Teoria e struttura sociale. Vol. III. Sociologia della conoscenza e sociologia della scienza [Vol. 3] 9788815071422

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Teoria e struttura sociale. Vol. III. Sociologia della conoscenza e sociologia della scienza [Vol. 3]
 9788815071422

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Robert K. Merton

Teoria e struttura sociale III.

Sociologia della conoscenza e sociologia della scienza

Società editrice il Mulino

ISBN 88-15-07142-3 Copyright © 2000 by Società editrice il Mulino, Bologna. È vietata la ri­ produzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fo­ tocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata. Traduzione di Giolo Fele (Introduzione, capp. IV, X) e Anna Oppo (capp. I-III, V-IX).

Indice

Prem es sa Introduzione

p.

IX

793

LA SOCIOLOGIA DELLA CONOSCENZA E LE COMUNICAZIONI DI

XIV

xv

MASSA

807

La sociologia della conoscenza Il contesto sociale Paradigma per la sociologia della conoscenza La base esistenziale Tipi di conoscenza Relazioni della conoscenza con la base eststenziale Funzioni della conoscenza condizionata eststenzialmente Ulteriori problemi e studi recenti

837

Karl Mannheim e la sociologia della conoscenza Precedenti teorici La teoria dell'ideologia Teoremi sostanziali

83 8 845 847 856 87 1 883 885

893 895 899 902

Indice

VI

Tipi di conoscenza Connessioni fra conoscenza e società Relativismo XVI.

Studi sulla propaganda radiofonica e cinematografica Modi di analisi della propaganda Analisi del contenuto Analisi delle reazioni L'effetto boomerang

Propaganda tecnica o propaganda di fatti XVII.

La trasmissione orale della conoscenza Il concetto di pubblicazione orale La lezione come atto sociale La lezione universitaria come quasi-pubblicazione La lezione: veicolo di perfezionismo cognitivo Alcune funzioni del discorso orale

p. 906 908 916

927 929 933 939 942 952 961 961 969 983 988 998

STUDI DI SOCIOLOGIA DELLA SCIENZA

1023

XVIII. Scienza e ordine sociale Fonti di ostilità nei confronti della scienza Pressioni sociali sull'autonomia della scienza Funzioni delle norme della scienza pura La scienza esoterica come misticismo popolare Ostilità pubblica verso il dubbio sistematico Conclusioni

1 033

XIX.

1055

Scienza e struttura sociale democratica Scienza e società L'ethos della scienza

1 034 1039 1043 1049 1050 1053

1055 1059

Indice

VII

Universalismo «Comunismo» Disinteresse Dubbio sistematico XX.

La macchina, l'operaio e il tecnico Conseguenze sociali dei cambiamenti tecnolo­ gici Anatomia sociale del lavoro Effetti istituzionali e strutturali

Conseguenze per il tecnico Specializzazione L'etica professionale Status burocratico

La necessità di ricerche sociali Organizzazione delle équipes di ricerca Finanziamento della ricerca Gli indirizzi della ricerca

XXI.

XXII.

Puritanesimo, pietismo e scienza L'ethos puritano L'impulso puritano della scienza L'influenza puritana sull'educazione scientifica Integrazione di valori fra puritanesimo e serenza Integrazione di valori fra pietismo e scienza Appartenenza religiosa di coloro che fre­ quentavano le scuole scientifiche Scienza ed economia nell'Inghilterra del XVII secolo Formulazione del problema Trasporti e scienza Un esempio: il problema della longitudine

p. 1060 1065 1069 1072 1075 1076 1077 1079 1084 1 085 1085 1086 1088 1089 1 089 1092 1 095 1095 1111 1 1 13 1 1 17 1 1 19 1 123

1 13 1 1 13 1 1 137 1 143

Indice

VIII

Navigazione e scienza Il grado di influenza economica XXIII. L' «effetto S. Matteo» nella scienza, II. Vantaggio cumulativo e simbolismo della proprietà intellettuale L'effetto S. Matteo L'accumulazione del vantaggio e dello svantaggio per gli scienziati Accumulazione di svantaggi e vantaggi tra i giovani L'accumulazione del vantaggio e dello svantaggio nelle istituzioni scientifiche Processi compensativi Il simbolismo della proprietà intellettuale nella scienza Indice dell'opera

p. 1 153

1 160

1 165 1 167 1 172 1 180 1 187 1 189 1 192 XIII

Premessa

Teoria e struttura sociale è l'opera fondamentale di Ro­ bert K. Merton e una delle più significative della sociologia contemporanea. Essa testimonia pienamente della vastità, della profondità e della varietà di interessi del grande socio­ lago americano. Vi è racchiuso il nucleo - analisi funzionale e teorie di medio raggio - di una prospettiva che ha segnato l'abbandono della «grande teoria» come sistema concettuale onnicomprensivo e universale. Essa rappresenta dunque una decisiva svolta verso una sociologia più critica e pluralista, maggiormente attenta alle contraddizioni e alle incongruenze della realtà empirica, meno univoca, meno rigida e dogmati­ camente ambiziosa. Negli oltre cinquant'anni trascorsi dalla prima edizione del testo l'analisi sociologica ha conosciuto molti sviluppi, ma queste pagine di Merton restano un pun­ to di riferimento da cui è impossibile prescindere. La prima edizione di Social Theory and Social Structure è del 1 949. Mentre era in preparazione l'edizione italiana,

per i tipi del Mulino, nel 1957 uscì negli Stati Uniti una seconda edizione, notevolmente aumentata, di cui si poté tener conto nella messa a punto della prima edizione italia­ na, pubblicata nell'ottobre del 1959. Esauritasi questa prima edizione, ne usciva una seconda nel 1966, in una nuova traduzione che usufruiva di un più consolidato linguaggio sociologico italiano, ma ancora uguale nella struttura alla seconda edizione americana.

x

Premessa

La terza edizione, uscita negli Stati Uniti nel 1968, ul ­ teriormente ampliata, veniva esattamente ripresa nella terza edizione italiana del 197 1, in tre volumi, rimasta sostanzial­ mente invariata anche nelle successive riedizioni italiane (sino alla settima del 1983 ). Nel 1992 veniva proposta, con l'accordo dell'autore, una nuova edizione italiana che riuniva in volume unico le parti prima (Teoria sociologica) e seconda (Studi sulla strut­ tura sociale e culturale) dell'opera. Doppiato il capo del mezzo secolo dalla pubblicazione della prima edizione americana, Teoria e struttura sociale è ora ripresentato dal Mulino nella collana «Biblioteca» nella suddivisione in tre volumi adottata nell'edizione del 1971. Questo terzo volume, ora intitolato Sociologia della co­ noscenza e sociologia della scienza, accoglie due saggi ag­ giuntivi (La trasmissione orale della conoscenza e L'«effetto 5. Matteo» nella scienza. II) e una nuova introduzione dello stesso Merton.

L'opera viene così riproposta al lettore nella sua forma più ampia, articolata e completa, secondo i desideri dall'au­ tore.

Robert K. Merton

Sociologia della conoscenza e sociologia della scienza

Introduzione

La struttura di questo volume presenta due parti col­ legate tra loro, la prima dedicata alla sociologia della co­ noscenza e l'altra alla sociologia della scienza. In realtà questi due campi specialistici della ricerca sociologica si fondono uno nell'altro: il primo si occupa delle varie for­ me di conoscenza in generale e l'altro della conoscenza scientifica in particolare. Questa edizione si arricchisce di due contributi più recenti: uno sul concetto di «pubblica­ zione orale», in quanto distinto dal concetto di pubblica­ zione a stampa, e l'altro sul concetto di «effetto S. Mat­ teo» nelle elaborazioni sociali e cognitive della scienza («a chi ha, verrà dato»). Ulteriori precisazioni su questi due nuovi capitoli vengono fatte nelle note introduttive alle due parti del libro. I primi contributi di questo volume forniscono il con­ testo storico per valutare gli sviluppi successivi più impor­ tanti nei campi vicini e sovrapposti della sociologia della conoscenza e della sociologia della scienza. Come attesta il termine adottato internazionalmente, Wissenssoziologie, la sociologia della conoscenza, con le sue radici storiche nel pensiero di Marx ed Engels, ha avuto origine soprat­ tutto in Germania, essenzialmente attraverso gli scritti di Wilhelm Jerusalem, Max Scheler e Karl Mannheiml, e poi I

Per una eccellente raccolta dei primi e dei successivi contributi

794

Introduzione

in Francia, essenzialmente attraverso i lavori innovativi di Emile Durkheim e dei suoi colleghi, quali Lucien Lévy­ Bruhl, Maurice Halbwachs, Marcel Mauss e Marcel Gra­ net. La sociologia della conoscenza si è diffusa poi in altre sociologie nazionali, raggiungendo le sponde americane attorno agli anni '30, in particolare subito dopo la lucida e conseguenziale traduzione inglese nel 1 93 6 del classico di Mannheim, Ideologia e utopia, del 1 929, da parte di Louis Wirth, affermato studioso dell'università di Chica­ go, e di Edward Shils, giovane collega. Gli importanti contributi di Max Scheler alla sociologia della conoscenza che si stava sviluppando sono rimasti sconosciuti negli Stati Uniti, probabilmente perché non sono stati ancora tradotti. Si dà il caso che io fossi tra i relativamente pochi sociologi americani allora al lavoro su questa branca di ri­ cerca: anche se i miei interessi a quel tempo erano orien­ tati soprattutto sui contesti sociali della conoscenza nella scienza e nella tecnologia, come si può vedere nei due saggi del 193 5 , Science and military technique e Fluctu­ ations in the rate o/ industria! invention, si allargavano an­ che alla sociologia della conoscenza intesa in senso ampio (come è attestato dallo scritto introduttivo The sociology o/ knowledge apparso nel numero di novembre 1937 di «lsis», la rivista internazionale di storia della scienza).

l. Sul concetto di paradigma analitico I due saggi con cui si apre il volume esplorano i primi fondamenti della sociologia della conoscenza. Dopo aver riletto quei lavori, risalenti ai primi anni '40, mi sembra che il loro interesse attuale risieda nel fatto che permettoal campo emergente e crescente della sociologia della conoscenza, si veda Die Streit um die Wissenssoziologie, a cura di V. Meja e N. Stehr, 2 voli., Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1982.

Introduzione

795

no un ulteriore accesso storico a un pezzo del passato del­ la nostra disciplina che si può recuperare. Per prima cosa, offrono un'anticipazione del termine universale paradigma, ora polisemico e molto conosciuto: si può notare che le problematiche e i concetti chiave del nuovo campo emer­ gente sono esposti nella forma di quello che è stato de­ scritto già nel 1945 come un analitico «paradigma per la sociologia della conoscenza» (cfr. cap. XIV, par. 2) ; la stessa forma è stata poi adottata nel 1949 in Teoria e struttura sociale per il «paradigma per l'analisi funzionale in sociologia». Dopo mezzo secolo, l'introduzione di que­ sto concetto pre-kuhniano di «paradigma» inevitabilmente solleva due domande: quali sono le caratteristiche peculia­ ri del concetto di paradigma introdotto negli anni '40, ri­ spetto al concetto molto più conseguente di paradigma in­ trodotto da Thomas S. Kuhn nel 1962?2 Fino a che punto il vecchio paradigma della sociologia della conoscenza identifica le problematiche e gli orientamenti teorici che sono diventati da allora centrali per l'emergere della so­ ciologia della conoscenza scientifica? Queste domande ri­ chiedono una breve riflessione. Il termine paradigma deriva, chiaramente, dal pensiero greco antico. Come ci ricorda Jaeger nel suo classico stu­ dio Paideia, Platone osserva nella Repubblica che «gli uo­ mini [ . . . ] , i quali non hanno nell'anima alcun paradigma chiaro, non differiscono quasi dai ciechi, poiché non han-

2 Come è noto, il locus classicus del concetto kuhniano di paradig­ ma si trova in T.S. Kuhn, The Structure o/ Scientz/ic Revolutions, Chica­ go, University of Chicago Press, 1 962 (trad. it. La struttura delle rivolu­ zioni scientifiche, Torino, Einaudi, 1992 13 ) . Per un'analisi dettagliata del concetto di Kuhn, si veda M. Masterman, The nature o/ a para­ digm, in Criticism and the Growth o/ Knowledge, Cambridge, Cam­ bridge University Press, 1 970, pp. 59-89 (trad. it. La natura di un para­ digma, in Critica e crescita della conoscenza, a cura di I. Lakatos e A. Musgrave, Milano, Feltrinelli, 1986).

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Introduzione

no alcun punto di riferimento a cui affissarsi nel pensare, e con cui orientarsi in ogni azione»3 . Inoltre, dice Jaeger, «i due concetti di paradigma e di mimesi, di modello e di imitazione, costituiscono una coppia indissolubile di for­ mazione antichissima»4 • In ogni modo, quando adotto il termine paradigma, non mi baso sulla tradizione platoni­ ca, ma lo utilizzo come un preciso strumento concettuale e metodologico. Poiché il carattere e le funzioni del para­ digma sociologico così concepito sono stati illustrati nella prima e nelle successive edizioni di Teoria e struttura so­ ciale5, adesso richiedono solo una breve riformulazione. I paradigmi sociologici illustrati allora erano visti come inquadramenti per codificare le varie tradizioni teo­ riche. Codificare una particolare tradizione teorica di grande o piccola portata vuoi dire formulare in modo or­ dinato e compatto le problematiche e i concetti che per essa sono importanti. Il processo di sviluppo di un para­ digma comporta l'identificazione e l'organizzazione con­ cettuale di un lavoro scientifico o erudito passato e pre­ sente, che così diventa uno strumento per lo sviluppo ul­ teriore di una tradizione di pensiero. Io uso il concetto di p aradigma come codifica di una «tradizione teorica», un insieme coerente di problemi e di concetti definiti, piutto-

3 W. Jaeger, Paideia: The Ideals of Greek Culture, 3 voli., Oxford, Blackwell, 1939-44 (trad. it. Paideia: la formazione dell'uomo greco, Fi­ renze, La Nuova Italia, 19632, vol. II, p. 498, nota 5 1 ) . 4 Ibid. , vol. II, p . 447. 5 R.K. Merton, Social Theory and Social Structure, New York, Free Press, 1 949 (si veda Teoria e struttura sociale, vol. I, Bologna, Il Muli­ no, 2000, pp. 1 14-1 19). Per ulteriori osservazioni su questo tipo di pa­ radigma analitico, si vedano: R. Boudon, La crise de la sociologie: ques­ tions d'épistémologie sociologique, Genève, Droz Librairie, 197 1, pp. 25-27 e 166-178; Y. Elkana, Antropologie der Erktennis, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1986 (trad. it. Antropologia della conoscenza, Roma­ Bari, Laterza, 1 989); P. Sztompka, Robert K. Merton: An Intellectual Pro/ile, New York, St. Martin's Press, 1986, pp. 1 13 - 1 15 e passim.

Introduzione

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sto che come una «teoria», perché il paradigma è uno strumento di analisi pensato per avanzare verso una teoria nell'accezione stretta del concetto6 . Come ho già notato quando ho introdotto quest'idea, i paradigmi analitici hanno almeno cinque funzioni collegate: (l) una funzione notazionale in quanto rendono espliciti e sottolineano assunti, problemi e concetti utilizzati dalle va­ rie tradizioni teoriche, che altrimenti rimangono sottaciuti; (2) in questo modo, riducono la pratica - idealmente fino al punto di sparire del tutto - di introdurre ipotesi ad hoc (vale a dire, non legate alla logica) , pensate per «salvare i fenomeni»; (3) favoriscono l'accumulazione selettiva della conoscenza, in quanto sono orientati verso una teoria ipo­ tetico-deduttiva, mentre allo stesso tempo permettono fasi precedenti di teorizzazione meno rigorosa; (4) identificano connessioni sistematiche tra concetti salienti, favorendo in questo modo la ricerca dei problemi, oltre che la soluzione degli stessi; (5) attraverso una codifica esplicita, favoriscono affermazioni teoriche ed empiriche riproducibili. Come ab­ biamo notato, comunque, i paradigmi possono diventare disfunzionali se considerati come formulazioni finali invece che come schemi provvisori e in divenire della comprensio­ ne sociologica. 2. Il paradigma della sociologia della conoscenza La seconda domanda sul «paradigma della sociologia della conoscenza» richiede di affrontare brevemente il 6 Per una spiegazione degli stretti requisiti di una teoria, distinta da orientamenti generali, analisi concettuale, interpretazioni ex post piuttosto che predizioni ex ante, e generalizzazioni empiriche, si veda­ no i capitoli IV e V in R.K. Merton, Teoria e struttura sociale, vol. I, cit. (L'influenza della teoria sociologica sulla ricerca empirica e L'influen­ za della ricerca sulla teoria sociologica).

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Introduzione

problema se il paradigma in questione esplicitamente identifica, tacitamente prefigura o invece manca di consi­ derare completamente i problemi centrali e gli orienta­ menti teorici che si trovano nelle formulazioni più recenti. Ebbene, sorprendentemente, quel paradigma risalente alla metà degli anni '40 coglie molti più problemi e orienta­ menti recenti del campo di quanti avrei potuto immagina­ re. Innanzitutto, identificando i contesti «esistenziali» di conoscenza, il paradigma si muove molto oltre la semplice nozione marxista dei contesti di «classe», in quanto com­ prende un ampio spettro di contesti sociostrutturali, quali «la posizione sociale, le generazioni, il ruolo occupaziona­ le, le strutture di gruppo (università, burocrazia, accade­ mie, sette, partiti politici) , " situazioni storiche" , interessi, appartenenze etniche, mobilità sociale, strutture di potere, processi sociali (competizione, conflitto, ecc. )». Riconoscere che la struttura sociale non può essere semplicemente ridotta alla struttura di classe trova espres­ sione teorica nel concetto di «complesso di status» («il complesso di status o posizioni sociali occupate da ogni individuo nella società, spesso in diverse sfere istituziona­ li, come, per esempio, gli status distinti di insegnante, mo­ glie, madre, cattolica, repubblicana, e così via [ . ]. I com­ plessi di status forniscono la forma basilare di interdipen­ denza tra le istituzioni e i sottosistemi socialh>F. Questo orientamento teorico a sua volta implica direttamente che contesti strutturali rilevanti di conoscenza non siano con­ finati ai contesti di classe, come è stato spesso ritenuto nelle fasi iniziali della sociologia della conoscenza, ma, in linea di principio, comprendano altri status oltre all' ap­ partenza di classe. . .

7 Sul concetto di complesso di status, si veda R.K. Merton, Teoria e struttura sociale, vol. II, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 683-684 e 702707 .

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Si può trovare un'eco di questo inventario concettuale del paradigma della sociologia della conoscenza risalente alla metà degli anni '40 nei più recenti modelli emergenti di contesti sociali di conoscenza, come le «generazioni» e !'«appartenenza etnica». D'altra parte, noto che allora non facevo riferimento a modelli basati sul «sesso» o sul «ge­ nere». Il paradigma identifica anche una complessa proble­ matica nell'ambito della conoscenza (che affrontiamo qui solo di sfuggita) . Si può notare che questo campo emer­ gente si occupa in linea di principio non solo di quelle «produzioni mentali» quali possono essere le ideologie e le credenze religiose, ma anche della «scienza positiva» e della «tecnologia»: in breve, della sociologia della cono­ scenza scientifica e tecnologica. In ogni modo, non c'è bi­ sogno che questa ricerca assuma un atteggiamento di rela­ tivismo radicale o di soggettivismo, come è avvenuto per ciò che una generazione dopo sarebbe diventato famoso come «costruttivismo». La discussione del paradigma met­ te esplicitamente l'accento su «una posizione estremamen­ te relativista per la quale la verità è funzione di una base sociale o culturale, che riposa solamente sul consenso so­ ciale [quello che Imre Lakatos avrebbe definito poi "teo­ ria di psicologia della folla" della conoscenza scientifica] ; di conseguenza, le pretese di validità di una teoria della verità accettata culturalmente sono uguali a tutte le altre» [ciò che sarebbe emerso successivamente nella teoria del «tutto va bene» avanzata da Paul Feyerabend] B. Il para-

8 I. Lakatos, The Methodology o/ Scienti/ic Research Programmes, Cambridge, Cambridge University Press, 1978, p. 91; P. Feyerabend, Against Reason, London, NLB, 1975 ; per un'analisi penetrante della concezione della scienza in Lakatos, Popper, Feyerabend e Merton si veda R. Boudon, L'art de se persuader, Paris, Librairie Arthème Fa­ yard, 1990 (trad. it. L'arte di persuadere se stessi, Milano, Rusconi, 1993 , cap. VIII).

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digma continua ad identificare i vari modi in cui certi tipi di conoscenza possono essere in relazione con i loro con­ testi socioculturali, oltre che «le ascritte funzioni manife­ ste e latenti» di questi tipi di conoscenza9 . Ulteriori rimandi dettagliati al paradigma analitico sa­ rebbero ridondanti, anche se il lettore potrà trovare ele­ menti di interesse nel collegare o nel contrapporre altre componenti del paradigma in questione con il lavoro teo­ rico ed empirico svolto dalla sociologia della conoscenza scientifica nel mezzo secolo della sua storia. In seguito, per ragioni che mi rimangono oscure, la sociologia della conoscenza in generale è caduta nel dimenticatoio in con­ fronto alla grande crescita della sociologia della scienza che, come la seconda parte di questo libro testimonia, ne­ gli anni '3 0 e '40 era giusto agli inizi.

3 . Studi di sociologia della scienza Come ho notato altrove 10 , i pochissimi sociologi allora attivi nel campo nascente della sociologia della scienza si sono concentrati per prima cosa soprattutto sul problema dei collegamenti tra lo sviluppo della scienza e la società e l'economia circostanti. (Il capitolo XXII di questo libro sui legami tra la scienza e l'economia nell'Inghilterra del XVII secolo fornisce un esempio di questo modo di pro­ cedere". ) Ci furono anche tentativi di cercare collegamen9 Questo paradigma del 1945, credo, contiene la prima citazione a stampa del concetto di «funzioni latenti e funzioni manifeste». Questo concetto è stato sviluppato per qualche anno in «pubblicazioni orali» prima di venire stampato nel 1 949 (si veda il capitolo III di Teoria e struttura sociale, vol. I, cit.) . Sul concetto di «trasmissione orale della conoscenza», si veda il capitolo XVII di questo volume. l O Si veda R.K. Merton, The Sociology o/ Science: An Episodic Mem­ oir, Carbondale, Southern Illinois University Press, 1979, pp. 6-24. I l Per un'ulteriore analisi di questo modo di procedere, si veda

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ti tra lo sviluppo della scienza e altri contesti istituzionali e culturali quali la religione, come viene esemplificato nel capitolo XXI, in cui si avanza l'ipotesi che il puritanesimo inglese del XVII secolo abbia contribuito in modo non intenzionale al sorgere della scienza moderna1 2 • Questa ipotesi può avere un interesse sociologico generale in quanto fornisce un esempio di come un 'ipotesi controin­ tuitiva sia spesso considerata manifestamente assurda. Quando l'ipotesi venne esposta per la prima volta nella metà degli anni '30, molti studiosi, cresciuti su lavori posi­ tivisti come quelli di John W. Draper, History o/ the Con­ /lict Between Religion and Science, e di A.D. White, His­ tory o/ the War/are o/ Science with Theology, consideraro­ no evidente - e la cosa è poi perdurata a lungo 13 - che la relazione esclusiva tra religione e scienza è destinata ad essere quella del conflitto, prendendo come sole testimo­ nianze le esperienze di Galileo, Bruno e Serveto. Mentre ero impegnato in quello studio della «scienza, della tecnologia e della società», sono arrivato alla conclu­ sione che, come era avvenuto molto prima per la religio­ ne, anche la scienza si era evoluta in una propria istituzio­ ne sociale. L'incapacità degli osservatori e degli studiosi H. Zuckerman, The other Merton thesis, in «Science in Context», 1989, 3, pp. 239-267. 1 2 Questa ipotesi è stata sviluppata in modo più esteso in una mo­ nografia pubblicata inizialmente nel 1938 e tradotta nel 1975 con il ti­ tolo Scienza, tecnologia e società nell'Inghilterra del XVII secolo, Mila­ no, Angeli; per un'ampia analisi di questa monografia, si veda Puritani­ sm and the Rise o/ Modern Science: The Merton Thesis, a cura di I. Bernard Cohen, New Brunswick, Rutgers University Press, 1990. 13 Ancora nel 1968 RH. Popkin poteva cominciare un articolo fa­ cendo notare che «è diventato ora parte della nostra Weltanschauung dire che la religione ha ostacolato la nascita della scienza moderna», per poi continuare mostrando che non era vero; si veda RH. Popkin, Sceptz� cism, theology and the scienti/ic revolution in the seventeenth century, in Problems in the Philosophy o/ Science, a cura di I. Lakatos e A. Musgra­ ve, Amsterdam, North-Holland Publishing Company, 1968, p. l.

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Introduzione

stessi di riconoscere questo fatto sociale significa che la nostra comprensione delle interazioni sociali e culturali tra la scienza e la società erano strettamente limitate dal­ l' assenza di un inquadramento concettuale che permettes­ se di riflettere sulla struttura normativa e organizzativa della scienza come un'istituzione sociale quasi-autonoma. Se volevamo comprendere la natura e l' ampiezza delle re­ ciproche influenze tra la scienza, la tecnologia e la società, e come queste avvengono, era necessario trovare un modo metodico di pensare la mutevole struttura normativa e or­ ganizzativa della scienza stessa. Qual è stato il suo ethos istituzionalizzato e la sua struttura normativa nei diversi contesti storici (come viene detto nei capitoli XVIII e XIX di questo volume), quale era la sua peculiare orga­ nizzazione sociale, quali le relazioni sociocognitive tra gli scienziati (esemplificate nel capitolo XXIII sull' «effetto S . Matteo» come processo sociale nel sistema di ricompense della scienza) ? Non importa come la società circostante e la cultura influenzino lo sviluppo della scienza (oltre ad influenzare la scelta dei problemi da parte degli scienzia­ ti) , e non importa come la conoscenza scientifica influenzi la società e la cultura, queste reciproche influenze sono mediate dalla mutevole struttura istituzionale e dai pro­ cessi sociocognitivi della scienza stessa. È questa peculiare struttura istituzionale che permette agli scienziati di diventare e di rimanere cognitivamente isolati in vario modo dalla cultura e dalla società circo­ stanti. Questo contesto istituzionale fornisce agli scienziati una certa autonomia relativa nella selezione dei problemi di ricerca oltre che la quasi totale autonomia nella valuta­ zione delle affermazioni della conoscenza scientifica. È in questa direzione che ho continuato a lavorare durante gli anni '40, e in modo intermittente nella decade successiva, sulla struttura normativa della scienza, indirizzando i miei studi verso i processi che un'organizzazione sociale di questo tipo comporta. Tutto questo mi ha portato a fare

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ricerche su problemi quali i modi socialmente organizzati di competizione tra gli scienziati, così come vengono rin­ forzati dal modo di funzionare del sistema di ricompense della scienza in relazione alla validità e al significato, per i colleghi scienziati, delle rivendicazioni di nuovi contributi scientifici 14 • I capitoli XVII e XXIII sono stati pubblicati originariamen­ te in altre sedi: On the Oral Transmission o/ Knowledge, in R.K. Merton e M. Whithe Riley (a cura di) , Soàological Tradition /rom Genera­ tion to Generation, Norwood, N .J., Ablex Pub. , pp. 1-35. The Matthew E//ect in Science, II. Cumulative Advantage and the Symbolism o/ Intellectual Property, testo presentato il 28 novembre 1986 presso l'Università di Gent, poi ripreso in «Isis», 79, 1988, pp. 609-623 . 1 4 Questi primi lavori sull'operare della scienza come Istituzione sociocognitiva si sono chiaramente ampliati e arricchiti nei decenni successivi. Tali sviluppi ci portano molto oltre i limiti del presente vo­ lume. Ma ciò non mi impedisce di elencare alcuni studi dettagliati e critici di questi sviluppi della sociologia della scienza in generale, e del­ la sociologia della conoscenza scientifica in particolare: B. Barber, So­ eia! Studies o/ Science, New Brunswick, Transaction, 1990; ]. Ben·Da­ vid, Scientz/ic Growth: Essays on the Social Organization and Ethos o/ Science, a cura di G. Freudenthal, Berkeley, University of California Press, 199 1 ; M. Bunge, A critica! examination o/ the new sociology o/ science, in «Philosophy of the Social Sciences», parte I, dicembre 1991, 21, pp. 524-560; parte II, marzo 1 992, 22, pp. 46-76; Mapping the Dy­ namics o/ Science and Technology, a cura di M. Callon, ]. Law e A. Rip, London, Macmillan, 1986; S. Cole, Making Science: Between Na­ ture and Society, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1992; Science Observed, a cura di K. Knorr-Cetina e M.J. Mulkay, London, Sage, 1 983 ; M.J. Mulkay, Science and the Sociology o/ Knowledge, Lon­ don, Allen & Unwin, 1 979 (trad. it. La scienza e la sociologia della scienza, Milano, Edizioni di Comunità, 198 1 ); M.J. Mulkay, Sociology of Science: A Sociological Pilgrimage, Bloomington, Indiana University Press, 199 1 ; R. Twenhi.ifel, Wissenschaftliches Handeln: Aspekte und Bestimmungsgriinde der Forschung, Berlin, Walter de Gruyter, 1 991; H. Zuckerman, The sociology o/ science, in Handbook o/ Sociology, a cura di N.J. Smelser, Newbury Park, Calif. , Sage, 1 988, pp. 5 1 1 -574.

LA SOCIOLOGIA DELLA CONOSCENZA E LE COMUNICAZIONI DI MASSA

La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa

La prima parte di questo volume si compone di quat­ tro capitoli, due dei quali sono un esame critico di alcuni problemi generali e particolari della sociologia della cono­ scenza, il terzo, scritto in collaborazione con P.F. Lazars­ feld, riassume una serie di studi sulla sociologia dell'opi­ nione e delle comunicazioni di massa (del quarto, dedica­ to alla «pubblicazione orale», parlerò più avanti) . L'accostamento dei due campi sopra citati non è ca­ suale. Infatti, sebbene essi si siano sviluppati in gran parte in modo indipendente, è compito di questa introduzione mostrare come l'effettivo progresso di ciascuno di essi verrebbe favorito dal consolidamento di alcune concezioni teoriche, dei metodi di ricerca e dei risultati empirici di entrambi. Per vedere le sostanziali similarità che esistono fra le due parti, il lettore deve solo confrontare il riassun­ to generale della sociologia della conoscenza del primo capitolo di questo volume con il riassunto generale delle ricerche sulle comunicazioni di massa fornito da Lazars­ feld nel volume Current Trends in Social Psychology, edito a cura di Wayne Dennis. In realtà i due campi possono essere considerati spe­ cie particolari del genere di ricerca che si occupa dell'in­ terazione esistente fra struttura sociale e comunicazioni. L'uno sorse e fu assiduamente coltivato soprattutto in Eu­ ropa e l'altro, fino ad ora, è stato molto più comune in

808 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa America. Perciò, se non si prende la definizione alla lette­ ra, la sociologia della conoscenza può essere chiamata la «specie europea», e la sociologia delle comunicazioni di massa, la «specie americana». (Che queste definizioni non possano essere strettamente applicate è evidente: dopotut­ to, Charles Beard fu per lungo tempo un esponente della corrente americana della sociologia della conoscenza, così come Paul Lazarsfeld, per esempio, condusse alcune delle sue prime ricerche sulle comunicazioni di massa a Vien­ na.) Sebbene ambedue le correnti sociologiche si concen­ trino sul problema dell 'interazione fra idee e struttura so­ ciale, ciascuna ha un suo distinto centro di attenzione. In questi campi troviamo esempi interessanti delle due tendenze contrastanti esistenti nella teoria sociologica da noi già analizzate nei capitoli I e IV di Teoria e struttura sociale, vol. I. La sociologia della conoscenza appartiene quasi esclusivamente al campo della teoria globale, in cui l'ampiezza e l'importanza del problema giustificano una totale dedizione ad essa, talvolta senza badare alle possibi­ lità attuali di progredire effettivamente oltre le ingegnose speculazioni e le conclusioni non confortate da alcuna evi­ denza sistematica. Nell'insieme, i sociologi della conoscen­ za sono stati fra coloro che hanno fatto onore al motto: «Noi non sappiamo se quel che diciamo è vero, ma sap­ piamo che almeno è importante». I sociologi e gli psicologi impegnati nello studio della opinione e delle comunicazioni di massa si trovano molto spesso in campo opposto, fra gli empiristi il cui motto al­ quanto differente può essere: «Noi non sappiamo se quel che diciamo è particolarmente importante, ma sappiamo che almeno è vero». Qui l'accento è posto sulla raccolta dei dati che si riferiscono al soggetto generale, dati che hanno più di un diritto ad essere considerati probanti, sebbene non siano al di là di ogni discussione. Ma, fino ad anni recenti, non vi è stato alcun tentativo di analizza­ re questi dati alla luce dell'influenza che possono avere

La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa 809 sui problemi teorici, e la raccolta di informazioni pratiche è stata erroneamente considerata come una raccolta di os­ servazioni scientificamente pertinenti. Il paragone fra queste varianti europea e americana dello studio delle comunicazioni è interessante sotto di­ versi punti di vista. Si ha la netta impressione che le due diverse impostazioni siano legate alle strutture sociali in cui esse si sono sviluppate; in questa sede, tuttavia, non andremo oltre certi suggerimenti che, in via preliminare, possono mettere in luce alcune delle possibili connessioni esistenti fra struttura e teoria sociale. Il confronto ha an­ che lo scopo di promuovere l'unificazione di queste due aree dell 'indagine sociologica al fine di raggiungere quella felice combinazione che mantenga le virtù scientifiche di entrambe eliminandone i vizi superflui.

l. Confronto fra la Wissenssoziologie e la ricerca sulle co­ mun icazioni di massa

I diversi orientamenti di questi due campi di indagine, che pure sono coordinati, complementari e in parte si so­ vrappongono, si esprimono in numerosi aspetti: nel loro soggetto di studio e nella definizione dei problemi, nella concezione di ciò che costituisce il dato empirico, nella utilizzazione delle tecniche di ricerca e nell'organizzazione sociale delle rispettive attività di ricerca. Il soggetto di studio e la definizione dei problemi

La corrente europea si dedica allo studio delle radici sociali della conoscenza nel tentativo di scoprire in che modo la conoscenza e il pensiero sono influenzati dalla struttura sociale in cui si sviluppano; il punto focale è quindi il ruolo che ha la società nel foggiare le prospettive

8 1 0 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa intellettuali. In questa disciplina, come verrà detto nei ca­ pitoli seguenti, la conoscenza e il pensiero sono definiti così ampiamente da includere quasi tutte le idee e le opi­ nioni; tuttavia, il suo contenuto fondamentale è un inte­ resse sociologico per i contesti sociali di quel tipo di co­ noscenza che viene più o meno confermata da una dimo­ strazione sistematica. In altre parole, la sociologia della conoscenza è principalmente interessata ai risultati intel­ lettuali degli esperti, che si tratti di risultati nel campo delle scienze, della filosofia, del pensiero economico e po­ litico. Per quanto anche la corrente americana si interessi dello stato attuale della conoscenza (o livello di informa­ zione, come caratteristicamente e significativamente viene chiamata), essa ha il suo fulcro nello studio sociologico delle credenze e delle opinioni popolari; l'accento viene posto più che sulla conoscenza, sulle opinioni. Queste, na­ turalmente, non sono distinzioni nettissime; pur non es­ sendo arbitraria, la linea divisoria non ha la precisione, ad esempio, di un confine tra nazioni. L'opinione sfuma nella conoscenza, che è, in realtà, quella parte dell'opinione so­ cialmente confermata da p articolari criteri dimostrativi. E proprio come l'opinione può diventare ad un certo punto conoscenza, così la conoscenza dimostrata può degenerare in una semplice opinione. Ma, se si eccettuano i confini, la distinzione rimane valida e si esprime nelle diverse ten­ denze delle correnti americana ed europea della sociologia delle comunicazioni. Se la corrente americana è interessata in primo luogo all'opinione pubblica, alle credenze di massa, a quella che è stata chiamata la «cultura popolare», la corrente europea si dedica a dottrine più esoteriche, a quei complessi sistemi di conoscenza che assumono nuova forma e spesso si alte­ rano quando passano a far parte della cultura popolare. Queste differenze di interesse ne implicano altre: la corrente europea, occupandosi della conoscenza, studia

La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa 8 1 1

l'élite intellettuale; la corrente americana, occupandosi

delle opinioni comuni, studia le masse. L'una si basa sulle dottrine esoteriche di pochi, l'altra sulle opinioni generali di molti. Inoltre, la stessa divergenza iniziale avrà un'in­ fluenza immediata - e questo lo vedremo più avanti - su ogni fase della ricerca per quel che riguarda le tecniche da impiegarsi; è chiaro, ad esempio, che la struttura di un'intervista destinata a raccogliere informazioni da uno scienziato o da un uomo di lettere sarà sensibilmente di­ versa da quella destinata a raccogliere le opinioni di un vasto campione della popolazione nel suo complesso. Gli orientamenti delle due correnti mostrano ulteriori distinzioni che si riferiscono a particolari più sottili. La corrente europea si riferisce, sul piano gnoseologico, alla conoscenza; quella americana, sempre sullo stesso piano, alla informazione. La conoscenza implica un corpo di fatti e di idee, mentre l'informazione non ha un tale presuppo­ sto di idee e di fatti sistematicamente connessi; la corrente americana studia i /rammenti isolati di informazione acces­ sibili alle masse, quella europea pensa tipicamente ad una struttura totale della conoscenza accessibile a pochi; men­ tre da un lato si studiano aggregati di modesti frammenti di informazione, dall'altro si studiano sistemi di dottrina. Per gli europei è essenziale analizzare il sistema di princi­ pi in tutta la sua complessità, tenendo presente l'unità concettuale, i livelli di astrazione e concretezza e la cate­ gorizzazione (per esempio, morfologica o analitica) . Per gli americani è invece essenziale investigare, servendosi ad esempio delle tecniche dell'analisi fattoriale, i gruppi di idee (o atteggiamenti) che si manifestano concretamente. Gli uni danno risalto alle relazioni che sussistono logica­ mente, gli altri a quelle che sussistono empiricamente. Gli europei sono interessati alle denominazioni politiche solo in quanto permettono di identificare sistemi di idee politi­ che che poi essi analizzeranno in tutte le loro sottigliezze e complessità, cercando di mostrare il loro (presunto) rap-

8 1 2 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa porto con l'uno o con l'altro strato sociale; gli americani sono interessati alle opinioni politiche correnti nella misu" ra in cui esse permettono all'investigatore di classificare la popolazione sotto alcune categorie o denominazioni poli" tiche generali per poi dimostrare, non presumere, che esse hanno una maggior diffusione nell'uno o nell'altro strato sociale. Mentre gli europei analizzano l'ideologia dei mo" vimenti politici, gli americani investigano le opinioni dei votanti e dei non votanti. Queste diversità di interesse potrebbero essere ulte­ riormente illustrate, ma forse si è già detto abbastanza per indicare che, a parte l'argomento generale comune, la so­ ciologia europea della conoscenza e la sociologia america­ na delle comunicazioni di massa scelgono problemi distinti per distinte interpretazioni. E gradualmente emerge l'inde­ finita impressione che può riassumersi, certo molto sem­ plicemente e approssimativamente, nel modo seguente: gli americani sanno di che cosa stanno parlando, ma ciò di cui parlano è poca cosa; gli europei non sanno di che cosa stanno parlando, ma il loro discorso è molto lungo.

Punti di vista sui dati

e

sui fatti

Le correnti europea e americana hanno una concezione molto diversa di ciò che costituisce il dato empirico grezzo, di ciò che è necessario per mutare il dato grezzo in un fatto accertato e dell'importanza che questi fatti diversamente accertati hanno nello sviluppo della scienza sociologica. In generale, i sociologi europei sono ospitali e persino cordiali nell'accogliere i candidati allo status di dato empi­ rico. Un'impressione derivata da pochi documenti, special­ mente se questi documenti si riferiscono ad un luogo o ad un tempo sufficientemente remoto, supererà l'esame e di­ venterà un «fatto» riguardante ampie correnti di pensiero e dottrine generalmente accettate. E ancora, se il livello in-

La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa 813 tellettuale di un autore è abbastanza elevato e l'ambito delle sue realizzazioni sufficientemente ampio, le sue im­ pressioni, e qualche volta anche le sue casuali osservazioni su opinioni prevalenti, saranno tipicamente considerate come resoconti di fatti sociologici. Oppure, una generaliz­ zazione formulata in modo abbastanza positivo e abba­ stanza generale sarà presa come un dato empirico. Se volessimo qualche esempio non vi è che l'imbaraz­ zo della scelta. Un Mannheim riassumerà lo stato mentale delle «classi inferiori del periodo post-medievale» dicendo che «soltanto gradualmente esse arrivarono ad una consa­ pevolezza del loro peso politico e sociale». Oppure, egli può considerare non solo significativo ma vero che «tutti i gruppi progressisti ritengono che l'idea preceda l'azione», benché sia evidente che si tratta di una questione di osser­ vazione piuttosto che di definizione. O, ancora, egli può esporre un'ipotesi istruttiva come questa, ipotesi composta da parecchie assunzioni di fatto: quanto più attivamente un partito in ascesa collabora in una coali­ zione parlamentare e quanto maggiormente rinuncia ai suoi prin­ cipali impulsi utopistici e con ciò alle sue prospettive più ampie, tanto più è probabile che il suo potere di trasformare la società venga assorbito da un interesse per i particolari concreti e isolati di questa trasformazione. Similmente a quanto può osservarsi in campo politico, vi è un mutamento parallelo nella visione scienti­ fica che si conforma alle esigenze politiche: ciò che una volta era un puro schema formale e un'astratta visione generale tende a dis­ solversi nell'investigazione di problemi limitati e specifici. Una formulazione del genere, suggestiva e quasi apo­ dittica e, se vera, tanto illuminante per tutto ciò che l'in­ tellettuale ha sperimentato e forse casualmente notato nel corso della sua vita nella società politica, può indurre qualcuno a considerarla un fatto piuttosto che un'ipotesi. Inoltre, come avviene spesso nelle formulazioni della cor­ rente europea, l'affermazione sembra includere tanti ele-

814 La soàologia della conoscenza e le comunicazioni di massa menti derivati dall'esperienza concreta, che il lettore rara­ mente giunge a rendersi conto di quale lavoro di ricerca empirica sia necessario affinché tutto questo possa venir considerato qualche cosa di più che un'ipotesi interessan­ te. In poche parole, essa guadagna rapidamente il grado immeritato di fatto generalizzato. Si noterà che osservazioni come queste, tratte dalla so­ ciologia della conoscenza, si riferiscono tipicamente al pas­ sato e umilmente riassumono il comportamento tipico o modale di un gran numero di persone (interi strati sociali o gruppi) . In senso strettamente empirico, i dati che giustifi­ cano queste affermazioni così generali non sono stati natu­ ralmente raccolti sistematicamente, per la buona e suffi­ ciente ragione che non si trovano da nessuna parte. Le opi­ nioni di migliaia di uomini che hanno vissuto in un passato molto lontano possono soltanto intuirsi o venir ricostruite con l'immaginazione; esse si perdono nella storia e non possono venir conosciute a meno che non si adotti la como­ da finzione che le impressioni della massa o le opinioni col­ lettive riportate da pochi osservatori di quei tempi possano essere considerate, oggi, come un fatto sociale dimostrato. In contrasto con tutto questo, la corrente americana dà un'importanza primaria a che i fatti del caso in esame ven­ gano stabiliti mediante un procedimento empirico. Prima di cercare di determinare perché certe scuole di pensiero si dedichino più di altre all'«investigazione di problemi limi­ tati e specifici», bisogna vedere se questo risponde a verità. Naturalmente, questa impostazione, come quella europea, ha i difetti delle sue qualità. Molto spesso, la grande preoc­ cupazione di dimostrare ogni affermazione in modo empi­ rico limita la capacità di inventare nuove ipotesi che renda­ no possibili implicazioni più ampie: il ricercatore non rie· sce a vedere oltre i limiti del suo compito immediato. La corrente europea, con le sue grandi ambizioni, quasi disdegna di dimostrare l'esistenza di quegli stessi fatti che si propone di spiegare. Sorvolando sul difficile e

La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa 8 15 spesso faticoso compito di determinare i fatti che sono oggetto di studio e andando direttamente alla spiegazione di questi fatti che sono solo presunti, è probabile che il sociologo della conoscenza riesca soltanto a mettere il car­ ro davanti ai buoi. E come ognuno sa, se pure un sistema del genere produce un qualche movimento, generalmente si tratta di un movimento a ritroso, probabile nel campo della conoscenza, certo nel campo dei trasporti. E ciò che è peggio, qualche volta i buoi scompaiono del tutto e il carro teorico rimane immobile fino a che non venga riat­ taccato a nuovi fatti. La salvezza in questo caso risiede nel fatto, verificatosi più di una volta nella storia della scien­ za, che una spiegazione risulti produttiva persino quando i fatti che doveva inizialmente spiegare si sono rivelati più tardi essere tutt'altra cosa. Ma non si può evidentemente contare su questi errori fortunati e fecondi. La corrente americana, con la sua visione ristretta, pone talmente l'accento sulla determinazione dei fatti che solo occasionalmente considera la loro rilevanza teorica, una volta che questi siano stabiliti. Qui il problema non è tanto che il carro e i buoi non sono sistemati a dovere, è piuttosto che troppo spesso non c'è affatto un carro teori­ co. I buoi possono muoversi nella direzione giusta ma dal momento che non tirano nessun carro, il loro viaggio è senza profitto, a meno che qualche europeo all'ultimo mo­ mento non arrivi ad attaccarvi il suo. Ma, come ben sap­ piamo, le teorie ex post facto sono giustamente sospette. Questi diversi orientamenti nei confronti dei dati e dei fatti sono in relazione anche con la scelta del soggetto di studio e con la definizione dei problemi da indagare. La corrente americana, con l'importanza che dà alla dimo­ strazione empirica, dedica poca attenzione alla storia, vi­ sto che l'attendibilità dei dati sull'opinione pubblica e sul­ le credenze di gruppo del passato è molto dubbia se giu­ dicata in base ai criteri che si applicano a dati comparabi­ li sulle opinioni di gruppo attuali. Ciò in parte può spie-

8 1 6 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa gare la tendenza degli americani a trattare problemi di breve respiro come le reazioni agli strumenti di propagan­ da, il confronto sperimentale dell'efficacia di diversi stru­ menti propagandistici e simili. Il trascurare la prospettiva storica non è dovuto alla mancanza di interesse o al man­ cato riconoscimento dell'importanza degli effetti a lunga scadenza, ma alla convinzione che il loro studio richieda dati che non si possono ottenere. Il gruppo europeo, invece, meno esigente nei confron­ ti dei dati e che accetta come tali descrizioni che sono poco più che impressioni, può dedicarsi a problemi di va­ sta portata quali il movimento delle ideologie politiche in rapporto ai mutamenti nei sistemi di stratificazione di classe (non semplicemente lo spostamento di individui da una classe all'altra all'interno del sistema). I dati storici degli europei si basano tipicamente sulle assunzioni che, per situazioni contemporanee, gli americani dimostrano empiricamente. Così un Max Weber (o qualcuno della numerosa tribù dei suoi epigoni) può scrivere sulle cre­ denze puritane ampiamente diffuse nel XVII secolo, assu­ mendo come fondamento delle sue conclusioni di fatto gli scritti di quei pochi letterati che descrissero le loro im­ pressioni e opinioni sulle opinioni e credenze degli altri, scritti che noi possiamo ora leggere. Ma questo, natural­ mente, lascia insoluto e insolubile l'interrogativo indipen­ dente dell'attendibilità di questi scritti, di quanto queste credenze esposte nei libri siano fedeli interpreti delle cre­ denze della più larga e, a quanto dice la storia, completa­ mente inarticolata popolazione (per non dir nulla dei dif­ ferenti strati all'interno della popolazione stessa) . Questo rapporto fra ciò che si trova nei libri e le credenze (o at­ teggiamenti) reali della popolazione, che è assunto come certo dalla corrente europea, diventa un problema da in­ dagare per quella americana. Quando si trova che i gior­ nali o le riviste o i libri esprimono un mutamento nel si­ stema dei valori e nella visione generale, e questo è consi-

La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa 8 17 derato provvisoriamente come un riflesso dei mutamenti di valori che avvengono in un dato aggregato di individui (classe, gruppo o regione), anche i meno empiristi dei so­ ciologi della corrente americana insistono che sarebbe im­ portante «scoprire, con metodi diretti, l'atteggiamento di tutta la popolazione. In questo caso la verifica potrebbe attenersi solo per mezzo di interviste con un campione rappresentativo del pubblico nei due periodi, per vedere se il mutamento dei valori indicato da questi nuovi inte­ ressi della rivista (o di altro mezzo di comunicazione di massa) è il riflesso di un reale mutamento di valori nella popolazione in generale» (Lazarsfeld) . Ma dato che non si è inventata ancora alcuna tecnica per intervistare un cam­ pione rappresentativo di popolazioni del remoto passato e verificare così l'attendibilità delle impressioni che si rica­ vano dagli sparsi documenti storici che rimangono, il so­ ciologo americano delle comunicazioni di massa tende a limitare il suo studio al presente. È possibile che, racco­ gliendo il materiale grezzo della pubblica opinione, delle credenze e delle conoscenze attuali, egli contribuisca a porre le fondamenta su cui potrà lavorare il sociologo del­ la conoscenza di domani che studierà empiricamente le tendenze delle opinioni, delle credenze e delle conoscenze di lunghi periodi di tempo in una prospettiva storica. Se l'europeo preferisce dedicarsi allo studio dei muta­ menti che avvengono nel corso dello sviluppo storico, ba­ sandosi sui documenti del passato e perciò servendosi di dati sulle credenze di massa e di gruppo che possono ve­ nir discussi e che conducono a conclusioni impugnabili, l'americano preferisce occuparsi meticolosamente di pro­ blemi circoscritti servendosi però di dati che hanno tutti i requisiti affinché questi problemi siano considerati scienti­ ficamente significativi e possano venir studiati sistematica­ mente: la stessa esigenza scientifica limita il suo studio alle reazioni degli individui ad una situazione immediata. Ma, naturalmente, proprio la trattazione empirica di problemi

8 1 8 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa limitati, può condurre ad individuare nel corso della ricer­ ca i problemi di interesse centrale. n valore più alto del­ l' europeo è quello di mantenere immutato il problema a cui egli è principalmente interessato, anche se questo può essere solo oggetto di speculazione; l'americano considera essenziale l'adeguatezza dei dati empirici e questa deve es­ sere raggiunta anche a prezzo dell'abbandono del proble­ ma per cui era stata iniziata l'indagine. Il rigore empirico degli americani comporta la pratica autolesionista di con­ siderare impossibili soggetti di studio i movimenti di idee in relazione a mutamenti nella struttura sociale che avven­ gono a lungo termine; l'inclinazione speculativa degli eu­ ropei implica un atteggiamento più indulgente verso se stessi, per cui semplici impressioni sui mutamenti e sugli sviluppi delle masse sono considerate fatti, e pochi viola­ no la convenzione stabilita di evitare tutte le domande im­ b arazzanti sui dati che sostengono questi fatti relativi alle credenze e al comportamento di massa. Avviene così che la corrente europea tratta di proble­ mi importanti in un modo empiricamente discutibile, mentre quella americana tratta di argomenti spesso più banali, ma in una maniera empiricamente corretta. L'eu­ ropeo immagina, l'americano osserva; l'americano investi­ ga problemi che hanno una portata circoscritta, l'europeo specula su problemi che hanno un significato storico. Ripetiamo anche qui che si deve considerare fino a che punto il rigore degli uni e l'ampio respiro degli altri siano in posizione inevitabilmente antagonista e vedere come possa trovarsi un modo di conciliare queste diverse tendenze.

Tecniche e procedimenti di ricerca Le due correnti mostrano tipiche differenze anche per quel che riguarda il loro atteggiamento nei confronti delle

La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa 8 1 9 tecniche per l a raccolta dei dati e per l a loro successiva analisi. Per il sociologo europeo della conoscenza, lo stesso termine tecniche di ricerca ha un suono ostico e straniero. Esporre i prosaici dettagli del modo in cui è stata condot­ ta un'indagine di sociologia della conoscenza è considera­ to quasi intellettualmente degradante. Essendosi formato nella tradizione della storia, della filosofia e delle arti, l'europeo sente che questo significherebbe mostrare l'inte­ laiatura della sua analisi e, quel che è peggio, sciupare per l'intelaiatura quelle attenzioni che dovrebbero essere rivol­ te soltanto alla struttura compiuta. In questa tradizione, il ruolo di tecnico della ricerca non ha alcun prestigio né viene capito. Certamente, vi sono tecniche stabilite, spesso assai elaborate, per verificare l'autenticità dei documenti storici, per determinare la loro probabile data e problemi simili; ma le tecniche per l'analisi dei dati piuttosto che per l' autenticità del documento sono pochissimo curate. È ben diverso per lo studioso americano delle comuni­ cazioni di massa. Nel corso degli ultimi decenni le ricerche in questo campo sono state numerose e sistematiche e mol­ te e varie le tecniche impiegate. La numerosa varietà di tec­ niche per l'intervista (di gruppo e individuale, aperta e strutturata, generica e specifica, che si svolge ad un deter­ minato momento o viene ripetuta periodicamente con la stessa popolazione), i questionari, i test attitudinali, le scale attitudinali di Thurstone, Guttman e Lazarsfeld, l'esperi­ mento controllato e l'osservazione controllata, l'analisi del contenuto (sia che si tratti della classificazione quantitativa dei simboli o degli elementi o dell'analisi tematica e struttu­ rale), il Program Analyzer elaborato da Lazarsfeld-Stanton: sono soltanto un campione dei diversi procedimenti usati per la ricerca nel campo delle comunicazioni di massa 1 . n l Cfr., per esempio, le tecniche esposte nelle seguenti pubblicazio-

820 La soàologia della conoscenza e le comunicazioni di massa gran numero delle tecniche americane fa per contrasto ap­ parire ancora minore l'esiguo numero di quelle europee. E questo contrasto rende maggiormente evidenti altri aspetti delle differenze dei due orientamenti nello studio sociologi­ co delle comunicazioni. L'atteggiamento verso il problema dell'attendibilità delle osservazioni può essere considerato il metro con cui misurare l'orientamento generale delle correnti europea e americana nei confronti delle tecniche. L 'attendibilità con cui si intende all'incirca che osservazioni indipendenti condotte sullo stesso materiale raggiungono gli stessi risul­ tati - è quasi interamente assente come problema per lo studioso europeo. Si può dire, in generale, che ogni stu­ dioso della conoscenza adopera le sue capacità personali per stabilire un suo modo distinto di studiare il contenuto e il significato dei suoi documenti. Sarebbe considerato un affronto alla integrità e alla dignità dello studioso sug­ gerire che il documento deve essere analizzato in modo indipendente anche da altri ricercatori in modo da stabili­ re il grado di attendibilità e l'accordo fra i diversi osserva­ tori del medesimo materiale. L 'affronto diventerebbe un grave insulto se si giungesse ad affermare che una grande diversità fra tali analisi indipendenti mette necessariamen­ te in dubbio l'adeguatezza di ognuna di esse. La nozione

ni del Bureau of Applied Social Research della Columbia University: P.F. Lazarsfeld e F. Stanton (a cura di), Radio Research, 194 1 , New York, Duell, Sloan and Pearce, 194 1 ; Radio Research, 1942-1943, New York, Duell, Sloan and Pearce, 1 944; Communications Research, 19481949, New York, Harper and Brothers, 1 949; anche il volume che ri­ porta gli studi della Research Branch of the Army's Information and Education Division, di C.I. Hovland, A.A. Lumsdaine e F.D. Sheffield, Experiments on Mass Communications, Princeton, Princeton University Press, 1949; e il volume sul War Communications Research Projet di H.D. Lasswell, N. Leites et al. , Language o/ Politics, New York, Geor­ ge W. Stewart, 1949.

La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa 82 1 di attendibilità di una classificazione (cioè il grado di coincidenza di classificazioni indipendenti del medesimo materiale empirico) ha trovato raramente posto negli schemi di ricerca dei sociologi della conoscenza. È probabile che questo sistematico trascurare il pro­ blema dell'attendibilità sia parte dell'eredità che il sociolo­ go della conoscenza ha ricevuto dagli storici che egli può contare fra i suoi antenati intellettuali. Negli scritti degli storici, infatti, la diversità di interpretazione è presa tipi­ camente non come un problema da risolvere, ma come una fatalità. Se qualche volta la si ammette, è con aria di rassegnazione colorata da un pizzico di orgoglio per que­ sta diversità artistica che significa, quindi, un'osservazione e un'interpretazione altamente individuale. Così, nell'in­ troduzione al primo magistrale volume dei suoi progettati quattro volumi su Thomas Jefferson , Dumas Malone fa la seguente osservazione, indicativa dell' atteggiamento di al­ tri storici verso il loro lavoro: «Altri interpreteranno il me­ desimo uomo e i medesimi eventi differentemente; questo è praticamente inevitabile dal momento che egli fu una fi­ gura centrale in controversie storiche che hanno ancora un'eco» (il corsivo è nostro). Questa dottrina delle differenti interpretazioni degli stessi eventi è così comune e accettata fra gli storici che è quasi certo che, in una forma o nell'altra, essa venga espressa nella perfezione dei più importanti scritti in que­ sto campo. Se la storia viene considerata come apparte­ nente alla tradizione delle discipline umanistiche, questa concezione appare subito comprensibile. In campo uma­ nistico e artistico, la rinuncia a qualsiasi interpretazione definitiva è insieme un' espressione, per quanto convenzio­ nale, di modestia professionale e un riconoscimento di esperienze condivise: è comune che gli storici rivedano le precedenti interpretazioni su dati uomini, eventi e movi­ menti sociali. Né può dirsi, d'altra parte, che gli scienziati si aspettino un'interpretazione «definitiva», sebbene il

822 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa loro atteggiamento nei confronti di una molteplicità di in­ terpretazioni sia notevolmente diverso. Per comprendere questo atteggiamento degli storici e dei sociologi della conoscenza non è necessario discutere sulla dottrina della inevitabile diversità delle interpretazio­ ni. Si può avere una comprensione maggiore del fenome­ no mettendo a confronto questa dottrina con il punto di vista che è tipico degli scritti degli scienziati, particolar­ mente degli scritti degli studiosi di scienze naturali e qual­ che volta degli scritti dei sociologi. Mentre lo storico si aspetta che vi siano dzf/erenti interpretazioni dei medesimi dati e l'evento è da lui accolto con equanimità e quasi con felice rassegnazione, i suoi colleghi scienziati considerano ciò come un appoggio molto instabile che mette in dub­ bio l'attendibilità dell'osservazione e l' adeguatezza dell'in­ terpretazione. Sarebbe ben singolare che in una prefazio­ ne ad un lavoro di chimica si leggesse, secondo il modello degli storici, «che altri interpreteranno i medesimi dati sulla combustione in modo differente; ciò è praticamente inevitabile . . . ». Anche in campo scientifico possono natu­ ralmente verificarsi delle differenze nell'interpretazione teorica e questa è un'evenienza non insolita; ma non è questo il punto in discussione. Quel che è importante os­ servare è che qui le differenze sono considerate come pro­ va di inadeguatezza dello schema concettuale o eventual­ mente delle osservazioni originali e che si cerca di elimi­ narle mediante ulteriori ricerche. Nella scienza, ogni sforzo è indirizzato all'eliminazione di queste differenze di interpretazione e invece del dissen­ so si ricerca il consenso: proprio per questo noi possiamo giustamente p arlare del carattere cumulativo della scienza; assieme ad altri requisiti, l'accumulazione richiede l' atten­ dibilità dell'osservazione iniziale. Per le attività artistiche è diverso: proprio perché esse si fondano sulla differenza in quanto espressione delle percezioni distinte e personali, se non private, dell'artista - esse non sono cumulative nel-

La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa 823 lo stesso senso. Le opere d'arte si accumulano nel senso limitato di aumentare il loro numero e quindi di averne una quantità sempre maggiore che sia accessibile agli uo­ mini nella società; esse possono disporsi l'una a fianco al­ l' altra, in senso orizzontale. Le opere scientifiche, invece, sono disposte, per definizione, in senso verticale, in modo da costituire una struttura di teorie connesse e mutuai­ mente sostenentesi che permettono la comprensione di numerose osservazioni; a questo fine, l'attendibilità del­ l' osservazione è naturalmente una necessità. Questa breve digressione su una possibile ragione del disinteresse degli europei per l' attendibilità intesa come un problema tecnico può chiarire anche i fondamenti del loro più generale disinteresse per le tecniche di ricerca. Nella sociologia della conoscenza vi è un cospicuo orien­ tamento verso le discipline umanistiche ed esso persiste assieme ad un 'avversione per la standardizzazione sia dei dati sia della loro interpretazione. Per contro, l'interesse della corrente americana per le tecniche ha come conseguenza quella di indirizzare siste­ maticamente l'attenzione verso problemi come quello del­ l' attendibilità. Quando questi problemi vengono conside­ rati in modo sistematico, la loro natura viene compresa più profondamente e più precisamente. Un risultato come quello ottenuto da uno studioso americano delle comuni­ cazioni di massa, per cui nell'analisi del contenuto «più complessa è la categoria, minore è l'attendibilità», è il ti­ pico risultato che semplicemente non si trova nella socio­ logia della conoscenza europea. Questo esempio indica anche quale sia il prezzo pagato per la precisione tecnica, in questo primo stadio della disciplina. Una volta che si è trovato uniformemente che l'attendibilità diminuisce con l'aumentare della complessità della categorizzazione, vi è una pressione notevole a lavorare con categorie semplicis­ sime, unidimensionali, in modo da raggiungere un'alta at­ tendibilità. Come caso estremo, l'analisi del contenuto

824 La soàologia della conoscenza e le comunicazioni di massa adopererà categorie come «favorevole, neutrale, sfavore­ vole», «positivo, neutrale, negativo» e questo spesso fa ri­ nunziare alla soluzione del problema che era l'oggetto della ricerca. Per gli europei questa è una vittoria di Pir­ ro: si raggiunge l'attendibilità con l'abbandono di ciò che è rilevante da un punto di vista teorico. Affermare che le correnti europea e americana sono specie intellettualmente diverse, che non possono coesiste­ re né avere una discendenza comune, sarebbe prendere troppo sul serio un modo di dire. In verità non è così. Per fare un esempio molto vicino, il cap. XXII di questo libro tratta di un primo impiego delle tecniche dell'analisi del contenuto nella sociologia della conoscenza, un'analisi destinata a determinare sistematicamente, piuttosto che intuitivamente, i punti focali delle ricerche degli scienziati inglesi del XVII secolo e a stabilire oggettivamente, anche se in modo piuttosto grezzo, il grado di connessione fra i bisogni economici e l'indirizzo delle ricerche scientifiche di quel periodo. Vi sono numerose indicazioni che non era mera pre­ sunzione sociologica quella di suggerire, al principio di questa introduzione, che le qualità di ciascuna corrente potessero essere combinate con l'esclusione dei difetti di ambedue. In qualche caso questo è stato fatto. Tale incro­ cio produce un ibrido vigoroso, che possiede le categorie teoricamente significative dell'una e le tecniche di ricerca empirica dell'altra. Un' analisi di contenuto di biografie di eroi popolari, tratte da riviste di grande diffusione, fatta da Leo Lowenthal costituisce un esempio promettente di quanto potrà essere fatto quando questa unione diventerà più frequente2 • Nel tracciare i mutamenti dei soggetti di queste biografie popolari da «idoli di produzione» a «ido-

2 L. Lowenthal, Biographies in Popular Magazines, in Radio Re­ search, 1942-1943, cit.

La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa 825 li di consumo», Lowenthal impiega categorie tratte da un'importante tradizione europea di teoria sociale. E per determinare se questo mutamento sia reale o immaginario egli sostituisce all'intuizionismo europeo la sistematica analisi di contenuto della corrente americana. I risultati di questa fusione delle due tendenze sono nettamente supe­ riori ai risultati di ciascuna presa singolarmente. Un'altra area di ricerca in cui l'interesse per le tecni­ che è inesistente nella corrente europea e altissimo nella corrente americana è quella del pubblico a cui vanno i prodotti culturali. L'europeo non è totalmente cieco di fronte al fatto che le dottrine devono avere un pubblico per essere efficaci, ma non verifica questo fatto sistemati­ camente; per lui sono sufficienti dati occasionali, scarsi e dubbi. Se un libro ha avuto un grande successo popolare, se si è a conoscenza di quante edizioni esso ha avuto, o se si può determinare, ma ciò accade raramente, il numero delle copie in circolazione, si presume di detenere, secon­ do le convenzioni della tradizione europea, dati che indi­ cano qualche cosa di significativo circa il pubblico. Oppu­ re si considerano come dati notevolmente significativi del­ l' ampiezza, della natura, della composizione del pubblico e delle sue reazioni, le recensioni, gli estratti di qualche diario di pochi sparsi lettori o le intuizioni di qualche contemporaneo. Molto diverso è naturalmente l'atteggiamento della corrente americana. Ciò che è una grave lacuna nelle ri­ cerche della sociologia della conoscenza europea diviene uno dei più importanti oggetti di studio della sociologia americana delle comunicazioni di massa. In America si sono sviluppate tecniche elaborate ed esatte per misurare non solo l'ampiezza del pubblico dei mezzi di comunica­ zione di massa, ma anche per valutare la composizione di questo pubblico, la sua natura e, in un certo grado, anche le sue reazioni. Una ragione di questo diverso interesse della ricerca

826 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa per il pubblico è la grande diversità che esiste fra i princi­ pali problemi dei due campi. Il sociologo della conoscen­ za cerca soprattutto le determinanti sociali dei punti di vi­ sta dell'intellettuale, in che modo cioè questi è giunto ad avere determinate idee. Di conseguenza, per la corrente europea il pubblico viene studiato solo come un elemento che può avere un influsso sull'intellettuale e quindi solo nella misura in cui egli lo prende in considerazione. Lo studioso delle comunicazioni di massa è stato quasi sem­ pre interessato, fin dall'inizio dello sviluppo di questi stu­ di, soprattutto all'influenza dei mezzi di comunicazione di massa sul pubblico. La corrente europea vuol conoscere le determinanti strutturali del pensiero, mentre quella americana vuol sapere le conseguenze psicologiche e so­ ciali della diffusione delle opinioni; la prima si interessa delle cause, la seconda dei risultati. L'interrogativo degli europei è: come avviene che compaiano certe idee parti­ colari? Per gli americani, invece, la domanda è la seguen­ te: in che modo queste idee, una volta introdotte, influi­ scono sul comportamento? Date queste differenze fondamentali di interesse intel­ lettuale, è facile capire perché la corrente europea abbia trascurato le ricerche sul pubblico mentre quella america­ na vi si sia completamente dedicata. A questo punto ci si può domandare anche se questi fondamentali interessi sia­ no a loro volta prodotti dai contesti strutturali in cui ap­ paiono; e la risposta sembra affermativa. Come hanno in­ dicato Lazarsfeld e altri studiosi, le ricerche sulle comuni­ cazioni di massa si sono sviluppate principalmente in ri­ sposta ad esigenze di mercato. La dura competizione fra i vari mezzi di comunicazione di massa e tra enti all'interno di ciascuno di essi per quel che riguarda la pubblicità ha provocato la domanda economica di misurazioni obiettive della grandezza, della composizione e delle reazioni del pubblico (pubblico dei giornali, delle riviste, della radio e televisione). E a causa dell'esigenza di ottenere la maggior

La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa 827 quantità possibile di denaro investita in pubblicità, s1 e avuta una notevole sensibilizzazione di ciascun settore delle comunicazioni di massa e ciascun ente rispetto alle eventuali deficienze degli strumenti di misurazione del pubblico adoperati dai competitori, il che ha provocato una notevole pressione affinché fossero sviluppate tecni­ che rigorose, obiettive e non facilmente soggette a critica. In aggiunta a tali pressioni di mercato, anche l'interesse da parte dell'ambiente militare per la propaganda ha sol­ lecitato ricerche intese ad una valutazione del pubblico; infatti, nella propaganda, come nella pubblicità, i clienti hanno bisogno di sapere se gli strumenti propagandistici, al pari di quelli pubblicitari, raggiungono il pubblico a cui sono destinati e se hanno conseguito gli effetti voluti. Nel mondo accademico, dove si è principalmente svilup­ pata la sociologia della conoscenza, non vi è stata la stessa intensa e continua pressione economica per lo sviluppo di tecniche obiettive di misurazione del pubblico, né, molto spesso, vi era uno sta// di ricerca adeguatamente specializ­ zato per verificare queste tecniche una volta che fossero state provvisoriamente sviluppate. Questa diversità nei contesti sociali ha condotto le due correnti ad interessarsi di differenti problemi di ricerca. Le richieste di mercato e gli interessi militari non han­ no solo fatto sì che gli studiosi delle comunicazioni di massa si interessassero alle valutazioni del pubblico, ma hanno anche contribuito a formare le categorie con cui il pubblico è descritto o misurato. È una realtà, infatti, che lo scopo di una ricerca contribuisce a formare le sue cate­ gorie e i suoi concetti. Le categorie nello studio del pub­ blico delle comunicazioni di massa sono state quindi in primo luogo quelle della sua stratificazione in base al red­ dito (un dato che è evidentemente importante per coloro che sono impegnati nella vendita e nell' acquisto di beni economici) e quelle del sesso, dell'età e dell'istruzione (anche queste importanti per coloro che studiano i mezzi

828 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa pubblicitari più adatti per raggiungere gruppi particolari). Ma dal momento che categorie come quelle del sesso, del­ l'età, dell'educazione e del reddito corrispondono ad alcu­ ni degli status principali della struttura sociale, le tecniche sviluppate per lo studio del pubblico dei mezzi di comu­ nicazione di massa hanno un interesse diretto anche per il sociologo. Anche a questo punto possiamo sottolineare che l'im­ portanza data a particolari problemi intellettuali, impor­ tanza che deriva da pressioni sociali, può distogliere l'in­ teresse della ricerca da altri problemi che hanno una si­ gnificatività sociologica uguale o maggiore, ma che hanno scarso valore per gli scopi immediati di mercato o militari. I compiti immediati della ricerca applicata oscurano tal­ volta i compiti a lungo termine della ricerca pura. Catego­ rie dinamiche che hanno una scarsa rilevanza per interessi commerciali e simili, come la «falsa coscienza» (la cui de­ finizione operazionale può essere, ad esempio, una note­ vole discrepanza fra uno status economico oggettivamente basso e una identificazione ideologica con strati economi­ ci superiori) o i vari tipi di individui economicamente mo­ bili, sono state impiegate molto di rado nella descrizione del pubblico. Laddove la corrente europea (Wissenssoziologie) non ha condotto quasi nessuna indagine sul pubblico dei vari prodotti intellettuali e culturali, la corrente americana (la ricerca sulle comunicazioni di massa) ne ha condotto un gran numero e le categorie che essa ha adoperato sono state, fino a poco tempo fa, stabilite principalmente non tanto in funzione dei bisogni della teoria sociologica e psi­ cologica, quanto in funzione delle necessità pratiche di quei gruppi e di quegli enti che per primi hanno sentito l'esigenza di indagini sul pubblico. In seguito alle pressio­ ni dirette del mercato e delle esigenze militari si sono svi­ luppate particolari tecniche di ricerca che hanno, in un primo momento, il segno della loro origine: esse sono

La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa 829 condizionate in modo notevole dagli impieghi pratici per cui sono state inizialmente adoperate. La questione se le tecniche di ricerca create specifica­ mente per le comunicazioni di massa riescano a rendersi indipendenti dalle loro origini sociali è essa stessa un pro­ blema interessante per la sociologia della scienza. In quali condizioni le ricerche promosse da interessi di mercato e militari assumono un' autonomia funzionale in cui le loro tecniche e i loro risultati entrano a far parte del patrimo­ nio pubblico della scienza sociale? Può darsi che abbiamo qui, talmente evidente da non essere neppure rilevato, il parallelo sociologico di quel che accadde nelle scienze fi­ siche durante il XVII secolo. Come si ricorderà, a quel tempo non erano le antiche università, ma le nuove socie­ tà scientifiche che davano impulso al progresso sperimen­ tale della scienza, e questo impulso non era indipendente dalle richieste di carattere pratico che venivano poste alle scienze fisiche allora in sviluppo. Così ora, nel campo del­ le ricerche sulle comunicazioni di massa, l'industria e il governo hanno largamente finanziato le ricerche sociali necessarie ai loro fini, in un periodo in cui le università erano riluttanti o non potevano fornire un sostegno finan­ ziario a questo campo. Nel corso delle ricerche, le tecni­ che si sono sviluppate e perfezionate, il personale specia­ lizzato e si sono raggiunti importanti risultati. Sembra che il processo ora continui, e man mano che queste dimo­ strazioni del valore reale e potenziale di tali ricerche si impongono all'attenzione delle università, queste fornisco­ no contributi per la ricerca, pura e applicata, in questo come in altri campi della scienza sociale. S arebbe interes­ sante porsi e rispondere ad ulteriori domande: le ricerche orientate verso le necessità del governo e dell'industria erano legate così esclusivamente a problemi immediati e di urgente soluzione da lasciare poche occasioni per una trattazione di questioni più importanti per la scienza so­ ciale? La scienza sociale è forse troppo poco progredita e

830 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa il governo e l'industria non sufficientemente maturi per fornire un sostegno su larga scala alla ricerca pura nelle scienze sociali, allo stesso modo in cui è stata sostenuta la ricerca pura nelle scienze fisiche? Questi sono interrogati­ vi che derivano direttamente dalla storia sociale della ri­ cerca sulle comunicazioni di massa e sono interrogativi di immediato interesse per il sociologo della conoscenza.

L'organizzazione sociale della ricerca Come nel soggetto principale di studio, nella defini­ zione dei problemi, negli atteggiamenti nei confronti dei dati empirici e delle tecniche di ricerca così anche nell'or­ ganizzazione di coloro che si dedicano alla ricerca, gli eu­ ropei � gli americani assumono distinte e differenti posi­ zioni. E caratteristico degli europei condurre il lavoro in­ dividualmente, servendosi del materiale accessibile nelle biblioteche, qualche volta aiutati da uno o due assistenti sotto la loro diretta e continua sorveglianza. Sempre più spesso, gli americani lavorano in équipe di ricerca o in grandi organizzazioni comprendenti un certo numero di équipe. Queste differenze nell'organizzazione sociale della ri­ cerca accrescono e sostengono le altre differenze che ab­ biamo notato. Esse, ad esempio, rinforzano i diversi atteg­ giamenti nei confronti delle tecniche di ricerca e nei con­ fronti di problemi connessi del tipo di quello dell'attendi­ bilità che abbiamo brevemente esaminato. Senza dubbio, i solitari studiosi europei della sociolo­ gia della conoscenza si rendono conto astrattamente della necessità di classificazioni attendibili dei loro dati empiri­ ci, quando naturalmente questi studiosi adoperano dati empirici sistematici, evenienza tutt'altro che frequente. Inoltre, è indubbio che essi cerchino e forse raggiungano un accordo nella classificazione dei loro materiali, atte-

La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa 83 1 nendosi a quei criteri di classificazione che in qualche raro caso sono espressamente stabiliti. Ma lo studioso iso­ lato non è costretto dalla struttura stessa della sua situazio­ ne di lavoro ad occuparsi sistematicamente dell'attendibili­ tà come problema tecnico. È una possibilità remota e im­ probabile che qualche altro studioso, in qualche altro luo­ go del mondo accademico, si imbatta precisamente nella stessa raccolta di dati empirici, utilizzi le stesse categorie e gli stessi criteri per queste categorie e conduca le stesse operazioni intellettuali. Né, data la tradizione contraria, è probabile che avvenga la replica deliberata dallo stesso studio. Di conseguenza, vi è molto poco nell' organizzazio­ ne della situazione di lavoro dell'europeo che lo costringa ad occuparsi sistematicamente del difficile problema del­ l' attendibilità dell'osservazione e dell'attendibilità dell' ana­ lisi. D'altro canto, proprio la diversa organizzazione socia­ le della ricerca americana delle comunicazioni di massa costringe ad occuparsi di problemi tecnici come quello dell'attendibilità. Gli studi empirici sulle comunicazioni di massa esigono che si prendano sistematicamente in consi­ derazione rilevanti quantità di dati. Il loro numero è tal­ mente grande che solo raccoglierli è generalmente al di là delle possibilità di uno studioso che lavori da solo, per non parlare delle attività di routine a cui, in genere, egli non può dedicarsi per il troppo tempo che esse richiedo­ no. Se si vogliono fare ricerche di questo tipo è necessaria la collaborazione di numerosi ricercatori organizzati in équipe. Esempi recenti di queste équipe sono il «Lass­ well's War Communications Research Project» della Bi­ blioteca del Congresso, la sezione delle comunicazioni di massa di Hovland della Research Branch of The Army's Information and Education Division, la sezione per la ri­ cerca sulle comunicazioni del Bureau of Applied Social Research della Columbia University. Con tale organizzazione della ricerca, il problema del-

832 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa l' attendibilità diviene così importante che non può essere né trascurato né limitatamente considerato. La necessità dell'attendibilità dell'osservazione e dell'analisi, che esiste naturalmente nel campo della ricerca in generale, diviene più visibile e più insistente nei confini ristretti di un'équipe di ricerca. Differenti ricercatori che lavorano sugli stessi dati empirici e fanno le stesse operazioni debbono presu­ mibilmente raggiungere gli stessi risultati (entro limiti tolle­ rabili di variazione) . Così, proprio la struttura del gruppo di lavoro accresce l'eterna preoccupazione della scienza, compresa la scienza sociale, per l'obiettività, obiettività che significa attendibilità dei dati raccolti e classificati da diver­ se persone o da diversi gruppi. Infatti, se il contenuto delle comunicazioni di massa è classificato e codificato da diver­ se persone, è inevitabile che sorga la domanda se veramen­ te gli stessi risultati siano raggiunti da coloro che codifica­ no (osservatori). Tale problema non solo è di primaria im­ portanza, ma può essere risolto senza troppa difficoltà me­ diante il confronto di diverse codificazioni indipendenti dello stesso materiale. In questo senso, «non è accidentale» che gruppi di ricerca come il Lasswell's War Communica­ tions Research Project abbiano dedicato molta attenzione all'attendibilità dell'analisi del contenuto, mentre lo studio di Mannheim sul conservatorismo tedesco, basato anch'es­ so sul contenuto di documenti, ma condotto da un singolo studioso, secondo la tradizione europea, non consideri af­ fatto l'attendibilità come un problema. In questo modo, forse, tendenze inizialmente diver­ genti sono rese maggiormente tali dalle strutture sociali diverse di due tipi di ricerca: da un lato lo studioso solita­ rio (la cui solitudine è qualche volta mitigata dalla presen­ za di uno o due assistenti) della tradizione europea della sociologia della conoscenza, e dall' altro l'équipe di ricer­ ca, la cui eterogeneità è resa uniforme dall'esistenza di un obiettivo comune, della tradizione americana della ricerca sulle comunicazioni di massa.

La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa 83 3

Ulteriori interrogativi e problemi Sarebbe probabilmente molto utile e istruttivo prose­ guire il confronto fra queste due diverse forme della ricer­ ca sulle comunicazioni. In che termini impostare, ad esem­ pio, il paragone fra le origini sociali di coloro che condu­ cono le ricerche nei due campi? Differiscono in rapporto alle diverse funzioni sociali dei due tipi di ricerca? Sono i sociologi della conoscenza più spesso, come Mannheim in effetti afferma, uomini marginali ai differenti sistemi socia­ li, che percepiscono quindi, anche se non conciliano, i dif­ ferenti punti di vista intellettuali dei diversi gruppi, laddo­ ve i ricercatori delle comunicazioni di massa sono più spesso individui mobili entro un sistema sociale o econo­ mico, che cercano i dati necessari a coloro che dirigono organizzazioni e intendono conquistare i mercati control­ lando un gran numero di persone? L'emergere della socio­ logia della conoscenza in Europa è legata forse alle diver­ genze fondamentali che esistono fra sistemi sociali radical­ mente opposti, così che molti hanno la convinzione che non vi sia alcun sistema sociale stabilito entro cui poter si­ gnificativamente applicare le proprie capacità ed è quindi per prima cosa necessario ricercare un sistema sociale che abbia per loro significato? Interrogativi di questo genere e così generali vanno ben oltre i limiti di questa introduzione. Questo esame della corrente europea della ricerca sulle comunicazioni cioè, la sociologia della conoscenza - e della corrente americana - vale a dire, la sociologia dell'opinione e delle comunicazioni di massa - può esser considerato un di­ scorso generale e per qualche verso illuminante dei tre ca­ pitoli che seguono. Il capitolo XIV intende essere un esame sistematico e una valutazione di alcuni contributi fondamentali alla so­ ciologia della conoscenza. Si noterà subito che questi con­ tributi sono soprattutto europei e che hanno in generale

83 4 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa poco da dire sui procedimenti d'analisi e, non molto, an­ che se un po' di più, sui risultati empirici sistematici. Ma la genesi di molte questioni importanti di ricerca sociolo­ gica si troverà nei loro sistemi di pensiero. Il capitolo seguente tratta, con una certa attenzione anche ai particolari, dei contributi di Karl Mannheim alla sociologia della conoscenza e permette un'indagine più profonda di alcuni problemi che vengono appena menzio­ nati nella discussione più generale del capitolo XIV. Il capitolo XVI, che tratta della propaganda cinemato­ grafica e radiofonica, riesamina alcuni studi recenti quasi completamente dal punto di vista del tecnico della ricer­ ca. Così, in esso si trova soprattutto una discussione sulle tecniche di ricerca per lo studio della propaganda piutto­ sto che sui problemi correlativi del ruolo funzionale della propaganda in società di diverso genere. Rimane da vede­ re se le tecniche di ricerca esaminate in quel capitolo sia­ no pertinenti solo alla limitata serie di problemi sollevati attualmente dalle esigenze di mercato e militari, oppure siano utilizzabili anche per tutti quei problemi che inevi­ tabilmente sorgono in qualunque struttura sociale di gran­ di dimensioni. Una società socialista, ad esempio, si trova a dover affrontare meno di una società capitalista proble­ mi di incentivi e motivazioni sociali? In essa è meno senti­ to il problema di informare e persuadere un gran numero di uomini degli scopi e dei fini che dovrebbero essere perseguiti e di convincerli ad adottare i metodi più rapidi per raggiungere questi fini? Ci si può chiedere anche se l'esigenza di conoscere le tecniche di ricerca sociale debba non essere sentita da coloro che considerano con ripu­ gnanza gli usi ai quali questa conoscenza è talvolta adibi­ ta. Allo stesso modo, ci si può domandare se l'interesse esclusivo per tutti i minimi particolari tecnici non rappre­ senti una limitazione prematura e non troppo produttiva del problema sociologico, che ha come conseguenza quel­ la di condurre la ricerca in campi che non hanno alcuna

La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa 83 5 rilevanza percettibile per la sociologia o per la società. Si tratta di questioni più facili da porsi che da risolversi, an­ che se la discussione del capitolo XVI può almeno fornire delle informazioni e dei dati grezzi a quanti sono interes­ sati a trovare le risposte. Dal suo inizio, la sociologia della conoscenza si è limi­ tata in gran parte a studiare le macrorelazioni tra contesti sociali; nella fase marxista, in particolare tra classi sociali e vari tipi di «conoscenza», come l'ideologia e le credenze normative. Quasi nessuna attenzione è stata rivolta a stu­ diare i microprocessi sociocognitivi che si situano tra que­ sti contesti sociali e l'emergere di vari tipi di conoscenza, compresa la scienza. Il capitolo XVII è dedicato ad uno di questi microprocessi: quello che viene definito la «pub­ blicazione orale». Per molti di noi che viviamo in una cultura che è an­ cora una cultura scritta, il concetto di pubblicazione orale appare un palese ossimoro, quasi contraddizione in termi­ ni. Di fatto, una risposta meno legata a questa cultura può riconoscere che per millenni «pubblicare» ha voluto dire «rendere pubblico», vale a dire far conoscere qualco­ sa ad una collettività. Nella cultura degli scribi prima del­ l'invenzione dei caratteri mobili da parte di Gutemberg nel XV secolo, il termine pubblicazione difficilmente si poteva riferire alla pubblicazione a stampa. Questo capito­ lo esamina i microprocessi sociocognitivi della pubblica­ zione orale attraverso conferenze, seminari, riunioni, e si­ mili, come un atto sociale particolare che comporta la for­ mazione, oltre che la trasmissione, della conoscenza, con speciale riferimento alla conoscenza della scienza sociale. Il capitolo si conclude con un' analisi delle funzioni e delle disfunzioni del discorso orale e delle sue complesse rela­ zioni con il sistema di ricompense della scienza e del sa­ pere.

Capitolo quattordicesimo

La sociologia della conoscenza

L'ultima generazione è stata testimone del sorgere di un campo particolare dell'indagine sociologica: la sociologia della conoscenza (Wissenssoziologie) . TI termine «conoscen­ za» deve essere preso in un'accezione molto ampia, in quanto gli studi in quest'area hanno considerato pratica­ mente tutta la gamma dei prodotti culturali (idee, ideolo­ gie, principi etici e giuridici, filosofia, scienza, tecnologia) . M a qualunque sia il concetto di conoscenza impiegato, l'orientamento di questa disciplina è rimasto in gran parte il medesimo: essa tratta soprattutto dei rapporti che esisto­ no fra conoscenza e altri fattori esistenziali della società e della cultura. Per quanto vaga e generale sia questa formu­ lazione, una definizione più specifica degli scopi principali di questa disciplina non servirebbe ad includervi tutte le diverse impostazioni che in essa si sono sviluppate. È pertanto evidente che la sociologia della conoscenza si occupa di problemi che hanno avuto una lunga storia. Che sia così, è dimostrato anche dal fatto che questa di­ sciplina ha trovato il suo primo storico, Ernst Gruen­ wald1. Ma il nostro interesse principale non è per i numel In questo capitolo non sarà detto nulla di questa storia. Ernst Gruenwald fornisce un abbozzo di questi primi sviluppi a partire dalla cosiddetta era dell'illuminismo in Das Problem der Soziologie des Wis­ sens, Wien-Leipzig, Wilhem Braumueller, 1934. Per una rassegna cfr.

83 8 La soàologia della conoscenza e le comunicazioni di massa rosi precedenti delle teorie correnti. Vi sono in verità ben poche osservazioni attuali che non abbiano trovato prece­ dente espressione in suggestive e brevi descrizioni. Al re Enrico IV veniva ricordato che: «Il tuo desiderio, Enrico, fu padre a quel pensiero», e questo, solo pochi anni pri­ ma che Bacone scrivesse: «L'intelletto umano non è una luce arida, ma esso viene arricchito dalla volontà e dai sentimenti; donde procedono scienze che possono essere chiamate "scienze come si vorrebbero"». E Nietzsche ha lasciato una serie di aforismi sui modi in cui i bisogni de­ terminano i punti di vista attraverso cui interpretiamo il mondo, così che anche le percezioni dei sensi sono per­ meate da preferenze di valori. I precedenti della Wissens­ soziologie possono soltanto confermare l'osservazione di Whitehead per cui «arrivare molto vicino ad una teoria vera e individuare le sue precise applicazioni sono due cose molto diverse, come ci insegna la storia della scienza. Ogni cosa importante è stata detta precedentemente da qualcuno che non l'ha scoperta».

l. Il contesto sociale A parte le sue origini storiche e intellettuali, VI e un altro fatto che sta alla base dell'attuale interesse per la so­ ciologia della conoscenza. Come si sa, la sociologia della conoscenza come disciplina distinta è stata specialmente coltivata in Germania e in Francia. Solo negli ultimi de­ cenni, i sociologi americani hanno dedicato un'attenzione sempre crescente ai problemi di quest'area di studio. L'aumento delle pubblicazioni e, come prova decisiva del-

H.O. Dahlke, The Sociology o/ Knowledge, in Contemporary Social Theory, a cura di H.E. Barnes, Howard e F.B. Becker, New York, Ap· pleton-Century, 1940, pp. 64-89.

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la sua rispettabilità accademica, il numero crescente delle dissertazioni di laurea nella specialità testimoniano, in parte, il crescere di questo interesse. Una spiegazione immediata e ovviamente insufficiente di questo sviluppo potrebbe trovarsi nel fatto che il pensie­ ro sociologico europeo è stato di recente importato negli Stati Uniti dai sociologi che sono venuti in questo paese negli ultimi tempi. Certamente questi studiosi erano fra i cultori della Wissenssoziologie, ma questo è valso semplice­ mente a far conoscere queste concezioni e non spiega la loro attuale accettazione più di quanto la sola accessibilità a certe informazioni possa spiegare la loro diffusione in qualsiasi altro campo culturale. Il pensiero americano si è mostrato così ricettivo di fronte alla sociologia della cono­ scenza perché essa trattava di problemi, di concetti e di teorie che sono sempre più legati alla nostra situazione so­ ciale contemporanea, poiché la nostra società è giunta ad avere alcune caratteristiche che sono tipiche di quelle so­ cietà europee in cui la disciplina si era inizialmente svilup­ pata. La sociologia della conoscenza acquista significato in un determinato complesso di condizioni sociali e cultura­ lF. Con l'aggravarsi dei conflitti sociali, le differenze di valori, di atteggiamenti e di processi mentali fra gruppi si accrescono fino a che gli orientamenti che i gruppi aveva­ no in comune vengono oscurati da incompatibili differen­ ze. Non solo essi sviluppano distinti cosmi intellettuali, ma l 'esistenza stessa di ciascuno di questi cosmi è una sfi­ da alla validità e alla legittimità degli altri. La coesistenza all'interno della stessa società di questi punti di vista e in­ terpretazioni opposte conduce ad una reciproca e attiva 2 Vedi K. Mannheim, Ideologie und Utopia, Bonn, Cohen, 1 929 (trad. it. Ideologia e Utopia, Bologna, Il Mulino, 1 965, pp. 7-15); P.A. Sorokin, Social and Cultura! Dynamics, New York, American Book Co. , 193 7 (trad. it. La dinamica sociale e culturale, Torino, Utet, 1975).

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diffidenza fra gruppi. In un contesto di diffidenza, l'ogget­ to di indagine non è più il contenuto delle opinioni e del­ le affermazioni per determinare se esse siano valide o meno, non si confrontano più le opinioni con l'evidenza, ma ci si pone un'altra domanda: come avviene che siano asserite proprio queste opinioni? n pensiero è funzionaliz­ zato e viene interpretato in termini delle sue origini e fun­ zioni psicologiche o economiche o sociali o razziali. In ge­ nerale, questo tipo di funzionalizzazione ha luogo quando le affermazioni vengono messe in dubbio, quando esse sono così palesemente poco plausibili o assurde o preve­ nute che non vi è più bisogno di esaminare l'evidenza che possa provarle o smentirle, ma solo di vedere le ragioni che inducono alla loro formulazione3 • Queste affermazioni strane sono «spiegate da» o «attribuite a» interessi p arti­ colari, motivi inconsapevoli, punti di vista distorti, posi­ zione sociale, ecc. Nel pensiero popolare ciò comporta at­ tacchi reciproci alla integrità degli oppositori; nel pensiero più sistematico ciò porta ad analisi ideologiche recipro­ che. In entrambi i livelli, ciò viene provocato da uno stato collettivo di insicurezza che viene a sua volta accresciuto da queste analisi. In un simile contesto sociale, una serie di interpreta­ zioni dell'uomo e della cultura che hanno in comune certi 3 Freud ha notato questa tendenza a ricercare le «origini» piutto­ sto che provare la validità delle affermazioni che ci sembrano chiara­ mente assurde. Così, supponete che qualcuno sostenga che il centro della terra è fatto di marmellata. «Il risultato della nostra obiezione in­ tellettuale sarà una deviazione dei nostri interessi; invece di rivolgerei ad investigare se l'interno della terra è realmente fatto di marmellata o no, noi ci chiederemo che genere di uomo può essere un individuo che si è messo in testa un'idea di questo genere. .» (S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi (Nuova serie di lezionz), in Opere di Sigmund Freud, Torino, Bollati Boringhieri, 1 976, vol. XI. Sul piano sociale una radicale diffe­ renza nei punti di vista dei vari gruppi sociali porta non solo ad attac­ chi ad hominem, ma anche a «spiegazioni funzionalizzate». .

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84 1

presupposti trovano un'ampia diffusione. Non soltanto l' analisi ideologica e la Wissenssoziologie, ma anche la psi­ coanalisi, il marxismo, la semantica, l'analisi della propa­ ganda, la dottrina di Pareto e, fino a un certo punto, l' ana­ lisi funzionale hanno, nonostante le loro altre differenze, una visione analoga sul ruolo delle idee. Da un lato, vi è il campo dell'espressione verbale e delle idee (ideologie, ra­ zionalizzazioni, espressioni emotive, distorsioni, folklore, derivazioni) che sono tutte considerate o di carattere espressivo o di natura derivata o di natura ingannevole (per sé e per gli altri) e sono tutte funzionalmente riferite ad un qualche sostrato; dall'altro, vi sono i sostrati prece­ dentemente concepiti (rapporti di produzione, posizione sociale, impulsi originari, conflitti . psicologici, interessi e sentimenti, relazioni interpersonali e residui). Attraverso tutti questi fattori si svolge il tema fondamentale della de­ terminazione inconsapevole delle idee da parte dei sostra­ ti, e dell'importanza della distinzione fra reale e illusorio, fra realtà e apparenza nella sfera del pensiero, delle cre­ denze e della condotta umana. E qualunque sia l'intenzio­ ne degli studiosi, le loro analisi tendono ad avere una qua­ lità corrosiva: tendono a denunziare, secolarizzare, ironiz­ zare, satireggiare, alienare e svalutare il contenuto intrinse­ co di professate credenze o punti di vista accettati. Si con­ siderino solo le connotazioni dei termini scelti in questi contesti per indicare credenze, idee e pensieri: inganni vi­ tali, miti, illusioni, derivazioni, folklore, razionalizzazioni, ideologie, facciata verbale, pseudo-ragioni, ecc. Ciò che questi schemi di analisi hanno in comune è la pratica di non tenere in nessun conto il valore apparente di affermazioni, credenze e sistemi di idee e di riesaminar­ li in un nuovo contesto che fornisca il loro «reale signifi­ cato». Le affermazioni che vengono considerate ordinaria­ mente nel loro significato manifesto, qualunque sia l'in­ tenzione dello studioso, sono demistificate riferendo que­ sto contenuto agli attributi della persona che queste cose

842 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa ha affermato o della società in cui egli vive. L'iconoclasta di professione, il demistificatore e l'analista delle ideologie con i loro rispettivi sistemi di pensiero possono esistere e prosperare in una società in cui vasti gruppi di persone sono già alienati dai valori comuni e in cui diversi cosmi di valori e di opinioni coesistono in un clima di diffidenza reciproca. L'analisi ideologica è l'espressione sistematica della mancanza di fede nei simboli dominanti che è già largamente diffusa; di qui la sua popolarità e la sua attua­ lità. L'analista delle ideologie non si crea dei seguaci, par­ la piuttosto rivolto a seguaci per i quali le sue analisi «hanno significato», in quanto sono conformi alle loro precedenti esperienze non analizzate4 • In una società in cui la diffidenza reciproca trova espressioni popolari quali «qual è il suo interesse in que­ sto?»; in cui «ciarlataneria» (buncombe) e «far fesso» (bunk) sono diventati linguaggio popolare da quasi un se­ colo e «farsi furbi» (debunk) da circa una generazione; dove la pubblicità e la propaganda hanno generato un'at­ tiva resistenza all'accettazione di affermazioni nel loro si­ gnificato manifesto; in cui il comportamento pseudo- Ge­ meinschaft come mezzo per migliorare la propria posizio­ ne economica e politica è documentato da un bestseller su come guadagnarsi «amici» che possano essere influen­ zati; in cui le relazioni sociali sono sempre più strumenta­ lizzate così che l'individuo arriva a vedere gli altri come persone che cercano soprattutto di controllarlo, mano­ vrarlo e sfruttarlo; dove un cinismo crescente comporta 4 Il concetto di pertinenza fu assunto dai precursori marxisti della Wissenssoziologie. «Le proposizioni teoriche dei comunisti non poggia­ no affatto su idee, su principi inventati o scoperti da questo o quel ri­ formatore del mondo. Esse sono semplicemente espressioni generali di rapporti di fatto di una esistente lotta di classi, cioè di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi». K. Marx e F. Engels, Mani/e­ sto dei Partito Comunista, Torino, Einaudi, 1 963 , pp. 147-148.

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un progressivo distacco da relazioni di gruppo significati­ ve e un considerevole grado di estraneamento volontario; in cui l'incertezza intorno ai propri motivi è espressa nella frase indecisa: «Forse sto razionalizzando, ma . . . » e le dife­ se contro i traumi provocati dalla disillusione possono consistere nell'essere permanentemente disillusi, riducen­ do al minimo le proprie aspettative nei riguardi dell'inte­ grità degli altri e non tenendo anticipatamente in alcun conto i loro motivi e le loro capacità - in una tale società, l'analisi sistematica delle ideologie e la conseguente socio­ logia della conoscenza assumono una pertinenza e una persuasione socialmente fondate. E gli accademici ameri­ cani, messi di fronte a schemi di analisi che sembrano avere la capacità di ordinare il caos del conflitto culturale, dei valori e dei punti di vista contrastanti, se ne sono prontamente impadroniti e li hanno assimilati. La «rivoluzione copernicana» in quest'area di indagine è stata l'ipotesi che non soltanto l'errore o l'illusione o le credenze non autentiche fossero socialmente (storicamen­ te) condizionate, ma che lo fosse anche la scoperta della verità. Finché si studiarono semplicemente le determinanti sociali delle ideologie, delle illusioni, dei miti e delle nor­ me morali, la sociologia della conoscenza non aveva ragio­ ne di esistere. Era chiaro che nella spiegazione dell'errore e dell'opinione non dimostrata vi fossero dei fattori extra­ teorici e che erano necessarie delle spiegazioni speciali dal momento che la realtà dell'oggetto non poteva spiegare l'errore. Nel caso della conoscenza dimostrata o verificata, invece, era da lungo tempo stabilito che questa poteva spiegarsi adeguatamente nei termini di una relazione di­ retta dell'interprete con l'oggetto. La sociologia della co­ noscenza sorse quando si ipotizzò che anche le verità do­ vevano essere socialmente spiegabili, che anche esse dove­ vano essere messe in rapporto con le società storiche in cm emergevano. Delineare anche solo le principali correnti della socio-

844 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa logia della conoscenza in un breve sommario significa non presentarne nessuna in modo adeguato e fare violenza a tutte. Le diversità di formulazioni - di un Marx, o di uno Scheler o di un Durkheim; la varietà di problemi - dalla determinazione sociale dei sistemi astratti di classificazio­ ne alle ideologie politiche legate alle diverse classi sociali; le grandissime differenze nell'ampiezza del campo di stu­ dio - dalla classificazione generale di tutta la storia intel­ lettuale fino allo studio della posizione sociale del pensie­ ro degli studiosi negri negli ultimi decenni; i vari limiti as­ segnati alla disciplina - da una epistemologia sociologica generale fino alle relazioni empiriche fra idee particolari e particolari strutture sociali; la moltiplicazione di concetti - idee, sistemi di credenze, conoscenza positiva, pensiero, sistemi di pensiero, sovrastrutture, ecc. -; i metodi diversi di convalidazione - da imputazioni plausibili ma non do­ cumentate fino alle analisi storiche e statistiche condotte in modo meticoloso -: di fronte a tutto questo uno sforzo per trattare in poche pagine sia le metodologie analitiche sia gli studi empirici deve necessariamente sacrificare i dettagli al fine generale. Per introdurre una base di confronto nell'insieme de­ gli studi in questo campo, dobbiamo adottare un qualche schema d'analisi. n seguente paradigma è concepito come un passo in questa direzione. Senza dubbio, si tratta di una classificazione parziale e, si spera, temporanea, che sparirà man mano che darà luogo a un modello analitico più perfezionato e più esatto; tuttavia, esso fornisce una base per fare un primo inventario dei risultati in questo campo, per indicare i risultati che sono contraddittori, contrari o coerenti. Inoltre, esso permette di esporre l' ap­ parato concettuale che viene attualmente usato, per deter­ minare la natura dei problemi di cui si sono occupati i ri­ cercatori, per definire il tipo di dati empirici che sono sta­ ti adoperati per verificare questi problemi e per scoprire le lacune e le debolezze caratteristiche dei tipi di interpre-

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tazione più frequenti. La teoria sviluppata nel campo del­ la sociologia della conoscenza si presta ad essere classifi­ cata in termini del seguente paradigma. 2. Paradigma per la sociologia della conoscenza

l ) Dove è localizzata la base esistenziale dei prodotti mentali? a) Basi sociali: posizione sociale, classe, generazione,

ruolo occupazionale, modo di produzione, struttura di gruppo (università, burocrazia, accademie, sette, partiti politici), «situazione storica», interessi, società, apparte­ nenza etnica, mobilità sociale, struttura del potere, pro­ cessi sociali (competizione, conflitto, ecc.). b) Basi culturali: valori, ethos, clima di opinione, Volksgeist, Zeitgeist, tipo di cultura, mentalità culturale, Weltanschauungen, ecc. 2) Quali prodotti mentali sono socialmente analizzati? a) Sfere di: credenze morali, ideologie, idee, categorie del pensiero, filosofia, credenze religiose, norme sociali, scienza positiva, tecnologia, ecc. b) Quali aspetti sono analizzati: loro selezione (i punti centrali d'attenzione) , livelli di astrazione, presupposti (ciò che è preso come dato e ciò che è preso come problema­ tico), contenuto concettuale, modelli di verifica, obiettivi dell'attività intellettuale, ecc. 3 ) In che modo i prodotti mentali sono collegati alla

base esistenziale? a) Relazioni causali o funzionali: determinazione, cau­

sa, corrispondenza, condizione necessaria, condizionamen­ to, interdipendenza funzionale, interazione, dipendenza, ecc. b) Relazioni simboliche o organiche o significative: ar­ monia, conformità, coerenza, unità, congruenza, compati­ bilità (e opposti), espressione, realizzazione, espressione

846 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa simbolica, Strukturzusammenhang, identità strutturali, con­ nessione interna, analogie stilistiche, integrazione logica e di significato, identità di significato, ecc. c) Termini ambigui per designare relazioni: corrispon­ denza, riflessione, legato con, in stretta connessione con, ecc. 4) Perché? Funzioni mani/este e latenti imputate a

questi prodotti mentali condizionati esistenzialmente. a) Mantenere il potere, promuovere la stabilità, orien­

tamento, sfruttamento, oscurare gli attuali rapporti sociali, fornire una motivazione, indirizzare il comportamento, al­ lontanare le critiche, sviare l'ostilità, essere rassicurati, controllare la natura, coordinare i rapporti sociali, ecc. 5) Quando si ottengono le presunte relazioni /ra la

base esistenziale e la conoscenza? a) Teorie storicistiche (limitate a particolari società o

culture) . b) Teorie generali analitiche.

Vi sono, naturalmente, ulteriori categorie per classifi­ care e analizzare gli studi della sociologia della conoscen­ za che non sono completamente esaminate in questo capi­ tolo. Così, l'eterno problema delle implicazioni delle in­ fluenze esistenziali sulla conoscenza per lo status episte­ mologico della stessa è stato fin dagli inizi accesamente dibattuto. Le soluzioni di questo problema, che assume che una sociologia della conoscenza è necessariamente una teoria sociologica della conoscenza, vanno dall' affer­ mazione che «la genesi del pensiero non ha nessuna rela­ zione necessaria con la sua validità» fino all'estrema posi­ zione relativista che la verità è una «mera» funzione della base sociale o culturale, che poggia unicamente sul con­ senso sociale e, conseguentemente, qualsiasi teoria della verità culturalmente accettata ha un diritto ad essere con­ siderata valida pari a qualunque altra. Ma il precedente paradigma serve ad organizzare le

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diverse impostazioni e le conclusioni in questo campo, in maniera sufficiente per i nostri scopi. Le principali impostazioni da considerare qui sono quelle di Marx, Scheler, Mannheim, Durkheim e Sorokin. Il lavoro attualmente svolto in questo settore è in gran parte orientato verso l'una o l'altra delle loro teorie, sia attraverso un'applicazione modificata dei loro concetti sia attraverso lo sviluppo di concetti opposti. Altre fonti di studio più propriamente americane, come il pragmatismo, saranno omesse di proposito, dal momento che non vi è stata alcuna loro formulazione in rapporto alla sociologia della conoscenza né sono state incluse in misura rilevante nei programmi di ricerca.

3 . La base esistenziale Un punto centrale, su cui sono d'accordo tutte le di­ verse impostazioni della sociologia della conoscenza è la tesi che il pensiero ha una base esistenziale nella misura in cui non è immanentemente determinato, e l'uno o l'al­ tro dei suoi aspetti può derivarsi da fattori extra-conosci­ tivi. Ma si tratta soltanto di un consenso formale, che dà luogo ad un numero considerevole di teorie concernenti la natura della base esistenziale. Per questo aspetto, come per altri, il marxismo è il centro della bufera della Wissenssoziologie. Senza entrare in merito al problema esegetico di una esatta identifica­ zione del marxismo è sufficiente ricordare il «je ne suis pas Marxiste» di Marx -, possiamo delineare le sue for­ mulazioni basandoci soprattutto sugli scritti di Marx ed Engels. A parte ogni altro mutamento che può essere av­ venuto nello sviluppo della loro teoria nel corso di mezzo secolo di lavoro, essi mantennero sempre la tesi che i «rapporti di produzione» costituiscono il «fondamento reale» della sovrastruttura delle idee. «Il modo di produ-

848 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa zione della vita materiale condiziona, in generale, il pro­ cesso sociale, politico e spirituale della vita. Non è la co­ scienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro co­ scienza»5 . Nel cercare di funzionalizzare le idee - vale a dire di porre in rapporto le idee degli individui con la loro base sociologica - Marx le colloca entro la struttura di classe. Egli afferma non tanto che le altre influenze non siano tutte operanti, quanto che la classe è la determinan­ te principale e, come tale, il punto di partenza più fecon­ do per l'analisi. Questo è esplicito nella sua prima prefa­ zione al Capitale «qui si tratta delle persone soltanto in quanto sono la persom/icazione di categorie economiche,

incarnazione di determinati rapporti e di determinati inte­ ressi di classe»6 • Astraendo da altre variabili e consideran­

do gli uomini nei loro ruoli economici e di classe, Marx ipotizza che questi ruoli siano le principali determinanti, lasciando quindi aperto il problema della misura in cui

essi spiegano adeguatamente il pensiero e il comportamento in ogni situazione concreta. Di fatto, una linea di sviluppo del marxismo, dalla iniziale Ideologia tedesca agli ultimi scritti di Engels, consiste in una progressiva definizione (e delimitazione) della misura in cui i rapporti di produzione condizionano in realtà la conoscenza e le forme del pen­ siero. Tuttavia, sia Marx che Engels sottolineano ripetuta­ mente e con crescente insistenza che le ideologie di un dato strato non scaturiscono necessariamente dalle perso-

5 K. Marx, Per la critica dell'economia politica, Roma, Editori Riu­ niti, 1957, p. 1 1 . 6 K . Marx, Il Capitale, Roma, Rinascita, 195 1 , vol. I , p . 18; K . Marx e F. Engels, L'ideologia tedesca, Roma, Editori Riuniti, 1 958, pp. 7 1 -72; cfr. M. Weber, Gesammelte Au/sà'tze zur Wissenscha/tslehre, Tii­ bingen, Mohr, 1 922 (trad. it. parziale Il metodo delle scienze storico-so­ ciali, Torino, Einaudi, 1958).

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ne che sono obiettivamente situate in quello strato. Già nel Manz/esto comunista, Marx ed Engels avevano indicato che, mentre la classe dominante si avvicina alla dissoluzio­ ne, «una piccola parte di essa . . . si unisce alla classe rivolu­ zionaria [ . . ] . Quindi, come prima una parte della nobiltà era passata alla borghesia, così ora una parte della bor­ ghesia passa al proletariato; e specialmente una parte de­ gli ideologi borghesi, che sono riusciti a giungere alla in­ telligenza teorica del movimento storico nel suo insieme>/. Le ideologie vengono socialmente «situate» analizzan­ do le loro prospettive e i loro presupposti e determinando l'impostazione dei loro problemi a seconda di una o di un'altra classe. Il pensiero non è meccanicamente indivi­ duato stabilendo semplicemente la posizione sociale del pensatore. Esso è attribuito a quella classe per cui è «ap­ propriato», a quella classe alla cui situazione sociale, con i suoi conflitti, le sue aspirazioni, i suoi timori, i suoi limiti e le sue possibilità obiettive entro il dato contesto storico­ sociale, corrisponde. La formulazione più esplicita di Marx afferma: .

Non ci si deve però rappresentare le cose in modo ristretto, come se la piccola borghesia intendesse difendere per principio un interesse di classe egoistico. Essa crede, al contrario, che le condizioni particolari della sua liberazione siano le condizioni generali, entro le quali soltanto la società moderna può essere salvata e la lotta di classe evitata. Tanto meno si deve credere che i rappresentanti democratici siano tutti degli shop keepers (bottegai) o che nutrano per essi una eccessiva tenerezza. Posso­ no essere lontani dai bottegaz; per cultura e situazione personale, tanto quanto il cielo è lontano dalla terra. Ciò che fa di essi i rap­ presentanti dei piccolo borghesi è il /atto che la loro intelligenza non va al di là dei limiti che il piccolo borghese stesso non oltre­ passa nella sua vita, e che perciò tendono, nel campo della teo-

7 Marx

e Engels, Manzfesto del partito comunista,

cit.,

p. 1 13 .

850 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa ria, agli stessi compiti e alle stesse soluzioni a cui l'interesse ma­ teriale e la situazione sociale spingono il piccolo borghese nella pratica. Tale è, in generale, il rapporto che passa tra i rappresen­ tanti politici e letterari di una classe e la classe che essi rappresen­ tano8. Ma se noi non possiamo derivare le idee dalla obietti­ va posizione di classe dei loro esponenti, rimane un am­ pio margine di indeterminatezza. Sorge allora un ulteriore problema, quello di scoprire perché alcuni si identificano con il caratteristico punto di vista della classe in cui obiet­ tivamente si trovano e altri invece adottano quello di una classe diversa dalla loro. Una descrizione empirica del fat­ to non è un sostituto adeguato della sua spiegazione teori­ ca. Trattando delle basi esistenziali, la posizione di Max Scheler è caratteristicamente in opposizione con le altre teorie prevalenti9 . Egli fa una distinzione fra sociologia culturale e sociologia dei fattori reali (Realsoziologie) . I dati culturali sono «ideali», appartengono alla sfera delle idee e dei valori; «i fattori reali» sono orientati verso un effettivo mutamento della realtà della natura o della socie­ tà. I primi sono definiti mete o intenzioni ideali; i secondi derivano da «una struttura di impulsi» (Triebsstruktur, ad esempio, il sesso, la fame, il potere ) . Egli ritiene che sia 8 K. Marx, Il diciotto Brumaio di Luigi Buonaparte, Mosca, Edizio­ ne in lingue estere, 1947 , p. 49. 9 Questo resoconto si basa sulla discussione più approfondita di M. Scheler, Probleme einer Soziologie des Wissens, nel suo Die Wissens­ /ormen und die Gesellscha/t, Leipzig, Der Neue-Geist Verlag, 1926, pp. 1 -229 (trad. it. Sociologia del sapere, Roma, Abete, 1 9762). Questo vo­ lume è una versione migliorata ed ampliata di un saggio del suo Versuche zu einer Soziologie des Wùsens, Miinchen, Duncker und Humblot, 1924, pp. 5 - 146. Per un'ulteriore discussione su Scheler, vedi P.A. Schillp, The Forma! Problems o/ Scheler's Sociology o/ Knowledge, in «The Philosophical Review», 1927, 36, pp. 1 01-120; H. Becker e H.O. Dahlke, Max Scheler's Sociology o/ Knowledge, in «Philosophy and Phenomenological Research», 1942 , 2 , pp. 3 10-322.

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un errore fondamentale di tutte le teorie naturalistiche quello di sostenere che i fattori reali - siano essi la razza, la geopolitica, la struttura del potere politico, i rapporti di produzione economica - determinino inequivocabilmente il regno delle idee significative. Egli rifiuta anche tutte le concezioni ideologiche, spiritualistiche e personalistiche che sbagliano nel considerare la storia delle condizioni esistenziali come un unico, lineare svolgimento della storia della mente. Egli attribuisce una completa autonomia e un determinato svolgimento ai fattori reali, benché, in­ compatibilmente, egli affermi che le idee che comprendo­ no dei valori forniscono una guida e una direzione allo sviluppo di quelli. Tali idee non hanno inizialmente alcu­ na conseguenza in campo sociale. Quanto «più pura» è l'idea, tanto maggiore è la sua impotenza per quel che ri­ guarda l'effetto dinamico sulla società. Le idee non diven­ tano effettive, non assumono consistenza nello sviluppo culturale se non sono legate in qualche modo a interessi, impulsi, emozioni e tendenze collettive e se non sono in­ corporate in strutture istituzionali1 0 . Soltanto in questo caso - e per questo aspetto limitato, le teorie naturalisti­ che (per esempio, il marxismo) sono giustificate - esse esercitano una qualche definita influenza. Se le idee non sono basate sullo sviluppo imminente dei fattori reali, esse sono condannate a diventare sterili utopie. Le teorie naturalistiche sono ulteriormente in errore, afferma Scheler, perché assumono tacitamente che la va­ riabile indipendente sia sempre la stessa nel corso della storia. Non vi è nessuna variabile indipendente fissa nel corso della storia, ma vi è definita successione di preva­ lenza di fattori primari, successione che può riassumersi in una «legge delle tre fasi». Nella fase iniziale, i legami di sangue e di parentela costituiscono la variabile indipen10 Scheler, Sociologia del sapere, cit.

852 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa dente; nella seconda fase essa è costituita dal potere poli­ tico e finalmente nella terza dai fattori economici. Non vi è, quindi, nessuna continuità nell'effettiva priorità dei fat­ tori esistenziali, ma piuttosto una ordinata variazione. Così, Scheler cerca di rendere relativa la nozione stessa di determinanti storiche1 1 . Egli pretende non solo di aver confermato induttivamente la sua legge delle tre fasi, ma di averla dedotta da una teoria degli impulsi umani. La concezione di Scheler dei Realfaktoren razza e parentela, struttura del potere, fattori di produzione, aspetti qualitativi e quantitativi della popolazione, fattori geopolitici e geografici - 0olto difficilmente può essere una categoria utilizzabile. E di poco valore porre tanti di­ sparati elementi sotto la stessa rubrica, e, in verità, i suoi stessi studi empirici e quelli dei suoi discepoli non traggo­ no profitto da quest'insieme di fattori. Tuttavia, con l'aver indicato una variazione dei fattori esistenziali importanti, benché non nella successione ordinata che ha mancato di stabilire, egli si muove nella direzione che le ricerche suc­ cessive hanno seguito. Mannheim, da p arte sua, è nella linea di pensiero di Marx, soprattutto per quel che riguarda il concetto della base esistenziale che egli mutua da Marx e che estende. Dato il fatto di numerose appartenenze a gruppi, il pro­ blema diventa quello di determinare quali di queste ap­ p artenenze siano decisive nel fissare gli orientamenti, i modelli di pensiero, le definizioni del dato, ecc. In contra­ sto con un «marxismo dogmatico», egli non afferma che la posizione di classe sia in ultima analisi l'unica determi­ nante. Trova, ad esempio, che un gruppo integrato orga­ nicamente concepisce la storia come un movimento conti-

11

Ibid. Si dovrebbe notare che Marx ripudiò una simile concezio­ ne sugli spostamenti delle variabili indipendenti che era stata ritenuta la base per un attacco alla sua Critica dell'economia politica, vedi Il Ca­ pitale, cit. , I, p. 94.

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nuo verso la realizzazione dei suoi fini, mentre gruppi scarsamente integrati e socialmente sradicati fanno pro­ pria l'intuizione astorica che sottolinea il fortuito e l'im­ ponderabile. Soltanto con l'esame delle diverse formazioni di gruppo - generazioni, gruppi di status, sette, gruppi occupazionali - e delle loro caratteristiche forme di pen­ siero, si può trovare una base esistenziale corrispondente alle numerose e varie prospettive e conoscenze attualmen­ te esistenti 1 2 • Benché egli rappresenti una tradizione diversa, questa è sostanzialmente la posizione assunta da Durkheim. In uno dei suoi primi studi condotto con Mauss sulle forme primitive di classificazione, egli sostiene che la genesi del­ le categorie di pensiero è da ricercarsi nella struttura e nelle relazioni di gruppo e che esse mutano col mutare dell'organizzazione sociale13 • Nel suo tentativo di trovare le origini sociali delle categorie, Durkheim postula che gli individui siano più completamente e direttamente orienta­ ti verso i gruppi in cui vivono che verso la natura. Le esperienze più significative sono mediate attraverso le re­ lazioni sociali, che lasciano la loro impronta sul carattere del pensiero e della conoscenza. Così, nel suo studio sulle forme del pensiero primitivo, egli considera la periodica ricorrenza di attività sociali (cerimonie, feste, riti), la struttura del clan e le configurazioni spaziali delle riunioni 1 2 Mannheim, Ideologia e utopia, cit., pp. 273-282. In vista delle recenti ampie discussioni dell'opera di Mannheim, non se ne tratterà a lungo in questo saggio. Per la valutazione dello scrittore, vedi, in/ra, il cap. XV. 13 E. Durkheim e M. Mauss, De quelques /ormes primitives de classi/ication, in «L'Année Sociologique», 1 90 1 - 1 902, pp. 1 -72, «anche le idee astratte come quelle del tempo e dello spazio sono, ad ogni mo­ mento della storia, in stretta relazione con la corrispondente organizza­ zione sociale». Come ha indicato Marcel Granet, questo capitolo con­ tiene alcune pagine sul pensiero cinese che, secondo gli specialisti, se­ gnano una nuova era nel campo degli studi sinologici.

854 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa di gruppo come alcune delle basi esistenziali del pensie­ ro 1 4. Applicando le formulazioni di Durkheim al pensiero cinese antico, Granet attribuisce le tipiche concezioni di tempo e di spazio dei cinesi antichi a basi esistenziali qua­ li l'organizzazione feudale e il ritmico alternarsi della con­ centrazione e dispersione della vita di gruppo15 . In netto disaccordo con le precedenti concezioni delle basi esistenziali è la teoria idealistica ed «emanazionista» di Sorokin, che cerca di derivare ogni aspetto della cono­ scenza non da una base esistenziale sociale, ma da diverse «mentalità culturali». Queste mentalità sono costituite da «premesse maggiori»: così, la mentalità ideativa concepi­ sce la realtà come «non materiale, come essere eterno» e le sue necessità sono principalmente spirituali e vengono completamente soddisfatte attraverso «la riduzione volon­ taria o l'eliminazione della maggior parte dei bisogni fisi­ ci» 16 . Al contrario, la mentalità sensista, che limita la real­ tà a ciò che può essere percepito mediante i sensi, è so­ prattutto interessata ai bisogni fisici che cerca di soddisfa­ re al massimo, non attraverso una modificazione persona­ le, ma attraverso un mutamento nel mondo esterno. E principale tipo intermedio di mentalità è quello idealistico che rappresenta una specie di equilibrio fra i due tipi pre­ cedenti. Da queste mentalità, cioè dalle premesse maggio­ ri di ogni cultura, derivano i sistemi di verità e conoscen­ za. E qui ci troviamo di fronte all'«emanazionismo» fine a se stesso di una posizione idealistica: è evidentemente tau­ tologico dire, come fa Sorokin, che «in una società e in 14 E. Durkheim, Les /ormes élémentaires de la vie religieuse, Paris, Alcan, 1912 (trad. it. Le /orme elementari della vita religiosa, Milano, Comunità, 1963 , pp. 480-481); vedi anche H. Kelsen, Society and Na­ ture, Chicago, University of Chicago Press, 1 943, p. 30. 15 M. Granet, La Pensée Chinoise, Paris, La Renaissance du Livre, 1 934, pp. 84-104. 1 6 Sorokin, La dinamica sociale e culturale, cit., pp. 97-203 .

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una cultura sensista il sistema sensista di venta, fondato sulla testimonianza degli organi di senso, deve essere do­ minante»17 , dato che la mentalità sensista è stata già defi­ nita come quella che concepisce «la realtà soltanto come ciò che viene registrato dagli organi sensori»1 8 . Inoltre, una formulazione emanazionista come questa trascura alcune delle questioni fondamentali sollevate da altre impostazioni dell'analisi delle condizioni esistenziali. Così Sorokin considera il fallimento del «sistema di veri­ tà» sensista (empirismo) nel monopolizzare una cultura sensista come la prova che quest'ultima non è «pienamen­ te integrata». Ma in questo modo ci si ferma proprio di fronte al problema dello studio delle basi di quelle diffe­ renze di pensiero in cui è interessato, appunto, il nostro mondo contemporaneo. Ciò è vero per altre categorie e principi conoscitivi per cui egli cerca di fornire una spie­ gazione sociologica. Per esempio, nella nostra cultura sen­ sista, egli trova che il «materialismo» è meno diffuso del­ l' «idealismo», che il «temporalismo» e l' «eternalismo» sono quasi ugualmente diffusi e ciò è altrettanto vero per il «realismo» e il «nominalismo», per il «singolarismo» e l' «universalismo», ecc. Dato che vi sono queste diversità all'interno di una cultura, caratterizzarla genericamente come sensista non fornisce alcuna base per indicare quali gruppi abbiano un determinato modo di pensiero e quali un altro. Sorokin non esamina sistematicamente varie basi esistenziali all'interno di una società o di una cultura; egli osserva le tendenze «dominanti» e le attribuisce alla cul­ tura considerata un tutto unico19. La nostra società con17 Ibid. , parte II. 1 s Ibid. , pp. 161- 164. 1 9 Una «eccezione» a questa pratica si trova nel contrasto da lui

notato fra la tendenza prevalente del «clero e della aristocrazia terriera a diventare le classi-guida nella cultura ideativa e la borghesia capitali­ stica, l'intelligentsia, i professionisti nella cultura sensista . .», La dina.

856 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa temporanea è considerata come un esempio integrale di cultura sensista e le differenze della visione intellettuale di classi e gruppi diversi sono ignorate. Proprio per le sue premesse, l'impostazione di Sorokin è soprattutto adatta per una caratterizzazione generale di culture, non per ana­ lizzare le connessioni fra condizioni esistenziali diverse e pensiero all'interno di una società. 4.

Tipi di conoscenza

Anche un esame superficiale è sufficiente per mostrare che il termine «conoscenza» è stato concepito così ampia­ mente da potersi riferire a ogni tipo di idea e a ogni for­ ma di pensiero, dalle credenze popolari alla scienza positi­ va. Il termine conoscenza è stato spesso assimilato a quel­ lo di «cultura», così che si considerano «esistenzialmente condizionate» non solo le scienze esatte, ma anche le con­ vinzioni etiche, i postulati epistemologici, i giudizi sinteti­ ci, le opinioni politiche, le categorie del pensiero, le idee escatologiche, le norme morali, le assunzioni antologiche e le osservazioni di fatti empirici20 . La questione è, natu­ ralmente, se questi diversi tipi di «conoscenza» stiano nel­ lo stesso rapporto con la loro base sociologica o se sia ne­ cessario fare delle distinzioni fra le diverse sfere di cono­ scenza appunto perché questo rapporto è diverso per i vari tipi. In generale, le posizioni nei confronti di questo problema sono state sistematicamente ambigue.

mica sociale e culturale, cit., III, p. 250. E vedi la sua spiegazione della diffusione della cultura fra le classi sociali, ibid., IV, pp. 22 1 ss. 2 0 Cfr. K.H. Wollf, The Sociology o/ Knowledge: Emphasis on an Empirica! Attitude, in «Philosophy of Science», 1943 , 10, pp. 104-123; T. Parsons, The Role o/ Ideas in Social Action, in Essays in Sociological Theory, New York, Free Press, 1949 (trad. it. parziale Società e dittatu­ ra, Bologna, Il Mulino, 1956).

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Soltanto nei suoi ultimi scritti Engels giunse a ricono­ scere che il concetto di sovrastruttura ideologica include­ va molte «forme ideologiche» che differiscono in modo si­ gnz/icativo, vale a dire che non sono ugualmente e simil­ mente condizionate dalla base materiale. Il fatto che Marx non trattò questo problema sistematicamente2 1 spiega in gran parte l'indeterminatezza iniziale di ciò che è compre­ so nella sovrastruttura e il modo in cui queste diverse sfe­ re «ideologiche» sono in rapporto con i modi di produ­ zione. Nel precisare il termine generico di «ideologia», Engels concede un certo grado di autonomia al diritto. Appena la nuova divisione del lavoro, che crea gli avvocati professionisti, diventa necessaria, si presenta una sfera nuova e indipendente che, malgrado la sua dipendenza dalla produzione e dal commercio, ha tuttavia una sua capacità di reagire a sua volta su queste aree. In uno Stato moderno, il diritto non deve soltanto corrispondere alla posizione economica generale ed es­ serne l'espressione, ma deve essere anche un'espressione che ha una sua logica interna e che non appaia, a causa di intime con­ traddizioni, incoerente. E perché questo sia attuato, il riflesso fedele delle condizioni economiche viene sempre più violato. Quanto più questo processo diviene frequente, tanto più rara­ mente succede che un codice di leggi sia l'espressione diretta, rigorosa e inalterata del dominio di una classe: questo in sé vio­ lerebbe già «il concetto di giustizia»22• Se ciò è vero per il diritto, che ha delle strette connes­ sioni con le pressioni economiche, è maggiormente vero per altre sfere della «sovrastruttura ideologica». La filoso­ fia, la religione e la scienza sono particolarmente influen2 1 Questa è probabilmente la base dell'osservazione di Scheler: «Una tesi specifica della concezione economica della storia è la subor­ dinazione delle leggi di sviluppo di tutta la conoscenza alle leggi di svi­ luppo delle ideologie». 22 F. Engels, lettera a C. Schmidt, 27 ottobre 1890.

858 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa zate dal patrimonio preesistente di conoscenze e di cre­ denze e sono solo indirettamente e in ultima analisi in­ fluenzate da fattori economici23 • In questi campi non è possibile «derivare» il contenuto e lo sviluppo delle cre­ denze e delle conoscenze semplicemente da un'analisi del­ la situazione storica: L'evoluzione politica, giuridica, filosofica, religiosa, lettera­ ria, artistica, ecc. si fonda sull'evoluzione economica. Ma tutte reagiscono una sull'altra e sulla base economica. Non è già che la situazione economica sia causa, puramente attiva, e tutto il re­ sto sia effetto passivo. Ma è un effetto vicendevole sulla base della necessità economica che in ultima istanza prevale24 . Dire che «in ultima istanza» la base economica si af­ ferma, significa che le sfere ideologiche possiedono un certo grado di sviluppo indipendente. Come infatti osser­ va Engels: Quanto più il campo, che noi stiamo proprio esaminando, si allontana dalla sfera economica e si avvicina all'ideologia pu­ ramente astratta, tanto più troveremo che nella sua evoluzione mostra delle accidentalità (cioè, deviazioni dal «previsto»), tanto più la sua curva scorre a zig-zag25. Infine, vi è una concezione ancora più limitata dello status sociologico delle scienze naturali. In un passo ben 23 Ibid. 24 F. Engels, lettera a H. Starkenburg, 25 gennaio 1894. 25 Ibid., vol. I, 3 93 ; cfr. F. Engels, Ludwig Feuerbach e il punto di

approdo della filosofia classica tedesca (1 888), Roma, Editori Riuniti, 1969. «Per l'arte è noto che determinati suoi periodi di fioritura non stanno assolutamente in rapporto con lo sviluppo generale della socie­ tà, né quindi con la base materiale, con l'ossatura per così dire della sua organizzazione» (K. Marx, Introduzione alla critica dell'economia politica, in Per la critica dell'economia politica, Roma, Editori Riuniti, 1957, p. 196) .

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noto, Marx distingue espressamente le scienze naturali dalle sfere ideologiche. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo svolgimento materiale delle condizioni economi­ che della produzione, che può essere constatato con la precisione delle sàenze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permetto­ no agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo2 6. Così, alle scienze naturali e all'economia politica, che può eguagliare la precisione delle prime, è concesso uno status del tutto distinto da quello dell'ideologia. Il conte­ nuto concettuale delle scienze naturali non è imputato ad una base economica; a questa vengono imputati semplice­ mente i suoi «scopi» e il suo «materiale». Ma senza industria e commercio dove sarebbe la scienza della natura? Persino questa scienza «pura» della natura ottiene il suo scopo, così come ottiene il suo materiale, soltanto attra­ verso il commercio e l'industria, attraverso l'attività pratica de­ gli uomini27• Con lo stesso ragionamento, Engels afferma che la 26 Marx, Per la critica dell'economia politica, cit., p. 1 1 . 27 Marx ed Engels, L'ideologia tedesca, cit., p . 4 1 . Vedi anche F.

Engels, L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, Roma, Edi­ tori Riuniti, 1956, in cui si afferma che le necessità di una classe media in sviluppo spiegano la rinascita della scienza. L'affermazione che «sol­ tanto» il commercio e l'industria forniscono le mete è tipica delle defi­ nizioni estreme, e non documentate, dei rapporti sociali, definizioni che prevalgono specialmente nei primi scritti marxisti. Termini come «determinazione» non possono essere presi nel loro significato lettera­ le; sono usati caratteristicamente in un senso molto ampio. L'estensione reale delle relazioni fra attività intellettuale e fondamenti materiali non fu investigata da Marx o Engels.

860 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa stessa apparizione della concezione materialistica della storia di Marx fu determinata da «necessità», come è in­ dicato dal sorgere di dottrine analoghe di storici inglesi e francesi del periodo e dalla stessa concezione elaborata in­ dipendentemente da Morgan28 . Egli va ancora oltre sostenendo che la stessa teoria so­ cialista è un «riflesso» proletario del conflitto di classe moderno, così che qui, almeno, proprio il contenuto «del pensiero scientifico» è considerato socialmente determina­ to2 9, senza che per questo la sua validità sia viziata. Vi era, quindi, un'iniziale tendenza nel marxismo a considerare le scienze naturali in una relazione con la base economica differente da quella delle altre sfere della cono­ scenza e delle credenze. Nella scienza, il punto focale del­ l'interesse può essere socialmente condizionato, ma non, presumibilmente, il suo apparato concettuale. Sotto questo aspetto, si ritenne talvolta che le scienze sociali fossero si­ gnificativamente diverse dalle scienze naturali. La scienza sociale tendeva ad essere assimilata alla sfera dell'ideologia, secondo una tendenza sviluppata dagli ultimi marxisti con la discutibile tesi di una scienza sociale legata ad una classe e quindi inevitabilmente tendenziosa30, e nella pretesa che 2 8 L'esistenza di scoperte e invenzioni parallele e indipendenti è stata addotta frequentemente come «prova» della determinazione so­ ciale della conoscenza, nel corso del XIX secolo. Già nel 1828 Macau­ lay, nel suo saggio sul Dryden, aveva notato a proposito della invenzio­ ne del calcolo infinitesimale fatta da Newton e da Leibniz: «La scienza matematica, in verità, aveva raggiunto un tal punto, che se nessuno dei due fosse esistito, il principio sarebbe stato inevitabilmente stabilito da qualche persona entro pochi anni». Egli cita altri esempi. Gli industria­ li vittoriani condivisero il medesimo punto di vista di Marx ed Engels. Ai nostri stessi giorni, questa tesi, basata sulle duplici invenzioni indi­ pendenti, è stata specialmente sottolineata da D. Thomas, da Ogburn e da Vierkandt. 2 9 Engels, L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, cit. J O V.I. Lenin, Tre fonti e tre parti integranti del marxismo ( 1913 ) in Marx-Engels-Marxismo, Roma, Rinascita, 1952, pp. 61 -66. ,

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soltanto una «scienza proletaria» avesse una valida com­ prensione di certi aspetti della realtà sociale3 1 . Mannheim segue la tradizione marxista fino ad esclu­ dere le «scienze esatte» e la «conoscenza formale» da un condizionamento esistenziale, ma non la «scienza politica, sociale e storica e il pensiero della vita di ogni giorno»32 . La posizione sociale determina la «prospettiva», cioè «la maniera in cui un oggetto è visto, che cosa ciascuno per­ cepisce di esso e come lo si costruisce nel proprio pensie­ ro». La determinazione «situazionale» del pensiero non lo rende invalido; tuttavia limita l'ambito dell'indagine e del­ la sua validità33• Se Marx non differenziò nettamente la sovrastruttura, Scheler va all'altro estremo. Egli distingue un gran nume­ ro di forme di conoscenza. Per cominciare, vi sono le « Weltanschauungen relativamente naturali», vale a dire ciò che è accettato come dato, che non ha bisogno, né è su­ scettibile di giustificazione. Questi sono, per così dire, gli assiomi culturali dei gruppi, ciò che J oseph Glanvill, circa trecento anni fa, chiamò «clima d'opinione». Uno dei pri­ mi compiti della sociologia della conoscenza è quello di scoprire la legge di trasformazione di queste Weltanschau­ ungen. E dal momento che esse non sono necessariamente valide, ne segue che la sociologia della conoscenza non si 3 1 N. Bukharin, Teoria del materialismo storico. Manuale popolare di sociologia marxista, Firenze, La Nuova Italia, 1977; B. Hessen, So­ ciety at the Cross-Roads, London, Kniga, 1932, p. 154; A.I. Timeniev, Marxism and Modern Thought, New York, Harcourt, Brace, 1935, p. 3 10: «Soltanto il marxismo, soltanto l'ideologia della classe rivoluziona­ ria avanzata è scientifica». 32 Mannheim, Ideologia e utopia, cit., pp. 109-194; K. Mannheim, Die Bedeutung der Konkurrenz im Gebiete des Geistigen, in Verhand­ lungen des 6. deutschen Soziologentages, Tiibingen, Mohr, 1929 (trad. it. Il significato della concorrenza come fenomeno culturale, in Sociologia della conoscenza, Bari, Dedalo, 1974, pp. 223-266). 33 Mannheim, Ideologia e utopia, cit., pp. 269-288.

862 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa occupa soltanto di tracciare le basi esistenziali della verità, ma anche «della illusione sociale, della superstizione, degli errori socialmente condizionati e delle forme di ingan­ no»34 . Le Weltanschauungen costituiscono dei prodotti orga­ nici e si sviluppano soltanto nel corso di lunghi periodi di tempo. Esse sono scarsamente influenzate dalle teorie. Senza fornire dimostrazioni adeguate, Scheler afferma che esse possono mutare in qualche aspetto fondamentale solo attraverso la mescolanza delle razze oppure probabilmen­ te attraverso la «mescolanza» dei linguaggi e delle culture. Costruite sopra queste Weltanschauungen , che mutano così lentamente, sono le forme di conoscenza più «artifi­ ciali» che possono essere ordinate in sette classi, secondo il loro grado di artificiosità: l ) mito e leggenda; 2) cono­ scenza implicita nel linguaggio naturale; 3) conoscenza re­ ligiosa (che va dalle vaghe intuizioni emotive ai dogmi fis­ sati da una Chiesa) ; 4) tipi fondamentali della conoscenza mistica; 5 ) conoscenza filosofico-metafisica; 6) conoscenza positiva della matematica e delle scienze naturali e cultu­ rali; 7) conoscenza tecnologica35 . Tanto più artificiali sono questi ,tipi di conoscenza, tanto più rapidamente essi mu­ tano. E evidente, dice Scheler, che le religioni mutano as­ sai più lentamente delle varie metafisiche, e che queste ul­ time hanno una durata molto maggiore dei risultati delle scienze positive che mutano di ora in ora. Questa ipotesi del ritmo di cambiamento è, in qualche punto, somigliante alla tesi di Alfred Weber per cui il mutamento della civiltà è precedente al mutamento cultu­ rale, e con l'ipotesi di Ogburn per cui i fattori «materiali» mutano più rapidamente di quelli «non materiali». L'ipo­ tesi di Scheler ha le stesse limitazioni di queste altre e in

3 4 Scheler, La sociologia del sapere, cit. 35 Ibid.

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più alcuni difetti che le sono particolari. Egli non dice mai chiaramente che cosa indichi il suo principio di clas­ sificazione dei tipi di conoscenza, il principio che egli chiama «artificiosità». Perché, ad esempio, la «conoscenza mistica» è considerata più «artificiale» dei dogmi religio­ si? Egli non considera affatto quel che comporta l' affer­ mazione che un tipo di conoscenza muta più rapidamente di un altro. Si consideri la curiosa equazione che egli fa tra i nuovi «risultati» scientifici e i sistemi metafisici. Come si può paragonare il grado di mutamento della filo­ sofia neo-kantiana con il mutamento, diciamo, della teoria biologica dello stesso periodo? Scheler stabilisce spavalda­ mente sette possibili diversità di gradi di mutamento, ma naturalmente non dimostra empiricamente questa sua ela­ borata pretesa. Date le difficoltà che si incontrano nel ve­ rificare ipotesi molto più semplici, non si vede che cosa si guadagni ad esporre ipotesi complesse di questo tipo. Tuttavia, solo certi aspetti di questa conoscenza sono considerati sociologicamente determinati. Sulla base di cer­ ti postulati, che non è necessario considerare qui, Scheler continua affermando che: Il carattere sociologico di tutta la conoscenza di ogni forma di pensiero, di intuizione e di cognizione, è indiscutibile. Sebbe­ ne il contenuto e ancor meno la validità obiettiva di tutta la co­ noscenza non siano determinati dagli interessi sociali, questo si verifica tuttavia nella selezione degli oggetti della conoscenza. Inoltre, le «forme» dei processi mentali attraverso cui si acqui­ sta la conoscenza sono sempre e necessariamente determinate anche sociologicamente, cioè dalla struttura sociale36. Poiché la spiegazione consiste nel far risalire quello che è relativamente nuovo al conosciuto e consueto e poi­ ché la società è «meglio conosciuta» di qualunque altra 3 6 Ibid.

864 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa cosa37, ci si deve aspettare che i modi di pensiero e di in­ tuizione e la classificazione delle cose conoscibili siano «determinati anche» (mitbedingt) dalla divisione e classifi­ cazione dei gruppi compresi nella società. Scheler ripudia tranquillamente ogni forma di sociolo­ gismo. Egli cerca di evitare un relativismo radicale ritor­ nando ad un dualismo metafisica: postula un regno di «essenze eterne» che entrano in vari gradi nel contenuto del giudizio, un regno completamente distinto da quello della realtà storica e sociale che determina l'atto del giudi­ zio. Così Mandelbaum ha adeguatamente riassunto questo punto di vista: Il regno delle essenze è, per Scheler, un regno di possibilità fra cui noi, legati al nostro tempo e ai nostri interessi, scegliamo prima una serie e poi un'altra. Il centro di interesse che noi sto­ rici scegliamo dipende dalle nostre valutazioni sociologicamente determinate. Ciò che noi vediamo è determinato dalla serie dei valori assoluti ed eterni che sono impliciti nel passato che noi consideriamo38. Questo è veramente un opporsi al relativismo a parole. Semplicemente affermando che vi è una distinzione fra es­ senza ed esistenza si evita l'incubo del relativismo, esorciz­ zandolo. Il concetto di essenze eterne può esser congeniale al metafisica, ma è del tutto estraneo all' analisi empirica. È degno di nota che queste concezioni non hanno affatto una parte significativa nei tentativi empirici di Scheler di stabilire delle relazioni fra conoscenza e società. Scheler indica come differenti tipi di conoscenza siano 3 7 Vedi la medesima asserzione di Durkheim citata in questo capi­ tolo alla nota 13 . 38 M. Mandelbaum, The Problem o/ Historical Knowledge, New York, Liveright, 1938, p. 150; Sorokin pone una sfera simile di «idee infinite», per esempio nel suo Sociocultural Causality, Space, Time, Durham, Duke University Press, 1 943, p. 215, passim.

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legati a particolari gruppi. Il contenuto della teoria delle idee di Platone richiedeva la forma e l'organizzazione del­ l'Accademia platonica; così, l'organizzazione delle Chiese e delle sette protestanti fu determinata dal contenuto di quelle credenze che potevano esistere solo in questo e in nessun altro tipo di organizzazione sociale, come ha dimo­ strato Troeltsch. E, analogamente, i tipi Gemeinscha/t di società hanno un fondo di conoscenza tradizionalmente definita e che è presentata come conclusiva; essi non mi­ rano alla scoperta e all'estensione della conoscenza. In questi tipi di società, il tentativo stesso di verificare la co­ noscenza tradizionale, che significa metterla in dubbio, è blasfemo; la logica e il sistema di pensiero dominanti sono quelli di un'«ars demonstrandi» e non di un ' «ars invenien­ di» e i metodi sono prevalentemente antologici e dogmati­ ci, non epistemologici e critici. I suoi modi di pensiero sono quelli del realismo concettuale, non del nominali­ smo, come è invece nel tipo Gesellscha/t di organizzazio­ ne, e il suo sistema di categorie è organico e non meccani­ cistico39 . Durkheim estende l'indagine sociologica alla genesi sociale delle categorie di pensiero, basando la sua ipotesi su tre tipi presunti di evidenza. l) Il fatto delle variazioni culturali nelle categorie e nelle regole della logica «prova che esse dipendono almeno in p arte da fattori storici e di conseguenza sociali»40• 2) Dato che i concetti sono com­ presi proprio nel linguaggio che un individuo apprende (e questo è vero anche per la speciale terminologia dello scienziato) e dato che alcuni di questi termini concettuali 39 Scheler, La sociologia del sapere, cit.; si confronti un'analoga ca­ ratterizzazione delle «scuole sacre» di pensiero di F. Znaniecki, The Social Role of the Man of Knowledge, New York, Columbia University Press, 1 940, cap. 3 . 40 Durkheim, Le /orme elementari della vita religiosa, cit., pp. 15, 19, 479-480.

866 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa si riferiscono a cose di cui noi, come individui, non abbia­ mo mai fatto esperienza, è chiaro che essi sono un pro­ dotto della società41 . 3) L'accettazione o il rifiuto di con­ cetti non sono semplicemente determinati dalla loro validi­ tà oggettiva, ma anche dalla loro coerenza con altre cre­ denze dominanti42 • Pure, Durkheim non accetta un tipo di relativismo in cui vi siano semplicemente concorrenti criteri di validità. L 'origine sociale delle categorie non le rende completa­ mente arbitrarie per quel che riguarda la loro applicabilità alla natura. Esse sono, in vari gradi, adeguate al loro og­ getto. Ma poiché le strutture sociali variano (e con loro varia anche l 'apparato classificatorio) , vi sono inevitabili elementi «soggettivi» nelle costruzioni logiche che sono p articolari di una società e diffuse in essa. Questi elementi soggettivi «devono essere progressivamente eliminati se vogliono accostarsi maggiormente alla realtà». E ciò avvie­ ne sotto determinate condizioni sociali. Con l'estensione dei contatti fra culture diverse, con la diffusione delle co­ municazioni fra persone appartenenti a diverse società, con l'espansione della società, gli schemi di riferimento provinciali sono distrutti. «Le cose non possono più esse­ re contenute negli schemi sociali in cui erano classificate in origine; esse richiedono di venir organizzate secondo principi che siano loro propri di modo che l' organizzazio­ ne logica si differenzia dall'organizzazione sociale e diven­ ta autonoma. Il pensiero veramente e propriamente uma­ no non è un dato primitivo ma è un prodotto storico»43. In p articolare, questi concetti soggetti ad una critica scientifica condotta metodicamente vengono ad avere una maggiore adeguatezza oggettiva. L'oggettività stessa è con­ siderata un risultato sociale. 41 lbid. , 42 Ibid., 43 lbid. ,

pp. 472-473 . p. 478. pp. 477, 485.

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In tutta la sua opera, questa dubbia epistemologia è connessa con le spiegazioni empiriche che Durkheim dà delle radici sociali delle designazioni concrete di unità spaziali, temporali e di altro genere. Non occorre che in­ dulgiamo nella tradizionale, enfatica affermazione che le categorie devono essere entità indipendenti e conosciute precedentemente, per notare che Durkheim non trattava di esse ma di divisioni convenzionali di tempo e di spazio. Egli ha osservato, in un punto, che le differenze notate a questo proposito non dovrebbero portarci a «trascurarne le somiglianze, che non sono meno essenziali». Se egli fu un pioniere nel collegare le variazioni dei sistemi concet­ tuali alle variazioni nell'organizzazione sociale, non riuscì però a stabilire l'origine sociale delle categorie. Come Durkheim, Granet attribuisce una grande im­ portanza al linguaggio, considerato come lo strumento che raccoglie e fissa i concetti e i modi di pensiero preva­ lenti. Egli ha mostrato come la lingua cinese non sia adat­ ta a notare concetti, analizzare idee o presentare dottrine in modo discorsivo; essa non ha raggiunto una precisione formale. La parola cinese non denota una nozione con un grado definito di astrazione e di generalità, ma evoca un complesso indefinito di immagini particolari. Così, non vi è una parola che significhi semplicemente «un vecchio». Vi sono invece un certo numero di parole che «dipingono aspetti diversi della vecchiaia», come K'i, quelli che ri­ chiedono una dieta sostanziosa, K'ao, quelli che hanno difficoltà di respirazione, e così via. Queste concrete evo­ cazioni comportano moltissime altre immagini concrete di ogni p articolare del modo di vita dei vecchi: quelli che devono essere esentati dal servizio militare, quelli per cui deve tenersi pronto l'abbigliamento funebre, quelli che hanno diritto di portare il bastone per la strada, ecc. Que­ ste sono soltanto alcune delle immagini che evoca la paro­ la K'i che, in generale, corrisponde alla nozione quasi uni­ ca della persona anziana, di circa 60-70 anni d'età. Le pa-

868 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa role e le frasi hanno così un carattere interamente concre­ to, emblematico44• Proprio come la lingua è concreta ed evocativa, così le idee più generali dell'antico pensiero cinese sono sempre concrete, in nessun modo p aragonabili alle nostre idee astratte. Nemmeno il tempo e lo spazio sono concepiti astrattamente. Il tempo procede per cicli ed è circolare, lo spazio è quadrato. La terra è quadrata e divisa in quadra­ ti; le mura delle città, i prati e i campi dovrebbero forma­ re un quadrato. I campi, gli edifici e le città debbono es­ sere orientati in un determinato modo e la scelta del giu­ sto orientamento è affidata ad un capo rituale. Le tecni­ che della divisione e della sistemazione dello spazio - svi­ luppo della città, architettura, geografia politica - e le speculazioni geometriche che esse presuppongono sono tutte collegate ad un insieme di regole sociali. In partico­ lare, poiché vengono trattate nel corso di assemblee perio­ diche, esse riaffermano e rinforzano in ogni particolare i simboli che rappresentano lo spazio. Esse rendono conto della forma quadrata, del carattere gerarchico ed eteroge­ neo di un concetto di spazio che avrebbe potuto sorgere solo in una società feudale45 • Sebbene Granet possa aver stabilito le basi sociali di concrete designazioni di spazio e di tempo, non è del tutto chiaro che egli tratti di dati paragonabili alle concezioni occidentali. Egli considera concezioni tradizionali o rituali­ stiche o magiche e implicitamente le paragona alle nostre nozioni positive, tecniche e scientifiche. Ma in un ampio raggio di pratiche concrete, i cinesi non agivano in base al­ l'assunzione che «il tempo è rotondo» e lo «spazio qua­ drato». Quando si prendono in considerazione sfere para-

44 Granet, La Pensée Chinoise, cit., pp. 37-38, 82 e l'intero primo capitolo. 45 Ibid., pp. 87-95.

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gonabili di attività e di pensiero, è dubbio che vi sia que­ sta diversità radicale di «sistemi di categorie», nel senso che non vi sono denominatori comuni del pensiero e della concettualizzazione. Granet ha dimostrato le differenze qualitative di concetti in certi contesti, ma non entro con­ testi paragonabili come può essere quello dei metodi tec­ nici. Il suo lavoro ha dimostrato che vi sono differenti cen­ tri di interessi intellettuali nelle due sfere e, entro la sfera ritualistica, fondamentali differenze di punti di vista, ma non una scissione insormontabile in altre sfere. La fallacia che è molto più evidente nel concetto di Levy-Bruhl della «pre-logicità» della mente primitiva appare anche nel la­ voro di Granet. Come hanno dimostrato Malinowski e Rivers, quando si esaminano sfere paragonabili di pensiero e di attività, tali irriducibili differenze non si trovano46. Sorokin segue la stessa tendenza di attribuire criteri · del tutto diversi di verità ai suoi differenti tipi culturali. Egli ha espresso con una terminologia tutta particolare il fenomeno degli spostamenti dei centri di interesse intellet­ tuale da parte delle élites intellettuali nelle diverse società storiche. In alcune società, centro di interesse sono i con­ cetti religiosi e particolari tipi di metafisica, mentre in al­ tre questi centri sono costituiti dalle scienze empiriche. Ma numerosi «sistemi di verità» coesistono in ciascuna di queste società per particolari sfere: la Chiesa cattolica non ha abbandonato i suoi criteri «ideativi» anche nella nostra epoca «sensista». Poiché Sorokin adotta criteri di verità radicalmente 46 Cfr. B. Malinowski in Magie, Science and Religion, Glencoe, The Free Press, 1948 (trad. it. Magia, scienza e religione, Roma, Newton Compton, 1976): «Ogni comunità primitiva è in possesso di un considerevole ammontare di conoscenza, basata sull'esperienza e orientata dalla ragione». Vedi anche E. Benoit-Smullyan, Granet's La Pensée Chinoise, in «American Sociological RevieW>>, 1 936, I, pp. 487492.

870 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa differenti e disparati, egli deve necessariamente collocare il suo lavoro in questo contesto. Si può dire, sebbene sia necessaria una discussione molto più ampia per documen­ tare questo fatto, che egli non risolve mai questo proble­ ma. I suoi vari tentativi di far fronte ad una impasse radi­ calmente relativistica differiscono notevolmente. Così, in principio, egli afferma che le sue costruzioni devono venir verificate come «una qualunque legge scientifica. Per pri­ ma cosa, il principio deve essere di natura logica; secon­ do, deve superare la prova dei "fatti rilevanti" , cioè deve accordarsi e rappresentare i fatti»4 7 . Sorokin adotta così, per usare la sua stessa terminologia, una posizione scienti­ fica tipica di «un sistema sensista di verità». Ma quando egli esamina direttamente la sua posizione epistemologica, egli adotta una concezione «integralista» della verità che cerca di assimilare sia i criteri empirici e logici sia un «so­ prasensibile, soprarazionale, metalogico atto di "intuizio­ ne" o di "esperienza mistica"»48 . Egli propone quindi un'integrazione di questi diversi sistemi. Per giustificare «la verità di fede» - l'unico elemento che lo allontanerebbe dai normali criteri usati nel lavoro scientifico corrente egli afferma che «l'intuizione» ha un ruolo importante quale fonte di scoperte scientifiche. n problema non è quello delle fonti psicologiche di conclusioni valide, ma quello dei criteri e dei metodi di verz/ica. Quali criteri adotterebbe Sorokin quando le intuizioni «soprasensibili» fossero in contrasto con l'osservazione empirica? In tali casi, presumibilmente, se giudichiamo dal suo lavoro piut­ tosto che dai commenti sul suo lavoro, egli accetterebbe i fatti e respingerebbe l'intuizione. Tutto ciò fa pensare che Sorokin sotto il nome generico di «verità» stia discutendo di tipi di giudizio diversi e non comparabili; come l'analisi

47 Sorokin, La dinamica soCiale e culturale, cit., I e II. 48 Ibid., IV, cap. 16; Sociocultural Causality, cit., cap. V.

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chimica di un quadro ad olio non è né coerente né incoe­ rente con la valutazione estetica dello stesso, così i sistemi di verità di Sorokin si riferiscono a tipi completamente di­ versi di giudizio. E, invero, questa è proprio la sua affer­ mazione finale, quando dice che «ogni sistema di verità, all'interno del suo legittimo campo di competenza, ci of­ fre una conoscenza vera dei rispettivi aspetti della real­ tà»49 . Ma qualunque sia la sua opinione personale sull'in­ tuizione, egli non può introdurla nella sua sociologia come un criterio (piuttosto che come una fonte) di con­ clusioni valide. 5 . Relazioni della conoscenza con la base esistenziale Sebbene questo problema sia evidentemente il nucleo di ogni teoria nel campo della sociologia della conoscen­ za, esso è stato spesso trattato implicitamente piuttosto che direttamente. Eppure ogni tipo di rapporto che si considera esistente fra conoscenza e società presuppone un'intera teoria di metodo sociologico e di causalità socia­ le. Le teorie prevalenti in questo campo hanno considera­ to uno o due dei più importanti tipi di rapporto: quello causale o funzionale e quello simbolico o organico o si­ gnificativo5 0. Marx ed Engels, naturalmente, trattano solo di un tipo di rapporto causale tra la base economica e le idee, e definiscono questo rapporto in diversi modi: «determina­ zione, corrispondenza, riflesso, prodotto, dipendenza», ecc. Inoltre, vi è un rapporto di «interesse» o «bisogno».

49 Sociocultural Causality, cit., pp. 230-23 1 . 5 0 Le distinzioni fra questi tipi sono state a lungo tenute presenti

nel pensiero sociologico europeo. La discussione più approfondita ne· gli Stati Uniti è quella di Sorokin, in Social and Cultura! Dynamics, cit.

872 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa Quando gli strati sociali hanno in un determinato stadio del loro sviluppo storico determinati bisogni (attribuiti) , si afferma che esiste una precisa pressione affinché siano svi­ luppate idee e conoscenze appropriate. Le insufficienze di queste varie formulazioni hanno creato gravi difficoltà per coloro che, al giorno d'oggi, si collocano nella tradizione marxista5 1• Dato che, come abbiamo visto, Marx ritiene che il pensiero non sia un semplice «riflesso» della posizione obiettiva di classe, sorge nuovamente il problema delle sua attribuzione ad una determinata base. Le prevalenti ipotesi marxiste che affrontano questo problema implica­ no una teoria della storia che è la base per determinare se l'ideologia sia «adeguata alla situazione» di un dato strato nella società. Questo richiede una costruzione ipotetica di ciò che gli uomini penserebbero e percepirebbero se fossero in grado di capire adeguatamente la situazione storica52 • Ma questa comprensione della situazione non è, in realtà, necessariamente diffusa nei concreti strati sociali particola­ ri. Ciò conduce, quindi, all'altro problema della «falsa co­ scienza», di come cioè ideologie che non sono né confor­ mi agli interessi di una classe, né adeguate alla situazione, giungano a prevalere. Una spiegazione empirica parziale della «falsa coscien­ za», suggerita nel Manz/esto, poggia sull'idea che la bor­ ghesia controlli il contenuto della cultura e diffonda così dottrine e valori che sono estranei agli interessi del prole51 Cfr. i commenti di H. Speier, The Social Determination o/ Ideas, in «Social Research», 1938, 5, pp. 182-205; C. Wright Milis, Language, Logic and Culture, in «American Sociological Review», 1939, 4, pp. 670-680. 52 Cfr. la formulazione di Mannheim, Ideologia e utopia, cit., pp. 175 ss.; G. Lukacs, Geschichte und Klassenbewusstsein, Berlin, 1923 (trad. it. Storia e coscienza di classe, Milano, Sugar, 1 967 , pp. 60 ss.); A. Child, The Problem o/ Imputation in the Sociology o/ Knowledge, in «Ethics», 194 1 , 5 1 , pp. 200-219.

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tariato53 . O, in termini più generali, «le idee dominanti di ogni epoca sono sempre state le idee della sua classe do­ minante». Ma questa è solo una spiegazione parziale; al massimo si riferisce alla falsa coscienza della classe subor­ dinata. Può spiegare parzialmente, ad esempio, il fatto no­ tato da Marx che anche quando il contadino piccolo pro­ prietario «appartiene per la sua posizione al proletariato, egli non crede di appartenerci». Ma non è una spiegazio­ ne per la falsa coscienza della stessa classe dominante. Vi è un altro tema, che si trova in tutta la teoria marxista, che tratta del problema della falsa coscienza. È questa la concezione dell'ideologia come espressione invo­ lontarza e inconsapevole dei «motivi reali», a loro volta in­ tesi come gli interessi obiettivi delle classi sociali. Pertan­ to, vi è una ripetuta accentuazione del carattere involonta­ rio delle ideologie: L'ideologia è un processo compiuto dal così detto pensato­ re in modo cosciente, in verità, ma con una falsa coscienza. I motivi reali che lo spingono gli rimangono sconosciuti, vicever­ sa non si tratterebbe affatto di un processo ideologico. Quindi egli immagina motivi falsi o apparenti54. L' ambiguità del termine «corrispondenza» in riferi­ mento alla connessione fra la base materiale e le idee può essere ignorata soltanto dal polemista fanatico. Le ideolo­ gie sono concepite come «distorsioni della situazione so­ ciale»55 , come semplici «espressioni» delle condizioni ma53 «In quanto dominano come classe e determinano l'intero ambi­ to di un'epoca storica, è evidente che essi lo fanno in tutta la loro estensione, e quindi fra l'altro dominano come pensanti, come produt­ tori di idee che regolano la produzione e la distribuzione delle idee del loro tempo . .. ». Marx ed Engels, L'ideologia tedesca, cit., p. 43 . 54 Lettera di F. Engels a Mehring, 14 luglio 1893 . 55 Marx, Il diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte, cit., p. 40, in cui i democratici Montagnardi indulgono all'autoinganno.

87 4 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa teriali5 6, e «distorte» o no, come appoggi motivazionali per attuare reali mutamenti nella società57• È in connessio· ne con quest'ultima interpretazione, quando si considera che credenze «illusorie» possono fornire dei motivi per l'azione, che il marxismo attribuisce alle ideologie un cer­ to grado di autonomia nel processo storico. Esse non sono più semplici epifenomeni, ma raggiungono una certa indipendenza. Da ciò deriva la nozione di fattori intera­ genti per cui si ritiene che la sovrastruttura, nonostante si trovi in un rapporto di interdipendenza con la base mate­ riale, è considerata anch'essa, in una certa misura, indi­ pendente. Engels riconobbe esplicitamente che le formu­ lazioni precedenti erano inadeguate almeno sotto due punti di vista: primo, tanto lui che Marx avevano prece­ dentemente sopravvalutato il fattore economico e sottova­ lutato il ruolo dell'interazione reciproca58 ; e secondo, essi avevano «trascurato» l'aspetto formale, vale a dire il mo­ do in cui queste idee si sviluppano59 . I punti di vista di Marx ed Engels sulla connessione fra idee e struttura economica sostengono, quindi, che que­ st'ultima costituisce lo schema che limita i sistemi di idee che si dimostreranno socialmente effettivi. Idee che non sono pertinenti con l'una o con l'altra classe in conflitto potranno sorgere, ma avranno scarsi effetti. Le condizioni economiche sono necessarie, ma non sufficienti, per l'emergere e il diffondersi di idee che esprimono o gli inte-

56 Engels, L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, cit. «L'inestirpabilità dell'eresia protestante corrispondeva all'invincibilità della sorgente borghesia ... Ivi il Calvinismo si mantenne come il vero travestimento religioso degli interessi della borghesia d'allora... ». Cfr. Engels, Ludwig Feuerbach, cit., pp. 37-38. 57 Marx concede il significato di motivo alle «illusioni» della sor­ gente borghesia. Il diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte, cit., p. 1 1 . 58 F . Engels, lettera a ]. Bloch, 2 1 settembre 1890. 59 F. Engels, lettera a Mehring, 14 luglio 1893 .

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ressi o i punti di vista, o l'una e l'altra cosa di strati sociali distinti. Non vi è una precisa e diretta determinazione delle idee da parte delle condizioni economiche, ma queste ulti­ me predisporranno in modo definito l'insorgenza di deter­ minate idee. Conoscendo le condizioni economiche si può predire che tipi di idee possono esercitare un'influenza di controllo in una direzione che può essere efficace. «Gli uo­ mini fanno la propria storia, ma non la fanno come a loro piacerebbe; la fanno in circostanze che essi trovano diretta­ mente, che sono date e trasmesse dal passato». E nel fare la storia, le idee e le ideologie svolgono un ruolo ben preci­ so. Si consideri soltanto la concezione della religione come «oppio dei popoli» e anche l'importanza che Marx ed En­ gels attribuiscono al fatto di rendere «consapevoli» dei «loro interessi» i membri del proletariato. Poiché non vi è fatalità nello sviluppo della struttura sociale totale, ma solo uno sviluppo delle condizioni economiche che rendono possibili e probabili certe direzioni di mutamento, i sistemi di idee possono avere un'importanza decisiva nella scelta di un'alternativa. Essi possono rendere possibile la scelta di un'alternativa che «corrisponda» al reale equilibrio del potere piuttosto che di un'altra alternativa che sia contraria alla situazione obiettiva del potere e perciò destinata ad es­ sere instabile, precaria e temporanea. Vi è un impulso ob­ bligatorio e decisivo che deriva dallo sviluppo economico, ma esso non agisce con un fine così preciso che non vi pos­ sano essere variazioni di idee. La teoria marxista della storia afferma che, presto o tardi, i sistemi di idee che sono incompatibili con la strut­ tura del potere prevalente e con quella che appena si de­ termina saranno respinti a favore di quelli che esprimono più precisamente la concreta distribuzione del potere. È questo il concetto che Engels esprime nella sua metafora del «corso a zigzag» dell'ideologia astratta: le ideologie possono temporaneamente deviare da ciò che è compati­ bile con i concreti rapporti sociali di produzione, ma esse

87 6 La soàologia della conoscenza e le comunicazioni di massa alla fine sono riportate nella giusta direzione. Per questa ragione, l'analisi marxista dell'ideologia è sempre legata alla situazione storica «totale», in modo da poter spiegare sia le deviazioni temporanee sia il successivo adattamento delle idee alle determinanti economiche. Per questa stessa ragione, tuttavia, le analisi marxiste sono soggette ad un grado eccessivo di «flessibilità», per cui quasi ogni svilup­ po può essere interpretato come una deviazione o aberra­ zione temporanea. In questo modo i termini «anacroni­ smo» e «ritardi» diventano le etichette che spiegano con troppa facilità le credenze esistenti che non corrispondo­ no alle aspettative teoriche, e il concetto di «accidente» fornisce uno strumento facile per salvare la teoria da quei fatti che sembrano minacciare la sua validità60 . Quando una teoria comprende concetti come «ritardi», «pressio­ ni», «anacronismi», «accidenti», «interdipendenza parzia­ le» e «dipendenza ultima», essa diventa così vaga e indi­ stinta che può accordarsi virtualmente con qualunque configurazione di dati. Qui, come in numerose altre teorie della sociologia della conoscenza, bisogna formulare una domanda fondamentale per vedere se ci troviamo di fron­ te ad un'autentica teoria: come smentire la teoria? In ogni situazione storica determinata, quali sono i dati che con­ traddicono o smentiscono la teoria? A meno che non si possa rispondere a questa domanda, a meno che la teoria non implichi delle affermazioni che possono essere smen­ tite da certi tipi specifici di dati, rimane soltanto una pseudo-teoria che sarà applicabile a tutti i tipi di dati. Sebbene Mannheim abbia notevolmente sviluppato i procedimenti di ricerca della sociologia della conoscenza, tuttavia non ha sufficientemente chiarito le connessioni tra pensiero e società6 1 . Come egli ha indicato, una volta 60 Cfr. Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, cit., pp. 79-84. 61 Questo aspetto dell'opera del Mannheim è trattato dettagliata·

mente nel capitolo seguente.

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che si è analizzata una data struttura di pensiero, sorge il problema di attribuirla a gruppi definiti. Ciò richiede non solo un'indagine empirica dei gruppi e degli strati che pensano prevalentemente in questi termini, ma anche un'interpretazione del perché questi gruppi e non altri manifestino questo tipo di pensiero. Quest'ultimo interro­ gativo comporta una psicologia sociale che Mannheim non ha sviluppato sistematicamente. Per quel che riguarda Durkheim, la più grave lacuna della sua analisi sta precisamente nella sua accettazione acritica di una semplicistica teoria di corrispondenza che ritiene le categorie del pensiero come «una riflessione» di certe caratteristiche dell'organizzazione di gruppo. Così, «in Australia e nell'America settentrionale esistono società in cui lo spazio è concepito sotto forma di un cerchio im­ menso perché l'accampamento ha anch'esso una forma cir­ colare [ . . .] l'organizzazione sociale è stata il modello del­ l' organizzazione spaziale che ne costituisce quasi la co­ pia»62 . In maniera analoga, la nozione generale di tempo è dedotta dalle specifiche unità di tempo che si differenzia­ no a causa delle attività sociali (cerimonie, feste, riti) 63 . La categoria di classe e i modi di classificazione, che implica­ no la nozione di gerarchia, sono derivati dal raggruppa­ mento e dalla stratificazione sociale. Queste categorie so­ ciali sono quindi proiettate «nella nostra rappresentazione del mondo»64 • In conclusione, quindi, le categorie «espri­ mono» i differenti aspetti dell'ordine socialé5 • La sociolo­ gia della conoscenza di Durkheim risente della mancanza di una psicologia sociale. Per Scheler, il rapporto fondamentale fra idee e fattori

62 Durkheim, Le /orme elementari della vita religiosa, cit., pp. 13-14. 63 Ibid. , p. 12 64

Ibid. , pp. 157-161. pp. 481 -482.

65 Ibid.,

878 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa esistenziali è l'interazione. Le idee interagiscono con i fat­ tori esistenziali che servono da agenzie di selezione, allar­ gando o riducendo l'ambito in cui idee potenziali trovano una concreta espressione. I fattori esistenziali non «crea­ no» o «determinano» il contenuto delle idee: essi sono semplicemente responsabili della dzf/erenza fra potenziali­ tà e concretezza; essi impediscono, ritardano o accelerano l' attuazione delle idee potenziali. In un'immagine che ri­ corda l'ipotetico demone di Clerk Maxwell, Scheler affer­ ma: «in un ordine e in un modo definito, i fattori esisten­ ziali aprono e chiudono le chiuse al flusso delle idee». Questa formulazione, che attribuisce ai fattori esistenziali la funzione di selezionare da un sistema chiuso di idee, è, secondo Scheler, un punto fondamentale di accordo fra teorici altrimenti discordi come Dilthey, Troeltsch, Max Weber ed egli stesso66 • Scheler adopera anche il concetto di «identità struttu­ rali», che si riferisce ai presupposti comuni delle cono­ scenze e delle credenze, da un lato, e della struttura socia­ le, economica e politica dall' altro67 . Così, il sorgere del pensiero meccanicistico nel XVI secolo, che riuscì a pre­ valere sul precedente pensiero organicistico, è inseparabile dal nuovo individualismo, dal nuovo impiego della mac­ china a vapore che sostituisce gli strumenti manuali, dal­ l'incipiente dissoluzione della produzione Gemeinschaft e la nascita di quella Gesellscha/t, dal diffondersi del princi­ pio della competizione nell'ethos della società occidentale. La nozione della ricerca scientifica come processo senza fine, per cui una massa di conoscenze può essere accumu­ lata e utilizzata per scopi pratici quando vi siano esigenze particolari, e il netto distacco di questa scienza dalla teo­ logia e dalla filosofia non sarebbero stati possibili prima 66 Scheler, Die Wissens/ormen und die Gesellscha/t, cit., 67 Ibid. , p. 56.

p. 32.

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del sorgere del nuovo principio dell'acquisizione illimitata caratteristico del capitalismo moderno68 . Nel discutere tali identità strutturali, Scheler non attri­ buisce priorità né alla sfera economico-sociale né alla sfe­ ra della conoscenza. Piuttosto, e ciò è considerato da Scheler come una delle affermazioni più significative in questo campo, ambedue sono determinate dalla struttura degli impulsi dell'élite che è strettamente legata all'ethos prevalente. Così, la moderna tecnologia non è semplice­ mente l'applicazione di una scienza pura che si basa sul­ l'osservazione, la logica e la matematica, quanto il prodot­ to di un orientamento verso il controllo della natura che definisce sia gli scopi sia la struttura concettuale del pen­ siero scientifico. Questo orientamento è prevalentemente sottinteso e non deve essere confuso con i motivi persona­ li degli scienziati. Con il concetto di identità strutturale, Scheler si avvi­ cina al concetto di integrazione culturale o Sinnzusam­ menhang. Esso corrisponde al concetto di Sorokin di un «sistema culturale significativo» che implica «l'identità dei principi fondamentali e dei valori che permeano tutte le sue parti» e che è distinto dal «sistema causale» che com­ porta l'indipendenza delle parti69 . Avendo costruito i suoi tipi di cultura, l'esame di Sorokin dei criteri di verità, del­ l' antologia, la metafisica, la produzione scientifica e tecno­ logica, ecc. ha una notevole tendenza ad integrare signifi­ cativamente tutti questi criteri con la cultura prevalente. Sorokin ha audacemente affrontato il problema del modo in cui può essere determinato il grado di questa in­ tegrazione, riconoscendo, a dispetto dei suoi commenti corrosivi sugli statistici della nostra era sensista, che il trattare della estensione e del grado di integrazione com-

68 Ibid. , p. 25 ; cfr. pp. 482-484. 69 Sorokin, La dinamica sociale e culturale, cit., IV, cap.

l; I, cap. l .

880 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa porta necessariamente alcune misure statistiche. Di conse­ guenza, egli ha sviluppato degli indici numerici dei vari scritti e autori di ogni periodo, li ha classificati nella cate­ goria appropriata e ha stabilito così la frequenza (e l'in­ fluenza) comparativa dei vari sistemi di pensiero. Qualun­ que sia il giudizio tecnico sulla validità e attendibilità di queste statistiche culturali, egli ha direttamente ricono­ sciuto il problema, trascurato da molti studiosi della cul­ tura integrata o Sinnzusammenhiingen, del grado approssi­ mativo e dell'estensione di tale integrazione. Inoltre, egli basa le sue conclusioni empiriche, in misura notevole, su tali statistiche70• E queste conclusioni dimostrano nuova­ mente che la sua impostazione conduce alla definizione del problema delle connessioni fra basi culturali e cono­ scenza piuttosto che alla sua soluzione. Prendiamo un esempio. L' «empirismo» è definito come il tipico sistema sensista di verità. Gli ultimi cinque secoli, e particolar­ mente il secolo scorso, rappresentano «la cultura sensista per eccellenza ! »71. Pure, anche in questa alta marca di cultura sensista, gli indici statistici di Sorokin mostrano che solo il 53 % degli scritti più significativi sono nell'area dell'«empirismo». E nei secoli precedenti di questa cultu­ ra sensista - dal tardo secolo XVI alla metà del XVIII gli indici dell'empirismo sono notevolmente più bassi di quelli del razionalismo (che si associa, presumibilmente, 70 Nonostante il posto fondamentale di queste statistiche nelle sue scoperte empiriche, Sorokin adotta un atteggiamento curiosamente am­ bivalente verso di esse, un atteggiamento simile a quello che si attribui­ sce a Newton di fronte all'esperimento: un modo per rendere le sue prime conclusioni «intelligibili e tali da convincere gli ignoranti». Si noti l'approvazione di Sorokin all'affermazione di Park secondo cui le sue statistiche sono soltanto una concessione alla dominante mentalità sensista: «se essi le desiderano, che le abbiano». Sorokin, Sociocultural Causality, cit., p. 95 . L'ambivalenza di Sorokin sorge dal suo sforzo di integrare «sistemi di verità» del tutto opposti. 71 Sorokin, La dinamica sociale e culturale, cit., II.

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con una cultura idealista piuttosto che sensista) 72 • Lo sco­ po di queste nostre osservazioni non è di sollevare il pro­ blema se le conclusioni di Sorokin coincidano con i suoi indici statistici, non è quello di chiedersi perché su questi dati si possa affermare che il XVI e il XVII secolo abbia­ no un «sistema sensista di verità». Il nostro fine, piutto­ sto, è quello di indicare che persino con le premesse di Sorokin, le caratterizzazioni generali delle culture storiche costituiscono soltanto un primo passo, cui devono seguire le analisi delle deviazioni dalle tendenze centrali della cul­ tura. Una volta introdotta la nozione del grado di integra­ zione, i tipi di conoscenza esistenti che non sono integrati con le tendenze dominanti, non possono semplice�ente venir considerati come «aggregati» o «contingenze». E ne­ cessario accertare le loro basi sociali in un modo in cui la teoria «emanazionista» è incapace di fare. Un concetto fondamentale che serve a differenziare le generalizzazioni sul pensiero e la conoscenza di un'intera società o cultura, è quello del «pubblico» o dell'«udito­ rio» o ciò che Znaniecki chiama il «circolo sociale». Colo­ ro che ricercano la conoscenza, o più in generale, gli in­ tellettuali, non si rivolgono esclusivamente ai loro dati o alla società totale, ma si riferiscono a speciali settori della società, che hanno loro particolari esigenze, loro criteri di validità, di conoscenze significative, di problemi pertinen­ ti, ecc. Gli intellettuali organizzano il proprio lavoro, defi­ niscono i loro dati, trattano di particolari problemi in se­ guito alla previsione di quelle che sono le richieste e le aspettative di questi pubblici particolari, che possono es­ sere effettivamente localizzati nella struttura sociale. Quin­ di, quanto più differenziata è la società, quanto maggiore il raggio di questo pubblico effettivo, tanto maggiore sarà la varietà dei punti focali dell'interesse scientifico, delle 72 Ibid. , parte Il.

882 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa formulazioni concettuali e delle metodologie di verifica. Collegando ciascuno di questi pubblici tipologicamente definiti alla loro particolare posizione sociale, è possibile fornire una spiegazione wissenssoziologische delle variazio­ ni e dei conflitti di pensiero all'interno di ciascuna socie­ tà, un problema questo che è necessariamente trascurato da qualunque teoria «emanazionistica». Così, gli scienziati francesi e inglesi del XVII secolo, che si erano organizzati in nuove società scientifiche, si rivolgevano ad un pubbli­ co molto diverso da quello a cui si rivolgevano i sapienti che erano rimasti nelle università tradizionali. La direzio­ ne dei loro sforzi verso una indagine «semplice, sobria ed empirica» di problemi specifici sia tecnici sia scientifici era notevolmente diversa dal lavoro speculativo e non sperimentale degli studiosi delle università. Cercare queste variazioni nei pubblici effettivi, esplorare i loro distinti criteri per una conoscenza valida e significativa73 , collegar­ li alle loro posizioni nella società ed esaminare i processi sociopsicologici attraverso cui questi criteri operano per determinare certi modi di pensiero, è un procedimento che promette di condurre la ricerca nel campo della so­ ciologia della conoscenza dal piano dell'affermazione ge­ nerale a quello dell'indagine empirica dimostrativa74• 73 Il concetto di Rickert-Weber della «Wertbeziehung» (relazione al valore) non è che un primo passo in questa direzione; rimane il compito ulteriore di differenziare i vari ordini di valori e di riferirli a gruppi o strati distinti entro la società. 74 Questa è forse la variazione più netta nella sociologia della co­ noscenza che ora si sviluppa nei circoli sociologici americani e può quasi essere considerata come una forma di assimilazione americana della impostazione europea. Questo sviluppo deriva in modo caratteri­ stico dalla psicologia sociale di G.H. Mead. La sua pertinenza in que­ sta connessione è indicata da C.W. Milis, Gerard De Gré ed altri. Vedi la concezione del «circolo sociale» di Znaniecki, in The Social Role o/ Man o/ Knowledge. Vedi, anche, gli inizi delle scoperte empiriche su queste linee nel campo più generale delle comunicazioni pubbliche: in­ fra, cap. XVI.

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Il sommario precedente tratta del contenuto essenziale delle prevalenti teorie in questo campo. Limiti di spazio ci permettono solo di considerare, nel modo più breve pos­ sibile, un altro aspetto di queste teorie, individuato nel nostro paradigma: le funzioni attribuite ai vari tipi di pro­ dotti mentali75 .

6. Funzioni della conoscenza condizionata esistenzialmente Oltre a fornire spiegazioni causali della conoscenza, teorie in questo campo attribuiscono ad essa delle funzio­ ni sociali, funzioni che presumibilmente servono a spiega­ re la sua persistenza e il suo mutamento. Queste analisi funzionali non possono essere esaminate dettagliatamente in questa sede, anche se un loro esame particolare sareb­ be senza dubbio istruttivo e ricco di conseguenze. L'aspetto tipico del concetto marxista della funziona­ lità è il fatto che la conoscenza non è attribuita alla socie­ tà nel suo complesso ma a specifici stati sociali all'interno della società. E ciò vale non solo per il pensiero ideolo­ gico, ma anche per le scienze naturali. Nella società capi­ talista, la scienza, e la tecnologia che da essa deriva, diventano un ulteriore strumento di controllo nelle mani della classe dominante76 • Lungo le stesse linee, nel ricer­ care le determinanti economiche dello sviluppo scientifi-

75 Una valutazione delle impostazioni storicistiche e astoriche è necessariamente omessa. Si può osservare che la controversia dà luogo ad una via di mezzo. 76 Per esempio, Marx cita fra i sostenitori del capitalismo nel XIX secolo, Ure, che, parlando dell'invenzione del selfacting mule disse: «Era destinata a restaurare l'ordine fra le classi industriali ... Questa in­ venzione conferma la dottrina già da noi sviluppata che il capitale, spingendo la scienza al proprio servizio, costringe sempre alla docilità la mano ribelle del lavoro» (Il Capitale, cit., l, 2, p. 144).

884 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa co, i marxisti hanno spesso ritenuto che fosse sufficiente mostrare come i risultati scientifici permettessero di far fronte ad alcuni bisogni tecnologici o economici. Ma il fatto che la scienza venga applicata non prova necessaria­ mente che il bisogno abbia significativamente determinato il raggiungimento del risultato. Le funzioni iperboliche furono scoperte due secoli prima che esse avessero alcun significato pratico e lo studio delle sezioni coniche ebbe un'irregolare storia di due millenni prima che esse fossero applicate nella scienza e nella tecnologia. Possiamo noi presumere, dunque, che i «bisogni» che furono alla fine soddisfatti con tali applicazioni servirono a dirigere l' at­ tenzione dei matematici verso tali aree di studio? Che questi bisogni abbiano avuto un'influenza retroattiva di qualcosa come venti secoli? È necessario un esame detta­ gliato delle relazioni che esistono fra il sorgere di un bi­ sogno, il riconoscimento di questo bisogno da parte degli scienziati o da parte di coloro che dirigono la loro scelta dei problemi e le conseguenze di tale riconoscimento, prima che si possa stabilire qual è il ruolo svolto dai bi­ sogni nel determinare i temi della ricerca scientifica77 . Oltre a considerare le categorie come risultati sociali, Durkheim indica anche le loro funzioni sociali. La sua analisi funzionale, tuttavia, non mira tanto a spiegare il particolare sistema classificatorio di una società quanto l'esistenza di un qualche sistema comune alla società. Per scopi di comunicazione reciproca e per coordinare l'attivi-

77 Confronta R.K. Merton, Science, Technology and Society in 1 7th Century England, Bruges Osiris History of Science Monographs, 1 938, capp. 7-10 (trad. it. Scienza, tecnologia e società nell'Inghilterra del XVII secolo, Milano, Angeli, 1975); J.D. Berna!, The Social Function o/ Science, New York, Macmillan, 1939; J.G. Crowther, The Social Rela­ tions of Science, New York, Macmillan, 194 1 ; B. Barber, Science and the Social Order, Glencoe, ili., The Free Press, 1 952; G. De Gré, Scien­ ce as Social Institution, New York, Doubleday & Company, 1955.

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tà degli uomini, è indispensabile un sistema di categorie comuni. Ciò che l' apriorista considera erroneamente una forma inevitabile, obbligatoria di comprensione è in realtà «l'autorità stessa della società che si comunica a certi modi di pensare, i quali costituiscono le condizioni indi­ spensabili di ogni azione comune»78 . Deve esserci un mi­ nimo di «conformità logica» se si debbono mantenere delle attività sociali coordinate; un sistema comune di ca­ tegorie è una necessità funzionale. Questa concezione è ulteriormente sviluppata da Sorokin che indica le numero­ se funzioni adempiute da diversi sistemi di tempo e spazio sociali79 •

7 . Ulteriori problemi e studi recenti Dalla discussione precedente è evidente come moltissi­ mi problemi di questo campo di studio richiedano ulterio­ ri indagini80• Scheler ha indicato come l'organizzazione sociale del­ l' attività intellettuale è significativamente collegata al ca­ rattere della conoscenza che si sviluppa appunto in essa. Uno dei primi studi condotti in America su questo pro­ blema è il resoconto caustico, intuitivo e spesso penetran­ te di Veblen delle pressioni che modellano la vita univer­ sitaria americana8 1 . In modo più sistematico, Wilson ha considerato i metodi e i criteri di assunzione, l'assegna-

78 Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, cit., pp. 19-20. 79 Sorokin, Sociocultural Causality, Space, Time, cit., passim. 80 Per altri riassunti, vedi la prefazione di L. Wirth a Mannheim,

Ideology and Utopia, edizione americana, pp. XXVIII-XXXI; J.B. Gitt­ ler, Possibilities o/ a Sociology o/ Science, in «Social Forces», 1940, 18, pp. 350-359. 81 T. Veblen, The Higher Learning in America, New York, Hueb­ sch, 1918.

886 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa mento dello status e i meccanismi di controllo dell'inse­ gnante universitario, fornendo così una base adeguata per studi comparativi82 • Esponendo una tipologia dei ruoli de­ gli intellettuali, Znaniecki ha svilppato una serie di ipotesi concernenti le relazioni tra questi ruoli e i tipi di cono­ scenza coltivati, fra i tipi di conoscenza e le basi secondo cui lo scienziato viene valutato dai membri della società, fra le definizioni di ruolo e gli atteggiamenti dei confronti della conoscenza teorica e applicata, ecc. 83 Rimane ancora molto da studiare a proposito delle basi delle identifica­ zioni di classe degli intellettuali; della loro alienazione da­ gli strati subordinati o dominanti della popolazione; del loro rifuggire o indulgere in ricerche che hanno immedia­ te implicazioni di valori che mettono in pericolo le attuali sistemazioni istituzionali ostili al raggiungimento di fini culturalmente approvati84; della pressione verso il tecnici­ smo e l'astensione da pensieri pericolosi; della burocratiz­ zazione degli intellettuali come un processo attraverso cui problemi di scelte politiche sono trasformati in problemi di amministrazione; dei settori della vita sociale in cui la conoscenza positiva e spezzata è considerata appropriata e di quelli in cui la saggezza dell'uomo comune è l'unica ad essere considerata necessaria - in breve, il ruolo mutevole svolto dall'intellettuale, il rapporto che vi è tra questa mu­ tevolezza e la struttura sociale, il contenuto e l'influenza del suo lavoro richiedono un'attenzione sempre maggiore

82 L. Wilson, The Academic Man, New York, Oxford University Press, 1 942; cfr. E.Y. Hartshorne, The German Universities and Natio· nal 5ocialism, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1 937. 83 Znaniecki, Social Role o/ the Man o/ Knowledge, cit. 84 Gunnar Myrdal nel suo An American Dilemma, New York, Harper and Eros., 1944, indica ripetutamente le «valutazioni nascoste» dei sociologi americani che studiano il negro americano e gli effetti di queste valutazioni sulla formulazione dei «problemi scientifici» in que­ sta zona di ricerca. Vedi specialmente II, pp. 1027-1064.

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poiché i mutamenti nell'organizzazione sociale sottopon­ gono sempre più l'intellettuale a domande contrastanti85 . Sempre più spesso si è affermato che l'influenza che la struttura sociale esercita sulla scienza non si esprime sem­ plicemente nell'indirizzare l'attenzione degli scienziati su certi problemi di ricerca. Oltre agli studi che abbiamo già citato, ve ne sono altri che considerano in che modo il contesto sociale e culturale entra nella definizione concet­ tuale dei problemi scientifici. La teoria della selezione di Darwin fu modellata sulla nozione prevalente di un ordi­ ne economico competitivo, nozione a cui è stata a sua vol­ ta attribuita una funzione ideologica a causa del suo as­ sunto di una naturale identità di interessi86 . La semiseria osservazione di Russell sulle caratteristiche nazionali delle ricerche nel campo dei processi di apprendimento degli animali indica un altro tipo di indagine sui rapporti fra cultura nazionale e formulazione concettualé7• Così, an85 Mannheim si riferisce ad una monografia inedita sull'intellet­ tuale; bibliografie generali si possono trovare nel suo libro e nell'artico­ lo di Roberto Michels sugli «Intellettuali», nella Encyclopedia o/ the So­ eia! Sciences. Vedi gli articoli recenti: C.W. Milis, The Social Role o/ the Intellectual, in «Politics», 1944, l ; R.K. Merton, Role o/ the Intellectual in Public Policy, presentato all'assemblea annuale dell'American Soci­ ological Society, 4 dicembre 1943 ; A. Koestler, The Intelligentsia, in «Horizon», 1944, 9, pp. 162-175 . 86 Keynes osservava che «il principio della sopravvivenza del più adatto potrebbe essere considerato come una vasta generalizzazione dell'economia ricardiana» (citato da Parsons, La struttura dell'azione sociale, cit., p. 1 13 ); cfr. A. Sandow, Social Factors in the Orzg_in of Darwinism, in «Quarterly Review of Biology>>, 1938, 1 3 , pp. 3 16-326. 87 B. Russell, Philosophy, New York, W.W. Norton e Co., 1927, pp. 29-30. Russell osserva che gli animali usati nella ricerca psicologica «hanno rivelato tutti le caratteristiche nazionali dell'osservatore. Gli animali studiati dagli americani corrono intorno freneticamente, con uno sfoggio incredibile di salti e urti, e alla fine raggiungono il risulta­ to desiderato quasi per caso. Gli animali osservati dai tedeschi stanno fermi e pensano, poi, alla fine, traggono la soluzione dalla loro più profonda consapevolezza». n paradosso ha un suo significato; la possi-

888 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa cora, Fromm ha cercato di mostrare come il «liberalismo consapevole» di Freud implichi tacitamente il rifiuto di quegli impulsi che sono considerati tabù dalla società bor­ ghese e che egli stesso era, col suo carattere dominato dalla figura del padre, un tipico rappresentante di quella società che richiede obbedienza e soggezione88 . Allo stesso modo, si è indicato che il concetto di cau­ salità multipla è specialmente congeniale all'accademico, che ha una sicurezza relativa, è fedele allo status qua da cui deriva dignità e mezzi di vita, è favorevole alla conci­ liazione e vede qualcosa di positivo in tutti i punti di vista e che perciò tende ad una tassonomia che gli permette di evitare di prendere posizione sottolineando la molteplicità dei fattori e la complessità dei problemi89. L 'importanza data alla natura o alla socializzazione ed educazione come

bilità di differenze nazionali nella scelta e nella formulazione dei pro­ blemi scientifici è stata più volte notata, sebbene non studiata sistema­ ticamente. Cfr. R. Miiller-Freienfels, Psycologie der Wissenscha/t, Leip­ zig, J.A. Barth, 1936, cap. 8, che tratta delle differenze nazionali e di classe, nella scelta dei problemi, negli «stili di pensiero», ecc., senza aderire pienamente alle esigenze «ecth-deutsch» di un Krieck. Questo tipo di interpretazione, però, può essere portato ad un estremo polemi­ co e infondato, come nell'«analisi» distruttrice di Max Scheler dell'ac­ cento ipocrita inglese. Egli conclude che nella scienza, come in tutte le altre sfere, gli inglesi hanno degli accenti ipocriti incorreggibili. La concezione humiana dell'io, della sostanza e della continuità come au­ toillusioni biologicamente utili erano semplicemente concetti opportu­ nistici e ipocriti; tale era anche la caratteristica concezione inglese delle ipotesi di lavoro (Maxwell, Kelvin) come aiuto al progresso della scien­ za ma non come verità, una concezione che non è altro che un'abile manovra per fornire un controllo e un ordinamento provvisorio dei dati. Tutto il pragmatismo implica questo accento ipocrita, secondo M. Scheler (Genius des Krieges, Leipzig, Verlag der Weissenbuecher, 1915). 88 E. Fromm, Die gesellschaftliche Bedingtheit der psycho-analyti­ schen Therapie, in «Zeitschrift fiir Sozialforschung», 1935, 4, pp. 365-397. 89 L.S. Feuer, The Economie Factor in History, in «Science and Society», 1940, 4, pp. 174-175.

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prime determinanti della natura umana è stata messa in relazione con opposti orientamenti politici. Coloro che sottolineano l'importanza dell'eredità sono politicamente conservatori, mentre coloro che considerano determinante l'ambiente sono prevalentemente democratici o radicali che tentano di contribuire ad un mutamento sociale90• Ma fra gli scrittori americani contemporanei di patologia so­ ciale persino gli «ambientalisti» adottano concezioni di «adattamento sociale» che implicitamente assumono come norme gli standard delle piccole comunità e caratteristica­ mente mancano di accertare che possibilità abbiano certi gruppi di raggiungere i loro obiettivi sotto le prevalenti condizioni istituzionali91 • Le attribuzioni di prospettive come queste richiedono degli studi più sistematici prima che si possa accettarle; esse indicano, tuttavia, le tendenze più recenti di cercare di individuare le prospettive intel­ lettuali degli studiosi e di riferirle allo schema dell' espe­ rienza e degli interessi costituito dalle loro rispettive posi­ zioni sociali. Il carattere discutibile delle attribuzioni che non sono basate su adeguati dati comparativi è illustrato da uno studio recente degli scritti di studiosi negri. La scelta di categorie analitiche piuttosto che morfologiche, di determinanti di comportamento ambientale piuttosto che biologiche, di dati eccezionali piuttosto che dati tipici è attribuita al risentimento di casta degli scrittori negri, senza che si sia fatto alcuno sforzo per confrontare la fre­ quenza di tendenze simili fra scrittori bianchi92• Le ultime tracce di ogni tendenza che considerava lo sviluppo della scienza e della tecnologia come completa90 N. Pastore, The Nature-Nurture Controversy: a Sociological Ap­ proach, in «School and Society>>, 1943, 57, pp. 373-377. 9 1 C.W. Milis, The Pro/essional Ideology o/ Social Pathologists, in «American Journal of Sociology>>, 1943 , 49, pp. 165-190 . 92 W.T. Fontaine, Social Determination in the Writings o/ Negro Scholars, in «American Journal of Sociology>>, 1944, 49, pp. 302-3 15.

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mente indipendente dalla struttura sociale sono state dissi­ pate dall'attuale corso degli eventi storici. Un controllo sempre più visibile e, spesso, una limitazione della ricerca e dell'invenzione scientifica sono stati ripetutamente do­ cumentati, particolarmente in uno studio di Stern93 che ha tracciato anche le basi della resistenza ai mutamenti nel campo degli studi di medicina94 • Il mutamento fondamen­ tale dell'organizzazione sociale della Germania ha fornito una prova virtualmente sperimentale della stretta dipen­ denza dalla struttura di potere prevalente e dalla visione culturale ad essa collegata, della direzione e dell' estensio­ ne del lavoro scientifico95 • E i limiti di qualsiasi assunzio­ ne non qualificata, per cui la scienza o la tecnologia rap­ presentano le basi a cui la struttura sociale deve adattarsi, diventano evidenti alla luce degli studi che dimostrano come la scienza e la tecnologia siano state subordinate alle domande economico-sociali96. Sviluppare ulteriormente il lungo elenco dei problemi 93 B.J. Stern, Resistances to the Adoption o/ Technological Innova­ tion, in National Resources Committee, Technological Trends and Na­ tional Policy, Washington, U.S. Government Printing Office, 1937, pp. 39-66; Restraints upon the Utilization o/ Inventions, in «The Annals», 1938, 200, pp. 1 -19, ed altri riferimenti; W. Hamilton, Patents and Free Enterprise, TNEC Monograph, n. 3 1 , 194 1 . 94 B.J. Stern, Social Factors in Medica! Progress, New York, Co­ lumbia University Press, 1927 ; Society and Medica! Progress, Princeton, Princeton University Press, 194 1 ; cfr. RH. Shryock, The Development of Modern Medicine, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1936; H.E. Sigerist, Man and Medicine, New York, W.W. Norton and Co. , 1932. 95 Hartshorne, German Universities and National SocialiJm, cit. 96 Solo più accentuatamente in tempo di guerra; vedi l' osservazio­ ne di Sorokin che i centri del potere militare tendono ad essere i centri dello sviluppo tecnico e scientifico (Dynamics, cit., vol. IV, pp. 24925 1 ) ; cfr. I.B. Cohen e B. Barber, Science and War (ms); R.K. Merton, Science and Military Tecnique, in «Scientific Monthly», 1935, 4 1 , pp. 542-545; Berna!, The Social Function o/ Science, cit.; J. Huxley, Science and Social Needs, New York, Harper and Eros., 1935.

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che vengono ora indagati empiricamente o che richiedono una tale indagine andrebbe oltre i limiti di questo capito­ lo. Resta da dire soltanto che la sociologia della conoscen­ za sta superando la precedente tendenza di confondere ipotesi provvisorie con dogmi incontestabili; le numerose intuizioni speculative che hanno caratterizzato il suo pri­ mo sviluppo stanno ora ricevendo una verifica sempre più rigorosa. Sebbene Toynbee e Sorokin possano essere nel giusto quando affermano che nella storia della scienza vi è un alternarsi di periodi di risultati empirici e di periodi di generalizzazioni teoriche, sembra che la sociologia della conoscenza abbia unito queste due tendenze in un insie­ me che promette di essere fecondo. Soprattutto, essa sot­ tolinea e studia principalmente quei problemi che sono al centro dell'interesse intellettuale contemporaneo 97 •

97 Per bibliografie estese, vedi Barber, Science and the Social Or­ der, cit.; Mannheim, Ideologia e utopia, cit.; H.E. Barnes, H. Becker e F.B. Becker (a cura di), Contemporary Social Theory, New York, D. Appleton-Century, 1940.

Capitolo quindicesimo

Karl Mannheim e la sociologia della conoscenza

Invero, il linguaggio è riuscito fino a poco tempo fa a nasconderei quasi tutte le cose di cui parliamo. LA. Richards

La disciplina che i suoi esponenti tedeschi hanno chia­ mato Wissenssoziologie e mancando un termine più semplice, spesso si è mantenuta questa denominazione an­ che in altre lingue - ha una lunga storia che ha per ogget­ to principalmente il problema dell'obiettività della cono­ scenza1 . La considerazione sistematica dei fattori sociali che entrano nell'acquisizione, diffusione e sviluppo della conoscenza è, tuttavia, un fatto relativamente recente che ha i suoi due principali centri originari nel pensiero socio­ logico francese e tedesco2 . Questi due centri di sviluppo ebbero precedenti diversi e anche la scelta dei problemi di studio fu caratteristicamente diversa. Il ramo francese, -

I Un abbozzo di questo sviluppo, a partire dall'illuminismo, è for­ nito da E. Gruenwald, Das Problem der Soziologie des Wissens, Wien­ Leipzig, Braumiiller, 1934, cap. I. Non è, però, mania storicistica sug­ gerire che questa storia può datarsi dal tempo dell'Illuminismo greco. In verità, l'esemplare Essai sur la /ormation de la pensée grecque di P.-M. Schuhl (Paris, 1934) è una base sicura per suggerire un altro, an­ che se ugualmente arbitrario, «inizio». 2 Si può fare obiezione a questa osservazione citando suggestivi aperçus nel pensiero inglese almeno dal tempo di Francesco Bacone e di Hobbes. Similmente il movimento pragmatista da Peirce e da James in avanti è caratterizzato da interessanti discussioni. Comunque, queste non erano analisi sistematiche dei fondamentali problemi sociologici in questione. Una esauriente trattazione di questo argomento comprende­ rebbe naturalmente tali sviluppi tangenziali.

894 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa durkheimiano, ebbe una base essenzialmente etnografica che sottolineava l'ampiezza delle variazioni esistenti fra popoli diversi in rapporto alla struttura morale e sociale e agli orientamenti gnoseologici. Lo stesso Durkheim, che ne fu il pioniere, in alcuni passi ben noti del suo Le /orme elementari della vita religiosa ( 19 12), presentava un'analisi audace delle origini sociali delle fondamentali categorie di pensiero. Allontanandosi in parte da Durkheim, Lucien Levy-Bruhl, nei suoi studi sulla mentalità primitiva, cercò di dimostrare quali differenze inconciliabili esistessero fra mentalità primitiva e mentalità civilizzata. Altri seguaci di Durkheim sono andati oltre questo principale interesse per le società preletterate e hanno applicato il suo schema concettuale a vari aspetti sociali del pensiero e della cono­ scenza nelle società civilizzate. Questi studi sono sufficien­ ti a dimostrare che i contributi francesi alla sociologie du savoir sono ampiamente autonomi e indipendenti dalle analoghe ricerche svolte in Germania3 • 3 Non completamente, però, perché Durkheim iniziò una sezione su «L'Année Sociologique» (XI, 1910, p. 41) sulle «conditions sociolo­ giques de la connaissance» in occasione della recensione dell'articolo di W. Jerusalem, Die Soziologie des Erkennens. Inoltre, brevi indicazio­ ni bibliografiche debbono sostituirsi a una dettagliata discussione della tradizione di Durkheim. M. Halbwachs, Le.r cadres sociaux de la mé· moire (Paris, Alcan, 1925), sviluppa la tesi che la memoria, la cui im­ portanza epistemologica è stata ultimamente accentuata da Schlick, da Frank ed altri del circolo di Vienna, è una funzione dello schema so­ ciale. M. Granet, in La civilisation chinoise e particolarmente nel suo diffuso libro, La pen.rée chinoise, attribuisce i modi di pensiero tipica­ mente cinesi ai vari lineamenti della struttura sociale. Durkheim in­ fluenzò inoltre vari scrittori a proposito degli inizi della scienza occi­ dentale: A. Rey, La science orientale avant !es Grecs (Paris, 1 930), La jeunesse de la science grecque (Paris, 1933 ); L. Robin, La pensée grecque et !es origines de l'esprit scienti/ique (Paris, 1928); P.M. Schuhl e, in un certo grado, A. Reymond, Histoire des sciences exactes et naturclles dans l'antiquité greco-romaine (Paris, 1 924). La sua influenza è pure manifesta in vari studi sociologici sull'arte e la letteratura, soprattutto quelli di Charles Lalo. A questo proposito, vedi i volumi 16 e 17 della

Mannheim e la sociologia della conoscenza l.

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Precedenti teorici

I precedenti tedeschi della Wissenssoziologie si trova­ no nelle teorie degli immediati precursori di Mannheim. Costoro non esponevano certamente delle teorie omoge­ nee - anzi sostenevano punti di vista antitetici -, ma era­ no interessati alla stessa area di problemi. C'è da dire, inoltre, a proposito degli antenati intellettuali di Mann­ heim, che non si deve supporre che egli seguisse in tutti i suoi aspetti rilevanti la traccia di uno solo di essi. Al con­ trario, per un aspetto o per l'altro, egli iniziò un dibattito con tutti loro e furono appunto queste Auseinandersetzun­ gen che lo hanno condotto a chiarire la sua posizione. La sinistra hegeliana e Marx in particolare hanno la­ sciato la loro impronta particolare sul lavoro di Mann­ heim. La sua posizione, infatti, è stata definita un «marxi­ smo borghese». In Marx ed Engels e nello stimolante Sto­ ria e coscienza di classe di Gyorgy Lukacs, troviamo alcu­ ne delle concezioni fondamentali di Mannheim. In parti­ colare, possiamo menzionare: il generale storicismo che considera anche l'apparato categorico come una funzione della struttura sociale o, più precisamente, della struttura di classe4 ; la concezione dinamica della conoscenza5 ; l'in­ terpretazione in chiave «azionistica» dei rapporti dialettici

Encyclopédie Française, intitolati «Arts et Littératures dans la société contemporaine» (Paris, 1935-36). Un autore che ha valorosamente con­ tribuito alla Wissenssoziologie in Francia prima di Durkheim, e che mosse da una posizione quasi-marxista, fu Georges Sorel. Vedi il suo Les procès de Socrate (Paris, 1889); Ré/lexions sur la violence, Paris, 1908 (trad. it. Riflessioni sulla violenza, in Scritti politici, Torino, Utet, 1963 ) ; Les illusions du progrès, Paris, 1908 (trad. it. Le illusioni del pro­ gresso, in Scritti politici, cit.). 4 Engels, L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, cit.; cfr. inoltre L'ideologia tedesca, cit., V. 5 Engels, Ludwig Feuerbach e gli sviluppi della filosofia classica te­ desca, cit., pp. 27-28.

896 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa fra teoria e pratica6 ; il ruolo svolto dalla conoscenza nel far cambiare il corso dell'azione umana dal segno della «necessità» a quello della «libertà»7 ; il ruolo delle con­ traddizioni e dei conflitti fra gruppi sociali nel dare inizio alla riflessioné; l'importanza attribuita alla sociologia con­ creta considerata distinta dall'attribuzione di qualità de­ terminate storicamente all'individuo astratto9 . I neo-kantiani, particolarmente la cosiddetta scuola di Baden o sud-occidentale - l'uso di un'unica denominazio­ ne per questo gruppo di teorici non dovrebbe celare le loro differenze manifestate in numerosi disaccordi su pro­ blemi specifici -, hanno contribuito similmente alla for­ mazione intellettuale di Mannheim. In realtà, come vedre­ mo, Mannheim si è distaccato molto meno dalle loro tesi fondamentali di quanto egli stesso non si sia reso conto1 0. Da Dilthey, Rickert, Troeltsch e specialmente da Max Weber egli ha derivato gran parte di ciò che è decisivo nel suo pensiero: l'importanza data agli elementi emotivi e volitivi nella formazione e direzione del pensiero; il duali­ smo, esplicitamente respinto da Mannheim, ma pure pre­ sente in numerose sue formulazioni nella teoria della co­ noscenza, che opera una distinzione fra il ruolo degli ele­ menti di valore nello sviluppo delle scienze esatte e delle Geisteswissenscha/ten; la distinzione fra Erkennen e Er­ klciren da una parte ed Erleben e Verstehen dall'altra; la 6 K. Marx, Tesi �u Feuerbach, in Opere scelte, Roma, Editori Riuniti, 1969, l, p. 187. 7 Engels, L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, cit. 8 Marx, Per la critica dell'economia politica, cit., p. 2 12. 9 Marx, Tesi su Feuerbach, cit., I, p. 187. 1 0 Nel suo saggio su Das Problem einer Soziologie des Wissens, in «Archiv fi.ir Sozialwissenschaften und Sozialpolitik», LIV, 1925, p. 599, Mannheim rifiuta esplicitamente il neo-kantismo come punto di par­ tenza per la Wissenssoziologie. Ma si veda la nostra discussione seguen­ te in cui si afferma che, in pratica, Mannheim si avvicina moltissimo al concetto della Wertbeziehung di Rickert e Weber.

Mannheim e la sociologia della conoscenza

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rilevanza di valore del pensiero come non implicante una invalidità fondamentale dei giudizi empirici11• In ultimo, dagli scritti dei fenomenologi - Husserl, J aspers, Heideg­ ger e soprattutto Max Scheler - Mannheim probabilmen­ te ha derivato il senso dell'importanza da attribuire all'os­ servazione accurata dei fatti «dati» nell'esperienza diretta, l'interesse per l'analisi della Selbstverstandlichkeit nella vita sociale e per i rapporti che possono intercorrere fra tipi diversi di cooperazione intellettuale e tipi di struttura di gruppo12 . Questi svariati precedenti intellettuali di Mann­ heim si riflettono nel suo eclettismo e in una instabilità fondamentale del suo schema concettuale. Bisogna notare subito che le teorie di Mannheim han­ no subito un mutamento continuo, così che non si posso­ no prendere né i suoi primi lavori né quelli ultimi e con­ cludere obiettivamente che essi rappresentino il punto di vista della sua maturità13 • Poiché il fine di questo studio Il Vedi H. Rickert, Die Grenzen der naturwissenschaft!ichen Be­ griffsbildung, Ti.ibingen, Mohr, 192 1 , spec. pp. 35-5 1 , 245-27 1 ; W. Dil­ they, Gesammelte Schrz/ten, Ti.ibingen, Mohr, 1922, III, pp. 68 ss., 169 ss.; Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, cit., pp. 57 -141. 1 2 E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phenomenologie und pheno­ menologischen Philosophie. Allgemeine Einfiihrung in die reine Pheno­ menologie, Halle, 1913 (trad. it. Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica. Libro Primo. Introduzione generale alla fe­ nomenologia pura, Torino, Einaudi, 1965); K. Jaspers, Psycologie der Weltanschauungen, Berlin, 1913 (trad. it. Psicologia delle visioni del mondo, Roma, Astrolabio, 1950); J. Kraft, Von Husserl zu Heidegger, Leipzig, 1932, pp. 87 ss.; M. Scheler, Versuche zu einer Soziologie der Wissens, Mi.inchen-Leipzig, Duncker und Humblot, 1924, e Die Wis­ sensformen und die Gesellschaft, Leipzig, Der Neue-Geist Verlag, 1926 (trad. it. parziale La sociologia del sapere, Roma, Abete, 19762 ). 13 Cfr. Gruenwald, Das Problem der Soziologie des Wt5sens, cit., pp. 366-367. Per abbreviare i prossimi riferimenti e per distinguere fra il pri­ mo e l'ultimo periodo di Mannheim, si useranno le seguenti citazioni al­ fabetiche. In quanto l'articolo Wissenssoziologie rappresenta il primo di­ stacco radicale di Mannheim dalla sua posizione precedente, questo sarà assunto per segnare l'emergere delle sue > e «propaganda>> in psicologia, il concetto volterriano delle menzogne dei preti, il cliché della «religione­ oppio-dei-popoli>>. Naturalmente, la frequenza di queste concezioni può dipendere dal fatto che «esse funzionano», e che, fino ad un certo punto, «spiegano» il comportamento umano e sono coerenti con un più ampio corpo di conoscenza. Non irrilevante, però, il fatto che quando l'azione e il pensiero possono attribuirsi ad «ulteriori>> motivi (specialmente se «screditati») , si dice che il comportamento è spiegato. La curiosità è soddisfatta: X è un avvocato di parte, uno strumento di interessi costituiti, un bolscevico, un banchiere hamiltoniano. L' assun­ zione comune a queste diverse versioni è la nozione hobbesiana del­ l' egoismo considerato come il motivo determinante della condotta. Per

9 12 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa

Vulgarmarxismus che, ripudiato da Mannheim come da Marx, è talvolta implicito negli scritti del primo. 3 . Un terzo assunto è quello del «centro di attenzio­ ne», secondo il quale il soggetto limita la sua prospettiva per essere in grado di trattare un particolare problema, direttamente pratico o teorico. Qui è la stessa formulazio­ ne del problema che imprime la direzione al pensiero; a sua volta, la consapevolezza del problema può essere con­ siderata come derivante dalla posizione sociale del sogget­ to. Approssimativamente, si può affermare che questa ipo­ tesi è accentuata nella sociologia della conoscenza sostan­ ziale, mentre !'«ipotesi dell'interesse» è più frequente nel­ la teoria dell'ideologia. 4. Il discorso che occasionalmente Mannheim fa su date strutture considerate come semplici elementi prelimi­ nari a certe forme di pensiero si svolge ad un livello com­ pletamente opposto. In questo, egli si avvicina a Scheler parlando di «certi tipi di gruppi in cui . . . soltanto [queste forme di pensiero] possono sorgere ed essere elaborate» (H, pp. 242-243 ) . Gran parte del lavoro analitico di Mann­ heim consiste nell'individuazione di condizioni preliminari e anche di fattori facilitanti piuttosto che di condizioni necessarie e sufficienti. Gli esempi sono numerosi. La mo­ bilità sociale può condurre alla riflessione, all'analisi, alla comprensione di punti di vista; può similmente condurre all'indz//erenza mentale, alla superficialità, alla conferma dei propri pregiudizi. O, per prendere un altro teorema, la giustapposizione di punti di vista in conflitto può in­ durre alla riflessione, come è riassunto nell'aforisma degli strumentalisti: «il conflitto è il tarlo del pensiero». Ma tale conflitto può anche provocare posizioni fideistiche, ansie-

un penetrante resoconto delle origini e delle conseguenze delle ansietà («teorie») della cospirazione, vedi E.A. Shils, The Torment of Secrecy, Glencoe, The Free Press, 1956.

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tà inconcludenti, scetticismo. O , ancora, l e classi situate in posizioni privilegiate («conservatrici») possono essere con­ trarie a teorizzare sulle loro posizioni, ma allo stesso tem­ po non si può ignorare la nobiltà alienata dalla sua classe che si interessò alle teorie sociali degli Enciclopedisti; e accanto ai nobili, i «rinnegati», socialmente borghesi ma spiritualmente proletari o i proletari che si identificano con l'ethos borghese. Queste osservazioni non vengono fatte per negare le correlazioni suggerite, ma solo per in­ dicare, assieme a Mannheim stesso, la necessità di un' ana­ lisi più circostanziata dei molti fattori strutturali che vi sono implicati. Il discorso di Mannheim in termini di esi­ genze preliminari delinea il condizionamento esistenziale come riferentesi semplicemente a correlazioni empiriche fra società e conoscenza in cui proprio l'uniformità è pre­ sa per stabilire la «corrispondenza». A questo livello, l'analisi si arresta, troppo spesso, subito dopo indicata la correlazione. 5 . Ancora un altro tipo di rapporto fra struttura so­ ciale e conoscenza, suggerito da Mannheim, è quello che implica ciò che si può definire un assunto «emanazioni­ sta» o quasi estetico. In questa concezione (particolarmen­ te evidente in B ed F) non sono del tutto assenti motivi hegeliani. Termini come «compatibilità», «congruenza», «armonia», «concordanza» e «contrarietà» delle Weltan­ schauungen generalmente seguono il manifestarsi di que­ sto assunto. I criteri per stabilire questi rapporti restano impliciti. Così leggiamo: «L'assenza di profondità nelle arti plastiche e il dominio della pura linearità corrispon­ dono al modo di sperimentare il tempo storico come un progresso ed una evoluzione lineari»22 • Bisogna notare,

22 G, p. 200. I frequenti confronti di Mannheim fra gli «stili» nel­ la storia dell'arte e nella storia intellettuale generalmente presuppongo­ no una posizione «quasi-estetica». Cfr. Scheler, Versuche einer Soziolo-

9 1 4 La màologia della conoscenza e le comunicazioni di massa però, che questo particolare assunto non ha una gran par­ te nelle ricerche sostanziali di Mannheim. Questi segni che rimangono sono più significativi per indicare la sua incertezza sui tipi di rapporti fra conoscenza, cultura e so­ cietà, che come indicazioni di presupposti idealistici della sua teoria23 . Una discussione più ampia degli aspetti sostanziali e metodologici dell'opera di Mannheim dovrebbe compren­ dere una esposizione dettagliata dei procedimenti d'analisi da lui adottati. Il suo tentativo di stabilire un «codice di tecniche» pecca di eccessiva genericità e brevità. Questi difetti sarebbero moltiplicati da quei commentatori che tentassero un riassunto di una versione già riassuntiva (H, pp. 276-278). Tuttavia, è opportuno notare un ostacolo che si oppone al primo di questi procedimenti: procedi­ mento che cerca di articolare esplicitamente i presupposti comuni a «singole espressioni e forme di pensiero». Alme­ no per quel che riguarda le credenze, per il momento è

gie des Wissens, cit., pp. 92-93 , che parla dello «stilanalogen Beziehun­ gen zwischen Kunst (und den Ktinsten untereinander), Philosophie, und Wissenschaft der grossen Epochen>> e delle «Analogien zwischen der franzosischen klassischen Tragodie und der franzi:isischen matema­ tischen Physik des 17. und 18. Jahrhunderts, zwischen Shakespeare und Milton und der englischen Physik. .. >>, e così via. Spengler e Soro­ kin hanno sviluppato questo tema con una certa ampiezza. 23 Questo non è che un caso speciale del problema più generale di stabilire i tipi dell'integrazione sociale e culturale. Il metodo di Mann­ heim, nonostante l'assenza di una formulazione sistematica, segna un netto progresso su quelli degli epigoni marxisti. Una formulazione espli­ cita di una logica delle relazioni fra i valori culturali è fornita da Soro­ kin, Social and Cultura! Dynamics, cit., vol. I, pp. 7-53 . In quanto tratta di una «integrazione culturale>> e ignora il suo rapporto con l'organizza­ zione sociale, Sorokin è orientato verso un'interpretazione idealistica. Una breve discussione del problema si trova in C.W. Milis, Language, Logic and Culture, in «American Sociological RevieW>>, IV, 1939, pp. 670-680. Per una critica specifica di Mannheim su questo punto, vedi Schelting, Max Webers Wissenschaftslehre, cit., pp. 1 02-1 15.

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spesso impossibile determinare se valori culturali siano fra loro coerenti o meno se non si prendono in considerazio­ ne le situazioni sociali in cui essi si estrinsecano. Così se si solleva la questione se il «pacifismo» e «l'abolizionismo» siano compatibili o meno e si astrae da casi concreti di comportamento, la risposta deve essere indeterminata. Sul­ l' astratto piano culturale delle credenze, si può rispondere egualmente bene sia che si dica che questi due sistemi di valori sono indifferenti (non hanno alcuna rilevanza reci­ proca) sia che si dica che sono incompatibili o compatibi­ li. Nel caso dei quaccheri, l'adesione ad entrambi questi valori implicò un'azione integrata per l'abolizione della schiavitù senza ricorrere alla violenza, mentre Garrison e i suoi discepoli, inizialmente sostenitori della non resisten­ za, rinunciarono alle loro idee pacifiste per giungere ad abolire la schiavitù con la guerra. Bisogna notare che pri­ ma che si verificasse questa situazione, non vi era alcuna base per affermare l'esistenza di un qualche conflitto fra i valori dell'abolizionismo e del pacifismo. Se mai, lo stu­ dioso avrebbe potuto considerare questi valori come ele­ menti componenti un sistema integrato di valori, definito «umanitarismo». Una sintesi culturale astratta che cerchi di ricostruire «l'implicita unità di visione» può quindi condurre a deduzioni sbagliate. Valori incompatibili sul piano astratto sono spesso compatibili a causa della loro distribuzione nei vari strati della struttura sociale, così che non risultano impressioni di opposte esigenze sull e mede­ sime persone in un medesimo tempo. Conflitti potenziali di valori possono evitarsi per mezzo di un isolamento di questi valori in differenti campi e di una loro incorpora­ zione in ruoli sociali diversi. Non riconoscere che l'orga­ nizzazione di valori fra ruoli sociali può rendere compati­ bili valori che in astratto sono contrastanti porterebbe, ad esempio, alla tesi che la Chiesa cattolica sostiene i valori incompatibili del celibato e della fertilità. In questo caso, naturalmente, il conflitto e la mancata integrazione sono

9 1 6 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa facilmente evitati attribuendo questi valori a status diffe­ renti all'interno dell'organizzazione della Chiesa: il celiba­ to è attribuito allo status di prete e la fecondità illimitata allo status di laico sposato. I sistemi di credenze, quindi, debbono essere esaminati considerando i loro rapporti con l'organizzazione sociale. Questo è un requisito fonda­ mentale sia della Sinngemiisse Zurechnung sia della Faktizi­ tiitszurechung come sono descritte da Mannheim (H, pp.

276-277) .

6 . Relativismo Rimane ora da vedere la parte più discussa degli scrit­ ti di Mannheim, cioè quella che riguarda le conseguenze epistemologiche della sociologia della conoscenza. Non è necessario esaminarla nei particolari, dal momento che vi sono già molte esposizioni critiche24 . Oltre a ciò, Mann­ heim riconosce che i risultati sostanziali della Wissensso­ ziologie - che sono l' aspetto più positivo di questo campo di indagine - non conducono alle sue conclusioni episte­ mologiche. La controversia ha il suo punto centrale nel concetto di Mannheim della «ideologia totale generale» che, come si ricorderà, sostiene che «il pensiero di tutte le parti in conflitto in tutte le epoche ha carattere ideologico». È evidente come un'affermazione del genere conduca imme-

24 La più elaborata di queste è di Schelting, Max Webers Wi.uen­ scha/tslehre, cit., pp. 94 ss. Vedi anche la sua recensione di Ideologie und Utopie,_ in «American Sociological Review», l, 1936, pp. 664-674; G. Stern, Uber die Sogenannte «Seinsverbundenheit» des Bewufltseins, in «Archiv fiir Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», LXIV, 1930, pp. 492-502; S. Hofstra, De Sociale Aspecten van Kennis en Wetenschap, Amsterdam, 1937, pp. 3 9-5 1 ; P. Tillich, Ideologie und Utopie, in «Die Gesellschaft», VI, 1929, pp. 348-355.

Mannheim e la sociologia della conoscenza

917

diatamente ad un relativismo radicale col suo noto circolo vizioso per cui anche le stesse proposizioni che asserisco­ no tale relativismo sono, ipso facto, invalide. Che Mann­ heim si renda conto della fallacia logica e del nichilismo intellettuale impliciti in tale posizione è ben chiaro. Infat­ ti, egli respinge esplicitamente l'irresponsabile concezione che «vede nell'attività intellettuale niente di più che giudi­ zi personali arbitrari e propagandistici» (G, p. 89 n . ) . Si­ milmente, ripudia «la forma vaga, sbagliata e sterile di re­ lativismo in rapporto alla conoscenza scientifica, che oggi sta diventando sempre più diffusa» (H, p. 327 ) . In che modo, dunque, egli sfugge all'impasse del relativismo? In un modo forse indebitamente semplificato, possia­ mo classificare gli sforzi di Mannheim per evitare la falla­ cia relativistica e per stabilire punti di appoggio per la va­ lidità dei suoi giudizi in tre principali rubriche: «Criteri dinamici di validità», «Relazionismo» e «Garanzie struttu­ rali di validità». l.

Criteri dinamici di validità. Mannheim introduce nu­

merosi criteri dinamici di validità di giudizi storici. «Una teoria . . . è sbagliata se, in una data situazione concreta, usa concetti e categorie che, presi seriamente, impedirebbero all'uomo di adattarsi a quello stadio storico» (G, p. 85 ; il corsivo è nostro). « . . . la conoscenza è distorta e ideologica quando non riesce a tener conto delle nuove realtà che si applicano ad una situazione e quando cerca di nasconder­ le, pensandole in categorie non appropriate». E in una nota Mannheim aggiunge: «Una percezione può essere er­ ronea o inadeguata alla situazione quando è più progredita o più arretrata rispetto ad essa» (G, p. 86 e n. 1 ) . È eviden­ te, tuttavia, che il criterio di adattamento non risolve la questione, a meno che il tipo di adattamento non venga specificato25 • Numerose teorie, anche contraddittorie, pos2 5 Da quando

è stato indicato da Max Weber nella sua discussio-

9 1 8 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa sono permettere all'uomo di «adattarsi» in una maniera o nell'altra. L'adattamento sociale tende ad essere più un concetto normativa che un concetto esistenziale. Inoltre, la determinazione dell' «adeguatezza» o «inadeguatezza» delle categorie presuppone proprio quei criteri di validità che Mannheim vorrebbe eliminare. Sono forse queste ambigui­ tà e oscurità che lo conducono a formulare altri criteri di validità, introducendo il concetto di utopia. Sono utopistici «soltanto quegli orientamenti che tra­ scendono la realtà e che, quando si estrinsecano in azione, tentano di sconvolgere, parzialmente o completamente, l'ordine delle cose prevalente a quel tempo» (G, p. 173 ) In questo senso, il pensiero utopistico, in contrasto con quello ideologico, è vero piuttosto che illusorio. La diffi­ coltà di questo punto di vista è immediatamente chiara. Come può l'osservatore, in un deteminato momento, di­ stinguere fra pensiero utopistico valido e pensiero ideolo­ gico distorto? Inoltre, dal momento che, come abbiamo visto, le concezioni possono essere «inadeguate alla situa­ zione perché più avanzate rispetto ad essa», come si pos­ sono distinguere fra le «idee avanzate» quelle che sono valide da quelle che non lo sono? Mannheim riconosce questa difficoltà, ma il suo modo di risolverla è dubbio. Non solo implica un criterio di validità ex post /acta, ma esclude anche la possibilità di giudizi validi su idee con­ temporanee, come si può constatare nel passo seguente: .

se guardiamo al passato, sembra possibile trovare un criterio abbastanza adeguato di ciò che deve essere considerato ideolo­ gico e di ciò che deve essere considerato utopistico. Questo cri­ terio è quello della realizzazione. Le idee che più tardi risultarone di «diesen vie! nisbrauchten Begriff>>, il concetto dell' «adattamento sociale» ha acquistato una larga varietà di significati molti dei quali sono scientificamente inutili. Vedi la sua Wissenscha/tslehre, cit., p. 477; vedi anche Schelting, Max Webers Wissenscha/tslehre, cit., p . 102.

Mannheim e la sociologia della conoscenza

919

n o essere solo rappresentazioni distorte di u n ordine sociale passato o potenziale erano ideologiche, mentre quelle che furo­ no adeguatamente realizzate nell'ordine sociale successivo erano relative utopie [. . ] . Il grado di realizzazione delle idee costitui­ sce un modello supplementare e retroattivo per attuare una di­ stinzione fra i fatti che, finché sono contemporanei, sono sepolti sotto il conflitto partigiano dell'opinione (G, p. 184). .

Come Schelting ha mostrato, questo criterio retroatti­ vo presuppone proprio i criteri di validità che Mannheim desidera sostituire: in quale altro modo, infatti, può l' os­ servatore dimostrare che la sua visione del processo stori­ co è corretta? Occorrerebbe una lunga e dettagliata anali­ si, molto al di là dei confini di questa discussione, per di­ mostrare le altre difficoltà inerenti a questa posizione. Tuttavia Mannheim modera notevolmente questa visione in un altro tentativo di aggirare il relativismo radicale.

2 . Relazionismo. Mannheim delinea tre possibili posi­ zioni sulla questione dell'influenza che la genesi di un' af­ fermazione può avere sulla sua validità. La prima nega «una validità assoluta» (sic) ad un'affermazione quando si siano dimostrate le sue fonti strutturali26 . La seconda, al contrario, sostiene che tale dimostrazione non ha alcuna influenza sul valore di verità dell'affermazione. La terza posizione, che è quella adottata da Mannheim, sta a metà strada fra questi due estremi. L'identificazione della posi­ zione sociale dell'assertore implica soltanto «il sospetto» una probabilità - che l'asserzione «possa rappresentare soltanto una visione parziale». Tale identificazione, inol26 Mannheim attribuisce una dottrina di «verità assoluta» a coloro che rifiutano una posizione radicalmente relativista (H, pp. 270, 274). Il che è gratuito. Si possono concedere differenti prospettive, differenti scopi di indagine, differenti schemi concettuali e aggiungere solo che i vari risultati siano integrati, prima di essere giudicati validi.

920 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa tre, limita l' ambito dell'asserzione e fissa i limiti della sua validità. Ciò attribuisce alla Wissenssoziologie un ruolo ben più modesto di quello che Mannheim proponeva nel­ le sue prime formulazioni, come risulta evidente dal suo stesso sommario: Le analisi caratteristiche della sociologia della conoscenza non sono, in questo senso, in nessun modo irrilevanti per la de­ terminazione della verità di una affermazione; ma queste anali­ si. . . da sole non rivelano pienamente la verità, perché la pura delimitazione delle prospettive non è affatto un sostituto della immediata e diretta discussione fra i divergenti punti di vista o dell'esame diretto dei fattF7. Nell'esporre il suo punto di vista relazionista, Mann­ heim chiarisce il concetto di «prospettiva» (Aspektsstruk­ tur) , che indica «il modo in cui una persona vede un og­ getto, ciò che percepisce di esso e come lo costruisce nel suo pensiero». Le prospettive possono essere descritte e attribuite alle loro fonti sociali considerando: «il significa­ to dei concetti adoperati, il fenomeno del concetto con­ trario, l'assenza di certi concetti, la struttura dell'apparato classificatorio, i modelli prevalenti di pensiero, il livello di astrazione e i presupposti antologici» (H, p. 244) . A questo punto Mannheim h a compiuto quasi u n cir­ colo completo dal suo punto di partenza, tanto che queste sue osservazioni possono paragonarsi a quelle di Rickert e Max Weber. D pensiero determinato dalla situazione non è più inevitabilmente pensiero ideologico, ma implica solo una certa «probabilità» che colui che occupa una deter-

27 fi, p. 256. Similmente, nel suo saggio più recente, Mannheim scrive: «E naturalmente vero che nelle scienze sociali, come altrove, l'ultimo criterio di verità o di falsità si debba trovare nell'investigazione dell'oggetto, e la sociologia della conoscenza non è un sostituto per questo» (K, p. 4).

Mannheim e la sociologia della conoscenza

92 1

minata posizione nella struttura sociale debba pensare in un certo modo (H, p. 264 ) . La validità delle proposizioni non è più accertata attraverso l'analisi wissenssoziologische, ma mediante l' analisi diretta dell'oggetto. Inoltre, la «fun­ zione circostanziante» della sociologia della conoscenza aiuta semplicemente ad accertare entro quali limiti sono valide certe proposizioni generali. Ciò che Mannheim chiama «funzione circostanziante» non è altro che un nuovo termine per un precetto metodologico ben noto, secondo il quale ciò che si trova vero sotto certe condizio­ ni, non deve essere considerato vero universalmente o vero senza limiti e condizioni. Bridgman e Sorokin lo han­ no chiamato «principio dei limiti», Dewey chiama la sua violazione «la fallacia filosofica» e nella sua forma più prosaica e nota, esso è descritto come la «fallacia di un'estrapolazione ingiustificata». La concezione di Mannheim del «prospettivismo» è in sostanza uguale alla concezione di Rickert e Weber della Wertbeziehung (per cui i valori sono importanti per la for­ mulazione del problema scientifico e per la scelta dei dati, ma non sono rilevanti per la validità dei risultati)28 • En­ trambe le concezioni si allontanano dalle premesse di una inesauribile moltitudine di fenomeni, dell'inevitabilità di

28 Rickert, Die Grenzen der naturwissenscha/tlichen Begri/fsbildung, cit., pp. 245-27 1 : «die Geschichte ist keine wertende sondern eine wert­ beziehende Wissenschaft». A questo proposito, cfr. anche Weber, Il me­ todo delle scienze storico-sociali, cit., p. 84, secondo il quale «non c'è nessuna analisi scientifica puramente "oggettiva" della vita culturale o [. . ] dei "fenomeni sociali" indipendentemente da punti di vista specifi­ ci e "unilaterali" secondo cui essi [ . .] sono scelti come oggetti di ricer­ ca, analizzati e organizzati nell'esposizione». Tuttavia, prosegue Weber, «la relazione della realtà con idee di valore, che le danno significato, nonché l'isolamento e l'ordinamento degli elementi del reale così indivi­ duati sotto il profilo del loro significato culturale, rappresenta un punto di vista del tutto eterogeneo e disparato di fronte all'analisi della realtà in base a leggi e al suo ordinamento in concetti generali (pp. 90-9 1 ) . .

.

922 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa una scelta di questi secondo uno schema concettuale e dell'importanza dei valori e della struttura sociale per questo schema e per la formulazione del problema. In ve­ rità già nel 1904 Kiilpe e gli psicologi della scuola di Wiirzburg avevano dimostrato sperimentalmente che la natura dei problemi (Aufgaben) determina ampiamente le forme e il contenuto della percezione e dell' osservazio­ ne2 9 . Gli psicologi della Gestalt e della scuola di Lewin hanno più di recente esteso questi risultati sull'influenza direttiva delle Au/gaben. Rickert, Weber e specialmente Mannheim cercano di aggiungere una dimensione sociolo­ gica a questa importante scoperta, mostrando che i valori culturali e la struttura sociale determinano a loro volta la formulazione delle Au/gaben che indirizzano l' osservazio­ ne lungo certe linee. Così, questo particolare aspetto della sociologia della conoscenza è chiaramente integrato con i risultati delle ricerche sperimentali in psicologia. Va nota­ to che questi esperimenti non indicano che la validità del­ le osservazioni indirizzate a questo modo debba perciò es­ sere impugnata. In parte, le contraddizioni contenute nei primi scritti di Mannheim sorgono da una imperfetta distinzione fra inesattezza (invalidità) e prospettiva (unilateralità) . Le af­ fermazioni fatte in base ad una certa prospettiva presumi­ bilmente non sono inesatte, se il loro autore riconosce la 29 Vedi O. Kiilpe, Versuche iiber Akstraktion, «Bericht iiber den lnternationalen Kongress fiir experimentelle Psycologie», 1 904, pp. 5669; C.C. Pratt, The Present Status o/ lntrospective Technique, in «The Journal of Philosophy», XXI, 24 aprile 1924, p. 23 1 : «Per quello che riguarda l'osservazione accurata ed una relazione inequivocabile, l' os­ servatore si adegua soltanto a quegli aspetti di una data esperienza che la tendenza determinante porta chiaramente in linea con la particolare Au/gabe del momento; gli altri aspetti di tale esperienza cadono al di fuori della sfera dell'osservazione immediata e quindi non possono es­ sere fatti oggetto della descrizione scientifica» (citato in R.M. Eaton, Symbolism and Truth, Cambridge, 1925, p. 17).

Mannheim e la sociologia della conoscenza

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loro natura parziale: esse sono allora semplicemente for­ mulazioni astratte di certi aspetti di una situazione con­ creta. Esse sono, però, definitivamente invalide se vengo­ no considerate come rappresentazioni complete del feno­ meno in questione («fallacia della concretezza malintesa» di Whitehead) . La linea fra l'invalidità e il mero «prospet­ tivismo» è, quindi, meno chiara di quanto Mannheim sembri pensare. L'importanza che egli dà all'individuazio­ ne della prospettiva e alla sua eliminazione, una volta ri­ conosciuta, in modo da raggiungere un pensiero valido nella scienza sociale, si rivela essere poco più che un'ulte­ riore affermazione della nozione di Wertbeziehung che lo riporta a Rickert e Weber, al punto cioè da cui egli era partito3 0.

3. Garanzie strutturali di validità. Fin qui Mannheim ha cercato di fornire basi di validità entro i limiti di deter­ minate prospettive. Tuttavia, egli deve ancora affrontare il problema della valutazione dei meriti relativi di diverse, particolari concezioni e del modo in cui possono essere convalidate quelle che egli chiama le «sintesi dinamiche» di queste particolari concezioni. Detto in poche parole, se si vuole evitare l'anarchia intellettuale, deve esserci qual­ che base comune per integrare le varie interpretazioni particolaristiche. Nella sua Ideologie und Utopie egli pro­ pone una soluzione che, nonostante le modificazioni, ri­ corda molto Hegel e Marx. Lo storicismo idealistico di Hegel garantiva della sua verità assumendo che l' absolute 3 0 La differenza fra questa interpretazione e quella di Schelting, il quale critica sistematicamente Mannheim sulla base della Wissenscha/ts­ lehre di Weber è più apparente che reale. Schelting tratta il lavoro di Mannheim come un tutto in cui le prime e le ultime parti sono spesso giustapposte. Qui, noi trattiamo degli scritti di Mannheim nel loro svi­ luppo, negli ultimi gradi del quale il distacco da Weber viene mano a mano attenuandosi.

924 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa

Geist era tornato in se stesso nella filosofia hegeliana in

quanto la storia aveva finalmente raggiunto la sua meta. Per Marx, lo stesso genere di postulato trova nel proleta­ riato l'attuale esponente di un processo storico immanente che dà soltanto ad esso la possibilità di un pensiero socia­ le corretto. E Mannheim trova una garanzia strutturale della validità del pensiero sociale nella «posizione aclassi­ sta» degli «intellettuali socialmente non impegnati» (So­ zial/reischwebende Intelligenz) . Questi tentativi per salvarsi da un estremo relativismo ricordano gli sforzi del barone di Miinchausen di emergere da una palude tirandosi per i baffi. La Seinsverbundenheit, che rende impossibile agli altri praticamente tutta la conoscenza, cade invece per gli in­ tellettuali (D, pp. 1 15 - 120; F, p. 67 ss. ) . Il ruolo dell'intel­ ligentsia diventa una specie di rassicurante palliativo di un implicito relativismo. Gli intellettuali sono gli osservatori dell'universo sociale e lo considerano, se non con distac­ co, almeno con una penetrazione attendibile, con occhio sinteticamente acuto. A loro è concesso, come al proleta­ riato di Marx, il punto di vista che permette una comple­ ta visione della situazione storica concreta e, come per Marx, questo privilegio deriva dalla loro particolare posi­ zione entro la struttura sociale. Così Mannheim afferma che gli intellettuali possono comprendere le varie tenden­ ze in conflitto, dal momento che essi «provengono da strati sociali e condizioni di vita in continuo mutamento» (K, p. 10; G, p. 139). Nel Manifesto Comunista noi leggia­ mo: «Il proletariato è reclutato da tutte le classi della po­ polazione». Mannheim afferma che gli intellettuali sono strutturalmente esenti da interpretazioni distorte in quan­ to essi sono «consciamente o inconsciamente [. . . ] interes­ sati a qualcosa di diverso dal successo nello schema com­ petitivo che sostituirà quello presente» (G, p. 232; «es bewusst oder unbewusst stets auch auf etwas anderes ankam, als auf das Hineinarrivieren in die nachste Stufe

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cles sozialen Seins»). Engels, nel suo saggio su Feuerbach, ci ricorda che «soltanto fra la classe lavoratrice l'attitudine tedesca alla teoria resta inalterata [ . . . ] . Qui non vi è alcu­ na preoccupazione per la carriera, per il proprio profitto o per la benevola protezione dall'alto». Qualunque sia la validità di ciò nei casi concreti, è chiaro che sia nel caso degli intellettuali sia nel caso del proletariato, la semplice posizione nella struttura sociale non è in se stessa suffi­ ciente a convalidare i loro concetti. E in verità, Mannheim sembra arrivare a questa conclusione quando, in un arti­ colo posteriore, riconosce la necessità di un «comune de­ nominatore» e di una formula per «tradurre» i risultati ottenuti da diverse prospettiv� (H, p. 720; «eine Formel der Umrechenbarkeit und Ubersetzbarkeit dieser ver­ schiedenen Perspektiven ineinander. . . »). Tuttavia, egli non afferma che soltanto gli intellettuali situati in una posizio­ ne sociale che garantisce strutturalmente il loro pensiero possano attuare queste sintesi. Né indica in modo soddi­ sfacente come, secondo lui, si possa raggiungere «la tra­ duzione di una prospettiva nei termini di un'altra». Una volta che si ammette che il pensiero è esistenzialmente de­ terminato, chi può giudicare nella babele di voci contra­ stanti? È quindi evidente che nel trarre conseguenze episte­ mologiche dalla sociologia della conoscenza, Mannheim è giunto a varie antinomie che restano insolute. Senza dub­ bio, ulteriori modificazioni nella sua linea di pensiero, che sono appena evidenti nei suoi scritti recenti, lo porteran­ no ad un sistema di analisi saldo e integrato. Per quel che riguarda la rivoluzione nella teoria della conoscenza che egli considera come derivante da un'appropriata estensio­ ne della Wissenssoziologie, si può dire che nei suoi linea­ menti più evidenti questa epistemologia è stata per un certo tempo molto diffusa nel pensiero americano. Si trat­ ta dell'epistemologia di Peirce e James, mediata da Dewey e Mead, per cui il pensiero è considerato come uno solo

926 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa fra molti tipi di attività, inevitabilmente legato all' espe­ rienza, comprensibile solo nei suoi rapporti con l' espe­ rienza non gnoseologica, stimolato da ostacoli e da situa­ zioni temporaneamente frustranti, implicante concetti astratti che debbono essere costantemente riesaminati alla luce delle loro conseguenze per particolari concreti e vali­ do soltanto quando sia basato su un fondamento speri­ mentale31 . A questo riguardo, Mannheim ha fornito una preziosa analisi del ruolo della struttura sociale nell'indi­ rizzare e stimolare il pensiero. Il tono critico della discussione p recedente non deve trarre in inganno. Mannheim ha tracciato i vasti contorni della sociologia della conoscenza con notevole abilità e grandissima penetrazione. Liberati dai loro impedimenti epistemologici, con i loro concetti modificati dalle lezioni fornite da ulteriori ricerche empiriche e con l'eliminazione di qualche incoerenza logica, i risultati concreti e i proce­ dimenti metodologici di Mannheim chiariscono rapporti fra conoscenza e struttura sociale fin qui rimasti oscuri. Fortunatamente Mannheim riconosce che il suo lavoro è tutt'altro che definitivo - un termine che suona come una stonatura quando è applicato a qualsiasi lavoro scientifico e noi possiamo aspettarci considerevoli intuizioni e chiari­ ficazioni dalle sue prossime indagini nel territorio in cui è stato pioniere.

3 1 In un libro successivo Mannheim rivela il suo accordo con mol­ ti aspetti del pragmatismo, J, p. 170. Egli condivide anche i precetti dell'operazionalismo in parecchi aspetti che qui non possono essere esaminati; vedi, per esempio, H, pp. 254, 274-275 .

Capitolo sedicesimo

Studi sulla p ropaganda radiofonica e cinematografica

Il presente capitolo 1 esamina una serie di studi sulla propaganda attraverso la radio e il cinema. Premesso que­ sto, definiamo subito il termine propaganda in modo che tale definizione sia presente in tutta la nostra discussione. Intendiamo con propaganda ogni e tutta la serie di sim­ boli che influenzano le opinioni, le credenze o l'azione su argomenti considerati controversi dalla comunità. Questi simboli possono essere espressi nel linguaggio parlato, in quello scritto e stampato, nella forma musicale e in quella pittorica. Se però l'argomento è considerato al di là di ogni discussione, esso non è soggetto a propaganda. Nella nostra società sono, in questo senso, al di là di ogni di­ scussione e non oggetto di propaganda sia il genere di convinzione che dice che 2 + 2 fa quattro, sia un tipo di convinzione morale quale quella che afferma che l'incesto fra madre e figlio è male. Ma è invece possibile far propa­ ganda all'opinione che la nostra vittoria in guerra non è inevitabile, che la tassa per essere ammessi al voto è con­ traria a certe concezioni della democrazia, che non sareb­ be saggio, in tempo di guerra, permettere che i cittadini abbiano tutto il petrolio e tutta la benzina che desiderano o che un sistema religioso ha più diritto di un altro alla nostra fedeltà. Dato un argomento controverso, la propaI

Elaborato in collaborazione con P.F. Lazarsfeld.

928 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa ganda diventa possibile e, sembrerebbe, quasi inevitabile. Un'altra osservazione generale è necessaria a questo punto. In molti ambienti, la propaganda è identificata con la menzogna, l'inganno e la frode. Secondo noi, la propa­ ganda non è necessariamente in rapporto con la verità o con la falsità. Un resoconto fedele dell'affondamento di navi mercantili americane può, in tempo di guerra, risul­ tare una propaganda efficace e indurre i cittadini ad ac­ cettare molte privazioni che altrimenti non sopportereb­ bero di buon animo. Se fossimo convinti che propaganda e falsità sono la stessa cosa, saremmo sulla via del nichili­ smo. E riconosciamo anche che un atteggiamento di acri­ tica sfiducia può svilupparsi come difesa contro l'accetta­ zione di privazioni o contro un cumulo di fatti e informa­ zioni che producono timore, sconforto o l'abbandono di credenze a cui si è attaccati. Ma è tempo di interrompere queste discussioni gene­ rali sulla propaganda, discussioni che hanno tutto il fasci­ no della speculazione non controllata dall'indagine empi­ rica. Per mettere chiaramente a fuoco certi problemi della propaganda, dobbiamo rivolgerei ai suoi aspetti concreti e sviluppare precise tecniche per verificare le nostre inter­ pretazioni. Non è che discussioni generali sulla propagan­ da siano necessariamente senza valore, è solo che in gene­ re esse tendono a precedere una conoscenza fondata e perciò rischiano di avere la grandezza della vacuità. È possibile che questo saggio sbagli nella direzione opposta. Noi intendiamo solo riferire su alcuni studi con­ dotti durante la seconda guerra mondiale dal «Bureau of Applied Social Research» della Columbia University sotto la supervisione della dott. Herta Herzog e degli autori. Una caratteristica di questi studi è quella di essersi preoc­ cupati degli effetti accertabili di particolari documenti di propaganda. Un'altra caratteristica è il loro orientamento tecnico: essi costituiscono una base per consigliare gli scrittori e i produttori di questa propaganda. La ricerca

La propaganda radio/onica e cinematografica

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doveva essere tale da divenire strumento immediato di de­ cisione e di azione. Circa dodici anni prima di navigare verso Samoa, Robert Louis Stevenson descriveva inconsa­ pevolmente proprio il tipo di situazione che devono af­ frontare i ricercatori quando operano in un contesto di azione politica: Questa non è scienza di laboratorio, in cui le cose vengono verificate fino allo scrupolo; noi teorizziamo con una pistola puntata sulla nostra testa; ci troviamo di fronte ad una serie di nuove condizioni sui cui non solo dobbiamo formulare un giu­ dizio, ma sulle quali dobbiamo agire prima che scocchi la no­ stra ultima ora. Il presente rapporto tratta appunto di una ricerca condotta «con una pistola puntata sulla testa». Il nostro fine è quello di pregare che non si prema il grilletto.

l.

Modi di analisi della propaganda

In un certo senso, l'analisi dettagliata della propagan­ da non è un fenomeno nuovo. Infatti, negli ultimi decen­ ni, sono stati studiati gli effetti di film, di programmi ra­ diofonici e di materiali giornalistici. Nel complesso, tutta­ via, questi studi hanno trattato degli effetti complessivi del materiale propagandistico in generale. Queste ricerche - ad esempio quelle di L.L. Thurstone - hanno conse­ guentemente limitato i loro risultati generali ad osserva­ zioni di questo tipo: Un film razzista The Birth of a Nation aumentò, fra il pub­ blico sottoposto ad indagine, i sentimenti di ostilità nei con­ fronti dei negri. Il film Streets o/ Change che ritraeva un giocatore d'azzardo come «un personaggio interessante e simpatico» portò, per ra­ gioni che non sono state accertate, ad una più forte condanna del gioco d'azzardo.

930 La soàologia della conoscenza e le comunicazioni di massa Fra gruppi di studenti, il film Al! Quiet an the Western Front provocò reazioni più violente contro la guerra del film ]ourney's End. Si noterà che questa ricerca non dice molto degli ele­ menti specifici della propaganda che hanno provocato questi effetti. Pure, questo è proprio il problema a cui sono interessati lo sceneggiatore e il produttore. Se essi debbono trarre un vantaggio dalle ricerche sulla propa­ ganda, queste ultime debbono essere dirette a scoprire gli effetti tipici di aspetti definiti e specifici della propaganda, oltre naturalmente a scoprire gli effetti complessivi. Quali sono le caratteristiche di una propaganda efficace in de­ terminate condizioni? In questo saggio, esamineremo al­ cuni studi recenti che mettono in relazione specifici ele­ menti di propaganda con tipi definiti di risposta. Prima di esaminare i metodi d'analisi degli effetti della propaganda, dobbiamo cercare di dissipare un'illusione piuttosto diffusa. È chiaro che, in generale, gli scrittori di materiali propagandistici non possono sapere come il pubblico reagirà ai loro prodotti semplicemente facendo affidamento sulla loro intuizione oppure osservando le proprie reazioni. Diversi esempi, il primo dei quali ha più un carattere educativo che propagandistico, illustreranno quali reazioni inaspettate può provocare lo scrittore. Un abile scrittore aveva steso un primo abbozzo delle istruzioni per l'impiego delle tessere di razionamento usa­ te durante la seconda guerra mondiale e nel far questo aveva cercato di essere il più chiaro possibile. Veniva inol­ tre assistito in questo compito da consulenti specializzati in psicologia. lntervistatori addestrati presentarono le istruzioni alle massaie e osservarono le loro reazioni. Sulla base di queste osservazioni fu preparato un secondo ab­ bozzo e anche questo fu sottoposto a verifica per mezzo di interviste. Finalmente fu adottato un terzo schema an­ cora modificato in base all'ulteriore verifica. Un obiettivo

La propaganda radio/onica e cinematografica

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centrale era quello di rendere chiaro che i tagliandi delle tessere di diverso valore potevano essere sommati per rag­ giungere un dato numero di punti. Si era ritenuto che, dal momento che la gran maggio­ ranza della gente sa usare i francobolli, sarebbe stato utile includere nelle istruzioni un'analogia in questo senso. Dal­ la posizione dello scrittore, chiuso nel proprio studio, non era presumibilmente possibile prevedere che questa sem­ plice analogia avrebbe provocato commenti di questo ge­ nere: Non mi ero reso conto che si dovessero spedire. Non sembra che ci sia nessun posto per incollarli. Questo esempio banale di risposta inaspettata riflette semplicemente una frattura nelle comunicazioni. Altri esempi sono forniti da film che sottolineano la crudeltà e l'immoralità dei nazisti. Episodi che miravano chiaramen­ te a mettere in luce l'indifferenza e il disprezzo dei nazisti per le più elementari esigenze umane sono a volte valutati dal pubblico in termini tecnici: essi sono presi come esempi dell'efficienza nazista. Le implicazioni emotive e morali che erano lo scopo dei produttori di questi film sono trascurate dagli spettatori. Lo stesso modello di risposte inaspettate si trova an­ che nel campo delle trasmissioni radiofoniche. Sotto gli auspici di un'associazione medica, fu trasmessa alla radio una conversazione sui raggi X, conversazione che faceva parte di una campagna che cercava di promuovere un «giusto» uso dei servizi sanitari da parte dei membri della comunità. L'oratore, un noto radiologo, cercava di dissua­ dere i suoi ascoltatori dal rivolgersi a praticoni non auto­ rizzati (ciarlatani) per esami e trattamenti con raggi X. Nel tentativo di rendere più efficace la sua perorazione, egli sottolineò ripetutamente «i pericoli connessi all'uso dei raggi X e i pericoli di fare esami radiologici». Le buo-

932 La soàologia della conoscenza e le comunicazioni di massa ne intenzioni del radiologo provocarono ansietà inaspetta­ te. Alcuni ascoltatori - che in nessun caso avrebbero con­ sultato dei ciarlatani - espressero i loro nuovi timori: Ha ottenuto il risultato che le persone non vogliono più né esami né cure radiologiche. Dalle sue parole appariva così peri­ coloso. n medico usa un riparo di piombo e porta i guanti. Dopo questo la gente non vorrà più fare neppure una radiogra­ fia. Sarà terrorizzata. Mi sembra che potrebbe far male. Sentendo parlare di cor­ renti e cose del genere io credo che come minimo sia poco pia­ cevole. n modello di risposta imprevista pone molti interrogati­ vi fondamentali. Come possiamo analizzare film, program­ mi radiofonici e stampa di propaganda in modo tale da po­ ter stabilire quali elementi hanno maggiori probabilità di provocare determinati effetti? I procedimenti per raggiun­ gere questo scopo sono quelli attualmente conosciuti col nome di analisi del contenuto. Vi sono altri interrogativi. Come possiamo identificare quelle risposte che sono effetti­ vamente provocate dalla propaganda? Fino a che punto possiamo spiegare le diversità fra le risposte previste e quel­ le reali? Possiamo costruire una riserva di esperienze e in­ terpretazioni che ci permetta di prevedere con una certa at­ tendibilità le risposte a vari tipi di propaganda in modo che si possano minimizzare o evitare reazioni indesiderabili in­ tervenendo sul materiale propagandistico prima che sia usato? Chiameremo analisi delle reazioni i procedimenti de­ signati per rispondere a queste domande. Ed ora affronteremo quello che riteniamo sia il nostro principale compito: riferire sulla nostra esperienza bienna­ le nell'analisi di vari tipi di propaganda. Richiamando l'at­ tenzione sui problemi concretamente incontrati in questi studi, forse potremo chiarire alcuni dei procedimenti che sono stati sviluppati nel campo dell'analisi di contenuto e dell'analisi delle reazioni.

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2 . Analisi del contenuto Il documento propagandistico - un opuscolo, un film, un programma radiofonico - viene per prima cosa esami­ nato per determinare quali potranno essere i tipi di rea­ zione alle sue diverse parti componenti, ai suoi diversi aspetti o al documento considerato totalmente. Forse si può supporre che chiunque esamini il materiale di propa­ ganda ne conoscerà il contenuto. Questo è tutt'altro che vero. L'analisi del contenuto richiede certi procedimenti, basati sulla teoria psicologica e sull'esperienza clinica oltre che sulla teoria sociologica, che permettono di individuare le probabili reazioni al contenuto di un messaggio. Un'analisi che si basi semplicemente sulle impressioni non è sufficiente. Il contenuto di un programma radiofonico di 15 minuti o di un film di un'ora può essere adeguata­ mente valutato solo mediante procedimenti sistematici. Come abbiamo bisogno di un cannocchiale per vedere un oggetto situato ad una grande distanza, così è necessario avere delle tecniche, talora anche straordinariamente sem­ plici, per percepire un flusso di esperienza che si estende per un lungo periodo di tempo. Queste tecniche sono molto diverse e vanno dal calcolo della frequenza di certi simboli chiave fino allo studio della struttura del docu­ mento propagandistico nella sua totalità o di una intera campagna pubblicitaria. Consideriamo pochi esempi del tipo più semplice: l'analisi dei simboli. Un a serie di programmi radiofonici con intento p atriottico conteneva circa 1 . 000 simboli che indicavano le nazioni alleate (o i suoi membri, ad ecce­ zione degli Stati Uniti) e le nazioni dell'Asse (collettiva­ mente o singolarmente ) . Dall'esame della frequenza di queste rispettive serie di simboli in dodici programmi, emersero diverse uniformità che riflettevano una struttu­ ra dei programmi che andava contro le intenzioni dichia­ rate dei produttori. In tutti i programmi, tranne in uno,

934 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa la frequenza dei simboli indicanti le nazioni alleate era positivamente correlata a quella dei simboli riferentisi al­ l' Asse: un aumento o una diminuzione di una serie di simboli era associato ad un aumento o ad una diminu­ zione dell'altra. Questo fatto mise in luce un modello si­ gnificativo di questi programmi. L'interesse per le nazio­ ni alleate era in gran parte limitato al loro ruolo nella guerra contro l'Asse ed esse venivano nominate raramen­ te in altre occasioni. Per questa serie di programmi, le nazioni alleate erano gli «amici del tempo del pericolo» e venivano considerate soprattutto quali alleati che aiuta­ vano a combattere l'Asse e non quali alleati con cui si avevano altri legami di affinità o simpatia, indipendente­ mente dalla guerra. I programmi non si riferivano a loro come a società, ma come a nazioni che dimostravano co­ raggio e valore militare. Si rendeva omaggio agli eroici caduti sovietici e ci si rallegrava che fossero nemici di Hitler, si elogiavano gli inglesi che avevano così a lungo tenuto la fortezza britannica contro i nazisti, oppure si compiangeva il destino delle nazioni occupate, ma anche in questo caso solo in relazione alla loro esperienza del­ l' occupazione militare. Poiché ci si riferiva alle nazioni alleate quasi esclusivamente in relazione ad argomenti del genere, non è sorprendente che si sia trovata un'as­ sociazione fra la frequenza dei simboli che si riferiscono ad esse e quelli che si riferiscono all'Asse. Bisogna nota­ re che l'analista, e probabilmente anche i produttori di questi programmi radio, non avrebbe scoperto questo tipo di struttura se non vi fosse stato il calcolo dei sim­ boli. Questa serie di programmi faceva inoltre largo uso di personalizzazioni in riferimento al nemico: circa il 25 % di tutti i simboli indicanti il nemico si riferiva a Hitler, Mus­ solini, Goring, ecc., mentre per quel che riguarda le na­ zioni alleate e gli Stati Uniti si faceva uso di questo gene­ re di simboli solo rispettivamente nelle percentuali del 4 e

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dell' 1 1 % . Questo uso di stereotipi personalizzati presen­ tava il nemico come una piccola banda di uomini malvagi e supponeva implicitamente che, un� volta distrutti questi uomini, tutto sarebbe andato bene. E un genere di perso­ nificazione che risulta più che accettabile agli ascoltatori, poiché si accorda con idee semplicistiche molto diffuse, molto simili alla nozione, ad esempio, che si debba com­ battere il crimine punendo in primo luogo i criminali e non facendo ricorso a misure preventive. Sempre a proposito dei simboli, abbiamo trovato che diverse distribuzioni di termini, usate per indicare il nemi­ co in film documentari, si riflettevano nei commenti degli spettatori che successivamente intervistammo. Così, se il commentatore del film identificava più di frequente come nemico la satanica figura di Hitler o l'intero popolo tede­ sco piuttosto che i nazisti, ciò si rifletteva nel modello di risposte del pubblico. Dobbiamo solo ricordare le reazio­ ni alla clausola sulla responsabilità di guerra del trattato di Versailles per renderei conto che l'argomento ha una importanza politica notevole. La propaganda del tempo di guerra può inavvertitamente ignorare il carattere nazista e fascista del nemico e accumulare così una riserva di ostili­ tà orientata in modo sbagliato per il periodo del dopo­ guerra. Un altro esempio è fornito da un opuscolo per i negri. I temi principali dell'opuscolo erano due: è vero che i ne­ gri continuano ad essere soggetti alla discriminazione raz­ ziale, ma, nondimeno, essi hanno fatto grandi progressi nella nostra società democratica che ha dato la possibilità a molti di loro di raggiungere il successo personale e di contribuire al benessere della comunità. Al contrario, Hit­ ler ha sempre espresso il suo disprezzo per le popolazioni di colore e, se egli avesse vinto la guerra, tutte le conqui­ ste e i progressi dei negri sarebbero state eliminate. Il contenuto dell'opuscolo poteva quindi essere classificato in due categorie: il materiale che si riferiva «ai vantaggi e

93 6 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa alle conquiste dei negri nella democrazia» e quello con­ cernente «le privazioni che una vittoria di Hitler avrebbe comportato». Vi erano 189 paragrafi e didascalie che si ri­ ferivano per 1'84 % ai vantaggi presenti e per il 16% alle eventuali perdite sotto il nazismo. Ai produttori dell'opu­ scolo sembrò evidentemente ragionevole distribuire in questo modo i due temi. Ma l'opuscolo conteneva due tipi di presentazione: uno era l' articolo di un noto scrittore negro e l'altro una serie di fotografie a grande rilievo con brevi didascalie. Un'ulteriore analisi tematica trovò che le fotografie e le didascalie da un lato e l'articolo dall'altro presentavano i due temi in proporzioni completamente diverse. Circa il 73 % degli elementi dell' articolo si riferiva alle eventuali privazioni sotto Hitler e il 27 % ai risultati raggiunti e rag­ giungibili in una democrazia, laddove il 98% delle foto­ grafie e didascalie si riferiva ai risultati e conquiste dei ne­ gri e solo il 2 % alla minaccia hitleriana. È un dato provato che la maggior parte della popola­ zione, e particolarmente la popolazione negra con il suo più basso livello di istruzione, preferisce generalmente guardare le fotografie e le didascalie piuttosto che leggere un articolo lungo. In questo caso le fotografie praticamen­ te ignoravano il tema delle privazioni dei negri in caso di vittoria nazista e la conseguenza fu che l'opuscolo, in gran parte, non raggiunse il suo scopo. Certi atteggiamenti dei negri furono analizzati prima e dopo la lettura dell' opu­ scolo. La maggior parte dei lettori si sentì orgoglioso e mostrò un più alto livello di coscienza del proprio valore in seguito a questa testimonianza delle realizzazioni e dei contributi alla civiltà della propria razza. Ma l'opuscolo non servì allo scopo, che era quello di rendere coscienti i negri dei loro speciali motivi alla lotta contro il nazismo, in quanto i lettori, nella maggioranza, non avevano colto questo messaggio essenziale del proprio particolare inte­ resse alla lotta.

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Per quanto superficialmente, questi due esempi illu­ strano i modi in cui una semplice numerazione dei simbo­ li chiave e un'analisi tematica permettono di scoprire certi errori del propagandista che ad un primo sguardo non è possibile individuare. Ciò serve anche come guida alle in­ terviste con le persone a cui la propaganda è indirizzata. Vi sono altri tipi di analisi del contenuto che possono es­ sere brevemente riassuntF:

Calcolo dei simboli: si tratta della identificazione e del conteggio di specifici simboli chiave nelle comunicazioni. Ciò indica semplicemente, in modo essenziale, i simboli che sono stati al centro dell'attenzione del pubblico. Il calcolo dei tipi particolari di riferimento al nemico nei commenti dei film docu­ mentari illustra questo genere di analisP. 2 . Classificazione unidimensionale dei simboli: questa è una leggera elaborazione del tipo precedente. I simboli sono classifi­ cati a seconda che siano impiegati, generalmente, in contesti po­ sitivi (favorevoli) o negativi (sfavorevoli). Così la Gran Bretagna può essere descritta in termini + (vittoriosa, democratica, corag­ giosa) o in termini - (sconfitta, divisa in caste, perfida) . Questo tipo di analisi è il primo passo per determinare le distribuzioni più efficaci di simboli in vista del raggiungimento di un certo risultato. Può servire a controllare la tendenza, spesso senza ef­ ficacia, di servirsi di contrasti radicali, senza sfumature. Quando è applicata alla propaganda nemica, questo tipo di analisi fornil.

2 Un esame esauriente delle procedure dell'analisi del contenuto è ora disponibile: B. Berelson, Content Analysis in Communications Re· search, Glencoe, The Free Press, 195 1 . Vedi anche H.D. Lasswell, A Provisional Classi/ication o/ Symbol Data, in «Psychiatry», l , 1938, pp. 197-204; D. Waples et al. , What Reading Does to People, Appendix B, Chicago, 1940; N.C. Leites e I. De Sola Pool, On Content Analysis, Experimental Division for the Study of Wartime Communications, Do­ cument n. 26, settembre 1942. 3 Vedi, per esempio, T.D. Lasswell, The Wor!d Attention Survey, in «Public Opinion Quarterly>>, 194 1 , 3 , pp. 452-462.

93 8 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa sce una base per valutare la relativa sicurezza o incertezza del nemico4 • 3 . Analisi degli elementi: si tratta della classificazione di segmenti o parti della propaganda (per esempio, scene di un film, canzoni in un programma radiofonico, fotografie in un opuscolo) . Ciò richiede una scelta di elementi significativi e non significativi sulla base di una teoria psicologica del «valore del­ l'attenzione». Questi elementi colpiranno l'interesse principale o gli interessi secondari del pubblico? Come verranno interpretati questi elementi da pubblici diversi? In numerose analisi di film, è stato possibile prevedere le scene e le sequenze che sarebbero state al centro dell'attenzione del pubblico. 4. Analisi tematica: si tratta della classificazione dei temi espliciti e impliciti (simbolici) del materiale di propaganda. A differenza della precedente, questa analisi si occupa del suppo­ sto significato complessivo di una serie di elementi5 . 5 . Analisi strutturale: riguarda le interrelazioni dei vari temi nella propaganda. Queste relazioni possono essere complementa­ ri (il nemico è crudele, noi siamo pietosi), integrate (il nemico è crudele, ingannatore, aggressivo, empio), interferenti (quando i temi operano annullandosi od ostacolandosi a vicenda; ad esem­ pio, il tema della forza nazista provoca ansietà)6. 6. Analisi della campagna propagandistica: tratta delle imer­ relazioni fra diversi documenti che sono destinati ad uno scopo generale comune. Mentre l'analisi strutturale si occupa delle in­ terrelazioni che esistono entro un unico documento di propa­ ganda, l'analisi della campagna tratta delle relazioni fra una se­ rie di tali documenti. Vi sono implicati problemi di sequenza,

4 Per esempio gli studi di H. Speier e E. Kris, Research Project on Totalitarian Communication, at the New School /or Social Research, una inedita analisi dei simboli della serie radiofonica «This is War», Bureau of Applied Social Research, Columbia University. 5 Per esempio uno studio di Gregory Bateson di un film di propa­ ganda nazista. Vedi, anche, S. Kracauer, Propaganda in the Nazi War Film, New York, Museum of Modern Art Film Library, 1942. 6 Per esempio Kracauer, Propaganda in the Nazi War Film, cit.; anche gli studi di film dell'Office of Radio Research.

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di durata, di importanza relativa, di successione temporale oltre che le relazioni che abbiamo menzionato nell'analisi strutturale7 . Da questo sommario possiamo constatare che uno dei compiti principali dell'analisi del contenuto è di fornire delle indicazioni sulle probabili reazioni alla propaganda. Ma questo non è sufficiente. Dobbiamo vedere anche se queste probabili reazioni effettivamente si producono, se l' analisi del contenuto è complessivamente valida. Ciò ri­ chiede delle interviste con i membri del pubblico, intervi­ ste di un tipo particolare che chiameremo «interviste fo ­ calizzate»8 . Per inciso vi è una integrazione fra l'analisi del conte­ nuto della propaganda e le interviste focalizzate con letto­ ri e ascoltatori. Una precedente analisi del contenuto è in­ dispensabile per guidare l'intervista e l'esperienza nelle in­ terviste aiuta a rendere più acuta l'analisi del contenuto.

3 . Analisi delle reazioni Le interviste destinate a scoprire le reali reazioni alla propaganda sembrano, a prima vista, un compito sempli­ ce. Ma nell'esperienza concreta non è affatto così. L'uso delle normali tecniche di intervista non è sufficiente ad ottenere le informazioni necessarie. La maggioranza delle persone trova difficile esprimere le proprie reazioni ad un film o ad un programma radiofonico nei termini utili allo scrittore, al produttore o allo scienziato sociale. Noi abbiamo trovato che gli intervistati si dividono in due grandi classi. Se hanno un livello di istruzione abba­ stanza elevato, essi daranno il loro consiglio su come il 7 Per esempio, gli studi delle campagne politiche, delle campagne di propaganda per la pubblica utilità, ecc. 8 Merton, Fiske e Kendall, The Focused Interview, cit.

940 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa film «dovrebbe essere presentato» o su come il program­ ma radio «dovrebbe essere modificato» per aumentare la sua efficacia. Essi cercano di comportarsi come consulenti o critici professionali e ,questo è precisamente ciò di cui non abbiamo bisogno. E stato quindi necessario appron­ tare tattiche speciali di intervista allo scopo di evitare que­ sti atteggiamenti da consulenti da parte degli intervistati e per cercare di ottenere le loro reazioni immediate alla propaganda. Per l'altra classe, che trova invece difficile riferire le proprie reazioni, si sono sviluppate p articolari tecniche di intervista che facilitano l'articolazione verbale di tali rea­ zioni. Tutta l'intervista è concentrata sul materiale di pro­ paganda che viene preso in esame: le osservazioni dell'in­ tervistatore non dirigono l'attenzione verso aspetti definiti del materiale, ma piuttosto cercano di facilitare l'esposi­ zione di quei particolari che hanno principalmente colpito l'attenzione degli intervistati e delle loro reazioni agli ele­ menti che per loro sono stati significativi. Se ci è permes­ sa una metafora, l'intervistatore fornisce alla mente degli intervistati una lampadina tascabile che illumina i linea­ menti di un film, di un programma radiofonico o del ma­ teriale stampato. Soltanto dopo che gli intervistati hanno completamente riferito le loro reazioni agli aspetti del ma­ teriale propagandistico da cui sono stati maggiormente colpiti, l'intervistatore completa la discussione controllan­ do quelle ipotesi, derivate dall'analisi del contenuto, che non sono state ancora considerate. L'intera intervista è re­ gistrata parola per parola dagli stenografi. Questo permet­ te un'approfondita analisi successiva di quegli aspetti della propaganda che hanno provocato certi tipi di reazione. In generale, possiamo dire che un'intervista focalizzata è valida quando raggiunge i seguenti risultati: l . Determinare gli elementi efficaci della propaganda a cui il pubblico ha reagito.

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2 . Determinare il più esattamente possibile la molteplice

natura di questi effetti. 3 . Rendere possibile il controllo dell'effettivo verificarsi di quelle reazioni che si erano ipotizzate in base all'analisi del con­ tenuto. 4. Scoprire reazioni completamente inaspettate, vale a dire reazioni che non erano state previste né dallo scrittore né da colui che aveva analizzato il contenuto del materiale. Sebbene tutti questi obiettivi dell'intervista siano im­ portanti, è specialmente l'ultimo quello che ha un'impor­ tanza pratica speciale. Si ricorderanno i nostri esempi del­ l'opuscolo sui negri e della conversazione sui raggi X tra­ smessa alla radio. Essi avevano lo scopo di indicare che, senza un'analisi del contenuto, il propagandista spesso non è capace di vedere la foresta a causa degli alberi. Possiamo anche usare un'altra metafora e cioè che il propagandista non vede le spine a causa della rosa. Se un propagandista desidera comunicare un'idea o produrre una determinata impressione, egli deve servirsi di parole, di illustrazioni e altri simboli. Una volta che il suo opuscolo, la sua rappre­ sentazione, il suo programma radiofonico o il suo copione vengono diffusi, è il pubblico che lo capirà come meglio crede. Si racconta la storia di un missionario che, indican­ do un tavolo, ripeteva la parola «tavolo» finché il suo pub­ blico primitivo fosse in grado di ripeterla. Dopo un po' di tempo, egli rimase sgomento nell'apprendere che alcuni di essi chiamavano «tavolo» un albero, poiché ambedue era­ no di colore marrone e altri chiamavano «tavoli» i cani perché entrambi avevano quattro gambe. In breve, ognuno dei suoi ascoltatori aveva scelto qualche aspetto dell'ogget­ to complesso che per il missionario era così ben definito come un tutto dalla parola «tavolo». Allo stesso modo, è istruttivo vedere quanto spesso gli effetti della propaganda possano essere totalmente inaspettati.

942 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa L'effetto boomerang Il caso che esamineremo qui è tratto dall'esempio che abbiamo già menzionato di un programma per la salute pubblica. Casi del genere avrebbero notevoli conseguenze, se il governo americano cercasse di mantenere le funzioni educative e propagandistiche che esso ha assunto nel ten­ tativo di tenere alto il morale dei cittadini durante la guerra. Essendosi abituato ad accettare alcune misure di supervisione governativa, il popolo americano può dimo­ strarsi più favorevolmente disposto nei confronti di un programma di salute pubblica e di attività educative pro­ mossi dal governo nel periodo postbellico. L'esempio da noi citato, come si ricorderà, è quello del rappresentante di un'associazione medica locale che tenne alla radio una conversazione sui raggi X. Egli sottolineò le precauzioni che erano necessarie per evitare le scottature che i raggi X possono provocare; indicò come il governo locale proteggesse i cittadini concedendo delle licenze agli operatori dei raggi X e controllando le apparecchiature, e mise particolarmente in risalto l'addestramento specialistico necessario a diventare competenti in questo campo. L'ora­ tore cercava evidentemente di porre sull'avviso i suoi ascol­ tatori perché non cadessero nelle mani di ciarlatani disone­ sti e privi di competenza. Interessato professionalmente a questo problema, egli evidentemente non si rese conto che i suoi ascoltatori non avevano una esperienza paragonabile alla sua e trascurò così di tradurre il problema nei termini dell'esperienza del suo pubblico. Indagini affini dimostrano che gli ascoltatori non posso­ no prontamente assimilare informazioni e atteggiamenti se questi non sono legati alla loro riserva di esperienza. Se il medico avesse descritto i metodi usati dai ciarlatani per procurarsi dei clienti, se avesse indicato come questi posso­ no essere facilmente riconosciuti o se avesse presentato del­ le cifre sul numero presumibile di operatori senza licenza, i

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suoi ascoltatori avrebbero potuto assimilare il suo punto di vista e il suo atteggiamento in proposito. Ma poiché non lo fece, ebbe l'aria di voler sfondare delle porte aperte. Egli parlò dei dottori autorizzati ma non mise bene in chia­ ro l'argomento. Non disse mai che cosa sarebbe accaduto se ci si fosse rivolti ad una persona non autorizzata. Di conseguenza, gli ascoltatori cominciarono a dubita­ re dell'importanza e, talvolta, della portata concreta del problema. Il medico parlò in un vuoto psicologico che gli ascoltatori dovevano in qualche modo colmare da soli. Avevano sentito parlare della complessità delle apparec­ chiature radiologiche ed essi usarono questa nuova infor­ mazione per guardare il problema a modo loro. Io non credo che questi awertimenti siano giustificati. Non è che chicchessia può procurarsi un apparecchio radiologico. Non credo che la «Generai Electric» venderebbe l'apparecchio ad una persona qualunque che non ha l'autorizzazione per ado­ perarlo. Non posso pensare che una persona sprowista di licenza osi comperare un apparecchio che costerà almeno 10.000 dolla­ ri per poi esser pescata il giorno dopo da qualcuno che scopre che non ha la licenza. Probabilmente, per affrontare questo problema, l'ora­ tore parlò dei meriti dello specialista in termini generali. Un'analisi del contenuto rivelò che in 14 minuti di con­ versazione vi erano stati 63 riferimenti ai concetti di auto­ rità, autorizzazione e specializzazione. Dal momento che la conversazione faceva sorgere problemi che poi non chiariva, essa provocò un e/fetta boomerang. L'ascoltatore diventò sempre più impaziente e alla fine mise in dubbio le capacità dello stesso specialista radiologo. Vi sono moltissimi casi in cui lo stesso medico autorizzato non usa i raggi X nella giusta maniera.

944 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa Si può avere una patente automobilistica, ma questo non prova che si sia capaci di guidare. Così, anche queste persone possono avere una licenza ma ciò non prova che essi siano competenti. Il programma sottolineò ripetutamente l'importanza di un'appropriata specializzazione per i radiologi, ma erronea­ mente suppose che gli ascoltatori avessero la formazione mentale necessaria per identificare l'autorizzazione con la preparazione professionale necessaria. In conseguenza, tutta l'insistenza dell'oratore portò prima all'impazienza, poi all'incredulità e infine alla diffidenza. Possiamo ritenere, pertanto, che sotto certe condizioni la popolazione risponde alla propaganda in maniera op­ posta a quella voluta dall'autore. Nel corso delle nostre indagini, abbiamo trovato vari tipi di questo effetto boomerang, alcuni dei quali possono esser qui menzionati. Il precedente boomerang dello «specialista» illustra un tipo assai comune: esso risulta da un 'errata valutazione psi­ cologica della mentalità del pubblico. La propaganda non produrrà le risposte previste a meno che il suo contenuto �on corrisponda alle necessità psicologiche del pubblico. E essenziale, perciò, se la propaganda vuole evitare un ef­ fetto boomerang, che si abbia un flusso continuo di infor­ mazioni su quelli che sono i sentimenti e gli atteggiamenti prevalenti nella popolazione. È a questo punto che i tipi comuni di sondaggi di opinione e altre osservazioni del comportamento e della psicologia di massa sono legati al­ l' analisi dettagliata della propaganda. S appiamo, ad esempio, da sondaggi di opinione pub­ blica che una forte proporzione di americani credeva, quando ciò non era affatto vero, che gli Stati Uniti avesse­ ro l'esercito più grande, la più vasta produzione di mate­ riali bellici e che essi fossero quelli che avevano dato il maggior contributo alla vittoria contro l'Asse. Pertanto, i film che cercano di sottolineare i contributi alla vittoria

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degli alleati degli Stati Uniti dovrebbero essere fatti in modo da non accrescere questo etnocentrismo. Se si vuole mostrare ciò che hanno compiuto gli inglesi, i russi o i ci­ nesi, le sequenze che trattano degli aiuti e di altri contri­ buti forniti dagli americani devono specificamente ed esplicitamente indicare i limiti di questi aiuti. In caso con­ trario, avremo l'effetto boomerang indicato più sopra, per cui un settore del pubblico, la cui psicologia è stata tra­ scurata, volgerà il film a fini diversi da quelli voluti. Un secondo tipo di effetto boomerang entra probabil­ mente nel minimo ineliminabile di risposte boomerang.

Esso nasce dal dilemma dello scrittore che deve indirizzare la sua propaganda ad un pubblico psicologicamente eteroge­ neo, vale a dire a quel pubblico che ha diversi atteggiamenti mentali nei confronti di un determinato argomento. Lo

stesso materiale, che può essere efficace per un dato setto­ re del pubblico, può produrre effetti opposti in un altro settore psicologicamente e socialmente diverso. Prendiamo un esempio. Un programma radio a fini patriottici, che fu trasmesso subito dopo Pearl Harbour, aveva due temi principali. Il primo sottolineava il potere e la forza delle nazioni alleate e aveva lo scopo di combatte­ re il disfattismo; il secondo accentuava la forza del nemi­ co nel tentativo di ridurre l'eccessivo ottimismo e il com­ piacimento per la propria potenza. Il problema è suffi­ cientemente chiaro: non è forse possibile che, col mettere in risalto la forza delle nazioni alleate, si accrescesse l' otti­ mismo di quelli che erano già ottimisti e, correlativamen­ te, che i riferimenti alla potenza del nemico aumentassero il disfattismo di quelli che erano già disfattisti?9 Giudican­ do dalle interviste, questo è proprio ciò che avvenne. Non è un compito facile evitare che si abbiano reazio9 Di fatto, vi è una qualche prova sperimentale, per quanto debo· le, che le persone rispondano selettivamente in modo tale da rinforzare i loro correnti atteggiamenti e sentimenti.

946 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa ni opposte da differenti settori del pubblico. Ciò è reso ancor più complicato dalle oscillazioni, talvolta da oscilla­ zioni di «temperatura», dell' «atteggiamento mentale del pubblico», che di volta in volta può essere prevalente­ mente «ottimistico» o prevalentemente «pessimistico». Ancora una volta è evidente che se «la propaganda pa­ triottica» vuol essere funzionalmente appropriata alla si­ tuazione, devono esserci informazioni continue sugli orientamenti emotivi che prevalgono nella popolazione. Un terzo tipo di boomerang è forse più importante degli altri poiché può essere in gran parte eliminato in se­ guito ad un' analisi adeguata del materiale di propaganda. Possiamo chiamare questo tipo il boomerang strutturale,

che risulta da temi diversi contenuti nello stesso documento di propaganda i quali operano ostacolandosi a vicenda. Se il propagandista considera separatamente i diversi temi del

suo materiale di propaganda e ignora le loro interrelazioni psicologiche e sociali, può trovare che il suo documento totale è incapace di raggiungere i suoi fini. Se si vuole evi­ tare un tale risultato è necessaria l'analisi strutturale delle relazioni fra i diversi temi. Un caso ipotetico, sostanzialmente simile a quelli che sono emersi dalle nostre analisi, può servire ad illustrare il boomerang strutturale. Molti film, prodotti p rima dell'en­ trata in guerra dell'America, contenevano fra gli altri due temi dominanti. Il primo di questi metteva in rilievo la grande crudeltà, il sadismo dei nazisti e la minaccia che essi rappresentavano per il modo di vita americano. Era un tema che veniva illustrato vividamente da scene di maltrattamenti di civili, motivati semplicemente dalle con­ vinzioni politiche o religiose di questi ultimi. Nelle inter­ viste si scoprì che le sequenze di questo genere provoca­ vano sentimenti profondamente aggressivi in un numeroso settore del pubblico. Era abbastanza strano, tuttavia, che questi sentimenti di aggressione nei confronti dei nazisti non producessero

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necessariamente l'effetto di indurre gli spettatori ad espri­ mere il desiderio che il paese entrasse in guerra, più di quanto non facessero coloro che non avevano visto i film. In realtà, la percentuale di coloro che desideravano che il paese entrasse in guerra nel «gruppo di coloro che aveva­ no visto il film» era talvolta leggermente inferiore a quella del «gruppo di controllo» costituito dalle persone che non avevano avuto questa esperienza cinematografica. Come poteva spiegarsi questo? Se si fossero fatte delle interviste, il materiale avrebbe potuto mostrare che questa evidente mancanza di efficacia per quanto riguarda l'intervento in guerra era causata dal fatto che nei film vi era un altro tema che operava in sen­ so contrario. Questo tema con efficacia contraria avrebbe potuto essere l'accentuazione dell'abilità, dell'esperienza, delle enormi dimensioni dell'esercito nazista, il tutto illu­ strato da dettagliate e vivide sequenze di unità di combat­ timento naziste in azione. Un tema simile avrebbe potuto causare ansietà e paure a proposito di uno scontro diretto fra gli americani e il poderoso esercito nazista, special­ mente perché in quel periodo l'esercito americano non era ancora perfettamente preparato e organizzato. Così, si sarebbe potuto vedere che il tema della forza dei nazisti che provocava ansietà e timori agiva in senso contrario al tema della crudeltà degli stessi che generava sentimenti aggressivi e, quindi, questi ultimi non si tradu­ cevano nel desiderio realistico di un'entrata in guerra del paese. Un'analisi strutturale adeguata di questi film avreb­ be potuto indicare tutto questo e, di conseguenza, avreb­ be potuto anche mostrare che, sebbene ciascuno di questi temi potesse essere efficace, come in effetti era - l'uno su­ scitando ostilità, l'altro facendo conoscere agli americani la potenza del nemico -, il risultato netto per quel che ri­ guarda l'entrata in guerra poteva essere nullo. Questo esempio ipotetico non solo illustra un tipo di risposta boomerang, ma dimostra anche come l'intervista

948 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa focalizzata può aumentare e arricchire il valore dell'esperi­ mento controllato tradizionale, del tipo menzionato all'ini­ zio di questa discussione. L'esperimento controllato consi­ ste nell'avere due gruppi di persone, che abbiano caratte­ ristiche il più possibile simili, uno dei quali è stato espo­ sto alla propaganda e l'altro no. Gli atteggiamenti e i sen­ timenti che si intendono studiare vengono controllati nei due gruppi per due volte: prima e dopo che il gruppo sperimentale sia esposto alla propaganda. Se i due gruppi sono veramente simili, le differenze di atteggiamento che si riscontrano fra essi nel secondo controllo possono attri­ buirsi alla propaganda. Ma supponiamo che per certi at­ teggiamenti non si riscontri alcuna differenza significativa, come nel caso dell'esempio che abbiamo fatto sui film e l'intervento in guerra. L'esperimento controllato non ci dirà il perché di questa mancata differenza. I suoi risultati

danno solo l'effetto netto della propaganda su questo atteg­ giamento e non dicono nulla sulla più complessa dinamica delle reazioni che porta a questo effetto. Ma, come abbia­

mo visto, il fallimento del film avrebbe potuto essere cau­ sato dal fatto che due temi, ciascuno dei quali efficiente, producevano delle reazioni che si annullavano a vicenda. Il materiale delle interviste avrebbe consentito di avere una spiegazione psicologica delle reazioni che i risultati sperimentali non erano in grado di dare. Un quarto tipo di boomerang merita di essere discus­ so brevemente, anche perché è molto frequente nella pro­ paganda. Questo boomerang risulta da ciò che possiamo chiamare, con le debite scuse a Whitehead, la fallacia della esemplz/icazione malintesa. Qualora la propaganda tratti di argomenti familiari ad un dato pubblico, c'è il rischio che i particolari esempi scelti non siano considerati rappresen­ tativi da una parte del pubblico, poiché non sono coerenti con la sua esperienza. L'opuscolo che trattava dei negri e della guerra, di cui abbiamo già parlato, aveva come tema principale i vantaggi economici e sociali goduti dai negri

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nella democrazia americana. Il tema era in gran p arte illu­ strato da fotografie di negri che avevano raggiunto posi­ zioni economiche e sociali ragguardevoli, di abitazioni at­ trezzate e confortevoli e simili. Circa il 40% di un cam­ pione di negri intervistati considerò «falso» l'intero opu­ scolo a causa del marcato contrasto fra la loro personale esperienza e le loro osservazioni e gli «esempi di progres­ so» contenuti nell'opuscolo. Bisogna notare che il fatto che gli esempi siano veri non impedisce che essi producano una risposta boom­ erang. Il lettore si riferisce alla sua esperienza immediata e se vede che non vi è corrispondenza fra essa e per gli esempi contenuti nel documento, egli rifiuta tutto quanto con decisione. La sfiducia prodotta da tali contrasti fra «fatti» e «propaganda» tende ad essere generalizzata e di­ retta a tutto il documento. Inoltre, le risposte boomerang vanno molto oltre le persone che le sperimentano direttamente e inizialmente. Nel discutere il documento con altri, il lettore diffidente diventa una fonte di contagioso scetticismo. Egli predi­ spone altri potenziali lettori al medesimo atteggiamento di sfiducia. Così, l'analisi del contenuto e l'analisi delle rea­ zioni, che eliminano tali basi di risposte boomerang, adempiono una importante funzione profilattica. Il nostro resoconto comprende un numero di esempi di analisi della propaganda che può forse essere sufficien­ te ad aiutarci a superare una difficoltà che si incontra pe­ rennemente con gli scrittori e i produttori della propagan­ da. Lo scrittore creativo spesso non può accettare l'idea che ciò che a lui appare come espressione unica di un momento di ispirazione possa eventualmente essere mi­ gliorato o semplicemente sottoposto a ciò che a lui sem­ bra soltanto un processo di controllo meccanico. Ma tutto questo va oltre il nostro problema. Non si vogliono criti­ care gli artisti, gli artigiani e i tecnici che creano questa propaganda, né si deve pensare che la nostra prosaica

950 La soàologia della conoscenza e le comunicazioni di massa analisi sia capace di mantenere l'abile retorica e il ritmo che danno alla propaganda la sua efficacia di spettacolo. Si è d'accordo che non si può insegnar loro il proprio mestiere e che le idee creative, siano esse espresse in pa­ role, in suoni o immagini, non possono essere prodotte sinteticamente10• Ma la ricerca sistematica è necessaria per vedere se i propagandisti hanno raggiunto i loro scopi. Proprio come i ricercatori non possono scrivere sceneg­ giature adeguate, così siamo convinti che i propagandisti spesso non possono giudicare gli effetti psicologici dei loro prodotti se non usano tecniche come quelle da noi descritte. Si potrebbe anche pensare che è nella natura di questo problema che il propagandista debba trascurare al­ cune delle conseguenze indesiderate del suo lavoro. Questo può spiegare la frequenza con cui le nostre ana­ lisi scoprono inadeguatezze che potrebbero essere previste. Ma, di fatto, l'analisi delle reazioni è indispensabile. Questa analisi mette in luce altri difetti che in questa discussione non possiamo trattare con una certa ampiezza. Si prenda il caso dei modi di presentare un programma: per esempio, una tecnica che la radio ha preso in prestito dal cinema: il rapido mutamento delle scene, corrispondente al montag­ gio nelle presentazioni visive. Noi riteniamo, sulla base di alcuni test, che questa tecnica porti in generale ad una mancanza di chiarezza per l'ascoltatore medio della radio. Quest'ultimo smarrisce il senso della continuità dell'azione 1 0 Quindi siamo perfettamente d'accordo con le idee di Aldous Huxley sul medesimo argomento: «... l'uomo di lettere fa la maggior parte del suo lavoro non per calcolo, non per applicazione di formule, ma per una intuizione estetica. Egli ha qualcosa da dire e l'espone nel­ le parole che trova più adatte esteticamente. Dopo viene il critico [leg­ gi: l'analista della propaganda], che scopre che egli usava un certo ge­ nere di mezzi letterari, che può essere classificato in un apposito capi­ tolo. D processo è largamente irreversibile. Mancando il talento, voi non potete, con le sole regole, mettere insieme una buona opera d'ar­ te». T.H. Huxley, as a Man o/ Letters, Huxley Memorial Lecture, 1 932, p. 28; anche R. de Gourmont, La culture des idées, Paris, 1900, p. 5 1 .

La propaganda radio/onica e cinematografica

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o dell'argomento, non capisce più di che cosa si stia par­ lando e perde ogni interesse. Allo stesso modo, i riferimenti storici arrivano spesso ad orecchi che non sentono, a meno che non vengano chiariti con cura. Oppure si consideri il problema dell'autenticità dei film documentari. I propagandisti sarebbero probabilmen­ te sorpresi di sapere quanto spesso il pubblico dubiti di vedere un reale documentario su Hitler nel suo rifugio di montagna o di Goring in una sala di riunione. Il propa­ gandista sa che si tratta di un brano tratto da un docu­ mentario tedesco, ma il pubblico non possiede la stessa informazione. In questo modo si genera e si diffonde la sfiducia. Potremmo citare altri casi in cui abbiamo trovato numerosi errori di giudizio provocati da discorsi di an­ nunciatori alla radio o di personalità che mettono a dura prova la sopportazione del pubblico. Abbiamo ripetutamente sottolineato come sia necessa­ rio avere dati specifici e dettagliati sulle reazioni alla propa­ ganda. Per raggiungere questo scopo abbiamo spesso usato un dispositivo chiamato Program Analyzer. Questo mecca­ nismo, così chiamato perché fu usato per primo con i pro­ grammi della radio, può essere usato per qualsiasi altro tipo di comunicazione che si sviluppi in una dimensione tempo­ rale, ad esempio, un film. Lo scopo del Program Analyzer può essere spiegato brevemente. Le interviste sulle reazioni alla propaganda debbono naturalmente svolgersi dopo la fine del programma radiofonico o cinematografico, dal mo­ mento che non si vuole interrompere il corso normale di questo tipo di esperienza. Come si può quindi aiutare il pubblico a ricordare le proprie reazioni di fronte a partico­ lari aspetti del programma? Se l'intervistatore citasse speci­ fiche scene o episodi, sarebbe lui a stabilire dei centri d'at­ tenzione, senza contare che la sua descrizione potrebbe in­ fluenzare il resoconto dell'intervistato. li Program Analyzer serve ad eliminare questi inconvenienti. . Mentre assiste ad un film o ascolta un programma ra-

952 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa diafonico, ogni soggetto sottoposto al test preme un bot­ tone verde situato alla sua destra ogni volta che trova gra­ devole ciò che viene presentato e un bottone rosso alla sua sinistra quando il contenuto del programma non gli piace. Non preme alcun bottone quando è «indifferente». Queste risposte sono registrate su un nastro magnetico sincronizzato con il programma del film o della radio. In questo modo, i membri del pubblico registrano la loro approvazione o disapprovazione mentre reagiscono ai di­ versi aspetti del programma. Spiegazioni e dettagli di que­ ste risposte sono poi forniti nel corso dell'intervista foca­ lizzata di cui abbiamo parlato. Due vantaggi di questo procedimento sono immedia­ tamente chiari. In primo luogo, è il pubblico stesso che sceglie i settori del programma che sono per lui abbastan­ za significativi da costituire l'oggetto di una intervista par­ ticolareggiata. Ogni ascoltatore o spettatore presenta quel che può essere definito un resoconto generale delle sue reazioni con gli elementi del programma classificati in tre gruppi: gli elementi che lo hanno impressionato positiva­ mente, quelli che lo hanno lasciato indifferente e quelli che lo hanno impressionato negativamente. In secondo luogo, le reazioni registrate sul nastro pos­ sono essere sommate insieme in modo da ottenere la «curva di reazione» generale del pubblico. Questa curva può essere trattata statisticamente consentendo di deter­ minare le fonti principali delle reazioni favorevoli e sfavo­ revoli. Soprattutto fornisce, assieme alla precedente analisi del contenuto, una guida estremamente utile per l'intervi­ sta focalizzata.

4. Propaganda tecnica o propaganda difatti Questa discussione ha forse raggiunto il nostro scopo principale, quello cioè di aver fornito qualche idea sui pro-

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953

cedimenti usati nell'analisi psicologica della propaganda. A questo punto dobbiamo riferire qualche conclusione gene­ rale che abbiamo raggiunto nel corso del nostro lavoro. Una delle risposte più notevoli che abbiamo osservato nelle nostre indagini è l'estrema e diffusa diffidenza che molte persone mostrarono nei confronti della propaganda. La «propagandite» ha raggiunto proporzioni epidemiche: qualsiasi affermazione di valori corre il rischio di essere tacciata di «mera propaganda» e così respinta immediata­ mente. Le dirette espressioni del sentimento sono sospet­ te. Commenti come il seguente sono tipici del sempre presente uomo della strada quando crede che gli altri cer­ chino di influenzarlo: Io credo che sia troppo stupido cercare di «farla» alla men­ te di un adulto. A me succede esattamente il contrario di quel che dovrebbe: essi pensano che dovremmo sentirei pieni di pa­ triottismo ma è vero tutto l'opposto. E quindi alla fine si fischietta «The Star-Spangled-Banner». Tutti credono nella bandiera ma a nessuno piace che essa sven­ toli sulla sua faccia. Questa sfiducia e diffidenza nei confronti del senti­ mento non sorprenderà nessuno. È evidente che vi sono state relativamente poche fanfare durante l'ultima guerra. Come ha detto lo psicoanalista Ernst Kris, riferendosi ai nostri nemici come a noi stessi, «gli uomini andavano in guerra tristemente e silenziosamente» 1 1 . O, nelle parole di un nostro intervistato: Nella presente situazione, non abbiamo visto i ragazzi mar-

È interessante notare come Ernst Kris sia giunto alle medesime conclusioni basando la sua discussione su materiale propagandistico completamente diverso. Si veda il suo saggio in Some Problem o/ War Propaganda, in «The Psychoanalytic Quarterly», 1943 , 12, pp. 38 1 -399. Il

954 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa ciare fieri come nel 1917. Non abbiamo il sentimento della si­ tuazione. Quali conseguenze ha questa mancanza di entusiasmo collettivo per il propagandista che cerca di indirizzare tut­ te le energie verso l'emergenza bellica? Le nostre osservazioni suggeriscono che tale diffidenza è rivolta in primo luogo alla propaganda che in modo evi­ dente cerca di influenzare e scuotere la gente con appelli generali al sentimento. I tentativi di suscitare emozioni collettive sono accolti con scetticismo. Ma si tratta solo di uno scetticismo parziale. Lo stesso pubblico che è pronto a difendersi contro i fervidi appelli ai sentimenti patriotti­ ci è egualmente pronto ad accettare le implicazioni di un altro tipo di propaganda che provvisoriamente possiamo chiamare propaganda tecnica o propaganda di fatti. Cominciamo di nuovo dalle osservazioni registrate nel corso dei nostri studi: troviamo subito un interesse centra­ le per i fatti circostanziali e dettagliati, per i fatti responsa­ bili. Il commento seguente di uno dei nostri intervistati ri­ flette questo atteggiamento: A moltissima gente (sic) non piacciono queste forme chias­ sose di patriottismo che dovrebbero commuovere. A me (sic) piacciono i fatti. Questo desiderio di informazioni specifiche, quasi tec­ niche, assume talvolta forme ingenue, come possiamo ve­ dere dalla seguente osservazione su un documentario che sottolineava la forza dei nazisti: Sono stato proprio sorpreso. Voglio dire che non credo a tutto quel che ho letto sui giornali, ma a ciò che si vede con i propri occhi e si sa che è autentico bisogna credere. Una delle scene più efficaci del programma radiofoni­ co di cui abbiamo già parlato descriveva dettagliatamente

La propaganda radio/onica e cinematografica

955

come la velocità di un convoglio non fosse necessariamen­ te determinata dalla velocità della nave più lenta. In que­ sto nucleo di informazione tecnica era effettivamente con­ tenuta l'idea che gli uomini della marina mercantile si sa­ crificavano volentieri per il bene comune. La morale con­ tenuta nei fatti - «certamente i miei sacrifici non eguaglia­ no i loro» - poteva essere così accettata da coloro che avrebbero rifiutato un appello simile ma effettuato in modo diretto. I film che mostrano scene di battaglie o di bombardamenti risultano efficaci se mettono a fuoco i particolari delle operazioni invece di sottolineare il «mes­ saggio» propagandistico diretto al pubblico. I /atti parla­

no, non la propaganda.

Possiamo chiederci a questo punto: perché questo in­ teresse prevalente per i «fatti»? Quali sono le funzioni di questo interesse? L'accaduto concreto, ricco di particolari

circostanziali, serve come prototipo o come modello che aiu­ ta la gente ad orientarsi verso la parte del mondo in cui vive. Esso ha valore di orientamento. Per ampi settori della

popolazione, gli eventi storici in cui si trovano coinvolti sono totalmente sconcertanti. Nazioni che un giorno sono nemiche diventano alleate il giorno dopo. Il futuro appare di volta in volta buio di disperazione o illuminato da pro­ messe. Molti non hanno il tempo o la capacità di capire le tendenze o le forze che sono dietro di loro, ma sentono quanto strettamente esse siano legate alle loro esistenze. Tutto questo accentua un bisogno estremo di orientamen­ to. I fatti concreti diventano i modelli in base ai quali gli eventi più complicati possono essere spiegati e capiti. Gli esempi di questo fatto sono numerosi. Così un episodio di un programma patriottico trasmesso alla radio fece una grande impressione sugli ascoltatori: durante la prima guerra mondiale, Franklin Delano Roosevelt, allora ministro della Marina militare, accompagnò l'equipaggio di un sottomarino in un giro di prova e, questo, subito dopo una serie di disastri in cui erano incorsi dei sotto-

956 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa marini. L'episodio si dimostrò più soddisfacente e più ef­ ficace che se si fosse p arlato direttamente del coraggio e della passata esperienza di guerra del Presidente. Ciò ebbe una funzione integrante, esplicativa. Egli dimostrò di non essere un codardo, ché se gli uomini erano disposti a scendere, egli non era da meno. È l'uomo mi­ gliore per essere Presidente perché egli stesso è già passato at­ traverso queste cose e perché ha dimostrato ciò che è capace di fare. Così pure, quando i film fanno vedere l'assenza di di­ visioni armate in Inghilterra dopo Dunkerque, questo ge­ nere di fatto integrerà effettivamente diversi punti separa­ ti. È un fatto che probabilmente verrà ripetutamente cita­ to nelle interviste, poiché è di quel genere che aiuta, per così dire, a cristallizzare l' abilità e il coraggio degli inglesi in una simile situazione. Esso risulta efficiente laddove va­ lutazioni dirette sugli inglesi provocherebbero scetticismo e dubbio. I fatti che integrano e «spiegano» un corso gene­

rale di eventi comprendono una componente importante di propaganda dei fatti. Possiamo fare un'altra osservazione generale su questo tipo di propaganda. Abbiamo osservato che certi fatti che contengono le desiderate implicazioni propagandistiche ri­ sultano molto efficaci. Questi sono i «/atti sorprendenti» del tipo usato dalle rubriche giornalistiche del genere «strano ma vero» e dai programmi di quiz. È efficace per almeno tre ragioni. In primo luogo ha un grado elevato di valore di attenzione: il fatto sorprendente risalta come una «figura» contro uno «sfondo»; in secondo luogo, tali ele­ menti di informazione hanno valore di di/fusione: essi di­ ventano subito parte delle conversazioni correnti e delle chiacchiere («Sapevate che . . . ») e molto spesso queste im­ plicazioni propagandistiche sono trasmesse a viva voce; infine, questi «fatti sorprendenti» sono credibili: essi sono

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«freddi», come vengono definiti nel linguaggio popolare, e non è quindi probabile che sviluppino la sfiducia così ampiamente latente nella popolazione. La propaganda dei fatti ha ancora un'altra caratteristi­ ca che la distingue dalla propaganda che cerca di persua­ dere per esortazioni dirette e a suon di tromba. Essa non cerca di dire alla gente dove deve andare, ma mostra il sentiero che essa dovrebbe scegliere per arrivare alla meta. Rispetta il senso di autonomia dell'individuo la­ sciando che sia lui a prendere la decisione. La decisione è volontaria, non forzata. La propaganda dei fatti opera per azione indiretta, non per coercizione: ha valore di guida. La forza cumulativa dei fatti ha, per così dire, un suo im­ pulso. È praticamente un sillogismo con una conclusione implicita, conclusione che deve essere tratta dal pubblico, non dal propagandista. Facciamo un esempio. Un opusco­ lo era stato pubblicato da un ente di guerra, diretto alle famiglie degli uomini sotto le armi, allo scopo di persua­ derle a non riferire il contenuto delle lettere ricevute dal­ l' estero. L'argomento che parole dette sconsideratamente costano vite umane e navi era pochissimo sottolineato, mentre veniva dedicata molta cura alla descrizione dei metodi usati dal nemico per mettere insieme tutti i vari elementi di informazione che venivano raccolti da agenti in differenti occasioni e in differenti luoghi. I test succes­ sivi dimostrarono che l'opuscolo riuscì nel suo scopo per­ mettendo al lettore di trarre le conclusioni inevitabili da questa serie circostanziale di fatti. Il trarre volontariamen­ te le conclusioni difficilmente determina le disillusioni che in genere seguono alla propaganda esortativa. L'oratoria sfrenata può produrre una momentanea acquiescenza e recriminazioni posteriori: le decisioni autonome sotto la pressione dei fatti non devono pagare questo prezzo. È abbastanza interessante vedere che anche i nostri nemici hanno scoperto il potere della propaganda tecnica. Questo tipo di propaganda, come ogni altro, può essere

958 La sociologia della conoscenza e le comunicazioni di massa usato bene o male. Degli pseudo-fatti possono sostituirsi ai fatti reali. Numerosi osservatori hanno commentato la «rappresentazione» nazista della realtà. Si è riferito, ad esempio, che prima dell'invasione del Belgio, un ufficiale tedesco sbarcò in un punto della costa belga, apparente­ mente costrettovi da un incidente. Sulla sua persona si trovarono dei piani per un'invasione completamente di­ versa da quella che in realtà i tedeschi preparavano. Op­ pure, c'è l'esempio del primo bombardamento notturno di Berlino. È stato riferito che i nazisti distribuirono a giornali svizzeri e svedesi degli articoli che annunciavano la gravissima distruzione di Berlino, articoli attribuiti agli inglesi. Essi furono ritrasmessi dalla radio tedesca e la po­ polazione locale fu invitata a considerare i danni reali e a constatare da sé che le notizie erano false. In questo modo probabilmente molta gente trasse la conclusione che gli inglesi avevano mentito. L'effetto di questo tipo di propaganda fu probabilmente maggiore che se la radio te­ desca avesse direttamente messo in dubbio la veracità de­ gli inglesi. Di sfuggita, si può osservare che la logica della propa­ ganda dei fat!i non è lontana dalla logica dell'istruzione progressista. E tipico delle scuole progressiste che l'inse­ gnante non indichi direttamente ciò che i bambini devono fare o pensare, ma piuttosto crei delle situazioni che li conducano a decidere da sé la condotta e l'opinione che il maestro ritiene conveniente. La vostra stessa esperienza vi dirà che la propaganda dei fatti non è un concetto > almeno dal 163 1. Con l'aiuto di uno di questi strumenti e «con la buona fortuna>>, dice An­ derson, Sir William Phipps «pescÒ>> quasi 200.000 lire sterline in pezzi da otto da una flotta spagnola che era stata affondata al largo delle In-

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Studi di sociologia della scienza

ti dei suoi esperimenti sulla respirazione ai problemi tec­ nici derivanti da tali tentativi. Wilkins presentò alla Royal Society l'«ancora ad om­ brello», un mezzo per «tener ferma la nave durante la tempesta»; Wren propose un «modo conveniente per usa­ re l'artiglieria a bordo», e Halley, mettendo in evidenza che l'Inghilterra «doveva essere la maestra del Mare e su­ periore per forza navale a qualunque vicino», descrisse un metodo che permetteva alla nave di trasportare i suoi can­ noni anche col tempo cattivo60 . Petty, sperando intensa­ mente di «conseguire il perfezionamento della navigazione su nuovi principi», costruì parecchi dei suoi battelli a doppio fondo di cui la Società fu molto soddisfatta. Sfor­ tunatamente, il suo tentativo più ambizioso, il St. Michael the Archangel, fallì miseramente; ciò lo portò a concludere che il Fato e il Re gli erano avversi. La Società discuteva periodicamente i mezzi per pre­ servare le navi «dai vermi», problema che risultava assai preoccupante sia per i commissionari della Marina Reale sia per i proprietari privati. Newton aveva mostrato egual­ mente molto interesse per questo irritante problema, chie­ dendo ad Aston di indagare «se gli olandesi avessero qualche trucco per evitare che le loro navi fossero man­ giate dai vermi». Tuttavia, da queste discussioni non risul­ tò alcun apprezzabile progresso. Si può dire quindi, in generale, che gli scienziati del XVII secolo, dall'infaticabile Petty al grande Newton, si occuparono con certezza di compiti tecnici resi urgenti dai problemi della navigazione e di ricerche scientifiche che da questi derivavano. L'ultima categoria è difficile a die Occidentali. Vedi Orzg,in o/ Commerce, III, p. 73. Hooke e Halley, come molti altri, risposero a questo successo con nuovi strumenti per scoprire tesori nel fondo del mare. 60 Wren, Parentalia, cit., p. 240; Correspondence and Papers o/ Halley, cit., p. 165.

Scienza ed economia nell'Inghilterra del XVII secolo

1 15 9

delimitarsi. Sebbene sia vero che una serie di ricerche scientifiche può essere immediatamente ricondotta a delle esigenze tecniche, è egualmente vero che parte di queste �icerche sono lo sviluppo logico del progresso scientifico. E indubbio, tuttavia, alla luce di ciò che gli stessi scienzia­ ti hanno detto a proposito delle implicazioni pratiche del loro lavoro, che i problemi pratici esercitarono un' apprez­ zabile influenza direttiva. Persino la «più pura» delle di­ scipline, la matematica, fu di primario interesse per Newton quando fu applicabile ai problemi fisici61 . Anche i trasporti terrestri furono oggetto di attenzio­ ne, sebbene in grado minore rispetto ai trasporti maritti­ mi, probabilmente a causa della maggior importanza eco­ nomica di questi ultimi. Il crescente traffico interno ri­ chiedeva migliorie considerevoli. Tali migliorie, disse De­ foe, «sono di grande aiuto al commercio e promuovono una Corrispondenza universale senza la quale il nostro Commercio Interno non può sostenersi»62 . I mercanti viaggiatori, che potevano portare circa un migliaio di lib­ bre di tessuto, estendevano il loro commercio in tutta l'Inghilterré3 e chiedevano che le condizioni di viaggio fossero migliorate. A causa del «grande aumento di carri, di vagoni, ecc., per il generale aumento del nostro com­ mercio», dice Adam Anderson, il Re (senza dubbio, piut­ tosto ottimisticamente) ordinò nel 1662 che tutte le strade principali fossero allargate di otto iarde. È tipico che gli scienziati contemporanei cercassero anche in questo caso di superare le difficoltà tecniche. Petty, col suo acuto in­ teresse per gli affari economici, inventò numerosi carri 61 E.A. Bunt, The Metaphysical Foundations o/ Modern Physical Science, New York, 1927, p. 2 10. 62 D(aniel) D(efoe), Essays upon Severa! Projects, London, 1702, pp. 73 ss. 63 D. Defoe, Tour o/ Great Britain, London, 1727, III, pp. 1 1 9120.

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Studi di sociologia della scienza

che garantivano di «passare burroni, precipizi e strade tortuose»64 • Wren tentò di perfezionare «la comodità, la resistenza e la molleggiatura» delle carrozze e, come Hoo­ ke, inventò un «registratore» per segnare le distanze per­ corse da una carrozza65 • Wilkins, probabilmente seguendo l'invenzione di Stevin di mezzo secolo prima, descrisse una «Carrozza navigante, che potesse essere condotta sen­ za Cavalli ma spinta sulla Terra dal vento, come le navi lo sono sul mare»66 • Similmente, la Società delegò Hooke, dietro suo suggerimento, a condurre l' «esperimento della carrozza da terra e dedicarvi tutta la sua attenzione»67 . Tali sforzi indicano i tentativi degli scienziati per contri­ buire con la tecnica allo sviluppo dell'impresa commercia­ le e, in questi casi particolari, i loro tentativi erano diretti all'eventuale estensione dei mercati, uno dei principali re­ quisiti di un capitalismo nascente. 5 . Il grado di influenza economica In un certo senso, la discussione precedente fornisce delle illustrazioni soltanto per le connessioni che siamo venuti trattando. Dobbiamo" ancora determinare fino a

64 Petty-Southwell Cormpondence, cit., pp. 4 1 , 5 1 e 125. «E mi sembra - scrive Petty - che questa carrozza possa portare le merci fra Chester e Londra con un risparmio di tre pence per ogni sterlina». Tuttavia l'onesto Petty ammette che questo «Arnese può essere rove­ sciato», ma aggiunge incoraggiante «ma se esso fosse rovesciato (anche su un mucchio di pietre) non vedo come il conducente possa farsi male». 65 Wren, Parentalia, cit. , pp. 199, 2 17 e 240. 66 Wilkins, Mathematical Magie, cit., Il, cap. 2 . 67 Birch, The History o/ the Royal Society o/ London, cit., I, pp. 379 e 385; Hooke, Diary, cit., p. 418. Questo argomento fu discusso durante quindici sedute circa della Società in un periodo di tre anni.

Scienza ed economia nell'Inghilterra del XVII secolo

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che punto operassero le influenze socioeconomiche. I ver­ bali della Royal Society, come furono trascritti da Birch nella History o/ the Royal Society, forniscono una base per tale studio. Un procedimento attuabile, sebbene inadegua­ to per diversi aspetti, consiste nella classificazione e nella tabulazione delle ricerche discusse in queste riunioni, in­ sieme ad un esame del contesto in cui i vari problemi vennero alla luce. Questo metodo dovrebbe offrire un qualche fondamento per decidere approssimativamente la misura in cui operavano fattori estranei. Saranno prese in considerazione le sedute degli anni 166 1 , 1662, 1686 e 1687. Non vi è ragione di supporre che non si tratti di sedute tipiche del periodo generale. La classificazione è empirica piuttosto che logicamente ordi­ nata. Gli elementi sono stati classificati come «direttamen­ te collegati» alle esigenze economico-sociali, quando colui che conduceva la ricerca indicò esplicitamente una qual­ che connessione di questo genere o quando la discussione immediata della ricerca prova che vi era stato un prece­ dente apprezzamento del genere. Gli argomenti classificati come «indirettamente collegati» comprendono ricerche che avevano una chiara connessione con i problemi prati­ ci del tempo, ma che non erano esplicitamente ad essi ri­ feriti dai ricercatori. Le ricerche che non mostravano al­ cuna relazione di questo tipo sono classificate come «scienza pura». Molti elementi qui classificati hanno (per l'osservatore del giorno d'oggi) un rapporto con esigenze pratiche, ma non furono considerati esplicitamente tali nel XVII secolo. Così le indagini nel campo della meteorolo­ gia potrebbero essere facilmente riferite alle previsioni del tempo, ma, poiché queste ricerche non venivano riferite a problemi specifici, vengono considerate come scienza pura. Similmente, gran parte del lavoro in anatomia e fi­ siologia era indubbiamente importante per la medicina e la chirurgia, ma anche in questo caso si è classificato que­ sto tipo di ricerca come scienza pura. È probabile quindi

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Studi di sociologia della scienza

che se questa classificazione è in qualche modo tendenzio­ sa, lo sia nel senso di sopravvalutare la «scienza pura». Ogni ricerca discussa è stata «contata» come una «unità». È ovvio che questo procedimento fornisce solo un'approssimazione grezza del grado di influenza di fatto­ ri extrascientifici sulla scelta dei problemi di studio; tutta­ via, quando non è possibile avere maggior precisione è necessario accontentarsi provvisoriamente del poco che si raggiunge. I risultati possono soltanto suggerire la relativa misura delle influenze che noi abbiamo descritto in un gran numero di esempi concreti68 . Da questa tabulazione appare che meno della metà ( 4 1 ,3 % ) delle indagini condotte durante i quattro anni considerati sono classificati come «scienza pura». Se ag­ giungiamo a ciò gli elementi che sono indirettamente col­ legati con le necessità pratiche, allora circa il 70% di que­ ste ricerche non avevano alcuna esplicita rilevanza partiti­ ca. Dal momento che queste cifre sono già di per sé ap­ prossimative, i risultati possono essere riassunti dicendo che dal 40 al 70% le ricerche rientrano nella categoria della scienza pura e che dal 3 0 al 60% sono influenzate da esigenze pratiche. Inoltre, considerando soltanto le ricerche direttamente connesse con necessità pratiche, abbiamo che i problemi del trasporto marittimo erano quelli che attraevano il massimo dell'attenzione. Questo si accorda con l'impres­ sione che gli scienziati del tempo fossero consci dei pro­ blemi derivanti dalla posizione insulare dell'Inghilterra problemi di natura commerciale e militare - e fossero an-

68 Per una più completa discussione del procedimento usato e una dettagliata classificazione delle categorie, vedi il mio Scienza, tecnologia e società nell'Inghilterra del XVII secolo, cit., cap. 10. L'Appendice A fornisce un esempio degli elementi classificati nelle varie categorie.

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Scienza ed economia nell'Inghilterra del XVII secolo

TAB. 4. Grado approssimativo delle influenze socioeconomiche sulla scelta di pro­ blemi scientz/ici da parte dei membri della Royal Society di Londra degli anni 1 661-62 e 1 686-87 T otale per i quattro anni Numero

Percentuale

Scienza pura Scienza in rapporto a bisogni socioeconomici Trasporti marittimi Collegati direttamente Collegati indirettamente Miniere Collegati direttamente Collegati indirettamente Tecnica militare Collegati direttamente Collegati indirettamente Industria tessile Tecnica generale e agricoltura

333

4 1 ,3

473 129 69 60 166 25 141 87 58 29 26 65

58,7 16,0 8,6 7 ,4 20,6 3 ,l 1 7 ,5 1 0 ,8 7,2 3,6 3 ,2 8,1

Totale

806

100,0

siosi di risolverli69 . Di quasi uguale importanza era l'in­ fluenza delle esigenze militari. Durante il secolo non vi fu­ rono soltanto cinquant'anni di guerre, ma anche le due più grandi rivoluzioni della storia inglese. Problemi di na­ tura militare lasciarono la loro impronta sulla cultura del­ l' epoca, compreso lo sviluppo scientifico. Similmente, l'industria mineraria, che si sviluppò note­ volmente in questo periodo, come dimostrano gli studi di 69 Vedi, per esempio, l'osservazione di Halley: «che gli abitanti di un'Isola, o qualunque Stato che debba difendere un'Isola, debbono es­ sere Signori del Mare e superiori in forza navale a qualunque vicino che pensi di attaccarli, è un fatto che, io suppongo, non ha bisogno di essere confermato da altri argomenti». (Nel suo articolo letto davanti alla Royal Society e ristampato in Correspondence and Papers o/ Halley, cit., pp. 164-165).

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Studi di sociologia della scienza

Nef e di altri stonc1 economisti, ebbe una notevole in­ fluenza. In questo caso, la maggior parte della ricerca scientifica, se la si può distinguere da quella tecnica, si svolgeva nel campo della mineralogia e in quello della me­ tallurgia allo scopo di trovare nuovi minerali utilizzabili e nuoyi metodi per estrarre i metalli dalle miniere. E importante notare che, durante gli ultimi anni presi qui in considerazione, l'indagine scientifica nel campo della scienza pura auJTlentò. Non è difficile trovare una spiegazione ipotetica. E probabile che all'inizio i membri della Royal Society fossero ansiosi di giustificare la loro attività (nei confronti della Corona e della popolazione in generale) per mezzo di risultati il più possibile pratici. Ciò spiegherebbe l'orientamento, inizialmente accentuato ver­ so questi problemi. Inoltre, molti dei problemi che furono da prima studiati precisamente per i loro risultati imme­ diati, possono essere stati più tardi investigati senza nessu­ na preoccupazione per le loro implicazioni utilitaristiche. Sulla base dei criteri (forse tendenziosi) adottati in questa classificazione, alcune delle ricerche dell'ultimo periodo sarebbero arbitrariamente classificate come scienza pura. Dai dati analizzati in questo studio sembra giustificato af­ fermare che la scelta dei problemi a cui si dedicavano gli scienziati del XVII secolo era in misura considerevole in­ fluenzata dalla struttura socioeconomica dell'epoca.

Capitolo ventitreesimo L' «effetto S . Matteo» nella scienza, Il. Vantaggio cumulativo e simbolismo della proprietà intellettuale

L'argomento di questo capitolo' riguarda un problema di sociologia della scienza che per lungo tempo mi ha in­ teressato. Si tratta di un problema che, come mi ha detto un amico sincero, è per certi versi oscurato dal titolo dif­ ficile che gli ho dato. Eppure, decifrato nel modo oppor­ tuno, il titolo non è così oscuro come sembra a prima vi­ sta. Si consideri per prima cosa il segnale del numero ro­ mano II nel titolo: esso ci informa che questo saggio se­ gue un precedente, L'effetto S. Matteo nella scienza, che ho pubblicato ormai molti anni fa2 . Il lungo, per non dire pesante, sottotitolo, non fa che segnalare la direzione di questo prosieguo. Il primo concetto, quello di vantaggio cumulativo, applicato al campo scientifico si riferisce ai processi sociali attraverso cui vari tipi di opportunità di ricerca scientifica, oltre che le successive ricompense siml Questo capitolo contiene la parte principale della lezione inau­ gurale del George Sarton Leerstoel, tenuta il 28 novembre 1986, al­ l'Università di Gent. La lezione completa, con le pagine introduttive dedicate a Sarton, è uscita nella rivista di Gent «Tijdschrift voor Socia­ le Wetenshappen». Versioni precedenti sono state presentate al New York Hospital - Cornell Medicai Center, alla Yale University, ai Beli Laboratories, al College of Physicians and Surgeons della Columbia University, allo Smith College, alla Washington University e al Fox Chase Cancer Center. 2 R.K. Merton, The Matthew e//ect in science, in «Science», 5 gen­ naio 1968, 159 (3810), pp. 56-63; ripubblicato in R.K. Merton, The So­ ciology o/ Science, a cura di N.W. Storer, Chicago, University of Chica­ go Press, 1973 (trad. it. L'«e//etto 5. Matteo» nella scienza, in La socio­ logia della scienza, Milano, Angeli, 1981, cap. 20).

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boliche e materiali per i risultati ottenuti da quelle ricer­ che, tendono ad accumularsi a vantaggio sia del singolo scienziato, sia delle organizzazioni impegnate nel lavoro scientifico. Il concetto di vantaggio cumulativo porta alla nostra attenzione il fatto che alcuni vantaggi iniziali, di ca­ pacità individuali derivate dalla formazione, di collocazio­ ne strutturale e di disponibilità di risorse permettono un incremento successivo del vantaggio tale che il divario tra l'avere e il non avere, nella scienza come in altri campi della vita sociale, si allarga finché non viene scoraggiato da processi compensativi. La seconda parte del sottotitolo punta l'attenzione sul particolare carattere che nella scienza ha la proprietà in­ tellettuale. Constato un apparente paradosso: nella scien­ za, la proprietà privata viene stabilita quando la sua so­ stanza viene liberamente data a tutti coloro che vogliono usarla. Ritengo inoltre che certi aspetti istituzionalizzati di questo sistema di regolazione della proprietà, principal­ mente attraverso il riconoscimento pubblico della fonte della conoscenza e dell'informazione, che in questo modo viene liberamente messa a disposizione dei colleghi scien­ ziati, si collega alle strutture sociali e cognitive della scien­ za in modi che influenzano l'avanzamento collettivo della conoscenza scientifica. Questo programma è troppo lungo per una breve di­ samina. Poiché si può adempiere a questo programma solo affrontando a fondo tali questioni, non cercherò di riassumere in dettaglio le scoperte che si ispirano al pro­ gramma, ora ampiamente diffuso, di ricerche sul vantag­ gio e lo svantaggio cumulativo nella stratificazione sociale della scienza. Un titolo oscuro può avere anche una funzione laten­ te: evitare che qualcuno ritenga che il titolo parli realmen­ te da sé, e rendere così necessario elucidare il proprio in­ tento. Come per il titolo: cosa vuoi dire, ci si potrebbe domandare, «effetto S. Matteo nella scienza»? Una ripresa

L'«e/fetto S. Matteo» nella scienza

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saggiamente breve del lavoro che ha introdotto inizial­ mente questo concetto ci porterà ad una ulteriore elucida­ zione di questo lavoro. l.

L'effetto S. Matteo

Cominciamo notando un tema che scorre attraverso le lunghe interviste che Harriet Zuckerman ha condotto con alcuni premi Nobel all'inizio degli anni '60. In queste in­ terviste viene suggerito ripetutamente il fatto che scienzia­ ti eminenti ottengono un credito sproporzionatamente grande per i loro contributi alla scienza, mentre coloro che sono relativamente sconosciuti tendono ad ottenere un credito sproporzionatamente piccolo per contributi di pari valore. Come disse un premio Nobel per la fisica: «la gente è speciale riguardo all'attribuzione del credito. Si tende a dare credito alle persone già famose»3 . Non sono solo i premi Nobel che affermano che gli scienziati più eminenti tendono a fare la parte del leone nei riconosci­ menti; scienziati meno famosi, che facevano parte di un campione stratificato studiato da Warren O. Hagstrom,

3 H. Zuckerman, Nobel laureates: sociological studies of scientz/ic collaboration, Ph.D. Diss., Columbia University, 1965. Gli esiti succes­ sivi della ricerca appaiono in H. Zuckerman, Scientific Elite. Nobel Laurea!es in the United States, New York, Free Press, 1977. Un reso· conto delle procedure adottate in queste interviste registrate appare in H. Zuckerman, Interviewing a'! ultra-elite, in «Public Opinion Quar· terly», 1972, 36, pp. 159-175. E questa l'occasione per ripetere quello che ho già notato ripubblicando in volume L'effetto «5. Matteo» nella scienza: «Solo oggi (1973 ), che mi è chiaro fino a che punto ho attinto dalle interviste e dagli altri materiali della ricerca della Zuckerman, ri­ tengo opportuno citare il suo nome come coautrice». Appena un po' di senso di giustizia distributiva e commutativa richiede che si ricono­ sca, anche se tardivamente, che scrivere un lavoro scientifico o di ricer­ ca non è una base sufficiente per indicarsi come il solo autore.

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hanno raccontato esperienze simili4 . Ma sono gli scienziati più eminenti, non ultimi coloro che hanno ricevuto il più importante riconoscimento contemporaneo, il premio No­ bel, che forniscono la prova evidente di questo modello, perché testimoniano che questo avviene, non come vitti­ me offese, il che potrebbe rendere sospetta la loro testi­ monianza, ma come «beneficiari», anche se talvolta imba­ razzati e involontari. L'affermazione che il riconoscimento principale per il lavoro scientifico, da parte dei colleghi informati e non solo da parte dell'ovviamente disinformato pubblico dei profani, sia orientato a favore di scienziati già affermati ri­ chiede, chiaramente, che la natura e la qualità di questi contributi, che vengono valutati diversamente, siano iden­ tici o almeno molto simili tra loro. Ci si avvicina a questa condizione nei casi di piena collaborazione tra gli scien­ ziati e nei casi di scoperte multiple indipendenti. Da un lato, è spesso difficile separare i contributi distinti degli scienziati che lavorano assieme; dall'altro, le scoperte mul­ tiple indipendenti, se non identiche, sono almeno abba­ stanza simili per essere definite come funzionalmente equivalenti dai principali imputati coinvolti o dai loro col­ leghi informati. Racconta un altro Nobel in fisica che, nel caso di la­ vori pubblicati assieme da scienziati di rango e reputazio­ ne marcatamente diseguale, «colui che è più conosciuto acquista più credito, uno smoderato credito». Oppure, come ha detto un Nobel in chimica, «se il mio nome compariva nel lavoro, la gente avrebbe ricordato quello e non avrebbe ricordato chiunque altro fosse coinvolto»5 . I biologi R.C. Lewontin e J.L. Hubby hanno poi raccontato

4 W.O. Hagstrom, The Scienti/ic Community, New York, Basic Books, 1965, pp. 24-25. 5 H. Zuckerman, Scienti/ic Elite, cit., pp. 140, 228.

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un tipo di esperienza simile con un paio di loro lavori fat­ ti in collaborazione, che sono stati citati abbastanza spes­ so da meritare l'appellativo di «classici della citazione» (con la formula usata dall'Insitute for Scientific lnforma­ tion). Il primo lavoro è stato citato circa 3 1 O volte; l'altro, circa 525 volte. Il primo descriveva un metodo; il secondo dava il risultato dettagliato dell'applicazione del metodo alle po­ polazioni naturali. I due lavori erano il prodotto di uno sforzo genuinamente collaborativo, sia a livello di concepimento, che di esecuzione e di redazione, e chiaramente formano un coppia indivisibile, [. .. ] pubblicati uno dopo l'altro nello stesso numero della rivista. L'ordine degli autori veniva alternato, con il bio­ chimico, Hubby, come autore anziano nel lavoro sul metodo, e il genetista delle popolazioni, Lewontin, come autore anziano nel lavoro di applicazione. Eppure il secondo lavoro è stato ci­ tato un numero di volte maggiore del 50 per cento rispetto al primo lavoro. Le citazioni del primo lavoro virtualmente non compaiono mai da sole, e sono quasi sempre accoppiate con la citazione del secondo, ma non avviene mai il contrario. Perché? Sembra di essere di fronte ad una manifestazione evidente del­ l'«effetto S. Matteo» di Merton - cioè il fatto che, senza che si tenga conto dell'ordine degli autori del lavoro, il ricercatore più conosciuto in un campo ottiene il credito per un lavoro comu­ ne, e in questo modo, attraverso un processo autocatalitico, ot­ tiene di essere ancor più conosciuto. Nel 1966 Lewontin era un ricercatore affermato già da una dozzina d'anni ed era ben co­ nosciuto tra i genetisti delle popolazioni, a cui il lavoro era indi­ rizzato, mentre Hubby aveva allora una carriera molto più bre­ ve ed era conosciuto principalmente ai genetisti biochimici. Il risultato fu che i genetisti della popolazione considerarono in modo consistente Lewontin come membro anziano del gruppo, dandogli un credito eccessivo per quello che era un lavoro svol­ to completamente in collaborazione, che uno qualsiasi dei due non avrebbe potuto fare senza l'altro6 • 6 R.C. Lewontin e J.L. Hubby, Citation classic, in «Current Con­ tents/Life Sciences», 1985, n. 43, p. 16.

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Un altro esempio estremo mostra come può avvenire questa cattiva assegnazione dei meriti anche quando un lavoro pubblicato porta solo il nome di uno scienziato fino a quel punto sconosciuto e senza credenziali. Consi­ deriamo l'osservazione fatta dal famoso genetista e biochi­ mico J.B.S. Haldane (il fatto che non sia stato premiato con il premio Nobel può essere citato come la prova evi­ dente della fallibilità dei giudici di Stoccolma) . Parlando con Ronald Clark di S.K. Roy, un suo studente indiano pieno di talento, che ha condotto importanti esperimenti rivolti a migliorare alcune qualità di riso, Haldane osser­ vava che Roy meritava circa il 95 per cento del credito, [ . . .] «e l'altro 5 per cento poteva essere diviso tra l'Indian Statistica! Institute e me», aggiunse. «lo merito credito per avergli lasciato fare quello che pensavo fosse un esperimento progettato piuttosto male, per il principio generale che non sono onnisciente». Ma [Haldane] aveva poca speranza che il credito sarebbe venuto in questo modo. «Sarà fatto ogni sforzo per screditare il suo lavo­ ro», scrisse. «[Roy] non ha un Ph.D. e neanche un Master. Così, o la ricerca non è buona, oppure l'ho fatta io»7 .

Sono questi modelli di cattiva assegnazione dei meriti per il lavoro scientifico che ho descritto come «effetto S. Matteo». Il termine non ancora consacrato deriva, chiara­ mente, dal primo libro del Nuovo Testamento, il Vangelo secondo Matteo ( 13 , 12 e 25,29). Nella prosa maestosa della versione del re Giacomo, creata da quello che deve essere uno dei gruppi di studiosi più scrupolosi e impor­ tanti nella storia occidentale, il famoso passaggio suona: «poiché a chi ha, verrà dato, e sarà nell'abbondanza: ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha»8• 7 R.W. Clark, ].B.S.: The Lz/e and Work o/ ].B.S. Haldane, New York, Coward-McCann, 1 969, p. 247. 8 Il termine e il concetto «effetto S. Matteo» si è diffuso ampia·

L' «effetto S. Matteo» nella scienza

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Detto con un linguaggio meno maestoso, l'effetto S. Matteo è l'accumulazione progressiva dei meriti dati agli scienziati di grande reputazione da parte dei loro colleghi

mente da quando è stato coniato un quarto di secolo fa. Geografica­ mente, è diventato di uso comune in occidente e, come mi informa il mio collega Andrew Walder, è arrivato fino al continente cinese dove è conosciuto come «mati xiaoying». Sostantivamente, si è diffuso in do­ mini diversi da quello della sociologia e della storia della scienza. Per esempio, è stato adottato nell'economia del Wel/are e nelle politiche sociali (p. es., da H. Deleeck, Het Matteiise//ect: De ongelijke verdeling van de sociale overheidsuitgaven in Belgie, Antwerp, Kluwer, 1983 ); nelle scienze dell'educazione (H.J. Walberg e Shiow-Ling Tsai, Mat­ thew effects in education, in «American Educational Research Journal», 1983 , 20, pp. 359-373); negli studi amministrativi (J.G. Hunt e }.D. Blair, Conteni, process and the Matthew e//ect among management aca­ demics, in