Due regimi di folli e altri scritti. Testi e interviste 1975-1995

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Gilles Deleuze

Due regimi di folli e altri scritti Testi e interviste 1975-1995 Edizione italiana e traduzione a cura di Deborah Borea Introduzione di Pier Aldo Rovatti

La >? Tutte le volte le è stato risposto: non sei tu che parli, sono degli altri dentro di te, non aver paura, tu sei Agnès, noi capiamo i tuoi desideri di ragazzina, siamo qui per spiegarteli. Come avrebbe potuto Agnès non gridare: « Io non sono Agnès ! >> Ha passato tanto tempo a dire delle cose, a formare degli enunciati che la psicoterapeuta non capisce. Agnès si vendica « marionettizzandola ». Quando dichiara, a proposito della psicoterapeuta: « Dice tutto ciò che faccio, sa tutto ciò che penso», non è un compli-

L'interpretazione degli enunciati

dell'identità soggettiva personale. Ma, dato che lei rifiuta l'identità soggettiva e la famiglia significante non meno·dell'organismo, si interpreteranno tutti gli elementi e i materiali di Agnès in termini negativi e come oggetti parziali, nella misura in cui li si sarà astratti dalle combinazioni in cui Agnès cercava di farli entrare (p. 900). Si dimentica così che la protesta di Agnès non ha affatto un'origine negativa, del tipo parzialità, castrazione, Edipo esploso, ma una genesi perfettamente positiva: il corpo-macchina che le è stato rubato, gli stati di funzionamento di cui è stata spossessata.

m~nt? per la perspicacia di quest ultima, ma piuttosto un'accusa di controllo poliziesco e di deformazione sistematica (come potrebbe non sapere tutto per deformarlo a tal punto?) Agnès è incastrata da tutte le parti - famiglia, scuola Socius La psicoterapeuta, eh~ ha as~ sunto su di sé tutti i centri di potere, è un fattore centrale in questo incastramento generalizza t~. ~gnès aveva n sessi, gliene s1 da uno, la si riconduce violentemente alla differenza tra i sessi. Agnès aveva n madri come t?ater!ali trasformabili, ~liene s~ lascia una. Agnès aveva n particelle di territorio si occupa tutto il suo campo. : si tratta dei sociale per eccellenza. Ora, a prima vista, si potrebbe vedervi soltanto una giurisdizio_ne in miniatura. Ma come con un'incisione studiata alla lente d'ingrandimento, Donzelot vi scopre un'altra organizzazi~ne de~o ~pa: zio, altre finalità, altri personaggi, anche masc~erat1 o ass~milau in un apparato giuridico: 1;1ota_bili co_me ~ssess?r:, educ:ato71 coi_ne testimoni, tutta una cerchia d1 tuton e di tecnici che s1 stringe intorno alla famiglia esplosa o «liberalizzat~». . . . Il settore sociale non si confonde con 11 settore gmd1z1ano, anche se gli dà nuove estensioni. Donzelot di~ostrerà che il_sociale non si confonde piu con il settore econorruco, dato che inventa

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Postfazione a J. Donzelot, La po/ice des fam,lles, Minuit, Paris 1977, pp. 213-20; trad. it. di Renato D'Antiga, in «aut aut•, 1978, n . 167-68, pp. 108-14.

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proprio tutta un'economia sociale e ritaglia su nuove basi la distinzione tra il ricco e il povero. Né si confonde con il settore pubblico, o con quello privato, perché induce al contrario una nuova fi. g_~a ibrida ~ra pub_blic~ e_ privato, e produce esso stesso una ripart1z10ne, un mtrecc10 originale tra gli interventi dello stato e i suoi arretramenti, tra ciò di cui si fa carico e ciò a cui si sottrae. 11 problema non è assolutamente quello di sapere se vi sia una mistificazione del sociale, né quale ideologia esso esprima. Donzelot domanda come il sociale si sia formato, reagendo sugli altri settori implicando nuovi rapporti tra il pubblico e il privato· il giudizia~ rio,_l'amministrativo e il consuetudinario; la ricchezza~ la povertà; la città e la campagna; la medicina, la scuola e la famiglia ecc. Si vengono cosi a ritagliare e a rielaborare le divisioni precedenti o in~ip~ndenti; le fo:!e in atto si applicano a un nuovo campo. È qumd i con tanta pm forza che Donzelot può lasciare al lettore il compito di trarre le sue conclusioni rispetto alle trappole e alle macchinazioni del sociale. Dal momento che il sociale è un ambito ibrido, specialmente nei rapporti tra il pubblico e il privato, il metodo di Donzelot consisterà nel liberare delle piccole discendenze pure, successive o simultanee, ciascuna delle quali contribuirà a formare un contorno o un versante, un carattere del nuovo ambito. Il sociale si troverà all'incrocio di tutte queste piccole discendenze. Bisogna inoltre distinguere l'ambiente su cui queste linee agiscono in modo da investirlo e farlo mutare: la famiglia - non che sia incapace di esser~ da sola m?tore d~ evoluzione, ma lo è necessariamente accoppiata ~d altn vett_on, cos_i come gli altri vettori si accoppiano o si incrociano per _agll'e_su di essa. Quello di Donzelot, quindi, non è affatto l'ennesimo libro sulla crisi della famiglia: la crisi non è altro che l'effetto negativo del sommarsi delle piccole linee; o piuttosto,. l'. ascesa del sociale e la crisi della famiglia sono il doppio effetto poittzco delle stesse cause elementari. Da qui il titolo Polizia delle famiglie', che esprime innanzitutto questa correlazione e sfugge al d ul?l~ce pericolo di un'analisi sociologica troppo globale e di un'analisi morale troppo sommaria. In secondo luogo, bisogna mostrare come a ogni incrociarsi di queste cause si montano dei dispositivi che funzioneranno in un cer to modo, insinuandosi negli interstizi di apparati piu vasti o piu

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1 li libro diJacques Donzelot è stato da poco tradotto in italiano con il titolo li govertU!kfamigli~, Sellino, Avellino 2009 [N.d.T.].

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vecchi, i quali a loro volta ne ricevono un effetto di mu~azi~me: è qui che il metodo di Donzelot diventa quasi un ~etodo mc1son~~ in cui si profila il montaggio di una nuova scena m un qu~dr~ ~la dato (come la scena del tribunale dei minori nel qua_d~o g~ud1ziario; oppure ancora, tra le sue pagine p~u ?ell~, 1~ «_v1s1ta_f~lantropica» che si inserisce nel quadro delle ist1tuzioru ~:h «ca~1ta}>). ~nfine, bisogna determinare le conseguenze eh~ le linee d1 mutazione e i nuovi funzionamenti hanno sul campo d1 forze, sulle alleanze, sulle ostilità sulle resistenze e soprattutto sulle evoluzioni collettive che cam'biano il valore di un termine o il senso di un enunciato. In brev~, il metodo di Donzelot è genealogico, funzionale e strategico. E come dire quanto esso de~~ a Foucault! e anche a C~stel. Ma il modo in cui Donzelot stabilisce le sue d1scenden~e, 1~ cui le fa funzionare in una scena o in un ritratto, e il modo m cui disegna tutta una mappa strategica del «sociale» conferiscono al suo libro una profonda originalità. . Donzelot dimostra fin dall'inizio che una discendenza, o una piccola linea di mutazione dell_a famiglia! 1:u? cominci~e con un~ deviazione, con una scappatoia. Tutto 1mz~a s~ una lm~~ bass~. una linea di critica o di attacco contro le balle e 1 domestici. E già a questo livello c'è un incrociarsi d~ li~ee, perché la ~ri!ica :1on s~ sviluppa secondo lo stesso punto d1 vista nel ca_so de1 ncc~ e de1 poveri. Riguardo ai poveri, si denuncia ~na cat!1v_a ~conom1~ pubblica che li costringe ad abbandonare 1 propri _f~gli! a lasc1a7e _le campagne e a gravare sullo stato con ?ner_i ~deb1t~; nguardo_ai r:c• chi, si denuncia una cattiva economia o 1g1ene p~1vata ~he h s1:1?ge ad affidare ai domestici l'educazione ~e.i f~gh, ~onfmandoli 1:1 spazi angusti. Vi è dunque già una sorta d11?nd_azione t~a pubbli: co e privato, che gioca sulla differenza tra nc~hi e poven, nonche sulla differenza tra città e campagna, per tracciare un abbozzo della prima linea. . . Ma c'è subito una seconda linea. Non solo la famiglia tende a staccarsi dal suo inquadramento domestico, ma i valori coniugali tendono a staccarsi dai valori propriamente familiari e ad assumere una certa autonomia. Certamente, le alleanze restano regolate dalle gerarchie familiari. Ma non si tratta tan~o di p~eservai:e l'ordine delle famiglie quanto di preparare a~a vita conm~ale, m modo da dare a questo ordine un nuovo codice. Pre1:araz10ne al m~trimonio in quanto fine, piuttosto che preservazione ?ella famiglia per mezzo del matrimonio. Preoccupazione per_la discendenza piuttosto che orgoglio per l'ascendenza. Tutto avviene come se la

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donna e il figlio, coinvolti nel fallimento del vecchio codice familiare, trovassero sul versante della coniugalità gli elementi di una nuova codificazione propriamente «sociale». Nasce il tema della grande sorella - piccola madre. Il sociale sarà centrato sulla coniugalità, sul suo apprendistato, sul suo esercizio e sui suoi doveri, piuttosto che sulla famiglia, sul suo carattere innato e sui suoi diritti. Ma anche qui la mutazione avrà una risonanza diversa nei ricchi e nei poveri: infatti, il dovere coniugale della donna povera la ripiega sul marito e sui figli (impedire al marito di andare ali'osteria ecc.), mentre quello della donna ricca le conferisce funzioni espansive di controllo e un ruolo di «missionaria» nell'ambito delle opere buone. Si sviluppa una terza linea, nella misura in cui la famiglia coniugale tende essa stessa a liberarsi parzialmente dall'autorità paterna o maritale del capofamiglia. Il divorzio, l'aumento degli aborti fra le donne sposate, la possibilità di affrancarsi dalla patria potestà sono i punti piu notevoli su questa linea. Ma, piu profondamente, a essere compromessa è la soggettività che la famiglia trovava nel suo «capo» responsabile, capace di governarla, e l'oggettività che essa prendeva da tutta una rete di dipendenze e di complementarità che la rendevano a sua volta governabile. Bisognerà trovare da qualche parte nuovi stimoli soggettivi; ed è qui che Donzelot mostra il ruolo della spinta al risparmio, che diviene il pezzo forte del nuovo dispositivo di assistenza (da qui la differenza tra la vecchia carità e la nuova filantropia, in cui l'aiuto dev'essere concepito come investimento). Sarà d'altra parte neces• sario che la rete delle vecchie dipendenze sia sostituita con interventi diretti, in cui il sistema industriale stesso rimedi alle tare di cui rende responsabile la famiglia (ecco cosi la legislazione del lavoro minorile, in cui il sistema è tenuto a difendere il minore contro la sua stessa famiglia: secondo aspetto della filantropia). Ora, nel primo caso, lo stato tende a liberarsi di oneri troppo pesanti facendo giocare l'incitazione al risparmio e l'investimento privato; mentre, nel secondo caso, lo stato è indotto a intervenire direttamente usando la sfera industriale per una «civilizzazione dei costumi». Al punto che la famiglia può essere al tempo stesso l'oggetto di un elogio liberale, in quanto luogo del risparmio, e l'oggetto di una critica sociale e perfino socialista, in quanto agente di sfruttamento (proteggere la donna e il minore). Al contempo, l'occasione di uno sgravio dello stato liberale, e il bersaglio o l'onere dello stato interventista: non una disputa ideologica, ma i due po-

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li di una strategia che sta sulla stessa linea. È qui che l'ibridazione dei due settori, pubblico e privato, assume un valore positivo per formare il sociale. C'è poi una quarta linea, che opera una nuova alleanza tra la medicina e lo stato. Sotto l'impulso di fattori molto diversi (l'estensione della scuola obbligatoria, l'ordinamento militare, la promozione dei valori coniugali con l'accento sulla discendenza, il controllo delle popolazioni ecc.), l'«igiene» diventa pubblica nello stesso momento in cui la psichiatria esce dal settore privato. Tuttavia c'è sempre ibridazione, nella misura in cui la medicina mantiene un carattere liberale privato (contratto), mentre lo stato interviene necessariamente attraverso azioni pubbliche e istituzionali (tutela)2. Ma la proporzione di questi elementi è variabile; sussistono opposizioni e tensioni (per esempio, tra il potere giudiziario e la «competenza» psichiatrica). Inoltre il connubio tra la medicina e lo stato assume un andamento diverso, non soltanto per la politica comune perseguita (eugenismo, malthusianesimo, planning ecc.), ma per la natura dello stato che si suppone conduca questa politica. Donzelot scrive delle belle pagine sull'avventura di Paul Robine dei gruppi anarchici, che testimoniano un «gauchismo ►> dell'epoca, con interventi nelle fabbriche, appoggio degli scioperi, propaganda per un neomalthusianesimo, e dove l'anarchismo passa anche attraverso la promozione di uno stato forte. Come nei casi precedenti, è sempre sulla stessa linea che si scontrano i punti dell'autoritarismo, i punti della riforma, i punti di resistenza e di rivoluzione, intorno a questa nuova posta in gioco che è «il sociale», dove la medicina e lo stato, coniugandosi, diventano igienisti, in parecchi modi anche opposti che investono o rimodellano la famiglia. Sulla Scuola dei genitori, sugli albori del planning familiare, leggendo Donzelot si apprendono molte cose inquietanti: si è sorpresi del fatto che le ripartizioni politiche non siano esattamente quelle che credevamo. Per servire a un problema piu generale: l'analisi politica degli enunciati - in che modo un enunciato rinvia a una politica, e cambia particolarmente di senso, da una politica ali' altra. C'è ancora un'altra linea, quella della psicoanalisi. Donzelot le 2 Sulla formazione di una «biopolitica», o di un potere che si propone di gestire la vita, cfr. M. Foucault, La volonté de savoir, Gallimard, Paris 1976, pp. 183 sgg.; trad. it. La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano 1978, pp. 123 sgg. E sui rapporti contratto-tutela, a questo riguardo, dr. R. Castel, L 'ordre psychiatrique, Minuit, Paris 1976; trad. it. L 'ordine psichiatrico, Feltrinclli, Milano 1980.

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accorda molta importanza, in funzione di un'ipotesi originale. Si manifesta oggi la preoccupazione di arrivare a una vera storia della psicoanalisi, che rompa con gli aneddoti intimistici su Freud, i suoi allievi e i dissidenti, o con le questioni ideologiche, per meglio definire i problemi di organizzazione. Ma se fino a oggi la storia della psicoanalisi è stata generalmente caratterizzata dall'intimismo, anche al livello della formazione delle associazioni psicoanalitiche, è perché si rimaneva prigionieri di uno schema precostituito: la psicoanalisi sarebbe nata entro relazioni private (contrattuali), avrebbe formato degli studi privati e non ne sarebbe uscita che tardivamente, per incidere su un settore pubblico (l mp', dispensari, settorizzazione, insegnamento). Donzelot pensa al contrario che, in un certo modo, la psicoanalisi si sia stabilita molto presto in un ambiente ibrido di pubblico e privato, e che fu proprio questa una ragione fondamentale del suo successo. Senza dubbio la psicoanalisi è arrivata tardi in Francia, ma è proprio su settori semipubblici come il planning che si appoggia, in rapporto a problemi del tipo «come evitare i figli non desiderati?» Bisognerebbe verificare questa ipotesi in altri paesi. Essa permette almeno di rompere con il dualismo schematico («Freud liberale Reich dissidente marxista») per individuare un campo politico e sociale della psicoanalisi in seno al quale si compiono gli scontri e le rotture. Ma, nell'ipotesi di Donzelot, da dove viene questo potere della psicoanalisi di investire immediatamente un settore misto, «il» sociale, per tracciarvi una nuova linea? Lo psicoanalista non è un operatore sociale, simile a quello prodotto dalle altre linee. Al contrario, molte cose lo distinguono dall'operatore sociale: non viene a casa vostra, non verifica quello che dite e non invoca alcuna costrizione. Ma bisogna ripartire dalla situazione precedente: c'erano ancora molte tensioni tra l'ordine giudiziario e l'ordine psichiatrico (insufficienza della griglia psichiatrica, nozione troppo grossolana di degenerescenza ecc.), molte opposizioni tra le esigenze dello stato e i criteri della psichiatria◄. In breve, mancavano le regole di equivalenza e di traducibilità tra i due sistemi. Tutto avviene allora come se la psicoanalisi registrasse quest'assenza di 'Istituto medico-pedagogico [N.d.C.J. . ' _Per esempio, nel c~so d~i deliri, le istanze civili o penali rimproverano alla psichiama, simultaneamente, di considerare folli persone che non lo sono~ veramente» (caso del presidente Schreber) e di non scoprire in tempo persone folli che non lo danno a vedere (casi di monomanie o di deliri passionali).

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equivalenza e proponesse di sostituirvi un nuovo sistema di fluttuazione, creando i concetti teorici e pratici necessari a questo nuovo stato di cose. Esattamente come in economia una moneta è detta fluttuante quando il suo valore non è piu determinato in rapporto a un tallone fisso, ma in rapporto ai prezzi di un mercato ibrido variabile. Il che non esclude evidentemente meccanismi di regolazione di tipo nuovo (per esempio «il serpente», che segna il minimo e il massimo della fluttuazione monetaria). Di qui l'importanza del confronto che Donzelot istituisce tra Freud e Keynes - è molto piu che una metafora. Specialmente il ruolo molto particolare del denaro in psicoanalisi non ha piu bisogno di essere interpretato in base a vecchie forme liberali, o a forme simboliche non idonee, e assume invece il vero e proprio valore di «serpente» psicoanalitico. Ma in che cosa la psicoanalisi assicura questa fluttuazione del tutto speciale che la psichiatria non riusciva a realizzare? Secondo Donzelot, il suo ruolo fondamentale è stato quello di far fluttuare le norme pubbliche e i princip1 privati, le perizie e le confessioni, i test e i ricordi, grazie a tutto un gioco di spostamenti, condensazioni, simbolizzazioni, legato alle immagini p~entali e

alle istanze psichiche che la psicoanalisi mette in opera. E come se i rapporti Pubblico-Privato, stato-Famiglia, Diritto-Medicina ecc. fossero rimasti a lungo sotto un regime di tallone, cioè di legge, che fissa rapporti e parità, anche con larghi margini di flessibilità e variazione. Ma «il» sociale nasce con un regime di fluttuazione, in cui le norme sostituiscono la legge, i meccanismi regolatori e correttivi sostituiscono il tallone5 • Freud con Keynes. La psicoanalisi ha un bel parlare della Legge, ma fa parte di un altro regime. Tuttavia non è certo l'ultima parola nel sociale: se il sociale è ben costituito, attraverso questo sistema di fluttuazione regolata, la psicoanalisi è soltanto un meccanismo tra molti altri, e non il piu potente; ma li ha impregnati tutti, anche se deve scomparire o fondersi in essi. Dalla linea« bassa» alla linea di fluttuazione, passando per tutte le altre (coniugale, filantropica, igienista, industriale), Donzelot ha disegnato la mappa del sociale, della sua comparsa e della sua espansione. Ci fa vedere la nascita dell'Ibrido moderno: come i desideri e i poteri, le nuove esigenze di controllo, ma anche le nuove capacità di resistenza e di liberazione, si organizzeranno e ' Su questa differenza tra la norma e la legge, cfr. M. Foucault, lA voionté de savoir cit., pp. 189 sgg.; trad. it. pp. 127 sgg.

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si scon~rer~nno su queste linee. «Avere una stanza tutta per sé» è un desiderio, ma anche un controllo. Inversamente un meccanism? re~olatore è ~ncalzato da tutto ciò che lo sup~ra e lo fa già 1 scncch1olare dall mterno. Il fatto che Donzelot lasci al lettore il c~t?Pi~o di trarre provvisoriamente le sue conclusioni non è segno d_1 1'.1d1ffe~enza, ma annuncia piuttosto la direzione dei suoi prossuru lavon strl terreno che ha delimitato.

Desiderio e piacere I I.

Desiderio e piacere*

Una delle tesi essenziali di Sorvegliare e punire 1 riguardava i dispositivi di potere. Essa mi sembrava ~ssenziale sotto tre a~i:etti: 1) Per se stessa e rispetto al > o «spontanea». Per esempio, il feudalesimo è un concatenamento che mette in gioco dei nuovi rapporti con l'animale (il cavallo), con la terra, con la deterritorializzazione (il cavallo al ga: loppa, la Crociata), con le donne (l'amore cavalleresco) ecc. D> (è cosi che si esprime), un legame profondo tra L 'anti-Edipo e i drogati. Perlomeno questo farà ridere i drogati. Dice anche che il Cerfi2 è razzista: davvero ignobile. Era da tempo che volevo parlare dei nuovi filosofi, ma non sapevo come. Avr~bbero subito detto: guardate come è geloso del nostro successo. E il loro mestiere attaccare, rispondere, rispondere alle risposte. Da parte mia, lo farò una volta sola. Poi non ribatterò più. Ciò che mi ha convinto a in• tervenire è stato il libro di Aubral e Delcourt, Contro i nuovi filosofi). Aubral e Delcourt tentano davvero di analizzare questo l?ensiero e giungono a risultati molto comici. Hanno fatto un bel libro corroborante, sono stati i prinù a protestare. Hanno perfino affrontato i nuovi filosofi in televisione, nella trasmissione Nietzsche)4. Benoist è Nes.tor, il fattorino. Lévy è ora l'impresario, ora la script-giri, ora l'allegro animatore, ora il disc-jockey. Per Jean Cau tutto ciò va perfettamente bene; Fabre-Luce si fa di~cepolo di Glucksmann; si ripubblica Benda, per le virtu del chierico. Che strana costellazione. Sollers era stato l'ultimo in Francia a fare una scuola ancora vecchia maniera, con tanto di papismo, scomuniche, tribunali'. Immagino che, una volta capito il senso di questa nuova impresa, egli si sia detto che avevano ragione, che doveva farseli alleati, che sarebbe stato sciocco lasciarsi scappare questa occasione. Arriva tardi, ma ha comunque fatto in tempo ad accorgersene. Poiché questa storia del marketing applicato al libro di filosofia è davvero una novità, un'idea che «bisognava» avere. Il fatto che i nuovi filosofi restaurino una funzione-autore vuota e che procedano attraverso concetti cavi, tutta questa reazione non impedisce un profondo modernismo, un'analisi adeguata del mercato e del panorama in cui siamo. Perciò credo che qualcuno possa anche provare una curiosità benevola per questa operazione, da un punto di vista meramente naturalistico o entomologico. Per me è diverso, perché il mio punto di vista è teratologico: è l'orrore. Se è solo una questione di marketing, come spieghi che ci sia stato

bisogno di aspettare proprio loro e che solo ora l'operazione rischi di riuscire? • li riferimento è alla serie di Hlm incentrati sul personaggio del dottor Mabuse, inaugurata da Fritz Lang nel 1922 con Dr. Mabuse, der Spieler [N .d.T.]. ' Allusione al gruppo costituito intorno alla rivista . I francesi, gli inglesi ecc. ambivano a installare degli spazi in cui la presenza degli autoctoni era la condizione di esistenza di questi spazi. Affinché una dominazione si eserciti, bisogna pure che i dominati siano presenti. Che lo si volesse o meno, si creavano degli spazi comuni, vale a dire reti, settori, livelli di vita sociale in cui avveniva proprio questo «incontro» tra coloni e colonizzati. Che fosse intollerabile, carico di oppressione, sfruttamento e dominazione non cambia il fatto che lo «straniero» per dominare il «locale», doveva inizialmente essere «in con'. tatto» con lui.

' La Palestina, che fino al 192 I era sotto il regime militare britannico successivament~ si tr?~ò posta, _dalla Società delle Nazioni, sotto il Mandato della Grad Bretagna. Il regime civile ebbe 1ruz10 nel 1923 e durò fino al r5 maggio 1948, data in cui i britannici se ne andarono e venne proclamato lo stato d'Israele [N.d.C.).

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Arriva il sionismo che invece parte dalla necessità della nostra assenza, e che inoltre fa della specificità dei suoi membri (l'appartenenza a comunità ebraiche) la pietra angolare del nostro rifiuto, del nostro spostamento, del «transfert» e della sostituzione descritta cosi bene da Ilan Halevi•. Ecco come sono nati per noi, arrivando sulla stessa scia di quelli che ho chiamato i «coloni stranieri», coloro che mi sembra giusto chiamare i «coloni sconosciuti»~ 11 loro modo di procedere è stato unicamente quello di fare delle proprie caratteristiche specifiche la base del rifiuto totale dell'Altro. D'altronde, penso che nel 1948 il nostro paese non sia stato semplicemente occupato ma che sia in qualche modo «sparito». I coloni ebrei, diventati in quel momento «gli israeliani», hanno dovuto vivere certamente cosi la cosa. Il movimento sionista ha mobilitato la comunità ebraica in Palestina, non intorno all'idea che i palestinesi un giorno avrebbero dovu,to andarsene, ma intorno all'idea che il paese era «vuoto>>. E vero, c'è stato qualcuno che quando arrivò sul posto constatò il contrario e lo scrisse! Ma la maggior parte di questa comunità, di fronte alle persone che sfiorava fisicamente ogni giorno, andava avanti come se esse non esistessero. E questo accecamento non era fisico, nessuno inizialmente si lasciava ingannare, ma tutti sapevano che questo popolo oggi presente era «sul punto di sparire», tutti si rendevano conto inoltre che, affinché questa sparizione potesse riuscire, bisognava procedere fin dal principio come se fosse già avvenuta, cioè «non vedendo» mai l'esistenza dell'altro, benché fosse molto presente. Perché avesse successo, lo svuotamento del territorio doveva partire da un'evacuazione dell' « altro» dalla testa dei coloni. Per farlo, il movimento sionista ha profondamente giocato su una visione razzista che faceva dell'ebraismo la base stessa dell'espulsione, del rifiuto dell'altro. In questo è stato decisamente aiutato dalle persecuzioni in Europa, perpetrate da altri razzisti, che gli hanno permesso di trovare una conferma del proprio modo di procedere. D'altronde, noi pensiamo che il sionismo abbia imprigionato gli ebrei, e li faccia essere schiavi di questa visione che ho appena descritto. Dico che li fa essere schiavi e non che li ha fatti es' I. Halevi, Que$tion iuive, la tribu, la loi, l'e$pace, Minuit, Paris 1981 [N .d.C.].

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sere, a un certo punto. E lo dico perché, una volta terminato l'Olocausto, il loro modo di procedere si è evoluto, si è trasformato in uno pseudo «principio eterno» secondo cui gli ebrei sono sempre, in ogni tempo e luogo, l'«Altro» delle società in cui vivono. Ma non c'è nessun popolo, nessuna comunità - fortunatamente - che possa pretendere di occupare immutabilmente la posizione dell'«Altro>> rifiutato e maledetto. L'Altro nel Medio Oriente oggi è l'arabo, il palestinese. E, colmo di ipocrisia e di cinismo, è a quest'Altro, la cui sparizione è continuamente all'ordine del giorno, che le potenze occidentali chiedono delle garanzie. Invece siamo noi che abbiamo bisogno di essere garantiti contro la follia dei capi militari israeliani. Malgrado ciò, l'Olp, il nostro unico e solo rappresentante, ha presentato la sua soluzione del conflitto, lo stato democratico in Palestina, uno stato in cui dovranno essere abbattuti i muri esistenti fra tutti i suoi abitanti, quali che siano. DELEUZE La «Revue d'études palestiniennes» ha il suo manifesto, che occupa le pri~e due pagine del numero 1: siamo «un popolo come gli altri». E un grido con un senso molteplice. In primo luogo, è un richiamo, o un appello. Non si smette di rinfacciare ai palestinesi di non voler riconoscere Israele. Vedete, dicono gli israeliani, vogliono distruggerci. Ma sono piu di cinquant'anni che i palestinesi, a loro volta, lottano per essere riconosciuti. In secondo luogo, è un'opposizione. Perché il manifesto di Israele è piuttosto «Non siamo un popolo come gli altri», per la nostra trascendenza e l'enormità delle nostre persecuzioni. Da qui l'importanza, nel numero 2 della «Revue», di due testi di scrittori israeliani sull'Olocausto, sulle reazioni sioniste all'Olocausto, e sul significato che ha avuto questo evento in Israele, rispetto ai palestinesi e all'insieme del mondo arabo che non ne fu coinvolto. Esigendo di «essere trattato come un po-

polo fuori dalla norma», lo stato d'Israele si mantiene tanto piu in una situazione di dipendenza economica e finanziaria rispetto all'Occidente, quanto nessun altro stato ha mai sperimentato (Boaz Evron)'. Ecco perché i palestinesi tengono tanto alla rivendicazione opposta: divenire ciò che sono, vale a dire un popolo d~l tutto >. ' B. Evron, Les interprétations de I' «Holocauste»: Un danger pour le peuple iuif, « Revue d'études palestiniennes», 1982, n. 2, pp. 36-;p [N d .C.].

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Contro la storia apocalittica, c'è un senso della storia che fa tutt'uno con il possibile, la molteplicità del possibile, il moltiplicarsi dei possibili in ogni momento. Non è forse questo che la . Data una cosa, qual è lo stato di forze esterne e interne che suppone? Va a Nietzsche il merito di aver costituito un'intera tipologia che distingue forze attive, forze agite e forze reattive, e analizza le loro diverse combinazioni. In particolare, l'attribuzione di un tipo di forze propriamente reattive costituisce uno dei punti piu originali del pensiero nietzschiano. Questo libro tenta di definire e di analizzare le diverse forze. Una semiologia generale di questo tipo comprende la linguistica, o piuttosto la filologia, come uno dei suoi settori. Perché una proposizione è di per sé un insieme di sintomi che esprimono una maniera di essere o un modo di esistenza di colui che parla, vale a dire lo stato di forze che qualcuno ha o si sforza di avere con se stesso e con gli altri (ruolo delle congiunzioni, a questo proposito). Una proposizione rinvia sempre in questo senso a un modo di esistenza, a un «tipo». Data una proposizione, qual è il modo di esistenza di colui che la pronuncia, che modo di esistenza bisogna avere per poterla pronunciare? Il modo di esistenza è lo stato di forze in quanto esso forma un tipo esprimibile attraverso segni o sintomi. I due grandi concetti umani reattivi, quali Nietzsche li «diagnostica», sono il risentimento e la cattiva coscienza. Risentimento e cattiva coscienza esprimono il trionfo delle forze reattive nell'uomo, che arrivano a costituirlo sino a farne l'uomo-schiavo. Questo dice come la nozione nietzschiana di schiavo non designi necessariamente chi è dominato per destino o condizione sociale, ma qualifichi tanto i dominanti quanto i dominati, non appena il regime di dominazione avvenga attraverso forze reattive e non attive. In questo senso, i regimi totalitari sono regimi di schiavi, non solo perché assoggettano un popolo, ma soprattutto per il tipo di «padroni» che esaltano. Una storia universale del risentimento e della cattiva coscienza, a partire dal prete ebreo e dal prete cristiano fino al prete laico di oggi, è essenziale nel prospettivismo sto-

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rico di Nietzsche (i supposti testi antisemiti di Nietzsche sono in realtà dei testi sul tipo originale del prete). Il secondo asse riguarda la potenza, e forma un'etica e un'ontologia. I malintesi su Nietzsche culminano con la potenza. Ogni volta che si interpreta la volontà di Potenza nel senso di «volere o cercare la Potenza», si ricade sulle banalità che non hanno nulla a che vedere con il pensiero di Nietzsche. Se davvero ogni cosa rinvia a uno stato di forze, la Potenza designa l'elemento o piuttosto il rapporto differenziale tra le forze in presenza. Questo rapporto si esprime in qualità dinamiche come «affermazione», «negazione» ... La potenza non è quindi ciò che la volontà vuole, ma al contrario ciò che vuole nella volontà. E «volere o cercare la potenza» è solo il grado piu basso della volontà di potenza, la sua forma negativa o l'aspetto che,prende quando le forze reattive la trascinano nello stato di cose. E uno dei caratteri piu originali della filosofia di Nietzsche il fatto di aver trasformato la domanda «cosa?» in «chi?» Per esempio, data una proposizione, chi è capace di enunciarla? Ancora una volta bisogna sbarazzarsi di ogni riferimento «personalistico». «Chi» ... non si riferisce a un individuo o a una persona, ma piuttosto a un evento, vale a dire alle forze che sono in rapporto in una proposizione o in un fenomeno, e al rapporto genetico che determina queste forze (potenza). «Chi» è sempre Dioniso, una maschera o un aspetto di Dioniso, un lampo. Il malinteso sull'Eterno Ritorno è altrettanto grande di quello che pesa sulla volontà di Potenza. Perché ogni volta che si concepisce l'Eterno Ritorno come il ritorno di una combinazione (dopo che tutte le altre combinazioni si sono prodotte), ogni volta che si interpreta l'Eterno Ritorno come il ritorno dell'Identico o dello Stesso, al pensiero di Nietzsche si sostituiscono nuovamente delle ipotesi puerili. Nessuno ha spinto cosi lontano quanto Nietzsche la critica di ogni identità. Per due volte in Zarathustra Nietzsche nega esplicitamente che l'Eterno Ritorno sia un circolo che fa ritornare lo Stesso. L'Eterno Ritorno è rigorosamente l'opposto, perché è inseparabile da una selezione, da una doppia selezione. Da una parte, selezione del volere o elle] pensiero, che costituisce l'etica di Nietzsche: volere soltanto ciò di cui si vuole anche l'eterno ritorno (eliminare tutti i mezzi-voleri, tutto ciò che uno può volere quando dice« una volta, soltanto una volta ... ») Dall'altra parte, selezione dell'Essere, che costiitUisce l'ontologia di Nietzsche: la sola cosa che ritorna, la sola adatta a ritornare è ciò che diviene nel senso piu pieno della parola. Ritornano soltanto l'azione e l'af-

Prefazione all'edizione americana cli Nietzsche e la filosofia

fermazione: l'Essere appartiene al divenire e appartiene soltanto a esso. Ciò che si oppone al divenire, lo Stesso o l'Identico, arigore non è. Il negativo come il grado piu basso della potenza, il reattivo come il grado piu basso della forma non ritornano, perché sono l'opposto del divenire, il quale costituisce il solo Essere. Si vede di conseguenza in che modo l'Eterno Ritorno sia legato, non a un~ ripetizione dello Stesso, ma al contrario a una trasmutazione. E l'istante o l'eternità del divenire che elimina tutto ciò che gli resiste. Esso libera, ancora di piu crea, il puro attivo e l' affermazione pura. E il Superuomo non ha altro contenuto, esso è il prodotto comune della volontà di Potenza e dell'Eterno Ritorno, Dioniso e Arianna. Per questo Nietzsche afferma che la volontà di Potenza non consiste nel volere, nel bramare o nel cercare, ma soltanto nel «dare>> e nel «creare». E questo libro si propone innanzitutto di analizzare ciò che Nietzsche chiama il Divenire. Ma piu ancora che su analisi concettuali, la questione Nietzsche poggia prima di tutto su valutazioni pratiche che sollecitano un'atmosfera generale, ogni sorta di disposizione affettiva del lettore. Nietzsche ha sempre conservato un profondissimo rapporto tra il concetto e l'affetto, proprio come Spinoza. Le analisi concettuali sono indispensabili, e Nietzsche le porta piu lontano di ogni altro. Ma finché il lettore le coglierà in un clima che non è quello di Nietzsche, esse resteranno inefficaci. Finché il lettore si ostinerà: 1) a vedere nello «schiavo» nietzschiano qualcuno che si trova a essere dominato da un padrone, e che merita di esserlo; 2) a concepire la volontà di potenza come una volontà che vuole e cerca la potenza; 3) a concepire l' Eterno Ritorno come il fastidioso ritorno dello stesso; 4) a immaginare il Superuomo come una razza data di padroni, non ci sarà alcun possibile rapporto positivo tra Nietzsche e il suo lettore. Nietzsche apparirà come un nichilista, alla peggio come un fascista, alla meglio come un profeta oscuro e terrificante. Nietzsche lo sapeva, conosceva il destino che lo attendeva, lui che fece di una «scimmia» o un «buffone>> il doppio di Zarathustra, e annunciò che Zarathustra e la sua scimmia sarebbero stati confusi (un profeta, un fascista o un pazzo ... ) Per questo motivo un libro su Nietzsche deve sforzarsi di correggere l'incomprensione pratica o affettiva tanto quanto di restaurare l'analisi concettuale. Ed è vero che Nietzsche ha diagnosticato il nichilismo come il

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movimento che travolge la storia. Nessuno ha analizzato meglio il concetto di nichilismo, l'ha inventato lui. Ma, per essere precisi, l'ha definito come il trionfo delle forze reattive, o come il negativo nella volontà di potenza. Non ha mai smesso di opporvi la trasmutazione, ovvero il divenire, che è al tempo stesso l'unica azione della forza e l'unica affermazione della potenza, l'elemento trans-storico dell'uomo, I'Oltreuomo (e non il Superuomo). L'Oltreuomo è il punto focale in cui il reattivo è sconfitto (risentimento e cattiva coscienza), e in cui il negativo lascia il posto all 'affermazione. In qualunque istante sia colto, Nietzsche resta inseparabile dalle forze dell'avvenire, dalle forze ancora a venire, che richiama dai suoi desideri, che il suo pensiero disegna, che la sua arte prefigura. Non si limita a diagnosticare, come diceva Kafka, le forze diaboliche che già bussano alla porta, ma le scongiura addestrando l'ultima Potenza capace di intraprendere una lotta con esse, contro di esse, e di stanarle in noi cosi come al di fuori di noi. Un «aforisma» alla Nietzsche non è un semplice frammento, un pezzetto di pensiero: è una proposizione che assume un senso solo in rapporto allo stato di forze che esprime, e che cambia senso, che deve cambiare senso, a seconda delle nuove forze che è «capace» (potenza) di sollecitare. Senza dubbio è questo l'aspetto piu importante nella filosofia di Nietzsche: aver trasformato radicalmente l'immagine che ci facevamo del pensiero. Nietzsche sottrae il pensiero all'elemento del vero e del falso. Ne fa un'interpretazione e un~ valutazione, interpretazione di forze, valutazione di potenza. E un pensiero-movimento. Non soltanto nel senso che Nietzsche vuole riconciliare il pensiero e il movimento concreto, ma nel senso che il pensiero stesso deve produrre movimenti, velocità e lentezze straordinarie (perciò, di nuovo, il ruolo dell'aforisma, con le sue velocità variate e il suo movimento di «proiettile»). Ne consegue che con le arti del movimento - il teatro, la danza, la musica - la filosofia assume un nuovo rapporto. Nietzsche non si accontenterà mai del discorso o della dissertazione (logos) come espressione del pensiero filosofico, sebbene abbia scritto le dissertazioni piu belle, in particolare la Genealogia della morale, con cui tutta l'etnologia moderna ha un «debito» incolmabile. Ma un libro come Zarathustra non può che essere letto come un'opera lirica moderna, non può che essere visto e inteso come tale. Nietzsche non fa un'opera lirica filosofica o un teatro allegorico, ma crea un teatro o un'opera lirica che esprimono direttamente il pensiero come esperienza e movimento. E

Prefazione all'edizione americana di Nietzsche e !.a filosofia

quando Nietzsche afferma che il Superuomo assomiglia piu a Borgia che a Parsifal, o che fa parte contemporaneamente dell'ordine un paese che, come si denuncia, ha i gulag? G. DELEUZE EJ.-P. BAMB~RGER La questione è semmai: non ci SO· no mezzi migliori? E facile fare un ritratto particolarmente grottesco dei pacifisti: vorrebbero un disarmo unilaterale, e sarebbero alquanto stupidi se credessero che basterebbe questo «esempio» per persuadere l'Unione sovietica a fare altrettanto. Il pacifismo è una politica. Richiede dei negoziati parziali o globali, tra Stati Uniti, Unione sovietica ed Europa. Ma non si accontenta di negoziati puramente tecnici. Per esempio, quando Mitterrand all'inizio della sua intervista dice: «Nessuno vuole la guerra, né all'Est né all'Ovest, ma la questione è quella di sapere se la situazione, che si aggrava di giorno in giorno, non sfuggirà alla decisione dei veri responsabili», e che quindi è necessario un «equilibrio delle forze in presenza affinché la guerra non scoppi», è facile capire che in questo modo tutti i problemi politici sono messi tra parentesi. Il pacifismo vuole che i negoziati tecnici siano in qualche modo indicizzati su problemi politici: per esempio progressive zone di neutralizzazione in Europa. Il pacifismo favorisce le correnti che vanno in direzione di una riunificazione della Germania, all'Est come all'Ovest: ma questa riunificazione può avvenire soltan' Si tratta dell'intervista accordata ad Antenne

ra della verità» il 16 novembre 1983 [N.d.C.].

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nell'ambito della trasmissione «L'o-

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to per neutralizzazione. Si appoggia su tutti gli elementi attua-

li che possono accrescere l'autonomia dei paesi dell'Est. La recente dichiarazione della Romania, che si smarca dall'Unione sovietica cosi come dagli Stati Uniti, è importante da questo punto di vista'. Il pacifismo ha basi e manifesti politici perfettamente enunciati: il piano dell'Onu del 1961, in cui si era fatto un accordo Usa-Urss'; il piano Palme; iniziative locali recenti come i negoziati di Grecia-Romania-Bulgaria-Jugoslavia5 • Dire che all'Est ci sono i missili e all'Ovest il pacifismo è insensato. La politica pacifista si esercita sull'Est cosi come sull'Ovest. Come dice Sean MacBride, è un contropotere («Les Nouvelles», 2 novembre). Perché anche il pacifismo non dovrebbe avere un giorno degli osservatori nei negoziati internazionali? Come movimento popolare il pacifismo non può né vuole separare i problemi tecnici (quantitativi) dalle modificazioni politiche. A rischio di «destabilizzare>> l'Unione sovietica, costituisce un mezzo migliore del superarmamento. Si sa già che una delle risposte dell'Unione sovietica sarà un'estensione dei missili nei paesi dell'Est. Va da sé che il gulag sarà esteso e indurito. Edward Thompson6 lo ha recentemente ricordato su «Le Monde>> (2 7 novembre): «Ogni nuovo missile all'Ovest chiude una cella all'Est, rinforza il sistema di sicurezza e i falchi». Non c'è dubbio che l'Unione sovietica non lascerà sussistere il benché minimo elemento di autonomia nei paesi che sono sotto la sua sfera. Significa la condanna a morte, a breve termine, della Polonia. Significa soffocare tutto ciò che si sta muovendo nella Ddr e in Ungheria. Significa silurare l'iniziativa greca. La corsa agli armamenti non può proprio presentarsi come una lotta contro il gulag. Genera l'effetto opposto. Anche in Europa occidentale comporterà un'organizzazione militare e poliziesca rafforzata. Soltanto il pacifismo, con le sue esigenze, può provocare un allentamento del gulag.

Il pacifismo oggi

Quindi eravate a favore di un'Europa disarmata di fronte ai missili sovietici? G. DELEUZE E J.-P. BAMBERGER Non è questo il punto. Il pacifismo vuole negoziati tecnici politici, e controllati, tra i governi. Un equilibrio puramente tecnologico è immaginario. Vogliamo negoziati sulle armi intercontinentali, dove gli Stati Uniti hanno un grande vantaggio (nell'essenziale campo dei missili balistici acqua-terra): non crediamo che l'Unione sovietica debba subito colmare il suo ritardo. Vogliamo negoziati sulle armi continentali, dove si suppone sia l'Unione sovietica in vantaggio: perché bisognerebbe che gli Stati Uniti colmino subito il loro ritardo? Tanto piu che l'Europa occidentale non era affatto disarmata: la Nato disponeva di sottomarini nucleari, che possono giocare a scelta un ruolo continentale o intercontinentale. Antoine Sanguinetti7 lo ricorda in una recente intervista: «Quando gli americani hanno ritirato i loro missili terrestri all'inizio degli anni Sessanta, non hanno lasciato l'Europa senza niente, hanno messo nel Mediterraneo, agli ordirti della Nato, sottomarini nucleari provvisti di testate nucleari dello stesso ordine degli ss-201 con una portata leggermente superiore e la stessa precisione. Sono l.( fin dal 1965 ma non se ne parla mai» («Lui», giugno 1983). I missili continentali in Europa: è una lurga storia. Gli Stati Uniti li avevano, proprio come i sovietici. E stato Kennedy a ritirarli, per due ragioni principali: per compensare l'Unione sovietica, i cui alleati non dovevano essere minacciati da missili continentali americani, visto che gli Stati Uniti si rifiutavano di essere minacciati da missili sovietici in un paese alleato dell'Unione sovietica; e anche perché Kennedy pensava che il vantaggio che avevano gli Stati Uniti con i missili intercontinentali era già sufficient~. Fu un momento importante per la fine della guerra fredda. E stato il cancelliere Schmidt a reclamare la reinstallazione dei missili americani fin dal 1977 facendo appello al progresso tecnologico (sempre l'argomentazione tecnica ... ) dei nuovi missili sovietici. La Nato ha evidentemente accolto la richiesta. Reagan, quindi, ha l'aria di attenersi a un programma previsto già da molto tempo. Ma si dà il caso che, all'epoca, i previsti missili non dovevano colpire l'Unione sovietica, e quindi la loro funzione ora è completamente «cam1

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' Il governo romeno, preoccupato della propria indipendenza in materia di politica estera, incoraggia al suo interno grandi manifestazioni che mettono in causa lo stazionamento in Europa dei missili nucleari americani a mezza gittata, ma anche degli ss-20 sovietici [N d.C.]. • Allusione alla risoluzione del 24 novembre 1961 dell'Assemblea generale dell'Onu sull'> con la Turchia, la l:lulgaria, la Jugoslavia e la Romania per denuclearizzare i Balcani [N d.C.]. • Storico inglese [N .d.C.].

' Ammiraglio della marina francese [N d .T.].

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biata» come osserva l'ex ministro inglese David Owen («Le Mond;», 22 novembre). Come possono alcuni commentatori parlare di una decisione presa «in tutta chiarezza»? ~'Un~o.ne sovietica può vedervi non solo una rottura del patto implicito con Kennedy, ma un aggravarsi del progetto del 19798 e un acuirsi del carattere aggressivo della Nato. Reagan cerca il momento fa;ore_vole per_lo _svil~ppo di _una nu~va guerra fredda dato che l Unione sov1et1ca s1 trova in una situazione di deboÌezza politica ed economica. Imporre all'Unione sovietica una nuova corsa al superarmamento gli sembra perfetto. Non soltanto sarà una prova di forza per l'economia sovietica ma anche un modo per imporle la dispersione dei suoi mezzi: piu aumenterà le sue forze in Europa, piu gli ~tati Uni: ti avranno le mani libere nel Pacifico. Per questo la risposta d1 Andropov non stupisce: l'Unione sovietica estenderà certamente i suoi missili continentali in Europa orientale (con tutte le conseguenze che ciò comporta), ma si occuperà soprattutto del1'altro aspetto della questione, sviluppare cioè la sua potenza intercontinentale «nelle regioni oceaniche e marittime». La malafede occidentale è cosi grande che ci si dice al tempo stesso che bisognava aspettarselo, e tuttavia che il presidente Reagan è particolarmente «sconfortato» da un simile atteggiamento dell'Unione sovietica. Ma allora perché l' Unione sovietica ha continuato a perfezionare i suoi missili, dopo che gli Stati Uniti avevano ritirato i loro? Com~ potrebbe l'Europa occidentale non sentirsi una preda disarmata dz fronte alt' Unione sovietica? G. DELEUZE E J.-P. BAMBERGER Nessuno crede che l'Unione sovietica voglia distruggere, né tanto meno conquistare l'Europa occidentale. È una regione senza materie prime importanti per il presente, con popolazioni profondamente ostili al regime sovietico. Non si capisce perché l'Unione sovietica dovrebbe ca-

ricarsi sulle spalle una dozzina di Polonie, o situazioni persino piu problematiche. Senza contare la presenza di _trecent~rnila sol: dati americani in Europa, ritrovandosi cosi faccia a faccia con gb Stati Uniti in una guerra intercontinentale. Bisogna essere il cancelliere Kohl per parlare, senza ridere, della necessità di evitare una nuova Monaco. Ogni paragone tra l'espansionismo nazista e l'imperialismo sovietico è scorretto. L'imperialismo russo-so• Sul progetto del 1979, si veda la nota di presentazione del testo [N d.C.].

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vietico non ha mai nascosto i suoi obiettivi: verso l'Est asiatico da una parte, verso i Balcani e verso l'Oceano Indiano dall'altra. L'avanzata sovietica alla fine della guerra non smentisce questa evidenza: aveva una portata essenzialmente strategica, che purtroppo non ha smesso di essere attuale e di rinnovarsi, a detrimento dei paesi dell'Europa orientale (bisogna comunque ricordare che la Jugoslavia e 1' Albania sono riuscite a sottrarvisi). Sicuramente l'Europa occidentale è ricca, e forma un grande gruppo di industrie di trasformazione. Al momento attuale è controllata molto strettamente dagli Stati Uniti (per esempio, in Germania occidentale ci sono piu di mille società americane). Dall'ultima guerra l'Unione sovietica ha conservato una paura viscerale della Germania, ma questa paura ha una forma confacente alle nuove condizioni: l'Unione sovietica teme che gli Stati Uniti un giorno concilino il loro isolazionismo e il loro imperialismo spingendo avanti l'Europa, e incaricando la Germania di una guerra preliminare limitata al continente. Era un'ipotesi che Schlesinger sviluppava ufficialmente già ai tempi di Nixon9 • Noi europei possiamo trovare assurda questa ipotesi. Ma per l'Unione sovietica non è piu assurda di quanto lo sia la nostra ipotesi di una guerra dei sovietici contro l'Europa. I missili sovietici non pretendono di essere mef!O di quanto l'arsenale francese sia «dissuasivo». E anche per questo che la riunificazione delle Germanie neutralizzate è cosf importante per il pacifismo, perché sarebbe un elemento che attenua le paure reciproche. È uno degli obiettivi del pacifismo, ma non è un obiettivo dell'Unione sovietica (si vedano, per esempio, le dichiarazioni di Proektor, «Libération», 3 novembre 1981)10 • Ci viene nascosto il fondo del dibattito. Il problema dell'Unione sovietica è l'influenza degli Stati Uniti sull'Europa occidentale. La sua influenza sull'Europa dell'Est è molto piu dura politicamente, ma molto meno efficace economicamente. La corsa agli armamenti, il superarmamento sono generatori di guerra. Ma hanno anche un significato completamente diverso. Per gli Stati Uniti è il marchio da cui discende che l'Europa occidentale gli appartiene, e non ha né avrà una vera e propria • SchJesinger era segretario della Difesa durante l' amministrazione Nixon [N d .C.]. •• Procktor è un esperto militare sovietico [N d .C.).

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economia autonoma. Da questo punto di vista /1 installazione dei

Pershing è una decisione molto importante per l'Europa occidentale, perché in questo modo decide di restare non soltanto sotto la protezione militare degli Stati Uniti, ma nella loro circoscritta orbita economica. E una scelta politica che, con il pretesto di non voler farsi