. Come anche: se qualcuno pone un corpo indivisibile su una linea, tutti i punti per i quali passa sono indivisibili e tuttavia non ne consegue che esso transiti nell’istante. Questo sembra contrario a quanto si è già detto. (11) Quanto alla prima di queste obiezioni bisogna dire che il suono di tale corda non è realmente continuo, sebbene così sembri ai nostri sensi. Di conseguenza si ha [la stessa situazione] che è stata già descritta a proposito del calore, se si considera un corpo che è scaldato nella sua interezza. Infatti cose di questo genere non procedono all’infinito, ma in tali cose si trova qualcosa di minimo, che produce calore, ad esempio, in un particolare grado di intensità, e una minima porzione di corda o di estensione, che genera un suono un particolare grado di gravità o acutezza. (12) Quanto alla seconda obiezione bisogna dire che una linea continua, sulla quale si stabilisce che transiti un corpo indivisibile – sempre che ciò esista in natura – possiede solamente termini e punti indivisibili, mentre la sostanza stessa o le parti della linea non sono indivisibili. Non accade così, invece, nelle passioni e nelle qualità, dove anche le stesse cose mutate in modo puntuale sono indivisibili, e proprio tali qualità, in qualsiasi grado di intensità siano considerate, sono anch’esse indivisibili, ma non sono continue l’una nell’altra, poiché non hanno parti ultime.

119 Averroes, Aristotelis opera cum Averrois commentariis, Physicorum liber VIII, comm. 56, Venetiis apud Junctas, 1562-1574, vol. 4 [réimpr. Frankfurt, Minerva, 1962], 397vL.

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(13) Hac praemissa terminorum distinctione habita patet, quomodo vel successiva vel permanentia de genere continuorum sunt vel non sunt in suis terminis. Haec etiam, quae dicta sunt de natura et proprietate continuorum, eo latius tractata sunt, quo evidentius possumus elicere veritatem propositae intentionis de tempore, eo, quod ipsum sit de genere continuorum. Et hoc est secundum propositorum in principio.

3. Natura et proprietas temporis (1) Considerandum ergo tertio, quod ea, quae conveniunt continuis in eo, quod continua, conveniant etiam ei continuo, quod est tempus. Sunt autem huiusmodi, sicut in principio praemissum est, scilicet quod continua inquantum huiusmodi habent partes continuatas ad unum communem terminum. Inquantum autem habet partes, intantum potest numerari, et numeratur secundum rationem numeri. Cuius primae differentiae sunt unum et multa, proprietates autem huius generis sunt multum et paucum. (2) Mensuratur autem, inquantum in ipso attenditur distantia maior vel minor inter terminos distantiae, et sic mensuratur secundum rationem magni et parvi, quae pertinent ad genus quantitatis secundum Philosophum in V Metaphysicae. Quia igitur radix et principium, immo substantia totius numeri est unum, secundum quod unum est de genere transcendentium et convertitur cum ente et invenitur in omnibus entibus, tam separatis quam corporalibus, cuius ratio consistit in divisione, quod solam privationem importat, necesse est totum numerum nihil positivum realitate naturae importare circa rem quamcumque numeratam, sed solum secundum determinationem rationis seu intellectus. Et hoc dicit Philosophus IV Physicorum, quod si numerans, id est anima, ut dicit, non fuerit, necesse est numerum non esse. Similiter etiam se habet circa rationem mensurae et mensurati. Manifestum est enim per se, quod huiusmodi nullam naturam realiter, qua res aliter se habeat nunc quam prius, rei inducunt. (3) Quamvis igitur ista sint communia omnibus continuis, specialiter tamen, magis in speciali considerando, apparet hoc convenire tempori, videlicet quod

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(13) Fatta questa premessa sulla distinzione dei termini, è chiaro in che modo, nel genere dei continui, le cose successive o quelle permanenti siano, o non siano, nei loro termini. Quanto è stato detto sulla natura e sulla proprietà dei continui, è stato trattato in modo molto ampio, perché possiamo scoprire con maggiore evidenza quanto ci si è proposti di indagare riguardo al tempo, che fa parte esso stesso del genere dei continui. E questo è il secondo dei propositi formulati all’inizio120.

3. Natura e proprietà del tempo (1) In terzo luogo, quindi, bisogna considerare che le cose che convengono ai continui, in quanto continui, convengono anche a quel continuo particolare che è il tempo. Ora, esistono cose di questo genere come è stato premesso all’inizio121, cioè che sono continue in quanto hanno parti continue rispetto a un solo termine comune. Dal momento che il tempo invece è costituito di parti, esso può essere numerato, ed è numerato secondo il modo d’essere del numero. Le prime differenze del [modo d’essere del numero] sono l’«uno» e i «molti», mentre le proprietà [dei continui] sono il «molto» e il «poco». (2) [Il tempo] è invece misurato, in quanto in esso si osserva una distanza maggiore o minore tra i termini di una distanza e, in questo modo, esso è misurato in ragione del «grande» e del «piccolo», che appartengono al genere della «quantità», secondo [quanto scrive] il Filosofo nel V libro della Metafisica122. Dunque, dal momento che la radice e il principio, anzi la sostanza di un numero intero, è l’uno, in base al fatto che appartiene al genere delle cose trascendenti, è convertibile nell’ente e si trova in tutti gli enti, tanto in quelli separati quanto in quelli corporei – il cui modo d’essere consiste nella divisione che determina un’unica privazione –, [dal momento che la radice e il principio è l’uno] è necessario che, rispetto a una qualsiasi cosa numerata, il numero intero non determini nulla nella realtà naturale, ma solamente secondo la ragione o l’intelletto. E questo è quanto dice il Filosofo nel IV libro della Fisica e cioè che se ciò che numera, cioè l’anima – come egli sostiene – non esistesse, necessariamente non esisterebbe nemmeno il numero123. Allo stesso modo accade anche per quanto riguarda il modo d’essere della misura e del misurato. È evidente da sé, infatti, che cose di questo genere non introducono realmente in una sostanza alcuna natura, per cui essa si costituisca ora diversamente rispetto a come era prima. (3) Dunque, sebbene queste siano cose comuni a tutti i continui, tuttavia, considerando i casi particolari, è evidente che ciò conviene in modo particolare al tempo; Cf. supra, proemio, p. 123. Cf. supra, c. 1, (1), p. 125. 122 Aristoteles, Metaphysica, V, 13, 1020a18-22; translatio media, p. 102, ll. 1-6. Recensio et Translatio Guillelmi de Moerbeka, p. 110, ll. 529-534. 123 Aristoteles, Physica, IV, 14, 223a21-24: cf. nota 96. 120 121

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huiusmodi conveniunt tempori secundum determinationem intellectus et rationis. Quod patet ex ipsius temporis definitione, quam dat Philosophus, scilicet quod tempus est numerus motus secundum prius et posterius. Est enim tempus numerus motus, inquantum secundum tempus seu partes temporis accipiuntur partes motus. Et secundum hoc in ista definitione stat numerus pro genere, motus autem et ratio prioris et posterioris stant loco differentiarum, sicut se habet in definitionibus, in quibus subiectum cadit in definitione passionis. Non enim numerantur partes, sed motus, solum accipiendo hanc et hanc, sed secundum quod haec prior, haec posterior. Prius autem et posterius in proposito non important ordinem partium mobilis vel spatii, in quo fit motus, sed important quendam ordinem in duratione secundum antecessionem et successionem partium variationis in motu. (4) Cum igitur talis variationis nihil actu inveniatur in esse, sed solum ipsum mutatum esse continuans partem priorem variationis posteriori, manifestum est, quod nec prior pars nec posterior secundum id, quod sunt, nec inquantum prior et posterior sunt nisi per acceptionem et determinationem animae. Ex quo enim secundum id, quod sunt, non inveniuntur in actu, ergo nec inquantum prior et posterior. Esse enim superius est ad esse prius et posterius. Et haec est ratio Augustini XI Confessionum, ubi tractat materiam istam ostendens, quod tempus non est nisi in anima et ab anima. Unde dicit ibi: «Video tempus esse quandam distentionem et miror si non animi.» Et in eodem: «Video tria esse tempora, praesens, praeteritum et futurum, quae non nisi in anima intueor, ut sit praesens contuitus animi de eo, quod est, praeteritum contuitus praesens animi de eo, quod nondum est.» Philosophus etiam in IV Physicorum quaerens et determinans propositam quaestionem dicit, ex quo tempus non est nisi numerus, et numerus non est, nisi sit numerans, et numerans non est nisi anima, concludit tempus non esse, nisi anima sit. Sed mox videtur facere quandam exceptionem dicens, quod tempus non erit extra animam, nisi sit aliquid extra animam, quo existente tempus sit, ut prius et posterius in motu; haec igitur, inquantum numerabilia sunt, tempus sunt. Alia translatio habet: numerata. Commentator ibi dicit,

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ossia che tali cose convengono al tempo secondo la determinazione dell’intelletto e della ragione. Questo è chiaro dalla definizione del tempo, che dà il Filosofo, ossia che «il tempo è il numero del moto secondo il prima e il poi»124. Il tempo è, infatti, il numero del moto, in quanto secondo il tempo, o secondo le parti del tempo, sono percepite le parti del moto. E di conseguenza, in questa definizione, il «numero» sta a significare il genere, mentre il «moto», il «prima» e il «poi» stanno a significare le differenze, come accade nelle definizioni in cui il soggetto rientra nella definizione della passione. Infatti, non sono numerate le parti, ma il moto, prendendo solamente i singoli momenti, ma seguendo l’ordine di ciò che viene prima e di ciò che viene dopo. Ora, il «prima» e il «poi» nel nostro caso, non determinano l’ordine delle parti del mobile o dello spazio, in cui avviene il moto, ma determinano un certo ordine nella durata, secondo la precedenza e la successione delle parti dell’alterazione nel moto. (4) Poiché allora nulla di tale alterazione si trova ad essere in atto, ma solamente l’«essere mutato» stesso, che continua la parte precedente dell’alterazione in quella successiva, è manifesto che né la parte precedente, né quella successiva, secondo la loro essenza, esistono in quanto «prima» e in quanto «poi», se non in virtù della percezione e della determinazione di un’anima. Per questa ragione, infatti, [le parti] non si trovano in atto secondo la loro essenza, né in quanto «prima» e «poi». L’essere, infatti, è superiore all’«essere-prima» e all’«essere-dopo». E questa è l’argomentazione di Agostino nell’XI libro delle Confessioni, dove tratta questo problema, mostrando che il tempo non è se non nell’anima e dall’anima. Dice a questo proposito: «Pare che il tempo sia una qualche distensione e mi domando se non dell’anima»125. E nello stesso passo: «Mi pare che ci siano tre tempi: presente, passato e futuro, che non vedo se non nell’anima, dove il presente è l’osservazione da parte dell’animo di ciò che è, il passato è l’osservazione presente da parte dell’animo di ciò che non è più, e il futuro è l’osservazione presente dell’animo di ciò che non è ancora»126. Anche il Filosofo, nel IV libro della Fisica, interrogandosi e definendo la questione proposta dice che, per il fatto che il tempo non è se non un numero, il numero non c’è se non c’è ciò che numera e ciò che numera non è se non l’anima, conclude che il tempo non ci sarebbe se non ci fosse l’anima127. Ma, in seguito, sembra fare un’eccezione, dicendo che il tempo non sarebbe fuori dall’anima, a meno che non ci sia qualcosa fuori dall’anima, grazie al quale il tempo sia esistente come «prima» e «dopo» nel moto; queste cose, allora, in quanto sono numerabili, sono tempo128. Un’altra traduzione dice «[in quanto sono] numerate»129. A questo proposito il ComAristoteles, Physica, IV, 11, 219b1-2; translatio vetus, p. 175, ll. 15-17. Translatio nova, p. 281. Augustinus, Confessiones, XI, 26, n. 33, ed. L. Verheijen CCSL 27, p. 211. 126 Augustinus, Confessiones, XI, 20, n. 26: cf. nota 98. 127 Aristoteles, Physica, IV, 14, 223a21: cf. nota 96. 128 Aristoteles, Physica, IV, 14, 223a26-29: cf. nota 96. 129 Averroes, Aristotelis opera cum Averrois commentariis, Physicorum liber IV, comm. 130, Venetiis apud Junctas, 1562-1574, vol. 4 [réimpr. Frankfurt, Minerva, 1962], 202rB. 124 125

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quod inquantum numerabilia tempus est in potentia; inquantum actu numerata sunt, tempus est in actu. (5) Ubi advertendum, quod, si vera littera est: inquantum numerata, habetur propositum, scilicet quod tempus non est nisi ab anima, quoniam numeratio passiva non est nisi ab actu animae secundum Philosophum ibidem. Si autem vera littera est: numerabilia, adhuc habetur propositum, scilicet quod secundum hoc solum erit tempus in potentia; numerabile enim non dicit nisi aptum natum numerari vel possibile numerari. Aptitudo autem et possibilitas non actuant aliquam rem in natura; ergo adhuc tempus non erit in actu, nisi anima actu numeret. Est ab anima ergo tempus in actu, maxime cum prius et posterius in motu et secundum id, quod sunt, et inquantum prius et posterius non sunt in esse naturae, sed secundum acceptionem animae tantum, ut dictum est. Philosophus autem dictam exceptionem intulit loquens sub condicione et quasi ex suppositione, si quis sic ponere vellet. (6) Praeterea: Idem patet ex proposito modo definiendi ipsum tempus quem perfecte inducit Philosophus in dicta definitione. Definitur enim eo modo, quo subiectum cadit in definitione passionis, quo natura et essentia passionis trahitur ex proprietate seu natura subiecti, circumscripto omni agente naturali et fine. Talia autem nullam naturam vel rem naturae important circa subiectum suum. Haec enim, quae aliquas res naturae positivas important circa subiectum, insunt ab agente naturali in ordine ad finem, in quo attenditur aliqua naturalis perfectio et quo sit aliquid melius. Talium autem nihil invenimus in essentia temporis. Non enim est dicere nec intelligere aliquod agens naturae extra animam, quod agat et inducat essentiam temporis in motu. Tamen circumscripto omni agente naturali, posito solummodo motu etiam absque movente, adhuc tempus esset. Ergo tempus non est aliqua res naturae extra animam. (7) Praeterea: Philosophus IV Physicorum contra eos, qui dixerunt tempus esse in motu, arguit ostendens falsitatem huius ex eo, quoniam, si plures mundi essent, plures essent motus et tamen unum tempus. Sed quomodo tempus, si est

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mentatore scrive che, «in quanto sono numerabili», il tempo è in potenza; «in quanto sono numerate in atto», il tempo è in atto130. (5) Dove bisogna segnalare che, se la vera traduzione fosse «in quanto sono numerate», avremmo ciò che ci stiamo proponendo di sostenere, cioè che il tempo non esiste, se non a partire dall’anima, visto che, secondo il Filosofo131, una numerazione passiva non esiste se non per l’azione dell’anima. Se invece la vera traduzione fosse «in quanto numerabili», in ogni caso avremmo ciò che ci proponiamo, cioè che il tempo sarebbe solamente in potenza; «numerabile», infatti, non sta a significare altro, se non nato idoneo a essere numerato o che è possibile che sia numerato. Ora, l’attitudine e la possibilità non pongono in atto nessuna cosa in natura; dunque, il tempo non sarà in atto se l’anima non lo numera in atto. Quindi il tempo in atto proviene dall’anima, soprattutto per il fatto stesso che il «prima» e il «poi» nel moto sia in base a ciò che sono, sia in quanto «prima» e «poi», non esistono in natura, ma soltanto – come è stato detto – secondo la percezione dell’anima. Il Filosofo aggiunge poi la suddetta eccezione, parlando sotto condizione e come per ipotesi, se mai qualcuno volesse intendere il problema in questo modo132. (6) Inoltre, la stessa cosa risulta chiara dal modo di definire il tempo che abbiamo proposto e che il Filosofo presenta in modo completo nella suddetta definizione. Infatti [il tempo] è definito nello stesso modo in cui un soggetto cade nella definizione della passione, dove la natura e l’essenza della passione sono ricavate dalla proprietà o dalla natura del soggetto, esclusa ogni causa agente naturale e ogni fine. Tali cose non introducono invece nessuna natura o cosa naturale circa al loro soggetto. Infatti le cose che introducono cose naturali positive circa a un soggetto, sono proprie di una causa agente naturale in vista di un fine, in cui si osserva una perfezione naturale e in vista di qualcosa di meglio. Nulla di simile invece troviamo nell’essenza del tempo. Non si può infatti dire, e nemmeno si può concepire, una qualche causa agente al di fuori dell’anima che agisca o introduca l’essenza del tempo nel moto. Tuttavia, escluso ogni agente naturale, considerato solamente il moto, anche senza ciò che muove, il tempo esiste comunque. Dunque il tempo non è una cosa naturale al di fuori dell’anima. (7) Inoltre, nel IV libro della Fisica, il Filosofo critica coloro che dissero che il tempo è nel moto, mostrando la falsità di questa tesi, a partire dal fatto che, se ci fossero più mondi ci sarebbero più moti e ciononostante esisterebbe un solo tempo133. Ma in

130 Averroes, Aristotelis opera cum Averrois commentariis, Physicorum liber IV, comm. 131, Venetiis apud Junctas, 1562-1574, vol. 4 [réimpr. Frankfurt, Minerva, 1962], 202rF. 131 Aristoteles, Physica, V, 1, 224a24-26; translatio vetus, p. 192, ll. 3-8. Translatio nova, p. 317. 132 Aristoteles, Physica, IV, 14, 223a27-28: cf. nota 96. 133 Aristoteles, Physica, IV, 10, 218a33-b7; translatio vetus, p. 172, ll. 1-12. Translatio nova, p. 277. Cf. Averroes, Aristotelis opera cum Averrois commentariis, Physicorum liber IV, comm. 93, Venetiis apud Junctas, 1562-1574, vol. 4 [réimpr. Frankfurt, Minerva, 1962], 176rE.

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aliqua res naturae extra animam, unum et idem potest esse in diversis et tam diversis subiectis, non est intelligibile. Si enim essent plures mundi non esset unus primus motus, cui forte aliquis unitatem temporis in unitate mundi attribuet. Sed hoc frivolum est, ut infra dicetur. (8) Praeterea: Secundum Philosophum in IV, sicut tempus numerat seu mensurat motum, sic instans temporis est mensura mobilis; et sicut mobile manet idem in substantia in toto motu, quamvis varietur secundum aliquam passionem, in qua est motus, sic instans in toto tempore manet idem, quamvis fluat in tempore. Ex hoc arguitur: Omne, quod fluit, secundum aliquam sui variationem fluit; omne etiam, quod variatur, secundum aliquid in ipso variatur. Non est enim intelligibile aliquid variari, et nihil sit in ipso, quod varietur; et hoc in rebus naturae. Instans autem, quod ponitur, nullam in sua substantia dispositionem recipit, qua varietur. (9) Praeterea: Quomodo idem instans est in diversis mobilibus, etiam ultra mare distantibus, cum res naturae etiam loco distinguantur cum distinctione subiectorum suorum. (10) Praeterea: Omnes rerum naturales passiones moventur, quamvis per accidens, cum suis subiectis, et moventur secundum eandem passionem, secundum quam moventur subiecta. Ergo instans tale, si est res naturae aliqua in mobili, movebitur cum mobili secundum omne genus motus, quod est absurdum. (11) Praeterea: Ex quo tale instans est mensura mobilis, sicut tempus est mensura motus; ergo sicut mobile differt essentialiter a motu, sic instans a tempore, quod falsum est. (12) Praeterea: Sicut mobile quiescens est in potentia ad motum, sic instans erit in potentia fluxus, et sic stabit mobili quiescente, immo erit nihil, quia eius esse consistit in fluxu, quod concluditur simul de ipso et de tempore. Nulla enim naturalis passio existens alicui per se et secundum quod ipsum est, invenitur inesse alteri cuicumque et maxime opposito proprii subiecti. Tempus autem sic inest motui, scilicet per se et secundum quod ipsum est, ut patet ex definitione temporis. Ergo non inerit quieti nec instans mobili quiescenti. (13) Si dicas, quod tempus mensurat seu numerat quietem per accidens, scilicet per comparationem ad motum, cum quies non habeat in se prius aut posterius nisi per comparationem ad motum, talem autem comparationem non facit nisi anima. Ergo tempus non mensurat quietem nisi per actum animae.

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che modo il tempo, nel caso in cui fosse una cosa naturale al fuori dall’anima, possa essere unico e identico in cose diverse e in soggetti tanto diversi, non è comprensibile. Se infatti ci fossero molti mondi, non ci sarebbe un solo moto primo, a cui forse qualcuno attribuisce l’unità del tempo nell’unità del mondo. Ma questo è un argomento ridicolo, come si dirà in seguito134. (8) Inoltre, secondo il Filosofo nel IV libro [della Fisica], come il tempo numera o misura il moto, così l’istante di tempo è misura del mobile; e come il mobile rimane identico in una sostanza per tutta la durata del moto, sebbene sia alterato secondo quella passione, in cui si trova il moto, così un istante rimane identico per tutto il tempo, nonostante trascorra nel tempo135. Da questo si sostiene: tutto ciò che fluisce, fluisce secondo una sua alterazione; anche tutto ciò che è alterato, è alterato secondo qualcosa che si trova in esso. Non è infatti concepibile che una cosa sia alterata e non abbia in se stessa nulla che sia alterato; e questo vale nelle cose naturali. Ora, l’istante, che è posto, nella sua natura non riceve alcuna disposizione, per la quale è alterato. (9) Inoltre, in che modo esiste lo stesso istante in mobili diversi, anche nelle distanze oltremare, visto che le cose naturali, assieme con la distinzione dei loro soggetti, sono distinte anche nel luogo? (10) Inoltre, tutte le passioni naturali delle cose sono mosse, seppur in modo accidentale, con i loro soggetti, e sono mosse secondo la passione stessa, secondo cui i soggetti si muovono. Dunque, tale istante, se è una cosa naturale nel mobile, sarà mosso assieme con il mobile secondo tutto il genere del moto, il che è assurdo. (11) Inoltre, tale istante è di conseguenza misura del mobile, come il tempo è misura del moto; dunque, come il mobile differisce dal moto in modo essenziale, così l’istante [differisce] dal tempo, il che è falso. (12) Inoltre, come un mobile in quiete è in potenza rispetto al moto, così un istante sarà un flusso in potenza, e in questo modo sussisterà nel mobile in quiete, o meglio sarà nulla, poiché il suo essere consiste in un flusso, che è contenuto insieme dall’istante stesso e dal tempo. Infatti nessuna passione naturale, che esiste in qualcosa per se e secondo ciò che essa stessa è, si trova in qualcosa d’altro e soprattutto qualcosa di contrario al proprio soggetto. Il tempo, invece, si trova così nel moto, cioè per sé e secondo ciò che esso stesso è, come risulta chiaro dalla definizione di tempo. Quindi non inerisce alla quiete e nemmeno un istante [inerisce] a un mobile che è in quiete. (13) Se tu dici che il tempo misura o numera la quiete in modo accidentale, cioè in virtù del paragone con il moto – poiché la quiete non ha in sé il «prima» o il «poi» se non in virtù del paragone con il moto – ora, tale paragone non lo fa se non l’anima. Dunque il tempo non misura la quiete se non per l’azione dell’anima.

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Cf. infra, c. 6.3, (3), p. 173. Aristoteles, Physica, IV, 11, 219b10-20: cf. nota 84.

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(14) Ex his igitur omnibus, quae praemissa sunt, sequitur, quod tempus non est aliquid secundum naturam extra animam, sed solum ab actu animae.

4. Specialiter de natura temporis inquantum continuum, et hoc per differentiam ad naturam continuorum, quae reperiuntur extra in rebus naturae (1) Quarto considerandum de natura temporis inquantum continuum, et hoc per differentiam ad naturam continuorum, quae reperiuntur apud naturam. Manifestum est autem per se, quod tempus est continuum de genere successivorum. (2) Habitum est autem in praecedentibus, quod quodcumque tale continuum non invenitur actu ens in natura nisi per aliquid suae substantiae aliquid existens; sicut in loci mutatione oportet actu existere in loco, et secundum quamcumque passionem fit motus, necessarium est, actu participari talem passionem. Sicut in simili videmus secundum Philosophum III Physicorum de existentia infiniti, quod non est in rerum natura, nisi aliquid eius sit actu, et secundum processum in infinitum fiat replicatio potentiae super actum et actus super potentiam. Quemadmodum si generatio et corruptio generabilium et corruptibilium procederet in infinitum et divisio continui similiter, necessarium est, semper aliquid talium infinitorum actu inveniri in natura. Nihil invenitur in substantia temporis, quod realitate naturae actu existens faciat tempus existere in actu. Ergo tempus non existit in realitate naturae extra. (3) Nec valet, si quis dicat, quod habet esse per aliquid sui, scilicet instans, quoniam nihil temporis est nisi instans. Tunc considerandum, quod, si dicas de instanti, quod manet idem in toto tempore, cum tale instans non sit nisi in quodam fluxu, non habet esse nisi semper in quodam indivisibili et sic numquam est actu, sed solum in potentia, sicut et quodlibet indivisibile in continuo, nisi actu significetur. Sed cum esse talis instantis non sit nisi in quodam transitu, non potest significari, ut tali significatione inveniatur in actu nisi per actum animae. Ergo si tempus habet esse in actu per actuale esse talis instantis, tempus non est nisi ab actu animae. (4) Si autem dicatur de instanti, quod est terminus indivisibilis continuans partes temporis, extra quod instans etiam nihil invenitur de tempore existere,

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(14) Alla luce di tutte le cose che sono state premesse, ne consegue che il tempo non è qualcosa secondo la natura al di fuori dell’anima, ma solamente per l’azione dell’anima.

4. In modo specifico sulla natura del tempo in quanto continuo, e questo in base alla differenza con la natura dei continui che si trovano al di fuori nelle cose naturali (1) In quarto luogo bisogna considerare la natura del tempo in quanto continuo, e questo in base alla differenza con la natura dei continui che si trovano in natura. È poi evidente per sé che il tempo è un continuo che appartiene al genere dei continui successivi. (2) Ora, nelle cose dette in precedenza è stato ritenuto che qualunque continuo di questo genere [cioè un continuo successivo] non si trova in atto come un ente naturale, se non per qualcosa della sua sostanza che esiste; come nel mutamento locale è necessario esistere in atto nel luogo, e secondo qualsiasi passione avvenga il moto, è necessario che tale passione sia partecipata in atto. Come vediamo in modo simile, nel III libro della Fisica, a proposito dell’esistenza dell’infinito, che non è nella natura delle cose, a meno che qualcosa di esso non sia in atto, e secondo un processo all’infinito avvenga una ripetizione della potenza sull’atto e dell’atto sulla potenza136. Come per esempio, se la generazione e la corruzione delle cose generabili e corruttibili procedessero all’infinito e allo stesso modo la divisione dei continui, è necessario che si trovi sempre qualcosa di tali infiniti in atto nella natura. Non si trova nulla nella sostanza del tempo che, esistendo in atto nella realtà naturale, faccia esistere il tempo in atto. Quindi il tempo non esiste esternamente nelle realtà naturali. (3) Non ha valore, se qualcuno dice che [il tempo] ha l’essere per qualcosa di sé, cioè l’istante, siccome nulla del tempo esiste, se non l’istante. In questo caso bisogna considerare che, se tu dell’istante affermi che rimane uguale durante tutto il corso del tempo, non esistendo tale istante se non in un flusso, esso non ha l’essere se non sempre in qualcosa di indivisibile e, in questo modo, non è mai in atto, ma solo in potenza, come qualsiasi indivisibile in un continuo, a meno che non sia segnato in atto. Ma poiché l’essere di tale istante non esiste, se non in un passaggio, non può essere segnato – così da essere colto in atto grazie a questa designazione –, se non in virtù dell’azione dell’anima. Quindi, se il tempo ha l’essere in atto grazie all’essere attuale di tale istante, il tempo non esiste se non per l’azione dell’anima. (4) Se invece dell’istante si dice che è il termine indivisibile che continua le parti del tempo, e [si dice] anche che al di fuori di questo istante non si trova nulla del 136

Aristoteles, Physica, III, 6, 206b13-16; translatio vetus, p. 126, ll. 12-14. Translatio nova, p. 183.

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idem sequitur de tali instanti, quod conclusum est de alio iam dicto instanti, quoniam illud instans, quod est indivisibile et terminus continuativus temporis, non habet esse in actu in sui generis continuo, scilicet in tempore. (5) Praeterea: Cum termini continuorum, ut praedictum est, non sint in genere naturae determinato nisi per realitatem substantiae ipsorum continuorum, quorum sunt termini, quae continua sunt in genere reali naturali secundum realitatem suae substantiae, cum nulla partium temporis umquam inveniatur in sua substantia realiter existere natura, nec ipsi termini, scilicet instantia, secundum hoc sunt nec per se nisi per reductionem in aliquo genere naturae extra animam. (6) Dictum est enim supra et ostensum, quod, si substantia continuorum receptorum seu partes eorum secundum naturam sunt in potentia vel non entes, et termini similiter erunt non existentes in actu vel specialiter non existentes in re extra animam. (7) Praeterea, ut praemissum est, continua successiva non sunt in suis terminis, per quod differunt a permanentibus; et ratio assignata. Et convenit hoc omnibus continuis repertis apud naturam ex eadem ratione. Si igitur ponamus nihil temporis esse nisi instans indivisibile, quod est quidam terminus continuans partes temporis, sequitur partes temporis esse, immo ipsam substantiam temporis esse in suo termino, quod est impossibile apud naturam, cum termini essentiam et naturam et esse in actu capiant ex essentia et actualitate substantiae seu partium continui. (8) Simile autem est illud, ac si quis poneret punctum fluere et currere et cum hoc poneret nihil lineae manere post ipsum nec ante ipsum esset nisi terminus sine terminato et indivisibile continuans sine continuatis, quod non est intelligibile. Cum igitur ea, quae dicta sunt, sint impossibilia apud naturam constituentem continua rerum naturae extra animam, manifestum est, quod tempus non est realitate naturae extra animam. (9) Quod etiam ex eo patet, quoniam in tempore inveniuntur condiciones contrariae praedictis. Quod ex eo contingit, quod tempus non constituitur in esse per actum naturae, sed ex actu animae. Instans enim – sive sit id, quod est mensura mobilis, sive id, quod est terminus indivisibilis continuans partes tem-

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tempo che esiste, allora ne consegue, a proposito di tale istante, che esso è contenuto da un altro istante, dal momento che quell’istante, che è indivisibile e termine continuativo del tempo, non possiede l’essere in atto nel continuo del suo genere, cioè nel tempo. (5) Inoltre: dal momento che i termini dei continui – come è stato detto in precedenza – non esistono in un genere determinato della natura, se non in virtù della realtà della sostanza dei continui stessi, di cui sono termini, queste cose continue esistono in un genere reale naturale, secondo la realtà della loro sostanza, mentre nessuna delle parti del tempo si trova mai ad esistere realmente per natura nella sua sostanza, nemmeno i termini stessi, cioè gli istanti, se non per riduzione a un genere naturale al di fuori dell’anima. (6) In precedenza137 si è infatti detto e mostrato che, se la sostanza dei continui o le loro parti sono secondo natura in potenza o non sono enti, similmente anche i termini saranno non esistenti in atto o più precisamente non esistenti nelle cose nella realtà al di fuori dell’anima. (7) Inoltre, come è stato premesso, i continui successivi non esistono nei loro termini, perché differiscono rispetto ai continui permanenti; e la ragione di questa differenza è già stata addotta138. Per la stessa ragione, ciò conviene a tutti i continui che si trovano in natura. Se allora stabiliamo che nulla del tempo esista, se non un istante indivisibile, che è un termine che continua le parti del tempo, ne consegue che le parti del tempo sono, o meglio, che la sostanza stessa del tempo sia nel suo termine, cosa impossibile in natura, poiché i termini ricavano la loro essenza, la loro natura e il loro essere in atto dall’essenza e dall’attualità della sostanza o delle parti del continuo. (8) Qualcosa di simile si avrebbe, se qualcuno stabilisse che un punto fluisce e corre e con ciò stabilisse che non rimane nulla della linea né prima né dopo di esso, se non un termine non determinabile e indivisibile che è principio di continuità senza le stesse cose continue, il che è inconcepibile. Dunque, poiché le cose che sono state dette sono impossibili in una natura che costituisce i continui delle cose naturali al di fuori dall’anima, è evidente che il tempo non è una realtà naturale al di fuori dell’anima. (9) Di conseguenza, ciò è chiaro anche per il fatto che nel tempo si trovano condizioni contrarie rispetto a quelle dette in precedenza139. Questo avviene per il fatto che il tempo non è posto in essere in virtù di un’azione della natura, ma in virtù di un’azione dell’anima. L’istante, infatti – sia esso la misura del mobile o ciò che è termine indivisibile che mette in continuità le parti del tempo – si trova in atto nel

Cf. supra, c. 4, (5), p. 145. Cf. supra, c. 4, (1-2), p. 143. 139 Cf. supra, c. 4, (8), p. 145. 137 138

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poris – invenitur in actu in tempore; partes autem temporis, inter quae continuat, sunt in potentia. Ex hoc natura prius est ipsis talibus temporis partibus. Ex hoc huiusmodi instans, quod est terminus indivisibilis, magis essent partes temporis, inter quae continuat, quam e converso. Ex hoc ulterius originaliter et radicaliter fit tempus in aliquo genere per tale indivisibile, quam e converso. (10) Patet autem istas contrarias esse condiciones praedictis, et ideo impossibile est tempus constitui per actum naturae, ut sit aliqua res naturae. (11) Quod autem ea, quae dicta sunt, sic se habeant in tempore, patet ex eo, quod modus essendi et modus cognoscendi consequuntur se secundum similitudinem cuiuslibet proportionis unius eorum ad alterum. In cognitione autem rerum naturae modus cognoscendi sequitur modum essendi et modum naturae rerum eo, quod res naturae sunt. Naturae intelligentium et intellectus mensurantur secundum eas res naturae. (12) Ubi autem res mensurantur et suae realitatis naturae mensuram capiunt ex intellectu, verum, quod huiusmodi res non sunt res naturae, sed potius ab actu intellectus seu rationis, ut patet de nummo, qui non sit pretium et non pretium nisi per constitutionem rationis practicae. Similiter omnia iura positiva, quae iuristae res incorporales vocant. Similiter se habet in aliquibus rebus etiam primae intentionis, quae per actum intellectus speculativi constituuntur, ut sunt relativae habitudines et alia quaedam. (13) His visis manifestum est secundum Philosophum in IV Physicorum, quod secundum illum modum constituitur tempus in esse et mensuratur secundum apprehensionem rationis. Dicit enim ibi, quod non apprehendimus tempus nec determinamus nec mensuramus eius extensionem, quod est ipsa substantia temporis, nisi apprehendendo duo instantia, inter quae attendimus extensionem et essentiam et quantitatem temporis. Hoc autem, quod sic apprehendimus diversa instantia ab invicem diversa, Commentator ibidem dicit ex eo, quod nos sentimus nos esse in quodam divisibili secundum phantasticum nostrum, et ideo apprehendimus distincta et diversa instantia secundum antecessionem et successionem, et continuamus inter ea quandam differentiam secundum prius et

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tempo; invece le parti del tempo, tra le quali esso mette in continuità, sono in potenza. Perciò la natura viene prima delle parti del tempo stesse. Di conseguenza un istante di questo genere, che è termine indivisibile, sarebbero più le parti del tempo, tra le quali esso mette in continuità, piuttosto che il contrario. Di conseguenza, in modo più originale e radicale, il tempo si costituisce in un genere grazie a tale indivisibile, piuttosto che il contrario. (10) Ora, è chiaro che queste cose sono contrarie alle condizioni dette in precedenza, e perciò è impossibile che il tempo si costituisca attraverso un’azione della natura, così da essere una cosa naturale. (11) Che le cose dette avvengano in questo modo nel tempo, è poi chiaro per il fatto che il modo di essere e il modo di conoscere sono conseguenti tra loro in base alla somiglianza dell’uno rispetto all’altro. Ora, nella conoscenza delle cose naturali il modo di conoscere segue il modo di essere e il modo naturale delle cose, in quanto sono cose naturali. Le nature delle intelligenze e dell’intelletto sono misurate secondo le cose naturali stesse. (12) Quando invece le cose sono misurate e ricavano la misura della loro realtà naturale dall’intelletto, è vero che cose di questo genere non sono naturali, ma derivano piuttosto dall’azione dell’intelletto o della ragione, come risulta chiaro con l’esempio della moneta, che non è il prezzo e non lo sarebbe, se non per il costituirsi di una ragione pratica. Allo stesso modo avviene per tutti i diritti positivi che i giuristi chiamano ‘cose incorporee’. Ugualmente si ha anche in alcune cose di prima intenzione, che sono costituite per l’azione dell’intelletto speculativo140, come lo sono gli abiti relativi e altre cose. (13) Dalle cose viste è evidente, secondo il Filosofo nel IV libro della Fisica, che il tempo è posto in essere secondo quel modo141 ed è misurato secondo l’apprensione della ragione142. Dice infatti lì [il Filosofo] che [noi] non apprendiamo il tempo, né lo determiniamo, né misuriamo la sua estensione, che è la sostanza stessa del tempo, se non prendendo due istanti tra i quali osserviamo l’estensione, l’essenza e la quantità del tempo. Ora, il fatto che in questo modo noi apprendiamo i diversi istanti come differenti l’uno dall’altro, è dovuto – dice a questo proposito il Commentatore143 – al fatto che abbiamo la percezione di essere in qualcosa che la nostra immaginazione può dividere, e perciò apprendiamo gli istanti come distinti e diversi secondo l’antecedenza e la successione, e rendiamo continua tra loro qualsiasi differenza secondo

140 Dietrich von Freiberg, De origine rerum praedicamentalium, 5, (26), ed. L. Sturlese, pp. 187-188 ll. 209-233. 141 Cf. supra, c. 4, (12), p. 147. 142 Aristoteles, Physica, IV, 11, 219a22-29; translatio vetus, p. 176, l. 14 - p. 177, l. 2. Translatio nova, p. 286. 143 Averroes, Aristotelis opera cum Averrois commentariis, Physicorum liber IV, comm. 100, Venetiis apud Junctas, 1562-1574, vol. 4 [réimpr. Frankfurt, Minerva, 1962],180vH-I.

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posterius eius, et hoc est eius tempus secundum Philosophum. Cum igitur talia duo instantia indivisibilia non sint nisi per actum apprehensionis nec sint in actu nisi per actualem significationem animae et consequenter inter ipsa distantia quaedam extensionis, quae nusquam simpliciter invenitur in natura, manifestum est, quod huiusmodi indivisibilia in tempore sint in actu et partes temporis, quorum sunt termini, sunt magis in potentia. Nulla enim illarum est in actu, nisi prius significatis per actum apprehensionis instantibus terminantibus vel continuantibus huiusmodi partes. Ergo consequenter huiusmodi instantia sunt prius natura ipsis partibus substantiae temporis. (14) Consequitur etiam, quod partes temporis magis et potius essentiantur ex talibus instantibus quam e converso, et quod radicaliter et originaliter substantia temporis capit ex eis naturam sui generis. (15) Contraria igitur his inveniuntur in continuis, quae sunt apud naturam. Igitur tempus non est extra animam aliquid secundum realem naturam constitutum a natura. (16) Nec obstat, si quis iam dictis obviare vellet dicens Philosophum in consideratione temporis processisse secundum modum nobis consuetum et proportionatum, quo videlicet in inquisitione scientiarum procedimus a posterioribus natura nobis autem magis notis secundum Philosophum in I Physicorum; et sic non sequitur, quod in inquisitione temporis ea, quae prius cadunt in nostram considerationem, quod huiusmodi sunt priora secundum naturam, et quod secundum hoc natura priora sunt instantia seu termini temporis quam partes ipsius continuae, ut ratio iam dicta concludebat; hoc, inquam, non obstat praedictis. Primo, quia numquam aliqua alia via inventa est apud Philosophum in consideratione temporis quam ea, quae hic dicta est, ut in IV Physicorum apparet. (17) Praeterea: Augustinus XI Confessionum totam substantiam temporis informat ex apprehensione et compositione partium temporis ad nunc praesens, ut ibidem manifeste habetur. (18) Praeterea: Manifestum est, quod apud naturam composita notiora sunt simplicibus, et continua et partes continui magis nota sunt suis terminis et ea, quae per se habent rationem sui generis, prius sunt nota quam ea, quae sunt ex eodem genere quasi per accidens et per reductionem. Sic igitur se haberet in tempore, si esset aliquid apud naturam extra animam. Sed videmus manifeste contrarium in consideratione et apprehensione temporis. Unde illi, de quibus

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il suo «prima» e il suo «poi», e questo secondo il Filosofo è il suo tempo. Dunque, dal momento che due istanti non sono indivisibili, se non per un atto d’apprensione, né sono in atto, se non per una designazione attuale da parte dell’anima e, di conseguenza, tra le distanze stesse di una certa estensione, che non si trovano mai in modo semplice in natura, è evidente che tali indivisibili sono in atto nel tempo, e le parti del tempo, di cui costituiscono i termini, sono piuttosto in potenza. Infatti nessuna di quelle è in atto, se per un atto di apprensione non sono prima segnati gli istanti che terminano e continuano tali parti. Di conseguenza istanti di questo genere sono in natura prima delle parti stesse della sostanza del tempo. (14) Ne consegue anche che le parti del tempo ricevono la loro essenza da tali istanti piuttosto che il contrario, e che in modo radicale e profondo la sostanza del tempo ricava da essi la natura del suo genere. (15) Il contrario di ciò si ritrova nei continui che si trovano in natura. Dunque, il tempo non è qualcosa al di fuori dell’anima costituito dalla natura secondo una natura reale. (16) Non costituisce un’obiezione, se qualcuno vuole opporsi a quanto detto dicendo che il Filosofo, considerando il problema del tempo, ha proceduto in un modo a noi consueto e confacente, in base al quale nella ricerca scientifica procediamo dalle cose seconde in natura, ma più note per noi, secondo [quanto scrive] il Filosofo nel I libro della Fisica144; e in questo modo non ne consegue che nella ricerca sul tempo le cose che consideriamo prima, siano prime secondo natura, e che perciò per natura vengano prima gli istanti o i termini del tempo piuttosto che le parti continue, come concludeva l’argomentazione precedente; questo – dico – non costituisce un’obiezione rispetto alle cose dette in precedenza. In primo luogo, perché negli [scritti del] Filosofo non si ritrova nessun’altra soluzione, riguardo al problema del tempo, rispetto a quella che è stata detta qui, come appare evidente nel IV libro della Fisica145. (17) Inoltre, Agostino, nell’XI libro delle Confessioni, costituisce l’intera sostanza del tempo a partire dall’apprensione e dalla composizione delle parti del tempo in relazione all’istante presente, come lì appare in modo chiaro146. (18) Inoltre, è evidente che in natura le cose composte siano più note rispetto a quelle semplici, e le cose continue e le parti di un continuo siano più note rispetto ai loro termini, e le cose, che hanno in sé il modo d’essere del loro genere, siano note prima di quelle che sono nel medesimo genere per accidente o per riduzione. In questo modo allora avverrebbe per il tempo, se fosse qualcosa in natura al di fuori dell’anima. Ma nella considerazione e nell’apprensione del tempo vediamo in modo Aristoteles, Physica, I, 1, 184a16-24; translatio vetus, p. 7, l. 8 - p. 8, l. 1. Translatio nova, p. 3. Aristoteles, Physica, IV, 10, 217b30-32; translatio vetus, p. 170, ll. 10-14. Translatio nova, p. 273. 146 Augustinus, Confessiones, XI, 14, n. 17 - 28, n. 38, ed. L. Verheijen, CCSL 27, pp. 202-214; trad. Reale, pp. 1043-1079. 144 145

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dicit Philosophus, qui dormiunt in Sardis, non apprehendunt tempus, quia non apprehendunt duo instantia, inter quae continuarent temporis durationem. Non ergo Philosophus in inquisitione et consideratione temporis processit a posterioribus natura; immo in hoc genere continui, quod est tempus, ex quibus procedit Philosophus, sunt priora natura et etiam nobis prius nota, sicut etiam in quibusdam aliis substantiis contingit. (19) Et quia secundum dictum modum tempus constituitur per actum animae, et est res primae intentionis determinata circa motum secundum rationem numeri vel mensurae, ideo secundum Commentatorem Super IV Physicorum magis pertinet ad primum philosophum considerare et determinare naturam temporis quam ad physicum. (20) Est etiam circa praedicta advertendum, quod ex institutione et consideratione temporis modo in praemisso surgit quaedam imaginatio seu imaginativa dispositio temporis in se et in suis partibus et terminis continuativis, quos instantia vocamus. Secundum ea enim, quae praedicta sunt, imaginarie tamen, attribuimus tempori modos continuorum naturae, videlicet quandam ipsius extensionem et partium suarum ad aliquem communem terminum continuationem et quendam ipsius decursum secundum prius et posterius ad quandam commensurationem sui ad motum et spatium et diversitatem sui secundum divisionem motus et spatii et similia, quae omnia imaginaria sunt. Et secundum istum modum sic phantastice seu imaginarie impositum tempori possumus etiam sibi attribuere proprios et reales modos et proprietates continuorum, quae sunt apud naturam, scilicet ut partes eius priores sint suis terminis indivisibilibus et reales termini essentientur ex huiusmodi partibus et per eas reducantur ad determinatum genus praedicamenti. Unde secundum istum modum secundum quandam famositatem attributum tempori tempus ponitur in genere determinato praedicamenti, quod est quantitas. Decem enim praedicamenta per Archytam Tarentinum ante Aristotelem constituta secundum Boethium in fine Arithmeticae suae secundum quandam famositatem et, secundum quod consuetum fuit dici, constituta sunt magis quam secundum veritatem. Unde secundum hoc substantiae corporales et spirituales, generabilia et corruptibilia, omnia, inquam, ad unum genus substantiae coarctantur. Similiter quantitas discreta et continua et

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manifesto il contrario. Di conseguenza, quelli di cui parla il Filosofo, che dormono a Sardi, non apprendono il tempo, perché non percepiscono due istanti, tra i quali essi potrebbero rendere continua la durata del tempo. Il Filosofo, dunque, nella ricerca e nella considerazione del tempo, non procede a posteriori; al contrario, in questo genere di continuo che è il tempo, il Filosofo procede da quelle cose che sono prime in natura e che anche a noi sono note per prime, come avviene anche in alcune altre sostanze147. (19) E dal momento che, secondo il modo detto, il tempo è costituito attraverso l’azione dell’anima ed è una realtà di prima intenzione, determinata rispetto al moto secondo il modo d’essere del numero o della misura148, perciò, secondo il Commentatore, nel IV libro di Commento alla Fisica149, [il compito] di considerare e determinare la natura del tempo spetta più al filosofo primo che al fisico. (20) Sulle cose dette in precedenza, bisogna anche notare che dalla costituzione e dalla considerazione del tempo secondo il modo che abbiamo visto, ha origine una certa immaginazione o modo di immaginare il tempo in sé, nelle sue parti e nei suoi termini continuativi che chiamiamo istanti. In base alle cose che sono state dette in precedenza, infatti, attribuiamo al tempo, in modo tuttavia immaginario, i modi dei continui naturali, cioè una sua qualche estensione, una continuazione delle sue parti rispetto a un termine comune, un suo decorso secondo il «prima» e il «poi» in relazione a una sua qualche comune misura rispetto al moto e allo spazio, e una sua diversità in base alla suddivisione del moto, dello spazio, e cose simili che sono tutte cose immaginarie. In base a questo modo d’essere, attribuito apparentemente e in modo immaginario al tempo, possiamo attribuirgli anche i modi e le proprietà specifiche e reali dei continui, che si trovano in natura, vale a dire che le sue parti sono prime rispetto ai propri termini indivisibili e che i termini reali siano sostanzializzati da tali parti e siano ricondotti attraverso di esse a un determinato genere di predicamento. Di conseguenza, in questo modo, per un luogo comune attribuito al tempo, esso è posto in un genere determinato di predicamento, che è la quantità. I dieci predicamenti – stabiliti da Archita di Taranto prima di Aristotele – secondo quanto scrive Boezio alla fine della sua Aritmetica150 – sono stati costituiti più per una sorta di luogo comune e di consuetudine, che secondo la verità delle cose. Di conseguenza, per questa ragione, le sostanze corporali e spirituali, generabili e corruttibili sono tutte ricondotte – dico – all’unico genere della sostanza. Allo stesso modo le quantità discrete e continue e, tra i continui anche il tempo, sono poste nel Aristoteles, Physica, IV, 11, 218b21-29; translatio vetus, p. 173, ll. 5-13. Translatio nova, p. 277. Dietrich von Freiberg, De origine rerum praedicamentalium, 5, (2): cf. nota 99. 149 Averroes, Aristotelis opera cum Averrois commentariis, Physicorum liber IV, comm. 131, Venetiis apud Junctas, 1562-1574, vol. 4 [réimpr. Frankfurt, Minerva, 1962], 202vH. 150 Boethius, De institutione arithmetica libri duo, II, 41; ed. G. Friedlein, Lipsiae, 1867 [réimpr. Minerva Frankfurt 1966], p. 139. 147 148

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inter continua etiam tempus ponitur in genere quantitatis. Quae omnia constat genere esse diversa secundum Philosophum in multis locis. Secundum logicam considerationem, quae probabilitati et famositati visa fuit, distincta sunt genera, ut praemittitur. Unde Philosophus in Praedicamentis in capitulo de qualitate dicit, quod species qualitatis, quae consueverunt dici, paene enumeratae sunt. Unde et in Metaphysica non enumeratur tempus in capitulo de quantitate, sed in Praedicamentis.

5. Quomodo inveniatur in rebus, quae subsunt tempori (1) Quinto loco considerandum hoc quoque, quod supra praemissum est, scilicet quomodo tempus inveniatur in rebus. Supposito igitur ex praemissis, quod tempus non est aliquid reale naturale extra animam, sed per actum animae constituitur et determinatur circa res, secundum hoc attendimus in tempore primo causam et modum suae originis, secundo id, quod est secundum rationem suae quiditatis et definitionis, tertio id, quod est secundum suam substantiam, quo etiam numerus dicitur et in quo est sicut in subiecto secundum rationem et proprietatem mensurae.

5.1. Causa temporis et modus suae originis (1) Quoad primum manifestum est, quod primaria et simpliciter prima causa, sed remota et non immediata est motus caeli, in quem omnes motus et mobilium proprietates et passiones reducuntur tamquam in primam et per se causam in genere mobilium et motorum secundum Philosophum in VIII Physicorum. Huic autem causae agenti quantum ad propositum subiectum est nostrum phantasticum, quod sic ex influentia talis motus afficitur, quo sentimus seu percipimus nos esse in quodam esse divisibili, ex quo mox prorumpit phantasticum nostrum et significat duos terminos huius divisibilis esse, unum videlicet esse, in quo sumus, alium autem esse, in quo fuimus; inter quae per se cadit distantia quantum

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genere della quantità. Che tutte queste cose siano diverse nel genere lo si constata da quanto scrive il Filosofo in molti passi. Per una considerazione logica, che per frequenza e fortuna è sembrata evidente, i generi sono distinti, come è premesso. Di conseguenza, il Filosofo nelle Categorie, nel capitolo sulla qualità, scrive che le specie che sono solitamente attribuite alla qualità, sono quasi enumerate151. Di conseguenza, anche nella Metafisica152 il tempo non è enumerato all’interno del capitolo della quantità, ma invece lo è nelle Categorie153.

5. In che modo si trova nelle cose che sono soggette al tempo (1) In quinto luogo, bisogna considerare anche ciò che è stato premesso sopra154 e cioè in che modo si trovi il tempo nelle cose. Dunque, date per assodate le cose che abbiamo premesso, e cioè che il tempo non è qualcosa di realmente naturale al di fuori dell’anima, ma si costituisce ed è determinato per un’azione dell’anima rispetto alle cose; alla luce di questo consideriamo nel tempo, in primo luogo la causa e il modo d’essere della sua origine, in secondo luogo ciò che è secondo il modo d’essere della sua quiddità e della sua definizione, in terzo luogo, ciò che è secondo la sua sostanza, per mezzo della quale si dice anche «numero» e nella quale esiste come in un soggetto secondo il modo d’essere e la proprietà della misura.

5.1. La causa del tempo e il modo della sua origine (1) Per quanto riguarda il primo aspetto è evidente che la causa primaria e prima in modo semplice, ma remota e non immediata, è il moto del cielo, a cui sono riconducibili tutte le proprietà e le passioni del moto e dei mobili, come ad una causa prima e per sé nel genere dei mobili e dei motori, secondo [quanto scrive] il Filosofo nell’VIII libro della Fisica155. Ora, quanto al nostro proposito, a questa causa agente è soggetta la nostra attività immaginativa, che così si costituisce per l’influenza di tale moto, per mezzo del quale sentiamo o percepiamo di trovarci in qualcosa di divisibile, a partire dal quale, in seguito, la nostra immaginazione interviene e segna due termini di questo essere divisibile, ossia uno in cui siamo e un altro in cui, invece, siamo stati; tra questi [due termini] si stabilisce una distanza relativa al passaggio

151 Aristoteles, Categoriae, VIII, 10a27-29; Boethius translator Aristotelis, p. 27, ll. 19-21. Guillelmus de Morbeka translator Aristotelis, p. 105, ll. 11-13. 152 Aristoteles, Metaphysica, V, 13, 1020a7-32; translatio media, p. 101, l. 19, p. 102, l. 12. Recensio et Translatio Guillelmi de Moerbeka, p. 113, ll. 590-615. 153 Aristoteles, Categoriae, VI, 4b20-24; Boethius translator Aristotelis, p. 13, ll. 20-23. Editio composita, p. 54, ll. 17-19. Guillelmus de Morbeka translator Aristotelis, p. 92, l. 30 - p. 93, l. 2. 154 Cf. supra, proemio, (2), p. 123. 155 Aristoteles, Physica, VIII, 9, 265b8-11; translatio vetus, p. 332, ll. 7-10. Translatio nova, p. 606.

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ad transitum de uno in aliud et per consequens secundum acceptionem animae, et haec est causa propinquior in constitutione temporis. (2) Post hanc autem propria et immediata causa et complens constitutionem temporis secundum substantiam eius est superveniens ratio, quae secundum dictos terminos esse divisibilis significat duo instantia vel etiam plura instantia secundum plures terminos saepe dicti esse divisibilis, inter quos inicit quandam durationis extensionem, quam dicimus tempus. (3) Secundum haec, quae dicta sunt, manifestum est, quod tempus secundum suam substantiam in triplicem causam reducimus quoad rationem suae originis et constitutionis in esse, scilicet in motum caeli sicut in causam primam et in actum phantastici nostri, quo percipimus nos esse in quodam esse divisibili, et in ipsam rationem significantem diversa instantia et determinantem inter ea quandam durationis extensionem, secundum quae iam possumus numerare motum secundum suas partes et ipsius quantitatem.

5.2. Quiditas et definitio temporis (1) Secundum ea autem, quae dicta sunt, intellectus speculativus determinat quiditatem temporis quoad eius propriam definitionem dicens, quod tempus est numerus motus secundum prius et posterius. Quae definitio est de eo genere seu manerie definitionum, quae sunt proprietatum et per se passionum. In quarum definitionibus cadunt propria subiecta, quorum sunt huiusmodi passiones per se quantum ad secundum modum dicendi per se secundum Philosophum in libro Posteriorum. In huiusmodi autem definitionibus ipsa passio solet aliquo generali nomine designari loco generis, subiectum autem ponitur loco differentiae, et ulterius ad designandum causam passionis in subiecto ponuntur ad complementum talis definitionis principia subiecti seu partes vel aliquae passiones naturales vel etiam superventitiae subiecti. Secundum hoc in proposita definitione temporis numerus ponitur loco generis, motus autem loco differentiae, prius autem et posterius loco ultimarum differentiarum, secundum quae attenditur causa passionis, id est temporis, in subiecto, quod est motus; et ideo tempus non

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dall’uno all’altro e, di conseguenza, secondo la percezione dell’anima anche questa è una causa più prossima nella costituzione del tempo. (2) Invece, dopo questa, una causa propria e immediata e che completa la costituzione del tempo secondo la sua sostanza è la ragione di seconda intenzione che secondo i detti termini di un essere divisibile, segna due o anche più istanti secondo molti termini del già menzionato «essere divisibile», tra i quali stabilisce una certa estensione della durata, che chiamiamo «tempo». (3) Alla luce delle cose che sono state dette, è evidente che, per quanto riguarda il modo d’essere della sua origine e del suo costituirsi nell’essere, noi riconduciamo il tempo, secondo la sua sostanza, a una triplice causa, ossia al moto celeste come causa prima, alla nostra attività immaginativa, grazie alla quale percepiamo di essere in un qualche essere divisibile, e alla ragione stessa che segna i diversi istanti e che determina tra loro una certa estensione della durata, in base alla quale possiamo numerare il moto secondo le sue parti e la sua quantità.

5.2 Quiddità e definizione del tempo (1) Ora, in virtù delle cose dette, l’intelletto speculativo determina la quiddità del tempo per quel che riguarda la sua definizione specifica, dicendo che il tempo è il numero del moto secondo il prima e il poi156. Questa definizione appartiene al genere o alla maniera delle definizioni, che appartengono di per sé alle proprietà e alle passioni. Nelle definizioni di queste cose rientrano i soggetti specifici, a cui tali passioni appartengono di per sé, in relazione al secondo modo di considerare [la locuzione] «per sé», che il Filosofo propone negli Analitici Secondi157. In tali definizioni, invece, la passione stessa si è soliti designarla con un nome generale al posto del genere, mentre il soggetto è considerato al posto della differenza e, in seguito, per designare la causa di una passione in un soggetto, sono considerati – a completamento di tale definizione – i principi del soggetto o le parti, oppure alcune passioni naturali, o anche che sopraggiungono in un secondo momento, del soggetto. In base a questo nella definizione di tempo che abbiamo proposto, il «numero» è considerato al posto del genere, il «moto» al posto della differenza e, invece, il «prima» e il «poi» al posto delle differenze ultime, secondo le quali si osserva la causa della passione, cioè del tempo, nel soggetto che è il moto; anche per questo il tempo non

Aristoteles, Physica, IV, 11, 219b1-2: cf. nota 124. Aristoteles, Analytica posteriora, I, 4, 73b3-5; translatio Iacobi in Aristoteles Latinus, IV.1-4, ed. L. Minio-Paluello, B.G. Dod, Desclée de Brouwer, Bruges-Paris 1968, p. 13, ll. 5-7. Translatio anonyma in Aristoteles Latinus, IV.1-4, ed. L. Minio-Paluello, B.G. Dod, Desclée de Brouwer, Bruges-Paris 1968, p. 117, ll. 15-18. Translatio Gerardi in Aristoteles Latinus, IV.1-4, ed. L. Minio-Paluello, B.G. Dod, Desclée de Brouwer, Bruges-Paris 1968, p. 195, ll. 30-32. Recensio Guillelmi in Aristoteles Latinus, IV.1-4, ed. L. Minio-Paluello, B.G. Dod, Desclée de Brouwer, Bruges-Paris 1968, p. 289, ll. 32-34. 156 157

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dicitur simpliciter numerus, sed numerus secundum prius et posterius; et ideo dicitur et est numerus numeratus propter duo. (2) Primo, quia habet se ex additione ad numerum simpliciter, qui est numerus formalis simpliciter abstractus, qui communis est omnibus entibus numeratis, secundum quod unum et multa dividunt totum ens secundum Philosophum in IV et X Primae philosophiae. Tempus autem est numerus non qualiscumque, sed est numerus motus, nec qualitercumque, sed secundum prius et posterius. (3) Secundo dicitur numerus numeratus ad differentiam numeri numerantis, qui est anima. Unde per actum animae, quo numerat motum secundum prius et posterius, constituitur talis numerus determinante ipsum anima circa motum. Et sic patet secundum praemissorum, quomodo se habeat intellectus speculativus ad tempus et quid sit tempus secundum rationem suae definitionis dicentem, quid est et propter quid.

5.3. Tempus secundum suam substantiam (1) Ex his breviter inferuntur alia duo praemissa. Primum videlicet, quod tempus, quia est numerus motus, in quolibet motu est sicut in subiecto. Unusquisque enim motus potest accipi secundum partes suas priores et posteriores secundum modum, qui dictus est, et sic mensurari numero sibi proprio, qui est tempus. (2) Quoniam autem tempus secundum suam substantiam est numerus, eo ipso rationem et proprietatem mensurae importat. Dicimus enim omnem numerum omni numero commensuratum esse eo, quod quilibet numeri ad invicem comparati aliquo uno communi numero vel saltem unitate numerantur et mensurantur; et eas quantitates continuas dicimus ad invicem esse commensurabiles, quae se habeant ad invicem sicut numerus ad numerum ex X Euclides, sicut se habent bicubitum et tricubitum ad unitatem. Vult autem mensura esse aliquid minimum in genere rerum, quae quanta sunt, sive sint quanta molis, sive sint quanta virtutis et perfectionis. (3) In commensuratis igitur, quae quanta sunt quantitate virtutis et perfectionis, minimum est simplicissimum et perfectissimum, sicut de universitate entium loquendo dicimus Deum esse mensuram omnium entium, et in quolibet

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si dice semplicemente «numero», ma «numero secondo il prima e il poi»; e perciò si dice, ed è, «numero numerato» per due ragioni. (2) In primo luogo, perché si costituisce semplicemente grazie all’aggiunta di un numero, che è un numero formale e astratto in modo semplice, che è comune a tutti gli enti numerati, in base al quale – secondo il Filosofo nel IV e nel X libro della Metafisica158 – l’uno e i molti distinguono tutto ciò che esiste. Il tempo, invece, non è un numero qualunque, ma è il «numero del moto», non in qualsiasi modo, ma «secondo il prima e il poi». (3) In secondo luogo, è detto «numero numerato» a differenza del «numero numerante» che è l’anima. Di conseguenza, per l’azione dell’anima, grazie alla quale numera il moto «secondo il prima e il poi», tale numero è costituito dall’anima che lo determina rispetto al moto. E in questo modo è chiara la seconda delle cose dette in precedenza, ossia in che modo l’intelletto speculativo sta in relazione con il tempo e cosa sia il tempo secondo il modo d’essere della sua definizione che ci dice cosa sia la sua essenza e la causa per cui esiste.

5.3. Il tempo secondo la sua sostanza (1) Da queste cose sono dedotte brevemente altre due delle cose che abbiamo detto precedentemente. In primo luogo che il tempo, poiché è «numero del moto», si trova in qualsiasi moto come in un soggetto. Infatti qualsiasi moto può essere percepito secondo le sue parti precedenti e successive, nel modo detto, e così può essere misurato con il numero che gli è proprio, che è il tempo. (2) Ora, siccome il tempo è un numero secondo la sua sostanza, dal [numero] stesso ricava il modo d’essere e la proprietà di misura. Diciamo infatti che ogni numero è commisurato a ogni numero, per il fatto che qualsiasi numero nel confronto reciproco è numerato o misurato da qualche numero comune o, quantomeno, da un’unità comune; e diciamo che le quantità continue sono reciprocamente commensurabili, perché stanno tra loro in modo reciproco come un numero con un altro numero – secondo quanto scrive Euclide nel libro X degli Elementi159 – come stanno tra loro il bicubito e il tricubito rispetto all’unità. Euclide sostiene poi che la misura sia qualcosa di minimo nel genere delle cose che sono grandezze, sia che si tratti di grandezza di peso, sia che si tratti di grandezza di una virtù e di una perfezione. (3) Dunque, nelle cose commisurate, che sono grandezze nella quantità di una virtù e di una perfezione, ciò che è minimo è semplicissimo e perfettissimo, come, parlando della totalità degli enti, diciamo che Dio è la misura di tutti gli enti, e in 158 Aristoteles, Metaphysica, IV, 2, 1004b27-1005a5; X, 3, 1054a20-23; X, 6, 1056b3-4; translatio media, p. 64, ll. 2-13; p. 189, l. 24, p. 190, l. 2; p. 195, ll. 17-19. Recensio et Translatio Guillelmi de Moerbeka, p. 71, ll. 115-126; p. 201, ll. 161-164; p. 208, ll. 332-333. 159 Euclides, Elementa, X, 5; E.S. Stamatis, p. 8.

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genere dicimus hoc esse mensuram, quod est simplicissimum illius generis, in quo tamquam in radicali principio fundatur ratio et natura totius generis, sicut est unitas in genere discretorum et punctus in genere continuorum quoad mathematicam continuorum considerationem, considerando videlicet res mathematicas quoad formales earum rationes et proprietates et per se passiones eorum secundum huiusmodi formales ipsarum rationes. (4) In his autem, quae quanta sunt quantitate molis inquantum huiusmodi, attenditur minimum secundum rationem mensurae vel re ipsa vel solum secundum potentiam, quia, quemadmodum quodlibet quantum aliqua sui generis parte, quae posita, mensuratur, ut decem ulnae una ulna, sic pars aliqua temporis posita mensurat totum, ut hora vel aliquid, quod ponitur simplicius, mensurat totum diem et pars motus motum et pars lineae lineam. (5) Alio modo in rebus quantitatem habentibus et secundum quandam analogiam ad invicem comparatis invenitur minimum rationem mensurae habens, minimum, inquam, non modo potentiae, sed re ipsa; et secundum hoc attenditur minimum in tempore, inquantum habet rationem mensurae. Tempus enim numerat motum primum velocissimum, et eo simplicissimum, scilicet motum ultimae sphaerae secundum cursum aequinoctialis ab oriente in occidens, mensurat omnes alios motus, sive sint motus aliarum inferiorum sphaerarum, sive sint motus alii in hoc inferiore mundo. Secundum motum enim sphaerae ultimae velocissimum et simplicissimum determinamus omni motui mensuram velocitatis et tarditatis, durationis et talia similia. (6) Patet igitur secundum ea, quae dicta sunt, quod tempus quoad rationem suae originis secundum substantiam suam reducitur tamquam in causam primariam in motum caeli; secundo autem loco et immediatius in actum phantastici nostri, quo percipimus nos esse in quodam esse divisibili; tertio autem in ipsum rationale nostrum, quo secundum diversos terminos dicti divisibilis esse determinamus duo instantia et inter ea quandam quasi durationis extensionem. Secundum rationem autem suae quiditatis secundum definitionem dicentem, quid est, est ab intellectu speculativo. Secundum proprietatem autem suae substantiae, qua dicitur numerus, est in quolibet motu sicut in subiecto. Inquantum vero habet rationem mensurae, proprie est in primo motu, qui est primi caeli, accipiendo primum caelum secundum ordinem situs vel loci a supremo ad infimum.

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qualsiasi genere diciamo che la misura è ciò che è più semplice di quel genere e su cui – come su di un principio essenziale – è fondata la ragione e la natura di tutto il genere, come è l’unità nel genere delle cose discrete e il punto nel genere dei continui, per quel che riguarda un’interpretazione di tipo matematico dei continui, ossia considerando gli oggetti della matematica per le loro ragioni e proprietà formali, e per le loro passioni per sé, proprio in base a tali ragioni formali. (4) Invece nelle cose che sono grandezze nella quantità di peso, in quanto sono di questo genere, si osserva una misura minima, secondo il modo d’essere della misura, o nella cosa stessa oppure solamente secondo la potenza, poiché, come qualsiasi grandezza è misurata da qualunque parte del suo genere, che è considerata – come dieci ulne da un’ulna –, così una parte di tempo stabilita misura tutto l’intero, come un’ora o qualcosa, che è stabilito come [unità] più semplice, misura tutto un giorno e una parte di un moto misura un moto e una parte di una linea misura una linea. (5) Nelle cose che possiedono una quantità e che sono paragonate l’una all’altra per analogia, l’unità minima che ha il modo d’essere di misura si trova in altro modo; parlo di «unità minima» non solo in potenza, ma anche nella cosa stessa; di conseguenza anche nel tempo si osserva un’unità minima, in quanto ha il modo d’essere della misura. Il tempo, infatti, numera il primo moto velocissimo, e perciò semplicissimo, ossia il moto dell’ultima sfera, secondo il corso equinoziale da oriente a occidente, e misura tutti gli altri moti, siano essi delle altre sfere inferiori o di altre cose in questo mondo sublunare. Secondo il moto velocissimo e semplicissimo dell’ultima sfera, infatti, attribuiamo a ogni moto la misura della velocità e del ritardo, della durata e altre cose simili. (6) Alla luce delle cose che sono state dette, è allora chiaro che il tempo, per quanto riguarda la sua origine è riconducibile – secondo la sua sostanza – al moto celeste come a una causa primaria; in secondo luogo e in modo più immediato è invece riconducibile all’atto della nostra immaginazione, per mezzo della quale percepiamo di essere in un essere divisibile; in terzo luogo è invece riconducibile alla nostra stessa attività di ragione, per mezzo della quale, in base ai diversi termini di ciò che è stato chiamato «essere divisibile», determiniamo due istanti e tra essi una qualche, per così dire, estensione della durata. Secondo il modo d’essere della sua quiddità poi [il tempo], in base alla definizione che dice che cosa è, proviene dall’intelletto speculativo. Invece, secondo la proprietà della sua sostanza, per cui si parla di «numero», [il tempo] è in qualsiasi moto come in un soggetto. In realtà, in quanto ha modo d’essere di misura, [il tempo] è propriamente nel primo moto, che è [il moto] del primo cielo, considerando il primo cielo secondo l’ordine del posto o del luogo a partire da ciò che è supremo fino a ciò che è infimo.

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6. Solutio aliquarum dubitationum (1) Considerandum ultimo circa propositam materiam hoc, quod sexto loco supra praemissum est. Et sufficiat tangere tres dubitationes, quae circa ea, quae dicta sunt, oriri videntur. (2) Primum videlicet, quod motus, maxime localis, continuus est, ut dictum est supra, quod necessarium est ipsum mobile actu participare passionem seu genus, in quo est motus, puta in motu secundum spatium loci necessarium est mobile actu existere in aliqua parte spatii, super quod movetur, quomodo igitur mobile, quod continue variatur, actu invenitur existere in aliqua parte spatii, cum dictum sit etiam supra, quod nihil, quod variatur, existit actu. (3) Secunda dubitatio est, quare simpliciter non invenitur hoc in tempore, ut videlicet secundum aliquam sui partem sit in actu, sicut hoc invenitur in motu, ut dictum est. (4) Tertio rationabiliter quaeri potest et dubitari, cum tempus non sit nisi in anima et ab anima, quomodo tempus erat, quando anima non fuit. Et si ponamus animam non esse, quin sit tempus, vel si est, vel non est tempus, anima non existente, sicut et Philosophus quaerit in IV Physicorum.

6.1. Prima dubitatio: Quomodo mobile, quod continue variatur, actu invenitur existere in aliqua parte spatii (1) Circa primum istorum considerandum propositum ex definitione motus, quam dat Philosophus, videlicet quod motus est actus existentis in potentia inquantum huiusmodi. Attendendum hanc definitionem quantum ad sanum ipsius intellectum. Hoc autem ideo diximus, quia prima facie videtur in ipsa importari oppositio in adiecto sive reduplicatio, qua dicitur, inquantum huiusmodi, cadat super potentiam, ut sit sensus, quod motus est actus existentis in potentia, inquantum est in potentia, sive reduplicatio feratur ad actum, ut sit sensus, quod motus est actus existentis in potentia, inquantum est actus; ut videlicet aliquid sit in actu, et inquantum est in actu, sit ens potentia, si reduplicatio dicta intelligatur ferri super actum vel secundum alium modum iam dictum, ut aliquid sit

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6. Soluzione di alcuni dubbi (1) Da ultimo bisogna considerare, riguardo al tema proposto, quanto è stato preannunciato come sesto punto160. Ed è sufficiente prendere in esame tre dubbi che sembrano sorgere rispetto alle cose che sono state dette. (2) Primo dubbio. Il moto, soprattutto quello locale, è – come è stato detto sopra161 – continuo, ed è necessario che il mobile stesso partecipi in atto alla passione o al genere in cui il moto si trova, ad esempio, nel moto secondo lo spazio locale, è necessario che il mobile sia in atto in qualche parte dello spazio su cui è mosso. In che modo, allora, un mobile che è alterato in modo continuo, esiste in atto in qualche parte di spazio, visto che in precedenza è stato detto che nulla che è alterato esiste in atto? (3) Secondo dubbio. Perché nel tempo non avviene semplicemente questo: cioè che sia in atto secondo una qualche sua parte, come è stato detto che avviene nel moto? (4) Terzo dubbio. Dal momento che il tempo non esiste se non nell’anima o dall’anima, ci si può ragionevolmente domandare in che modo era il tempo, quando l’anima non c’era. E se supponiamo che non ci sia l’anima [ci si può ragionevolmente domandare] perché non ci sia il tempo, oppure se c’è o non c’è il tempo, quando non esiste l’anima, come anche il Filosofo si chiede nel IV libro della Fisica162.

6.1. Primo dubbio: in che modo un mobile che è alterato in modo continuo, si trova ad esistere in atto in qualche parte di spazio (1) Riguardo al primo di questi [dubbi] bisogna considerare il problema a partire dalla definizione di moto, che dà il Filosofo, ossia che il moto è «l’atto di ciò che esiste in potenza in quanto tale»163. Bisogna osservare questa definizione quanto al suo corretto significato. Diciamo questo per questa ragione: perché, a prima vista, pare che nella [definizione] stessa sia introdotta una contraddizione o una ripetizione, per cui si dice che «in quanto tale» si riferisce alla potenza, così che il senso sia che «il moto è atto di ciò che esiste in potenza, in quanto è in potenza», oppure si attribuisce una ripetizione rispetto all’atto, così che il senso sia che «il moto è atto di ciò che esiste in potenza, in quanto è atto»; come a dire che qualcosa sia in atto, e in quanto è in atto, sia un ente in potenza, se si intende attribuire la suddetta ripetizione all’atto oppure, secondo l’altro modo già detto, come a dire che qualcosa sia un ente Cf. supra, proemio, p. 123. Cf. supra, c. 2, (4-5), pp. 129-131. 162 Aristoteles, Physica, IV, 14, 223a21-22: cf. nota 96. 163 Aristoteles, Physica, III, 1, 201a9-11; translatio vetus, p. 98, ll. 11-14. Translatio nova, p. 139, 144. Cf. Thomas Aquinas, In octo libros Physicorum Aristotelis Expositio, III, 2, 285[3], cura et studio P.M. Maggiolo, Marietti, Torino-Roma 1954, p. 145. 160 161

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ens potentia, et inquantum est ens potentia, sit ens actu; ubique enim viderentur implicari opposita circa idem. (2) Item: Non videtur dicta descriptio motui convenire convertibilis, sed in plus se habere, et pluribus aliis rebus et etiam quibusdam transmutationibus videtur convenire. Forma enim embryonis est actus quidam, secundum quem embryo inquantum huiusmodi est in potentia ad ultimam formam, quae est animalis complementum, secundum quod natura in generatione perfectorum a determinatis principiis per determinata media procedit ad determinatos fines. Et secundum hoc videtur forma embryonis esse actus existentis in potentia inquantum huiusmodi. In transmutationibus etiam, quibus mobile secundum totum transmutatur de dispositione in dispositionem, puta in illuminatione aeris successiva, secundum quemcumque gradum res sic transmutata participet talem formam, nihilominus tamen stans sub tali actu est in potentia in ulteriorem formam, et sic talis forma videtur esse actus existentis in potentia inquantum huiusmodi. Similiter videtur se habere in his, quae enumerat Philosophus VII Physicorum, puta in transmutatione secundum scientiam et universaliter in habitibus, in substantia, in relationibus, in quibus tamen non invenitur motus secundum Philosophum. (3) Ad propositi igitur et eorum, quae dicta sunt, declarationem dicendum, quod motus importat quandam mobilis variationem. Et hoc manifestum est per se. Variatio autem est quidam transitus a dispositione in dispositionem. Quod quidem dupliciter contingit. Uno modo, ut mobile transeat a dispositione iam habita ad dispositionem distantem. Dico autem dispositionem seu formam distantem, quam ipsum mobile nec per se totum nec secundum sui partem aliquam in se habet, ut exempli gratia in motu locali, si aliquid esset desursum in regione ignis in loco sibi commensurato et descenderet deorsum in regionem terrae in locum sibi ibidem commensuratum, magno spatio interiecto inter haec duo loca, constat secundum hoc, quod mobile, dum movetur a suo primo loco in spatium medium, item, dum in ipso spatio medio movetur, antequam attingat infimum locum, nihil loci inferioris habet, ad quem tendit. Igitur, quamvis tale mobile non moveatur, ut positum est, sive a suo loco, qui sursum, sive in ipso spatio medio, sive in ipsum inferiorem locum, cum ipsum attingit, transitus tamen a superiore loco ad inferiorem inquantum huiusmodi, id est quantum ad haec duo loca, non dat motui substantiam vel rationem motus, cum secundum Philosophum in VI

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in potenza, e in quanto è un ente in potenza, sia un ente in atto; in entrambi i casi, infatti, sembrerebbero essere implicati due contrari rispetto una medesima cosa. (2) Inoltre non sembra che la suddetta descrizione convenga al moto di ciò che può cambiare, ma [sembra] presentarsi in modo maggiore e convenire a molte altre cose ed anche a certe mutazioni. Infatti, la forma di un embrione è un atto, secondo cui un embrione, in quanto tale, è in potenza rispetto alla forma ultima che è il completamento di un animale, in base al quale la natura, nella generazione delle cose perfette, procede da principi determinati, attraverso passaggi intermedi determinati, verso fini determinati. Di conseguenza la forma dell’embrione sembra essere l’atto di ciò che esiste in potenza, in quanto di tale164. Anche nei mutamenti, in cui un mobile è mutato completamente da una disposizione a un’altra, ad esempio nell’illuminazione progressiva dell’aria, in base a qualsiasi grado una cosa, mutata in questo modo, partecipi di tale forma, pur essendo sottomessa a tale atto è in potenza una forma ulteriore, e così tale forma sembra essere atto di qualcosa che esiste in potenza in quanto di tale165. Allo stesso modo sembra accadere in quelle cose che il Filosofo elenca nel VII libro della Fisica166, ad esempio in un mutamento secondo la scienza e in generale negli abiti, nella sostanza, nelle relazioni, nelle quali tuttavia – secondo il Filosofo – non si trova il moto. (3) A conferma del nostro proposito e delle cose dette, bisogna allora dire che il moto causa una certa alterazione del mobile. E questo è evidente di per sé. L’alterazione, poi, è una specie di passaggio da una disposizione a un’altra. Ciò avviene almeno in due modi. In un modo, così che un mobile passi da una disposizione già acquisita a una disposizione diversa. Ora, dico «disposizione o forma diversa», quella che il mobile stesso non possiede né interamente né secondo una qualche sua parte, come ad esempio nel moto locale, se qualcosa fosse in alto nella sfera del fuoco, in un luogo a sé commisurato, e discendesse in basso verso la sfera della terra, in un luogo, anche lì, commisurato a sé, nel grande spazio intermedio tra questi due luoghi, risulta perciò evidente che, mentre si muove dal suo luogo di partenza attraverso uno spazio intermedio, o in seguito, mentre si muove in uno spazio intermedio, e prima che raggiunga un luogo infimo, il mobile non ha in sé niente del luogo inferiore al quale tende. Sebbene allora tale mobile non sia mosso, come è stato ipotizzato, o dal suo luogo, che è in alto, oppure nello spazio intermedio, o ancora nel luogo inferiore stesso, quando l’ha raggiunto, tuttavia il passaggio dal luogo superiore al luogo inferiore in quanto tali, cioè quanto a questi due luoghi, non dà sostanza al moto o stabilisce il suo modo d’essere, dal momento che secondo il Filosofo nel VI libro

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Dietrich von Freiberg, De origine rerum praedicamentalium, 3, (20), ed. L. Sturlese, p. 163, ll. 144-

154. 165 166

Aristoteles, Physica, III, 1, 201a9-11: cf. nota 163. Aristoteles, Physica, VII, 3, 246b10-248a9: cf. nota 118.

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Physicorum hoc sit de ratione motus, videlicet quod sit partim in termino a quo et partim in termino ad quem; quod non invenitur in proposito quantum ad duo loca iam dicta. Et ideo etiam in ea variatione, quae attenditur secundum praedicta, quae enumerat Philosophus in VI Physicorum, non est motus, puta in substantia, in habitibus, in relationibus et similibus, quia id, quod secundum ea variatur, non est partim in termino a quo et partim in termino ad quem, sed secundum se totum transit de termino a quo ad terminum ad quem. (4) Et sic, ut praemissum est, variatur res uno modo a dispositione in dispositionem distantem, quia nec se toto nec secundum aliquam sui partem eam dispositionem participat. Et secundum hoc etiam alia et alia ratione sumitur actus et potentia, et mobile seu transmutabile dicitur esse actu vel potentia in dictis transmutationibus, alia, inquam, ratione, qua sumatur actus et potentia in saepe dicta definitione motus, ut mox patebit. (5) Secundo modo contingit rem variari seu transmutari non modo a forma seu dispositione in dispositionem distantem, sed magis proprie loquendo secundum formam seu dispositionem praesentem. Secundum hoc autem contingit mobile esse in actu propter praesentiam talis formae vel dispositionis, est autem in potentia propter variationem sui in illa seu secundum aliam formam seu dispositionem, et coincidunt in ipso motu circa eandem formam actus et potentia, ut mobile sit secundum eandem formam actu et potentia. Aliter autem se habet in praemissis transmutationibus, quando videlicet mobile vel transmutabile variatur de dispositione in dispositionem distantem. In huiusmodi mobile seu transmutabile est in actu secundum unam formam, est autem in potentia ad aliam rem distantem. Non sic autem se habet in proposito in ea transmutatione, quae vere est motus, cuius exemplum promptius accepimus in motu locali et maxime in circulari, secundum quod Philosophus ostendit in VI Physicorum elidens rationem Zenonis, qui nitebatur auferre motum a natura fundans unam suarum rationum in eo, videlicet quod motus secundum locum est translatio mobilis de loco ad locum alium a priore, unde incepit moveri. Sed quod dicitur moveri circulariter ut caelum, non mutat locum, ergo non movetur. Hanc autem rationem Zenonis elidit ibi Philosophus secundum sextam distinctionem, qua dicit caelum semper manere in loco eodem secundum subiectum, transmutatur

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della Fisica167 questo è il modo d’essere del moto: che sia in parte nel termine iniziale e parte nel termine finale; questo non si trova nel nostro caso quanto ai due suddetti luoghi. Perciò anche in quell’alterazione, che si osserva secondo le cose dette in precedenza, che il Filosofo enumera nel VI libro della Fisica168, non esiste il moto, ad esempio nella sostanza, negli abiti, nelle relazioni e in cose simili, poiché ciò che è alterato in questi modi, non è parte nel termine di partenza e parte nel termine di arrivo, ma passa interamente dal termine iniziale al termine finale. (4) E così, come è stato premesso, una cosa è alterata in un primo modo da una disposizione a una disposizione diversa, poiché né interamente, né secondo una qualche sua parte partecipa di quella disposizione. E di conseguenza anche secondo significati diversi si desumono atto e potenza, e il mobile o il mutabile si dicono essere in atto o in potenza nelle suddette mutazioni, con un altro – dico – significato, con cui si desumono atto e potenza nella spesso citata definizione del moto169, come sarà chiaro tra poco. (5) In un secondo modo accade che una cosa sia alterata o modificata non solo da una forma o da una disposizione a una disposizione diversa, ma più propriamente parlando, secondo una forma o una disposizione presente. Di conseguenza avviene che un mobile esista in atto per la presenza di tale forma o di tale disposizione, mentre esista in potenza per la sua alterazione in quella o secondo un’altra forma o disposizione, e atto e potenza coincidono nello stesso moto, rispetto alla stessa forma, così che, secondo la stessa forma, il mobile esista in atto e in potenza. Diversamente accade invece nelle mutazioni di cui si è parlato in precedenza, quando cioè un mobile o ciò che è mutabile è alterato da una disposizione a una disposizione diversa. In cose di questo genere un mobile o ciò che è mutabile esiste in atto secondo una sola forma, mentre esiste in potenza rispetto a un’altra cosa che è diversa. Non accade così invece in quella mutazione che in effetti è il moto, di cui l’esempio più evidente è il moto locale e soprattutto in quello circolare, secondo ciò che mostra il Filosofo nel IV libro della Fisica170, demolendo la teoria di Zenone, che si sforzava di eliminare il moto dalla natura, fondando l’unica sua ragione in questo: il moto secondo il luogo è uno spostamento del mobile da un luogo ad un altro diverso dal primo, da cui ha cominciato a muoversi. Ma quel che si dice muoversi in modo circolare, come il cielo, non cambia di luogo, dunque non è mosso. Il Filosofo confuta nel luogo citato l’argomento di Zenone secondo la sesta distinzione171, con cui dice che il cielo rimane sempre nello stesso luogo secondo il soggetto, mentre è Aristoteles, Physica, VI, 4, 234a15-16: cf. nota 44. Aristoteles, Physica, VII, 3, 246b10-247b13: cf. nota 118. 169 Cf. supra, c. 6.1, (1), pp. 161-163. 170 Aristoteles, Physica, VI, 9, 240a29-32; translatio vetus, p. 251, ll. 12-18. Translatio nova, p. 432. 171 Aristoteles, Physica, VI, 9, 240a33-b7; translatio vetus, p. 251, l. 18 - p. 252, l. 4. Translatio nova, p. 432. 167 168

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autem localiter secundum locum alium et alium secundum formam, intendens secundum Commentatorem, quod ipsum spatium circulare, in quo vel secundum quod movetur caelum, est unum et idem re et subiecto; inquantum autem in eodem spatio diversa significantur puncta, a quorum quolibet intelligitur incipere motus circularis et redire in idem, intantum sunt huiusmodi sic significatae circulationes, ad quas et ex quibus movetur caelum, diversa loca secundum formam. Re igitur et subiecto omnes huiusmodi circulationes sunt idem. Mobile igitur secundum circulationem re et subiecto eodem semper est in actu. Inquantum autem in ipsa et secundum ipsam variatur, est ens potentia. Et ita caelum seu quodcumque mobile, quod circulariter movetur, secundum eandem formam, scilicet locum seu spatium circulare, est ens actu; et inquantum in ipso vel secundum ipsum tale spatium variatur, est ens potentia; et sic secundum eandem formam est ens actu et potentia. (6) Et sicut est de motu locali circulari, sic se habet de motu locali recto. Quamvis enim post primum instans temporis et post primum mutatum esse, in quo mobile incipit moveri, non sit accipere primum locum seu spatium, in quod primo transmutatum est mobile, secundum Philosophum in VI Physicorum, eo, quod tam mobile quam spatium sit divisibile in infinitum, ratione tamen exempli ponatur mobile AB, et sit commensuratio et aequale spatio seu loco CD. Et hic sit locus primus, a quo incipit moveri in locum secundum, qui est FG, aequalem primo loco A mobile B CF spatium DG. Constat igitur, si mobile AB moveatur a loco CD in locum FG, quod in toto motu dictum mobile et in toto tempore mensurante talem motum actu invenitur in spatio FD, est commune utrique loco seu spatio iam dicto, et est idem re et subiecto differens secundum formam, secundum modum proportionaliter similem ei, qui dictus est in motu circulari. Est enim dictum spatium FD finis loci CD et principium loci FG, re et subiecto et idem et commune utrique loco. Sic ergo mobile saepe dictum est in actu secundum spatium FD; inquantum autem super ipsum et secundum ipsum variatur quantum ad differentiam eiusdem spatii et secundum formam, ut dictum est, mobile est in potentia; et sic secundum formam re et subiecto eandem est mobile actu et potentia. Et sic motus est

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mutato localmente secondo diversi luoghi secondo la forma, intendendo – secondo il Commentatore172 –, che lo stesso spazio circolare, in cui o secondo cui si muove il cielo, è uno e identico nella cosa e nel soggetto; in quanto poi nello stesso spazio sono segnati diversi punti, da ognuno dei quali si pensa che inizi il moto circolare per ritornare ad esso, allora le orbite di questo genere così segnate, verso le quali e dalle quali si muove il cielo, sono luoghi diversi secondo la forma. Dunque tutte le orbite di questo genere sono identiche realmente e nel soggetto. Un mobile allora, secondo l’orbita, è sempre in atto realmente e, allo stesso tempo, nel soggetto. In quanto invece è alterato nell’orbita e secondo essa stessa, è un ente in potenza. E in questo modo il cielo o qualunque mobile che si muove in modo circolare, secondo la stessa forma, cioè il luogo o lo spazio circolare, è un ente in atto; e in quanto nello stesso o secondo lo stesso spazio è alterato, è un ente in potenza; e in questo modo secondo la stessa forma è un ente in atto e in potenza. (6) Come avviene per il moto locale circolare, così avviene anche per il moto locale rettilineo. Sebbene infatti dopo un primo istante di tempo e dopo un primo essere mutato, in cui un mobile inizia ad essere mosso, non debba essere considerato un primo luogo o un primo spazio, in cui il mobile si è modificato per la prima volta – secondo quanto scrive il Filosofo nel VI libro della Fisica173 – per il fatto che tanto il mobile quanto lo spazio sono divisibili all’infinito, tuttavia, a titolo di esempio, si consideri un mobile AB, ed vi sia anche una corrispondenza di misura con uno spazio o un luogo uguale CD. E questo sia il primo luogo, da cui il mobile inizia a essere mosso verso un secondo luogo che è FG, uguale al primo luogo A mobile B CF spazio DG. Se il mobile AB è mosso dal luogo CD al luogo FG, risulta allora evidente che il suddetto mobile si trova in atto nello spazio FD durante tutto il moto e durante tutto il tempo che misura tale moto, [risulta evidente che il suddetto mobile] è comune ad entrambi i luoghi o spazi già detti ed è lo stesso realmente e nel soggetto, differenziandosi secondo la forma, in modo simile – con le debite proporzioni – a quello che è stato detto del moto circolare. Infatti il suddetto spazio FD è il fine del luogo CD e il principio del luogo FG, realmente e nel soggetto [ed è] identico e comune a entrambi i luoghi. In questo modo dunque il mobile spesso è detto in atto secondo lo spazio FD; in quanto invece sullo stesso [spazio] e secondo lo stesso [spazio] è alterato quanto alla differenza dello spazio stesso e secondo la forma – come è stato detto –, il mobile è in potenza; e in questo modo, secondo la stessa forma realmente e nel soggetto, il mobile è in atto e in potenza. E in questo senso il moto è «atto di ciò che esiste in 172 Averroes, Aristotelis opera cum Averrois commentariis, Physicorum liber IV, comm. 85, Venetiis apud Junctas, 1562-1574, vol. 4 [réimpr. Frankfurt, Minerva, 1962], 300vG-H. 173 Aristoteles, Physica, VI, 5, 236a26-27; translatio vetus, p. 236, ll. 4-16. Translatio nova, p. 407.

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actus existentis in potentia inquantum huiusmodi, ut reduplicatio reduplicet eandem formam numero, eandem, inquam, re et subiecto, ut sit sensus, quod motus est actus, et mobile est in actu secundum rem alicuius formae seu naturae existentis in aliquo genere praedicamenti, et inquantum est sic in actu et stat sub tali actu, est in potentia ad eandem formam seu rem naturae, inquantum in tali natura est identitas re et substantia, differentia autem secundum formam, ut dictum est. (7) Sicut autem se habet in motu locali quantum ad ea, quae dicta sunt, ita se habet in aliis generibus motuum secundum proportionem similitudinis, inquantum mobile – existens partim in termino a quo et partim in termino ad quem – variatur secundum aliquam dispositionem seu formam alicuius generis, in quo est motus; quod pertractanti patere potest, nec oportet circa hoc immorari. (8) Ex dictis autem manifestum est, quod actus et potentia, prout cadunt in ratione motus, alterius modi seu proprietatis sunt quam in aliis rebus, quae dicuntur secundum actum et potentiam. In aliis enim rebus actus seu forma, secundum quam res est, et forma, ad quam est in potentia, non se compatiuntur nec simul stant in eodem; et differunt forma, secundum quod est in actu, et forma, ad quam est in potentia, realiter et per essentiam. In motu autem non sic se habet. Quamvis enim, ut patet maxime in motu circulari, mobile transmutetur de loco in locum alium secundum formam, et sic est mobile quantum ad sui variationem existens in uno loco in potentia ad alium secundum formam, omnia tamen huiusmodi loca sunt unum re et subiecto identitate essentiali. (9) Per ea, quae dicta sunt, patet responsio ad praeinductam dubitationem. Mobile enim actu participat formam seu dispositionem, secundum quam variatur, prius secundum ipsam variationem sive in potentia, non ad aliam et aliam rem seu dispositionem realiter differentem, sed, ut dictum est, quam differentiam secundum formam. Patet etiam ex dictis, qualis est reduplicatio in definitione motus, cum dicitur, quod motus est actus existentis in potentia inquantum huiusmodi, et quod non est ibi oppositio in adiecto. (10) Patet etiam responsio ad ea, quae inducebantur de embryone et aliis transmutationibus et de his, quae enumerat Philosophus VII Physicorum, quoniam alterius rationis sunt potentia et actus in huiusmodi, quam sunt, inquantum cadunt in definitione motus. (11) Omnium autem eorum, quae dicta sunt de modo et proprietate actus et

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potenza»174, in quanto tale, affinché la ripetizione renda doppia numericamente la stessa forma; dico la «stessa» realmente e nel soggetto, affinché stia a significare che il moto è un atto, e il mobile è in atto secondo una cosa di qualche forma o natura che esiste in qualche genere di predicamento, e in quanto è in atto in questo modo, e si trova sotto tale atto, è in potenza rispetto alla stessa forma o alla realtà naturale, in quanto in tale natura esiste un’identità nella cosa e nella sostanza, mentre [esiste] una differenza secondo la forma, come è stato detto. (7) Ora, come avviene nel moto locale quanto alle cose che sono state dette, così avviene secondo le debite proporzioni negli altri generi di moti, perché un mobile – che esiste parte nel termine iniziale, parte nel termine finale – è alterato secondo qualche disposizione o secondo una forma di qualche genere, in cui si trova il moto; ciò può essere chiaro a colui che studia il problema in modo approfondito e non è il caso qui di soffermarsi ulteriormente. (8) Dalle cose dette è invece evidente che atto e potenza, in base a come si trovano nel modo d’essere del moto, appartengono a un altro modo e a un’altra proprietà rispetto [a come si trovano] in altre cose, che sono definite secondo l’atto e la potenza. In altre cose, infatti, l’atto o la forma, in base alla quale una cosa esiste, e la forma, rispetto alla quale si trova in potenza, non coincidono e non stanno insieme nello stesso momento; e la forma, in base alla quale una cosa è in atto, e la forma, rispetto alla quale è in potenza differiscono realmente e per essenza. Nel moto, invece, non accade così. Sebbene infatti, come è chiaro soprattutto nel moto circolare, un mobile sia modificato da un luogo a un altro secondo la forma, e in questo modo è un mobile che, quanto alla sua alterazione, esiste in un solo luogo in potenza, rispetto ad un altro secondo la forma; tuttavia tutti i luoghi di questo genere sono uno solo realmente e nel soggetto in virtù di un’identità essenziale. (9) Alla luce delle cose che sono state dette, è chiara la risposta all’obiezione mossa precedentemente. Infatti un mobile in atto partecipa della forma o della disposizione, in base alla quale è alterato, più secondo l’alterazione stessa o in potenza, non rispetto all’una o all’altra cosa o a una disposizione realmente differente, ma – come è stato detto – rispetto a una differenza secondo la forma. Dalle cose dette è anche chiaro quale sia la reduplicazione nella definizione del moto, quando si dice che il moto è l’atto di qualcosa che esiste in potenza in quanto tale, e che non vi sia lì alcuna contraddizione. (10) è chiara anche la risposta a quelle cose che erano avanzate a proposito dell’embrione e di altri mutamenti e di questi che il Filosofo enumera nel VII libro della Fisica175, poiché potenza e atto in quanto tali sono di un altro genere rispetto a quello che sono, in quanto rientrano nella definizione del moto. (11) Ora di tutte le cose che sono state dette sul modo e sulla proprietà dell’atto

174 175

Aristoteles, Physica, III, 1, 201a9-11: cf. nota 163. Aristoteles, Physica, VII, 3, 246b10-247b13: cf. nota 118.

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potentiae in motu, radicalis et prima ratio est variatio mobilis in eandem vel secundum eandem rem et numero formam seu dispositionem aliquam naturae alicuius generis praedicamenti, in quo proprie invenitur motus.

6.2. Secunda dubitatio: Quare tempus secundum aliquam sui partem non sit in actu (1) Ad quaestionem supra praeinductam, videlicet qua dubitabatur, quare tempus non sit in actu ens secundum aliquam sui partem, sicut ostensum est hoc inveniri in motu, videlicet quod mobile actu participat rem generis, in quo est motus, dicendum, quod quantum ad hoc aliter se habet in tempore, aliter in motu. Nihil enim temporis praesens est nisi instans indivisibile. Unde quantum ad substantiam temporis, secundum quod est de genere continuorum, nec secundum totum nec secundum partem praesens est. Nulla autem res invenitur in actu esse nisi secundum sui praesentialitatem. Quod igitur res huius generis, in quo est motus, puta spatium loci sui, qualitatis etc., secundum sui actualem existentiam invenitur in natura, ipsum mobile, quod in ipso seu secundum ipsum variatur, actu ipsum participat eo modo, qui dictus est; per quod et motus ad idem genus praedicamenti reducitur. Tempus autem quantum ad sui substantiam nec secundum totum nec secundum aliquam sui partem invenitur in actuali praesentia existere, et habet secundum se et absolute rationem proprii generis nec ad genus motus reducitur ita, quod tempus sit essentialiter ipse motus vel res generis illius, in quo est motus, nec primo et per se est numerus motus secundum aliquid stans vel fixum in motu, sed inquantum invenitur variatio in motu, tempus est numerus motus secundum prius et posterius. Variatio autem proprie loquendo non est nisi quaedam alteritas, qua transit mobile de una dispositione ad aliam secundum aliquod mutatum esse indivisibile, cuius indivisibilis mensura est instans temporis etiam indivisibile. Et ideo sicut in ipsa variatione mobilis inquantum variatio non invenitur aliquid praesens nisi quoddam mutatum esse indivisibile, sic nec in tempore, et ideo tempus secundum nullam partem est praesentialiter in actu existens, nec in aliqua re extra suum proprium genus sic figit, ut quantum ad talem rem, quamvis fixam et permanentem, simul et ipsum figatur in esse permanenti.

6.3. Tertio dubitatio: Quomodo tempus se habet anima non existente (1) Quantum ad tertiam superinductam quaestionem, videlicet si tempus fuerit vel quomodo fuit non existente anima, supposito eo, quod dictum est, scilicet

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e della potenza nel moto, l’argomentazione fondamentale e prima è l’alterazione del mobile nella stessa cosa o secondo la stessa cosa e nel numero secondo una forma o una qualche disposizione naturale di qualche genere di predicamento, in cui il moto si trova in modo proprio.

6.2. Secondo dubbio: perché il tempo non è in atto secondo qualche sua parte (1) Alla questione sollevata in precedenza, quando cioè ci si chiedeva perché il tempo non sia un ente in atto secondo qualche sua parte, come è stato dimostrato che avviene nel moto, cioè che il mobile in atto partecipa alla realtà del genere, in cui il moto si trova, bisogna dire che, quanto a questo, una cosa avviene nel tempo, un’altra nel moto. Infatti nulla del tempo è presente se non un istante indivisibile. Di conseguenza, quanto alla sostanza del tempo, in base a questo appartiene al genere dei continui e non è presente né secondo tutto se stesso né secondo una parte. Nessuna cosa si trova invece in atto, se non secondo la sua presenzialità. Poiché allora una cosa di questo genere, in cui si trova il moto, ad esempio l’estensione del suo luogo, di una qualità, ecc., si trova in natura secondo la sua esistenza attuale, il mobile stesso, che è alterato in se stesso o secondo se stesso, partecipa in atto allo stesso modo che è stato detto; per questa ragione anche il moto è ricondotto allo stesso genere di predicamento. Il tempo invece, quanto alla sua sostanza, non esiste in una presenza attuale né secondo tutto se stesso né secondo qualche sua parte e ha per sé e in modo assoluto il modo d’essere del proprio genere e non è riconducibile al genere del moto, così che il tempo sia essenzialmente il moto stesso o una cosa di quel genere, in cui si trova il moto, e nemmeno anzitutto e per sé [il tempo] è il numero del moto secondo qualcosa che sta o è fisso nel moto, ma in quanto esiste un’alterazione nel moto, il tempo è il numero del moto secondo il prima e il poi. L’alterazione invece, propriamente parlando, non è se non una qualche modificazione, con la quale un mobile transita da una disposizione ad un’altra secondo qualche essere mutato indivisibile, la cui misura indivisibile è l’istante di tempo, anch’esso indivisibile. Perciò come nella stessa alterazione di un mobile, in quanto alterazione, non si trova qualcosa di presente se non un qualche essere mutato indivisibile, così nemmeno nel tempo, e per questa ragione il tempo non è esistente in atto in modo presenziale secondo una qualche sua parte, né si fonda su qualche cosa al di fuori del proprio genere così che assieme con tale cosa, sommamente fissa e permanente, sia fondato nell’essere permanente.

6.3. Terzo dubbio: in che modo si costituisce il tempo quando l’anima non esiste (1) Quanto alla terza questione sollevata, ossia se il tempo possa esserci stato, e in che modo possa esserci stato, non esistendo l’anima, alla luce di quanto è stato

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quod tempus est ab anima et in anima, considerandum, quod Philosophus determinat hanc quaestionem in IV Physicorum concludens suam determinationem in eo, videlicet quod tempus est numerus motus, numerus autem non est, nisi sit numerans, quod est anima; existente igitur motu, anima vero non existente, talis numerus, qui est tempus, non est nisi in potentia, anima autem existente et actu numerante erit tempus in actu. (2) Si igitur ponatur animam non fuisse in exordio mundi vel motus caeli, possibile tamen fore esse, manifestum est, ut tunc tempus fuisset in potentia; anima autem constituta in esse, tunc per actum numerandi secundum prius et posterius dictum motum vel quemcumque alium talis potentia reducta est ad actum. Et ideo non solum anima existente in rerum natura numerante motum praesentem est praesens tempus in actu, sed etiam extensa tali numeratione in praeteritum est praeteritum tempus in actu; praeteritum dico secundum respectum ad nunc praesens. Et quia praeteritum tempus per se concernit tempus praesens, ita videlicet, ut praedictum modo est, praeteritum fuit aliquando praesens et praeteritum in actu, quod fuerit aliquando praesens in actu. Ideo anima nunc existente et determinante praeteritum tempus circa motum, qui erat non existente anima, ut positum est, consequenter determinat idem tempus, quod nunc est praeteritum, tunc fuisse praesens. Et sicut dictum est de praeterito tempore, sic intelligendum de futuro. (3) Ex dictis igitur corollarie inferri potest secundum Philosophum et Commentatorem, quod, si impossibile esset animam esse in rerum natura, tempus non esset potentia nec actu in rerum natura. Motus enim non esset numerabilis secundum prius et posterius, quia impossibile est inveniri in natura potentiam passivam, cui non respondeat potentia activa in natura; alias esset frustra. (4) Item secundo colligitur ex dictis, quod, si ponatur per impossibile, quod animam esse sit possibile in rerum natura, numquam tamen inveniri in actuali existentia, ex hoc sequeretur tempus solum esse in potentia et numquam in actu. (5) Tertio etiam ex dictis apparet, quod anima posita in actuali existentia in rerum natura, non solum, si poneretur congrua motui caeli, sed etiam in quocumque tempore ponatur in esse, cum ipsa sua numeratione extendat se ad omnem motum et in omnem perpetuitatem motus, tempus secundum totum decursum mundi semper invenitur in actu. Secundum hoc enim invenitur tempus in esse, secundum quod anima ipsum determinat, circa cuiusmodi determinationem indifferenter se habet ad praesens, praeteritum et futurum et ad omnem extensionem motus quoad modum et proprietatem constitutivam temporis, de quo superius dictum est.

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detto, e cioè che il tempo proviene dall’anima ed è nell’anima, bisogna considerare che il Filosofo risolve questo problema nel IV libro della Fisica176, concludendo la sua soluzione in questo modo, cioè che il tempo è il numero del moto, ma il numero non esiste, se non c’è un numerante, che è l’anima; esistendo allora il moto, ma non esistendo l’anima, tale numero, che è il tempo, non esiste se non in potenza, mentre esistendo l’anima e un atto numerante, allora il tempo sarà in atto. (2) Se allora si suppone che l’anima non sia esistita all’inizio del mondo o del moto celeste, ma che sarebbe potuta esserci, è evidente che allora il tempo sia stato in potenza; invece dopo che l’anima fu posta in essere, allora attraverso la sua attività di numerazione secondo il prima e il poi del suddetto o di qualunque altro moto tale potenza è stata ricondotta in atto. Perciò non solo il tempo presente esiste in atto quando l’anima, che esiste nella natura, numera il moto presente, ma anche il tempo passato è in atto, quando tale numerazione si estende al passato; dico «passato» rispetto all’istante presente. Dal momento che il tempo passato di per sé si riferisce al tempo presente, allora evidentemente – come è appena stato detto – come il passato fu una volta presente, così fu passato in atto in quanto fu una volta presente in atto. Perciò esistendo ora l’anima e determinando il tempo passato relativamente al moto che c’era quando non esisteva l’anima – come è stato supposto – di conseguenza [l’anima] determina il medesimo tempo, che ora è passato, che allora fu presente. E come è stato detto del tempo passato, così bisogna intendere del [tempo] futuro. (3) Dunque, dalle cose dette si può inferire come corollario che secondo il Filosofo e il Commentatore, se è impossibile che l’anima sia in natura, il tempo non sarebbe né in atto né in potenza nella natura delle cose. Il moto infatti non sarebbe numerabile secondo il prima e il poi, poiché è impossibile che si trovi in natura una potenza passiva, cui non corrisponda in natura una potenza attiva; diversamente sarebbe una cosa irragionevole. (4) Inoltre, in secondo luogo, dalle cose dette si conclude che, se si supponesse per assurdo che l’anima fosse possibile in natura, senza tuttavia mai esistere in atto, da ciò seguirebbe che il tempo sarebbe solo in potenza, e mai in atto. (5) In terzo luogo dalle cose dette appare anche che, una volta posta l’esistenza dell’anima in natura, il tempo si trova sempre in atto secondo l’intero decorso del mondo, non solo se l’anima viene considerata congruente al movimento del cielo, ma anche se viene considerata in essere in una qualunque parte del tempo – dal momento che grazie alla sua stessa numerazione si estende a ogni moto e in ogni durata ininterrotta del moto. Per questo infatti il tempo è nell’essere, per il fatto che l’anima lo determina e rispetto a una determinazione di questo genere si rapporta indifferentemente al presente, al passato e al futuro e a ogni estensione del moto per quel che riguarda il modo e la proprietà costitutiva del tempo, di cui si è parlato in precedenza. 176

Aristoteles, Physica, IV, 14, 223a21-27: cf. nota 96.

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III, 1, 200b33-34: 85. III, 1, 201a9-11: 161, 163, 169. III, 1, 201a10-16: 131. III, 6, 206b13-16: 143. IV, 10, 217b30-32: 149. IV, 10, 218a33-b7: 139. IV, 11, 218b21-29: 151. IV, 10, 219a11-14: 123. IV, 11, 219a22-29: 147. IV, 11, 219b1-2: 137-155. IV, 11, 219b10-20: 109, 141. IV, 11, 219b10-33: 117. IV, 11, 219b12-15: 113. IV, 11, 219b22-25: 147. IV, 11, 220a1-5: 117. IV, 12, 221b21-22: 73. IV, 12, 221a28-30: 83. IV, 12, 221b28-31: 83. IV, 14, 223a21-22: 161. IV, 14, 223a21-24: 135. IV, 14, 223a21-27: 173. IV, 14, 223a21-29: 119. IV, 14, 223a24-26: 139. IV, 14, 223a26-29: 137. IV, 14, 223a27-28: 139. V, 2, 226a27: 129. V, 3, 227a10-17: 125. VI, 1, 231a22: 125. VI, 1, 231a24: 127.

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VI, 3, 234a15-16: 165. VI, 3, 234a16-18: 131. VI, 4, 234b20: 131. VI, 5, 236a26-27: 167. VI, 9, 240a29-32: 165. VI, 9, 240a33-b7: 165. VI, 10, 240b8-9: 131. VII, 3, 246b10-247b13: 165, 169. VII, 3, 246b10-248a9: 163. VIII, 1, 251b19-28: 129. VIII, 9, 265b8-11: 153.

Augustinus Confessiones XI, 14, n. 17 - 28, n. 38: 149. XI, 20, n. 26: 119, 137. XI, 26, n. 33: 137. De Genesi ad litteram IV, 3, n. 7: 71. De natura boni contra Manichaeos I, 3: 71. Averroes In Aristotelis Physica IV, comm. 93: 139. IV, comm. 100: 109, 147. IV, comm. 131: 119, 139, 151. VI, comm. 85: 167. VIII, comm. 56: 133.

Indice delle fonti

b) Fonti aggiunte dall’editore e dal traduttore Albertus Magnus Super Dionysium De divinis nominibus c. 10: 73. Anonymus Liber de causis prop. 2: 79. prop. 5: 91. Aristoteles Physica VII, 3, 246b10-15: 131. VII, 3, 247a1-5: 131. VII, 3, 247b1-7: 131. Augustinus De Genesi ad litteram VIII, 20, n. 39: 95. De trinitate IX, 4, n. 4: 91. Averroes In Aristotelis Physica IV, comm. 130: 137.

Biblia Epistula Beati Pauli Apostoli ad Hebraeos 1, 14: 87.

Boethius De consolatione philosophiae V, 6, 1-14: 75.

Boethius De institutione arithmetica II, 41: 151.

De Trinitate IV: 73.

Euclides Elementa X, 1: 125. X, 5: 157.

Bonaventura In I Sent. q. 4, dist. 3: 71. In II Sent. dist. 2, p. 1, art. 1, q. 3: 97.

Indice delle fonti

Dietrich von Freiberg De intellectu et intelligibili I, 4, (1-2): 91. II, 29, 5: 75. De origine rerum praedicamentalium I, 13: 77. I, 16-17: 81, 89. III, 32: 85. V, 2: 119. V, 26: 147. V, 34: 105. De visione beatifica 3.2.9.5: 91. Gilbertus Pictaviensis In Boeth. De Trinitate I, 4: 73. Gregorius Magnus L. Moral. XX, 32.63: 77. Iohannes Damascenus De duabus in Christo voluntatibus 3: 79.

187

Matthaeus ab Aquasparta Quodlibet I q. 3: 99. Petrus Lombardus Sententiae in IV libris distinctae II, dist. 2, c. 1-3: 81. Proclus Elementatio theologica prop. 20: 91. prop. 106: 95. Richardus de sancto victore De Trinitate II, 4: 73. Thomas de Aquino In I Sent. dist. 19, q. 2, art. 1, sol.: 73. In II Sent. dist. 2, q. 1, art. 1, sol.: 99. Quaestiones disputatae de veritate q. 10, art. 8, ad 12: 109. Quodlibet X q. 2, ad 2: 103. In Phys. III, 2: 161.

Indice dei nomi

a) Autori antichi e medievali

Filosofo: v. Aristotele.

Alessandro di Hales: 35, 176. Alberto Magno: 8, 17, 20-21, 36, 40, 46, 55, 63, 73, 75, 77, 176. Aristotele:
 8, 11-14, 16-17, 19-20, 47, 50-52, 55-58, 73, 83, 85, 87, 89, 99, 101, 103, 105, 109, 113, 117, 119, 123, 125, 127, 129, 131, 135, 137, 139, 141, 143, 147, 149, 150-151, 153, 155, 157, 161, 163, 165, 167, 169, 173, 176-177. Agostino: 10-14, 16-17, 19-20, 33-34, 36, 38, 41, 49, 53, 56, 61, 71, 91, 119, 137, 149, 177. Archita di Taranto: 151. Averroè: 9, 14-17, 19-20, 49, 52-54, 56, 61, 103, 109, 119, 133, 137, 139, 147, 151, 167, 173, 176-177. Avicenna: 39, 56.

Gilberto Porrettano: 9, 73, 178. Gregorio Magno: 77, 178. Guglielmo di Moerbeke: 8, 101, 105, 125, 135, 153, 157, 178. Giovanni Damasceno: 79, 178. Giovanni Scoto Eriugena: 9.

Boezio: 19, 73, 75, 99, 151, 153, 177. Bonaventura: 45, 71, 97, 99. Commentatore: v. Averroè. Egidio Romano: 20. Enrico di Gand: 10, 15-16, 18, 20, 53, 61, 178. Euclide: 50, 125, 127, 157, 178.

Matteo d’Acquasparta: 99, 178. Michele Scoto: 9, 103. Pietro Giovanni Olivi: 20, 45. Pietro Lombardo: 81, 178. Plotino: 14, 178. Proclo: 9, 33, 47, 61, 91, 95, 178. Pseudo-Dionigi: 9. Riccardo di san Vittore: 73, 178. Roberto Grossatesta: 8, 10, 103, 176, 179. Roberto Kilwardby: 35, 179. Sigieri di Brabante: 20. Stefano Tempier: 16-18. Tommaso d’Aquino: 8, 36, 46, 73, 99, 103, 109, 161. Ulrico di Strasburgo: 20, 40. Umberto di Romans: 10, 63, 178.

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Indice dei nomi

b) Autori moderni e contemporanei

Leibold G.: 35, 179.

Aertsen J.A.: 9, 181, 183. Alliney G.: 18, 182. Anzulewicz H.: 36, 179.

Kübel W.: 73.

Beccarisi A.: 21, 65, 179. Berthier J: 10, 178. Bettetini M.: 19, 182. Bianchi L.: 17, 19, 179, 182. Biard J.: 19, 64, 179, 182. Brams J.: 8, 73, 177, 179. Boese H.: 91, 95, 178. Borgnet A.: 17, 176. Bossier F.: 8, 73, 103, 176, 177. Breidert W.: 50, 180. Calma D.: 19, 22, 64, 113, 179-180, 182-183. Capasso R.: 9, 182. Cavigioli J.D.: 175. Chatelain É.: 17, 180. Colli A.: 14, 19-20, 23, 60-61, 64, 176, 180. Cova L.: 18, 182. Dales R.C.: 10, 41, 179-180. Denifle H.: 17, 180. Endress G.: 9, 183. Flasch K.: 7, 17, 19, 22-23, 63, 65, 175, 180-183. Friedlein G.: 151, 177. Haring N.M.: 73, 178. Hasse D.N.: 9, 181. Hissette R.: 17, 181.

Maier A.: 7, 181. Mandonnet P.: 36, 73, 179. Mansion A.: 7, 181. Marmo C.: 19, 182. Mojsisch B.: 21, 37-39, 46, 65, 75, 91, 175, 180-183. Niewöhner F.: 17, 181. Pagnoni-Sturlese M.R.: 21, 23, 65, 175, 182. Palazzo A.:
 65. Piccari P.: 9, 182. Piché D.: 17, 182. Porro P.: 7, 9, 16, 18-19, 36, 38, 42, 45, 65, 179, 182-183. Radice R.: 13, 58. Reale G.: 11, 14. Rehn R.: 20, 50, 65, 175, 183. Schmieja H.: 9, 183. Siedler D.: 73, 176. Simon P.: 36, 73, 75, 77, 176. Speer A.: 21, 179, 181-182. Stamatis E.S.: 125, 127, 157, 178. Steel C.: 38, 183. Stegmüller F.: 20, 183. Sturlese L.: 17, 19, 22, 38, 63, 65, 77, 81, 85, 89, 105, 119, 147, 163, 175, 181, 183. Suarez-Nani T.: 46, 183-184.

Imbach R.: 19, 64-65, 176, 179, 181183.

Vanhamel W.: 8, 179. Vogels H. G.: 73. Vuillemin-Diem G.: 8, 101, 177, 179.

Jeck U.: 7-8, 10, 16-18, 178, 181.

Wirmer D.: 21, 179, 182.

Largier N.: 51, 181.

Zycha I.: 16, 41, 71, 95, 177.