Studi sulla società e sulla religione degli Ittiti 888762142X, 9788887621426

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Studi sulla società e sulla religione degli Ittiti
 888762142X,  9788887621426

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Collana di studi sulle civiltà dell’Oriente antico

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Collana di studi sulle civiltà dell’Oriente antico fondata da Fiorella Imparati diretta da Giovanni Pugliese Carratelli e Stefano de Martino

Fiorella Imparati STUDI SULLA SOCIETÀ E SULLA RELIGIONE DEGLI ITTITI TOMO I

LoGisma editore

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Volume pubblicato con il contributo di Aldo Zanardo in ricordo di Fiorella Imparati Studi sulla società e sulla religione degli ittiti Copyright © 2004 LoGisma editore www.logisma.it - [email protected]

ISBN 88-87621-42-X

4

Indice TOMO I Presentazione di Giovanni Pugliese Carratelli e Stefano de Martino I. La decifrazione della scrittura micenea (lineare B)

11

da Atene e Roma 2 (1957) 65-84

II. Su alcuni articoli del Codice Ittita relativi a categorie sociali

33

da RIDA 6 (1959) 65-75

III. Note e critiche filologiche

“Ruota” designazione del trono reale ittita?

43

da PdP 65 (1959) 117-123

IV. Note e critiche filologiche

51

Note al Codice Ittita

da PdP 66 (1959) 185-189

V. L’ Autobiografia di ÷attušili I

57

da SCO 13 (1964) 1-35

VI. É duppaš, LÚtuppanuri

95

da FsMeriggi (1969) 154-159

VII. “Signori” e “figli del re”

103

da Or 44 (1975) 80-95

VIII. Le istituzioni cultuali del NA4øékur e il potere centrale ittita

121

da SMEA 18 (1977) 19-64

IX. Une reine de ÷atti vénère la déesse Ningal

173

da FsLaroche (1979) 169-176

X. Il culto della dea Ningal presso gli Ittiti da FsMeriggi2 (1979) 293-324

5

185

XI. Aspects de l’organisation de l’état hittite

dans les documents juridiques et administratifs

213

da JESHO 25 (1983) 225-267

XII. Lehenwesen s.a. Feudalismus, ilku. Bei den Hethitern

253

da RlA 6 (1983) 543-547 s.v.

XIII. Il trasferimento di beni nell’ambito del matrimonio privato ittita 261 da Geo-archeologia 2 (1984) 109-121

XIV. Auguri e scribi nella società ittita

277

da FsBresciani (1985) 255-269

XV. La politique extérieure des Hittites: tendances et problèmes

291

da Heth 8 (1987) 187-207

XVI. Interventi di politica economica dei sovrani ittiti

e stabilità del potere

309

da Stato Economia Lavoro (1988) 225-239

XVII. Armaziti: attività di un personaggio nel tardo impero ittita

325

da FsPuglieseCarratelli (1988) 71-86

XVIII. Obligations et manquements cultuels envers la divinité Pirwa 343 da GsvonSchuler (1990) 166-187

XIX. Autorità centrale e istituzioni collegiali nel regno ittita

369

da CPUL 21 (1991) 161-181

XX. Le relazioni politiche fra ÷atti e Tarøuntašša

389

in collaborazione con F. Pecchioli Daddi, da EOTHEN 4 (1991) 23-68

XXI. Significato politico della successione dei testimoni

nel trattato di Tutøaliya IV con Kurunta da Seminari 1991 (1992) 59-86

6

443

TOMO II XXII. A propos des témoins du traité avec Kurunta de Tarøuntašša 489 da FsAlp (1992) 305-322

XXIII. La civiltà degli Ittiti: caratteri e problemi

515

da Antichi popoli europei - Dall’unità alla diversificazione, (O. Bucci ed.) Roma (1992) 365-433

XXIV. Apology of ÷attušili III or designation of his successor?

569

da FsHouwinktenCate (1992) 143-157

XXV. Miete. Bei den Hethitern

589

da RlA 8 (1994) 184-187 s.v.

XXVI. Mizramuwa. Anthroponyme attesté en écritures cunéiforme

595

et hiéroglyphique dans des documents hittites et ougaritiens. da RlA 8 (1994) 316-317 s.v.

XXVII. Mord (Meurtre/Homicide). Bei den Hethitern

597

da RlA 8 (1995) 382-385 s.v.

XXVIII. Private Life Among Hittites

603

da CANE I (1995) 571-586

XXIX. Aspects of Hittite correspondence:

631

problems of form and content

in collaborazione con S. de Martino, da StMed 9 (1995) 103-115

XXX. Observations on a letter from Ma$at-Höyük

649

da GsBilgiç (1997) 199-214

XXXI. Two mythological fragments concerning the deity Pirwa da FsKlengel (1998) 126-140

7

665

XXXII. Sifting through the edicts and proclamations

of the Hittite kings

689

in collaborazione con S. de Martino, da Acts of the IIIrd International Congress of Hittitology, Çorum, September 16-22 1996, Ankara (1998) 391-400

XXXIII. L’organizzazione dello stato ittita

697

da Geschichte des hethitischen Reiches, (H. Klengel ed.) Leiden-Boston-Köln (1999) 320-387

XXXIV. Il testo oracolare KUB XXII 51 (CTH 577)

761

da Heth 14 (1999) 153-177

XXXV. La “mano” nelle più significative espressioni idiomatiche ittite 787 in collaborazione con S. de Martino, da GsMoreschini (1999) 175-185

XXXVI. Ningal. Bei den Hethitern und Hurritern

803

da RlA 9 (2000) 356-357 s.v.

XXXVII. Palaces and local communities in some

Hittite provincial seats

807

da GsGüterbock (2002) 93-100

XXXVIII. Observations on Hittite international treaties

817

in collaborazione con S. de Martino, StBoT 45 (2001) 347-363

XXXIX. More on the so-called “Puøanu chronicle”

837

in collaborazione con S. de Martino, da FsHoffner (2003) 253-263

XL. Significato politico dell’investitura sacerdotale nel regno

di ÷atti e in alcuni paesi vicino orientali ad esso soggetti

837

da FsFronzaroli, (2003) 230-242

Indici analitici

865

Abbreviazioni e sigle

916 * * *

8

Introduzione La scelta della serie EOTHEN per una nuova edizione degli scritti di Fiorella Imparati non è casuale, poiché si tratta della collana che questa studiosa aveva fondato nel 1998 e condiretto fino alla sua morte. È questo un ulteriore atto di omaggio nei confronti di una studiosa che ha dedicato tutta la sua vita all’insegnamento e alla ricerca; esso si affianca alla raccolta di scritti in suo ricordo, Anatolia Antica. Studi in memoria di Fiorella Imparati, recentemente apparsa sempre nella serie EOTHEN. In quest’ultimo volume si trova un profilo dell’attività scientifica e didattica di Fiorella Imparati e non ci pare il caso di ripetere qui quanto si è già detto in quella sede. Basti ricordare che Fiorella Imparati (19302000) ha insegnato, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, Storia dell’Asia anteriore antica e poi Storia del Vicino Oriente antico dal 1967 al 1999. Si era laureata in Storia greca, con Piero Treves, discutendo una tesi su Le magistrature e le assemblee politiche nelle città doriche della Sicilia sudorientale: Siracusa, Taormina, Gela, Agrigento. L’interesse di Fiorella Imparati verso il mondo greco spiega la scelta del tema affrontato da questa studiosa nel suo primo articolo dedicato alla decifrazione della scrittura micenea. Per la sua successiva formazione orientalistica è stato determinante il soggiorno di ricerca a Londra e Oxford nel 1956-57, dove ha studiato con Oliver R. Gurney e Richard D. Barnett. In seguito, ha contato molto anche l’insegnamento di grandi maestri come Piero Meriggi, Emmanuel Laroche e Hans Gustav Güterbock. Inoltre, Fiorella Imparati ha intrattenuto continui rapporti di collaborazione scientifica e di amicizia con moltissimi studiosi italiani e stranieri; ne è testimonianza il numero dei colleghi che hanno voluto dedicarle un saggio nel volume di EOTHEN in sua memoria sopra citato. Con il riproporre una parte dell’opera scientifica di Fiorella Imparati non vogliamo, però, soltanto guardare al passato, cioè a quella che è stata l’attività di questa studiosa, ma intendiamo rivolgerci verso il presente e il futuro, fornendo agli ittitologi e, più in generale agli orientalisti, delle nuove generazioni la possibilità di fruire di tutti gli articoli di Fiorella Imparati, anche di quelli apparsi in riviste o volumi miscellanei di non sempre facile reperimento. La generosità di Fiorella Imparati nel dividere con i suoi collaboratori e con i suoi studenti il suo sapere continua, in qualche modo, anche dopo la sua morte. Per volontà di suo marito, Aldo Zanardo, la ricca biblioteca specialistica di Fiorella Imparati è stata donata al Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Trieste, dove gli insegnamenti di Ittitologia e Storia del Vicino oriente non erano supportati da un congruo patrimonio librario di Orientalistica. Inoltre la preziosa raccolta di più di tremila estratti è stata donata alla Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, sede presso la quale, come si è già detto, Fiorella Imparati ha insegnato per tutta la sua carriera. * * *

9

Non appare, tra gli articoli qui riproposti, il lungo saggio “Una concessione di terre da parte di Tudhaliya IV”, pubblicato nella rivista Revue Hittite et Asianique 32 (1974) 5-209, che è, in realtà, concepito come un’opera monografica. Si è scelto di presentare i lavori di Fiorella Imparati in ordine cronologico di apparizione, piuttosto che per temi, perché ci è sembrato che in questo modo si potesse seguire meglio il fluire del pensiero e della ricerca di questa studiosa attraverso l’intero arco della sua attività. Nella ristampa degli articoli, si è deciso di limitare gli interventi redazionali ad aspetti formali, come l’uniformità nelle citazioni bibliografiche e l’adeguamento, nei riferimenti interni a ciascun articolo, ai numeri di pagine quali appaiono nel presente volume. In pochi casi si sono apportate correzioni che la stessa Fiorella Imparati aveva fatto di sua mano sugli estratti dei suoi articoli successivamente alla loro pubblicazione; queste correzioni vengono segnalate di volta in volta. Il lungo saggio “Die Organistation des hethitischen Staates”, apparso nel volume di Horst Klengel, Geschichte des hethitischen Reiches, Leiden-BostonKöln 1999, 320-387, viene proposto qui nella sua versione italiana; tale scelta è motivata dalla volontà di mettere a disposizione degli studenti italiani più giovani un contributo tanto importante sulla struttura amministrativa dello stato ittita. Questo ci appare in linea con la dedizione mostrata da Fiorella Imparati nella sua attività di docente e con l’interesse che gli studenti hanno sempre avuto per i suoi corsi universitari e il suo insegnamento. Nei suoi articoli, Fiorella Imparati faceva, a volte riferimento, a due lavori che sono rimasti incompiuti; uno era dedicato allo studio della divinità Pirwa e all’edizione dei testi ad essa relativi, l’altro ad un’opera collettanea sulla letteratura ittita, per la quale ella aveva già scritto alcuni saggi. Questi lavori, che Fiorella Imparati stava ultimando, non appaiono nella presente raccolta, perché ci è sembrato opportuno pubblicare solo quegli scritti che fossero già stati licenziati per la stampa. * * * Siamo grati alle case editrici delle riviste e delle opere miscellanee, dove sono stati pubblicati gli articoli di Fiorella Imparati, per aver concesso il permesso di riproduzione. Un caloroso ringraziamento alla Dott.ssa Antonella Marchini, che si è assunta il compito dell’uniformazione tipografica di tutto il materiale e lo ha svolto con grande accuratezza. Alla Dott.ssa Marchini si deve anche la compilazione dell’indice analitico. Giovanni Pugliese Carratelli

Stefano de Martino

10

I.

LA DECIFRAZIONE DELLA SCRITTURA MICENEA (LINEARE B)

Gli studi riguardo all’interpretazione dei testi “minoici” e “micenei”, intensificatisi in questi ultimi anni, hanno suscitato un interesse notevole anche in coloro che non hanno avuto l’opportunità di conoscere tale materiale e di penetrare nei problemi ad esso collegati. Così, prima di illustrare come si presentano i testi divenuti ora leggibili e cosa contengono, non si può fare a meno di premettere alcune notizie di carattere generale riguardo ai ritrovamenti di tali testi, alla caratteristica della loro grafia, alla loro decifrazione ed ai problemi ad essa inerenti. Nell’ambiente egeo, durante l’età del bronzo, si trovavano tre specie principali di grafie: una grafia geroglifica e due grafie lineari, designate come A e B. 1 Considerate da un punto di vista schematico, le due scritture lineari presentano una semplificazione e un carattere corsivo rispetto ai segni figurati geroglifici.2 La lineare B deriva direttamente dalla A, e ciò risulta evidente dalla identità di numerosi segni delle due scritture, ma la B elimina alcuni segni del sillabario di A e ne contiene altri nuovi. Inoltre i segni simili delle due grafie si presentano con frequenze diverse l’uno dall’altro, ed anche gli ideogrammi che vi si trovano sono formati ed usati secondo differenti principi.

1 A queste si unisce la grafia cipro-minoica, quale precorritrice del sillabario cipriota usato per i testi greci. La grafia cipro-minoica è stata considerata in un primo tempo derivata dalla lineare B, ma poi si è ammesso che la sua origine dovesse ricercarsi nella lineare A; essa già prima del 1400 a.C. esisteva a Cipro, dove era usata per l’eteocipriota. Cfr. A. Furumark, Eranos 51 (1953) 106, e G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 117, oltre che per l’origine del sillabario cipriota, anche per i rapporti tra Cipro e gli Achei. 2 Cfr. A. Furumark, Eranos 51 (1953) 104, fig. 1.

11

Per i testi scritti in lineare A, dobbiamo ricordare le tabelle di argilla trovate nel Palazzo di Mallia,3 e, dello stesso periodo, a Cnosso, alcune tabelle e i graffiti sulle pareti della cosiddetta “House of the Frescoes”.4 Inoltre gli scavi dei due Palazzi di Festo5 e di Haghìa Triàda6 hanno dato tabelle ed oggetti con scrittura lineare A; contemporanee a queste sono le tabelle dello stesso sistema trovate a Palecastro e a Tilisso. Per i testi in lineare B ricordiamo: le tabelle dell’archivio del Palazzo di Cnosso, che risalgono alla fine del XV sec. a.C.;7 quelle dell’archivio del Palazzo di Pilo, della fine del XIII sec. a.C.;8 quelle di un archivio privato della “Casa del Mercante di olio” di Micene, pure della fine del XIII sec. a.C.9 ed infine le epigrafi dipinte su anfore “a falso collo” di Micene, Tirinto, Tebe, Orcomeno, Eleusi.10 Così possiamo constatare che la lineare A era propria di Creta e la B era comune a Cnosso e alla penisola greca. Prima della importantissima decifrazione della lineare B da parte del Ventris (di cui parleremo in seguito), si aderiva generalmente ad una tesi Cfr. F. Chapoutier, Les écritures minoennes au Palais de M., Paris 1930 (=Études Crétoises 2). 4 A.J. Evans, The Palace of Minos II, 2 1928, 440-443. 5 L. Pernier, Il palazzo min. di Festòs I, Roma 1935, 426-429. 6 Il maggiore ritrovamento è quello di Haghìa Triàda: 154 tavole, tra intere e frammentarie. Cfr. G. Pugliese Carratelli, Monum. Antichi dei Lincei 40 (1945) 423602, con un catalogo degli altri testi in lineare A, comprese le tabelle di Palecastro e di Tilisso. Un’ampia notizia degli studi sulle iscrizioni in lineare A, pubblicati tra il 1894 e il 1951, si trova nelle rassegne critiche di L. Deroy, RHA 8 (1948) 1-39, e 11 (1951) 3560, e di E. Peruzzi, Minos 2 (1953) 89-111. 7 Si tratta di alcune migliaia di tabelle di argilla, intere e frammentarie. Tale archivio fu scoperto negli anni 1899-1904 da Arthur Evans. Purtroppo il lavoro gravoso di scavi e ricerche gli ha impedito di presentare tutto il materiale. Dopo la sua morte, è comparsa una pubblicazione basata sulle sue annotazioni: A.J. Evans, Scripta Minoa II, Oxford 1952, ed. J.L. Myres, con la collaborazione di A. Kober e con supplementi di E.L. Bennet, che più tardi ha riportato nel suo Index il materiale non pubblicato di Cnosso ed alcune revisioni su quello già pubblicato. 8 E.L. Bennet jr., The Pylos Tablets, A Preliminary Transcription, Princeton 1951. Nel 1952 e 1953 furono scoperte circa 300 tabelle: cfr. C.W. Blegen, An Inscribed Tablet from Pylos, in (I $UF, Atene 1953, 59-62. Tutte sono ora raccolte nel volume The Pylos Tablets. Text of the Inscriptions Found, 1939-1954 (ed. E.L. Bennet jr.), Princeton 1955. 9 E.L. Bennet jr., The Mycenae Tablets, con un’introduzione di A.J. Wace (estr. da PAPS 97 [1954]). 10 G. Pugliese Carratelli, Monum. Antichi dei Lincei 40 (1945) 603-610, e tavv. 30-40. 3

12

dell’Evans, che vedeva nella lineare B una varietà calligrafica ed insieme un perfezionamento della A, destinata ad esprimere la stessa lingua “egea”, e riteneva che alla colonizzazione “minoica” del continente fosse dovuto il suo diffondersi nei Palazzi della penisola. Più tardi la Kober 11 ed il Bennett 12 sostennero che la lingua della lineare B era nuova e distinta da quella della A. Il Bennett, dopo i suoi studi su misure e pesi nelle grafie A e B, e dopo aver rilevato la diversità dei sistemi metrici nelle due classi di iscrizioni, ha concluso che il metodo di indicare quantità frazionarie nella lineare B doveva essere stato “adattato per accordarsi col sistema economico del continente”. Recenti ricerche archeologiche 13 hanno rivendicato l’influenza dominante di Micene durante il 1450-1400, alle spese della talassocrazia cretese, sostenuta da Evans. La Kantor si richiama all’opinione di Wace,14 seguita più tardi anche dallo Stubbings,15 che l’ultimo Palazzo di Cnosso fosse stato la sede di un principe acheo. Molti studiosi, quali Kretschmer, Bossert, Georgiev, si aspettavano tuttavia che la lingua (o le lingue) dei testi “minoici” e “micenei” si rivelasse anellenica ed affine alle lingue indoeuropee dell’Anatolia. Secondo il Sittig si trattava di un dialetto “egeo”, affine al Lemnio e all’Etrusco: tesi che sembrava essere sostenuta da paralleli di toponimi e appellativi come HOFDQ´M/VelFan-, C8WWKQgD/huT “4”, SU¼WDQLM/purTni.16

A. Kober, AJA 52 (1948). Essa mostra anche la presenza di forti indizi di flessione nominale nelle due lineari. 12 I lavori preliminari del Bennett sono stati di grande ausilio e vanno messe in rilievo le sue deduzioni su misure e pesi nelle due lineari ed i problemi a ciò collegati. Cfr. AJA 54 (1950) 204-222. È inoltre indispensabile per tali studi il suo Minoan Linear B Index, New Haven 1953. 13 V. l’esposizione di H. Kantor, AJA 51 (1947) 49-55. 14 A.J.B. Wace, Cambridge Ancient History, II 1926, 468 (così anche J.B. Bury, ibid., 473). Il Wace fu il primo a sostenere lo sviluppo autonomo della Grecia “micenea” - non però immune da influenze culturali “minoiche” - ed anche la grecità dei testi in lineare B di Cnosso e del continente. Cfr. anche A.J.B. Wace, Antiquity 27 (1953) 86. 15 Lettera, Hellenic Society, 7-11-1952. 16 Cfr. per questi autori la citata bibliografia del Deroy. 11

13

Il Ventris, nello studiare le tabelle di Cnosso e di Pilo, nel 1950 aveva cercato un sussidio nell’etrusco, ed in seguito, ancora all’inizio del 1952, aveva pensato che tali testi (in lineare B) fossero scritti in una lingua preellenica, del gruppo “mediterraneo”.17 Ma il suo esame sistematico dei vari segni che compaiono nei testi, delle loro variazioni, della loro frequenza e posizione, lo ha portato a quella conclusione che Wace e Blegen avevano proposto su basi archeologiche: che la lingua delle tavole di Cnosso, Pilo e Micene è non solo indoeuropea, ma specificatamente greca.18 In seguito il Ventris, in collaborazione col linguista J. Chadwick, ha pubblicato un’esposizione critica della decifrazione di numerosi testi in lineare B e dei risultati principali di essa.19 VC sostengono che, se i valori fonetici sperimentali che essi ci danno sono approssimativamente corretti, la loro evidenza ci permette di assegnare al “miceneo” una specifica posizione dialettale. Si tratta appunto di un dialetto arcaico di tipo “acheo”, e col termine “acheo” viene definito un ipotetico antenato comune (“Old Achaean”) dell’arcado-cipriota e dei dialetti eolici.20 Siamo così di fronte ad un vero dialetto greco e non ad una lingua indoeuropea strettamente affine al greco, come il “pelasgico” (la lingua dei GmRL3HODVJRg) del van Windekens21 e del Georgiev,22 o l’ “egeo” 17 Questa è per noi la migliore garanzia sulla completa mancanza di preconcetti nel suo metodo di ricerca. 18 Il Ventris distingue tre specie principali di segni: 1) segni che compaiono in gruppi (segni fonetici, corrispondenti a sillabe, che insieme formano i vocaboli) - 2) segni che compaiono separatamente (ideogrammi) - 3) segni numerici. Il Ventris ha pubblicato i nuovi risultati della sua ricerca il 1° giugno 1952, sotto il titolo Are the Knossos and Pylos Tablets Written in Greek?, nel Nr. 20 delle Work Notes on Minoan Language Research, 172-176 (litogr.); e il 12 luglio 1952 un Experimental Mycenaean Vocabulary and Syllabary, in cui presenta la chiave della grafia lineare B, e 553 nomi ed altri vocaboli identificati con quelli greci. Inoltre ha narrato le fasi della sua decifrazione in un articolo destinato ai non specialisti, Archaeology 7 (1954) 15-21. 19 M. Ventris-J. Chadwick, JHS 73 (1953) 84-103 (citato da ora in avanti con la sigla VC). Dato che agli autori interessa dimostrare la legittimità linguistica della loro decifrazione, l’articolo è suddiviso secondo categorie grammaticali, ed i passi dei testi studiati sono citati particolarmente quali esempi linguistici. 20 VC, 103: “an archaic dialect of the ‘Achaean’ type”, precisamente quello che, su basi storiche, ci aspetteremmo che gli abitanti di Pilo e di Micene avessero parlato. 21 A.J. van Windekens, Le pélasgique, Louvain 1952. 22 V. Georgiev, Problèmes de la langue minoenne, Sofia 1953.

14

del Meriggi,23 oppure un “greco in bocca di non Greci”, come suppone il Merlingen.24 Nella ricostruzione del sillabario della lineare B esistono ancora delle lacune, ma su 87 segni sillabici, di 77 è stato riconosciuto, con certezza o con molta probabilità, il valore fonetico.25 Troviamo casi di omofonia (es. su e sú; ta, tá e tà) 26 e casi di polifonia delle serie k- (N, J, F), p- (S, E, I), r- (O e U). Da più indizi è stata dedotta l’esistenza di una serie di labiovelari (qe, qi, qo). 27 VC ci presentano cinque suoni vocalici e dodici serie di sillabe “aperte”, formate da una delle dodici consonanti, seguita da una delle vocali.28 Non tutte le serie sono state completamente identificate (j-, w-, q-). VC ci danno alcune regole di ortografia micenea, che qui riportiamo.29 1) Il sillabario distingue cinque vocali, a, e, i, o, u, di cui non viene graficamente indicata la lunghezza. 2) Il secondo componente dei dittonghi in -u è regolarmente indicato (na-u-domo, QDXGRPR-; re-u-ko, OHXNR-; a-ro-u-ra, ‡URXUD). 3) Il secondo componente dei dittonghi in -i viene generalmente omesso (po-me, SRLPQ) tranne che davanti ad un’altra vocale (i-je-re-ja, e|UHLD). Per il dittongo iniziale ai- vi è un segno particolare. Dove -i è occasionalmente aggiunta alle finali in -a e -o, qui si deve probabilmente interpretare come -DLM, -RLM. 4) Vocali che seguano ad i o ad u generalmente presentano il legame semi-vocalico -j- (i-ja-te, fDWU) o -w- (e-u-wa-ko-ro, (¾DJURM); questo legame sarà omesso dall’ortografia greca.

P. Meriggi, Minos 3 (1954) 55-84; ma ha poi aderito alla tesi di VC in Glotta 34 (1954) 12-17 (rec.: G. Pugliese Carratelli, PdP 9 [1954] 117-120). 24 W. Merlingen, Bemerkungen zur Sprache von Linear B, Wien 1954 (litogr.). 25 65 di questi segni sono raccolti nello “experimental syllabic grid” del Ventris. Per la decifrazione di alcuni segni, si è considerata anche l’analogia con la grafia sillabica cipriota, che però è stata di lieve aiuto. 26 Le doppie si possono spiegare col fatto che nella grafia lineare A esse indicano suoni diversi uno dall’altro. Questo si riscontra ancora in alcuni scritti della lineare B: es. tá e rá che possono indicare semplicemente ta e ra quanto tia e ria (ra-wa-ra-tá, scritto anche ra-u-ra-ti-ja). 27 VC, 90. 28 VC, 88. 29 VC, 91. 23

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5) Oltre che j- e w- (), il sillabario distingue dieci serie di consonanti: d, k, m, n, p, q (k r (O, U), s, t, z. Le consonanti doppie non sono indicate. 6) La grafia non distingue le consonanti aspirate dalle non aspirate, e non c’è distinzione neppure tra le mute e le tenui, tranne che per t e d, né tra le liquide (to-hodo-mo, WRLFRGRPR; tu-ka-te-re, TXJDW£UHM; a-pi-po-re-u, „PILIRUH¼M; tu-ri-so, 7XOLVV´M; do-e-ra, GR|OD = GRÂOD). Manca un segno che indichi lo spiritus asper, ma è incerto se ciò sia dovuto a psilosi (come nel cipriota). 7) Le consonanti OPQUV, non sono indicate quando precedono un’altra consonante, e così QUV, quando si trovano in fine di parola (pa-ka-na, I…VJDQD; kake-u, FDONH¼M; i-jo-te, f´QWHM). 8)  e V iniziali vengono omesse davanti a consonante (pe-ma, VS|UPD; ri-jo, UgRQ). 9) Il gruppo Qè espresso con nu-w (ke-se-nu-wi-ja, [|QLD). Vi è un segno per nwa. Per  seguito da vocale si trova talvolta u invece di wi (di-u-ja e di-wi-ja, 'LgD). U davanti a  è omessa (ko-wo, N´URM; we-we-e-a, HU|HD). 10) Tutte le consonanti che precedono un’altra consonante vengono scritte con un segno sillabico che contiene una vocale uguale a quella della sillaba seguente (cioè una vocale uguale a quella che segue la seconda consonante) (ki-ti-ta, NWLWD-; ku-ru-so, FUXVR-). Così avviene anche per [, I, NwM, (to-ko-so-wo-ko, WR[RRUJR-), tranne che in fine di parola, dove lasciano cadere la -s e prendono la vocale della sillaba precedente (wa-na-ka, …QD[, ai-ti-jo-qo, $fTgRI  Talvolta, per analogia, troviamo wa-na-KA-tero, DQ…NWHURM, su modello di wa-na-ka nom., *wa-na-ka-ta ecc.; ru-KI-to, /¼NWRM, su modello dell’etnico ru-ki-ti-jo. w),

Abbiamo ora visto che la grafia lineare B, come anche la grafia sillabica cipriota, mostra una serie di imperfezioni fonetiche e particolari caratteristiche ortografiche, e ciò deriva dall’adattamento della grafia lineare A, creata per il “minoico”, alle esigenze di una lingua del tutto diversa, come il greco degli Achei. Si è infatti provato ad applicare ai segni sillabici della lineare A, corrispondenti a quelli della B, gli stessi valori fonetici di quest’ultima, e la lingua della lineare A non è risultata greca. D’altra parte, per la vicinanza delle due grafie succedutesi - ed in un certo periodo anche coesistenti - nello stesso ambiente, non possiamo supporre che gli Achei, adottando i segni sillabici della scrittura “minoica”, avessero dato a questi un valore fonetico diverso dall’originario. Inoltre la coincidenza di alcuni 16

nomi propri in certe tabelle “minoiche” di Haghìa Triàda ed in altri testi “micenei” di Cnosso ci fornisce ancora una prova dell’equivalenza fonetica dei segni sillabici corrispondenti di A e B.30 Per i pochi elementi di cui disponiamo, non si può ancora concludere se la lingua “minoica” sia stata o no indoeuropea. Il Pugliese Carratelli, dopo aver ricordato alcuni popoli che nel mondo anatolico, nel II millennio a.C., parlavano lingue indoeuropee (luvio, palaico, eteo, “eteo ieroglifico”) e così anche altri nel mondo egeo preellenico (Licii ed “Eteo-cretesi” di Praisos e Dreros), inclina ad ammettere anche per la lineare A un idioma indoeuropeo su sfondo asiano. 31 Riguardo all’adozione della scrittura “minoica” da parte degli Achei, il Furumark 32 sostiene che essa doveva essere avvenuta nel continente, già prima dell’occupazione di Cnosso, e ci dà come data circa il 1600 a.C., nel periodo delle tombe a pozzo, quando si era manifestato, anche in altri campi, un forte influsso minoico. Il Pugliese Carratelli33 trova verosimile questa ipotesi, poiché la stessa forma dei segni fonetici è più vicina ai prototipi arcaici che non a quelli più evoluti delle tabelle di Haghìa Triàda, di poco anteriori, se non coeve, a quelle in lineare B di Cnosso.34 Ed ora passeremo ad osservare qualche esempio di testi scritti in lineare B, finora pubblicati. Essi sono documenti di carattere amministrativo (inventari, registrazioni di materie distribuite o ricevute, revisioni, assegnazioni di imposte ecc.) e sono compilati in uno stile Cfr. G. Pugliese Carratelli, Annuario della scuola archeologica di Atene, 30-32 (1955) 11-17, dove è riportato anche qualche esempio di testi in lineare A, con interessanti osservazioni ed utili note bibliografiche. A proposito del suddetto argomento, Pugliese Carratelli osserva che i testi “micenei” che conservano tali nomi sono soltanto quelli di Cnosso e ne deduce che si poteva trattare di nomi propri a minoici a, conservati in Creta dopo l’occupazione achea. 31 G. Pugliese Carratelli, Annuario cit., 17. 32 A. Furumark, Eranos 51 (1953) 107. 33 G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 115-116, dove troviamo interessanti rilievi riguardo alle cause e all’epoca della distruzione del Palazzo di Cnosso e dell’invasione achea. 34 Nella vicina Tilisso, la cui distruzione è contemporanea a quella di Cnosso, fu usata nello stesso periodo la grafia della lineare A, ed è probabile che questa scrittura sia stata in uso anche più tardi. 30

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molto conciso, dove spesso non è chiaro quali relazioni sintattiche sussistano. Di solito vi troviamo scritti sillabicamente toponimi e nomi di persona e talvolta termini indicanti la professione di queste persone; a questi seguono gli ideogrammi (in qualche caso preceduti dal nome dell’oggetto) degli oggetti registrati e la loro quantità.35 Le singole parole sono separate da interpunzioni e questo è molto utile per la decifrazione. 36 La grafia è diretta verso destra. Risulta da alcuni contesti che i documenti si riferiscono all’anno in cui sono stati scritti. Per la classificazione dei testi, seguiamo quella istituita dal Bennett, in base agli ideogrammi che si trovano nelle tabelle e che hanno fornito un primo indizio circa il contenuto di esse.37 Abbiamo anche un gruppo non molto numeroso di testi senza ideogrammi, 38 ma, almeno quelli interpretabili, presentano lo stesso carattere degli altri. Si tratta o di materiale grezzo, per cui non si aveva ideogramma ed il cui termine era perciò scritto foneticamente, 39 o di elenchi di persone, per le quali era superfluo l’uso dell’ideogramma.40 Si hanno testi contenenti registrazioni di persone, come si può vedere dagli ideogrammi di UOMO o di DONNA, seguiti da numeri. Lo schema più semplice di questi testi è costituito da un toponimo (o, talvolta, da un etnico) e dall’elenco di donne e fanciulle, in prevalenza, 35 Talvolta, al posto degli ideogrammi, troviamo dei segni sillabici isolati (probabilmente le sillabe iniziali degli appellativi), come abbreviazioni di tali oggetti. Le quantità, a seconda degli oggetti, sono indicate in vari modi, con unità, col peso, col volume, con misure fluide per i liquidi. 36 Sembra però che tra termini strettamente connessi non sia segnata l’interpunzione. Per scrivere venivano adoperate, per l’uso giornaliero, tavole di argilla, quale materiale meno costoso; si ritiene però quasi certo che venisse usato anche altro materiale, con ogni probabilità papiro (Cfr. S. Marinatos, Minos 1 [1951] 39-42). 37 E.L. Bennet, Minoan Linear E index, New Haven 1953. Le tabelle di Cnosso e di Pilo vengono quindi citate con una sigla (indicante la classe), seguita dal numero d’ordine. 38 Molti dei testi attribuiti dal Bennett a questa classe sono in realtà frammenti di tavole, i cui ideogrammi sono andati perduti. 39 Come, ad esempio, i termini riguardanti avorio o legno. 40 Liste di divinità o altre liste di nomi, in testi che sembrano contenere prescrizioni particolari.

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e di uomini e fanciulli, qualche volta con l’indicazione della professione. Probabilmente si tratta di registrazioni di operai o schiavi che le varie comunità locali dovevano fornire all’autorità centrale del Palazzo (allo Stato), o che, eccezionalmente, nei vari luoghi, lavoravano per un privato. I termini ko-wo e ko-wa che si trovano in tali testi sono stati letti da 41 VC come N´URM/N´URL e N´UD/N´UDL: così ad esempio la tabella di Pilo Aa 06 e-wi-ri-pi-ja DONNA 16 ko-wa 11 ko-wo 8 ? (ULSgD (= (»ULSgD, scil. FÊUD; o (UgSLDL?): *81$,.(6 16, N´UDL 11, N´URL 8. Incontriamo talvolta la parola we-ke-i-ja, |UJHLD?, che sembra indicare l’opera giornaliera. Alla fine di alcuni testi si trovano gli ideogrammi di ORZO e FICO, o la parola si-to, VmWRM, che possono indicare o supplementi di tributo in natura, o derrate fornite dal Palazzo per l’alimentazione delle persone registrate, o la loro paga. Abbiamo un gruppo di tavole in cui sono elencati pastori,42 ed altre che ci testimoniano come le varie comunità del regno di Pilo fossero tenute a fornire contributi umani per servizi ordinari e straordinari. Tra i nomi di località ed i nomi di persona ne esistono molti che si possono identificare con nomi greci noti.43 Tra i numerosi testi di Pilo contenenti toponimi sono notevoli: quello che enumera rematori che da varie località devono essere inviati a Pleuron (An 12: e-re-ta pe-re-u-ro-na-de i-jo-te {U|WDL3OHXUÐQ…GHf´QWHM... ri-jo UgRQ UOMO 5 / po-ra-pi? 6SRU… G ILUOMO 4 / te-ta-ra-ne? 7HWU…QK...), e altri che elencano lavoratori attivi in diversi luoghi; oppure altri ancora concernenti distribuzioni da parte del Palazzo o concessioni fatte ad abitanti di vari distretti, oppure le quantità di bronzo che certe categorie di abitanti devono fornire.44

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wo.

VC, 91. Cfr. anche VC, 96, dove abbiamo una lista di nomi composti con ko-

In PY An 13, dopo il nome di luogo, troviamo il termine ta-ge-re, VWDW£UHM certo collegato con ta-to-mo, VWDTP´M “stalla, gregge”. 43 Ne troviamo le prove in VC, 93 sg. 44 Cfr. VC, 101; G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 90 sgg., e 225 sgg. (“Testi e documenti”); A. Furumark, Eranos 52 (1954) 20 sgg. 42

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Attraverso questi testi constatiamo che il territorio dominato da Pilo costituiva un regno suddiviso in nove “distretti”.45 Nei testi di Cnosso, contenenti registrazioni di donne e fanciulli, i toponimi di cui è possibile l’identificazione sono sempre nomi di località cretesi oppure aggettivi formati da questi.46 In queste tavole ed in altre della stessa specie troviamo diverse abbreviazioni, tra cui particolarmente frequente è il segno DI che, secondo il Furumark,47 è un’abbreviazione del termine (che ricorre altrove) di-da-ka-re, GLGDVNDOH mRQ" . Essa si riferisce di solito o ad un gruppo minore di donne, segnate separatamente dal gruppo principale, probabilmente giovani ragazze, oppure a bambini più grandi. È da ricordare un testo di Pilo (An 42), contenente una registrazione di do-qe-ja, del distretto di Metapa, delle quali son ricordati padre e madre: 2 do-qe-ja do-e-ro pa-te ma-te-de ku-te-re-u-pi G´USHLDLG´HORMSDWUP…WKUG.XTKUHÂIL 5 do-qe-ja do-e-ro pa-te ma-te-de di-wi-ja do-e-ra G´USHLDLGR|ORMSDWUP…WKUG'LgDMGR|OD 6 DONNA 3 do-qe-ja do-e-ra ma-te pa-te-de ka-ke-u *81G´USHLDGR|ODP…WKUSDW UGFDONH¼M 7 DONNA 1 do-qe-ja do-e-ra ma-te pa-te-de ka-ke-u *81$G´USHLDLGR|ODP…WKUSDW UGFDONH¼M 8 DONNA 3. *81

Cfr. anche E.G. Turner, BICS 1, che, basandosi su un accurato esame delle tabelle di Pilo, ha compilato una Provisional List of Place Names, includendovi tutti quei termini che dal contesto risultano con certezza o probabilità toponimi o etnici. 45 Cfr. G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 94 e 228, in cui si tratta anche del confronto col “Catalogo delle navi”, B 591-4, e con Odissea, J 5-8. Anche qui troviamo il regno di Pilo, sotto Nestore, suddiviso in nove parti, ma soltanto i nomi di 3¼ORM e di $PILJ|QHLD corrispondono a quelli datici dalle tabelle. Ma, osserva Pugliese Carratelli, il “Catalogo” riflette una situazione posteriore all’età delle tabelle (come mostra già il nome 'ÊULRQ). 46 Cfr. le tavole dei “tessili”. 47 A. Furumark, Eranos 52 (1954) 24. A questo proposito l’autore ci suggerisce alcune probabili interpretazioni di altre sigle del genere.

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Questo testo ha avuto grande importanza per la decifrazione, perché vi si ripetono varie volte le parole pa-te ma-te-de, lette da VC SDWUP…WKUG48 È stato studiato anche dal Pugliese Carratelli,49 che ha letto do-qe-ja come G´USHLDL. Dato che esse sono qui divise secondo la nascita, egli si chiede se non si possa desumerne che le G´USHLDL, dichiarate tutte GR|ODL alla r. 4, partecipino della condizione della madre, libero o servo che sia il padre. Questa è una considerazione molto interessante e di estrema importanza per la questione della posizione sociale della donna. In alcuni testi sono menzionati pá-si-re-we, EDVLO£HM, che il Furumark e il Pugliese Carratelli 50 sono d’accordo nell’interpretare “signori locali” (“come in Itaca di Omero”, dice il Furumark) e ko-re-tere, “capi di villaggio” o “rappresentanti di una comunità locale”. Troviamo anche la parola ke-ro-si-ja, preceduta da un nome maschile in genitivo: il Furumark 51 la legge JHURQVgD, un particolare termine di categoria, il cui significato proprio non è accertato. Vediamo anche citati i J|URQWHM (ke-ro-te), accanto ai ODDJ|WDLe ai EDVLO£HM Un altro gruppo di tabelle di Pilo (Jn e Ma) riguarda la metallurgia. L’ideogramma che vi ricorre designa “bronzo”. Tale segno, preso dalla lineare A, riproduce evidentemente un’ascia.52 Su queste tabelle sono elencati i nomi di bronzieri di diverse località ed accanto a ciascun nome è registrata una quantità di bronzo; incerto è il significato di tale registrazione (tributo dovuto al Palazzo? o quantità di metallo consegnate dal Palazzo per l’esecuzione di lavori?).53 VC, 89, 92. G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 95 sg.: G´USHLDL, da GU|SZ “mietitrici”? o da G´USRQ “addette alla preparazione dei pasti”? 50 A. Furumark, Eranos 52 (1954) 19, e G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 217. Il Pugliese Carratelli pensa che essi non abbiano avuto funzioni politiche di rilievo (quali il …QD[ e il ODDJ|WDM), ma che equivalessero a IXOREDVLOHmM o ne rappresentassero il prototipo, quindi con un’autorità patriarcale o sacerdotale nell’ambito della tribù o del J|QRM. 51 A. Furumark, loc. cit. 52 A. Furumark, Eranos 52 (1954) 49 nota 1. 53 In queste tabelle (es. Jn 01-08) compaiono dapprima i toponimi, poi queste parole “ka-ke-we ta-ra-si-ja e-ko-te, FDON£HMWDODVg‹Q~FRQWHM”, seguite dalla lista dei bronzieri ecc. 48 49

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La parola chiave è ta-ra-si-ja, che il Björck e il Chadwick hanno giustamente interpretato WDODVgD = W…ODQWRQ corrispondente al latino pensum, “quel che è pesato” o “assegnato ad uno”.54 Poi viene di solito sommato il tutto: to-so-de ka-ko..., WRVV´QGH FDON´Q... Seguono quindi quei bronzieri che non hanno WDODVgDQ : ata-ra-si-jo, „WDO…VLRL, ed infatti i loro nomi non sono seguiti da ideogramma. Si trovano spesso indicati anche i do-e-ro, G´HORL, appartenenti ad alcuni bronzieri. In una di queste tabelle 55 accanto ai FDONHmM compare un’altra categoria di artigiani, i ku-re-we, in cui, secondo la convincente interpretazione del Pugliese Carratelli, si può vedere VNXO£HM, “cuoiai”, la cui opera doveva, in certi casi (per esempio nella fabbricazione di scudi), associarsi a quella dei bronzieri. In un lungo elenco di artigiani, distribuiti in varie località, sono citati anche degli orafi, ku-ru-so-we-ko, FUXVRHUJRg Il grande sviluppo dell’industria della ceramica in età micenea è attestato da un copioso materiale archeologico. Nelle tabelle di Pilo si trova spesso menzionato il ke-ra-me-u, NHUDPH¼M, e vi troviamo inoltre numerose registrazioni di vasi di varie forme, con l’ideogramma preceduto dal nome tecnico. Riportiamo qui come esempio le linee 2 e 3 di una tavola di Pilo; trovata di recente, pubblicata dal Blegen:56 2 qe-to VASO (biansato) 3 di-pa me-zo-e qe-to-ro-we VASO (con 4 anse) 1 di-pa-e me-zo-e ti-ri-jo-we-e VASO (triansato) 2 di-pa mewi-jo qe-to-ro-we VASO (con 4 anse) 1 "SgTRM$0),)25+F(6G|SDMP|]R Q WHWUÐHM'(3$6 G|SDHP|]RHWULÊHH'(3$6G|SDMP|LRQWHWUÐHM'(3$6 3 di-pa me-wi-jo ti-ri-jo-we VASO (triansato) 1 di-pa me-wi-jo a-no-we VASO (privo di anse) 1 G|SDMP|LRQWULÐHM'(3$6G|SDMP|LRQ„QÐHM'(3$6 VC, 98. G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954), 57. 56 C.W. Blegen, in (I $U[., Atene 1953, 59-62. Questa tabella è stata riesaminata dal Ventris, Archaeology 8 (1954) 18. 54 55

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La parola di-pa, G|SDM, abbreviata con di negli ideogrammi, evidentemente non indica, come più tardi, un calice, ma altre forme di vasi più grandi. In un elenco cnossio di offerte57 la troviamo menzionata insieme alla parola a-no-wo-to ed alla raffigurazione dell’ideogramma di un vaso privo di anse, e la frase è stata letta G|SDM „QÊRWRQ (equivalente ad „QÐHM nella tabella di Pilo sopra riportata). In alcuni testi di Cnosso si trovano ideogrammi che rappresentano vasi (anfore e tazze semisferiche), quali unità di misura. In un testo molto importante di Pilo58 sono rappresentati vasi la cui materia è indicata con l’ideogramma di “oro”. Si tratta di una distribuzione di doni votivi per alcune divinità e i loro santuari. Insieme ai vasi si trovano elencati schiavi femminili e maschili, probabilmente destinati ad essere servi del tempio, e non a sacrifici umani: 1 2 3 4 5 6 7 8

pu-ro (3¼ORM) i-je-to-qe po-si-da-i-jo (un 3RVLGDmRQ, tempio di Poleidon) a-ke-qe wa-tu (…VWX) da-ra-qe (GÐU…WH) pe-re-po-re-na-qe a-ke ORO (?) VASO 1 DONNA 2 qo-wi-ja (E´LD) [...] ko-mawe-te-ja pu-ro i-je-to-qe pe-re-?-jo i-pe-me-de-ja-qe (un 'LLDmRQ, tempio della Divia) di-wi-ja-jo-qe do-ra-qe pe-re-po-re-na-qe a pe-re-? VASO+ORO (?) 1 DONNA 1 i-pe-me-de-ja ( ,ILPHGHgY) VASO+ORO (?) 1 di-u-ja ('LgY) ORO (?) VASO 1 DONNA 1 e-ma-á (C(UP…Y) a-re-ja ( $UHgY?) ORO (?) VASO 1 UOMO 1 pu-ro i-je-to di-u-jo (un 'gLRQ, tempio di Zeus) pe-re-po-re-na-qe a-ke

Kn K 875. Cfr. G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954), 99; e FsPaoli (1955) 605; e A. Furumark, Eranos 52 (1954) 50-51 58 Pilo, Kn 02. Cfr. A. Furumark, Eranos 52 (1954) 51-52; e G. Pugliese Carratelli, FsPaoli, 607-610: l’interpretazione del Furumark diverge però notevolmente da quella che ci dà il Pugliese Carratelli, op. cit., 613-614. Un’altra interpretazione è stata data dal Palmer, Eranos 53 (1955) 1 sg. 57

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9 10

di-we ('LHg) ORO (?) VASO 1 UOMO 1 e-ra (u+UY) ORO (?) VASO 1 DONNA 1 di-ri-mi-jo di-we i-je-we ORO (?) VASO 1*

(11-16 vac.; 12-16 nuova rubrica: pu-ro) 1 po-ro-wi-to-jo (3OZLVWRmR, scil. PKQ´M) 2 puro i-je-to-qe pa-ki-ja-si do-ra-qe pe-re-po-re-na-qe 3 a-ke po-ti-ni-ja (3RWQgY) ORO (?) VASO 1 DONNA 1 4 ma-na-sa ORO (?) VASO 1 DONNA 1 po-si-da-e-ja (3RVLGDHgY) ORO (?) VASO 1 DONNA 5 ti-ri-se-ro-e (7ULVKUÊHL") ORO (?) VASO 1 do-po-ta ORO (?) VASO 1 (6-10 vac.; 7-10 nuova rubrica: pu-ro) Vo

Alcuni gruppi di testi di Cnosso si occupano di utensili ed armi. Vi troviamo due tavole con raffigurazioni di seghe ed altre con raffigurazioni di asce e lance, quali ideogrammi. Queste tabelle riportano, in qualche caso, annotazioni di quantità depositate, ma, per la maggior parte, elenchi di artigiani di varie località, che devono ancora consegnare la merce. In molte tavole di Cnosso sono inventariate armi e carri o loro parti.59 Il materiale elencato può essere suddiviso in tre classi: 1) armature per singoli combattenti su carri; 60 2) elenchi di carri di vari tipi, con descrizioni riguardanti il materiale ed i colori, e con specificazione degli accessori; 3) elenchi di ruote, con indicazioni della costruzione. Un grande gruppo di testi di Cnosso è costituito da registrazioni di tessili, il cui ideogramma rappresenta un telaio. Questi testi contengono o 59 Tali tabelle sono state analizzate ed interpretate da VC, 99-100; e A. Furumark, OpAth 1 (1953) 57 sg.; e Eranos 52 (1954) 54-59. La terminologia tecnica offre delle grandi difficoltà e per l’interpretazione si deve tener conto anzitutto della costruzione dei carri egei da combattimento. 60 Qui vediamo dapprima un nome maschile (eccezionalmente seguito da un epiteto), poi gli ideogrammi di armatura, carro, testa di cavallo, seguiti dai numeri adeguati. Alcune variazioni che vi troviamo ci permettono di dare uno sguardo interessante all’organizzazione militare.

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elenchi di prodotti in deposito o di consegne da fare. La parola più importante è, nel primo caso, pa-we-a, I…UHD, “stoffe, vestiti”, con diversi termini qualitativi, alcuni indicanti materiale, colore, ed altri poco chiari. Nella seconda categoria si trovano nomi di località, o aggettivi femminili derivati da questi, oppure termini professionali femminili. Molti di questi termini sono identici a quelli dell’elenco delle schiave. Questi testi contengono evidentemente i tessili prodotti da diversi gruppi di schiave e consegnati da varie località. Gli ideogrammi che si trovano più frequentemente in Cnosso sono quelli che indicano animali domestici. Il significato preciso di alcuni di questi ideogrammi non è ancora del tutto stabilito ed Evans61 ci propone qualche interpretazione. Anche nell’archivio di Pilo erano conservati inventari di armenti e di greggi, esistenti in varie località del regno. Abbiamo delle tabelle in cui sono registrati i “debiti” di alcuni pastori, certamente verso il Palazzo, ed altre che sembrano riferirsi a “requisizioni”. Alcuni elenchi di animali sono caratterizzati dal fatto che i nomi di persona, al dativo, sono preceduti dalla parola pa-ro, SDU´ = SDU…, “apud - penes”, “presso”.62 Non sarà errata la supposizione che in queste liste fossero elencati animali dati in cura alla persona menzionata. Talvolta, dopo la cifra che segue gli ideogrammi, si trova il segno X, che indica probabilmente un controllo o revisione. Che esistessero greggi di proprietà del Palazzo ha dedotto il Furumark63 da un gruppo di testi di Cnosso, dove sono annotate grandi quantità di animali, registrati secondo questo schema: nomi di località, ideogrammi di animali e loro quantità (anche oltre 20.000 ovini e 700 suini). Il Furumark64 esamina oltre seicento tabelle cnossie, con ideogrammi di ovini. Tutte queste appartengono ad un unico tipo e sono così redatte: A.J. Evans, The Palace of Minos, IV, 2, 722 sgg. VC, 93 e 102. 63 A. Furumark, Eranos 52 (1954) 28. Cfr. anche G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 220-221. 64 A. Furumark, Eranos 52 (1954) 29. 61

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dapprima un nome di persona (seguito talvolta da un aggettivo di luogo indicante la patria; eccezionalmente, invece di questo, possiamo trovare l’indicazione della professione), poi un toponimo “residenza”, quindi l’ideogramma di ovino e la quantità. Come aveva già osservato l’Evans, 65 il Furumark ha rilevato che doveva trattarsi di una specie di imposta, la cui unità era data dal valore di un ovino. È nota che lo stesso sistema di imposte esiste ancora oggi nell’interno dell’Anatolia. Collegandosi a ciò, interpreta le due abbreviazioni O e PE, che qui troviamo più frequentemente, come o(pe-ro), ¶IHORM, e pe-(ru-si-nu) (-wa, -wo), SHUXVLQ-, -…, -´M, -´Q. Tanto a Pilo, stato eminentemente agricolo, che a Cnosso, abbiamo numerosi testi con ideogrammi indicanti prodotti agricoli, alcuni dei quali non sono stati ancora identificati. Vi è frequentissimo un ideogramma, preso dalla lineare A, che indica “cereali” in genere e forse, più precisamente, “orzo”. Insieme a quelli raffiguranti cereali, liquidi ed alberi, vi troviamo talvolta anche ideogrammi di animali domestici e di droghe.66 Gran parte di queste tavole, in cui ricorrono vari ideogrammi indicanti “vegetali”, contengono elenchi di quei prodotti agricoli che entravano nei magazzini del Palazzo o che ne uscivano per essere distribuiti ai sudditi. Come produttori sono indicati collettivamente gli abitanti di una data località. In tali testi compaiono di frequente i termini “consegna (a-pu-do-si, „S¼GRVLM), debito (o-pe-ro, ¶IHORM)”. Le destinazioni della merce consegnata sono indicate con nomi di persona al dativo oppure con toponimi seguiti dal suffisso -de. Vi troviamo menzionato un o-pi-te-u-ke-u, ³SLWHXFH¼M, che sembra designare un funzionario addetto all’approvvigionamento. Vi sono numerose tabelle concernenti il censimento di terreni coltivati ad orzo (NULTDg), con la definizione del tributo in natura in proporzione alla loro area e produttività.

65 66

A.J. Evans, The Palace of Minos, IV, 2, 691 sgg. In questi casi si tratta probabilmente di forniture più importanti.

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Alcune tavole si riferiscono probabilmente a transazioni di affari, come quelle contenenti la parola o-no, che il Furumark67 identifica con ÒQRM, cioè “prezzo di compera”. Un altro gruppo di testi interessanti è composto da tavole che elencano evidentemente consegne a santuari. Nei testi riguardanti censimenti di terreno, il termine che vi ricorre più di frequente è ko-to-na (ko-to-i-na in Cnosso 1031), letto da VC68 come NWRgQD ed indicante una porzione di terra; esso ha spesso come attributi due participi medio-passivi, ke-ke-me-na e ki-ti-me-na, interpretati da VC come NHNHLP|QD e NWgPHQD. Diamo qui alcuni esempi: Ep 02, 1.9: I-do-me-ne-ja te-o-jo do-e-ra o-na-to e-ke ke-ke-me-na koto-na pa-r o da-mo to-so pe-mo GRANO 9/60

,GRP|QHLDTHRmRGR|OD¶QDWRQ~FHL"NHNHLP|QDMNWRgQDMSDU· G…PZ`W´VVRQVS|UPR38526/ En 02, 1.3: wa-na-ta-jo-jo ko-to-na ki-ti-me-na to-so-de pe-mo ORZO 2

1/60

DUQDWDgRLRNWRgQDNWgPHQDWRVV´QGHVS|UPRQ.5,4$,/ Il Ventris dice che ke-ke-me-na e ki-ti-me-na “are probably synonymous, presumably in the sense of ‘established’ common to? NHmPDL and NWg]Z. Not ‘fallow/cultivated’?”. Il Furumark,69 dopo aver esaminato alcune formule di tabelle pilie, relative a terreni coltivati a cereali, esprime l’opinione che ko-to-na keke-me-na, NWRgQDNHNHLP|QD(?), significhi un terreno appartenente allo stato o alla comunità (da-mo, G‹PRM) - e tale è in sostanza anche l’opinione del Palmer 70 e del Webster 71 - mentre ko-to-na ki-ti-me-na, NWRgQDNWLP|QD, indichi un terreno appartenente a privati.

A. Furumark, Eranos 52 (1954) 33 e nota 1. VC, 98-99. 69 A. Furumark, Eranos 52 (1954) 36 sgg. 70 In un importante studio su Mycenaean Greek Texts from Pylos, in TPS (1954) 27 sg. 71 BICS 1 (1954). 67

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27

Ma il Pugliese Carratelli72 confuta tale opinione, preferendo dare a ko-to-na ke-ke-me-na il significato di “terreno lasciato incolto, in riposo”, distinto da ki-ti-me-na “coltivato”. L’espressione (pa-ro da-mo) ko-to-no-o-ko, (SDU·G…PZ`) NWRLQR´FRM, dovrebbe significare, secondo il Furumark, “appaltatore dello stato”. Di questa categoria di persone si dice o-na-to e-ke, ³QDW·Q73 ~FHL, cioè che “ha l’usufrutto”. E gli o-na-te-re, ³QDW£UHM, sarebbero “fittuari, usufruttuari”, che coltivano il terreno di un dato possidente, con l’indicazione del loro nome, del loro stato e della quantità loro spettante. Secondo il Pugliese Carratelli 74 sembrano designati come NWRLQR´FRL “qui ctoenam habent”, quelli che hanno l’effettivo possesso di una NWRgQD Egli inoltre trova difficile che G‹PRM possa indicare lo stato; “nelle tabelle pilie designa più probabilmente l’ager publicus, o il terreno che appartiene ai G‹PRL in cui son suddivisi insieme popolazione e territorio: tra gli ³QDW£UHM S…URM G…PZL vi sono infatti rappresentanti di tutte le classi sociali, dai proprietari di NWRmQDL ai sacerdoti, ai servi templari e servi di privati (Ep 02, Ep 03)”.75 La parola e-to-ni-jo viene interpretata dal Ventris76 come indicazione di piena proprietà. Questo risulta dal testo Eb 35, che qui riportiamo: 1 i-je-re-ja e-ke-qe e-u-ke-to-qe e-to-ni-jo e-ke-o te-o 2 ko-to-no-o-ko-de ko-to-na-o ke-ke-me-na-o o-na-ta e-ke-e 1 e|UHLD~FHLWHH¾FHW´WHetonLRQ~FHHQTH´Q 2 NWRLQR´FRQMGNWRLQ…ZQNHNHLPHQ…ZQ³QDWˆ~FHHQORZO 3 9/10 4/60

G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 102 sgg., 221 sg., 224 sg. Così VC, 98, interpretano o-na-to (da ³QgQKPL), “lease”. Con lui concordano anche G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 103; e A. Furumark, Eranos 52 (1954) 37. 74 G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 106. 75 G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 108. 76 M. Ventris, Archaeology cit., 19: e-to-ni-jo, parola formata da {W…, {W´M, “vero” (Boisacq), e ¶QLRQ (da ³QgQKPL), “godimento provvisorio”. Cfr. G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 106. 72 73

28

La parola pe-mo/pe-ma, letta da VC 77 come VS|UPD, indica l’estensione di un appezzamento o la quantità di prodotto che ciascun NWRLQR´FRM o ³QDWU doveva versare come tributo al Palazzo, in base all’area di terreno coltivata o alla produzione accertata.78 Attraverso tali tabelle possiamo constatare che i NWRLQR´FRL costituivano un’aristocrazia fondiaria, che sembra aver goduto un trattamento di privilegio anche nelle assegnazioni di lotti di terreno pubblico; accanto ad essi aveva una certa influenza anche l’elemento sacerdotale. La suprema autorità dello stato è il …QD[,79 al quale è riservato un te-me-no, W|PHQRM, che, secondo VC, conserva il significato originario di “area di terreno da grano riservato per un capo”. Un W|PHQRM è consegnato pure al ODDJ|WDM, certamente un capo militare (ODRg “armati”), che dai testi rileviamo essere stato uno soltanto. Questo ci viene attestato dalla tabella Er 01: 1 wa-na-ka-te-ro te-me-no DQ…NWHURQW|PHQRM 2 to-so-jo pe-ma ORZO 30 W´VVRLRVS|UPD.5,4$, 3 ra-wa-ke-si-jo te-me-no ORZO 10 ODDJ|VLRQW|PHQRM.5,4$, (4 vac.) 5 te-re-ta-o to-so pe-ma ORZO 30 WHOHVW…ZQ(scil. W|PHQRM) W´VVRQVS|UPD.5,4$, 6 to-so-de te-re-ta UOMINI 3 WRVVRgGHWHOHVWDg$1(5(6 7 wo-ro-ki-jo-ne-jo e-re-mo RUJL´QHLRM{U£PRM 8 to-so-jo pe-ma ORZO 6 W´VVRLRVS|UKD.5,4$, VC, 98. Questi tributi in natura erano raccolti nei vasti magazzini dei Palazzi micenei, come si vede a Cnosso, dove sono stati ritrovati i pithoi per l’olio e i cereali. 79 VC, 99; A. Furumark, Eranos 52 (1954) 35; G. Pugliese Carratelli, PdP 9 (1954) 110-113, che ci dà una interessante ricostruzione dei poteri che governavano lo stato miceneo. 77 78

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Te-re-ta, WHOHVW…M, sembra indicare sempre un funzionario e viene collegato con W|ORM, “pagamento, tributo”, così può significare forse un funzionario che soprintendeva all’esazione dei tributi o un membro dell’autorità “feudale” tenuto a fornire tributi, in proporzione al frutto della sua terra. Possiamo dunque concludere, come osserva il Pugliese Carratelli, che “i testi ci suggeriscono ora, per gli stati ‘micenei’, l’idea di una monarchia, i cui poteri erano limitati da un’aristocrazia guerriera e fondiaria”. Anche lo stesso Palazzo non ci appare come il “castello” di un monarca, ma come la cittadella di una comunità politica.80 Per quel che concerne i culti, dobbiamo rilevare che nei testi così di Cnosso come di Pilo si trovano molti dei nomi di dèi del pantheon classico: ciò che conferma la tesi del Nilsson, secondo cui la maggior parte dei culti greci esistevano già in età micenea.81 Tra le divinità menzionate a Cnosso troviamo Athana (protettrice del Palazzo?), Poseidaon e Enesidaon, Zeus (il cui culto è attestato anche dal nome del mese 'gLRM), Enyalios e forse una (ULQ¼M. Come culti tipicamente “eteo-cretesi” abbiamo quello celebrato sul monte Dikte e quello di Eleuthia ad Amniso; non è ben chiaro se la 3´WQLDsia la 3´WQLDTKUÐQ “minoica”. Tra le divinità autorevoli compare, come dio autonomo, 3DL…ZQ. A Pilo vediamo una 'LgD (forse “Magna Mater”, come in Panfilia?), Zeus, Hera, Posidaon e Posidaeia. Come divinità di un certo rilievo vi compare Iphimedeia. Particolarmente degna di nota è la comparsa di 'L´QXVRM in un testo di Pilo.82 Apollo sembra assente tanto a Cnosso che a Pilo. Ad alcuni degli artigiani menzionati in tabelle di Pilo sono aggiunti gli attributi wa-na-ka-te-ro, DQ…NWHURM, ra-wa-ke-si-jo, ODDJ|VLRM, che indicano l’appartenenza di tali artigiani ai laboratori esistenti entro il Palazzo. Officine, oltre che depositi ed archivi, hanno rivelato gli scavi di Palazzi “micenei”. 81 Cfr. VC, 95; M. Nilsson, The Mycenaean Origin of Greek Mythology, Cambridge 1932, e M. Nilsson, Geschichte der griechischen Religion I, München 1941, 285 sgg. e 316 sgg.; A. Furumark, Eranos 52 (1954) 33-35, 51 sg.; G. Pugliese Carratelli, FsPaoli, 599-614, dove tratta accuratamente sull’argomento. 82 Cfr. G. Pugliese Carratelli, FsPaoli, 613. 80

30

In alcune tabelle di Cnosso, dove possiamo notare anche nomi di mesi, sono registrate offerte a tutti gli dèi (S‹QVLTHRmM).83 È da notare la prevalenza di divinità femminili sulle maschili (e conseguentemente anche di e|UHLDL e THRmR GRÂODL su eHUHmM e THRmR GRÂORL), e questa è probabilmente un’eredità minoica. Per l’esercizio del culto, i testi non ci forniscono alcuna indicazione circa eventuali funzioni sacerdotali dei principi achei.84

Dobbiamo osservare una diversità tra Cnosso e Pilo nel tipo delle offerte, infatti sembrano mancare a Pilo offerte di olio e vasi di miele, che invece troviamo registrate a Cnosso. Cfr. a questo proposito G. Pugliese Carratelli, FsPaoli, 613 e nota 3. 84 [Quest’articolo ha potuto tener conto solo dei lavori pubblicati fino a tutto il 1955. Un’accurata rassegna degli studi sui testi micenei dopo la decifrazione del Ventris è stata pubblicata da M.S. Ruipérez, Minos 3 (1955) 157 sgg. e 4 (1956) 69 sgg. Nell’ottobre 1956 è stato pubblicato a Cambridge l’importantissimo libro di M. Ventris e J. Chadwick, Documents in Mycenaean Greek, 300 Tablets from Knossos, Pylos, Mycenae; il Ventris è morto, trentaquattrenne, in un incidente automobilistico a Londra, al principio del settembre. - Il libro ora citato contiene una copiosa bibliografia; per l’indicazione di ulteriori lavori - tra i quali è notevole il libro di C. Gallavotti, Documenti e struttura del greco nell’età micenea, Roma 1956 - si veda la continuazione della rassegna bibliografica nella rivista Minos di Salamanca]. 83

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II.

SU ALCUNI ARTICOLI DEL CODICE ITTITA RELATIVI A CATEGORIE SOCIALI

Questa comunicazione concerne alcuni articoli del Codice lttita suscettibili di nuove interpretazioni. Dapprima esamineremo quelli riguardanti prestazioni di lavoro e particolari esenzioni da queste. Troviamo nel Codice Ittita due termini distinti per indicare prestazioni di lavoro: šaøøan e luzzi. Ciò è legato all’assegnazione di terre e alla loro distinzione in due categorie, e precisamente le terre appartenenti agli uomini feudali ed assegnate a questi dal Palazzo, e le terre distribuite da comunità locali agli artigiani, ai cosiddetti “uomini dello strumento”. Gli “uomini feudali” ricevevano dei campi, di cui godevano l’usufrutto, con l’obbligo di prestare il “servizio feudale”, cioè il šaøøan. Gli artigiani ricevevano dei campi, con l’obbligo di compiere delle prestazioni di lavoro, il cosiddetto “lavoro servile”, cioè il luzzi. Al luzzi, proprio degli artigiani, partecipavano però anche altri sudditi1 ed a questi venivano affidate la costruzione e la manutenzione di strade e di impianti militari, di edifici pubblici, di templi ecc. Ne abbiamo un esempio all’articolo 52, dove leggiamo che: 52

7 Lo schiavo del mausoleo, lo schiavo del figlio del re, il signore di..., i quali allo stesso titolo degli (ištarna) artigiani 8 un campo tengono, il lavoro servile eseguano.

A. Goetze, Kleinasien 2 (1957) 108-109; O.R. Gurney, The Hittites 2 Harmondsworter 1954, 102-103. Il Goetze, op. cit., 108, dice “Dalle particolari disposizioni di legge sull’esenzione dal luzzi si riceve l’impressione che esso sia fondamentalmente un obbligo comune. L’esenzione da questo viene conferita soltanto a pochissime classi”. Abbiamo, sì, disposizioni di legge su vari casi di esenzione dal luzzi, ma ne abbiamo anche sull’obbligo, per alcune categorie di persone, di partecipare ad esso: disposizione che sarebbe stata inutile nel caso di un obbligo comune a tutti i sudditi. Cfr. a questo proposito l’articolo 52; si potrebbe obbiettare che qui si tratta di schiavi, ma viene anche menzionato “il signore di...”. 1

33

Il problema sorge a proposito della posposizione ištarna, che incontriamo al r. 7 di questo articolo. Essa ha di solito il significato registrato dal Friedrich nel suo glossario2 “mitten in, zwischen, unter”. Gli studiosi del Codice Ittita l’hanno qui così interpretata: il Hrozný3 “au profit desquels les hommes d’armes le champ perdent”; il Neufeld4 “who hold fields among soldiers”; il Goetze5 “who hold fields among craftsmen”. Mi sembra che il contesto esiga la interpretazione di ištarna come “nella categoria di” e tradurrei così il passo: “i quali nella categoria degli artigiani6 un campo tengono”, cioè “allo stesso titolo degli artigiani”, dato che qui si tratta di compiere il luzzi, la prestazione di lavoro tipica degli artigiani. Nell’articolo 56 vengono indicate prestazioni di lavoro obbligatorie per i “metallurgici” in casi e luoghi particolari. Si tratta di un articolo piuttosto oscuro e quindi variamente interpretato.7 Il Hrozný8 “(De l’obligation) d’aller dans une forteresse (note 29: C’est-à-dire probablement dans un camp fortifié) (pendant) une expédition du roi, (et) cueillir (des raisins dans) la vigne, des HOMMES ouvriers en métaux aucun n’(est) libre; les HOMMESjardiniers tout le service (du champ etc.) font”; il Neufeld9 “From manning a fortress during a campaign of the king and from pruning a vineyard none of the metal-workers shall be exempt. The gardeners shall render all the feudal 2 J. Friedrich,, HW (1952), ed il supplemento di questo (HW Erg.-Heft 1) pubblicato a Heidelberg nel 1957. 3 F. Hrozný, CH (1922) 47. Non ho potuto prender visione del contributo di A. Walther, The Hittite Code, in J.M.P. Smith, The Origin and History of Hebrew Law, Chicago 1931. 4 E. Neufeld, HL (1951) 17. 5 A. Goetze, ANET2 (1955) 191. 6 “Uomo dello strumento”, cioè “artigiano”, è l’interpretazione ormai comunemente accettata del termine (LÚ) GIŠKU(-li). 7 Data la diversità di interpretazioni di tale articolo, ritengo opportuno riportarne qui il testo completo in trascrizione: 56 24 A-NA BÀD-ni KAŠ LUGAL t[á]k-[š]ú-wa-an-z[i] GIŠSAR.GEŠTIN túø-šú-uwa-an-zi ŠÁ LÚURUDU.NAGAR 25 Ù-UL ku-iš-ki a-ra-u-wa-áš LÚ.MEŠNU.GIŠ.SAR øu-u-ma-an-t/di-ya-pé lu-u-zi [kar-b/pi-an-zi] Faccio notare che, secondo una convenzione ormai comunemente accettata, le parole scritte in minuscolo (normale o corsivo) sono ittite, quelle in maiuscolo corsivo sono accadiche, quelle in maiuscolo normale sono ideogrammi sumerici. 8 F. Hrozný, CH, 51. 9 E. Neufeld, HL, 19.

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dues”; egli spiega nel suo commento10 che questa speciale categoria di operai (i metallurgici) non può essere esente dal compiere i lavori suddetti poiché è stata arruolata proprio per attendere a questi: in loro assenza i giardinieri devono coltivare i loro campi ed assolvere i debiti feudali11 in loro vece; il Goetze12 “no one of the metal workers shall be freed from partecipating in a royal campaign in a fortress, (and) from cutting a vineyard. The gardeners shall render the full services”. Queste interpretazioni sono tutte fondate su integrazioni o modificazioni della prima parte del difficile testo. Mi sembra che, pur restando aderenti ad esso, si possa giungere ad una traduzione meno arbitraria, e cioè “In una città fortificata dal costruire la strada reale e dal recidere (delimitare, occuparsi di) una vigna nessuno dei metallurgici (lavoratori in rame) (sia) esente; i giardinieri appunto tutto il lavoro servile eseguano”, nel senso che in una città fortificata, essendo limitato il numero dei civili generalmente addetti a tali compiti, si ricorreva anche ad artigiani di altre categorie. In tali casi il lavoro servile spettante a questi veniva compiuto dai giardinieri. Come abbiamo già detto, in alcuni articoli del Codice Ittita si parla di esenzioni dal luzzi, conferite soltanto a pochissime categorie di cittadini. Sono trattate negli articoli 50, 51, 54. Vediamo così che erano esenti i sacerdoti in ogni paese e gli appartenenti alla loro casa, ma non i loro adepti, che rimanevano obbligati alla prestazione del luzzi (art. 50). Allo stesso modo avveniva anche per i tessitori12a nelle città sacre di Arinna e Zippalanda (art. 51). Erano pure esenti dal luzzi alcuni abitanti privilegiati delle città sacre di Arinna, Nerik e Zippalanda, e non tutti gli abitanti di queste città, come è stato generalmente inteso.13 Si tratta dell’articolo 50 ed il problema sorge a proposito della voce verbale taruøzi, che viene tradotta dal Hrozný14 “demeure” e dal

E. Neufeld, HL, 168. E. Neufeld traduce luzzi come “feudal dues”, debiti feudali, ma ormai comunemente accettata la traduzione di luzzi come “lavoro servile”. 12 A. Goetze, ANET2, 192. 12a Così secondo una correzione dell’autrice successiva alla pubblicazione dell’articolo (n.d.c.). 13 A. Goetze,, Kleinasien 2, 108. 14 F. Hrozný, CH, 45. 10

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Goetze15 “live”. Non riesco a spiegarmi il perché di tali interpretazioni, né a comprendere a quale verbo si possano riferire. Forse queste erano le interpretazioni che a loro sembravano lessicalmente più appropriate. Il Walther16 ed il Neufeld17 si sono resi conto, pur senza dare alcuna spiegazione o giustificazione in proposito, che non si trattava qui di tutti gli abitanti di queste città sacre; infatti modificano la frase e traducono liberamente così: “a high priest(?) who is mighty(?) dwells(?)” (Walther); “nobles(?) who live at Nerikka, Arinna and Ziplanda” (Neufeld). Il Friedrich, nel suo glossario, pone il verbo in questione, ma con un punto interrogativo, sotto la voce tarø- che significa “essere forte, essere potente”.18 Se da un punto di vista fonetico posso riuscire a spiegare la forma taruøzi come una metatesi di tarøuzi, non riesco però a trovare per tarøuzi alcuna spiegazione morfologica che giustifichi la presenza della vocale u. Troviamo però nel glossario del Friedrich altre forme derivate da tarøin cui è presente questo ampliamento in u, come tarøudu (KBo IV 2 I 54) e taruøanzi (KUB VII 1 II 9?). C’è anche un tarøuzzi (KUB XVII 10 I 33?), che però, secondo il Guterbock,19 potrebbe essere un nome: “Türverschluss(??)”. Sono anche interessanti per noi il sostantivo neutro tarøuilatar “Kraft, Zeugungskraft” (H. Ehelolf, Sitzungsberichte der Preussischen Akademie der Wissenschaften [1925] 268), e l’aggettivo tarøuili- “stark, mächitig” (A. Goetze, Madd. [1928] 138; idem, NBr. [1930] 63), di cui abbiamo le forme tarøuilin (KUB XXIV 1 III 13) e tarøuilauš (A. Goetze, Madd. II § 26*, r. 41) (tarøuiliuš KUB XXI 15 IV 5). Di fronte alla difficoltà di un così singolare esito della labiovelare indeuropea, il professor Devoto richiama a questo proposito la mia attenzione su forme analoghe nel nome luvio Tarhunti- e in quello latino-etrusco Tarquinius e simili, che possono risalire ad una base mediterranea TARKWA, assimilata poi a un ipotetico schema indeuropeo, A. Goetze, ANET2, 191. A. Walther, op. cit. da E. Neufeld, HL, 16 nota 61. 17 E. Neufeld, HL, 16, ed il commento a p. 166. 18 Ma nel suo supplemento, a p. 20, ci dà anche un verbo tarøu- non derivato da tarø- “können”, e ci rimanda a A. Goetze, JAOS 74 (1954) 190. 19 Comunicazione fatta dal Güterbock al Friedrich per lettera. 15

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ora con consonante labiovelare TARKW, ora con consonante velare semplice TARK. Esaminando il problema dal punto di vista lessicale, mi sembra abbastanza logico interpretare taruøzi come “è potente” nel senso che “è nel novero dei Grandi”. Infatti traducendo che colui che vive (o dimora) in Nerik, Arinna o Zippalanda è libero, cioè esente dal compiere il lavoro servile, dovremmo intendere tutti gli abitanti di queste tre città. Per quale ragione allora nell’articolo 51 verrebbe specificato che è esente dal luzzi anche “colui che in Arinna un tessitore era divenuto...” e così pure in Zippalanda? Non c’era ragione di scrivere questo articolo, se nel precedente si voleva intendere tutti gli abitanti di queste città: il fatto era implicito. Sempre nello stesso articolo (50) un altro problema sorge a proposito dell’esenzione di quella persona davanti alla cui casa un albero eya è “visto”. Si tratta appunto di questo participio, tradotto dal Hrozný20 “enfermé” e dal Goetze21 “erected”. Il Neufeld22 ricorre a un diverso giro di frase “If he goes to Arinna for eleven months and the cap of liberty. shall appear before the gate he shall be e[xempt]”. In ittita il termine in questione è espresso con šakuwan participio neutro, che può derivare sia dal verbo šakuwai- “vedere”, che da un verbo šakuwai-, non ancora ben chiaro. Il Goetze negli “Annali di Muršili”23 ed in JAOS24 arriva a dare a quest’ultimo verbo il significato di “aufhängen, aufbewahren” (“SD¼HLQ” o “morari”) che, per alcuni casi, può risultare appropriato.25 Penso che svolgendo ed ampliando questo significato di “appendere, sospendere, posarsi”, il Goetze sia arrivato a tradurre qui “erected”. Comunque sia, io inclinerei a far derivare questo participio da šakuwai- “vedere” e tradurrei così questo brano: “Se (un uomo) in Arinna per 11 mesi sta, allora la casa di quello alla porta del quale un albero eya (è) visto, (è) esente”. Qui il participio šakuwan può avere anche il valore di aggettivo 20 F. Hrozný, loc. cit. Egli ci dà però di tutta la frase una diversa interpretazione, che non mi sembra accettabile, e cioè: “alors [la maison] d[e] celui dans le magasin de qui (son) BOISlit (note 16: ou: (sa) BOIStable?) (est) enfermé, (est) l[ibre]”. 21 A. Goetze, ANET2, 191. 22 E. Neufeld, loc. cit. 23 A. Goetze, AM (1933) 201-203. 24 A. Goetze, JAOS 69 (1949) 182. 25 Cfr. anche H. Ehelolf, OLZ 36 (1933) 36 Col. III nota 2.

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verbale: “alla porta del quale (è) visibile (= si può vedere) un albero eya”, caso che si verifica però raramente.26 Ed ecco la definizione che si trova nel glossario del Friedrich a proposito dell’albero eya: GIŠ eya- (GIŠeyan-) n. “albero sempre vivo il quale è piantato o posto davanti alla casa in segno di esenzione da aggravio”.27 Così mi sembra logico calcare sul fatto che questo albero, segno di privilegio, era visto, o era visibile, da tutti. Cosa che in fondo non esclude le altre interpretazioni, pur restando aderente al primo, e più provato, significato del verbo šakuwai-. Ed ora credo opportuno dare la traduzione completa che propongo per questo articolo: 50 58 L’uomo tak-ki-e28 che in Nerik è tra i Grandi (taruøzi), che in Arinna, 59 che in Zippalanda (è tra i Grandi) (= è dei Grandi di Nerik, Arinna, Zippalanda), (e) i sacerdoti in ogni paese... 60 le loro case (siano) esenti, e i loro adepti il lavoro servile eseguano... 61 Quando in Arinna l’undicesimo mese subentra,28a allora la sua casa di quello KBo VI 3 Vo Col. III 2 alla sua porta del quale un albero eya (è) visto (šakuwan), (è) esente. Nell’articolo 54 sono elencati altri casi di esenzioni. Ne riporto qui la traduzione, nel modo in cui mi sembra più adeguata:

Cfr. J. Friedrich, HE I (1940) 81, § 283b, ed anche il suo glossario s.v. šakuwant-. Cfr. A. Goetze, AM, 203; F. Sommer-A. Falkenstein, HAB (1938) 196 e sgg. N. 4; H. Otten, Ueberl. (1946) 43 nota 9. 28 Non siamo ancora sicuri sulla lettura di questo termine, di cui perciò non è stata proposta alcuna interpretazione. Cfr. F. Hrozný, CH, 44 nota 3. 28a Così secondo una correzione dell’autrice successiva alla pubblicazione dell’articolo (n.d.c.). 26

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15 Dapprima i soldati (¬ÂBÊMEŠ) Manda, i soldati Šala, i soldati della città Tamalki, i soldati della città ÷atra, 16 i soldati della città Zalpa, i soldati della città Tašøiniya, i soldati della città ÷amuwa, gli arcieri, i lavoratori in legno, 17 gli scudieri e i loro addetti il lavoro servile (luzzi) non compivano; 18 il servizio del feudo (šaøøan) non facevano.

Tra le categorie qui elencate di sudditi che godevano tali privilegi, ne appare una di cui non possiamo dare una sicura interpretazione. Si tratta di quella definita col termine accadico ¬ÂBÊMEŠ che incontriamo alle rr. 15, 16, e che è stato interpretato dal Hrozný29 come “les guerriers”. Anche il Neufeld30 traduce “warriors”, intendendo un particolare gruppo etnico che probabilmente conservava uno speciale stato sociale. Non appaga la versione generica del Goetze31 che traduce “people”, mentre quella del Neufeld appare alquanto probabile. Ho avuto modo di controllare al British Museum di Londra la tavoletta contenente questo articolo. Vi troviamo il termine in questione Prescindendo dall’indicazione così scritto in cuneiforme , MEŠ per il termine si dà la possibilità posposta del plurale ( di varie letture. Così leggiamo nel sillabario cuneiforme del Bauer:32 ERÍN: SÂBU “Mann” pl. auch “Leute” ERIN: UMMÂNU “Kriegsvolk” Nella parte III (glossario), p. 40, della stessa opera, s.v. UMMÂNU (sum.) gen. comm. leggiamo: I UMMÂNU (sum.) “Handwerksmeister” MÂR UMMÂNI dasselbe II UMMÂNU (sum.) gen. comm. a) Volk; b) Heer, Truppe (meist fem.) plur. UMMÂNÂTU Ne risulta la possibilità di varie interpretazioni. Ne propongo una che mi sembra altrettanto ammissibile che quella del Neufeld, considerato che l’articolo in questione concerne categorie con funzioni militari. Si può intendere dunque “soldati, guerrieri”, ma in senso generico, cioè F. Hrozný, CH, 49. E. Neufeld, HL, 18, ed il commento a p. 168. 31 A. Goetze, ANET2, 192. 32 T. Bauer,, Akkadische Lesestücke II, Roma 1953, 27. 29

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“quelli che non appartenevano a corpi specializzati”, dato che gli altri vengono menzionati subito dopo, nello stesso articolo. Manda e probabilmente anche Šala designano popolazioni nomadi viventi ad est dell’Impero Ittita; sempre ad est sono le città di ÷atra, ÷emuwa e Zalpa e verisimilmente le altre.33 È evidente che in queste zone non dipendenti immediatamente da ÷attuša, ma comprese nella sfera dell’egemonia ittita, venivano di solito reclutate truppe, alle quali era pertanto eccezionalmente accordata l’esenzione tanto dal šaøøan quanto dal luzzi. Aggiungo un’altra nota che esamina un problema relativo alla proprietà di schiavi. Si tratta degli articoli 95 e 99, che qui riporto in traduzione: 95

42 Se uno schiavo (in) una casa ruba, l’intero (valore) dia, (quello) del furto (= il ladro) 43 sei sicli d’argento dia, e dello schiavo il suo naso (e) le sue orecchie (si) tagli 44 e quello indietro al suo padrone si dia. Se molto ruba, 45 molto a lui viene imposto; se poco ruba, poco a lui viene imposto 46 se il suo padrone dice: “Per lui io risarcisco”, allora risarcisca, 47 ma se rifiuta, allora appunto lo schiavo spinge via (šuizzi). 55 Se uno schiavo una casa incendia e il suo padrone per lui risarcisce, 56 dello schiavo il suo naso (e) le sue orecchie si tagli, 57 e al suo padrone indietro lo si dia, ma se (il padrone) non risarcisce, 58 allora appunto quello spinge via (šuizzi).

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Il problema sorge a proposito dell’interpretazione delle rr. 47, 58 che concludono tali articoli.34

Cfr. F. Sommer,, Hethiter und Hethitisch, Stuttgart 1947, 5. “nu ARAD-an-pé (apunpé art. 99) šú-ú-iz-zi”. Per l’integrazione di šûizzi all’art. 95, cfr. F. Hrozný, CH, 75 nota 20. 33

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Sono stati finora così tradotti: Hrozný35 “alors l’esclave lui-même il livre”; Neufeld36 “he shall surrender the slave”; Goetze37 “he will loose the slave”. Il verbo šuizzi, che vi troviamo, deriva da šuwai-; questo, secondo il glossario del Friedrich, significa “stossen, drängen, schieben; verstossen, verdrängen; haften(?...)”. Incontriamo questo verbo anche nella formula “parnaššea šuwaizzi”, di cui parleremo in seguito.38 Riguardo al brano sopra citato, benché il Neufeld pensi a qualcosa di corrispondente all’abbandono nossale (noxae deditio) nel diritto romano,39 non credo che si possa intendere in questo senso, e cioè “allora il padrone spinga lo schiavo (per consegnarlo alla parte ingiuriata)”; sarebbe stato specificato più chiaramente o avrebbero usato un verbo più consueto indicante “consegnare”. Questo vale anche se intendiamo “allora il padrone spinga lo schiavo (per consegnarlo alle autorità)”, dalle quali del resto doveva essere già stato giudicato e condannato. Ritengo dunque si debba tradurre “allora (il padrone) appunto lo schiavo spinge via”, nel senso che questo atto equivale alla dichiarazione del padrone che lo schiavo non fa più parte del suo patrimonio e che egli si disinteressa del fatto e non intende parteciparvi in alcun modo. Del resto la non obbligatorietà del risarcimento da parte del padrone esclude completamente la corresponsabilità di questo. In riferimento al problema della corresponsabilità da parte della famiglia del reo, ho esaminato una discussa formula che ricorre frequentemente nel Codice Ittita a conclusione di molti articoli. Si tratta della formula sopra accennata parnaššea šuwaizzi. Diverse sono state le interpretazioni di questo passo. Lo Sturtevant40 nel suo glossario s.v. šuwa(e)- ci dà “press out, fill; give as security”; il Friedrich F. Hrozný, CH, 75, 77. E. Neufeld, HL, 29, 30, ed il commento a pp. 172-173. 37 A. Goetze, ANET2, 193. 38 Inizialmente, basandomi su una delle varie interpretazioni (che ora non mi sembra più accettabile) di questa formula, intendevo “allora il padrone spinga lo schiavo stesso (come garanzia)”, pensando che, in un certo senso, anche il padrone poteva esser considerato responsabile della colpa commessa dal suo schiavo, in quanto questo faceva parte del suo patrimonio. 39 Il padrone, responsabile ex delicto per le colpe del suo schiavo, ha l’alternativa di subirne la conseguenze o di consegnare lo schiavo alla parte offesa (noxae dare) perchè la indennizzi col suo lavoro. 40 E.H. Sturtevant, HG (1936). 35

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s.v. šuwai- “es stösst (die Verpflichtung?) auch zu seinem Hause” = “er haftet ihm auch mit seinem Hause(?)”;41 il Hrozný42 “ses obligations il remplit”, ed a p. 3, nota 12 aggiunge: “C’est-à-dire il est libre des obligations ultérieures”; il Neufeld “his estate shall be libale”, ed a pp. 131-133 spiega che questa traduzione intende esprimere il concetto di una responsabilità estesa al di là della persona stessa dell’offensore sul suo intero patrimonio, considerato così garanzia per il pagamento della multa, in caso di inadempienza da parte del reo; il Walther “he shall let (them) go(?) to his (his family’s) home(?)”, e commenta “Meaning here and ff., “He shall transmit the penalty to the injured party, renouncing all claim to it”? Other translations, as “And he pledges his property as security for him”, are grammatically doubtful”; il Goetze “He shall pledge his estate as security”; il Diamond43 “then (or so) he discharges his liability”, l’Alp44 suggerisce di cambiare il soggetto “[Und er (der Erbe) wird (ihn) nach seinem Hause] stossen” ed a nota 19: d.h. “er lässt ihn frei”, “er erhebt keinen Ausspruch mehr auf ihn”, cioè “egli (l’erede del morto o l’offeso) lo (l’uccisore o l’offensore) lascia andare libero a casa sua”, nel senso che “non ha più alcun diritto sull’offensore”; questa interpretazione è stata accettata anche dal Gurney45 che ci dà infatti “and he (the plaintiff) lets him go home”. Proporrei invece di tradurre, senza cambiare il soggetto, “ed egli (= il colpevole) spinge via/allontana (la colpa) dalla sua casa”, nel senso che la famiglia del colpevole non viene coinvolta nel reato. Dobbiamo notare che questa formula non appare in tutti gli articoli del Codice. Nelle tabelle che noi possediamo del duplicato del Codice Ittita non si trova. Forse si trattava di una formula conclusiva cristallizzata, che non aveva più un significato specifico e che, per questo, non fu ripetuta nel duplicato.

Cfr. anche J. Friedrich,, HE II, 69, C, 5; e R. Haase, WO 2, 290-293. Credo che qui si riferisca all’altro verbo šuwai- di cui il Friedrich, nel suo glossario, ci dà il significato di “füllen”. 43 A.S. Diamond, Primitive Law, London-New York-Toronto 1935. 44 S. Alp, JCS 6 (1952) 93-95. A p. 94, nota 6, parla di altri che si sono occupati di questo problema. 45 O.R. Gurney, The Hittites 2, 96 nota 1. 41

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III.

NOTE CRITICHE E FILOLOGICHE “RUOTA” DESIGNAZIONE DEL TRONO REALE ITTITA?

Nell’Autobiografia di ÷attušili III (Col. I r. 36) si trova questa espressione A-NA GIŠDUBBIN lamniyat, che letteralmente significa “egli (= mio fratello Muwattalli) mi chiamò alla ruota”. Il Friedrich,1 seguendo il Goetze2 e l’Alp,3 la interpreta “trarre in giudizio (?)”. Il Goetze ritiene che si debba qui pensare ad un procedimento giudiziario, all’apertura di un’istruttoria penale, e traduce (p. 11, rr. 35-36): “Und mein Bruder Muwattalli leitete ein Verfahren gegen mich ein”. L’Alp, riportandosi ad una espressione del Codice,4 § 198 (dove viene menzionata la “ruota”, che egli intende come una forma di pena capitale), afferma che viene qui indicato l’inizio di un procedimento giudiziario per un delitto la cui punizione consisteva forse nel supplizio della ruota. Esaminiamo dunque il citato luogo del Codice (F. Hrozný, p. 148, r. 14). Nel § 197 si dice che se un marito sorprende la sua sposa con un altro uomo, può uccidere ambedue sul momento; il § 198 continua: “Se alla porta del Palazzo li conduce e dice: ‘La mia sposa non sia uccisa’, allora la sua sposa fa vivere ed anche l’adultero fa vivere, e la sua (= dell’adultero) testa segna. Se dice: ‘Ambedue muoiano’, allora si inginocchiano alla ruota, li uccide il re, li fa vivere il re”. L’espressione “inginocchiarsi alla ruota”, ta øu-ur-ki-in (!)5 øa-l[i]-enzi, è stata variamente interpretata. Il Hrozný6 traduce “alors punition ils

J. Friedrich, HW, 268 s.v. A. Goetze, Hatt., 68. 3 S. Alp, JCS 6 (1952) 97. 4 F. Hrozný, CH. 5 F. Hrozný, op. cit., 149 nota 4: “-in, écrit sur -il ”. Cfr. S. Alp, op. cit., 96 dove sostiene che si deve leggere sicuramente øu-ur-ki-in e che è sconosciuta in ittita una formazione in -in che alterni con una in -il. 6 F. Hrozný, op. cit., 149. Non ho potuto prender visione del contributo di A. Walther, in J.M.P. Smith, The Origin and History of Hebrew Law, Chicago 1931. 1

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reçoivent”; il Neufeld7 “they shall bear their iniquity”; il Goetze8 “they may ask for mercy”, senza alcuna spiegazione o giustificazione. Altrove il Goetze9 fa derivare øalienzi da øala- “set in motion”, anziché da øaliya “niederknien”, come invece ha sostenuto l’Ehelolf,10 la cui interpretazione mi sembra la più convincente. L’Alp,11 pur conservando la traduzione letterale “dann werden sie zum Rad knieen”, vuol dimostrare, come abbiamo accennato, che qui si trattava di una forma di pena capitale da eseguirsi per mezzo del supplizio della ruota. Egli giunge a questa conclusione partendo dall’esame del termine øurkel/øurkil,12 che per la maggior parte degli interpreti è connesso con delitti gravi, per i quali è prevista la pena di morte o, pur se non è menzionata espressamente, deve - come il Neufeld ha fatto osservare13 esser supposta per analogia. Il Hrozný14 traduce øurkel “punition”, il Walther e il Goetze15 “capital crime” ed il Neufeld, conformemente al Friedrich16, “abomination, horror”. L’Alp riconosce giustamente che questo termine è formato da øurki“ruota”17 e dal suffisso di appartenenza el-/il-, tipico del mondo anatolico (e non soltanto proto-hattico, come dice l’Alp).18 E. Neufeld, HL, 57 e nota 182. A. Goetze, ANET2 (1955) 196. 9 A. Goetze, JAOS 74 (1954) 188. 10 H. Ehelolf, StOr 1, 9-13. Cfr. anche A. Goetze, Madd. (1928) 106 e sgg., dove, opponendosi all’Ehelolf, loc. cit., dà a øaliya- il significato di “fare difesa, difendere”. Questo non mi sembra accettabile, anche per il confronto che il sostantivo neutro øaliyatar “l’inginocchiarsi” (cfr. KUB III 95 6; R. Hallock, Materialen zum sumerischen Lexikon, III, 79). 11 S. Alp, op. cit., 95-98. A lui si ricollega il Friedrich, HW Nachträge, 339 s.v. øaliya-, 341 s.v. øurki- e øurkel-; ci dà però tali interpretazioni come incerte. Cfr. anche HW Erg.-Heft 3 s.v. øalai- e øaliya-. 12 Troviamo questo termine nei §§ 187, r. 20; 188, r. 23; 189, rr. 27-28; 190, r. 31; 191, r. 35; 195, rr. 50, 52, 53 del Codice. 13 E. Neufeld, HL (1951) 189. 14 F. Hrozný, CH, 43 e sgg. 15 A. Walther, apud S. Alp, op. cit., 96 nota 20; A. Goetze, ANET2 (1955) 196. 16 E. Neufeld, HL, 53 e sgg. J. Friedrich, AfO 13 (1939-41) s.v. øurkel- (qui egli non doveva ancora aver visto l’articolo dell’Alp, citato invece a p. 341). 17 Per øurki- col significato di “ruota”, cfr. H. Otten, KUB XXXIV Vorwort. 18 Su questo suffisso cfr. E. Laroche, JCS 1 (1947) 214, e S. Alp, JKF 1 (1950) 125. Goetze ha analizzato øurkel in a ZA 2 (1925) 255 nota 1, in questo stesso senso, ma facendo risalire la parola ad una base øark- “umkommen”. 7

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Così øurkel significa alla lettera “das des Rades”, cioè, aggiunge l’Alp, il delitto punito con la pena di morte mediante la ruota.19 Egli si stupisce che presso gli Ittiti, pur tanto umani, si trovi una pena di morte così crudele, ma osserva che i delitti in questione sono sessuali, in violazione della moralità. E proprio in base ai §§ 197-198 del Codice Ittita, l’Alp sostiene l’esistenza del supplizio della ruota presso gli Ittiti, benché nella tradizione non si trovi alcuna notizia circa l’esecuzione di questo supplizio.20 Dopo un esame del § 196, riguardante relazioni immorali tra schiavi e schiave,21 egli giunge alla conclusione che si trattava anche lì di un’azione abominevole, pur non essendo questo chiaramente espresso, e meritevole quindi del supplizio della ruota: ma ciò resta un’ipotesi piuttosto arbitraria. Quanto poi al contrasto tra il supplizio della ruota e la presunta umanità degli Ittiti, egli osserva che nel § 166 è prevista una crudele pena di morte per mezzo di un aratro.22 Dobbiamo però far notare che tale supplizio viene descritto dettagliatamente, al contrario del supposto supplizio della ruota. Secondo l’Alp, l’interpretazione del Goetze, indicante la possibilità di un appello alla clemenza del re, sarebbe ammissibile soltanto quando si intendesse la ruota come indicazione del carro del re, ma di ciò non v’è alcun indizio. Inoltre nel Codice stesso si trova espressa una formula negativa di appello al re: LUGAL-i-ma-aš Ù-UL t/di-ya-iz-zi “ma al re

19 A p. 96, op. cit., l’Alp confuta l’ipotesi che øurkel possa essere un termine generico per indicare “pena di morte”. In tal caso, osserva giustamente, avremmo dovuto trovare una forma derivata da verbi o espressioni occasionalmente usate nel senso di “punire con la morte”, o anche di “morire, uccidere”. Riguardo alle varie ipotesi intorno a questo argomento, che l’Alp pensa originate dalla spiegazione etimologica oscura di øurkel, cfr., sempre a p. 96, le note 23, 24, 25, 26, 27. 20 Non porta alcun contributo alla soluzione di questo problema il richiamo dell’Alp all’esistenza di tale supplizio presso popoli europei dell’età moderna; cfr. op. cit., 96 nota 28. 21 Si può qui supporre che la vittima da immolare al posto dei colpevoli costituisse un risarcimento e venisse così evitata la condanna capitale, poiché di questo abbiamo altri esempi; ma nulla autorizza ad asserire che la pena annullata fosse il supplizio della ruota. 22 Qui non si tratta di un reato contro la moralità, ma ai danni dell’agricoltura. Nel § 167 tale pena viene poi annullata con la consegna di alcune vittime.

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egli non si faccia innanzi”,23 equivalente, a suo avviso, a “al re egli non si appelli”. Per queste considerazioni l’Alp giunge, anche riguardo all’espressione sopra citata dell’Autobiografia di ÷attušili III, alla conclusione esposta all’inizio di questo studio. Le varie interpretazioni finora esaminate non sono molto convincenti. Prima di tutto è da osservare che non si possono trattare separatamente queste due espressioni, senza collegarle l’una all’altra come invece mi sembra che, magari involontariamente, finora sia stato fatto. Infatti la “possibilità di chiedere pietà”, come interpreta il Goetze, per ottenere la grazia della vita, riguardo al significato potrebbe anche andar bene per il Codice (a parte la difficoltà di poter comprendere, senza alcun commento dell’autore, quale strada egli abbia percorso per giungere a questa traduzione certo non letterale); ma non può adattarsi per ÷attušili, dato che è Muwattalli, lo stesso re, che lo chiama.24 Così pure il pensare ad una forma di appello al re non convince: infatti mi sembra piuttosto inconcepibile che Muwattalli stesso avesse chiamato ÷attušili perché si appellasse a lui. Per questa ragione escludo la possibilità di tale interpretazione, e non per la ragione portata dall’Alp: che si trovi già espressa nel Codice una formula di appello, o meglio di non appello, al re. Penso infatti che sia meglio lasciare a questa espressione, sopra citata, il significato letterale di “non farsi innanzi al re”, proprio a causa del carattere stesso del reato, per non contaminarlo. Ne parlerò ancora tra breve. Anche l’Alp quando afferma che gli Ittiti, pur così umani, si sarebbero serviti di una pena di morte tanto crudele dato che si trattava di delitti sessuali, cioè contro la moralità, mi sembra però aver dimenticato l’altro testo in cui ricorre l’espressione analoga. ÷attušili infatti, qualora avesse voluto alludere con quelle parole all’inizio di un processo contro di sé, non poteva certo intendere a causa di un reato riguardante la moralità. Possiamo pensare a ribellione, tradimento, Si trova nei §§ 188, 199, 200A. Sono delitti sessuali, ma molto più gravi di questo da noi studiato (si tratta infatti di rapporti tra uomini e animali). Anche qui il colpevole viene condotto alla porta del Palazzo (al tribunale del re), anche qui “lo uccide il re, lo fa vivere il re, ma al re egli non si faccia innanzi”. 24 Il Goetze stesso, come abbiamo già visto, nell’Autobiografia di ÷attušili III dà un’interpretazione totalmente diversa. 23

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cospirazione contro il re o contro lo Stato, ma sempre ad un reato di carattere politico. Reato di cui si parla a fondo sia nella Costituzione di Telipinu che nel § 173 del Codice, e di cui conosciamo le punizioni nei vari casi ed a seconda della posizione delle persone incriminate.25 Non c’è alcuna menzione né possibilità di allusione ad un supplizio della ruota. Inoltre, come anche l’Alp ammette, non è stata trovata presso gli Ittiti nessuna descrizione o raffigurazione di questo supplizio. Quello “dell’aratro”, di cui si parla al § 166 del Codice, vi è, come abbiamo già detto, descritto dettagliatamente. Del resto non abbiamo alcuna notizia dell’esistenza di un supplizio della ruota neppure presso altri popoli antichi. Presso i Greci lo troviamo menzionato una sola volta contro Issione, ma non si tratta di un fatto storico e se ne parla soltanto in fonti letterarie. Le testimonianze a cui ci rimanda l’Alp sono troppo tarde per poterci essere di qualche aiuto, e così pure altre, sebbene più antiche, che ho potuto trovare. Dobbiamo inoltre ricordare che la ruota era generalmente usata come forma di tortura, più che come pena capitale. Non si può nemmeno pensare alla ruota come indicazione del carro reale nel senso in cui accenna l’Alp, che espone questa ipotesi per spiegare l’interpretazione del Goetze: interpretazione ch’egli tuttavia, come abbiamo visto sopra, esclude per mancanza di indizi. Immagino che egli si riferisca alla possibilità di chiedere pietà al re nel senso di rivolgergli una supplica, mentre usciva sul suo carro dal Palazzo. Ma la supplica ha in sé un carattere spontaneo e quindi non si può concepire prevista in un Codice. E poi, come conciliare ciò con l’altro testo? Del resto, pensando alla ruota, ci vengono alla mente molte ipotesi. Per esempio si potrebbe intendere il “chiamare alla ruota; inginocchiarsi alla ruota” come il sottoporre i colpevoli ad una prova (la prova della ruota) per invocare così il giudizio divino. Ma ci sono le parole “il re li fa vivere, il re li fa morire” che rimettono ogni decisione al giudizio del re. Mi domando se il termine che noi traduciamo “ruota” non fosse invece un termine generico per indicare ogni figura circolare: “ruota”, “disco” ed in ultima analisi anche il “disco solare”. È probabile infatti che gli Ittiti non facessero una grande distinzione tra il concetto di ruota 25 A seconda che il colpevole fosse un principe o un cittadino comune (Costituzione di Telipinu); a seconda che la ribellione fosse stata contro il giudizio del re o di un dignitario (§ 173 del Codice).

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e quello di disco. Sappiamo che presso i Greci e presso i Germani il sole veniva raffigurato in forma di ruota. I monumenti figurati ittiti non forniscono però alcun elemento in proposito. Ma un’altra ipotesi, che mi sembra più fondata, mi è suggerita da un libro del L’Orange riguardante l’iconografia del concetto cosmico della regalità nel mondo antico.26 Vi è dapprima esaminata la concezione cosmica che presiede alla suddivisione e costruzione di edifici in alcune città-tipo del mondo orientale antico, sulla base di numeri cosmici, come il numero dei mesi o dei giorni dell’anno;27 e vi son raccolte poi notizie e leggende anche riguardo alla sala del trono cosmica di alcuni re dell’Oriente antico.28 Essa si presentava rotonda, coperta da una cupola rappresentante il cielo e rotante intorno al proprio asse. Incontriamo costantemente questo motivo nella descrizione della sala del trono di Cosroe, il volgersi della quale era connesso con la rotazione del trono del re. Ed ecco quello che a noi particolarmente interessa il movimento circolare di questo trono, che girava in relazione alle stagioni ed ai segni zodiacali e che non era altro che un rinnovamento del vecchio trono degli Achemenidi, distrutto da Alessandro. Esso appartiene ad una tradizione che ci riporta agli usi degli Achemenidi in Babilonia. Questa concezione ha infatti la sua base nella religione astrale neo-babilonese, trasmessa ai Persiani dai Caldei. Questo trono dunque girava su ruote, e così avveniva per il trono reale sassanidico, di cui il libro del L’Orange presenta alcune raffigurazioni,29 che lo mostrano sempre poggiante su ruote. Abbiamo anche dei profili del trono di Klimova,30 tracciati in disegni semplificati e posti su sigilli H.P. L’Orange, Studies on the Iconography of Cosmic Kingship in the Ancient World, Oslo 1953. Cfr. anche la recensione a questo libro fatta da D. Mustilli, Gnomon 27 (1955) 199-202. 27 Un buon numero di città di Medi, Parti, Sassanidi ed Abbassidi potrebbero essere qui citate come esempi. 28 Cfr. il capitolo “Khusrau’s Cosmic Hall”, dove si parla dettagliatamente anche del movimento rotatorio del trono di Cosroe. Abbiamo esempi della sala cosmica del trono anche per Alessandro, Demetrio Poliorcete, ecc., ed a Roma nella Domus Aurea di Nerone (Suetonius, Nero 31) ecc. Si veda, a p. 81 e sgg., come il movimento cosmico del trono fosse rappresentato nell’arte achemenide. 29 Cfr. p. 42. A p. 41, fig. 19: trono reale posto su ruote e tirato da 4 zebù, guidati da Cupidi volanti (Klimova, Hermitage). Cfr. fig. 40 a-b: rappresentazione del re sul suo carro cosmico. 30 Fig. 22, 23, 24. 26

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(quasi come una specie di formula geroglifica), in cui, tra l’altro, vediamo il carro-trono sintetizzato in due ruote. In seguito, questo schema del “trono geroglifico” dalla Persia passò nel Nord e nell’Est, e può così dare importanti indicazioni di influenze sassanidiche nel primo Medio-Evo. Il trono astrale di Klimova è ispirato alla realtà e ci conserva, in guisa mitica, i lineamenti del trono reale degli imperi dell’antico Oriente, dove era tipico il carro-trono. Sappiamo infatti che quei re si servivano giornalmente di troni montati su ruote e tirati da schiavi. La fig. 25 del libro del L’Orange riproduce una ricostruzione di un carro-trono, basata sui rilievi di un palazzo assiro.31 Se noi leggiamo il racconto delle visioni di Ezechiele (1, 15 s.; 1, 22) e di Daniele (7, 9 s.), troviamo nella descrizione del trono di Dio alcune caratteristiche fondamentali in comune con il trono di Klimova, certo derivate dalla stessa tradizione del trono dell’antico Oriente. Al tempo di Ezechiele e di Daniele doveva essere il trono cerimoniale del “Gran Re” in Babilonia che dominava questa tradizione. Fra il trono di Dio descritto in queste visioni e il trono dei Sassanidi, riprodotto su placche d’argento, c’è uno spazio di un migliaio di anni, eppure vi incontriamo le stesse caratteristiche principali ed ambedue i troni sono montati su ruote.32 Ciò può essere soltanto spiegato con la continuità della tradizione. Abbiamo così visto come la “ruota” fosse una parte essenziale nei troni dell’Oriente antico; l’idea base di questa concezione rotatoria di sale del trono, di troni stessi ed anche di templi33 era certamente solare e connessa interessante per noi sapere che, in tempi posteriori, in queste sale astrali si svolgeva la giustizia. Purtroppo le rappresentazioni figurate ittite sono scarse e per ora non ci mostrano alcuna raffigurazione che possa esserci utile; tuttavia possiamo pensare che quello ittita fosse costruito come la maggior parte degli altri troni orientali.

Cfr. p. 48 e sgg. Cfr. a questo proposito p. 48 nota 1, dove si trova un’utile bibliografia. Cfr. anche il trono-carro di Ahuramazda, Herod. VII 40; Xenoph. VIII 3, 9 e sgg. 33 Cfr. pp. 48-49. Abbiamo anche numerose rappresentazioni di troni volanti nello spazio: p. 51 e sgg. Più tardi anche nel rituale di corte bizantino è riprodotta l’elevazione solare del trono; e l’antico trono orientale si ritrova nell’iconografia cristiana, p. 124 e sgg. 31

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È verosimile, pertanto, che nei testi ittiti in questione rappresenti il trono del re. “Inginocchiarsi alla ruota” significherebbe dunque “inginocchiarsi al trono del re” ovvero al re stesso. E nel § 198 del Codice si tratterebbe quindi di un reato molto grave, per il quale però è ancora concesso di presentarsi al re, inginocchiandosi al suo trono e sottomettendosi al suo giudizio. Al contrario di quei reati, di cui abbiamo parlato prima, nei quali era sì il re che giudicava sulla vita e sulla morte dei colpevoli, ma questi non avevano il diritto di presentarsi a lui, forse per non contaminarlo. Riguardo poi all’accusativo øurkin, l’Alp, riferendosi al Friedrich,34 lo interpreta come un accusativo di direzione. Ciò è possibile in qualche caso, ma certo molto raramente, poiché di solito in ittita la direzione viene espressa col dativo-locativo. Si potrebbe anche pensare all’esistenza di una forma transitiva di øaliya- (“inginocchiarsi”) col senso di “adorare, supplicare”, di cui øurkin sarebbe il complemento oggetto. Questo non cambierebbe affatto il significato della frase, che sonerebbe: “i colpevoli supplichino (adorino) il trono del re, ovvero il re stesso, il quale deciderà se farli vivere o morire”. Per l’Autobiografia di ÷attušili III avremmo dunque questa soluzione: “allora mio fratello Muwattalli mi chiamò al suo trono, cioè a sottomettermi al suo volere e potere” (oppure al suo giudizio, se ÷attušili era sospettato di qualche colpa contro il re o contro lo stato). E øurkel sarebbe “la cosa della ruota del trono”, cioè un delitto gravissimo, per cui è necessario presentarsi allo stesso re e rimettersi al suo giudizio.

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S. Alp, op. cit., 97 nota 30; J. Friedrich, HE I § 215 a.

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IV.

NOTE CRITICHE E FILOLOGICHE NOTE AL CODICE ITTITA

1 Se un uomo o una donna per una disputa (šullanaz) qualcuno uccide, 2 quello/a consegni (arnuzi), e quattro persone dia, o uomini o donne, 3 ed allontana (la colpa) dalla sua casa.1 4 Se uno schiavo o una schiava per una disputa (šullanaz) qualcuno uccide, quello/a consegni (arnuzi), 5 e due persone dia, o uomini o donne, ed allontana (la colpa) dalla sua casa. 6 Se un uomo o una donna libero/a qualcuno colpisce e quello/a muore, la sua mano 7 pecca, quello/a consegni (arnuzi), e due persone dia, ed allontana (la colpa) dalla sua casa. 8 Se uno schiavo o una schiava qualcuno colpisce e quello/a muore, la sua mano pecca, 9 quello/a consegni (arnuzi), e una persona dia, ed allontana (la colpa) dalla sua casa. 10 Se un mercante (accus.) di ÷atti qualcuno uccide, 100 (1 1/2?)2 mine d’argento dia,

I.

II.

III.

IV.

V.

Cfr. per questa interpretazione della formula parnaššea šuwaizzi una mia comunicazione fatta a Trieste durante la XIII Sessione Internazionale della Société d’Histoire des Droits de l’Antiquité; essa sarà pubblicata nel prossimo numero della RIDA (1958). (Tale comunicazione è stata poi pubblicata in RIDA 6 [1959] [n.d.c.]). 2 Cfr. F. Hrozný, CH (1922) 4 nota 11; 5 nota 17; A. Walther, The Hittite Code in J.M.P. Smith, The Origin and History of Hebrew Law, Chicago 1931, 247 nota 6 cit. da E. Neufeld, HL (1951) 2 nota 6; E. Neufeld, loc. cit.; O.R. Gurney, The Hittites2 (1954) 97; A. Goetze, ANET2 (1955) 189. Non ho potuto prender visione dell’opera sopra citata del Walther. 1

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11 ed allontana (la colpa) dalla sua casa. Se (ciò avviene) nel territorio di Luwiya o nel territorio di Pala, 12 100 (1 1/2?) mine d’argento dia e il suo bene risarcisca (šarnikzi). Se (ciò accade) nel territorio di ÷atti, 13 allora il mercante stesso (accus.) consegni (arnuzi), XIX (A). 45 Se una persona, sia uomo che donna (accus.), di ÷attuša qualche uomo (nomin.) di Luwiya 46 ruba e nel territorio di Arzawa la conduce, (e) il suo padrone 47 per sè la rintraccia, allora la sua casa (= il suo patrimonio) stessa consegni (arnuzi). (B) Se in ÷attuša stessa un uomo (nomin.) di ÷attuša 48 un uomo (accus.) di Luwiya ruba e nel territorio di Luwiya lo conduce, 49 prima dodici persone davano, ora sei persone dia, ed allontana (la colpa) dalla sua casa. LXXVI. 76 Se un bove, un cavallo, un mulo, un asino qualcuno sequestra,3 77 ed esso al suo posto (= sotto di lui) muore, (egli) quello consegni (arnuzi), e la sua paga dia. C. 59 Se un capannone qualcuno incendia, 60 il suo (= del danneggiato) vitello seguiti a nutrire ed egli fino alla primavera lo 61 faccia giungere (arnuzi), il capannone indietro dia, se foraggio 62 dentro non c’era, allora il capannone (ri)costruisca.

Per la voce verbale appat(a)rizzi, da appatariya- (appatriya-) ho preferito accettare il significato “pfänden”, che dà J. Friedrich nel suo HW (1952), piuttosto che quello di “prendere in prestito”, come intendono il Walther (op. cit.) ed il Neufeld (op. cit.), sia per il confronto con l’articolo CLXIV, r. 28, sia per la pena troppo lieve come indennizzo di un prestito o di un affitto. 3

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CXXVII. 17 Se una porta a causa di una disputa (šullanaz) qualcuno ruba, 18 qualunque cosa vada perduta (nella casa), allora quella risarcisca (šarnikzi). 19 ed (anche) una mina d’argento dia, ed allontana (la colpa) dalla sua casa. CXCVI. 1 Se gli (lett.: i suoi) schiavi e le (lett.: le sue) schiave di qualcuno . . . . . .(= hanno relazioni immorali),4 2 allora li portano via (arnuwanzi), l’uno in questa città qui, 3 l’altro in quella città là collocano 4 al posto di questo una pecora, di quello una pecora 5 (è) tratta (= viene immolata). Negli articoli I, r. 2; II, r. 4; III, r. 7; IV, r. 9; V, r. 13; XIX, r. 47; LXXVI, r. 77; C, r. 61; CXCVI, r. 2, del Codice Ittita,5 incontriamo la voce verbale arnuzi, da arnu-, che lo Sturtevant6 interpreta nel suo glossario “move, bring, bury” (cfr. E.H. Sturtevant-G. Bechtel, Hittite Chrestomathy, Philadelphia 1936, 224, “he shall bury him”) ed il Friedrich7 “fortbewegen; fort oder herbringen; an sich nehmen; - auch: büssen, ersetzen; - (weibliche Tiere) zur Begattung führen”. Il Hrozný8 dà a questo verbo il significato di “portare, consegnare, condurre” (“il apporte, il donne, on les amène”), e così pure il Neufeld9 (“he shall give, he/they shall bring”), tranne però che per i primi 5 articoli, dove traduce arnuzi “he shall bury”. Questa è anche l’interpretazione del Gurney.10 Nel suo commento a p. 129 il Neufeld rileva che l’uso del seppellimento della vittima da parte dell’uccisore era Cfr. per questa integrazione E. Neufeld, op. cit., 56 nota 181. Ho accennato a questo paragrafo del Codice in questa rivista, 14 (1959) 119. 5 Cfr. per il testo di tutti gli articoli qui esaminati l’opera citata del Hrozný. 6 E.H. Sturtevant, HG (1936). 7 J. Friedrich, op. cit. 8 F. Hrozný, op. cit. 9 E. Neufeld, op. cit. 10 O.R. Gurney, op. cit. 4

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sconosciuto presso i Semiti, dove l’assassino era generalmente giustiziato e sepolto insieme alla sua vittima. Egli afferma che invece presso gli Ittiti l’omicida non era punito con la morte, ma diveniva responsabile della sepoltura dell’ucciso e delle spese per i suoi funerali. Questa ipotesi può sembrare ragionevole, dobbiamo però ricordare che non abbiamo di questo alcun indizio, né presso gli Ittiti, né (come anche osserva il Neufeld) presso gli altri popoli vicini, che possa convalidarla. Senza modificare invece il consueto significato del verbo arnu- e traducendo letteralmente, arriviamo ad una plausibile conclusione che l’offensore, dopo aver pagato la pena, debba consegnare il cadavere della vittima ai familiari, perché adempiano al pietoso incarico della sepoltura. Anche l’esame dell’art. V mi sembra offrire un appoggio a questa conclusione, è infatti da notare che deve essere consegnato il corpo del mercante ittita soltanto nel caso che venga ucciso nella sua patria (“nel territorio di ÷atti”), forse per la maggiore possibilità e facilità di trasportarne il cadavere. Il Goetze,11 tranne che per l’art. XIX (“he shall forfait”) e per il CXCVI (“they move them away”), preferisce dare ad arnu- il significato di “fare ammenda, risarcire” (“he has to make amends for...”). Questa interpretazione può apparire a prima vista convincente, ma dobbiamo notare che di solito si trova nel Codice Ittita il verbo šarninkcol significato, concordemente accettato, di “restituire, riparare, compensare, risarcire, indennizzare”, ed il sostantivo šarnikkizil (šarnikzel) col significato di “riparazione, risarcimento, compenso” (cfr. a questo proposito gli articoli V, XXI, XXVIII, XXIX, XXXVIII, XLII, XLIX, LXV, XC, XCV, XCVIII, XCIX, CXXVII). E, ciò che è più importante, incontriamo i verbi šarnink- ed arnuinsieme nello stesso art. V, rr. 12, 13, che abbiamo qui sopra esaminato. Dato che gli Ittiti risultano generalmente esatti nell’uso dei termini nel loro Codice, ci sembra molto strano che nello stesso articolo, in due righe susseguentisi, si fossero serviti di due verbi diversi col medesimo significato. Come abbiamo già detto, può essere invece logico il fatto che la persona che uccide un mercante ittita in territorio straniero (Luwiya o 11

A. Goetze, op. cit.

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Pala) debba soltanto dare del danaro “e risarcisca il suo bene”, mentre colui che uccide un mercante ittita nella sua patria, oltre che il danaro, debba consegnare anche il corpo stesso del mercante. Pure l’Alp12 dà questa interpretazione “wird er ihn/sie (dem Erben des Getöteten) liefern” e fa notare lo scambio di apûn arnuzi dell’art. LXXVI, r. 77, con nan išøišši EGIR-pa pâi dell’art. LXXXVI, rr. 20-21. Nell’art. C, r. 61 abbiamo tradotto arnuzi “fa giungere”, conservando così il primo significa to del verbo, nel senso di “far giungere” il vitello fino alla primavera, cioè di allevarlo, nutrirlo, farlo vivere fino alla primavera.13 Dobbiamo infatti ricordare che arnu- è composto da ar- “giungere” più il suffisso causativo nu-: cfr. J. Friedrich, HE 1 (1940) 33 § 153e; 34 § 154f, dove, in base a ciò, viene dato ad arnu- il significato di “bringen”. Troviamo anche l’iterativo ar-nu-šk-, col significato di “portare ripetutamente” (cfr. J. Friedrich, HE 1 [1940] 34 § 154f). Sappiamo anche che or- è la radice indeuropea del “muovere” e che la o ie. passa in ittita ad a; cfr. ar-nu- col greco ¶UQXPL. Negli articoli I, r. 1; II, r. 4; CXXVII, r. 17, si trova il termine šullannaz, da šullatar, sostantivo neutro, interpretato dallo Sturtevant e dal Friedrich nel loro glossario come “contesa, disputa, lite”.14 Viene tradotto dal Hrozný15 “d’intention”, ed in nota “Ou: d’inimitié?”, dal Neufeld16 “in anger”, dal Goetze17 “in a quarrel”. L’Alp, op. cit., 95, traduce “aus Feindseligkeit” e nella nota 14 fa rilevare l’intenzione dell’uccisore (cfr. F. Hrozný). 12

S. Alp, JCS 6 (1952) 95 e nota 15. Il Neufeld dà questa interpretazione di tale brano “he shall feed the [ox]en and shall bring (straw) until summer” e nel suo commento a p. 173 spiega che il vitello della vittima debba essere nutrito “fino all’estate”, cioè fino a quando l’offensore non abbia provveduto a ricostruire il granaio. Ciò coinciderebbe in linea di massima con la mia interpretazione, ma il Neufeld ci arriva per una strada indiretta e più complicata, sottintendendo la parola “paglia”. 14 Cfr. anche J. Friedrich HE 1 (1940) 9 § 36a e 22-23 § 87. 15 F. Hrozný, op. cit. 16 E. Neufeld, op. cit. 17 A. Goetze, op. cit. 13

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Mi sembra opportuno tradurre “per una disputa”, piuttosto che “in, durante una disputa”, considerando che qui si tratta di ablativo causale. Infatti, perché la seconda interpretazione fosse valida dovremmo trovare il dat. locat. šullanni.18 Del resto, facendo risaltare la causalità espressa in questo ablativo, possiamo offrire un appoggio a ciò che l’Alp ha detto riguardo all’intenzionalità condannata in questo paragrafo.

18

Cfr. J. Friedrich, op. cit. (1940) 68 e 70-71 sull’uso dei casi dat.-locat., ablat. e

strum.

56

V.

L’ AUTOBIOGRAFIA DI ÷ATTUŠILI I

Questo documento è stato rinvenuto nel 1957 a Boˆazköy, nel lato sud-orientale del Büyükkale,1 durante una delle annue campagne di scavi, dirette da K. Bittel e R. Naumann, per conto della Deutsche OrientGesellschaft e del Deutsches Archäologisches Institut. Il testo in facsimile è stato pubblicato dal Güterbock e dall’Otten in KBo X (1960),2 consta di una tavoletta scritta in una colonna (Nr. 1, inventariata come 174/p + 201/p; Ro 1-48, Vo 1-25), quasi completamente conservata, contenente la redazione accadica (cit. come A), e di una tavoletta scritta in due colonne (Nr. 2, inventariata come 202/p; Ro I 154, Ro II 1-54, Vo III 1-42, Vo IV colophon), piuttosto danneggiata, contenente la corrispondente redazione ittita (cit. come H); questa versione è stata trovata anche in un altro frammento (KBo X 3, inventariato come 203/p, Ro I, in 16 righe). Il Laroche, in una sua recensione a KBo X,3 ha individuato altri duplicati della redazione ittita del documento: Tavoletta scritta in due colonne: 1. KUB XXIII 31 Ro I = KBo X 21 24-29 Vo IV(?) = KBo X 2 III 2942(?) 2. IBoT III 134 (+) KUB XXIII 41 = KBo X 2 I 35-44 3. VBoT 13 = KBo X 2 II 24/25-31 Tavoletta scritta in una colonna: 1. KUB XXIII 33 = KBo X 2 I 46-II 10 2. KUB XXIII 20 = KBo X 2 III 14-42 In un nuovo piccolo edificio (K), che ha fornito anche negli anni successivi un considerevole numero di tavolette. 2 KBo è stato recensito da B. Rosenkranz, BiOr 19 (1962) 165. 3 OLZ 57 (1962) 27. 1

57

L’Otten ha pubblicato una traduzione della redazione accadica del testo, corredandola di note storiche e topografiche.4 Dello scritto dell’Otten si è valso il Cornelius5 per dar notizia del nuovo testo con un breve commento storico-geografico. Il Friedrich ha tenuto conto di questo documento nel secondo supplemento del suo glossario,6 ed il Goetze, in una recensione a KBo X, discute qualche passo di ambedue le redazioni e vi aggiunge alcune considerazioni su problemi di storia e di topografia.7 In ultimo il Güterbock8 dall’esame degli ultimi due paragrafi di H ed in base a notizie di carattere storico e geografico, arriva a dimostrare che in H Vo III 3236, corrispondenti ad A Vo 20-22, si fa allusione a Sargon, l’importante re di Akkad; tale ipotesi, del resto, era già stata avanzata dal Goetze.9 Fin dalla prima lettura è chiaro che le due redazioni, l’accadica (A) e l’ittita (H), differiscono in alcuni punti. Secondo l’Otten il testo accadico, non unitario da un punto di vista grafico, è linguisticamente più antico di quanto risulti dalla sua scrittura. A suo avviso questo testo, anche se opera di un ittita, è stato però redatto originariamente in lingua accadica (e più precisamente in un dialetto della Siria settentrionale, simile a quello di Mari, e forse di Alalaø VII); la redazione ittita sarebbe una versione più tarda, e ciò spiegherebbe alcune omissioni, ed anche la forma più recente della lingua. Secondo il Goetze, invece, nessuna delle redazioni a noi pervenute contiene il testo originale, poiché per ambedue sono necessari emendamenti; da un punto di vista stilistico la redazione ittita è più scorrevole e varia, mentre quella accadica appare “goffa, densa di ripetizioni e quasi amorfa”. Egli non ritiene di dover aderire all’opinione dell’Otten, poiché gli errori contenuti nella versione accadica testimonierebbero, a suo parere, le normali difficoltà del traduttore. Egli ricorda inoltre che anche la bilingue di ÷attušili I (2 BoTU 8 = KUB I MDOG 91 (1958) 75-84. Or 28 (1959) 292-296. 6 HW Erg.-Heft 2 (1961). 7 JCS 16 (1962) 24-28. 8 JCS 18 (1964) 1-6. 9 Cfr. più avanti, 88 e sgg. 4 5

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16, studiata da Sommer e Falkenstein) è risultata redatta originariamente in ittita. Nel documento da noi preso in esame si narrano le imprese di ÷attušili I, in forma annalistica (“nell’anno successivo”), e vi si trovano notizie interessanti per lo studio della storia e della geografia del mondo ittita. Si può inquadrare la zona di espansione di ÷attušili in base ai toponimi menzionati nel testo. Ci asterremo però dall’esaminarli particolareggiatamente in quanto, come abbiamo detto, se ne sono già occupati l’Otten, nelle sue note, ed ancor più dettagliatamente il Goetze. Di particolare interesse sono le imprese di ÷attušili nella Siria settentrionale, e la sua spedizione contro Arzawa, nell’Anatolia occidentale, approfittando della quale i Hurriti (“il nemico della città di ÷urri” in H, cui corrisponde in A “il nemico del paese di ÷anigalbat”) invasero tutto il paese di ÷atti, risparmiando soltanto la città di ÷attuša.10 Altro evento di grande importanza è costituito dal passaggio di ÷attusili del fiume Mâla-Purattu, in cui si deve riconoscere l’Eufrate.11 Il testo si conclude con il trionfo finale del Gran Re di ÷atti sui sovrani di ÷aøøa e di ÷aššuwa.12

10 Cfr. H. Otten, op. cit., 79 nota 16. Secondo il Goetze, op. cit., 27, questa menzione anticipa di una generazione la prima comparsa dei Hurriti nelle nostre fonti. 11 Cfr. H. Otten, op. cit., 83 nota 28. Il Goetze, op. cit., 27 e nota 4, ritiene che probabilmente non si deve riconoscere qui il gran fiume nella pianura, ma uno dei suoi rami, nella sua parte superiore. 12 Come ha osservato il Goetze (op. cit., 27), ÷attušili ha già parlato dettagliatamente delle sue spedizioni contro queste due città (cfr. H Ro II 12-19, Vo III 6-10); il Güterbock (op. cit., 2) ritiene perciò che gli ultimi due paragrafi di H (e, ovviamente, la parte corrispondente in A) costituiscano un sommario delle imprese del sovrano.

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I - VERSIONE ITTITA KBo X 2 (202/p) Ro I 1 [UM-MA Ta-ba-ar-]na m÷a-at-tu-ši-li LUGAL.GAL 2 [LUGAL KUR URU÷a-at-]ti LÚ URUKu-uš-šar KUR URU÷a-at-ti 3 [LUGAL-u-i]t ŠA fTa-wa-an-na-an-na DUMU ŠEŠ-ŠU 4 [(I-N)A URUŠ]a-na-u-i-it-ta pa-it ša-an na-at-ta 5 [(øar-ni)-ik-t]a nu ud-ni-e-eš-še-it øar-ni-ik-ta 6 [(ÉRINM)]EŠ 2 AŠ-RA a-ša-an-du-la-an-ni daaø-øu-un 7 [(nu) ku-e k]u-e a-ša-u-wa-ar e-eš-[t]a 8 [n(a-at)-kán A]-NA ÉRINMEŠ a-ša-an-du-li pí-eø-øu-un ________________________________________________________ 9 [EGIR-an-d]a-ma I-NA URUZa-al-pa pa-a-u[n] 10 [na-a]n øar-ni-in-ku-un nu-uš-ši DINGIRMEŠ-ŠU ša-ra-a da-aø-øu-un 11 Ù 3 GIŠGIGIRMEŠMA-AD-NA-NU A-NA DUTU URUTÚL-na pí-eø-

øu-un

________________________________________________________ 12 1 GUD KÙ.BABBAR 1 GEŠPÚ KÙ.BABBAR I-NA É DIŠKUR pí-

eø-øu-un

13 a-aš-še-er-ma-kán ku-i-e-eš na-aš I-NA É DMe-iz-zu-

zu-ul-la

14 pí-eø-øu-un ________________________________________________________ 15 MU.IM.MA-an-ni-ma I-NA URUA-la-al-øa pa-a[-u]n 16 na-an øar-ni-in-ku-un EGIR-an-da[-m]a I-NA URUWa-ar-šu-wa 17 pa-a-un URUWa-ar-šu-wa-az-ma I-NA URUI-ka-ka-li 18 pa-a-un URUI-ka-ka-la-az-ma I-NA URUTa-aš-øi-ni-ya 19 pa-a-un nu ki-e KUR.KURMEŠ øar-ni-in-ku-un a-aš-šu-ma-aš-ši 20 ša-ra-a da-aø-øu-un nu É-ir-mi-it a-aš-ša-u-i-it 21 ša-ra-a šu-un-na-aø-øu-un ________________________________________________________

60

Ro I 1 [Così (parla) il Tabar]na ÷attušili, Gran Re, 2 [re del paese di ÷at]ti, uomo di Kussar: (nel) paese di ÷atti 3 [governò come r]e, del fratello della Tawannanna figlio. 4 Nell[a città di Š]anauitta andò, e non la 5 distr[uss]e, e il suo territorio distrusse, 6 (e) le truppe in due luoghi in guarnigione lasciai, 7 e [tutte quel]le greggi [c]he c’er[an]o, 8 quelle [al]le truppe di guarnigione detti. ________________________________________________________ 9 E [poi] nella città di Zalpa anda[i], 10 [e l]a distrussi, e a lei i suoi dèi presi, 11 e 3 carri MADNANU alla dea Sole di Arinna detti, _______________________________________________________ 12 1 bove d’argento, 1 GEŠPÚ d’argento nel tempio del dio Iškur detti, 13 e quegli che erano rimasti, quelli nel tempio della dea Mêzzulla 14 detti. _______________________________________________________ 15 E nell’anno successivo nella città di Alaløa anda[i], 16 e la distrussi, [e] poi nella città di Waršuwa 17 andai, e dalla città di Waršuwa nella città di Ikkali 18 andai, e dalla città di Ikkali nella città di Tašøiniya 19 andai, e quei paesi distrussi, e a loro i beni 20 presi, e la mia casa con (quei) beni 21 empii fino all’orlo. _______________________________________________________

61

22 23 24 25

MU.IM.MA-an-ni-ma I-NA URUAr-za-u-wa pa-a-un nu-uš-ma-aš-kán GUDMEŠ-un UDU÷I.A-un ar-øa da-aø-øu-un EGIR-az-ya-za-ma-mu-kán LÚKÚR ŠA URU÷ur-ri KUR-e an-da ú-it nu-mu KUR.KURMEŠ øu-u-ma-an-da me-na-aø-øa-an-da ku-ru-ri-aø-

øi-ir 26 na-aš-ta URU÷a-at-tu-ša-aš-pat URU-ri-aš 1-aš a-aš-ta 27 LUGAL.GAL Ta-ba-ar-na-aš NA-RA-AM DUTU URUA-ri-in-na 28 nu-mu-za-kán D[ 29 nu-mu [(ŠU) nu]-mu MÈ-ya pí-ra-an URU 30 øu-u-wa-a-iš nu I-NA Ni-na-aš-ša MÈ-ya pa-a-un 31 nu-mu ma-aø-øa-an LÚMEŠ URUNi-na-aš-ša me-na-aø-øa-an-da 32 a-ú-ir nu EGIR-pa øe-eš-šir ________________________________________________________

39 40 41 42

[EG]IR-an-da-ma I-NA KUR URUUl-ma za-aø-øi-ya pa-a-un nu-mu LÚMEŠ URUUl-ma MÈ-ya me-na-aø-øa-an-da 2 ŠU a-ú-ir na-aš 2 ŠU-pat øu-ul-li-ya-nu-un nu KUR [(U)]RUUl-ma-an øar-ni-in-ku-un nu-uš-ši-kán pí-di-iš-ši GI Š [ ] SAR šu-un-ni-ya-nu-un nu 7 DINGIRMEŠ I-NA É DUTU URU TÚL-na [ EGI]R da-aø-øu-un 1 GUD KÙ.BABBAR DINGIRLIM MUNUSTUM fKa-ti-ti ÷UR.SAG A-ra-an-øa-pí-la-an-ni a-aš-še-ir-ma-kán ku-i-e-eš DINGIRMEŠ na-aš I-NA É DMe-iz-zu-ul-la pí-eø-øu-un [m]a-aø-øa-an-ma KUR URUUl-ma-za EGIR-pa ú-wa-nu-un nu I-NA KUR URUŠa-la-aø-šu-wa pa-a-un nu-za KUR URUŠa-la-aø-šu-

46 47 48 49 50

[MU.IM.MA-an-ni-ma I-N]A URUŠa-na-aø-øu-it-ta MÈ-ya pa-a-un [nu URUŠa-na-aø-øu-it]-ta-an I[-NA] ITU.5.KAM za-aø-øi-eš-ki-nu-un [na-an I-NA ITU.6.KAM] øar-ni-in[(-ku)-un nu-za LUGAL.GAL [ -y]a-nu-nu-un nu-kán ŠÀ KUR.KURMEŠ [ ] ti-ya-at LÚ-na-tar-na

33 34 35 36 37 38

wa-aš 43 IZI-it a-pa-ši-la kat-ta-an tar-na-aš a-pu-u-uš-ma-mu 44 ARADMEŠ-ni [ ] wa-aø-nu-ir nu URU÷a-at-tu-ši 45 URU-ri-mi-it EGIR-pa ú-wa-nu-un ________________________________________________________

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22 E nell’anno successivo nella città di Arzawa andai, 23 ed a loro bovi e pecore presi, 24 ma dietro a me il nemico della città di ÷urri nel (mio) paese venne, 25 e contro di me tutti i paesi fecero guerra. 26 Ormai soltanto la città di ÷attuša, unica città, rimase. 27 Il Gran Re, il Tabarna, diletto alla dea Sole di Arinna, 28 allora me (a me) per sé la dea [ 29 e a me la mano [prese(?) e] in battaglia davanti a me 30 corse; e nella città di Ninašša in battaglia andai, 31 e quando gli uomini della città di Ninašša di fronte mi 32 videro, allora dischiusero. _______________________________________________________ 33 34 35 36 37

E p[oi] nel paese della città di Ulma in battaglia andai, e me gli uomini della città di Ulma in battaglia di fronte due volte videro(?), e proprio per due volte li combattei, e il paese della città di Ulma distrussi, e al suo posto [e]rbaccia seminai; e 7 dèi nel tempio della dea Sole di Arinna

38 [di nuov]o portai, 1 bove d’argento alla dea Katiti, 39 40 41 42

alla montagna Aranøapilanni, e quegli dèi che erano rimasti, quelli nel tempio della dea Mêzzulla detti. Ma [q]uando dal paese della città di Ulma ritornai, allora nel territorio della città di Šallaøšuwa andai, e il territorio della città di Šallaøšuwa 43 col fuoco se stesso distrusse, e quelli (= gli abitanti della città) a me 44 in schiavitù [ ] si volsero; allora in ÷attuša, 45 nella mia città, ritornai. ________________________________________________________ 46 [E nell’anno successivo nell]a città di Šanaøøuitta in battaglia andai 47 [e la città di Šanaøøuit]ta p[er] cinque mesi continuai a combattere, 48 [e nel sesto mese la] distrussi, ed io, il Gran Re 49 [ ] . . . e in mezzo ai paesi] 50 [ ] giunse(?) e(?) le gesta

63

na-at] A-NA DUTU URUA-ri-in-na 51 [(ku-i)t ] 52 [pí-eø-øu-un ________________________________________________________ URU 53 [ ]Ap-pa-ya URU 54 [(øu-ul-li-ya-nu-un) Um-ma]-ya ________________________________________________________

Ro II 1 pí-ra-an ša-ra-a da-aø-øu-un 2 nu I-NA URUPar-ma-an-na an-da-an pa-a-un 3 URUPar-ma-an-na-aš-ma-kán a-pí-e-da-aš A-NA LUGAL[MEŠ] 4 SAG.DU-aš e-eš-ta KAŠ÷I.A- aš-ša-ma-aš a-pa-a-aš 5 pí-ra-an ták-ša-an-ni-iš-ki-it ________________________________________________________ 6 [(nu)]-mu-kán ma-aø-øa-an me-na-aø-øa-an-da [a-ú-ir] 7 nu KÁ.GAL÷I.A EGIR-pa øe-še-e-ir na-aš [a-pí-e-da-ni] 8 me-mi-e-ni ne-pí-[(š)a]-aš DU[TU(?) 9 an-da-ma-mu KUR URUAl-øa-aš-ma [pa-a-un] 10 nu URUAl-øa-an øar-ni-in-ku[-un] ________________________________________________________ 11 MU.KAM-an-ni-ma I-NA KUR UR[UZa-ru-na pa-a-un] 12 nu URUZa-ru-na-an øar-ni[-i]n-ku-un nu I-NA UR[U÷a-aš-šu-wa] 13 pa-a-un nu-mu LÚMEŠ [URU]÷a-aš-šu-wa za-aø-øi-ya 14 me-na-aø-øa-an[-da ú-e]-ir ÉRINMEŠ-ya-aš-ma-aš 15 ŠA KUR URU[÷al-pa šar-di]-an-ni kat-ta-an e-eš-ta 16 na-aš-mu [MÈ-ya] ú-it na-an øu-ul-li-y[a-nu-un] 17 nu kap-p[u]-wa-an-da UD.KAM÷I.A-aš ÍDPu-u-ru-n[a-an] 18 zi-iø-øu[-un] nu KUR URU÷a-aš-šu-wa UR.MA÷ GIM-an 19 GÌR÷I.A-i[t a]r-øa ša-ak-ku-ri-ya-nu-un 20 nu A[ ma-a]ø-øa-an wa-al-øu-un 21 [ an-d]a še-ir ar-nu-nu-un 22 [ øu]-ma-an ša-ra-a da-aø[-øu-un] 23 [ ša-ra-a š]u-un-na-aø-øu-un ________________________________________________________

64

51 ch[e compii(?), quelle(?)] alla dea Sole di Arinna 52 [o]ffrii(?) [ ] ________________________________________________________ 53 [ la città di] A-pa-ya 54 combattei(?) [ alla città di Um-ma]-ya _______________________________________________________ Ro II 1 davanti presi; 2 e nella città di Parmanna entrai, 3 e la città di Parmanna a quei re (= ai re di quella regione) 4 capo (= alla testa) fu, essa (infatti) le vie a loro 5 dinanzi segnava (lett.: spianava); ________________________________________________________ 6 [e] quando me davanti [videro 7 allora le porte della città dischiusero, ed egli [in quella] 8 occasione il dio [Sole(?)] del cielo [ 9 e nel paese della città di Aløa [andai] 10 e la città di Aløa distruss[i]. ________________________________________________________ 11 12 13 14 15 16

E nell’anno successivo nella cit[tà di Zaruna andai] e la città di Zaruna distr[u]ssi, e nella cit[tà di] ÷aššuwa] andai, e a me gli uomini [della città] di ÷aššuwa in battaglia cont[ro venn]ero e insieme con loro le truppe del paese della città [di ÷alpa per aiut]o erano, ed esse (= le truppe) verso di me [in battaglia] vennero e le comba[ttei] 17 e in po[c]hi giorni il fiume Parun[a] 18 attraversa[i] e il paese della città di ÷aššuwa come un leone 19 con la zamp[a v]ia sopraffeci 20 e [ qua]ndo ebbi vinto 21 [ ] misi su 22 [ tu]tto pres[i] 23 [e la mia casa(?) fino all’orlo e]mpii ________________________________________________________ 65

24 [ -u]n 25 [ ]..[ 26 [ ] D[(U EN) 27 [D(Al-l)]a-[(tum)] DA-ta-al-lu-ur D[Li-lu-ri 28 [(2)] GUD÷I.A ŠA KÙ.BABBAR 3 ALAM KÙ[.BABBAR GUŠKIN 29 [2] øa-am-ri-ta I-GA!-A-RU EGIR[ 30 [IŠ-TU KÙ.BABBAR GUŠKIN øa-li-iš-ši-y[a-nu-un] 31 [GI]ŠIG-ya IŠ-TU KÙ.BABBAR GUŠKIN ø[a-li-iš-ši-ya-nu-un] ________________________________________________________ 32 [1 GIŠBANŠU]R GUŠKIN TAM-LU-Ú 3 GI[ŠBANŠU]R KÙ.BABBAR 33 [ ] KÙ.BABBAR 1 GIŠGU-ZA NÎ-ME[-DI] TAM-LU-Ú 34 [ ]-at ŠA GUŠKIN 1 GIŠ MA-AD-NA-NU GUŠKIN IŠ]-TU GUŠKIN GAR.RA 35 2[ 36 ku-u-u[š-ma(?) URU÷]a-aš-šu-wa 37 A-NA DUT[U URUTÚL-na p]í-e-da-aø-øu-un 38 DUMU.MUNUS DAl[-la-ti D]÷é-pat 3 ALAM KÙ.BABBAR 39 2 ALAM GUŠK[IN ki-i]-ma I-NA É DMe-iz-zu-ul-la 40 pí-e-da-a[ø-øu-u]n ________________________________________________________ ]GIŠPA GUŠKIN 5 GIŠTUKUL 41 1 I-MI-IT-TUM KÙ[ KÙ.BABBAR 42 3 ÷U-U-UR-PA-A-LU-U Š[A NA4Z]A.GÌN 43 1 ÷U-U-UR-PA-A-LU-U ŠA GUŠKIN 44 ki-i-ma I-NA È DU pí-e-d[a-a]ø-øu-un ________________________________________________________ 45 nu-za KUR URU÷a-aš-šu-wa I-NA MU.1.KAM tar-aø-øu-un 46 [[A-YA-LU GUŠKIN]] nu mTa-wa-an-na-ga-aš MA-A-RI[ŠU 47 48 49 50

ar-øa pí-eš-še-ir LUGAL.GAL-ma-an-kán SAG.DU-ZU ku-e-ir-šu-un nu I-NA URUZi-ip-pa-aš-na pa-a-un nu-kán URUZi-ip-pa-aš-na-an GE6-az-pat ša-ra-a pa-a-un nu-uš-ma-aš MÈ-ya

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24 [ ] 25 [ ] 26 [ ] dio della Tempesta signore [ 27 dèi Allatum, Atallur, [Liluri 28 2 bovi d’argento, 3 statue d’ar[gento (e) d’oro 29 in [2] (edifici) øamri la parete posteriore 30 d’argento (e) d’oro feci rives[tire] 31 e la porta d’argento e d’oro fe[ci rivestire], ________________________________________________________ 32 [1 tavol]o d’oro rivestito, 3 [tavo]li d’argento, 33 [ 34 [

] d’argento, 1 trono con spalliera rivestito ] d’oro, 1 letto d’oro,

35 2 [ ] coperti d’oro, 36 e(?) quest[i città di ÷]aššuwa 37 alla dea Sol[e di Arinna p]ortai, 38 figlia della dea Al[latum] ÷epat 3 statue d’argento, 39 2 statue d’or[o], e [queste cose] nel tempio della dea Mêzzulla 40 por[ta]i. ________________________________________________________ 41 1 IMITTU d’ [argento/oro(?)], 1 scettro d’oro, 5 utensili d’argento, 42 3 mazze [di lapislaz]zuli, 43 1 mazza d’oro, 44 e queste cose nel tempio del dio della Tempesta portai; ________________________________________________________ 45 e il paese della città di ÷aššuwa in un anno soggiogai, 46 [[AYALU d’oro]]; e (della città?) di Tawannaga [suo? (figlio(?) (= il re?) 47 spinsero via, ed io, il Gran Re, la sua testa 48 tagliai, e nella città di Zippašna andai 49 e su verso la città di Zippašna proprio di notte 50 andai e presso di loro in battaglia 67

51 an-da ti-ya-nu-un nu-uš-ma-aš SA÷AR÷I.A-iš 52 še-ir ar-nu-nu-un na-aš-ta ŠÀ KUR.KURMEŠ 53 an-da DUTU-uš ti-ya-at ________________________________________________________ 54 LUGAL-ma-aš Ta-ba-ar-na-aš I-NA URUZi-ip-pa-aš-na :[pa]-a-un Vo III 1 URU÷a-aø-øa-an-ma-za-kán UR.MA÷ ma-aø-øa-an 2 ar-øa tar-ku-wa-al-li-iš-ki-nu-un 3 nu URUZi-ip-pa-aš-ša-na-an øar-ni-in-ku-un 4 DINGIRMEŠ-ma-aš-ši ša-ra-a da-aø-øu-un 5 na-aš A-NA DUTU URUTÚL-na pí-e-da-aø-øu-un ________________________________________________________ 6 nu I-NA URU÷a-aø-øa pa-a-un nu-kán I-NA URU÷a-aø-øa 7 KÁ.GAL÷I.A-aš 3 ŠU an-da MÈ-in te-eø-øu-un 8 nu URU÷a-aø-øa-an øar-ni-in-ku-un a-aš-šu-ma-aš-ši 9 ša-ra-a da-aø-øu-un na-at URU÷a-at-tu-ši 10 URU-ri-mi-it ar-øa ú-da-aø-øu-un 11 2 TA-PAL GIŠMAR.GÍD.DAMEŠ IŠ-TU KÙ.BABBAR 12 ta-a-iš-ti-ya-an e-eš-ta ________________________________________________________ 13 1 GIŠGIGIR MA-AD-NA-NU 1 A-YA-LU KÙ.BABBAR 1 GIŠ BANŠUR GUŠKIN GIŠ 14 1 BANŠUR KÙ.BABBAR ku-u-uš DINGIRMEŠ URU÷a-aø-øa 1 GUD.MA÷ KÙ.BABBAR 15 1 GIŠMÁ SAG-ZU GUŠKIN GAR.RA LUGAL.GAL Ta-ba-ar-na-aš 16 ŠA GEMÉMEŠ-ŠU ŠUMEŠ-uš IŠ-TU NA4ARÀ da-aø-øu-un 17 ŠA ARADMEŠ-ya ŠUMEŠ-ŠU-NU IŠ-TU KIN da-aø-øu-un 18 na-aš-kán ša-aø-øa-ni-it lu-uz-zi-it 19 a-ra-wa-aø-øu-un na-aš QAB-LI-ŠU-NU ar-øa la-a-nu-un 20 na-aš A-NA DUTU URUTÚL-na GAŠAN-YA EGIR-an tar-na-aø-ø[uun] 21 nu-za ki-i ALAM-YA ŠA GUŠKIN i-ya-nu-un 22 na-at A-NA DUTU URUTÚL-na GAŠAN-YA ti-it-ta[(-nu-nu-un)] 68

51 giunsi e a loro/per loro la caligine 52 sollevai, poi nei paesi 53 il dio del Sole (Ištanu) penetrò, ________________________________________________________ 54 ed io, il Re, il Tabarna, nella città di Zippašna :[and]ai; Vo III 1 e la città di ÷aøøa come un leone 2 guardai con cipiglio, 3 e la città di Zippaššana distrussi, 4 e a lei gli dèi presi, 5 e alla dea Sole di Arinna li portai; ________________________________________________________ 6 e nella città di ÷aøøa andai e nella città di ÷aøøa 7 dentro le porte della città per tre volte battaglia posi, 8 e la città di ÷aøøa distrussi, e i beni a lei 9 presi e in ÷attuša, 10 mia città, via li portai, 11 2 forniture di carri da trasporto d’argento 12 fu(rono) caricati. ________________________________________________________ 13 1 carro MADNANU, 1 cervo d’argento, 1 tavolo d’oro, 14 1 tavolo d’argento, questi dèi della città di ÷aøøa, 1 toro d’argento, 15 16 17 18 19 20

1 nave dalla prua coperta d’oro; io , il Gran re, il Tabarna, delle sue serve le mani dalla macina tolsi, e dei servi le loro mani dal lavoro tolsi, e dal šaøøan (e) dal luzzi li resi liberi (= esentai), e dalle loro cinture li disciolsi, e alla dea Sole di Arinna, mia signora, li cedett[i];

21 e questa mia statua d’oro feci, 22 e presso la dea Sole di Arinna, mia Signora, la collocai, 69

23 ku-ut-ta-an-na kat-ta-an ša-ra É-še-ya 24 IŠ-TU KÙ.BABBAR øa-li-iš-ši-ya-nu-un ________________________________________________________ 25 1 GIŠGIGIR KÙ.BABBAR LUGAL URUTi-ma!-na A-NA LUGAL.GAL[(?) 26 [ ].-at A-NA DUTU URUTÚL-na pí-e[-da-aø-(øu-un) 27 [(2 ALA)M Š[A NA4AŠ.ŠIR.GAL 28 A-NA DUTU URUTÚL-na pí-e-da-aø-øu-u[n ________________________________________________________ 29

ÍD

Ma-a-la-an-na Ú-UL [(ku)-iš-ki pí-ra-an(?) za-a-iš

30 na-an ú-ug LUGAL.GAL T[a-ba-ar-na-aš GÌR-it 31 zi-iø-øu-un KARAŠ÷[(I).A 32 GÌRMEŠ-it za-a-iš LUGAL-g[i-na-ša-an za-a-iš 33 ÉRINMEŠ URU÷a-aø-øi-aš øu-ul[-li-ya-it(?) (URU)÷a-aø-øi-ma 34 Ú-UL ku-it-ki i-ya[-zi(?) na-an Ú-UL 35 ar-øa wa-ar-nu-uz-zi [tuø-øu-wa-in-ma 36 ne-pí-ša-aš DU-ni Ú[-UL (-in-ta) ________________________________________________________ 37 LUGAL.GAL Ta-ba-ar-na-aš URU[÷a-aš-šu-wa-an GIM-an 38 URU÷a-aø-øa-an-na øar-ni-i[n-ku-u(n) 39 na-aš IZI-az kat-ta-an [tar-na-aø-øu-un 40 tuø-øu-wa-in-ma ne-pí[-ša-aš DUTU DU-ya 41 nu URU÷a-aš-šu-wa LUGAL URU÷a-a[ø-øa-ya] 42 A-NA GIŠMAR.GÍD.DA tu-u-ri[-ya-nu-(un)] ________________________________________________________ Vo IV D[UB LÙ-na-an-na-aš ŠA m÷a-at-t[u-š]i-l[i

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23 e la parete dal basso in alto nel suo tempio 24 d’argento incastonai, ________________________________________________________ 25 1 carro leggero d’argento il re della città di Timana al Gran Re [(?) 26 [ ] alla dea Sole di Arinna portai, 27 2 statu[e d]i alabastro 28 alla dea Sole di Arinna portai. ________________________________________________________ 29 E il fiume Mâla (= Eufrate) ne[ssuno prima (di me) aveva attraversato 30 ed io, il Gran Re, il T[abarna, a piedi 31 l’attraversai, l’esercito [ 32 a piedi l’attraversò; (anche) Šarrug[ina l’aveva attraversato, 33 le truppe della città di ÷aøøa comb[atté(?), ma alla] città [di ÷aøøa 34 niente f[a(?) e non la 35 riduce in cenere, [ma il fumo 36 al dio della Tempesta del cielo n[on fece salire ________________________________________________________ 37 38 39 40

Io, il Gran Re, il Tabarna, la città [di ÷aššuwa e la città di ÷aøøa dist[russi e col fuoco le abb[attei e il fumo (accus.) [al dio Sole] del cie[lo e(?) al dio della Tempesta feci

salire

41 e della città di ÷aššuwa e il re della città di ÷a[øøa] 42 al carro da trasporto aggio[ga]i. ________________________________________________________ Vo IV T[avoletta delle gesta di ÷att[ušili

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KBo X 3 (203/p) = KBo X 2 Ro I 3-16 Ro I 1’ [LUGAL-u-e]-iz-z[i-ya-at 2’ [DUMU.ŠE]Š-ŠU I-N[A 3’ [ ]Ú-UL øar-ni[-ik-ta 4’ [ ]ÉRINMEŠ-an 2-e[ 5’ [d]a-la-aø-øu-un nu[ 6’ [n]a-at ÉRINMEŠ-aš[ _____________________________________________________ 7’ nu URUZa-al-pa pa-a-u[n 8’ nu DINGIRMEŠ-ŠU ša-r[a-a 9’ na-aš A-NA DUTU URUA-ri[-in-na 10’ pí-e-da-aø-øu-un 1 [ 11’ I-NA È DU pí[-e-da-aø-øu-un 12’ ap-pí-iz-zi-ya [ 13’ DINGIRMEŠ nu-uš A[-NA(?) 14’ pí-e-da-aø[-øu-un _____________________________________________________ 15’ MU-an-n[i-ma 16’ [ ] KUB XXIII 31 (Bo 6074) Ro I = KBo X 2 Ro I 23-29 Ro I 1’ nu[-uš-ma-aš-kán 2’ E[GIR-ya-z]a-m[a-mu-kán 3’ nu-mu KUR.KUR[MEŠ 4’ na-aš-ta UR[U÷a-at-tu-ša-aš-pat _____________________________________________________ 5’ LUGAL[.GAL Ta[-ba-ar-na-aš 6’ nu-mu-za-kán [D 7’ nu-mu ŠU[

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IBoT III 134 (+) KUB XXIII 41 (Bo 331) = KBo X 2 Ro I 35-44 1’ 2’ 3’ 4’ 5’ 6’ 7’ 8’ 9’ 10’ 11’ 12’ 13’

]ú-it p[í] URUUl-ma-an [ [nu]-uš-si-kán pí-d[i-iš-ši [nu ¦7©] DINGIRMEŠ I-NA [¦É© DUTU URUTÚL-na EGIR] da-aø-ø[u-

un [1] GUD KÙ.BABBAR DINGIR MUNUS[TUM fKa-ti-ti ÷UR.SAG]Ara-øa-pí-la[-an-ni [I-]NA É DUT[U URUTÚL-n]a pí-da-aø-øu-un [a-aš]-še-ir-ma-kán [ku-i-e-eš-DINGIRM]EŠ [na]-aš I-NA [¦É© DMe-iz-zu-¦u©]l-la pí-e-da-aø-øu-un [GIM-an]-ma URUU[l-ma-za EGIR-p]a ú-wa-nu-un ] pa-a-un IZ]I-it a-pa-ši-la a-pu-u-uš]-ma-mu [ ]

KUB XXIII 33 (Bo 4294) = KBo X 2 Ro I 46(?) - Ro II 10

ut(?)] n[a-a]n 1’ 2’ ] øa[r-n]i-in-ku-un 3’ ti-y]a-at LÚ-na-tar-na ku-i[t 4’ ] da-aø-øu-un ========================================== URU 5’ Ap-pa-y]a øu-ul-li-ya-nu-un .[ 6’ ] pí-ra-an ša-ra-a da-a[ø-øu-un URU 7’ Par-ma-n]a-aš-ma-kán a-pí[-¦e©-da-aš tak-ša-an-ni-iš-ki]-it nu-mu-kán ma[-aø-øa-an 8’ n]e-pí-š[a-aš 9’ 10’ [ ] VBoT 13 = KBo X 2 Ro II 24/25(?)-31 1’ nu GÍR K[Ù.BAB]BAR .[ 2’ nu-kán KÙ.BABBAR GUŠKI[N 73

3’ 4’ 5’ 6’ 7’ 8’ 9’

nam-ma-aš-ši DINGIRMEŠ Š[A D U EN ar-ru-uz-za D[ D Al-la-tum DA-da!-al-lu[-ur 2 GUD KÙ.BABBAR 13 ALAM KÙ.BABBAR GUŠKIN ku-ut-ta-aš-ša ku-iš A-NA D[ [n]a-an IŠ-TU GUŠKIN øa-li[-iš-ši-ya-nu-un [ ]a-aš-ši-iš-t[e-ir

KUB XXIII 20 (Bo 3229) = KBo X 2 Vo III 14-42 1’ ]. SA[G(?)-Z]U(?)[ 2’ IŠ]-TU NA4A[RÀ na-aš]-kán ša-aø-ø[a-ni-it 3’ 4’ ]na-aš A-NA DU[TU 5’ ]i-ya-nu-un [ ti-it-t]a-nu-nu-un [ 6’ 7’ kat]-ta-an ša-r[a-a U RU 8’ ] Ti-ma-na [ 9’ pí-e-da-aø]-øu-un 2 ALA[M ÍD Ma-a-l]a-an Ú-UL ku[-iš-ki 10’ 11’ zi-iø-øu]-un KARAŠ÷I[.A 12’ ]ÉRINMEŠ URU÷a-øa[-øi-aš 13’ a]r-øa lu-uk-ki-it[ 14’ ]-in-ta LUGAL.GAL Ta[-ba-ar-na-aš 15’ øar-ni-in-ku-u]n na-aš IZI-az kat[-ta-an 16’ ] LUGAL URU÷a-aš-šu-wa[ 17’ tu-u-ri-ya-nu]-un ========================================== 18’ D[UB KUB XXIII 31 (Bo 6074) = KBo X 2 Vo III 29-42 Vo IV(?) 1’ DMa[-a-la-an-na(?) 2’ a(?)]-la-aš-m[a(?) 74

3’ G]ÌR-it 4’ ÷a-a-a[ø-øi-aš(?) 5’ URU[ ]-qa(?) [ 6’ i[-ya(?)D 7’ U Š]A-ME-E [ 8’ ].-ma LUGAL URU÷[aURU 9’ ]÷a-aø-øi-in-ma [ 10’ QÚ-U]T-RU A-NA [D _____________________________________________________

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NOTE CRITICHE KBo X 2 (202/p)1 Ro I r. 2. LÚ URUKuššar, “uomo di Kuššar”: secondo l’Otten (op. cit., 78 nota 12), quest’espressione che designa il luogo d’origine, posta dopo la formula in uso al tempo del Nuovo Regno, denota (come tutta la lingua di H) che questa redazione è più tarda dell’originale, oppure indica un rimaneggiamento nel testo. r. 3. L’integrazione all’inizio di questa riga è secondo la corrispondente versione accadica (cfr. anche KBo X 3 Ro I 1’, integrato secondo il Goetze, op. cit., 24 § 1); si poteva però trovare qui anche [øaššui]t. r. 3. L’espressione “figlio del fratello della Tawananna” è interessante perché rivela l’importanza della posizione della regina ittita. Secondo l’Otten (op. cit., 78 nota 13), si dimostra qui la libera scelta del successore al trono nell’àmbito della famiglia reale, cosi come avvenne, a suo avviso, per lo stesso ÷attušili I, quando, nel suo testamento, designò come suo successore il “figlio di sua sorella”, in antitesi a quanto venne stabilito più tardi nell’Editto di Telepinu. Su questo però non sono d’accordo; infatti, come ha dimostrato il Pugliese Carratelli (Su alcuni aspetti della monarchia etea, in “Atti dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria” 23 [195859] 101-105) dopo un accurato esame del Testamento di ÷attušili: “è significativo che ogni volta l’esponente principale della ribellione (al re: Col. II 63-74) sia una persona legata al re da vincoli di sangue: prima il figlio (÷uzziya), poi la figlia (che aveva discendenti maschi). È degno di nota che dopo la deposizione di ÷uzziya i Grandi avversi a ÷attušili abbiano fatto appello alla figlia di questi, quasi rispettassero un ordine di successione legittima; un ordine che appare il presupposto del regolamento della successione qual’è definito da Telipinu nel suo editto: un figlio legittimo del re, e in assenza di quello, il marito della figlia (nel 1 Nelle integrazioni delle lacune di H i segni conservati dai duplicati sono traslitterati entro parentesi tonde.

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qual caso il trono viene ereditato da un figlio della figlia, soluzione coincidente con quella che i sostenitori della figlia di ÷attušili avevano tentato di far valere)”. Mi sembra inoltre interessante ricordare che, per rendere legittima la successione, il sovrano doveva evidentemente presentare come suo figlio l’erede designato, ricorrendo insomma ad una forma di adozione: cfr. appunto nel Testamento di ÷attušili I, a proposito della designazione del nipote Labarna (Col. II 2-4 e 14) e poi del nipote Muršili (Col. II 37 sg.). r. 4. Il Goetze (op. cit., 24 § 1) fa notare la presenza delle forme arcaiche ša-an e natta (invece di Ú-UL, come in KBo X 3 Ro 3), che poi non compariranno più nel testo; ciò gli fa supporre che H fosse stato modernizzato durante il Nuovo Regno. r. 6. daaø-øu-un: lettura secondo KBo X 3 Ro r. 5, confermata dal corrispondente accadico I-TE-ZI-IB (I Ro 3); così anche Goetze, loc. cit. r. 7-8. Il termine ašawar (7) indica letteralmente “recinto per piccoli animali”; tutto il passo può significare che ÷attušili lasciò le sue truppe nell’abbondanza. Per la possibilità di una confusione avvenuta in A tra ašawar e aššuwa, “beni”, cfr. A. Goetze, loc. cit. r. 9. Integrazione secondo la r. 33. r. 10. Il Goetze (op. cit., 24 § 2) ritiene che dopo šara daøøun sia stata omessa una frase: , “e li diedi alla dea Sole di Arinna”; cfr. il testo accadico che si presenta, a suo avviso, come se si fosse basato su di un testo già mutilato. La frase che compare alla r. 9 di KBo X 3 si riferisce, presumibilmente, a quella analoga nella r. 11 di H. r. 11. GIŠGIGIR MÂDNANU doveva essere una specie di “carro per dormire”, cfr. J. Friedrich, HW Erg.-Heft 2, 29. r. 12. GEŠPU significa letteralmente “pugno”, ed anche “forza, violenza”, ed inoltre “ceppo, catena”. Che si tratti qui dunque di una “catena” o di un “ceppo”, in riferimento al bove menzionato prima? r. 13. : aggiunto in accordo alla r. 13 di KBo X 3. Già il Goetze (op. cit., 24 § 3) aveva suggerito questo completamento,

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secondo la r. 39. Cfr. anche in A Ro 5: 9 DINGIRMEŠ-ŠU, e la spiegazione che dà il Goetze per giustificare la presenza del numero 9. Tanto in H che in A, qui e più avanti, vediamo che le divinità che “erano rimaste” (cioè, che non erano state portate alla dea Sole di Arinna) venivano condotte nel tempio della dea Mezzulla. Questa dea, che si presume di origine proto-hattica, era figlia della dea Sole di Arinna e del dio della Tempesta Târu, ed era venerata in quattro città. Negli Annali di Muršili II leggiamo che essa lo aveva protetto ed aiutato, insieme ad altre divinità, nelle sue guerre. La dea Mezzulla fungeva spesso da intermediaria tra gli dèi e gli uomini, dei quali portava in cielo le preghiere. r. 15. MU.IM.MA-anni significa qui “nell’anno successivo”, anziché “nell’anno precedente”, come in ÷ø II 195 (MSL 5, 65); cfr. anche Goetze, op. cit., 24 § 4, e J. Friedrich, HW Erg.-Heft 2, 30. In Ro II al posto di MU.IM.MA-anni si trova sempre MU.KAM-anni. In KBo X 3 Ro 15 si trova MU-an-n[i]. MU.IM.MA-anni = MU.KAM-anni = MU-anni dovrebbe corrispondere all’ittita witantanni (cfr. J. Friedrich, HW, 286 ed anche 256, s.v. *witantatar, “Jahresfrist”), che io però non intenderei come “nel corso dell’anno, durante l’anno (che vedrei espresso piuttosto dall’ittita witti = MU-ti e MU.KAM-ti, cfr. J. Friedrich, HW, 255, s.v. witt-), ma come “nell’altro anno”, cioè non durante l’anno in corso, ma nell’anno precedente o nell’anno successivo. Il prof. Meriggi mi ha ricordato come esempio il lat. externus dies e l’inglese yester-day, “ieri”, cui corrisponde il gotico gistradagis, “domani”, e mi ha mostrato anche l’eventualità, sebbene insolita, dell’uso, in inglese, di next year per last year, attestato in ILN 27, VI, 64, 1016, sotto la fig. (cfr. in proposito Oxford E. Dict., VI 122c § 8). r. 23. Il segno qui usato per designare GUD è anomalo. r. 24. Il Goetze, op. cit., 25 § 5, preferirebbe leggere qui EGIR-azya-za, da riferirsi ad appezziyaz piuttosto che ad appaz (cfr. NBr., 8). r. 28. Manca l’equivalente ittita alla frase in A Ro 13: “essa pose il mio Sole sul suo(!) grembo” (con il possessivo sbagliato: “suo” “di lui” anziché “di lei”, ciò che per il Goetze, loc. cit., non è in favore di un originale accadico). Ci aspetteremmo in H, secondo il Goetze, la frase genuwaš øalaššiya-, “porre sulle ginocchia”, come, per es., in Ullikummi, 78

I, III, 11 sgg.: con tale frase si vuol indicare la legittimazione della persona in questione (cfr. JAOS 69 [1949] 180). r. 29. [(ŠU)], integrazione secondo KUB XXIII 31 Ro I 7. Doveva trovarsi qui, evidentemente, una frase analoga a quella in A Ro 14. r. 32. : già il Goetze (loc. cit.) ha suggerito questo completamento, confermato, del resto, dalla stessa frase in Ro II 7. Abbiamo preferito tradurre l’espressione EGIR-pa øéššir “ dischiusero”, piuttosto che “riaprirono”, poiché ignoriamo se vi sia stata una precedente resa della città; tale espressione si ritrova anche più avanti, in Ro II 7. r. 35. Secondo il Goetze, op. cit., 25 § 6, si dovrebbe correggere a-úer con ú-e-er, e quindi tradurre così le 34-35: “e contro di me gli uomini della città di Ulma in battaglia per due volte vennero”. Anche senza questa correzione la frase presenta però un senso logico; cfr., del resto, anche le precedenti rr. 31-32. Nell’esemplare IBoT III 134 1 compare la voce verbale ú-it, “ venne”, che però non sappiamo se si riferisca alla città di Ulma o al Gran Re ittita, che parla di sé alla III pers., come si riscontra altrove. rr. 36-37. L’espressione “al suo posto sparsi/seminai erbaccia” ci è familiare sin dall’iscrizione di Anitta. rr. 38-39. Cfr. A Ro 18 sg.; secondo l’Otten, op. cit., 81 nota 21, c’è un equivoco nella versione ittita; secondo il Goetze, loc. cit., nessuna delle due versioni è corretta, ma egli cerca di spiegare come quella ittita sia più vicina all’originale. Purtroppo anche i nomi della dea Nikatiti/Katiti e della montagna Aranøapila/Aranøapilanni (col suffisso øurrico -ni?) ci sono stati finora sconosciuti e non possono perciò esserci di alcun aiuto. r. 42. In questa riga è menzionata la città di Šallaøšuwa, il cui nome viene giustamente interpretato dal Meriggi (in WZKM 8 [1962] § 7, 7778), in base anche ad altri esempi, come “città del Gran Re”. Questo è assai interessante, poiché ci mostra come si leggesse in ittita LUGAL.GAL. Il Meriggi ha poi aggiunto in calce al suo articolo, già pubblicato, la forma Šallaøšuwa, che compare in KBo XII 2 8, purtroppo in contesto distrutto.

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r. 43. Come mi ha fatto osservare il prof. Meriggi, è probabile che il soggetto del passo all’inizio di questa riga sia la città di Šallaøšuwa, che si (-za) distrugge da se stessa (apašila), poiché nei passi vicini a questo, per non parlare di tutto quanto il testo, ÷attušili parla di sé in I pers. r. 44. Forse qui non c’è lacuna, ma soltanto una cancellatura. r. 45. URU-ri-mi-it: è strano quest’uso del possessivo -mit al Nom.Accus. Neutro, quando il sostantivo a cui si riferisce, URU-ri, è al Dat.Loc. Sing.; così anche in H Vo III 10. r. 48. L’integrazione all’inizio della riga è secondo A Ro 24. r. 50. LÚ-na-tar-na: così anche in KUB XXIII 33 3; si tratta di una forma insolita e difficile a spiegarsi, a meno che non si pensi ad un errore dello scriba, che abbia usato -na per -ra, e non si intenda qui LÚ-natar + -a; cfr. anche la nota seguente. rr. 51-52. Per le integrazioni proposte in queste righe ci siamo basati su KUB XXIII 33 rr. 3-4. Il Laroche (OLZ 57 [1962] 27) osserva che il passo LÚ-natarna kuin (egli certo legge ku-i-in laddove noi leggiamo kuit) daøøun che compare nel duplicato, corrisponde a MIMMA ŠA UBLAM in A Ro 25. Come però mi ha fatto giustamente notare il prof. Meriggi, fra kuit (3) e daøøun (4) c’è lacuna; si potrebbe quindi pensare anche ad un [pê]daøøun, cui poteva corrispondere pê]øøun nell’esemplare principale. rr. 53-54. È possibile che nella lacuna all’inizio della r. 5 di KUB XXIII 33 fosse menzionata la città di Appaya; in base a ciò abbiamo integrato l’inizio della lacuna alla r. 54 dell’esemplare principale. La città di Appaya non compare in A. r. 54. [URUUm-ma]-ya: integrazione secondo A Ro 26; cfr. la nota a H Ro II 1. In H non è menzionata la città di Takšana; cfr. in A Ro 27. Ro II r. 1. Fra la fine di Ro I 54 e l’inizio di questa riga non c’è lacuna, perciò la posposizione piran si riferisce probabilmente alla città di Ummaya. rr. 3-5. Si vuole indicare che il re della città di Parmanna fungeva da capo e da guida ai re delle città vicine. Il Goetze (op. cit., 25 § 8) traduce 80

qui: “that one (i.e. the town Parmanna) made even the ways (of behavior) before them (the other towns of the region)”, intendendo che Parmanna, per il suo compito di città capo (cioè più influente), persuadeva le altre città ad agire all’unisono; per l’idioma ittita egli rimanda a KUB XV 34 I 45. Per il verbo takšanniya-, “aggiustare, riparare, spianare”, cfr. J. Friedrich, HW Erg.-Heft 2, 23 s.v.; per la radice takš-, cfr. F. Sommer, Heth 2, 35 nota 2. rr. 7-8. Là dove in H si trova [a-pí-e-da-ni] me-mi-e-ni, “in quell’occasione, in quella faccenda”, in A Ro 29 si legge invece a-na bala-at, “nell’anno successivo”. Il Goetze (op. cit., 25 § 9), dopo aver osservato che è improbabile che si parli qui, a metà paragrafo, dell’inizio di un nuovo anno, cerca di spiegare ciò col fatto che in H, in una copia più antica, poteva trovarsi me-mi-an-ni come variante di me-mi-e-ni. Era quindi possibile equivocare con MU.KAM-an-ni, specie se la copia a cui si atteneva A aveva subito qualche danno. Questo convince una volta di più il Goetze che la versione ittita sia più corretta di quella accadica. Si può anche ammettere questa spiegazione, per quanto la presenza dell’aggettivo dimostrativo apêdani renda però difficile la possibilità del supposto equivoco, perché ne risulterebbe un’espressione affatto inconsueta (“in quell’anno successivo”). D’altro lato, l’integrazione apêdani mi pare qui l’unica plausibile, perché, ammettendo anche in una copia più antica la presenza di un termine memianni/memini, si deve logicamente pensarlo preceduto da un aggettivo dimostrativo. r. 8. nepíšaš DUTU(?)]: si potrebbe pure leggere DU, dato che nel testo rimangono soltanto le tracce di un cuneo angolare, e che anche il nome del dio della Tempesta si trova spesso preceduto dal termine nepíšaš, “del cielo, celeste” (cfr. anche più avanti, Vo III 36). Tuttavia, per il confronto con la versione accadica (Ro 30), ho preferito la prima lettura; pensò però che si tratti qui del dio Sole del cielo (Ištanu), che troveremo anche menzionato più avanti, Ro II 53. r. 11. Nella lacuna si notano probabili tracce dei segni na ed un. r. 14. [ú-e]-ir, “vennero”: integrazione secondo A Ro 32. Il seguente sumerogramma ÉRINMEŠ(ittita: tuzzi-š) è un plurale collettivo e compare quindi con i verbi al singolare; con esso si accorda il pronome -an alla r. 16. 81

r. 15. L’integrazione è secondo il Güterbock, (JCS 18 [1964] 3 nota 31); in A Ro 32 si trova la forma ÷A-LA-AB, ma il Güterbock preferisce una forma più breve (a noi, del resto, nota da altri testi ittiti) per lasciare spazio all’inizio della parola successiva; il completamento che egli dà di questa parola è libero, ma ci sembra assai probabile, sia perché i segni che si leggono dopo la lacuna, ]-an-ni, si presentano come il resto di un Dat.-Loc. sing. di un nome astratto in -tar (così anche il Goetze, op. cit., 25 § 10), sia perché tale integrazione non contrasta con il senso di A Ro 32 sg. r. 16. [MÈ-ya]: integrazione a senso. Le tracce rimaste dopo našmu non possono far pensare a zaøøiya, né a menaøøanda, la cui lettura sarebbe anche impossibile per motivi di spazio; si potrebbe forse pensare ad IGI (= menaøøanda), accompagnato dalla particella enclitica -k[án]. Non è menzionato in H il luogo della battaglia, che si trova invece in A Ro 33: “presso la montagna Adalûr”. Più avanti (A Ro 38 e H Ro 27), fra gli dèi di ÷aššuwa, compare anche Adalûr/Atâllûr. Riguardo all’ubicazione della montagna Adalûr, cfr. H. Otten, op. cit., 82 nota 23, e A. Goetze, op. cit., 28. r. 18. La similitudine “come un leone”, che si trova qui soltanto una volta, compare invece due volte in A Ro rr. 34 e 35 (ricorrerà ancora in A Vo 2, ed in H Vo III 1). Secondo l’Otten (op. cit., 82 nota 24), è possibile che tale similitudine si trovasse in A Ro 34 a causa dello scriba, influenzato dal testo della riga successiva. Secondo il Goetze (op. cit., 25 § 10), il testo originale accadico (A Ro 34) doveva avere un altro verbo, qualcosa come “I stole in upon (the river)”, che giustificasse la forma ir-ti, letter. “chest”. r. 19. Il Goetze, loc. cit., osserva che il verbo šakkuriya- corrisponde chiaramente all’accadico šapâku, “mandar (qualcuno) disteso”; il J. Friedrich (HW, 177 e HW Erg.-Heft. 2, 21) dà a questo verbo il significato di “sopraffare”. L’Otten, loc. cit., rimanda ad un altro testo storico originale in antico-ittita (si tratta di un’iscrizione trovata nel 1952 a Boˆazköy nello strato antico-ittita, studiata dall’Otten, in MDOG 86 [1953]; cfr. per il nostro caso la p. 61), dove si parla di un altro animale rapace, l’orso, insieme al quale compare una voce verbale, ora integrata dall’Otten in 82

base al nostro testo: [ša-ak-ku?-r]i-iš-ki-mi. Che si ricorra nell’autobiografia di ÷attušili ad un animale feroce differente si può spiegare, secondo l’Otten, col fatto che l’abitante della Siria settentrionale, cui ci si rivolgeva con il testo accadico, doveva sentire nel leone un’immagine familiare. Questa spiegazione però non mi convince troppo, in primo luogo perché non sappiamo se nel caso della nostra bilingue l’originale fosse stata la redazione accadica o quella ittita, poi perché l’immagine del leone non è inconsueta nei testi ittiti (cfr., per esempio, nel testamento dello stesso ÷attušili I (Col. II 39), per quanto anche questo documento fosse redatto in due versioni, accadica e ittita). Il Goodenough (Jewish Symbols in the Greco-Roman Period, VII. Pagan Symbols in Judaism, New York 1958 [= Bollingen Series 27], 37-45) ritiene che gli Ittiti considerassero il leone come simbolo del potere divino. È noto, del resto, che i leoni compaiono spesso nell’arte ittita in raffigurazioni di vario genere, come attributi di diverse divinità. r. 23. [ša-ra-a š]u-un-na-aø-øu-un: si tratta forse della solita frase: “e la mia casa (o, la mia città) col bottino empii fino all’orlo”; cfr. Ro I 2021. r. 26. L’integrazione è secondo l’esemplare VBoT 13 r. 4 (cfr. la nota relativa a p. 34), ed A Ro 37. r. 27. Per le integrazioni entro questa riga, cfr. VBoT 13 r. 5 ed A Ro 38. Anche i segni da noi indicati fuori della lacuna sono danneggiati nella parte superiore, ma si possono riconoscere. r. 28. 3 ALAM: nel passo corrispondente in A Ro 39 si trova: 13 come U 3 ALAM÷I.A. Si potrebbe intendere il gruppo di segni (ALAM÷I.A) (U è documentato talvolta, sebbene assai raramente, al posto di Ù), e pensare che le tre statue fossero offerte alle tre divinità Allatum, Atalur e Liluri, e che i due bovi fossero invece per il dio della Tempesta, per quanto non sembri esserci, in questo testo, una regola relativa al numero degli oggetti offerti agli dèi. Certo, nelle nostre due redazioni, A e H, si trova sempre la congiunzione Ù. Inoltre, anche nell’esemplare VBoT 13 r. 6 c’è scritto 13 ALAM, e questo mi lascia perplessa sulla validità della correzione proposta sopra.

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r. 29. øamri-, santuario per divinità hurriche, cfr. J. Friedrich, HW Erg.-Heft 4. In hurrico il suffisso -ta esprime il caso direzionale, cfr. J. Friedrich, HE I, 24 § 93 c. r. 29. Nel testo I-TA-A-RU, corretto in I-GA!-A-RU, “parete”, per il confronto con A Ro 39; cfr. A. Goetze, op. cit., 26 § 11. Nell’esemplare VBoT 13 7 si trova qui kuttašša, da kutt-, “parete, muro”, cfr. J. Friedrich, HW Erg.-Heft 2, 16. Anche in H Vo III 23 si trova kuttanna, cui corrisponde in A Vo 15 IGARA. rr. 32-33. TAM-LU-Ú, “incastonatura, incastonato rivestito”; così anche il J. Friedrich (HW Erg.-Heft 2, 34) ed il Goetze (op. cit., 26 § 12), contrariamente all’Otten (op. cit., 82), che traduce in questo punto nel corrispondente testo accadico “gutes Gold” (non so però come egli legga il termine in questione). r. 33. , così il Goetze, loc. cit., secondo il corrispondente accadico, nel quale si parla però di un tavolo d’oro. r. 38. Non essendo qui ripetuta la preposizione accadica A-NA, ritengo che in ÷epat, figlia della dea Allatum, si debba riconoscere il nome della dea Sole di Arinna, in base all’identificazione di questa con la suprema dea hurrica. Tale identificazione non ci giunge nuova, anche se ne abbiamo notizia per il periodo del Nuovo Regno, quando si era manifestata una tendenza ad assimilare le principali divinità del pantheon ittita con quelle corrispondenti del pantheon hurrico (cfr. E. Laroche, JCS 6 [1952] 122 nota 56). r. 39. [ki-i]-ma: integrazione in accordo con A Ro 44 ed anche secondo la r. 44 della redazione ittita. r. 41. IMITTU: in CAD 7, 126 e sg., E, “a kind of spear or lance”, in J. Friedrich, HW, 308 (con il determinativo anteposto URUDU), “Stütze”; si tratta forse di un’impugnatura di lancia? Dopo IMITTU si trovano nel nostro testo i resti di un segno che poteva essere sia KÙ.BABBAR che GUŠKIN. rr. 42-43. ÷URPALÛ, “mazza”, secondo CAD 6, 263 s.v. ÷UPTALÛ (vi sono citati anche alcuni esempi in proposito). r. 46. Come giustamente osserva il Goetze (op. cit., 26 § 14), l’espressione AYALU GUŠKIN si trova qui certo per errore; cfr. più 84

avanti, Vo III 13. In questa stessa riga viene menzionato un personaggio a nome Tawannaga (mTa-wa-an-na-ga-aš), ciò che non si accorda con A Ro 46, dove si parla invece di una città omonima, Taúnaga (URUTA-ÚNA-GA). Questa città viene avvicinata dal Goetze (loc. cit.) a ‘URUTa-wana-ka di KBo IV 13 I 45; egli si domanda però chi sia, in tal caso, l’uomo che perde la “sua testa”, di cui si parla in H Ro II 47-48. Ho cercato di spiegare il senso del difficile passo in cui si trova questo nome, accettandone la correzione URUTawannaga, secondo il corrispondente accadico, leggendo poi MÂRI.[ŠU(?)], e considerando arøa pêššir (r. 47) come una III pers. plur. usata impersonalmente, come si trova di frequente in ittita. Si potrebbe così intendere il passo: della città di Tawannaga suo(?) figlio (= il re) spinsero via (= cacciarono); a questo re ÷attušili farebbe poi tagliare la testa. Non potrei citare, però, esempi del genere. A meno che non si tratti, invece, del figlio di un personaggio, verosimilmente di rilievo, anche se a noi ignoto, a nome Tawannaga. Il dottor Carruba ha avuto la cortesia di comunicarmi che l’Otten legge, alla fine della r. 46, ma-a-ri-¦in©, e che le foto del documento non permettono di precisare ulteriormente la lettura dei segni rimasti nella lacuna. Mi fa anche osservare che nei testi ittiti per designare il “figlio” si usa il sumerogramma DUMU piuttosto che il termine accadico MARU (cfr. in R. Labat, L’Akkadien de Boˆazköi, Bordeaux 1932, 164), e che la scriptio plena MA.A.RI compare raramente nei documenti assiri e babilonesi, dov’è testimoniata di solito la forma MÂ.RI, o altre simili (cfr. in F. Delitzsch, Assyr. Handwörterbuch, Leipzig 1896, 390 ed anche in J. J. Gelb, Inscriptions from Alishar and Vicinity, Chicago 1935 [= OIP 27], 21 e sgg., per le forme cappadociche, ed inoltre v. W. von Soden, Grammatik, § 15e). r. 48. ku-e-ir-šu-un: da kuerš-, “tagliare”; è questa una forma nuova, poiché quella che troviamo di solito nei testi ittiti è kuer-; il tentativo di spiegare la forma kuerš come un iterativo luvio viene escluso dal senso. D’altronde, l’interpretazione di kueršun come “tagliarono” viene confermata dal corrispondente accadico NAKÂSU, in A Ro 46. r. 51. SA÷AR÷I.A-iš: questa lettura mi è stata suggerita dal prof. Meriggi, poiché una lettura iš-øi-a-iš sarebbe troppo difficile a spiegarsi; infatti, traducendo “e loro legati su portai”, ci aspetteremmo il participio išøiyanteš.

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Si potrebbe spiegare SA÷AR÷I.A-iš come un plurale collettivo, “polvere, caligine, oscurità, nebbia”, e intendere il passo “e a/per loro la polvere sollevai”, alludendo in tal modo all’intensità della battaglia, oppure “e a loro la caligine sollevai”, indicando metaforicamente che il re ittita aveva sollevato questi paesi dall’oscurità in cui erano immersi, portando loro la luce. Con il “dio del Sole” si allude qui probabilmente al re. Su SA÷AR, plurale tantum nei testi ittiti, cfr. H. Otten, Hethitische Totenrituale (1958) 127 e sg. (= Deutsche Akademie der Wissenschaften zu Berlin, Institut für Orientforschung, Veröffentlichung 37). r. 53. Ho inteso DUTU-uš come Ištanu, il dio Sole del cielo (cfr. la nota a Ro II 8), per quanto il complemento fonetico -u- potrebbe adattarsi anche a Wurušemu, la dea Sole di Arinna; questa dea, però, viene di solito menzionata insieme al nome della città a lei sacra, scritto ideograficamente o foneticamente. Cfr. anche la fine della nota precedente. r. 54.

: indicazione che la riga è incompleta.

Vo III r. 1. Per la similitudine “come un leone “, cfr. le note precedenti a Ro II 18-19. r. 2. Riguardo alla voce verbale tarkuwalliškinun, cfr. A. Goetze, op. cit., 26 § 15. r. 10. URU-ri-mi-it: cfr. la nota a Ro I 45. r. 13. Secondo il Goetze (op. cit., 26 § 17), AYALU indica qui un tipo di carro, ciò che lo induce a riflettere sul significato attribuito a questo termine in altri testi ittiti. Un’interpretazione del genere, però, è puramente ipotetica, infatti per il termine AYALU è ormai concordemente accettato il significato di “cervo”. Il Saporetti mi suggerisce la correzione .A.YA.LU(?) = MAYALTU “letto” (dunque con un significato analogo a MÂDNANU); avevo anch’io pensato a questa eventualità” ma non so se sia possibile una scrittura del genere. Si potrebbe anche accettare senza correzioni la presenza nella nostra frase di 1 AYALU GUŠKIN, “1 cervo d’oro” (che compare nella stessa 86

scrittura, inseritovi certo per errore, anche in Ro II 46) e pensare a qualcosa di analogo a quelle figurine stilizzate di cervi rinvenute frequentemente nelle tombe di Alaca Höyük; non troppo diversi dovevano essere, del resto, anche quei bovi o tori d’argento e d’oro, che si trovano tanto spesso menzionati come offerte anche nel nostro testo. Purtroppo, però, questi stendardi teriomorfi (che raffigurano sempre tori e cervi) non hanno paralleli in periodi più tardi. È noto tuttavia che il cervo era, con il toro, un animale sacro, ed il culto del dio cervo era assai diffuso in Anatolia in epoca ittita. Inoltre, oggetti di vario genere con raffigurazioni di animali, come tori, cervi e leoni, si ritrovano in tutta l’arte ittita. r. 15. Manca qui la frase corrispondente ad A Vo rr. 9-10, introdotta da: “io, il Gran Re, il Tabarna” (abbiamo in H soltanto la seconda frase introdotta allo stesso modo e corrispondente ad A Vo r. 11 sgg.). r. 17. Il sumerogramma KIN viene tradotto dal Goetze (JCS 14 [1960] 116) con “falce”; tale interpretazione è accettata anche dal J. Friedrich, HW Erg.-Heft 2, 30; l’Otten invece (op. cit., 83 nota 27) traduce “lavoro quotidiano”. Si deve infatti notare che manca qui il determinativo posposto URUDU, che segue appunto KIN, “falce”. In ogni caso, anche con la frase “togliere le mani dalle serve dalla macina e dei servi dalla falce (due oggetti simbolici per indicare un lavoro servile), si vorrebbe intendere ugualmente la loro liberazione dalla servitù. r. 18. Non ho tradotto in alcun modo i termini šaøøan e luzzi (H. Otten, loc. cit.: “Fron und Abgaben”), perché mi pare che le interpretazioni che ne sono state proposte finora, in relazione ad altri testi, non siano del tutto soddisfacenti. Cfr. in proposito A. Goetze, NBr. (1930) 54-59, e Kleinasien2 (1957) 108-109. Si tratta presumibilmente di prestazioni che si devono compiere e che sovente, ma non sempre, sono legate al possesso di terre. Nei testi dove compaiono questi due termini (anche in alcuni paragrafi della raccolta di Leggi Ittite) non si nota una distinzione evidente riguardo al loro uso, e non si può stabilire con certezza a quali categorie di persone fossero legati. rr. 18-19. Col verbo arawaøø-, “sollevare, rendere libero, esentare”, ci saremmo aspettati piuttosto l’ablativo che lo strumentale, per quanto

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sia noto che spesso questi due casi vengono usati l’uno al posto dell’altro; cfr. J. Friedrich, HE I, 70 § 229a. r. 19. Con l’espressione “e dalle (relativamente alle) loro cinture li disciolsi (oppure “e relativamente a quelli le loro cinture disciolsi”) si vuol indicare la liberazione di questi servi dalla loro servitù. Mi sembra opportuno qui richiamare un passo assai discusso, che compare nella raccolta di Leggi Ittite, II Serie, § 175 rr. 19-20, dove si vuol stabilire che i figli di una donna libera, che ha perso la sua libertà dopo due o tre anni di convivenza ininterrotta con un uomo non-libero, devono cadere anch’essi in stato di servitù. Questo si esprime mediante una frase che mi sembra la diretta antitesi alla nostra: (19) Ù DUMUMEŠŠU iš-øu-na-a-an-zi iš-øu-uz-zi-ya-aš-ša (20) Ú-UL ku-iš-ki e-ip-zi, “(19) e i suoi (= della donna) figli si degradino (cioè, cadano in servitù) ed alle cinture (20) nessuno (li) afferri”, nel senso cioè che nessuno ha la facoltà di sciogliere, liberare dalla servitù i figli nati da un’unione del genere. Riguardo alla frase che compare alla r. 20 del nostro testo, “e alla dea Sole di Arinna, mia signora, li cedetti” l’Otten osserva che in tal modo questi schiavi vengono subito trasferiti da una servitù ad un’altra, quella templare, in virtù della quale sono esonerati dal šaøøan e dal luzzi; in questo senso, egli conclude, si deve intendere in A Vo 14 (ed anche in altre iscrizioni accadiche) la frase “porre la libertà”. Riguardo a questo genere di esenzioni per gli addetti al servizio templare, cfr. nella raccolta di Leggi Ittite, I Serie § 51 (KBo VI 3 III 3-6). r. 23. In questa riga la scrittura giunge fino all’orlo della frattura, e nell’intervallo fra questo e il margine della tabella vi sarebbe ancora spazio per qualche segno, ma il contesto fa escludere che vi sia una lacuna. Si deve inoltre notare, in questa riga, che la scrittura ša-ra è inconsueta (gener. ša-ra-a), e che il segno cuneiforme usato qui per indicare É, “casa” è anomalo. r. 25. URUTi-ma!-na: in realtà nel nostro testo si trova scritto URUTi-išna, ma abbiamo letto URUTi-ma!-na per il confronto con l’esemplare KUB XXIII 20 8, e per la corrispondenza con A Vo 16, dove si trova URUDim!ma-na-ya; il Goetze (op. cit., 26 § 18) rimanda per un confronto a KBo I 1 Ro 12-21. 88

rr. 27-28. Non comprendo perché il Goetze (loc. cit.) dica che queste due righe non figurano in A: cfr. A Vo 17-18. L’integrazione alla r. 27, [(2 ALA)M], è secondo KUB XXIII 20 r. 9, e si accorda pure con le tracce rimaste dei segni; cfr. anche A Vo 17. r. 29. L’integrazione è secondo A Vo 18; ku[-iš-ki] in KUB XXIII 20 r. 10. r. 30. L’integrazione è secondo A Vo 19. r. 31. KARAŠ÷[(I).A]: integrazione secondo KUB XXIII 20 11; il Güterbock, op. cit., 1 e nota 10, integra ancora: KARAŠ.H[(I).A-YA-anmu(?) EGIR-an(?)], in base ad A Vo 19. r. 32. L’integrazione è secondo il Güterbock, op. cit., 1 e nota 20. A proposito del periodo che ha inizio in questa riga, dopo zâiš, e che continua fino alla r. 36 compresa, il Goetze (op. cit., 26 § 19, osserva che esso non deve avere come soggetto ÷attušili, ma un’altra persona, poiché vi si usa la III pers., mentre si ricomincia a servirsi della I pers. dalla r. 37 in poi (§ 20) (anche se in H le desinenze dei verbi dalla r. 37 in poi si trovano tutte nella parte lacunosa, in KUB XXIII 20 rr. 15 e 17 rimangono le desinenze di due verbi, alla I pers. sing. del preterito); si deve però ricordare che ÷attušili parla di sé in I e in III pers. nel primo paragrafo del nostro testo (per quanto si potrebbe, in questo caso, pensare all’uso della III pers. in forma di preambolo). Il Goetze confronta la forma che compare in H alla fine della r. 32, e che egli legge LUGAL-r[i ....], con la forma che si trova in A Vo 20, LUGAL-KI-NIŠU, e si chiede se non si debba leggere (o emendare) questo nome come (m) Šarru-ki-ni/nu/na, e riconoscervi il famoso re accado Sargon. Non così aveva inteso l’Otten, op. cit., 83. Ora il Güterbock, (op. cit., 1-6), essendo partito (ma indipendentemente) dalle stesse considerazioni del Goetze, è giunto anch’egli alla conclusione che il soggetto del § 19 fosse, molto verosimilmente, Sargon, re di Akkad. Egli osserva, op. cit., 1, che il segno rimasto in H dopo LUGAL può essere letto, oltre che r[i] (così A. Goetze, loc. cit.) anche z[i] e g[i]: quest’ultima possibilità richiama la lettura ittita del nome di Sargon, LUGAL-gi-na-aš; riguardo all’omissione del determinativo di persona davanti al nome, il Güterbock (op. cit., 1 note 5 e 6; cfr. anche Goetze, loc. cit., nota 2) osserva che ciò si riscontra comunemente, per questo nome, nei testi ittiti e øurrici, e talora anche in quelli accadici. 89

Egli porta inoltre argomentazioni di carattere storico-geografico, per convalidare la tesi che si parli, in tutto questo passo, di Sargon, re di Akkad. r. 33. [(URU)÷a-aø-øi-ma]: l’integrazione è secondo A Vo 21; il determinativo URU si trova in KUB XXIII 31 5; il Güterbock, op. cit., 1, integra [(URU)÷a-aø-øa-an-ma], ma nella nota 14 si chiede se non sia preferibile integrare con il dativo anziché con l’accusativo. r. 34. i-ya[-zi(?)] oppure i-ya[-at(?)], come ha integrato il Güterbock (op. cit., 1 e 2, e nota 15), il quale aggiunge poi [Ú-UL-an IZI-it(?)]. A proposito di quest’integrazione, si deve però osservare che in A Vo 21 si usa la stessa frase, anche se in forma negativa, della successiva r. 23, IŠA-TÚ Ú-UL IT-TA-DÌ, mentre, nel caso nostro, si usa nella r. 35 un’espressione che sembra diversa da quella affermativa che compare più avanti nella r. 39 (per quanto sia incerta l’integrazione tarnaøøun; cfr. anche H.G. Güterbock, op. cit., 2 nota 23), e non ci pare inoltre necessaria l’integrazione IZI-it, “col fuoco”, poiché l’idea di distruggere col fuoco è già contenuta nell’espressione arøa warnuzzi (warnu-, “bruciare”) della r. 35, che corrisponde ad arøa lukkit, che si trova nel duplicato KUB XXIII 20 13. r. 35. Integrazione secondo la successiva r. 40 ed A Vo 22; così anche il Güterbock (op. cit., 2 nota 16), che propone però anche l’integrazione tuø-øu-wa-in-na, cioè tuøøuwain+-a. r. 36. DU-ni: D÷umu(n)ni, oppure DZašøapuni. Il sumerogramma DU con il complemento fonetico -u(n)na- è letto da F. Sommer-H. Ehelolf (BoSt 10, 49) Zašøapuna-, e dal Brandestein (ZDMG 91, 566 sg.) ÷umunna-. ÷umunni è il nome hurrico-occidentale del dio della Tempesta, ittitizzato in D÷umu(n)naš; cfr. in proposito E. Laroche, Rech., 49, e, per il dativo, 109: DIM-un-ni, in KBo III 22 Ro 2. r. 37. Alla fine di questa riga il Goetze (op. cit., 26 § 20) postula la presenza di GIM-an, in accordo con A Vo 23: KI-I; secondo il Güterbock, op. cit., 2 nota 19, tale presenza, anche se possibile, non è necessaria per il contesto di H. r. 39. L’integrazione è secondo H Ro I 43. r. 40. Integrazione secondo A Vo 24; per il Güterbock (op. cit., 2 nota 23), invece, un’integrazione del genere è dubbia. 90

r. 41. nu URU÷a-aš-šu-wa, correzione secondo KUB XXIII 20 16; già il Goetze, loc. cit., si era prospettato l’eventualità di una correzione del genere. Duplicati: non potendosi escludere nei duplicati varianti grafiche rispetto a H, ho integrato in questi frammenti soltanto le parole di cui è rimasta traccia. KBo X 3 (203/p) Ro I r. 1’. Cfr. la nota alla r. 3 di H Ro I. r. 3’. Ú-UL: in H Ro I 4 si trova qui natta, cfr. la nota in proposito. r. 4’. ÉRINMEŠ-an 2-e: in H Ro I 6 mancano i complementi fonetici ittiti. r 6’. ÉRINMEŠ-aš: il complemento di termine è qui espresso solo grammaticalmente con l’indicazione dell’uscita del dativo, senza la preposizione accadica A-NA, come nel punto corrispondente in H Ro I 8. r. 7’. URUZa-al-pa: il complemento di moto a luogo è qui espresso solo grammaticalmente, con l’indicazione dell’uscita del dativo, senza la preposizione accadica I-NA, come nel punto corrispondente in H Ro I 9. r. 7’. nu: in H Ro I 9 [EGIR-an-d]a-ma. r. 8’. nu: in H Ro I 110 nu-uš-ši. r. 9’. URUA-ri[-in-na], scritto foneticamente; in H Ro I 11 URUTÚL-na. rr. 10’-11’-14’. pí-e-da-aø-øu-un, anziché pí-eø-øu-un, come nei punti corrispondenti in H Ro I 11, 12, 14. r. 11’. DU: in H Ro I 12 DIŠKUR. r. 13’. A[-NA(?)]: integrazione libera; può darsi che seguisse ancora nella lacuna É DMe-iz-zu-ul-a, come in H Ro I 13.

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KUB XXIII 31 (Bo 6074) Ro I rr. 4’-5’. Fra queste due righe c’è una linea di divisione di paragrafi che non compare in H Ro I, fra le corrispondenti rr. 26 e 27. IBoT III 134 (+) KUB XXIII 41 (Bo 331) r. 6’. Questo passo non compare in H Ro I 38-39. Riportiamo la traduzione delle 5 e 6: “un bove d’argento alla dea Katiti, alla montagna Araøapilanni, nel tempio della dea Sole di Arinna detti”. r. 8’. pí-e-da-aø-øu-un: in H Ro I 40 pí-eø-øu-un. r. 9’. Per le integrazioni delle lacune di questa riga, cfr. la r. 41 di H Ro I. KUB XXIII 33 (Bo 4294) Ogni riga di questa tavoletta (scritta in una colonna) contiene due righe del testo corrispondente in H Ro I 46-II 10. Vi si nota anche una diversa suddivisione di paragrafi. rr. 3’-4’. Cfr. le note a H Ro I 50-52. r. 5’. Cfr. la nota a H Ro I 53-54. VBoT 13 Questo frammento è parallelo ad A Ro 36-40, rispetto al quale presenta però delle varianti. r. 4’. DU EN ar-ru-uz-za: in A Ro 37 si trova DU EN AR-MA-RUUK. r. 5’. DA-da!-al-lu[-ur]: nel testo si legge però DA-iš-tap-al-lu[-ur]; la correzione è secondo H Ro II 27 ed A Ro 38 (cfr. anche E. Laroche, OLZ 57 [1962] 27). r. 6’. 13 ALAM: cfr. in proposito la nota a H Ro II 28.

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r. 7’. ku-ut-ta-aš-ša: in H Ro II 29 I-TA-A-R U, corretto in I-GA!-ARU, cfr. precedentemente la nota relativa. KUB XXIII 20 (Bo 3229) Ogni riga di questa tavoletta (scritta in una colonna) contiene due righe del testo corrispondente in H Vo III 14-42. Vi si nota anche la mancanza di linee di separazione di paragrafi. r. 10’. [fDMal]an: manca poi la congiunzione enclitica -a (contenuta nella sillaba -ma), cfr. H Vo III 29. r. 13’. Cfr. la nota a H Vo III 34. KUB XXIII 31 (Bo 6074) r. 2’. Il Güterbock (op. cit., 1 nota 9) legge qui La?-ba?[-...]. r. 3’. Dopo [G]ÌR manca il determinativo del plurale MEŠ, che si trova invece in H Vo III 32. r. 4’. Prima della menzione della città di ÷aøøa (al genit., come in H Vo III r. 33?) manca il determinativo URU. r. 6’. ]-qa(?): è forse l’ultima sillaba di kuwatqa o kuelqa? r. 7’. [DU]: integrazione secondo H Vo III 36; così anche H.G. Güterbock, op. cit., 2 nota 17. r. 8’. Il Güterbock (op. cit., 2 nota 19) integra così la lacuna all’inizio della riga: [LUGAL.GA]L(?)-ma, in accordo con H Vo III 37; questo completamento però non mi convince troppo, perché non vedo corrispondenza fra le parole rimaste nelle due righe. Le tracce rimaste nella r. 8 dopo la lacuna, prima di -ma, possono anche giustificare la lettura ši, o LIM, o wa (si tratta forse dell’ultima sillaba di [URU÷aššuw]a?). r. 10’. Integrazione secondo A Vo 23; così anche H.G. Güterbock, op. cit., 2 nota 23; per una possibile integrazione del nome o dei nomi divini contenuti nella lacuna dopo A-NA, cfr. H Vo III 4 e la relativa nota *.

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VI.

É duppaš, LÚtuppanuri *

Nella tavoletta ABoT 571 e nel paragrafo corrispondente in KBo IV 10 (Ro 40-47) si parla della concessione da parte di un sovrano ittita3 al re del paese di Tarøuntašša di particolari esenzioni da obblighi militari, per permettere ai soldati di questo paese di adempiere ad alcune prestazioni di lavoro dovute alla divinità. Dalle rr. 13-19 di ABoT 57 e dalle corrispondenti rr. 42-44 di KBo IV 10 apprendiamo che esisteva un obbligo per la “casa della tavoletta (É duppaš) del paese del fiume ÷ulaya” (in questo caso, cioè, del paese di Tarøuntašša)4 di fornire al paese di ÷atti guerrieri su carri e soldati a piedi. Riportiamo il passo in proposito tratto da KBo IV 10, poiché qui è più completo: 2

Ro 42 . . . nu-ut-ta LUGAL MUNUS.LUGAL-ya ki-i iš-øi-ú-ul i-e-ir ANŠU.KUR.RA KARAŠ-wa-aš-ši 43 ku-it I-NA URU÷at-ti ŠA KUR ÍD÷u-la-ya É du-up-pa-aš øar-zi na-atši-ya-at DUTUŠI ar-øa pí-eš-ši-ya-at nu-uš-ši zi-la-du-wa ŠA URU÷at-ti 44 la-aø-øi-ya-an-ni 2 ME i-ya-at-ta-ru ŠA É du-up-pa-aš ma-aš-ši KARAŠ÷I.A li-e nam-ma ša-an-øa-an-zi ... * Queste pagine fanno parte di un ampio lavoro sui testi ittiti relativi ad esenzioni da tributi e da prestazioni, al quale attendo da tempo. Le offro al Prof. Meriggi con una gratitudine e devozione affettuosa, di cui avrei voluto dargli un più cospicuo segno. 1 Pubblicata dal K. Balkan in ABoT 57; v. anche la descrizione del documento a p. IX sg. 2 È questo un trattato di vassallaggio stipulato fra un sovrano ittita, probabilmente ÷attušili III durante i suoi ultimi anni di regno, e il re di Tarøuntašša. Per gli studi su questo documento, v. E. Laroche, CTH, 68. 3 Come abbiamo già detto nella nota precedente, si tratta con molta probabilità di ÷attušili III; comunque, dei problemi relativi alla datazione di questi documenti tratterò diffusamente altrove. 4 Sul paese del fiume ÷ulaya, v. J. Garstang- O.R. Gurney, Geogr. (1959) 69-72.

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42 “...allora per te (= il re di Tarøuntašša) il re e la regina (di ÷atti) questo concordato fecero: i guerrieri su carri e i soldati a piedi, 43 che nella città di ÷atti la “casa della tavoletta” del paese del fiume ÷ulaya ha (da consegnare), allora a lui ciò il Mio Sole tolse, e per l’avvenire per lui 44 in una spedizione militare della città di ÷atti 200 (uomini) vadano, ma i soldati a piedi della “casa della tavoletta” a lui non si chiedano più...”. Ancora non è chiaro il valore dell’espressione É duppaš.5 Il Güterbock,6 a proposito della corrispondente espressione sumerica É DUB.BA.A, che compare in un testo epistolare ittita da lui preso in esame (ABoT 65 Vo 8), osserva che nei documenti cassiti contemporanei provenienti da Nippur essa designa notoriamente una “Institution”,7 non conosciamo invece ancora il carattere di queste “case della tavoletta” presso gli Ittiti.8 La lettera sopra citata9 è stata scritta da un certo Tarøuntišša, non meglio noto, a Palla, forse da identificarsi con uno scriba dello stesso nome.10 Nel paragrafo che a noi interessa Tarøuntišša si lagna di essere perseguitato dal padre di un certo Atiunna: Vo 8 9 10 11

nu øa-an-da-a-an A-NA mA-ti-u-un-na I-NA ¦É© DUB.BA.A ki-iš-ša-an me-ma-aø-øu-un A-BU-KA-wa-mu-uš-¦š©a-an EGIR-an-pát ki-it-ta-ri EGIR-an a¦r-ø©a-wa-…a-a¦š©-mu Ú-UL nam-ma ne-e-a-ri Ú-UL-w¦a©-[ra]-aš [k]i-¦i©

V. ABoT 57 rr. 15, 18; KBo IV 10 rr. 43, 44. In ADTCFD 2 (1944) 402. 7 Egli rimanda alla dissertazione del Balkan, Önasyada feodalizm ara$timalar½ I: Kaslar devrinde Babil, riassunta in ADTCFD 2 (1944) 45 sgg. 8 Il Friedrich, HW, 228, definisce É duppaš come “nicht näher bekannte Institution”, ma non uguale a É DUB.BA.A “casa della tavoletta, scuola”. 9 V. H.G. Güterbock, op. cit., 399-405; E.F. Weidner, AfO 15 (1945-1951) 153 sg.; L. Rost, MIO 4 (1956) 345-350. 10 Cfr. in proposito L. Rost, op. cit., 347 nota alla r. 2 del Recto. 5

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8 9 10 11

“Ed invero ad Atiunna nella “casa della tavoletta” io parlai nel modo seguente: “Tuo padre mi incalza/perseguita ancora, egli non mi lascia più in pace; egli non...”.

La Rost, riprendendo in esame questo documento,11 dopo aver rilevato, d’accordo col Güterbock, la singolarità della presenza dell’espressione É DUB.BA.A nei testi ittiti, sostiene che essa indichi qui la “scuola”. Pensa infatti che Tarøuntišša, poiché si rivolge allo scriba Palla con l’espressione “mio amato fratello” (ŠEŠ.DUG.GA-YA), debba anch’egli appartenere alla casta degli scribi; inoltre riconosce come scribi anche altri due personaggi menzionati nella stessa lettera, ÷attušili e Armaziti, e quindi l’interpretazione “scuola” si adatterebbe, a suo avviso, a tutto quanto il testo.12 Questi argomenti non mi sembrano sufficienti per giustificare tale interpretazione in questo documento. Come giustamente ha messo in rilievo il Güterbock, i corrispondenti di questa lettera appartengono con molta probabilità alla categoria dei possessori di feudo13 e vi si parla di intrighi per la sottrazione di questi beni;14 inoltre, anche se effettivamente sono testimoniati scribi coi nomi di ÷attušili e di Armaziti, non è però sicura la loro identificazione nel nostro testo;15 infine l’espressione “mio amato fratello” può essere un’allocuzione dell’uso epistolare.16 Si tratta del lavoro citato alla nota 1. V. L. Rost, op. cit., 348, continuazione della nota alla r. 2 del Recto, e 349 sg. 13 Ciò che però non escluderebbe che fossero anche scribi; v. l’esempio di Šaøurunuwa in KUB XXVI 43, ma di questo documento parlerò a lungo altrove. 14 Il Güterbock, op. cit., 402 sg., fa appunto notare che il mittente di questa lettera è certo un possessore di feudo, poiché nel Verso egli si lamenta che gli è stata portata via la “sua casa”, cioè i suoi beni; la frase alla r. 6: “tu non ti saresti indispettito?” lo induce a pensare che Palla fosse implicato in questo intrigo. Quindi, conclude il Güterbock, quando designamo questa lettera come il primo documento privato ittita a noi noto, dobbiamo però tener presente il rango dei corrispondenti, che non sono comuni persone private, ma appartenenti alla nobiltà, alla categoria dei possessori di feudo. 15 V. infatti E. Laroche, NH (1966) 66 e 41. 16 La Rost, op. cit., 349, per il valore di É DUB.BA nell’àmbito sumero-accadico, cita i lavori di A. Falkenstein, WO (1948) 172-186; N.S. Kramer, JAOS 69 (1949) 199215; B. Landsberger, JCS 9 (1955) 121-131. In questi articoli si prendono in esame anche altre espressioni come DUMU É DUB.BA “figlio della casa della tavoletta” e DUB.SAR “scrittore di tavolette”. Particolarmente interessante è l’osservazione del 11

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In un frammento molto esiguo, probabilmente di un rituale, compare l’espressione duppaš parnaš, ma il testo è troppo breve per poterci offrire qualche aiuto.17 In un documento in cui si emanano istruzioni al personale del Palazzo per garantire la purezza del sovrano (KUB XIII 3 III 10) si trova una espressione che si può leggere come É LÚ dup-pa-a-aš.18 Nel contesto di cui essa fa parte si stabilisce che “i lavoratori del cuoio della casa dell’uomo taršipaliyaš, della casa dell’uomo duppâš (LÚMEŠ AŠGAB ŠA É LÚ taršipaliyaš ŠA É LÚ duppâš) ecc.” devono prendere pelli di bove e di capra soltanto dalla “casa del cuoco”. In ABoT 57 (e nel paragrafo corrispondente in KBo IV 10) mi sembra che l’espressione É duppaš designi una “sede dell’amministrazione”, la sede, cioè, delle tavolette su cui era segnata la contabilità.

Landsberger (op. cit., 125 nota 22), il quale, dopo aver ricordato la possibilità di alternanza di questi due termini (già rilevata dall’Ungnad, BA 6 [1909] 61), afferma che il titolo DUMU É DUB.BA era riservato agli scribi dell’amministrazione reale, e soprattutto a scribi militari, e non si riferiva ai comuni scribi di villaggi (v. anche F. Thureau-Dangin, RA 21 [1924] 25, Nr. 11, r. 22). Del resto lo stesso Kramer, in un’appendice al lavoro sopra citato, in base ad alcuni suggerimenti fornitigli dal Landsberger, a p. 214, r. 1, dice che il DUMU É DUB.BA non designa uno scolaro; come aveva pensato, ma “an old graduate of the É DUB.BA”. 17 FHG 16 II 4, in E. Laroche RA 46 (1952) 42 e Tav. III. FHG 16 Ro II: 1 ]-an 2 ]øa-an-ni-ya-aš 3 ]a-at-ta URU(?)Iš-wa-ri 4 ]dup-pa-aš par-na-aš i-en-zi 5 ________________________ 6 -u]š(?) KUŠkur-ša-aš 7 ]. ku-it ni-ni-i¦n©-kán 8 ]É-az p¦í©-an-zi Il Friedrich, in FsMeissner (1928) 47 e 53, legge qui LÚappâš, e a p. 49 nota 5, e a p. 53 definisce il termine come un nome di professione finora noto soltanto in questo testo; v. anche in HW, 25, s.v. LÚappâ-; diversamente invece in HW, 228; anche il Goetze, ANET (1950) 207, legge qui LÚappâš. Comunque, il segno qui riconosciuto come ap è uguale al primo segno leggibile nella r. 4 di FHG 16 Ro II (cfr. la nota precedente). 18

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Tale interpretazione troverebbe, a mio avviso, conferma nella corrispondente espressione accadica BIT DUPPAŠŠI, presente in un testo di Ugarit19 nel quale si legge che il sovrano ittita Tutøaliya IV ha concesso al re di Ugarit (Ammistamru II) l’esenzione dal partecipare con truppe a piedi e su carri alla guerra contro l’Assiria, ma in cambio di tale esenzione “(17) il re di Ugarit 50 mine d’oro (18) provenienti (prelevate) da 10 carovane (!) del BIT DUPPAŠŠI (19) al Mio Sole ha dato”. Questo passo è formulato in maniera analoga a quello da noi preso in esame in ABoT 57 (e in KBo IV 10) e mi sembra che l’interpretazione qui proposta per É duppaš sia convalidata da quella che il Nougayrol ha dato per l’espressione BIT DUPPAŠŠI: una specie di “banca” o di “contabilità centrale”, di cui il commercio di stato di Ugarit si serviva nella capitale ittita.20 Nel caso nostro, potrebbe trattarsi di una “sede dell’amministrazione” del paese di Tarøuntašša, o, meglio ancora, di “sedi amministrative” dislocate dal regno di ÷atti nei paesi a lui soggetti. Qui tali sedi dovevano, ovviamente, assumere maggiore importanza che non nel paese di ÷atti stesso, poiché servivano per raccogliere tributi per il sovrano. Sulla base di questa interpretazione, si può riesaminare la questione del significato del titolo di un alto dignitario della corte ittita, menzionato nei documenti di Ugarit ed al quale il re di questo paese doveva consegnare un tributo. Si tratta del dignitario designato come LÚtuppanuri e LÚtuppalanuri (ugaritico tpnr)21e citato in questi documenti insieme ad PRU IV, 149-151, Nr. 17.59 r. 18; v. J. Friedrich, HW Erg.-Heft. 1, 22. PRU IV, 22. Il Nougayrol fa inoltre notare che gli Ugaritici residenti all’estero, per ovviare alcune difficoltà, venivano talvolta a formare delle associazioni (TAPPÛTU: PRU IV, 221, Nr. 17.383, ultimo paragrafo) con divinità locali. Ciò fa venire in mente la colonia di (commercianti) fenici a Pyrgi e il sincretismo evidente delle loro divinità con quelle etrusche locali. Sul valore del TAPPUTU, v. W. Eilers, Gesellshaftsformen in altbabylonischen Rech, Leipzig 1931 (= LRSt 65). Cfr. in PRU IV, 264, il termine TAPPU “socius”, su cui si forma l’astratto TAPPUTU. Diversamente il Liverani (Storia di Ugarit, Roma 1962, 111 e nota 51) interpreta, del resto con molte riserve, l’espressione BÎT DUPPAŠŠI. 21 LÚtuppanuri: PRU IV, 82 Nr. 17.382 r. 36, accordo fra Muršili II e Niqmepa di Ugarit, e pag. 47 sg., RS 11.732 A r. 7, B r. 5, inventario di tributi per la corte ittita; LÚtuppalanuri: PRU IV, 42, 44, Nr. 17.227 r. 30, e duplicato Nr. 17.347 r. 15’, accordo fra Šuppiluliuma e Niqmadu di Ugarit, e la versione ugaritica di questo accordo, pag. 46 r. 31’ (dove appunto a LÚtuppalanuri corrisponde ltpnr); v. anche pag. 264. Questo 19

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altri grandi del regno, dopo il re, la regina e il principe ereditario (TARDENNU).22 Il Goetze23 considera il termine LÚtuppanuri- come hurrico: *tuppanni-(u)ri, di cui -(u)ri sarebbe il suffisso hurrico corrispondente a GAL “grande, capo”, e *tuppan-ni significherebbe “il potente”.24 A suo avviso, il titolo *tuppan-ni si accorda con le funzioni del LÚUKU.UŠ, ufficiale militare ittita di alto rango. Dal Nougayrol apprendiamo però che accanto alla forma tuppanuri esiste una forma tuppalanuri25 che esclude l’interpretazione del Goetze. Il Laroche26 spiega la forma tuppanuri come tuppan, genit. plur. in an di tuppi- “tavoletta”, + uri- “grande”:27 si tratterebbe quindi del “grande delle tavolette”, mentre spiega la forma tuppalanuri come tuppalan, genit. plur. di *tuppala- “scriba” (nome ittita di agente in -ala-) + uri: sarebbe dunque il “grande degli scribi”, il GAL.DUB.SAR. Questi - rileva il Laroche - aveva un posto eminente nella gerarchia ittita, secondo quanto dimostra l’ammontare del tributo a lui dovuto: esercitava probabilmente la funzione di cancelliere e di ministro degli interni. È però evidente l’equivalenza dei due titoli, LÚtuppanuri e LÚtuppalanuri, nei documenti ugaritici da noi esaminati.28 Ora, ci chiediamo in che rapporto potesse stare il LÚtuppaš (KUB XIII 3 III 10) col LÚtuppan-uri e col LÚtuppalan-uri. È possibile che il LÚtuppaš “uomo della tavoletta” equivalesse nel significato al nomen agentis LÚtuppala- e così pure il LÚtuppan inteso come genitivo plurale di LÚtuppaš, nel senso cioè di “uomo delle tavolette”. Si potrebbe quindi considerare il LÚtuppan-uri non come il titolo non compare finora nei testi ittiti, v. J. Friedrich, HW, 228; Erg.-Heft 1, 21 e sgg.; Erg.-Heft 2, 26. 22 Per questo significato del termine TARDENNU nei testi di Ugarit, v. J. Nougayrol, PRU IV, 264, e M. Liverani, Storia di Ugarit, 106 sg., ed in OA 1 (1962) 254sg. 23 RHA 12 (1952) 4 sg. 24 Hurrico tu-bu-e = Sumer. KALAG.GA “forte, potente”: vi si può riconoscere il primo elemento del nome Tuppi-Teššup. 25 PRU IV, 42 nota 1: tale forma non può essere un semplice lapsus, poiché si ritrova in un duplicato e le due tavolette non sono copiate l’una sull’altra. 26 RHA 14 (1956) 26-32. 27 Su uri-/ura- “grande” nel lessico luvio e ittita, v. E. Laroche, op. cit., 28 e 32 nota 1. 28 Cfr. note 21 e 25.

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“grande delle tavolette”, ma come il “grande (degli uomini) delle tavolette” (con una sola indicazione di persona), ciò che spiegherebbe anche l’equivalenza dei due titoli LÚtuppanuri e LÚtuppalanuri. Ora, pur riconoscendo per l’ “uomo della tavoletta” e per il LÚtuppala come primo significato quello più ampio di “scriba”, se però accettiamo per É duppaš la specifica interpretazione di “sede amministrativa”, potremo allora considerare il LÚtuppanuri/LÚtuppalanuri come “un sovrintendente, un capo degli addetti all’amministrazione”. Questo dignitario aveva probabilmente il compito di tutelare gli interessi del re di ÷atti nei paesi a lui soggetti ed era incaricato della esazione dei tributi per il sovrano. La sua funzione assumeva quindi una grande importanza soprattutto all’estero: per questo egli, nei citati documenti di Ugarit, compare in posizione preminente e gli spetta un tributo assai alto.

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VII.

“SIGNORI” E “FIGLI DEL RE”

Fra i cosiddetti “testi di istruzione”1 emanati da sovrani ittiti per dignitari o altre categorie di persone che operavano nell’àmbito militare, cultuale o del Palazzo, ve ne sono alcuni diretti ai BÊLU/ENMEŠ e ai DUMUMEŠ.LUGAL, ai “signori” e ai “figli del re”.2 È noto che nei testi ittiti il termine “signore” compare talora come appellativo generico di chi occupava una posizione elevata (anche dello stesso sovrano o di una divinità), oppure ricorre in espressioni del tipo EN SISKUR (“signore del sacrificio” = il committente del sacrificio), ešøanaš išøa- (“signore del sangue” = l’erede della vittima di un omicidio, il vindice), EN QÂTI (“signore della mano” = artigiano), ecc.,3 talora invece si trova come designazione degli appartenenti ad una categoria di rango assai alto, intesa come l’insieme di dignitari che non avevano né lo stesso titolo né le stesse funzioni, ma ai quali spettava la denominazione di BÊLU/ENMEŠ: “qualcosa, in sostanza, di più specifico di una semplice

Su questa designazione, talora impropria ma ormai comune fra gli studiosi della civiltà ittita, v. E. Laroche, CTH, 35, e un nostro lavoro in RHA 32 (1974) 149 sg. 2 V. CTH 255 e E. v. Schuler, Heth. Dienst., 22-34: di questo testo i §§ 1-21 contengono istruzioni per i BÊLU/ENMEŠ e i DUMUMEŠ.LUGAL, e i §§ 22-31 (separati dai precedenti mediante un doppio tratto) contengono istruzioni per i LÚMEŠ SAG. Esiste anche un altro testo di istruzioni specificatamente per i LÚMEŠ SAG (v. sempre CTH 255 e v. E. v. Schuler, op. cit., 8-21), dove compaiono anche i “signori” e i “figli del re” (§ 6 C r. 7, § 22 r. 33; per quest’ultimo paragrafo v. più avanti, nota 6). Troviamo insieme i “signori” e i “figli del re” anche nelle “istruzioni militari” emanate da un re Tutøaliya (CTH 259), v. S. Alp, Belleten 11 (1947) 390 r. 16 e 391 r. 26, e in altri testi: v. pp. 81 nota 6 e 87 nota 40. Può essere interessante notare la presenza in documenti ieroglifici del titolo DUMU.LUGAL insieme a quello EN KUR (su cui v. più avanti), riferito alla stessa persona, tuttavia si deve tener presente che il titolo DUMU.LUGAL si associa anche con altre cariche (v. RHA 31 [1973] 61 nota 52). 3 V. J. Friedrich, HW, 271 e 306. Cfr. in ambito accadico CAD, B, 198.e. Sulla validità dell’interpretazione di EN QÂTI come “artigiano” è incerto il Diakonoff, MIO 13 (1967) 318 sg., nota 17. 1

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indicazione di rango o di classe, come potrebbe essere quella più generica di “nobili”.4 Ciò si può dedurre dal fatto che a questi “signori” erano dirette “istruzioni” o si richiedevano impegni sanciti mediante giuramento come ad altre categorie di dignitari,5 e che in molti testi essi compaiono elencati insieme ad altri dignitari6 o - presumibilmente - al posto di alcuni di questi7 inoltre da notare un passo in KUB XXV 23 (CTH 525) I 10 dove, Per la possibilità che in taluni casi il “signore” di un determinato paese indichi il re di quel paese, v. più avanti nota 21. 5 V. sopra nota 2. 6 Riportiamo qui soltanto alcuni esempi: KUB IX 1 II 17 (CTH 428): LÚ ] DU[B].SAR LÚ.MEŠBÊLUTIM LÚ.MEŠDUGUD-ya; Preghiera di Muršili II in occasione della peste (CTH 378), I Versione (A. Goetze, KlF 1, I/2 [1929] 166 sgg.), I 14 sg., 17,35: (14) DUMUMEŠ.LUGAL BÊLU÷I.A UGULA LÚMEŠ LÎMTUM LÚ.MEŠDUGUD (15) LÚ.MEŠSIG5 ÉRINMEŠ(-ya ANŠU.KUR)].RA÷I.A øûmanza, nelle rr. 17 e 35 non compaiono gli uomini SIG5 e le truppe a piedi e i combattenti su carri. Da questo testo apprendiamo che i personaggi su menzionati, che avevano prestato giuramento a Tutøaliya (r. 15), si erano poi uniti a Šuppiluliuma; alla r. 22 si legge: “]e i signori ruppero il giuramento”: sarebbe interessante sapere chi si trovava nella lacuna all’inizio di questa riga (forse soltanto i “figli del re”?) per comprendere il valore che poteva avere qui la menzione dei “signori”. Nelle “istruzioni per i LÚMEŠ SAG” (v. nota 2), nel § 22 r. 32 sgg. (v. E. v. Schuler, op. cit., 13), vediamo questi dignitari inviati insieme ai “figli del re” ed ai “signori” presso potenze straniere per trattare affari; si trovano ancora menzionati insieme i “signori”, i “figli del re” e i LÚMEŠ SAG: v. in E. v. Schuler, op. cit., 29 § 28 r. 43. V. inoltre la nota seguente. 7 In IBoT I 36 (CTH 262: L. Jakob-Rost, MIO 11 [1966] 165 sgg.), nella descrizione di una processione in cui l’ordine dei dignitari sembra regolato gerarchicamente, si legge: (III 6) namma GAL MEŠEDI paizzi EGIR-an-a-ši 2 LÚMEŠBÊ[LU panzi, “inoltre il capo dei MEŠEDI va e dietro a lui 2 signo[ri vanno”, e nelle righe seguenti si specifica: (7) mân GAL LÚ.MEŠIŠ našma UGULA 10 n-at ANA GAL MEŠEDI [EGIR-an?] (8) aranta “se (è) un capo degli uomini IŠ o un comandante dei 10, allora essi [dietro] al capo dei MEŠEDI si mettano”, donde si presume che i due dignitari ivi citati facessero parte della categoria dei “signori”; nelle seguenti rr. 14 e 18 compare ancora il capo dei MEŠEDI seguito dai 2 BÊLUTI (cfr. L. Jakob-Rost, op. cit., 215 sg.). In questo stesso testo I 63 sono menzionati i “signori” insieme all’UGULA LÎMTÎ “comandante dei 1.000”, che perciò non sembrerebbe compreso nella categoria dei “signori” (cfr. la nota precedente, e E. v. Schuler, Or 25 [1956] 216). Più generiche - anche se probabilmente riferite sempre a membri della categoria dei “signori” - si presentano invece le menzioni nella Col. III r. 9 (BÊLU kuiški contrapposto ad un MEŠEDI, r. 8) e nella Col. IV r. 20 (ta[m]aiš kuiški BÊLULUM sull’interpretazione di øantezzi[ ] in rapporto con BÊLU GAL di IV 22, v. L. JakobRost, op. cit., 220). Sui BÊLU GAL, v. nota 32 e poi note 35 e 39. In un passo delle “istruzioni per il ÷AZAN(N)U di ÷attuša”, KBo XIII 58 (CTH 257) II 22 sgg., leggiamo (22) ... kuiš BÊLU URU÷atti (23) naššu LÚUGULA LÎM našma 4

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durante una cerimonia religiosa, compiono insieme delle operazioni rituali i “LÚ.MEŠ SANGA LÚ.MEŠ GUDU BÊLU÷I.A ELLÛTI-y[a”, “i sacerdoti, gli unti, i signori ¦e© i nobili (lett. “liberi”):8 ora, se con BÊLU÷I.A si fosse qui voluto alludere genericamente a persone di alto rango, in cosa queste si sarebbero distinte dagli ELLÛTI menzionati subito dopo? Non mi sembra neppure inverosimile presumere che esistesse una gerarchia fra i BÊLUMEŠ per la presenza dell’espressione BÊLU GAL (v. più avanti, note 32, 35, 39). Cerchiamo ora di vedere quali funzioni competevano ai BÊLUMEŠ e quali potevano essere gli appartenenti a questa categoria. Dalle “istruzioni” loro dirette9 essi risultano assai legati al sovrano:10 si richiede loro ripetutamente fedeltà assoluta al re e ai suoi discendenti, al punto da accettare anche le amicizie e le inimicizie da lui imposte loro; si ribadisce in continuazione il loro dovere di proteggere il re e i suoi discendenti, la proibizione di partecipare a congiure e cospirazioni di ogni genere, e il loro obbligo di denunciarle immediatamente al sovrano, non appena ne abbiano sentore.

kuiš imma (24) BÊLU ...”: uno di questi dignitari doveva sovrintendere alla rimozione del sigillo collocato sulla porta della città per vedere se esso era a posto prima di aprire la porta suddetta; si trattava di un compito di grande responsabilità, da cui dipendeva appunto la difesa della città. Sul titolo “signore di ÷atti”, v. quanto abbiamo scritto in RHA 31(1973) 57 sgg.; il seguente titolo BÊLU è invece più generico, pur designando forse ugualmente l’appartenente ad una categoria determinata. Ricordiamo inoltre un testo frammentario contenente la descrizione di una festa, KUB X 13 IV 20 sgg. (CTH 670, v. S. Alp, Beamtennamen, 3), dove si dice che il re dà da bere nella mano ai “signori”, mentre nel paragrafo seguente, rr. 23-28 (cfr. E. v. Schuler, op. cit., 219) vediamo il re ripetere a stessa azione, solo che al posto dei BÊLUMEŠ del passo precedente sono qui elencati alti dignitari della corte e dell’esercito, presumibilmente compresi nella designazione “signori” del paragrafo precedente, tranne, forse, i “dignitari DUGUD e gli uomini della lancia” (r. 26), distinti dai precedenti dignitari dalla congiunzione Ú (cfr. E. v. Schuler, op. cit., 216 ed anche 212; cfr. pure nel presente lavoro, p. 109 con nota 32 e successivamente nota 39). 8 Sul valore di ELLU nei testi ittiti, v. J. Friedrich, HW, 307, ed HW Erg.-Heft 1, 31, H.G. Güterbock, negli Atti della XVIII R.A.I., München 1970 (Bayerische Akademie der Wissenschaften, München 1972) 96 sg., e G.G. Giorgadze, nel compendio dell’Internationale Tagung der sozialistichen Länder, Budapest 1974, 29-31. 9 V. p. 103 nota 2; cfr. anche E. v. Schuler, Historia 7 (1964) 46. 10 Come i “figli del re” ed i LÚMEŠ SAG.

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Sempre in queste “istruzioni”, nel § 2 r. 4 sgg.11 ci si rivolge ai BÊLU÷I.A KARAŠ÷I.A “signori degli eserciti” e a “quelli che non (sono signori) degli eserciti” (Ú-UL-ya kuiêš Š[A? K]ARAŠ÷I.A), e a colui che (è) un Grande,12 ma (anche?) a chi non (lo è), affinché intervengano rapidamente contro chi compie un’azione malvagia nei riguardi del re. E nel § 10 r. 12 sgg.13 ci si rivolge ai “signori” che al primo posto amministrano i posti di osservazione/di guardia14 - evidentemente quei “signori” che rivestono la carica di BÊL MADGALTI15- e si ribadisce loro il dovere di difendere le frontiere e di non tramare con i fuoriusciti (così anche nel § 11).16 Nel § 17 r. 13 sgg.17 si parla ai “signori” e ai “figli del re” che hanno incarichi inerenti all’amministrazione, o meglio che reggono distretti amministrativi,18 e si proibisce loro di ribellarsi al re, d’accordo con quei sudditi (secondo il v. Schuler residenti in province di V. E. v. Schuler, Heth. Dienst., 22. Ritengo possibile che si volesse qui indicare un BÊLU GAL, dato che in questo passo ci si rivolgeva appunto ai BÊLUMEŠ (v. anche nel paragrafo seguente), e proprio per tal motivo escluderei che si alludesse qui più genericamente a qualcuno dei “grandi” (LÚ.MEŠGAL(.GAL)/LÚ.MEŠRABUTIM). Ricordiamo inoltre che un “capo dei signori” come un “figlio del re” - poteva eccezionalmente assumere il comando dell’esercito (v. p. 110 con nota 35). 13 Cfr. E. v. Schuler, op. cit., 24. 14 šumêš kuiêš BÊLU÷I.A øantezi aúriuš maniyaøøeškatteni: si fa qui un preciso riferimento ai paesi di Azzi o ÷ayaša (da nord-est dell’altipiano anatolico fino all’Armenia), di Gašga (a nord di ÷atti, lungo la costa del Mar Nero) e di Luqqa, nella parte sud-occidentale dell’Asia Minore, probabilmente nella zona della classica Licia: cfr. E. v. Schuler, op. cit., 30. 15 Cfr. infatti, a tal proposito, anche un passo delle “istruzioni per i militari” emanate da un re Tutøaliya, KUB XIII 20 (CTH 259) I 28-37, dove, dopo una prescrizione per quel “figlio del re” o quel “signore” che offende il sovrano davanti all’esercito (I 26 sgg.: v. nota 36), ci si rivolge specificatamente a “voi, signori (BÊLUMEŠ) che amministrate (maniyaøøiškatteni) le truppe a piedi, i combattenti su carri, i posti di osservazione/di guardia (aúriuš)”. Cfr. anche più avanti (p. 108), a proposito dei “signori” che governavano distretti amministrativi. 16 Cfr. ancora il testo citato nella nota precedente, KUB XIII 20 I 1-3, dove si specifica il dovere del BÊL MADGALTI di sorvegliare gli ufficiali subalterni e di impedirne la diserzione, inoltre di inviare al Palazzo i disertori, poiché il giudizio di questi spettava al re: v. in proposito un nostro lavoro nella RHA 31 (1973) 63 sg. 17 Cfr. E. v. Schuler, op. cit., 26 e 31. 18 šumêš kuiêš BÊLU÷I.A DUMUMEŠ.LUGAL maniyaøøeškatteni. Per la possibilità di interpretare il verbo maniyaøø- anche nel senso di “amministrare” e il sostantivo maniyaøøâi- come “amministrazione, distretto amministrativo”, v. J. Friedrich, HW, 135, HW Erg.-Heft 1, 13, Erg.-Heft 3, 23, e i testi e la bibliografia ivi citati. 11

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confine) intolleranti dei gravami loro imposti dalla corte ittita. Questa interpretazione del paragrafo, proposta dal v. Schuler, mi sembra assai plausibile: a noi interessa in particolar modo il passo che mostra i “signori” e i “figli del re” addetti all’amministrazione di paesi periferici, dove sono tenuti a richiedere l’adempimento del šaøøan.19 Che i “signori” potessero venir preposti all’amministrazione di paesi situati sotto il dominio ittita risulta anche da altri testi, tra cui ricordiamo KBo XVI 17 III 26 sg.,20 dove si legge: (26) n-an ENLAM iyanun nu-ši KUR URUKalâšma (27) maniyaøøuwanzi peøøun, “(26) ed io (= Muršili II) lo (= Aparru, uomo di Kalašma) feci signore e a lui il paese di Kalašma (27) ad amministrare detti”.21 Su questa base mi sembra possibile la seguente interpretazione di KUB XXIV 13 (CTH 780) III 21 sg., dove sono menzionati al genitivo i: (21) LÚ.MEŠ RABUTIM LÚ÷AZZIYANNI (22) LÙ!maniyaøøiyaš EN-aš LÚ.MEŠ DUMU.É.GAL, “dei Grandi, del ÷AZZANNU, del signore del distretto amministrativo (?), dei figli del Palazzo”.22

19 V. r. 15, sempre del § 17. Anche altri dignitari, quali l’EN KURTI, il BÊL MADGALTI e il MAŠKIM URUKI, avevano analoghi incarichi amministrativi e spettava loro il compito di provvedere a far adempiere l’ELKU ed anche il šaøøan e il luzzi v. quanto abbiamo scritto in proposito in RHA 31 (1973) 56 sg. con nota 36, ed anche nel presente articolo, p. 108. 20 CTH 61, 10; v. H. Otten, MIO 3 (1955) 172 sgg. 21 In questo testo Muršili II racconta che Aparru, venuto meno al giuramento di fedeltà nei suoi riguardi, gli fece guerra, legando a sé il paese di Kalašma, che egli “governò la maniera di un re” (r. 30 sg.: n-at LUGAL ueznaš iwa[a]r [t]aparta, v. H. Otten, op. cit., 173 sg e nota 57). Questa frase mi sembra dimostrare appunto che in questo caso l’espressione “far qualcuno signore di un paese” non equivale a farlo re di questo paese, ciò che invece sembrerebbe verosimile - ma non del tutto sicuro - per altri casi: cfr., per esempio, il valore delle espressioni EN-iznanni/EN-izni/ENanni/AŠŠUM BÊLUTTIM tittan- ed EN iya- a proposito di Mašøuiluwa e Kupanta DLAMMA negli Annali di Muršili II e nei trattati internazionali di vassallaggio: v. A. Goetze, AM, 72 rr. 37 e 45, 144 r. 11, e 252 sgg., e V. Korošec, Heth. Staatsv., 55 con nota 3, e FsWenger, 211 nota 1; v. anche E. Laroche, NH, che cita Mašøuiluwa come re di Arzawa (Nr. 779,1), Kupanta DLAMMA come re del paese di Mira e Kuwaliya (Nr. 635.1) ed Abarru come uomo di Kalašma (Nr. 102.1); cfr. anche un nostro lavoro nella RHA 31 (1973) 61 sg. note 52 e 53, e R. Stefanini, Rendiconti Lincei 20 (1965) 57 e note 73-75; v. pure nel presente articolo, nota 38. 22 Il Goetze invece traduce qui “the noblemen’s, the mayor’s, the governor’s, the lord’s, the palace official’s”: in tal caso, però, si dovrebbe traslitterare LÚ maniyaøøiyaš (v. Tunnawi, 72 sg.); sul valore di maniyaøøai-, v. sopra nota 18.

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Appartenevano quindi verosimilmente alla categoria dei “signori” anche quei dignitari designati come EN KURTI “signore del paese”23 ed EN/BÊL MADGALTI “signore del posto di osservazione/di guardia”,24che governavano - quali rappresentanti del sovrano ittita distretti amministrativi con ampi e vari poteri.25 Facevano probabilmente parte della medesima categoria anche quei dignitari designati come “signore della città di ÷atti, di Nerik, di ÷urme ecc.”, titoli forse corrispondenti a quello di “signore di città”, presente nei documenti ieroglifici.26 Titoli analoghi si trovano anche al plurale: sono infatti spesso testimoniate espressioni come ENMEŠ KUR URU÷atti o ENMEŠ URU÷atti; è possibile che in questi casi il titolo piuttosto che riferirsi ad una delle cariche sopra citate - indicasse complessivamente gli appartenenti alla categoria dei “signori”; inoltre, quando questa designazione non conteneva il termine KUR “paese”, doveva per lo più designare i “signori” che esplicavano le loro funzioni nella capitale.27 Frequenti e di grande importanza erano pure le mansioni militari dei “signori”, sí che molti studiosi li considerano soprattutto capi militari:28 infatti essi compaiono molto spesso legati a contingenti bellici, quali truppe a piedi, combattenti su carri ecc., insieme ai quali talvolta si ripartivano la preda di guerra, e da loro dipendevano gli uomini DUGUD “capi di guarnigione”, dignitari verosimilmente appartenenti all’ambiente militare;29 vedremo inoltre più avanti come un BÊLU GAL Di questo dignitario ho trattato nella RHA 31 (1973) 57 sgg. V. in proposito il lavoro citato nella nota precedente, pp. 62 sgg. 25 V. le due note precedenti ed inoltre gli esempi riportati a p. 107 nelle relative note. Come vedremo più avanti, da alcuni passi citati alla nota 29 risulta la dipendenza degli uomini DUGUD (capi di guarnigione) dai “signori” ai quali giurano fedeltà; a tal proposito mi sembra interessante osservare la dipendenza degli uomini DUGUD anche dal BÊL MADGALTI (v. KUB XIII 2 [CTH 260] I 8-21, in E. v. Schuler, Or 25 [1956] 213-215; cfr. anche KUB XIII 20 [CTH 259] I 1-5), ciò che potrebbe confermare l’appartenenza di questo dignitario alla categoria dei “signori”. 26 V. quanto abbiamo detto in proposito in RHA 31 (1973) 59 sg. nota 48. 27 V. le pagine indicate nella nota precedente. 28 Cfr. E. v. Schuler, op. cit., 212 con nota 6, e qui sotto nota 29. 29 V. in J. Friedrich, HW, 271, dove EN è appunto tradotto con “Herr” e “General”; v. inoltre in A. Goetze, AM, 56 sg. r. 42 sgg., 76 sg. r. 34 sg., 78 sgg. r. 53 sgg., 114 sg. r. 19 (dove si trova l’espressione ENMEŠ KARAŠ “signori dell’esercito”, ed è menzionato con loro, r. 18 sg., anche Nuwanza, GAL GEŠTIN, alto capo militare; cfr. anche p. 124 sg. r. 20 sg.), 136 sg. r. 42; cfr. anche V. Korošec, Heth. Staatsv., 55 e 23 24

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poteva, in caso di necessità, sostituire il sovrano nel comando dell’esercito.30 Del resto, come ha osservato il Goetze (Kleinasien3, 108) e con lui il v. Schuler (Or 25 [1956] 222), non c’era per i dignitari ittiti incompatibilità tra funzioni militari e incarichi civili o di altro genere. Dagli esempi fin qui riportati si può quindi dedurre che alla categoria dei “signori” dovevano appartenere dignitari con mansioni diverse prevalentemente in àmbito militare e amministrativo - sempre però di grande importanza: probabilmente molti di quei dignitari il cui titolo era composto con il termine EN/BÊLU,31 ed anche altri, forse quelli al posto dei quali i “signori” vengono menzionati in alcuni testi.32 Varie testimonianze, oltre a quelle finora citate, attestano l’alto grado dei BÊLUMEŠ, come, ad esempio, la cosiddetta “lettera di Tawagalawa”,33 75; v. pure nel presente articolo nota 6 e note 35, 38, e cfr. anche la nota espressione BÊL ÉRINMEŠ “signore delle truppe” (per esempio in IBoT I 36 [CTH 262] I 76); v. anche nel rituale KBo XV 1 I 19 sg., 30, 38 sg. (CTH 407; H.M. Kümmel, StBoT 3, 112 e 114, e Glossario, 224); nel trattato stipulato fra Šuppiluliuma I ed Aziru di Amurru (KBo X [CTH 49] 12 III 6’: v. H. Freydank, MIO 7 [1960] 363 e 370), dove si parla specificatamente dei “signori del paese di ÷atti” (BÊLUMEŠ KUR URU÷atti, v. p. 108); nel “giuramento degli uomini DUGUD” al re Arnuwanda (CTH 260), in E. v. Schuler, Or 25 (1956) 223-232: A I 25 sg. e C IV 2 sg.; v. anche A II 12-17 e 20-29, e in molti altri testi. 30 V. più avanti p. 110 con nota 35. 31 V. in J. Friedrich, HW, 271 e 306. 32 Dagli esempi riportati alla nota 7 (cfr. anche nota 39) è però difficile stabilire se tutti i dignitari ivi menzionati facessero parte della categoria dei “Signori”: secondo IBoT I 36 III 6 sg. sembra che vi appartenessero il capo degli uomini IŠ e il comandante dei 10, ma non il capo dei MEŠEDI (cfr. L. Jakob-Rost, MIO 11 [1966] 215); a proposito di un passo di questo stesso testo, IV 22 sgg. (S. Alp, Beamtennamen, 10; diversamente L. Jakob-Rost, op. cit., 200 sg.), lo Alp, (op. cit., 3) osserva: “Nicht jeder LÚMEŠEDI galt aber als ein ‘grosser Herr’”. Secondo KUB X 13 IV 20 sgg. appartenevano forse alla categoria dei “signori” il capo dei MEŠEDI, il capo dei figli del Palazzo, l’ABU BITUM, il grande del vino, il capo degli uomini IŠ, con qualche riserva invece per i dignitari DUGUD degli uomini della lancia (v. nota 7); mi sembra interessante notare nella redazione accadica di alcuni trattati internazionali stipulati da sovrani ittiti talvolta la menzione di MÂR EKALLI anziché di BÊLA RABÂ: v. più avanti pp. 108 e 109 con nota 59. In un frammento di lettera, KBo XVIII 95 Ro I (v. S. Alp, loc. cit., e H. Otten, MIO 4 [1956] 187), si legge [AN]A BÊLI GAL MEŠEDI BÊLI-YA x [: mi sembra che il primo BÊLU abbia un valore diverso dal secondo, cioè non di appellativo reverenziale, ma come riferimento specifico ad una determinata categoria. È pertanto verosimile simile che facessero parte dei “signori” i capi (GAL o UGULA) di alcune categorie di dignitari, a loro volta retti da un BÊLU GAL. 33 CTH 181.

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dove (II 26 sg.) il sovrano ittita, richiesta la consegna di Piyamaradu, s’impegna ad inviare come garanzia ostaggi di rango elevato: “manderò un signore (1EN BÊL[U]) oppure manderò un fratello”. La loro importanza emerge chiaramente anche dalle “istruzioni” dirette a loro e ai “figli del re”, poiché - come già abbiamo detto a p. 105 - vi si mette in rilievo la loro vicinanza con il sovrano e si ripetono loro continuamente esortazioni a non tramare congiure contro di lui.34 Dalle cosiddette “istruzioni militari” e da alcuni trattati internazionali risulta che un “figlio del re” o un “capo dei signori” poteva, in casi eccezionali, sostituire il sovrano nei comando dell’esercito, dal quale doveva essere ascoltato ed obbedito come se si trattasse del sovrano stesso;35 sempre nel testo delle “istruzioni militari” vediamo che spettava proprio al sovrano la facoltà di giudicare quel “figlio del re” o “signore” che si fosse reso colpevole verso di lui36. Dal § 22 delle “istruzioni per i LÚMEŠ SAG”37 apprendiamo che questi dignitari, insieme ai “figli del re” ed ai “signori”, potevano essere inviati in paesi stranieri con incarichi di ambasceria da parte del sovrano. Ed ancora molti altri sono i testi che documentano il peso che la categoria dei “signori” aveva nella vita politica del paese.38 Anche nel “giuramento degli uomini DUGUD”, C IV 2-7 (su cui si integra A I 25, v. in E. v. Schuler, Or 25 [1956] 225 nota 2, e 228-231), si richiede ai “signori” ed a certi contingenti militari un giuramento di fedeltà al re, alla regina, al principe ereditario e ai suoi discendenti, ecc. 35 KUB XIII 20 (CTH 259) I 13 sgg. e 16 sgg.: se il re è impegnato e non può partecipare ad una campagna militare, può affidare l’esercito ad un DUMU.LUGAL o ad un BÊLU GAL; per casi analoghi contemplati nei trattati internazionali, v. note. 58-59. 36 KUB XIII 20 I 26 sgg.: se quel “figlio del re” o quel “signore” offende il re davanti all’esercito, deve essere catturato (ep-) e portato (uwate-) davanti al re “e io stesso, il Sole, verrò e indagherò il fatto (uttar punušmi)”. Sul valore di punuš-, v. quanto ho scritto in RHA 31 (1973) 98 sgg. 37 V. nota 6, e E. v. Schuler, Heth. Dienst., 13. 38 V. Annali di Muršili (CTH 61: v. i passi citt. in A. Goetze, AM, Indice 283 s.v. MEŠ EN e 306 s.v. BÊLUMEŠ/÷I.A); o KBo IV 14 (CTH 123) II 55 sg., 74, 79, dove si prospetta come una calamità l’ipotesi di una defezione dei “signori”, o l’eventualltà che essi vengano imprigionati o uccisi dal nemico (cfr. R. Stefanini, Rendiconti Lincei 20 [1965] 42 sgg., 57 e 63), probabilmente in quanto comandanti militari o capi di distretti amministrativi, dato anche che in II 54 si contempla l’eventualità di una defezione dell’esercito reale e di qualche paese posto sotto il dominio ittita; cfr. anche nel presente articolo, p. 106 sg. Per brevità, non riporto qui i molti altri esempi che esistono in proposito. 34

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Come già abbiamo osservato a p. 105, sembra plausibile postulare l’esistenza di una gerarchia nella categoria dei BÊLUMEŠ, se è lecito considerare l’espressione BÊLU GAL39 alla stregua dei titoli GAL MEŠEDI, GAL GEŠTIN ecc. È da notare che in molti dei documenti sopra esaminati i BÊLUMEŠ compaiono associati ai DUMUMEŠ.LUGAL.40 Riguardo all’espressione “figlio del re” nei testi ittiti è necessario, a mio avviso, distinguere fra quando essa è usata nel suo significato letterale genealogico41 e quando invece, si deve intendere come designazione di dignitari di rango assai elevato e molto vicini al sovrano, probabilmente facenti parte della sua famiglia, ma non necessariamente suoi figli. A sostegno di questa eventualità mi sembra significativo il fatto che fossero emanate “istruzioni” per i “figli del re” insieme ai “signori” e ai LÚMEŠ SAG,42 e non separatamente, come ci saremmo aspettati se si fosse trattato di principi nati dal re. Inoltre, in questo testo di “istruzioni” i “signori” vengono per lo più menzionati in ordine di precedenza (v. infatti nota 2).

V. la nota precedente; v. inoltre IBoT I 36 (CTH 262, v. nota 32) IV 22, e KUB XIII 7 (CTH 258.2) I 22, dove il BÊLU GAL, si trova in contrapposizione ad un appizziš antuwaøøaš (v. in v. E. v. Schuler, Or 25 [1956] 217): qui però la designazione BÊLU GAL, sembrerebbe usata genericamente per indicare che tanto gli appartenenti ad un ceto più elevato quanto gli appartenenti ad un ceto più basso, qualora fossero stati rei di un “fatto di sangue”, dovevano ugualmente esser puniti con la morte; a meno che in tale designazione non fossero invece inclusi i dignitari menzionati sopra (I 10-13: o un MEŠEDI o un figlio del Palazzo o un comandante dei 1.000 (o) un uomo DUGUD; v. però nota 7 e nota 32) in un passo analogo; in ogni caso BÊLU GAL non sembra qui usato gerarchicamente come “capo dei signori”. 40 V. nota 2 e nota 6; a questi esempi se ne possono aggiungere altri, tra cui ricordiamo KUB XXI 37 (CTH 85.2) I 8, dove sono menzionati insieme “gli uomini di Hatti[ ], i figli del re, i signori”, o gli Annali di Muršili (CTH 61), A. Goetze, AM, 136 r. 46, o KBo XV 1 (CTH 407) I 38 sg., dove però la vicina menzione del sovrano potrebbe anche far pensare che si trattasse realmente di suoi figli; incerto è anche il valore di DUMU.L[UGAL, in KBo VI 28 Vo 29 sg. (CTH 88, v. RHA 31 [1973] 151). 41 Probabilmente nella maggior parte dei casi. 42 Anche se in questo testo i LÚMEŠ SAG sembrano ricevere istruzioni a parte, poiché le disposizioni loro rivolte sono separate dalle precedenti da un doppio tratto (v. nota 2), tuttavia questi dignitari vengono talvolta menzionati insieme al “signori” e ai “figli del re” : v., ad esempio, nota 6 e p. 110 con nota 37. 39

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Anche i “figli del re”, come i “signori”, compaiono talvolta elencati insieme ad altri dignitari.43 Si può inoltre dubitare dell’esclusivo valore letterale dell’espressione DUMU.LUGAL anche perché in alcuni documenti - come nelle liste di testimoni di qualche atto ufficiale44 - essa viene attribuita a troppi personaggi nella stessa epoca per poter essere tutti figli del sovrano e fratelli fra sé. Si deve infine notare che, in una stessa lista, i “figli del re” ivi presenti non compaiono elencati tutti insieme, come ci aspetteremmo seguendo un ordine gerarchico, ma alcuni si trovano menzionati per primi (forse i veri principi nati dal re) ed altri, invece, dopo alcuni dignitari in mezzo ai quali sono inseriti. Già nel mio lavoro sulle Leggi ittite, a proposito del § 52,45 avevo avanzato l’ipotesi che l’espressione “figlio del re” non indicasse lì un principe reale, ricordando come confronto i documenti di Nuzi, dove questa espressione aveva il valore di un titolo ufficiale,46 analogamente al titolo MUNUS.LUGAL che, sempre nei documenti di Nuzi, veniva probabilmente usato per designare una sacerdotessa di alto rango.47 Presumevo che il DUMU.LUGAL nel § 52 delle Leggi ittite indicasse un’alta carica sacerdotale per la vicina menzione della “casa di pietra V. nota 2. Inoltre, in un testo che descrive una festa di Nerik, KUB II 15 (CTH 678.1) VI 10 sg., si parla del pane šaramma dei “figli del re”, dei “figli del Palazzo” e dei MEŠEDI; però in un altro testo, sempre relativo ad una festa di Nerik, KUB X 88 (CTH 678.4) I 6 sg., si parla di tavole “del re, della regina, dei figli del re, dei LÚ.MEŠ DUGUD”, ciò che indurrebbe a pensare che qui DUMU.LUGAL, dovesse essere inteso nel suo significato letterale, per la sua vicinanza con i sovrani, tuttavia alla r. 12 sg. dello stesso testo si parla del pane šaramma “del re, della regina e (Ù) dei figli del re (e) dei LÚMEŠ DUGUD”, quindi vediamo i “figli del re” legati asindeticamente ai dignitari seguenti e non ai sovrani precedenti, mentre la congiunzione Ù “e” sembra distinguere due gruppi diversi. V. anche più avanti p. 118-119 sg. e nota 82. 44 V. ad esempio, KBo IV 10 Vo 28 sgg., cui si possono aggiungere altre attestazioni. 45 V. Leggi (1964) 68 sg. e nota 2, e 241; v. anche 243 sg., a proposito della designazione “padre del re” o “padre del Sole”. 46 Così P. Koschaker, ZA 48 (1944) 168 e 184 nota 38, il quale rimanda per un confronto ai titoli “Freunde des Königs”, in uso alla corte di Alessandro e sotto i Diadochi, e “cugino del re”, titolo che spettava di diritto ai possessori di un’alta carica in Italia. Secondo lo Speiser, Or 25 (1956) 7 nota 3, questo titolo nei documenti di Nuzi doveva designare un ufficiale di alto rango alle dipendenze del sovrano di Mittani, considerato come “padre” dai suoi vassalli (cfr. in proposito nel presente lavoro, note 51 e 62). 47 Così E.A. Speiser, loc. cit. 43

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(mausoleo)”, ciò che mi induceva a pensare che si parlasse in questo paragrafo di addetti al culto. Come però vedremo più avanti, p. 118 sg., non abbiamo finora attestazioni tali da permetterci di sostenere che al “figlio del re”, in quanto alto dignitario, spettassero anche cariche sacerdotali. È interessante un lavoro del Brin48 sul titolo “figlio del re” in ambiente ebraico, ma con significativi confronti relativi al Vicino Oriente antico: Egitto, Mari, Ugarit, ÷atti e la Persia.49 Ci soffermeremo soprattutto su quella documentazione che riguarda in qualche modo l’àmbito ittita. L’espressione accadica MÂR ŠARRI “figlio del re” compare spesso nei testi di Ugarit e si deve per lo più intendere nel suo valore letterale,50 in alcuni documenti, però, questa espressione si riferisce evidentemente ad un titolo e il Brin conferma ciò con diversi esempi.51 Inoltre, egli fa notare52 che in alcuni atti stipulati fra il sovrano ittita e il re di Ugarit i MÂRI ŠARRI “figli del re” sono menzionati insieme agli AMÎLI RABÛTI “uomini importanti, nobili, grandi”, col compito di riscuotere tasse per il sovrano ittita o per compiere una missione militare.53 48 In AION 19 (1969) 433-465. Egli prende lo spunto da un’ipotesi avanzata verso la fine del secolo passato, e cioè che in diversi testi biblici l’espressione “figlio del re” si riferisse ad un titolo ufficiale e non dovesse quindi esser considerata in senso genealogico. 49 Op. cit., 440 sgg. 50 Principalmente in quei documenti dove la dinastia reale viene menzionata in ordine gerarchico: il re, la regina, il figlio del re. 51 Op. cit., 442 sgg.; in questi casi - egli osserva a p. 443 - non è indicato il nome del re, padre del “figlio del re”, né si fa riferimento a qualche particolare paese; cfr. appunto P. Koschaker, op. cit., 184 nota 38. V. inoltre J. Nougayrol - PRU IV, 191 nota 1, 214 nota 1, 216 nota 1, 217 nota 1, 294 nota 1 - il quale, a proposito degli appellativi “figli” o “padre” usati dai corrispondenti nelle lettere di Ugarit, rileva che questi titoli non sono da intendersi in senso stretto e che non si deve sempre ricercare un significato preciso nei nomi di parentela che ricorrono fra principi. Cfr. anche, per Mari, J. Bottero, ARM 7 (1957) 230 sg. Cfr. inoltre C. Zaccagnini, Lo scambio dei doni nel Vicino Oriente durante i secoli XV-XIII, Roma 1973 (= OAColl 11), 117 nota 125 e 157 sgg. con note 58-59. V. infine nel presente articolo note 46 e 62. 52 Op. cit., 445 note 60 e 61, e 446 note 63 e 64. 53 RS 17.382 + 380 r. 50 sgg. = PRU IV, 82 sg.; RS 17.340 rr. 16 sgg. e 22 sgg. = PRU IV 49 sg. A tal proposito il Brin (p. 446) osserva che l’uso del plurale “figli” rivelerebbe un significato amministrativo piuttosto che genealogico; sembra che nell’àmbito del Palazzo vi fossero vari tipi di funzionari con questo titolo, ai quali competevano doveri diversi, in accordo con le diverse necessità del re.

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Mi sembra opportuno - a tal punto - richiamare per un confronto quei testi ittiti dove i “figli del re” sono presenti insieme ai “signori”, i quali talvolta vi compaiono in ordine di precedenza (v. nota 2): tale posizione si può riscontrare anche nei documenti di Ugarit.54 Il Brin, inoltre, riporta diversi esempi, tratti sia da testi di Ugarit, contenenti accordi conclusi da sovrani ittiti con sovrani ugaritici,55 sia dalla versione accadica di alcuni trattati stipulati dagli Ittiti con paesi stranieri,56 dai quali risulta l’impegno assunto dal sovrano ittita di inviare in aiuto all’altro contraente dell’atto, in caso di necessità, un MÂR ŠARRI o un BÊLA RABÂ oppure un MÂR ŠARRI o un MÂR EKALLI.57 Mi pare significativo, a tal proposito, richiamare per un confronto quei testi ittiti citati nel presente articolo alla nota 35, dove si legge che un DUMU.LUGAL o un BÊLU GAL,58 potevano in casi eccezionali sostituire il sovrano - temporaneamente assente - nel comando dell’esercito. Purtroppo, della maggior parte dei passi presi Cfr. i documenti di Ugarit sopra citati, dove gli AMÎLI RABÛTI compaiono prima dei “figli del re”. 55 Op. cit., 446 par. g, e PRU IV, 88 sgg. (89 nota 3), 91 sg., 94 sg., 96. 56 Op. cit., 448 e note 77-82; v. anche V. Korošec, Heth. Staatsv., 54 nota 6. 57 A p. 458 note 140-142, il Brin cerca di dimostrare come i titoli “figlio del re” e “figlio del Palazzo” fossero molto vicini nel significato, sì da essere usati alternativamente: quindi, se al MÂR EKALLI competeva un incarico amministrativo, questo competeva pure al MÂR ŠARRI. Ciò non mi convince perché nei trattati citati dal Brin si trovano anche altri titoli che si alternano a quello di “figlio del re”, senza per questo essergli avvicinabili. Nei testi ittiti il titolo corrispondente a MÂR EKALLI è DUMU É.GAL, studiato dallo Alp, Beamtennamen, 25-52: v. anche la recensione del Goetze, JCS 1 (1947) 81, il quale preferisce tradurre questo titolo con “page” anziché con “courtier”, come lo Alp. In ambito ittita i titoli “figlio del re” e “figlio del Palazzo” hanno un valore diverso fra sé, infatti in alcuni testi compaiono insieme e non in sostituzione l’uno dell’altro: v., ad es., la nota 43, dove, nella descrizione di una festa di Nerik, si parla del pane šaramma dei “figli del re, dei figli del Palazzo e dei MEŠEDI”. Per questo si può presumere che fossero usati con valore diverso fra sé anche i corrispondenti titoli accadici, quando si riferivano a dignitari ittiti. 58 Corrispondenti al MÂR ŠARRI o al BÊLA RABÂ; il Brin, p. 448 nota 78, secondo il Weidner, PD, 61 nota 19, considera quest’ultimo titolo come quello di un alto ufficiale militare; cfr. anche J. Nougayrol, che nei passi qui citati alla nota 55, traduce “grand chef”. È interessante notare che nel trattato fra Šuppiluliuma e Tette di Nuøašše (CTH 53) II 20 (E.F. Weidner, op. cit., 61) si trova l’espressione MÂR RUBÎ “figlio di un grande”, al posto di MÂR ŠARRI (III 5 sg.): v. le osservazioni in proposito di E.F. Weidner, op. cit., 63 nota 14, e di G. Brin, op. cit., 449 e note 84 e 85. 54

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in esame dal Brin esiste finora solo la versione accadica; comunque, per un passo del trattato stipulato fra Šuppiluliuma I e Aziru di Amurru - pervenutoci parzialmente anche nella versione ittita - mi è stato possibile riscontrare la validità di tale confronto,59 almeno per quanto riguarda il “figlio del re”. Interessanti sono le osservazioni del Brin quando passa a ricercare il valore semantico dell’espressione “figlio del re” sia in ambiente ebraico che nel Vicino Oriente.60 A suo avviso, l’origine di quei titoli contenenti indicazioni di legami di parentela con la famiglia reale - usati frequentemente nei documenti del Vicino Oriente, compreso l’Antico Testamento, come designazione di funzionari61 - si deve ricercare nelle formule convenzionali della corrispondenza diplomatica dell’epoca.62 Egli nota inoltre che in questi ambienti il termine “figlio”, oltre al significato più comune, indica anche “the belonging to a certain occupation or status”63 e riporta alcuni esempi in proposito tratti da testi in ebraico e in accadico, cui possiamo aggiungerne altri analoghi presi da testi ittiti.64 Quindi conclude affermando che la designazione “figli del re” 59 KBo X 12 (CTH 49) II 25’-27’ (v. H. Freydank, MIO 7 [1960] 361 e 369, e per la parte accadica E.F. Weidner, PD, 72 sg. r. 29): da qui risulta che al passo ittita na[š]ma DUMU.LUGAL [naš]ma BÊLU GAL “o un figlio del re ¦o© un gran signore (o capo dei signori)” corrisponde il passo accadico MÂR ŠARRI Ù ŠUMMA [MÂR E]KALLI “un figlio del re o un [figlio del P]alazzo”. 60 Diversamente da alcuni studiosi dell’Antico Testamento (citati dal Brin a p. 440 e note 34-35), i quali sostenevano che i possessori di questo titolo fossero - se non figli del re veri e propri - almeno membri della famiglia reale in senso più ampio, il Brin propone una spiegazione al di fuori di ogni parentela genealogica con la famiglia reale (pp. 451-459). 61 Op. cit., 459 sg.; cfr. anche nel presente articolo note 46 e 51. 62 Egli ricorda infatti (op. cit., 460-462) che nella corrispondenza diplomatica del Vicino Oriente antico il titolo “fratello” esprimeva completa uguaglianza fra due re, quello di “padre” era invece usato per uno solo dei due corrispondenti e ne indicava la superiorità sull’altro, e - allo stesso modo - quello di “figlio” denotava un certo grado di sottomissione di uno dei due: a suo avviso, quindi, venivano chiamati “figli del re” alcuni ufficiali che adempivano specifiche funzioni al servizio del sovrano. Cfr. anche nel presente articolo nota 51. 63 Quindi, secondo il Brin (p. 459), l’espressione “figlio del re” designerebbe colui che appartiene ad una certa classe (ovvero al re, al patrimonio reale, nel senso di ufficiale del re o della casa reale) e ne indicherebbe inoltre l’occupazione, quella cioè di persona attiva al servizio del re. 64 Il Brin rileva che i termini “figlio” ed “uomo”, diversi nel loro uso normale, mostrano analogie nell’àmbito di alcune espressioni; ciò è testimoniato sia in ebraico

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in ebraico (ed anche in accadico) deve essere intesa “in the connotation of king’s men” e considerata come un titolo “for the bearers of a royal office”, ai quali non competeva però una mansione specifica;65 egli ritiene inoltre che vi fosse una gerarchia di “figli del re” indicante diversi gradi di importanza entro la categoria, in accordo con la natura dei loro diversi incarichi.66 Per quanto riguarda l’àmbito ittita, ricordiamo per concludere un passo degli Annali di Muršili II,67 dove questo re parla di “÷utupiyanza, ‘figlio del re’, figlio di Zida, capo dei MEŠEDI - Zida, che era fratello di mio padre”.68 Qualcosa del genere si ripete ancora, pur se espresso in forma diversa, sempre nello stesso testo;69 apprendiamo che ÷utupiyanza amministrava (maniyaøøeškit)70 il paese di Palâ e il paese di Tumanna - e questo è di particolare interesse per individuare una importante che in accadico, dove titoli del tipo MÂR X (figlio di X), indicanti ufficio, professione, origine, si alternano con titoli del tipo AMÊL X (uomo di X), con lo stesso valore: op. cit., 462-465; per l’accadico v. p. 463 sg., nota 163, e per Ugarit p. 464 sg., note 167-171; esiste anche il titolo “uomo della regina”, v. p. 465, note 172-173. In aggiunta all’osservazione del Brin, ricordiamo per i testi ittiti l’equivalenza dell’espressione DUMU URUX con LÚ URUX, per designare l’abitante di una città, e del titolo “figlio del Palazzo” con “uomo del Palazzo”: su DUMU É.GAL = LÚ É.GAL, v. S. Alp, Beamtennamen, 25 nota 4, e 26. 65 A suo avviso, le persone designate come “figli del re” prestavano servizio come “staff” permanente del Palazzo ed eseguivano i vari ordini del sovrano. 66 Op. cit., 465, note 175-176. Non sarebbe, a mio avviso, inverosimile postulare l’esistenza di una gerarchia fra i “figli del re” anche in ambiente ittita, pur non avendone finora alcuna testimonianza, per un confronto con i BÊLUMEŠ, forse retti da un BÊLU GAL, (v. sopra, 105 sg.) o con i “figli del Palazzo”, retti da un GAL, DUMUMEŠ É.GAL/GAL LÚMEŠ È.GAL, o dall’UGULA 70 ŠA DUMUMEŠ É.GALTIM LUGAL “sovrintendente dei 70 dei ‘figli del Palazzo’ del re” (v. S. Alp, op. cit., 25 nota 6, e 26, e K. Riemschneider, MIO 6 [1958J 355 nota 129). 67 A. Goetze, AM 152 sg. r. 18 sg.; ringrazio il prof. M. Liverani che mi ha segnalato questo passo. 68 Il Laroche, NH Nr. 1552.1, identifica questo Zida, fratello di Šuppiluliuma I, presente in diversi testi ittiti (cfr. anche S. Alp, Beamtennamen, 4), col personaggio menzionato in EA 44, 3, come “figlio del re”. Sulla controversa lettura del nome parzialmente danneggiato di questo personaggio del testo di El Amarna, v. per ultimi G. Brin, op. cit., 449 sg. e note 87 e 91, ed E.F. Campbell jr., The Chronology of the Amarna Letters, Baltimore 1964, 130 sg. 69 AM, 106 sg. r. 17 sgg., 192 sg. r. 19 sg.; v. anche Indice p. 322 sg., dove sono indicati tutti i passi in cui compare ÷utupiyanza (forse da integrare anche in KUB XIV 29 I 13). 70 Cfr. nota 18.

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mansione spettante al DUMU.LUGAL - era nipote di Šuppiluliuma I e cugino di Muršili II: non era quindi figlio di nessun re, anche se faceva parte della famiglia reale. Inoltre, se accettiamo l’identità di Tattamaru DUMU. LUGAL citato nella lista dei testimoni in KBo IV 10 Vo 30 con Taddamaru figlio di Šaøurunuwa menzionato in KUB XXVI 43 Ro 5,71 dobbiamo allora considerare l’appellativo DUMU.LUGAL attribuito a Tattamaru come un titolo, lo stesso titolo che probabilmente aveva il padre Šaøurunuwa.72 Mi sembra quindi che sarebbe assai utile (e mi propongo di farlo al più presto) di ricercare - per quanto è possibile - la genealogia dei personaggi che nei testi ittiti sono indicati come “figli del re” per vedere se, anche quando non si trattava di figli del sovrano, essi erano però sempre legati a lui da vincoli di parentela, e inoltre se il titolo in questione si ripeteva sovente di padre in figlio.73 Riguardo poi al valore dell’espressione “figlio del re” nei documenti ieroglifici (v. E. Laroche, Hitt. Hier. Nr. 46.1) è necessario in primo luogo cercar di identificare i personaggi ivi menzionati con questo titolo con i loro omonimi presenti nei documenti cuneiformi. Tale identificazione è probabile per Šaøurunuwa (v. nota 72) e sicura per Taki-Šarruma (v. E. Laroche, NH Nr. 1209.2). Anzi, per quanto concerne quest’ultimo personaggio, se non intendiamo l’espressione “figlio del re” nel suo significato letterale genealogico, viene a cadere il problema sollevato dal Laroche,74 senza dover così considerare il termine møaštanuri come il nome hurrico di un re ittita o di un re sconosciuto (cosa, del resto, considerata poco verosimile dallo stesso Laroche), o come un titolo corrispondente allo ieroglifico “re”.75 È invece difficile proporre delle 71 V. quanto abbiamo scritto in proposito in RHA 31 (1973) 43 sg. L’identità di molti dei personaggi presenti in questi due testi è stata proposta dal Laroche, RHA 8 (1947-48) 40-48. 72 V. il nostro lavoro citato nella nota precedente, p. 12 sg., e inoltre p. 116 sgg., dove si parla di alcuni personaggi presenti in documenti ittiti ed ugaritici col titolo di “figlio del re”. 73 Ciò è probabile per Šaøurunuwa e Tattamaru, v. locc. citt. sopra note 71 e 72, e forse per Zida e ÷utupiyanza, v. locc. citt. sopra p. 91 note 67-70. 74 Ug. 3, 137 sgg. e in particolare 139. 75 V. E. Laroche, op. cit., 139 e note 6, 7, e RHA 14 (1956) 27 sg.; cfr. anche J. Nougayrol, PRU IV, 261, P. Meriggi, RHA 15 (1957) 151 sg., e J. Friedrich, HW Erg.Heft 1, 5.

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identificazioni per gli altri personaggi menzionati nei documenti ieroglifici come “figli del re”.76 Dai documenti ittiti cuneiformi a noi pervenuti possiamo conoscere alcune mansioni spettanti ai “figli del re”, pur tenendo presente che la carica di DUMU.LUGAL poteva associarsi anche con altre.77 Spesso le competenze dei DUMUMEŠ.LUGAL corrispondono a quelle dei BÊLUMEŠ, insieme ai quali compaiono in molti testi, sia nelle “istruzioni” che altrove.78 Anche ai “figli del re” erano attribuite funzioni militari e amministrative, presumibilmente in rappresentanza del sovrano nel comando dell’esercito e nel governo delle province.79 Inoltre, dagli stessi passi da noi indicati a proposito dei BÊLUMEŠ (v. note 78 e 79) si può dedurre anche l’importanza dei DUMUMEŠ.LUGAL. È invece difficile stabilire se al DUMU.LUGAL, in quanto dignitario di altissimo rango, spettassero anche compiti religiosi. Ci sono pervenuti vari testi che descrivono cerimonie cultuali in cui officiava un DUMU.LUGAL; dalla loro lettura risulta evidente che si tratta di un vero e proprio figlio del sovrano quando il DUMU.LUGAL vi compare in ordine gerarchico dopo il re e la regina, o quando lo vediamo officiare parallelamente alla coppia reale o celebrare riti in sostituzione del re,80 ciò sembra verosimile anche quando si parla della sua provenienza dal Palazzo e del suo legame con esso81 o quando i DUMUMEŠ.LUGAL sono menzionati insieme alle DUMU.MUNUSMEŠ.LUGAL “figlie del re”, in Per esempio, sarebbe interessante sapere se il *Kuwatna-ziti “figlio del re” nei documenti ieroglifici sia identificabile col nipote di Šaøurunuwa (v. RHA 31 [1973] 48), o se Zuzzulli, figlio di Armazuøi, possa esser la stessa persona dello Zuzzulli “figlio del re” nella documentazione ieroglifica (v. E. Laroche, NH. Nr. 1590.3 e 4). 77 V. nota 2. 78 V. nota 40. 79 V. nota 78 e p. 110. 80 A questo proposito v. V. Haas, Der Kult von Nerik, Roma 1970 (= Studia Pohl 4), 42 sg., 198-213, 228-237, ed A. Archi, SMEA 14 (1971) 222 sg., nella sua recensione al libro suddetto. Il Haas, op. cit., 42 nota 3, parla anche di DUMU.LUGAL come glossa a LÚTARDENNI nel significato “Kronprinz” (su cui prossimamente G. Wilhelm, Untersuch. zum ÷urro-Akkadischen von Nuzi), ma non in ambiente ittita. Così, senza arrivare a pensare che nei casi in questione si tratti addirittura dell’erede al trono, ritengo però che vi si parli proprio di un principe nato dal re, pur ricordando che talvolta (v. nota 35) un DUMU.LUGAL, (non necessariamente vero figlio del sovrano) poteva - allo stesso modo di un BÊLU GAL - sostituire il re nel comando dell’esercito. 81 V. KBo X 20 (CTH 604) II 41 sg., 47 sg. 76

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un rituale in cui sono presenti anche il re e la regina, tanto più che di questo testo possediamo anche una redazione in ductus antico-ittita.82 Ritengo invece che si debbano considerare diversamente quei casi (v. nota 43) - sia pur rari, ma sempre relativi a cerimonie di culto - in cui i “figli del re” sono menzionati al plurale e senza alcuna distinzione o rilievo rispetto ad altri dignitari citati insieme. Quindi, anche se dalla maggior parte di questi testi cultuali il DUMU.LUGAL sembra indicare un principe nato dal re, ciò non risulta però cosi evidente per tutti i documenti di questo tipo in cui egli si trova, neppure per quelli dove appare in posizione di primo piano rispetto ad altri sacerdoti che officiavano con lui.83 Concludendo, mi sembra assai plausibile considerare in taluni casi i BÊLUMEŠ e i DUMUMEŠ.LUGAL come appartenenti a categorie di dignitari di altissimo rango, che amministravano paesi ed avevano il comando di eserciti, e che potevano tenere anche altri importanti incarichi in settori diversi. Può darsi che il termine BÊLUMEŠ in un primo V. in E. Neu, StBoT 12, 10 sgg. I 8, 18 (l’integrazione della r. 8 è secondo KBo XX 12 I 7 e la r. 18 trova parziale rispondenza - per la lacunosità del testo - in KBo XVII 11 I 2’, ambedue facenti parte dell’esemplare antico); per la datazione dei manoscritti in cui ci è pervenuto questo rituale, v. XVII, p. IV sg. Nrr. 11 e 74, e KBo XX, p. VI Nr. 12, e E. Neu, op. cit., 6 sg. Cfr. anche nel presente articolo, p. 119 sg., a proposito della possibile evoluzione nel tempo del titolo DUMU.LUGAL. 83 V., ad esempio, IBoT I 29 (CTH 633) - contenenti la descrizione della festa øaššumaš, in cui l’attore principale sembra essere il “figlio del re” - dove in Ro 53-58 si legge: “(53) nu ANA DUMU.LUGAL LÚ.MEŠSANGA øûmanteš piran-šêt ešandari (54) andan-ma INA É LÚMU÷ALDIM halziyattari nu-šan (55) NINDAšaramna ANA GIŠBANŠUR÷I.A LÚ.MEŠSANGA tianzi 1 NINDAwagêššar (56) ANA GIŠBANŠUR DUMU.LUGAL tiyanzi 1 NINDAwagêššar-ma paršiyan[zi] (57) [n-at]-šan ANA GIŠBANŠUR LÚtazêlli 1 NINDAwa GIŠBAN[ŠUR] (58) [LÚSANG]A 1 NINDAwa GIŠBANŠUR MUNUSšiwanzanna 1 NINDAwa GIŠBANŠUR LÚøa[minâi]: qui - osserva il Goetze, JCS 1 (1947) 84 - il “figlio del re”, da lui inteso come “principe della corona”, appare trattato diversamente dagli altri sacerdoti tale distinzione non si nota invece in un passo analogo in Vo 10-16, e neppure in Vo 18 sg., dove vediamo il “figlio del re” azionare una macina allo stesso modo di altri personaggi addetti al culto: “(18)....ta NA4ARÀ DUMU.LUGAL m(probabile errore al posto di LÚ)tazêlliš LÚŠA[.TAM... (19) LÚŠU.I LÚ.MEŠminallêš mallanzi. . . . .”. Esistevano anche cerimonie cultuali celebrate da un DUMU (CTH 648), ma i testi in proposito sono troppo frammentari per poterci illuminare sui valore di tale titolo in questo àmbito. Comunque, anche se non mi sembra che vi siano finora elementi sufficienti per sostenerne una identificazione con quello di DUMU.LUGAL, si può però dedurre dai passi pervenutici l’importanza del personaggio così designato. 82

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tempo, quando il regno era più piccolo e la sua amministrazione più limitata, designasse genericamente i nobili, poiché essi erano i più vicini al re ed a loro spettavano di diritto le più alte cariche, e che poi, con l’estendersi del regno, con il consolidarsi del potere assoluto del sovrano e con il conseguente ampliamento della burocrazia, assumesse un carattere più specifico.84 Per l’espressione DUMUMEŠ.LUGAL, ritengo che dapprima essa avesse soltanto valore letterale e che poi - sempre in conseguenza dell’espansione dei confini del dominio ittita, per cui il re si era trovato costretto ad affidare importanti incarichi di governo sia in ambito militare che amministrativo a numerose persone di sua fiducia85 - da una precisa designazione di un vincolo di parentela si ampliasse necessariamente a indicare una categoria di dignitari che comprendeva non solo i figli del sovrano, ma anche più genericamente membri della sua famiglia, e forse addirittura persone di ceto assai elevato, ma non regale.86

84 Qualcosa del genere si potrebbe sostenere anche per il titolo LÚDUGUD “uomo importante, degno di onore”, probabilmente generico in un periodo più antico (v. Testamento di ÷attušili I, CTH 6: KUB I 16 II 1, e Leggi Ittite, § 173A r. 12 sgg.) e venuto in seguito a delimitare e specificare il suo valore, come conferma il testo del “giuramento” dei dignitari così designati (CTH 260) ed altri documenti posteriori dove questo dignitario compare. 85 Incarichi che in epoca più antica dovevano essere di solito riservati ai figli del sovrano: v., per esempio, Editto di Telipinu (CTH 19) I 9-11, dove vediamo i figli di Labarna amministrare i paesi conquistati. 86 V. p. 117. Il v. E. v. Schuler RlA 3 (1966) 238, a proposito dei “signori” e dei “figli del re”, osserva che si può vedere in queste due classi di esponenti della più alta nobiltà “eine rohe Scheidung zwischen Geburts- und Amtsadel”.

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VIII.

LE ISTITUZIONI CULTUALI DEL NA4øékur E IL POTERE CENTRALE ITTITA*

Questa ricerca rientra nel quadro di uno studio generale dei rapporti fra potere religioso e potere regio presso gli Ittiti. Durante tale indagine mi è sembrato interessante soffermarmi per un esame più approfondito sulle relazioni intercorse fra quelle istituzioni cultuali che si presentano legate ad un NA4øékur e il potere centrale in ÷atti. Per il termine øékur (più rara la scrittura øégur), per lo più preceduto dal determinativo NA4 “pietra”, viene generalmente accettata l’interpretazione di “picco montano/vetta rocciosa”.1 Questo termine è documentato raramente senza alcuna specificazione, di solito invece compare accompagnato o da indicazioni geografiche, o da nomi di divinità, o da altri termini il cui significato rimane spesso oscuro; talvolta si trova preceduto dal termine É (“casa del NA4øékur”) o dall’espressione LÚMEŠ (É) (“uomini (della casa) del (NA4) øékur X”):2 in questi casi doveva verosimilmente trattarsi di una istituzione cultuale con personale e beni propri.3 Già il Sommer4 aveva indicato la maggior parte dei testi dove compare il termine NA4øékur e l’Otten5 ha poi ampliato questa documentazione.

Relazione letta al “Primo Congresso italiano sul Vicino Oriente antico”, Roma, Aprile 1976. 1 Per primo il Forrer, Forsch. I/2, 242, propose l’interpretazione di “Felsgipfel”, accettata anche dal Sommer, AU, 318 (v. anche J. Friedrich, HW, 68); il Pedersen, Hitt., § 107, 2c, ha ricollegato questo termine al greco ¹UNLM, ai. agra “Spitze”. Per il valore, in taluni casi, di “santuario rupestre”, v. nota 3. 2 V. l’indice completo delle attestazioni del termine, p. 171 sg. Talvolta, pur mancando l’indicazione di “casa” o di “uomini (della casa)”, si può ugualmente intuire dal contesto che si parla di una istituzione cultuale, v. p. 143. 3 Un “santuario rupestre”, “Felsheiligtum”, secondo l’interpretazione dell’Otten, MDOG 94 (1963) 19 sg.; v. anche J. Friedrich, HW Erg.-Heft 3, 15. 4 Op. cit., 317 sg. 5 Op. cit., 18 sgg. *

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Non ci illumina molto il passo di un rituale, KUB XII 63 (CTH 412.3) Ro 35,6 in cui questo termine compare solo, senza alcuna specificazione, purtroppo però in contesto oscuro. Si può soltanto notare che dopo NA4øékur si parla di êššari-šit “la sua immagine”, cui segue úelkuwa, nom.-accus. Plur. Neutro da welku- “erba”.6a Talvolta il termine NA4øékur compare seguito da un toponimo, che poteva essere o la sua denominazione o l’indicazione della località nell’àmbito della quale si trovava il NA4øékur. Così, in un frammento di annali, KUB XXIII 13 (CTH 211.4) Ro 7, è possibile che si trattasse sia del “picco montano ÷arana” sia del “picco montano (della città di) ÷arana”,7 mentre in KBo II 5 (CTH 61.10) I 4, 12, 14 - Annali di Muršili II - si parlava certo del “picco montano della città di Pittalaøša” perché, anche se soltanto alla r. 14, questo toponimo compare preceduto dal determinativo URU.8 Un passo di questo testo, alla r. 15 sgg., sembra V. J. Friedrich, Or 13 (1944) 208 sgg., e H. Pedersen, JCS 1 (1947) 60 sgg. V. anche la nota addizionale a p. 172. 7 [N]A4øégur ÷ârana(!)n-kán katta daøøun “io soggiogai il picco montano (di?) ÷arana” (v. anche F. Sommer, AU, 314 sg. e 318, e J. Garstang-O.R. Gurney, Geogr., 48 e 120). Per la seconda interpretazione sopra proposta non ha importanza il fatto che il nome ÷arana non sia preceduto dal determinativo URU, poiché anche nel documento successivo la città di Pittalaøša compare una sola volta con il determinativo URU, e neppure che ÷arana sia all’accusativo, poiché questo si riscontra una volta anche per Pittalaøša: cfr. nota seguente. Tutt’al più, se postulassimo un legame semantico fra il nome ÷arana e il picco montano qui menzionato (v. alla fine di questa nota), potremmo allora ritenere ÷arana come denominazione di questo. ÷arana compare anche come nome di montagna e di città: v. H. Gonnet, Mont. As. Min., Nr. 10, e J. Garstang-O.R. Gurney, op. cit., passi indicati nell’Indice, 128, s.v. ÷arana M. e ÷arran; per l’equazione ÷arana = ÷arranašša, v. H. Gonnet, op. cit., Nrr. 10 e 75; v. inoltre H.G. Güterbock, JNES 20 (1961), 90-92; v. E. v. Schuler, Kašk., 32 nota 157; Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records, 68, 70 con nota 86. Riguardo alla documentazione ieroglifica, per ÷arana (= ÷arran), come nome di città, e per øarnaš(a)î, come designazione di “fortezza”, v. E. Laroche, HH, passi cit. nell’Indice, 287, e Nr. 231, e P. Meriggi, HHGl, 52 sg. Il Sommer, loc. cit., ricorda anche l’esistenza del termine øara(n)- “aquila”: vien fatto di chiederci se non vi fosse un legame semantico fra il termine che designava questo animale tipicamente montano e il toponimo ÷arana legato spesso a montagne, vette rocciose, fortezze. Comunque, in KUB XXVII 13 IV 4 è menzionata anche una fonte ÷arrannašša, probabilmente divinizzata, v. nota 118. 8 Da notare che in questa riga Pittalaøša compare all’accusativo. Per i passi qui menzionati v. A. Goetze, AM, 180 sg., e H. Otten, MIO 3 (1955) 171 sgg. V. anche F. Sommer, AU, 317 sg., che propone di identificare la città in questione con la città Pittalaøši menzionata in un testo oracolare KUB XXII 25 (CTH 562.1) Ro 10, 28, Vo 6

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dimostrare che il picco montano ivi menzionato era abitato, o che era servito temporaneamente come luogo di rifugio per gli abitanti della città di Pittalaøša e per i loro beni. Che il NA4øékur designasse in molti casi un luogo impervio e difficile da conquistare (e come tale potesse servire da luogo di rifugio di fronte ad improvvisi attacchi nemici)9 è dimostrato da un passo tratto ancora da un testo annalistico probabilmente dell’epoca di Muršili II - KBo XIV 20 (CTH 61.8) II 7 sgg. - in cui si parla di un assedio da parte del re ittita al NA4 øékur NA4kurušta (rr. 9[, 11[, 12), dove presumibilmente si erano rifugiati abitanti e bestiame di città assalite da questo sovrano, e che viene presentato come molto ripido e di difficile accesso.10 Non è chiaro se NA4 kurušta fosse la designazione di qualcosa in pietra o roccia, nello stesso àmbito semantico di NA4øékur (cfr. note 7 e 63), o un nome geografico, come lo intendono Houwink ten Cate, op. cit., Indice p. 190, e E. von Schuler, che lo localizza in zona kaskea (Kask., 40) e vi riconosce la presenza del suffisso -šta, verosimilmente di origine hattica, tipico di nomi di luogo, di cui cita alcuni esempi (op. cit., 104).11 Comunque, la maggioranza della documentazione relativa al NA4 øékur ci riporta all’àmbito religioso. In un testo che è probabilmente dell’epoca di Tutøaliya IV12 - KUB XXXVIII 2 (CTH 521) - contenente descrizioni di divinità13 nella Col. III, dopo la menzione della montagna Išdaøarunuwa,14 dei suoi oggetti sacri, delle sue feste e della città incaricata di celebrarle (rr. 18-20), si 13, per la presenza nei due testi anche della città Šunupašši. Del resto, secondo E. v. Schuler, Kašk., 176 sgg., anche quest’ultimo documento potrebbe essere dell’epoca di Muršili II. Né di Pittalaøša né di Šunupašši si parla in J. Garstang-O.R. Gurney, op. cit. 9 V. F. Sommer, AU, 317 sg., e H. Otten, MDOG 94 (1963) 19 e nota 68. 10 V. H. Otten, op. cit., 19, e Ph.H.J. Houwink ten Cate, JNES 25 (1966) 173 sg., 181 sg. Per l’attribuzione di queste imprese a Muršili II, v. Ph.H.J. Houwink ten Cate, op. cit., 162 sgg. 11 Esisteva anche una città kaskea di nome Kuruštama: v. in E. v. Schuler, Kašk., locc. citt. nell’Indice, 191. 12 L. Jakob-Rost, MIO 8 (1963) 164 sgg. 13 C.-G. von Brandenstein, Heth. Gött., 8 sg., L. Jakob-Rost, op. cit., 177, e H. Otten, MDOG 94 (1963). 19 note 65-66. 14 Montagna delle regioni settentrionali: v. E. von Schuler, Kask., 105, e H. Gonnet, Mont. As. Min., Nr. 84; v. inoltre C.-G. v. Brandenstein, loc. cit. e p. 45 della stessa opera (a proposito dell’uso di KUR come determinativo per “montagna”), e L. Jakob-Rost, loc. cit.

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parla del NA4øékur Temmûwa15 cui spettavano un recipiente øutuši per vino, all’interno rivestito di argento, e due feste in autunno e in primavera, cui doveva provvedere la città di Dala (rr. 21-24). Dato il contenuto di tutto il documento, si può presumere che si trattasse qui di un picco montano che godeva onori divini (cfr. la montagna precedente, ed anche p. 126), piuttosto che di una istituzione cultuale (v. nota 2). Analogo a questo è il passo in KUB XXXVIII 6 (CTH 510) IV 4,16 dove si elencano alcune divinità e le feste loro spettanti: tra le divinità è menzionato un NA4øékur, purtroppo seguito da lacuna, dopo la quale si trova la città di Alauna.17 Non sapendo se nella lacuna vi fosse una designazione del picco montano precedente, o qualche altro termine indipendente (un nome di divinità?), rimane anche oscuro a chi si riferisse la città qui menzionata. In due testi di epoca diversa compare un NA4øékur SAG.UŠ: all’interpretazione di SAG.UŠ come “regolare” e, quindi, “stabile, continuo, eterno” si giunge dalla documentazione relativa alle feste religiose.18 Dal contenuto di questi due testi, uno più antico (sulla cui datazione v. qui sotto) ed uno dell’epoca di Šuppiluliuma II, si comprende che si tratta in ambedue i casi di santuari legati ad un picco montano, anche se non compaiono accompagnati dai termini É o LÚMEŠ; non sembra però che si parli della stessa istituzione poiché nel testo più recente Šuppiluliuma II dichiara di aver edificato lui il NA4øékur SAG.UŠ ivi menzionato (cfr. p. 170 con nota 163). Sul contenuto e sulla datazione del primo di questi due documenti, KUB XXI 33 (CTH 387), i pareri degli studiosi sono discordi.19 Si deve V. anche v. C.-G. von Brandenstein, op. cit., 98, che pone NA4ø. Temmuwa fra i nomi geografici, insieme alla montagna Ištaøarunuwa. Questa mi sembra l’ipotesi più probabile, anziché considerare Temmuwa un nome di divinità senza determinativo divino (cfr. più avanti p. 143 sg., a proposito di p/Pírwa). È comunque attestata la presenza di una divinità Tênu/Tenu/Temu, probabilmente di origine hurrica, e di un sacerdote di Teššup dal nome di Tenu (E. Laroche, Rech. [1946-47] 61), e di Timuwa, uomo di Ura (E. Laroche, NH, 185). 16 L. Jakob-Rost, op. cit., 187. 17 Questa città non si trova in J. Garstang-O.R. Gurney, Geogr. 18 J. Friedrich, HW, 290, ed Erg.Heft 3, 42. 19 Il Meriggi (WZKM 59 [1962] 70-76) pensa che il Muršili menzionato in questo documento senza alcun titolo fosse Urøi-Teššup, mentre lo Stefanini (JAOS 84 [1964] 30) ritiene che si trattasse di Muršili II negli ultimi anni del suo regno (v. tutto l’articolo, pp. 22-30): su tutta la questione v. S. Bin-Nun, The Tawananna in the Hittite Kingdom, 15

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notare che alla r. 19 di questo testo si parla di SISKURMEŠ mantalliya per Danuøepa: un tipo di sacrificio non ben chiaro, legato, secondo alcuni studiosi, al culto dei morti.20 Alla r. 23 sembra si dica che “dal (?)] NA4 øékur SAG.UŠ egli ha preso (dâš)”, ciò che farebbe pensare ad una istituzione amministrativa da cui fosse stato prelevato qualcosa. Lo Stefanini (op. cit., 23) legge ¦NA4©[ø]é[k]ur anche alla r. 26. Il testo KBo XII 38 (CTH 121) è stato discusso da molti studiosi,21 sulla base di problemi e impostazioni diverse. Nella prima parte di questo documento si parla della conquista di Alašiya (= Cipro) ad opera di Tutøaliya IV, e nella seconda parte di un’impresa, sempre contro Alašiya, compiuta da Šuppiluliuma II. Nella Col. II 17-20 si legge che questo sovrano, prima di intraprendere tale impresa, aveva edificato per il padre defunto (Tutøaliya IV) un NA4øékur SAG.UŠ e vi aveva posto dentro una sua immagine (cfr. p. 167 con nota 155). Questo si dice ancora nella Col. IV 3-5; si aggiunge poi (r. 8) che il sovrano aveva assegnato a questo santuario 70 villaggi, certo per il suo mantenimento. Quindi (rr. 9-11) il re esprime una minaccia contro chi tenterà di sottrarre ciò all’istituzione suddetta e contro chi cercherà di sottoporla al šaøøan, certamente dovuto al potere centrale (cfr. pp 144 sgg. e 151). Di questa istituzione parleremo ancora (p. 167 sgg.) a proposito delle proposte di ubicazione per alcuni di questi santuari. In una descrizione del 32° giorno della festa AN.TA÷.ŠUMSAR per D LAMMA di Tauriša, pervenutaci in tre copie (CTH 617),22 in un passo dove si dice che il re liba ad alcune divinità e ad alcuni luoghi sacri non situati all’interno del tempio e ad altre entità divinizzate, dopo le divinità š. della porta grande, in KUB X 81 r. 5[ e in KBo XIII 176 r. 9 è Heidelberg 1975 (= THeth 5), 281 sg., e in particolare nota 228; v. inoltre A. Archi, SMEA 14 (1971) 201 e nota 66. 20 V. E. Laroche, Dict. Louv., 68, e BiOr 18 (1961) 84, e H. Otten, HTR 136 sg., e MDOG 94 (1963) 18, 20 con nota 71; v. inoltre J. Friedrich HW 136; HW Erg.-Heft 1, 13; Erg.-Heft. 2, 18; Erg.-Heft 3, 23, e la bibliografia ivi citata; R. Stefanini, op. cit., 30 con note 56 e 58 e A. Kammenhuber, THeth 7 (1976) 28 sg. A. Ünal, ÷attušili III, I.1, Heidelberg 1974 (= THeth 4), 166 sgg., dopo aver esaminato i passi dove compare questa espressione, giunge alla conclusione (171 e nota 230) che il sacrificio così designato non fosse soltanto offerto ai “Mani”, ma anche a persone viventi. 21 G. Steiner, Kadmos 1 (1962) 130 sgg.; H. Otten, op. cit., 13 sgg. e ZA 58 (1967) 231 sgg.; H.G. Güterbock, JNES 26 (1967) 73 sgg.; O. Carruba, SCO 17 (1968) 7 sgg. 22 H.Th. Bossert, HKS, 31 sgg. e H. Otten, StBoT 7 (1968) 27 sgg. Da notare in KUB X 81 r. 8 la presenza di :annariš, su cui v. p. 160 con relative note.

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menzionato un NA4øékur DINGIRLIM, che non compare invece nell’elenco corrispondente in KUB II 8 V 17 sgg. Dal contesto dei passi qui indicati sembra che con questa espressione vi si designasse un picco montano divinizzato (v. p. 154 e cfr. p. 123 sg., a proposito del NA4øékur Temmûwa). Talora, come abbiamo detto, il NA4øékur compare accompagnato da nomi di divinità. In un frammento, contenente la descrizione di una cerimonia di culto, KBo X 35 (CTH 670),23 in Ro(?) I 4, dopo una lacuna di circa due segni, si parla del picco montano della divinità Kammama, seguito da øa-aø-l[a- e poi da una lacuna dello spazio di un segno o due: si potrebbe pensare ad un completamento sulla base di una radice øaøla/øaøøal- (non so in quale forma), indicante “rigido, duro”,24 che semanticamente si accorderebbe bene col termine NA4øékur, oppure secondo un suggerimento del Neu - ad una voce di un verbo øaølai/øaøliya-, reduplicazione di øaliya- “inginocchiarsi”, di cui è nota la forma reduplicata øaliølai-/øaliøliya-: v. J. Friedrich, HW 47, Erg.-Heft 3, 13, e E. Neu, SBoT 5 (1968) 33 sgg. Nella r. 5 si parla dell’immolazione di una pecora e nella r. 6 dell’offerta di 2(?) pecore da parte dei Ro(?) I ]..[ ]. ________________________ 3’ ø]a-a-¦ni©-ya-aš KÁ.GAL[ 4’ ]. NA4øé-kur DKam-ma-ma øa-aø-l[a5’ ]-i [ ]. UDU øu-u-kán-zi 6’ 2(?) UDU-ma-aš-ma-aš LÚMEŠ IGI.DU8.A pí-an-zi ________________________________________ 7’ 2 LÚMEŠ SANGA a-ra-an-ta-ri ŠÀBA 1 DUMU.NITA 8’ 1 DUMU.MUNUS.GAB ___________________________________________ 9’ ]-iš .[ ]-la-i NA4-ri 10’ ]. .[ ]. ŠA UR.MA÷÷I.A a-ri ¦MEŠ© 11’ x (= numero) LÚ] ¦SANGA© a-ra-an-ta-ri 12’ ŠÀBA(?) DUMU.¦MUNUS©.GAB ============= 13’ ]. øu-u- . .[ 23

1’ 2’

Sull’espressione øaniyas KÁ.GAL, v. F. Pecchioli-Daddi, OA 14 (1975) 112 sg., e I. Singer, ZA 65 (1975) 90. Da notare il legame di questa porta ø. anche con la casa øešti, su cui v. note 157 e 158. 24 Su questa radice v. A. Goetze, Tunn., 84 sgg., e J. Friedrich, HW, 45.

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funzionari LÚ.MEŠIGI.DU8.A; non è chiaro a chi si riferisca il pronome enclitico -šmaš “a loro”, presente nella r. 6: probabilmente alle località sacre menzionate nelle rr. 3 e 4 e forse anche nella lacuna all’inizio della r. 5. Vediamo quindi che al picco montano dedicato alla divinità Kammama25 vengono fatti sacrifici e date offerte; non si comprende dal testo se a questo NA4øékur fosse legato anche un santuario. Purtroppo, dopo una lacuna di circa due segni, all’inizio della r. 4 si vede soltanto un cuneo verticale tagliato da un segno obliquo: la fine di un cuneo o un graffio? In quest’ultimo caso potremmo allora pensare anche alla terminazione di É. A metà della r. 7 si trova il termine ŠÀBA che probabilmente è legato alle espressioni seguenti (“(7) all’interno (sono/si trovano) un fanciullo maschio (8) e una lattante femmina”) sia perché altrimenti queste rimarrebbero isolate nel contesto sia per il confronto con le rr. 11 sg., dove con arantari si conclude la r. 11. Il Verso VI(?) non è di grande utilità per l’argomento di questa ricerca: vi si parla di una cerimonia cultuale compiuta dal re mediante il GIŠkalmuš, con l’assistenza di un “figlio del Palazzo” e di una guardia del corpo, nel tempio della dea Mezzulla (r. 9. ¦I©]-NA É DMe-ez-zu-ul-la). Di particolare interesse si presenta l’esame delle attestazioni concernenti l’É NA4øékur DLAMMA, in KUB XIV 4 (CTH 70), KUB XXII 70 (CTH 566) e nel frammento KUB XVIII 54, duplicato di KUB V 6 (CTH 570). Dalla lettura dei relativi passi - riguardanti eventi verificatisi durante il regno di Muršili II,26 quando era ancora in vita la Su questa divinità v. E. Laroche RHA 31 (1973) 83 sgg., e in particolare p. 85 sg. con nota 4 - il quale ne mostra l’appartenenza al gruppo di DLAMMA “dont elle est l’une des lectures, entre autres”; egli nota anche l’esistenza di “un øékur DKammama ... en face d’un øékur DLAMMA ...”. Esiste anche una città di nome Kammama, situata in territorio kaskeo, v. C.-G. von Brandenstein, Heth. Gött., 6 r. 22 e p. 41, e E. von Schuler, Kašk., passi citati nell’Indice, 190. 26 KUB XIV 4 è un testo dell’epoca di Muršili II; di eventi relativi al regno di questo sovrano ritengo si parli anche in KUB XXII 70: A. Ünal-A. Kammenhuber, KZ 88 (1974) 160 sg. con nota 10, propongono invece di datare questo testo all’epoca di ÷attušili III e di Puduøepa; nel loro articolo, a p. 158, si inquadrano cronologicamente diversi tipi di consultazione oracolare praticati dagli Ittiti e si pone nel XIII sec. (e più precisamente all’epoca di ÷attušili III) l’introduzione della pratica oracolare eseguita mediante il MUŠEN ÷URRI, un tipo di consultazione presente, insieme ad altri, anche nel testo in questione. Inoltre la Kammenhuber, in THeth 7 (1976) 150-152, ripropone questa stessa datazione, trattando dell’inserimento dei sogni in pratiche oracolari. Questi criteri di datazione, validi in molti casi come elementi indicativi, non mi sembrano però applicabili al nostro testo. Mi pare infatti assai verosimile che la regina 25

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sua matrigna, la regina Tawannanna, vedova di Šuppiluliuma I27- mi pare risulti evidente il vincolo che univa il santuario del picco montano di LAMMA a questa regina, anzi lo stretto rapporto che essa sembra aver avuto con questo luogo di culto deve, a mio avviso, aver tenuto una parte di grande importanza nei suoi vari intrighi che le procurarono l’esilio da parte del figliastro. Infatti, in un passo ben noto tratto dalla requisitoria di Muršili II contro la sua matrigna - KUB XIV 4 II 3 sgg. - in cui questa viene accusata di aver disposto dell’intero patrimonio paterno in maniera ritenuta non equa, questo sovrano fa rilevare accoratamente: “ora voi, dèi, non vedete continuamente come (essa = la regina vedova) abbia diretto/trasferito (neyat) tutto il patrimonio (É, lett. “casa”) di mio padre nel santuario del picco montano di LAMMA (e) nel mausoleo reale (É.NA4 DINGIRLIM)?”.28 ivi menzionata fosse appunto Tawannanna, la vedova di Šuppiluliuma I, anche se ad essa in questo documento si allude di solito col solo titolo MUNUS.LUGAL, tranne che in Ro 74 e 79, dove compare come MUNUS.LUGAL fTawa(n)nanna, con cui ritengo improbabile si volesse qui indicare il titolo regio, v. anche più avanti note 29a e 30. Che si trattasse qui di questa regina è stato detto anche da A. Ünal, THeth 4 (1974) 37 sgg. e in particolare nota 6, e da S. Bin-Nun, op. cit., 183 con nota 98, cfr. pure p. 255. Si deve purtroppo rilevare che la maggior parte dei personaggi menzionati in questo testo non si ritrova altrove. Riguardo poi alla datazione di KUB V 6 e del suo duplicato KUB XVIII 54, è stata finora generalmente accettata dagli studiosi l’opinione del Forrer, MDOG 63 (1924) 14, e del Sommer, AU, 289 sg., che proponevano l’epoca di Muršili II, mentre attualmente lo Ünal, THeth 4 (1974) 168 sgg., e la Kammenhuber, THeth 7 (1976) 27 sgg. e in particolare nota 51, propendono per l’epoca di ÷attušili III; anche accettando quest’ultima ipotesi per la datazione di questi due documenti, ritengo però che nei passi che a noi interessano si faccia riferimento ad eventi relativi alla regina Tawannanna, matrigna di Muršili II, soprattutto per quanto si dice nella Col. III r. 74 (v. p. 139 sg.). 27 Sull’identificazione di questa regina, figlia di un re di Babilonia, come terza moglie di Šuppiluliuma I, v. E. Laroche, Ug. III, 99 sgg., e NH Nr. 1316.2, e A. Ünal, loc. cit.; in A. Ünal-A. Kammenhuber (op. cit., 167 nota 25) invece si ritiene che si tratti della seconda sposa di Šuppiluliuma I, sulla base del nuovo materiale storico in lingua hurrica, per il quale si rimanda a A. Kammenhuber, op. cit., Cap. VII; v. inoltre S. BinNun, op. cit., 51, 167 sgg., 261 sgg., 269 sgg., 297 nota 273. 28 Concordo qui con l’interpretazione di H. Otten, HTR (1958) 133, MDOG 94 (1963) 18, e Fischer Weltg. 3, traduz. in St. Univ. Feltrinelli 3, 148, proprio per il confronto con KUB XXII 70. Diversamente interpreta invece il Güterbock, presso E. Laroche, Ug. III, 102 e 103 con nota 1 (“Do you, o gods, not see how she has turned the entire house of my father into a graveyard?”), alla cui traduzione si attengono anche A. Ünal, op. cit., 39, e S. Bin-Nun, op. cit., 189 con nota 122.

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Questa interpretazione del passo, già proposta dall’Otten (v. nota 28), mi sembra convalidata proprio da quanto si legge in KUB XXII 70,29 un ampio testo in cui si descrivono consultazioni oracolari fatte allo scopo di conoscere quali colpe potevano aver provocato la collera della divinità della città di Arušna29a ed in cui si parla frequentemente della sottrazione di alcuni beni cultuali, effettuata dalla regina Tawannanna in favore proprio del santuario del picco montano di LAMMA. È del resto nota anche da altri testi l’abitudine di questa regina di prelevare materiale prezioso dovuto alle divinità: v. in proposito S. Bin-Nun, op. cit., 183-189; v. inoltre quanto osserveremo più avanti, riguardo a KUB V 6 III 67 sgg. All’inizio di KUB XXII 70 si legge che in occasione della malattia di un sovrano ittita (Ro 1) - verosimilmente Muršili II,30 anche se in questo testo non è mai menzionato con il suo nome, ma soltanto con la designazione “il Mio Sole” - si cerca di sapere se la divinità di Arušna sia

Il passo continua: “e quello fece venire da Šanøara (= Babilonia), e quello in ÷attuša a tutta la popolazione consegnò (= consegnò in ÷. a tutta la popolazione quello che aveva fatto venire da Š.)”, v. più avanti p. 142 con nota 60, e cfr. St. Univ. Feltrinelli 3, 148, v. invece Ug. III, 103 con note 2 e 3, e S. Bin-Nun, op. cit., 189. 29 Testo menzionato in F. Sommer, AU, 318, E. Laroche, op. cit., 103, H. Otten, MDOG 94 (1963) 18, A. Ünal, op. cit., 37 sgg., A. Ünal-A. Kammenhuber, op. cit., 160 sg. con nota 10, S. Bin-Nun, op. cit., passi indicati nell’Indice a p. 375, A. Kammenhuber, op. cit., 150-152. Di questa tavoletta riportiamo soltanto alcuni passi inerenti all’argomento di questa trattazione, poiché essa verrà pubblicata completamente da A. Ünal, secondo quanto è stato annunciato in A. Ünal-A. Kammenhuber, op. cit., 159 nota 5. 29a Sui passi in cui compare questa divinità kizzuwatnea, v. A. Kammenhuber, op. cit., 150; essa è attestata per la prima volta in una preghiera di Muwatalli, KBo XI 1 (CTH 382) Vo 13 sg., in un contesto purtroppo lacunoso, in cui si legge “in quella faccenda del padre del re” (verosimilmente Muršili II) e si parla della prestazione di un sacrificio per questa divinità: a proposito di questo passo concordo con l’opinione di Ph.H.J. Houwink ten Cate (RHA 25 [1967] 127, cfr. anche pp. 109, 112, 119) che vede qui un riferimento a quanto è scritto in KUB XXII 70. 30 La datazione di questo testo al regno di questo sovrano (v. sopra nota 26) risulta assai probabile sia per i frequenti riferimenti ad una situazione di tensione fra lui e la regina Tawannanna - cosa che del resto ci è nota anche da altri documenti - sia per le continue allusioni a colpe commesse da questa regina ed anche al suo bando dal Palazzo (Ro 16, v. p. 131 con nota 35); v. inoltre più avanti, nota 45, a proposito dell’eventualità che in Vo 46 si parli di un processo collegato ad una malattia di questo sovrano.

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in collera e se lo sia con lui: i responsi risultano affermativi riguardo a tutti e due i quesiti (rr. 4-7). Nelle rr. 12 sgg. si affronta una questione che viene poi ripresa varie volte nel testo e che appare come una delle cause principali della collera divina e delle conseguenze che ne sono derivate: sembra cioè che si tenda a mettere in evidenza lo stretto legame della regina in questione con il santuario del picco montano di LAMMA, dove si dice che essa aveva trasferito diversi oggetti ripetutamente richiesti dalla divinità di Arušna (v. più avanti durante la descrizione del testo), suscitandone in tal modo la collera. Pare addirittura che tale rifiuto a soddisfare le richieste di questa divinità fosse stato uno dei motivi che aveva provocato il bando di questa regina dal Palazzo31 (v. r. 16): 12 ki-i ku-it nam-ma NU.ŠIG5-ta nu e-ni-ya ku-it f Ma-a-la-aš ki-iš-šaan!32IQ-BI MUNUS.LUGAL-wa-za KI-LI-LU GUŠKIN 13 I-NA É NA4øé-kur DLAMMA e-eš-ši-eš-ta nu-wa-ra-at A-NA [MUNUS.LU]GAL DINGIRLIM URUA-ru-uš-na Ù-az IR-ta MUNUS.LUGAL-ma-wa-ra-at 14 Ú-UL pé-eš-ta nu-wa-ra-at I-NA É LÚŠÀ.TAM kat-ta! da-a-iš-[t]a33 MUNUS.LUGAL-ma-wa A-NA DINGIRLIM URUA-ru-uš-na 2 GILIM KÙ.BABBAR 15 ta-ma-a-i pí-di-iš-ši e-eš-ši-eš-ta nu-wa-ra-at ku-it-ma-an A-NA DINGIRLIM URUA-ru-uš-na na-a-ú-i up-pé-eš-ta 16 A-NA MUNUS.LUGAL-ma-wa me-mi-aš ú-wa-a-i ti-ya-at nu-wa-raan-kán IŠ-TU É.GALLIM kat-ta u-i-e-er... “(12) Inoltre poiché riguardo a questo (il responso) fu sfavorevole e poiché anche riguardo alla cosa menzionata fMala così parlò: “La regina una corona d’oro (13) nel santuario del picco montano di LAMMA fece e ciò (= la corona, accus.) alla [regi]na la divinità di Arušna mediante un 31 Qui e altrove nel testo il sumerogramma É.GAL ha per lo più il valore di “palazzo reale, corte”, come del resto anche in altri testi dove si parla dell’esilio di questa regina (v. KUB V 6 III 74 e il suo duplicato KUB XVIII 54 r. 74, e KBo IV 8 II 14; sui possibili significati di É.GAL nei testi ittiti, v. H.G. Güterbock, in Actes XIXe R.A.I., Paris, 1971 [1974], 305-314, ed A. Archi, OA 12 [1973] 209-213). 32 Tra -an e IQ- si trova un inspiegabile cuneo verticale. 33 Il segno è danneggiato: la Kammenhuber, op. cit., 150, vi legge probabilmente ŠA poiché traduce qui “von der Königin”.

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sogno chiese, ma la regina (14) non la dette, e nella casa del tesoriere la depose, ma la regina alla divinità di Arušna altre due corone di argento (15) al suo posto fece, e mentre/come alla divinità di Arušna non ancora le aveva inviate,34 (16) alla regina la faccenda procurò dispiaceri e dal Palazzo la mandarono fuori/bandirono...”.35 Il testo continua dicendo che (r. 16) la regina della città di Ut(?)rulia35a (r. 17) di nuovo scrisse al sovrano ittita (al Mio Sole) che la divinità di Arušna gli aveva chiesto in sogno la corona d’oro (rr. 18 sg.) deposta nella casa del tesoriere (cfr. r. 14) insieme ad altri oggetti e che mandasse via ciò alla/per la divinità;36 nelle rr. 19 sg. si dice che si trovò la corona d’oro e si menzionano poi altri oggetti che ricorrono ancora in Recto 25 e 71. Quindi (rr. 20 sg.) si legge “e ciò nel santuario del picco montano di LAMMA alla statua della regina dentro portarono” - (20) ... na-at-kán I-NA É NA4øé-kur DLAMMA (21) A-NA ALAM MUNUS.LUGAL an-da pé-e-te-er37 - e si nota che però altri oggetti che dentro furono 34 Da intendersi nel senso di “prima che alla divinità di Arušna le avesse inviate” (cfr. KBo III 4 I 3, in A. Goetze, AM, 14 sg.) oppure “poiché alla divinità di Arušna non ancora le aveva inviate”? 35 La Kammenhuber, op. cit., 151, interpreta diversamente l’ultima parte di questo passo: alla fine della r. 14, al posto di “2 GILIM KÙ.BABBAR” essa legge e traduce “Die 2 Throne (GIŠŠU-øi = hurr. kešøi) aus Silber”, mi sembra però preferibile la lettura GILIM per il confronto con le rr. 22-23 (anche se qui si parla di 2 corone d’oro anziché d’argento) e con la grafia del termine GIŠŠU.A-øi nella r. 63 sempre del Recto; all’inizio della r. 15 essa traduce “an seinem anderen Ort”, mentre io ritengo tamâi un accus. neutro plur. (v. J. Friedrich, HW, 207, secondo A. Goetze, Madd., 28 sg. Vo 37 e 171, e HE [1974] 70) accordato con “2 GILIM KÙ.BABBAR (r. 14)” e posto forse enfaticamente in questa posizione (sulle forme di dat.-loc. sing. di t/damai- v. J. Friedrich, locc. citt., e HW Erg.-Heft 2, 24); cfr. inoltre, per esempio, più avanti in Ro 28 dove tamâi compare come nom. neutro sing. accordato con kuitki: anche la Kammenhuber traduce qui “weiter nichts”. Della seconda parte della r. 16 la Kammenhuber dà questa traduzione “Dann schickte man sie (-at) aus dem Palast hinunter”: in KUB XXII 70 in questa riga si legge però nu-wa-ra-an-kán; in maniera analoga ci si esprime anche più avanti in Ro 35, v. nota 40; su katta uiyacol valore di “mandar fuori, bandire”, v. J. Friedrich, HW, 232, che rimanda a F. Sommer, HAB, 144. 35a A. Ünal, in base alla collocazione della tavoletta, mi ha fatto presente l’opportunità di leggere qui MUNUS.LUGAL URUUd/Ut/UD/UTU-ru-li-az, anziché nu LUGAL URUWuu-ru-li-az, come risulta da KUB XXII 70: la Kammenhuber, loc. cit., traduce qui: “der König von (der Stadt) Waruliya”. 36 (19) nu-wa-ra-at A-NA DINGIRLIM ar-øa up-pí: uppi, imper. 2a pers. sing. da uppa-, v. J. Friedrich, HW, 234; cfr. più avanti r. 23. 37 Cfr. r. 26, ed anche p. 139.

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posti (rr. 22-24) non trovarono, ma delle due corone d’oro38 che la regina aveva fatto (in conseguenza) di un voto (gen. sing.)/come voti (dat. plur.) per la divinità ne trovarono una, e alla/per la divinità la mandarono via (cfr. r. 19 e nota 36), ma una corona d’oro non trovarono, allora poiché riguardo alla cosa menzionata così parlarono: “qualunque suppellettile39 per la divinità sia deposta, alla divinità appunto la si dia e ciò di nuovo non si trasferisca”. . . 22 nu-wa-ra-at Ú-UL ú-e-mi-ir 2 GILIM GUŠKIN-ma-wa ku-e ma-alde-eš-na-aš MUNUS.LUGAL A-NA DINGIRLIM e-eš-ši-eš-ta nu-wa 1EN GILIM GUŠKIN 23 ú-e-mi-ir nu-wa-ra-at A-NA DINGIRLIM ar-øa up-pí-ir 1 GILIM GUŠKIN-ma-wa Ú-UL ú-e-mi-ir nu e-ni ku-it ki-iš-ša-an me-mi-ir 24 A]-NA Ú-NU-UT DINGIRLIM-wa ku-it ku-it kat-ta-an GAR-ri nuwa-ra-at A-NA DINGIRLIM pí-ya-an-zi-pát Ú-UL-wa-ra-at EGIR-pa

wa-aø-nu-wa-an-zi Si dice poi (r. 25) che riguardo alla cosa menzionata - e qui si riparla di alcuni oggetti che ricorrono anche nelle rr. 20 e 71 - non si sapeva niente, e si ripete (r. 26) che ciò nel santuario del picco montano di LAMMA alla statua della regina dentro portarono (cfr. r. 21), ma non trovarono :takkišra.39a Alla r. 27 si chiede se la divinità sia in collera per questo, in tal caso le carni e gli altri elementi della consultazione siano sfavorevoli: il responso risulta infatti sfavorevole. Sembra si faccia poi (r. 28) un’altra consultazione per sapere se la divinità sia in collera anche per altri motivi. A questo punto (rr. 29 sgg.) cominciano ad intrecciarsi Cfr. nota 54. Cfr. le espressioni in KUB XXVI 43 Vo 7 e 12 (v. Šaøur. [1974], 34 sg. e 105 nota 167); mi sembra più improbabile intendere così il nostro passo: “qualunque cosa come suppellettile della/per la divinità sia deposta”. 39a La Kammenhuber, op. cit., 151 sg., legge qui e alla r. 21 “10 takkiššara/takkišra”, ed anche altrove, relativamente ad altri sostantivi (pi/penkita, atupalaššan), legge come “10” il segno che io ho inteso come indicazione di glossa: se però il cuneo obliquo discendente prima di pinkita alla r. 20 avesse indicato il numero 10, esso sarebbe stato probabilmente ripetuto anche alla r. 25 in contesto analogo, come infatti avviene per 8 AYARI (cfr. pure r. 71). Questo segno, in relazione ai termini su menzionati, viene inteso come indicazione di glossa anche da J. Friedrich (HW, 330, 332 sg., Erg.-Heft 2, 44), H.G. Güterbock (Or 25 [1956] 129) ed E. Laroche (Dict. Louv., 35, 82, 89). 38

39

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diverse vicende su cui non ci fermiamo perché esulano dall’argomento di questa ricerca, ma che si riferiscono a manchevolezze e intrighi che avevano coinvolto numerose persone, per lo più donne, che gravitavano nell’àmbito del Palazzo.40 Avendo poi l’oracolo continuato a dare un responso sfavorevole, si riparla allora della regina che aveva appreso in sogno delle suppellettili portate nel santuario del picco montano di LAMMA e della richiesta di Arušna (cfr. Ro 73): 41 . . . . . . . . . . . . .nu-za-kán MUNUS.LUGAL ku-it [MA.M]Ú-an a-uš-

ta nu-wa za-aš-øi-ya

42 ku-iš-ki me-mi-iš-ki-iz-zi Ú-NU-TEMEŠ-wa-kán ku-e ¦I-NA© [ŠÀ] ¦É© NA4 ¦øé-kur© DLAMMA nu-wa . [ ]. A-NA DINGIRLIM URUA-ru-uš-na

ku-it

43 pé-eš-te-ni. . . . . . Dopo aver ricordato altre vicende di cui si era parlato precedentemente, nelle rr. 49 sg. si dichiara che il responso è ancora sfavorevole e poiché esiste un peccato all’interno del santuario del picco montano di LAMMA, si deve fare su ciò una consultazione oracolare, e quello che viene stabilito si deve dare alla divinità, la quale però non è ancora soddisfatta. Nelle rr. 51 sgg. si ripete che è stato commesso un peccato all’interno del santuario suddetto, e sembra - ma non è ben chiaro - che si decida di lasciare la cosa in questione nel santuario del picco montano di LAMMA,41 e di dare in sostituzione alla divinità la 40 Purtroppo, come già abbiamo detto, la maggior parte di queste persone è presente soltanto in questo testo. Si ricordano qui diversi episodi che dovevano aver suscitato a corte un certo clamore. Da notare la menzione di una donna di nome Pittiya, di cui si parla anche altrove nel testo e di cui si dice che fu espulsa dal Palazzo e data alla divinità: (35) nu-kán fPíttiyan IŠTU É.GALLIM katta uiêr n-an ANA DINGIRLIM píanzi. Nelle rr. 36 sgg. si discute anche la faccenda di un certo Palla, in cui risulta evidentemente coinvolta anche la regina. Nella narrazione di queste vicende compare sovente anche una DUMU.MUNUS GAL, che doveva tenere una posizione elevata ed in cui la Bin-Nun, op. cit., 255 sg., propone di riconoscere Gaššulaniya/Gaššuliyawiya, la sposa di Muršili II. La Kammenhuher (op. cit., 149, v. anche pp. 30 e 147 sg.), in accordo con la datazione da lei attribuita a KUB XXII 70, ritiene invece che nel nostro testo e in KBo XVIII i si tratti della figlia maggiore di ÷attušili III e di Puduøepa, cioè di una sorella carnale di Tutøaliya IV. 41 Si alludeva probabilmente a ciò che era stato sottratto dalla regina alla divinità di Arušna e portato in questo santuario.

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stessa cosa in pietra (rr. 51 sg.), poi in oro (r. 53), quindi in oro e in pietra (r. 54), e inoltre vesti particolari (rr. 55 sgg.), ma ad ogni proposta l’oracolo (la tadorna) risponde sempre sfavorevolmente, finché alla r. 60 il responso è favorevole, dunque la divinità sembrerebbe contenta dell’offerta. 49 ki-i ku-it nam-ma NU.SIG5-ta nu-kán :wa-aš-ta-an-za ku-it ŠÀ É NA4 øé-kur DLAMMA a-aš-ša-an na-a[t] a-ri-ya-u-¦e©-ni . [ 50 nu ku-it SIXSÁ-ta-ri na-at A-NA DINGIRLIM pí-an-zi ma-a-an-ma-za DINGIRLIM QA-TAM-MA ma-la-a-an øar-ti nu TEMEŠ SIG5-ru TEMEŠ NU.SIG5 zi-ma šu-ri-iš SIG5 51 e-ni-kán ku-it :wa-aš-ta-an-za ŠÀ É NA4øé-kur DLAMMA a-aš-šu-waan-zi SIXSÁ-at na-at pa-a-an-zi A-NA DINGIRLIM IŠ-TU NA4 52 pí-an-zi KI.MIN nu MUŠEN÷UR-RI SIG5-ru NU.SIG5 ______________________________________________________ 53 na-at A-NA DINGIRLIM IŠ-TU GUŠKIN-ma pí-an-zi KI.MIN nu MUŠEN ÷UR-RI SIG5-ru NU.SIG5 ______________________________________________________ ............................. ................... 60 . . . . . . . . . . . . . pí-an-zi KI.MIN nu MUŠEN÷UR-RI SIG5-ru SIG5 ______________________________________________________ Si esamina quindi una serie di vicende che coinvolgono lo stesso sovrano, alcune delle quali si ripetono più volte nel testo:42 da notare che

Nelle rr. 61 sgg. si dice che riguardo alla cosa menzionata la regina mandò dal re persone da lei dipendenti (UNMEŠ-šuš, cfr. S. Bin-Nun, op. cit., 194); sembra però che egli, conosciuta la faccenda per intero, sia rimasto indifferente (r. 62: “e così (il Mio Sole) parlò: “Non ditemi niente”, e riguardo a ciò/a loro tacque”. Cfr. anche rr. 74 sgg. e Vo 44 sg., e p. 139 sg., a proposito di KUB V 6 III 71) e che questo abbia provocato la collera divina (r. 63), si richiede perciò un’ammenda al sovrano (r. 64). 42

61 e-ni-ma ku-it MUNUS.LUGAL UNMEŠ-šu-uš kat-ta GUL-an-te-eš14 A-NA DUTUŠI IŠ-TUR DUTUŠI-ma-kán me-mi-an me-na-aø-øa-an-da ka-ni-iš-ta 62 nu ki-iš-ša-an IQ-BI le-e-wa-mu ku-it-ki me-ma-at-te-ni na-kán še-er ka-ru-uš-ši-yaat nu ma-a-an A-NA DINGIRLIM 63 a-pa-a-at ku-it-ki TUKU.TUKU-az DÙ-at nu SUMEŠ NU.SIG5-du GIŠŠÚ.A-øi GÙBla-an NU.SIG5 _________________________________________________________________

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nelle rr. 71 sgg. si riparla della corona d’oro e di altri oggetti (su cui cfr. rr. 19 sgg. e 25), e del sogno della regina riguardo agli utensili posti all’interno del santuario del picco montano di LAMMA (r. 73, cfr. sopra rr. 41 sg.). Questa istituzione cultuale viene di nuovo menzionata al Vo 17, purtroppo però in un contesto lacunoso;43 nelle rr. 20 sgg., anch’esse danneggiate, si parla ancora degli utensili situati nel medesimo santuario e di un indennizzo stabilito mediante l’oracolo, ma la divinità non sembra d’accordo. È da notare la frequente presenza di questi utensili in riferimento al santuario del picco montano di LAMMA ed alla divinità adirata, probabilmente perché ne rivendica il possesso: si deve osservare che a tal proposito si allude anche ad una maledizione all’interno del palazzo reale (rr. 24 e 26), indicato qui con É.LUGAL (v. nota 31).44 64 nu ma-a-an DINGIRLIM a-pád-da še-er A-NA DUTUŠI za-an-ki-la-tar ku-it-ki ša-anaø-ta nu SUMEŠ NU.SIG5-du ŠUTI GÙB-aš NU.SIG5 _________________________________________________________________ L’espressione UNMEŠ-šuš è accompagnata da katta GUL-anteš “abbattuti, precipitati”: cfr. più avanti Ro 74 dove, parlando verosimilmente dello stesso evento, si legge UNMEŠ-uš kuiêš katta waløanzi; in Vo 44, ancora a proposito di questo episodio, si parla di antuøšaš katta GUL-aøøandaš; cfr. inoltre le espressioni analoghe in Vo 15 (fPittiyaš-wa-kán katta GUL-anza), 30 (ŠA DUTUŠI kuit antuøšaš katta GUL-aøøandaš šêr zankilatar SIXSÁ-at), 61 (mân katta waløanta kuitki úemiyanzi), 65 sg. (nu Ú-UL katta GUL-uwar (66) kuiški KAR-nuzzi). Pare che la divinità non sia ancora soddisfatta e ricerchi qualcos’altro (r. 65 sg.); si riparla allora della faccenda della donna di nome Pittiya (v. nota 40), di cui la regina afferma di aver informato il sovrano (r. 67), lamentandosi di non essere stata ascoltata (r. 69). Nelle rr. 71 sgg. si fa un riesame delle vicende precedentemente esposte in cui sono coinvolti, insieme ad un gran numero di persone, anche la regina Tawannanna e il sovrano. Nelle prime righe del Verso si fanno di nuovo consultazioni oracolari e si riprende la questione di Pittiya che ha commesso qualcosa proprio nell’àmbito del Palazzo. Nelle rr. 13 sgg. si interroga sulla faccenda di Pittiya una certa ÷epamuwa che dice che Pittiya è maledetta (r. 14. f÷epa]muwa memai fPittiyaš-wa øurtanza); alla r. 15 si legge: f÷épamuwaš-ma memai fPittiyaš-wa-kán katta GUL-anza, cfr. qui sopra. 43 Forse nella lacuna si parlava di qualcosa spettante alla divinità e portata nel santuario suddetto poiché si legge poi nello stesso passo che si doveva dare alla divinità la medesima cosa intatta o completa; dalle righe seguenti sembra però che la divinità non fosse ancora soddisfatta: v. nota 44. 44

]. pa-a-an-zi A-NA DINGIRLIM ša-ku-wa17 I-NA É NA4øé-kur DLAMMA [ aš-šar pí-ya-an-zi KI.MIN nu SUMEŠ SIG5-ru N[U.SIG5(?)] _________________________________________________________________

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Alla r. 44 sembra si faccia riferimento alla questione trattata nelle rr. 61 sgg. del Recto (v. p. 134 con nota 42) e si stabilisca poi (r. 43) un’ammenda mediante l’oracolo; successivamente si parla di una proclamazione di perdono, probabilmente da parte del sovrano (“ma il Mio Sole (nomin.) riguardo a ciò proclama il perdono”) - forse in rapporto alla faccenda in cui erano coinvolti gli uomini della regina piuttosto che per il sovrano (DUTUŠI, accus. di relazione?) da parte della divinità (sottintesa nel passo), adirata per la sua indifferenza: v. ancora 18 nu e-ni Ú-NU-TEMEŠ ¦e©(?)-[ -a]n-zi KI.MIN nu SUMEŠ SIG5-ru ni ši GIŠŠÚ.A-øi GÙB-la NU.SIG 5 _________________________________________________________________ ]DINGIRLIM QA-TAM-MA SIXSÁ-at 19 na-at A-NA DINGIRLIM 2 ŠU(?)[ LÚAZU IQ-BI _________________________________________________________________ 20 e-ni-kán ku-e Ú-NU-T[EMEŠ É(?)NA4øé]-kur DLAMMA e-eš-ta šar-ni-ik-ze-el ..-aš ku-it kat-ta-an SIXSÁ-a[t 21 na-at A-NA DINGIRLIM EGIR-pa[ ku]-¦it© me-mi-ir Ú-UL-wa

ki-ša-ri zi-la-aš-wa ku-it øur-ti-ya-aš

22 na-a-wí zi-in-[na-at-ta-ri 23 24 25 26 27

øur]-ti-ya-aš na-a-wí zi-in-na-at-ta-ri e-nima Ú-NU-TEMEŠ A-NA DINGIRLIM EGIR-pa [ TUKU.]TUKU-an-za Ú-UL kuit-ki ki-ša-ri nu SUMEŠ ¦SIG5©-ru ni ši A-NA ZÉ-kán ir-liš 2-an NU.SIG5 _________________________________________________________________ ki-i-kán ku-it a-ri-[ ]ti-i-ya-az-zi nu-kán ma-a-an ¦I!©-NA É.LUGAL ku-it øurti-ya-aš ut-tar nu-u-wa EGIR-an na-at na-a-wí Ú/ú-[ -i]k-ki-iš-ta-ri nu TEMEŠ NU.SIG5-du ni ši A-NA ZÉ-kán ir-liš 2-an NU.SIG5 _________________________________________________________________ ki-i-kán ku-it ŠÀ É(?).[LUGAL(?) ] ŠÀ É.LUGAL øur-ti-ya-aš-pát ut-tar e-eš-zi nam-ma-ma-kán ŠÀ É.LUGAL (eraso) ú-e-ku-wa-ar na-.[ T]E(?)MEŠ SIG5-ru ŠÀ.TIR÷I.A øi-ri-iø-øi-iš tali-im tu-u-ta-am-mi-it-ta NU.SIG5 _________________________________________________________________

Riguardo alla r. 20, per le tracce di segni rimaste dopo šarnikzel, E. Neu - senza però aver potuto collazionare la tavoletta - mi ha fatto presente la possibilità di una lettura k¦u-i©t-aš, pur osservando che -aš pone sintatticamente difficoltà, e A. Ünal mi ha suggerito una lettura šar-ni-ik-zi-el aš-š¦u©-l¦a©-aš nel senso di “Busse des Guten/des Gutmachen”, pur rilevando che si tratterebbe però di un’espressione unica in tutto il testo. Nella r. 38 si riprende la faccenda degli utensili che un certo Zarniyaziti (attestato solo in questo documento) continuò a dare nel santuario del picco montano di LAMMA (eni-kán kuit mZarniya-LÚ-iš ÚNUTEMEŠ INA ŠÀ É NA4øékur DLAMMA pešk[it ), e si parla anche del “dio nero” che cercò un’ammenda da Zarniyaziti, stabilita mediante consultazione oracolare (rr. 40-43).

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nota 42. Alla r. 46 si dice che proprio con un giudizio (o in un processo? messo in rilievo da -pát) viene stabilita mediante l’oracolo la concessione di questo perdono, legata alla guarigione verosimilmente del sovrano, anche se egli non è esplicitamente menzionato nel passo (mân mân-aš øattulêšøi): è probabile che si alluda qui alla malattia del re, in occasione della quale era stata promossa questa consultazione oracolare.45 Dalla r. 47 sembra risultare che la divinità è contenta e che il responso oracolare è favorevole.46 44 e-ni-za ku-it DUTUŠI A-WA-AT MUNUS.LUGAL an-tu-uø-ša-aš kat-ta GUL-aø-aø-an-da-aš pa-ra-a Ú-UL ¦tar©-na-aš le-e-wa-mu ku-

it-ki me-ma-at-te-ni

45 ki-nu-un-ma-at SIXSÁ-at nu a-pád-da še-er za-an-ki-la-tar SIXSÁ-at na-at pí-an-zi DUTUŠI-ma a-pád-da-an še-er du-ud-du øal-za-a-i du-

ud-du-un-ma 46 a-ri-ya-an-zi ma-a-an du-ud-du-uš øal-zi-ya-u-wa-an-zi DI-NU-UNpát SIXSÁ-ri ¦ma©-a-¦an© ma-a-na-aš øa-at-tu-le-e-eš-zi ku-wa-pí nu du-ud-du-un QA-TAM-MA øal-za-a-i 47 DINGIRLIM-za QA-TAM-MA ma-la-a-an øar-ti nu TEMEŠ SIG5-ru nieš-kán ZAG-na pé-eš-ši-ya-at GÙB-la-za-ma-aš ar-øa-ya uk-tu-u-rima-aš-ši še-er IGI KASKAL 10 ŠÀ TIR SIG5 _____________________________________________________ Nelle rr. 51 sg. c’è un passo che si ripete nelle rr. 54 sg., e cioè vi si dice che riguardo alla cosa menzionata, poiché gli utensili (sono) portati Vien fatto di chiederci se non vi fosse qui un riferimento ad un processo contro la regina Tawannanna, sempre in rapporto alla malattia del sovrano. Per i testi in cui si parla del famoso processo nei riguardi di questa regina, v. E. Forrer, Forsch. II 1 sgg., F. Sommer, AU, 300, E. Laroche, Ug. III, 101-103; di questo processo è rimasta memoria anche in un documento di ÷attušili III (CTH 383), v. H.G. Güterbock, SBo I, 12. Come abbiamo visto (p. 129 sg. e nota 30), si fa menzione di una malattia del sovrano all’inizio di questa tavoletta, Ro 1; inoltre, secondo la Bin-Nun, op. cit., 187 nota 114, si trova in questo testo un altro riferimento a questa malattia, in Ro 69 sg., 81: ammuk-ma-wa KALAG.GA-aš (o -pát?)/KALAG.GA-aš-wa-mu GEŠPU-aš anda t/damaš-šan øarzi “una terribile forza mi ha oppresso”, anche se dal contesto in cui questi passi sono inseriti non risulta completamente chiaro che fosse il sovrano l’autore di questo discorso. 46 Da notare la r. 48: paizzi [DUT]UŠI ANA DINGIRLIM URUArušna kêdaš-pát ÷I.A UD -aš duddu øalzai ÚNUTEMEŠ-ya-kán øantizzi parâ tiškanzi. 45

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(singolare con valore collettivo) nell’interno del santuario del picco montano di LAMMA, e poiché essi non (sono) ancora fuori d’uso, poiché appunto l’UNMEŠ-tar (il complesso delle persone dipendenti dalla regina - v. nota 42 - che gravitano nel santuario) impuro/sconsacrato (li) toccò ripetutamente/si avvicinò per recare danno,46a si deve ora compiere una cerimonia di purificazione mediante un capro gettato in mezzo al fuoco (r. 52), ma i responsi oracolari mostrano che la divinità non è contenta, allora (r. 55) si gettano nel fuoco gli utensili e si compiono altri atti rituali, ma i responsi sono sempre sfavorevoli. 51 e-ni-kán ku-it Ú-NU-TEMEŠ I-NA ŠÀ É NA4øé-kur DLAMMA pé-eda-an na-at na-a-ú-i ku-it:/u-wa-la-an-ta-la-am-ma-an UNMEŠ-tar-pát-

kán

52 ku-it ša-ak-nu-wa-an-te-eš14 an-da ša-li-ki-iš-kir ki-nu-na-at-kán MÁŠ .¦GAL© IZI-ya iš-tar-na ar-øa pé-e-da-an-zi nam-ma šu-up-pí-ya-aøøa--zi47 53 na-at A-NA DINGIRLIM QA-TAM-MA pí-an-zi DINGIRLIM-za QATAM-MA ma-la-an øar-ti nu SUMEŠ SIG5-ru UZUŠÀ ap-pa-an NU.SIG5 ____________________________________________________ 54 e-ni-kán ku-it Ú-NU-TEMEŠ I-NA ŠÀ É NA4øé-kur DLAMMA pé-eda-an na-at na-a-ú-i ku-it:/u-wa-la-an-ta-la-ma-an UNMEŠ-tar-pát-kán 55 ku-it ša-ak-nu-wa-an an-da ša-li-ki-iš-kir nu-kán e-ni Ú-NU-TEMEŠ ŠÀ IZI pé-eš-ši-ya-an-zi nam-ma-at NA4ku-un-ku-nu-uz-zi-it 56 GUL-an-zi nam-ma-at-kán MAŠ.GAL IZI-ya iš-tar-na ar-øa pé-e-da-

an-zi nam-ma-at šu-up-pi-ya-aø-øa-an-zi

57 na-at A-NA DINGIRLIM QA-TAM-MA pí-an-zi KI.MIN SUMEŠ ni ši 8 ŠÀ.TIR NU.SIG5 Si dice poi (rr. 58 sgg.) che la richiesta (oracolare) è appunto allo stesso modo e quando portano gli utensili nella città di Arušna e quando gli uomini del tempio - LÚMEŠ É.DINGIRLIM - (della divinità di Arušna?) li riconoscono come loro, e si compie una cerimonia di purificazione,

46a

citato. 47

Sul verbo šalik- v. J. Friedrich, HW 179 sg., Erg.-Heft 2, 22 e E. Laroche ivi

Per questa correzione, cfr. Vo 56 e 59.

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anche allora i responsi oracolari sono sfavorevoli. Nelle rr. 60 sgg. si continua a ricercare il desiderio/l’intenzione della divinità di Arušna.48 Dopo l’esame di KUB XXII 70 anche il frammento molto danneggiato KUB XVIII 54 (CTH 570) III 73-81, duplicato di KUB V 6 III 73-81, presenta maggiore interesse. Del contenuto di KUB V 6 ci fornisce un sommario il Sommer,49 tenendo conto - nella parte corrispondente - di KUB XVIII 54. Anche in questo testo si fanno numerose consultazioni oracolari per cercar di conoscere il motivo della collera di qualche divinità, che poteva aver provocato la malattia di un sovrano ittita di cui non conosciamo il nome,49a e cosa si debba fare per riparare. Dall’esame di alcuni passi della Col. III50 ritengo che vi si parli di eventi riguardanti la regina Tawannanna, vedova di Šuppiluliuma I, per il confronto con alcune parti di KUB XXII 70. Alla r. 61 si apprende mediante l’oracolo che la divinità (il soggetto è nella lacuna, ma è facilmente intuibile) è in collera nel suo tempio (espressione questa abbastanza frequente nei testi di consultazione oracolare, v. ad esempio KUB XXII 70 Ro 79). Nella r. 64 compare l’espressione ALAM-ŠU “la sua statua/immagine”, purtroppo in un contesto lacunoso e oscuro;51 il Sommer (op. cit., 286) pensa ad un’immagine divina, ci viene però alla mente anche la statua della regina menzionata in KUB XXII 70 Ro 21 e 26, che era situata nel santuario del picco montano di LAMMA ed alla quale erano portate offerte, forse proprio quelle dovute ad altre divinità, provocandone così la collera (v. pp. 130 sg. e 135). Un richiamo del genere a proposito del passo esaminato in KUB V 6 III 64 non avrebbe alcuna giustificazione se non si parlasse poco dopo di inadempienze in rapporto alla Tawannanna. Infatti nelle rr. 67 sgg. sembra si stabilisca mediante una Nel paragrafo finale di questo documento, dopo aver accennato ancora alla faccenda di Pittiya, ricompare ÷epamuwa (v. nota 42), che sembra concludere la questione (r. 67: zinnâi) non si comprende bene il risultato di quest’ultima consultazione oracolare che non si presenta uniforme poiché le carni sono sfavorevoli, ma lo zi(zaøi) ha/è un šuri ed è favorevole ([67] nu QATAMMA nianzi KI.MIN nu SUMEŠ SIG5-ru SUMEŠ NU.SIG5 zi-ma [68] šuriš SIG5). 49 AU, 275 sgg., egli riporta invece in traslitterazione e traduzione la parte relativa alla questione di Aøøiyawa (II 13-64, v. E. Forrer, Kl. Forsch. 1, 260 sg.). 49a Sull’identificazione di questo sovrano (Muršili II o ÷attušili III) sono state espresse opinioni contrastanti: v. in proposito quanto abbiamo osservato a p. 128, alla fine della nota 26. 50 V. F. Sommer, op. cit., 286, 288. 51 r. 64: ] . . A-N[A](??) ALAM-ŠU-ya še-er SIXSÁ-at .... 48

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consultazione oracolare che la divinità è adirata perché le è stata tolta la/una sua casa per darla forse alla Tawannanna (r. 68, cfr. p. 129); così dunque si lamenta la divinità parlando in prima persona: ammuk-wa ÷A.LA÷I.A tepnuir “a me diminuirono le parti” (r. 69). Ora, è ben noto che non si può togliere e neppure diminuire quanto spetta alle divinità, neppure in circostanze particolari: cfr. quanto abbiamo osservato in Šaøur. (1974) 95. La Tawannanna invece sembra anche qui accusata di aver defraudato in qualche modo la divinità: v. p. 129. Alla r. 71 non si comprende bene se si alluda a qualcuno che tralascia/trascura la parola del Mio Sole, o se sia il Mio Sole che tralascia/trascura la faccenda in questione (quest’ultima ipotesi richiama alla mente la probabile accusa di indifferenza del sovrano in KUB XXII 70 Ro 61 sgg., 74 sgg., Vo 44 sg., v. nota 42); si parla poi di un’offerta sacrificale per il fratello del re (verosimilmente defunto: Arnuwanda?, si chiede il Sommer, op. cit., 286), e, dopo una lacuna, ancora di un’offerta sacrificale, stabilita mediante l’oracolo, di un bove grasso, (un) pane e (una) pecora (r. 72); si apprende inoltre che prima si era intrapreso un rituale mukeššar52per lui (?) (r. 73): ] ¦D©UTUŠI me-mi-an! tar-na-i SISKUR-ya A-NA ŠEŠ LUGAL SUM!-ir 72 ].-zi SISKUR-ma 1 GUD ŠE NINDA UDU-ya SIXSÁ-at 73 ].-ir mu-ke-eš-šar-aš-ši ka-ru-ú ti-i-e-er . . .53

71

Successivamente (v. soprattutto KUB XVIII 54 rr. 74 sgg.) si dice che si stabilì mediante l’oracolo qualcosa riguardante probabilmente la [Tawann]anna, infatti si presume che si faccia poi riferimento alla ]. questione della cacciata di lei dal Palazzo (r. 74. ] -¦an©-na-aš [ SIXSÁ-at na-aš IŠ-TU É.GALLIM :u-i-ya-u-wa-aš me-mi-ya-ni). All’inizio della r. 75 sembra si trovi ]÷I.A! GUŠKIN, cui seguono dei segni molto danneggiati, gli ultimi dei quali sembrerebbero SIXSÁ-at.54 Alla r. 76 si fa Sul particolare valore di mukeššar, v. E. Laroche, La prière hittite, 20 sgg. Si trova qui una lunga cancellatura o abrasione con un segno finale. 54 Mi sembra meno plausibile, dato il contesto precedente, integrare all’inizio di questa riga GIL]IM 2 GUŠKIN, nel senso di “coro]ne (di cui) 2 di oro”, ricollegandoci a KUB XXII 70 Ro 14, 20 ecc. e tenendo conto della presenza del santuario del picco montano di LAMMA alla r. 76. 52

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menzione del picco montano di LAMMA: (É(?)] NA4øé-kur DLAMMA me-na-[aø-øa-an-da (t)]i-i-ya-at! nu-za-kán me-mi-an ¦tar-na©-i!). Si parla quindi di nuovo di un rituale mukeššar (r. 77, cfr. r. 73); si richiede che si facciano scarpe d’oro allo stesso modo (r. 78) e sembra che l’oracolo sia favorevole (r. 79). Queste scarpe d’oro dovevano servire per compensare la divinità adirata per quanto le era stato tolto? forse a favore del santuario del picco montano di LAMMA? cfr. p. 133. Riepilogando, come già abbiamo rilevato, dalla lettura di questi documenti dove compare il santuario del picco montano di LAMMA emerge chiaramente una stretta relazione fra la regina Tawannanna e questo santuario e si intuisce come il trasferimento di beni in esso sovente effettuato da lei abbia provocato gravi difficoltà di vario genere nell’àmbito del Palazzo. Questo vien fatto notare con angoscia da Muršili II alle divinità nel passo in KUB XIV 4 II 3 sgg. (v. p. 127 sg.), questo è l’elemento predominante e ricorrente di continuo in tutto KUB XXII 70, a qualcosa del genere si fa forse riferimento - purtroppo in contesto danneggiato - in KUB XVIII 54 r. 76 (v. sopra).55 Mi sembra interessante il fatto che alcuni oggetti portati dentro il santuario in questione fossero posti davanti alla statua della regina.56 Doveva verosimilmente trattarsi dell’immagine della stessa regina 55 Abbiamo visto che nel santuario suddetto sono stati portati dalla regina molti oggetti ripetutamente richiesti dalla divinità di Arušna, sì da provocarne la collera: sembra addirittura che proprio questa azione della regina sia stata una delle cause del suo bando dal Palazzo (KUB XXII 70 Ro 12-16, v. p. 130). Al suo bando si fa probabilmente riferimento anche in KUB V 6 III 74 e nel suo duplicato KUB XVIII 54 r. 74 (v. p. 140), forse per motivi analoghi. È certo che la regina viene sovente accusata di non aver soddisfatto i desideri delle divinità, anzi di averle addirittura defraudate. (v. anche KUB V 6 III 67 sgg., e pp. 139 e 129), e di questo risulta spesso beneficiato il santuario del picco montano di LAMMA (KUB XXII 70). In quest’ultimo testo, come già abbiamo rilevato, oltre a questa colpa della regina Tawannanna verso le divinità, se ne esaminano altre in cui sono coinvolti la regina stessa, numerose persone ed anche lo stesso sovrano, che sembra non aver saputo o voluto in un primo tempo impegnarsi per ristabilire l’ordine e sedare gli intrighi nell’àmbito del Palazzo, provocando anch’egli la collera divina (v. nota 42). Riguardo ad altre accuse rivolte anche in altri testi a questa regina, sono ben note quelle di aver effettuato incantesimi contro la moglie di Muršili II, provocandone la morte, o di aver procurato una malattia (cioè l’afasia) a questo sovrano, e di aver tentato di introdurre a corte e nel paese costumi stranieri. 56 KUB XXII 70 Ro 20 sg. e 26 (v. p. 129 sgg.); v. anche quanto abbiamo osservato a p. 139, a proposito di KUB V 6 III 64.

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Tawannanna, da lei collocata nel santuario che essa si allestiva come luogo di sepoltura per dopo la sua morte.57 È infatti prevalente fra gli studiosi l’opinione che i re e le regine ittiti si preparassero in vita il loro mausoleo.58 Nel suo mausoleo - cioè nell’ É NA4øékur DLAMMA59 - la regina Tawannanna aveva verosimilmente posto la sua statua ed altri oggetti di culto perché in futuro vi fossero conservati in sua memoria. A tale scopo essa aveva sovente utilizzato materiale prezioso sottratto ad altri santuari e ad alcune divinità, ed anche beni provenienti dal patrimonio dello sposo defunto (v. KUB XIV 4 II 3 sgg., p. 127 sg.). Tuttavia, il fine a cui essa in sostanza tendeva servendosi del patrimonio cultuale, di quello regio ed anche di quello personale,60 e valendosi di continui intrighi, doveva essere quello di acquistare una forte supremazia a corte e nel paese. È infatti evidente che sotto le accuse di vario genere mosse contro la regina Tawannanna, prevalentemente a carattere religioso, si celava in realtà il timore da parte del figliastro di una forte influenza di lei anche in àmbito politico. Per concludere, l’istituzione in questione - certo ben nota per la sua grande importanza all’epoca di questa regina, infatti se ne parla frequentemente nei testi sopra esaminati senza ulteriori specificazioni soprattutto riguardo alla sua ubicazione - doveva presumibilmente essere situata abbastanza vicino alla residenza di lei, sì che le fosse possibile raggiungerla facilmente.61 Mi sembra ovvio che dopo il clamoroso processo della regina Tawannanna (di cui era rimasto vivo il ricordo anche in epoche successive, v. nota 45), dopo la sua deposizione e il suo esilio, non si avesse più notizia neppure del santuario in questione, a lei così strettamente legato. Non mi pare invece inverosimile l’eventualità che esso potesse aver riacquistato successivamente importanza ed esser

Se si fosse infatti trattato della statua di una regina defunta, questo avrebbe - a mio avviso - dovuto esser specificato più chiaramente. 58 V. più avanti, p. 169 con nota 160. 59 V. p. 166 sg., a proposito della possibilità di un legame delle istituzioni del NA4øékur con il culto dei morti. 60 Essa è anche accusata di aver donato alla popolazione di ÷attuša i suoi beni personali (forse la sua dote) provenienti da Babilonia, v. nota 28. 61 V. più avanti, p. 168 sgg., a proposito delle diverse proposte di ubicazione di alcuni di questi santuari. 57

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riattivato, ma per un culto e sotto un nome diversi, che allontanassero dalla memoria ogni riferimento ad eventi tanto nefasti.61a Un’altra istituzione religiosa di grande importanza era - come già abbiamo rilevato nella nota 61a - quella legata al picco montano di p/Pirwa, presente in testi in prevalenza databili all’epoca di ÷attušili III e di Tutøaliya IV. Per la vicinanza nel tempo della maggior parte di questa documentazione, si può presumere che vi si facesse ovunque riferimento alla stessa fondazione cultuale, anche se l’espressione NA4øékur (D)p/Pírwa non sempre compare preceduta dai termini É o LÚMEŠ (v. nota 2). È da notare che in questa espressione il determinativo divino accompagna una sola volta il nome di p/Pirwa: dato però che abbiamo altre attestazioni del NA4øékur legato a nomi di divinità (v. nell’Indice, p. 172, i passi dove esso compare insieme a DKammama e a DLAMMA), è possibile che anche nei documenti in questione si trattasse della divinità Pirwa,62 per quanto l’esistenza di casi in cui il NA4øékur si trova insieme a termini i quali, pur essendo di significato ancora oscuro, potrebbero però appartenere in qualche modo al suo stesso àmbito semantico (v. p. 123 a proposito di NA4kurušta, e cfr. la nota 7 a proposito di ÷arana), renderebbe giustificabile anche una presenza di (NA4)pírwa.63 Purtroppo sappiamo poco sul NA4øékur DKammama (v. p. 126 sgg. con note 23 e 25) e sui NA4øékur÷I.A presenti nel rituale per DLAMMA KUŠkuršas (v. nota addizionale), per poterli utilizzare per qualche confronto. Ricercando nei testi di epoca posteriore notizie di qualche istituzione analoga di un certo rilievo legata a picchi montani, troviamo il complesso cultuale del NA4øékur p/Pírwa, la cui documentazione risale per lo più all’epoca di ÷attušili III e di Tutøaliya IV (v. p. 143 sgg.). Anche in questo caso si trattava di una fondazione religiosa assai nota e di grande importanza, come si può dedurre dalla sua posizione nel culto e dai benefici che ÷attušili III le aveva concesso (v. p. 151 sgg.). V. però quanto diremo più avanti (p. 168 sgg., e soprattutto nota 166) a proposito dell’ubicazione di questo santuario. Mi sembra difficile poter pensare ad una continuità - nel senso detto sopra - col NA4øékur SAG.UŠ menzionato in un documento dell’epoca di Šuppiluliuma II, poiché questo sovrano proclama di aver edificato lui questo santuario, senza far riferimento ad uno preesistente (v. p. 170 con nota 163); riguardo invece all’altro santuario rupestre attestato con lo stesso nome in epoca precedente, è difficile pronunciarsi per la frammentarietà del contesto e per l’incertezza della sua datazione (v. p. 124 con nota 19). 62 Sulla divinità Pirwa, v. per ultimi P. Cornil-R. Lebrun, Heth 1 (1972) 13 sg. 63 Secondo il Goetze, Language 30 (1954) 356 nota 54, l’accostamento in taluni casi di (D)pirwa con NA4øékur “mountain, summit” indicherebbe il campo semantico in 61a

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Dell’epoca di ÷attušili III è KBo VI 28 (CTH 88), un documento redatto appunto da questo sovrano allo scopo di concedere al santuario del picco montano di p/Pirwa alcune esenzioni da oneri verso lo stato.64 In questo testo, dopo un preambolo contenente il nome di ÷attušili III e dei suoi antenati più importanti, e dopo alcuni paragrafi in cui si espongono dettagliatamente gli antefatti storici di questo atto,65 nel § 13 (Vo 18-21) compare finalmente il destinatario del documento, il picco montano di p/Pirwa, nei riguardi del quale il sovrano stabilisce l’impegno, valido anche per i suoi discendenti, di conservare quello che è stato dato a questa istituzione cultuale e di risarcire quello che ad essa potrà essere tolto.66 Vo 18 URUKÙ.BABBAR-ši-ma É.LUGAL te-pa-u-e-eš-ta na-at[ n]u(?) ku-iš ú-iz-zi DUMU-YA DUMU.DU[MU]-¦Y©A URU 19 KÙ.BABBAR-ši LUGAL-uš ki-ša nu A-NA NA4øékur [p/Pi-ir-wa ]. -z]a(?)/]A(?) pé-e-da-i na-aš-¦ta© [ NA4 a-ši-wa]-an20 le-e ku-it-ki da-a-i ma-a-an-na ø[è-kur p/Pi-ir-wa ] te-eš-zi 67 na-a[t 21 š]ar-ni-in-ki-iš-ki-id-du ______________________________________________________ 18 ma in ÷attuša il palazzo reale era divenuto piccolo e ciò/essi [ allo]ra(?) colui che verrà, mio figlio, mio [ni]pote, 19 in ÷attuša diverrà re, allora al picco montano [di p/Pirwa ]. porti, e [ ]. cui deve cadere pírwa (rimanda anche a F. Sommer, AU, 318, e a H. Otten, JKF 2 [1951] 72 nota 18). 64 Su questi documenti in cui si concedono esenzioni, v. quanto abbiamo osservato in Šaøur. (1974) 148 sgg.; su questo in particolare v. nello stesso lavoro p. 154 sg. 65 Vi si narrano gli eventi verificatisi nel regno ittita sotto i sovrani che avevano preceduto ÷attušili e in parte anche sotto di lui. 66 Che si tratti qui di una fondazione cultuale piuttosto che di un picco montano consacrato a qualche divinità, pur non essendo in questo testo tale espressione accompagnata da termini come É o come LÚMEŠ, si può intuire dal contenuto di tutto il documento. Sul passo che qui riportiamo, v. anche H. Otten, MDOG 94 (1963) 19 sg. 67 Il completamento ašiwantešzi si basa su KUB XXVI 43 Ro 57 (v. Šaøur. [1974] 94 sg.).

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20 niente prenda via (-ašta), e se il p[icco montano di p/Pirwa si impove]risce(?), allora ci[ò ] 21 co]ntinui a risarcire. ______________________________________________________ Nel § 14, Vo 22-27, si concede a questa istituzione cultùale l’esenzione da vari oneri dovuti allo stato. 22 23 24 25 26 27

NA4

[øé-ku]r! p/Pi-ir-wa-ma-kán a-ra-u-wa-aø-øu-un na-[at ša-aø-øani] lu-uz-zi ŠA UD.KAMMI øar-šu-wa-an-z[i te-[ri]-ip-pu-u-wa-an-zi GIŠŠÀ.LAMMA GIŠBU-BU-TI [GIŠwa-ar-ša-amma(?)] ¦ŠE© IN.NU.¦DA© SÍGøu-ut-tu-ul-li A-NA ¦É© ŠA LÚMEŠ MÁŠ.GAL UDUku-ut-ri EL-K[I EN] ¦KUR©T[I EL-KI] EN MAD-[GA]L-TI EL-KI MAŠKIM URUKI [ ANŠU.KUR.RAMEŠ ú-e-øa-an-na-aš ¦le©-e ku-iš-ki p[í]-ra-an EGIRp[a e-ep-z]i A-NA NA-RA-RI LÚKÚR-ma-at i-[ya-at-t]a-ru ma-a-an LÚMEŠ NA--RI a-ša-an-du-la-an-zi a-pu-u-uš-ma [ar]øa tar-na-an-du I-NA KARAŠ-[ma-aš-ma-a]š ú-e-du-ma-aš KIN le-e e-eš-zi da-pí-za-kán a-ra-u-w[a-a-aø]-øu-un na-at a-ra-u-e-eš a-š[a-an-d]u ______________________________________________________ 68

22 Ma io il picco montano di p/Pirwa ho liberato, ed [esso per il saøøan] (e) il luzzi quotidiani, per aprire solc[hi,69 23 per arare,69 (per la fornitura di) ŠÀ.LAMMA, BUBUTU, [legna da ardere(?)],70frumento,71 paglia, vello di lana 24 alla casa (= sede amministrativa) degli appartenenti alla famiglia reale72 pecora QUTRI, per l’obbligo ELK[U (per) il signore] del Integrazione secondo A. Goetze, NBr., 54; si potrebbe però integrare anche šaøøan e intendere šaøøan e luzzi come accusativi di relazione. 69 Per l’interpretazione di øarš- v. A. Goetze, op. cit., 62, e Tunn., 70, e J. Friedrich, HW 59, e di terip(p)- v. A. Goetze, loc. cit., e J. Friedrich, HW 221 70 Sul significato di GIŠwaršam(m)a- v. A. Goetze, op. cit., 60 sg., E. Laroche, RHA 9 (1948-49) 24 nota 16, A. Kammenhuber, ZA 56 (1964) 165 sg. con nota 36, e J . Friedrich, HW 247, ed Erg.-Heft 3, 3 6. 71 Si può anche intendere “grano” o meglio “orzo”. 72 Sul legame di questa espressione o con il termine precedente o con il successivo v. p. 147 sg. 68

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paese, [per l’obbligo ELKU] (per) il signore del posto di osservazione/di guardia, per l’obbligo ELKU per l’ispettore di città [ 25 (per la fornitura di) cavalli weøannaš nessuno di nuovo (?)73 attragga, ma in aiuto (contro il) nemico esso venga, 26 se truppe ausiliarie sono nella guarnigione, quelle [v]ia si lascino andare, [ma per lor]o nell’accampamento 27 un lavoro di costruzione non vi sia; del tutto (li) ho li[ber]ati, ed essi si[an]o liberi. _____________________________________________________ Questo paragrafo ci fornisce alcuni dati assai utili per la conoscenza dell’organizzazione economica e amministrativa di questa istituzione, del tipo di produzione che vi si effettuava, dei suoi rapporti col potere centrale che denotano l’entità e l’importanza di tale fondazione. E opportuno fare un confronto con analoghi passi in cui si conferivano esenzioni ad enti cultuali ed a persone di alto rango, presenti in due testi sempre dell’epoca di ÷attušili III - KBo VI 29 (CTH 85) e KUB XXVI 58 (CTH 224)74 - e in un testo dell’epoca di Tutøaliya IV nei suoi primi anni di regno - KUB XXVI 43 (CTH 225);75 sarà utile anche tener conto di altri documenti di epoche diverse in cui si concedevano esenzioni.76 Evidentemente, prima dell’emanazione del decreto preso qui in esame, l’istituzione legata al picco montano di p/Pirwa doveva esser soggetta a determinati obblighi verso lo stato da cui viene ora esentata, come si può comprendere dalla voce verbale arawaøøun alle rr. 22 e 2777 e forse da EGIR-¦pa© alla r. 25.78 Nelle rr. 22 sgg. si parla del conferimento dell’esenzione dal šaøøan e dal luzzi quotidiani, presumibilmente dovuti ad organismi legati al potere centrale, anche se 73 È difficile stabilire il valore che ha qui EGIR-pa, e cioè se si debba intendere appunto in riferimento a quanto era prescritto prima della concessione dell’esenzione (cfr. sotto, nota 77), oppure come legato a piran, nel senso di “avanti e indietro”, cioè “da ogni parte, complessivamente”. Non direi nel senso di “dopo, in seguito”, perché in questi casi si usa generalmente ziladuwa. 74 V. Šaøur. (1974) 155 sgg. e 152 sg. 75 V. tutto il lavoro qui sopra citato e in particolare p. 105 sgg., e A. Goetze, NBr. 54 sgg. 76 V. op. cit. a nota 74, 158 sgg. 77 Cfr. anche G.F. Del Monte, AION 35 (1975) 326 nota 22. 78 Sui possibili significati di EGIR-pa in questo contesto, v. nota 73.

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ciò non viene dichiarato nel passo,79 e dell’esenzione da prestazioni di lavoro, a quanto pare di carattere agricolo, cui doveva verosimilmente provvedere il personale appartenente a questa istituzione80 ed inoltre dell’esenzione dalla consegna di tributi - nel caso specifico di oggetti, fabbricati probabilmente da artigiani facenti parte dell’istituzione stessa e di prodotti agricoli e della pastorizia.81 Non sappiamo se in questi due ultimi casi si trattasse di produzione effettuata all’interno di questo complesso cultuale o invece di offerte ad esso fornite dall’esterno, parte delle quali sarebbero spettate come tassa allo stato. Si potrebbe anche pensare che tali prodotti provenissero dalle dotazioni regolarmente attribuite alle istituzioni religiose perché se ne servissero e per il loro mantenimento e per ridistribuirle a loro volta ad altri luoghi di culto, tanto più che risulta proprio da alcuni testi che la fondazione in questione doveva prendersi cura di determinate località sacre (pp. 156 e 159 sg.). Di alcuni di questi obblighi si parla anche negli altri tre testi precedentemente menzionati (p. 146); nel nostro paragrafo alla r. 24 si legge: ANA ¦É© ŠA LÚMEŠ MÁŠ.GAL, per cui sorge il problema se “alla casa degli appartenenti alla famiglia reale” spettasse ricevere i tributi (tutti o in parte) indicati prima o soltanto la pecora kutri menzionata successivamente. Come già abbiamo osservato in un lavoro precedente,82 in KBo VI 29 III 29-31 sembra si parli - purtroppo in un contesto danneggiato - del tributo di una pecora dovuto alla dea Sole di Arinna 79 È infatti il sovrano che concede l’esenzione da quanto è dovuto allo stato. Nelle altre formule analoghe si parla di šaøøan e luzzi o senza alcuna specificazione (KUB XXVI 43 Vo 10) o dovuti a rappresentanti del potere centrale (all’EN KURTI e all’EN MADGALTI KUB XXVI 58 Ro 10 e KBo VI 29 III 20 sg.; in quest’ultimo passo l’integrazione EN MADGALTI si basa sul testo precedente piuttosto che sul nostro passo r. 24 - come invece A. Goetze, NBr., 50 nota 1 - poiché in questo si parla dell’ELKU; da notare che nei due testi su menzionati non compare il MAŠKIM URUKI, v. più avanti, nota 83) o dovuti al re (ŠA LUGAL, KUB XXVI 43 Vo 13). Esenzioni dal šaøøan e dal luzzi, senza ulteriori specificazioni, sono state concesse da sovrani diversi ad altri luoghi di culto, v. nota 76. 80 Di queste prestazioni di lavoro, aprire solchi ed arare, non si parla nelle altre formule analoghe qui ricordate: o non venivano prima richieste queste prestazioni ai beneficiari di tali privilegi, o non si concedeva loro l’esenzione da esse. 81 Sui termini qui menzionati, v. A. Goetze, NBr. 59 sgg., e Šaøur. (1974) 107 sgg. Molti di questi termini ricorrono anche nelle formule analoghe da noi ricordate. 82 Šaøur. (1974) 157 e nota 34, v. anche 9 sg. nota 12 e 109.

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dall’appartenente alla famiglia reale, ed anche in un frammento da noi riportato nello stesso lavoro (p. 9 nota 12) pare si trovino vicini (non si sa in quale relazione) il LÚ MÁŠ.GAL e una pecora (?): mi domando allora se nel nostro testo non si parlasse dell’esenzione dalla consegna di pecore particolari (kutri) dovute proprio al LÚ MÁŠ.GAL, al quale sarebbe spettato di darle a sua volta come offerte a divinità. Nel nostro documento viene poi conferita l’esenzione dall’obbligo ELKU verso due alti rappresentanti del potere centrale (EN KURTI ed EN MADGALTI) e verso una delle principali autorità locali (MAŠKIM URUKI).83 Si concede quindi l’esenzione dalla fornitura di cavalli addestrati a compiti particolari; questa esenzione è contemplata anche in due fra i testi da noi presi in esame per il confronto col nostro, e precisamente in quelli redatti da ÷attušili III.84 Non è chiara la funzione specifica di 83 Così anche in KUB XXVI 43 Vo 12 e 13 sg., dove nella r. 12 si specifica che si tratta di ELKU quotidiano (ŠA UD.KAM); nei passi analoghi di KBo VI 29 e di KUB XXVI 58 non si parla dell’obbligo ELKU, ma vi si dichiara che il šaøøan e il luzzi, oggetto dell’esenzione, erano dovuti agli stessi due rappresentanti del potere centrale (e non all’alta autorità locale), v. nota 79. Sui dignitari su menzionati v. quanto abbiamo scritto in Šaøur. (1974) 55-75 e 109 sgg. Sull’obbligo ELKU e sull’esenzione da esso nell’impero assiro, v. J.N. Postgate, Taxation and conscription in the Assyrian empire, Roma 1974 (= StPohl 3), 63-93, 221-223, 241-243. 84 In KBo VI 29 III 24 si trova ANŠE.KUR.RAMEŠ waøann[aš, in KUB XXVI 58 I 10 ANŠE.KUR.RA weøuwaš; poiché il verbo weø-/waø- significa “girarsi, voltarsi”(v. HW, 250 sg., Erg.-Heft 1, 23, Erg.-Heft 3, 36, e HW, 240 s.v. *waøatar) è difficile stabilire il valore dell’espressione “cavalli del voltarsi, del girare intorno”; il Goetze, NBr., 51 e 61, propone la traduzione “Zugpferde” e in JCS 2 (1948) 152 “horses of roaming”, chiedendosi se ciò possa significare “stud-horses”; il Güterbock, presso J. Friedrich, HW, 240, dà l’interpretazione “Kriegswagenpferde”. Come probabile designazione di “cavallo da tiro, da giogo” si trova spesso menzionato nella raccolta di Leggi, §§ 64, 66, 180, lo ANŠE.KUR.RA tûriya(u)waš, da tûriya- “bardare, attaccare, aggiogare” (v. J. Friedrich, HW, 229: “Pferd des Anspannens = Zugpferd”). Può darsi che la differenza fra le due espressioni qui indicate stesse nella diversa utilizzazione, e quindi nell’apposito addestramento, di questo animale, così che nelle Leggi si parlasse di cavalli da tiro/da giogo utilizzati a scopo agricolo e nel nostro testo di cavalli da tiro/da giogo utilizzati a scopo militare. Mi domando però se l’espressione “cavalli weøannaš” non fosse piuttosto legata alla tecnica usata per l’addestramento dei cavalli (per indicare, cioè, cavalli già addestrati?), tenendo anche conto che il sostantivo verbale waønuwar (da waønu-, causativo di weø-/waø-) corrisponde al termine ario wartanna “giro, circuito” (v. A. Kammenhuber, Hippologia Hethitica, Wiesbaden 1961, 293-297, 349 sg. e 351). Non mi pare invece ci siano elementi per postulare un riferimento ad un particolare tipo di lavoro come “girare una macina”.

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questi cavalli: può darsi che fossero destinati a scopi bellici come lo erano le truppe ausiliarie menzionate successivamente nel nostro testo, alla cui fornitura sembra si dovesse continuare a provvedere in caso di necessità (v. p. 149 sg.); fra gli oggetti talora richiesti per l’attrezzatura militare si trovavano probabilmente anche le parti costitutive di carri di cui si parla nella stessa formula.85 Sappiamo infatti che nel mondo ittita, come in altri paesi del Vicino Oriente antico, spettava all’amministrazione centrale il compito di provvedere all’equipaggiamento militare, raccogliendo appunto mediante appositi funzionari le forniture necessarie a tale scopo e ridistribuendole poi ai vari organismi secondo le rispettive necessità.86 Come abbiamo detto sopra, dopo il conferimento dell’esenzione da diversi obblighi si stabilisce invece (rr. 25 sgg.) il dovere per il NA4øékur p/Pírwa di prestare aiuto allo stato contro il nemico,87 specificando però che se vi sono truppe ausiliarie impegnate in servizio di guarnigione, si devono lasciar andar via e per loro non deve esserci nell’accampamento un lavoro di costruzione. Si ribadisce in tal modo l’obbligo dell’istituzione cultuale in questione di fornire contingenti ausiliari, ma soltanto in caso di necessità belliche, restando però valida l’esenzione da ogni altro tipo di prestazione verso lo stato. Riguardo agli altri testi contenenti formule analoghe al nostro (v. p. 146), vediamo che nei due dell’epoca di ÷attušili III - KBo VI 29 III 25 e KUB XXVI 58 Ro 9 - si concede l’esenzione dalla consegna di truppe ausiliarie (nel primo di questi due, alla r. 24, sembra si parli anche dell’esenzione da lavori di costruzione/fortificazione),88 mentre nel testo V. in proposito le nostre indicazioni in Šaøur. (1974) 107 sg. con nota 172 e le considerazioni della Cassin, ivi riportate. 86 V. quanto osserva P. Garelli, Le Proche-Orient asiatique, Paris 1969 (= Nouvelle Clio 2), 339 sgg., che ricorda a tal proposito, oltre alla situazione ittita, anche quella di Nuzi al tempo della dominazione mittanica, quella assira e quella di Ugarit. La situazione nell’impero assiro a proposito dell’utilizzazione di cavalli e carri nell’àmbito dell’amministrazione centrale risulta anche dal lavoro di J.N. Postgate, op. cit., 7-18 e 208-211. 87 Il Goetze, NBr, 54 nota 1, traduce qui invece “Zur Hilfe fur das Land aber soll es kommen”, pur basandosi sulla stessa lettura del passo. 88 Nelle rr. 26 sgg. di questo testo si legge infine: “(26) ¦e© [a te], a [Ištar di] Šamuøa, (27) per il šaøøan [e] per il luzz[i ne]ssuno (28) si avvicini”: il šaøøan e il luzzi sembrano presentarsi qui come un compendio di quanto è stato specificato precedentemente. 85

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redatto da Tutøaliya IV, KUB XXVI 43, non si fa menzione di tutto questo. Relativamente al passo qui sopra citato di KBo VI 28 (Vo 26 sg.), dalla formulazione del privilegio ivi concesso si può dedurre che di solito alle truppe stanziate in guarnigione si richiedevano lavori di vario genere dovuti appunto alle necessità contingenti, senza tener conto di eventuali specializzazioni e senza attenersi a mansioni puramente militari. Ricordiamo a tal proposito il § 56 delle Leggi ittite dove si dichiara che “(24) Per quanto riguarda una città fortificata dall’intraprendere una spedizione del re (e) dal recidere una vigna, dei metallurgici89 (25) nessuno (sia) libero; i giardinieri89 appunto del tutto il luzzi eseguano”. Sembra si alluda qui ad una situazione di emergenza durante la quale nessuna categoria di artigiani, anche se specializzati, poteva esimersi dal compiere prestazioni che generalmente non le competevano.90 Ricordiamo inoltre ABoT 57 (CTH 97) Ro 12-24 e il passo corrispondente in KBo IV 10 (CTH 106) Ro 42-4791 dove si parla della concessione da parte di ÷attušili92 e della sua sposa al re del paese di DU-ašša93 di particolari esenzioni da obblighi militari per permettere ai soldati di questo paese di compiere alcune prestazioni di lavoro dovute alle divinità. Più precisamente sono i soldati a piedi - evidentemente in quanto non appartenenti a truppe specializzate94 - che ricevono l’incarico di prestare il šaøøan e il luzzi per le divinità, e cioè lavori di costruzione, di

V. F. Imparati, Leggi (1964) 245 nota 3. Cfr. anche il § 54 della raccolta di Leggi, dove si legge che in un primo tempo i soldati di particolari paesi insieme ad alcune categorie di artigiani non erano soliti compiere il šaøøan e il luzzi, ciò che farebbe pensare che generalmente invece fossero tenuti ad “seguire queste prestazioni, v. F. Imparati, op. cit., 242. 91 V. F. Imparati, Athenaeum 42 (1969) 154 sg., e Šaøur. (1974) 158 sgg. 92 Per la datazione di questo documento, v. quanto abbiamo osservato in Šaøur. sopra cit., 138 sgg. 93 Sulla lettura ittita del nome di questo paese, v. Šaøur. cit., 125 nota 218. 94 Infatti in questo documento, dopo il conferimento dell’esenzione dalla consegna al paese di ÷atti di “guerrieri su carri e soldati a piedi”, si richiedono in situazioni particolari (cioè, nel caso di una spedizione militare promossa dal paese di ÷atti) 200 (uomini), e si specifica poi che i soldati a piedi sono tenuti a compiere alcune prestazioni per le divinità: non si parla invece, a tal proposito, dei guerrieri su carri (anche se facenti ugualmente parte dell’oggetto dell’esenzione) in quanto appartenevano ad un corpo altamente specializzato e di rango assai elevato. 89

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agricoltura ecc., ciò che dimostra la possibilità di scambio, in taluni casi, di mansioni militari e civili. KBo VI 28 conclude (§ 15 Vo 28-42) con la dichiarazione che questa parola di ÷attušili e di Puduøepa non si deve rifiutare o infrangere e se qualcuno - sia egli un “signore” o un “figlio [del re]”95 o un “signore del trono” o qualsiasi altra persona - la combatterà e sottoporrà gli uomini del picco montano di p/Pirwa ai šaøøan e luzzi suddetti, allora la coppia divina e molti altri dèi, qui elencati dettagliatamente (rr. 31-40), distruggeranno il colpevole.96 La presenza della lista di divinità così lunga e dettagliata testimonia l’importanza di questa istituzione cultuale, importanza che del resto si può intuire dalla lettura di tutto questo documento e degli altri testi che vedremo piu avanti dove si parla di questa fondazione senza ricorrere ad ulteriori specificazioni per definirla, ciò che fa pensare che essa dovesse essere allora ben nota. Del resto, sia il tipo di oneri verso lo stato da cui essa era esentata (soprattutto la consegna di materiale necessario per l’attrezzatura militare e di cavalli addestrati probabilmente a scopi bellici) sia l’obbligo di continuare a fornire truppe ausiliarie in caso di necessità mostrano V. quanto abbiamo scritto sui “signori” e “figli del re” in Or 44 (1975) 80-95. V. Šaøur. (1974) 155 e 164 note 63 e 64. Riportiamo qui il passo ittita corrispondente, tralasciando il lungo elenco di divinità. 95

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28 A-WA-AT Ta-ba-ar-na m÷a-at-tu-ši-DING[IRLI]M LUGAL.GAL Ù f!Pu-du-~é-pa MUN[US].LUGAL.GAL MUNUS.LUGAL URUKÙ.BABBAR-ti 29 ŠA LA-A NA-A-DI-YA-AM ŠA LA-A ŠE-[BI]-RI-IM ku-iš-ma-an øu-ul-la-i ma-ana-aš BE-LU ma-a-na-aš DUMU.L[UGAL] 30 ma-a-na-aš EN GIŠŠÚ.A ma-a-na-aš ku-iš i[m-ma] ku-iš UN-aš nu LÚMEŠ N[A4]øékur p/Pí-ir-wa [(ki-da-aš ša-aø-øa-na-aš)] 31 lu-uz-[z]i-ya-aš ti-it-ta-nu-zi na-a[š ]. DU ŠA-ME-E. . . . . . . 39 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DINGIRMEŠ LÚMEŠ 40 DINGIRMEŠ MUNUSMEŠ ŠA KUR URU÷a-at-t[i ]-za ku-iš ke-e tup-pí-ya-aš ud-da-a-ar EGIR-pa øu-ul-l[i-iz-zi] ke-e-da-aš 41 A-NA LI-IM DINGIRM[EŠ] EN DI-NI-ŠU [e]-eš-[d]u na-an-kán IN.ZI NUMUN-

an-na da-an-ku-wa-ya-za tág-na-za øar-ga-nu-wa-an-du

42 A-NA DU-ma-aš GUD.MA÷ e-eš-du na-an pár-øi-eš-ki-id-du ________________________________________________________________ Sull’interpretazione delle rr. 40-42, v. J. Friedrich, SV I (1926) 165 con nota 1, e K. Riemschneider, MIO 6 (1958) 378, il quale propone di leggere alla r. 41 ZI!-in! (?), anziché IN.ZI, come vi è realmente scritto: v. in proposito loc. cit., nota 186.

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l’entità di tale istituzione, che doveva possedere manodopera di vario genere, nel settore agricolo e in quello artigianale. Inoltre, come vedremo dai testi che prenderemo successivamente in esame, questa fondazione era tenuta a provvedere al mantenimento di alcuni santuari insieme ai dipendenti del re di Išuwa ed a fornire particolari offerte per alcune località sacre (v. pp. 155 e 158 sg.) Anche il conferimento dell’esenzione da parte di ÷attušili III a questo organismo cultuale, qualunque ne fossero i motivi, ne attesta l’importanza. Come già abbiamo rilevato altrove (Šaøur. [1974] 169 sg.), diversi erano i motivi per cui un sovrano concedeva un’esenzione - o per favorire qualcuno o allo scopo di permettere che al posto di alcune prestazioni dovute allo stato se ne compissero altre in favore di divinità o di luoghi sacri - e fra tutti i sovrani ittiti ÷attušili III è quello di cui ci è pervenuta maggiore documentazione in proposito, probabilmente perché, essendo egli un usurpatore, cercava di consolidare in tal modo la sua posizione (v. op. cit., 152). Nel nostro caso i motivi del conferimento di questo beneficio potevano essere vari: forse per far sì che il santuario del picco montano di p/Pirwa - come avveniva per molte istituzioni cultuali - sollevato da obblighi verso lo stato, fosse più disponibile all’adempimento dei suoi doveri attinenti al culto;97 abbiamo infatti osservato sopra e vedremo inoltre più avanti che questo santuario doveva anche provvedere alla cura di altre località sacre;98 oppure perché, trattandosi di un organismo di un certo rilievo, ÷attušili avrebbe cercato di procurarsene l’amicizia e il sostegno: dobbiamo infatti tener presente che queste fondazioni cultuali erano integrate nella vita amministrativa - e quindi in certo qual modo anche politica - dello stato,99 e questo dava loro, insieme a certi limiti, anche un rilievo notevole.100 V. gli esempi citati in Šaøur. (1974) 169 nota 83. VBoT 110 rr. 8-11 (p. 155 sg.), KUB XXVII 13 IV 17 sg. nota 122; v. anche H. Otten, MDOG 94 (1963) 18, KBo XIV 142 IV 17 (nota 115); non è chiaro KBo XII 140 Vo 12’ (p. 156 sg. e nota 113). 99 Sulla funzione economica del tempio ittita v. H. Klengel, SMEA 16 (1975) 180200; v. inoltre H.G. Güterbock, Actes XXe R.A.I. (= Le temple et le culte) (1975) 128 sg. Sul conferimento di esenzioni a privati di rango elevato per favorirli (e garantirsene in tal modo il sostegno), v. Šaøur. (1974) 21, 152 sg., 169 nota 82. 100 Darebbe maggior peso a tale ipotesi la possibilità di individuare una continuità sia pure con taluni mutamenti dovuti a motivi politici e religiosi - fra alcune di queste 97

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Si potrebbe pure pensare che questo santuario fosse stato dalla parte di ÷attušili III nel corso delle sue manovre per usurpare il trono, forse agevolato in qualche modo anche dalla sua posizione geografica verosimilmente impervia dato il suo legame con un picco montano,101 e che di ciò questo sovrano avesse voluto compensarlo con il conferimento di un beneficio, senza fare, ovviamente, alcun riferimento al motivo di questa benevolenza.102 Oppure, dato che negli antefatti storici si alludeva a gravi incursioni nemiche avvenute probabilmente all’epoca di ÷attušili III,103 si potrebbe presumere che ÷attušili III avesse voluto favorire una istituzione che in tali circostanze si era resa benemerita proprio sotto il sovrano di cui egli portava il nome. Questa ipotesi acquisterebbe una certa verosimiglianza alla luce di una proposta di Otten di riconoscere in questo santuario la casa øešti di cui si parla in Ro 15,104 la quale in epoca più antica aveva sostenuto da sola gli attacchi nemici e che avrebbe successivamente mutato nome.105

istituzioni cultuali legate a picchi montani, presenti in epoche diverse con differenti designazioni, v. pp. 143 e 168 sgg. 101 Ciò troverebbe un sostegno nella proposta del Güterbock di localizzare nell’area di Boˆazköy alcuni di questi santuari legati a picchi montani, v. p. 168; v. però le nostre conclusioni a p. 170 sg. 102 V. quanto abbiamo scritto a proposito del favore di ÷attušili III nei riguardi di Ulmi-Teššup di Tarøuntašša, dei motivi che potevano averlo provocato e di come era stato concesso, in Šaøur. (1974) 138-142. 103 Sull’esistenza di ÷attušili II v. per ultimi, cronologicamente, H.G. Güterbock, JNES 29 (1970) 73-77, A. Kammenhuber, Or 39 (1970) 278-301, e O. Carruba, SMEA 14 (1971) 75-94 (con le indicazioni bibliografiche a p. 75 nota 1). 104 Nel nostro testo, Ro 14 sg., dopo aver parlato di un’epoca in cui molti nemici si erano mossi contro gli Ittiti ed avevano distrutto i paesi loro soggetti, si dice che la stessa città di ÷attuša fu ridotta in cenere e che [ ] e la casa øešti rimase(ro) in piedi: U[RU÷att]ušaš URU-aš arøa (13) warnuwanza ešta nu-kán [ (14) ]-¦ta©-aš Éøéšti-ya išpárzan ešt[a]. Il Goetze, Kizzuwatna, 22 nota 86, propone di integrare l’ultima parte della lacuna centrale con [ akkan]taš (e la casa øešti [dei Mani]), e rimanda a B.F. Hrozný, BoSt 2 (1919) 139 nota 7; cfr. anche A. Goetze, ÷att., 104, e AM, 241. 105 L’Otten (ZA 58 [1967] 233) pensa di collegare il passo del nostro testo riportato sopra nella nota 104 con quello presente in Vo 17 dove ÷attušili, salito sul trono del padre, esprime la risoluzione di riparare (šarnink-, lett. “risarcire”) il NA4øékur p/Pírwa con l’aiuto di prigionieri civili/deportati. Egli avanza quindi l’ipotesi che alla casa øešti, insieme a nuove attribuzioni, fosse dato anche un nome nuovo oppure che i due edifici cultuali in questione fossero vicini, cfr. p. 60 nota 157.

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Infine, la possibilità di un rapporto fra alcuni santuari legati al øékur e il culto dei morti (v. più avanti p. 166 sgg.) potrebbe giustificare, secondo l’Otten (MDOG 94 [1963] 19), la cura dovuta a tali istituzioni e l’esenzione da oneri spettante loro. Egli ricorda, a tal proposito, come confronto l’esenzione concessa al “mausoleo reale” (v. Otten, HTR, 106 sg.). Questa ipotesi è molto plausibile, anche se però dobbiamo tener presente l’esistenza di decreti contenenti il conferimento di esenzioni in favore di altre istituzioni cultuali che non presentano alcun legame con il culto dei morti, come, per esempio, KBo VI 29 e KUB XL 2. L’unica testimonianza finora pervenutaci del picco montano di p/Pirwa in cui quest’ultimo termine è preceduto dal determinativo divino si trova in un documento contenente rendiconti oracolari, KUB XVI 42 (CTH 574) Vo 1.106 Purtroppo il contesto è molto danneggiato e non ci è di grande utilità, il NA4øékur DPírwa vi compare subito dopo una lacuna per cui non sappiamo se fosse preceduto da termini come LÚMEŠ o É, ed anche le tracce dei segni successivi sono incomprensibili; alla r. 2 si parla di offerte di pane e di birra, e alla r. 3 si trova dopo DI]NGIR?LIM il verbo duddunuwanzi “perdonano, trattano con clemenza, benevolmente”.107 In un altro testo frammentario, contenente anch’esso rendiconti oracolari, KUB XVI 27 (CTH 582),108 dove si indaga su qualche colpa commessa nei riguardi del re e della regina,109 alla r. 3 si fa appunto una consultazione per sapere se gli uomini del santuario del picco montano di NA4

106 Questo passo è stato menzionato da F. Sommer, AU, 318; H. Otten, JKF 2 (1951) 72 nota 18 e MDOG 94 (1963) 18 nota 61; A. Goetze, Language 30 (1954) 356 nota 54. Dal Recto di questo documento sembra che le consultazioni oracolari fossero fatte mediante l’uccello ÷UR-RI, la “tadorna” (per l’identificazione di questo uccello v. bibliografia presso G.F. Del Monte, AION 33 [1973] 378 nota 26, e presso A. Archi, SMEA 16 [1975] 139 nota 40). Per una possibile datazione di questo testo v. più avanti, nota 109. 107 Sul verbo duddunu- v. Šaøur. (1974) 96 sgg. 108 V. F. Sommer, H. Otten e A. Goetze, locc. citt., ed inoltre la traslitterazione e traduzione di G.F. Del Monte, AION 35 (1975) 334 sg. 109 Dato che la maggior parte dei testi dove compare il santuario del picco montano di p/Pirwa sono dell’epoca di ÷attušili III o di Tutøaliya IV, tenendo inoltre presente che molti testi dove si trova il MUŠEN ÷URRI si possono datare da ÷attušili III in poi (v. nota 26), si può presumere che in questo passo si parlasse di questo sovrano e di Puduøepa.

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p/Pirwa (LÚMEŠ É øékur p/Pírwa) abbiano commesso qualche fallo verso i sovrani, ciò che potrebbe indicare un certo rapporto di questa istituzione con la dinastia. Alla r. 5 si dice che sono stati interrogati gli uomini dell’É.NA4 DINGIRLIM: l’accostamento di questi due passi mostra, secondo l’Otten (MDOG 94 [1963] 18), uno stretto legame del NA4øékur p/Pírwa col culto dei morti (v. in proposito più avanti, p. 166 sgg.). Un NA4øékur p/Pírwa compare inoltre in KBo X 10 (CTH 235) II 14 - purtroppo in contesto assai lacunoso - in una lista di censimento: anche per questo tipo di documenti, di solito tardi, sarebbe plausibile una datazione all’epoca di ÷attušili III o di Tutøaliya IV Al gruppo di testi riguardanti l’amministrazione religiosa nei suoi vari aspetti, probabilmente databili all’epoca di Tutøaliya IV (CTH, 87 sgg.), appartiene il frammento VBoT 110 (CTH 530).110 Sembra vi si parli di offerte che dovevano esser fatte da appartenenti ad alcune istituzioni in favore di determinate località sacre. Nel primo paragrafo alla r. 1 si trovava probabilmente la menzione della (o delle) località cui spettava ricevere l’offerta, alla r. 2 se ne indicava l’ubicazione (QÍRÛB [¦È©), alla r. 3 l’ammontare dell’offerta, alla r. 4 chi doveva provvedere a questa offerta, cioè i LÚMEŠ ÉTIM.GAL;111 segue poi uno spazio vuoto prima della frattura della tavoletta, per cui si può pensare che il passo finisse qui. Nel secondo paragrafo alla r. 5 si legge øékur ø/÷atpínaš.[/ø/÷atpínaš ø[é(?)kur(?),111a a cui erano verosimilmente dovute le offerte elencate nella r. 7, non sappiamo da parte di chi. Non avendo incontrato altrove il termine ø/÷atpínaš[, non comprendo se si trattava di un attributo del picco montano che lo precedeva oppure se era la sua denominazione o un nome proprio (personale? divino? di luogo?) senza determinativo.

Menzionato in F. Sommer, H. Otten, A. Goetze, locc. citt. H.G. Güterbock, Actes XIXe R.A.I., Paris, 1971 (1974) 305 con nota 2, propone di vedere - in taluni casi - nell’ ÉTIM.GAL il Grande Tempio di Boˆazköy. V. anche quanto egli aveva osservato in Actes XVIIe R.A.I., Bruxelles, 1969 (1970) 180, e la diversa opinione dell’Otten, in StBoT 13 (1971) 22 sg. 111a Non è chiaro se la parte del segno rimasta dopo -aš (due cunei orizzontali sovrapposti) sia legata al termine precedente o sia l’inizio di un altro termine (forse ø[ékur? cfr. r. 8, a proposito dell’elenco di fonti; da notare che øékur in questo testo non compare mai preceduto dal determinativo NA4: cfr. rr. 5 e 11, e quanto si è qui osservato a proposito della r. 9). 110

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Nella r. 6 si indicava probabilmente l’ubicazione di questo øékur: QÍRÛB É.GAL DUTU[ŠI, e nella r. 7 l’ammontare dell’offerta. Nel terzo paragrafo si dichiara ciò che ad alcune fonti, evidentemente divinizzate, spettava ricevere da parte dei [LÚ]MEŠ øékur p/Pírwa! .[, v. r. 11.112 Si può fare un confronto con KUB XXVII 13 IV 4-12 (v. nota 118) dove, a proposito del mantenimento di alcune fonti sacre, alla r. 10 si dice che alla fonte K. dovevano provvedere i LÚMEŠ NA4 øékur D[...]: sulla possibilità di integrare questa lacuna, v. ancora p. 159. Alla r. 9, sempre di VBoT 110, è menzionata la fonte Šaniya situata all’interno (ŠA) del hé[: da completare øé[kur? Si deve infatti notare che øékur in questo testo (rr. 5 e 11) non compare mai preceduto dal determinativo NA4. Nel quarto paragrafo, la cui lettura non è ben chiara, vediamo alla r. 13: QÍR]ÛB KÁ.GAL .. [; i due segni dopo KÁ.GAL si potrebbero leggere DUTU[, che però risulterebbe qui scritto con grafia diversa dalle rr. 6 e 14. Del quinto paragrafo ci sono rimasti soltanto alcuni segni della prima riga. Sempre a quei documenti relativi all’amministrazione religiosa e databili probabilmente all’epoca di Tutøaliya IV (v. p. 155) appartiene anche KBo XII 140 (CTH 521.7). In questo testo113 sono elencate alcune 112 Non sappiamo se nella lacuna alla fine della r. 11 vi fossero anche altre indicazioni di chi doveva fornire queste offerte. 113 Mi sembra utile riportare qui la traslitterazione di questo testo.

Ro 1 [UR]U÷a-¦at©-¦tu©-ši-kán i[š(?)-/u[š(?)2 ¦D©LAMMA [UR]U÷at-ti DLe-el-[wa-ni 3 ¦ŠA© URUTe-me-el-øa .[ 4 A-NA LUGAL KUR URUI-šu-wa[ ___________________________ 5 D LAMMA KUŠkur-ša-aš LUGAL KUR I-[šu(?)-wa(?) __________________________________________ 6 URUZi-ip-la-an-di-kán [ ___________________ 7 URUTa-a-lu-i-ir-ya-kán[ 8 GAL GEŠTIN pí-ra-an[ ____________________ 9 URUWa-aš-øa-ni-ya-¦kán©[ 10 [D]U URU÷a-¦te©-na.[ _________________

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divinità e le città in cui esse erano venerate (la tavoletta inizia proprio con [UR]U÷attuši-kán) e talora, sembra, anche coloro che avevano l’obbligo di prenderne cura (Ro 4, 8(?), Vo 5’ sg. e 9’). Nel Verso si parla inoltre di montagne, evidentemente divinizzate, menzionate al plurale, e quindi senza l’indicazione del loro nome, ma con l’indicazione della località nei 11 Vo 1’

Ta]-ni-zi-l[a

URU

. ] . . [ _____________

Zi-it-øa-ri-an [ iš-tar-na ar-øa-ma-aš[ ša-an-øu-wa-an-zi[ _________________ 5’ É DUTU URUTÚL-na A-[NA(?) 6’ Ù A-NA mPí(?)-/Kaš-(?)-ka-w[a(?)-/-ut(?)-[ ____________________________________ 7’ ÷UR.SAGMEŠ URUMi-ya-ra-[ 8’ ÷UR.SAGMEŠ URUTe-qa-ra-a[m(?)-ma(?) 9’ Ù A-NA mTi-i-en-.[ _________________ 10’ ÷UR.¦SAG©MEŠ URU÷u-pí-na ÷UR.SA[G 11’ ¦÷UR.SAG©MEŠ šal-li-ya-aš lu-li-[ya(?)-aš(?) 12’ N]A4(?)øé-kur p/Pí-ir-wa mTu-u[d-øa-li-ya(?) 13’ ¦÷UR.SAG©MEŠ NA4 DINGIRLIM ¦la©-aø-r[u(?)______________________________________ 14’ NA4[ ]. A[ 15’ GIDIM[ ]. [ 16’ DINGIRMEŠ a-wa-. .[ __________________ 17’ ÍD[T]u(?)-[ ]..[ _______________ 18’ ÷UR.[SAGMEŠ 19’ É ¦D©[ ]..[ 20’ D÷a-aš-ig/-ik-gaz-/-kum-š]a-/-g[a-/-t[a2’ 3’ 4’

D

bd. sn. 1 z]i-an LUGAL KUR I-šu-wa øa-ti-ú-i-ta-iz-zi 2 ] . LÚUGULA 10 KI.MIN :KUR Har-zi-ú-na GAL LÚAŠGAB KI.MIN 3 K]UR Du-un-na GAL LÚMU÷ALDIM KI.MIN 4 øa-t]i-ú-i-da-iz-zi A proposito della lettura del nome divino in Vo 20’ ricordiamo l’esistenza di una divinità D÷ašigašnawanza, su cui v. E. Laroche, Rech., 81.

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pressi della quale erano situate; è interessante notare che in questo gruppo si trova (r. 12’) anche il N]A4(?)113aøékur p/Pírwa mTu[tøaliya(?) (v. più avanti pp. 166 e 169 sg.); non è però chiaro con quale funzione (se per ricevere o per prestare cure). Comunque, la presenza di tale espressione in questo àmbito sembra confermare il carattere rupestre di øékur (v. p. 121 con nota 1). Nelle rr. 13’ e 14’ compare ancora il termine NA4, purtroppo in contesto lacunoso ed oscuro. Di particolare interesse è l’iscrizione sul bordo sinistro - purtroppo danneggiato nella parte iniziale - dove si legge che hanno compiuto l’inventario il re del paese di Išuwa e “similmente” alcuni dignitari di alto rango. Si deve soprattutto notare la presenza in questo testo del re del paese di Išuwa (anche in Ro 4 e forse 5), che sembra aver tenuto in quest’epoca una posizione di rilievo nell’àmbito cuituale ittita (v. più avanti p. 162 sgg.). Esaminiamo ora due documenti, KBo XIV 142 e KUB XXVII 13 (CTH 698), relativi al culto di Teššup di Aleppo, probabilmente databili alla fine del regno di ÷attušili III o agli inizi di quello di Tutøaliya IV.114 In ambedue i testi, nella Col. I si stabiliscono offerte per Teššup di Aleppo e per le divinità del suo seguito. In KBo XIV 142, nella Col. IV, dopo l’indicazione (rr. 1-4) di otto località responsabili delle offerte per il tempio di questo dio (r. 4. ANA É.GAL DU URU÷alpa), si elencano persone tenute a provvedere115 - o privatamente o in gruppo, come appartenenti a determinate categorie o 113a Questo segno parrebbe formato da due cunei angolari sovrapposti più un cuneo verticale, cioè l’ultima parte di NA4; sembra però che non ci sia spazio in questa riga per la parte iniziale di questo segno: cominciava forse nel bordo? 114 V. H. KIengel, JCS 19 (1965) 91 sg. nota 44; questa è la datazione proposta per KUB XXVII 13 anche in J. Friedrich-A. Kammenhuber, HW 1, 79, secondo la Col. IV 14 e 18; sul culto del dio della Tempesta di Aleppo v. tutto l’articolo qui citato del Klengel, 87-93. 115 øar(k)- nel senso di “aver cura”; in questo elenco compaiono Tarøupiøanu mD ( U-píøanuš-an) scriba su legno (r. 5), i tessitori (r. 6), Zuga (mZugaš-an) e i mercanti (r. 7), gli uomini del palazzo della(?) città di Šapinuwa (URUŠapínuwa-an) (r. 8), gli uomini del palazzo della città di Šupašši (URUŠu-ú-pa-aš-ši-aš) (r. 9), il capo delle guardie del corpo (r. 10), Nuwanza figlio di ÷ar/÷ur/÷AR-šanya (r. 11), Mannunza figlio di Tapaliziti (r. 12), gli uomini dai lunghi strumenti della città di Katapa (r. 13), Karria KARTAPPU (r. 14), Tarøupiøaya (mDU-píøayaš-an) figlio di Tiwata-DU (r. 15), gli uomini dai lunghi strumenti della città di Katapa (r. 16), i “LÚMEŠ øékur p/Pírwa” (r. 17), ed altri (r. 18).

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istituzioni - al suo culto (r. 24: ŠA DU URU÷alap, e r. 27: ŠA DIM ÷alap). In questo elenco, alla r. 17, figurano anche gli “uomini del picco montano di p/Pirwa”, cioè gli appartenenti a questa fondazione cultuale. In KUB XXVII 13, nella Col. IV, sono elencate alcune località sacre,116 gli incaricati al loro sostentamento e l’entità delle offerte da consegnare. Nelle rr. 4-12 sono menzionate alcune fonti, verosimilmente divinizzate: la fonte ÷., di cui dovevano prendersi cura gli “uomini del palazzo di Kantu[zzili”,117 la fonte W., cui dovevano provvedere gli “uomini del palazzo del sacerdote”, la fonte K., di cui spettava la cura agli “uomini del picco montano della divinità [“.118 Non so se sia giusto integrare in questa lacuna Pírwa, poiché questo nome compare più avanti nella r. 18 insieme a NA4øékur senza il determinativo di divinità, ciò che del resto si può constatare nella maggior parte della documentazione in cui p/Pirwa è unito a questo picco montano (v. p. 143 sg.). È inoltre noto che il NA4øékur si trova accompagnato anche dal nome di altre divinità ed è pure attestato con DINGIRLIM soltanto (v. Indice p. 171 sg.); si deve però rilevare che gli “uomini del picco montano di p/Pirwa” erano tenuti a provvedere a delle fonti sacre anche in VBoT 110, nel paragrafo terzo (v. p. 155). Nelle rr. 13 sg. del nostro testo si parla di “due picchi montani dove per uno (è) signore (proprietario?) una donna (e) per uno il picco montano allinališ(?)[(-)/allinaš[i(?)(-)”,119 a cui dovevano provvedere “gli uomini del palazzo di Arnuwanda e i servi di Tarøuntapiya”.120 Il palazzo URU

Probabilmente anch’esse gravitanti nell’àmbito cultuale del dio della Tempesta di Aleppo, v. p. 158 con nota 114; KUB XXVII 13 Ro I 1 inizia proprio con ANA DU URU÷alap. 117 V. E. Laroche, NH Nr. 503, e Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 255. 116

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4 ÷ar-ra-na-aš-ša-an LÚMEŠ É.GAL mKán-tu-u[z-zi-li e-eš-ša-an-zi] TÚL 7 Wa-na-at-ti-ya-ta-an LÚMEŠ É.GAL LÚ¦SANGA© e-eš-ša-a[n-zi] 10 TÚLKa-pa-an-ti-iš-ša-na-i-ma-an LÚMEŠ NA4øé-gur D[ 11 e-eš-ša-an-zi . . . . . . . 119 V. su questo termine, presente solo in questo passo, H. Otten, MDOG 94 (1963) 19, e StBoT 7 (1968) 28, e J. Friedrich-A. Kammenhuber, HW 1, 59, dove questo termine è considerato come hurrico. TÚL

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13 2 NA4hé-gur ŠÀBA 1EN EN-aš MUNUS-za 1EN NA4hé-gur al-li-na-liš (?)[(-)/š[i(?)(-)

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di Arnuwanda qui menzionato era probabilmente una di quelle istituzioni religiose, con funzioni anche amministrative, legate al culto di sovrani defunti, del genere del “palazzo del padre (del Sole)” o del “palazzo del nonno (del Sole)”.121 Nelle rr. 17 sg. si dice che del NA4hégur annari e del NA4hégur muwatti dovevano prendersi cura “gli uomini del picco montano di p/Pirwa e i servi del re di Išuwa”.122 L’Otten123 considera di origine luvia i due aggettivi annari e muwatti, che designano i due santuari rupestri su menzionati, e li intende come indicanti l’uno la potenza maschile124 e l’altro un rapporto con il genere femminile. In J. Friedrich-A. Kammenhuber (HW 1, 79), a proposito dell’epiteto annari nel passo in questione, si mette in rilievo il contesto presumibilmente hurrico in cui questo termine è inserito (infatti i due santuari qui citati si trovavano anche nella sfera amministrativa del re di Išuwa, su cui v. p. 162 sgg.) e non se ne propone alcuna interpretazione. Anche da questo passo, dunque, il picco montano di p/Pirwa appare chiaramente come una istituzione cultuale dotata di personale e beni propri, ed inserita con precise funzioni nell’amministrazione religiosa dello stato.125 Si deve notare - in questo testo e in casi analoghi in altri testi126 - una prevalenza nell’uso del termine LÚMEŠ quando si parla di personale legato 14 LÚMEŠ É.GAL mAr-nu-wa-an-da ARADMEŠ mDU-ta-SUM-ya e-eš-š[a-an-zi] Su Tarøuntapiya v. E. Laroche, op. cit., Nr. 1267,5, dove si deve correggere XXVII 13 IV 4 in XXVII 13 IV 14. 121 Cfr. A. Archi, OA 12 (1973) 211 e relative note, e G.F. Del Monte, AION 35 (1975) 337 sg. Mi sembra invece piu improbabile pensare qui ad un palazzo - sempre inteso come sede amministrativa - di un personaggio vivente di alto rango di nome Arnuwanda o addirittura del figlio di Tutøaliya IV, erede al trono; cfr. E. Laroche, NH Nr. 148, 6. 122

17 NA4hé-gur an-na-ri-in [NA4hé-gur] mu-wa-at-ti-in-na 18 ¦LÚ©MEŠ NA4hé-gur p/Pí-ir-wa ARADMEŠ LUGAL URUI-šu-wa-ya e-eš-š[a-an-zi] 123 Op. cit., 19 con note 62-64, a nota 63 aggiungi E. Laroche, NH Nr. 838. 124 Su annari- v. anche H. Otten, SBoT 7 (1968) 27 sgg., e J. Friedrich, HW 330; HW Erg. Heft 1, 40; Erg. Heft 3, 10; v. inoltre J. Friedrich-A. Kammenhuber, qui sopra cit.; cfr. pure nota 22. 125 Sulla possibilità che questa istituzione fosse esentata da obblighi verso lo stato affinché potesse provedere alla cura di altre istituzioni, v. p. 152 e nota 98. 126 Cfr. in A. Archi, OA 12 (1973) 220-225, l’elenco di chi era tenuto a fornire offerte relativamente ai culti controllati dallo stato.

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a qualche ente amministrativo o cultuale come É.GAL di qualcuno o di qualche città o É.NA4 o (É) NA4hékur ecc., e quello di ARADMEŠ quando si parla di personale legato a individui di alto rango quali, ad esempio, Tarøuntapiya o Tattamaru o il re di Išuwa.127 Si intendeva probabilmente fare in tal modo una distinzione fra i funzionari addetti all’amministrazione degli enti in questione, in nome dei quali provvedevano alla distribuzione di beni ad altri organismi secondo la prescrizione del potere centrale, e i dipendenti da personaggi che provvedevano in proprio alla fornitura di beni, anche se ciò era ugualmente stabilito dall’amministrazione centrale dello stato in rapporto al loro rango e alle loro cariche e funzioni.128 Considerando poi in particolare l’espressione LÚMEŠ É.GAL, mi sembra possibile che essa venisse usata con valore diverso a seconda che fosse menzionata da sola o fosse accompagnata da indicazioni di persone o di luoghi. Lo Alp129 ha mostrato l’identità dell’espressione DUMU É.GAL, titolo di un funzionario della corte ittita, con l’espressione LÚ É.GAL, ciò che naturalmente porterebbe ad escludere l’ammissione di un’età giovanile per chi portava questo titolo.130 Può darsi però che questa identità fosse soltanto sporadica, dato che nella maggior parte dei documenti si parla specificatamente di “uomini del palazzo di qualcuno o di qualche città”.131 Sarebbe quindi opportuna una verifica di tutti i casi in 127 V. però il § 52 delle Leggi ittite dove si parla di ARAD É.NA ARAD 4 DUMU.LUGAL. 128 Anche G.F. Del Monte, AION 35 (1975) infra, nel suo esame dei testi relativi all’É.NA4 traduce di solito LÚMEŠ É.NA4 con “funzionari della Casa di Pietra”, tranne che a p. 329 dove in KUB XVIII 21 II 4 dà la traduzione “dipendenti della Casa di Pietra”; a p. 324 traduce con “dipendente” ARAD nei due casi in cui ricorre nel § 52 delle Leggi ittite (v. nota precedente). 129 Beamtennamen, 25 nota 4 e p. 26; a proposito dell’uso indistinto dei termini “figlio” ed “uomo” all’interno di alcune espressioni in altri ambienti oltre che in quello ittita, v. Or 44 (1975) 91 nota 64. 130 Quindi la traduzione “Hofjunker” (F. Sommer-A. Falkenstein, HAB, 116, accettata anche da altri, tra cui H. Otten, SBoT 13 [1971] 3 [I 13, 17 sg.] e 7 [VI 8], nell’Indice p. 63, invece, soltanto “Palastfunktionär”) e la traduzione “Page” (proposta da A. Goetze, JCS 1 [1947] 81, e seguita, fra gli altri, da L. Jakob-Rost, MIO 11 [1965] Indice p. 223 e passi ivi citati) risulterebbero improprie. Lo Alp, op. cit., 25-52, preferisce appunto la traduzione “Höfling”. 131 Anche degli esempi indicati da S. Alp, op. cit., 25 sgg., molti si riferiscono a “uomini del palazzo di qualcuno o di qualche città”, v. per esempio KUB VI 37 Ro 11, X 39 III 3, XII 2 I 6, XII 4 I 9, XII 45 r. 10, XX 33 110, XXVII 13 IV 4, 7, 14, 22, XXVII 15 IV 12,17

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cui i LÚMEŠ É.GAL compaiono senza altre designazioni, per vedere se a loro competevano mansioni analoghe a quelle dei DUMUMEŠ É.GAL. Per quanto riguarda questo titolo si può presumere che lo É.GAL ivi presente indicasse il palazzo reale, la corte,132 infatti da molti testi in cui sono menzionati i DUMUMEŠ É.GAL, spesso insieme ai MEŠEDI (cioè alle guardie del corpo del re), emergono chiaramente i loro compiti in stretta relazione con il sovrano.133 È quindi probabile che anche quando si parlava semplicemente di “uomini del Palazzo”(ed anche di “capo degli uomini del Palazzo”), si facesse riferimento ad una carica più specifica, a cui erano legate determinate mansioni nell’àmbito della corte. Quando invece si parlava di “uomini del palazzo di qualcuno (nome proprio di persona o indicazione di una carica, come, ad esempio, LÚMEŠ É.GAL LÚABU BITI)134 o di qualche città” si alludeva forse più genericamente al personale di questi palazzi, intesi come sedi amministrative. Riguardo infine all’espressione ARADMEŠ LUGAL URUIšuwa, presente in KUB XXVII 13 IV 18 (v. nota 122), mi sembra che essa si debba intendere come “dipendenti del re di Išuwa”, cioè della sua amministrazione privata, piuttosto che “sudditi del re di Išuwa”, comprendendo in questo caso in tale espressione tutto questo paese.135 Sappiamo che il re di Išuwa aveva tenuto nell’àmbito cultuale ittita una posizione di grande importanza, soprattutto per quanto riguardava la Anche se è attestata l’esistenza di questo titolo con una più esatta specificazione: UGULA 70 ŠA DUMUMEŠ É.GALTIM LUGAL, in KBo V 7 Vo 54. 133 La Jakob-Rost (op. cit., 212) rileva la delimitazione fra queste due categorie di cortigiani: al DUMU É.GAL spetta la cura del re nel palazzo e al MEŠEDI all’aperto, durante le gite ecc. 134 Sono attestate anche espressioni del tipo DUMU É.GAL LÚSAGI.A, o DUMU É.GAL ¦UGULA©(?) (o ¦GAL©??) LÚ.MEŠUŠ.BAR, o LÚMU÷ALDIM DUMU É.GAL (v. S. Alp, op. cit., 26 sg.): sarebbe opportuno fare un controllo completo su tutta la documentazione in proposito per vedere se queste espressioni potevano avere un valore diverso a seconda che la designazione di un funzionario precedeva o seguiva il titolo DUMU É.GAL. 135 V. però KBo IV 10 Ro 42, corrispondente al passo purtroppo danneggiato in ABoT 57 Ro II sg. (CTH 106, v. Šaøur. [1974] 159 sg. e nota 48), dove si dice che LAMMA re di Tarøuntašša (menzionato nei due testi nella riga precedente a quelle qui indicate) IŠTU KURTI-ŠÚ “insieme al suo paese” non poteva sostenere il šaøøan dovuto alle divinità, indicando in tal modo che questo obbligo spettava al sovrano e a tutto il paese di Tarøuntašša. Si tratta però in questo caso di un trattato internazionale. 132

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venerazione di divinità hurrite.136 Si trattava evidentemente dell’epoca di ÷attušili III o di Tutøaliya IV, periodo in cui si era rivelato predominante l’apporto hurrita nel mondo religioso ittita, soprattutto per l’influenza della regina Puduøepa.137 Mi sembra interessante osservare che in KUB XXVII 13 IV 18 si trovano menzionati insieme l’istituzione cultuale del picco montano di p/Pirwa e i dipendenti del re di Išuwa con l’obbligo di provvedere a due santuari rupestri, e che in KBo XIII 40 sul bordo sinistro si legge che il re del paese di Išuwa, insieme ad alcuni dignitari di alto rango, ha redatto l’inventario cultuale-amministrativo presente nella tavoletta:138 anche in questo documento compare il picco montano di p/Pirwa (di Tu[tøaliya(?), v. p. 156 sg.). Inoltre, in un testo relativo al culto della divinità Pirwa, IBoT II 131 (CTH 518) Ro 12 è ancora presente il re di Išuwa legato in qualche modo alla voce verbale êššešta (cfr. KUB XXVI I 13 IV 18: êšša[nzi). Questi tre documenti sono verosimilmente dell’epoca di Tutøaliya IV.139 Purtroppo però non abbiamo elementi sufficienti per stabilire se la ricorrenza in questi testi contemporaneamente di p/Pirwa e del re di Išuwa fosse puramente casuale o se si potesse giustificare in qualche modo.140 All’epoca di ÷attušili III e di Tutøaliya IV erano re di Išuwa AriŠarruma (Laroche, NH Nr. 126) ed Eøli-Šarruma (NH Nr. 229), il quale era, secondo il Klengel (op. cit., 71), figlio del sovrano precedente. In

V. H. Klengel, OA 7 (1968) 74 sg., cfr. comunque tutto questo articolo, 63-76. È interessante notare la componente hurrica nei nomi dei re di Išuwa di questo periodo: Ari-Šarruma ed Eøli-Šarruma, v. più avanti p. 163. 138 Il re di Išuwa compare in questa tavoletta anche in Ro 4 e forse 5, v. nota 113. 139 Per la datazione di questi documenti v. pp. 158 nota 114, e CTH p. 87 sgg. 140 È possibile che questa ricorrenza fosse dovuta semplicemente all’importanza che in quest’epoca avevano nella vita cultuale ittita questa istituzione religiosa e i sovrani di questo paese. Potrebbe però essere di qualche utilità a questo proposito anche uno studio più approfondito sul rapporto della divinità “anatolica” Pirwa con il pantheon hurrico all’epoca di ÷attušili III e di Tutøaliya IV, e sulle località in cui essa era venerata in questo periodo di tempo: v. soprattutto H. Otten, JKF 2 (1951) 67 e 72 con nota 24 (per il legame di Pirwa con ÷aššuwa, e quindi con l’ambiente hurrico), e H.G. Güterbock, Oriens 9 (1956) 312, e RHA 19 (1961) 14 e 18, note 15-18; in quest’ultimo lavoro, pp. 2 e 5, il Güterbock mette in rilievo la presenza di Pirwa in una lista di divinità in un contesto chiaramente hurrico, v. anche quanto egli osserva a p. 7; v. inoltre P. Cornil-R. Lebrun, Heth 1 (1972) 13 sg. 136

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KBo IV 10 Vo 29,141 nella lista dei testimoni, compare appunto AriŠarruma, re del paese di Išuwa. Ed era probabilmente lo Eøli-Šarruma su menzionato il personaggio indicato in KUB XL 96 III (?) 24 (CTH 242) come DUMU.LUGAL.142 In questo stesso testo compaiono anche ÷išni (NH Nr. 373), DUMU.LUGAL, presente con questo titolo anche in KBo IV 10 Vo 30, e Tuttu (NH Nr. 1390), signore della casa [abuzzi], menzionato con lo stesso titolo anche in KBo IV 10 Vo 31 e in KUB XXVI 43 Vo 32 (= KUB XXVI 50 Vo 25), un decreto emanato da Tutøaliya IV. È difficile stabilire se Eøli-Šarruma fosse designato come DUMU.LUGAL in quanto figlio del re di Išuwa - ma in tal caso ci aspetteremmo che ciò fosse indicato nel testo - oppure se tenesse questo titolo come alto dignitario della corte ittita,143 o se questa designazione implicasse una parentela con il re di ÷atti. Ci chiediamo infatti perché il re di Išuwa operasse attivamente nella vita cultuale ittita: a titolo personale, cioè per qualche legame col monarca ittita,144 oppure in quanto sovrano del paese di Išuwa?145 La prima possibilità giustificherebbe il fatto che egli sembra inserito nel culto di ÷atti analogamente ad altri dignitari di alto rango dello stato ittita (come in KBo XII 140 nel bordo sinistro)146 o alla stessa stregua di importanti istituzioni cultuali (KUB XXVII 13 IV 17 sg.), e si accorderebbe quindi con l’interpretazione che abbiamo dato dell’espressione ARADMEŠ LUGAL URUIšuwa (v. p. 162). Farebbe invece propendere per la seconda ipotesi l’eventualità che il Per la datazione di questo testo all’epoca di ÷attušili III, v. quanto abbiamo osservato in Šaøur. (1974) 137 sgg. 142 V. H. Klengel, op. cit., 71 nota 26. 143 Come, per esempio, ÷išni, menzionato nello stesso testo alla r. 11. Sul valore del titolo DUMU.LUGAL nei testi ittiti, v. quanto abbiamo scritto in Or 44 (1975) 87-95. 144 Cfr., ad esempio, la posizione di Telipinu, figlio di Šuppiluliuma I, LÚSANGA e primo re ittita di Aleppo, oppure quella di ÷attušili III, che sotto il regno del fratello Muwatalli teneva il potere in ÷akmiš ed era sacerdote del dio della Tempesta di Nerik. Ad una provenienza del re di Išuwa dall’àmbito della famiglia reale ittita non si opporrebbe il nome di formazione hurrica di questo sovrano: cfr., ad esempio, UrøiTeššup ecc. 145 Il Klengel, op. cit., 74, ritiene infatti che il re di Išuwa tenesse tale posizione “vielleicht nur als Träger dieses Titels”, v. la documentazione che egli indica a p. 74 sg. e relative note. 146 In Ro 1-4 il re di Išuwa sembra addirittura operare nell’àmbito della stessa ÷attuša. 141

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sovrano di questo paese tenesse in ÷atti una posizione mediatrice nella trasmissione di culti e riti dal mondo religioso hurrico a quello ittita. Per concludere l’esame della Col. IV di KUB XXVII 13, notiamo che alla r. 21 si dice che alla fonte Kuwannaniya ecc. dovevano provvedere gli uomini dell’ANTA÷ŠUMSAR (gli addetti all’organizzazione e alla celebrazione di questa festa?), i lancieri (?), gli uomini del palazzo della città di ÷atti (centro amministrativo nella capitale - v. infatti il determinativo URU - o addirittura il palazzo reale?).147 Riepilogando, dai testi fin qui esaminati mi pare risulti che il valore originario di NA4øékur doveva essere quello profano di “picco montano, vetta rocciosa”, che, proprio per la sua natura, era utilizzato in caso di emergenza come luogo di rifugio di fronte ad attacchi nemici, e che talora veniva divinizzato - come, del resto, si verificava per montagne, fiumi, fonti ecc. - e che sovente era sede di qualche istituzione cultuale. In quest’ultimo caso, talvolta, i termini É o LÚMEŠ possono essere sottintesi: si usa allora lo stesso NA4øékur col valore di santuario.148 Si deve invece notare che finora non è mai attestata la presenza di É o LÚMEŠ quando il “picco montano” si trova legato a designazioni geografiche, ciò che mi sembra confermare l’originario significato profano del termine.149 r. 22: LÚMEŠ AN.TAH.ŠUMSAR LÚMEŠ [GIŠŠUK]UR LÚMEŠ É.GAL URU÷a-atti-y[a 148 L’Otten, MDOG 94 (1963) 19, a proposito delle attestazioni che mostrano il NA4øékur come luogo di rifugio di paesi assediati da nemici, scrive: “Man kann hier vielleicht ein entlegenes Felsheiligtum gleichzeitig als solchen Zufluchtsort verstehen ...”. Direi però che in questi casi più che di santuario remoto si debba parlare di luogo impervio, poiché questo picco montano può essere spesso ubicato nei pressi di qualche città. 149 È difficile individuare se vi fosse un particolare rapporto fra qualche NA4øékur e certe divinità o certi attributi che lo accompagnano: si troverebbe forse legato a LAMMA in quanto divinità della protezione, ciò che potrebbe accordarsi con la possibilità di utilizzare alcuni di questi luoghi situati in posizione impervia come rifugio in caso di aggressioni nemiche? E sarebbe unito a p/Pírwa a causa di uno dei suoi aspetti di divinità guerriera, o in quanto designazione di pietra? E comparirebbe accompagnato dal termine SAG.UŠ per il suo valore di stabilità, sicurezza, continuità? Tutte queste supposizioni sono estremamente vaghe e non mi pare che vi siano attualmente elementi tali da permetterci di sostenere una qualsiasi ipotesi, che sarebbe del resto subordinata anche all’ubicazione di alcuni di questi santuari (v. più avanti p. 166 sgg.). Dobbiamo inoltre ricordare l’esistenza in ambiente ittita di istituzioni religiose 147

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Assai plausibile - a mio avviso - si presenta la proposta avanzata dal Güterbock e dall’Otten di vedere in queste fondazioni cultuali collegate a vette rocciose un rapporto con il culto dei morti, addirittura dei sovrani defunti. Infatti, poiché in KUB XIV 4 II 5 compaiono accanto, legate asindeticamente, le due istituzioni religiose É NA4øékur DLAMMA ed É.NA4.DINGIRLIM (v. p. 128), il Güterbock ha attribuito a queste due espressioni un significato analogo e ne ha dato l’unica traduzione di “graveyard = cimitero”.150 Anche l’Otten,151 sulla base di questo passo ed anche di KUB XVI 27 rr. 3 e 5, in cui si trovano i LÚMEŠ É NA4øékur p/Pírwa e i LÚMEŠ É.NA4 DINGIRLIM (v. p. 154 sg.), e di KUB XXI 33, dove alla r. 19 si parla di SISKUR mantalliya, da lui inteso come “offerte per i morti” (v. però nota 20), e dove alla r. 23 probabilmente si dice “dal(?)] NA4øékur SAG.UŠ egli ha preso” (v. p. 124 sg.), considera il NA4øékur come un santuario rupestre legato al culto dei morti, e precisamente dei sovrani defunti.152 Dopo una lettura completa dei testi in cui compare il NA4øékur con diverse designazioni o attributi, mi sembra che vi siano altri elementi che possano convalidare questa ipotesi. Ad esempio, l’espressione presente in KBo XII 140 Vo 12’ (v. p. 156 sg. con nota 113), NA4(?)øékur p/Pírwa m Tu[tøaliya(?), se questa integrazione è valida, richiama alla mente l’É.NA4 DINGIRLIM mTutøaliya che si incontra in KUB XVI 39 II 2, 6 v. anche r. 11 - (CTH 573),153 e in KUB XVIII 32 r. 13 (CTH 582, v. Otten, HTR, 107). È inoltre da notare in KBo XII 140 Vo 15’ (v. nota 113) la presenza di GIDIM, purtroppo in un contesto assai lacunoso. Questa tavoletta si può datare all’epoca di Tutøaliya IV (v. p. 156); è possibile che il Tutøaliya verosimilmente menzionato in Vo 12’, legato al legate a montagne dedicate al culto di divinità: v., per esempio, KUB XL 2, dove si parla di un santuario della dea Išøara, situato sulla montagna Išøara, delle sue proprietà e dei benefici a queste concessi (CTH 641; v. A. Goetze, Kizzuwatna, 60 sgg., e H. Gonnet, Mont. As. Min., Nr. 81). 150 Apud E. Laroche, Ug. III, 102 e 103 con nota 1; analogamente anche J. Friedrich, HW Erg. 1, 6: “Friedhof(?)”; v. però quanto abbiamo osservato alla nota 28. 151 HTR, 133, e MDOG 94 (1963) 18 sg.; v. anche J. Friedrich, HW Erg. 3, 15. 152 Egli ritiene che si possa così giustificare la concessione di privilegi in favore di questa istituzione; v. però quanto abbiamo osservato a p. 154. 153 Vi si parla di rendiconti oracolari ottenuti mediante il MUŠEN ÷URRI; v. H. Otten, HTR, 108 sgg. e commento 106 sg., e G.F. Del Monte, AION 35 (1975) 330 e 332; per una possibile datazione di questo tipo di testi oracolari, v. note 26 e 109.

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NA4

øékur p/Pírwa, designasse un sovrano ittita: o un sovrano defunto, cui si prestava particolare devozione proprio sotto il regno di Tutøaliya IV che ne portava il nome, oppure - preferibilmente - il sovrano attuale il quale, ancora in vita, avrebbe preparato il suo mausoleo per dopo la sua morte; quest’ultima ipotesi è collegata al problema dell’ubicazione di alcuni di questi santuari rupestri, v. in proposito più avanti p. 169 con nota 160. Ammettendo dunque in taluni casi la possibilità di un legame fra alcune istituzioni del NA4øékur e il culto dei sovrani defunti, ricordiamo allora anche il NA4øékur DINGIRLIM (in KUB X 81 r. 5[ e KBo XIII 176 r. 9) che richiama alla mente come formulazione l’É.NA4 DINGIRLIM, per quanto nel contesto dei due passi su menzionati il NA4øékur DINGIRLIM sembri avere il valore di una vetta rocciosa divinizzata piuttosto che di una istituzione religiosa (v. p. 125). Appare quindi essenziale in queste sedi legate ai culto dei morti la componente “pietra, roccia”, come risulta evidente dal significato di NA4øékur “picco montano, vetta rocciosa” e di É.NA4 “casa di pietra”.154 Infine, al culto dei sovrani defunti sembra riferirsi anche la menzione della statua della regina posta nel santuario del picco montano di LAMMA,155 che ricorda la collocazione della statua del padre defunto da parte di Šuppiluliuma II nel NA4øékur SAG.UŠ (v. p. 125). Questo probabile legame fra certe istituzioni religiose del NA4øékur e il culto dei morti, e la posizione di rilievo che alcune di queste istituzioni sembrano aver tenuto nel regno ittita156 sono importanti per ricercarne È nota, del resto, l’inclinazione degli Ittiti a scegliere le rocce come luogo di sepoltura per i loro morti: v. K. Bittel, MDOG 86 (1953) 37-47, H.G. Güterbock, Archaeology 6 (1953) 215 sg., A. Goetze, Kleinasien2, 170 nota 12, E. Akurgal, op. cit., 87, K. Bittel, Hattusha, New York 1970, 94, a proposito del ritrovamento di un sepolcreto situato sotto una parete rocciosa sporgente sulla strada fra Boˆazköy e Yaz½l½kaya (Osmankayas½). 155 V. anche p. 139 con nota 51, a proposito della menzione di una statua nel passo purtroppo lacunoso in KUB V 6 III 64. Sull’uso già fin dall’Antico Regno di porte in santuari o templi statue di sovrani per dedicarle a particolari divinità, v. S. Bin-Nun, op. cit., 274. 156 Infatti, durante il nostro esame dei documenti relativi a queste istituzioni cultuali, si è potuto notare la posizione di rilievo tenuta da alcune di loro nella vita religiosa, e talvolta anche politica e amministrativa, del paese di ÷atti. Ricordiamo infatti l’importanza che deve aver avuto il santuario rupestre di LAMMA durante il periodo della forte influenza della regina Tawannanna presso la corte ittita, probabilmente perché predisposto accuratamente da lei come luogo di sepoltura e di culto per dopo la sua morte (cfr. p. 142 sg.): è quindi ovvio che tale importanza abbia 154

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l’ubicazione. Alla loro localizzazione sono collegate anche molte ipotesi avanzate nel corso di questa ricerca relativamente alla possibilità di un rapporto fra alcuni di questi santuari rupestri, o all’esistenza di una continuità fra alcuni di loro, attestati in epoche differenti e con nomi diversi, o riguardo allo scopo a cui essi erano destinati. A proposito dell’ubicazione di alcune di queste istituzioni cultuali sono state formulate ipotesi diverse: l’Otten157 propende infatti per la localizzazione del NA4øékur SAG.UŠ, dedicato da Šuppiluliuma II al padre defunto Tutøaliya IV, a Yaz½l½kaya nella camera laterale, sulla cui parete rocciosa compare in grafia ieroglifica il nome di questo sovrano, mentre il Güterbock158 è dell’opinione che le strutture denominate É NA4 øékur (“summit house”) si debbano riconoscere nelle tre fortezze situate nell’area di Boˆazköy: Ni$antepe, Sar½kale e Yenicekale. Come abbiamo detto precedentemente, la probabile presenza di un NA4 øékur p/Pírwa di Tu[tøaliya in un documento presumibilmente avuto termine con la messa al bando di questa regina. Abbiamo inoltre prospettato la possibilità che questa istituzione si fosse conservata in epoche successive, con un probabile mutamento di culto e di nome. Si è pure constatata la posizione di privilegio del santuario del picco montano di p/Pirwa all’epoca di ÷attušili III, conservatasi anche sotto Tutøaliya IV. 157 MDOG 94 (1963) 22 con nota 75, e ZA 58 (1967) 231 sgg. Egli si chiede inoltre se i due NA4øékur, SAG.UŠ e p/Pírwa, ai quali erano concesse alcune esenzioni (v. pp. 125 e 144 sgg.), nonostante le diverse aggiunte non fossero in relazione l’uno con l’altro; osserva però che già un NA4øékur SAG.UŠ e un NA4øékur DLAMMA compaiono in testi dell’epoca di Muršili II in connessione col culto dei morti. Dall’esame di KBo VI 28 l’Otten avanza l’ipotesi di un legame fra la casa øešti e il NA4øékur pírwa, ciò che lo induce a supporre che alla casa øešti fosse stato dato in seguito un nome nuovo oppure che i due edifici cultuali fossero vicini. Da notare che la Kammenhuber, Or 41 (1972) 300 (v. però anche pp. 296-302), sulla base del testo antico-ittita KBo XVII 15, ha dimostrato che la “casa di pietra” sarebbe la designazione ittita del hattico casa øešta. 158 JNES 26 (1967) 73-81, e Actes XXe R.A.I., Leiden, 1972 (1975) 126. Egli ritiene inoltre che il NA4øékur SAG.UŠ fosse una costruzione edificata su un picco montano del genere del Ni$antepe, sul cui pendio - egli rileva - si trovava l’iscrizione Ni$anta$. Anche il Bittel, Hattusha, 110 sg., afferma che Ni$antepe deve essere stato un øékur: egli fa infatti notare che su questo picco roccioso doveva trovarsi una estesa sovrastruttura edificata dall’uomo “as proved by beddings and cuttings in the rock surface”. Del resto anche l’Otten, ZA 58 (1967) 230 sg. e 235, riconosce il legame fra KBo XII 38 e l’iscrizione ieroglifica ugualmente di Šuppiluliuma II denominata Ni$anta$. Ricordiamo infine che il Güterbock, in MDOG 86 (1953) 76, aveva proposto di localizzare la casa øešti in Yaz½l½kaya, sulla base di KBo VI 28 Ro 14 sg.; cfr. H. Otten, nota precedente.

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dell’epoca di Tutøaliya IV (v. p. 156 sg.) - tenuto conto dell’importanza che l’istituzione religiosa del picco montano di p/Pirwa sembra aver avuto sotto ÷attušili III e sotto Tutøaliya IV e del legame di alcuni di questi santuari rupestri con il culto dei sovrani defunti (v. il NA4øékur D LAMMA e il NA4øékur SAG.UŠ) - rende a mio avviso giustificabile la possibilità di considerare il santuario in questione come un mausoleo che Tutøaliya IV si sarebbe preparato mentre era ancora in vita (v. p. 166). Egli avrebbe appunto scelto a questo scopo un’istituzione cultuale già esistente, quella legata al picco montano di p/Pirwa, che, di conseguenza, sarebbe stata poi indicata con la designazione più ampia di NA4øékur p/Pírwa di Tutøaliya.159 È del resto opinione assai diffusa fra gli studiosi che Tutøaliya IV come anche altri sovrani ittiti - avesse provveduto da vivo al luogo della sua sepoltura.160 A tal proposito, mi sembra interessante notare nell’espressione suddetta l’assenza del termine DINGIRLIM prima del nome di Tutøaliya, ciò che dimostrerebbe che questo sovrano non era ancora “divenuto dio”, cioè non era ancora morto (cfr. invece le espressioni É.NA4 DINGIRLIM mTutøaliya, mArnuwanda ecc., e v. p. 166 con nota 153, e H. Otten, HTR, 107). Sorge poi il problema del rapporto fra questo santuario e quello designato come É.NA4 DINGIRLIM mTutøaliya. Pur ritenendo che con questa espressione si indicasse il mausoleo di un Tutøaliya vissuto precedentemente a Tutøaliya IV,161 non mi sembra però implausibile Il fatto che in altri testi, presumibilmente sempre dell’epoca di Tutøaliya IV, si parli soltanto del picco montano di p/Pirwa senza la menzione del nome di questo sovrano si può spiegare considerando tali documenti come precedenti alla scelta suddetta. 160 Cfr. anche quanto abbiamo osservato a p. 142. V. inoltre E. Laroche (JCS 6 [1952] 123), cui si attengono molti studiosi, il quale ritiene che Tutøaliya IV avrebbe fatto costruire la sua tomba a Yaz½l½kaya; sulle controversie sorte relativamente alla datazione di questo monumento, v. E. Laroche, RHA 27 (1969) 61 nota 5, ed anche p. 107 sgg.; v. inoltre E. Akurgal, in E. Akurgal-M. Hirmer, L’Arte degli Ittiti, Firenze 1962, 88 sg., H.G. Güterbock, Neuere Hethiterforschung, Wiesbaden 1964 (= Historia 7), 72 con nota 91, I.M. Diakonoff, MIO 13 (1967) 320, S. Bin-Nun, op. cit., 180, J.V. Canby, OA 15 (1976) 35 sgg., e il capitolo conclusivo in K. Bittel et alii, Das hethitische Felsheiligtum von Yaz½l½kaya, Berlin 1975, 247-256; v. anche più avanti, nota 162. 161 Non è certa la datazione dei testi dove compare questo santuario, non mi sembrano però posteriori a Tutøaliya IV: v. sopra, p. 166 con nota 153, e A. Kammenhuber, THeth 7 (1976) 11 (a proposito di KUB XVI 39). Ponendo invece questo documento in un’epoca successiva al regno di questo sovrano, si potrebbe allora 159

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pensare ad una diversa designazione di uno stesso santuario rupestre legato al culto di un Tutøaliya defunto e riutilizzato poi da Tutøaliya IV come suo mausoleo (v. più avanti, a proposito di Yaz½l½kaya). Riguardo all’ubicazione del sepolcro di questo sovrano, sono stati espressi dagli studiosi pareri contrastanti sulla possibilità di riconoscerlo nel cosiddetto scrigno sul Büyükkale o nella stanza laterale di Yaz½l½kaya.162 Quest’ultima eventualità ha raccolto numerosi consensi: essa rende però improbabile l’ubicazione proposta dall’Otten per il NA4 øékur SAG.UŠ proprio nella camera laterale di Yaz½l½kaya (v. p. 168 con nota 157), poiché Šuppiluliuma II dichiara di aver edificato lui (úedaøun) il santuario rupestre SAG.UŠ in memoria del padre defunto.163 Mi sembra quindi che si debbano considerare distinti il luogo di sepoltura che Tutøaliya IV si era preparato essendo ancora in vita164 e il luogo di culto che aveva edificato alla sua memoria il figlio Šuppiluliuma II. È interessante a tal punto ricordare che la Canby (op. cit., 35 sgg.) attribuisce su basi stilistiche a periodi diversi i rilievi presenti nelle due camere di Yaz½l½kaya e presume che in questo santuario fossero stati raffigurati e indicati diversi Tutøaliya (dal II al IV, essa specifica: v. soprattutto p. 37 nota 28, dove questa studiosa esprime appunto la vedere nell’ É.NA4 DINGIRLIM mTutøaliya un riferimento proprio al mausoleo di Tutøaliya IV, ciò che non escluderebbe però la possibilità di una identificazione del santuario così menzionato con il NA4øékur p/Pírwa di Tutøaliya: la presenza di DINGIRLIM prima del nome di Tutøaliya in una soltanto di queste due designazioni dello stesso mausoleo si giustificherebbe col presumere che in uno di questi due casi il sovrano in questione fosse ancora vivo: v. sopra e nota 160. 162 Sul cosiddetto scrigno sul Büyükkale, dov’è stata trovata la stele di un re Tutøaliya, v. MDOG 75 (1937) 24 sg. (K. Bittel, con la collaborazione di H. Ehelolf, H.G. Güterbock e W. Witter), e K. Bittel-R. Naumann et alii, Boˆazköy-÷attuša I, Stuttgart 1952 (= WVDOG 63), 59 sgg., cfr. anche H. Otten, HTR, 107; su Yaz½l½kaya v. sopra, nota 160, e inoltre A. Goetze, Neuere Hethiterforschung, 30, H.G. Güterbock, MDOG 86 (1953) 74 sgg., K. Bittel, Hattusha, 104 e 110, e K. Bittel et alii, Das hethitische Felsheiligtum von Yaz½l½kaya, Berlin 1975, 253 sgg. 163 Se volessimo attribuire al verbo weda- un valore più ampio e intenderlo nel senso di “riadattare, restaurare”, ci aspetteremmo però la presenza di EGIR-pa. Per questo stesso motivo abbiamo anche escluso l’ipotesi di una continuità fra il santuario in questione e quello attestato con lo stesso nome in epoca precedente (v. p. 124). 164 Il NA4øékur p/Pírwa di Tu[tøaliya, e forse anche l’É.NA DINGIRLIM di 4 Tutøaliya, se accettiamo l’ipotesi formulata sopra dell’identificazione di questi due santuari.

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possibilità che Tutøaliya IV intendesse emulare il suo famoso predecessore Tutøaliya II). Così - in accordo a quanto abbiamo sopra ipotizzato a proposito della probabile utilizzazione di un santuario già esistente effettuata da Tutøaliya IV per il suo mausoleo - mi sembra giustificabile localizzare nella camera laterale di Yaz½l½kaya il sepolcro di questo sovrano ed ubicare invece a Ni$antepe il NA4øékur SAG.UŠ.165 Ritengo inoltre plausibile presumere che le istituzioni cultuali del NA4 øékur, quando non erano accompagnate da alcuna indicazione geografica, dovessero trovarsi nell’ambito della capitale, ciò che si accorderebbe bene con l’ammissione del legame di alcune di queste fondazioni con il culto dei sovrani defunti (v. p. 166 sg.). Per quanto riguarda poi il santuario del picco montano di LAMMA, in cui la Tawannanna recava tanto spesso offerte di vario genere, mi sembra preferibile ritenerlo situato in una località da lei agevolmente e rapidamente raggiungibile. È quindi giusto - a mio avviso - ricollegarci alla proposta di Güterbock riportata a p. 168 con nota 158, e ricercare l’ubicazione di almeno alcuni di questi più importanti santuari rupestri in una delle tre fortezze situate nell’area di Boˆazköy.166 *** Attestazioni del relativi testi. NA4

(NA4)

øékur [ ] øégur ÷arana NA4 øékur (URU)Pittalašøa NA4 øékur kurušta NA4 øékur Temmuwa NA4 øégur[ NA4 øékur SAG.UŠ N A4

øékur/øégur secondo l’ordine di trattazione dei KUB XII 63 Ro 35, p. 122 KUB XXIII 13 Ro 7, p. 122 KBo II 5 I 4, 12, 14, p. 122 sg. KBo XIV 20 II 9t, 11[, 12, p. 123 KUB XXXVIII 2 III 21, p. 123 sg. KUB XXXVIII 6 IV 4, p. 124 KUB XXI 33 rr. 23, ¦26©(?), KBo XII 38 II 17, 18, IV 3, p. 124 sg.

165 Ricordiamo che nella camera laterale di Yaz½l½kaya il Güterbock ha proposto di ubicare la casa øešti preferendo invece localizzare il NA4øékur SAG.UŠ a Ni$antepe (v. nota 159), e che l’Otten ha proposto di vedere un legame - o addirittura una continuazione con mutamento di nome - fra la casa øešti e il NA4øékur pirwa (v. nota 157). 166 Quanto abbiamo detto sopra fa però escludere l’ipotesi di una continuità fra il santuario del picco montano di LAMMA e quello del NA4øékur p/Pírwa (v. p. 142 e nota 61a).

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øékur DINGIRLIM

NA4

NA4

øékur DKammama øaøl[a-x É(?)] NA4øékur DLAMMA É NA4øékur DLAMMA

NA4

øékur p/Pírwa

LÚMEŠ NA4øégur p/Pírwa LÚMEŠ øékur p/Pírwa [LÚ]MEŠ NA4øékur p/Pírwa! LÚMEŠ É øékur p/Pírwa N A4 ] (?)øékur p/Pírwa mTu[tøaliya(?)

øékur DPírwa LÚMEŠ NA4øékur D[/DINGIR[ NA4 øégur NA4 øégur allinališ(?)[(-)/allinaš[i(?) NA4 øégur annari ¦NA4øégur© muwatti øékur ø/÷atpinaš.[ ø[ékur(?) øé[kur(?) NA4 øékur÷I.A-aš NA4

KUB X 81 r. 5[, KBo XIII 176 r. 9, p. 125 KBo X 35 I 4, p. 126 sg. KUB XVIII 54 III 76, p. 139 KUB XIV 4 II 5, p. 127 sg., KUB XXII 70 Ro 13, 20, 26, ¦42©, 49, 51, 73, Vo 17, ]20, 38, 51, 54, p. 129 sgg. KBo VI 28 Vo 19[, 20[, ¦22©, ¦30©, Framm. A r. ]5 e Framm. B r. 6[(?) (in KBo VI, p. 65), p. 144 sgg., KBo X 10 II 14, p. 155 KUB XXVII 13 IV 18, p. 158 sgg. KBo XIV 142 IV 17, p. 158 nota 115 VBoT 110 r. 11, p. 156 KUB XVI 27 r. 3, p. 166 KBo XII 140 Vo 12, p. 158 KUB XVI 42 Vo 1, p. 154 KUB XXVII 13 IV 10, p. 164 KUB XXVII 13 IV 13, p. 164 sg. KUB XXVII 13 IV 13, p. 164 sg. KUB XXVII 13 IV 17, p. 158 KUB XXVII 13 IV 17, p. 158 VBoT 110 r. 5, p. 155 con nota 111a VBoT 110 r. 5[, p. 155 con nota 111a VBoT 110 r. 9[, p. 156 KBo XVII 105 III 9, p. 172

NOTA ADDIZIONALE

øékur -aš senz’altra specificazione si parla in KBo XVII 105 (CTH 433) Di III 9 - un testo che descrive una cerimonia di culto per DLAMMA KUŠkuršaš - a proposito di alcune azioni rituali compiute dalla MUNUSŠU.GI; sembra che i picchi montani qui menzionati ricevessero un culto e fossero in qualche modo collegati con la divinità LAMMA “dello scudo”. NA4

÷I.A

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IX.

UNE REINE DE ÷ATTI VÉNÈRE LA DÉESSE NINGAL

La tablette KUB XLV 4711 - que je suis actuellement en train d’étudier - contient la description d’une cérémonie rituelle célébrée en honneur de la déesse Ningal par une reine, dont le nom n’est pas mentionné, et par les princes royaux, vraisemblablement ses fils, Mannin(n)i, Pariyawatra, le “prêtre” et Tulpi-Teššup. Si, en effet, on lit dans le colophon de ce document que c’est la reine qui doit exécuter la cérémonie,2 nous voyons par la lecture de tout le texte que celle-ci n’opère toute seule qu’au Ro I 51, tandis que, dans habituellement, elle est aidée par les princes ci-dessus. Dans certains passages, on parle de la MUNUS.LUGAL et des DUMUMEŠ.LUGAL, sans autre indication,3 dans d’autres au contraire, sont mentionnés avec la MUNUS.LUGAL, les noms de ces princes, chacun étant précédé par le terme DUMU.NITA/IBILA “fils-mâle, héritier”, sans aucun possessif se référant à la reine4. On doit remarquer en outre que, là où les noms des princes sont indiqués, ils sont toujours précédés par le terme DUMU.NITA/IBILA et jamais par celui de DUMU.LUGAL. La qualification royale ne semblait peut-être pas nécessaire dans un tel cas, la mention de leurs noms rendant facilement identifiables des personnes d’un rang si élevé.5

Comme duplicate de KUB XLV 47 Ro I 1-16 et Vo IV 37-39, nous avons KBo XVII 84 Ro I 1-15 et Vo IV 1’-5’. 2 KUB XLV 47 IV: (38) DUB.1.K[(AM QA-TI ma-an-z)a [MUNUS.LUGAL (39) NI[(N.GAL-un MU-ti)] mêanaš šipanti; intégré selon KBo XVII 84 Vo 3’-5’. 3 Les “fils du roi” sont liés à la reine, ou bien grâce à la conjonction accadienne Ù “et” (Ro I 36, 44, Vo IV 34) ou par l’enclitique hittite -ya “et” (Ro I 38); au Vo IV 37, il y a une lacune en fin de ligne: on ne lit que DUMUMEŠ. [; toutefois il n’y a pas suffisamment de place pour la mention des noms des princes. 4 Ro I 40 sq., II 5 sq., 9 sq. (ici n’apparaissent que les noms des princes, sauf TulpiTeššup; mais il est possible qu’on ait fait mention de la reine au début de la l. 9, dans la lacune) Vo III 24-27 (Tulpi-Teššup semble avoir ici un rôle particulier). 5 Selon S. Bin-Nun, THeth 5 (1975) 264 sq., l’expression DUMU.LUGAL mettait en évidence la paternité du roi, tandis que l’expression DUMU.NITA - littéralement 1

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C’est évidemment la même reine qui célèbre un rituel avec ses fils Manninni, Pariy[awatra] et LÚSANGA dans KBo XX 62 (CTH 500) Ro I 10 sq. et dans le duplicate KUB XLV 48 Ro II 6. Dans ce dernier, à cause des lacunes que présente la tablette, apparaissent seulement la reine et Manninni.6 Un IBILA Manninni se trouve également dans le texte KBo XX 98 (CTH 382) Ro? I 11’, 13’, très fragmentaire, mais qui décrit vraisemblablement une cérémonie rituelle.7 La présence des noms de ces princes dans les documents examinés jusqu’à présent et leur lien avec d’autres personnages attestés ailleurs

“fils-mâle”, lu d’ordinaire IBILA “héritier”- tendait à mettre en relief le fait que la mère de celui qui était désigné ainsi était la femme légitime du roi. Mme Bin-Nun conclut que seul un prince fils d’une épouse légitime du roi pouvait devenir héritier. A la p. 221, S. Bin-Nun observe à propos de l’Édit de Telipinu que seulement dans le paragraphe où l’on établit les normes qui règlent la succession au trône (II 36-39), le prince légitime est appelè DUMU.LUGAL IBILA (l. 38); mais il me semble que dans ce passage on veuille justement mettre en évidence l’absence d’un “fils-mâle”, que ce soit de premier ou de second rang; on doit donc avoir recours à une DUMU.MUNUS “fille-femelle” en lui donnant un époux. En effet, si l’on avait voulu, comme l’estime S. Bin-Nun, mettre en évidence avec la parole IBILA la légitimité du fils héritier au trône (qui, à mon avis, est exprimée plutôt par DUMU.LUGAL), cela aurait dû être spécifié déjà au début de la clause (ll. 36 et 37). Du reste, il est fréquemment attesté, dans des contextes variés, l’opposition DUMU.NITA/IBILA “fils-mâle” et DUMU.MUNUS “fille-femelle”: v., par exemple, dans le rituel d’évocation KUB XV 34 (CTH 483) II 8[, 18, III 17, 40. 6 KBo XX 62 Ro I: (10) n-ašta MUNUS.LUGAL IBILA mManninniš IBILA Pariy[awatraš (11) LÚSANGA PANI DINGIRLIM anda panzi n-a[t(?). Au Verso de cette tablette, on remarquera la mention de Kizzuwa[tna (l. 6) et des divinités Tiyapenti (l. 1) et Ibrimuša (l. 3 sq.); au Verso de KUB XLV 48 on trouve en outre ÷epattena (plur. hourrite de ÷epat) Mu[šunni (l. 4), ÷ušuena, ÷epatten[a (l. 8), Ušun[/U-šun[ (l. 10); toujours dans cette tablette, au Ro II 8 on trouve mentionné un LÚAZ[U; cfr. à ce propos, notre tablette où apparaît également comme officiant un LÚAZU. 7 Au Ro? I 4’ de ce texte apparaît la divinité ÷ulla, au Vo? 1’ DUTU U[RU?. Selon E. Laroche (RHA 33 [1975] 65), KBo XX 62 avec le duplicate KUB XLV 48 et KBo XX 98 appartiennent eux aussi au rituel KUB XLV 47. Toutefois, malgré la présence de presque tous les mêmes personnages comme officiants dans ces textes, il me semble, sur la base de ce qui nous est parvenu de KBo XX 62 et de son duplicate, qu’on y décrive une cérémonie cultuelle différente du rituel célébré pour Ningal (v. note 41); en outre y apparaissent d’autres divinités qui appartiennent vraisemblablement au cercle de ÷epat. A cause des lacunes du texte, on ne peut dire grand chose de KBo XX 98.

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permettent de dater cette tablette de l’époque appelée par certains Moyen Royaume hittite. Manninni8 est probablement le même que celui qui se trouve dans une “liste royale”.9 Pariyawatra10 peut vraisemblablement être identifié avec le personnage du même nom qui apparaît dans deux textes concernant des problèmes de succession dynastique, tout comme un autre groupe de documents traitant un sujet analogue:11 KUB XXXIV 58 II 2, un fragment qui mentionne Pariyaw[atra avec Tulpi[-Teššup (l. 3) et Kantuzzil[i (l. 4),12 et KUB XXXVI 118 l. 3, où l’on nomme Pa]riyawatra à coté de Kantuz[ili.13 8 E. Laroche, NH Nr. 747, Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 255; A. Kammenhuber, THeth 7 (1976), pages mentionnées dans l’Index p. 221. 9 KUB XI 7 + XXXVI 122 (CTH 661) Vo 6, 9, v. H. Otten, MDOG 83 (1951) 55 note 7, et p. 66, et Quellen, 106, 123 sq. S. Bin-Nun, op. cit., 270 sqq., considère plutôt Manninni le fils de Arnuwanda et de Daduøepa, peut-être identifiable avec Tutøaliya III, qui fut roi avant Šuppiluliuma I (v. notes 188 et 189); v. toutefois les observations de O. Carruba, SMEA 14 (1971) 79. Quant à l’identification de Manninni dans d’autres textes hittites, on ne peut guère tirer de conclusion de KUB XII 1 (CTH 504), un inventaire d’objets cultuels, où l’on lit dans le colophon (IV 45) “deuxième tablette ... de Manninni, inachevée”, v. également KUB XLII 78 (CTH 504) Ro? II 3 et KBo XVIII 166 (CTH 522) colophon l. 2. En ce qui concerne le Manninni mentionné dans KUB V 1 (CTH 561) I 43, Ph.H.J. Houwink ten Cate, loc. cit., pense qu’il s’agit d’un personnage homonyme vivant au XIIIe siècle; cfr. aussi A. Ünal, THeth 4 (1974) I 1, 130 sqq., I 2, 32 sqq., et A. Kammenhuber, op. cit., 20, 44, 134, 172 note 232, qui datent ce texte de l’époque de ÷attušili III. Il est difficile de se prononcer sur le mManninna mentionné par KBo XXII 209 Ro 3; sur l’existence d’un nom Manina, v. E. Laroche, Ug. III, 155. 10 E. Laroche, NH Nr. 941 2, Ph.H.J. Houwink ten Cate, loc. cit., H. Otten, MDOG 83 (1951) 55 sq. note 7, A. Kammenhuber, op. cit., pages mentionnées dans l’Index p. 222. 11 V. plus loin note 19. 12 CTH 275; selon Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records, 69 nota 83, ce document devrait en réalité se référer à CTH 271. P. Meriggi, WZKM 58 (1962) 97 sq., reconnaît dans ce Pariyawatra le GAL.GEŠTIN mentionné dans ce texte, époux, à son avis, de Lalantiwašøa (sur celle-ci, v. E. Laroche, NH Nr. 681, et Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 [1973] 255); A. Kammenhuber, op. cit., 174 et 177, estime au contraire, sur la base du nouveau matériel qu’elle présente, que ce GAL.GEŠTIN est ÷alpaziti. 13 CTH 271; v. H. Otten, Introduction à KUB XXXVI, p. IV, O. Carruba, SMEA 14 (1971) 88 sqq., A. Kammenhuber, op. cit., 174. Un Pariyawa[tra apparaît aussi dans un fragment de lettre, KBo XVIII 61 (CTH 209) Vo 4; dans ce même fragment on lit à la l. 2 mPalli[: il s’agit peut-être de Palliya/Pilliya, roi de Kizzuwatna (v. E. Laroche NH Nr. 915)? On connaît en outre un

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Ce Tulpi-Teššup14 est probablement le même que celui que nous avons vu dans KUB XXX IV 58 II 3 avec Pariyawatra et Kantuzzili;15 selon P. Meriggi, loc. cit., c’était le fils aîné de Pariyawatra: ceci, toutefois, ne s’accorde pas avec notre texte, dans lequel ces deux personnages semblent être frères, puisque tous deux sont IBILA de la même mère. Un Tulpi-Teššup apparaît aussi dans le texte oraculaire KBo XVI 97 (CTH 571) bd. gauche 3a, et on peut l’identifier, selon la datation proposée par H. Otten pour ce document,16 avec les homonymes indiqués ci-dessus. L’identification du Tulpi-Teššup mentionné dans le texte toujours du Moyen Royaume KUB XXXVI 119 11.2, 9, qui a un contenu analogue, est encore douteuse.17 En ce qui concerne le LÚSANGA, mentionné sans l’indication de son nom dans notre texte et dans KBo XX 62 Ro I 11 (v. note 6) avec la reine et les autres princes indiqués ci-dessus, H. Otten (MDOG 83 [1951] 56) a pensé qu’il s’agissait de Telipinu, le fils de Šuppiluliuma; mais cela ne me semble être justifiable ni par la chronologie ni par l’étroit rapport de parenté existant entre le “prêtre” de nos textes et les autres personnages énumérés avec lui, rapport que l’on peut déduire du personnage nommé Pariyawatri, mentionné dans l’inscription du sceau de Tarse comme père de Išputaøšu, Grand Roi de Kizzuwatna, v. E. Laroche, NH Nr. 941.1, A. Goetze, Kizzuwatna, 73, A. Kammenhuber, op. cit., 222, qui le situe à l’époque de l’Ancien Royaume hittite. 14 E. Laroche, NH, Nr. 1369, Ph.H.J. Houwink ten Cate, op. cit., 256, A. Kammenhuber, op. cit., pages mentionnées dans l’Index p. 223, selon laquelle notre Tulpi-Teššup serait le frère de Arnuwanda I et de Šuppiluliuma I. 15 V. supra avec note 12. 16 StBoT 11 (1969) 35 note 2, v. aussi MDOG 83 (1951) 55 note 7; selon Otten ce texte ne peut pas être beaucoup plus récent que celui de Madduwatta. On peut donc le dater de l’époque du Moyen Royaume hittite. Avec lui est également d’accord Ph.H.J. Houwink ten Cate, op. cit., 256 Nr. 1369, et 255 Nr. 725.4. Au contraire, A. Kammenhuber (loc. cit., cfr. aussi Or 39 [1970] 564), propose de dater KBo XVI 97 du XIIIe siècle a.C. Un Tulpi-Teššup se trouve aussi dans KUB XXVII 43 (CTH 791) Ro 12, un texte fragmentaire en langue hourrite. Un personnage homonyme est mentionné à l’époque de Tutøaliya IV (KUB XXVI 43 [CTH 225] Ro 8, 53). 17 CTH 275, texte qui a un contenu proche de CTH 271; v. les auteurs cités à la note 14, et en outre H.M. Kümmel, StBoT 3 (1967) 43, H. Otten, MDOG 83 (1951) 56 note 7 et A. Kammenhuber, op. cit., 174, qui, toutefois, considère pour des motifs d’ordre chronologique le Tulpi-Teššup mentionné ici comme un personnage différent; dans Arier, 109, elle le situe à l’époque de Tutøaliya IV/III.

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contexte. Au contraire, selon A. Kammenhuber (THeth 7, 178), ce serait Arnuwanda I. Cette hypothèse ne trouve d’obstacles ni au point de vue de la chronologie, ni en ce qui concerne la parenté, si nous identifions avec Nikalmati la reine dont on parle dans le texte ci-dessus (v. p. 179). Tout au plus, puisqu’il s’agit de l’héritier au trône, nous pourrions nous attendre à le voir à une place plus significative dans l’exécution du rituel. En accord avec l’opinion de A. Kammenhuber, qui reconnaît en Tašmišarri le nom hourrite de Arnuwanda I,18 S. Bin-Nun (THeth 5, 263), remarque que Tašmišarri est nommé prêtre au ÷atti, peut-être par Ašmunikal, dans un texte fragmentaire (KBo IX 137 [CTH 470] Vo III 19 sqq., cfr. aussi A. Kammenhuber, op. cit., 167 et 176), qui semble représenter l’intronisation d’un roi. A ce propos, dans la note 168, elle rapporte l’opinion de H.M. Kümmel (SBoT 3 [1967] 43 avec note 3), selon lequel nommer quelqu’un prêtre de la divinité principale n’était qu’une autre façon de signifier qu’il était appelé à devenir roi. Cette opinion est certainement valable dans plusieurs cas, mais rappelons aussi certains exemples comme celui de Telipinu, le fils de Šuppiluliuma I, ou celui de Hattušili III, frère de Muwatalli, tous deux nommés prêtres par les rois au pouvoir, sans être pour autant désignés comme successeurs au trône. Je pense plutôt qu’il s’agit de Kantuzzili, que nous avons déjà trouvé nommé avec Pariyawatra et avec Pariyawatra et Tulpi-Teššup dans deux documents relatifs à des problèmes de successions dynastiques (v. p. 175 sq.) et encore, seul ou avec différents personnages, dans d’autres documents contemporains et traitant un sujet analogue.19 V. THeth 7, 162 sqq.; H.G. Güterbock (JCS 10 [1956] 122) voit au contraire dans Tašmišarri le nom hourrite de Šuppiluliuma I; v. aussi H. Otten, Quellen (1968) 114 sq. 19 KUB XXXIV 40 9, XXXVI 112 3, 113 9, 114 II 10, 12 (tous dans CTH 271), v. H. Otten, KUB XXXVI, p. IV Nrr. 113-117 et p. V. note 7, H.G. Güterbock, JCS 10 (1956) 49 sq., Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records, 5 note 15, 69 note 83, O. Carruba, SMEA 14 (1971) 91 sq., S. Bin-Nun, op. cit., 266 sqq., A. Kammenhuber, op. cit., 177; sur Kantuzzili v. E. Laroche, NH Nr. 503, Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 255, H. G. Güterbock, op. cit., 123, et JAOS 78 (1958) 238, S. BinNun, op. cit., pages mentionnées dans l’Index, 355, A. Kammenhuber, op. cit., pages mentionnées dans l’Index, 220. On doit ajouter aussi les citations contenues dans deux fragments, que H. Otten, KBo XXII p. IV place parmi les textes à contenu principalement historique; toutefois, ceux-ci ont une utilité relative à cause de leurs dimensions: KBo XXII 23 Ro 2[, 24 2[. 18

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C’est probablement ce Kantuzzili que nous connaissons surtout par la prière qu’il adresse au dieu Soleil20 et aussi l’auteur homonyme d’un rituel kizzouvatnien, peut-être nommé prêtre de Teššup et de ÷epat en Kizzuwatna:21 cet élément est, à mon avis, particulièrement important pour confirmer mon hypothèse; on peut supposer que c’est aussi le même qui est cité dans un catalogue de tablettes comme auteur d’un rituel et justement avec les titres GAL LÚ.M]EŠ SANGA DUMU.LUGAL.22 Généralement, on s’accorde pour identifier ce Kantuzzili avec le général homonyme qui servit sous un roi Tutøaliya, antérieur à Šuppiluliuma I23, avec celui qui est mentionné dans le récit des “gestes” de Šuppiluliuma I24 et peut-être aussi avec le Kantuzzili indiqué dans les “listes royales”.25 On pourra remarquer que, dans la documentation présentée jusqu’ici, Kantuzzili apparaît quelquefois avec d’autres personnages, 20 KUB XXX 10 (CTH 373) Ro 3, 5 (mKán-li), Vo 10, 11 (mKán-iš) (sur l’utilisation des abréviations graphiques, en hittite, v. E. Laroche, RHA 12 [1952] 40); v. A. Goetze, ANET3, 400 sq., et en outre H.G. Güterbock, JAOS 78 (1958) 237 sqq., Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records, 69 note 83, A. Kammenhuber, op. cit., 16 sq., et ZA 56 (1964) 154 sqq. (selon D.H. Engelhard, Hittite Magical Practices, Dissertation Brandeis University [1970] 240 note 140, avec des transpositions erronées à p. 155). 21 KUB XVII 22 (CTH 500) IV 1-3, colophon (1) (DUB.x.KAM QA]TI INIM mKantuzzili (2) [GIM-an. . . . . . .Š]A DU DHepat (3) [INA URUKizzuwa]tni LÚSANGA ienzi; v. A. Goetze, Kizzuwatna, 12 note 52. 22 KUB XXX 56 (CTH 279 et p. 181 sq.) III 7; ici aussi on retrouve l’expression: INIM mKantuzzili...man...., cfr. la note précédente. 23 KUB XXIII 16 (CTH 211.6) III 5, 7: remarquons que dans ce texte d’annales on nomme plusieurs fois les Hourrites, v. Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records, 69 note 83 et p. 78. 24 Deeds, frr. 2 l. 20’, 3 ll. 5’, 11’: v. H.G. Güterbock, JCS 10 (1956) 60 et 123, qui propose de considérer Kantuzzili fils d’un Tutøaliya, v. en effet son intégration de la lacune du fr. 2 l. 20’; sur les intégrations possibles de la lacune du fr. 2 l. 3’, v. H.G. Güterbock, op. cit., 59. 25 KUB XI 7 (BoTU 25) + XXXVI 121 + 122 I 17, XI 10 (BoTU 29) I 4, XI 8 (+) 9 (BoTU 24) V 11, v. bibliographie dans CTH 661. Au contraire, le Kantuzzili mentionné par KUB XIV 17 (CTH 61.4) II 20, 22, KBo XVI 12 + KBo VIII 34 (CTH 61.8) l. 8 appartient probablement à l’époque de Muršili II, et peut-être aussi le père de Ura-DU, nommé par KUB XXVI 58 (CTH 224) Ro 6, 4a, Vo 2, un décret émis par Hattušili III. E. Laroche, NH Nr. 502, se demande si le nom Kantuzzi n’est pas une abréviation ou une erreur pour Kantuzzili; sur l’utilisation des abréviations graphiques dans les textes hittites, v. supra note 20.

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parmi lesquels certains que mentionne notre texte, mais on ne le trouve jamais quand il y a le LÚSANGA; cela peut être dû, bien sûr, à des raisons tout à fait fortuites.26 Quant à l’identification de la reine, dont le nom n’apparaît ni en KUB XLV 47 ni en KBo XX 62 ni dans leur duplicata, S. Bin-Nun (op. cit., 264 sq.) pense qu’il s’agit de Daduøepa. En effet elle date le texte KUB XLV 47 de la période entre Arnuwanda I et Šuppiluliuma I, sur la base des noms des princes mentionnés dans cette tablette; et, puisque l’on ne connaît à cette époque-là que deux seules reines, Ašmunikal et Daduøepa, seule cette dernière, étant l’épouse du souverain, pouvait être la mère de ces princes indiqués comme fils du roi.27 Toutefois, il est possible que ces princes aient été déjà en vie sous Tutøaliya II et encore pendant la période allant de celui-ci à Šuppiluliuma I.28 Je pense donc que la reine indiquée dans notre texte comme leur

Rappelons enfin que dans KUB XXVII 13 (CTH 698.1), un texte relatif au culte de Teššup et de ÷epat d’Alep - probablement datable de la fin du règne de ÷attušili III ou de début du règne de Tutøaliya IV - on énumère dans la Col. IV quelques localités sacrées, tous ceux qui sont chargés de leur entretien et les offrandes qu’ils sont tenus à donner. Parmi ces personnages sont mentionnés les hommes du palais (É.GAL) de Kantuzzili (l. 4), du palais du LÚSANGA (l. 7) et du palais d’Arnuwanda (l. 14). Ces palais étaient probablement des institutions religieuses, ayant aussi des fonctions administratives, souvent liées au culte de souverains ou de princes défunts (v. à ce propos mon article dans SMEA 18 [1977] 51 sqq.): si dans ces passages on se référait à des personnages du Moyen Royaume ayant vécu contemporainement, notre hypothèse d’identifier Kantuzzili avec le LÚSANGA ne serait plus valable (mais cela vaut aussi pour l’identification de LÚSANGA avec Arnuwanda I, proposée par A. Kammenhuber); toutefois, il est possible que le LÚSANGA du texte ci-dessus ne soit pas celai que mentionnent nos documents da Moyen Royaume, mais un personnage peut-être plus connu à l’époque de la rédaction de KUB XXVII, assez célèbre certainement en ce temps-là pour être cité sans autre spécification. On parle d’ “hommes du palais de Kantuzzili”, tenus de fournir des offrandes, également dans KUB XXXVIII 12 (CTH 517.A) IV 5 sqq. (l. 8. LÚMEŠ É.GAL mKantuzzi-DINGIRLIM peškanzi), texte lui aussi d’administration religieuse, datant probablement de l’époque de Tutøaliya IV (v. CTH, 87). 27 Cfr. aussi ce que S. Bin-Nun fait remarquer à la p. 269. Voir également p. 261 sqq. 28 C’est du reste ce qu’affirme S. Bin-Nun, op. cit., 269, à propos de ÷imuili et de Kantuzzili, qui ont vécu, nous le savons, contemporainement aux princes mentionnés dans notre texte. 26

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mère est Nikalmati,29 car il me semble significatif que cette reine, qui porte un nom composé avec celui de la déesse Ningal/Nikkal et qui l’a répété, certainement pas par hasard, dans le nom de sa fille Ašmunikal, dédie aussi une dévotion particulière à cette divinité, la quelle, à ma connaissance, n’a jamais reçu, en dehors de cette période, un culte de quelque importance dans le monde religieux hittite.30 Il faut remarquer en outre que la plus ancienne attestation de Ningal dans les documents hittites qui nous sont parvenus jusqu’à présent remonte justement au Moyen Royaume. Cette divinité est en effet mentionnée dans la “prière de Kantuzzili”,31 KUB XXX 10 (CTH 373) Vo 8, où ce prince invoque le dieu Soleil comme fils du dieu lunaire Sin et de la déesse Ningal: une parenté qui s’accorde bien avec la mythologie mésopotamienne.32 Dans l’ “hymne au dieu Soleil” aussi33qui date de la même époque, ce dieu est appelé comme “fils de Ningal” (KUB XXXI 127 [CTH 372] I 10 sq., 15 sq.; XXXI 130 [CTH 374] Ro 1’).34 H.G. Güterbock35 a justement fait remarquer que dans cet hymne et dans la “prière de Kantuzzili” on retrouve de nombreux éléments d’inspiration babylonienne mélangés à des motifs hittites. L’influence babylonienne grandira par la suite, à une époque d’ailleurs assez proche de celle des textes indiqués ci-dessus, et par le mariage de Šuppiluliuma I avec la

A. Kammenhuber situe, elle aussi, Manninni, Pariyawatra, Tulpi-Teššup et Kantuzzili parmi les fils de Tutøaliya II et de Nikalmati: v. THeth 7, 183 et Index p. 218 sqq. 30 E. Laroche, RHR 148 (1955) 13, remarque que dans la documentation hittite les indications relatives au culte de cette déesse sont très rares (la tablette KUB XLV 47 n’était pas encore publiée); il affirme plus loin que Ningal n’était sans doute pour les Hittites plus rien qu’un nom propre. 31 A ce propos, v. note 20. 32 En effet, le dieu Lune n’a pas encore pris la caractéristique de divinité du jurement, comme cela aura lieu dans le milieu hourrite où il forme, dans cette fonction spécifique, un couple avec Išøara: v. E. Laroche, op. cit., 11 avec note 3, et 13. 33 Cet hymne est suivi d’une prière parallèle à celle de Kantuzzili, v. H.G. Güterbock, JAOS 78 (1958) 238. 34 Il faut remarquer que KUB XXXI 127 I 22 mentionne Enlil comme père du dieu Soleil, selon une filiation inhabituelle au milieu mésopotamien, mais qui - comme l’observe H.G. Güterbock, op. cit., 241 avec note 24 - est attestée aussi, quoique rarement, en Babylonie. 35 Op. cit., 241 sqq., et Historia 7 (1964) 57. 29

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princesse babylonienne Tawannanna,36 et par l’amplification des rapports entre le royaume du ÷atti et la région nord-syrienne. Il est intéressant de remarquer que Ningal est mentionnée parmi les divinités de Kummanni, la ville sacrée, située dans le pays de Kizzuwatna, dans la “prière de Muwatalli” (KUB VI 45 [CTH 381] I 62-65 = 46 II 27-30),37 et que, dans un texte où l’on parle des rêves d’une reine, probablement Puduøepa (KUB XV 3, CTH 584), celle-ci s’adresse au dieu lunaire Sin (I 5 sqq.) et à son épouse Ningal (I 17 sqq.) comme dieux de Kummanni (I 4).38 La plupart des attestations de Ningal se trouvent dans des textes qui décrivent des cérémonies cultuelles d’inspiration hourrite, liées an milieu kizzouvatnien: elle y apparaît très souvent dans des listes de divinités, sans être, toutefois, dans une position de premier plan.39 Tout cela, à mon avis, acquiert une importance particulière si nous acceptons l’identification de Kantuzzili, l’auteur de la “prière”, avec le personnage nommé prêtre justement de Kizzuwatna40 et avec le LÚ SANGA de notre tablette, où l’on exécute une cérémonie rituelle pour Ningal et où sont mentionnés de nombreux termes hourrites (dont une série d’entités divines). Rappelons en outre que, dans un rituel où opère vraisemblablement la même reine avec ses fils, parmi lesquels le 36 En effet l’une des accusations portées contre cette reine par son beau-fils Muršili II est celle d’avoir tenté d’introduire à la cour et dans le pays de ÷atti des usages étrangers. 37 V. A. Goetze, ANET3, 397-399, J. Garstang-O.R. Gurney, Geogr., 117, Ph.H.J. Houwink ten Cate-F. Josephson, RHA 25 (1967) 120. 38 Dans I 1, il semble qu’on lise DN]IN?.GAL URU[ si la lecture DNIN.GAL est exacte, la mention de DSIN pouvait peut-être se trouver dans la lacune précédente. 39 V. E. Laroche, Rech., 124 sq., JCS 11 (1948) 121 sqq., RHR 148 (1955) 12 note 5. Ailleurs, nous traiterons sur la base aussi de la documentation la plus récente, de la diffusion du culte de cette divinité en Asie Mineure, du point de vue géographique et chronologique, ainsi que de sa pénétration dans le milieu hittite, en tenant également compte des éléments que l’onomastique nous fournit. 40 Il faut remarquer que Šuppiluliuma nomma lui aussi son fils Telipinu prêtre de Kizzuwatna. Il s’agissait probablement là d’une charge particulièrement importante qui n’impliquait pas exclusivement des fonctions religieuses. Cfr. à ce propos les bénéfices accordés à une prêtresse ENTU et à un LÚSANGA, qui possèdent, naturellement au nom de la divinité, et cela dès les temps les plus anciens, plusieurs localités liées au milieu kizzouvatnien (KUB XL 2 infra, CTH 641, un texte vraisemblablement datable de Šuppiluliuma I): v. A. Goetze, Kizzuwatna, 61 sqq., A. Kammenhuber, Arier, 99, et ce que j’ai écrit dans Šaøur. (1974) 162.

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SANGA, au Vo 6, on mentionne la ville de Kizzuwatna (v. 174 avec notes 6 et 7). Il s’agit, semble-t-il, d’un rituel d’évocation,41 un type de rituel souvent exécuté par le LÚAZU dans le duplicate de ce texte, KUB XLV 48 Ro II 8, on mentionne justement un LÚAZ[U (v. note 6 et cidessous). A ce point, il me semble opportun de remarquer que, dans la cérémonie décrite dans notre tablette, officie également, avec la reine et les princes royaux, un LÚAZU. Ce participant an culte est généralement considéré comme exorciste, opérateur de pratiques magiques42 toutefois, cette interprétation ne définit pas exactement sa sphère d’activité puisque nous le voyons agir dans des rituels de différent type.43 Il est intéressant de remarquer qu’il opère souvent dans des rituels kizzouvatniens dès l’époque d’Arnuwanda I, où il récite quelquefois en hourrite.44 Nous rappellerons, en outre, que dans la “prière de Kantuzzili”, ce personnage de haut rang, vraisemblablement lié au milieu kizzouvatnien, charge le LÚAZU du dieu Soleil45 d’exécuter une consultation mantique grâce à l’examen du foie d’une victime pour savoir quelle a été la faute qu’il a commise pour déterminer la colère divine (KUB XXX 10 [CTH 373] Ro 27). Les éléments sur lesquels nous nous sommes arrêtés jusqu’ici dans la présentation de KUB XLV 47 (surtout la possibilité d’identifier avec Kantuzzili le LÚSANGA de notre tablette et de voir sous Nikalmati et peut-être encore sous Ašmunikal un culte particulier de la divinité mésopotamienne Ningal, qui, dans la documentation hittite plus tardive, 41 V. Ro I: (5’) nu-wa kê apê KASKALMEŠ-TIM .[ (6’) KASKALMEŠ-TIM øuittiyazi piran [(arøa . . . ŠA NINDA)] (7’) ¦7© KASKALMEŠ-TIM dai . . . . (9’) nu-wa kê apê K[(ASKAL)MEŠ, cfr. le duplicat KUB XLV 48 Ro II 2 sq. et 5, qui a fourni les intégrations. 42 Sur la documentation relative au LÚAZU et sur ses fonctions dans les pratiques cultuelles, v. H. Otten, StBoT 13 (1971) 25 sq.; D.H. Engelhard, Hittite Magical Practices (1970) 33-45; A. Archi, SMEA 14 (1971) 221 sq.; V. Haas-G. Wilhelm, Hurritische und luwische Riten aus Kizzuwatna, Hurr. St. 1 (1974), pages mentionnées dans l’Index p. 331; A. Kammenhuber, op. cit., pages mentionnées dans l’Index p. 199, et en particulier p. 131 sqq. 43 V. D.H. Engelhard, op. cit., 44 sq.; ce terme se trouve souvent an pluriel. 44 V. A. Kammenhuber, op. cit., 199. 45 Il semble que certaines divinités aient leur propre LÚAZU: v. par exemple le LÚAZU du dieu de la Tempête (D.H. Engelhard, op. cit., 33 sq. et 240 note 142, et V. Haas-G. Wilhelm, op. cit., 52).

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apparaît liée à Kummanni et au panthéon kizzouvatnien) s’accordent bien avec l’opinion de ceux qui datent la phase initiale de l’influence culturelle hourrite en ÷atti par l’intermédiaire de Kizzuwatna au début de la période impériale.46 Récemment, lors d’une communication tenue à Paris en juillet 1977 à la XXIVe R.A.I., Ph.H.J. Houwink ten Cate, traitant des relations politiques entre Hittites et Hourrites avant Šuppiluliuma I, a justement mis en relief (en accord avec les opinions précédentes d’autres spécialistes comme E. Laroche, H.G. Güterbock et A. Kammenhuber) le lien étroit qui existait entre la nouvelle dynastie hittite qui régna au ÷atti au début de l’Empire et le pays de Kizzuwatna.47 Déjà en cette période, il est probable que Kizzuwatna avait également une fonction médiatrice dans la transmission d’éléments culturels babyloniens au monde hittite.48 Naturellement tout ce que nous avons observé ci-dessus n’a pas le but de faire voir en Kizzuwatna la seule source d’influence hourrite en ÷atti, ni à limiter à ce seul pays la fonction médiatrice dont nous avons parlé, oubliant ainsi l’importance que revêtirent pour cela la Syrie septentrionale et Mittani.

ADDENDUM. Un personnage nommé Mannini se trouve aussi dans un petit fragment, KBo XXVI 180 I 6’, après quelques divinités. Malheureusement, ce n’est que pendant la correction des épreuves que j’ai eu connaissance du travail de O. Carruba sur l’histoire du Moyen Royaume hittite, dans SMEA 18 (1977) 137-195, et je n’ai pas pu en tenir compte ici.

V. dernièrement A. Kammenhuber, op. cit., cap. VII et p. 198 Nr. 3. Il a fait observer que l’influence hourrite en milieu hittite a eu lieu selon un processus continu et non pas seulement en une ou deux phases de la période impériale, et cela bien que la source d’origine ait changé au cours des années. V. en outre A. Kammenhuber, op. cit., 162 et 198 Nr. 3. 48 Cfr. A. Kammenhuber, op. cit., 17, ainsi que la note précédente. 46

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X.

IL CULTO DELLA DEA NINGAL PRESSO GLI ITTITI

Il culto della dea di origine sumerica NIN.GAL “grande signora” (talora attestata anche come Nikkal), sposa del dio Luna Nannar (EN.ZU, accad. Sin), associata al quale fu oggetto di particolare venerazione ad Ur e poi a ÷arran, si propagò di qui in Siria-Palestina e in Anatolia. Essa si trova inoltre, insieme a Išøara e ad altre divinità e demoni di provenienza diversa, in un papiro magico egiziano del tardo Nuovo Regno.1 Per quanto riguarda la documentazione ittita questa dea - la cui testimonianza più antica in questo àmbito risale all’epoca del cosiddetto Medio Regno - è presente di solito in testi di carattere religioso, in prevalenza all’interno di elenchi di divinità. Compare invece raramente nelle liste di dèi invocati a protezione dei trattati internazionali fin qui pervenutici: ciò si può spiegare con il fatto che al dio Luna, quando gli è attribuita la specifica funzione di divinità protettrice del giuramento, viene di solito associata la dea Išøara.2 È interessante osservare che Ningal si trova in coppia con il dio Luna, in accordo appunto con la mitologia mesopotamica,3 soprattutto in 1 Per alcune notizie di carattere generale su questa dea v. A. Deimel, Pantheon Babylonicum, Roma 1914, 199 sg. Nr. 2447; E. Dhorme-R. Dussaud, Les relig. de Babyl. et d’Assyr. Les relig. des Hitt. et des Hourr., des Phénic. et des Syr., Paris 1949 (= MANA 1, II), 58 sg., 83 sgg., 367, 380, 388; v. inoltre K. Tallqvist, Akkad. Götterep., Hildesheim-New York 1974, 403 sg. Sui luoghi di culto di questa dea e sull’espansione di esso v. E. Dhorme, RB 37 (1928) 367-385; G.A. Cooke, North-Semit. Inscript., 186 sgg.; A. Goetze, JBL 60 (1941) 358 note 33 e 34; J. Renger, HSAO (1967) 137-171. Sulle divinità lunari in Anatolia v. E. Laroche, RHR 148 (1955) 1-24. Per la presenza di questa dea nel papiro magico egiziano su ricordato, v. A.H. Gardiner, ZSA 43 (1906) 97; R. Stadelmann, Syrisch-palästinensische Gottheiten in Ägypten, Leiden 1967, 124 sg.; W. Herrmann, Yarih und Nikkal und der Preis der Kutarât-Göttinen, Berlin 1968, 46 con nota 93. 2 V. E. Laroche, op. cit., con nota 3 e 13; v. però più avanti KUB XLIX 50 r. 17’ sg. 3 Nella mitologia mesopotamica sono considerati figli di Sin e di Ningal Šamaš e Ištar, e in taluni casi anche il dio del fuoco Nušku: v. E. Dhorme, in E. Dhorme-R. Dussaud, op. cit., 58 sg., ed anche G.A. Cooke, loc. cit.

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testi che in qualche modo denotano un’influenza babilonese, ma anche in documenti che si presentano legati all’ambiente kizzuwatneo. Nella “preghiera di Kantuzzili” vediamo che questo principe invoca il dio Sole come figlio di Sin e di Ningal (KUB XXX 10 [CTH 373] Vo 8), e nel contemporaneo “inno al Sole” - inno che è seguito da una preghiera parallela a quella di Kantuzzili, e nel quale, come in questa preghiera, il Güterbock ha riconosciuto la presenza di elementi di ispirazione babilonese mescolati a motivi ittiti - il dio Sole è appellato come “figlio di Ningal” (KUB XXXI 127 [CTH 372] I 10 sg., 15 sg.; XXXI 130 [CTH 374] Ro ¦1’©).4 Ningal si trova menzionata ancora vicino a Sin in un elenco di divinità di cui il sovrano invoca il favore in KUB XVII 14 (CTH 421) “Ro” 11,5 uno degli esemplari relativi al gruppo dei rituali di sostituzione regia databili, secondo il Kümmel (op. cit., 188), al periodo di tempo compreso fra Muršili II e ÷attušili III. È da notare che questo tipo di rituale si basa su prototipi babilonesi (v. ancora H.M. Kümmel, op. cit., 188 sgg.), anche se rielaborati con motivi rituali cananei e microasiatici.6 Si osserva nel documento qui esaminato la mescolanza di divinità maschili e femminili e non la loro disposizione in due liste separate, come per lo più avviene nei testi religiosi ittiti d’influenza kizzuwatnea.7 Rileva il Kümmel (op. cit., 189 sg.) che il movente del rituale di sostituzione regia (in un caso un omen lunare, in un altro una composizione di tutti gli omina possibili) non proviene da una tradizione microasiatica; Su questo inno v. H.G. Güterbock, JAOS 78 (1958) 237 sgg., ed inoltre 241 con nota 24 per la menzione di Enlil come padre del dio Sole in KUB XXXI 127 I 22. 5 Si tratta in realtà del Verso: v. in proposito H.M. Kümmel, StBoT 3 (1967) 50; v. inoltre 60 sg., 84 sgg.; per la presenza in questo elenco della dea Sole di Arinna vicino a ÷epat, v. più avanti nota 50; in questa lista non compare Išøara. 6 È da notare, per esempio, fra gli officianti la parte di rilievo tenuta dall’esorcista ŠIPU/apiši- (v. H.M. Kümmel, op. cit., 95 sgg., ed anche M. Vieyra, RHR 119 (1939) 143 sgg. e 123 sg.), e inoltre fra le divinità la menzione di Marduk e della coppia EnlilNinlil (v. H.M. Kümmel, op. cit., 87 e 191, e cfr. E. Laroche, Rech., 125); v. ancora H.M. Kümmel, op. cit., 191 sgg., a proposito della presenza del motivo cananeomicroasiatico del capro espiatorio; a suo avviso doveva essere avvenuta nella Siria settentrionale una combinazione fra elementi culturali mesopotamici ed elementi della cultura nordsiriana-cananea; gli Ittiti si appropriarono di questi elementi culturali, fondendoli con motivi microasiatici. Il Kümmel, op. cit., 191, rileva inoltre che la menzione delle due divinità solari (il dio Sole del cielo e la ctonia dea Sole di Arinna) poteva invece non derivare dalla redazione mesopotamica. 7 Cfr. E. Laroche, JCS 6 (1952) 115 e 118; v. anche in questo articolo note 17 e 46. 4

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egli nota inoltre che la luna come divinità e i suoi omina non erano troppo familiari presso gli Ittiti.8 A proposito dei presagi tratti dall’osservazione di determinati segni lunari, ricordiamo in special modo quelli derivati dall’esame di particolari movimenti di Ningal, appunto in quanto divinità lunare: v. il catalogo di tavolette KUB XXX 55 (CTH 277) Vo III? 6’9 e KUB VIII 28 (CTH 535), dove il nome Ningal è presente in forma più o meno completa in Ro 4’, 10’, 14’, 17’, ]20’.10 Si deve notare che in quest’ultimo testo il movimento di Ningal è esaminato in relazione a diversi mesi dell’anno, evidentemente in rapporto alle fasi lunari.11 Questo movimento espresso dal verbo nini(n)k- sembra presagire eventi funesti, quali carestie (r. 5) o invasioni nemiche. La Kammenhuber (THeth 7 [1976] 45, 55 sg., 75 sgg., 109), in base alle attestazioni del termine armuwalašøa- “luce lunare, chiaro di luna” nella documentazione ittita, considera Muwattalli come terminus post quem per l’introduzione di determinati omina lunari kizzuwatnei. Ancora insieme a Sin Ningal compare in un testo in cui si parla di voti fatti da una regina, verosimilmente Puduøepa, per la salute del marito, KUB XV 3 (CTH 584): è da notare che essa invoca Sin (15-16) e Ningal (I ]1, 17 sgg.) come dèi di Kummanni (I 4),12 la città sacra situata nel paese di Kizzuwatna, il luogo di origine di questa regina. Del resto, anche nella “preghiera di Muwattalli”, KUB VI 45 I 62-65 = 46 II 27-30 (CTH 381),13 Ningal si trova (VI 45 I 63 = 46 II 28) fra le A tal proposito egli nota che l’elaboratore ittita di KBo XV 6 e 7 (frammenti sempre del rituale di sostituzione regia) - a cui era noto soltanto il dio lunare Kušuø nella sua funzione di divinità del giuramento - ha personificato il termine MÂMÎTU “giuramento”, a cui però ci si rivolge come ad una divinità da cui partono i segni (v. anche op. cit., 38 sg.). 9 V. anche CTH, 174 sg.: 1 TUPPU DNingaš nininku[waš. 10 Questa tavoletta contiene in realtà due tipi di omina, come risulta dal colophon Vo 12-15: v. A. Goetze, Kl. Forsch. (1930) 405. 11 Probabilmente l’ultimo paragrafo del Recto (r. 20 sgg.) rimasto prima della frattura della tavoletta doveva riferirsi all’11° mese, ma si può presumere che seguisse un omen anche per il 12° mese: cfr. infatti Vo 10, in contesto formulato in maniera analoga, anche se verosimilmente riferito all’altro tipo di omen contemplato nella tavoletta. 12 In I 1 si deve probabilmente leggere DN]IN?.GAL URU.[: in tal caso è possibile che Sin fosse menzionato nella lacuna prima del nome della dea. 13 Oltre agli studi citt. in CTH 381, v. Ph.H.J. Houwink ten Cate-F. Josephson, RHA 25 (1967) 120, e V. Haas-G. Wilhelm, AOATS 3 (1974) 38 nota 2. 8

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divinità di Kummanni, in una posizione evidentemente di rilievo in quanto essa è menzionata subito dopo le principali divinità del paese: [ il dio della Tempesta] e ÷epat di Kummanni, il dio della Tempesta e ÷epat del šinapši, il dio della Tempesta della montagna Manuziya; il dio Luna invece non compare affatto in questo passo. Ningal è presente anche in due testi che descrivono il rituale hurrico del “lavaggio o purificazione della bocca”,14 pervenutoci in varie redazioni - alcune in stato frammentario - di epoche diverse: le redazioni più antiche risalgono al tempo di Arnuwanda I.15 Nella decima tavoletta di questo rituale, KUB XXIX 8, di epoca più recente,16 in I 11-27 si compie un’azione che s’incontra spesso nella ritualistica kizzuwatnea (kuptin walø-), in onore di una serie di divinità maschili e femminili qui elencate alternativamente, l’una “di fronte” all’altra (menaøøanda);17 si deve notare che Sin (r. 20) ha come corrispondente femminile Umbu Niggal (r. 22): sull’epiteto Umbu, sovente legato al nome di questa divinità, v. E. Laroche, JCS 2 (1948) 127 sg., e NPN, 271 sg. È da rilevare in questa lista la presenza della divinità solare di Arinna nella sua duplice manifestazione maschile e femminile: essa infatti verosimilmente compare nella r. 14 come “apposizione” di ÷epat (v. nota 50) e nella r. 23 nel ruolo di divinità maschile, cui si contrappone come corrispondente femminile Aiu Ikalti. Išøara non figura invece in questa lista divina. In un’altra tavoletta sempre relativa allo stesso rituale, KBo XX 129, in I 3-13 si compie un’azione mediante della stoffa, e poi si prepara un tavolo di canniccio e un pane naøøiti, su cui si buttano frutti per alcune CTH 777 e 778, v. anche V. Haas, SMEA 16 (1975) 221 sgg., e inoltre V. HaasG. Wilhelm, op. cit., pagg. indicate nell’Indice, 322, e in particolare 40 sg. e 126 sgg., e A. Kammenhuber, THeth 7, pp. citt. nell’Indice, 230 e 253. 15 In alcune redazioni sono infatti menzionati come committenti del sacrificio (talora insieme, talora separatamente) Tašmišarri - verosimilmente identificabile con Arnuwanda I - e Taduøepa: v. in proposito V. Haas, SMEA 16 (1975) 224 sgg. (il quale propone di datare le redazioni più recenti all’epoca di ÷attušili III) e A. Kammenhuber, locc. citt. 16 V. in proposito gli studi citati nella nota precedente. 17 E non in liste separate, del tipo di quelle kizzuwatnee: v. note 7 e 46, e inoltre E. Laroche, JCS 2 (1948) 114 e 123; v. anche la traslitterazione e traduzione di questo passo, e alcune ipotesi formulate in base all’esame di esso in V. Haas-M. Wäfler, OA 13 (1974) 218 sgg., e la critica a tali ipotesi in H.G. Güterbock, JNES 34 (1975) 273 sgg. 14

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divinità femminili: ÷epat, Aiu UTU-ki,18 Naparpi Šapušga,19 Umbu Ningal (r. 12). Secondo la r. 1 questo rituale itkalzi sembra celebrato per Ištar (evidentemente Šaušga) e Naparpi:20 si nota inoltre che in II 6 sg. sono menzionati in due righe successive GAŠAN-ga (= Šaušga) e Naparpi, che si trovano accanto anche in III 23 sg. e 29. Nella Col. II, in un passo in lingua hurrica dove sono presenti - anche se in ordine diverso - quasi tutte le divinità su menzionate (non sembra vi fosse ÷epat a meno che non si trovasse in una lacuna), alla r. 2 compare soltanto DUm[bu] (non vi è infatti spazio per il nome di Ningal, in una grafia qualsiasi, in fondo alla riga) e alla r. 8 DUmbu DNikall[u]-e. Nella Col. III, sempre fra le stesse divinità menzionate in ordine differente, nella r. 24 si legge ] DNigalûpa e nella r. 29 ] DNikkalaš. Secondo il Laroche,21 FHG 20 - dove alla r. 5 in un passo in lingua hurrica si legge D Umbu DNiggalul[ - sarebbe da collegare con la fine di ABoT 39; l’Otten invece non tiene conto di FHG 20 in KBo XX 129.22 Si rileva infine che in questo testo - pur considerandone la lacunosità - compaiono per lo più divinità femminili;23 fra quelle si nota l’assenza di Išøara (a meno che non si fosse trovata in una lacuna).

V. E. Laroche, op. cit., 132 sg., e cfr. anche KUB X 27 III 5(?). V. E. Laroche, Rech., 58 sg. s.v. Šaušga. 20 KBo XX 129 I: (1) n-at mân ŠA DIŠTAR DNaparpiyaš-a itkalziyaš (2) úidâ… nu kiššan ienzi IŠTU GAD anda (3), waønuanz[i] nu 1 GIŠBANŠUR AD.KID ANA D÷epat tianzi (4) nu-šan [NIND]Anaøøitin tianzi šer-šan GIŠ]INBI÷I.A (5) išøuwa[n]zi nu namma 1 GIŠBANŠUR AD.KID ANA DAiú DUTU-ki (6) tianzi nu-šan ninda naøøitin tianzi šer-šan (7) GIŠINBI÷I.A išøuwanzi 18 19

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(8) nu-kan GAD ištarna øuittiyanzi nu-kan tapuša-ya (9) 1 GIŠBANŠUR AD.KID ANA DNaparpi DåŠa¥pušga tianzi (10) nu-šan NINDAnaøøitin tianzi nu-šan šêr (11) GIŠINBI÷I.A išøuwanzi awan katta-ma (12) namma 1 GIŠBANŠUR AD.KID ANA DUmbu DNIN.GAL tianzi (13) nu-šan apêdaniya ANA GIŠBANŠUR tianzi 21 RA 46 (1952) 42, e CTH 777; in RHA 27 (1969) 95 Nr. 54 egli cita la presenza del nome di Nikkal con il vocalismo hurrita in KUB XXXII 29+ III 39, corrispondente appunto a FHG 20 r. 5; egli ritiene anche che FHG 23 faccia parte della stessa tavoletta; v. invece H. Otten in KBo XX 129, e V. Haas, SMEA 16 (1975) 226. 22 Egli infatti nella Col. III lascia uno spazio vuoto di circa 4 righe tra la fine di ABoT 39 e KUB XXXII 29 (cioè dalle tracce della r. 35 fino alla r. 40’, con cui riprende KUB XXXII 29); v. anche V. Haas, loc. cit. 23 Soltanto in III 11 si trova Kumarbi e in II 45 DZi-i[m- (forse Zimeki per Šimegi? v. E. Laroche, Rech., 59).

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Nei due documenti qui esaminati, relativi al “rituale del lavaggio/ purificazione della bocca”, compare come officiante un AZU, un addetto al culto spesso presente in rituali kizzuwatnei sin dall’epoca di Arnuwanda I, nei quali talora recita in lingua hurrica.24 Egli s’incontra di solito anche in altre redazioni del rituale in questione, fin da quelle più antiche, e sovente parla in hurrico. Mi sembra di un certo interesse il fatto che le redazioni più antiche di questo rituale risalgano all’epoca di Arnuwanda I, epoca appunto in cui Ningal compare come paredra di Sin in alcuni testi ittiti d’influenza babilonese. Un legame con l’àmbito cultuale kizzuwtneo presenta la cerimonia religiosa descritta in un documento dell’epoca del Medio Regno KUB XLV 47 col suo duplicato25 - celebrata specificatamente per questa divinità da una regina di cui non viene menzionato il nome, ma in cui ritengo probabile si debba riconoscere la regina Nikalmati, e dai suoi figli Mannin(n)i, Pariyawatra, il “sacerdote” (a mio avviso identificabile col Kantuzzili noto personaggio del Medio Regno, menzionato anche altrove come “figlio del re” e “[capo de]i sacerdoti”, e probabilmente nominato sacerdote di Teššup e di ÷epat in Kizzuwatna) e TulpiTeššup.26 Opera con loro anche un LÚAZU (v. a proposito del rituale precedente, e nota 24). È questa l’unica descrizione finora nota in àmbito ittita di una cerimonia da eseguirsi appositamente in onore di Ningal. Tale cerimonia doveva esser celebrata “nel corso dell’anno” o “durante l’anno in corso”: MU-ti (= witti) mêanaš.27 Sul significato di questa espressione nei vari testi dove compare le opinioni degli studiosi divergono.28 Per quanto riguarda il testo qui esaminato, è Sul LÚAZU nei testi ittiti v. le note 42-45 di un mio articolo attualmente in corso di pubblicazione in una raccolta di scritti in occasione del 65° compleanno di E. Laroche (Florilegium Anatolicum) (= FsLaroche [1979] 169-176 [n.d.c.]). 25 Duplicato di KUB XLV 47 I 1-16 e IV 37-39 è KBo XVII 84 I 1-15 e IV 1’-5’. Di questo documento mi sono già occupata nel lavoro cit. nella nota precedente, del quale v. la nota 7. 26 Sui motivi che mi hanno indotto all’identificazione di questa regina con Nikalmati e del “sacerdote” con Kantuzzili, v. ancora il mio studio cit. alla nota 24. 27 V. infatti il colophon di KUB XLV 47 IV: (38) DUB.1.K[(AM QATI man-z)a] MUNUS.LUGAL (39) NI[(N.GAL-un MU-ti)] mêanaš šipanti, integrato secondo KBo XVII 84 Vo 3’-5’; v. anche KUB XLV 47 I 1 e KBo XVII 84 I 1. 28 V. A. Goetze, JCS 4 (1950) 223-225, che vede in questa espressione un riferimento alla festa del nuovo anno, e H. Otten, MDOG 83 (1951) 55; v. però J. Danmanville, RHA 20 (1962) 58 sg.; v. inoltre J. Friedrich, HW Erg. Heft 3, 24 24

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difficile stabilire se con tale espressione si intendesse alludere alla celebrazione di una festa per Ningal da effettuarsi durante quel preciso anno, anche se non in una data definita all’interno di esso, oppure regolarmente nel corso di ogni anno, secondo un ordine previsto da un calendario di feste per varie divinità del paese. Anche in quest’ultimo caso, però, ci si riferiva sempre ad un periodo determinato, poiché la menzione dei nomi personali dei principi e l’indicazione specifica dei loro compiti durante l’esecuzione del rito (v. II 9 sg. dove non compare con gli altri principi Tulpi-Teššup, che invece è menzionato a parte in III 24-27)29 limita e definisce cronologicamente il significato dell’espressione MU-ti mêanaš nel nostro testo. Presumibilmente, nella fase introduttiva del rito il LÚ AZU operava da solo (infatti, anche se egli viene menzionato per la prima volta in I 17, si può ragionevolmente supporre che comparisse anche nella parte iniziale del testo, purtroppo molto lacunosa), mentre nella parte essenziale della cerimonia intervengono attivamente la regina e i suoi figli.30 Talora la regina agisce senza la collaborazione (“Jahresende(?)”), e soprattutto H.G. Güterbock, RHA 25 (1967) 142-145, il quale ritiene che tale espressione non si riferisca ad una data particolare o ad una stagione specifica nel corso dell’anno (a p. 143 sg. egli rileva che la formulazione dell’espressione wetti me(ya)n (iy)aš, rispetto alla più tarda wettaš meyanaš, ricorre in testi dell’epoca di Arnuwanda-Ašmunikal e Kantuzzili fino a Muršili II); v. ancora E. Neu, StBoT 5 (1968) 14, e StBoT 12 (1970) 45 con nota 6, e R. Lebrun, Šamuøa, 97 sg. 29 III (24) n-ašta LÚAZU ANA MUNUS.L[UGAL IBILA] mMannini (25) IBILA mPariyawatra IBILA SANGA GIŠERIN (26) kiššaraz arøa dâi (27) IBILA mTulpitešu[p]aš-ma-at øarzi “(24) e poi lo AZU alla reg[ina, al figlio] Mannini, (25) al figlio Pariyawatra, al figlio sacerdote il cedro (26) dalla mano toglie (v. I 42 sg.), (27) ma il figlio Tulpi-Teššup lo tiene”. 30 I (35) nu LÚAZU MUŠEN dâi n-an-kan ANA DINGIRLIM šêr arøa (36) waøånu¥zi ANA MUNUS.LUGAL-åy¥a-an-kan Ù ANA DUMUMEŠ.LUGAL šêr arøa (37) waønuzi ____________________________________________________________________ (38) n-ašta MUNUS.LUGAL DUMU.LUGAL-ya ANA PANI DINGIRLIM anda (39) úwanzi n-at ANA DINGIRLIM UŠGÊNNU ____________________________________________________________________ (40) nu MUNUS.LUGAL IBILA mManninni IBILA mPariyawatra (41) IBILA SANGA IBILA mTulpi-DIŠKUR[ ]. SISKUR.SISKUR tiyanzi (42) nu-šmaš-kan LÚ!AZU INA QATI-¦ŠUNU© anda GIŠERIN (43) dâi n-ašta ANA DINGIRLIM wâtar šarâ papparašz[i] (44) ANA MUNUS.LUGAL-ya-kan Ù ANA DUMUMEŠ.LUGAL kiššaraš (45) wâtar

šarâ papparašzi

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figli, coadiuvata soltanto dal LÚAZU,31 in conformità, del resto, a quanto è scritto nel colophon (v. nota 27). Come abbiamo già osservato, si riscontrano nella descrizione di questa cerimonia elementi che ci riportano all’àmbito rituale hurrico, e in particolare kizzuwatneo, quali, in primo luogo, la presenza del LÚAZU, e inoltre la menzione di certi termini cultuali come i recipienti aørušøi32 o øubrušøi,33 o il pane naøøiti,34 o l’anaøi,35 ecc., e di entità divine legate al lessico hurrico.36 A conclusione di questo documento si prescrive di distruggere del tutto col fuoco presumibilmente i resti del sacrificio e si proibisce a chiunque di mangiarli, quindi si parla di nuovo di libagioni.37

____________________________________________________________________ “(35) e lo AZU un uccello prende e al di sopra della divinità lo (36) agita e al di sopra della regina e dei figli del re lo (37) agita ____________________________________________________________________ (38) e poi la regina e i figli del re davanti alla divinità (39) entrano ed essi alla divinità si inchinano, ____________________________________________________________________ (40) e la regina, il figlio Mannini, il figlio Pariyawatra, (41) il figlio sacerdote, il figlio Tulpi-Teššup [ ] il rituale intraprendono (42) e a loro lo AZU nella loro mano un cedro (43) pone e poi sulla divinità acqua asperge (44) e alla regina e ai figli del re sulle mani (45) acqua asperge”. ____________________________________________________________________ 31 V. I 51, e IV 10 sgg. 32 V. E. Laroche, Ug. V, 506 sg., 513, 526; V. Haas-G.Wilhelm, AOATS 3, 105; J. Friedrich-A. Kammenhuber, HW 1, 46 sg. s.v. aøri-; R. Lebrun, Šamuøa, 103 e 232. 33 V. E. Laroche, Ug. V, 506 sg.; V. Haas-G. Wilhelm, loc. cit.; A. Kammenhuber, THeth 7, 68 sg. nota 148; R. Lebrun, op. cit., 98, 103 e 233. 34 HW, 146; H.A. Hoffner jr., Alim. Heth., 173 sg. 35 J. Friedrich-A. Kammenhuber, HW 1, 72 sgg.; E. Laroche, RHA 28 (1970) 6870; R. Lebrun, op. cit., 98 e 229. 36 V. E. Laroche, RHA 33 (1975) 64, ed ora, su alcuni di questi termini, RHA 34 (1976) s.v. 37

IV (32) kuita-kan âšzi-ma UZåU¥[ (33) n-at arøa war[nuzi

________________________________________________________ (34) MUNUS.LUGAL DUMUMEŠ.LUGAL-ya da-ma-[ (35) Ú-UL kuiški êzzazi[

________________________________________________________ (36) kî-ma ŠA DNIN.GAL SISKUR.SISKUR[ (37) LÚ.MEŠBE šipanzakanzi DUMUMEŠ.L[UGAL] . . . . . . .

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Comunque, come abbiamo detto all’inizio, Ningal compare per lo più in elenchi di divinità, spesso presenti in testi di culto quali rituali e feste, che denotano un’origine hurrica e fanno sovente parte dell’ àmbito kizzuwatneo: qui Ningal/Nikkal (talora preceduta dall’epiteto (D)Umbu) è menzionata generalmente dopo Išøara, Allani, e prima di Ištar,38 In questa posizione essa si trova in KUB XX 93 (CTH 704.4) I 6’[,39 XXVII 8 (CTH 704.2) Ro 8’,40 XLV 66 Ro II? 9’,41 e presumibilmente in HT 54 (CTH 705) r. 3.42 In KUB XXV 50 (CTH 705, v. E. Laroche, JCS 2, 122) II [18] si postula la presenza di questa dea in base all’ordine consueto di successione di divinità in liste analoghe poiché nel testo prima della lacuna compare soltanto il determinativo divino. Vi sono inoltre elenchi di divinità nei quali Ningal si trova ancora in questa posizione, ma in cui si riscontrano varianti rispetto all’ordine e alla presenza delle altre divinità.43 Ciò si può constatare nel rituale di Ammiøatna, sacerdote di Išøara, uomo di Kizzuwatna, KBo V 2, CTH 471,44 dove in II 58-III 16 il “signore del sacrificio” compie alcune azioni rituali45 per una serie di divinità, quelle maschili elencate prima, quelle femminili elencate successivamente, così come di solito si presentano le liste divine kizzuwatnee.46 Fra le divinità femminili Ningal (III 10, nella Alla r. 37 mi è sembrata preferibile la lettura LÚ.MEŠBE (forma abbreviata di BÊLU, attestata anche altrove), intendendovi un riferimento ai “signori (del sacrificio)” piuttosto che LÚMEŠ-pat. 38 V. E. Laroche, JCS 2 (1948) 121 sgg. e 127 sg., e RHR 149 (1955) 12 con nota 5. 39 Umwu D¦Ni©[kkal; v. E. Laroche, JCS 2 (1948) 122, e Thes. 5, 181 Nr. 14. u 40 Umbu DNIN.GAL; v. E. Laroche, loc. cit., e Thes. 5, 183 Nr. 20. Questa dea vi compare dopo Išøara e prima di Ištar - qui menzionata come DGAŠAN - Ninatta e Kulitta di Ninive ecc. 41 In Ro II? 4’-13’ si dice probabilmente che viene spezzata (il verbo è in una delle parti lacunose: cfr. però casi analoghi, come per es. KUB XXVII 1 I 47 sgg.) una galletta per alcune divinità femminili: ÷epat (cui seguiva presumibilmente Šarruma), Dara Takidu, ÷utena ÷utellurra, Išøara Allani, Umbu (senza il determinativo divino) Ningal, Ištar-ka (= Šauška) Nin[atta] Kulitta, [Ištar] di Ninive [Ninatt]a Kul[itta]. 42 DN[IN.GAL: manca l’appellativo Umbu prima del nome della dea; v. la traslitterazione di questo frammento presso E. Laroche, op. cit., 127. 43 Ciò probabilmente è dovuto, come osserva il Laroche, op. cit., 122 sg., alla provenienza diversa dei rituali in cui tali elenchi sono inseriti, sempre però influenzati da un canone hurrico primitivo e invariabile. 44 V. la traslitterazione di gran parte del testo in J. Friedrich, HE, 34 sgg., e cfr. inoltre RHA 5 (1939) 93 sg. 45 V. H.G. Güterbock, JNES 34 (1975) 276 con nota 17. 46 V. note 7 e 17, e inoltre le liste divine in E. Laroche, op. cit., 14 sg. e 123.

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grafia hurritizzante DNiggalu) conserva la stessa collocazione dei testi precedenti poiché compare (senza l’epiteto Umbu) dopo ÷epat, Išøara,47 Allani, e prima di Ištar ecc. Fra le divinità maschili, nella posizione più consueta nell’àmbito dei kaluti di Teššup, dopo Kumarbi, Ea, e prima del dio Sole, si trova il dio Luna (DEN.ZU, in III 1), che è anche menzionato altrove nel testo. È da notare che in questo rituale opera come officiante un LÚAZU. In KUB XXVII 1 (CTH 712),48 contenente la descrizione di una festa in onore di Ištar di Šamuøa, verosimilmente databile all’epoca di ÷attušili III,49 si legge che nel corso della cerimonia il celebrante LÚ÷AL compie delle operazioni rituali, tra cui lo spezzare alcuni pani SIG (gallette) per numerose divinità maschili e femminili, provenienti da vari panthea, e per entità divinizzate. Anche qui, come nel testo precedente, le divinità maschili sono elencate separatamente, prima di quelle femminili. Si rileva in tutta la cerimonia una forte influenza kizzuwatnea (v. note 49-51). Fra le divinità maschili si trova anche il dio Luna (DEN.ZU, in I 61), dopo Kumarbi e prima di DUTU (cfr. il testo precedente). Apre la lista delle divinità femminili, menzionate in II 36-III 5, la dea Sole di Arinna seguita dalla figlia Mezzulla, poi ÷epat muš-ni ed altre ipostasi di ÷epat,50 quindi Darru Dakidu, ÷utena ÷utellurra, Išøara, 47 Sulla posizione di questa dea in un buon punto nella lista, v. E. Laroche, op. cit., 123 con nota 47. 48 V. la traslitterazione, traduzione e commento dei testi relativi a questa festa in R. Lebrun, Šamuøa, 73-116; cfr. anche sopra nota 41. 49 Il Lebrun, op. cit., 73 sg. e 113 sgg., attribuisce la redazione di questo testo a ÷attušili III, che si sarebbe però servito di un rituale composto sotto Muršili II per celebrare Ištar uwaliwalli. All’epoca di ÷attušili III pensa anche la Kammenhuber, Thes. 4, 64 Nr. 33 e 182 sg. Nr. 18. Il Laroche, loc. cit., dopo aver messo in rilievo - in quest’ampia lista di divinità - la combinazione del canone ittita indigeno e del kaluti hurrita di ÷epat, ritiene questo testo, contenente la restaurazione di un culto abbandonato, contemporaneo all’azione religiosa di Tutøaliya IV. 50 È interessante osservare la presenza delle due divinità hattiche, la dea Sole di Arinna e sua figlia Mezzulla, vicino alle varie ÷epat: è infatti nota l’assimilazione della dea Sole di Arinna a ÷epat nel pantheon ittita del periodo imperiale, in conseguenza della fusione di questo pantheon con quello hurrico; ciò è chiaramente dimostrato nella preghiera della regina Puduøepa alla dea Sole di Arinna, KUB XXI 27 I 3 sgg., CTH 384. Così in KUB XXIX 8 I 14 la dea Sole di Arinna è da intendersi come apposizione di ÷epat, anche se in realtà è legata a questa dalla congiunzione -ya (di cui infatti non si tiene conto nella traduzione di V. Haas-M. Wäfler, OA 13 (1974) 219; v. inoltre E. Laroche, op. cit., 123 e 122 nota 56), e ciò vale anche per KUB XVII 14 “Ro” 10, dove

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Allani, Umbu Ningal (II 44), Šapušga con Ninatta e Kulitta, alcune ipostasi locali di Ištar/Šaušga, ecc.51 Verosimilmente nella stessa posizione doveva trovarsi Umbu Ningal in KUB XLV 41 II 7’, all’interno di una lista di divinità femminili a cui viene offerta una galletta: si presume infatti che Allani fosse menzionata dopo Išøara nella lacuna alla fine della r. 6’, e che Ištar e Ninatta si trovassero nella lacuna alla fine della r. 7’,52 dato che all’inizio della r. 8 compare Kulitta. È difficile, per la lacunosità del testo, pronunciarsi sulla presenza e sull’ordine delle altre divinità, anche se è da notare la menzione di DAya[ in buona posizione alla r. 3’, e la sua probabile ripetizione alla r. 10’ (DAya Enikald[u), per quanto non sappiamo cosa seguisse Aya nella lacuna alla fine della r. 3’. Si deve inoltre osservare dalla r. 14’ in poi la presenza di numerose ipostasi, per lo più locali, di Ištar,53 che si riscontra anche nella Col. III. la menzione di ÷epat segue quella della dea Sole di Arinna. Si deve tuttavia notare che in KBo IV 10 (CTH 106) Ro 55 compare ÷epat regina del cielo molto dopo la dea Sole di Arinna, che è menzionata più di una volta fra gli dèi principali all’inizio della lista divina. Ricordiamo inoltre che in alcuni testi di Ugarit riguardanti accordi internazionali troviamo fra le divinità ittite - dopo il dio della Tempesta di ÷atti - la divinità solare di Arinna e ÷epat di Kizzuwatna: v., ad esempio, RS 17.340 Vo 19’ (epoca di Šuppiluliuma I) e 17.237 Vo 12’ sg. (epoca di Muršili II), di cui parleremo più avanti. L’assimilazione di queste due divinità in àmbito ittita sembrerebbe attestata già all’epoca di ÷attušili I (a meno che non si trattasse di un inserimento più tardo) in KBo X 2 (CTH 4) II 37 sg., laddove questo sovrano dice di aver portato doni “alla dea Sol[e di Arinna] figlia della dea Al[latum] ÷epat”, tanto più che subito dopo (r. 39 sg.) egli continua affermando di aver recato [queste cose] nel tempio della dea Mezzulla, che sappiamo figlia della dea Sole di Arinna (v. SCO 14 [1965] 50 sg., 66 sg.). Sul termine muš(u)-ni, frequentemente attestato come epiteto di ÷epat, v. bibliografia in R. Lebrun, Šamuøa, 102. 51 V. la lista delle divinità femminili presente in II 36 sgg. presso E. Laroche, op. cit., 123, e R. Lebrun, locc. citt. in nota 48 (infra) e soprattutto 109 sgg. La posizione di Umbu Ningal (DUmbu DNIN.GAL) in questa lista divina - dopo Išøara, Allani e prima di alcune Ištar (su DISTAR-pušga v. nota 19) - è in accordo con l’ordine dei kaluti kizzuwatnei. Il Laroche (v. nota 49) e il Lebrun (op. cit., 113 sgg.) riconoscono evidente in questo rituale l’impronta di un forte sincretismo hurrico-ittita ed una intensa influenza culturale kizzuwatnea. 52 In tal caso però questa lacuna avrebbe dovuto essere assai ampia per contenere anche la menzione del pane SIG prima dei nomi di queste due dee, e forse pure della voce verbale dâi dopo Umbu DNIN.G[AL, secondo la dizione delle rr. 8’, 9’. 53 Nelle rr. 15’ sg. si legge: (15’) 1 NINDA.SIG KI.MIN Ammana-øi DI[ŠTAR (16’) 1 NINDA.SIG KI.MIN DDunta-øi DIŠTAR: cfr. il frammento di carattere cultuale KBo XXII 162 Vo 4’ dove Amana-hi e Dun[ta-øi, sempre in connessione con Ištar,

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In KBo XXIV 47 Vo? III 1’-14’ si compie un’azione rituale (1 kuptin GUL-aøzi = waløazi) per alcune divinità maschili (rr. 1’-7’: purtroppo la lacunosità del testo permette di individuare soltanto Kumarb[i], E[a], Ašta[bi], [Nu]patik, e gli dèi maschili) e femminili (rr. 8’-13’: ÷e, Allani, Išøara, Ningal (r. 11’, senza l’appellativo Umbu), I[štar?], Šuwala e le divinità femminili), elencate separatamente, secondo un ordine che si accorda con i kaluti kizzuwatnei.54 In KUB X 27 (CTH 714),55 un testo hurricizzante - databile, secondo la Kammenhuber,56 al XIII sec. a.C. - in cui si descrive la festa del mese per Ištar di Ninive, celebrata dalla regina ma dove compaiono come officianti anche un LÚ÷AL (I 17) e un LÚAZU (IV 11 e 17),57 nella Col. III 1-13 vediamo che viene offerta una galletta ad alcune divinità: Ta[rru]/Tar[u] Takidu, Ea Da[mkina],58 Aya UTU-k[i (oppure K[I.MIN]), dèi del padre di Ištar, gli ašøušikkunni, Išøara, Allani, Umbu N[ingal (r. 12), Uršui [Iškalli,59 cui seguono tracce di segni nella riga risultano come toponimi (U]RUAmana-øi DIŠTAR URUDun[ta-øi); qui C. Rüster nell’Indice dei nomi divini (KBo XXII p. XII) legge ÷UR.SA]GAmanaøi (si vedono però due cunei verticali subito dopo la lacuna prima di A) e URUDunn[a (le tracce del segno rimaste prima della lacuna sono però talmente piccole che possono giustificare sia una lettura -n[a che -t[a). Sulla montagna Ammana v. H. Gonnet, Mont. As. Min., 116 sg. Nr. 53; sulla montagna Dunna v. H. Gonnet, op. cit., 142 Nr. 142; sulla città Dunna v. J. Garstang-O.R. Gurney, Geogr., 67, 72, e sul paese Dunta/Dunda v. ancora questa opera, 106, 121, dove si rileva anche il legame di esso con la dea Ištar. 54 Su questa base si può presumere che alla r. 1’ si trovasse Teššup e alla r. 4’ il dio Luna, e per questo motivo sembra probabile una integrazione Ištar alla r. 12’, mentre a causa dello spazio è difficile suggerire un nome divino da porre nella lacuna alla fine di questa riga. A conclusione di questo passo si legge: (14’) . . . . . . . EGIR-ŠU-ma ANA DU teššuøiya šipa[nti] (15’) EGIR-ŠU-ma ANA DINGIRMEŠ teššuøiya šipanti 55 V. la traslitterazione, traduzione e commento di questo testo in M. Vieyra, RA 51 (1957) 84-87, 92 sg., 96-99. 56 Thes. 6, 280; v. anche 255 Nr. 10, 258 Nr. 5, 263 Nr. 1, dove si riportano alcuni passi di questo testo. 57 V. A. Kammennuber, THeth 7, 135 e 132, dove in IV 11 essa legge giustamente LÚAZU anziché LÚSANGA, come invece M. Vieyra, op. cit., 87 e 93; questa lettura vale anche per IV 17. 58 Non si giustifica la lettura di M. Vieyra, op. cit., 86 e 93: DÉ.A DNIN.[GAL. 59 M. Vieyra, op. cit., 93 e 98, considera separati, evidentemente come una coppia divina, Umbu e Ningal, e anche altre divinità, senza tener conto dell’entità del pane SIG offerto. Sull’interpretazione di ašøušikkunni v. per ultimo I.M. Diakonoff, Hurrisch und Urartäisch, München 1971, 71 e 117 nota 129. Il Laroche, op. cit., 123, rileva la

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successiva. In questa lista non compare Ištar, probabilmente perché si trovava in posizione privilegiata, essendole dedicata la festa. In altre liste Ningal/Nikkal si trova invece fra Išøara e Allani,60 a sua volta seguita dalle varie Ištar con Ninatta e Kulitta: così in KUB XXXII 91 Ro II? 14’, e presumibilmente anche in Vo 3’[,61 in KUB XLV 74 Col. sn. 9’,62 in KBo XX 113 I 16’;63 in quest’ultimo testo, in base alla lista di divinità di I 13’ sgg., si potrebbe postulare la presenza di questa dea, con Išøara e Allani, anche nella lacuna finale di II 13’: non c’è qui però spazio sufficiente per tutto questo. Dopo Išøara e prima di alcune Ištar con Ninatta e Kulitta compare Umwuu Nikkal in KBo XXIV 42 III 5’, in contesto purtroppo frammentario.64 Ancora in testi relativi a cerimonie cultuali in cui si rileva un’influenza hurrica è presente Ningal/Nikkal in liste di divinità ordinate differentemente. In KBo XIV 139 (CTH 705), in un elenco di offerte a divinità femminili alquanto lacunoso, in II 11 si trova Umbu Ningal65 dopo ÷epat Šarruma, Daru Dakitum, ÷u[tena ÷utellurra; nella r. 14 è presente Ea, in un passo però molto danneggiato. In IBoT II 26 (CTH 705), un frammento di un rituale celebrato dal re, insieme al quale opera

diversità di questa lista divina da quelle degli altri kaluti ed una certa affinità con le liste di Manuz(z)i(ya). 60 Ciò sarebbe un’ulteriore conferma che Allani è una divinità a sé e non un appellativo di Išøara; cfr. E. Laroche, op. cit., 126 sg. 61 DUmwu DNikkal, CTH 705; v. E. Laroche, op. cit., 122, e Thes. 5, 184 sg., dove u in Ro II? 8’ si deve correggere DDa[ki] DDakidu in ¦D©Da[rru] DDakidu secondo la dizione consueta. In Vo 2’ sgg. compaiono: (2’) D.[ (3’) DÚ-u[m-wuu (4’) DAl-l[a-ni (5’) DIŠTAR DNi[na-at-ta ecc.; si presume che prima di DU[mwuu si trovasse Išøara (cfr. Ro II 13’). 62 Nel passo purtroppo frammentario (rr. 5’-12’) sono rimasti i nomi di Š]arruma (presumibilmente preceduto da ÷epat), D]arru Dakidu, ÷ut]ena ÷utellurra, Išø]ara, Nikkal, All]ani, Nina]tta Kulitta (certo precedute da Ištar), Iš]tar Ninatta (certo seguita da Kulitta). 63 DUmbu DNikkal, CTH 706; in Thes. 5, 180 Nr. 9 si riportano alcuni passi di questo testo. 64 Nelle rr. 3’-9’, assai frammentarie, l’officiante (purtroppo nella parte lacunosa; nelle rr. 11’ e 14’ compare un LÚMU÷ALDIM, ma forse per i precisi compiti ivi indicati) beve stando seduto (per) le divinità su menzionate e spezza per loro un pane SIG. 65 II (10) EGIR-ŠÚ-ma 1 UDU 1 NINDA.KUR .RA ŠA UP[NI (11) [nu] ANA 4 DUmbu DNIN.GAL D[.

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anche un cantante di ÷urri, in Vo 5’, compare U]mbu Ningal66 dopo E]¦a© Damkina e prima di Išøara ¦A©l[lani], Naparpi ¦Šu©[wala], Ilawa Ašt[api], ZA.BA4.BA4; purtroppo per la lacunosità del testo non conosciamo né le divinità precedenti né le successive. Ningal compare talora anche fra le divinità di Manuz(z)i(ya), importante centro religioso kizzuwatneo.67 Nell’ultima tavoletta della festa (ø)išuwa - festa hurrico-ittita databile secondo la Kammenhuber68 al XIII a.C. - KBo XV 37 (CTH 628), celebrata per il dio della Tempesta di Manuzi e per altre divinità (Ro I 1: UMMA DIŠKUR Manuzi DINGIRMEŠ-ya), in I 63-65 e ancora nella Col. II si dice che il re stando seduto beve (per) una serie di divinità, mentre un cantante canta, e inoltre si specifica che “non c’è (probabilmente nel senso che non si deve usare in questo rito, non nel senso che manca) pane grosso da spezzare”: v. I 65 NINDA.KUR4.RA paršiyauwanzi NU.GÁL (cfr. IBoT II 26 - v. nota 66 - dove però vediamo che questo tipo di pane viene spezzato). In II 9 compare Umbu Ningal69 in posizione abbastanza buona dopo ÷epat mušu-ni (v. nota 50), ÷epat Šarruma, Darru Dakidu, ÷utena ÷utellurra, e prima di L[ilur]i Abati Tiyari di Manuzi, ÷epat, gli dèi padri ecc.; notiamo inoltre Ištar alla r. 21, Išøara alla r. 23, Allani alla r. 25 ecc.; Ningal non compare invece nella lista divina nella Col. IV, a meno che non si trovasse nella lacuna nella r. 24 sg., ma non abbiamo elementi per formulare tale ipotesi. In una tavoletta frammentaria senza numero, scritta su sei colonne, sempre relativa alla festa (h)išuwa, KBo XVII 98 (CTH 628), nella Col. V,70 nella lista di offerte a divinità, dopo il dio della Tempesta di Manuzi che riceve un uccello e tre gallette (r. 5’), troviamo DKušuø (DXXX-uø) D Ma[ti cui si offrono un agnello e cinque gallette (r. 6’), e nella r. 21’ dopo un elenco di divinità maschili e femminili, e prima delle montagne, (5’) [LUGAL-uš KU-aš D(?)U]mbu DNIN.GAL 1 ŠÚ eku¦z©[i] (6’) [LÚNA]R SÌRRU 1 NINDA.KUR4-RA pa[ršiya]: “(5’) [il re stando seduto] bev[e] una volta (per) la dea [U]mbu Ningal, (6’) [il can]tante di ÷urri canta, un pane grosso sp[ezza]”; si compiono queste stesse azioni rituali anche per le altre divinità ivi menzionate; cfr. Thes. 5, 187 Nr. 39; cfr. anche più avanti a proposito di KBo XV 37. 67 Sulle divinità venerate a Manuz(z)i(ya) v. E. Laroche, JCS 2 (1948) 131 sgg. 68 Thes. 5, 173; v. inoltre A. Kammenhuber, Or 40 (1972) 442-445. 69 Questa è la frase che si ripete per ogni divinità: II (9) EGIR-ŠU-ma DUmbu DNIN.GAL KU-aš ekuzi (10) LÚNAR SÌ[RR]U NINDA.KUR .RA NU.GÁL. 4 70 V. v. Haas-G. Wilhelm, op. cit., 265 sg. 66

¦U©RU÷urri

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dei fiumi, degli dèi di Manuzi ecc. - leggiamo che si offre un uccello e tre gallette a DUmbu DŠarruma. È difficile stabilire se qui Umbu fosse un epiteto di Šarruma o rappresentasse una divinità lunare a sé stante (magari proprio Ningal): non offrono alcun aiuto in un senso o nell’altro né la composizione della lista divina né l’entità o la qualità delle offerte. In KBo XI 5 (CTH 703), uno degli esemplari del rituale di Muwalanni “servo del dio della Tempesta di Manuzziya e di Ištar”,71 nella lista di offerte a divinità maschili (Col. I) e femminili (Col. II) elencate separatamente, in II 12’ si trova DUmbu DNIN.GAL, dopo alcune ÷epat, ¦D©aru Takitum, [÷]utena ÷utelur[a, e prima degli dèi padri, degli dèi delle città, di Aba[t]i Le[lluri della città di Manuzi; quasi alla fine della lista (rr. 20’-22’) compaiono Ištar, Išøar[a, Alla[nni. Nella Col. I dopo alcuni dèi della Tempesta, Ib, Kumarpi, Ea, nella r. 14’ è presente il dio Luna (DXXX) prima di Šigi-na, Aštapi, Nupatik, ecc.72 Una certa analogia con le liste di Manuz(z)i(ya) si riscontra in KUB XXV 46 (CTH 705) dove nella Col. III, in una lista divina purtroppo lacunosa, Umbu Ningal (r. 15’) è menzionata dopo Tarr]u Takidu e prima di L]iluri Abati Tiyar[i, Aya Šimeki, Allani.73 Vi sono inoltre casi un cui Ningal sembra inserita fra divinità maschili, forse come ipostasi del dio della Luna piuttosto che come sua paredra. In KBo XXIII 67,74 - rituale che si riferisce all’àmbito di Teššup (presente più volte nella Col. II) e che contiene parti in lingua hurrica, in III 13 sgg. si compiono azioni rituali (si beve vino e si spezza una galletta) in onore di alcune divinità maschili, in testa alle quali sta Iškur (evidentemente Teššup): dobbiamo però tener presente che la frammentarietà del documento non permette di conoscere le divinità che si trovavano nelle rr. 22 sgg. Fra gli dèi presenti nel testo compare Umwuu Nikkal (r. 16), preceduta e seguita da Iškur (rr. 13, 18: la r. 15 però è lacunosa), dopo il quale è menzionato Šuwaliya[tti (r. 20).75 Come abbiamo detto, è possibile che in questo passo la dea comparisse come V. prefazione a KBo XI Nrr. 2-5. V. le due liste di divinità in Thes. 5, 178 sg. Nr. 3. 73 DUmbu DNIN.GAL; v. Thes. 5, 182 Nr. 17. 74 CTH 704; la Col. II 11’ sgg. è parallela a KBo XIV 138 e a KUB XLV 50 Ro II 3’ sgg. D¦Nik©-kal (17) GEŠTIN ekuzi 1 75 III (16) EGIR-anda-ma U¦m©wu ú NINDA.SIG paršiya KI.MIN; si ripete questa azione rituale per varie divinità. 71

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ipostasi del dio Luna (o come sua replica, se egli si trovava nelle parti lacunose): si deve comunque notare che in II 22’ questo dio (DEN.ZU) è presente. In KUB XXXII 52 (CTH 705),76 un testo frammentario in cui si parla di offerte di uccelli a divinità dell’àmbito hurrico, in Vo? III 5, si legge DUmbu ¦D©[, prima di Kumarbi, Aa, Ašt[abi, Nupatik (r. 6’ sg.); nelle rr. 8’, 10’ compare Teššup. Non sappiamo se il nome divino che stava nella lacuna dopo DUmbu fosse proprio quello di Ningal, come saremmo portati a presumere in base all’accostamento più consueto (v. però KBo XVII 98 V 6’): in tal caso anche qui questa dea, come nel documento precedente, verrebbe a trovarsi fra le divinità maschili, in posizione sembra - di rilievo. Si nota inoltre che in questa colonna - però lacunosa non compare il dio Luna. A proposito della menzione di questa dea in elenchi di divinità maschili, ricordiamo anche due testi di Ugarit, RS 24.254 r. 8 e 24.255 r. 6, di cui parleremo più avanti. Ningal si trova anche in altri testi di carattere religioso legati all’àmbito hurrico, dei quali però possiamo dir poco per la loro frammentarietà. In KUB XXXV 127 (CTH 670) II 7 vediamo che l’officiante “beve” (per) la dea Ningal.77 In KBo XXIV 60 si parla di sacrifici o offerte a divinità di animali, in prevalenza uccelli, accompagnati da termini hurrici; nel Recto?, in un contesto molto lacunoso, si legge alla r. 5 ]DUm¦bu© ¦D©[ (nella lacuna presumibilmente Nikkal: cfr. infatti r. 12’) e alla r. 12’ DUmbu DNik[kal.78 Ningal compare due volte in KUB XLV 27 I 7’ (qui il nome della dea è preceduto da ANA), 8’, un documento estremamente frammentario relativo all’ambiente hurrico (r. 4’: nu øurlili ki-i[š?-ša?-an?), in cui si parla di sacrifici o offerte di animali a divinità (r. 3’: EGI]R-ŠÚ-ma-kan 1 UDU AN[A). In KUB XLV 84 Ro 18’, in un contesto lacunoso e oscuro, si trova ancora Ningal: da notare la presenza di Aleppo alla r. 13’ e di Ebla alla r. 15’ (in Vo rr. 16 e 18 compare ÷atti).

V. V. Haas-G. Wilhelm, op. cit., 252. ] DNIN.GAL ekuzi; Thes. 5, 71. II (6) . . . nu øantez[z]i (7) [palši 78 Inoltre nella r. 13’ sembra si parlasse di qualcosa proveniente “dalla casa del dio della Tempesta a?-]”, forse (r. 14’) “1 pecora (da offrirsi) agli dèi ki-.[ (kel-diya? cfr. r. 11’ e Vo 5’, 6’)”, nella r. 15’ di qualcosa proveniente “dalla casa di ÷epa[t”, presa per gli dèi X (r. 16’ sgg.), menzionati nelle lacune. Per i termini che nel testo accompagnano i nomi degli animali, v. V. Haas-G. Wilhelm, op. cit., 69 sgg. 76

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Di difficile comprensione è anche il testo frammentario KUB XLVII 19, dove è menzionata Ningal alla r. 8’. In KUB X 92 (CTH 706; databile, secondo Thes. 6, 281, al XIII sec.) nella Col. II, purtroppo lacunosa in una lista di offerte a divinità, dopo un particolare dio della Tempesta (DU É SAG.DU), ÷epat, Išøara, alla r. 27’ si legge DXXX DNi-.[ (DNi[kkal?: v. C.-G. von Brandenstein, ZDMG 91 (1937) 566; in Thes. 5, 193: DNi[natta); il dio Luna compare ancora in questo documento, seguito da tracce non chiare di un segno e da lacuna, in V 6, sempre in contesto frammentario, dopo Ea e prima del dio Sole, Ištar ecc. (sul carattere particolare di questa lista v. E. Laroche, JCS 2 [1948] 121). Di particolare interesse mi sembra il frammento KUB XLIX 50, in cui si descrive una consultazione oracolare fatta dall’augure Alantalli.79 Infatti in questo documento, presumibilmente posteriore all’epoca di Muršili II,80 nelle rr. 9’ sgg. si dice che è stato stabilito un giuramento e che esso deve compiersi (r. 9’: ].-ma MAMEDU SIXSÀ-at nu-za MAMEDU KIN-zi[) e si fanno in proposito consultazioni oracolari di vario tipo: è da rilevare che mentre nella r. 12’ si parla di MAMEDU ŠA DINGIRLIM[, successivamente si parla proprio di ŠA DXXX MAMEDU (r. 14’) e nelle rr. 17’ sg. del giuramento di Ningal e del giuramento del dio Luna,81 quindi nella r. 21’ si legge purtroppo soltanto ]kuit MAMEDU Š[A. È questa l’unica attestazione finora pervenutaci di Ningal vicino al dio Luna in rapporto specifico con un giuramento. Come abbiamo osservato all’inizio di questo lavoro, Ningal compare assai raramente nelle liste di divinità di solito invocate a garanzia dei trattati stipulati dagli Ittiti con paesi stranieri, anche se purtroppo non ci Questo augure compare anche in un altro testo oracolare, KUB XXII 65 (CTH 580) II 12, III 28, 33, v. E. Laroche, NH Nr. 25,2, e A. Archi, SMEA 16 (1975) 132. Nelle rr. 3’-7’ del nostro frammento questo augure fa una consultazione - l’oggetto della quale è stato verosimilmente indicato prima (QA[TAMMA-pat) - in base al volo degli uccelli pattarpaløi e maršanašši; non è chiaro l’esito del responso (“(lo) respinsero”) in quanto non sappiamo se si trattasse qui di una “controprova” (cfr. in proposito A. Archi, op. cit., 144 sgg.). 80 V. A. Archi, op. cit., 121. 81 (17’) ]kuit MAMEDU ŠA DNIN.GAL SUMEŠ (18’) -m]a-kan eni MAMEDU ŠA DXX[X (19’) [IGI-z]i SUMEŠ SIG -ru EGIR-[m]a NU.S[IG -du (20’) [ ŠÀ]DIR SIG 5 5 5 EGIR SUMEŠ [ ____________________________________________________________________ 79

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sono pervenute tutte queste liste, e in maniera completa. Esse sono sempre di grande utilità, sia per la conoscenza della situazione in periodi diversi del pantheon ittita e di quelli dei vari stati contraenti, sia per quanto riguarda l’introduzione di culti esterni in àmbito ittita, l’epoca e l’occasione della loro penetrazione, e l’elemento che ha esercitato una funzione mediatrice a questo scopo.82 I più antichi trattati internazionali utilizzabili in tal senso sono quelli redatti da Šuppiluliuma I. Già nella maggior parte di essi è menzionato il dio Luna come divinità protettrice del giuramento, e con tale funzione è a lui associata Išøara.83 Tuttavia si deve osservare che nel trattato fra Šuppiluliuma I e ÷uqqana e la gente di ÷ayaša (CTH 42) non sono presenti né queste due divinità né la dea Ningal, che invece compare in un frammento forse appartenente a questo stesso trattato, KUB XXVI 39 (CTH 43) IV 17. Nei trattati posteriori a Šuppiluliuma I troviamo ancora menzionati il dio Luna e Išøara, ambedue accompagnati da titoli che indicano una loro relazione con il giuramento, tuttavia questi due dèi non compaiono l’uno accanto all’altro, ma fra loro sono inserite alcune divinità.84 Nel trattato 82 Per esempio, sarebbe stato di particolare interesse per questo studio conoscere le liste di divinità presenti nei trattati stipulati in epoche diverse da sovrani ittiti con Kizzuwatna (CTH 21, 25, 26, 41, 131, 132), soprattutto per quanto riguarda quelli più antichi, per sapere quale fosse in quel tempo la composizione del pantheon ittita e di quello kizzuwatneo. 83 V. nota 2, ed E. Laroche, PRU III, 316; per quanto riguarda il trattato stipulato da Šuppiluliuma I con Šattiwaza di Mittani (CTH 51, 52), si deve rilevare che mentre fra le divinità di parte ittita il dio Luna e Išøara compaiono accanto con la qualifica di signore e regina del giuramento (v. E. Weidner, PD, 30 sg. Vo 46’, e 50 sg. Vo 18’, ed E. Laroche, loc. cit.), fra le divinità di parte mittanica il dio Luna in coppia con il dio Sole, cui segue Sin di ÷arran (v. E. Laroche, RHR 148 [1955] 8 nota 5), si trova subito dopo Teššup, signore del cielo e della terra, mentre Išøara compare senza alcun titolo dopo tutte le divinità, e prima dei monti e fiumi divinizzati, e degli dèi del cielo e della terra in generale (v. in E. Weidner, op. cit., 32 sg. Vo 54’, 58’, e 52-55 Vo 40’, 43’: in quest’ultima riga tra Išøara e i monti e i fiumi divinizzati c’è la divinità Pardaøi del paese di Šu-da). 84 V. i passi riportati in E. Laroche, op. cit., 317. Del trattato fra Muršili II e Niqmepa di Ugarit (CTH 66) ci sono pervenuti alcuni frammenti da Ugarit: tra questi si rileva che in RS 17.351 A Vo 7’ (PRU IV, 95) in un contesto assai lacunoso si trova forse [i]l Sin(?) b[êl(?) mamiti(?), in RS 17.342 Vo 8’ (PRU IV, 94) si legge ]šarr[at(?)] mamit[i(?), in RS 17.04 Vo 1’ (PRU IV, 100) compare l’espressione ilânuMEŠ bêluMEŠ [mamiti, ma non si può stabilire, per la lacunosità del contesto, a chi si riferisse tale espressione. Nella redazione egiziana del trattato fra ÷attušili III e Ramses II, nella r. 29 è presente anche la “signora del giuramento Išøara”; nella stessa riga sono inoltre

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stipulato fra un sovrano ittita, verosimilmente ÷attušili III, e UlmiTeššup del paese di Tarøuntašša,85 KBo IV 10 (CTH 106), in Ro 56 si trova la dea Ningal, preceduta da alcune Ištar con Ninatta e Kulitta (r. 55) e seguita da un nome divino posto in lacuna e quindi da Sin “signore del giuramento”. Appare strano che in questa lista, dove Sin è presente proprio con le caratteristiche di divinità del giuramento, non compaia anche Išøara con questa particolare funzione, tuttavia nella lacuna dopo Sin e prima di Zababa - in un posto dove si potrebbe ragionevolmente ipotizzare la presenza di questa dea in base alla sua più frequente collocazione nelle liste di altri trattati - sembra invece probabile che si trovasse la divinità di Arušna,86 mentre la lacuna prima di Sin potrebbe contenere soltanto il nome di Išøara (che verrebbe però a trovarsi in una posizione inconsueta rispetto all’ordine di divinità elencate negli altri trattati), ma non qualche sua qualifica indicante una relazione con il giuramento, ciò che invece nei trattati ittiti caratterizza il legame di questa dea con il dio Luna. Purtroppo, non abbiamo elementi sufficienti per attribuire qualche significato alla presenza di Ningal nei trattati su menzionati. Mi sembra interessante osservare che in alcuni testi di Ugarit relativi ad accordi internazionali Ningal, legata a determinati paesi, è invocata fra le divinità garanti dell’atto, probabilmente però non per sue prerogative relative al giuramento, ma in quanto dea protettrice di paesi che avevano forse un particolare rapporto con i contraenti dell’atto o un interesse per il contenuto di questo. In RS 17.340 (PRU IV, 48 sgg.), un accordo fra Šuppiluliuma I di ÷atti e Niqmadu di menzionati, senza ulteriori riferimenti, “gli dèi, signori del giuramento”; non vi compare invece il dio Luna (v. J.A. Wilson, ANET3, 201). Išøara si trova come “signora del giuramento” anche in un trattato stipulato da un sovrano ittita con i Kaskei (CTH 139): v. E. v. Schuler, Kašk., 110 § 7” r. 10 e commento p. 115; non vi si trova invece il dio Luna. Per le ipotesi di datazione di questo testo v. Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records, 81, ed E. v. Schuler, op. cit., 113. Anche in KUB XXVI 43 Vo 19 sg. (cfr. XXVI 50 Vo 10 sg.) - una concessione di terre da parte di Tutøaliya IV - si invocano il dio Luna e Išøara come signore e regina del giuramento: v. F. Imparati, RHA 32 (1974) 36 sg. e commento p. 113. 85 Per la datazione di questo testo v. il lavoro cit. nella nota precedente, 137 sgg.; per la lettura ittita del nome del paese di DU-ašša, v. op. cit., 125 nota 218. 86 V. V. Korošec, Akademie znanosti in umetnosti v Ljubljani (1943) 96 nota 5, il quale però preferisce leggere qui D[? ?] URUA-r[i-i]n-na(?); sulla divinità di Arušna v. F. Imparati, SMEA 18 (1977) 26 nota 29a, e A. Ünal, THeth 6 (1978) 45 sg.

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Ugarit, sono menzionati come garanti dell’atto (Vo 16’-21’) i mille dèi, Adad del cielo, il Sole del cielo, Adad di ÷atti, il Sole di Arinna, ÷epat di Kizzuwatna,87 Ištar di Alalaø, Ningal di Nubanni (r. 20’), Adad del monte ÷azi. Le stesse divinità compaiono anche in RS 17.1 237 Vo 9’-15’ (PRU IV, 63 sgg.),88 un editto emanato da Muršili II per riconfermare a vantaggio di Niqmepa di Ugarit l’accordo precedente. In RS 17.146 (PRU IV, 154 sgg.), un testo probabilmente dell’epoca di Ammistamru II di Ugarit (v. PRU IV, 152), quindi corrispondente a ÷attušili III-Tutøaliya IV, contenente un accordo stipulato da IniTeššup, re di Karkemiš, compaiono a garanzia dell’atto con la designazione di “signori del giuramento” (Vo 48-53) Adad del cielo, il Sole del cielo, Kubaba la signora, signora di Karkemiš, Ningal, signora di Nubanni (r. 51), Ningal, signora di Gur’ati (r. 52). In questi accordi internazionali vediamo quindi menzionate specificatamente - oltre alla totalità degli dèi (i mille dèi) cui si fa riferimento nei primi due testi le divinità principali dei paesi contraenti o di paesi ad essi legati in qualche modo; è da notare che Ningal di Gur’ati è presente soltanto nel terzo documento di epoca più tarda, nel quale è manifesta la posizione di rilievo assunta da Karkemiš.89 È possibile che Adad del cielo e il Sole del cielo si riferissero propriamente ad Ugarit (cfr. anche Ug. V, 48 sg.) e venissero citati per primi perché i documenti in questione erano diretti all’ambiente ugaritico. Appaiono invece menzionati secondo una concezione diversa, basata più sull’affinità fra certi dèi che sui loro rapporti con determinati paesi, il Sole del cielo, Adad(!) di Arinna, Adad del cielo, Adad di ÷atti, in RS 17.227 Vo 49 sgg. e nei suoi duplicati (PRU IV, 40 sgg.: accordo fra Šuppiluliuma I e Niqmadu). Come dunque abbiamo detto, Ningal si trova nei testi sopra indicati non in quanto divinità legata in modo particolare ai giuramenti, ma come dea protettrice di determinati paesi (v. nota 89), infatti in RS 17.146 r. 53 87 Per la presenza qui e nel documento seguente della dea solare di Arinna accanto a ÷epat di Kizzuwatna, v. nota 50. 88 Nella r. 14’ si trova Ningal di Nubanni(?)]. 89 Nubanna/i e Gur’ata/i (presenti anche nei testi di Alalaø IV) facevano allora parte dello stato di Karkemiš: v. M. Liverani, Storia di Ugarit nell’età degli archivi politici, Roma 1962 (= StSem 6), 115 con nota 68, e H. Klengel, Gesch. Syr. I, 253, e III, 82, 88, 106 nota 41, 107 nota 58.

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l’espressione “signori del giuramento” si riferisce a tutte le divinità menzionate precedentemente. Invece proprio con la funzione specifica di garanti del giuramento compaiono Sin e Išøara in un verdetto di Tutøaliya IV, RS 18.06 + 17.365 Ro 9’ - cfr. anche il frammento parallelo RS 17.459 Vo 4’ - PRU IV, l37-139.90 Ningal è presente anche altrove nella documentazione ugaritica: in una lista di offerte a divinità essa è menzionata vicino a Yariø, dio della Luna dei Semiti occidentali.91 Interessante a tal proposito è la tavoletta RS 5.194,92 dove si narra la celebrazione delle nozze di Nikkal con Yariø, dalla unione dei quali sta per essere generato un figlio, il cui nome rimane sconosciuto e per la cui nascita, probabilmente, si invocano le divinità Ktrt, verosimilmente protettrici delle nascite.93 Questo testo ha dato origine a numerose discussioni, tra le quali ricordiamo la controversia a proposito dell’interpretazione della forma nklwib(d) (nk!(-)w-’ib) nelle rr. 1 e 37, sorta perché nelle rr. 17 sg. ‘ib sembra trovarsi al posto di nkl in un Si potrebbe pure presumere che l’espressione “signori del giuramento” che segue qui i nomi di questi due dèi comprendesse anche le divinità menzionate precedentemente, come abbiamo sopra affermato per RS 17.146 (che inoltre presenta una formulazione diversa), tuttavia, per quanto riguarda RS 18.06 + 17.365, la presenza l’uno accanto all’altra di Sin e Išøara - che in àmbito hurrita o in panthea di paesi che hanno ricevuto un’influenza hurrita compaiono insieme proprio in conseguenza di tale funzione (cfr. nota 2 ed anche note 83 e 84) - e l’assenza di qualsiasi riferimento a qualche paese che ne giustifichi in altro modo la menzione in questo testo, inducono a ritenere che proprio a questi due dèi si legasse l’espressione suddetta. Sembra anche plausibile pensare che Išøara si trovasse accompagnata da una qualifica che la legava al giuramento in RS 19.101 Vo 6’ (v. PRU, 287 sg., dove J. Nougayrol propone di legare questo testo a RS 17.04, su cui v. sopra nota 84), nonostante la lacunosità del contesto in cui essa compare. 91 UT 3 r. 26, da completarsi con il parallelo 173 r. 28; v. A. Herdner, Syria 33 (1956) 104-112, e CTA 35, 118 sgg., e 136 sgg. 92 CTA 24, 101 sgg., UT 77: per i numerosi studi relativi a questo documento, proveniente dagli scavi del 1933, scritto in lingua ugaritica e in grafia cuneiforme alfabetica, v. la bibliografia in CTA, loc. cit.; apud W. Herrmann, Yariø und Nikkal und der Preis der Kutarât-Göttinen, Berlin 1968, IX sg.; in Textes Ougaritiques I - Mythes et Légendes, a cura di A. Caquot, M. Sznycer e A. Herdner, Paris 1974, 389. 93 I. Engnell, Studies in Divine Kingship in the Ancient Near East, Uppsala 1943, 132-134, considera questo testo come una introduzione alla ierogamia: v. su ciò W. Herrmann, op. cit., 45 nota 87; in questa pagina si discute anche l’ipotesi un tempo avanzata da E. Meyer (ivi cit. a nota 89) che Ningal fosse penetrata in Siria sulla strada della magia. 90

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parallelismo poetico, e inoltre per il confronto con il nome divino ‘ibnkl (‘ib(-)nkl) che compare in un testo religioso in lingua hurrica sempre proveniente da Ras Shamra.94 Si è così postulata anche un’origine hurrica del termine ‘ib ed una trasmissione del mito suddetto da parte dei Hurriti.95 È stata ricordata come confronto anche l’espressione (D)Umbu D Nikkal spesso presente nei testi di Boˆazköy,96 ed è stata inoltre proposta una comparazione col nome di persona bn nkl, di cui parleremo più avanti. In alcune liste di nomi divini - rinvenute in periodi e luoghi diversi durante gli scavi di Schaeffer - più o meno frammentarie tranne una, RS 20.121, riconosciute tutte di uno stesso tipo97 e raccolte dal Nougayrol (loc. cit.) nella lista An, la dea Ningal è menzionata (An r. 13) subito dopo il dio Luna designato come Nanna, Suen, En.sin (An rr. 10-12), su cui v. J. Nougayrol, op. cit., 224, e cfr. anche p. 50. Dopo una lunga serie di divinità in An r. 167 compare la dea Išøara. È interessante rilevare che questa lista appare ispirata ad una tradizione mesopotamica e si presenta disposta secondo un ordine tipicamente babilonese (v. J. Nougayrol, op. cit., 42 e 210 sgg.). Appare invece composta diversamente la lista in RS 20.24, designata dal Nougayrol, op. cit., 42 sgg., col sottotitolo di “Pantheon di Ugarit”, in cui appunto le divinità mesopotamiche sono elencate secondo una gerarchia conforme alla religione ugaritica.98 Vi si nota l’assenza della dea UT 4 rr. 47, 48; CTA 166, 255 sgg.; v. la bibliografia qui cit.; v. inoltre in particolare lo studio di C.-G. von Brandenstein, ZDMG 91 (1937) 555 sgg. La proposta di dividere il nome divino ‘ibnkl in ‘ib-nkl e di riconoscervi il nome della dea Nikkal fu avanzata da H.L. Ginsberg (Or 8 [1939] 317-327, e 9 [1940] 228 sg.) e contestata da A. Goetze (Or 9 [1940] 223-228, e JBL 60 [1941] 353-374); comunque oggi è per lo più accettata l’ipotesi di suddividere questo nome divino ed anche la forma nklwib(d), e di riconoscervi la presenza del nome di Nikkal: per tutta questa controversia v. W. Herrmann, op. cit., 2 sg.; v. anche E. Laroche, Ug. V, 518 nota 2, e 534 e 537. 95 V. in W. Herrmann, loc. cit. 96 V. la discussione presso C.-G. von Brandenstein, op. cit., 565 sg., e H.L. Ginsberg, Or 8 (1939) 322 sg. con nota 4, e 9 (1940) 228 sg. 97 V. per ultimo J. Nougayrol, Ug. V, 211-230, e la bibliografia precedente a p. 211 sg. 98 Osserva il Nougayrol (op. cit., 43 e 44 con nota 1) che questo testo costituisce piuttosto un documento della religione pratica che un testo “teologico”; le divinità vi compaiono disposte in due file guidate l’una dal dio supremo del luogo e l’altra dalla sua paredra, mentre vi si trovano alla fine oggetti cultuali divinizzati o divinità minori; il Nougayrol avanza l’ipotesi che si trattasse di un “ordine di sfilata” - reale o figurato - di immagini e simboli divini. 94

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Ningal, mentre vi è menzionato il dio Sin (r. 13), tuttavia il Nougayrol (op. cit., 61) - considerando questo testo come un “ordine di sfilata” (v. nota 98) - non esclude che nel corteo di statue e di simboli il dio Luna fosse accompagnato da Ningal.99 Questa dea non si trova neppure in altri testi mitologici o liturgici (Ug. V, Cap. III), dove sono elencate divinità di Ugarit, fra le quali il dio Luna. Essa è invece menzionata spesso nei documenti hurrici di Ugarit, e soprattutto in quelli in cuneiforme alfabetico. Nella tavoletta in cuneiforme sillabico RS 15.30 + 49 + 17.387 Ro-Vo 3b, 4a si legge nika-la, in cui il Laroche riconosce il nome della dea Nikkal.100 Fra i testi in cuneiforme alfabetico sempre in lingua hurrica, pubblicati dal Laroche in Ug. V, 497 sgg., Nikkal (nkl) compare in RS 24.261 r. 22 (op. cit., 499 sgg.) dopo Išøara, Allani e prima di Ninatta e Kulitta (quindi nella posizione che questa dea ha di solito nei kaluti kizzuwatnei), e in RS 24.295 r. 12 (op. cit., 508 sg.) dopo Ninatta, Kulitta e Daqit (e prima di una lacuna, cui segue la menzione di oggetti divini), in una lista di divinità femminili introdotta da ÷epat, posta dopo una lista di divinità maschili, dove tra Kumarbi ed Ea compare il dio lunare Kušuø. Nikkal si trova inoltre in un elenco di divinità maschili in RS 24.254 r. 8 (op. cit., 507 sg.) - dove però è presente anche la dea ‘Anat (r. 7) - e compare ancora dopo divinità maschili e prima di una lacuna in RS 24.255 r. 6 (op. cit., 509), dove nella r. 5, ma non accanto a Nikkal, è presente Kušuø, il quale si trova di nuovo nella r. 10 fra Kumarbi ed Ea, in una lista di divinità maschili, che ne precede una di divinità femminili, dove non sappiamo, per la presenza di lacune nel testo, se comparisse ancora Nikkal (cfr. quanto abbiamo osservato precedentemente a proposito della menzione di questa dea fra divinità maschili in KBo XXIII 67 III 16, e forse in KUB XXXII 52 Vo? III 5’). In CTA 166 - un testo dove si trovano numerose divinità maschili e femminili di varia origine, per le quali sfugge il criterio che ne ha regolato la disposizione, sostanzialmente diversa da quella dei kaluti anatolici -

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Sulla dea Išøara, presente nella r. 23, v. J. Nougayrol, op. cit., 56. PRU III, 334, e Ug. V, 463 sg. e 487.

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nelle rr. 47, 48 compare il nome divino ‘ibnkl, in cui molto verosimilmente è contenuto il nome di Nikkal (v. nota 94).101 La dea Ningal/Nikkal è presente anche nell’onomastica ittita in epoche diverse.102 Infatti, oltre che nei nomi più famosi delle due regine del Medio Regno, Nikalmati (E. Laroche, NH Nr. 875) e Ašmunikal (NH Nr. 174), si ritrova nel nome di un’altra regina, Malnigal (NH Nr. 730), sulla cui identificazione sono state formulate diverse ipotesi.103 Esiste anche il nome di una principessa ittita, Eøli-nikkal (NH Nr. 227), noto dalla documentazione di Ugarit, di cui parleremo più avanti. Questa dea è menzionata inoltre nel nome di un’autrice di un rituale contenente uno scongiuro contro i nemici del re (KUB VII 61 [CTH 417] I 1),104 NIN.GAL-uzzi (NH Nr. 876), sposa di Kaššu, personaggio dell’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV, e nel nome di genere maschile Ašnunigalli (NH Nr. 175), un autore di un rituale per ÷epat riguardante la restaurazione di un tempio, KUB IX 2 (CTH 702) I 1. Per quanto riguarda l’àmbito nord-siriano, nei testi di Ugarit sono presenti antroponimi composti col nome di questa dea.105 Sono

Il Laroche, op. cit., 518 sgg., oltre ai documenti su menzionati e ad altri da lui esaminati insieme, si basa anche su CTA 166 per tracciare un quadro del pantheon hurrico di Ugarit, e a tale scopo ricorre pure ad un confronto continuo col pantheon semitico di questa città (come risulta da RS 20.24) e col pantheon hurrico dell’Anatolia. Egli, op. cit., 526 sg., illustra il processo di ampliamento e di sistemazione del pantheon originario dei Hurriti nelle varie zone della loro diffusione dallo Zagros al Mediterraneo, in conseguenza del loro incontro con grandi centri di culto organizzati. Per quanto riguarda le zone della loro espansione nord-occidentale, egli vi riconosce un pantheon hurrico composito, ma con molti elementi comuni, per la formazione del quale egli individua uno sviluppo abbozzato in Siria e culminante in Kizzuwatna, sotto l’influenza di un sostrato religioso ittita. 102 V. E. Laroche, NH, 349, e inoltre, per gli elementi che si presentano legati a Ningal/Nikkal nell’onomastica ittita, v. le liste di suffissi e di radicali propri della antroponimia ittita a pp. 333 e 351 sg. 103 Su queste regine v. per ultima S.R. Bin-Nun, Tawannanna, pagg. citt. nell’ Indice, 351, 356, 357; a p. 170 la Bin-Nun propone di riconoscere in Malnigal la sposa di Urøi-Teššup, divenuta regina dopo la deposizione di Danuøepa. 104 V. anche P. Meriggi, WZKM 58 (1962) 102. L’autrice di questo rituale vi è designata col titolo di urriya[nni, attestato finora soltanto al maschile. 105 V. D.F. Kinlaw, A study of the personal names in the akkadian texts from Ugarit, Michigan 1967, 109 e 309 sg., e F. Gröndahl, Die Personennamen der Texte aus Ugarit, Roma 1967, 79, 166, 213 e 242. 101

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attestati il nome maschile Abdinikal (‘bdnkl),106 in documenti di epoche diverse (Šuppiluliuma I, ÷attušili III-Tutøaliya IV, Arnuwanda III-Šuppiluliuma II) e riferito a persone presumibilmente appartenenti a ceti sociali diversi (un muškenu di un istruttore, o testimoni in atti giuridici anche internazionali);107 il nome femminile Eøli-nikkalu,108 portato dalla figlia di un re ittita, sposa di Tanøuwatašša re di ÷abišše, figlio di ‘Ammurapi(?) re di Ugarit (epoca, quindi, di Šuppiluliuma II);109 il nome femminile Anani-NIN.GAL110 (RS 19.80 r. 3, PRU VI, 2 sgg.), portato dall’autrice di una lettera indirizzata ad un’altra donna: pur non conoscendo l’identità di nessuna delle due corrispondenti, si presume che fossero di rango elevato (v. PRU VI, 1). Incerta perché in contesto danneggiato è la lettura del nome maschile Abinikal, menzionato in RS 17.358 r. 10’[ (PRU VI, 40) fra alcuni testimoni in un atto giuridico (epoca di Ammistamru II, PRU VI, 40 nota 2), e in RS 17.242 r. ¦9© (PRU VI, 80) in una lista di persone senza alcuna specificazione. La dea Nikkal è presente anche nel nome bn nkl, per il quale sono state proposte diverse interpretazioni;111 v. inoltre il nome di bn nklb.112 Su questo nome e sull’elemento ‘abdu, ‘bd (nei nomi cuneiformi scritto di solito ideograficamente ARAD) “schiavo, servo”, v. D.F. Kinlaw, op. cit., 11 e 240, 253, e F. Gröndhal, op. cit., 317, 375 e 67, 104. 107 RS 16.140 rr. 5, 12, 14 (PRU III, 45 sg.), epoca di Niqmadu II/Šuppiluliuma I; 16.257 + 16.258 + 16.126 III ]36 (PRU III, 202, v. anche 199), epoca di Ammištamru II/÷attušili III-Tutøaliya IV; 17.149 r. 31 (Ug. V, 9 sg., v. anche 1), epoca di Ammistamru II/÷attušili III-Tutøaliya IV; 18.02 Ro 9 (PRU IV, 201), epoca di Niqmadu III/Arnuwanda III-Šuppiluliuma II; 16.354 r. 12 (PRU III, 38); ‘bdnkl: C.H. Gordon, UM 11 321 II 43. 108 Sull’elemento ritenuto hurrico a/eøl (ideogr. KAR) “salvatore, liberatore”, v. D.F. Kinlaw, op. cit., 142, 146, 152 sg., 166; F. Gröndahl, op. cit., 210, 214; E. Laroche, Ug. V, 456 sg. 109 RS 17.226 Ro ]3, 6 (PRU IV, 208), 17.355 Ro 2[, 13, 15[, 19 (PRU IV, 209 sg.). V. inoltre D.F. Kinlaw, op. cit., 50, e F. Gröndahl, op. cit., 324. 110 V. F. Gröndahl, op. cit., 321. Sull’elemento anan(i) - forse di origine hurrica per la sua frequente composizione con elementi hurrici - attestato varie volte ad Ugarit e ad Alalaø (AT, 127 sg.), presente anche a Boˆazköy (NH Nr. 64 e p. 294) e non documentato a Nuzi, v. F. Gröndahl, op. cit., 217 sg., e F. Kinlaw, op. cit., 156. 111 V. F. Thureau-Dangin, RA 37 (1940) 110 con nota 9; C.H. Gordon, UM II 321 I 40, ed anche UM III Nr. 1242; v. inoltre F. Gröndahl, op. cit., 402 e 166. 112 V. UM II 301 Vo IV 20, RS 13.12 Vo 16 (PRU II, 95), e cfr. UM III Nr. 1243; v. inoltre F. Gröndahl, op. cit., pp. indicate a p. 402. 106

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Esiste pure un nome maschile Niqala, attestato in RS 16.257 III 42 (PRU III, 202), considerato però come “un nome di calendario” che allude all’epoca della nascita;113 allo stesso modo viene inteso il nome bn nqly114 (cfr. più avanti per Alalaø). Il nome della dea Nikkal compare anche nell’onomastica di Alalaø già nei secoli XVIII-XVII a.C., poiché è presente nel nome femminile Nikkul-mati, menzionato in una lista di donne nella tavoletta del VII livello AT 178 r. 23.115 Nella tavoletta del IV livello AT 298, 90, contenente una lista di cento donne, in I 15 si trova il nome femminile Niqalu, in cui alcuni studiosi hanno riconosciuto il nome della dea Nikkal,116 e nella tavoletta sempre del IV livello AT 174, 70, in una lista di censo, alla r. 10 compare il nome personale Niqala - senza il determinativo del sesso - ritenuto però da altri studiosi come un “nome di calendario” (cfr. sopra per Ugarit, e nota 112). Si deve invece notare che la dea Ningal/Nikkal non compare fra le divinità venerate ad Alalalaø: v. AT, 16 sg. Concludendo, l’esistenza di un culto di questa dea ad Ugarit (dove era presente anche il ricordo della tradizione mesopotamica che legava il dio Luna a Ningal)117 e in Kizzuwatna (secondo quanto si può dedurre dalla documentazione ittita), l’attestazione del suo nome nell’onomastica di Alalaø già fin dal VII livello,118 e inoltre la sua assenza nella

V. D.F. Kinlaw, op. cit., 87, e F. Gröndahl, op. cit., 30 con nota 83, 168, e 345. V. UM II 400 VI 25, RS 19.174 r. 8[ (PRU V, 34); v. F. Gröndahl, op. cit., 403, e UM III Nrr. 1281 e 1282. 115 V. AT, 71, 121, 143; v. anche 9, dove si rileva la forte presenza di una componente hurrica nella popolazione di Alalaø già nel XVIII sec. a.C. 116 V. A. Goetze, JCS 13 (1959) 100, ed anche E. Laroche, RHA 27 (1969) 95. Questa tavoletta è stata pubblicata in traslitterazione da D.J. Wiseman, JCS 13 (1959) 53 sg. 117 V. la lista di offerte a divinità cit. in nota 91; la lista An di nomi divini cit. in nota 97; l’inno in cui si celebrano le nozze di Ningal con Yariø cit. in nota 92. Sul fatto che questa dea non compaia nel pantheon ufficiale di Ugarit, v. l’opinione di J. Nougayrol, sopra ricordata a proposito di RS 20.24. Può essere inoltre di qualche interesse osservare che in RS 17.376 + 377 r. 19 sg. (PRU VI, 25 sg. Nr. 23) si parla di un tempio di DN[in (r. 20): per questa ipotesi di lettura cfr. op. cit., 26 nota 1. 118 Nell’onomastica ugaritica, come abbiamo visto, questa dea è attestata dall’epoca di Šuppiluliuma I in poi. Essa non sembra invece presente nella documentazione di Ebla. 113

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documentazione cappadocica,119 convalida l’ipotesi che gli Ittiti ne avessero ricevuto il culto tramite i Hurriti, i quali lo avevano diffuso nel corso della loro espansione occidentale.120 Secondo la documentazione ittita fin qui presa in esame, la presenza di Ningal in coppia con Sin già all’epoca del Medio Regno, per lo più nell’ àmbito di elementi culturali di matrice babilonese, risulta anteriore a quel contatto più intenso degli Ittiti col mondo mesopotamico verificatosi all’epoca di Šuppiluliuma I, mediante rapporti diretti per l’influenza della regina di origine babilonese Tawannanna, e indiretti per l’intensificarsi delle relazioni ittite con l’area nord-siriana. Inoltre, la testimonianza nel culto di Ningal di influenze hurriche propriamente legate all’àmbito kizzuwatneo già nel Medio Regno (v. infatti il rituale celebrato per lei: KUB XLV 47 e duplicato), e che permangono nei periodi successivi, giustifica, a mio avviso, la possibilità che fossero stati i Hurriti di Kizzuwatna a introdurre il culto di questa dea presso gli Ittiti.121 Tale ipotesi mi sembra trovare un sostegno anche nell’identificazione, a cui già abbiamo accennato, del Kantuzzili principe del Medio Regno, autore della famosa preghiera nella quale si riscontrano influenze babilonesi e sacerdote proprio in Kizzuwatna, col LÚSANGA figlio del re che opera nella cerimonia cultuale suddetta (v. a proposito di KUB XLV 47, e nota 26). E come attestazione in epoca più tarda del culto di Ningal in coppia con Sin in àmbito kizzuwatneo - probabile mantenimento di una tradizione più antica - ricordiamo, insieme all’invocazione a questi V. H. Hirsch, Untersuch. zur altassyr. Religion, Berlin-Graz-Horn 1972 (= AfO Beih. 13/14), dove si tiene conto anche del lavoro di F.J. Stephens, PNC. Non parleremo - poiché ciò esula dall’argomento di questa trattazione - delle attestazioni del nome di questa dea nell’onomastica antico-babilonese (v. H. Ranke, EBPN, 76, 183, 196, 204), in quella del periodo cassita (v. A.T. Clay, PNCP, 113), e nell’onomastica assira (v. K.L. Tallqvist, APN, 173 e 258 sg.). 120 Il nome di questa dea non sembra attestato a Nuzi: v. E.A. Speiser, AASOR 16 (1936) 97-101; I.J. Gelb, P.M. Purves, A.A. Mac Rae, NPN; E. Cassin-J.J. Glasmer, AAN. Sulla possibilità di considerare la seconda parte del nome femminile ÷ašipDningal come “a defective ideographic writing” di bêlt-êkalli; v. NPN, 239, ed anche 57 sg. e 244; cfr. inoltre AAN, 54. Sulla presenza dell’elemento ump nell’onomastica di Nuzi, v. NPN, 271 sg.; cfr. anche AAN, 156. La presenza di questa dea non si riscontra neppure a Mari: v. G. Dossin, Studia Mariana 1 (1950) (= DMOA 4), 41 sgg.; C.F. Jean, Studia Mariana 1, 63 sgg.; ARM XV, 140 sgg. 121 V. in proposito le conclusioni del mio articolo cit. in nota 24, con note 46-48. 119

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due dèi nel cosiddetto “voto di Puduøepa”, anche la presenza di Ningal (D[N]ikalu, con il vocalismo hurrico) nel corteo di divinità femminili di Yaz½l½kaya, verosimilmente come paredra del dio Luna che si trova nel corteo di divinità maschili.122 Mi pare quindi probabile che i Hurriti di Kizzuwatna avessero fatto da tramite fra la zona nord-siriana e il paese di ÷atti nell’introdurre qui il culto di questa divinità. È del resto nota l’esistenza di rapporti fra Kizzuwatna e la Siria settentrionale già agli inizi del XV sec. a.C. (v. il trattato fra Idrimi di Alalaø e Pilliya di Kizzuwatna),123 e ad un’epoca ancora più antica risalgono le testimonianze di relazioni fra Kizzuwatna e ÷atti.124

122 V. E. Laroche, RHA 27 (1969) 95 Nr. 54, e 73 Nr. 35, e 106; V. Haas-M. Wäfler, OA 13 (1974) 220 sg. 123 Da notare in questo trattato l’invocazione finale agli dèi Iškur, Utu, Išøara e a tutti gli dèi di distruggere chiunque trasgredirà le parole di questo documento. 124 V. in primo luogo i trattati stipulati fra gli Ittiti e Kizzuwatna: CTH 21, 25, 26; cfr. anche la comunicazione tenuta da Ph.H.J. Houwink ten Cate a Parigi nel Luglio 1977, in occasione della XXIV R.A.I.

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XI.

ASPECTS DE L’ORGANISATION DE L’ÉTAT HITTITE DANS LES DOCUMENTS JURIDIQUES ET ADMINISTRATIFS*

Dans le cadre du débat qui est toujours en cours sur la définition des structures, pas seulement politiques, mais aussi sociales et économiques, des états du Proche-Orient ancien, les spécialistes qui désirent fournir un tableau de l’organisation du royaume hittite se sont principalement basés sur un groupe d’articles du recueil de Lois. Ces articles règlent le régime de certains types de terres ou parlent d’obligations de quelques catégories d’individus par rapport à l’État et de plusieurs cas d’exemption. D’autres documents ont également été pris en considération: ce sont surtout textes à caractère, comme des actes de donation de terres, des concessions d’immunité, des instructions à de précises catégories d’individus et des passages tirés de textes différents, par exemple des édits promulgués par des souverains dans des circonstances particulières. Tous ces documents peuvent compléter et permettre quelquefois de mieux comprendre le contenu des articles des Lois. Comme on le sait, le recueil des Lois hittites - conformément, du reste, aux différents textes de Lois de l’antiquité - fournit des normes relatives à des faits et à des controverses particulières et rassemble des jugements prononcés par la cour de justice du roi.1 En outre, les quelques paragraphes pouvant offrir une indication quelconque sur la structure économique et sociale du royaume hittite touchent au domaine du droit public. En effet, la documentation hittite relative à des problèmes relevant de la sphère du droit privé est extrêmement rare. Cela est dû probablement à ce que, dans ce domaine, on suivait des règles coutumières, même s’il est permis de supposer qu’une monarchie Texte d’une conférence tenue le 29 février 1980 auprès de l’Institut d’Histoire des Droits Privés de l’Antiquité de l’Université de Droit, d’Économie et de Sciences Sociales de Paris, sur l’invitation du Prof. G. Cardascia, auquel je désire exprimer mes plus vifs remerciements. 1 V. F. Imparati, Leggi, 3 sq. et notes correspondantes. *

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centralisée comme celle des Hittites ait exercé une forme d’ingérence ou de contrôle sur ce secteur aussi. On a surtout examiné les types d’articles suivants: 1) ceux qui traitent de cas d’attribution de terres par le Palais ou par des communautés locales à des catégories d’individus en échange de l’accomplissement de certaines obligations; 2) ceux où l’on parle de terres ou attribuées à quelqu’un en dotation, ou reçues en don du roi, ou acquises. En ce qui concerne les terres attribuées par le Palais, on prévoit le cas où l’assignataire est un homme de l’ILKU, tenu à fournir en échange la prestation du šaøøan (§§ 40-41). Sur la base de l’interprétation la plus fréquente du terme ILKU comme “fief”, surtout d’après la documentation akkadienne, l’homme de l’ILKU hittite, lui aussi, a été interprété généralement comme l’ “homme du fief”. Dans la documentation hittite, l’homme de l’ILKU n’apparaît que très rarement: 1) dans les Lois, §§ 40-41 et leurs parallèles §§ XXXXXXI, et § 55; 2) dans un décret promulgué par Tutøaliya IV, relatif à l’attribution d’une partie du patrimoine d’un personnage de haut rang, nommé Šaøurunuwa - ainsi que des charges et des privilèges liés à ce patrimoine - à ses petits-enfants, fils d’une fille (KUB XXVI 43 Vo 14).2 De tous ces documents on peut voir que l’homme de l’ILKU dépend directement du Palais. Comme nous l’avons déjà dit, les §§ 40 et 41 des Lois nous apprennent qu’on lui attribuait des terres du Palais en échange de la prestation du šaøøan. Ces terres ne pouvaient être vendues; en cas de refus de la part des assignataires de préter le šaøøan, elles retournaient au Palais (v. § 41 l. 46 sq.). Cela semble également confirmé par le § 39 l. 36, où l’on parle de champs sujets au šaøøan, sans que, toutefois, l’homme de l’ILKU soit nommé. On peut présumer que la détention de ces champs n’était pas transmissible héréditairement, même si les documents qui nous sont parvenus ne nous renseignent pas directement à ce sujet. En effet, il semble plausible que, dans tous ces cas, les terres constituaient pour ces employés du Palais une forme de rétribution dont nous ne connaissons pas l’entité exacte, puisque nous ne savons pas la superficie des terres attribuées. 2

CTH 225: v. Šaøur. (1974) 34 sq., III sq.

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Dans le § 55, on lit que ces hommes de l’ILKU3 se plaignent parce qu’on n’a pas établi de salaire pour eux et qu’ils ne sont pas appréciés, précisément parce qu’ils sont “hommes de l’ILKU”, ce qui montre qu’ils n’appartenaient pas à un rang élevé.4 On établit alors qu’ils seront traités de la même façon que leurs compagnons, c’est-à-dire probablement comme ceux qui avaient des attributions analogues et appartenaient au même rang. Dans le passage ci-dessus du texte relatif à l’attribution des biens de Šaøurunuwa à ses héritiers, on conclut, après avoir spécifié les différentes exemptions qui leur sont concédées, que l’homme de l’ELKU ne doit pas s’approcher du patrimoine en question (v. p. 225), probablement pour demander l’exécution de taches dont on a concédé l’exemption. En effet, avant, on a parlé aussi de l’exemption des obligations ELKU. Il s’agirait donc ici, semble-t-il, d’une personne chargée par le pouvoir central, parmi d’autres choses, de faire respecter certaines obligations.5 Comme nous l’avons déjà dit, les documents hittites publiés jusqu’à présent ne fournissent pas d’autres témoignages de l’homme de l’ILKU/ELKU. Au contraire, on parle de l’ELKU comme désignation d’une obligation, non pas dans le recueil de Lois, mais dans deux documents où le souverain hittite exempte de différentes charges une institution cultuelle et le patrimoine d’un haut dignitaire. Il s’agit en l’occurrence d’un acte stipulé par ÷attušili III en faveur du pic rocheux de Pirwa6 et du document déjà cité dont bénéficient les héritiers de Šaøurunuwa.7 Dans ces deux textes, outre la dispense des obligations 3 Ici, ils sont appelés aussi “fils de ÷atti”; toutefois, on ne peut pas, naturellement, penser qu’ainsi on ait voulu indiquer tous les habitants de ÷atti: il s’agissait, peut-être, de ceux qui exerçaient des fonctions en milieu palatin, dans la capitale; cfr. les “fils du Palais”. 4 Contrairement à ce que moi aussi, comme d’autres, j’avais pensé. 5 Sur la proposition de V. Korošec d’interpréter ici “der Lehesmann vom Tore”, v. Šaøur., III sq. et en outre 55 sq. V. aussi l’interprétation de G. Kestemont, OA 17 (1978) 19 avec note 15 (sur ma lecture et intégration de KUB XXVI 43 Vo 13 sq., v. Šaøur., 34 sq. et 109 sq.; pour une interprétation probable de KUB XXVI 58 Ro 8, v. A. Goetze, NBr., 55 note 1, et pour l’obligation éventuelle de fournir des troupes auxiliaires, cfr. KBo VI 29 III 25, NBr., 50 sq.). 6 KBo VI 28 (CTH 88) Vo 24: v. SMEA 18 (1977) 39 sqq. 7 KUB XXVI 43 Vo 12, et peut-être aussi [13] et Ro [19]: v. Šaøur., 54 sq. et 110. On pourrait présumer, par analogie, que l’ELKU était sous-entendu aussi dans KUB XXVI 58 (CTH 224: v. A. Goetze, NBr., 54 sq., et Šaøur., 106 sqq. et 152 sq.) Ro 9, un

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désignées comme šaøøan, luzzi et d’autres, on parle de l’exemption de l’ELKU, dû à deux hauts dignitaires représentant le pouvoir central et à la plus importante autorité locale (v. p. 227 sqq.). Le contexte de ces documents ne permet pas de voir clairement en quoi consistait cette dernière obligation et - en postulant la présence du terme ELKU également dans la lacune en KUB XXVI 43 Vo 13,8 à la fin du paragraphe - s’il pouvait s’agir d’une désignation assez large comprenant les différentes charges énumérées avant. Cela semble probable pour le passage précédemment cité, KBo VI 28 Vo 22-27, où l’obligation ELKU due à ces mêmes dignitaires représentant le pouvoir central et les communautés locales pourrait résumer les obligations précédentes, tandis qu’ensuite on parlerait des obligations militaires qui ne concernent que le pouvoir central.9 Si nous examinons de nouveau le texte des Lois, nous voyons que dans les paragraphes déjà indiqués 40 et 41, on considère la possibilité qu’un homme de l’ILKU et un homme de l’instrument,10 LÚ GIŠTUKUL, soient associés pour cultiver les terres attribuées par le Palais ou par les communautés locales en échange de l’exécution de certaines obligations. Dans le cas de la disparition de l’un des deux associés - disparition due, à mon avis, comme je l’ai expliqué ailleurs, à la mort de celui-ci11 acte rédigé par ÷attušili III en faveur d’un personnage nommé GAL-DIM. Dans ces trois documents, ainsi que dans KBo VI 29 (CTH 85: v. A. Goetze, loc. cit., et Šaøur., 106 sqq. et 155 sqq.), un autre décret, toujours de ÷attušili III, en faveur du patrimoine d’Ištar de Šamuøa, on remarque une forte analogie dans le formulaire de l’exemption (v. Šaøur., 21 sq. et 169 avec note 81), même si, comme je l’ai expliqué ailleurs (Šaøur., 148-170), je ne pense pas que ces actes, et d’autres aussi où l’on concède des exemptions, doivent être considérés comme un genre spécifique de documents. À ce point, il me semble utile d’observer que KUB XXVI 43 a été rédigé par Tutøaliya IV, mais en accord avec ce qui avait été décrété précédemment par Muwatalli et confirmé ensuite par ÷attušili III, auquel est dû l’actuel formulaire de l’exemption: v. également plus loin p. 227. 8 V. à ce sujet Šaøur., 110. 9 V. SMEA 18 (1977) 40 sqq. 10 Sur la base des motivations de F. Sommer, HAB, 120-134, cette interprétation de l’expression LÚ GIŠKU/TUKUL me semble plus convaincante que celle de “homme d’armes/soldat”. 11 Le verbe interprété dans ce contexte comme “disparaître” est øark-, qui signifie littéralement “être perdu, détruit, périr, abandonner”. Les spécialistes ont exprimé des avis différents sur le motif de la disparition de l’un des deux associés. Selon moi, il est plausible d’interpréter ici le verbe øark- comme “mourir”, en comparaison avec le §

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l’autre associé peut obtenir la part de terre de l’associé disparu, en s’engageant toutefois à assumer aussi les charges qu’une telle assignation comporte. L’engagement pris et la successive attribution de la terre doivent naturellement avoir un caractère légal, c’est pourquoi le nouvel assignataire des champs de l’associé disparu doit déclarer (littéralement: “dire”) qu’il reconnaît les deux types d’obligations qu’il assume, en récitant une formule préétablie, la même dans les deux cas, quoique l’associé qui est resté appartienne à une catégorie sociale différente de celle de l’associé disparu. En effet, la formule contient les deux obligations. C’est justement cette déclaration qui à un caractère légal, en accord avec l’usage des Hittites de légaliser tout acte en le rendant public. Après quoi, “il (= le nouvel assignataire) se procure sous le sceau” c’est-à-dire qu’on lui attribue légalement - les champs de l’associé disparu. Celui qui est resté a la faculté de refuser l’obligation que l’associé disparu devait (ou qui était liée à la terre attribuée à celui-ci), mais, en conséquence, il perd aussi l’assignation de la terre. Alors, en ce qui concerne les champs tenus par l’homme de l’instrument disparu, ils sont déclarés12 “vacants” ou “incultes”.13 Ils sont alors travaillés par les “hommes de la ville ou du village”, c’est-à-dire probablement par la communauté locale, ou bien ils peuvent être attribués à un “prisonnier civil/déporté” (NAM.RA) donné par le roi, et celui-ci, par conséquent, devient “homme de l’instrument”. En ce qui concerne, au contraire, les terres tenues en usufruit par l’homme de l’ILKU disparu, elles retournent au Palais et le šaøøan cesse. La situation considérée dans le § 40 présente des analogies avec un passage des “instructions pour le seigneur du poste de garde” (KUB XXXVII du texte parallèle, où à la l. 16 se trouve la forme verbale øarakzi, à laquelle s’oppose à la l. 18 le participe TI-anza “(est) vivant” (opposition qui est ici mise en relief par l’enclitique -ma: v. Leggi, 57 § 40 note 2 et 113 § XXXVII note 1). Dans le § 40 l. 40 on utilise le participe du même verbe pour désigner ces champs de l’homme de l’instrument qui sont déclarés “vacants” ou “incultes”: øarkantan, accus. sing. ayant une valeur de collectif; cfr. aussi le § XXXIII l. 54, qu’on considère généralement comme le parallèle du § 39, même s’il ne me semble pas qu’il y ait les éléments pour confirmer cela; v. en outre la note 14. 12 Littéralement “disent” (taranzi), mais, comme nous l’avons dit avant, on entendait ainsi rendre publique cette déclaration; v. E. Neufeld, HL, 161. 13 V. la fin de la note 11 et la note 14.

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XXXI 8 III 60-71) où l’on recommande à ce dignitaire, qui représente le pouvoir central dans les régions frontalières, de s’occuper de l’emploi des déportés dans les travaux agricoles. Quand il s’agit des champs d’un homme de l’instrument disparu,14 on prescrit à ce dignitaire de donner dans ce cas des déportés et de faire attention à ce qu’ils travaillent bien. C’est donc toujours l’économie palatine qui fournit (ici comme dans le § 40 l. 41 sq. on utilise le verbe pâi- “donner”) les déportés à installer dans les champs de l’homme de l’instrument qui, vraisemblablement, appartenait à la communauté locale. Dans un autre paragraphe des Lois, le 112, malheureusement mutilé, on parle probablement de déportés,15 auxquels ont été donnés le champ et le grain d’un homme de l’instrument: ils ont été exonérés du šaøøan pendant trois ans, mais la quatrième année ils doivent commencer à exécuter le šaøøan avec les hommes de l’instrument.16 En réalité, il peut paraître étrange que l’on demande à ces déportés d’exécuter le šaøøan, vu qu’il s’agit de champs de hommes de l’instrument;17 toutefois, il peut être utile de rappeler que les déportés étaient généralement attribués par le pouvoir central: cfr. le § 40 et le passage ci-dessus des “instructions pour le seigneur du poste de garde”. On ne peut pas parler de l’obligation šaøøan sans tenir compte aussi d’une autre obligation qui lui est très souvent unie, même par asyndète le luzzi. Ces deux obligations ne sont pas nommées seulement dans les Lois, mais dans d’autres textes aussi. Pour l’interprétation du terme šaøøan les spécialistes se sont basés surtout sur les §§ 39-41 des Lois, où cette obligation apparaît liée à l’homme de l’ILKU et à la part de propriété terrière du roi qui lui est attribuée. C’est pour ce motif que généralement on a postulé l’équation 14 Ou de champs tombés en friche parce que non cultivés, sur lesquels était installé un homme de l’instrument. Cette interprétation de la forme participiale øarkantaš dans ce passage a été proposée par M. Marazzi dans VO 2 (1979) 82 sqq.; toutefois, dans le but d’éliminer l’hypothèse de tours syntactiques franchement exceptionnels, il se voit contraint à poser des solutions qui ne le sont pas moins. 15 V. Leggi, 124, note au § 112 l. 21. 16 Peut-être, au même titre qu’eux: v. Leggi, 276 sq. et I.M. Diakonoff, MIO 13 (1967) 333 note 60: toutefois, cfr. le § 52 et plus bas la note 19, et la p. 262. 17 Quoi qu’il en soit, le terme šaøøan, en ce qui concerne cet article, n’apparaît que dans un exemplaire, et de plus de façon incomplète, même si, toutefois, la partie qui est restée au début de ce terme rend très probable le complètement ša-a[ø-øa-an].

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ILKU = šaøøan, et donc “homme de l’ILKU = homme du šaøøan”. Avant d’examiner les opinions des spécialistes sur le sens des termes šaøøan et luzzi, et les conclusions qui en dérivent en ce qui concerne la structure sociale et économique de l’état hittite, il me semble utile de donner un coup d’œil aux autres articles des Lois et aux passages des autres documents où ces termes apparaissent. Dans le recueil de Lois on considère certains cas où la prestation de ces charges était demandée et d’autres cas où l’on en concédait l’exemption. Dans les §§ 52 et 56 on parle de certaines catégories de personnes qui étaient tenues à exécuter le luzzi (luzzi karpianzi: il s’agirait donc ici de l’exécution de travaux et non pas du versement de tributs). Dans le § 52 on établit que doivent exécuter le luzzi certaines personnes qui détiennent un champ18 parmi (ištarna) les hommes de l’instrument:19 un serviteur de la Maison de Pierre (= le mausolée, une institution religieuse), un serviteur20 d’un fils du roi21 et un fonctionnaire dont la désignation est obscure et dont nous ne connaissons ni le rang ni les attributions. Il est possible qu’il s’agisse ici d’employés liés au culte de quelque façon, puisque dans les paragraphes précédents 50 et 51 on établit que les “co-participants” et les “membres de la domus” des sacerdotes et d’une catégorie particulière de travailleurs étaient tenus à exécuter le luzzi (et le šaøøan aussi dans le § 51), quand ils travaillaient dans le domaine du culte. 18 Dans D I’ 11’ - exemplaire plus proche, selon A. Kammenhuber, de B que le plus ancien A (v. Leggi, 18) - on trouve ici É[ “maison[”, probablement dans le sens d’ensemble de biens, même fonciers (en admettant que, dans la lacune après É, il n’y ait pas quelque spécification particulière). 19 Dans Leggi, 69 et 241 j’avais interprété la postposition ištarna comme “dans la catégorie de, au même titre que”: cfr. aussi le § 112, où, toutefois, on traite une situation différente: v. p. 218 sq. Mais, étant donné que dans la documentation hittite on parle souvent de différentes catégories de personnes assignées par le pouvoir central au travail de la tette avec les hommes de l’instrument, comme dans le cas des hommes de l’ILKU et des déportés, je pense qu’il vaut mieux traduire ištarna avec “parmi”. 20 Sur l’utilisation fréquente de ARAD/ARADMEŠ pour désigner le personnel lié à des individus de haut rang, par rapport à LÚ/LÚMEŠ pour indiquer le personnel lié à quelque organisme administratif ou religieux, v. ce que j’ai observé dans SMEA 18 (1977) 53 sq. Cette distinction, toutefois, ne se vérifie pas dans ce paragraphe des Lois. 21 On ne désigne pas toujours ainsi un fils direct du souverain: v. Or 44 (1975) 87-95.

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Dans le § 56 on lit que “en ce qui concerne une ville fortifiée (de l’action) de participer à une expédition du roi (et) de couper une vigne aucun des ouvriers métallurgistes (littéralement: travailleurs du cuivre) ne (soit) libre; que les jardiniers justement entièrement le luzzi exécutent”. Il semble qu’on fasse allusion ici à une situation pressante pour laquelle aucune catégorie d’artisans, même spécialisés, ne pouvait se dispenser d’exécuter des prestations auxquelles ils n’étaient généralement pas tenus. En effet, devaient appartenir à des catégories spécialisées et les jardiniers et les métallurgistes (on peut penser à la position socialement plus élevée, dans le monde mycénien, des chalkêwes par rapport aux autres artisans).22 Dans le § 46 et son parallèle § XXXVIII, on parle de champs sujets au šaøøan tenus par quelqu’un en dotation (iwaru).23 Si l’homme a reçu tout le champ, il est obligé de prêter le luzzi; si, au contraire, il n’en a reçu qu’une petite partie, le luzzi doit être exécuté par la maison de son père. Cela porterait à penser que ces champs étaient donnés en dotation, probablement héréditaire, par le père à son fils. Il peut être surprenant que pour des champs sujets au šaøøan on demandait la prestation du luzzi; toutefois, on doit observer que dans l’exemplaire le plus ancien, A II 38, on parle simplement de champs, sans la spécification šaøøan. Cela pourrait faire présumer que, à une époque successive, il y ait eu une confusion, la différence de sens entre les deux termes s’étant atténuée. Mais nous reparlerons encore de ce problème (v. p. 231 sq.). Après, on considère le cas, où le TUKUL-lê - peut-être l’ensemble des hommes de l’instrument, une sorte de corporation - répartit les champs du seigneur de l’iwaru (vraisemblablement celui qui détient la dotation) ou le cas où ces champs sont assignés par la communauté locale. Alors, on doit toujours exécuter le luzzi sans que subsistent les limitations prévues cidessus. On doit observer que, alors que le § 46 dit “si du seigneur de V. Leggi, 72 sq. et 245, et SMEA 18 (1977) 44; pour l’interprétation de eki dans KBo XXII 62 Vo III 24, v. O. Carruba, FsSzemerényi (1979) 197 sq.; différente, au contraire, l’interprétation de ce terme dans CHD L-N, 90, où, évidemment, on considère eki comme dat. loc. sing. de egaš “glace”; pour ce sens de egaš v. H.A. Hoffner jr., JCS 24 (1971) 32 sqq. 23 C’est le même terme qui désigne la dot qu’un père fait à sa fille lors de ses noces: cfr. § 27 et son parallèle (?) § XIX. Il serait trop long de s’arrêter ici sur la valeur que ce terme peut avoir dans le paragraphe examiné; v. ce sujet Leggi, 234 sq., et I.M. Diakonoff, op. cit., 326 sq. 22

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l’iwaru les champs le TUKUL-lê répartit”, le parallèle § XXXVIII l. 25 donne “si du seigneur de l’iwaru l’ensemble des champs (est) vacant/non cultivé (øarkanza: v. note 13)”. Il s’agissait probablement de terres sujettes à de particulières obligations, qui pouvaient être données en héritage. Toutefois, quand cela n’avait pas lieu, ces terres ne pouvaient rester en friche et, alors, la corporation des hommes de l’instrument ou la communauté toute entière pourvoyait à une nouvelle assignation.24 On peut constater la même chose dans le § 47B par rapport au paragraphe parallèle XXXIXB. Dans le § 47A et ses parallèles §§ XXXVI et XXXIXA, on parle de champs concédés en don par le roi: selon le § 47A l. 64, ce don ne comporte pas l’exécution du luzzi et même, selon l’exemplaire le plus ancien de ce paragraphe, A II 43, du šaøøan luzzi (v. à ce sujet p. 231 sq.). Dans les deux textes parallèles il est écrit que celui qui reçoit le don du roi n’est pas tenu a prêter le luzzi s’il en a été exonéré par le toi ou par le Palais.25 Du reste, les actes de donation de terres par le roi qui nous sont parvenus ne contiennent pas la requête de prestation et l’on n’y parle pas non plus d’exonération de charges, à moins que l’on ne veuille y voir une référence dans la mention, dans certains de ces actes, de la pierre øuwaši.26 Dans le § 47B on établit que, si quelqu’un achète les champs d’un 24 M. Marazzi, op. cit., 83 note 16, à propos de ce passage et de son analogue dans le § 47B, pense que le kulê servait comme institution pour l’assignation de parcelles qui n’étaient pas travaillées et donc tombées en friche, en accord avec I.M. Diakonoff, op. cit., 322 sq.; ce dernier souligne, toutefois, que la terre en question était “herrenlos”. Je suis d’accord avec cette observation de Diakonoff car, dans les deux paragraphes, on distingue graduellement les cas où quelqu’un a reçu ou acheté tout le champ, ou une partie de celui-ci, ou quand cette terre est sans propriétaire aucun. 25 A cela correspond, dans le § 47A, une action symbolique de la part du roi, qui prend un pain de la table et le donne au bénéficiaire du don, certainement pour lui signifier l’exemption du luzzi (cfr. Leggi, 235 note 1). 26 V. Šaøur, 167 sq. La pierre huwaši/ZI.KIN était un type particulier de stèle, qui tenait une place importante dans le culte, où elle jouait des rôles différents; elle avait aussi la fonction, dans certains cas, d’indiquer et de protéger les limites, et, parfois, elle signifiait l’attribution de privilèges, comme l’exemption de toute obligation (v. Šaøur., 119 sqq. et en particulier 126 sq). Un lien entre exemption et donation semble indiqué dans certains documents rédigés par le souverain hittite pour accorder un bénéfice à quelque personnage ou quelque institution économique, même si, à mon avis, ces documents ne doivent pas être considéré exclusivement comme actes de donation d’immeubles: v. Šaøur., 164 sqq.

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homme de l’instrument, il est tenu de prêter le luzzi quand l’achat n’est pas partiel. Enfin, en accord avec le paragraphe précédent 46, on conclut que, si les champs sont répartis par le TUKUL-lê ou sont assignés par la communauté locale, on doit toujours exécuter le luzzi. En ce qui concerne les deux paragraphes parallèles, dans le § XXXVII on établit que, si quelqu’un achète tout le champ d’un homme de l’instrument, si le seigneur du champ (probablement celui qui a vendu le champ), disparaît, c’est-à-dire meurt,27 alors la prestation du šaøøan que le roi avait établi pour lui, est due par celui qui a acheté le champ, tandis que si le seigneur du champ est vivant, ou si sa famille existe dans un pays quelconque, c’est à eux, et non pas à l’acheteur du champ, d’exécuter le šaøøan. Dans le § XXXIXB on dit que, si quelqu’un achète tout le champ d’un homme de l’instrument, on doit alors interroger le roi et exécuter le luzzi qu’il a établi. Si l’acquéreur achète d’autres champs, outre ceux d’un homme de l’instrument, il doit alors exécuter le luzzi. Ce paragraphe conclut, de la même façon que le § XXXVIII par rapport au § 46, que, si le champ reste vacant ou inculte, ou qu’il est assigné par la communauté locale, on doit exécuter le luzzi. De ces articles nous apprenons donc que les champs de l’homme de l’instrument pouvaient être vendus. On peut trouver étonnant qu’on parle ici d’une obligation šaøøan établie exprès pour un homme de l’instrument, même s’il faut remarquer que c’est le roi qui l’a établie; en outre, on doit observer que, dans un des deux paragraphes parallèles, le souverain intervient aussi pour établir le luzzi. On pourrait justifier ces faits en admettant, comme nous l’avons déjà observé à propos du § 46 à la p. 220, qu’à une époque plus récente on ait peu senti la différence entre šaøøan et luzzi; on doit noter, toutefois, que même dans le texte le plus ancien on trouve ces deux termes liés par asyndète. Nous donnerons d’autres exemples à ce propos (v. p. 231 sq. avec note 74). Dans le § 48 et son parallèle § XL, on demande l’exécution du luzzi à un LÚøippara et l’on interdit à quiconque d’entreprendre avec lui quelque affaire commerciale. Par le terme LÚøippara on désigne une personne appartenant à une particulière catégorie d’individus, probablement de øarakzi, en antithèse avec le participe TI-anza “(est) vivant”, qui apparaît deux lignes plus bas: v. note 11. 27

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rang social inférieur, qui ne peuvent disposer ni de leur famille ni des biens qu’ils détiennent.28 Dans le § 50 on concède l’exemption - probablement de tout genre d’obligation, vu qu’aucune spécification n’est indiquée à l’homme UKKI-E,29 qui détenait le pouvoir dans les villes sacrées d’Arinna, Nerik et Zippalanda, sièges du couple divin à la tête du panthéon hittite, ainsi qu’aux sacerdotes de n’importe quelle localité et à leurs biens.30 Leurs “co-participants” - “hommes de la partie”, selon la traduction littérale du terme - étaient tenus, eux, à exécuter le luzzi. Ils apparaissent aussi dans les §§ 51 et 53, et dans ce dernier ils sont associés à des hommes de l’instrument. Au cas où ils se séparent, à l’homme de la partie est due une part de champs, animaux et personnes, moins grande que celle de l’homme de l’instrument. Il s’en suit donc que l’homme de la partie n’était pas un serviteur, mais une sorte d’associé, pour une petite part seulement, qui ne jouissait même pas du privilège d’être exempté de prestations. Pour ces motifs nous avons adopté pour ce terme la traduction “co-participant”.31 Il est utile, maintenant, de faire un rapprochement avec le § 51, où l’on dit qu’à une époque antérieure celui qui devenait32 tisserand dans les villes d’Arinna et de Zippalanda,33 et ses biens, ses co-participants, et tous 28 A propos de l’interprétation du terme LÚøippara comme “reclus”, ici et dans le paragraphe suivant 49, sur la base de sa variante akkadienne LÚASÎRUM dans les §§ XL et XLI du texte parallèle, ou on ce qui concerne l’hypothèse plausible d’interpréter le terme LÚøippara- comme “Käufling” par rapport a øappar “affaire commerciale, prix d’achat” et à øapparai-, (øappirâi-, øappariya-) “acheter”, v. la bibliographie dans Leggi, 236 note 1 et dans J. Tischler, HEG, 251 sq. V. en outre l’interprétation de G. Kestemont, OLAn 5 (1979) 499 sqq., qui s’appuie, toutefois, sur une lecture LÚASÎRUM du terme akkadien équivalent a LÚøippara-, ce qui ne résulte pas de la documentation ci-dessus. 29 Le sens de ce terme est encore obscur et il est difficile de formuler quelque hypothèse a ce sujet. Comme nous l’avons observé dans Leggi, 238, on peut supposer sur la base du contexte - en accord avec J. Friedrich, HG, 99 - que l’on désignait ainsi une haute charge sacerdotale d’un rang plus élevé que celui des sacerdotes mentionnés plus génériquement ensuite. 30 V. Leggi, 238 sq. 31 V. Leggi, 240 sq.; v. aussi I.M. Diakonoff, op. cit., 336; A. Archi, FsOtten, 20. 32 Il faut observer l’utilisation du verbe kiš- “devenir” au lieu de eš- “être” cfr. KUB XXVI 43 Ro 54 dans Šaøur., 30 sq. 33 Le fait que la ville de Nerik ne soit pas mentionnée ici, elle aussi, est surprenant. Cette ville n’apparaît pas non plus dans d’autres exemplaires plus récents de ce

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les membres de sa domus étaient exemptés, probablement de toute obligation. Maintenant, au contraire, ses “co-participants” et les membres de sa domus doivent exécuter le šaøøan et le luzzi. On remarque donc dans ce paragraphe des analogies de contenu avec le § 50, même si, dans ce dernier, les co-participants des sacerdotes n’étaient tenus à exécuter que le luzzi. Du reste, pour le § 51, on doit remarquer que, dans une exemplaire moins ancien, D I’ 8’, on ne trouve que le luzzi. Les tisserands mentionnés dans ce paragraphe appartenaient probablement à une catégorie particulière d’artisans destinés aux ateliers des temples et jouissaient de privilèges particuliers, vu l’importance de leur fonction dans le culte. Ces privilèges, selon ce qui résulte de la lecture de cet article, furent réduits à une époque plus récente. Cela pouvait dériver ou d’une importance moins grande attribuée à l’action du tissage dans le culte (y compris son sens symbolique), ou bien de motifs économiques contingents. Cette dernière hypothèse me semble préférable, comme le suggère aussi une comparaison avec le § 50. À la fin de ce paragraphe on établit que, dans la ville d’Arinna, quand on entre dans le 11ème mois, soit exempt de prestations celui à la porte duquel “est visible (= on peut voir) un arbre eya”.34 Dans ce passage on établit donc, à la différence du précédent, la concession d’un privilège, exclusivement en relation avec Arinna: s’agissait-il de la survivance d’un privilège plus ancien, ou voulait-on accentuer ainsi l’importance de cette ville, siège de la déesse Soleil, la principale divinité du panthéon hittite, par rapport à Nerik et à Zippalanda? Dans d’autres milieux du Proche-Orient ancien, outre le monde hittite, sont attestés des symboles du type de l’arbre eya,35 érigés pour paragraphe. Au contraire, dans le § 50, Nerik apparaît même dans l’exemplaire le plus ancien A. 34 V. a ce sujet Leggi, 239 sq. et Šaøur., 132 sq. Cet arbre, attesté surtout dans les textes religieux, en particulier avec le dieu Telipinu, était utilisé, dans ce paragraphe et dans un autre texte dont nous reparlerons, comme signe d’exemption de charges. Peutêtre, cela peut-il s’expliquer comme le développement logique du fait que cet arbre apparaissait parfois dans les cérémonies religieuses comme symbole du bien-être et de la prospérité du pays, et probablement aussi en relation avec des rites saisonniers. Le lien existant entre cet arbre et des rites saisonniers pourrait-il justifier la mention du 11ème mois dans le § 50 des Lois? Sur d’autres hypothèse proposées pour expliquer l’indication de cette limite de temps, v. Leggi, 239 sq. note 7. 35 V. le KIDINNU babylonien, auquel on a comparé l’arbre eya, et cfr. la pierre øuwaši/ZI.KIN, dont nous avons parlé avant, de laquelle a été rapproché le

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manifester la faveur particulière de la divinité. Nous savons en effet que les Hittites, comme la plupart des peuples anciens, avaient l’habitude de notifier publiquement, avec l’exposition d’objets symbolique ou avec des déclarations selon des formules conventionnelles, les concessions de privilèges, l’assignation de dons et de biens, et l’acceptation correspondante de charges. L’érection de l’arbre eya à la porte de la personne exemptée36 s’accorde avec l’expression fréquemment utilisée a propos de la concession de dispense de charges: on interdit à la personne qui dévait faire exécuter certaines obligations de s’approcher des portes, ou mieux d’entrer par les portes, certainement en se réferant au patrimoine exempté.37 Peut-être cette action touchait-elle aussi au domaine sacral, ce qui justifierait dans ces cas-là la mention de l’arbre eya et de la pierre øuwaši/ZI.KIN.38 À ce propos, rappelons qu’en Babylonie, a l’époque de la domination cassite, les officiers du roi, quels qu’ils fussent, n’avaient pas le droit d’entrer dans des terres “libres”, c’est-à-dire exemptées d’impôts ou de corvées par rapport au pouvoir central.39 Dans quelques textes d’Ugarit aussi, on interdit à certains fonctionnaires du Palais de pénétrer sur n’importe quel domaine, objet d’immunité, probablement pour ne pas faire de réquisitions ou d’exactions.40 Dans le § 54 des Lois on dit que, dans un premier temps, c’est-à-dire a un période plus ancienne, les soldats de différentes pays, avec certaines catégories d’artisans spécialisés, n’exécutaient pas le šaøøan et le luzzi, ce qui pourrait faire présumer qu’à l’époque actuelle ils étaient tenus à fournir ces prestations.41 KUDURRU du monde babylonien: v. Šaøur., 132 sqq. 36 Cfr. le KIDINNU, une sorte d’enseigne que l’on érigeait à la porte de certaines villes mésopotamiennes qui jouissaient de privilèges et exemptions particulières par rapport au pouvoir royal. 37 V. Šaøur., 111 sq., et cfr. supra note 5. 38 Cfr. note 26. Peut-être, pourrait-on faire une comparaison avec la position de la plupart des peuples antiques par rapport a celui qui violait les limites des terres, délit non seulement contre la propriété, mais qui touchait également à la sphère sacrée; cfr. Leggi, 299 sq., à propos des §§ 168-169 des Lois, où, justement, on prévoit ce délit. 39 V. E. Cassin, dans Fischer Weltgesh., trad. dans Storia Universale Feltrinelli 3, 46. 40 V. G. Boyer, PRU III, 295. 41 V. Leggi, 242, et G.F. Del Monte-J. Tischler, RGTC 6, 491.

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En dehors du texte de Lois, les termes šaøøan et luzzi apparaissent dans des documents de différentes époques. Des Annales de ÷attušili I nous apprenons que ce souverain, après avoir achevé victorieusement son entreprise contre la ville de ÷aøøa, libéra les serviteurs et les servantes d’une ville conquise, mais cela pour les transférer dans la servitude du temple: “à la déesse Soleil d’Arinna, ma dame, je les cédai”, en vertu de quoi il les exonéra du šaøøan et du luzzi.42 Du Moyen Empire rappelons un décret émané par la reine Ašmunikal, dans lequel on concède l’exemption du šaøøan et du luzzi à tout ce qui a été donné à la maison de pierre, c’est-a-dire les localités et le personnel destiné aux travaux de différents genres (artisans, agriculteurs, bouviers, bergers, hommes šarikuwa).43 Pour symboliser l’attribution de ce privilège, on élève devant ces biens un arbre eya.44 De la même époque nous avons une prière d’Arnuwanda et Ašmunikal, écrite à l’occasion de l’invasion gasga sur une partie du territoire hittite. Dans cette prière on accuse les Gasgas d’avoir opprimé continuellement la population et les localités appartenant aux dieux avec le šaøøan et le luzzi.45 Il est intéressant de considérer la possible existence d’une “maison du šaøøan” mentionnée dans un acte de donation de terres de la même période et probablement aussi dans un autre texte contemporain contenant des “instructions pour le commandant du poste de garde”.46 Sur les fonctions de ce probable siège économique, que l’on trouve peutKBo X 2 (CTH 4) III 18 sq.: (18) n-aš-kán šaøøanit luzzit (19) arawaøøun: il faut remarquer l’usage de l’instrumental dans cette expression, alors que généralement on y utilise l’ablatif. V. en outre tout le passage, ll. 15-20, et nos observations dans SCO 14 (1965) 29 sq. Les deux expressions employées pour indiquer la libération de ces esclaves de la servitude présentent quelque intérêt: “ôter les mains des servantes de la meule et celle des serviteurs de la faucille (deux objets symboliques qui indiquent un travail servile)”, et “les délier de/relativement à leurs ceintures”, ou bien “délier relativement à ceux-ci leurs ceintures”. On peut comparer ces expressions à celle que présente le § 175 l. 19 sq. des Lois: “saisir quelqu’un aux ceintures”, qu’on peut interpréter comme “ne pas délier/ne pas libérer quelqu’un de la servitude”. 43 KUB XIII 8 (CTH 252) Ro 6: n-at-kán šaøøanaza luziyaza arauêš ašandu; sur l’É.NA4 v. H. Otten, HTR, 104 sqq. 44 l. 9: nu-šmaš-kán pían GIŠeyan artaru; v. Šaøur., 132 sq. note 250-253. 45 KUB XVII 21 (CTH 375) I 24 sq.: (24) šaøøanit (25) luzzit dammišøiškir. 46 KBo V 7 (CTH 223) Ro ]12, ]15, Vo ]14, 29, 42, v. K. Riemschneider, MIO 6 (1958) 339 et 344 sqq.; KUB XIII 2 (CTH 261) IV 28, XIII 1 (CTH 261) IV 16, v. E. v. Schuler, Dienst., 51 et 59. 42

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être aussi dans deux textes postérieurs (XIIIe s.) à caractère cultuel - siège auquel appartenaient certains animaux - la documentation qui nous est parvenue nous donne très peu de renseignements.47 Dans un document que l’on peut présumer de l’époque de Šuppiluliuma I - où l’on parle du renouvellement d’une donation faite par deux rois, vraisemblablement de Kizzuwatna, en faveur de la déesse Išøara - on exempte toutes les divinités, les sacerdotes et les serviteurs de ces divinités, mais on n’indique pas de quelles charges.48 Particulièrement intéressants sont les passages de trois documents de l’époque de ÷attušili III, dans lesquels ce souverain affranchit de charges un haut personnage nommé GAL-DIM49 et deux institutions cultuelles, c’est-à-dire le sanctuaire du pic rocheux de Pirwa et le patrimoine de Ištar de Šamuøa;50 dans ce dernier cas, il exempte également son propre fils, nommé sacerdote de cette déesse. Outre ces documents, il est utile d’examiner le décret, déjà cité, en faveur des héritiers de Šaøurunuwa, stipulé par Tutøaliya IV pendant les premières années de son règne. En effet, dans ce texte, la concession de terres est formulée de façon analogue à celle des trois documents précédents, puisqu’elle se réfère à une disposition de ÷attušili III, que reconfirma ensuite Tutøaliya IV.51 J’ai déjà parlé longuement du formulaire de ces documents dans d’autres travaux;52c’est pourquoi je ne ferai ici que quelques considérations. Dans ces formules on parle, avec quelques variantes selon les différents documents, de l’exonération du šaøøan et du luzzi. Ceux-ci sont parfois spécifiés: šaøøan luzzi quotidiens (ŠA UD. KÀMMI), šaøøan luzzi dûs au roi (ŠA LUGAL) ou à des représentants du pouvoir central, comme le “seigneur du pays” et le “seigneur du poste de garde”.53 Dans certains de KUB XX 52 (CTH 628) I 24[; KUB XXV 32+ (CTH 681) III 49(?), v. A.M. Dinçol-M. Darga, Anatolica 3 (1969-1970) 110 sq. et 115; v. aussi J. Friedrich, HW Erg.-Heft 2, 21, Erg.-Heft 3, 16; E. Laroche, RHA 15 (1957) 128, A. Kammenhuber, KZ 77 (1961) 245. 48 KUB XL 2 (CTH 641) Vo 52 sqq. 49 Sur les possibles lectures phonétiques de ce nom, v. Šaøur., 152 note 11. 50 V. note 6 et 7. Pour l’attestation des termes šaøøan et luzzi v. aussi KUB XXI 15 (CTH 85, duplicat de KBo VI 29) IV 10 sq. (v. NBr., 52 sq.). 51 V. la fin de la note 7 52 V. en dernier SMEA 18 (1977) 41 sqq. 53 V. SMEA cit., 41 note 79. En cette occasion, on ne parle pas de l’ “inspecteur de ville”, alors que, dans deux de ces textes, celui-ci, qui était peut-être le plus haut représentant des communautés locales, se trouve nommé après les deux autres 47

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ces textes, on parle de dispense de prestation de travaux, comme des travaux agricoles,54 ou le plâtrage de murs,55 ou des travaux de construction, peut-être de fortification.56 Dans tous ces textes, on parle aussi, avec quelques variantes, de l’exonération du versement de tributs: des particuliers objets en bois, probablement fabriqués par le personnel qui faisait partie du patrimoine exempté (v. note 78), ainsi que des produits agricoles et de l’élevage. Dans ces deux derniers cas - en ce qui concerne les institutions cultuelles - nous ne savons pas s’il s’agissait de denrées produites à l’intérieur de celles-ci ou, au contraire, d’offrandes apportées de l’extérieur et dont une partie était due à l’État comme impôt.57 Les trois actes émanés par ÷attušili III dispensent également de la fourniture de chevaux dressés pour des taches particulières. Leur fonction spécifique n’est pas claire: peut-être étaient-ils destinés à des fins militaires, comme l’étaient les troupes auxiliaires et probablement aussi les parties constitutives de chars que l’on mentionne dans ces trois textes.58 Dans le texte rédigé en faveur de l’institution cultuelle d’Ištar de Šamuøa, à la fin de la formule qui confère l’exemption, on lit: “(26) ¦et© [à toi], à [Ištar de] Šamuøa, (27) pour le šaøøan (et) pour le luzz[i que pe]rsonne ne (28) s’approche”. Ici, le šaøøan et le luzzi représentent donc une sorte de synthèse de tout ce qui a été spécifié avant.59 Et dans le document stipulé pour le sanctuaire du pic rocheux de Pirwa, après la formule d’exemption, on insiste sur l’obligation de respecter la parole du roi et l’on maudit quiconque soumettra le pic rocheux de Pirwa “à ces

dignitaires - donc à la dernière place dans l’ordre de succession - quand on parle de l’exemption de l’ELKU qu’on leur devait. Dans ces cas, est-ce parce que l’ELKU comprenait les différentes obligations énumérées précédemment? V. p. 216. 54 V. encore SMEA cit., 41 sq. avec note 80. 55 V. Šaøur., 107. 56 V. SMEA cit., 44. 57 Comme nous l’avons observé dans SMEA cit., 42, on pourrait aussi penser que ces produits venaient de dotations régulièrement attribuées aux institutions religieuses pour qu’elles les utilisent soit pour leur subsistance, soit pour les redistribuer à leur tour à d’autres localités cultuelles. Rappelons, en effet, que le sanctuaire du pic rocheux de Pirwa devait s’occuper de certaines localités sacrées, comme le montrent quelques textes relatifs à l’administration religieuse. 58 V. à ce propos SMEA cit., 43 note 84. 59 KBo VI 29 III 26 sqq.; v. ce passage dans NBr., 50.

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šaøøan (et) luzzi”.60 Il est donc permis de présumer que, parmi d’autres choses, ces deux obligations comprenaient aussi les tributs et les prestations énumérés avant. Cela est probablement vrai aussi, comme nous l’avons dit (p. 216), pour l’obligation ELKU. Quand, dans le décret émané en faveur des héritiers de Šaøurunuwa, on parle des šaøøan dûs à la déesse Soleil d’Arinna, on spécifie en quoi ils (“ces šaøøan”) consistaient: des produits de l’élevage, très modestes, et on rappelle que personne, à l’avenir, ne doit leur ajouter un autre šaøøan.61 Dans un traité aussi, qui fut stipulé par un souverain hittite, peut-être ÷attušili III, avec Ulmi-Teššup de Tarøuntašša, on accorde au roi de ce pays de particulières exemptions d’obligations militaires, afin que les troupes à pied puissent prêter le šaøøan et le luzzi pour les divinités, c’est-à-dire des travaux de construction, d’agriculture, etc. .... .62 D’exemption du šaøøan et du luzzi sans autres spécifications, on parle dans l’Autobiographie de ÷attušili III, toujours à propos des biens confisqués par ce souverain à Arma-Tarøunta et donnés par lui à Ištar de Šamuøa.63 À ce sujet, il me semble intéressant d’observer qu’un peu avant le passage où l’on confère cette exemption on dit que dans toute la propriété d’Arma-Tarøunta donnée à Ištar on doit placer la pierre ZI.KIN, donc vraisemblablement comme symbole d’exemption de charges (v. Šaøur., 129 sq., et la note 26 du présent article). Dans un document datant de l’époque de Tutøaliya IV, les “instructions pour les seigneurs et les fils du roi”, § 17 l. 13 sqq., on s’adresse à ces hauts dignitaires, qui ont également la fonction de diriger des districts administratifs, et on leur interdit de se rebeller contre le souverain, d’accord avec ces sujets, que E. v. Schuler pense être des KBo VI 28 Vo 30 sqq.; v. ce passage dans SMEA cit., 46 note 96. KUB XXVI 43 Ro 54 sqq.: v. Šaøur., 30 sq. et 93 sq.; pour le passage de ce texte, où l’on concède des exemptions, v. Šaøur., 34 sq. § 11, et le commentaire, 105 sqq. 62 V. toute la tablette ABoT 57 (CTH 97) et le passage correspondant KBo IV 10 (CTH 106) Ro 40-47; en outre, v. Šaøur., 158 sqq. et SMEA cit., 44 sq.; sur la lecture hittite du nom du pays de Tarøuntašša, v. encore Šaøur., 125 note 218, et pour la datation de KBo IV 10, v. op. cit., 137 sqq. 63 KUB I 1 IV 85 et le duplicat KUB I 3 (CTH 81) IV 6: šaøøan-ya-aš (o šaøøaniaš) luzzi lê kuiški êpz[i] “et(?) que pour le šaøøan (et) pour le luzzi personne ne les (= les biens?) saisisse/prétende”; différemment A. Goetze, ÷att., 40 sq. et 105, et J. Friedrich, HW, 175, qui entendent šaøøaniyaš comme gen. sing. de šaøøan. 60

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habitants des zones frontalières, qui ne supportent pas les charges - le terme hittite est šaøøan - que leur a imposé la cour hittite.64 Rappelons, enfin, deux textes rédigés par Šuppiluliuma II, dans l’un desquels on exonère du luzzi le personnel des “maisons (des esprits) des morts (c’est-à-dire des Manes)”;65 dans l’autre on donne au sanctuaire érigé par ce même souverain en mémoire de son père 70 villages pour lesquels on établit l’exemption du šaøøan, probablement afin qu’ils puissent s’acquitter de leurs obligations envers les divinités.66 Nous connaissons aussi l’existence d’une fête du šaøøan (CTH 693), qui faisait partie du groupe de cérémonies cultuelles en l’honneur de ÷uwaššanna, la déesse de ÷upišna (CTH 690-694). Toutefois, il n’existe aucun élément significatif qui permette de différencier la fête du šaøøan des autres fêtes en l’honneur de cette déesse et qui puisse conférer à cette cérémonie un caractère d’intérêt particulier pour notre recherche. De peu d’utilité le fragment de fête KBo XX 13 (CTH 670), en ductus vieux-hittite, où au Vo 13’ apparaît le terme luzzi. D’après les documents examinés ci-dessus, il se révèle donc difficile de définir la valeur des termes šaøøan et luzzi et surtout en quoi ils se distinguaient. En effet, ils ne semblent pas s’être différenciés sur la base du type des obligations qui leur étaient liées.67 Pour rechercher leur différence, il faut donc concentrer l’intérêt sur celui qui était tenu à les accomplir et sur ceux auxquels ils étaient dûs. Un autre problème se pose, à savoir si, avec le temps, ces termes avaient toujours conservé la même valeur ou si la différence entre les deux ne s’était pas atténuée peu à peu. Ces difficultés d’interprétation sont accrues par le fait que, souvent, ces termes apparaissent ensemble dans les textes, en asyndète. Comme nous l’avons déjà dit, certains spécialistes, à commencer par A. Goetze,68 ont postulé, sur la base des §§ 40 et 41 des Lois, l’équation ILKU = šaøøan. Pour la plupart de ces savants, le šaøøan indiquerait une 64 V. E. v. Schuler, Dienst., 26 et 31, ainsi que mon article dans Or 44 (1975) 83, avec note 17-19. 65 ABoT 56 (CTH 256) III 5, 10, 12; v. Šaøur., 161 sq. 66 KBo XII 38 (CTH 121) IV 3’-11’; v. Šaøur., 162 avec note 58. 67 Cela semble être valable aussi pour l’obligation ELKU, v. p. 216. 68 A. Goetze, NBr., 57, et Kleinasien2, 104; J. Friedrich, HW, 175, 307 sq.; rappelons, parmi d’autres, I.M. Diakonoff, MIO 13 (1967) 314 sq., et en dernier, chronologiquement, A. Archi, FsOtten, 18, et SMEA 18 (1977) 7 sq. et 14 sqq.

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obligation liée à la détention d’une partie de la propriété terrière du roi; l’obligation šaøøan serait donc une obligation de servi ce envers le roi, tandis que l’obligation luzzi serait une obligation de service envers la communauté ou envers l’État en général.69 Selon G. Kestemont,70 il est opportun de distinguer nettement entre le terme šaøøan utilisé seul et l’expression šaøøan luzzi, qui peut alterner avec le terme luzzi employé seul. À son avis, šaøøan seul “se ré£ère toujours à une activité purement individuelle”,71 tandis que l’expression šaøøan luzzi, ou le terme luzzi seul, se réfèrent “toujours à la participation personnelle à un travail collectif public”.72 En outre, selon A. Archi, l’association de šaøøan et luzzi se vérifie à l’époque impériale.73 À mon avis, la documentation que nous avons examinée précédemment, permet de préciser ou de modifier quelques-unes de ces affirmations qui se basent surtout sur le texte de Lois. Rappelons tout d’abord que ces documents attestent l’association par asyndète de šaøøan et luzzi dès l’Ancien et le Moyen Royaume.74 Cela porterait à penser que dès cette époque déjà on ne devait pas sentir fortement une distinction très nette entre les deux termes. En outre, à propos de l’opinion de G. Kestemont, on peut observer que dans le traité entre ÷attušili III et Ulmi-Teššup de Tarøuntašša, où l’on se réfère à un accord précédent stipulé entre Muwatalli et le roi de ce pays, on parle, à quelques lignes de distances, du šaøøan pour les divinités (littéralement: de la divinité), établi par ce souverain, et puis du šaøøan/luzzi toujours pour les divinités, confirmé par ÷attušili III.75 On peut donc se demander s’il s’agissait ici d’une variante sans aucun sens particulier, ou bien si l’on voulait réellement faire allusion à une 69

516.

V., entre autres, A. Goetze, NBr., 59 avec note 1, et I.M. Diakonoff, op. cit.,

OA 17 (1978) 18. Il cite, à ce propos, Leggi §§ 39-41 et KUB XXVI 43 Ro 54-59. 72 Cfr. A. Goetze, loc. cit.; on peut ajouter aussi le § 51 aux exemples donnés par G. Kestemont. 73 FsOtten, 18 note 6. 74 V. dans les Lois, pour le § 47A, l’exemplaire le plus ancien A II 43 šaøøan luzzi par rapport à B II 64 (luzzi seul); v. en outre le passage cité (note 42) des Annales de ÷attušili I - a moins qu’il ne s’agisse d’un remaniement plus tardif - et les deux passages indiqués avant (notes 43 et 45) des deux textes de l’époque d’Arnuwanda et d’Ašmunikal. 75 V. A. Goetze, op. cit., 55 sq., et Šaøur., 158-160, et en particulier note 48. 70 71

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différenciation due au nouvel accord. Si l’on accepte la première hypothèse, sur la base du contexte général, on démontre alors l’absence d’une distinction substantielle, au moins à cette époque là, entre les deux termes considérés. Ce passage, où l’on parle du šaøøan et du šaøøan luzzi pour les divinités de Tarøuntašša, ainsi que celui du document en faveur des héritiers de Šaøurunuwa (KUB XXVI 43 Ro 54-59) où l’on parle du šaøøan pour la déesse Soleil d’Arinna, montre que le šaøøan n’est pas seulement une obligation envers le roi, même si l’on sait que dans le monde hittite la religion officielle est toujours contrôlée par le pouvoir central et les organisations religieuses sont intégrées dans la sphère de ce pouvoir.76 Du reste, quelques-uns des documents d’exemption rédigés par ÷attušili III et Tutøaliya IV, que nous avons précédemment examinés montrent que le šaøøan et le luzzi étaient dûs non seulement aux représentants du pouvoir central, comme le “seigneur du pays” et le “seigneur du poste de garde”, mais aussi au représentant des communautés locales, c’est-à-dire à l’ “inspecteur de ville ou de village”, s’il est permis de considérer ainsi le fonctionnaire désigné par MAŠKIM URUKI, dont nous nous occuperons ensuite (p. 234 sqq.). Dans ces documents, on parle de šaøøan, mais aussi de luzzi du roi, c’est-à-dire dûs au roi, sans qu’il y ait aucune distinction entre les deux termes. En outre, l’affirmation de G. Kestemont, selon laquelle šaøøan employé seul se réfère à une activité purement individuelle”, et šaøøan en alternance avec luzzi seul, “à la participation personnelle à un travail collectif public”, ne semble pas concorder avec ce qu’on peut lire dans le traité avec Ulmi-Teššup de Tarøuntašša, c’est-à-dire que le šaøøan pour les divinités était dû par ce pays avec son souverain.77 Et dans les Annales de ÷attušili I nous voyons ce roi concéder l’exemption du šaøøan et du luzzi aux serviteurs et aux servantes d’un pays conquis (v. note 42). Du reste, également dans le § 54 des Lois on fait allusion au šaøøan et luzzi par rapport à des soldats de différents pays et à des catégories d’artisans spécialisés (v. p. 225 sq.). En outre, le šaøøan n’apparaît pas seulement lié à l’assignation de 76 V. a ce propos l’étude de H. Klengel sur la fonction économique du temple hittite dans SMEA 14 (1975) 181 sq. 77 KBo IV 10 Ro 42.

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parts foncières, comme le montrent les passages indiqués ci-dessus des Annales de ÷attušili I et du traité avec Ulmi-Teššup. De même, le ne se réfère pas exclusivement à l’homme de l’ILKU: donc, l’équation ILKU = šaøøan et “homme de l’ILKU” = “homme du šaøøan” me semble trop restrictive. Comme nous avons pu le voir, tous les documents examinés ne montrent pas clairement en quoi consistaient ces deux obligations, puisque dans la plupart des cas elles sont mentionnées sans autres spécifications. Toutefois, les textes de l’époque de ÷attušili III et de Tutøaliya IV que nous avons traités et où l’on concède des exemptions, exprimées par une formule assez large, permettent de déduire que le šaøøan et le luzzi indiquaient des prestations à effectuer et des tributs à verser. En ce qui concerne l’obligation contenue dans ces formules de fournir des objets en bois, probablement des éléments constitutifs de chars,78 on peut présumer qu’il s’agissait justement de chars de guerre. Cela pourrait également être suggéré par une comparaison avec des situations présentes dans d’autres états du Proche-Orient ancien.79 On sait, en effet, que dans le monde hittite, comme dans d’autres pays de l’Asie antérieure antique, c’était le rôle de l’administration centrale de pouvoir a l’équipement militaire, en rassemblant, grâce à des fonctionnaires spéciaux, les fournitures nécessaires à cela et en les redistribuant ensuite aux différents organismes, selon leurs nécessités. Comme je l’ai déjà relevé,80 la documentation hittite ne me semble pas fournir des éléments aptes à faire supposer l’existence d’une obligation de la part de gros organismes économiques privés ou religieux a pourvoir personnellement aux armements militaires. Dans les textes d’exemption rédigés par ÷attušili III et Tutøaliya IV, nous avons remarqué que les personnes charges de faire observer ces obligations étaient trois dignitaires: le seigneur du pays, le seigneur du poste de garde et l’inspecteur de ville ou de village. Des possibles V. Šaøur., 107 sq. avec note 172. Šaøur., loc. cit., et SMEA 18 (1977) 43 avec note 85, 86. 80 V. SMEA cit., 44 sq.: toutefois, il semble que ces organismes devaient fournir à l’État des contingents auxiliaires en cas de guerre. Aux troupes en garnison on pouvait demander aussi d’exécuter des travaux de différents genres, selon les nécessités du moment. La documentation à ce propos montre donc l’existence d’une possibilité d’échange, dans certains cas, entre attributions militaires et civiles. 78

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fonctions de ces trois dignitaires, j’ai parlé longuement dans une autre étude (Šaøur., 56-75): je n’indiquerai donc ici que quelques conclusions. En ce qui concerne les deux premiers dignitaires, on peut penser qu’ils exerçaient leur activité comme représentants du pouvoir central dans des régions souvent éloignées de la capitale et, quant au seigneur du poste de garde, situées dans des points cruciaux de surveillance et de défense, probablement aux confins du pays ou dans des localités considérées comme moins sûres et plus promptes a faire défection. Le pouvoir qu’ils exerçaient était donc nécessairement très vaste et varié. Selon l’opinion de E. v. Schuler, avec laquelle je suis pleinement d’accord, l’inspecteur de ville ou de village devait représenter une autorité locale, peut-être même la plus haute; certains spécialistes, au contraire, ont pensé que c’était, lui aussi, un fonctionnaire royal.81 Comme j’ai observé ailleurs, dans les textes hittites le MAŠKIM “inspecteur, surintendant” apparaît presque toujours dans la locution MAŠKIM URUKI inspecteur de ville ou de village”.82 Le terme MAŠKIM est aussi attesté en Mésopotamie, dans les colonies commerciales assyriennes en Cappadoce, à Tell el Amarna, à Ugarit, le plus souvent inséré dans différentes locutions qui en définissent les différentes charges.83 On peut donc soutenir, me semble-t-il, que la fonction du dignitaire indiqué avec le titre MAŠKIM devait varier selon que ce terme se trouvait seul ou accompagné par un autre terme qui en spécifiait les attributions. Toute tentative de comparer le MAŠKIM URUKI des textes hittites avec le MAŠKIM mentionné ailleurs dans des locutions différentes perdrait donc sa valeur. Ainsi, par exemple, alors qu’il est plausible de considérer le MAŠKIM LUGAL des textes de El Amarna comme un représentant du roi, le MAŠKIM URUKI, c’est-à-dire l’inspecteur de ville ou de village, dans le monde hittite semble indiquer avec plus de probabilité une autorité locale, bien que dépendant en quelque sorte des représentants du pouvoir central. J’ai déjà parlé ailleurs des charges de l’inspecteur de ville ou de village et de l’importance de l’association, dans un texte, de celui-ci et des 81 V. Šaøur., 66 note 70A, et, en dernier, A. Archi, FsOtten, 22 note 24, qui exprime son incertitude sur ce problème. 82 V. Šaøur., 68 note 76a. 83 V. Šaøur., 68 sq. et notes 77-80.

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Anciens (représentants, eux aussi, des communautés) au seigneur du poste de garde (qui représentait l’État), dans le domaine de l’administration religieuse et de celle de la justice, sauf pour des délits d’un type particulier, auquel cas on recourait directement au jugement du roi.84 Cela pourrait avoir constitué pour le pouvoir central un moyen de résoudre le problème de la tutelle de ses intérêts politiques et militaires sans produire toutefois de dangereuses altérations ou suppressions d’institutions traditionnelles des communautés locales.85 Dans le décret en faveur du sanctuaire du pic rocheux de Pirwa, en conclusion à la formule où l’on concède l’exemption (KBo VI 28 Vo 28 sq.), on invoque la punition divine sur le seigneur ou fils du roi ou seigneur du trône ou toute autre personne qui s’opposera à la décision royale et soumettra les hommes de ce sanctuaire aux šaøøan et luzzi mentionnés avant. Le titre “seigneur du trône” n’apparaît pas, à ma connaissance, dans d’autres textes. De la position des “seigneurs” et des “fils du roi” dans la structure politique et administrative de l’état hittite, j’ai déjà parlé longuement autre part.86 À mon avis, dans le passage en question, on veut empêcher à des hauts dignitaires qui faisaient partie de la burocratie de l’État et étaient chargées de l’administration de certaines V. Šaøur., 66 sq. avec notes correspondantes. Le texte en question est celui qui contient les “instructions pour le seigneur du poste de garde”, de l’époque d’Arnuwanda I: KUB XIII 2 III 9 sq., cfr. son duplicat KUB XXXI 88 (CTH 261) II 12. Dans un passage malheureusement très mutilé des “instructions pour le ÷azan(n)u de ÷attuša” (KBo XIII 58 [CTH 257] II 29), qui datent, elles aussi, de l’époque d’Arnuwanda I, l’inspecteur de ville semble recevoir des instructions de la part du ÷azannu à propos de troupes et de déportés: peut-être les déportés attribués aux communautés locales? Ce passage n’est pas très clair; toutefois, il me semble plausible que l’inspecteur de ville, autorité locale, recevait des instructions du ÷azannu, en tant que représentant du pouvoir central. Sur le ÷azannu dans les textes hittites, v. le travail de F. Pecchioli Daddi dans OA 14 (1975) 93 sqq. 85 En effet, la prescription, dans le passage mentionné ci-dessus des “instructions pour le seigneur du poste de garde”, de s’en tenir aux usages locaux dans les jugements, me semble particulièrement significative. Il est intéressant de rappeler que à Mari le ÷azannu exerçait la justice en union avec les Anciens de la ville, et à Alalaø - dans des passages dont, toutefois, la lecture, et, par conséquent, l’interprétation aussi, est controversée - il semblerait que le ÷azannu prêtât serment avec cinq de ses Anciens, comme témoins. De toute façon, la position du ÷azannu par rapport au pouvoir central ne semble pas correspondre dans les différentes régions et époques du Proche-Orient ancien; v. Šaøur., 70 et les notes correspondantes. 86 Or 44 (1975) 80-95. 84

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zones, de commettre une exaction arbitraire, évidemment à leur avantage personnel (cfr. p. 251). À la conclusion de l’examen, nécessairement rapide, de ces documents, il me semble intéressant de rappeler les propositions les plus connues de classification typologique de la société hittite, vue dans l’ensemble des autres sociétés du Proche-Orient ancien, propositions qui ont été avancées par des savants de disciplines différentes et de tendances historiographiques les plus variées. Depuis avant-guerre déjà, la désignation de société de type féodal a connu une grande fortune. C’est surtout à partir de la fin des années cinquante qu’un intense débat s’est élevé entre les spécialistes à propos de la reprise du concept de Marx de “mode de production asiatique” et son application aux sociétés du Proche-Orient ancien. Beaucoup d’orientalistes de l’Europe de l’Est, surtout ceux qui appartiennent à l’école de Leningrad, se présentent avec une position de refus de ces deux concepts appliqués aux sociétés de l’Asie antérieure pré-classique. Ces spécialistes reconnaissent dans ces sociétés une structure de type esclavagiste et y voient la présence de deux classes antagonistes: celle des propriétaires des moyens de production (c’est-àdire la terre) et celle des travailleurs assujettis, privés de cette propriété et soumis à exploitation extra-économique. En ce qui concerne la société hittite, les documents relatifs permettent de constater dans celle-ci la présence de quelques éléments qui peuvent appuyer partiellement chacune de ces hypothèses. Je ne réexaminerai pas ici la position des savants qui reconnaissent dans la société hittite certaines situations typiques des sociétés féodales.87 En ce qui concerne cette question, je signale que je me suis volontairement limitée à ne considérer que les documents hittites relatifs à l’administration intérieure de l’État, car il aurait été bien trop long d’affronter le problème de la réglementation des rapports qui unissaient au Grand Roi hittite les souverains des pays qui lui étaient assujettis, même si, selon de nombreux spécialistes, ces rapports présentait des analogies avec les rapports de vassalité typiques du monde féodal. Pour une revue des études orientées dans ce sens et sur la problématique correspondante, v. A. Archi, SMEA 18 (1977) 7 sqq. 87

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Pour ce qui est de l’organisation interne de l’État, la documentation montre des divergences dans la situation de l’Ancien Royaume par rapport à celle de la période impériale. Les textes utilisés pour la reconstruction de la structure sociale de l’Ancien Royaume sont, d’habitude, le Testament de ÷attušili I et l’Édit de Telipinu.88 En effet, malgré le caractère tendancieux que l’on peut constater dans de tels édits, promulgués par ces souverains pour atteindre des buts bien précis, on ne peut pas se dispenser toutefois d’examiner les renseignements qui y sont contenus, tout en les utilisant avec précaution, naturellement. Dans de tels documents, on mentionne plusieurs fois les “grands” du royaume qui semblent avoir été très puissants à cette époque, à tel point qu’ils limitaient et même contrastaient le pouvoir royal, mais il est difficile d’établir si cette puissance des Grands dérivait de la structure spécifique de l’État à cette époque ou de situations contingentes à l’intérieur de la monarchie (comme, par exemple, les fréquentes luttes dynastiques pour prendre possession du pouvoir), même si, inévitablement, les deux choses s’entremêlent et se conditionnent. ÷attušili I, dans son Testament,89 rappelle que, au temps de son grand père, les “serfs” de ce souverain et les Grands ne tinrent pas compte de sa décision en ce qui concernait le choix du successeur au trône. En regardant la façon dont est présenté cet épisode, on peut déduire que ce fait ne rentrait pas dans la légalité. En outre, dans les documents que nous possédons, il n’y a pas d’éléments qui puissent nous faire retenir que la monarchie hittite, à cette époque, ait été élective. Tandis que, dans le Testament de ÷attušili I, on parle génériquement de Grands, dans l’Édit de Telipinu, où ils sont mentionnés à plusieurs reprises, on spécifie aussi, peut-être de façon incomplète, ceux qui pouvaient être considérés comme tels: les pères de la maison, le grand (c’est-à-dire le chef) des fils du Palais, le grand des gardes du corps, le grand du vin, le grand des écuyers, etc.90 C’étaient donc, vraisemblablement, tous les chefs des différentes catégories de Et, en outre, pour certains aspects, les paragraphes de la rédaction la plus ancienne du recueil de Lois, les Chroniques de Palais, et les plus anciens textes relatifs aux “donations de terres” et “instructions”. 89 Où les Grands sont mentionnés dans II 41, [73], III 45, 45, 59, selon HAB, 6 sq., 10 sq., 14 sq.; v. en particulier III 41 sqq. (HAB, 12 sqq.). 90 §§ 32-34, selon W. Eisele, Der Telipinu-Erlass, München 1970, 37 sqq. 88

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dignitaires, ainsi que certains hauts fonctionnaires. Comme on le sait, généralement les titres qui désignent de telles charges n’expliquent pas la fonction correspondant à celles-ci; la plupart de ces titres montrent seulement leur origine probable au sein du Palais, à laquelle, toutefois, a d’ordinaire succédé un changement, souvent radical, dans leur attributions. Il faut observer que presque tout les dignitaires mentionnés ici comme Grands apparaissent ailleurs désignés aussi comme “seigneurs” (v. Or 44 [1975] 81 sq. note 7): de ceux-ci nous parlerons ensuite. Nous savons que, toujours pendant le règne de Telipinu, les Grands tramaient des conjurations contre la famille royale: rappelons, par exemple, la position des “sept hommes grands”, qui apparaissent comme mandants dans l’assassinat de ÷uzziya.91 Naturellement le chiffre sept a ici une valeur symbolique, comme cela a lieu ailleurs.92 Déjà avant, du reste, un autre mandant de crimes contre la famille royale avait été Zuru, “grand des gardes du corps”, un titre tenu par quelqu’un qui semble avoir eu le droit d’être considéré “grand”, selon la liste indiquée cidessus. Dans cette période, le pouvoir des Grands est aussi démontré par le passage où l’on leur interdit de prendre possession des “maisons”, c’est-à-dire des biens, d’un “fils du roi”, qui aurait commis quelque délit et qui ait été puni de mort pour cette raison, et de tenter de prendre possession de quelque “ville”, en faisant du mal au “seigneur de la ville” qui, selon le contexte, semblerait être le “fils du roi”.93 Toutefois, même si quelques passages de ce document permettent de présumer une certaine crainte de la part du pouvoir royal pour l’ingérence des Grands dans le gouvernement de l’État (ainsi que, bien sûr, pour l’accroissement de leur patrimoine et, par conséquent, de leur puissance), il semble que l’administration du royaume ait été tenue, en substance, pas des membres de la famille royale. Il est intéressant de noter, à ce propos, ce qu’ on lit au début de l’Édit de Telipinu, c’est-à91 V. KBo XII 8 II 24-26: ce texte, avec KBo XII 9, est considéré par E. Laroche (CTH 20) comme parallèle a l’Édit de Telipinu; selon W. Eisele, op. cit., 13, ces deux documents n’appartiennent pas à l’Édit. Quoi qu’il en soit, on y traite d’affaires relatives au règne de ce souverain, v. aussi H. Otten, KBo XII, Inhaltsübersicht 8 et 9. 92 Par exemple, dans ce même texte (KBo XII 8 IV 14 sqq.) on parle des sept “conjoints” ou “frères” de ÷uzziya, tandis que dans l’Édit Tel. II 13 ils résultent être cinq: v. V. Eisele, op. cit., 30 sq. 93 Ed. Tel. II 62-65: v. W. Eisele, op. cit., 39 sq.

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dire que les premiers rois hittites envoyaient leurs fils administrer (maniyaøø-) les pays conquis.94 Et, comme je l’ai observé ailleurs, l’appellation de “fil du roi”, même si elle ne doit pas toujours être interprétée à la lettre, désignait toutefois - et surtout dans la période la plus ancienne - quelqu’un qui faisait partie en quelque sorte de la famille royale.95 L’importance des Grands durant cette période-là résulte aussi de ce que dans les §§ 35-40 encore de l’Édit de Telipinu on semble dire que ce souverain ait cherché à les intégrer dans le cadre d’un programme de réorganisation économique de nombreuse localités qui s’y trouvent énumérées.96 De toute façon, malgré cette position importante des Grands, toujours dans ce document on établit que, si ceux-ci s’étaient rendus responsables de quelque faute, ils devaient être jugés par l’assemblée du panku, tandis que la compétence de juger les membres de la famille royale ou le roi luimême était du ressort du tuliya, un organisme plus élevé et plus restreint, peut-être formé par des membres de la famille royale elle-même,97 et donc plus facile à contrôler et à conditionner. Quoi qu’il en soit, tout en reconnaissant aux Grands pour la période de l’Ancien Royaume un pouvoir assez fort, il ne me semble pas, sur la base de la documentation qui nous est parvenus, qu’il y ait des éléments aptes à démontrer la présence de structures que nous pourrions définir de type “féodal”. Rappelons que certains spécialistes orientés dans ce sens ont attribué une valeur particulière aux textes des “instructions” destinées à différentes catégories de dignitaires et à des personnes qui exerçaient leurs fonctions dans l’administration, l’armée, le culte ou le Palais. De ces 94 Ed. Tel. I 9-11, 18 sq.: v. W. Eisele, op. cit., 16-19. Même si l’on peut objecter que ce qui est dit au début de cet Édit ne reflétait pas fidèlement la situation des périodes auxquelles le texte se référait, toutefois, dans ce cas-ci, il est permis de présumer qu’elle correspondait à la réalité. 95 V. Or 44 (1975) 87-95, et surtout 94 sq. avec note 85. 96 Dans ces localités se trouvaient les “maisons du sceau”, c’est-à-dire des dépôts qui étaient le plus souvent, mais pas toujours, liés à l’administration de l’État: pour la bibliographie relative à ces “maisons du sceau”, v. en dernier A. Archi, OA 12 (1973) 214 sqq. 97 V. G. Pugliese Carratelli, dans Atti e Memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria” (1959) 111 note 1.

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“instructions” il nous est parvenu une documentation plutôt vaste pour les différentes périodes de l’histoire hittite, à partir de l’Ancien Royaume. Dans certaines “instructions”, à la fin des différentes clauses relatives aux tâches à exécuter et aux interdictions à respecter, on trouve une formule de serment, et, dans certains cas, on demande à leurs destinataires de jurer fidélité au souverain.98 C’est pour la présence d’un tel serment qu’on a fait une comparaison avec les rapports de vassalité qui unissaient au Moyen Âge les sujets au souverain. Toutefois, on doit observer que ces documents d’ “instructions” avaient d’ordinaire un caractère plus public que privé, puisqu’ils étaient généralement destinés à des catégories de personnes plutôt qu’à des particuliers. Leur but était, le plus souvent, de fournir des dispositions techniques et d’établir les taches auxquelles étaient tenues les différentes catégories de dignitaires et de fonctionnaires.99 Parmi les “instructions” qui datent de l’époque de Tutøaliya IV, nous avons celles qui s’adressent aux “seigneurs et fils du roi”,100 auxquels on demande des engagements qui sont sanctionnés par un serment. Comme j’ai essayé de le démontrer ailleurs,101 je considère que, dans ce cas, comme dans certains autres, la désignation de “seigneurs” représentait quelque chose de plus spécifique qu’une simple indication de rang ou de classe, comme pourrait l’être la désignation plus générique de “nobles”. Des passages où ces “seigneurs” sont mentionnés, on peut déduite que, à leur groupe, devaient appartenir des dignitaires ayant des attributions différentes - en particulier dans le domaine militaire et administratif - mais toujours de grande importance: parmi ceux-ci, probablement, beaucoup de ces dignitaires dont le titre était composé avec le terme EN/BÊLU “seigneur”. Avec l’expression “fils du roi”, comme nous l’avons déjà dit, on désignait parfois des dignitaires de rang très élevé, très proches du souverain, et qui, probablement, faisaient partie de sa famille, mais pas nécessairement ses enfants. Aux “seigneurs” et aux “fils du roi”, dans les “instructions” qui leur étaient destinées, on demandait continuellement une fidélité absolue au souverain. L’exercice d’importantes attributions administratives et V. Šaøur., 150 note 7. Sur le caractère de ces documents et sur la bibliographie essentielle à ce sujet, v. Šaøur., 149 sqq. et note 6-8. 100 V. E. v. Schuler, Dienst., 22 sqq. 101 Or 44 (1975) 80 sqq. 98

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militaires était de leur ressort; ils pouvaient gouverner des pays ou des districts et, en cas de nécessité, remplacer le souverain dans le commandement de l’armée. Parmi les “seigneurs”, on trouve aussi ces dignitaires appelés “seigneur du pays” et “seigneur du poste de garde”, qui, comme nous l’avons vu, gouvernaient des pays avec des pouvoirs plutôt vastes, en tant que représentants de l’autorité centrale. Selon les documents, les “seigneurs” ne semblent pas avoir eu des prérogatives très différentes pendant le Moyen Royaume aussi. En outre, dans les “instructions” de l’époque de Arnuwanda I pour les hommes DUGUD - c’est-à-dire des chefs de districts avec des fonctions principalement militaires - on parle de la requête à tous(?) les seigneurs de ÷atti et à certains contingents de l’armée de jurer fidélité à la famille royale.102 De toute façons, ces “seigneurs” ne présentent pas de caractéristiques typiques des seigneurs féodaux. Il semble qu’ils administraient les pays et tenaient de hautes charges militaires, non pas comme seigneurs de type “féodal”, mais en tant que membres de la bureaucratie de l’État. En effet, avec l’évolution continuelle de la monarchie dans un sens absolu, l’État tendait de plus en plus à se “bureaucratiser”. Intéressant à ce propos est le passage indiqué à la p. 230, où les “seigneurs” et les “fils du roi” chargés de l’administration des régions périphériques semblent tenus à faire exécuter le šaøøan.103 Comme nous l’avons vu dans d’autres documents, cette attribution était du ressort du seigneur du pays et du seigneur du poste de garde pour le compte du pouvoir central, et de l’inspecteur de ville ou de village pour le compte de la communauté. Tout au plus, nous pourrions alors nous demander si le roi, dans ces cas-là, avait cherché à intégrer les ainsi-dits “nobles” (les Grands et les “seigneurs”) dans l’administration de l’État pour mieux les contrôler - ce qui aurait été un gros élément de force pour un souverain - ou s’ils étaient devenus “nobles” justement parce qu’ils faisaient partie de la bureaucratie de l’État. Il me semble intéressant ici de relever la possibilité qu’un haut 102 V. Or cit., 86 note 34 (KUB XXVI 24 IV 2-7). Nous savons, du reste, que même les hommes DUGUD se rendaient à la cour en cas de mort d’un souverain pour confirmer leur fidélité au nouveau roi: v. F. Pecchioli Daddi, OA 14 (1975) 96 note 10. 103 V. note 64.

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fonctionnaire de l’administration de l’État avait de se constituer un gros patrimoine foncier grâce a des conquêtes militaires. C’est ce que l’on peut présumer pour Šaøurunuwa, chef des scribes sur bois, chef des troupes UKU.UŠ, chef des pasteurs, et peut-être aussi, selon certains documents, “fils du roi”. On dit de lui, semble-t-il, qu’il avait acquis certains de ses biens au moyens des armes (GIŠKU-it) et qu’ils les avait donnés ensuite, probablement en héritage, à ses enfants.104 Les documents où le souverain demande un serment à des particuliers sont rares. L’un d’eux est le “serment d’Ašøapala”, vraisemblablement un commandant de garnison qui a vécu sous le Moyen Royaume, peut-être à l’époque d’Arnuwanda I.105 Nous avons, en outre, deux documents de la dernière période de l’Empire, c’est-à-dire le serment d’un chef des scribes à Suppiluliuma II (duquel on peut rapprocher un autre document),106 et la requête, encore, d’un serment de fidélité à un haut personnage de la cour hittite, qui, à l’époque de Šuppiluliuma II (ou d’Arnuwanda III), gouvernait pour le compte du souverain certaines régions probablement éloignées de la capitale et où il était donc plus facile de déserter.107 En effet, un motif que l’on retrouve souvent dans ces deux documents est la crainte d’attaques ennemies ou de défections possibles, surtout de la part de ces “seigneurs” qui semblent avoir exercé leurs fonctions dans les régions frontalières. Du reste, également dans la partie qui nous est conservée du document d’Ašøapala, on insiste sur la possibilité d’incursions ennemies, que l’on doit immédiatement communiquer au seigneur du poste de garde, qui, nous le savons, avait la charge de pourvoir à la sécurité des frontières. En ce qui concerne les deux documents de la dernière période de l’Empire, vu qu’on y demande de la part du souverain un serment de fidélité à des particuliers, certains spécialistes postulent une évolution dans un sens féodal de l’État hittite pour la période du Nouveau KUB XXVI 43 Ro 6 sq., et Šaøur., 24 sq. et 46 sq. Cfr. ce qu’observe P. Garelli, Semitica 17 (1967) 20 sq., en ce qui concerne le milieu assyrien. 105 KBo XVI 50 (CTH 270): v. H. Otten, RHA 18 (1960) 121 sqq. 106 KUB XXVI 32+ (CTH 124); cfr. aussi KUB XXVI 33 (CTH 125); v. E. Laroche, RA 47 (1953) 71 sqq.; P. Meriggi, WZKM 58 (1962) 93 sqq.; H. Otten, MDOG 94 (1963) 3 sqq.; O. Carruba, SMEA 18 (1977) 151 sqq. 107 KBo IV 14 (+) KUB XL 38 (CTH 123); v. P. Meriggi, op. cit., 84 sqq.; R. Stefanini, ANLM, Ser. 8, 20 (1965) 39 sqq., et Atti e Memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria” 31 (1966) 107 sqq. 104

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Royaume, sans tenir compte, d’ailleurs, du document mentionné cidessus du Moyen Royaume.108 Je ne suis pas d’accord avec cette position car, à mon avis, ces requêtes de serment de fidélité de la part de souverains hittites dans des moments particuliers de crise intérieure et extérieure étaient dues non pas à une structure précise de l’État, mais à de graves situations contingentes, où le souverain sentait la nécessité de s’assurer la fidélité de ces sujets, en particulier de ceux qui gouvernaient des garnisons ou des régions distantes de la capitale. À ce point, il me semble opportun de rappeler que le règne d’Arnuwanda I fut tourmenté par les incursions des Gasgas, et que, sous les derniers souverains de l’Empire hittite, se fit fortement sentir la menace assyrienne, à laquelle suivit le danger provenant de Sud-ouest.109 Dans ce sens, à mon avis, prend une valeur particulière le fait que ce soit justement du règne d’Arnuwanda I qu’on date certains textes d’instructions à des dignitaires qui gouvernaient des localités situées dans des positions fondamentales pour la sécurité du pays ou auxquels était confiée la défense de la capitale.110 Du reste, la concession de bénéfices de la part du souverain est, elle aussi, liée souvent à des circonstances particulières à l’intérieur de la monarchie ou du pays. On peut remarquer, par exemple, que nombre de documents où l’on concède des exemptions de charges remontent au règne de ÷attušili III, le souverain usurpateur, qui avait besoin, pour cela même, de se gagner bienveillance et appui. Et, comme nous l’avons déjà vu (pp. 226, 230), des exemptions sont également concédées dans des documents de l’époque d’Arnuwanda I (sous lequel, d’ailleurs, ont été rédigés aussi de nombreux actes de donation de terres) et dans des documents datant de Šuppiluliuma II. En outre, il me semble important de considérer que, dans les textes où le souverain concède des bénéfices à quelqu’un, on tend surtout à V. en dernier A. Archi, SMEA 18 (1977) 18. Particulièrement significatif, par exemple, me semble le passage dans KBo IV 14 II 66 sqq. (cfr. aussi II 22) où l’on fait allusion à la menace assyrienne, ainsi que la vive recommandation au destinataire de ce document d’inspecter les villages et les régions frontalières afin qu’ils ne se détachent pas du roi. Sur la situation de la dernière période de l’empire hittite, v. au contraire l’opinion de O. Carruba dans SMEA 18 (1977) 152 sqq. 110 Cfr. en dernier F. Pecchioli Daddi, op. cit., 94 sqq. 108

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mettre en relief le privilège accordé par le Grand Roi à son favori, tandis qu’on ne parle pas, ou l’on y fait qu’une simple allusion, de l’engagement de fidélité de la part du sujet.111 Rappelons toutefois que, en ce qui concerne les terres accordées en donation par le roi, elles pouvaient ensuite être transmises en héritage, comme le montre la clause de revendication des actes de donation où l’on dit que “à l’avenir, personne ne peut revendiquer (les biens donnés) aux enfants et aux petits enfants de X (= le destinataire de la donation)”.112 De même, comme nous l’avons vu, les biens acquis avec les armes étaient, eux aussi, héréditaires. Au contraire, les terres attribuées à des employés du Palais en rétribution de services déterminés retournaient ensuite au Palais (v. § 41 l. 46 sq.). Pour ce qui est de l’administration de la justice, les documents montrent que le roi était le juge suprême et qu’il intervenait dans les délits d’une certaine gravité. C’était à lui de faire un acte de clémence quand le délit prévoyait la peine de mort. Pour certains délits, c’était le roi lui-même qui dirigeait la procédure judiciaire, comme dans le cas de fautes commises contre lui ou de désertion.113 D’habitude, au contraire, l’exercice de la justice était du ressort de fonctionnaires royaux qui gouvernaient certains pays, comme nous l’avons vu, par exemple, pour le seigneur du poste de garde. Ces fonctionnaires royaux étaient parfois aidés par des représentants de communautés locales, comme les Anciens et l’inspecteur de ville ou de village; ces derniers, toutefois, n’auraient exercé la justice que localement.114 Au contraire, nous n’avons aucune indication que des seigneurs aient exercé la justice sur leur propriété comme cela avait lieu à l’époque féodale. Nous avons déjà observé que l’équipement et toute l’organisation militaire était du ressort du pouvoir central. Aux remarques que nous V. Šaøur., 165 note 66; dans les traités de vassalité prévaut, au contraire, l’imposition des obligations du vassal envers le souverain; cfr. aussi Šaøur., 170 note 86. 112 V. Šaøur., 149 note 4. 113 V. Šaøur., 96 sqq., à propos de l’interprétation du verbe duddunu-, et en particulier 99-101; cfr. aussi Leggi, 315 sq. et 314. 114 Un endroit où l’on exerçait la justice était la “porte du roi” ou la “porte du Palais”: dans ce dernier cas, on ne fait pas toujours allusion au Palais royal, mais aussi à un de ces Palais compris comme sièges administratifs, disséminés dans les différents régions du royaume et dépendant du pouvoir central. Cfr. pour le milieu assyrien P. Garelli, loc. cit. 111

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avons faites sur la base de renseignements fournis par les formules où l’on concède des exemptions, ajoutons aussi que, dans le traité avec Ulmi-Teššup de Tarøuntašša, on parle de la “maison de la tablette” du pays du fleuve ÷ulaya, qui avait la charge de rassembler et de fournir des contingents militaires à la cour hittite. Comme je l’ai écrit ailleurs,115 je pense que la maison de la tablette était un des sièges de l’administration centrale, placé dans les pays assujettis. À mon avis, les données examinées jusqu’à présent montrent donc que les divergences entre la structure de la société hittite et celle des sociétés féodales prévalent sur certaines analogies qu’on peut parfois trouver.116 Comme nous l’avons observé avant, la documentation qui nous est parvenue permet de reconnaître aussi dans la société hittite la présence d’éléments qui caractérisent, selon K. Marx, le “mode de production asiatique”, comme, en premier lieu, l’existence d’un secteur palatin, qui comprenait aussi le temps - l’ “unité suprême”, selon la définition de Marx - et d’un secteur communautaire, qui lui était subordonné et qui, toujours selon Marx, aurait été économiquement auto-suffisant selfsustaining). Toutefois, l’existence, dans la société hittite, de la propriété privée ne s’accorde pas avec la conception de Marx.117 Dans la documentation hittite, les attestations relatives au secteur communautaire sont, comme on le sait, extrêmement limitées, et souvent on ne perçoit l’existence de ce secteur que par quelques observations indirectes; naturellement cela est dû aux conditionnements liés au milieu d’où proviennent ces documents, c’est-à-dire le secteur du Palais et du Temple, secteurs qui détiennent la gestion du pouvoir.118 Outre les articles des Lois, que nous avons déjà examinés, où les 115 V. dans FsMeriggi (1969) 154 sqq. Cette interprétation a été acceptée par A. Archi, OA 12 (1973) 113 sq. 116 Cfr. à ce propos les observations de E. Laroche, BiOr 23 (1966) 60, et de G. Cardascia, Iura 17 (1966) 326 sq., et les remarques de P. Garelli, Le Proche-Orient Asiatique , Bruxelles 1969 (= Nouvelle Clio 2), 339 sqq. 117 V. K. Marx, Grundrisse der Kritik der politischen Oekonomie, 1957-58, Berlin 1953, 376 sq. 118 Sur la présence du secteur communautaire en milieu hittite, v. I.M. Diakonoff, op. cit., 351 sqq., et A. Archi, FsOtten, 10 sqq. Sur la problématique relative a l’existence d’un secteur communautaire dans le Proche-Orient ancien et sur la bibliographie correspondante, v. M. Liverani, OA 17 (1978) 63 sqq.

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communautés de village semblent conserver une certaine autonomie dans la subdivision des terres qui leur appartenaient et dans l’organisation interne du travail, l’existence d’un secteur communautaire est aussi témoignée par le § IV de la rédaction la plus récente des Lois. On y prévoit que, en cas d’homicide dont on ignore l’auteur, la responsabilité retombe sur tout village se trouvant dans un rayon de trois milles à partir du lieu du crime. Des cas analogues de responsabilité collective pour un délit se retrouvent aussi dans d’autres textes de Lois de l’Asie antérieure antique, où existe aussi la possibilité de se disculper grâce à des cérémonies rituelles ou des serments.119 L’existence d’un secteur communautaire, tenu à fournir des biens en nature et des prestations de travail pour le Palais, ainsi que pour les centres religieux intégrés dans l’administration centrale, est également attestée dans d’autres documents hittites à caractère administratif et religieux. Certes, on peut présumer à bon droit que le souverain exerçait en réalité son contrôle sur ce secteur aussi, même s’il faut considérer que nous connaissons seulement quelques aspects de celui-ci, vu que, en général, il apparaît dans les textes justement en relation à ses rapports avec le pouvoir central. Ce contrôle devait nécessairement se renforcer à mesure que ce pouvoir augmentait et que, par conséquent, la bureaucratisation s’accentuait. Il est donc difficile de penser que l’autonomie économique de ces communautés de village se soit maintenue inaltérée dans une telle société. Du teste, cette autonomie pouvait se réaliser surtout dans l’organisation du travail à l’intérieur de la communauté elle-même, mais elle était toujours conditionnée par l’intervention du Palais: en effet, la communauté était tenue à fournir à celui-ci des tributs et des corvées; en outre, le Palais semble avoir eu la faculté de concéder des dispenses même pour les obligations que l’on devait aux représentants des communautés, comme nous l’avons vu dans le cas de l’inspecteur de ville ou de village. V. a ce propos Leggi, 199 sq., avec les notes correspondantes. Ici, il me semble intéressant de rappeler la loi salique, où l’on attribue la responsabilité d’un homicide commis par des inconnus au village le plus proche du lieu du meurtre. Ce village doit, pour ce motif, payer le Wehrgeld: toutefois, on accorde aux Anciens de ce village la faculté de se disculper par un serment (il faut noter, à cette occasion, la présence des Anciens comme représentants du village). 119

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De plus, la spécialisation et la subdivision du travail à l’intérieur de l’organisation palatine et l’augmentation correspondante de la production artisanale, ainsi que le développement et l’expansion des échanges commerciaux à l’intérieur et à l’extérieur, amoindrissaient de plus en plus l’autosuffisance des communautés dans le domaine économique. Tout cela créait inévitablement, bien qu’avec une extrême lenteur par rapport au milieu palatin, une diversification dans le secteur productif et la formation de hiérarchies même à l’intérieur des communautés. À la désagrégation naturelle des communautés, correspondant changement et à la décomposition de certaines structures familiales, au détriment, donc, de l’unité de la propriété foncière, contribues aussi l’infiltration dans le secteur communautaire d’éléments extérieurs provenant du milieu palatin ou fournis par ce dernier. Les §§ 40 et 41 des Lois, que nous avons examinés avant, montrent justement la possibilité que, dans la cultivation de terres tenues par les hommes de l’instrument, soient associés des hommes de l’ILKU, dépendant du Palais. À ce point, on peut observer qu’on prévoit aussi le cas inverse, mais il est clair que le secteur palatin était à même d’exploiter cet apport de main d’ouvre, sans naturellement que son autonomie en soit conditionnée. Les §§ 40 et 112 des Lois, et le passage examiné avant des “instructions pour le seigneur du poste de garde”, nous apprennent encore que le Palais pouvait concéder un déporté qui, dans des cas particuliers, remplaçait l’homme de l’instrument et en prenait ainsi le status. Il me semble donc qu’on puisse conclure en remarquant que, avec le temps, le secteur communautaire tendait de plus en plus à être subordonné au pouvoir central. Et même si certaines compétences continuaient à être attribuées à ce secteur et à ses représentants, les Anciens et l’inspecteur de ville ou de village, cela semble avoir eu lieu surtout pour les institutions liées à certaines traditions, comme les institutions juridiques et religieuses. Mais tout ce qui concernait le secteur politique et économique était contrôlé par la vaste organisation bureaucratique du Palais. Enfin, en ce qui concerne la position de ces savants de l’Europe orientale qui définissent comme esclavagistes les sociétés de l’Asie antérieure antique, sur la base de la propriété ou non des moyens de

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production, rappelons ce que soutient I.M. Diakonoff:120 parmi les travailleurs assujettis, c’est-à-dire privés justement de cette propriété, on ne doit pas compter seulement les esclaves proprement dits, mais aussi ceux qui prêtaient leur oeuvre dans le secteur de l’État et du temple en échange de l’usufruit d’un champ. Parmi les spécialistes qui s’opposent à cette thèse, nous trouvons I.J. Gelb, qui, sous une optique principalement juridique du problème, distingue les travailleurs assujettis en esclaves (personnes qui ne sont qu’objets de droit) et en serfs (sujets de droit, annexés aux grandes propriétés foncières de l’État et du temple), comparables aux serfs de la glèbe du Moyen Âge.121 À ce point, il me semble opportun d’observer que l’ensemble de la population économiquement dépendante ne s’épuisait pas dans ces deux catégories: notons, par exemple, l’existence dans le monde hittite de salariés saisonniers. Il est possible de faire une considération de ce gente également pour d’autres sociétés du Proche-Orient antique. En outre, rappelons ce que certains spécialistes mettent en relief quand ils refusent une définition “esclavagiste” des sociétés orientales anciennes: c’est-à-dire, la faible incidence numérique des esclaves dans l’organisation économique de ces sociétés. Enfin, je ne pense pas qu’on puisse proposer une classification typologique des sociétés antiques seulement sur la base de leurs structures économiques et des rapports fondamentaux de classe, parce qu’il me semble opportun de tenir compte en particulier des ainsi-dites “superstructures” (religieuses, juridiques, idéologiques, linguistiques, etc.), qui exerçaient une fonction très considérable dans les sociétés à économie pré-capitaliste. Il est suffisant, à ce propos, de rappeler l’importance des conditionnements idéologiques, et donc des éléments de propagande, et le cas extrêmement fréquent des paysans libres, mais appauvris, qui, pour ne pas devenir esclaves pour dettes (c’est-à-dire pour ne pas perdre leur status d’homme libres) fuyaient en pays étranger, où ils travaillaient comme salariés et où ils étaient probablement V. pour le monde hittite op. cit., 346 sqq., et pour l’Asie antérieure antique en général les Actes de la XVIIIe R.A.I., München 1970 (1972) 41 sqq. et la bibliographie a la note 1, et AcAn 22 (1974) 45 sqq. 121 V. surtout JAOS 87 (1967) 1 sqq., et en particulier 6 sq., et les Actes de la XVIIIe R.A.I., 81 sqq. 120

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embauchés à bas prix, vu leur position, se trouvant ainsi dans des conditions certainement peu meilleures économiquement que celles qu’ils avaient abandonnées.122 Il me semble donc qu’on puisse conclure en remarquant que, même si l’on réussit à reconnaître un système socio-économique qui prévale au cours des différents siècles de vie de l’État hittite, aucune des trois désignations que nous avons examinées jusqu’à présent pourrait en épuiser la réalité. En effet, nous avons vu que, dans certains cas, se présentaient, l’un à côté de l’autre, des éléments qui pouvaient caractériser les différentes structures sociales et les différents modes de production.123 Donc, si d’une part je reconnais l’importance de certaines élaborations typologiques, dont la grande utilité est indéniable soit comme direction de recherches soit comme instrument général d’interprétation, il me semble toutefois essentiel, pour reconnaître et reconstruire des systèmes économiques et sociaux particuliers, de tenir compte, en premier lieu, des situations spécifiques de chaque société. Sur cette base, il sera possible de formuler des hypothèses typologiques plus appropriées.

ADDENDUM Au cours de la XXVIIe R.A.I. (Paris, 30 Juin-5 Juillet 1980), E. Laroche m’a très aimablement montré sa translittération et sa traduction de la tablette de Meskéné Msk. 73.1097 et il m’a permis d’en utiliser ici le contenu, en ce qui concerne les problèmes liés au šaøøan et au luzzi. Qu’il reçoive ici mes plus vifs remerciements pour son amicale courtoisie. D’après ce que E. Laroche m’a communiqué, on peut très probablement dater cette tablette de l’époque de Ini-Teššup de Karkemiš, et, partant, de ÷attušili III/Tutøaliya IV. Comme ce savant l’a

À propos d’une situation de ce genre en milieu syrien, cfr. M. Liverani, RSI 77 (1963) 317 sqq. 123 V. la proposition de P. Garelli, op. cit., 343, de définir comme “palatial” le régime de dépendance dans l’Empire hittite et dans les autres états contemporains du Proche-Orient antique. 122

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déjà exposé ailleurs,124 il s’agit d’une lettre envoyée par un souverain hittite à un certain Alziyamuwa, pour lui reprocher d’avoir confisqué les biens d’un parent d’un devin125 dans le but de les donner à une autre personne,126 et en outre d’avoir imposé - certes arbitrairement - le šaøøan et le luzzi (l. 12 sqq.) à ce même devin, alors que, dès les temps les plus anciens,127 il était exempté de la prestation du šaøøan. Le souverain hittite ordonne au destinataire de la lettre de restituer les biens confisqués et de libérer le devin des charges auxquelles on l’avait soumis. Rappelons à ce point que la concession de privilèges à des personnes exerçant quelque activité en milieu cultuel est attestée ailleurs aussi: cfr. par exemple les §§ 50 et 51 des Lois; dans ce dernier paragraphe on confirme également le maintien d’un vieux bénéfice accordé au patrimoine d’un tisserand (v. p. 224 sq.). Il me paraît intéressant d’observer que dans la tablette de Meskéné on répète deux fois que dès les temps anciens le devin n’était pas tenu à prêter (ešša-, iter. de iya-) le šaøøan (ll. 10 sq. et 23 sq.), tandis que Actes du Colloque de Strasbourg, 1977 (= Université des Sciences Humaines de Strasbourg, Travaux du Centre de Recherches sur le Proche-Orient et la Grèce Antiques 5) 241. V. aussi CHD L-N, 91. 125 Il est difficile d’établir s’il s’agissait de la confiscation de biens (la “maison” et la vigne) qui appartenaient au parent du devin en question, ou de biens qui avaient appartenu avant à ce parent, mais qui actuellement faisaient partie du patrimoine du devin lui-même (cfr., par exemple, le document relatif a la répartition du patrimoine de Šaøurunuwa, ou les actes de donation de terres, où l’on indique la provenance des biens en question: v. Šaøur, 14 sq. § 3 et p. 167). À ce propos, il serait utile de savoir si l’enclitique -mu- “a moi”, insérée dans l’expression au début de la l. 6, se référait au terme LÚišøanittaraš (l. 6) ou a l’expression arøa daškizzi (l. 8), et, de même, si dans les ll. 17-31 il s’agissait d’une même personne a laquelle on avait confisqué les biens et a laquelle on avait imposé des charges, ou de deux personnes différentes (dans le cas spécifique, le parent du devin et le devin lui-même). 126 L’action de confisquer les biens de quelqu’un pour les donner a une autre personne est exprimée avec la formule arøa dâ- . . . pâi- (ici, les verbes sont a l’itératif), que, dans ce sens, nous connaissons aussi par d’autres textes hittites (également sous la forme IŠTU dâ-.... pâi-), correspondant a la formule NAŠÛ NADÂNU de certains textes d’Ugarit et des actes hittites de donation de terres; v. a ce propos J.C. Greenfield, GsFinkelstein, 87 sqq., et en particulier p. 89 avec note 22; sur une comparaison entre les “Freibriefe” et les actes de donation de terres, v. Šaøur., 148 sqq. (en particulier 149 note 4 et 167) et 19 avec note 62. 127 annaz “avant, dès les temps les plus anciens, autrefois” se trouve ici, comme ailleurs, en opposition avec kinun-ma “mais maintenant”; sur annaz, synonime de l’adverbe plus ancien karu; v. J. Friedrich-A. Kammenhuber, HW 2, 81. 124

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maintenant on lui a imposé le šaøøan (et) le luzzi (ll. 13 sq., 15 sq., 25 sq.).128 À ce propos, il est difficile d’établir si une telle alternance entre ces impositions était fortuite, ou si l’on avait voulu ici faire réellement une distinction entre ces deux types de charges, comme le ferait supposer leur place inchangée dans le contexte,129 et peut-être aussi le fait que ces deux termes ne semblent pas ici être toujours unis par asyndète. À mon avis, cette tablette confirme quelques observations que nous avons faites au cours de cet exposé. Elle démontre que les hauts fonctionnaires qui gouvernaient des régions périphériques comme représentants de l’autorité centrale avaient la possibilité d’exercer des abus - évidemment à leur avantage - et d’accroître ainsi leur pouvoir. Du teste, dans certains des documents examinés ci-dessus, surtout ceux où l’ on concède des exemptions, on sent la préoccupation du souverain de prévenir des faits de ce genre et non seulement de défendre les intérêts du destinataire d’un bénéfice.130 La situation que nous présente la tablette de Meskéné, selon moi, s’adapte mieux à un type de monarchie centralisée qu’à celui d’une monarchie féodal, cela surtout polir l’intervention directe du souverain dans le but d’empêcher un abus de pouvoir de la part d’un de ses dignitaires. Il me semble qu’on peut sentir une préoccupation de ce genre également dans quelques passages des “instructions aux seigneurs et aux fils du roi” - de l’époque justement de Tutøaliya IV - qui pouvaient avoir, entre autres, la charge de gouverner des régions et auxquels on demandait fréquemment fidélité absolue au souverain (v. p. 240 sqq.).

kattan dâi- (ll. 14, 26) “soumettre” au šaøøan et au luzzi ces deux termes sembleraient être une fois à l’accusatif (ou au cas absolu?), coordonnés par la conjonction -ya (l. 13 sq.: šaøøan luzzi-ya kattan tîir) et une fois au datif-locatif, liés par asyndète (l. 25 sq.: šaøøani luzzi . . . kattan daišten). A la l. 15, selon une intégration plausible de E. Laroche, les deux termes seraient unis par la conjonction -a (ša-aø-øa-an lu-uz-zi-in-n[a?]); on remarque ici une forme d’accusatif luzzin au lieu de la forme neutre plus habituelle luzzi. 129 Cfr. ce que nous avons observé à la p. 231 à propos d’un passage du traité avec Ulmi-Teššup de Tarøuntašša, texte chronologiquement proche de la tablette de Meskéné. 130 Cfr. pp. 235, 241 sq. A noter l’expression de la l. 31 sq. de la tablette de Meskéné n-an lê kuiški dammiškaizzi “et que personne ne l’opprime”, et cfr. l’expression dans KUB XVII 21 I 24 sq. à la note 45 de cet article. 128

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XII.

LEHENWESEN s.a. Feudalismus, ilku. Bei den Hethitern

§ 1. Proposal for an interpretation of the Hittite social structure in a “feudal” sense. Of the various proposals for a typological classification of Hittite society - also in comparison with the other societies of the Ancient Near East - one which found favour with scholars even before the second World War was its definition as a society of a “feudal” description. For an exposition and discussion of the opinions expressed on this subject and for the bibliography concerning the problems dealt with in the present article, see P. Garelli, Le Proche-Orient Asiatique, Bruxelles 1969 (= Nouvelle Clio 2) 339-345; A. Archi, SMEA 18 (1977) 7-18; F. Imparati, JESHO 25 (1982) 249-267.

§ 2. Arguments in favour of this interpretation. a. The supporters of this “feudal” interpretation rely, in the first place, on the international treaties which regulated the relations between the Hittite Great King and the sovereigns who were dependent in some way on the kingdom of ÷atti: the clauses concerning personal, military, political, economical, fiscal and judicial matters, as well as mutual assistance, were placed under the protection of the deity and ratified by an oath sworn by the dependent monarchs. These sovereigns, moreover, were obliged to pay a tribute and to present an act of homage to the Great King each year. b. These treaties have been compared with other documents which regulated relations of dependency within the Hittite state structure, the so-called “instructions” addressed to various categories of dignitaries and to those occupying, at different levels, administrative, military and cultual positions within the state itself or within the palace organisation. We possess a reasonably ample documentation of these “instructions” covering different periods of Hittite history from the Old Kingdom 253

onwards. In several of these documents at the end of the various clauses specifying duties to be carried out and prohibitions to be observed, we find a formula for an oath, and, in some cases, a request for a vow of loyalty to the sovereign. This manner of regulating relations of dependency both within and without the Hittite state has been compared to the ties of vassalage which bound, in medieval times, subject and sovereign. c. Scholars favouring this “feudal” hypothesis have focussed their attention on the documents with which Hittite sovereigns granted privileges (donations of land, for example, or exemptions from taxes or services due to the state) to certain individuals or religious institutions. d. Moreover, scholars have concentrated their interest on the organisation of real estate. Even though the extant documents contain hardly any examples of private dealings, it is reasonable to presume the existence of private property of land. These lands belonged to “free” members of the village communities and to high-ranking dignitaries, holding a position in the state bureaucratic organisation, who had received the land as a royal gift or otherwise acquired it (see last paragraph, infra). These lands could either be exploited directly in different ways, sometimes with the participation of minor associates, or leased. These lands were subject to taxes levied by the central administration and could be both inherited and sold. Other lands belonged to the palace and the temple (regarding the economic dependency of the temple on the state, see § 3.b) and could either be exploited directly by means of a labour force dependent on one or the other of these administrations, or granted in usufruct in exchange for tributes or services, or else leased out. These lands could be neither inherited nor sold. Scholars have shown particular interest in lands assigned by the palace to its dependents and subject to certain obligations. e. The increasing use of the war-chariot in military undertakings, according to new improved techniques and equipment, is considered to be one of the principal causes of land grants by the palace, with the aim of giving the beneficiaries of these grants the possibility of procuring for themselves the necessary war equipment, which had become extremely 254

costly. This situation has led to establish parallels with the feudal societies. f. Finally, reference has been made to certain titles of Hittite dignitaries and functionaries clearly originating within the court environment, even though they do not always correspond to the actual functions of their bearer (see e.g. the GAL (LÚMEŠ) GEŠTIN, the “great/chief (of the men) of the wine”, who was an important military chief): a comparison has been drawn with a similar situation existing in the feudal societies. § 3. Arguments contrary to this interpretation. The above considerations have aroused considerable discussion among certain scholars. a. As far as the regulation of the international relations is concerned, the oath of loyalty, the annual act of homage and tribute to the Hittite Great King by the sovereigns subservient to him do not seem sufficient to suggest a fundamental similarity between these monarchs and feudal vassals. b. As regards the “instructions” mentioned above, it should be pointed out that these documents were of a more public than private nature in that they were generally addressed to collective bodies rather than to individuals, and that their aim was that of providing technical directions and of conferring specific duties on the bodies concerned. On the other hand, documents in which the sovereign requested an oath of loyalty from individuals are rare and limited to periods of internal or external crisis of the state, when the sovereign needed to be sure of the loyalty of his subjects, and especially of those who governed, as members of the bureaucratic organisation of the state, garrisons or regions away from the capital and for this reason more easily subject to defection. One of these documents is the so-called “oath of Ašøapala” (CTH 270), who was probably a garrison commander during the Middle Kingdom, perhaps in the reign of Arnuwanda I; there are two further texts dating from the last period of the Empire concerning respectively an oath

255

made by a chief of the scribes to Šuppiluliuma II (CTH 124, cf. also CTH 125) and the request for an oath of loyalty from a high member of the Hittite court who, during the reign of Šuppiluliuma II (or Arnuwanda III), governed in the name of the Hittite king certain regions presumably distant from the capital (CTH 123). It appears significant in this context the fact that several documents, too, containing “instructions” to dignitaries administrating in the name of the king circumscriptions of greater or lesser size, but presumably situated at crucial points for the security of the kingdom, or who were responsible for the defence of the capital, date from the reign of Arnuwanda I: see the “instructions” for the commander of the border guards (CTH 261), for the heads of garrison (CTH 260) and for the Mayor of ÷attuša (CTH 257).

c. The granting of privileges or immunities seems to be often tied to particular circumstances for the monarchy or the country: it is significant that the majority of those documents referring to exemptions from various obligations date from the reign of ÷attušili III, who was an usurper. It is important, besides, that in documents of this kind the emphasis is placed on the privilege granted by the king to his favourite, while the vow of loyalty or any other sort of promise on behalf of the subject is not dealt with: at most, it is briefly mentioned. d. As regards land grants by the palace to its dependents in exchange for the performance of certain obligations, we must above all bear in mind that, should it become impossible to honour these obligations (as happened, for example, on the disappearance of the person to whom the grant is made), such lands could not be inherited or sold, but must return automatically to the palace, which disposed of them as it saw fit. Moreover, the documents seem to show an increasing intervention of the king in private property, too, without this being necessarily interpreted in the sense of a denial of private property. It is far from easy to establish the actual value of the terms in which certain obligations were expressed (service to perform or tribute to pay) and to distinguish between them; it is moreover difficult to define exactly who was held to the obligations in question, and to whom they were due. For a comprehensive examination of the various interpretations proposed for such terms and expressions as šaøøan, luzzi, ILKU and man of ILKU, GIŠTUKUL and man of GIŠTUKUL, in the different contexts and in the various periods in which they appear (not only in relation to the grants of real estate), and for the relative bibliography, see JESHO 25, 326 f.

256

e. With respect to the military organisation and the problem of the high cost of weaponry, surviving texts nowhere refer to private persons procuring the latter for themselves; in fact, with the Hittites, as with other peoples of Ancient Western Asia, the central administration was in charge of the provision of equipment for its army, collecting through special functionaries the supplies necessary for this purpose, and redistributing them according to need. Regarding the information contained in several documents in which ÷attušili III granted exemptions from certain obligations due to the state, see our remarks in SMEA 18 (1977) 43 with notes 85, 86; for the function of É duppaš “house of tablet” as administrative institution dependent on the central authority and detached in zones subject to the latter, and responsible, among other things, for the collection of tributes for the king, which also included troops of various kinds, see Athenaeum 47 (1969) 154 ff.

i. The reference to certain titles given to Hittite dignitaries (see § 2.f) does not provide a sufficient basis for surmising analogies with the feudal societies, as it is possible to find examples of the same kind in different periods and societies, too. g. It is also important to note that the Hittite king acted as supreme judge, while we have no evidence of justice being administered by lords within their own domains, as in feudal times. The Hittite monarch dealt personally with crimes of a certain importance, and where death penalty was involved, had the power to pardon the offender; in some cases he led personally the proceedings; usually, however, the judicial function was in the hands of royal officials, sometimes with the assistance of representatives of the local community, such as the Elders and the inspector of the town or village, but whose authority was limited, presumably, to the local sphere. Justice was administered at the “king’s door” or the “palace door”, palace here referring not only to the royal palace but also to those palaces which, in various parts of the kingdom, housed administrative centres and were directly answerable to the central government.

h. There was, in Hittite society, a high degree of integration between political and religious power; as supreme priest the king held a position of prime importance in the cult and carried out various forms of control 257

over the temples and other religious institutions, which represented economic centres of considerable significance and depended on the state. As far as the commercial activities are concerned, from what little evidence we have, it can be presumed that merchants were attached to the palace administration. Even so, there is no reason to rule out some margin for private commercial enterprises; these, however, must have played quite a minor role: in any event, as in other cases, the almost total lack of documents of a private description makes any hypothesis problematic.

§ 4. Conclusion. The facts here examined give evidence of a highly centralised Hittite monarchy, that made its influence felt in all sectors of life, political, social, economic and religious. It is true that, from the existing evidence, it seems possible to ascertain that, during the Hittite Old Kingdom, the Great Ones (that is, the heads of certain categories of dignitaries besides high court functionaries, and perhaps also the heads of the principal families) possessed considerable power, which enabled them to limit, and in some case to obstruct, the king’s authority. However, even though one may suppose a certain concern on the part of the king regarding their considerable interference in the affairs of the state administration, it seems that this administration did, in fact, remain in the hands of members of the royal family. During the Empire, the Great Ones and the Lords (which title seems to include also almost all those dignitaries elsewhere referred to as Great Ones) all appear to hold positions in the vast bureaucratic organisation of the state, which enabled them to become great landowners either by means of military conquest (see the case of Šaøurunuwa, noted in JESHO 25, 256 with note 104) or by the practice of certain abuses. Particularly noteworthy in this last context is a tablet found at Meskene (the ancient Emar) containing a letter sent by the Hittite king ÷attušili III or Tutøaliya IV to one of his dignitaries - who seems to have governed that region in the name of the central authority - for the purpose of preventing him from making illegal use of his power, presumably in his own interest (Msk. 73.1097 see E. Laroche, Actes du Colloque de Strasbourg [1977] 241, and also JESHO 25, 264 ff.). Such direct intervention on the part of the sovereign seems more in keeping with a centralised monarchy than with a feudal one. Finally, let it be noticed that, with the increase in royal power and the consequent growth of bureaucracy, the palace came to have a much stronger

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control also over the village communities, who were allowed to maintain only those functions linked with traditional institutions, such as the judicial and the religious, while all that concerned politics and economy was under the direct control of the central power.

We can conclude, therefore, that the divergences in the structure of Hittite society and that of feudal societies seem to prevail over certain similarities which can be observed. It ensues that the adoption of a typically feudal terminology to designate certain institutions of the Hittite state may misrepresent the features proper to this society.

BIBLIOGRAPHY A. GOETZE, State and Society of the Hittites, Historia 7 (1964), 23-33. E. V. SCHULER, Staatsverträge und Dokumente heth. Rechts, Historia cit., 34-53. K.K. RIEMSCHNEIDER, Zum Lehenswesen bei den Hethitern, ArOr 33 (1965), 333-340. I.M. DIAKONOFF, Die heth. Gesellschaft, MIO 13 (1967) 313-366. F. CORNELIUS, Das Hethiterreich als Feudalstaat, RAI 18 (1972) 31-34. A. ARCHI, Bureaucratie et communautés d’hommes libres dans le système économique hittite, FsOtten (1973) 17-23. H. KLENGEL, Zur ökonomischen Funktion der hethitischen Tempel, SMEA 16 (1975) 181-200.

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XIII.

IL TRASFERIMENTO DI BENI NELL’AMBITO DEL MATRIMONIO PRIVATO ITTITA

Premetto che questa comunicazione ha solo carattere espositivo: per una trattazione più dettagliata di questo argomento, v. il mio studio Le Leggi Ittite, Edizioni dell’Ateneo (Roma 1964) e quello di E. Volterra, in Corso di Lezioni. Diritti dell’Oriente Mediterraneo, Edizioni Ricerche (Roma 1970) 285-305, con relativa bibliografia. Non sono molte le notizie pervenuteci sulla procedura matrimoniale presso gli Ittiti,1 per la quasi totale assenza nei loro archivi di documenti a carattere privato. Le notizie in proposito si ricavano principalmente da alcuni articoli della raccolta di Leggi riguardanti, com’è noto, casi particolari che infrangono la consueta procedura matrimoniale, fornendoci così alcuni elementi per ricostruirla. Qualche informazione si può inoltre trarre da altri documenti, come da alcune clausole di trattati internazionali e da alcuni editti emanati da sovrani ittiti. Da questi documenti, ma soprattutto dalle Leggi, si può riconoscere presso gli Ittiti - per quanto riguarda la procedura matrimoniale - la presenza di istituzioni analoghe a quelle di altri popoli del Vicino Oriente antico. Non conosciamo il termine astratto con cui gli Ittiti definivano il concetto di matrimonio. Si servivano a tale scopo di queste espressioni riferite all’uomo “prendere in moglie/come sua propria moglie/nello stato di moglie”; vi sono inoltre frasi come; “(egli) ha una donna libera in moglie” e “non farla tua moglie”.2 Non parlerò delle procedure che regolavano i matrimoni regi, all’interno e all’esterno del regno ittita, di cui abbiamo notizia principalmente da documenti epistolari e da trattati internazionali, poiché ciò esula dal nostro argomento. Tali procedure matrimoniali presentano una tipologia particolare e la documentazione in proposito appare fortemente soggetta a condizionamenti ideologici e di natura politica, e non è quindi molto illuminante per una rappresentazione dell’istituto matrimoniale presso gli Ittiti. 2 In ittita il verbo dâ- “prendere” indica anche “prendere sessualmente”, e così pure il verbo ep- “afferrare, prendere con violenza”. Sui modi diversi in cui un uomo 1

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E. Volterra (op. cit., 296) osserva che anche presso gli Ittiti, come presso altri popoli dell’Asia anteriore antica, “il matrimonio si compie con la sola dichiarazione di volontà dell’uomo: quella della donna non è richiesta come elemento del matrimonio”. Sono presenti nei testi ittiti anche le espressioni “prendere (come ) genero - § 36 delle Leggi - (questa traduzione genero non è, come vedremo più avanti, molto appropriata) e “nessuno deve dare/cedere un giovane o una giovane nella posizione di nuora e genero” - Editto della regina Ašmunikal, r. 14 sg. - (anche questo è un modo un po’ improprio di rendere un termine astratto ittita), ma si tratta di situazioni particolari che vedremo meglio in seguito. Da alcuni paragrafi delle Leggi risulta che l’uomo pagava ai genitori della promessa sposa il kušata, termine generalmente tradotto con “prezzo della sposa/delle nozze” e corrispondente al sumerico NÍG.MÍ/MUNUS.ÚS(.SÁ) (e probabilmente a KÙ.DAM.TUKU “denaro per il prendere una moglie”), all’accadico terøatu(m) all’ebraico e all’aramaico môhar. Termini corrispondenti a terøatum e a môhar sembrano presenti ad Ugarit (trø e mhr), ed anche nel Corano e nel diritto islamico compare un termine non dissimile da quello ebraico e aramaico (mahr).3 Dalle Leggi ittite si può dedurre l’importanza legale del pagamento del kušata, essenziale per rendere legittimo un impegno matrimoniale: infatti, una volta che è avvenuto tale pagamento, ed anzi proprio in conseguenza di esso, viene sottoposta a sanzioni la parte che si rifiuta di tener fede all’impegno preso. Significativi, a tal proposito, sono i §§ 29 e 30, nei quali si contemplano casi in cui non si tiene fede all’impegno matrimoniale dopo che è già avvenuto il pagamento del kušata; allora, nel caso (§ 29) in cui siano i genitori della ragazza ad opporsi al legame e a separare i due promessi sposi, quelli devono risarcire per ben due volte il kušata; nel caso invece (§ 30) che sia il promesso sposo a rifiutare la ragazza, egli deve rinunciare al kušata. In sostanza la pena comminata nel § 30 non contrasta con quella stabilita nel paragrafo precedente per i genitori della poteva prendere una donna in Israele - in confronto con i dati relativi agli altri popoli del Vicino Oriente antico - v. A. Tosato, Il Matrimonio Israelitico, Analecta Biblica 100 (1982). 3 V. per ultimo A. Tosato, op. cit., 101.

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ragazza, i quali erano tenuti a risarcire il kušata per due volte, e cioè una volta come restituzione del kušata stesso e una volta come ammenda o come indennizzo per il promesso sposo; nel § 30 invece il fidanzato lascia come ammenda o indennizzo il kušata che aveva dato. Tali pene dimostrano che il pagamento del kušata aveva un valore reale e non puramente simbolico, come alcuni studiosi hanno opinato. Anche un confronto di questi due paragrafi (29 e 30) con il precedente § 28 mostra che il pagamento del kušata da parte del futuro sposo dava origine ad un vincolo legale con la fidanzata e la famiglia di lei, vincolo designato col participio øamenkanza (da øamenk- “legare”): v. § 29 r. 11. “se una ragazza ad un uomo (è) legata”. In tal modo si esprimeva un legame ben più forte di un semplice impegno non accompagnato dal versamento del kušata; questo tipo di impegno era invece espresso mediante il participio taranza,4 v. § 28A r. 5: “se una ragazza ad un uomo (è) promessa”. Probabilmente, infatti, nel § 28 si parlava di un impegno basato su uno scambio di promesse ed anche di doni, almeno da parte dell’uomo (r. 6 sg. “allora qualunque cosa il primo uomo ha dato, allora egli (= l’altro, il secondo uomo) a lui risarcisca”), ma non dell’effettivo pagamento del kušata. Infatti in questo articolo (§ 26B), in caso di interruzione del fidanzamento provocata dai genitori della ragazza, non si parla espressamente della restituzione del kušata come nei § 29 e 30, ma soltanto più genericamente di risarcimento. Come già abbiamo osservato, nel § 29 doveva trattarsi di un legame, diciamo, contrattuale, anche se la promessa sposa abitava ancora in casa dei genitori. Nel § 30 la rottura del fidanzamento, come abbiamo visto, è provocata dal promesso sposo il quale, pur avendo pagato il kušata per la ragazza, non l’ha però ancora presa, cioè non ha ancora avuto rapporti sessuali con lei, e può quindi rifiutarla, tuttavia egli deve rinunciare al kušata. Ciò mi sembra dimostrare che, dopo il pagamento del kušata, il giovane poteva avere rapporti sessuali con la ragazza, anche se essa, presumibilmente, non era ancora andata ad abitare nella casa di lui: Da tar- (verbo suppletivo di te- “dire”) che significa, oltre che “dire”, anche “indicare” e “promettere”. 4

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parrebbe però dalla r. 14 (“E se l’uomo la ragazza non ancora ha preso, allora per se può rifiutarla”) che il giovane, dopo tali rapporti, non potesse respingerla, cioè abbandonarla. Il Volterra (op. cit., 299) invece intende questo articolo nel senso che il giovane, in caso di rapporti sessuali con la propria fidanzata, non sarebbe stato costretto a compiere il matrimonio, ma le conseguenze della rottura del fidanzamento sarebbero state più gravi della semplice perdita del kušata. Questo però non mi sembra risultare dalla lettura dell’articolo. Per contrarre un matrimonio, mentre l’uomo doveva pagare il kušata, la donna era tenuta a portare l’iwaru, termine che significa letteralmente “dono” e che in questo caso viene concordemente inteso come “dote”; esso corrisponde al termine sumerico SAG.RIG e all’accadico šeriktu(m) (Leggi di ÷ammurabi) - assiro širku (Leggi medioassire) - e all’ebraico šîllûhîm; sembra che ad Ugarit esistesse un termine (Ólø) ricollegabile a quello ebraico. Dal § 27 delle Leggi, dove si contempla il caso di una donna che muoia prima del suo sposo, si prospettano due possibilità circa l’utilizzazione dell’iwaru (cioè della dote di lei): se la donna dopo il matrimonio è andata ad abitare in casa del marito (ovviamente recando con sé la sua dote), alla sua morte questa dote spetta al marito, anche se forse soltanto temporaneamente a vantaggio dei figli (potremmo dire che egli la tiene come tutore in nome dei figli); se invece la donna muore in casa di suo padre - dove si intuisce che essa sia rimasta anche dopo il matrimonio - la sua dote allora non va al marito, neppure se ci sono dei figli. Si può presumere in questo caso che la dote passi ai figli, che rimarranno probabilmente nella casa del nonno. Non si parla né in questo articolo né in altri del caso in cui non vi fossero figli, ma sembra logico supporre che la dote della donna tornasse allora nel patrimonio paterno. Sempre nel § 27 Col. II r. 1 sg. compare una frase sulla cui interpretazione i pareri degli studiosi sono discordi “[allora] dell’uomo il suo bene si brucia”. Tralasceremo un esame completo delle varie proposte interpretative di questo passo per ricordare soltanto un’ipotesi del Korošec del 1932, e cioè che l’azione di bruciare i beni avesse riferimento a qualche uso rituale, e la proposta del Friedrich di intendere 264

la frase nel senso che accanto al cadavere della donna venissero bruciati degli oggetti domestici, considerati di proprietà dell’uomo, perché accompagnassero la moglie nell’al di là.5 Il Neufeld vede nel termine aššu-, lett. “bene”, una probabile analogia con il nudunnì(m) menzionato esplicitamente nei §§ 171, 172 delle Leggi di ÷ammurabi e nei §§ 27, 32 delle Leggi medio-assire - e implicitamente anche in altri articoli di queste due raccolte di Leggi - per designare una donazione fatta dal marito alla moglie durante il matrimonio e non prima. Questa analogia non mi sembra però troppo convincente, non solo perché il nudunnì(m) non era obbligatorio in un matrimonio (LH 172), ma anche, e soprattutto, perché esso spettava ai figli alla morte della madre (almeno si intuisce da LH 171) o nel caso che essa, anche durante la vita, si separasse (LH 172).6 Quindi, a me pare che nel nostro articolo si debba vedere in aššu un semplice riferimento a “beni” appartenenti al patrimonio del marito, e ritengo che si voglia qui specificare soltanto che, se la donna muore in casa del suo sposo, è a lui che spetta di fornire gli oggetti necessari per il rito funebre. Il § 27 fin qui esaminato e il § 36 che vedremo ora mostrano la duplice possibilità che aveva una donna di sistemare la sua famiglia. Nel § 36 si parla di un servo che paga il kušata per un giovane libero e lo prende come LÚantiyantan (accus.): allora nessuno può farlo uscire da questo matrimonio. Si è molto discusso sull’interpretazione di questo paragrafo:7 alcuni studiosi vi hanno addirittura visto un riferimento ad una relazione omosessuale, di cui appunto si parlerebbe qui perché nelle Leggi ittite vengono esaminati soltanto casi particolari, che non sono regolati dalle consuetudini. La spiegazione del paragrafo, oggi comunemente accettata, è stata proposta dal Balkan, che ha appunto chiarito il significato espresso dal termine LÚantiyantan, accusativo di antiyant-, da anda iyant-, participio di anda iya- “andare dentro, entrare”, con cui si designava “lo

V. Leggi, 209 sg., con relativa bibliografia. Secondo il Cuq il NUDUNNÛ(M) designava anche donazioni fatte dai genitori della donna in occasione del suo matrimonio, indipendentemente dalla dote. 7 V. la bibliografia relativa in Leggi ittite, 218 sg. 5

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sposo che entra (nella casa del suocero)”, cioè il genero sposato dentro questa casa. Il Balkan ha confrontato questo tipo di matrimonio, che in fondo contiene in sé l’idea dell’adozione, con il matrimonio errêbu (l’accadico erêbu significa appunto “entrare, far entrare, andare in”), attestato presso altri popoli dell’Asia anteriore antica. Tale istituzione, osserva il Balkan, continua ancora presso i Turchi; infatti in turco moderno compare il termine içgüvey, che significa letteralmente “il genero (che abita) dentro”, composto da iç “dentro” e güvey “genero”. Nonostante la scarsità di documenti ittiti di tipo privato (e, quindi, relativi anche a casi di adozione), si può presumere che il genero che entrava nella famiglia della sposa venisse adottato dal suocero. È significativo in tal senso un atto regio, forse dell’epoca di ÷attušili I (seconda metà del XVII sec. a.C., secondo la cronologia media qui seguita), in cui l’ “amministratore” di una città adotta un certo Ziti, concedendogli la figlia in matrimonio ed assegnandogli anche beni in eredità, da cui invece viene escluso il figlio legittimo.8 Si ricorda inoltre la tesi proposta dal van Praag, in contrapposizione al David, a proposito del matrimonio errêbu assiro, e cioè che l’uomo, pur abbandonando la sua famiglia, con l’adozione ne acquista un’altra, quindi i figli fanno, sì, parte della famiglia della donna, ma solo in quanto questa è la famiglia (acquisita) dell’uomo: si tratta dunque sempre di un matrimonio patriarcale. Tornando all’ambito ittita, è interessante ricordare che il termine LÚ antiyant si trova anche nell’Editto del sovrano ittita Telipinu (seconda metà XVI sec. a.C.) laddove si stabiliscono le norme per la successione al trono: tale termine è lì usato per designare lo sposo della figlia di un primo rango del re, destinato a succedergli al trono qualora non esista un erede maschio, figlio della moglie di primo o di secondo rango. (“...Ma se un principe maschio non c’è, allora per lei che (è) figlia di primo rango si prenda un LÚantiyant- ed egli divenga re”). Ciò si accorda bene con il significato sopra esposto del termine LÚa.: esso designa anche qui un 8 V. K. Balkan, Eine Schenkungsurkunde aus der althethitischen Zeit, gefunden in Ønandik 1966, Ankara 1973, e la relativa recensione di G.F. Del Monte, OA 15 (1976) 345 sgg.

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genero che diviene parte integrante della famiglia del suocero (= il re), al punto da poterne ereditare il trono. Anche in un frammento delle Istruzioni per i LÚMEŠ SAG (alti dignitari della corte ittita), nel § 7 r. 10 si trova il termine in questione al plurale, antiyanteš, subito dopo una lacuna che ha dato origine a diverse proposte di integrazione e quindi di interpretazione. Comunque, per il parallelismo di questo termine con l’espressione LÚMEŠ÷ADAN LUGAL “generi del re” nella riga seguente, e per il contesto, si può ragionevolmente presumere che gli “antiyanteš che (sono) [del? r]e” ivi menzionati non fossero altro che i “generi del re”. Probabilmente si contemplava qui l’ipotesi che essi potessero cospirare contro il re, dato che nel paragrafo precedente si esaminava l’eventualità di una cospirazione dei “signori” e dei “figli del re”, quindi di persone molto vicine al sovrano. A noi comunque interessa la corrispondenza dell’espressione “antiyanteš che (sono) del re” con l’espressione “generi del re”. Doveva inoltre esistere la forma astratta *LÚandaiyandatar, come si può presumere dal dat.-loc. LÚandaiyandanni, presente nel passo di un decreto emanato dalla regina Ašmunikal (seconda metà XV sec. a.C.) in occasione della costituzione di un complesso cultuale detto “Casa di Pietra”, legato al culto dei morti, verosimilmente appartenenti alla famiglia reale, quindi un mausoleo. Il decreto di Ašmunikal ne regola l’organizzazione. Questo complesso cultuale mostra una struttura economica di un certa entità: villaggi, personale dipendente di vario genere (pastori, agricoltori, artigiani), bestiame. Tale struttura si presenta come economicamente autosufficiente e chiusa alla redistribuzione di eccedenze verso l’esterno. È inoltre proibita anche la vendita di beni mobili e immobili appartenenti alla Casa di Pietra. Tali beni si potevano invece acquistare. Si dice inoltre che “se un dipendente della Casa di Pietra commette una colpa (degna) di morte, allora egli muoia, ma la sua casa (patrimonio) (rimarrà) della Casa di Pietra”, e poi “agli uomini (= al personale) della Casa di Pietra si possono offrire (donne) in sposa (cioè, essi possono sposare donne provenienti dall’esterno), ma nessuno deve dare/cedere un giovane (o) una giovane nella condizione di *andaiyatar (dat. andaiyanni)”, cioè di nuora o di genero. Si afferma quindi che

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nessuno deve lasciar uscire dalla Casa di Pietra un giovane o una giovane per matrimonio. Insomma, i dipendenti di questa sede erano tenuti a procurarle il maggior reddito possibile. Ciò spiega anche le disposizioni matrimoniali relative a questi dipendenti. Essi avevano cioè il diritto di sposarsi con individui estranei all’economia del Mausoleo, acquisendoli in tal modo ad esso, mentre non avevano il diritto di far uscire nessuno dal Mausoleo mediante il matrimonio. In sostanza, il matrimonio poteva portare nuovo personale al Mausoleo, ma non diminuirlo.9 Tornando al § 36 delle Leggi, rimane ancora incerto il perché fosse stato il padre della sposa (un servo) a pagare il kušata, e non il promesso sposo, com’era d’uso. Ciò si potrebbe spiegare accettando l’ipotesi sopra esposta dell’adozione del genero, e quindi sempre di un matrimonio di tipo patriarcale. Oppure, come ho ipotizzato nel mio lavoro sulle Leggi (ipotesi accettata anche dal Volterra, op. cit., 300 sg.), poteva trattarsi di una specie di compera-adozione, ovvero del caso in cui da un lato si fosse trovato un uomo libero, ma privo di mezzi, e forse anche di una famiglia e di una casa, e dall’altro un servo ricco (è infatti noto che i servi potevano possedere beni propri) - e forse privo di figli maschi - il quale versava il kušata al posto del genero allo scopo di dare all’unione il valore di matrimonio legittimo con le conseguenze giuridiche ad esso connesse nei confronti della donna, la quale probabilmente poteva in tal modo uscire dallo stato di servitù; è anche possibile che i figli nati da questa unione potessero essere liberi. Inoltre il suocero, accogliendo il genero nella sua casa/famiglia poteva forse dare ai futuri nipoti la possibilità di ereditare da lui. Comunque, non si fa qui alcun cenno alla posizione e allo stato sociale dei figli nati da questa unione. In ogni modo, anche questo articolo come altri mostra che il pagamento del kušata dava validità ad un matrimonio, che nessuno aveva la facoltà di interrompere (v. r. 28: “allora lui nessuno fa uscire”). A proposito della possibilità dei figli di una figlia di ereditare dal nonno, si può fare un confronto con un documento contenente un decreto regio promulgato dal sovrano ittita Tutøaliya IV insieme alla 9

V. G.F. Del Monte, AION 35 (1975) 323 sgg.

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madre Puduøepa (seconda metà XIII sec. a.C.) concernente l’assegnazione di una parte del patrimonio di un personaggio di alto rango di nome Šaøurunuwa ai suoi nipoti, figli di una figlia. A questi beni erano legati particolari oneri e privilegi che in questo atto vengono trasferiti ai legittimi eredi del patrimonio.10 All’inizio di questo documento, dopo un preambolo contenente il nome e la titolatura del re e della regina che hanno emanato il decreto e il nome e i titoli di Šaøurunuwa, a cui il decreto è diretto, si enuncia che Šaøurunuwa aveva così ripartito il patrimonio fra tutti i suoi figli, quindi si accenna brevemente a quello che era stato dato ai suoi due figli maschi. È probabile che essi avessero ricevuto la parte maggiore del patrimonio di Šaøurunuwa, ma che se ne parlasse qui sommariamente perché, trattandosi di eredi maschi e discendenti diretti, la loro successione non avrebbe verosimilmente dato luogo a controversie. O forse perché poteva esistere un altro atto in proposito, emanato appositamente per questi due figli. Infatti il documento in questione riguardava specificamente l’assegnazione dei beni di Šaøurunuwa ai figli della figlia ed era stato stipulato appositamente per loro: è quindi logico che vi si specificasse ogni particolare dettagliatamente, per evitare errori e possibili contestazioni. Nel § 3 del decreto si parla appunto dell’assegnazione dei beni in questione ai figli della figlia di Šaøurunuwa la quale, essendo femmina, non poteva ereditare direttamente dal padre, sicché i beni di questa passavano ai figli di lei. Si trattava presumibilmente di una figlia sposata, rimasta ad abitare presso il padre anche dopo il matrimonio: come abbiamo visto, una simile eventualità può trovare conferma nei §§ 27 e 36 delle Leggi. Tuttavia, lo sposo non aveva alcun potere sui beni trasmessi ai figli direttamente dal patrimonio del nonno: dal nostro documento, comunque, sembrerebbe che Šaøurunuwa avesse lasciato qualcosa anche al genero, ma a parte, separatamente dai beni prima menzionati. Come del resto abbiamo già rilevato, anche nella successione ereditaria al trono, in mancanza di una discendenza in linea maschile, la successione passava o allo sposo della figlia (Editto di Telipinu), o alla discendenza maschile della figlia (come risulta da un passo di un trattato 10

V. il mio studio in RHA 32 (1974) 5-209.

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stipulato dal sovrano ittita ÷attušili III (prima metà XIII sec. a.C.) con Ulmi-Teššup di Tarøuntašša. A questi esempi si può aggiungere anche il passo di un altro documento in cui ÷attušili III e la sua sposa Puduøepa concedevano dei benefici alla dea Ištar di Šamuøa, e ne conferivano il sacerdozio al figlio del sovrano e ai suoi discendenti maschi. È per noi interessante la clausola relativa al caso in cui questo figlio di ÷attušili non avesse avuto una discendenza diretta in linea maschile: allora il sacerdozio sarebbe spettato alla discendenza della figlia del re e dello sposo di lei. (Questo sacerdozio non doveva però passare alla discendenza di un altro. Si tendeva cioè a conservare un certo diritto, oltre che il patrimonio, nell’ambito di una stessa famiglia). Nel testo di Šaøurunuwa si citano i nomi di due figli della figlia e si allude poi genericamente ai loro fratelli, intendendo riferirsi in tal modo a tutti i figli della donna, anche a quelli che sarebbero nati in seguito. In questo documento si parla di solito globalmente dei figli della figlia di Šaøurunuwa, e in quei rari casi in cui la figlia viene nominata da sola, la si deve sempre considerare come rappresentante dei figli. È nota l’esistenza presso gli Ittiti, come presso altri popoli antichi, oltre che di una proprietà fondiaria individuale (come quella di Šaøurunuwa), anche di una proprietà collettiva, che del resto si addiceva bene ad un sistema economico in cui il bestiame e i pascoli tenevano un ruolo considerevole. Riprendendo l’esame dei paragrafi delle Leggi, è interessante ricordare che due di questi paragrafi, il 28A, già parzialmente esaminato, e il 35 hanno fatto ipotizzare al Korošec l’esistenza presso gli Ittiti del matrimonio per ratto. Nel § 28A leggiamo che se un uomo pittenuzi (r. 5) una ragazza già promessa ad un altro, è a colui che ha commesso l’azione espressa dalla voce verbale pittenuzi - e non ai genitori della ragazza - che spetta l’obbligo di indennizzare il primo fidanzato di qualsiasi cosa egli abbia dato. Il problema sorge dall’interpretazione del verbo pittenu-, che si ritrova anche nel § 35 r. 25, in cui si contempla il caso di un pastore o di un amministratore che pittenuzi una donna libera: su questo articolo torneremo ancora.

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Il verbo pittenu- è formato da piddâi- “correre, fuggire” (da non confondere con piddâi- “pagare”) + il suffisso causativo -nu, per cui il nostro verbo nei paragrafi in questione significa “induce (la ragazza) a correre, a fuggire” ed anche “(la) rapisce”. Il Friedrich, e con lui altri studiosi, pur traducendo pittenu- con “entführen”, l’intende però nel senso di “zum Laufen (Fliehen) veranlossen”: egli spiega che l’uomo persuade la ragazza a fuggire via con lui dalla casa dei suoi genitori, mettendo così in rilievo che i due giovani sono d’accordo fra sé. Il Korošec invece interpreta l’atto espresso dal verbo pittenu- come una conservazione dell’uso del matrimonio per ratto, considerato però come una forma valida di matrimonio: tuttavia, per il § 28A, egli vede nel rapimento della ragazza un’azione di violenza contro il volere dei genitori di lei e della ragazza stessa.11 La voce verbale pittenuzi si ritrova anche in un paragrafo di contenuto diverso dai precedenti, il 37, in cui si parla del rapimento di una donna, ma di un rapimento vero e proprio, seguito da una lotta fra i soccorritori della donna e il drappello del rapitore: in conseguenza di questa lotta due o tre uomini rimangono uccisi. Non c’è risarcimento per le vittime, verosimilmente quindi appartenenti ai compagni del rapitore, i quali, avendo commesso un’azione contraria alla legalità e che ha provocato disordine pubblico, hanno di conseguenza perso ogni diritto. Invece nei due paragrafi in discussione, il 28A e il 35, vediamo che il “rapitore” non viene affatto punito per il suo atto (soltanto nel § 28A il “rapitore” deve restituire al primo fidanzato della ragazza tutto quanto egli aveva dato per lei), il che prova che tale azione era sostenuta dal consenso della donna, ma potrebbe anche dimostrare che il ratto stesso, in questi casi specifici, non contrastava col senso della legittimità, in quanto si ricollegava ad antiche consuetudini. Tuttavia, non abbiamo elementi che permettano di sostenere l’esistenza di un matrimonio per ratto presso gli Ittiti. Dal § 35 si evince che non era l’azione del ratto a rendere effettivo il matrimonio, ma il versamento del kušata. Si può, certo, obiettare che non abbiamo neppure elementi tali da farci escludere un riferimento al presunto uso indeuropeo del matrimonio 11

V. bibliografia in Leggi Ittite, 210 sg.

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preceduto dal ratto e dal successivo acquisto della sposa da parte dell’uomo. È però anche da tener presente che i costumi ittiti presentavano di solito maggiori analogie con quelli dei popoli vicini che non con quelli riconosciuti come indoeuropei. Quindi, o intendiamo in questi due paragrafi il verbo pittenu- “far correre” nel senso di fuggire con la donna che sarebbe stata consenziente, o lo traduciamo ancora con “rapire”, come nel § 37, vedendo però in questo verbo, per quanto riguarda i §§ 28 e 35, soltanto un riferimento ad una consuetudine remota, divenuta ormai puramente simbolica, il cui ricordo persisteva nella terminologia relativa al matrimonio. Ancora nel § 28B e C si legge che, nel caso in cui siano i genitori della ragazza a concedere la figlia all’altro uomo (cioè al secondo pretendente), devono essi provvedere a indennizzare il primo fidanzato Se essi si rifiutano di pagare il risarcimento, allora la fanciulla deve essere separata dal secondo pretendente: “allora lei da lui si separi, in un duplicato infatti a questo punto si legge esplicitamente “ma se per il padre e per la madre ciò non è buono (cioè, pagare il risarcimento), allora si separi lei da quello che per sé l’ha rap[ita]”. Di particolare interesse sono i §§ 31, 32, 33, che trattano della rottura di matrimonio tra un uomo libero e una serva (31), un servo e una donna libera (32) e due servi (33). In tutti e tre i casi il procedimento avviene allo stesso modo, vi si parla cioè dell’assegnazione dei figli che spettano al padre, tranne uno che viene dato alla madre. Tutto questo è stabilito nel § 31, su cui si regolano i due paragrafi successivi. Non si specifica a quale stato sociale venissero ad appartenere i figli nati da queste unioni miste: il Neufeld ritiene a quello di servi, basandosi sul confronto col paragrafo 175. Si deve però osservare che in questo paragrafo - di cui parleremo ancora - viene contemplato il caso in cui è libera la donna e non l’uomo: i figli quindi seguono lo stato sociale del padre. A mio avviso, si presenta più probabile l’ipotesi che anche per i nostri tre articoli lo stato sociale dei figli dipenda da quello del padre, come avveniva presso altri popoli, tra cui quello romano (nel § 31, quindi, i figli sarebbero liberi), che non l’ipotesi che i figli siano liberi solo quando lo siano ambedue i genitori. Non abbiamo però elementi sufficienti a sostegno dell’una piuttosto che dell’altra ipotesi. 272

Non si trova invece in questi tre articoli niente che regoli la divisione dei beni: il termine É-ir “casa”, presente nella r. 19, sembra qui indicare “famiglia, nucleo familiare”, piuttosto che “patrimonio familiare” in senso economico, come talora avviene, sia perché non si fa qui alcun riferimento al modo in cui questo patrimonio si sarebbe dovuto ripartire, sia per il confronto con la r. 17, in cui il termine É-ir sembra aver proprio il significato di famiglia. Archi invece intende qui questo termine come “patrimonio familiare” che, in caso di separazione, verrebbe diviso a metà.12 Questo però suscita qualche perplessità, trattandosi di persone di ceto sociale diverso. Può darsi che in questi tre articoli si parlasse di matrimoni basati soltanto su un reciproco accordo di vivere insieme, senza essere però convalidati dalla procedura e dal contratto nuziale allora in uso. La causa di ciò non mi sembra da ricercare nel fatto che questi erano matrimoni misti, che si dovevano perciò regolare diversamente da quelli stipulati fra persone libere, perché anche nel § 34 si parla di un matrimonio misto, in cui il servo ha però pagato regolarmente il kušata per la sua sposa. Si può tutt’al più ipotizzare che nei matrimoni misti o in quelli fra due servi si seguissero più raramente delle procedure contrattuali, che però conferivano - anche nel loro caso - sempre maggiore validità al matrimonio. La raccolta di Leggi non dà invece alcuna notizia sulla rottura di matrimonio fra persone libere. Si è pensato che il § 26, purtroppo molto frammentario, nonostante ci sia pervenuto in cinque copie, trattasse dell’attribuzione dei figli nel caso di rottura di un matrimonio forse fra liberi: “e i figli l’uomo p[rende”. Alcuni studiosi hanno ipotizzato anche che vi si parlasse della sorte della donna e che essa fosse venduta, per la presenza della voce verbale šuwa[izzi “sping[e via, ripud[ia” e dell’espressione “chi la compra”; si è pensato anche di vedervi una cifra “12 sicli”, che mi sembra incredibile potesse riferirsi alla donna, ammessa anche la plausibilità che essa potesse esser venduta. A mio avviso, questo paragrafo è troppo danneggiato perché si possa intenderne il contenuto. Secondo alcuni studiosi si può presumere che il caso di rottura di matrimonio fra liberi fosse contemplato nelle Leggi perché la 12

In SMEA 6 (1968) 88.

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dissoluzione di un matrimonio per compera, basato su atti formali, avrebbe dato origine a controversie maggiori che non un reciproco accordo di unirsi in matrimonio e poi di dividersi. Secondo Archi il fatto che una forma di matrimonio, poggiato semplicemente su base consensuale, sia testimoniata solo nel caso di matrimoni misti o fra servi non esclude che essa fosse usata anche fra i liberi: il legislatore potrebbe aver regolato solo i casi che più si prestavano a controversie (soprattutto per quanto riguarda i rapporti patrimoniali), e cioè laddove i coniugi fossero di stato sociale differente o ambedue non liberi. Si può forse più semplicemente pensare che un matrimonio avvenuto mediante il pagamento del kušata - probabilmente quello più in uso fra liberi - dovesse esser stipulato mediante un contratto, in cui probabilmente veniva regolata anche l’eventualità di una rottura del vincolo coniugale. Anche nel § 34 si parla di un matrimonio misto, ma nel quale un servo ha pagato il kušata per una donna, ovviamente libera: in tal caso il matrimonio acquista piena stabilità, ciò che conferma l’importanza legale del pagamento del kušata. Sono discordi i pareri su quale potrà essere lo stato sociale di una donna libera che si unisce in matrimonio legittimo con un servo. A tal proposito si discute sull’interpretazione conclusiva del paragrafo, r. 24 (che si ritrova anche nel § 36 r. 28) “allora lei nessuno fa uscire”. Mentre una parte degli studiosi è propensa a intendere questa frase nel senso che “nessuno deve consegnare/cedere lei (come schiava/in schiavitù)” e a ritenere quindi che in questo matrimonio misto, contratto in base al pagamento del kušata, la donna (o l’uomo per il § 36) non deve perdere la sua libertà, un’altra parte invece interpreta l’espressione come “allora nessuno la fa uscire (dal suo nuovo ambito/stato sociale)” ed è concorde nel concludere che, in seguito a tale matrimonio, la donna (o l’uomo, nel § 36) venga a perdere il proprio stato sociale per acquistare quello della persona che ha pagato per lei (o per lui, nel § 36) il kušata. In accordo con le interpretazioni del Bechtel “nessuno sciolga/ liberi lei dal matrimonio” e del Friedrich “nessuno può toglierla”, cioè nessuno ha la facoltà di confutare questo matrimonio, mi sembra che si cerchi qui

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di mettere in rilievo soprattutto il fatto che il pagamento del kušata conferisce validità legale e stabilità anche ad un matrimonio misto.13 Non appare invece ben chiaro se la persona libera per cui è stato pagato il kušata da un servo venga a perdere di conseguenza il proprio stato di libertà. Riguardo al § 34 si può presumere di sì, per il principio comune presso la maggior parte dei popoli dell’antichità, per cui la donna - come già abbiamo detto - deve seguire lo stato sociale del marito. Ciò trova conferma anche nel confronto con i §§ 35 e 175, dove vediamo appunto che, nel momento in cui l’unione fra una donna libera e un uomo di rango inferiore diviene legalmente valida dopo un determinato periodo di convivenza, la donna cade in stato di servitù. Con maggior ragione questo si doveva verificare quando il matrimonio era riconosciuto valido fin dall’inizio in base ad un legame contrattuale. Particolare è invece la situazione presente nel § 36, di cui già abbiamo trattato (a proposito del termine antiyant- ecc.). Si deve inoltre notare che non si contempla nelle Leggi il caso di un uomo libero che paghi il kušata per una serva. Nei §§ 35 e 175 si parla di una particolare unione di tipo coniugale tra un pastore o un LÚAGRIG (generalmente inteso come amministratore), dal contesto appartenenti ad un ceto sociale basso e non liberi, e una donna libera. Tale unione trae la sua validità non dal pagamento del kušata, ma dal fatto che i due interessati hanno convissuto come coniugi ininterrottamente per un certo periodo di tempo. Allo scadere di questo tempo legalmente prescritto (tre anni secondo il § 35 e due o quattro secondo il § 175), tale unione acquista validità legale e, di conseguenza, la donna viene ad assumere lo stato sociale del marito e perde quindi la sua libertà. Qualcosa di analogo si ritrova anche presso gli Assiri (Leggi medioassire § 34), per i quali si richiedeva un periodo di coabitazione di due anni, e presso gli Egiziani. È stato fatto anche un confronto con il matrimonio per usus nell’antico Diritto Romano. In base alle rr. 19-20 del § 175 (“e i suoi figli išøunanzi e le/alle cinture nessuno afferri”) si presume che anche i figli nati da questa unione vengano contrassegnati come servi. Si tende ad accettare per la 13

V. bibliografia in Leggi Ittite, 215 sg.

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voce verbale išøunanzi l’intepretazione “degradano, si degradi”‘ (così anche Tischler nel suo dizionario etimologico). Per quanto riguarda poi l’espressione “le/alle cinture/catene (išøuzzi da išøiya- “legare”) nessuno afferri” (forse nel senso che nessuno deve togliere loro un simbolo di servitù?), mi sembra interessante un confronto con un’espressione presente nell’autobiografia del sovrano ittita ÷attušili (seconda metà XVII sec. a.C.) “e dalle loro cinture li disciolsi”, usata per indicare la liberazione dalla servitù di servi e serve provenienti da una città conquistata.14 In base a ciò, per il nostro articolo si potrebbe intendere l’espressione “le/ alle cinture nessuno (li) afferri” nel senso che nessuno può sciogliere, liberare dalla servitù i figli nati da questo matrimonio. Questo è tutto quello che offre la documentazione ittita relativamente al trasferimento di beni nell’ambito del matrimonio privato. Vi sono altri articoli della raccolta di Leggi e altri documenti che toccano più o meno direttamente il campo del diritto matrimoniale, al cui contenuto accennerò solo rapidamente perché esulano dal tema specifico di questo incontro, e cioè un articolo (193) dove si regola la posizione di una donna rimasta vedova secondo una procedura in cui si può riconoscere l’applicazione dell’istituto del levirato, alcuni articoli che riguardano rapporti sessuali fra congiunti (quelli permessi e quelli considerati incestuosi e, quindi, esecrandi), due articoli (197 e 198) riguardanti il reato di adulterio, due relativi alla provocazione di aborto (17 e 18), e un articolo (171) dove si parla dell’espulsione e della successiva riaccettazione di un figlio da parte di sua madre, in cui si può forse vedere il riconoscimento della possibilità concessa anche alla madre di ripudiare il proprio figlio qualora avesse potuto offenderla con qualche colpa.15

Si tratta di un documento bilingue; nel corrispondente passo in accadico sta scritto: “il Gran Re... la loro cintura ha sciolto”: V. F. Imparati-C. Saporetti, SCO 14 (1965) 49 sg. 15 Cfr. a tal proposito quei documenti di Nuzi classificati come ana ab(b)ûti, cui corrisponde l’espressione ab(b)ûtu epêšu “esercitare l’abbûtu”. 14

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XIV.

AUGURI E SCRIBI NELLA SOCIETÀ ITTITA*

Il problema della compatibilità o meno, nella società ittita, di una mansione molto tecnica e, quindi, assai specializzata come quella di augure con una mansione, essa pure specialistica, come quella di scriba è emerso nel corso di una ricerca sull’antroponimo Armaziti nella documentazione ittita e siriana dell’epoca dei sovrani ittiti ÷attušili III e Tutøaliya IV.1 In quel contesto è apparsa molto verosimile l’identificazione della maggior parte dei personaggi presenti col nome di Armaziti nei documenti ittiti di quel periodo, e cioè dell’Armaziti che esercitava la funzione di scriba2 e di quello menzionato in testi relativi all’amministrazione Anche se questa breve ricerca non contiene alcun riferimento al mondo egiziano, la dedico ugualmente a Edda Bresciani in segno di grande stima e affettuosa amicizia. 1 Si tratta di uno studio di prossima pubblicazione dal titolo “Armaziti: attività di un personaggio nel tardo impero ittita” (v. FsPuglieseCarratelli, 71-86 [n.d.c.]). Per le attestazioni di questo antroponimo v. E. Laroche, NH e Suppl. in Heth 4 (1981) 141; vi si devono aggiungere s. 1 l’impronta di sigillo in ieroglifico in RS 17.449 Vo (PRU IV, 190) non cit. in Ug. III, 134 e sg.; s. 2 KUB XXX 44+ Col. ds. 6’; s. 3 KUB V 13 IV 9’; s. 5 si devono completare le attestazioni di KUB XXIII 91: v. nota 4; questo antroponimo si trovava forse anche in KBo XVIII 155, 8[: mDMI-[. V. inoltre G. Beckman, JAOS 103 (1983) 624. Per il rapporto fra le diverse grafie di questo nome e la sua datazione v. A. Kammenhuber, Thes. 4, 38 e HW2, 313 e sg. 2 Ho discusso ampiamente tutte le attestazioni di Armaziti nel saggio indicato nella nota precedente. Comunque, per quelle relative all’àmbito ittita nelle quali egli compare con la mansione di scriba, v. NH e Suppl. 141.2. Di queste, KBo XVI 27 (CTH 137) si può datare verosimilmente all’epoca di Arnuwanda I; E. Laroche (ArOr XVII [1949] 10) ha notato l’esistenza in ÷atti di dinastie di scribi: si può allora ragionevolmente presumere che da questo Armaziti discendesse lo scriba omonimo vissuto all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV. A questo periodo si possono far risalire gli altri documenti cuneiformi e ieroglifici citati in NH e Suppl. 141.2. A quelli cuneiformi si deve qui aggiungere KUB XXX 44+ (CTH 277.4.B) Col. ds. 6’, dove si può vero similmente postulare la presenza del titolo di scriba nella lacuna alla fine della riga. È da notare che in KUB IV 1 (CTH 422.A e 552) IV 42’ - testo omen in accadico-ittita e rituale di evocatio da compiersi nelle vicinanze di una frontiera nemica - si fa riferimento alle aggressioni dei Kaskei e se ne invocano le divinità. Si può identificare con l’Armaziti scriba anche il personaggio omonimo presente senza alcun titolo nella lettera pubblicata in ABoT 65 (CTH 199) Ro 6, 9 per il contesto e per l’ambiente di scribi a cui si fa *

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del culto3 e in due tavolette di tipo analogo, sul carattere di una delle quali (lettera o documento di procedura) i pareri degli studiosi non sono concordi.4 Si è rivelata pure plausibile l’identificazione di questo Armaziti con la persona che compare con lo stesso nome, talvolta col titolo di “figlio del re”,5 nella documentazione di Ugarit dell’epoca di Ibiranu, re di questo paese, contemporaneo di Tutøaliya IV.6 Con questo personaggio si può identificare anche l’Armaziti attestato in grafia ieroglifica in sigilli e impronte di sigilli nella documentazione ittita e ugaritica, talora col titolo di scriba, talora con quello di “figlio del re”, talora senza alcuna qualifica.7

riferimento in questa tavoletta. Era probabilmente uno scriba anche l’Armaziti di una lettera trovata ad Alalaø, la cui cronologia è però incerta: AT 124 (CTH 209.10) 1, 62. Il nome di Armaziti compare in grafia ieroglifica, col titolo di scriba o senza alcun titolo, in alcuni sigilli o impronte di sigilli (NH e Suppl. 141.2 e 5) databili alla seconda metà dell’epoca imperiale, secondo quanto mi ha suggerito cortesemente C. Mora, che io desidero qui ringraziare per le informazioni che mi ha fornito per la datazione dei sigilli menzionati in questa ricerca, in base a criteri quali la forma, il tipo di ornamento sul bordo, la provenienza ecc. 3 V. IBoT II 131 (CTH 518) Ro 7’: questo terzo viene trattato integralmente in un mio lavoro di prossima pubblicazione sul culto di Pirwa durante i regni di ÷attušili III e Tutøaliya IV; v. inoltre KBo XII 56 I 8’ (CTH 521.6), dove Armaziti sembra tenuto a costruire un tempio, ciò che ne dimostra l’importanza. 4 KUB XXIII 91 (CTH 297.3) 7, 10, 28[, 32 (mDMI-LÚ), 24[, 36 (mDSIN-LÚ), e 25[ mD ( [SIN/MI-LÚ) (completare le citazioni in NH 141.5): sul genere di questo documento v. A. Goetze, KUB XXIII, Vorwort; H. Otten, MIO 4 (1956) 184; E. von Schuler, Kašk., 11 con nota 106, i quali lo ritengono una lettera, mentre P. Meriggi, WZKM 58 (1962) 101 e O. Carruba, OA 9 (1970) 84, lo ritengono un documento di procedura; v. in tal senso anche CTH 297. È da notare che in questa tavoletta si fa riferimento ad operazioni militari avvenute in località situate in vicinanza dei Kaskei e soggette quindi alle loro incursioni, KUB XXIII 54 (CTH 297.1) Ro 3’[(?), 4’. 5 Sull’espressione “figlio del re” nei testi ittiti, da non intendersi sempre in senso letterale-genealogico, ma anche come un titolo portato da personaggi di rango assai elevato, v. quanto ho scritto in Or 44 (1975) 80 e sgg. 6 Per le attestazioni di Armaziti nella documentazione ugaritica v. NH 141.1, cui si deve aggiungere l’impronta di sigillo citato sopra in nota 1. Sulla proposta di considerare Armaziti e altri personaggi, presenti col titolo di “figlio del re” nei testi di Ugarit, come alti dignitari ittiti, v. quanto ho osservato in Šaøur. (1974) 116 e sg., dove si discute anche la bibliografia precedente; tale argomento è stato approfondito nel saggio su Armaziti cit. in nota 1. 7 V. NH e Suppl. 141.1.2.5; v. inoltre sopra fine nota 2 e inizio nota 6.

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L’identificazione, invece, di questo Armaziti con la persona omonima menzionata in testi ittiti verosimilmente contemporanei, senza alcun titolo,8 ma con il compito evidente di partecipare attivamente a consultazioni oracolari - per lo più, ma non esclusivamente (v. nota 16), di tipo ornitomantico - si è presentata più problematica proprio per la specificità di tale mansione. Vediamo infatti questo Armaziti formulare responsi in due tavolette che mostrano analogie fra sé, nelle quali si eseguono consultazioni in base al movimento degli uccelli: KUB XLIX 11 II 3’, 15’, 19’, 31’, III 17; XLIX 33 I 9’[.9 Dai toponimi presenti nel primo di questi due documenti si può presumere che vi si alludesse ad una campagna militare in territorio nord-orientale;10 la menzione in esso di Daddamaru11 (II ]20’, III 23) ne rende plausibile la datazione all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV. Anche in KBo II 6+ (CTH 569), un testo databile all’epoca di Tutøaliya IV, in cui si interpellano gli oracoli per conoscere i motivi della collera degli spiriti dei defunti Arma-Datta e Šaušgatti,12 vediamo verosimilmente lo stesso Armaziti compiere osservazioni sugli uccelli (IV 17) e fornire responsi (IV 23). Sempre come incaricato di operazioni ornitomantiche compare Armaziti in una tavoletta in cui si fanno consultazioni mediante il KIN e gli uccelli, KUB V 13 (CTH 580) IV 9’.13 Sono menzionati in questo testo il re e la regina (I 1, 7 e sgg., 11) - con probabilità ÷attušili III e

Si osserva che, pur comparendo egli in questi documenti oracolari spesso in contesti lacunosi, l’analogia delle relative formulazioni convalida questa affermazione: v. in proposito nota 17 infra. 9 Qui soltanto UMMA mDM[I-LÚ, però in contesto analogo a quello dei passi citati precedentemente. 10 V. KUB XLIX, V Nr. 11, cfr. anche G.F. Del Monte-J. Tischler, RGTC 6 ss. vv. 11 V. NH e Suppl. 1303, e Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 256; v. inoltre E. Laroche, RHA 8 (1947-48) 43 e F. Imparati, op. cit., 43 e sgg.: in questi due ultimi saggi si devono aggiungere le attestazioni successive. 12 V. NH e Suppl. 138 (e Ph.H.J. Houwink ten Cate, op. cit., 254) e 1142; per la datazione di questo testo v. A. Kammenhuber, THeth 7 (1976) 134, 180 nota 239; v. inoltre THeth 9 (1979) 69, 126, 178, 258; per il suo contenuto v. G.F. Del Monte, AION 33 (1973) 377 e sgg., e A. Archi, AoF 6 (1979) 82 e sgg. 13 Da aggiungere a NH 141.3. 8

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Puduøepa14 - e un personaggio di nome LAMMA (I 1), presente anche in altri documenti dello stesso genere.15 Ancora in tre testi in cui si svolgono consultazioni oracolari - in due mediante l’oracolo KIN e in uno mediante gli oracoli KIN e SU - in un contesto purtroppo lacunoso si trova Armaziti, presumibilmente la stessa persona dei documenti precedenti.16 Per una possibile identificazione dell’Armaziti dei documenti oracolari con quello indicato precedentemente (note 2-7), può essere significativo il fatto che in una delle due tavolette di cui egli è lo scriba KUB IV 1 (v. nota 2) - si faccia riferimento alle aggressioni dei Kaskei e se ne invochino le divinità, e che in uno dei testi oracolari su menzionati - KUB XLIX 11 - egli fornisca responsi presumibilmente, come abbiamo rilevato, in occasione di una campagna militare in territorio nordorientale (v. nota 10); si ricorda inoltre che anche in un altro documento dove egli compare - KUB XXIII 91 (v. nota 4) - si allude ad operazioni militari in località situate in vicinanza dei Kaskei. Esaminando poi il problema da un punto di vista più generale - oltre alla considerazione che, analogamente a quanto si riscontra in altri àmbiti del Vicino Oriente antico, abbiamo notizia di scribi ittiti che svolgevano anche altre mansioni oltre la loro,17 di maggiore o minore importanza, ed 14 Cfr. in proposito A. Kammenhuber, op. cit., 134, secondo la quale questo testo, insieme ad altri, non si può datare prima di ÷attušili III per la presenza del LÚ÷AL. 15 V. Suppl. NH 1747.3; per le attestazioni di questo nome in documenti ittiti di epoche diverse v. NH e Suppl. 1747; Ph.H.J. Houwink ten Cate, op. cit., 257; G. Beckman, op. cit., 626. 16 KUB L 57 rr. 5’[, 10’; L 58 rr. 13’, 15’[; L 59b r. 8’; correggi Suppl. NH 141.3: KUB L 57-59 in KUB L 57-59b. 17 Sulle varie mansioni esercitate dagli scribi e sul fatto che essi non costituivano una categoria a sé, v. per ultimo A. Archi, OA 12 (1973) 210 e sgg. nota 7; v. inoltre F. Pecchioli Daddi, MPD (1982) 166, 528 e sgg. Non appare invece significativo il fatto che si abbia notizia di scribi e di loro capi che partecipavano attivamente a cerimonie di culto (v. MPD, 162 e sgg., 167, 528), poiché ciò si riscontra anche per altri funzionari. E neppure è rilevante il fatto che Armaziti compaia senza alcuna qualifica professionale nei testi oracolari su menzionati (v. nota 8), infatti, nonostante la lacunosità dei contesti dove egli è presente, risultano però chiaramente le mansioni di augure da lui svolte. Del resto, nella maggior parte dei casi gli addetti a consultazioni ornitomantiche sono indicati solo con il nome e senza alcuna menzione della loro professione. Si ricorda, senza peraltro attribuirvi un particolare significato, che Armaziti era scriba di testi per lo più a carattere cultuale (descrizioni di feste e rituali) - come, del

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anche specialistiche, come, per esempio, quella di LÚA.ZU “medico”18 appare logico presumere che agli addetti all’esecuzione di pratiche oracolari si richiedesse la conoscenza della scrittura, sia come base culturale, sia per la necessità di annotare sul momento e con esattezza i risultati delle varie operazioni per fornire responsi precisi.19 Purtroppo, come rileva A. Ünal, non ci sono finora pervenute notizie sul tipo e sui luoghi di istruzione degli auguri in àmbito ittita.20 Sappiamo che i re di ÷atti solevano raccomandare agli auguri di comunicare loro per lettera informazioni sullo svolgimento delle loro attività e sui loro risultati; sono infatti note molte lettere in proposito, spesso assai frammentarie.21 Interessante appare un passo di una lettera22 in cui un sovrano, rimproverando certi auguri di aver trascurato l’adempimento di alcune regole nell’osservazione degli uccelli, fa riferimento a quanto essi gli hanno scritto in proposito: (Ro 9’) kiššan øat[t]ratten... “così scriveste...”.23 Si ricorda inoltre una lettera molto frammentaria,24 verosimilmente databile, per la presenza di alcuni personaggi, all’epoca di ÷attušili IIITutøaliya IV, nell’intestazione della quale (Ro 1-3) si legge: “(1) Alla regina, nostra signora, parla! (2) Così Awauwa, NU.GIŠ.SAR, DU.SIG5, e gli auguri, tuoi servi”. Seguono poi informazioni oracolari di tipo ornitomantico.

resto, gran parte degli scribi (v. E. Laroche, ArOr cit., 10) - e che sono noti auguri autori di rituali (v. A. Archi, SMEA 16 [1975] 130 e sgg.). Sulle mansioni e sullo status degli auguri ittiti v. A. Ünal, RHA 31 (1973) 27 e sgg. e A. Archi, op. cit., 129-134. 18 V. MPD, 166. 19 Ci chiediamo, a tal proposito, se la grafia affrettata che caratterizza di solito i testi oracolari non fosse dovuta anche alla necessità di registrare rapidamente i risultati delle consultazioni, indipendentemente da chi aveva l’incarico di scriverli. 20 Op. cit., 47. Questo, del resto, si riscontra anche per altri funzionari ittiti. 21 V. A. Ünal, op. cit., 53 e sgg., e A. Archi, op. cit., 135 e sgg. 22 KUB XXXI 101 (CTH 573) Ro 6’ sgg.: v. la traslitterazione e traduzione di questo testo presso A. Ünal, op. cit., 49 e sgg., e A. Archi, op. cit., 136 e sgg. 23 In Vo 36’ sgg., nel postscriptum (v. nota 29), il sovrano si rivolge ad uno scriba, ma, purtroppo, il contesto è assai lacunoso. 24 KBo XV 28 (CTH 195); v. H. Otten, MDOG 87 (1955) 17, e MIO cit., 186; A. Ünal, op. cit., 53; A. Archi, op. cit., 135 e sg.

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Non rimane chiaro il rapporto fra i personaggi qui indicati con il nome personale e gli auguri menzionati successivamente. E. Laroche,25 A. Archi,26 F. Pecchioli Daddi27 li considerano tutti come auguri, anche se probabilmente di rango diverso; questi tre nomi non figurano invece nell’elenco degli auguri nei testi ittiti fornito da A. Ünal.28 È interessante notare che, a conclusione della lettera diretta alla regina, segue un postscriptum, separato dalla lettera da una linea doppia, inviato da NU.GIŠ.SAR a tre personaggi, a cui egli si rivolge con l’espressione “miei cari figli”.29 Il nome NU.GIŠ.SAR è noto come appartenente a scribi di generazioni diverse, di cui uno vissuto all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV. 30 Dei nomi dei tre personaggi da lui appellati due non compaiono altrove, mentre uno si ritrova con la funzione di scriba in un testo in cui si trattano questioni oracolari, databile all’epoca di Tutøaliya IV per la presenza di Anuwanza SAG. 31 Questo tipo di postscriptum, di cui sono noti esemplari analoghi, e l’appellativo “miei cari figli” fanno ragionevolmente presumere che si trattasse del messaggio di uno scriba ad altri scribi della cancelleria di ÷atti (cfr. nota 29). Per quanto riguarda i nomi degli altri personaggi menzionati nell’intestazione della lettera in questione, si ricorda che quello di Awauwa,32 con la probabile mansione di scriba, si trovava forse nel postscriptum di una lettera molto lacunosa scritta da un Tutøaliya al re33 e in un testo oracolare, esso pure molto frammentario, dove si parla di

CTH 195: (lettre) de trois augures à la reine. Op. cit., 132 e sgg., sotto i rispettivi nomi. 27 MPD, 324, dove si ipotizza che i tre personaggi in questione fossero responsabili della corporazione dei LÚ.MEŠMUŠEN.DU. 28 Op. cit., 47 nota 29. 29 V. in proposito la trattazione di H. Otten, MIO cit., 185 e sgg. 30 NH e Suppl. 1753; v. anche E. Laroche, ArOr cit., 10 e sgg. 31 Tumna-LÚ (= Tumnaziti): NH e Suppl. 1372 (hapax); Tuttuwa-DINGIRLIM (= Tuttuwaili): NH e Suppl. 1394 (hapax); Tum(ma)ni: NH e Suppl. 1373. Quest’ultimo è presente nella forma Tummani in KUB XLIII 77 (CTH *828) Vo 3’, un testo (secondo K. Riemschneider, KUB XLIII p. VII, un protocollo) in cui si trattano questioni oracolari. Sull’epoca di Anuwanza SAG v. H. Otten, StBoT 13 (1971) 49. 32 NH e Suppl. 215. 33 KBo IX 83 (CTH 198 e 209.13) Vo 9’[: v. H. Otten, op. cit., 186 e sgg. 25

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osservazioni fatte mediante gli uccelli e in cui un certo Awa sembra aver fornito responsi.34 L’antroponimo DU.SIG5 (*Tarøuwaššu, o anche *Tarøuntaššu)35 compare riferito ad un personaggio dell’epoca di Arnuwanda I,36 quindi anteriore alla persona della lettera citata in nota 24. Incerta, ma non improbabile, è invece l’identificazione del personaggio di questa lettera con lo DIM.SIG5 menzionato in un’altra lettera in un contesto molto lacunoso.37 Riepilogando, in base ai documenti esaminati, appare plausibile ritenere che Awauwa, NU.GIŠ.SAR e DU.SIG5, presenti nella lettera indicata in nota 24, avessero la mansione di scribi; per Awauwa sembra si possa postulare anche quella di augure. Non sembra quindi troppo arrischiato presumere che tutti e tre avessero espletato ambedue le attività e che per questo motivo nell’intestazione di questa lettera essi venissero menzionati per nome, distinti dagli altri auguri, rispetto ai quali tenevano una posizione preminente. Si rileva inoltre che in diversi documenti ittiti sono attestati antroponimi riferiti sia a scribi che a personaggi che tenevano mansioni divinatorie. Pur se la loro identificazione non si presenta di solito evidente, non appare tuttavia probabile che si trattasse sempre di casi di omonimia, soprattutto quando coloro che recavano tali nomi si ritrovano in testi contemporanei, di genere diverso, insieme ai medesimi personaggi. Per non appesantire troppo la trattazione, si riportano qui soltanto alcuni esempi in proposito, relativamente all’epoca di ÷attušili IIITutøaliya IV.

KUB XLIX 51 II 4’: UMMA mAwa[; cfr. A. Archi, KUB XLIX, p. V. NH e Suppl. 1278. 36 KBo V 7 (CTH 223) Vo 4. 37 KBo XVIII 101 (CTH *190) Ro 2: v. H.G. Güterbock, KBo XVIII p. VI. A mDIM.SIG e ad altri funzionari menzionati insieme - mTat[, ¦mD©[, Akalkazzi (Suppl. NH 5 12a: hapax) - è diretta questa lettera, probabilmente da altri funzionari della stessa categoria o dello stesso rango, come sembra si possa dedurre dall’espressione ŠEŠMEŠ DUGUD (Ro 7) “onorevoli fratelli”. Il nome W-wa-šu-wa-š in grafia ieroglifica si trova in CEKKE Vo 8. 34

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Si ricorda Tarøuntapiya,38 che vediamo svolgere attività divinatorie mediante l’ornitomanzia e l’extispicio in alcuni testi oracolari di tipo diverso.39 Conosciamo inoltre un personaggio omonimo che esercitava la funzione di scriba, come è attestato da alcuni sigilli e impronte di sigilli, e che, analogamente a quanto si rileva per molti scribi, certo all’apice della loro carriera, portava anche il titolo di “figlio del re”: in tal modo infatti egli è menzionato nella lista dei testimoni del trattato con Ulmi-Teššup di Tarøuntašša e in alcuni sigilli e impronte di sigilli.40 Col Tarøuntapiya scriba e “figlio del re” si può verosimilmente identificare la persona omonima presente senza alcuna qualifica in due documenti contenenti inventari, dove sembra esercitare funzioni di controllo amministrativo,41 ciò che, del resto, si riscontra anche per altre persone che portavano questi titoli.42 Potrebbe presumibilmente essere lo stesso Tarøuntapiya il personaggio che compare in un testo, sempre contemporaneo, con incarichi relativi all’amministrazione del culto,43 e quello che, con la qualifica di sacerdote (LÚSANGA), appare tenuto a fornire offerte a divinità e alle loro stele in occasione della festa teši.44

38 NH e Suppl. 1267: per alcune aggiunte e correzioni alle attestazioni in ieroglifico v. L. Mascheroni, StMed 1 (1979) 365 con nota 46, e G. Beckman, op. cit., 626; s. 5 si deve inoltre correggere XXVII 13 IV 4 in IV 14’. Secondo C. Mora, la datazione di questi sigilli e impronte di sigilli all’epoca imperiale si può postulare in base al tipo di ornamento di alcuni di essi ed è confermata dalla provenienza di certuni dal cosiddetto “Siegeldepot” di Boˆazköy. 39 KUB XXII 41 (CTH 582) Vo 12’, in un paragrafo frammentario in cui si parla di operazioni ornitomantiche; KUB XVI 31+ (CTH 577) IV 17’, 23’, dove si dice che “Tarøuntapiya effettuò la consultazione” mediante l’extispicio: per la datazione di questo documento v. A. Kammenhuber, cit. in nota 14; KUB L 35 Vo? 2’, 5’, dove ugualmente si fa la consultazione per mezzo dell’extispicio. 40 V. NH 1267.1.4, e sopra nota 38. 41 KUB XL 95 (CTH 242.4) II 10; KBo XVI 83 (CTH 242.8) III 6: v. A. Kempinski-S. Košak, Tel Aviv 4 (1977) 88 e sgg., dove si discute anche del significato della forma verbale accadica IDI nei testi ittiti e p. 91 per la datazione di questo tipo di testi; L. Mascheroni, op. cit., 353 e sgg.; S. Košak, THeth 10 (1982) 79 e sgg. e 87 e sgg. 42 V. in ultimo L. Mascheroni, op. cit., 364 e sgg. 43 KUB XXVII 13 (CTH 698) IV 13’ e sgg., dove si legge che i dipendenti di Tarøuntapiya, insieme agli uomini del palazzo di Arnuwanda (probabilmente una di quelle istituzioni religiose, con funzioni anche amministrative, legate al culto dei sovrani defunti) devono prendersi cura di due picchi montani: v. quanto abbiamo osservato su questo passo in SMEA 18 (1977) 52 e sgg. 44 KUB XII 2 (CTH 511) IV 8, 14, 18.

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Si deve rilevare che in molti di questi testi ricorrono gli stessi personaggi, ciò che porta un sostegno ad una ipotesi di identificazione del Tarøuntapiya in essi menzionato.45 Ugualmente col titolo di scriba e “figlio del re” è presente *Armanani46 nella documentazione ieroglifica, dove è attestato anche senza alcuna qualifica.47 Un personaggio con questo nome compare inoltre in un testo contenente rendiconti oracolari di tipo ornitomantico relativamente al culto del dio di Aleppo,48 nel corso dei quali egli fornisce responsi insieme a Piøatarøunta.49 L’antroponimo *Armanani si trova anche, senza alcun titolo, nella documentazione contemporanea di Meskene (Msk. 73.266) in grafia cuneiforme e ieroglifica.50 L’identificazione dei personaggi recanti il nome di Armapiya51 - in taluni casi con la funzione di scriba o con l’incarico di svolgere mansioni divinatorie - nei documenti cuneiformi e ieroglifici presenta dei problemi conseguenti alla datazione di questi. Tale nome compare, infatti, riferito

45 V. la lista dei testimoni del trattato con Ulmi-Teššup, i due documenti di inventari, la lista di offerte a divinità e alle loro stele. Cfr. per ultima L. Mascheroni, op. cit., 366 con nota 48. Diversa è invece l’opinione di E. Laroche, RHA 8 (1947-48) alla fine della p. 43, che io posso accettare soltanto per KBo V 7 per motivi cronologici. 46 NH e Suppl. 134, cui si deve aggiungere s. 1 Boˆ. V 9; v. G. Beckman, op . cit., 623. 47 Tale documentazione, secondo C. Mora, si può datare al XIII sec., e forse addirittura alla seconda metà di esso in base a certi indizi dedotti dall’impronta di sigillo pubblicata in Boˆ. V 9. 48 KUB XVIII 12+ (CTH 564) I 14, 22, 44, 50, II 4’. 49 NH e Suppl. 971; su questa lettura ittita del nome Piøa-DU/DIM v. R. Lebrun, Heth 4 (1981) 104 e 100 Ro I 10’, il quale però a p. 102 Ro II 17’ legge Piøa-Teššup, come già in Florilegium Anatolicum (= FsLaroche), 202, cui si attiene S. Košak, THeth 10 (1982) 90; v. anche L. Mascheroni, op. cit., 360: Piøa-Datta. Su questo personaggio, presente nella documentazione ittita, ugaritica ed emariota con titoli diversi, tra cui anche quello di “figlio del re”, si è parlato diffusamente nel saggio su Armaziti, cit. in nota 1. 50 Per la lista provvisoria dei nomi emarioti in grafia ieroglifica, con l’indicazione dei titoli che talvolta li qualificano, v. E. Laroche, Akk. 22 (1981) 10 e sgg. 51 NH e Suppl. 135, dove si deve aggiungere s. 3 KBo XVI 99 V? 11’ e forse KBo XI 68 I 22’[, s. 6 il sigillo Borowski n° 1 (v. M. Poetto, StMed 3 [1981] 13 con nota 10), e il sigillo in A.M. Dinçol, AnAr 9 (1983) 227 e sgg. Nr. 13 (dove questo personaggio compare col titolo di sacerdote); vi si deve inoltre cancellare s. 1 la citazione SBo II 23, riferita a Tarøuntapiya (v. nota 38): v. M. Poetto, loc. cit., e G. Beckman, op. cit., 623.

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ad uno scriba in un testo dell’epoca di Muršili II,52 e si trova inoltre in grafia ieroglifica su alcuni sigilli e impronte di sigilli, in un caso anche col titolo di scriba:53 questi si possono datare, secondo C. Mora, all’epoca imperiale. Essa rileva che la tipologia del sigillo nel quale Armapiya è presente col titolo di scriba appare diversa da quella degli altri sigilli a lui relativi, per cui si potrebbe ipotizzare che differisse anche la loro datazione e che si trattasse quindi di personaggi diversi. È dunque difficile stabilire se lo scriba Armapiya del sigillo su ricordato fosse da identificare con lo scriba omonimo dell’epoca di Muršili II o se potesse trattarsi di un suo discendente (cfr. nota infra a proposito delle dinastie di scribi). Presumibilmente all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV risalgono le frequenti attestazioni di un Armapiya in testi oracolari, per lo più di tipo misto, dove egli compie operazioni ornitomantiche e fornisce responsi.54 Troviamo ancora un personaggio con questo nome, probabilmente col titolo di sacerdote (LÚ[SANGA, per analogia con gli altri nomi presenti nello stesso contesto), nella tavoletta già menzionata in nota 44 (I 8’). Con questo Armapiya è verosimilmente da identificare la persona omonima attestata in alcuni “protocolli giudiziari”,55 e inoltre quella che compare in un elenco di acquisti,56 in un documento di inventari di

KUB XIX 44 (CTH 63.D) IV 15’. NH 135.4.6: v. inoltre sopra nota 51. 54 KUB V 23 (CTH 582), 12’; XVI 52 (CTH 577), 8’; 71 (CTH 582), 7’; KBo XVI 99 (CTH 577) V 11’ (per la datazione di questo testo all’epoca di ÷attušili III, v. A. Kammenhuber, THeth 7 [1976] 139 e sgg. e 143, e inoltre THeth 9 [1979] 181; v. invece H.M. Kümmel, StBoT 3 [1967] 98; KUB XLIX 14 (CTH 582), 16’ ( nelle rr. 5’[, 9’[ compare Tatamaru, su cui v. nota 11); probabilmente anche KBo XI 68 (CTH 582) I 22’[. 55 Nel cosiddetto “affare di Ukkura” - KUB XIII 35+ (CTH 293) III 42 - e in KUB XXVI 69 (CTH 295.3) V 14. 56 KUB XXXI 65b (CTH 240) r. ]1’: l’antroponimo in questione è qui seguito da una indicazione di città, purtroppo lacunosa (URUZi-ku-/-ma-[); ricorre sovente nel testo la forma verbale waši(y)at. 52

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tessuti e vesti57 e in un testo votivo.58 In alcuni di questi documenti infatti ricorrono degli antroponimi esaminati nel corso di questa trattazione.59 Si ricorda inoltre Alalimi,60 scriba di un testo contenente la descrizione di una festa religiosa,61 e il personaggio omonimo che svolgeva attività oracolari mediante gli uccelli.62 Non abbiamo, purtroppo, elementi per proporre una identificazione dell’Alalimi qui menzionato con quello ben noto da alcuni documenti col titolo di coppiere, sovrintendente e capo dei coppieri, e presente senza alcuna qualifica in due documenti di procedura,63 o anche con l’Alalimi attestato altrove.64 Con Alalimi si incontrano in alcuni testi altre persone ben note agli ittitologi, tra i quali ricordiamo in particolare ÷alpaziti.65 Questo 57 HT 50(+) (CTH 243.1) II 5: v. B. Rosenkranz, ZA 57 (1965) 244, e S. Košak, op. cit., 106; vi si trovano altri personaggi, quali Šadduwaziti (NH 1138) in II 7 e Maraššanda (NH 758) in II 9, che compare anche in KUB XII 2 I 10’, 12’[ (v. nota 44 per Tarøuntapiya e p. 259 per Armapiya). 58 KUB XLVIII 117 Ro 5, 8. 59 V. note 44, 57, 70, e i saggi citati in nota 63. 60 NH e Suppl. 22, dove si deve correggere KBo XIII 83 in XVI 83; v. inoltre Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 253, con bibliografia precedente; G. Beckman, op. cit., 623. 61 KUB XI 21a = KBo XXII 214 (CTH 598.1) VI 3’. 62 KUB XXII 68 (CTH 582) r. 13’. 63 Sulla carriera di Alalimi coppiere e su alcune proposte di identificazione di questo personaggio, v. R. Stefanini, Athenaeum 40 (1962) 35 e sgg.; A. Archi, SMEA 14 (1971) 214 e sgg. nota 84; S. de Martino, SCO 32 (1982) 309-311, e cfr. L. Mascheroni, op. cit., 368. 64 È plausibile l’identificazione dell’Alalimi menzionato nella nota precedente con quello presente nell’inventario KBo XVI 83+ (CTH 242.8) III 12[ (v. L. Mascheroni, loc. cit. e S. Košak, op. cit., 88 e 90) e forse, nonostante l’estrema frammentarietà del documento, con quello menzionato in un altro inventario: KBo IX 94 (CTH 250.5) 7’[ (v. S. Košak, op. cit., 162); in KBo XVI 83+ III 1 compare anche Piøa-Tarøunta, su cui v. nota 49. Non abbiamo invece elementi per postularne l’identità col personaggio omonimo attestato come ŠAKNU di Kaniš in Pud. II 17, anche se non c’è niente che vi si opponga: v. S. de Martino, op. cit., 310 nota 24. Oscuro, perché troppo frammentario, KBo XXII 33 (CTH 832), dove Alalimi compare nella r. 4’[ in un contesto contenente un discorso diretto per la presenza nelle rr. 4’ e 6’ dell’enclitica -wa e nelle rr. 5, e 10’ dell’enclitica -mu; nella r. 9’ si parla di una malattia. Diverso dall’Alalimi cit. in nota 63 è quello indicato come “uomo di Ura” in NH 22.3. 65 NH e Suppl. 259, cui si deve aggiungere KUB XVI 66, ]27’ (v. nota 71); incerta l’attestazione nel frammento di lettera KBo XVIII 89 r. ]4’ (]-pa-LÚ-i) cit. in Suppl. NH, 58; v. inoltre E. Laroche, RHA 8 (1947-48) 43; H. Klengel, Or 32 (1963) 283;

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personaggio compare frequentemente nella documentazione ittita, ma si terrà qui conto soltanto di alcune delle sue attestazioni relative all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV, e soprattutto di quelle in cui è presente con la evidente funzione di capo degli scribi66 e risulta anche padre di due scribi.67 ÷alpaziti si trova inoltre più volte in documenti di procedura:68 in uno di questi egli è menzionato nel corso della deposizione di Alalimi coppiere,69 e nel cosiddetto “affare di Ukkura”,70 dove compaiono Ph.H.J. Houwink ten Cate, op. cit., 254; H. Otten, RlA 4 (1972-75) 62 e sgg.; per le altre probabili forme del nome v. note 66 e 70. 66 Così sembra risultare dal colophon di KUB XIII 7 (CTH 258) IV 5, dove il suo nome compare nella forma m÷alwa-LÚ (NH 262): v. E. Laroche, ArOr cit., 8 e sgg. e 11, e H. Otten, op. cit., 63. Questa grafia del nome ne fa postulare l’identificazione con l’omonimo personaggio presente col titolo di capo degli uomini UKU.UŠ (su questo titolo v. MPD [1982] 546 e S. Rosi, SMEA 24 [1984] 109 e sgg., con bibliografia precedente) in un testo assai frammentario, in cui si riportano le parole di Tattamaru, KUB XXXI 32 (CTH 214.9, dove si deve correggere XXXI 52 in 32) Vo 6’, 8’: in quest’ultima riga si trova il nome nella forma m÷alwa-LÚ, senza alcuna qualifica; si ricorda che Tattamaru compare anche altrove con ÷alpaziti, v. nota 71; su Tattamaru v. nota 11. In KBo IV 10 Vo 29 ÷alpaziti è presente col titolo di capo degli uomini UKU.UŠ di destra; per la proposta di identificazione dello ÷alpaziti capo degli uomini UKU.UŠ (di destra) con gli omonimi personaggi menzionati nella cosiddetta “congiura di ÷ešni” (KUB XXXI 68 [CTH 297.8] Vo 40) e in un frammento forse di una lettera (KBo XVIII 80 [CTH 209] Ro 6’), v. Ph.H.J. Houwink ten Cate, loc. cit.; ciò comporterebbe, di conseguenza, anche una identificazione con lo ÷alpaziti scriba. 67 In KUB XII 15 (CTH 720) bd. sn. 1: ŠU mGUR-LUGAL-ma DUMU m÷alpaLÚ (su GUR-Šarruma v. NH 1743 e G. Beckman, op. cit., 626); in KUB X 96 (CTH 825): (2’) DUMU m÷alpa-LÚ (3’) DUMU.DUMU-ŠÚ ŠA mZuwanni; il nome del figlio di ÷alpaziti era nella parte mancante di questo frammento; su Zuwanni v. NH e Suppl. 1581. Sulla datazione di questi due testi all’epoca di Anuwanza, v. E. Laroche, ArOr cit., 11. 68 Nella “congiura di ÷ešni”: v. nota 66; in KUB XIII 33+ (CTH 295) IV 1, dove viene chiamato a deporre un ÷alpaziti indovino(LÚ÷AL); v. anche note 69 e 70. 69 KUB XIII 34+ (CTH 295) IV 6, 22; da notare l’espressione alla r. 6 “÷alpaziti sigillò” (v. R. Werner, StBoT 4 [1967] 40 e sgg.): come infatti ha rilevato E. Laroche, RHA 14 (1956) 27, i nomi di alcuni scribi ittiti noti dalle fonti cuneiformi si ritrovano anche su sigilli. Il nome ÷alpaziti, in grafia ieroglifica e senza alcun titolo, compare in sigilli e impronte di sigilli databili, secondo C. Mora, all’età imperiale per alcuni segni ed elementi ornamentali che vi compaiono. 70 KUB XIII 35+ (CTH 293) III 39, dove è attestato nella forma ÷apaziti (NH 285): v. in proposito S. de Martino, op. cit., 309. In questo paragrafo si fa riferimento alle deposizioni di una serie di personaggi ben noti, fra i quali ricordiamo in III 42 Alalimi e Armapiya.

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anche Armapiya e Alalimi (v. note 55 e 63), si riporta verosimilmente la sua deposizione. Abbiamo esposto nella nota 66 la proposta assai plausibile di identificare lo ÷alpaziti della “congiura di ÷ešni” con l’omonimo personaggio capo degli uomini UKU.UŠ (di destra) e capo degli scribi; se ne può accettare l’identificazione anche con le altre persone presenti con questo nome e senza alcun titolo nei documenti di procedura (v. note 69, 70). Più problematica, ma non improbabile, appare invece l’identificazione con lo ÷alpaziti attestato in uno di questi documenti col titolo di LÚ÷AL “indovino” (v. nota 68): con l’indicazione di questa qualifica si poteva voler distinguere nei testi procedurali due personaggi recanti lo stesso nome, ma era anche possibile che vi si facesse riferimento a momenti diversi della carriera di una stessa persona: cfr. la situazione di altri personaggi esaminati precedentemente. Certo quest’ultima ipotesi convaliderebbe anche una identificazione con lo ÷alpaziti menzionato altrove con l’incarico di svolgere attività oracolari., di solito di tipo ornitomantico;71 abbiamo visto, infatti, che una stessa persona poteva esercitare mansioni divinatorie anche di genere diverso: cfr. sopra il caso di Tarøuntapiya. Del resto, la possibilità di una identificazione dello ÷alpaziti indovino (LÚ÷AL: v. nota 68) e del personaggio omonimo menzionato senza alcun titolo in un altro documento di procedura (cit. in nota 69) con quello presente in due documenti oracolari, dove compie operazioni ornitomantiche, sembra contemplata anche da E. Laroche.72

KUB L 12 IV 10’, dove ÷alpaziti fornisce responsi nell’ambito di una operazione ornitomantica (UMMA m÷alpa-LÚ SIxSÁ-at-wa): nella r. 12’ si nomina fNikalma[ti in un contesto molto lacunoso: si alludeva forse alla nota regina defunta? KBo XXIV 126 Ro 23’, dove egli opera ancora all’interno di una consultazione effettuata mediante gli uccelli (UMMA m÷alpa-LÚ arøa-wa peššir); in Vo ]1’, 13’, 17’ è menzionato Tattamaru (cfr. nota 66); KUB XVI 66 (CTH 577) ]27’, dove questo personaggio è presente di nuovo nel corso di un’azione ornitomantica; da notare nelle rr. 14’ e 28’ la menzione di Aranøapilizzi (NH e Suppl. 114), comandante militare dell’epoca di Muršili II e verosimilmente di Muwatalli, al quale, secondo G.F. Del Monte, RSO 49 (1975) 4, successe ÷alpaziti nella carica di capo degli uomini UKU.UŠ di destra, v., anche, in proposito, S. Rosi, loc. cit.; KUB XVI 58 (CTH 582) Vo 6’, un documento oracolare molto frammentario in cui compare questo personaggio, purtroppo in un contesto non chiaro. 72 Suppl. NH 259.5. 71

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÷alpaziti, quindi, poteva aver svolto in un primo tempo mansioni scribali e divinatorie (augure e indovino), divenendo poi capo degli scribi e capo degli uomini UKU.UŠ di destra,73 per terminare la sua carriera con la partecipazione alla “congiura di ÷ešni”.74 Tralasceremo altri esempi analoghi a quelli sin qui esposti: mi pare infatti si possa ragionevolmente concludere che, pur non risultando sempre possibile postulare l’identità dei vari personaggi che recavano lo stesso nome e che in documenti contemporanei appaiono aver esercitato attività scribali e divinatorie di vario genere, tale identità sia però sostenibile almeno in diversi casi.75

73 Cfr. il caso di Šaøurunuwa che portava, fra gli altri, anche i titoli di capo degli scribi e capo degli uomini UKU.UŠ: v. Šaøur., 11 e sgg. 74 R. Stefanini, op. cit., 35, presume che ÷alpaziti in questa congiura fosse stato fedele al re, senza però fornire elementi sufficienti a sostegno di tale ipotesi; più convincenti, invece, mi sembrano le considerazioni di S. de Martino, op. cit., 311. 75 Si ricorda, a semplice titolo di confronto, che nell’amministrazione provinciale babilonese all’epoca della seconda dinastia di Isin gli scribi dei villaggi sostituivano spesso l’indovino (BÂRÛ) locale: v. J.A. Brinkman, JESHO 6 (1963) 238 con nota 5. Mi ha fatto inoltre gentilmente notare Padre G. Castellino che anche l’esorcista (ŠIPU) in ambito mesopotamico risulta da qualche colophon essere stato scriba di tavolette: CAD 1, II (1968) 434, e.

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XV.

LA POLITIQUE EXTÉRIEURE DES HITTITES: TENDANCES ET PROBLÈMES

Différents aspects importants de la politique extérieure des souverains hittites ont été amplement traités depuis déjà de nombreuses années. On a publié, en effet, plusieurs intéressantes recherches sur les causes et le déroulement de certaines guerres, sur les opérations diplomatiques et sur les accords internationaux conclus entre le royaume du ÷atti et les autres États du Proche-Orient antique. Ailleurs,1 j’ai déjà parlé de la façon dont les souverains hittites utilisaient leurs guerres pour affirmer leur pouvoir et de certaines formes d’intervention, économiques et administratives, dont ils se servaient en temps de paix pour maintenir la stabilité de ce pouvoir. Je voudrais m’arrêter ici sur quelques points qui, au cours de ces recherches, m’ont semblé d’un certain intérêt. On sait quelle était pour la monarchie hittite, tout comme pour les autres monarchies de type absolu du Proche-Orient antique, l’importance de l’aspect militaire dans l’idéologie royale. En effet, une entreprise militaire qui se terminait de façon positive apportait au souverain des avantages certains au point de vue politique et au point de vue économique. En premier lieu, son prestige augmentait remarquablement à l’intérieur comme à l’extérieur du pays. En outre, le souverain avait ainsi la possibilité de montrer la solidité de ses liens avec l’élément divin, liens qui en légitimaient et en renforçaient le pouvoir. 1

Voir ma communication sur “Interventi di politica economica dei sovrani ittiti e stabilità del potere”, dans Stato, Economia, Lavoro nel Vicino Oriente Antico (Istituto A. Gramsci Toscano, Firenze 29-31 Ottobre 1984) Milano (1988) 225-239. J’ai également abordé ce problème lors d’une conférence sur “Guerre et paix: instruments de domination des souverains hittites”, Bruxelles, Groupe de Contact C.N.R.S., Les Droits de l’Orient ancien, 1er décembre 1984, et d’une relation sur “Aspects of Political and Economic Power in the Hittite Kingdom”, Symposium on Social and Economic Structure of the Eastern Mediterranean in the Second Half of the IId Millennium B.C., Haifa 28th April-2nd May 1985.

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A mon avis, un autre motif important pour le souverain de promouvoir des expéditions militaires pouvait être aussi le fait que cellesci servaient à maintenir engagés et occupés dans ces opérations (et par conséquent davantage soumis au pouvoir royal) certains sujets de haut rang, qui, de cette façon, avaient moins de temps et d’occasions pour des initiatives contre le souverain et, en outre, plus de possibilités de satisfaire leurs ambitions et comme prestige et comme richesses. Cela pouvait également servir à éviter des rébellions internes pour la conquête du pouvoir. Cet expédient pouvait toutefois obtenir aussi l’effet opposé, en permettant à certains personnages d’acquérir trop de prestige et, en même temps, des alliés pour la conquête du pouvoir. Naturellement, la conclusion positive d’une guerre apportait aussi des avantages économiques, surtout pour le roi et pour ceux qui appartenaient à son entourage. Outre les tributs qui devaient être versés annuellement par les pays assujettis sur la base d’accords précis, les souverains hittites se procuraient aussi des biens meubles et immeubles, ainsi qu’une très grande quantité de main d’oeuvre2 qui, de cette façon, suppléait à la pénurie de forces ouvrières que l’on retrouve dans tous les états de l’Asie antérieure antique. On peut donc raisonnablement affirmer que la guerre se traduisait en un soutien du pouvoir royal. Au contraire, il ne semble pas qu’on rencontre dans la documentation hittite de traces d’une idéologie particulière de la paix. Les passages correspondants semblent présenter la paix comme une absence de guerres civiles, de conjurations dans le milieu palatin, plutôt que comme une absence de guerres extérieures.3 Il s’agit de NAM.RAMEŠ “prisonniers civils/déportes”. Il me semble intéressant d’observer que le souverain hittite attribuait ces déportés non seulement aux dignitaires et aux fonctionnaires de l’État ou à des institutions cultuelles, mais aussi, dans certains cas particuliers, au secteur communautaire, comme le montrent les §§ 40 et 112 du recueil de Lois, ainsi qu’ un passage des “Instructions pour le seigneur du poste de garde”. Pour le souverain, c’était là un des moyens d’intervention dans l’économie du secteur communautaire, secteur qui agissait en dehors de l’appareil étatique: cfr. à ce propos JESHO 25 (1983) 230 sq. et 262. 3 Voyons, par exemple, l’Edit promulgué par le souverain Telipinu où, dans le préambule historique qui décrit la situation des règnes antérieurs - bien que de façon plutôt tendancieuse et qui ne correspond pas toujours à la réalité - à propos des règnes de Labarna et de ÷attušili I, on y théorise l’accord alors existant entre la famille royale, la cour et l’armée, ce qui permettait au souverain de mener victorieusement ses 2

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La paix apparaît presque comme un moyen pour utiliser les avantages politiques et économiques acquis avec la guerre, naturellement en cas de victoire, et comme une nécessité pour reconstituer les moyens indispensables pour de nouvelles entreprises militaires et d’autres conquêtes. Bien sûr, la paix servait aussi à développer une action politique, économique et religieuse dans le but de consolider dans une position subalterne les domaines acquis, même si une action de ce genre ne donnait pas toujours des résultats durables. Les renseignements que nous possédons sur la façon dont les Hittites administraient les pays assujettis proviennent non seulement des archives de ÷attuša, mais aussi de celles de ces pays eux-mêmes, en premier lieu Ugarit. Nous attendons la publication complète des documents d’Emar et de ceux de Ma$at, vraisemblablement intéressants à ce point de vue. Il faut observer que les données que nous possédons sont pour la plupart indirectes, c’est-à-dire qu’elles proviennent de textes dont la compilation tendait à un tout autre but que celui de fournir un tableau précis de la structure administrative hittite à l’intérieur et à l’extérieur du royaume.4 Comme j’ai déjà eu l’occasion de le remarque,5 l’étude des différentes charges de dignitaires et fonctionnaires hittites qui exerçaient leur activité au ÷atti et dans les pays soumis à la domination hittite, s’est démontrée d’un grand intérêt précisément pour le rôle que la structure administrative entreprises guerrières, conquérant des pays ennemis et augmentant remarquablement les frontières du royaume. 4 Nous pourrions nous attendre à ce que la correspondance échangée entre le souverain hittite et les souverains des pays qui se trouvaient sous le contrôle du ÷atti, ou les lettres adressées aux dignitaires chargés de l’administration de ces mêmes pays nous offre, comme cela a lieu pour d’autres États, de nombreux renseignements d’un certain intérêt pour notre étude, également en tant que documentation plus directe. Malheureusement, toutefois, la correspondance qui provient des archives de ÷attuša n’apporte guère de lumières en ce sens, tandis que celle qui provient d’Ugarit présente un intérêt majeur. Nous espérons que des renseignements sur le sujet qui nous occupe pourront être fournis par les nombreuses lettres trouvées à Ma$at: d’une lettre d’Emar, intéressante à ce propos, je me suis déjà servie dans une autre recherche: voir note 54. 5 Lors de deux conférences, l’une sur “Noms, titres et fonctions de quelques dignitaires de l’État hittite”, l’autre sur “Variété des attributions des scribes hittites”, Collège de France, 25 et 27 mars 1985.

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avait dans une organisation étatique centralisée et bureaucratisée comme celle du ÷atti. En outre, une recherche à caractère prosopographique s’est révélée particulièrement utile pour établir le contenu de certaines charges, la transformation que le contenu de ces charges a pu connaître au cours des années et lors du passage d’une structure étatique à une autre, la possibilité de cumuler certaines de ces charges, leur éventuelle transmission héréditaire et les mécanismes de leur attribution. De cette façon, il est parfois possible de proposer des modèles de cursus honorum. L’étude des noms des personnages qui détenaient des charges administratives peut, elle aussi, fournir une contribution à la connaissance des différents éléments ethniques présents dans la bureaucratie hittite et dans celle des pays soumis au ÷atti, même si l’on doit tenir compte du fait que le choix d’un non est subordonné à de nombreux facteurs, comme, par exemple, la mode, et que, par conséquent, les anthroponymes ne sont pas toujours révélateurs d’une provenance ethnique. Ainsi, l’analyse prosopographique et onomastique permet de jeter une lumière nouvelle sur la distribution des charges administratives dans le royaume hittite et dans les états qui lui étaient soumis: les résultats de cette analyse sont particulièrement significatifs pour la reconstruction des formes de gouvernement et de contrôle exercées par les souverains hittites. Il est notoire que le roi du ÷atti confiait l’administration des pays conquis de préférence à ses fils. Nous en avons la confirmation déjà pour l’Ancien Royaume, par exemple par le préambule historique de l’Edit de Telipinu, en ce qui concerne Labarna, ou par la chronique d’Ammuna.6 Souvent le roi attribuait à un de ses fils le sacerdoce de quelque importante divinité des pays placés sous l’influence du ÷atti, pour les lier davantage à lui-même et pour exercer plus fortement son pouvoir. Rappelons, par exemple, le cas de Kantuzzili,, personnage du Moyen Royaume, DUMU.LUGAL (à entendre ici dans le sens littéral et généalogique), peut-être fils de Tutøaliya II et de Nikalmati, probablement 6 V. Edit de Telipinu (CTH 19) §§ 3-4, ll. 9-11: voir en dernier I. Hoffmann, THeth 11 (1984) 12-15; pour la Chronique de Ammuna (CTH 18), cfr. CHD L-N, 168 s.v. maniyaøøai-.

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prêtre de Teššup et de ÷epat au Kizzuwatna et mentionné dans un texte comme “chef] des prêtre[s], fils du roi” (GAL LÚ.ME]Š SANGA DUMU.LUGAL),7 ou encore le cas de Telipinu, fils de Šuppiluliuma I, nommé lui aussi prêtre de Teššup, ÷epat et Šarruma au Kizzuwatna, avant d’être nommé roi d’Alep. Il est vraisemblable que ce sacerdoce constituait une charge particulièrement importante, qui n’impliquait pas exclusivement des fonctions religieuses. Quoi qu’il en soit, avec l’élargissement de l’empire et avec la croissance correspondante de la bureaucratie, le roi hittite s’était trouvé obligé de confier d’importantes charges gouvernementales non seulement à ses propres enfants ou à des membres de sa famille, mais aussi à d’autres personnes de confiance qui faisaient partie de son entourage. De là l’extension du sens initial du titre DUMU.LUGAL pour désigner dans certains cas également ceux qui étaient proches du roi (les hommes du roi).8 Mais de tout cela, j’ai parlé de façon détaillée ailleurs, à propos de certains personnages mentionnés dans la documentation hittite et ugaritique avec le titre de “fils du roi”, contrairement à ceux qui les considéraient tous indistinctement comme fils du roi du ÷atti ou comme fils du roi de Karkemiš.9 Aujourd’hui la plupart des spécialistes, tout en étant d’accord sur le fait que l’expression “fils du roi” n’a pas seulement un sens littéralgénéalogique, considèrent toutefois que les personnages qui portent ce titre dans le milieu ugaritique et émariote sont pour la plupart des fonctionnaires de Karkemiš ou anatoliens, mais toujours soumis à l’autorité de Karkemiš10 cela pour l’importante fonction de supervision exercée par le roi de Karkemiš sur les états de la Syrie septentrionale pour le compte des souverains hittites, surtout à partir de l’époque de

V. FsLaroche, 172 sq. avec notes 21, 22. Pour l’équivalence dans certains cas des termes DUMU et LÚ, on comparera les expressions DUMUMEŠ E.GAL / LÚMEŠ É.GAL “les fils/les hommes - c’est-à-dire les employés - du Palais”, ou les DUMUMEŠ/LÚMEŠ KUR URU÷atti” les fils/les hommes c’est-à-dire les habitants - du ÷atti”, etc. 9 V. Or 44 (1975) 80-98, et Šaøur., 116 sq. 10 V. D. Arnaud, Actes du Colloque de Strasbourg, 10-12 mars 1977, 252 ; M. Liverani, RHA 36 (1978), 153 sqq. ; D. Hawkins, RlA s.v. Karkamiš, 433. 7

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Ini-Teššup, contemporain de Tutøaliya IV et probablement aussi de ÷attušili III, et de Ammistamru II et de Ibiranu d’Ugarit.11 Sur la base d’un examen des données onomastiques, nombre de noms de hauts fonctionnaires présents à Ugarit ou à Emar, pour ce qui a été publié jusqu’à présent, ont été reconnus d’origine anatolienne, souvent louvite, et aussi beaucoup de leurs sceaux sont de type hittite.12 Une étude prosopographique de certains de ces personnages qui portent le titre de “fils du roi” à Ugarit et à Emar à l’époque de IniTeššup et de ÷attušili III-Tutøaliya IV en permet, à mon avis, l’identification avec certains personnages homonymes mentionnés dans la documentation hittite contemporaine, soit avec le même titre, soit avec des qualifications différentes. En effet, je ne retiens pas comme très fréquents les cas d’homonymie quand il s’agit d’anthroponymes se rapportant à des personnages de haut rang, ayant vécu à la même époque, surtout s’ils portent le même titre et apparaissent dans des textes de genre différent avec les mêmes personnes. Nous examinerons maintenant quelques exemples typiques, relatifs à l’époque de Tutøaliya IV, et peut-être aussi de ÷attušili III. Nous verrons, d’abord, trois personnages de la documentation d’Ugarit, à savoir Mizramuwa, son frère Upparmuwa, et le fils de celui-ci Piøa-DIM (à lire Piøa-Tarøunta ou Piøa-Teššup)13 et nous les comparerons avec les personnages homonymes mentionnés à la même époque dans d’autres milieux. Dans une lettre envoyée par un souverain, probablement Ini-Teššup de Karkemiš, à Ibiranu d’Ugarit, on annonce qu’ un personnage dénommé Mizramuwa ira habiter à Ugarit et l’on demande au souverain de ce pays de le traiter convenablement, en spécifiant qu’il est le frère d’Upparmuwa et le “fils du roi”.14

11 Cette fonction de Karkemiš a été mise en relief par M. Liverani dans RSO 35 (1960) 135 sqq. 12 Cfr. M. Liverani, RHA, cit. 154 s. avec note 27; D. Beyer, Actes du Colloque de Strasbourg, 10-12 mars 1977, 275 sqq. ; cfr. en outre plus loin p. 193 sq. et note 27. 13 Pour Mizramuwa v. NH et Suppl. dans Heth 4 (1981), Nr. 811; pour Upparmuwa v. NH et Suppl. Nr. 1428; pour Piøa-DU/DIM v. NH et Suppl. Nr. 971; pour les possibles lectures hittites de ce nom, v. FsBresciani (1985) 266 note 49. 14 RS 17.423, 6 sqq. , 19 sqq. = PRU IV, 193.

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On remarquera ici que, si Mizramuwa avait été le fils du roi de Karkemiš, celui-ci aurait probablement dit “mon file” ou, si Mizramuwa avait été fils du précédent roi de Karkemiš, “mon frère”.15 Si, au contraire, Mizramuwa avait été le fils du roi du ÷atti, on aurait probablement utilisé la formule “fils de Mon Soleil”. Upparmuwa est encore cité sans aucun titre dans une lettre double, toujours d’Ugarit, comme père de l’expéditeur de la deuxième partie de celle-ci, Piøa-DIM.16 On doit observer que dans cette lettre Piøa-Tarøunta s’adresse au préfet (šakinu) d’Ugarit en l’appelant “frère”, c’est-à-dire en le mettant sur un plan de parité. Dans la documentation hittite Mizramuwa, avec le titre de “Chef des bergers de gauche”, se trouve parmi les témoins du texte de Šaøurunuwa,17 qui date du début du règne de Tutøaliya IV (et à ce propos E. Laroche, dans NH, s’était déjà demandé s’il ne fallait pas l’identifier avec le Mizramuwa du texte ugaritique). Un dénommé Mizramuwa est mentionné aussi dans un document de l’administration religieuse,18 malheureusement très fragmentaire. Il est intéressant de remarquer parmi les témoins du texte de Šaøurunuwa la présence de Upparmuwa, accompagné des titres de “fils du roi” et “surintendant des écuyers d’or”;19 avec ces mêmes titres, il se trouve aussi dans la liste des témoins du traité stipulé probablement par ÷attušili III à la fin de son règne avec Ulmi-Teššup de Tarøuntašša.20 En ce qui concerne Piøa-Tarøunta (fils de Upparmuwa dans la lettre d’Ugarit citée précédemment, v. note 16), la mention dans un document

Cfr. G. Brin, AION 19 (1969) 443 sq. RS 17.148 B, 1 = PRU VI, 10 sq. 17 KUB XXVI 43 (CTH 225) Vo 31: mMizra-A.A-aš GAL NA.GAD GÙB-laš. 18 KBo XIII 235 (CTH 509) Ro I 4. 19 KUB XXVI 43 Vo 30 mUppara-A.A DUMU.LUGAL UGULA LÚ.MEŠ IŠ GUŠKIN. 20 KBo IV 10 (CTH 106) Vo 30: mUppara-A.A DUMU.LUGAL GAL LÚ.MEŠ IŠ GUŠKIN; ce personnage est ici indiqué comme “Grand” et non comme “Surintendant” des écuyers d’or. Je pense toutefois que dans ce cas, comme du reste dans d’autres, on peut considérer ces deux titres comme équivalents car le texte où Upparmuwa est mentionné comme “Grand” - qui devrait être le titre le plus élevé - est antérieur au texte où il est cité comme “Surintendant” (v. note 19): sur la datation de ces textes v. en dernier Šaøur., 137 sq. 15 16

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d’Emar21 de “Piøa-DU (à savoir Piøa-Tarøunta) fils de Uppa ‘fils du roi’ du pays du ÷atti” présente un intérêt particulier. Sur la base aussi d’éléments que je vais exposer, je considère que l’expression ŠA KUR ÷at[ti] “du pays du ÷at[ti]” indique la provenance ou la patrie de PiøaTarøunta et/ou de Uppa et que cette expression ne doit pas être liée au terme “roi”, c’est-à-dire qu’elle ne sert pas à spécifier que l’on parle ici d’un fils du souverain hittite. Je pense en effet que, comme je l’ai déjà dit à propos de Mizramuwa, nous aurions plutôt trouvé alors l’expression “fils de Mon Soleil”. A propos de ce passage du document d’Emar, E. Laroche, dans son supplément à NH Nr. 971, avait pensé à la possibilité d’identifier ce même Piøa-Tarøunta avec le personnage homonyme mentionné comme fils d’Upparmuwa dans le document ugaritique dont nous parlions avant. Pour soutenir la plausibilité de l’équation Uppa = Upparmuwa, il me semble intéressant de relier cette hypothèse à une idée analogue, toujours de E. Laroche, qui propose d’identifier les anthroponymes UR.MA÷ et UR.MA÷-ziti, désignant tous deux un chef de scribes.22 Du reste, on connaît l’utilisation des abréviations graphiques en hittite.23 En réalité, il n’est pas très aisé d’établir auquel des deux personnages cités dans le document d’Emar se rapporte le titre “fils du roi”: en effet, nous avons vu que Upparmuwa portait dans les textes hittites la qualification de “fils du roi”. Toutefois, le contexte de la phrase de la tablette d’Emar porte à penser que ce titre était attribué là à PiøaTarøunta.24 Un Piøa-Tarøunta (Piøa-DIM) apparaît encore dans une autre tablette d’Emar (Msk. 73.1019), sur l’empreinte d’un sceau-cylindre, et, bien qu’il y soit mentionné sans titre ni patronyme, il est raisonnable de penser qu’il s’agit de la même personne.25 Selon ce que D. Beyer m’a aimablement communiqué par lettre après ce colloque anatolien, il

Msk. 73.1012 r. 24: mPiøa-DU DUMU Uppa DUMU.LUGAL ŠA KUR ÷at[ti]: ce personnage est mentionné ici en qualité de témoin. 22 V. ArOr 27 (1949) 11. 23 A ce propos, v. encore E. Laroche, RHA 12 (1952) 40. 24 Cfr. E. Laroche, Suppl. NH Nr. 971, 2. 25 V. E. Laroche, Suppl. NH cité à la note précédente. 21

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semble que ce sceau soit celui d’un personnage très important.26 A son avis, “du point de vue stylistique et typologique, ce sceau-cylindre apparaît, dans le cadre du Corpus des sceaux d’Emar, comme l’un des plus spécifiquement hittites”,27 et encore “il y a là un faisceau d’indices invitant à considérer le sceau de P. comme étranger à Emar, plus ‘hittite’ que ‘syro-hittite’ ”. Il me semble donc qu’on peut postuler avec de bonnes raisons que le Piøa-Tarøunta des documents d’Ugarit et de ceux d’Emar avait recouvert la charge de DUMU.LUGAL tout comme son père Upparmuwa et que tous deux aient été des dignitaires hittites de rang élevé envoyés dans des pays soumis à la domination du ÷atti. Du reste, on connaît dans les textes hittites des cas analogues où père et fils portaient également le titre de “fils du roi”, comme, par exemple, Šaøurunuwa et Tattamaru, père et fils, et tous deux “fils du roi”.28 Dans la documentation hittite de la même époque Piøa-Tarøunta est mentionné plusieurs fois ou sans qualification ou accompagné de titres divers. Il serait trop long d’analyser ici tous ces documents, qui, par ailleurs, posent plusieurs problèmes intéressants, et de discuter les autres possibles identifications de cet anthroponyme. On remarquera seulement qu’un personnage de ce nom, portant le titre de LÚ SAG, se trouve dans un document de procédure généralement connu comme “affaire d’Ukkura”, où sont impliqués de nombreux autres personnages importants de l’état hittite.29 En effet, l’empreinte de son cylindre couvre toute la largeur de la tablette, au centre du revers, ce qui est rare à Emar pour les sceaux des simples témoins. Je remercie vivement D. Beyer pour les renseignements qu’il m’a fournis. 27 Selon ce que remarque encore D. Beyer, la présence dans ce sceau du non de la dame Wašti, certainement son épouse (qui possède par ailleurs un sceau personnel, circulaire, à inscription hiéroglyphique), n’est pas dans les habitudes des sémites d’Emar. Une telle pratique se rencontre plutôt en milieu hittite. Sur Wašti v. Suppl. NH Nr. 1511a; elle est mentionnée également dans un texte hittite contenant probablement un récépissé de matériel (KUB XLII 84 [CTH *247.1] r. 10: v. S. Košak, THeth 10 [1982] 154 sq.) où, entre autres, on énumère aussi les biens appartenant à Wašti. On remarquera que dans un de ces inventaires (KBo XVI 83+ [CTH 242.8] III 1) on trouve également un dénommé Piøa-Tarøunta “seigneur de l’outil” (EN UNUTI); toutefois nous ne possédons pas assez d’éléments pour en proposer l’identification avec le personnage examiné ici. 28 V. Šaøur., 12 sq. et 43 sqq. , où il faut ajouter les attestations publiées ensuite, et Or cit. à la note 9, 92. 29 KUB XIII 35+ (CTH 293) III 13; v. StBoT 4 (1967) 10 sq. 26

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A ce point, il me semble utile de rappeler que la charge de LÚ SAG était compatible avec d’autres, comme celle de scribe, de seigneur de quelque pays et de KARTAPPU, comme le montre le cas de Palla, LÚ SAG, scribe, seigneur de ÷urma, ou du fameux Anuwanza, LÚ SAG scribe et seigneur de Nerik, ou encore celui de Zuzu, LÚ SAG, scribe et KARTAPPU, et d’autres analogues. Il est bon également de relever la connexion dans quelques textes des hommes SAG avec les seigneurs et les “fils du roi” (comme, par exemple, dans le texte des “instructions” qui leur sont adressées) et avec les KARTAPPU, que nous savons dans quelques cas être chargés de fonctions diplomatiques à l’étranger. En outre, comme l’ont fait observer F. Pecchioli Daddi,30 ainsi que I. Singer31 les hommes SAG exerçaient non seulement des fonctions de confiance auprès de la cour hittite, mais ils étaient aussi envoyés en mission spéciale auprès de cours étrangères, ce qui pourrait expliquer leur connexion avec les dignitaires dont nous parlions avant et, en particulier, leur liaison avec les KARTAPPU, attestée aussi à Ugarit. Tout cela pourrait offrir un appui pour l’identification de PiøaTarøunta “fils du roi” dans les documents d’Ugarit et d’Emar avec le personnage homonyme qui porte le titre de LÚ SAG dans le document de procédure hittite de la même époque, que nous avons rappelé précédemment. Comme je l’ai dit, je laisserai de côté l’examen des autres documents hittites cunéiformes et hiéroglyphiques qui mentionnent Piøa-Tarøunta:32 je voudrais rappeler seulement que, dans certains de ceux-ci, nous voyons un personnage de ce nom fournir des réponses oraculaires et que dans un de ces comptes-rendus à caractère ornithomantique, il opère avec un certain *Armanani (MI.ŠEŠ).33 On trouve un *Armanani dans la documentation hiéroglyphique hittite (dans la graphie LUNA.FRATER), probablement du XIIIe siècle, avec le titre de scribe et de “fils du roi”, ainsi que sans aucune qualification.

SCO 27 (1977) 108 sq. et note 54. Tel Aviv 10 (1983) 10 sq. 32 V. FsBresciani, 266 note 49. 33 KUB XVIII 12+ (CTH 254) I 14, ]22, 44, 50, II 4’[; sur Armanani v. FsBresciani, 258 sq. et 265 notes 46-48. 30

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J’ai, du reste, essayé de démontrer ailleurs que les scribes hittites avaient la possibilité d’exercer également des activités divinatoires.34 Rappelons aussi que l’anthroponyme *Armanani se trouve également, sans aucun titre, dans la documentation d’Emar de la même époque (Msk. 73.266) en cunéiforme (graphie SIN-ŠEŠ) et hiéroglyphique (LUNA.FRATER), comme on peut le voir dans la liste provisoire des noms émariotes en écriture hiéroglyphique fournie par E. Laroche.35 Tous ces éléments me semblent soutenir fortement l’identification des fonctionnaires hittites Piøa-Tarøunta et *Armanani avec les personnages homonymes mentionnés dans la documentation nordsyrienne contemporaine. Nous examinerons maintenant le cas d’Aliøešni, ainsi que celui d’autres personnages cités avec lui dans quelques textes ugaritiques ou hittites, comme Ebina’e, Kurkalli, Taparami et, en particulier, Armaziti.36 Nous rencontrons Aliøešni dans la documentation ugaritique avec le titre de “fils de roi” comme expéditeur d’une lettre au roi d’Ugarit, peut-être Ibiranu sur la base d’une autre lettre d’un contenu analogue, dont nous parlerons ensuite, envoyée justement à Ibiranu par le roi de Karkemiš. Dans la lettre expédiée par Aliøešni,37on donne au roi d’Ugarit la réponse du palais - vraisemblablement le Palais hittite - en ce qui concerne la délimitation des frontières d’Ugarit. C’est-à-dire que l’on y affirme que doivent entrer en vigueur les frontières fixées, ou mieux établies, par Armaziti, et que Ebina’e et Kurkalli iront les fixer définitivement.38 Il est intéressant de faire une comparaison avec l’autre lettre que nous rappelions avant, envoyée par le roi de Karkemiš à Ibiranu, lettre dont le contenu est analogue, mais où l’on spécifie que c’est le roi de Karkemiš qui enverra Ebina’e et Kurkalli.39

V. globalement FsBresciani, 255-269. V. Akk. 22 (1981) 10 sq. 36 Sur Aliøešni v. NH et Suppl. Nr. 32 ; sur Kurkalli/Gurgali v. NH et Suppl. Nr. 645; sur Taparami/Tabrammi v. Nr. 1250; sur Armaziti v. NH et Suppl. Nr. 141, et, en dernier, FsBresciani, 255 sq. et 261 sqq. notes 1-17. 37 RS 15.77 = PRU III, 6 sq. 38 Ou matériellement “sur le terrain”, comme l’entend J. Nougayrol, PRU IV, 188. 39 RS 17.292 = PRU IV, 188. 34

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Ebina’e est mentionné dans un autre document ugaritique40 comme expéditeur d’une lettre de créance adressée au préfet (šakinu) d’Ugarit, qui est appelé “mon cher fils”, ce qui fait présumer que Ebina’e était ou d’un rang supérieur ou d’un age plus avancé que le préfet ugaritique. Jusqu’a présent, ce non n’est pas attesté dans la documentation hittite. L’anthroponyme Kurkalli/Gurgali se retrouve, au contraire, dans un texte hittite très fragmentaire41 contenant une liste d’offrandes cultuelles, de l’époque de Tutøaliya IV; on doit y remarquer la présence dans le même paragraphe, dans un contexte peu clair, de l’expression ŠA LUGAL É.GAL Karkamiš “du roi du palais de Karkemiš”. Dans les documents hittites de la même époque on trouve plusieurs fois le nom Aliøešni et, à mon avis, il se rapporte toujours à la même personne. Dans le texte de Šaøurunuwa Aliøešni est dit probablement gendre de celui-ci.42 Comme dignitaire (LÚøalipi) il est mentionné par ÷attušili III avec d’autres personnages qui jouissaient de la faveur de ce souverain.43 Aliøešni est en outre nommé sans aucun titre dans un protocole judiciaire, appelé “procès de Kuniyapiya”, où il est impliqué avec d’autres personnages dans une question de métaux précieux.44 Il est cité également dans un inventaire, précisément de métaux et pierres précieuses, où, parmi d’autres anthroponymes, on trouve aussi celui de Taparami.45 C’est lé le nom d’un personnage de haut rang qui a vécu à l’époque de Tutøaliya IV, nommé dans la documentation hiéroglyphique de Boˆazköy (dans laquelle on doit relever l’expression “Tabrani du Palais (??)...”) ainsi que dans la documentation ugaritique cunéiforme et hiéroglyphique (observons qu’on y parle de Tabrani ša rêši du Palais et RS 17.78, 1 = PRU IV, 196. KUB XLVIII 113 (CTH 525) I 4’ sq.: (4’) DKataøøan mGurgališ NIN.DINGIR[ (5’) ŠA LUGAL É.GAL Kargamiš ešša[i]; v. H. Klengel, Gesch. Syr. I, 96, note 76; ajouter cette attestation du titre NIN.DINGIR à F. Pecchioli Daddi, MPD (1982) 419 sqq. 42 KUB XXVI 43 Vo 22 = 50 Vo 14: v. Šaøur., 115. 43 KBo IV 12 (CTH 87) Vo 6: v. A. Goetze, ÷att., 44. 44 KUB XXXI 76+ (CTH 294) VI 17, 20; v. R. Werner, StBoT 4 (1976) 26 sq.; il semble qu’on y dise (mais le texte est malheureusement abîmé) que Kuniyapiya (NH et Suppl. Nr. 630) a donné à Aliøešni des objets d’argent et d’or, mais qu’il ne les a pas avec lui (à la lettre “ici”). 45 KBo XVIII 161 (CTH 242.13) Vo 11’; v. S. Košak, THeth 10 (1982) 104 sq. 40

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rappelons que le titre ša rêši correspond à celui de LÚ SAG, dont nous avons parlé avant).46 Par conséquent, la position de prestige de Aliøešni dans le milieu hittite et, en outre, la mention de son nom dans des documents hittites et ugaritiques avec le même anthroponyme Taparami/Tabrami rendent vraisemblable son identification avec le Aliøešni “fils du roi” de la lettre d’Ugarit examinée précédemment. Le contexte de cette lettre et la comparaison avec l’autre d’un contenu analogue, ainsi que les renseignements exposés à l’instant et d’autres que nous présenterons maintenant, montrent, à mon avis, que l’autre personnage qui y est nommé, à savoir Armaziti, était, lui aussi, un haut dignitaire hittite, envoyé par le Palais pour délimiter les frontières d’Ugarit tandis que Ebina’e et Kurkalli, chargés de les fixer définitivement, ou matériellement, étaient deux fonctionnaires de haut rang dépendant du roi de Karkemiš. Du personnage dénommé Armaziti, relativement à l’époque de ÷attušili III et de Tutøaliya IV, je m’en occupe depuis quelque temps et j’ai essayé d’en suivre la carrière à l’intérieur de la structure bureaucratique de l’État hittite.47 Pour toute une série de motifs qu’il serait trop long d’énumérer ici, je pense qu’il est possible d’affirmer l’identité de la plupart des personnages qui portaient ce nom dans les documents hittites de cette époque: c’est-à-dire l’Armaziti qui exerçait la fonction de scribe et celui qui est mentionné dans des textes relatifs à l’administration du culte ainsi que dans d’autres documents de différents genres. Je considére également comme plausible l’identification de ce même Armaziti avec la personne homonyme qui exerçait, pendant la même période, des activités divinatoires, principalement de type ornithomantique. On comparera les cas que nous avons rappelés précédemment de PiøaTarøunta et de *Armanani, ainsi que d’autres que nous n’avons pas le temps de rappeler ici.48 Un personnage nommé Armaziti se trouve aussi dans la documentation ugaritique de la même époque. Nous avons déjà examiné

V. en dernier loc. cit. à la note 30. V. mon travail sur “Armaziti: attività di un personaggio nel tardo impero ittita” qui sera publié dans EOTHEN, Studi di Storia e di filologia anatolica dedicati a G. Pugliese Carratelli. 48 V. l’étude citée à la note 34. 46

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les deux lettres (v. notes 37 et 39) où ce personnage est chargé de fixer les frontières du royaume d’Ugarit. Dans un acte de procédure nous voyons Armaziti exercer la fonction de juge et de témoin, avec le titre de “fils du roi”;49 sur le Verso de ce document il y a un sceau où il porte ce même titre. Un sceau lui appartenant se trouve aussi sur le Verso d’un petit fragment qui semble un duplicate du texte précédent.50 Dans un autre document,51 toujours d’Ugarit, Armaziti - cité ici sans aucun titre - est condamné à payer 300 sicles d’argent au roi d’Ugarit et à certaines personnes; au sommet du Recto on voit la double empreinte de son sceau. On remarquera que la typologie de ces sceaux est hittite.52 Comme je l’ai expliqué dans mon étude sur Armaziti (v. note 47), il me semble plausible qu’on puisse postuler une identification entre le Armaziti “fils du roi” que nous trouvons à Ugarit et celui qui est mentionné dans les documents hittites cunéiformes et hiéroglyphiques de la même époque, parfois avec le titre de scribe. Du reste, on sait que beaucoup de scribes hittites, certes au sommet de leur carrière, portaient également le titre de “fils du roi” et recouvraient de hautes charges dans l’administration de l’État. A ce propos, on pourra comparer, par exemple, les cas de Tarøuntapiya, de *Armanani, de Šaøurunuwa, etc. Il pouvait s’agir ici d’un haut dignitaire de l’État hittite, chargé d’exercer d’importantes fonctions administratives à Ugarit, comme le montre aussi la charge de délimiter les frontières de ce pays. A ce propos, dans le même article, j’ai rappelé, simplement à titre d’exemple, que dans l’administration provinciale babylonienne de l’époque de la deuxième dynastie d’Isin, les scribes détenaient l’importante charge de mesurer la terre.53 En outre, que Armaziti ait été ensuite condamné à payer 300 sicles d’argent au roi d’Ugarit et à certaines personnes, fait présumer qu’il s’agit là d’une sanction ou d’un dédommagement pour quelque abus de type administratif commis par ce personnage dans l’exercice de ses fonctions, RS 17.314 Ro 1, Vo 21, 25 = PRU IV, 189. RS 17.449 = PRU IV, 190. 51 RS 17.316 = PRU IV, 190. 52 V. Ug. III, figs 48-51 et pp. 33 sqq. et 134 sq.; cfr. en outre supra note 12. 53 V. J. Brinkman, JESHO 6 (1963) 238. 49

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abus certes considérable s’il concerne de quelque façon le souverain d’Ugarit lui-même. Du reste, j’ai déjà relevé ailleurs que les hauts dignitaires hittites placés à la tête de districts administratifs avaient la possibilité de commettre, certes à leur avantage, des abus, ou en imposant arbitrairement des taxes, ou en confisquant des terres ou d’autres biens.54 Pour conclure, je ne crois pas que les personnages hittites pris ici comme exemple, qui portent le titre de “fils du roi” dans la documentation ugaritique et aussi - pour le peu que j’ai pu trouver - émariote, aient dépendu directement du roi de Karkemiš, même quand ils sont mentionnés dans des lettres dont celui-ci est l’expéditeur ou quand c’est lui qui en annonce l’arrivée ou qui parle de leurs activités dans des pays placés sous la domination hittite, comme, par exemple, dans le cas d’Ugarit. Comme j’ai déjà eu l’occasion de le remarquer plusieurs fois, il s’agissait de hauts dignitaires de l’état hittite, envoyés à Ugarit ou à Emar ou dans d’autres pays, avec la charge d’exercer des fonctions administratives ou représentatives, au nom du pouvoir central hittite. Leur vaste possibilité d’action, qui dérivait aussi de l’expansion de l’empire, leur permettait d’exercer des abus à leur avantage. Qu’on se rappelle ce que nous avons observé plus haut à propos de l’imposition d’une amende à Armaziti, surtout en comparaison avec la lettre d’Emar dont nous avons parlé à la note 54. Du reste, dans les documents hittites on trouve de nombreux exemples de dignitaires qui détenaient des charges importantes dans différents secteurs de l’administration interne et externe de l’État, impliqués justement dans des procédures judiciaires. Nombre de ces personnages se retrouvent dans d’autres documents, quelquefois avec le titre de “fils du roi”; nous les voyons servir de témoins dans des actes 54 JESHO 25 (1983) 264 sqq. et Stato, Economia Lavoro, cit. supra note 1. A ce sujet, un document de Meskéné, que nous y avons traité, présente un intérêt tout particulier. Il s’agit d’une lettre dans laquelle un souverain hittite, ÷attušili III ou Tutøaliya IV, reproche à un de ses dignitaires d’avoir confisqué les biens d’un individu pour les donner à un autre et, en outre, d’avoir imposé arbitrairement à un devin des charges dont il était exempté “depuis des temps reculés”. A ce point, le roi lui-même intervient et ordonne à ce dignitaire de restituer les biens confisqués et de lever les charges arbitrairement imposées.

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importants, même au niveau international; nous en connaissons parfois les sceaux avec leurs titres. Et dans différents documents où le souverain hittite accorde des bénéfices ou des immunités à des personnages de haut rang ou à des organismes cultuels, on défie le “seigneur du pays” (EN KURTI), le “seigneur du poste de garde” (BÊL MADGALTI) et parfois aussi les “fils du roi”, d’imposer arbitrairement des charges et de confisquer des biens fonciers. La fréquence de cet avertissement, adressé aux chefs de districts territoriaux - et surtout aux seigneurs avec des qualifications déterminées et aux “fils du roi” - fait présumer que de tels abus de leur part devaient se vérifier souvent. En réalité, le souverain hittite craignait que ses hauts dignitaires chargés de l’administration de zones éloignées de la capitale ou situées à l’étranger, acquièrent trop de pouvoir et deviennent dangereux pour luimême, justement parce que plus difficiles à contrôler. Il cherchait donc différentes façons de les tenir sous surveillance, ne pouvant le faire directement. Dans un article actuellement sous presse, j’ai tenté de démontrer comment le souverain tendait à entraîner dans le contrôle de ces fonctionnaires qui détenaient des charges administratives dans des pays décentralisés, également l’élément communautaire qui agissait en dehors du système bureaucratique de l’État.55 De même, je pense que le souverain de Karkemiš, lui aussi, avait pour le compte du souverain hittite une fonction de contrôle sur les dignitaires de ce dernier - évidemment sur ceux d’un rang plus élevé, parmi lesquels aussi les “fils du roi” - qui remplissaient leurs fonctions dans les royaumes de la Syrie septentrionale soumis à ÷attuša. Toutefois, ces dignitaires dépendaient toujours du roi du ÷atti. Avant de terminer, il me semble intéressant de rappeler que, parfois, dans les textes ugaritiques on spécifie s’il s’agit de dignitaires du roi de Karkemiš ou de dignitaires du souverain hittite, comme, par exemple, En effet, nous connaissons certains documents adressés à des chefs des districts administratifs auxquels on dit que, chaque fois qu’ils vont dans un pays ou en reviennent, ils doivent convoquer les membres libres des communautés locales, et même dans certains cas les Anciens, pour que ceux-ci les renseignent sur d’éventuelles malversations effectuées par le personnel des palais périphériques: v. Stato, Economia Lavoro, cit. précédemment. 55

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dans un acte vraisemblablement de l’époque de Niqmadu III, fils et successeur de Ibiranu, où l’on mentionne Zuzzullu, qardabbu du roi de Karkemiš, qui préside une controverse judiciaire.56 Au contraire, dans une lettre, nous voyons que le roi de Karkemiš écrit à Ibiranu pour l’informer de l’arrivée de Talmi-Teššup, qardabbu de “Mon Soleil”.57 On doit remarquer que, ici aussi, c’est le roi de Karkemiš qui annonce l’arrivée d’un dignitaire hittite, ce qui permet une comparaison avec le cas de Mizramuwa dont nous avons parlé avant, lequel, à mon avis, était lui aussi un haut dignitaire du ÷atti. En outre, il faut remarquer que ce Talmi-Teššup (à ne pas confondre avec le fils de Ini-Teššup) doit aller à Ugarit pour contrôler à combien s’élèvent les contingents de soldats et de chars que le roi d’Ugarit est obligé de fournir pour le Palais, c’est-àdire pour le pouvoir central hittite. Le roi de Karkemiš conseille à Ibiranu d’envoyer ces contingents à “Mon Soleil” avant cette inspection, afin que le roi hittite ne soit pas contrarié. Le roi de Karkemiš me semble donc n’avoir ici que la fonction d’intermédiaire; c’est aussi la fonction qu’il me semble avoir également dans la lettre où l’on parle de la définition des frontières d’Ugarit de la part de Armaziti. Il faut toutefois constater l’intervention directe du pouvoir central hittite dans des situations d’une particulière importance politique ou militaire ou économique : ce qui, par ailleurs, correspond au modèle d’une monarchie qui, tout en déléguant certaines fonctions de contrôle ou d’administration, demeure toutefois une institution aux traits fortement centralisés.58

RS 18.20 + 17.371 Ro 2 sq., Vo 6, et dans le sceau imprimé au sommet du Recto = PRU IV, 202 sq. 57 RS 17.289 Ro 6 sqq. = PRU IV, 192. 58 V. JESHO cit. supra note 54, 249 sqq. et 266 sq., au cours d’un examen des propositions les plus connues de classification typologique de la société hittite. 56

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XVI.

INTERVENTI DI POLITICA ECONOMICA E STABILITÀ DEL POTERE

Come la maggior parte degli stati del Vicino Oriente antico, anche quello ittita era retto da una monarchia centralizzata, in cui il sovrano stava al vertice di una struttura amministrativa che tendeva a configurarsi sempre più burocraticamente. Si può affermare questo, pur rilevando che lo stato ittita - forse anche per la morfologia del suo territorio - non arrivava ad una centralizzazione e burocratizzazione così rigida come si riscontra in certi periodi della storia mesopotamica, soprattutto per l’epoca di Ur III. Essenziale per ogni forma di autorità è la produzione del consenso: per un monarca un elemento importante per procurarselo è l’immagine che egli riesce a fornire di sé. Si è quindi spesso parlato dell’elemento propagandistico inteso a garantire al sovrano una stabilità di potere (politica dell’informazione, legame con l’elemento divino, successo militare, immagine di giustizia e di clemenza, edilizia di prestigio ecc.). È nota l’importanza della propaganda nelle monarchie ellenistiche. Ma nelle più antiche società vicino-orientali è difficile stabilire l’entità del ruolo che la propaganda aveva. Essa vi era sicuramente praticata: vi si riscontrano infatti interventi regi in tal senso, specialmente in circostanze particolari. Si deve tuttavia tener presente la relativa limitatezza dei canali di diffusione dei messaggi; inoltre la parte elitaria del paese, a cui era soprattutto destinata certa propaganda,1 ne era probabilmente la meno influenzabile. È comunque chiaro che anche in queste società governare non significa soltanto diffondere un’immagine che acquisisca o rafforzi il consenso, ma anche produrre atti politici di altro genere, tesi a consolidare o a ripristinare situazioni di equilibrio nei rapporti economici e sociali.

1

Cfr. M. Liverani, L’alba della Civiltà I, Torino 1976, 298 e 301 sg.

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Funzionali alla stabilità del potere appaiono appunto certi interventi di politica economica (se è lecito usare tale espressione) dei sovrani ittiti: si presenta particolarmente efficace per il mantenimento di questa stabilità un’equilibrata ripartizione dei beni fondiari. Il sovrano ittita tende infatti in vari modi a evitare la concentrazione di terre in mano a privati (persone a lui legate da vincoli di parentela, alti dignitari incaricati dell’amministrazione del regno. e forse, in un periodo più antico, anche i capi delle grandi famiglie non inseriti nella struttura burocratica dello stato: v. più avanti p. 316) affinché questi non divengano troppo forti e, quindi, pericolosi. Così, anche se egli conferisce loro cariche, beni fondiari, privilegi, contemporaneamente cerca di limitarne l’espansione. È interessante vedere quali forme di controllo il sovrano eserciti sulla proprietà privata e come intervenga per impedire la formazione di estesi patrimoni fondiari in mano di pochi e per mantenere invece la numerosità delle situazioni fondiarie esistenti. Purtroppo la documentazione in proposito non è molta e soprattutto, non appare sempre esplicita in tal senso: si tratta di atti giuridici in cui il sovrano dona ad alcune persone terre prelevate ad altre, o in cui conferisce privilegi, quali esenzioni da tributi o prestazioni di lavoro nei riguardi del potere centrale, o testi in cui si danno istruzioni a dignitari o a determinate categorie di persone, o in cui il sovrano interviene nell’assegnazione ereditaria di beni, o passi di editti e proclami regi, o alcune norme giuridiche, o certe lettere intercorse fra il sovrano e i suoi dignitari o funzionari, soprattutto quelli rappresentanti il potere centrale in zone periferiche. Come abbiamo detto, tali documenti spesso, ad un primo esame, non risultano molto evidenti nel senso sopra indicato, tuttavia, se letti con particolare attenzione, possono mostrare elementi significativi in proposito. Già altrove2 ho avuto modo di rilevare la possibilità che avevano alti dignitari e funzionari che operavano nell’apparato statale di costituirsi grandi patrimoni fondiari e considerevoli ricchezze sia mediante conquiste armate sia esercitando soprusi (imposizioni di tasse o confische di beni) a loro vantaggio personale. 2

JESHO 25 (1983) 256 e 264 sgg.; RlA 6 (1983) s.v. Lehenswesen, 546 § 4.

310

Ho ricordato come esempio per il primo caso un atto emanato dal sovrano Tutøaliya IV insieme alla madre Puduøepa, relativamente all’assegnazione ereditaria di una parte dei beni mobili e immobili di un alto dignitario di nome Šaøurunuwa in favore dei suoi nipoti, figli di una figlia.3 In un passo di questo testo (KUB XXVI 43 Ro 4-7) si dice che Šaøurunuwa - capo degli scribi su tavolette di legno, capo degli uomini UKU.UŠ,4 capo dei pastori e, probabilmente, anche principe (letteralmente “figlio del re”, da non intendersi qui in senso letterale genealogico, ma come un titolo)5 - aveva acquisito certi beni fondiari ed anche dei deportati (da utilizzare come mano d’opera lavorativa, sempre carente negli stati dell’Asia anteriore antica) per mezzo delle armi (GIŠKU-it) e li aveva poi dati in eredità ai suoi figli maschi.6 Avevano inoltre occasione e possibilità di compiere abusi, mediante imposizione di tasse o confische di terre o di altri beni, soprattutto i funzionari preposti all’amministrazione di zone distanti dalla capitale talora situate vicino ai confini del regno e quindi più pericolose perché più difficili a controllare - tra i quali si ricordano in particolare i “signori del posto di guardia”, i “signori del paese o della città, i signori del distretto amministrativo”,7 gli uomini DUGUD (lett. “degni di onore”,

CTH 225; v. F. Imparati. Šaøur., 5 sgg. Su questo titolo. che designa un’alta carica militare, v. F. Pecchioli Daddi, MPD (1982) 546, e S. Rosi, SMEA 24 (1984) 118 sgg. 5 V. F. Imparati, Or 44 (1975) 80-95 infra. 6 V. JESHO cit., 256 nota 104. 7 Sul “signore del posto di guardia” (EN/BÊL MADGALTI) e sul “signore del paese o della città” (EN KURTI, EN URULIM) v. Šaøur., 57 sgg., dove si riporta anche la bibliografia precedente; per le attestazioni nei documenti ittiti v. MPD, 455 sgg., 451 sg. e 453; per l’interpretazione dell’espressione LÚmaniyaøøiyaš išøa-/EN-a- come “signore del distretto amministrativo”, v. quanto abbiamo rilevato in Or cit. 84 con nota 22; analogamente si intende anche in V. Haas-H.J. Thiel, AOAT 31 (1978) 108 sg., 215 e indice 350, 375. e in MPD, 436 (v. inoltre 490 in nota, infra, e 501, dove però si legge LÚmaniyaøøiyaš EN-aš) e in CHD L-N, 168; 3.a; diversamente invece, secondo A. Goetze, Tunn., 72 sg., interpreta G. Beckman, nella sua recensione a AOAT 31, in BiOr 40 (1983) 114. Sul verbo maniyaøø-, da intendersi anche col valore di “amministrare, governare”, e sui termini da esso derivati v. CHD cit., 163 sgg. infra, e E. Laroche negli atti del Colloque organisé par l’Institut des Hautes Etudes de Belgique, 28-29 janvier 1980 su Les Pouvoirs locaux . . . 142 sg. 3

4

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cioè i notabili, i potenti che erano capi di piccoli distretti soprattutto a carattere militare, i sindaci,8 i principi. Sarebbe quindi plausibile aspettarci, come avviene per altri stati, di ricavare numerose e interessanti notizie in tal senso - anche più dirette - dalla corrispondenza intercorsa fra i sovrani e i loro dignitari incaricati dell’amministrazione di paesi posti in zone periferiche dell’impero ittita ed anche di quei paesi stranieri che si trovavano sotto il controllo degli Ittiti. Purtroppo però la corrispondenza epistolare proveniente dagli archivi di ÷attuša, la capitale del regno ittita, non è molto illuminante a questo scopo.9 Interessante invece, a tal proposito, si è rivelata una tavoletta venuta alla luce a Meskene, l’antica Emar sull’Eufrate, paese posto fra la fine del XIV e la fine del XIII sec. a.C. sotto il dominio degli Ittiti.10 Si tratta di una lettera inviata da un sovrano ittita, di cui non si specifica il nome, ma che è verosimilmente ÷attušili III o Tutøaliya IV, ad un suo funzionario, capo di un distretto territoriale, allo scopo di impedirgli di compiere un abuso di potere, evidentemente a suo vantaggio. Questo sovrano infatti rimprovera al dignitario in questione di aver confiscato i beni (la “casa” e la vigna) di una persona per darli ad un’altra, e inoltre di aver imposto arbitrariamente delle tasse (šaøøan e luzzi) a qualcuno che ne era esente “fin da tempi remoti”. Il re perciò interviene ed ordina al suo dignitario di restituire i beni confiscati e di togliere gli oneri imposti. Si auspica che altre notizie sull’argomento in questione possano venire da alcune delle numerose lettere ritrovate a Ma$at, nella regione dell’alto Ye$il-Irmak, di cui S. Alp ha annunciato la prossima pubblicazione. Infatti, secondo quanto riferisce questo studioso nella presentazione di

In un frammento delle “istruzioni per il øazan(n)u (= il sindaco)”, KUB XXXI 112 (CTH 257.3), che nel caso specifico potrebbero anche essere rivolte al sindaco di una città diversa da ÷attuša (v. F. Pecchioli Daddi, OA 14 [1975] 94) sembra (r. 19) che il sovrano diffidi questo dignitario dal servirsi della sua posizione nel suo proprio interesse: v. OA cit., 108, 125, 132. Purtroppo però questo documento è molto frammentario per poter dire qualcosa di più in proposito. 9 V., invece, ad esempio, il sussidio fornito in tal senso dalle lettere venute alla luce negli archivi di Mari. 10 Msk. 73.1097: v. E. Laroche, in Meskéné-Emar, Dix ans de travaux 1972-1982, , Paris 1982, 54, e inoltre le nostre osservazioni in proposito in JESHO cit., 264 sgg. 8

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tale materiale11 e in base a quanto egli ha esposto in un conferenza tenuta nel 1984 a Firenze presso il seminario di Storia Orientale antica, sembra che in una di queste lettere si indaghi sull’applicazione del šaøøan e del luzzi. Ritengo - ma semplicemente a titolo di proposta interpretativa che anche in un documento dell’epoca di Tutøaliya IV, proveniente dagli archivi di Ugarit - nella Siria settentrionale - che in quel momento si trovava sotto il dominio degli Ittiti, si faccia riferimento ad un abuso compiuto da un alto dignitario ittita incaricato di svolgere mansioni amministrative in questa città.12 Si tratta di un certo Armaziti, presente anche in altri testi di Ugarit contemporanei talora col titolo di principe (“figlio del re”), con l’incarico di fissare i confini del regno di Ugarit, o con la funzione di giudice, o come testimone in un atto. A mio avviso, questo Armaziti è da identificare col personaggio omonimo che compare più volte nella documentazione ittita cuneiforme e ieroglifica dell’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV, con mansioni diverse e talora col titolo di scriba.13 È del resto noto che sovente gli scribi ittiti, certo all’apice della loro carriera, portavano anche il titolo di principe e tenevano alti incarichi amministrativi all’interno o all’esterno dello stato. Si ricorda, come esempio, il caso su menzionato di Šaøurunuwa. Nel documento ugaritico in questione si legge che Armaziti è condannato a pagare 300 sicli di argento al re di Ugarit e a certe persone: l’entità dell’ammenda e l’evidente posizione di rilievo di Armaziti fa presumere che nel caso esaminato si trattasse di una multa o di un indennizzo per qualche abuso di tipo amministrativo da lui compiuto In Belleten 44 (1980) 25-59 e in particolare 38. RS 17.316 (= PRU IV, 190). 13 Per le attestazioni di Armaziti nella documentazione ittita e in quella siriana v. E. Laroche, NH (1966) e Suppl. in Heth 4 (1981) Nr. 141, e in ultimo un mio lavoro su “Armaziti: attività di un personaggio nel tardo impero ittita” in FsPuglieseCarratelli (1988) 71-86; cfr. anche FsBresciani (1985) 255 sg. I documenti ugaritici in cui compare questo personaggio sono dell’epoca di Ibiranu, re di Ugarit, contemporaneo di Tutøaliya IV e di Ini-Teššup, re di Karkemiš. Sulla identificazione dell’Armaziti presente nei testi di Ugarit col personaggio omonimo attestato nella documentazione ittita contemporanea, v. Šaøur., 116 sg. con bibliografia precedente; tale ipotesi è stata ripresa più particolareggiatamente nel mio saggio su Armaziti sopra citato; v. anche gli Atti del Colloquio Anatolico, Parigi 1-4 Luglio 1985 (= Heth 8). 11

12

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nell’esercizio delle sue mansioni, certo considerevole se riguarda in qualche modo anche lo stesso sovrano di Ugarit. Ulteriori notizie sulla possibilità che avevano alti dignitari posti a capo di distretti amministrativi di imporre arbitrariamente oneri - anche, come appare verosimile, di una certa entità - provengono da alcuni passi che ricorrono in certi atti in cui il sovrano concede esenzioni da tributi o da prestazioni di lavoro a personaggi o ad enti cultuali. Si ricorda infatti il passo di un decreto emanato da ÷attušili III a favore di una istituzione cultuale dedicata alla divinità Pirwa,14 dove, a conclusione della formula mediante la quale il re concede esenzioni da oneri a questo santuario, si invoca la maledizione divina su quel “signore” o principe (“figlio del re”) o “signore del trono” (quest’ultimo titolo è un hapax) o su qualsiasi altra persona che non si atterrà a questa decisione del re e sottoporrà i dipendenti di questo santuario alle imposte da cui esso è stato esentato. Da notare che fra i dignitari a cui viene rivolto questo ammonimento ci sono i “signori” e i “figli del re” (v. nota 5). Analogo al precedente si presenta un passo del testo più volte ricordato relativo all’assegnazione ereditaria di parte dei beni di Šaøurunuwa (v. nota 3), dove (Vo 13 sg.), dopo la concessione agli assegnatari di questi beni dell’esenzione da tributi e da prestazioni di lavoro, si decreta che i governatori territoriali cioè il “signore del paese” e il “signore del posto di guardia” (v. nota 7) - certo facenti parte della “categoria” dei “signori più volte qui ricordata - e l’ispettore di città o di villaggio”15 - probabilmente il più alto rappresentante delle comunità locali - non devono imporre arbitrariamente oneri. E inoltre sempre nello stesso testo (Ro 59), dopo che si è specificato che tutte le località ivi menzionate dettagliatamente, insieme a lavoratori e a beni mobili, appartengono ai nipoti di Šaøurunuwa, e dopo aver indicato a quali tributi esse sono soggette, si dice che in avvenire nessuno deve aggiungere altre tasse a quelle stabilite.

KBo VI 28 (CTH 88) Vo 28-42; v. F. Imparati, SMEA 18 (1977) 45 sg., nota 46; v. inoltre JESHO cit., 249; per il contenuto di tutto il testo v. Šaøur., 154 sg. e SMEA cit., 39 sgg. 15 MAŠKIM URUKI; sul significato di questa espressione nei testi ittiti v. in ultimo JESHO cit., 247 sgg., con bibliografia precedente; sulle sue attestazioni v. MPD, 447 sgg. 14

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La frequente ricorrenza di tale ammonimento rivolto ai capi di distretti territoriali - e soprattutto ai “signori” con determinate qualifiche e ai principi (“figli del re”) - fa presumere che soprusi del genere dovessero verificarsi spesso da parte loro. Verosimilmente volta a tutelare un equilibrio nella distribuzione dei beni fondiari - oltre che ispirata a motivi di clemenza e di giustizia appare la proibizione di confiscare il patrimonio di persone (che dai documenti risultano sempre di alto rango, e quindi proprietarie di beni di entità considerevole) che si erano rese colpevoli di qualche reato: il loro patrimonio doveva passare agli eredi. Tale proibizione da parte del sovrano risulta, ovviamente, diretta a chi teneva posizioni di rilievo nel governo dello stato e poteva perciò costituire un maggior pericolo per il potere regio. Questo principio di non estendere la responsabilità di un reato alla famiglia del colpevole si riscontra in vari documenti fin dall’Antico Regno ittita, tranne che in due casi che esamineremo più avanti. Si ricorda, in primo luogo, un passo dell’Editto di Telipinu,16 sovrano usurpatore, in cui questi proibisce ai Grandi del regno di confiscare i beni immobili e mobili di un principe condannato a morte per qualche colpa. Vi si dice, cioè, che se un principe commette un crimine, deve espiare con la sua testa, ma non ci si deve rivalere sulla sua casa, su sua moglie, sui suoi figli e sui suoi beni (case, campi, vigne, servi, animali). Si ribadisce inoltre che i Grandi, per il desiderio di prendere la proprietà del principe, non devono impadronirsi del villaggio e far del male al signore del villaggio, che sembrerebbe nel caso specifico da identificare col principe. In altri passi del suo Editto Telipinu ricorda di aver risparmiato i colpevoli di congiure a corte e deplora che essi siano stati fatti massacrare da alcuni funzionari del Palazzo. Egli cerca in tal modo di offrire di sé un’immagine di clemenza, lasciando poi che siano altri ad esercitare la vendetta. Ma nel caso esaminato sopra questo sovrano, oltre a voler mostrare di tutelare i beni del condannato a morte a beneficio della famiglia di questo, intende concretamente anche, e soprattutto, impedire la concentrazione di estesi patrimoni fondiari nelle mani dei Grandi. 16

§§ 31-32: v. in ultimo I. Hoffmann, THeth 11 (1984) 34-37.

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In questo testo si specifica chi erano allora i Grandi,17 e cioè i capi di certe categorie di dignitari, gli alti funzionari della corte e forse anche i capi delle grandi famiglie non inseriti nell’organizzazione burocratica dello stato se è lecito intendere in tal modo la locuzione “padri della casa”, naturalmente per quanto riguarda quel periodo. Infatti, a mia conoscenza, la più antica attestazione di questa espressione nei documenti ittiti proviene proprio dall’Editto di Telipinu, nel quale i “padri della casa” sono, sì, menzionati fra i Grandi del regno, ma in posizione, sembra, differenziata da quella degli altri dignitari ivi presenti.18 Ammettendo tale distinzione e considerando quindi i “padri della casa” nel senso suggerito sopra, si può presumere che essi fossero meno controllabili dal potere regio e, dunque, per esso più pericolosi. Telipinu soprattutto, sovrano usurpatore, aveva interesse a tenerli sotto controllo. Nella documentazione più tarda (probabilmente dall’epoca di Muršili II - festa nuntarriašøaš - in poi), invece, l’espressione “padre della casa” appare sempre al singolare, usata per designare dei funzionari ormai inseriti nella struttura burocratica dello stato, con una posizione di rilievo V. in proposito JESHO cit., 251 sgg.; v. inoltre MPD, 496 sgg. Dell’ABU BITI “padre della casa” nei documenti ittiti ha parlato la dr.ssa P. Pirani nell’àmbito della sua tesi di laurea, che ha preparato sotto la mia guida. Per le attestazioni di questo titolo v. MPD, 517 sgg., con relativa bibliografia, e HW2, 568 sg. In due passi dell’Editto di Telipinu questo titolo compare al plurale mentre gli altri dignitari menzionati insieme sono tutti presenti al singolare: “II (61) ...ma coloro che compiono questa azione malvagia, (62) (cioè) i [Grandi]: i padri della casa, il Grande (= il capo) dei figli del palazzo, il Grande dei MEŠEDI e il Grande del v]ino”; “III (1) ma in ÷attuša i Grandi: i padri della casa, il Grande dei figli del palazzo, il Grande del vino, (2) [il Grande dei ME[ŠEDI], il Grande degli scudieri, il sovrintendente degli araldi delle truppe”. Questa differenziazione viene ad assumere un particolare significato se confrontata con un altro passo sempre dello stesso testo, in cui si legge: “II (70) [s]e inoltre del male qualcuno compie, o (naššu) un padre della casa (71) o (našma) un Grande dei figli del [pa]lazzo, [un Grande del vino, un Grande dei MEŠEDI, un Grande dei sovrintendenti dei mille del campo” (v. I. Hoffmann, op. cit., 36-39, e 116 sgg. per la sua lettura MEŠEDI e per la relativa interpretazione). Si deve qui notare che alla prima disgiuntiva naššu segue soltanto la menzione del “padre della casa” mentre alla seconda disgiuntiva našma segue la menzione complessiva degli altri dignitari. I passi qui citati sembrano rivelare una dicotomia: da una parte si trovano infatti i “padri della casa”, dall’altra i capi (ciascuno sempre al singolare) dei dipendenti del palazzo. Si potrebbe osservare che in questo editto si citano anche altri titoli di funzionari al plurale (II 66-69: v. I. Hoffmann, op. cit., 36 sg.): si tratta però di personale di rango meno elevato e in alcuni casi dipendente da uno dei Grandi menzionati sopra. 17 18

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in ambito amministrativo-religioso.19 Si può quindi postulare una evoluzione, forse addirittura un mutamento, della posizione e delle competenze di chi deteneva questo titolo da un’epoca più antica ad una più recente, cosa che del resto si riscontra anche in altri casi.20 Si rileva che molti dei dignitari indicati in questo testo come Grandi si ritrovano menzionati in epoche successive fra i “signori”.21 Analogamente a quanto abbiamo osservato per l’Editto di Telipinu, nel testo ricordato altrove relativo alla ripartizione ereditaria dei beni di Šaøurunuwa si dice (Ro 60-67) che nessuno in futuro deve portar via la “casa” (cioè il patrimonio di cui si tratta nel documento) alla figlia di Šaøurunuwa e ai figli, nipoti, pronipoti e discendenti di lei, e se uno di questi offende il re in qualche modo, lo si giudichi, ma non gli si tolga il patrimonio per darlo ad un’altra persona (poiché esso deve rimanere agli eredi). A conclusione di questo documento, si invocano le divinità a garanzia di quanto è stato stabilito e la loro maledizione su chiunque prenderà il patrimonio ai nipoti di Šaøurunuwa per darlo ad un altro e imporrà tasse su questi beni, e inoltre su chi falsificherà questa tavoletta (Vo 15-21). Quindi, si elenca una lista di personaggi di alto rango a testimoni dell’atto (Vo 28-34). Il diretto intervento regio nella ripartizione ereditaria di questi beni è evidentemente dovuto alla notevole entità del patrimonio in questione; inoltre, la menzione delle

19 Particolarmente significativi sono due passi in cui si descrivono cerimonie cultuali, nei quali il “padre della casa” compare in un contesto analogo a quello dell’Editto, ma in posizione del tutto differente: KUB X 13 (CTH 670) IV “(20’) il re ai signori (21’) in mano da bere (22’) dà, (23’) ma quando al Grande delle guardie del corpo, (24’) al Grande dei figli del palazzo, al padre della casa, (25’) al Grande del vino, al Grande degli scudieri (26’) e ai dignitari DUGUD degli uomini della lancia”; KBo XXV 176 bd. sn. “(1) al Grande delle guardie del corp]o, al Grande dei figli del palazzo, al padre della casa, al Grande del v[ino (2) in mano da bere dà ...”. Sull’ABU BITI nella documentazione accadica v. CAD 1, A/I (1964) 76b; per le diverse ipotesi sul significato di questa espressione nei testi di Mari v. in ultimo A. Marzal, Or 41 (1972) 359 sgg. con bibliografia precedente. 20 V. ad esempio quanto è stato osservato per il titolo LÚDUGUD da F. Imparati, Or cit. in nota 5, 94, nota 84 e F. Pecchioli Daddi, OA 14 (1975) 95 sg., nota 10; v. inoltre MPD, 442 sgg. con bibliografia. 21 V. Or qui sopra cit. infra e JESHO cit., 251 sg.; sulle attestazioni dei “signori” v. MPD, 477 sgg.

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divinità e il ceto elevato dei testimoni a tutela dell’atto ne mostra l’importanza.22 Si ricorda infine un documento (KUB XXVI 58)23 in cui ÷attušili III, anch’egli un sovrano usurpatore, concede dei benefici ad un personaggio di nome Uratarøunta, e cioè l’esenzione da tributi e da prestazioni di lavoro (Ro 8-13), presumibilmente come premio per la sua devozione e per il suo aiuto nell’ascesa al trono. Si contempla inoltre (Ro 14-20) la possibilità che uno dei figli o nipoti del beneficiato compia un reato contro il sovrano e si stabilisce (Ro 21-26) che in tal caso il patrimonio del colpevole rimanga ai suoi discendenti, figli o nipoti, e, qualora non ve ne siano, ma vi sia un fratello di lui, sembra - ma qui il testo è assai lacunoso - che i beni debbano passare a quello. Si tende quindi, in tal modo, a far sì che il patrimonio resti sempre nell’ambito della stessa famiglia. È tuttavia interessante rilevare che proprio lo stesso ÷attušili III, che abbiamo visto proibire la confisca dei beni di qualcuno condannato per qualche reato, non si perita poi a farlo lui stesso a vantaggio di un membro della sua famiglia. Questo sovrano infatti, com’è noto, dona alla sua divinità protettrice Ištar (al cui volere ed aiuto egli attribuisce la sua ascesa al trono) il patrimonio confiscato al suo potente nemico Arma-Datta (o ArmaTarøunta?) e, più tardi, al figlio di questo, Šippaziti.24 A tal punto, appare importante rilevare che ÷attušili conferisce al suo proprio figlio il sacerdozio di questa divinità e, quindi anche il godimento dei beni a lei dati in dono e dei benefici connessi a questi beni, come si vede anche da un altro atto sempre emanato da questo sovrano (KBo VI 29).25 Si invoca poi anche qui la maledizione divina su chiunque cercherà di togliere il sacerdozio (e, ovviamente, i benefici ad esso connessi) alla discendenza di ÷attušili per passarlo alla discendenza di un altro e la benedizione divina per chiunque rispetterà le parole del documento e non deporrà da questo sacerdozio il figlio del sovrano e non sottoporrà a imposte il patrimonio della dea (cfr. Šaøur., 157 sg. §§ 11-13). Cfr. Šaøur., 164 con nota 63 e 22 con note 78-80. CTH 224: v. Šaøur., 152 sg. con bibliografia. 24 V. A. Archi, SMEA 14 (1971) 199, v. anche 198. 25 CTH 85: v. A. Goetze, ÷att. (1925) 44 sgg., NBr (1930) 46 sgg. e inoltre Šaøur., 155 sgg. 22

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Mi sembra interessante rilevare che non si contempla qui l’eventualità - come invece avviene nei documenti in cui si concedono analoghi privilegi - che il beneficiario dell’atto commetta qualche reato: ciò non era forse neppure ipotizzabile, trattandosi della divinità e dello stesso figlio del sovrano, che, nella sostanza, si voleva evitare di esporre alle conseguenze legate a tale eventualità.26 La lettura complessiva dei documenti sin qui esaminati mostra quindi una diversa posizione - addirittura da parte di uno stesso sovrano - nella valutazione della corresponsabilità e del conseguente coinvolgimento penale della famiglia di un condannato a morte o all’esilio per qualche reato. Ciò mi sembra conseguire dalla diversa destinazione dei beni confiscati. Infatti, mentre negli atti su ricordati, emessi da Telipinu, ÷attušili III e Tutøaliya IV, il sovrano diffida i Grandi complessivamente o alcuni alti dignitari dall’impadronirsi dei beni del colpevole, certo perché ne avrebbero tratto un vantaggio personale ed avrebbero costituito per lui un pericolo, nell’ultimo caso preso in esame lo stesso ÷attušili trova invece legittimo confiscare i beni del suo nemico perché di questi avrebbe goduto un membro della sua famiglia e i suoi eredi, sia pure in nome della divinità. È stato rilevato che anche nelle cosiddette “istruzioni per gli addetti al tempio” si ammette più volte la possibilità di considerare corresponsabili di qualche reato i familiari del colpevole e di coinvolgerli nella punizione.27 Mi sembra però importante notare che in tutti i casi ivi contemplati non si fa alcuna menzione della confisca dei beni dei condannati forse perché non ne possedevano o si trattava di beni di entità irrilevante. Questo - oltre al fatto che tali reati investivano l’ambito sacrale - potrebbe essere un elemento per spiegare il coinvolgimento nel reato anche della famiglia del colpevole. Ciò non avrebbe infatti comportato nessuna alterazione di equilibri economici. Analogamente si possono intendere anche alcuni passi delle “istruzioni per i servi del palazzo per garantire la purezza del re”.28 Sono inoltre da ricordare i cosiddetti “atti di donazione di terre” da parte del sovrano, dove egli interviene nel trasferimento di beni immobili 26 V. Šaøur., 164 nota 63 infra, dove si fa a tal proposito, un confronto con altri tipi di documenti, come, ad esempio, i trattati internazionali. 27 V. A. Archi, SMEA cit., 199 con nota 56. 28 KUB XIII 3 (CTH 265) II 14-19, III 3-8, 18-20.

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e mobili tolti ad alcune persone per darli ad altre per i più svariati motivi, fra i quali verosimilmente quello di acquisire e mantenere il consenso dei beneficiati, ma anche quello di conservare rapporti equi nella ripartizione dei patrimoni terrieri.29 È infine da notare l’esistenza di documenti di vario genere che attestano la possibilità che gli addetti all’amministrazione del regno, a livelli diversi, avevano di compiere malversazioni a proprio vantaggio. Si può però constatare che il re cercava di esercitare un controllo sia sul personale che operava a corte sia su quello che operava in sedi amministrative fuori dalla capitale. A tal proposito, mi sembrano interessanti alcuni documenti che mostrano come, in quest’ultimo caso, il sovrano tendesse a coinvolgere nel controllo sui suoi dipendenti anche l’elemento comunitario che stava al di fuori dell’apparato burocratico dello Stato. Si ricorda come esempio un passo delle “istruzioni per il personale dipendente del palazzo”,30 di cui manca la parte iniziale contenente l’intestazione, ma che dal contesto appare diretta ad un responsabile di un distretto amministrativo.31 In questo testo si dice che ogni qual volta questo dignitario torna in una città o in un villaggio, che evidentemente si trova sotto la sua giurisdizione, deve convocare gli “uomini dello strumento” - da intendersi qui come membri liberi facenti parte delle comunità locali - e gli Anziani,32 cioè i rappresentanti dell’elemento comunitario, per informarsi da loro su eventuali malversazioni commesse dal personale dei palazzi periferici. Di un analogo obbligo di convocazione dei membri delle comunità, qui menzionati complessivamente con l’espressione “uomini della città o del villaggio”, da parte di un capo di un distretto amministrativo si parla

È da notare la clausola presente in questi atti, nella quale si dice che in avvenire nessuno può rivendicare i beni in questione ai figli e nipoti del beneficiato; v. in ultimo Šaøur., 149 nota 4, con bibliografia precedente. 30 ABoT 53 + KBo XVI 54 (CTH 266) Vo? 16’ sg.: v. K.K. Riemschneider, ArOr 33 (1965) 337 sgg. 31 Ci si rivolge infatti a qualcuno che sembra incaricato di occuparsi dell’organizzazione del lavoro (nel caso specifico di far eseguire corvées) per il palazzo, che è qui forse da intendere come sede amministrativa dislocata al di fuori della capitale. 32 16’ man!-šan kuwapí URU-ri-ya EGIR-pa [ârti?] 17’ nu LÚMEŠ GIŠKU LÚ.MEŠŠU.GI anda øalza[i] 29

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in un passo, sia pure in contesto diverso, delle “istruzioni per il signore del posto di guardia”.33 Un altro esempio significativo nel senso sopra indicato viene offerto da un paragrafo di un proclama34 di un re Tutøaliya, dove si stabilisce a chi spetti o no il compito di aprire un granaio del re e ci si rivolge poi agli “uomini della città o del villaggio”affinché si impadroniscano di chi ha aperto tale granaio contro il volere regio e portino il colpevole alla porta del re (da intendersi qui come tribunale reale) se non fanno questo, essi stessi, gli “uomini della città o del villaggio”, dovranno risarcire il granaio. Si intuisce interessante, anche se purtroppo di difficile comprensione, un testo incompleto del periodo antico-ittita,35 contenente un editto rivolto da un sovrano (secondo A. Archi Muršili I) probabilmente agli uomini DUGUD.36 In tale documento si accusano questi dignitari di aver oppresso gli “uomini dello strumento” (anche qui da considerare come membri liberi delle comunità locali): “(3’) Voi continuate ad opprimere gli uomini dello strumento e quelli, di conseguenza, (4’) hanno cominciato ad opprimere”.37 Si riferisce, in tale contesto, un aneddoto CTH 261, v. E. v. Schuler, Dienst. (1957) 48 III 29 sgg. 29 kuedani-ma-šan URU-ri EGIR-pa ârti nu LÚMEŠ URULIM 30 øûmanduš parâ øalzâi. . . 34 KUB XL 62 + XIII 9 (CTH 258) III 3’-11’; v. E. v. Schuler, FsFriedrich (1959) 447, 450, 456 sg. 35 KBo XXII 1 (*CTH 272); v. il testo completo di questa tavoletta presso A. Archi, FsLaroche (1979) 44 sgg.; v. inoltre, per alcuni passi qui citati, F. Starke, StBoT 23 (1977) 33 sg. § 29 e 75 § 109; R. Lebrun, Heth 4 (1981) 111; G. Beckman, JAOS 102 (1982) 240 sg.; HW2 (1982) 406a. 36 Con l’espressione “uomini DUGUD” si voleva qui alludere a dignitari in senso generale (era questo infatti il valore che tale espressione sembra aver avuto nell’Antico Regno: v. bibliografia in proposito in nota 20) o essa aveva già assunto un valore più specifico per designare gli addetti all’amministrazione di piccoli distretti, come si riscontra già nel Medio Regno? 37 3’ šumeš LÚMEŠ GIŠTUKUL tameškatteni ¦a©pê-ma [k]atta[n] 4’ dameškiwan dâir. . . .; cfr. l’espressione alla r. 31 sg. della tavoletta di Meskene cit. in nota 10: n-an lê kuiški dammišøaizzi “e che nessuno lo opprima”, a proposito dell’ordine rivolto dal sovrano ad un suo dignitario di togliere il šaøøan e il luzzi da quest’ultimo ingiustamente imposti: v. p. 312; cfr. anche l’espressione presente nella preghiera di Arnuwanda e Ašmunikal, laddove si accusano i Kaskei di aver ripetutamente oppresso con imposte la popolazione e le località appartenenti agli dèi: KUB XVII 21 (CTH 375) I 24 sg. . . .šaøøanit luzzit dammišøiškir .... v. E. v. Schuler, Kašk. (1965) 154 sg. 33

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esemplificatorio in cui si parla di una persona che ha sfruttato alcuni portatori di derrate, ivi descritte; pare anche che questa persona abbia preso (per impossessarsene?) una grande estensione38 di campo. Si dice poi ai dignitari in questione: “(19’) Voi opprimete continuamente (dameškatteni) i vostri portatori di derrate”, causando così la collera del re. Interessante, inoltre, l’avvertimento alla r. 24’ sg.: “ecco, voi andrete nel paese (utniya paitteni) e non cercherete il sangue del povero!”; la prima proposizione richiama alla memoria le formulazioni che abbiamo visto in alcuni testi citati sopra, in cui il re si rivolge a certi capi di distretto dicendo loro come si devono comportare ogni qual volta tornino in una città o villaggio (v. note 32 e 33). La lettura complessiva di questo testo, soprattutto alla luce dei documenti esaminati precedentemente, sembra mostrare che il sovrano, oltre che rimproverare ai suoi dignitari di non aver esercitato con equità il loro governo,39 intenda anche impedire che essi compiano soprusi a loro vantaggio. E il mettere in evidenza la sua volontà di tutelare i lavoratori liberi (gli “uomini dello strumento”) da questi soprusi può essere anche un modo per cercar di coinvolgerli nel controllo degli amministratori da lui dipendenti. Non è possibile citare in questa sede tutti gli altri esempi che mi sembrano indicativi a tal proposito. Comunque, per riassumere quanto abbiamo detto sinora, ritengo che molti dei documenti esaminati sopra evidenzino una politica regia intesa a mantenere una equilibrata suddivisione dei beni fondiari.40 1 kapunu, la massima misura di superficie. È vero, come osserva A. Archi, op. cit., 44 che questo testo è rivolto alla protezione dei poveri in una precisa situazione storica (e ciò forse anche a scopo propagandistico), ma in esso si ammoniscono anche i dignitari in questione affinché non opprimano, certo soprattutto con tasse (cfr. nota 37), i lavoratori non dipendenti dall’amministrazione statale. 40 Cosa che, del resto, si riscontra anche in certi atti politici dei sovrani di altri paesi del Vicino Oriente antico: v., ad esempio, la remissione dei debiti da parte dei re mesopotamici. Diversa, invece, a proposito dei §§ 31-32 dell’Editto di Telipinu, l’interpretazione di T.R. Bryce, The Major Historical Texts of Early Hittite History, 1984, 154 (= Asian Studies Monograph 1), University of Queensland 1984, 154 sg., che io ho potuto consultare soltanto durante la correzione delle bozze. Egli però tratta il principio del non coinvolgimento della famiglia del colpevole nella responsabilità di un reato 38

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In tal senso si può intendere il diretto intervento regio sia nella ripartizione di terre mediante confische o donazioni, sia, addirittura, nei lasciti ereditari di grandi patrimoni fondiari (v., ad esempio, il caso di Šaøurunuwa). Sempre in questa linea politica il sovrano controlla che i capi di distretti amministrativi a vari livelli non divengano troppo potenti con l’esigere arbitrariamente imposte e con la confisca di terre. Il fatto che ciò venga ribadito sovente e con enfasi fa presumere che una cosa del genere dovesse verificarsi frequentemente. A tale scopo il sovrano proibisce agli alti dignitari la confisca dei beni dei condannati a morte (sempre di alto rango e proprietari di patrimoni considerevoli), e non solo a tutela degli eredi di questi. Tuttavia, il sovrano non esita a coinvolgere i familiari del reo nella punizione di un crimine mediante la confisca dei beni, quando di questi beni vengano a godere dei membri della famiglia reale, come abbiamo visto per il patrimonio confiscato da ÷attušili III al suo nemico e donato alla dea Ištar, il cui sacerdozio col relativo godimento del patrimonio in questione viene conferito al figlio stesso del sovrano e ai suoi discendenti. Gli altri esempi di coinvolgimento in qualche reato e nella relativa punizione anche dei familiari del colpevole investono ambiti particolari e, soprattutto, non sembrano riguardare la confisca dei loro beni (v. le “istruzioni per gli addetti al tempio” e le “istruzioni per i servi del palazzo per garantire la purezza del re”). Nel controllo sui suoi dignitari a vari livelli il sovrano cerca presumibilmente di coinvolgere anche gli appartenenti alle comunità locali, che operavano al di fuori della sfera statale. Quindi il monarca ittita non soltanto vuole offrire di sé un’immagine di clemenza nei riguardi delle famiglie dei colpevoli, di protezione verso i deboli, i poveri e gli oppressi, di equità nell’esercizio della giustizia, di devozione alle divinità, di generosità nel concedere benefici - immagine che, per altro, non può che giovargli nell’esercizio del potere - ma anche intende tutelare concretamente la stabilità di questo col mantenimento di

solamente nell’àmbito dell’Editto di Telipinu e in rapporto a membri della famiglia reale, e non tiene conto degli altri testi in cui si enuncia questo principio.

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equilibri economici volti a contenere le grandi fortune e a difendere la pluralità delle fortune esistenti. Anche in questo senso quindi, e non solo allo scopo di propagare un’immagine, ritengo si debbano intendere certi passi di editti e di lettere regi sopra esaminati ed altri documenti che non abbiamo qui avuto modo di ricordare.

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XVII. ARMAZITI: ATTIVITÁ DI UN PERSONAGGIO NEL TARDO IMPERO ITTITA

Questo antroponimo, scritto in grafie differenti, è presente con qualifiche diverse o senza alcun titolo in documenti provenienti sia dall’àmbito ittita che da quello siriano.1 Le sue attestazioni nella documentazione ittita cuneiforme e ieroglifica, pervenuteci prevalentemente - ma non soltanto - da ÷attuša, si riferiscono in gran parte ai regni di ÷attušili III e di Tutøaliya IV; all’epoca di Tutøaliya IV risalgono pure i relativi documenti rinvenuti ad Ugarit. È apparso quindi interessante riprendere globalmente in esame le testimonianze di questo nome relativamente a tale periodo, per vedere se fosse possibile proporre - almeno nel maggior numero dei casi un’identificazione dei personaggi che lo portavano. Un’analisi del genere si è rivelata soprattutto utile per la conoscenza della specificità o meno di determinate cariche e funzioni, e quindi per tentare di definirne meglio il contenuto, per dimostrare la possibile cumulabilità di alcune di esse da parte di una stessa persona e, inoltre, la eventuale trasmissione ereditaria di certune.2

V. E. Laroche, NH e Suppl. Nr. 141; vi si devono aggiungere s. 1 l’impronta di sigillo in ieroglifico in RS 17.449 Vo; s. 2 KUB XXX 44+ II 6’; s. 3 KUB V 13 IV 9’; s. 5 si devono completare le attestazioni di KUB XXIII 91 (v. § II); questo antroponimo si trovava forse anche in KBo XVIII 155 r. 8’[ (v. § V e nota 42); incerta invece la sua presenza in KUB XLIX 25 bd. sn. 8[ (v. § V). V. inoltre G. Beckman, JAOS 103 (1983) 624. Per il rapporto fra le diverse grafie di questo nome e la sua datazione v. A. Kammenhuber, Thes. 4, 38 e HW2 4, 313 sg., s.v. arma-, dove si rileva che le scritture sumeriche MI, SIN per arma nella prima parte di questo nome sono attestate dall’epoca di ÷attušili III in avanti; v. però § VII, relativamente alle proposte di datazione di ABoT 65. 2 V. in proposito gli Atti del Colloquio Anatolico di Parigi, 1-4 Luglio 1985, in Heth 8 (1987) 189 sgg. 1

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I. ARMAZITI SCRIBA È testimoniata l’esistenza in questa epoca di un Armaziti scriba. Egli compare in tre documenti che contengono descrizioni di feste e di rituali, databili appunto al periodo preso in esame:3 ŠU mDMI-LÚ (LÚDUB.SAR) “mano di Armaziti (scriba)”. Doveva essere la stessa persona, nonostante la diversa grafia del nome, anche l’Armaziti scriba (mDSIN-LÚ LÚDUB.SAR) presente in due cataloghi di tavolette.4 In uno di questi, KUB XXX 54, nella Col. II si parla di feste in onore del dio Telipinu e lo scriba Armaziti sembra comparirvi come partecipante al rito. Concordo con la proposta di E. Laroche (CTH, 180) di datare la redazione di questo documento all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV per la presenza simultanea in esso di Šaøurunuwa (r. 7) e di Armaziti.5 Contemporaneo a questo documento è presumibilmente anche l’altro catalogo, KUB XXX 44+, dove del paragrafo in cui si trova Armaziti è rimasto molto poco; tuttavia, il contesto di tutto questo catalogo6 induce a ritenere che anche nel paragrafo in questione si

KBo XIX 128 (CTH 625) VI 36’: descrizione di un rituale di festa; KUB VII 1+ (CTH 390) IV 15’: rituale di scongiuro contenente luvismi; questi due documenti vengono generalmente datati all’epoca di Tutøaliya IV, anche per la presenza del noto dignitario Anuwanza (il quale però è vissuto pure sotto ÷attušili III): v. H. Otten, StBoT 13, IX e 49 sg., e, in ultimo, THeth 9, 287, 289 e 277 e le pagg. ivi citt.; KUB IV 1 (CTH 422.A e 552) IVb 41’: tavoletta contenente un rituale di evocatio da compiersi nelle vicinanze di una frontiera nemica, un testo di divinazione in accadico-ittita, ed anche un prontuario di danza, come ha dimostrato S. de Martino nella sua monografia su La danza nella cultura ittita (= EOTHEN 2 [1989] 36-39 [n.d.c.]); nel rituale di evocazione si fa riferimento alle aggressioni dei Kaskei e, fra l’altro, se ne appellano le divinità; questo testo viene datato all’epoca di ÷attušili III (E. v. Schuler, Kask., 31, che considera questo rituale come la copia di uno più antico) o di Tutøaliya IV (Thes. 4, 38), comunque non anteriormente a ÷attušili III (THeth 9, 289 e le pagg. ivi citt.); cfr. inoltre H. Otten, op. cit., 50. 4 KUB XXX 54 (CTH 277.3 e p. 178 sgg.) II 8’, dove Armaziti compare con questo titolo; KUB XXX 44+ (CTH 277.4.B) II 6’ (da aggiungere a NH Nr. 141.2), dove questo titolo si trovava probabilmente nella lacuna: v. nota 7. 5 V. anche H. Otten, op. cit., 50 nota 109; v. invece Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records (1970) 75 nota 120, dove si deve correggere la citazione KUB XXX 40 in KUB XXX 44. 6 V. CTH, 157 sgg.; per il contenuto di questo catalogo e del testo analogo CTH 277.4.A, v. E. Laroche, ArOr 17 (1949) 17. 3

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parlasse di una tavoletta di contenuto rituale e che Armaziti ne fosse l’autore.7 Accompagnato dal titolo di scriba l’antroponimo Armaziti compare in grafia ieroglifica su alcuni sigilli8 tipologicamente simili e verosimilmente databili - secondo quanto mi ha suggerito cortesemente C. Mora, in base appunto a criteri tipologici - alla seconda metà dell’epoca imperiale (probabilmente ai regni di ÷attušili III-Tutøaliya IV). Niente si oppone quindi all’ipotesi che si tratti di sigilli di una stessa persona. Il nome Armaziti, senza alcun titolo, è presente anche su una faccia di un sigillo biconvesso,9 verosimilmente contemporaneo e di tipologia diversa dai sigilli precedenti, il proprietario del quale sembrerebbe, sempre secondo C. Mora, di categoria inferiore all’Armaziti di questi sigilli. II. ARMAZITI IN DOCUMENTI DI PROCEDURA GIUDIZIARIA Il nome Armaziti, senza alcun titolo e in due grafie diverse, compare varie volte in un documento presumibilmente contemporaneo, purtroppo lacunoso, ma probabilmente da considerare un “protocollo giudiziario” piuttosto che una lettera, come invece è stato ritenuto da alcuni studiosi:10 KUB XXIII 91 (CTH 297.3) rr. 7, 10, 28[, 32 (mDMI-LÚ iš/in), 24[, 36 (mDSIN-LÚ(-)), 23[ (mD[SIN/MI-LÚ(-)).

7 II 6’: 1 TUPPU INIM mDSIN-LÚ LÚD[UB.SAR; v. più avanti § VIII con nota 75, a proposito di auguri autori di rituali. 8 V. D.A. Kennedy, RHA 17 (1959) 158 Nr. 32; SBo II 44-46. 9 V. E. Masson, Syria 52 (1975) 217 Nr. 3. Questo nome compare anche su un sigillo biconvesso pubblicato da W.G. Lambert, Iraq 41 (1979) 32 Nr. 105 e da lui datato al periodo neo-ittita, ca. 1000-800 a.C.; con tale datazione non concorda C. Mora, che propone (per lettera) di alzare questa data almeno all’inizio del XII sec., in base alle osservazioni di B. Buchanan (JCS 21 [1967] 21 sgg.) sulla datazione dei sigilli biconvessi e alle indicazioni fornite dagli ultimi ritrovamenti di sigilli di tal genere (v. ad esempio Korucutepe). Per i sigilli di Ugarit, su cui compare il nome Armaziti, v. più avanti § VI con note 48-52. 10 Lo hanno considerato un documento di procedura P. Meriggi, WZKM 58 (1962) 101; O. Carruba, OA 9 (1970) 84; v. inoltre CTH 297. Lo hanno invece ritenuto una lettera A. Goetze, KUB XXIII, Vorwort; H. Otten, MIO 4 (1956) 184; E. v. Schuler, op. cit., 11 con nota 106.

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Infatti - oltre a considerazioni meno probanti, come quelle che lo spazio della lacuna alla r. 1 dopo il nome di Tuttu non sembra sufficiente a contenere l’intestazione e la formula di saluto poste per lo più all’inizio di questo genere di documenti e che manca qui la linea di divisione di paragrafo, spesso presente nelle lettere per separarne la parte introduttiva dal resto della tavoletta - si rileva la menzione di Tuttu all’accusativo nella r. 28 (e forse dei “fratelli (di) Tutt[u” nella r. 23) e, soprattutto, la ripetizione alla r. 30 di UMMA mTuttu, inconsueta in una lettera,11 ma in accordo con le repliche dei documenti procedurali. Per tali motivi, ritengo preferibile l’ipotesi che si tratti di un testo di quest’ultimo tipo. In esso si riportano le parole di un certo Tuttu - probabilmente la sua deposizione ed una sua replica (rr. 1, 30) - e presumibilmente anche le deposizioni di altre persone: v. quanto osservato sopra in rapporto alle rr. 28 e 23. In questo testo si fa riferimento ad operazioni militari avvenute in località situate in vicinanza dei Kaskei e soggette quindi alle loro incursioni.12 Vi si parla, fra l’altro, di suppellettili, della cui assegnazione (“ha dato di nuovo”) o restituzione (“ha dato indietro”) sembra occuparsi Armaziti (r. 10 sg.):13 non si comprende se egli sia qui coinvolto in qualche reato o vi compaia soltanto come testimone. Non appare chiaro - pur essendo plausibile - neppure se egli abbia avuto qualche rapporto con il Palazzo, menzionato nella r. 9 (v. nota 13). Dei nomi di persona presenti in questa tavoletta alcuni compaiono solo qui o in testi la cui datazione è ancora controversa.14 È invece da rilevare che il nome Šaliqqa (rr. 2, 8)15 si ritrova insieme ai nomi di altri personaggi incaricati di esercitare controlli amministrativi (IDI) Tranne che nei postscripta, posti però a conclusione del documento e preceduti da una doppia linea di divisione di paragrafo. 12 La zona del fiume Šariya e il territorio di Kašula: v. E. v. Schuler, op. cit., 11 nota 106 e 39 con note 228 e 229; M. Forlanini, SMEA 18 (1977) 219; G.F. Del MonteJ. Tischler, RGTC 6 (1978) 547 e 196. 13 (9) tuk-ma IŠT[U] ¦É©.GALLIM SIG -in iyanz[i (10) mDMI-LÚ-iš ¦Ú©[NU]TEMEŠ 5 ANA mWattanta[ (11) EGIR-pa p¦eš©ta [k]ue-wa-mu ÚNU¦TE©MEŠ PAP-aøš[i. Nella r. 14 sembra che colui che parla voglia scagionarsi: IGI÷I.A-x-z-.ma-wa [ÚL] kuitki uø¦ø©un “[con?] gli occhi niente vidi”. 14 Wattanta, rr. 4[, 10, NH Nr. 1515; Kazzanna, rr. 7, 17, NH Nr. 559; Kuwaggulli (= Kukkulli), rr. 4, 15, NH Nr. 605: quest’ultimo è presente anche negli annali di un Tutøaliya (CTH 142). 15 Suppl. NH Nr. 1087b, cui si deve aggiungere il nostro testo. 11

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evidentemente per conto del potere centrale, in un documento sempre dell’epoca di questi due sovrani, contenente inventari di metalli ed altri oggetti.16 Il Tuttu17 menzionato nel nostro testo potrebbe identificarsi col personaggio omonimo che si trova col titolo di “signore dell’edificio apuzzi (= responsabile del deposito)”18 in documenti dell’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV: in un inventario di suppellettili, metalli ed armi, certamente con mansioni di controllo,19 e nelle liste di testimoni del trattato stipulato probabilmente da ÷attušili III con Ulmi-Teššup di Tarøuntašša20 e del documento relativo all’eredità dei beni di Šaøurunuwa.21 Inoltre, una identificazione di questo personaggio con il Tutu presente in un elenco di tesorieri (LÚ.MEŠŠÀ.TAM)22 si accorderebbe con la funzione qui sopra ricordata di responsabile del deposito.23 Poco,

16 KUB XL 95 II 2 (CTH 242.4): v. A. Kempinski-S. Košak, Tel Aviv 4 (1977) 88 sgg., dove si discute anche del significato della forma verbale accadica IDI nei testi ittiti, e p. 91 per la datazione di questo tipo di testi; v. ancora S. Košak, THeth 10, 79 sgg., J. Siegelová, Heth. Verw. I (1986) 268 sgg., e inoltre L. Mascheroni, FsMeriggi2 (1979) 363 con nota 39. 17 Numerose e di epoche diverse sono le attestazioni di questo nome: v. NH e Suppl. Nr. 1390, cui si devono aggiungere KBo XVI 97 Ro 30, KUB XXXI 62 I 7’, KUB XLVIII 115, 2’[; M$t 75/84(?); e inoltre RS 17.135 + x + 17.360 Ro 3, Vo 3’, 8’ (PRU IV 235) e il sigillo in grafia ieroglifica alla sommità del Recto (v. Ug. III 55). Incerta, a mio avviso, la presenza di questo antroponimo in KBo XVI 27 III 6’ (]x(?)tu-ut-tu) per l’assenza del determinativo di nome personale maschile e per la stretta vicinanza del termine in questione con le tracce di segno rimaste dopo la lacuna: v. invece la lista dei nomi di persona in KBo XVI, p. XII. V. inoltre, su questo nome, Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 256 e G. Beckman, op. cit., 626. 18 Su questo titolo nella documentazione ittita, v. in ultimo HW2 3, 192 sgg., s.v. (EN) éapuz(z)i/É a-pu/bu-(uz-)zi, e F. Pecchioli Daddi, MPD (1982) 512, con bibliografia precedente. 19 KUB XL 96+ (CTH 242.5) III? 18’ e forse anche nella lacuna in IV? 3’: v. per ultimi S. Košak, THeth 10, 81 sgg. e J. Siegelová, op. cit., 278 sgg. 20 KUB IV 10 (CTH 106) Vo 31; sui problemi connessi alla datazione di questo testo, v. F. Imparati, Šaøur. (1974) 137-144, e O.R. Gurney, AnSt 33 (1983) 98 sgg. 21 KUB XXVI 43 Vo 32 = 50 Vo 25’ (CTH 225): v. F. Imparati, op. cit., 38 sgg. 22 KUB XXXI 62 (CTH 232) I 7’. 23 Da notare, inoltre, la presenza di un Tuttu LÚI[Š (“scudiero”, v. MPD, 123 sgg.) in un piccolo frammento della stessa epoca - KBo XXXI 50 III 7’ (v. S. Košak, op. cit., 191 e J. Siegelová, op. cit., 274 sgg.) - in cui si parla di certe quantità di barre di rame in rapporto a determinate persone.

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invece, si può dire del Tuttu menzionato senza alcun titolo ancora in due documenti di procedura contemporanei.24 Con l’Armaziti di KUB XXIII 91 si deve probabilmente identificare il personaggio omonimo, mMI-LÚ-(iš), che compare in un documento purtroppo assai frammentario, KUB XXIII 54 (CTH 297.1) Ro ]3’, 4’, ma forse esso pure un testo di procedura, verosimilmente contemporaneo anche per la presenza di Nananza, attestato, fra l’altro, ancora in due “protocolli giudiziari”.25 III. ARMAZITI IN DOCUMENTI RIGUARDANTI L’ORGANIZZAZIONE DEL CULTO In un documento dell’epoca di Tutøaliya IV relativo all’organizzazione del culto di Pirwa26 - IBoT II 131 (CTH 318) Ro 7’ - un Armaziti (mArma-LÚ), insieme a Pallanna e a Šaliyanu(-)[, appare aver avuto l’incarico di compiere cerimonie cultuali presumibilmente in onore di

24 Nel cosiddetto “affare di Ukkura”, KUB XIII 35+ (CTH 293) III 21 è menzionato “Yarziti (NH Nr. 434, e G. Beckman, op. cit., 624) figlio di Tuttu” (v. R. Werner, StBoT 4, 10 sgg.): da notare in RS 17.244, 2 sgg. - un atto giuridico internazionale di datazione incerta - la presenza di un “Muw[a]ziti, figlio di Yaraziti, signore dell’edificio ABUTI” (PRU IV, 231 sgg.). In KUB XXVI 69 (CTH 295.3) V 22 si legge: “Tutu ha un fanciullo”, v. StBoT 4, 44 sgg. Non si discutono qui le altre attestazioni di Tuttu perché si trovano in documenti o troppo frammentari, o di epoca diversa da quella qui presa in considerazione, o la cui datazione è ancora controversa. Si tralascia anche l’esame di questo antroponimo quando si riferisce all’àmbito kaskeo. 25 Nananza (NH e Suppl. Nr. 857, cui si deve aggiungere appunto KUB XXIII 54 Ro 5’), compare qui col titolo di tesoriere. Questo antroponimo è attestato all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV in altri due documenti di procedura (KBo III 15 r. 3’ - CTH 295.12, StBoT 4, 69 e KUB XL 91 III 9’ - CTH 294.2, StBoT 4, 30), nella grafia ŠEŠanza, e in due lettere, in una col titolo di capo degli uomini UKU.UŠ (VAT 13047 Ro 3: v. H. Otten, MIO 4 [1956] 182 sgg.; v. inoltre, in ultimo, S. Rosi, SMEA 24 [1984] 124 sg.) e in una come scriba (KBo XXIII 44 IV 10’: v. H. Otten, op. cit., 183 nota 10). Propendo a ritenere che tutte queste attestazioni si riferiscano alla stessa persona. In KUB XXIII 54 sono menzionati anche Lullu (Ro 13’, NH Nr. 706), Ašøapala (Ro 8’, 11’, 12’, NH e Suppl. Nr. 162), Telipinu (Ro 15’, NH Nr. 1325.3). 26 Questo documento verrà trattato integralmente in un mio lavoro sul culto di questa divinità, di prossima pubblicazione in EOTHEN (vedi invece Or 59 [1990] 166187 [n.d.c.]).

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questa divinità, anche se essa non è menzionata in questo paragrafo27. Mentre l’ultimo di questi tre antroponimi (NH Nr. 1641) è finora attestato solo qui, e forse neppure integralmente, Pallanna (NH Nr. 908) è presumibilmente da identificare con la persona omonima che compare in un elenco di offerte a divinità e/o alle loro stele,28dove ricorrono anche nomi di altri personaggi della stessa epoca.29 Incontriamo forse lo stesso Armaziti (mDSIN-LÚ) in un altro testo verosimilmente contemporaneo, sempre relativo all’amministrazione religiosa,30 KBo XII 56 (CTH 521.6) I 8’.31 IV. ARMAZITI IN TESTI ORACOLARI Un personaggio omonimo è spesso presente in documenti oracolari presumibilmente del medesimo periodo, senza alcuna qualifica, ma con il compito evidente di partecipare attivamente alle operazioni, per lo più di tipo ornitomantico, nel corso delle quali egli compie osservazioni e fornisce responsi.32 Lo vediamo infatti formulare responsi in due testi che mostrano analogie fra sé, nei quali si eseguono consultazioni in base al movimento degli uccelli: UMMA mDMI-LÚ SIxSÁ-at “così Armaziti stabilì (mediante l’oracolo)”.33 Dai toponimi presenti in uno di questi due documenti, 27 (7’) [k]inun-šmaš mPal¦la©annaš mArma-LÚ mŠaliyanu[(-) (8’) ŠA GIŠ D¦INANNA© GAL eššer nu ¦ÚL© ¦pe©škanz[i] (9’) ku¦it©-¦wa© ABI DUTU [LU]GAL-izziyatta nu ÚL SUM-¦an©[zi]. 28 KUB XII 2 (CTH 511) IV 1 (mPallannaš LÚSANGA). Il nome Pallanna compare anche in grafia ieroglifica in un sigillo (NH Nr. 908.3) e si ritrova pure nei documenti di Ma$at (v. G. Beckman, op. cit., 625). 29 Tarøuntapiya, Armapiya, Maraššanda - sui quali ho trattato in FsBresciani (1985) 265 nota 44 e 258, 259, 266 nota 57 - e ÷utarla/i (NH Nr. 411) ecc.; quest’ultimo personaggio si ritrova ancora in un documento di procedura contemporaneo, sempre col titolo di sacerdote (KUB XXXVIII 37 [CTH 295.7] III? 8’); sono invece cronologicamente distanti le altre sue attestazioni in NH. 30 V. CTH 87, per la datazione di questo gruppo di documenti. 31 (8’) 1 É DINGIRLIM mDSIN.LÚ úedai ANA KÙ.BA[BBAR (9’) mMiøamaruš píran ešzi[ ]; l’antroponimo Miøamaru (NH Nr. 799) è un hapax. 32 Anche se questo personaggio è spesso menzionato in contesti lacunosi, l’analogia delle relative formulazioni convalida questa affermazione. Si rileva, inoltre, che i nomi degli operatori oracolari sono spesso citati senza alcuna qualifica. 33 KUB XLIX 11 II 15’ (dopo il nome c’è una piccola frattura, in cui si presume non si trovasse alcun segno per il confronto con le attestazioni analoghe in questo

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KUB XLIX 11, si può presumere che vi si alludesse ad una campagna militare in territorio nord-orientale:34 la menzione in esso di Daddamaru35(II ]20’, III 23) ne rende plausibile la datazione all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV. Anche in KBo II 6+ (CTH 569), un documento del periodo di Tutøaliya IV36 in cui si eseguono consultazioni oracolari per conoscere i motivi della collera degli spiriti dei defunti Arma-Datta e Šaušgatti,37 vediamo verosimilmente lo stesso Armaziti compiere osservazioni sugli uccelli (IV 17: IGI-anda UMMA mDMI-LÚ aušta nu MUŠEN÷I.A SIxSÁ-andu) e fornire responsi (IV 23: UMMA mDMI-LÚ SIxSÁ-at-wa). Sempre come incaricato di operazioni ornitomantiche compare Armaziti in una tavoletta in cui si fanno consultazioni mediante il KIN e gli uccelli, KUB V 13 (CTH 580) IV 9’: UMMA mDMI-LÚ arøa-wa[.38 Sono menzionati in questo testo il re e la regina (I 1, 7 sg., 11) - con probabilità ÷attušili III e Puduøepa39 - e un personaggio di nome LAMMA (I 1), presente anche in altri documenti dello stesso genere.40 Ancora in tre testi in cui si svolgono consultazioni oracolari - in due mediante l’oracolo KIN e in uno mediante gli oracoli KIN e SU - si trova in un contesto purtroppo lacunoso Armaziti (mDMI-LÚ), presumibilmente la stessa persona dei documenti precedenti.41

documento), 31’, III 17 (qui, dopo il nome, c’è soltanto S[IxSÁ-at]); v. inoltre II 3’ (dopo il nome c’è lacuna) e 19’ (dopo il nome forse S[IG5]?); KUB XLIX 33 I 9’[; soltanto UMMA mDM[I-LÚ in contesto analogo ai precedenti. 34 V. KUB XLIX, p. V Nr. 11; cfr. anche RGTC 6 ss.vv. 35 V. NH e Suppl. Nr. 1303, e FsBresciani (1985) 263 nota 11; v. ora G. Mauer, in CAL (1986) 191 sgg. 36 Per la datazione e per il contenuto di questa tavoletta, v. bibliografia in FsBresciani, 263 nota 12. 37 V. NH e Suppl. Nrr. 138 e 1142. 38 Da aggiungere a NH Nr. 141.3. 39 Secondo A. Kammenhuber, THeth 7 (1976) 134, questo testo, come altri, non si può datare prima di ÷attušili III per la presenza del LÚ÷AL. 40 V. Suppl. NH Nr. 1747.3; per le attestazioni di questo nome in documenti ittiti di epoche diverse v. bibliografia in FsBresciani, 263 nota 15. 41 KUB L 57 rr. 5’[, 10’, in quest’ultima riga si legge: ] ANA mDMI-LÚ waštul GAR-r[i “[a/per Armaziti la colpa è post]a”; KUB L 58 rr. 13’, 15’[ e KUB L 59b r. 8’ (in tutti questi passi il nome è preceduto da ANA).

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V. ARMAZITI IN ALTRI DOCUMENTI CONTEMPORANEI Doveva probabilmente riferirsi ad un Armaziti l’antroponimo parzialmente presente (mDMI-[) in un inventario di tributi (MANDATTU), e cioè di barre d’argento di cui si indica il peso, provenienti da varie città.42 L’antroponimo in questione appare in rapporto alla località di ÷adduna (da aggiungere a RGTC). Nel testo, molto frammentario, si trovano anche i nomi di due personaggi, Pallanza (r. 4’: NH e Suppl. Nr. 910) e ÷ilašdu (r. 6’: Suppl. NH Nr. 355a), ambedue col titolo di LÚ DUGUD, cioè di capo di un piccolo distretto amministrativo, prevalentemente a carattere militare. Nel cosiddetto “voto di Puduøepa” (CTH 585) compare il nome Armayaziti (mDMI-ya-LÚ);43 da notare, inoltre, la presenza dell’antroponimo Tuttu:44 i due personaggi così denominati (due ragazzi) appaiono in posizione subalterna. La prima parte di un antroponimo, mAr-ma-[ è presente nel testo oracolare KUB XLIX 25 bd. sn. 8[; A. Archi, nell’indice dei nomi di KUB XLIX p. VIII, completa questo nome in Arma[tanša, forse per la presenza di questo antroponimo in tale grafia in un altro testo oracolare (NH 137), mentre il nome Armaziti compare in documenti di questo tipo in forma ideografica (v. § IV). È però da rilevare la grafia mArma-LÚ in IBoT II 131 Ro 7’, testo anch’ esso dell’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV (v. § III). VI. ARMAZITI “FIGLIO DEL RE” AD UGARIT Un personaggio con questo nome è presente anche nella documentazione ugaritica dell’epoca di Ibiranu re di Ugarit, contemporaneo di Tutøaliya IV e di Ini-Teššup re di Karkemiš.45 KBo XVIII 155 r. 8’[ (CTH* 244.5): v. in ultimo THeth 10 (1982) 144 sgg. II 19: v. StBoT 1 (1965) 24 sgg. 44 V. l’indice dei nomi in StBoT 1, 54. 45 NH Nr. 141.1: su questo e su altri personaggi presenti col titolo di “figlio del re” nei testi di Ugarit, v. in ultimo F. Imparati, Šaøur., 116 sgg. e Heth 8 (1987) 190 sgg.; in questi due lavori si riporta anche la relativa bibliografia, si dà perciò qui soltanto l’indicazione dei testi. 42

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In due lettere di contenuto analogo Armaziti, senza alcuna qualifica, risulta incaricato - evidentemente dal potere centrale ittita - di fissare le frontiere del regno di Ugarit.46 In un documento di procedura egli, col titolo di “figlio del re”, esercita le mansioni di giudice e funge da testimone47 insieme ad altri personaggi: nel Verso vi è un suo sigillo, dove egli compare in grafia ieroglifica con la stessa qualifica.48 Un suo sigillo, sempre in questa grafia, si trova anche nel Verso di un piccolo frammento,49 che sembra essere un duplicato del testo precedente. In un altro documento,50 invece, si condanna Armaziti - qui menzionato senza alcun titolo - a pagare 300 sicli di argento al re di Ugarit e ai figli (e, quindi, ai discendenti) di un certo Mušrana; all’inizio del Recto compare il sigillo di Armaziti in grafia ieroglifica, in duplice impronta.51 È interessante notare che la tipologia di questi sigilli è ittita.52 VII. ARMAZITI IN TESTI DI EPOCA DIFFERENTE O ANCORA CONTROVERSA Questo antroponimo si trova anche in altri documenti o cronologicamente distanti dal periodo preso in esame o sulla datazione dei quali i pareri degli studiosi divergono. Un Armaziti (mA]rma-LÚ-iš) “scriba in ÷attuša” è noto da un trattato stipulato da un Arnuwanda - verosimilmente il I - con i Kaskei.53 RS 15.77, 13 (Armaziti, v. PRU III 6 sgg.): lettera inviata da Aliøešni “figlio del re” al re di Ugarit; RS 17.292, 9 (mDSIN-ma-LÚ, v. PRU IV 188): lettera scritta dal re di Karkemiš (di cui non si riporta il nome) a Ibiranu re di Ugarit. Sui personaggi menzionati in queste due lettere e sull’ipotesi di considerare Aliøešni e Armaziti come importanti dignitari ittiti ed Ebina’e e Kurkalli come funzionari di alto rango dipendenti dal re di Karkemiš, v. ancora Heth 8, 195 sgg. 47 RS 17.314 Ro 1, Vo 21, 25 (mDSIN-LÚ, v. PRU IV, 189). 48 Ug. III 134 sgg. 49 RS 17.449 (PRU IV 190): manca in Ug. III, loc. cit., ed è da aggiungere a NH Nr. 141.1. 50 RS 17.316 Vo 4’ (mDSIN-LÚ, v. PRU IV, 190). 51 V. Ug. III, loc. cit. 52 V. Ug. III figg. 48-51, e pp. 33 sgg. e 134 sg.; cfr. inoltre M. Liverani, RHA 36 (1978) 154 sg. con nota 27, e le mie osservazioni in Heth 8, 203 nota 12. 46

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Un personaggio con questo nome (mDSIN-LÚ), con la qualifica di “capo degli addetti al seggio”, è presente in un frammento dell’epoca di Šuppiluliuma II.54 Tale antroponimo si trova anche in due lettere rinvenute al di fuori di ÷attuša. Una di queste, in cui esso compare nella grafia mDSIN-LÚ - ABoT 65 (CTH 199) Ro 6, 9 - è stata trovata a Ma$at molti anni prima degli scavi iniziati da T. Özgüç nel 1973 ed è stata diversamente datata dagli studiosi. In questa lettera, inviata da Tarøuntišša55 a Palla,56 insieme ad Armaziti è menzionato anche un ÷attušili (mGIŠPA-DINGIRLIM)57 e vi si parla pure di un certo Atiunna.58 Per la presenza di alcuni di questi personaggi - oltre che per la scrittura ideografica del nome Armaziti (cfr. nota 1) - alcuni studiosi hanno proposto di datare questo testo all’epoca di ÷attušili III.59 Sulla base, invece, di motivi grafici e linguistici altri studiosi hanno preferito porre questo documento nel periodo del Medio Regno ittita.60 Infine, dopo il ritrovamento delle altre tavolette di Ma$at,

53 KBo XVI 27 (CTH 137) III 12’; sulla datazione di questo testo all’epoca di questo sovrano v. A. Kammenhuber, MSS 28 (1970) 56, Thes. 4 e HW2 citt. in nota 1, H. Otten, StBoT 13 (1971) 50 nota 109, ed anche StBoT 11 (1969) 11 con nota 2, Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records (1970) 82; v. invece THeth 9 (1979) 284 e le pagg. ivi citt., e soprattutto p. 245; E. v. Schuler, op. cit., 31 nota 143; cfr. pure CTH, 19 nota 1. V. inoltre più avanti nota 83, a proposito dell’esistenza in ÷atti di dinastie di scribi. 54 KUB XXI 7 (CTH 126) III ]3’, 5’: v. R. Stefanini, Athenaeum 40 (1962) 19 sgg.; THeth 9 (1979) 295 e le pagg. ivi citt.; sul titolo GAL (LÚ.MEŠ)tapri che qui accompagna questo nome, v. MPD, 522 sg. 55 NH e Suppl. Nr. 1272. 56 NH e Suppl. Nt. 906, e G. Beckman, op. cit., 625. 57 NH e Suppl. Nr. 349.10, dove si deve correggere ABoT 67 in ABoT 65, e aggiungere KBo XXVII 20 Vo 12’ e le attestazioni di Ma$at: v. G. Beckman, op. cit., 624; cfr. inoltre NH Nr. 349.7 e 8. 58 NH Nr. 205, cui si devono aggiungere le attestazioni di Ma$at: v. G. Beckman, op. cit. 59 Cfr., però in lavori non recenti, H.G. Güterbock, ADTCFD 2 (1944) 405 (da notare, tuttavia, che a p. 399 egli rileva la grafia molto piccola in cui è scritta la tavoletta); H. Otten, MIO 4 (1956) 184; L. Rost, MIO 4, 347; v. inoltre, più tardi, A. Ünal, THeth 3 (1974) 25; HW2 5, 344 s.v. aršana-/(::)aršanya-; THeth 9 (1979) 311 e le pagg. ivi citt. 60 Cfr. Ph.H.J. Houwink ten Cate, Records, 75 con nota 120; H.A. Hoffner jr., JNES 31 (1972) 33; E. Neu, IF 81 (1976) 324 sg.; v. inoltre CHD L-N, 139 e 141 s.v. man, -man.

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S. Alp61 ha ritenuto di poter datare all’epoca di queste - e cioè al regno di Šuppiluliuma I - anche la lettera in questione, per la menzione in essa di ÷attušili, frequentemente attestato, nella stessa grafia, in altri testi di Ma$at, e di Atiunna, anch’esso ivi presente. Allo stato attuale - non avendo però collazionato questi documenti l’ipotesi di S. Alp mi sembra assai plausibile, tuttavia il fatto che molti degli antroponimi lì citati si ritrovino più o meno frequentemente, e talora insieme, anche in testi dell’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV62 rende opportuno, per una datazione definitiva delle tavolette di Ma$at, anche uno studio prosopografico dei personaggi che vi compaiono. Mi pare inoltre interessante rilevare che ponendo la lettera sopra ricordata (CTH 199) nel periodo di regno di Šuppiluliuma I si viene ad offrire un sostegno all’identificazione del Palla ivi menzionato con il personaggio omonimo presente nel testo oracolare KUB XXII 70 (CTH 566) Ro 36, 37, 72 e, soprattutto, alla datazione di questo documento.63 Sempre a proposito della lettera in questione, concordo con l’ipotesi di alcuni studiosi che i personaggi in essa ricordati appartenessero ad un ambiente di scribi; mi sembra inoltre si possa presumere, nonostante il contesto non ben chiaro, che essi avessero tenuto anche incarichi di tipo amministrativo fuori dalla capitale.64 Belleten 44 (1980) 53 sgg. e, in particolare, 57 sg. V. ad esempio, oltre ad Armaziti e Palla, Kaššu (NH e Suppl. Nr. 538), Tuttu (cfr. sopra note 17-24), ÷attušili (NH e Suppl. Nr. 349, e G. Beckman, op. cit., 624), Šaøurunuwa (NH e Suppl. Nr. 1076, e G. Beckman, op. cit., 625), Pallanna (v. sopra nota 28); v. inoltre gli indici dei nomi in KBo e KUB pubblicati successivamente a NH e Suppl. e alle recensioni di questi. 63 Sulla datazione di questo testo all’epoca di Muršili II e sull’ipotesi di riconoscere nella regina Tawannanna ivi menzionata la vedova di Šuppiluliuma I, v. le mie osservazioni in SMEA 18 (1977) 26 sgg., e in particolare pp. 35-38, con bibliografia precedente; queste considerazioni sono state riprese da A. Archi in SMEA 22 (1980) 7 sgg., il quale accetta questa datazione anche in base all’esame di un altro testo oracolare, KUB L 6+. Invece A. Kammenhuber, THeth 7 (1976) 150 sgg., e A. Ünal, THeth 6 (1978) 36 sgg., datano questo testo all’epoca di ÷attušili III. 64 Dal secondo paragrafo della lettera (Ro 6-10) risulta infatti che essa non proviene da ÷attuša e che Tarøuntišša, ÷attušili e Armaziti esplicavano, in quel momento, la loro attività in una sede diversa dalla capitale; inoltre, il luogo di ritrovamento di questa lettera mostra che essa non era stata inviata a ÷attuša: cfr. le osservazioni di H.G. Güterbock, op. cit., 402 sgg. e di L. Rost, op. cit., 349. Il contenuto della tavoletta sembra riguardare adiramenti per motivi oscuri (Ro 8 sgg.) ed anche contrasti per la sottrazione di certi beni (Vo 4’ sgg.). Sull’ipotesi che i personaggi 61

62

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Un Armaziti (mMI-LÚ[-i(?))65 che forse aveva in qualche modo rapporti con l’estero, è il mittente di un frammento di lettera ritrovata ad Alalaø.66 Sembra che a lui fossero fuggiti dei carpentieri (?) e che egli avesse saputo che qualcuno se ne era impadronito (r. 4 sgg.): sfortunatamente il testo è troppo frammentario per permettere di conoscere se egli fosse incaricato di controllare questi carpentieri in quanto appartenente alla struttura amministrativa dello stato o se essi facessero parte del suo patrimonio. In base al livello di scavo in cui questa tavoletta è stata ritrovata, è difficile precisarne la datazione67 e identificare quindi lo Armaziti ivi presente o con lo scriba omonimo che all’epoca di ÷attušili III-Tutøaliya IV aveva operato anche fuori di ÷attuša (v. §§ VI e VIII), o con quello vissuto precedentemente. Al regno di Šuppiluliuma I vengono datati anche i cosiddetti “Feldertexte”, documenti catastali contenenti elenchi di campi, la loro ubicazione, le loro misure ecc. e i nomi di persone che li detenevano:68 Armaziti (mDMI-LÚ) vi compare due volte, accompagnato dal titolo pitta.69 È da rilevare la menzione in questa tavoletta anche dei campi di un certo Tuttu, ivi presente col titolo pittauriya.70 VIII. CONCLUSIONI Una ipotesi di identificazione dei personaggi sopra esaminati recanti il nome Armaziti e vissuti durante i regni di ÷attušili III e Tutøaliya IV ivi presenti facessero parte di un ambiente scribale, v. H. Otten, op. cit., 183; L. Rost, op. cit., 348. 65 Per il destinatario della lettera, mŠar-r[u-, v. NH Nr. 1643, fra i nomi frammentari; v. anche L. Rost, op. cit., 343. 66 AT 124,1 (CTH 209.10): v. L. Rost, op. cit., 342 sgg. con bibliografia precedente. 67 V. ancora L. Rost, loc. cit., infra; v. inoltre THeth 9 (1979) 232, dove si parla di XIII sec. 68 V. Vl. Sou£ek, ArOr 27 (1959) 5-43, 379-395. 69 KUB VIII 75+ (CTH 239) III 6, IV 40’: ŠA mDMI-LÚ pittaš; v. Vl. Sou£ek, op. cit., 14 sg., 22 sg., 391. 70 KUB VIII 75 I 50’, 54’ ecc., IV 61’: ŠA mTuttu pittauriyaš; v. F. Imparati, Šaøur., 73 con note 104 e 105, e MPD, 436. Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 236, identifica il Tuttu presente in questo testo con il generale dell’epoca di Šuppiluliuma I: v. H.G. Güterbock, Or 25 (1956) 136.

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appare verosimile per quanto concerne quello presente come scriba in testi di contenuto religioso - di cui in un caso sembra esser stato l’autore (v. nota 7) - e in sigilli, e quello che pare aver espletato anche mansioni amministrative (cfr. nota 13). Tali mansioni risultano ancor più evidenti se accettiamo l’identificazione di questo Armaziti con il personaggio omonimo menzionato nella documentazione ugaritica contemporanea (v. più avanti).71 È del resto noto che gli scribi avevano talora incarichi di questo tipo, per cui non sorprende che essi potessero venire qualche volta a trovarsi coinvolti in controversie giudiziarie. È probabilmente la stessa persona anche lo Armaziti che compare nei due documenti relativi all’organizzazione del culto. Può apparire invece, in un primo momento, meno evidente l’identificazione di questo Armaziti con la persona omonima incaricata di fornire responsi oracolari, essendo questa un’attività molto tecnica e, quindi, assai specializzata. Tuttavia, come ho già avuto modo di esporre più estesamente in altro luogo72 - oltre alla considerazione che gli scribi ittiti, analogamente a quanto avveniva altrove nel Vicino Oriente antico, potevano svolgere altre mansioni specialistiche oltre la loro73 - appare logico presumere che agli addetti all’esecuzione di pratiche divinatorie si richiedesse la conoscenza della scrittura, proprio per la necessità di annotare sul momento e con esattezza i risultati delle varie operazioni per fornire responsi. Questa necessità di registrare immediatamente i risultati delle consultazioni (anche prescindendo da chi aveva l’incarico di scriverli) sembra emergere pure dalla grafia affrettata che caratterizza di solito i testi oracolari e dalle numerose abbreviazioni dei termini tecnici delle consultazioni che si trovano in questi testi. Nel lavoro citato in nota 72 ho cercato di suffragare tali considerazioni con esempi tratti da alcune lettere intercorse tra sovrani ittiti e certi Del resto, anche dal contenuto della lettera di Ma$at, e forse pure da quella di Alalaø, qualunque sia la loro data, mi sembra plausibile ipotizzare che lo Armaziti ivi menzionato fosse uno scriba che esplicava compiti amministrativi, anche fuori dalla capitale (v. § VI). 72 V. FsBresciani 255-269. 73 Come, per esempio, quella di LÚA.ZU “medico”: v. MPD, 166. 71

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auguri, taluni dei quali espletavano, a mio avviso, anche la mansione di scribi.74 Vi ho riportato inoltre i casi di alcuni antroponimi riferiti sia a scribi che a personaggi che svolgevano mansioni divinatorie, spesso presenti in testi contemporanei di genere diverso insieme ai medesimi personaggi: v., ad esempio, Tarøuntapiya, *Armanani, Armapiya, Alalimi, ÷alpaziti.75 Ritengo improbabile che in tutti questi casi si trattasse di omonimia. Per quanto riguarda Armaziti, può assumere forse qualche significato anche il fatto che in uno dei due testi di cui egli è lo scriba (KUB IV 1: v. nota 3) si faccia riferimento alle aggressioni dei Kaskei e se ne appellino le divinità, e che in un testo oracolare (KUB XLIX 11: v. § IV) egli fornisca responsi in occasione di una campagna militare presumibilmente proprio in territorio nord-orientale; si rileva pure che anche in uno dei due documenti di procedura in cui egli compare (KUB XXIII 91: v. § II) si allude ad operazioni militari in località situate in vicinanza dei Kaskei (v. nota 12). Si nota inoltre che Armaziti sembra essere stato anche autore di un rituale (v. nota 7) e si ricorda che talvolta gli auguri erano pure autori di rituali.76 Niente mi pare quindi opporsi ad una identificazione dello Armaziti scriba e incaricato di compiti amministrativi con il personaggio omonimo che nella stessa epoca esercitava funzioni divinatorie di vario genere. Per quanto riguarda poi l’identificazione del nostro Armaziti con la persona omonima presente nella documentazione ugaritica, talora col titolo di “figlio del re” (v. § VI), mi sembra opportuno in primo luogo ricordare quanto ho già rilevato più volte altrove,77 e cioè che tale espressione nella documentazione ittita e nord - siriana (analogamente ad altri àmbiti vicino-orientali) non ha sempre un valore letteraleV. FsBresciani, 256 sgg. V. ancora FsBresciani, 258 sgg. È da notare la presenza di alcuni di questi personaggi in documenti di procedura giudiziaria. 76 V. A. Archi, SMEA 16 (1975) 130 sgg. Inoltre, semplicemente a titolo di confronto, si ricorda che nell’amministrazione provinciale babilonese all’epoca della seconda dinastia di Isin gli scribi dei villaggi sostituivano spesso l’indovino (BÂRÛ) locale (v. J.A. Brinckman, JESHO 6 [1963] 238 con nota 5) e che l’esorcista (ŠIPU) in àmbito mesopotamico risulta da qualche colophon essere stato scriba di tavolette (CAD 1, II [1968] 434,e). 77 Or 44 (1974) 116 sg., v. inoltre qui sopra nota 45. 74 75

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genealogico, ma è anche un titolo, riferito a persone che operavano nell’entourage del re e che erano spesso da lui incaricate di svolgere mansioni amministrative o di rappresentanza o di controllo in paesi soggetti al dominio ittita. Ne conosciamo diversi esempi dalla documentazione ugaritica ed ora da quella di Emar.78 È inoltre noto che alcuni scribi ittiti, verosimilmente all’apice della loro carriera, portavano anche il titolo di “figlio del re” e ricoprivano importanti incarichi nella struttura burocratica dello stato: v., ad esempio, Tarhuntapiya, *Armanani, Šaøurunuwa ecc.; sappiamo inoltre che a questo titolo potevano associarsene anche altri79. Così, mi pare plausibile ritenere che lo Armaziti “figlio del re” ad Ugarit e lo Armaziti scriba nei documenti ittiti - e, quindi, anche gli altri personaggi omonimi con questo identificati - fossero la stessa persona. A proposito, poi, del fatto che in uno dei testi di Ugarit Armaziti appaia incaricato di fissare le frontiere di questo paese, si ricorda, a titolo di esempio, che nell’amministrazione provinciale babilonese all’epoca della seconda dinastia di Isin gli scribi avevano l’importante compito di misurare la terra.80 Del resto, con l’incarico di stabilire limiti territoriali si accorda bene, oltre che la mansione scribale di Armaziti, anche quella di addetto a pratiche divinatorie, per lo stretto legame che tali pratiche notoriamente avevano, nelle società antiche, con la definizione dei confini, dato il carattere sacro di questi. Inoltre, il fatto che egli fosse stato condannato a pagare 300 sicli d’argento al re di Ugarit e a certe persone fa presumere che si trattasse di un’ammenda per qualche irregolarità di tipo amministrativo da lui commessa nell’esercizio delle sue funzioni. Ho avuto infatti occasione di mettere più volte in rilievo la possibilità che avevano alti dignitari o funzionari dello stato ittita di compiere abusi a loro vantaggio,

V. ancora in Heth 8, 191 sgg. alcune proposte di identificazione di certi personaggi presenti con questo titolo a Ugarit o a Emar con persone omonime attestate nella documentazione ittita contemporanea con o senza questo titolo, e talora con altri titoli che ne mostrano l’importanza. 79 V. gli esempi in proposito nell’articolo qui sopra cit., infra. 80 V. J.A. Brinckman, op. cit., 238. 78

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soprattutto quando si trovavano ad operare in zone del regno lontane dalla capitale o in paesi posti sotto il dominio ittita.81 Potrebbe sorprendere il fatto che in testa al documento ugaritico in questione, in cui egli viene condannato a questa ammenda, si trovi il suo sigillo: forse per suggellare il suo impegno.82 Alla luce di queste considerazioni, si può quindi tentare di ricostruire la carriera di questo personaggio, che risulta aver svolto molteplici funzioni, sostanzialmente non contraddittorie fra sé. Appare plausibile ritenere che egli, verosimilmente discendente da una famiglia di scribi,83 durante la fine del regno di ÷attušili III e gli inizi di quello di Tutøaliya,84 avesse cominciato la sua attività come semplice scriba, per lo più di testi religiosi, e come addetto a mansioni divinatorie. Egli tocca il gradino più alto del suo cursus honorum quando, sotto il regno di Tutøaliya IV, con la qualifica di “figlio del re”, viene inviato ad Ugarit con compiti evidentemente di rilievo (v. § VI). Non rimane chiaro in che modo e per qual motivo egli sia presente in documenti ittiti di tipo procedurale, a mio avviso anteriori a quest’ultima più importante fase della sua carriera; non sembra però come responsabile di qualche reato (o, per lo meno, non di reati di grande rilievo), ma forse solo in qualità di testimone, altrimenti difficilmente avrebbe potuto tenere i successivi incarichi ad Ugarit, con la qualifica di “figlio del re”. Ed anche se poi, nel corso del suo soggiorno in questo paese, gli viene imposto di pagare una forte ammenda, si può però supporre che la sua “colpa” - che probabilmente rientrava in un certo tipo di reati non infrequenti fra dignitari e funzionari dello stato (v. nota 81) - non dovesse essere considerata tale da farlo destituire dai suoi incarichi. Si può quindi concludere che il quadro delle attività svolte da questo Armaziti costituisce un’ulteriore conferma della possibilità che in àmbito V. JESHO 25 (1983) 264 sgg. e gli Atti del convegno su Stato, economia e lavoro nel Vicino Oriente antico, Istituto A. Gramsci Toscano, Firenze 29-31 Ottobre 1984, infra (in corso di stampa) (= Stato, economia, lavoro, 225-239 [1988] [n.d.c.]). 82 È da notare che, a conclusione dell’atto, si specifica che Armaziti, una volta pagata l’ammenda, non deve avanzare reclami nei confronti del re di Ugarit e della persona menzionata nel documento e dei suoi discendenti. 83 V. sopra § VII e inoltre E. Laroche, ArOr 17 (1949) 10, che mette in rilievo l’esistenza in ÷atti di dinastie di scribi. 84 V. § I e nota 3. 81

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ittita (analogamente ad altri stati del Vicino Oriente antico) aveva una stessa persona - in vari settori della società - di esplicare, anche simultaneamente, compiti di genere diverso. È del resto noto che coloro i quali detenevano alti incarichi di governo riunivano sovente in sé una molteplicità e varietà di titoli, e spesso di mansioni. Non stupisce, per altro, una compresenza anche di queste ultime in un àmbito come quello delle attività di direzione politica. Si può inoltre osservare, per definire meglio i contorni di questa problematica, che nelle antiche società vicino-orientali è attestata pure la compresenza di certe mansioni “manuali”, però di tipo non specialistico, mentre le più qualificate attività artigianali erano diversificate. Ora, se corrisponde al vero quanto abbiamo sopra osservato per Armaziti, si registra una compresenza anche nel campo di mansioni che noi potremmo essere indotti, per la loro tecnicità, a presumere svolte separatamente, come quelle di scriba e di addetto a pratiche divinatorie.85 Ho accennato, d’altronde, anche al caso di uno scriba che era pure medico (v. nota 79).86 Mi sembra quindi plausibile avanzare l’ipotesi che si potessero cumulare differenti funzioni non soltanto in sede politica o in sede di lavoro non qualificato, ma anche nel campo di quelle attività che oggi definiremmo “intellettuali”.

Si conoscono anche casi in cui una stessa persona esplicava pratiche oracolari di tipo diverso: v., oltre all’esempio di Armaziti (§ IV con nota 41), anche quelli di Tarøuntapiya e di ÷alpaziti, in FsBresciani, 238 con nota 39 e 260 con note 68 e 71. 86 I casi, invece, dei “capi scribi” che tenevano altri incarichi di alto livello nella gerarchia dello stato (come, ad esempio, Šaøurunuwa: v. Šaøur. 11 sgg.), rientrano nell’àmbito delle attività di direzione politica. 85

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XVIII. OBLIGATIONS ET MANQUEMENTS CULTUELS ENVERS LA DIVINITÉ PIRWA

Lors d’une étude sur la divinité anatolienne Pirwa dans le monde religieux hittite,1 j’ai été particulièrement intéressée par l’un des différents et nombreux documents que j’ai examinés: IBoT II 131 (CTH 518), avec son duplicat Bo 32452.2 Ce texte à caractère administratif présente malheureusement de nombreux problèmes d’interprétation, mais sa J’ai terminé une monographie sur Pirwa nel culto ittita qui sera publiée dans la collection EOTHEN, Studi sulle civiltà dell’Oriente antico (Firenze). 2 La tablette IBoT II 131 Ro est probablement acéphale (v. aussi l’édition du texte), malgré la présence de deux traits horizontaux au début de la partie qui nous est parvenue, tout comme à la fin du Ro et au début du Vo. J’ai pu voir le fragment Bo 3245, il y a quelques années, au “Vorderasiatisches Museum “ de Berlin DDR et je remercie vivement le Prof. Dr. Horst Klengel qui me permit aimablement de le publier dans mon volume. Un parallèle probable du document que nous examinons est KBo XIX 131 (CTH 518.2), qui, toutefois, n’a pas une grande utilité dans ce contexte. Je présente ici la transcription de Bo 3245, correspondant à IBoT II 131 Vo 22-31 (cfr. p. 347 sq.): 1

Vo 1’

]x åpe-eš-ki-iz-zi¥[ _________________________________________________________________ 2’ ]x-mi-iq-qa-aš 25 MAŠ.GAL LÚM[(EŠla-pa-na-al-li) 3’ (URUP)]u-la-an-ta-ri-iš-ša-az pe-eš[(kir) _________________________________________________________________ 4’ U]DU? 2 PA ZÍD.DA 2 DUG KA.DÙ m¦D©[(AMAR.UD-LÚ)] 5’ [(L)]Ú URU÷i-mu-wa pe-eš-kir ŠA ITU.2.[(KAM) 6’ ki-nu-na ŠA A-BI DU[TUŠI Ú-UL SUM-an-zi] _________________________________________________________________ GIŠS]AR.GEŠTIN-za m¦D©AMAR.UD-LÚ LÚ URU[(÷i-mu-wa) 7’ 8’ ] DPí-ir-wa IGI-an-da MU.KAM-ti-l[i 9’ [k(i-nu)]-un-åma¥-an kán ARAD÷I.A mKÙ.BABBAR ¦D©[(KAL) 10’ [(LÚM)]EŠ URUKa--li-u-wa-an-ta :øa-[(aš-pí-ir) 11’ [(nu-uš)]-ma-la-an A.ŠÀ A.GÀR i-e-e[(r)] 12’ [(na-a)] åan¥-ni-eš-kán-zi x _________________________________________________________________ 13’ ]DUG KA.DÙ ¦2©? [

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lecture m’a suggéré des perspectives de recherche et des éléments de comparaison avec d’autres tablettes concernant le culte de cette divinité. IBoT II 131 fait partie de ces documents relatifs à l’administration religieuse hittite qui nous sont parvenus en grande quantité et dont la plupart remontent à l’époque de Tutøaliya IV. On y énumère des offrandes cultuelles dues à une époque antérieure, principalement par des villes et des villages, mais aussi par des particuliers et des catégories de personnes, soit à titre de tribut annuel,3 soit à l’occasion de fêtes;4 offrandes qui, dans certains cas que nous examinerons ensuite, tombent en désuétude. Pirwa est mentionnée fréquemment dans cette tablette,5 alors que d’autres divinités y sont rarement citées;6 en outre, l’une d’elles - dans laquelle, à mon avis, on doit reconnaître MUNUS.LUGAL7- pourrait être nommée ici pour ses liens avec Pirwa. Par conséquent, on peut penser avec quelques raisons que ce texte concernait l’organisation du culte de Pirwa.8 Comme je l’ai déjà fait observer, ce document, dont la translittération et la traduction seront données intégralement, accompagnées d’un commentaire, dans la monographie citée à la note 1, contient de nombreuses difficultés d’interprétation et les problèmes les plus variés. Le texte est souvent abîmé et l’on y trouve des inexactitudes de la part du scribe, comme l’omission de signes dans certains mots.9 Ro 5’, 6’ (?), 43’, Vo 19, 27; cfr. aussi Vo 23, 33. Ro 6’, 11’. 5 Ro 15’, 16’[, 17’, 21’, 25’, Vo 1[, 4, 7, 9, 14, 27. 6 DNIR.NIR.BI, Ro 6’: [AN]A åEZEN¥ MU.KAM-ti ŠA DNIR.NIR.BI DU?-x[;DU KARAŠ÷I.A, Ro 39’: v. p. 357; DZuliya, Vo 32[: v. p. 350; sur la divinité mentionnée avec Pirwa au Vo 4, 9, v. la note suivante. 7 Le nom de la divinité cité au Vo 4 et 9 avec Pirwa est très abîmé: dans la deuxième partie du nom on peut reconnaître le sumérogramme LUGAL; dans la première partie, après le déterminatif divin, les traces des signes dans l’édition du texte feraient penser à UTU (en effet dans le CHD 47 s.v. :larella on lit pour la l. 9. DUT[U LU]GAL), toutefois, la présence rapprochée de Pirwa me semble favoriser une restaurašion DMUNUS.LUGAL: (Vo 4) ¦n©-an-kán ANA DPírwa Ù ANA DMU[NUS!].LUGAL åBAL¥-anåti¥; (Vo 9) nu DPírwan :larella ANA DMU[NUS!.LU]GAL kattan (10) åGIŠ¥ZAG.GAR.RA-ni daninuwanzi. 8 V. CTH 518. 9 V. Ro 10’: 6 åUDU¥ 3 ME 48 NINDA.KUR .RA÷I.A ŠA 1/2! UPNI å12?¥ 4 NINDA. KUR4.RA aš-øu--aš; 27’: ...ŠA DPí-ir-...; 29’ ...3 åPA?¥ 3 4

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I. PERSONNAGES ATTESTÉS DANS CE DOCUMENT Il est possible de dater ce texte de l’époque de Tutøaliya IV,10 non seulement sur la base de critères graphiques et linguistiques,11 mais aussi grâce à la mention de certains personnages ayant vraisemblablement vécu à cette époque-là. En effet, même si l’on ne peut identifier tous les anthroponymes qui s’y retrouvent,12 un examen prosopographique approfondi et la comparaison avec d’autres textes s’accordent avec la datation proposée ci-dessus. Dans la deuxième paragraphe du document en question, à la ligne 7’, on nomme ensemble Pallanna, Armaziti et Šaliyanu[(-); ceux-ci étaient tenus à célébrer des actes cultuels, mais, à partir d’un certain moment (v. plus loin p. 174) ils ne fournissent plus d’offrandes pour le culte: (7’) [k]inun-šmaš mPallannaš mArma-LÚ mŠaliyanu[(-) (8’) ŠA GIŠ D åINANNA¥ GAL eššer nu åÚL peš¥kanz[i] (9’) kuåit-wa?¥ ABI DUTUŠI åLUGAL¥-izziyatta nu ÚL åSUM-an¥[zi].13 Sur le dernier de ces personnages nous ne pouvons rien dire, son nom (NH 1641) n’étant, jusqu’à présent, attesté qu’ici et peut-être pas intégralement. Pallanna (NH 908), lui, peut probablement être identifié avec le prêtre homonyme (mPallannaš LÚSANGA) mentionné dans une liste d’offrandes à des divinités et/ou à leurs stèles.14 Ce document nous BA.BA...; 32’...åLÚ¥MEŠ -PI-IŠ GUŠKIN; v. en outre p. 353 sq. avec note 49 à propos de la possibilité d’un complètement ¦A©- LUGAL au Ro 31’. 10 V. HW2, 557b, 559a. 11 Avec la datation de ce texte à l’époque de Tutøaliya IV s’accorde également la présence dans celui-ci de termes et de formes louvites, quelquefois précédés aussi du signe de glose, comme :larella (Vo 8), terme jusqu’à présent attesté seulement ici et de sens obscur (v. à ce propos E. Laroche, Dict. Louv., 63 - où ce mot est indiqué comme un accusatif pluriel neutre - et CHD 47a) et (:)lapanalli (v. plus loin note 68); v. en outre dans le duplicat le verbe :øa[(špír). 12 De plus, quelques-uns de ces noms se retrouvent aussi dans des documents du Moyen-Royaume ou de l’époque de Šuppiluliuma I: cfr. S. Alp, Belleten 44 (1980) 53 sqq. et en particulier 57 sq., à propos des documents provenant de Ma$at. 13 J’aj compris le pronom personnel -šmaš à la l. 7’ comme équivalant à la particule de forme réfléchie -za (HE 1, §§ 103 et 251); sur -za iya- (dont ešša- est l’itératif) “célébrer, fêter (une divinité)”, v. HW, Erg. 1, 7. Sur l’interprétation de l’instrument musical GIŠ DINANNA comme “cithare”, v. S. de Martino, OA 26 (1987) 171 sqq. 14 KUB XII 2 (CTH 511) IV 1. Ce nom (Pa-la-na) est présent aussi en écriture hiéroglyphique sur un sceau et se retrouve également dans les documents de Ma$at: v. G. Beckman, JAOS 103 (1983) 625.

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livre aussi d’autres noms de personnages15 ayant vécu à l’époque de notre tablette. Quant aux attestations du nom Armaziti,16 elles sont très fréquentes, que ce soit dans des documents provenant du monde hittite ou dans des textes d’origine syrienne. Il en est de différentes époques, mais la plupart remontent à ÷attušili III-Tutøaliya IV. J’ai déjà eu l’occasion de présenter ailleurs une hypothèse d’identification des individus portant le nom d’Armaziti sous ces deux souverains et d’exposer en détail l’activité et la carrière de ce personnage.17 Le nom de l’individu mentionné à la ligne 17’, mGI?-DåG¥ÌR?,18 chargé de s’occuper du culte de Pirwa (nu mGI?-DåGÌR¥? kuåwapi¥ D Píåårw¥an¥ EGIR-pa åta¥ninut [) est abîmé et par conséquent obscur. Un autre personnage dénommé Zu19 (Ro 27’) semble lui aussi chargé du culte de Pirwa. Il devait probablement présenter des offrandes annuelles, peut-être en relation avec un temple de la ville de Šippa, une localité liée à Pirwa (v. p. 351): (27’) [ ]x x GIŠKU x ŠA DPír mZûš MU.KAM-tili (28’) [ ]x peåškiz¥zi É.DINGIRLIM URUŠippa. Certes, nous ne possédons pas assez d’éléments pour soutenir l’identification de cet individu avec son homonyme, qui porte le titre de GAL LÚ GIŠGIDRU20 dans KBo X 10 (CTH 235.1) IV 10, un texte datant probablement lui aussi de l’époque de Tutøaliya IV et contenant une liste de femmes zintuøi21 fournies par des particuliers ou par des sièges administratifs en rapport avec la localité de Ulušna. Toutefois, cette identification n’a rien d’improbable, vu que ces documents remontent à la même époque et qu’on y pane des obligations cultuelles de ce personnage. D’autres documents aussi nous apprennent que la ville 15 Tarøuntapiya, Armapiya, Maraššanda, ÷utarla/i etc.: v. mon article dans FsPuglieseCarratelli, 84 note 29. 16 NH et Heth 4 (1981) Nr. 141; v. en outre FsPuglieseCarratelli, 79 note 1. 17 V. précisément FsPuglieseCarratelli, 79-94, et en particulier p. 90 sq. pour l’identification de ce personnage. La présence de Armaziti scribe dans KBo XIX 128 VI 36’ (CTH 625), un document où Pirwa est mentionnée plusieurs fois, ne semble pas avoir de signification particulière, vu que d’autres divinités y sont également nommées. 18 Il ne se trouve pas parmi les noms fragmentaires dans NH et Heth 4; une lecture 1 GILIM DGÍR ne s’accorde pas avec le contexte. 19 Il n’est cité ni dans NH ni dans Heth 4. 20 V. F. Pecchioli Daddi, MPD, 542: “capo degli araldi”. 21 V. dans RGTC 6, 185 la traduction de ce passage, et sa translittération dans MPD, 403.

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de Ulušna devait livrer des offrandes et fournir du personnel pour le culte.22 Au Ro 38’ de notre texte on nomme aussi un certain Pittazzi,23 peutêtre chargé de présenter des offrandes pour le culte, mais son nom ne comparaît qu’ici. Trois autres personnages sont également mentionnés dans les trois derniers paragraphes de notre texte, Vo 24-33,24 malheureusement dans un contexte peu clair: _____________________________________________________ 24 [x U(DU? 2 DU)]G åKA¥.DÙ xa PA ZÍD.åDA¥.A mDAMAR.UD-LÚ 25 [L(Ú URU÷i-m)]u?-wab pe-[(eš)]-åki?-it? ŠA ITU¥.2.KAM ¦Ú©?-[UL? SUM-an-zi(?)c] _____________________________________________________ ] 26 [GIŠS(AR.GEŠTIN-za)] mDAMAR.DU-LÚ LÚ URU÷i-åmu¥-wa [ ¦D© 27 [ ] Pí-ir-wa IGI-an-da åMU¥.KAM-ti-li šar-re-e[š-ki?-it?] 28 [k]i-nu-un-ma-an-kán AR[(AD)ME]Š m÷a-ad-du-ša-DLAM[MA [ ] 29 åLÚ¥MEŠ URUGa-pí-li-wa-an-ta øa-aš-pí-ir 30 ånu¥-uš-ma-an A.ŠÀ A.åGÀR i-e-er¥ na-an an-ni-e[(š-kán-zi x?] _____________________________________________________ 31 2 MÀŠ 1? DUG KA.DÙ 2 [PA ZÍ]D.DA åARAD¥MEŠ m÷u-ra-[ 32 LÚ URUå÷a¥-zu-uš-ra åA.ŠÀ A.GÀR¥ ŠA DZu-li-[ya 33 ki-nu-na ka-a-aš åMU.6?.KAM-ti ku¥-it kar-åša¥-a[n _____________________________________________________ a) Il ne reste du chiffre qui devait se trouver devant PA qu’un clou vertical, mais l’espace et la comparaison avec le duplicat l. 4’ permettent de postuler une lecture 2. b) Une lecture (URU÷i-mu)]-u-wa, justifiable pour les traces de signes conservés, ne s’accorde ni avec la graphie de ce toponyme à la l. 26 ni avec celle que l’on trouve dans le duplicat l. 5’.

V. RGTC 6, 543 sq.: dans le district d’Ulušna était située aussi Gaparša, une localité dont nous parlerons encore, p. 353 avec note 43. 23 V. le passage rapporté plus loin, p. 357 avec note 57. 24 Et dans le duplicat Bo 3245 Vo 7’-13’, correspondant au Vo 24-31 de notre texte; de nombreuses restaurations de ce dernier ont été effectuées précisément sur la base du duplicat: cfr. note 2. 22

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c) L’integration proposée pour la fin de la l. 25 s’accorde avec le contexte du duplicat l. 6’, même si ce dernier est formulé de manière différente. On doit alors supposer que la l. 25 continuait sur le bord, comme cela se retrouve plusieurs fois, même dans les lignes précédentes: v., par exemple, ll. 18, 22 etc.

On ne peut rien dire sur Šantaziti25 (mDAMAR.UD-LÚ, ll. 24, 26 et dupl. l. 7’, ainsi que dans la lacune à la fin de la l. 4’), homme de ÷imuwa, tenu de fournir des offrandes et de s’occuper du culte de Pirwa avec une certaine périodicité. Le toponyme ÷im(m)uwa26 se retrouve dans la documentation hittite dès l’Ancien-Royaume. Cette localité, dont Šantaziti est originaire, semble avoir eu une importance remarquable et, ailleurs aussi, elle présente des liens avec le milieu religieux. Par contre, la présence dans notre texte (Vo 28[ et dupl. l. 9’) de l’anthroponyme ÷attuša-LAMMA (÷attuša-Inara, lecture plus probable dans ce milieu que ÷attuša-Kurunta),27 dans un contexte assez obscur, est d’un intérêt tout particulier. On y parle des subordonnés (ARADMEŠ/÷I.A)28 de ce personnage. Ceux-ci, sur la base du kinun-ma “mais maintenant” de la l. ]28 (dupl. l. ]9’), semblent avoir remplacé Šantaziti dans ses obligations envers Pirwa. NH 1103. Un Šantaziti est mentionné également dans le texte relatif à Mida de Paøøuwa, KUB XXIII 72+ (CTH 146) Vo 32a, et peut-être aussi Ro ]94’(?), dans une liste de personnes considérées comme responsables du comportement de Paøøuwa; le passage où sont nommés Šantaziti et Muwatalli a été ajouté après que le texte eut été écrit. La datation de ce document est cependant très discutée: si l’on accepte l’hypothèse la plus suivie selon laquelle il remonte au Moyen-Royaume hittite, l’identification du Šantaziti ici présent avec celui de notre texte s’avère naturellement impossible. 26 Sur ce toponyme v. en dernier H. Otten, RlA 4 (1975) 323 s.v. ÷emuwa, et RGTC 6, 108 sq., avec bibliographie précédente. Cette localité jouit, avec d’autres, de privilèges particuliers (v. Lois Hittites § 54); on en craint des possibles influences sur Muršili I (v. Testament de ÷attušili I: HAB 8 sq., l. 61). A l’époque de Arnuwanda I elle est mentionnée parmi les lieux d’où les Gasgas ont emporté des offrandes et des objets cultuels (V. E. v. Schuler, Kašk., 156 sq., II 21). 27 Dans le duplicat: mKÙ.BABBAR D[(LAMMA). V. NH 348, et en outre Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 254; on doit y ajouter maintenant l’attestation m÷aat-tu-ša-DLAMMA GAL GEŠTIN présente dans le nouveau traité sur tablette de bronze stipulé entre Tutøaliya IV et Kurunta de Tarøuntašša: Bo 86/299 IV 37; H. Otten, Bronzetaf., 26 sq. 28 Sur l’emploi de ARADMEŠ pour désigner le personnel subordonné à des personnages de haut rang, par rapport à LÚMEŠ, avec lequel on indiquait le personnel lié à un siège administratif on cultuel, v. mes observations dans SMEA 18 (1977) 53 sqq. 25

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Le rapprochement avec certains passages du texte oraculaire KBo XIV 21 Ro II 57’, 66’, Vo III ]60’, 61’ (v. plus loin p. 363) frappe l’attention: un personnage homonyme, à mon avis le même que celui de notre texte, y semble tenu de célébrer la fête de l’année et de présenter des offrandes a Pirwa. Apparemment, il n’a pas tenu ses engagements, suscitant ainsi la colère divine. On remarquera qu’ici aussi (Vo III 61’), malheureusement dans un contexte très lacunaire, on parle de subordonnés (ARADMEŠ) de ce personnage. Je retiens également comme très probable l’identification du ÷attuša-LAMMA mentionné dans les deux textes cités précédemment avec son homonyme qui porte le titre de GAL GEŠTIN “grand du vin” - une importante charge militaire29 - dans la liste des témoins de deux traités internationaux, toujours de l’époque de Tutøaliya IV.30 Du reste, il est notoire que les dignitaires d’un rang élevé étaient tenus de pourvoir à l’administration religieuse par des offrandes ou par de la fourniture de main d’ouvre. Les manquements cultuels dont on parle dans le texte oraculaire indiqué ci-dessus étaient probablement dus à des oublis, ou encore à des abus exercés par ce dignitaire à son avantage personnel, fait assez fréquent dans les sociétés du Proche-Orient antique.31 Pour en revenir à notre texte administratif, on ne sait pas clairement si le ÷attuša-LAMMA qui y est nommé était de quelque façon lié aux habitants de Gapilawanta (une localité jusqu’à présent non attestée par ailleurs: v. note 36), qui, semble-t-il, s’étaient emparés de champs et les cultivaient, peut-être en faveur de Pirwa (Vo 29-30). Une autre difficulté est représentée par le sens de la forme verbale øašpir “ils détruisirent” dans ce contexte: peut-être s’agissait-il de terres acquises par les armes? Rappelons à ce propos que les hauts dignitaires et les fonctionnaires du royaume avaient la possibilité de se former ainsi de vastes patrimoines fonciers.32

29 Sur ce titre et sur sa signification dans la documentation hittite, v. en dernier lieu S. Rosi, Studi e Ricerche 2 (1983) 48 sqq., avec la bibliographie précédente. 30 C’est-à-dire dans les traités stipulés par ce souverain avec Kurunta (v. plus haut note 27) et avec Ulmi-Teššup (KBo IV 10 [CTH 106] Vo 31) de Tarøuntašša. 31 V. mes observations à ce sujet dans Šaøur. (1974) 46 sq.; JESHO 25 (1983) 256; et dans Stato, Economia, Lavoro (1988) 226 sqq. 32 V. note précédente.

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Dans le dernier paragraphe de notre texte (Vo 31-33) nous voyons que les subordonnés (ARADMEŠ: v. note 28) de ÷ura[, homme de ÷azušra, devaient, eux aussi, fournir des offrandes destinées au culte. Nous ne savons rien sur ce ÷ura[, et cela parce que son nom, probablement fragmentaire,33 n’apparaît qu’ici. Sur la localité ÷a(n)zušra aussi34 nous savons bien peu, même en ayant recours à d’autres textes. Dans le paragraphe en question on parle aussi de terres de la divinité Zuliya,35 malheureusement dans un contexte lacuneux et obscur. On affirme, en conclusion de ce paragraphe, que maintenant (kinun), depuis un certain nombre d’années, cette obligation cultuelle a cessé d’être observée. II. TOPONYMES MENTIONNÉS DANS CE TEXTE Dans le document que nous étudions on mentionne de nombreuses localités, principalement à propos de la célébration de fêtes ou de la fourniture d’offrandes pour le culte; beaucoup d’entres elles, malheureusement, ne sont nommées que dans ce texte.36 Les toponymes qui se retrouvent aussi ailleurs sont: Tiwaliya (Ro 12’), Išuwa (Ro 12’), Ankušna (Ro 24’), Šippa (Ro 28’), Gaparša (Ro 33’), Ala (Ro 41’), Ikšuna (Ro 44’, 45’), ÷imuwa (Vo 26), ÷azušra (Vo 32). Quelques-unes de ces localités ont pour nous un intérêt tout particulier, surtout parce qu’elles se retrouvent dans d’autres textes en rapport avec le culte de Pirwa. Ankušna (RGTC 6, 19) est nommée aussi dans KBo XIV 21 I 3’, 15’, 31’ (v. p. 187) à propos de fautes cultuelles commises par Palla, homme de Ankušna, précisément envers Pirwa et en

NH 1608. V. H. Otten, RlA 4 (1973) 111 s.v. ÷anzušra, et RGTC 6, 79: nous savons seulement que quelques biens donnés par Arnuwanda et Ašmunikal à Kuwatalla en faisaient partie et que de là provenaient des étoffes et des vêtements. 35 E. Laroche, Rech. (1946-1947) 41. 36 On ne trouve que dans ce texte la mention des localités Parzaliuwa[(-), Ro 5’, RGTC 6, 305; Ariwašuøi(-), Ro 13’, RGTC 6, 37; Šaššuna, Ro 30’, RGTC 6, 356; Aøla, Ro 32’, RGTC 6, 2; ÷aniyara, Ro 35’, RGTC 6, 75; Ištuna, Ro 36’, RGTC 6, 154; ÷apušna, Ro 39’, RGTC 6, 82; Gakkalna (?), Ro 43’, RGTC 6, 161; ÷ayanziya, Ro 46’, RGTC 6, 63; Palantarišša, Vo 22, RGTC 6, 322; Gapiliwanta, Vo 29, RGTC 6, 174. La montagne Liøša (v. note 62) n’est, elle aussi, attestée qu’ici. 33 34

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relation avec une amende imposée aux gens de Ankušna, peut-être parce que toute la ville était impliquée dans la faute de Palla. Ikšuna (RGTC 6, 137) est mentionnée dans notre texte dans un passage malheureusement lacuneux; on y parle de la réglementation d’offrandes et, peut-être aussi, d’un temple de Ikšuna, vraisemblablement consacre à Pirwa, divinité vénérée dans cette ville: Pirwa de Ikšuna est en effet citée aussi dans la prière de Muwatalli, KUB VI 45 II 63 = 46 III 30 (CTH 381). Ikšuna se trouve également dans KBo XIV 21 II 11’, où l’on parle de Zababa de Ikšuna dans un passage abîmé de la tablette: toutefois, il s’agit toujours d’un document qui semble axé surtout sur Pirwa (v. plus loin p. 362). La ville de Šippa est elle aussi liée au culte de Pirwa: dans notre texte on parle d’un temple de cette localité, dans un paragraphe précisément relatif à l’organisation cultuelle de cette divinité (v. p. 346). De plus, au cours d’une des cérémonies qui se déroulaient durant une fête du mois, KUB II 13 (CTH 591.5) VI 8, nous voyons le roi accomplir des actes rituels pour Pirwa de Šippa, tandis que chante le chanteur de Kaniš, et l’image de Pirwa de Šippa nous est décrite dans KUB XXXVIII 4 (CTH 514) Ro I 1. Šippa est aussi mentionnée dans le texte oraculaire KBo XVI 97 (CTH 571) Vo 38. Tiwaliya (RGTC 6, 431) est citée dans notre document à propos d’offrandes cultuelles (plusieurs sortes de pains et de la bière) qui devaient être fournies, probablement durant la célébration de la fête de la récolte, par cette ville du (= de la part du/au nom du/appartenant au/sous la juridiction du) roi de Išuwa: Ro (10’) 6 åUDU¥ 3 ME 48 NINDA.KUR4.RA÷I.A ... (11’) ... å19?¥ DUG KAŠ EZEN øarpaš (12’) URU Tiyawaliyaš ŠA åLUGAL¥ URUIšuwa eššešta. Cette ville se retrouve aussi dans d’autres textes contemporains du notre, principalement des documents concernant l’administration religieuse. En effet elle est mentionnée dans un inventaire cultuel relatif à diverses localités (KUB XXXVIII 10 IV 25[),37 qui date de l’époque de Tutøaliya IV. De plus, elle est citée dans une liste de chanteuses appartenant à différents palais et fournies par des villes et des villages ou des particuliers, dans un texte probablement de la

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CTH 510; v. L. Rost, MIO 8 (1963) 196.

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même époque (HT 2 III 13 = KBo II 31 Ro 18’).38 Cette localité est attestée encore, avec d’autres, dans un décret promulgué par Tutøaliya IV et sa mère Puduøepa à propos de certains biens assignés par Šaøurunuwa aux enfants de sa fille (KUB XXVI 43 Ro 33, 34, 35 et dupl. XXVI 50 Ro 27’).39 Dans KUB XXVI 43 Ro 33 Tiwaliya est indiquée à proximité de Pala(p)palašša, que E. Laroche situe dans la région septentrionale du ÷atti.40 Quoi qu’il en soit, d’autres documents ne nous apprennent ni pour Tiwaliya ni pour les autres localités que nous examinerons ci-dessous, si elles avaient quelques liens particuliers avec Pirwa. Remarquons que dans notre texte, comme dans d’autres datant toujours de la même période, le roi de Išuwa semble de quelque manière en rapport avec le culte de cette divinité: en effet, dans KUB XXVII 13 (CTH 698.1.B) IV 17 sq., on mentionne ensemble les hommes du sanctuaire rupestre de Pirwa et les subordonnés du roi de Išuwa, qui ont la charge de s’occuper du culte de deux autres sanctuaires rupestres.41 Rappelons également que dans KBo XII 140 (CTH 521.7) sur le bord gauche ll. 1-4 on lit que le roi du pays de Išuwa, avec certains dignitaires de haut rang, a rédigé l’inventaire cultuel-administratif contenu dans la tablette (ce souverain y est également mentionné au Ro 4 et peut-être 5[); dans ce document aussi est nommé le sanctuaire rupestre de Pirwa de Tu[døaliya(?)].42 En ce qui concerne la ville de Gaparša (RGTC 6, 173 sqq.), elle est mentionnée, tout comme Tiwaliya, dans la liste de chanteuses HT 2 IV 19, d’où il ressort qu’elle fait partie du district d’Ulušna. Nous avons déjà

CTH 235; v. aussi MPD, 429. CTH 225; v. Šaøur. 28 sq. et 84 sq. 40 GsKretschmer Nr. 41; v. également RGTC 6, 431 et 298. 41 (17) NA4øegur annarin NA4øegur muwattin-a (18) LÚMEŠ NA4øegur Pírwa ARADMEŠ LUGAL URUIšuwa-ya ešša[nzi]; cfr. SMEA 18 (1977) 52 sqq. et en particulier 55 sqq. 42 V. SMEA 18, 50 sq. avec note 113. Pour la position de relief du roi de lšuwa dans le milieu cultuel hittite à l’époque de ÷attušili III et de Tutøaliya IV, v. H. Klengel, OA 7 (1968) 63-76; v. aussi SMEA 18, 56 sq. Sur Išuwa v. J. Garstang-O.R. Gurney, Geography, 43 sqq.; H. Klengel, RlA 5 (1977) 214 sqq.; RGTC 6, 154 sqq. Pour l’hypothèse de l’interprétation du sanctuaire rupestre mentionné ci-dessus comme le mausolée de Tutøaliya IV, v. SMEA 18, 59 sqq. 38 39

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fait allusion à ce pays en parlant de Zu (v. notes 21, 22); on en propose la position au sud de Yozgat.43 Ala (RGTC 6, 5) est nommée aussi dans KUB XXVI 43 Ro 2344 où, avec d’autres localités, elle est située dans le pays de ÷arziuna (RGTC 6, 93), dont l’emplacement est encore discuté. Quant à ÷i(m)muwa et à ÷a(n)zušra, v. notes 26 et 34. III. PASSAGES SIGNIFICATIFS OU PROBLÉMATIQUES J’ai déjà mis en relief la présence dans ce texte de passages qu’on devine intéressants, mais sur lesquels on ne peut pas toujours proposer d’hypothèses clarifiantes. Je me limiterai ici à discuter ceux qui me semblent les plus stimulants ou simplement les plus problématiques. Dans le deuxième paragraphe de ce document (Ro 7’-9’), cité à la p. 345, on lit cette expression: (9’) kuåit-wa?¥ ABI DUTUŠI åLUGAL¥izziyatta x nu ÚL åSUM¥-a[nzi],45 laquelle prèsente des difficultés d’interprétation. En effet, on peut comprendre cette phrase de deux manières: ou “depuis que le père du Soleil gouverna comme roi, on ne fourn[it] (plus)”,46 et ainsi on fait allusion à une décision prise par le père du souverain régnant à l’occasion de son intronisation (v. plus loin), ou “ce qui (concerne ce qui fut établi quand) le père du Soleil gouverna comme roi, on ne fourn[it] (plus)”,47 faisant ainsi allusion à une décision du souverain actuel. ASVOA 4.3 (1986), dans la liste de toponymes s.v. V. Šaøur., 26 sq. et 78. 45 La lecture -wa du signe après kuit (de même aussi E. Neu, StBoT 5, 109) ne semble pas très convaincante, également pour la comparaison avec des expressions analogues dans ce document, mais une lecture -ši ne s’accorde pas avec le contexte. Après LUGAL-izziyatta on trouve un signe très abîme; j’ai pu collationner la tablette en question au Musée Archéologique de Istanbul, grâce à la courtoisie de son Directeur, et il ne me semble pas que les traces de ce signe visibles dans le texte et l’espace avant nu justifient l’hypothèse d’une lecture -at (v. E. Neu, StBoT 5, 109 note 5); du reste le temps au passé s’accorde aussi avec le passage analogue au Ro 31’: peut-être ce signe pouvait-il avoir été écrit par erreur et puis effacé. 46 Pour la possibilité de comprendre kuit dans le sens de “depuis que, après que” v. HW 114b; cfr. aussi RGTC 6, 431 et 174. 47 E. Neu, StBoT 5, 109, traduit ainsi: “was (das nun anbetrifft, daß) der Vater meiner Sonne als König herrschte”; cfr. en outre la même formule abrégée au Ro 14’, 34’ et au Vo 20; v. aussi HW 557b et 559a. 43

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Vu que, pour divers motifs, on peut dater IBoT II 131 de l’époque de Tutøaliya IV, le père du Soleil qui y est mentionné doit être ÷attušili III (v. aussi HW2, 557b e 559a). Par conséquent, si pour le passage en question on accepte la première hypothèse, on se référerait à des exemptions de charges cultuelles accordées par ÷attušili III à certaines localités ou à des individus au moment de sa montée sur le trône, ou parce que ces charges étaient devenues trop lourdes pour eux,48 ou parce qu’il voulait, de cette façon, s’assurer un consensus le plus vaste possible (naturellement, ces deux motifs ne s’excluent pas l’un l’autre). Du reste, nous possédons de nombreux textes rédigés par ce souverain où il accorde des exemptions ou des privilèges à des particuliers ou à des organisations. Dans la deuxième hypothèse on voudrait, au contraire, souligner le fait que Tutøaliya IV, le souverain d’alors, avait concédé à certaines organisations ou à des particuliers des exemptions de charges établies par son père au moment de son intronisation. Une expression analogue à celle que nous avons examinée ci-dessus se trouve aussi au Ro 31’ où, après avoir énuméré les offrandes que la ville de Šaššuna devait fournir, on dit: ] ¦A©? DUTUŠI LUGALiznani ešat nu ÚL SUM-anzi49 “] le p du Soleil s’installa dans la fonction royale, on ne fournit (plus) “; pour la restauration “p du Soleil, v. note 49; en effet, une référence explicite au souverain régnant, même si elle est possible, constituerait un cas unique dans ce texte. Au Ro 14’ et 34’ on trouve une formule à mon avis semblable à la précédente, même si elle est énoncée de manière plus concise: ŠA UD.KAM ABI DUTUŠI ÚL SUM-anzi; et encore au Vo 20 où, toutefois,

48 Cfr., par exemple, la situation exposée dans ABoT 57 (CTH 97: v. Šaøur. 158160), où l’on dit précisément que LAMMA (= Kurunta), roi de Tarøuntašša, et son pays n’étaient plus en mesure de soutenir la charge du šaøøan établie par Muwatalli en faveur des divinités de Tarøuntašša, en conséquence de quoi ÷attušili III leur accorde l’exemption de certaines obligations militaires. 49 Immédiatement après la lacune au début de la ligne on voit sur la tablette et aussi dans l’édition de celle-ci un clou vertical, ce qui ne justifie pas une restauration AB]I, comme au contraire nous nous attendrions en accord avec les passages analogues cités a la note 47; ainsi en effet également dans HW2 557b. Je me demande alors si l’on ne doit pas postuler ici aussi l’omission d’un signe de la part du scribe, comme dans d’autres parties du texte (v. note 9) et supposer une lecture du genre: ¦A©-.

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cette expression est précédée de kinun-a “mais/et maintenant”.50 Tout comme précédemment, on peut interpréter ce passage de deux façons: ou “à partir du jour du père du Soleil on ne fournit (plus)”,51 ou “mais maintenant ce qui (est) du jour du père du Soleil (= ce qui a été établi le jour du père du Soleil) on ne fournit (plus)”; la présence de kinun-a au Vo 20 joue en faveur de cette dernière interprétation. On peut rapprocher de cette formule celle que l’on trouve au Ro 40’, 41’, 44’, 47’, Vo 5: kinun-a ÚL SUM-anzi “mais/et maintenant on ne fournit (plus)” où, toutefois, on ne fait aucune allusion au père du Soleil. Pour les cas considérés dans ces passages, ou il n’y avait aucun rapport avec un événement relatif au père du Soleil, ou cet événement était sousentendu. Le fait que au Vo 20 on mentionne encore cet événement et que l’on y trouve aussi l’expression kinun-a52 pourrait rendre plausible cette deuxième hypothèse, cependant la présence de kinun dans quelques-unes de ces phrases dénonce, à mon avis, l’intention de souligner une situation nouvelle. Quelle que soit l’interprétation choisie, on ne peut pas considérer les passages examinés, vu le caractère administratif du document en question, comme de simples topoi littéraires dans un but de propagande: il doit plutôt s’agir de véritables décisions ou de comptes rendus de situations réelles, quand bien même, dans certains cas, elles seraient causées par des motifs de propagande politique. Quelques-uns des problèmes exposés ici pourraient trouver des éclaircissements grâce à une meilleure connaissance de la situation, précédente et actuelle, des localités mentionnées dans ces passages, mais malheureusement les recherches dans ce sens n’ont, jusqu’à présent, donné aucun résultat (v. p. 350 sq.). 50 Sur le sens des paragraphes qui se terminent aux lignes 14’ et 34’ nous reviendrons encore: v. p. 177 sq. 51 V. aussi RGTC 6, 431 s.v. Tiwaliya et 174 s.v. Kaparša. 52 Toutefois, au cas où l’on ferait allusion dans ces passages à des situations étrangères à des interventions royales, on pourrait alors penser que ces localités ou ces personnes n’accomplissaient plus leurs devoirs ou pour des motifs économiques ou pour des raisons politiques, peut-être aussi en conséquence d’incursions ou de dominations ennemies: rappelons, à titre d’exemple, le passage de la célèbre prière de Arnuwanda et de Ašmunikal (CTH 375, III 12 sq.: v. Kašk., 158 sq.) où l’on dit que certaines localités occupées par les Gasgas ne sont plus à même de respecter leurs obligations pour le culte.

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Nous trouvons dans notre texte deux passages intéressants, mais eux aussi problématiques: Ro 10’-14’, 32’-34’; après avoir énuméré ce que certaines localités ou catégories de personnes devaient offrir ou faire pour le culte, on y parle du départ d’une localité pour s’installer dans une autre, une fois à propos de personnes pas très bien définies,53 une autre fois à propos de membres d’une catégorie artisanale spécialisée, comme celle des orfèvres. Suit la formule que nous avons discutée ci-dessus: Ro (10’) 6 åUDU¥ 3 ME 48 NINDA.KUR4.RA÷I.A ŠA 1/2! UPNI å12?¥ NINDA.KUR4.åRA¥ ašøuaš54 (11’) ŠUŠI NINDA.KUR4.RA øazi¦l©aš å19?¥ DUG KAŠ EZEN øarpaš (12’) URUTiwaliyaš ŠA åLUGAL¥ URUåIšu¥wa eššesta (13’) kinun-ma-at-kán arøa paåir¥ INA Ariåwaš¥šuåøi¥(-)[ (14’) EGIR-an ašanzi ŠA UD.åKAM¥ ABI DUTUŠI ÚL SUM-anz[i] “(10’) 6 moutons, 348 pains gros/levés (du poids) de 1/2? upnu, 12? pains gros/levés de ašøuma, (11’) une soixantaine de pains gros/levés (du poids) de un øazil, 19? récipients de bière, la fête de la récolte (12’) la ville de Tiwaliya du (= de la part du/au nom du i appartenant au/sous la juridiction du) roi de Išuwa célébrait d’ordinaire, mais maintenant ils sont partis, dans la ville de Ariwašuøi(-)[ (14’) après cela ils sont (= habitent), à partir/ce qui (est) du jour (de l’intronisation) du pere du Soleil on ne fourn[it] (plus)”; (32’) 1? UDU 15 NINDA.KUR4.RA 2 DUG KAŠ åURU¥Aølaš åLÚ¥MEŠ PIŠ GUŠKIN (33’) arøa-at-kán ¦p©anteš ANA URUGaparša-åat¥-kán EGIR-an (34’) ŠA UD.KAM ABI åDUTU¥ŠI ÚL SUM-anzi “(32’) 1? mouton, 15 pains gros/levés, 2 récipients de bière les travailleurs de l’or de la ville de Aøla (fournissaient d’ordinaire), (33’) ils (sont) partis, à la (= dans la) ville de Gaparša après cela ils (sont/habitent), (34’) à partir/ce qui (est) du jour (de l’intronisation) du père du Soleil on ne fournit (plus)”. J’ai interprété l’expression EGIR-an ašanzi de la l. 14’ dans le sens de “après cela ils habitent”; de même aussi dans RGTC 6, 431 s.v. Tiwaliya: “wohnen”. Au Ro 33’, dans un contexte analogue, on trouve seulement EGIR-an; en outre le toponyme (Gaparša) y est précédé de ANA au lieu de INA (Ro 13’). C’est peut-être à cause de la présence de ANA que On ne comprend pas s’il s’agissait ici des habitants de Tiwaliya ou seulement de personnes chargées dans cette localité de fournir des offrandes de la part du roi de Išuwa. 54 La restauration aš-øu--š m’a été aimablement suggérée par lettre par H. Otten; sur ce terme v. HW2, 399b. 53

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dans RGTC 6, 174 s.v. Kaparša on interprète cette ligne et la successive de la façon suivante: “ Sie sind weggegangen; seit den Tagen des Vaters Seiner Majestät liefern sie es der Stadt K. nicht (mehr)”; toutefois, il me semble qu’on doit tenir compte de la présence de EGIR-an et de l’analogie de ce passage avec Ro 13’ sq. (v. à ce propos RGTC 6, 431); de plus, le fait qu’on ne fournit plus quelque chose à une ville représente une anomalie dans ce document.55 Selon moi, il faut pour Ro 33’ aussi, sur la base de la comparaison avec le contexte de Ro 13’ sq., sous-entendre ašanzi après EGIR-an et interpréter de manière analogue les deux passages examinés.56 L’expression EGIR-an ašanzi se retrouve aussi au Ro 39’, dans un contexte différent: (38’) 1 GUD 6 UDU ŠUŠI NlNDA. KUR4.RA 5 DUG KAŠ ¦Ù©? ŠA mPittazzi (39’) DU KÀRAŠ÷I.A INA URU÷apušna EGIR-an ašanzi (40’) kinun-a ÚL SUM-anzi. A mon avis, on doit sous-entendre la préposition ANA devant la mention du dieu de la Tempête des armées et la forme verbale peškir après le nom de cette divinité, selon une formulation qui se répète plusieurs fois dans ce texte, et comprendre ce passage de la façon suivante: “(38’) 1 bœuf, 2 moutons, une soixantaine de pains gros/levés et (?) 5 récipients de bière (de la part) de Pittazzi (39’) (au) dieu de la Tempête des armées (ou bien: (au) dieu de la Tempête des armées de Pittazzi)57 (on fournissait d’ordinaire) dans la ville de ÷apušna après cela ils habitent et maintenant on ne fournit (plus)”.58 La cause du changement de localité dont on parle au Ro 13’ et 33’ reste difficile à comprendre. En ce qui concerne la ville de Tiwaliya nous avons vu (p. 351) qu’elle est mentionnée dans différents documents Dans HW2, 559a on entend précisément EGIR-an au Ro 14’ et 33’ dans le sens de “danach (seitdem)”. 56 Tout au plus on pourrait traduire le passage de la l. 33’ “à la ville de Gaparša après cela ils (sont = appartiennent)”, en comprenant toujours que les personnes en question habitent dans cette ville. 57 Cfr. Ro 12’: Tiwaliya (de la part) du roi de Išuwa; cependant on pourrait aussi comprendre “au dieu de la tempête des armées de Pittazzi” et au Ro 12’ “Tiwaliya du (= sujette au/sous la juridiction du ) roi de Išuwa”: cfr. RGTC 6, 82 (v. la note suivante) et 431. 58 Dans RGTC 6, 82 s.v. ÷apušna, on traduit ce passage de la façon suivante “ . . . weigert man sich (dem) Wettergott des Heeres des Pittazzi in ÷. (zu geben) (?); nun liefert man (es) nicht”; cependant, je pense qu’on doit, ici aussi, faire un rapprochement avec le Ro 14’. 55

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relatifs à l’administration religieuse de l’époque de Tutøaliya IV; toutefois nous ne possédons aucun renseignement ni sur une évacuation d’individus de cette localité ni sur des motifs d’ordre politique, économique ou militaire (comme une invasion ennemie) qui pourraient l’avoir provoquée. En ce qui concerne les orfèvres, un déplacement de leur part en tant que travailleurs indépendants et itinérants semble improbable, dans la mesure où les artisans qui travaillaient dans un secteur de ce genre - chez les Hittites comme, en général, chez les autres peuples du Proche-Orient antique - faisaient partie, vu le haut niveau de leur spécialisation, de l’administration du palais et du temple. En outre, quant aux déplacements d’artisans qui travaillaient pour leur propre compte, nous sommes peu informés en raison de la sphère de provenance de notre documentation; toutefois il devait alors s’agir d’artisanat mineur. Dans le passage examiné ci-dessus la crédibilité la plus grande va à l’hypothèse d’un transfert de main d’ouvre spécialisée de la part du pouvoir central, pour des raisons administratives ou autres. En effet, si la tendance générale était de concentrer les activités artisanales à l’intérieur des agglomérations urbaines, différents motifs pouvaient toutefois contribuer à la décentralisation de quelques-unes de ces activités. Prenons comme exemple le cas de Kizzuwatna, un centre très important pour la production hittite du fer;59 dans cette région devaient vraisemblablement être déplacés des artisans dépendant du palais, spécialisés dans ce travail. Il est également difficile d’expliquer pour quelles raisons ces personnes, après avoir changé de lieu de résidence, ne fournissaient plus d’offrandes pour le culte. Peut-être s’agissait-il d’un privilège accordé par le père du Soleil aux habitants de Tiwaliya - ainsi qu’au roi de Išuwa - et à des artisans spécialisés, même si, d’ordinaire, les exemptions étaient accordées en ce qui concernait l’État et non pas pour ce qui était dû au culte.60

Comme le montre une lettre probablement écrite par ÷attušili III, il s’y trouvait aussi un entrepôt royal “maison du sceau”, où l’on conservait les objets réalisés dans ce métal: v. KBo I 14 (CTH 173) Ro 20-24; cfr. A. Goetze, Kizz., 28 sq., ainsi que C. Zaccagnini, dans L’Alba della Civiltà II, Roma 1976, 305. 60 Cfr. Šaøur., 169 avec note 83. 59

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Il faut toutefois considérer que, à l’époque de Tutøaliya IV, Tiwaliya devait, dans d’autres situations aussi, s’acquitter d’obligations cultuelles (cfr. p. 351) et c’est peut-être précisément pour ce motif qu’elle pouvait avoir été déchargée de certains devoirs. Cependant, dans les paragraphes en question le fait de ne plus accomplir des obligations semble plutôt, à mon avis, lié au changement de lieu de résidence. Il serait plus plausible de penser que ces personnes, qui avaient dû changer de localité pour quelque motif particulier, n’étaient plus tenues de remplir certaines charges peut-être liées de quelque manière à leur résidence précédente (ou encore, ne pouvaient plus, à la suite de ce changement, être en mesure de remplir leurs obligations antérieures). Le paragraphe Ro 15’-28’ présente lui aussi de nombreuses difficultés d’interprétation, dues en partie a ce qu’il est abîmé en plusieurs endroits. On y parle spécifiquement, semble-t-il, de la réorganisation administrative du culte de Pirwa,61 dont était chargé un personnage au nom peu clair (l. 17’); v. p. 346 sq. Les lignes 21’ et suivantes sont particulièrement intéressantes: on y fait allusion, apparemment, à un dépôt administratif relatif au culte de Pirwa. On y déclare en effet que “la montagne Liøša62 a/tient les tablettes en bois scellées de Pirwa”, c’est-à-dire des documents de comptabilité concernant le culte de cette divinité, où vraisemblablement on recensait les biens qui lui appartenaient et ce qui lui était dû. Le dépôt devait aussi servir de lieu d’entrepôt pour ces biens, par exemple du bois de différentes sortes à étaler devant l’autel: (21’) ÷UR.SAGLiøšaš GIŠ.÷UR šiyanteš ŠA DPí…wa øarzi (22’) IZZU GIŠwaršaman GIŠúep!pí-åya¥ [ ]x ANA GIŠZAG.GAR.R[A] (23’) išpárrummanzi pê øarkir... On mentionne

Au Ro 15’ on trouve la première attestation de Pirwa dans ce document; on remarquera toutefois que le paragraphe initial de la tablette est très lacuneux. Au début du passage en question (l. 15’) il semble qu’on fasse allusion à des personnes qui (sont) allées (pânteš) s’occuper d’une ou de plusieurs (?) vignes pour/de Pirwa (ANA DPírwama GIŠåSAR¥.GEŠTI[N ] x x x panteš); dans RGTC 6, 19 s.v. Ankušna on interprète ce passage différemment. Le texte parle ensuite de 2 pithoi, l’un pour Pirwa, l’autre pour une divinité dont le nom se trouve dans une lacune (peut-être la déesse Reine? Cfr. note 7 à propos de Vo 4 et 9). 62 Il s’agit de la seule attestation de cette montagne: v. H. Gonnet, Mont. As. Min. (1968) 130, et RGTC 6, 246. 61

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ensuite, dans un contexte obscur, la ville de Ankušna63 (l. 24’), puis on déclare (l. 25’ sq.) que ce matériau, le bois - le même que celui qui est cité aux lignes 22’ et sq. - on ne le fournit plus. En outre - mais le texte est lacuneux et le contexte obscur - on énonce, semble-t-il, ce que Zu continue à fournir annuellement pour Pirwa et on mentionne également le temple de la ville de Šippa (v. p. 346). On remarquera que l’on nomme dans ce paragraphe, qui parle explicitement de l’administration du culte de Pirwa, Ankušna et Šippa, deux localités qui sont liées à cette divinité dans d’autres documents aussi (v. p. 350 sq.). Enfin, l’existence d’un siège administratif pour le culte de Pirwa situé dans la montagne Liøša est significative, non seulement parce qu’elle atteste l’importance de cette divinité à cette époque, mais aussi - et surtout - pour le fait que le siège se trouvait dans une montagne et qu’on y conservait du bois et des objets en bois, matériau lié principalement à des régions montagneuses.64 À ce sujet, rappelons que plusieurs spécialistes ont proposé de rechercher l’étymologie du nom de la divinité Pirwa dans le champ sémantique de “pierre, rocher”.65 Du reste, d’autres documents contemporains du notre nous parlent d’un sanctuaire rupestre de Pirwa - NA4øékur (D)Pírwa66 - une institution cultuelle qui, nous le savons, a eu une certaine importance à cette époque. Il est difficile d’expliquer la désinence d’accusatif de ce toponyme devant kišat; v. aussi la traduction dans RGTC 6, 19. Tout ce passage sera amplement discuté dans la monographie citée à la note 1. 64 A première vue, il pourrait paraître significatif que, également dans un document où ÷attušili III accorde au sanctuaire rupestre de Pirwa (v. note 3) l’exemption de diverses charges, on parle aussi de l’exemption de la fourniture d’objets en bois (GIŠŠÀ.LAMMA GIŠBU-BUTI [GIŠwaršamma]: KBo VI 28 Vo 23, v. SMEA 18 [1977] 40), peut-être des pièces de char et du bois à brûler (le terme GIŠwaršamma est aussi dans notre texte); cependant l’exemption de la fourniture d’objets en bois se trouve également dans d’autres textes ayant des destinataires différents: v. A. Goetze, NBr., 54 sq. et notes, et Šaøur., 107 sqq. 65 V. en dernier lieu E. v. Schuler, Wörterbuch der Mythologie I, Stuttgart 1965; 2 1983 , 190 sq.; F. Imparati, SMEA 18 (1977) 38 sq. avec note 63; R. Lebrun, Studia P. Naster II, Louvain 1982 (= OLAn 13) 126 sq. avec note 14. 66 V. à ce sujet F. Imparati, SMEA 18, 19 sqq., et en particulier 39 sqq.; D. Silvestri, AION 5 (1983-84) 291-305, interprète différemment le terme øékur; en dernier lieu H. Otten, dans Bronzetaf. (1988) 42, traduit NA4øékur par “Felsanlage”. 63

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En outre il est significatif, selon moi, que dans KBo XIV 21 Ro I 15’, document datant lui aussi de Tutøaliya IV, à propos de l’imposition, précisément aux “gens de Ankušna”, d’une amende de pain et de bière, on spécifie, semble-t-il, “en plus du bois”67 (LÚMEŠ URUAnkušna-ya ANA IZZIN IŠTU NINDA KAŠ zankilanzi), ce qui fait présumer qu’on offrait d’ordinaire ce matériau à cette divinité (v. plus loin p. 368). Un autre passage de notre texte (Vo 6-21) est difficile à comprendre: on y parle, apparemment, de la célébration de cérémonies rituelles dans lesquelles Pirwa est impliquée. En effet on accomplit plusieurs actions comme, entre autres, le déplacement de l’image de cette divinité. En plus du prêtre, les bergers lapanalli participent à ces actions; ceux-ci étaient également tenus de fournir des offrandes annuelles à cette divinité, mais maintenant “à partir du/ce qui (est) du jour du père du Soleil (v. p. 354) on ne fournit (plus)”. L’interprétation du terme lapanalli comme berger lié au milieu montagneux (berger d’alpage) s’accorde avec ce que nous avons remarqué ci-dessus.68 IV. RAPPROCHEMENT AVEC LE TEXTE ORACULAIRE KBo XIV 21 Divers éléments de notre texte et certains problèmes apparus lors de sa lecture trouvent une correspondance dans une autre tablette à laquelle j’ai déjà fait allusion plusieurs fois. Je reviens à présent sur ce document pour en tirer, là où ce sera possible, un appui pour quelques-unes des hypothèses formulées durant cette étude ou pour éclaircir les doutes qui se sont manifestés au cours de celle-ci. Il s’agit de KBo XIV 21 (CTH 565), un texte contenant des consultations oraculaires effectuées au moyen du système divinatoire KIN, dans le but Ainsi également dans RGTC 6, 19: “außer dem Holz”. Sur les bergers (:)lapanalli, mentionnés dans notre texte au Ro 42’ et au Vo 10, 11, 17, 22, V. MPD, 18: “pastori (di montagna)”; cfr. aussi 20 sq., s.v. LÚ MÁŠ.GAL. V. aussi CHD 40 sq. (cfr. en outre, toujours dans CHD loc. cit. s.v. lapana-, et 88a s.v. luššanu-, où l’on translittère Vo 10’-12’; à la l. 11’ on doit corriger LÚ.M[EŠap]analli÷I.A-ša en LÚ.M[EŠap]analli÷I.A-uš): “herdsman (on summer pasture)”. V. également RGTC 6, 322 s.v. Pulantariša, où l’on traduit le terme en question par “die Senner”. V. aussi en dernier H. Otten, Bronzetaf., 66, avec bibliographie, qui traduit (::)lapana- avec “Alm”; v. encore 16 sq. et 46 sq. 67

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de connaître le manquement à certaines obligations cultuelles principalement envers une divinité en qui, sur la base du contexte, nous pouvons reconnaître Pirwa, même quand celle-ci n’est pas nommée de façon explicite.69

Dans ce document Pirwa se trouve pour la première fois au Ro I 21’ et elle y est mentionnée encore fréquemment (Ro I 29’, 30’, 42’, 50’, 61’, II 20’, 55’) à propos d’offrandes à donner et de fêtes à célébrer en son honneur, de manquements à des obligations envers elle, de la recherche oraculaire de la cause de la colère divine et de ce qu’on devait faire pour l’apaiser. Au Ro I 21’ et 50’ Pirwa est probablement accompagnée par la déesse Reine, une divinité qui lui est proche très souvent dans d’autres documents et qui, ici, est mentionnée sans le déterminatif divin, ce qui n’est pas inhabituel dans la documentation hittite. On remarquera en outre, au Ro I 21’, l’emploi d’une unique préposition ANA (à intégrer aussi, vraisemblablement, dans la lacune du Ro I 50’) pour ces deux divinités, chose qui se retrouve aussi dans d’autres textes et qui témoigne des liens étroits existant entre ces deux divinités. La présence au Ro I 50’ de l’enclitique -ya “et” après MUNUS.LUGAL (à intégrer, à mon avis, également au Ro I 21’) confirme l’hypothèse qu’on y parle précisément de la déesse Reine. Au Ro I 50’ les Heptades/Pléiades - divinités qui font elles aussi partie du cercle de Pirwa - sont reliées à cette divinité et à la déesse Reine par l’enclitique -ya, mais elles s’en distinguent par la mention, à nouveau, de la préposition ANA. Dans ce texte les Heptades/Pléiades se retrouvent encore au Ro I ]22’, II 21’ (rappelons, à ce propos, que la présence des Heptades/Pléiades, selon A. Kammenhuber - Orakelpraxis 237 et 56 note 129 - qui se réfère précisément à ce texte, n’est attestée dans les documents hittites qu’à partir de Muwatalli). Je crois que la fréquente mention dans notre texte d’une divinité non mieux spécifiée (ANA DINGIRLIM) à propos d’offrandes et de fêtes qui lui sont dues (Ro I ]4’, 8’, 25’, 37’, 51’, 63’, 67’, 76’, II 13’, 23’, 40’, 59’, Vo III 52, 57, 70) se réfère, elle aussi, à Pirwa. De même pour la divinité indiquée par les expressions DINGIRLIM-za KI.MIN/KI.MIN KURTI (Ro I 10’, 16’, 35’, 38’, 57’, 70’, ]83’, II 8’, 16’, 34’, 57’, 71’, Vo III 46). D’autres divinités citées dans cette tablette, comme le dieu Trône, les Parques, le dieu Soleil du ciel, la déesse ÷annaøanna et plusieurs divinités mentionnées sans leur nom au singulier ou au pluriel font partie du processus divinatoire. Toujours liée à ce même processus semble être la divinité du Ro I 45’, dont le nom n’est pas clair. Par contre, le nom et la fonction de la divinité qui devait se trouver au début du Ro II 28’ sont incompréhensibles en raison du contexte lacuneux. Au Ro I 42’, après Pirwa et avant l’indication de la fête du mois, il y a une lacune où pouvait se trouver la mention d’une autre divinité; de plus, les traces du signe précédant la lacune - c’est-à-dire le début d’un clou horizontal - pourraient faire penser à la partie initiale du déterminatif DINGIR. Incompréhensible est la présence, au Ro II 11’, de Zababa de Ikšuna, dans une ligne très lacuneuse qui constitue un paragraphe à part, en position assez singulière par rapport au contexte. Rappelons que deux autres documents - dont l’un est IBoT II 131 - nous apprennent que Pirwa était vénérée dans cette ville (v. plus haut p. 350 sq.). 69

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Ce document70 remonte à la même époque que celui que nous avons examiné jusqu’à présent, comme le confirme aussi la mention de plusieurs personnages ayant vécu précisément à cette époque-là, qui semblent ne pas avoir respecté leurs obligations envers cette divinité. L’un de ceux-ci, ÷attuša-LAMMA, se trouve, comme nous l’avons vu, dans le texte administratif examiné précédemment. Dans le document oraculaire en question, il paraît être tenu de célébrer la fête du mois et de présenter, en rapport avec la ville de ÷[AR]?-migga,71 des offrandes à Pirwa. Toutefois, comme je l’ai fait remarquer, il semble - mais le texte est lacuneux - qu’il n’ait pas respecté ses engagements: on parle de l’imposition d’une amende et la réponse oraculaire est favorable. Je présente ci-dessous les passages correspondants du texte, malheureusement difficile à comprendre à certains endroits à cause des lacunes:72 Ro II _____________________________________________________ 55’ A-NA DPí-ir-wa URU÷[AR?]-mi-ig-ga A-NA åEZEN¥ ITU.KAM 1 UDU 1 GUD [ ] 56’ 1 PA ZÍD.DA LÚåSANGA IŠ¥-TU É-åŠU¥ pe-eš-ki-iz-zi 57’ m÷a-at-tu-ša-DLAMMA-aš-åša¥ EZEN ITU.KAM ŠA/ša-x x x x? [ ] 58’ åe-eš¥-ša-i nu-wa 3 UDU 3 DUG KA.DÙ 3 PA ZÍD.åDA¥[ ] 59’ pe-eš-åki¥-i-zi nu ma-a-an A-NA DINGIRLIM ku-u-un EZ[EN] 60’ ša-ra-a ti-ya-an-ta-an e-eš-ša-an-zi 61’ GAM-kán Ú-UL åku¥-it-ki da-a-l[i]-¦i©š-kán-zi x x[ ] LÚ 62’ SANGA-za-kán ŠÀ-za IZI ME-aš n[a-a]t pa-an-z[i ] _____________________________________________________ 63’ ki-i ku-it da-a-li-ya-u-wa-ar SIXSÁ-at [n]u LÚSANGA p[u-n]u-[uš-šuen] 70 La translittération, la traduction et un commentaire de toute cette tablette seront donnés dans ma monographie citée à la note 1. 71 Il s’agit malheureusement d’un hapax: v. RGTC 6, 89. 72 Ce document sera entièrement présenté en translittération et en traduction, avec un commentaire, dans la monographie citée à la note 1. Près de quelques signes on en voit parfois d’autres qui ont été effacés (cfr., par exemple, Ro I 29’, 30’, 33’, 35’, 39’, 66’, 71’, Ro II 70’ etc.); nous n’en avons pas parlé ici pour ne pas alourdir cet article, mais nous en discuterons dans la monographie sus-mentionnée.

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64’ 65’ 66’ 67’ 68’ 69’ 70’ 71’ 72’ 73’ 74’ 75’

UM-MA ŠU-Ú-MA A-NA MU.KAM-ti-pát-wa-åkán¥ ku-it x[ ] URU-az ar-øa pa-a-an e-eš-ta nu-wa [ ] x x x [ ] m ÷a-at-tu-ša-DLAMMA-aš-ša Ú-UL i-[ am-mu-uq-qa-wa Ú-UL e-eš-ša-aø-øu-un [ ITU.KAM-wa kap-pu-u-wa-an-zi nu ma-ši-ya-[ åkar¥-ša-an-te-eš nu SISKUR a-pe-el ŠA ITU.[x.KAM] åŠUM¥-an-zi GAM-an-na za-an-ki-la-tar I¦Š©-T[U DINGIRLIM-za åKI¥.MIN nu KIN SIG5-ru GIG-ma-za x[ na-at A-NA DUTU AN pa-a-iš INA UD.2.åKAM¥ x x [ IZI ME-aš nu-kán an-da ša-an-na-åpí¥-l[i(-) INA UD.3.KAM LÚSANGA-za EGIR-an ar-øa! GÙB-[tar na-at-za ZAG-za da-a-iš SIG5 [ _____________________________________________________

Vo III 60 [ m÷a-at-tu-š]a-DåLAMMA¥ x[-š]a?-ru-iš-kán-zi [ 61 [ ] ARADMEŠ m÷a-at-åtu-ša¥-DLAMMA uš-ki-i[šUn autre personnage nommé dans ce document (Ro I 61’) est AliŠarruma,73 dont la “maison” (= patrimoine) devait fournir des offrandes à Pirwa à l’occasion de la fête de l’année: si à la divinité on a continué de faire ce sacrifice “ouvert” (= commencé?) et on ne néglige rien, qu’alors le résultat de la consultation KIN soit favorable; mais le résultat est défavorable (Ro I 61’-65’). On interroge donc alors (Ro I 66’-72’) le prêtre au sujet de la négligence que la consultation oraculaire a fait apparaître; on n’a pas, semble-t-il, donné à Pirwa l’offrande de la deuxième année, qui doit lui être livrée avec une amende de pain, de bière et deux moutons, après quoi le résultat de la consultation est favorable. Ro I _____________________________________________________ 61’ [A-NA DP]åí-ir-wa¥ A-NA åEZEN¥ MU.KAM IŠ-TU É mA-liLUGAL-ma 1 GUD 8 UDU

73

NH et Heth 4, 33.

364

62’ [ A-N]A PA-NI 1 PA ZÍD.DA.A 2 PA ZÍD.DA UD.DU.A 3 ŠÚ BA.BA.ZA pe-eš-ki-ir 63’ [nu m]a-¦a©-an A-NA DINGIRLIM åki¥-i SISKUR ša-ra-a ti-ya-an pe-

eš-kir

64’ [kat-t]a-kán Ú-UL ku-it-ki da-a-li-iš-kán-zi nu KIN SIG5-ru 65’ [DINGIRLI]M-åza¥ da-pí-an ZI-an PAP!-nu-mar-ra ME-aš na-at D MA÷ pa-a-iš NU.SIG5 _____________________________________________________ 66’ [ki-i ku-i]t da-¦a©-li-ya-u-wa-åar¥ SIXSÁ-at nu LÚSANGA pu-nu-uššu-en UM-MA ŠU-MA! 67’ [D?Pí?-i]r?-åwa¥-aš ku-it A-NA DINGIRLIM SISKUR A-NA EZEN MU.KAM pe-eš-ki-it 68 [ ]ånu-za¥-a-aš MU.2.KAM ku-it-wa-ra-at Ú-UL pa-a-i nu pa-a-an-zi SISKUR ŠA MU.2.KAM 69 [ša?-ku?-w]a?-aš-šar pa-a-i GAM-an-na za-an-ki-la-tar IŠ-TU NINDA KAŠ 2 UDU-ya pa-a-i 70 [DINGIRLIM-za åKI¥.MIN KURTI nu KIN SIG5-ru DINGIRLIM-za da-pí-an-ZI-an ME-aš 71’ [na-at] pa-an-ga-u-i pa-a-iš INA UD.2.KAM a-aš-šu ME-an na-at D MA÷ åSUM¥-an 72’ [INA UD].3.åKAM¥ DINGIRLIM-za EGIR-an ar-øa kar-pí-in ME-an nu-kán an-da a-aš-ša-u-i SIG5 L’anthroponyme Ali-šarruma se trouve aussi dans certains fragments de protocoles judiciaires généralement datés à l’époque de ÷attušili III.74 Toutefois, nous ne possédons pas assez d’éléments pour proposer son identification avec notre personnage. Les deux paragraphes du Ro I 28’-41’ présentent de l’intérêt: on y parle du manquement de la part de Palla, homme de Ankušna, à une obligation cultuelle, toujours envers Pirwa. Palla a confisqué, selon toute vraisemblance pour s’en approprier, deux béliers destinés à cette divinité, à laquelle on devait probablement les sacrifier (on dit, en effet, qu’ils étaient oints) à l’occasion de la fête de l’année.

74

V. R. Werner, StBoT 4, 79.

365

La restitution de deux autres béliers et la livraison d’une amende de pain et de bière de la part du prêtre provoque toutefois une réponse oraculaire défavorable (Ro I 28’-35’); c’est alors Palla lui-même qui doit restituer les béliers et livrer l’amende, mais malheureusement la réponse oraculaire est dans la lacune à la fin de la l. 41’. Ro I _____________________________________________________ 28’ [k]i-¦i© ku-åit¥ da-a-li-ya-u-wa-ar SIXSÀ-at nu -LÚSANGA pu-nu-uš29’ 30’ 31’ 32’ 33’ 34’ 35’ 36’ 37’ 38’ 39’ 40’ 41’

šu-u-en åUM-MA ŠU-MA!¥ A-NA DPí-ir-wa-wa-kán 2 UDU.NITA iš-åki¥-yaan-te-eš åe-eš-šir¥ GIM-an-ma-wa EZEN åMU¥.KAM ki-ša-ri nu-wa-ra-aš ANA DPi-ir-wa! åiš-kán¥-zi MU.IM.MA-ma-wa-[r]a! mPal-la-aš LÚ URUAn-ku-uš-na åap¥-pa-at-ri-ya-at nu-wa-[r]a-aš-kán ku-en-ta-pát [k]i-nu-na pa-a-an-zi u-ni-uš 2 UDU.[NIT]A LÚSANGA ta-ma-¦a©-uš EGIR-pa pa-a-¦i© [ka]t-ta-an-na za-an-ki-la-tar I[Š]-åTU¥ NINDA KAŠ pi-an-zi DINGIRLIM-za KI.MIN KURTI nu KIN SI[G5]-ru ÷UL-lu ME-an nu-kán åEGIR¥-pa DDAG-ti NU.åSIG5¥ _____________________________________________________ ki-i ku-it ku-it NU.SIG5-ta nu åma!¥-a-an mPal-la-aš-ša 2 UDU.NITA A-NA åDINGIR¥LIM EGIR-pa šar-ni-ik-åzi¥ kat-ta-an-na za-an-åki¥la-tar [I]Š-TU NINDA KAŠ pa-a-i du-ud-du-[nu-w]a-an-zi-an DINGIRLIM-za åKI.MIN¥ KURTI nu KIN SIG5-ru DINGIRMEŠ GUB-ir TI-tar da-a-i[r n]a-at åpa-an¥-ga-u-¦i© pí-i-¦e©-er INA UD.2.KAM ¦a©-aš-šu ME-an nu-k[án EGI]R-pa DåDAG-ti¥ INA UD.å3.KAM¥ ÷UL-lu ME-an [n]u-kán an-da SUD.åLIŠ¥ [SIG5?/NU.SIG5?] _____________________________________________________

L’anthroponyme Palla75 est attesté en Anatolie déjà à l’époque cappadocienne; en outre il apparaît fréquemment dans des documents V. NH et Heth. 4, 906, et G. Beckman, JAOS 103 (1983) 625; cfr. aussi L. Rost, MIO 4 (1956) 347 et F. Imparati, FsPuglieseCarratelli 88 sq. 75

366

hittites de périodes différentes. En ce qui concerne les personnages portant ce nom dans des textes contemporains, seulement quelques-uns d’entre eux peu-vent être identifiés, avec quelque probabilité, avec le personnage de notre document. Rappelons ici simplement les attestations pour lesquelles il est possible de proposer cette identification, et en premier lieu Palla seigneur de ÷urma, cité dans la liste de témoins du traité avec Ulmi-Teššup de Tarhuntašša.76 Peut-être était-il aussi nommé, avec le même titre et, en plus, celui de scribe et d’homme SAG, dans un passage lacuneux de la liste de témoins du texte de Šaøurunuwa.77 A ce propos, remarquons que le ÷attuša-LAMMA lui aussi, dont nous avons parlé plusieurs fois, probablement coupable à son tour d’omissions d’ordre cultuel envers Pirwa, est mentionné dans les listes de témoins de ces deux textes ainsi que dans celle du traité avec Kurunta. C’était peut-être le même Palla que l’on trouve encore dans une liste de localités ou de personnes tenues de fournir des chanteuses à différents palais78 et dans une liste d’offrandes à divinités et/ou à leurs stèles.79 Du reste, que beaucoup de personnages importants de la société hittite aient été tenus de pourvoir aux exigences du culte et soient mentionnés fréquemment dans des listes de ce genre est assez logique. Les autres attestations de Palla, et surtout celles du scribe homonyme, seront discutées en détail dans ma monographie sur Pirwa (v. note 1), par rapport aussi à des problèmes de datation des textes relatifs.80 Significative est la mention, dans le texte oraculaire examiné, de la ville de Ankušna, que d’autres documents aussi nous montrent en relation avec le culte de Pirwa (v. p. 350). Dans notre tablette ce toponyme se trouve au Ro I 3’, dans un contexte malheureusement très corrompu, et au Ro 115’, dans le passage déjà cité (p. 360), où l’on parle de la requête faite aux gens de Ankušna de livrer une amende de pain et 76 KBo IV 10 (CTH 106) Vo 32; par contre, il n’est pas cité parmi les témoins du traité avec Kurunta de Tarøuntašša (v. note 27). 77 KUB XXVI 50 (CTH 225) Vo 26, duplicat de KUB XXVI 43 Vo 32; sur cette conjecture v. E. Laroche, RHA 8 (1948) 44 et note 10, et F. Imparati, Šaøur., 38 sq., 146, ainsi que 57 sqq. infra sur le titre “seigneur de ÷urma”. 78 HT 2 (CTH 235.2) Vo V 26. 79 KUB XXXVIII 16 (CTH 511.3) Ro 9. 80 J’y ai fait brièvement allusion dans FsPuglieseCarratelli, 89 avec note 63.

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de bière ainsi qu’une quantité de bois, matériau qui, nous l’avons vu, faisait partie des offrandes dues à cette divinité. En outre, comme nous l’avons déjà observé (p. 365), on fait allusion au Ro I 31’ à une faute commise envers Pirwa par Palla, homme de Ankušna. La comparaison entre ces passages conduit à compléter la lacune au début du Ro I 3’ ou: LÚMEŠ UR]UAnkušna ÚL øaålzianzi¥, selon le Ro I 5’81 (restauration peut-être la plus probable) ou: mPallan LÚ UR]UAnkušna ÚL øaålzianzi¥, selon le Ro I 31’. Dans l’un ou l’autre des cas, tous les passages examinés montreraient, à mon avis, l’implication de toute la ville de Ankušna dans la faute commise par Palla. Ces observations, et bien d’autres problèmes et hypothèses qu’il serait trop long de rapporter ici, naissent de l’étude des deux textes discutés jusqu’ici. À la fin de cet excursus, nécessairement incomplet, la constatation qui résulte de la lecture du texte oraculaire examiné ci-dessus, de même que de celle d’autres documents analogues, est que les fidèles hittites, dans une société qui était apparemment si imprégnée de religion, n’étaient en réalité pas toujours scrupuleux dans le respect de leurs engagements envers les divinités, ce qui contraste avec l’impression de méticulosité et de pieuse attention qui émerge de la lecture de IBoT II 131 et d’autres textes relatifs à l’administration du culte.

Ici les hommes de Ankušna pouvaient être ou le complément d’objet de øalzianzi (“ils convoquent/on convoque”) ou bien le sujet de ce verbe. 81

368

XIX.

AUTORITÀ CENTRALE E ISTITUZIONI COLLEGIALI NEL REGNO ITTITA1

Nella società ittita, governata da una monarchia di tipo assolutistico, il potere politico, religioso, militare, giuridico era incentrato - sia pure in fasi di maggiore o minore intensità - nella persona del re.2 È chiaro che in una società di tal genere veniva a perdere di valore ogni altra istanza autonoma organizzata. Così, ogni iniziativa di consultazione da parte del sovrano appare soprattutto come un mezzo per acquisire consenso, specialmente in situazioni difficili per il potere regio. Alcuni documenti ittiti fanno menzione di due organismi a carattere collegiale, il panku e il tuliya. Essi sono stati già da molto tempo oggetto di discussione da parte di vari studiosi, ma le opinioni in proposito ancora divergono sia sul preciso valore di questi due organi, sia sulla loro composizione, sulle loro competenze e sulla loro possibilità di influenza nella struttura politico-amministrativa dello stato ittita, sia sul loro rapporto reciproco e nei riguardi del potere centrale. Essi sono presenti, di solito non contemporaneamente, in testi di tipo politico-istituzionale e in testi a carattere religioso: allo stato attuale delle nostre conoscenze, soltanto in un documento del primo tipo nell’Editto di Telipinu - sono attestati ambedue questi termini. Il termine panku può essere usato anche come aggettivo (tutto/ogni) e come sostantivo (totalità, assemblea); nei testi religiosi, a carattere Per le abbreviazioni bibliografiche, si sono qui seguite quelle presenti in J. Friedrich-A. Kammenhuber, Hethitisches Wörterbuch2 (= HW2) e in The Hittite Dictionary of the Oriental Institute of the University of Chicago (= CHD). (In questa riedizione le abbreviazioni sono state uniformate in tutto il volume [n.d.c.]). 2 Ho avuto più volte modo di proporre alcune interpretazioni in tal senso di iniziative dell’autorità regia in àmbiti e situazioni diverse, spesso in relazione ai rapporti intercorsi fra sovrano e dignitari del regno che operavano a vari livelli nella struttura burocratica dello stato - e ai rapporti fra sovrano e comunità di villaggio e loro rappresentanti, che si muovevano al di fuori dell’apparato statale. 1

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rituale, sembra avere un valore più generico per designare l’insieme di ciò che è indicato nel passo,3 mentre nell’altro tipo di testi mi pare per lo più rivestire un valore più specifico. Il termine tuliya nei testi religiosi può avere il significato di “assemblea, totalità”, in senso generale, ma talora anche in questo tipo di documenti presenta una fisionomia di organismo a carattere giudiziario, che è quella che appare anche dai testi di tipo politico-istituzionale. Delle numerose e varie ipotesi interpretative finora formulate su questi due termini, accennerò soltanto ad alcune, rimandando per le altre a due tra gli ultimi studi sull’argomento, quelli di G. Beckman4 e di C. Mora5 che offrono ampie informazioni documentarie e bibliografiche. I testi soprattutto presi in esame sono i cosiddetti “Testamento di ÷attušili I”6 (seconda metà del XVII sec. a.C. secondo la cronologia media/prima metà del XVI sec. a.C. secondo la cronologia corta) ed “Editto di Telipinu”7 (ultimo quarto del XVI sec. a.C. secondo la cronologia media/fine del XVI sec.-primo quarto del XV sec. a.C. secondo la cronologia corta), ambedue risalenti all’Antico Regno ittita, anche se pervenutici in copie più tarde. Il primo di questi due documenti è in realtà un proclama in cui il sovrano ittita ÷attušili I, caduto ammalato a Kuššara, la sua città di origine, annuncia al panku, alle truppe (!)8/alle truppe(!) del panku e ai

3 “All present, congregation”: v. in proposito O.R. Gurney, AAA 27 (1940) 34 sg. e G. Beckman, JAOS 102 (1982) 436 sg. 4 Op. cit., 435-442. 5 StMed 4 (1983) 159-184. V. inoltre I. Hoffmann, THeth 11 (1984) 76 sgg. e M. Marazzi, WO 15 (1984) 9-102. 6 V. F. Sommer-A. Falkenstein, HAB (1938); v. inoltre per la traduzione e il commento di questo testo T.R. Bryce, The Major Historical Texts of Early Hittite History, Queensland 1984, 99-131. 7 V. W. Eisele, Der Telipinu-Erlass, München 1970; I. Hoffmann, op. cit. in nota 5; v. anche T.R. Bryce, op. cit., 132-161. 8 Si è preferito tradurre qui ÉRINMEŠ con “truppe” piuttosto che con “armati” come per lo più avviene - per non conferire, sia pur sempre impropriamente, a questo sumerogramma una connotazione troppo spiccatamente militare: ad esso infatti, secondo CAD s.v. SABU, 46, si può attribuire il significato più generico di “genti, gruppi di persone”: cfr. anche M. Liverani, Antico Oriente, Storia Società Economia, Bari 1988, 435.

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notabili/dignitari (o ai Grandi)9 del regno di aver nominato come suo figlio adottivo e successore il nipote Muršili, dopo aver ripudiato il precedente erede al trono, il figlio di una sorella, resosi colpevole di non esser stato dalla parte del re in occasione di intrighi a corte. Nel testo si descrivono anche numerosi atti precedenti di insubordinazione verificatisi all’interno della famiglia reale.10 Passiamo ora ad esaminare le attestazioni del panku in questo documento (dove non compare mai il tuliya) e i relativi contesti. Nella versione ittita la parte iniziale di questo atto, in cui ÷attušili si rivolge appunto alle categorie sopra indicate, è lacunosa ed è stata integrata secondo la versione accadica, ma in modi e, quindi, con risultati interpretativi diversi. Ciò riguarda soprattutto la parte rimasta di un termine, pa-a[n-, in cui è stata riconosciuta la menzione del panku sulla base del termine corrispondente nakbá ti, presente nella parte accadica. I pareri degli specialisti non sono però concordi nell’attribuire qui al termine panku un valore di aggettivo o di sostantivo e nel considerarlo riferito ai due sostantivi seguenti (“a tutte le truppe e i notabili/dignitari”, oppure “alle truppe e ai notabili/dignitari del panku”), o soltanto al primo di essi (“alle truppe tutte e ai notabili/dignitari”, oppure “alle truppe del panku e ai notabili/dignitari”). Ovviamente, l’interpretazione di questo passo risulta di grande importanza per definire la composizione di tale organo, con le relative implicazioni di ordine politico e sociale che essa comporta. Ma di questi problemi discuteremo più avanti. Nel testo in esame il termine panku compare ancora nel § 22 III 61, 62, in un contesto in cui il vecchio re dà al suo erede al trono consigli per il suo comportamento futuro: “III (56) ... Io ti ho dato la mia parola (cioè, le mie istruzioni),11 e questa (57) [tavolett]a si deve declamare/leggere 9 LÚ.MEŠDUGUD, secondo l’integrazione di F. Sommer, per lo più seguita dagli studiosi; V. Ivanov invece integra qui LÚ.MEŠGAL.GAL: v. presso C. Mora, op. cit., 159 e 164 con nota 11. 10 Tralasciamo di esporre qui i numerosi problemi e i diversi pareri degli specialisti riguardo alle norme che regolavano la successione al trono nella fase iniziale del regno ittita e di discutere se questa adozione di Muršili da parte del vecchio re non celasse in realtà l’avallo da parte di questo sovrano di un riuscito colpo di stato compiuto da Muršili stesso (v. M. Liverani, Antico Oriente cit., 431), ipotesi che ben si adatta al quadro politico relativo a quel periodo emergente da questo e da altri testi. 11 V. T.R. Bryce, op. cit., 106; si riscontrano in documenti di questo tipo passi che ricordano i cosiddetti “documenti di istruzione”: cfr., ad esempio, I. Hoffmann, op. cit., 76.

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ad alta voce davanti a te regolarmente mese dopo mese. Così te la (58) imprimerai, la mia [paro]la e la mia saggezza, nel cuore. (59) Tu tratterai sempre con clemenza i miei [dipendent]i (ARAD]MEŠ-YA)12 e i Grandi. (Se) una colpa di qualcuno (60) tu [ve]di o qualcuno compie un peccato verso una divinità oppure [qu]alche pa[rola] (empia) [q]ualcuno (61) dice, allora interroga ancora il panku e (ogni) lingua (= ogni controversia?) (62) ancora appunto al panku sia v[o]lta (= deferita?).13 E tu, figlio mio, (63) ciò che (è) nel [tuo] (lett.: di te) cuore, allora quello sii (= comportati in accordo a ciò che è nel tuo cuore)”. Sembra si affermi qui che è al re che spetta sempre l’ultima decisione in un giudizio: v. in proposito p. 385. La seconda parte di questo paragrafo (r. 61 sg.) viene generalmente intesa come un conferimento da parte del re al panku del compito di svolgere un’indagine su chi abbia commesso le colpe ivi indicate e di formulare un giudizio. M. Marazzi,14 invece, ritiene che si affermi in questo passo che tale indagine (punuš- si deve svolgere proprio all’interno del panku - da intendersi qui come “collettività/massa/ insieme di persone” - dove si troverebbe il reo, e che “soll sich die ‘Zunge’ nur dem panku- zurückwenden”. Questa interpretazione potrebbe trovare un sostegno anche nella presenza della voce verbale punuš-, usata spesso nel senso di condurre un’indagine giudiziaria nei riguardi di qualcuno,15 e nel confronto con l’espressione “lingue del panku”, frequentemente menzionata in testi rituali fra i mali da

12 Un’interpretazione di questo termine come “servi” non mi sembra giustificabile in tale contesto, né in altri punti di questo documento, che ricorderemo più avanti. Si potrebbe allora forse presumere che il vecchio sovrano volesse in questo passo raccomandare a Muršili di usare clemenza verso tutti i “sudditi” del regno e non soltanto verso i Grandi; in accordo, però, a quanto cercherò di dimostrare più avanti, ritengo preferibile pensare che ÷attušili si preoccupasse qui in particolare dei funzionari del Palazzo, suoi diretti “dipendenti”, a lui più legati e più fedeli, oltre che dei Grandi, suoi - del resto - possibili oppositori. Su questo valore di ARADMEŠ, quando si parla di personale legato a individui di alto rango, cfr. le mie osservazioni in SMEA 18 (1977) 53 sgg., e in particolare p. 55, a proposito dell’interpretazione di ARAD]MEŠ LUGAL URUIšuwa come “dipendenti del re di Išuwa” piuttosto che “sudditi del re di Išuwa”. 13 Tale traduzione è conseguente all’interpretazione della frase precedente, su cui v. qui sopra. 14 Op. cit., 97 sg. 15 Cfr. le mie osservazioni in Šaøur., 99 sgg.

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esorcizzare per indicare la maldicenza collettiva:16 non si comprende, però, perché si sarebbe inserito ex abrupto in tale contesto un discorso su un reato di empietà commesso dalla collettività/da una massa di gente,17 entro cui il re dovrebbe effettuare l’indagine. Del panku si parla ancora nell’Editto di Telipinu, un documento in cui questo sovrano, presumibilmente un usurpatore che si era impadronito del potere dopo una serie di fatti di sangue verificatisi all’interno della famiglia reale, stabilisce delle norme di successione al trono. In questo testo si fa menzione anche dell’altro organo collegiale sopra ricordato, il tuliya. Telipinu, dopo un preambolo in cui espone gli eventi che avevano preceduto la sua ascesa al trono, racconta che, una volta raggiunto il potere, mentre si trovava in guerra si verificarono delle cospirazioni contro di lui, alle quali parteciparono alcuni tra i più importanti dignitari (molte delle loro cariche le troviamo proprio in questo testo attribuite ai Grandi del regno: v. più avanti p. 380 sg.). Egli riferisce nel § 26 II 26 sgg.: “(26) Io, il [r]e, non s[apev]o (ciò) (27) [Q]uando io, il re, udii (questo), essi portarono Tanuwa, Taøurwaili [e] Taruøš[u] (28) qui. E il panku li condannò a morte. Ma io, il re, parlai (come segue): (29) ‘[Per]ché dovrebbero morire : . . . Io, il re, li . . . feci (30) agricoltor[i]: presi le loro armi dalle loro spalle e detti loro le manett[e](?)”.18 Telipinu si vanta qui di aver declassato i colpevoli dalla loro posizione sociale, senza però ucciderli: analoghi atteggiamenti di clemenza da parte di

Per le attestazioni di questa espressione e per la sua interpretazione v. presso G. Beckman, op. cit., 437 con note 31-32. 17 A. Goetze (Kleinasien 2 , 86), in accordo alla sua opinione sulla formazione e sulle competenze del panku che esporremo più avanti, intende questo passo nel senso che si sottraeva in tal modo l’alta nobiltà alla giurisdizione del re. Secondo G. Pugliese Carratelli (Atti dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”, Firenze 1959, 106 sg.) questa “esortazione a consultare il panku e a demandare a questo la decisione di una controversia - evidentemente una che sia sorta tra i ‘servi del re’ e tra i Grandi - è il corollario dell’iniziale consiglio di trattare i Grandi con mitezza, ed è dettata dal proposito di assicurare, in una difficile situazione politica, quell’unità di monarca e Grandi sulla quale ÷attušili ha già tanto insistito. È un consiglio di prudenza politica, non il richiamo ad una norma precostituita”. 18 Sulla lettura dei segni qui rimasti (maš-du-[uš?]) e sulla relativa interpretazione, diverse da quelle consuete (GIŠŠU[DUN] “giogo”), v. I. Hoffmann, op. cit., 31 nota 3. 16

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sovrani ittiti, evidentemente a scopo propagandistico, si riscontrano anche in altri documenti.19 Nel § 27 II 31 sgg. Telipinu, dopo la drammatica constatazione che “(31) il sangue appunto della famiglia reale (lett.: grande famiglia, šalli øaššatar) si era propagato in ÷attuša” e dopo aver ricordato che la regina Ištapariya, sua sposa, e il principe Ammuna erano morti, evidentemente uccisi, continua: “(34) Ed io, Telipinu, convocai il tuliya in ÷attuša (tuliyan øalziøøun). Da ora in avanti in ÷attuša (35) nessuno faccia del male a un figlio della famiglia (reale) e sguaini un pugnale contro di lui”. Si legge nel § 30 II 46 sgg.: “(46) Inoltre, chiunque divenga re e progetti danno verso un fratello (o) una sorella (47) - voi però (siete) il suo panku - allora parlategli francamente: ‘Leggi questo fatto di sangue (48) dalla tavoletta. Prima il sangue20 era divenuto frequente in ÷attuša (49) e gli dèi lo (= il sangue) hanno preso alla famiglia reale (lett.: grande famiglia)’ (cioè, gli dèi hanno preso come risarcimento il sangue della famiglia reale)”.21 E ancora nel § 31 II 50 sgg.: “(50) Chiunque tra i (suoi = del re) fratelli e sorelle provochi del male (51) e/allora guardi alla persona (lett.: testa) del re,22 convocate allora il tuliya (tuliyan øalzištin: sembra dunque Cfr., ad esempio, il comportamento di ÷attušili I nei riguardi della figlia che aveva tramato contro di lui, secondo quanto egli racconta nel suo Testamento §§ 17-18; casi di declassamento sociale nei riguardi di rei di alto rango sono presenti nelle “cronache di Palazzo” e in altri testi. 20 Sulle attestazioni del termine “sangue” nell’Editto di Telipinu v. M. Marazzi, in Atti della V Settimana di Studi su “Sangue e antropologia. Riti e culto”, Roma 1984, 32 sgg. 21 I. Hoffmann, op. cit., 35 traduce invece qui: “und die Götter haben sie (die Bluttat) auf die Königssippe gelegt”. 22 Questo passo è stato oggetto di differenti interpretazioni: ne discuteremo soltanto alcune tra le più recenti. Ritengo da escludere l’ipotesi che si contempli qui il caso generico di qualcuno che abbia fatto del male in mezzo ai (= contro i) (suoi) fratelli e sorelle, sia per il contesto in cui si trova questo paragrafo sia per il riferimento alla persona del re (r. 50 sg.). Mi sembra anche improbabile che fosse il re il soggetto sottinteso della prima frase (v. H.A. Hoffner jr., JAOS 102 [1982] 507 sg.), sia perché si avrebbe qui una ripetizione del caso contemplato nel precedente § 30, sia perché tale ipotesi non si adatterebbe né alla raccomandazione di non uccidere il colpevole segretamente né agli esempi riportati in proposito (cioè i casi di Zuru, Danuwa, Taøurwaili e Taruøšu): cfr., invece, in ultimo M. Marazzi, FsNeumann (1982) 152 con nota 9, il quale ritiene, a mio avviso giustamente, che si parli in questo passo della possibilità di un crimine compiuto da un parente prossimo del re. 19

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qui che spetti al panku di convocare il tuliya). Appena il s[u]o piano (lett.: la s[u]a parola) andrà (= si attuerà), (52) egli (= il reo) risarcirà con la sua testa. Ma non lo si uccida in segreto, al modo di Zuru, (53) Danuwa, Taøurwaili e Taruøšu; alla sua casa, (54) alla sua moglie (e) ai suoi figli non si faccia del male...”.23 Dei §§ 32 e 33, importanti per definire la composizione del panku, parleremo più avanti. Come ho già detto sopra, sul significato, sulla composizione, sulle competenze dei due organi collegiali in esame si è molto discusso e i pareri degli studiosi ancora divergono. Ne ricorderemo qui solo alcuni tra i più significativi. Punto di partenza per le varie ipotesi interpretative è stato il passo iniziale del Testamento di ÷attušili I su ricordato, in cui questo sovrano presenta il suo successore al trono secondo il Sommer “agli uomini della comunità dei nobili(?) e ai dignitari”, mentre secondo il parere di altri specialisti “a tutti gli armati e ai dignitari”.24 Per quanto concerne la composizione e, quindi, anche le competenze del panku all’epoca dell’Antico Regno ittita, si ricorda in particolare l’opinione del Goetze25 - che per lungo tempo ha costituito un punto di riferimento per molti studiosi - il quale ha inteso il panku come un organismo comprendente la totalità dei nobili che avevano il Un altro problema sorge dall’interpretazione dell’espressione alla r. 50 sg.: nu LUGAL-waš øaraššana šuwaiezzi “e/allora guardi alla persona (lett.: testa) del re”, intesa da H.A. Hoffner jr., loc. cit., “he (the one who claims redress) shall ‘look to’ (= have recourse to the person (lit. ‘head’) of the king (i.e., the offender in this case)”. M. Marazzi, op. cit., 152, ritiene invece che si dica qui che il reo “apparterrà (in senso giuridico) alla persona del re (lett.: guarderà al capo del re)”. A mio avviso, ciò che non appare plausibile è ritenere che si affermi qui che la giudicabilità, nel caso in questione, spetta al re, poiché si dice successivamente che essa compete al tuliya. È invece possibile che il re intenda far rilevare (anche se ciò può non trovar riscontro nella realtà) che non sarà lui a giudicare un suo stretto congiunto colpevole nei suoi riguardi, ma che si richiederà per tale azione un giudizio pubblico (non lo si uccida in segreto) del tuliya. Si potrebbe, tuttavia, anche interpretare così questo passo: “e (il reo) guarda alla persona del re”, nel senso che agisce contro la persona del re: così I. Hoffmann, op. cit., 35: “und (= oder) gegen des Königs Kopf ins Werk setzt”. 23 Sul principio di non coinvolgere nella responsabilità di un reato anche la famiglia del colpevole, espresso pure nel successivo § 32, v. più avanti a p. 381. 24 V. le diverse integrazioni e le conseguenti interpretazioni del passo in questione presso C. Mora, op. cit., 157 sg. 25 V. ancora presso C. Mora, op. cit., 161.

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privilegio di portare le armi (un’aristocrazia guerriera). Per altri studiosi, però, questo organismo avrebbe compreso anche gli alti dignitari del regno. Sempre secondo il Goetze, il panku avrebbe avuto, per quanto riguarda il primo periodo dell’Antico Regno, una funzione deliberante nell’elezione del sovrano (il quale sarebbe stato soltanto un primus inter pares) ed avrebbe anche esercitato un controllo decisivo sul potere regio. In tal modo l’Editto di Telipinu, che stabilisce le norme di una successione ereditaria al trono, avrebbe costituito un’innovazione. In opposizione a questa tesi il Sommer, seguito anche da altri studiosi,26 ha negato il carattere elettivo della monarchia ittita ed ha riconosciuto al panku soltanto una funzione consultiva: l’attribuzione di competenze giudiziarie a questo organismo sarebbe stata un’innovazione di Telipinu in una fase difficile del Regno. Secondo V. Ivanov, in un suo ampio studio su “Origine e storia del termine ittita panku-’assemblea’ ” del 1957, questo organo era costituito da un insieme di uomini liberi, in grado di portare armi,27 ed avrebbe svolto importanti funzioni politiche, giudiziarie, religiose. Nel 1959 è uscito un bel saggio di G. Pugliese Carratelli (cit. in nota 17), il quale ha qui rivisto criticamente le precedenti opinioni e la documentazione ittita in proposito ed ha evidenziato il carattere ereditario della monarchia ittita già all’epoca di ÷attušili I, per cui le norme di successione al trono esposte nell’Editto di Telipinu non avrebbero costituito un’innovazione, bensì una codificazione di quanto già esisteva nell’uso. Invece le competenze giudiziarie attribuite al panku e all’altro organo, a suo parere - come anche per altri studiosi - più ristretto e più autorevole, il tuliya, sarebbero state un’innovazione di questo sovrano: l’influenza di questo saggio si può riconoscere in vari studi successivi, anche in quelli in cui le conclusioni non collimano. Fra i lavori posteriori ricordiamo in particolare l’interessante articolo di G. Beckman (cit. in nota 3), il quale, da un attento esame della documentazione ittita, giunge alla conclusione che panku e tuliya sono sinonimi usati per designare l’assemblea ittita, la quale costituiva “not a gathering of a class, but rather primarily a judicial body, subject in this V. in Atti Colombaria cit., 100 con nota 1. V. presso C. Mora, op. cit., 163 sg.: ÷attušili si rivolgerebbe quindi ai sudditi (= uomini liberi/panku) e ai dignitari (= nobili, LÚ.MEŠGAL.GAL/KABTÛTI). 26

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area to the will of the monarch” e che era composta dai “members of the higher state bureaucracy, and not of the nobility per se, although the actual relationship between the two groups remains to be elucidated”.28 C. Mora (cit. in nota 5) invece, dopo aver rivisto criticamente gran parte dei documenti in cui i due termini sono presenti, conclude che “pankuš e tuliyaš verrebbero così ridimensionati a termini generici di cui solo il primo corrisponderebbe ad una effettiva entità di grande forza numerica ma di scarso valore politico che ... viene chiamata in causa in momenti molto particolari di crisi delle istituzioni (o comunque del rapporto monarchia/nobiltà) con la modestissima funzione di avallare decisioni già prese”.29 Dello stesso periodo di questi due saggi sono alcune riflessioni di M. Marazzi30 sul significato del termine panku nel testamento di ÷attušili I, a cui abbiamo già fatto riferimento e su cui avremo modo di tornare ancora. Si ricorda infine che M. Liverani,31 accennando rapidamente al significato di questi due organi nella società ittita, intende il panku come un’ “assemblea” generale, un organo che in qualche modo funge da garante sulle scelte del re” e il tuliya come un “tribunale”, che agisce “come un organo di intervento giudiziario”, del quale è dubbio si possa estendere la giurisdizione sui membri della famiglia reale. Anch’egli ritiene il panku un organo più vasto che non la sola aristocrazia, ma lo considera contrapposto ai “dignitari” per lo più imparentati con la famiglia reale. Mi limiterò qui a presentare soltanto alcune rapide osservazioni sull’argomento. A mio avviso, suscita perplessità l’ipotesi su ricordata (del resto già avanzata da V. Korošec32 ed accolta anche da altri studiosi) di considerare panku e tuliya come sinonimi, o, più precisamente, come specifica il Beckman,33 “the panku is assembled in the tuliya”.34 28 V. nell’art. cit. il sommario iniziale. A questo saggio si ricollega spesso I. Hoffmann, loc. cit. in nota 5, infra. 29 V. op. cit., 180. 30 V. op. cit. in nota 5. 31 Op. cit., 444 sg. 32 In Actes XIX R.A.I., 316; v. anche T.R. Bryce, op. cit., 154, il quale riporta anche un’opinione del Gurney, inviatagli per lettera, sulla quale v. più avanti. 33 Op. cit., 438.

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Infatti, anche se la scarsità di attestazioni non evidenzia chiaramente la differenza fra questi due organi, mi sembra però molto strano che il sovrano in uno stesso discorso convochi e poi si rivolga al medesimo organismo, designandolo in due modi diversi, soprattutto in un testo di grande rilievo politico quale l’Editto di Telipinu, in cui si richiedeva necessariamente grande precisione nel definire certi istituti ai quali il re voleva mostrare di attribuire - anche se poi nella realtà era solo formalmente - considerazione e importanza. Inoltre, come si concilia tale identificazione col fatto che nel § 31 II 51 il panku, appellato dal sovrano nel paragrafo precedente, venga esortato a convocare il tuliya? L’ipotesi del Gurney, riportata dal Bryce (v. nota 32), che il termine tuliya enfatizzasse l’aspetto assembleare di questo organismo e il termine panku la composizione, appare allettante e si accorderebbe bene anche con le espressioni “chiamare/convocare il tuliya”, e, soprattutto, “chiamare/convocare al tuliya” cioè all’assemblea. Tuttavia, per una serie di motivi che esporrò più avanti, ritengo più convincente la proposta di considerare il panku come l’organo più ampio, al quale, in certe situazioni sarebbe fra l’altro spettato anche di convocare l’organo più competente a svolgere determinate mansioni giudiziarie, cioè il tuliya. Eventualmente, sarebbe più plausibile, a mio avviso, pensare che fosse il tuliya a far parte del panku. Purtroppo, è ancora difficile dire una parola definitiva sulla composizione del panku. Non sembra, peraltro, illogico presumere, sulla base dei due proclami regi sin qui esaminati, che esso fosse formato nelle diverse epoche e situazioni da quelle categorie di persone a cui il re si rivolgeva in quel particolare momento; si ricorda, del resto, che fra i due proclami esiste uno spazio di tempo di circa un centinaio di anni.35 Certo, la composizione di questo organismo appare più difficilmente determinabile nel Testamento di ÷attušili I. Nella prima riga della redazione accadica di questo documento, secondo cui è stata integrata la parte ittita corrispondente (...ana ÉRINMEŠ nakbá ti ù ana kabtûti), il Tale affermazione si basa sull’ipotesi che il panku, a cui nel § 30 II 47 dell’Editto di Telipinu si rivolge questo sovrano, sia lo stesso organo da lui convocato come tuliya nel § 27 II 34. 35 Mi sembra, invece, improbabile che il termine panku potesse rivestire valori diversi entro uno stesso testo, come ritiene M. Marazzi per l’Editto di Telipinu: v. in proposito nota 50. 34

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termine nakbatu (= ittita pankuš), se considerato, come generalmente avviene, connesso in funzione genitivale col termine precedente, si presenterebbe qui - come ha messo in evidenza M. Marazzi36 - in maniera anomala rispetto agli altri testi accadici di Boˆazköy. Mi chiedo allora se non si debba invece considerare nel passo in esame nakbá ti come termine a se stante, legato per asindeto al sostantivo precedente e retto dalla stessa preposizione ANA, per cui nella redazione ittita poteva trovarsi come suo corrispondente il termine pa[ngaui.37 Ne conseguirebbe allora questa interpretazione: “.... al pa[nku, alle truppe(!) (v. nota 8) e ai notabili/dignitari]”. Appare interessante in tale contesto un confronto con il § 4 II 22 sg. di questo stesso documento; si tratta di un passo, integrato secondo la versione accadica (§ 4 I 22 sg.), dove si dice che il successore al trono di ÷attuša menzionato precedentemente (cioè, il nipote del re, figlio di una sorella) nel corso delle sue trame verso il sovrano, si era rivolto a “(22) [ i notabili/ dignitari e i dipendenti (ARADMEŠ)], (23) che (sono) pos[ti] (presso il/alle dipendenze del) re”. Ho preferito intendere ARADMEŠ nel senso di “dipendenti” per la specificazione successiva “che (sono) pos[ti] (presso il/alle dipendenze del) re”: v. inoltre quanto si è osservato nella nota 12. Il nipote del re avrebbe, cioè, cercato di coinvolgere nelle sue trame proprio quelle categorie di persone che gravitavano in qualche modo intorno al sovrano. Il termine precedente alla menzione dei “notabili/dignitari” è in lacuna anche nella redazione accadica: il Sommer (HAB, 4 sg.) lo integra con ÉRINMEŠ, ciò che si accorderebbe con la riga iniziale del testo. Se tale integrazione fosse valida, si potrebbe ipotizzare una corrispondenza fra il termine panku, parzialmente presente in questa riga, e il termine ARADMEŠ del § 4 r. 22. Una equivalenza di pankuš con ARADMEŠ era stata postulata anche da V. Ivanov (v. presso C. Mora, op. cit., 164) sulla base del § 7 II 41, dove il re menziona insieme ARADMEŠ-YA Ù LÚ.MEŠ GAL.GAL “i miei dipendenti e i Grandi”. Si è già fatto presente (nota 9) che V. Ivanov anche nella riga iniziale della redazione ittita del Testamento proponeva di integrare LÚ.MEŠ GAL.GAL “Grandi”, anziché LÚ.MEŠ DUGUD 36 V. WO cit., 96 sgg.; egli così traduce questo passo in BRLF 18 (1986) 2: “zu den Truppen der Bevölkerung (von ÷.) “; v. anche M. Liverani, Antico Oriente cit., 435: “alle truppe della popolazione (di ÷atti)”. 37 Cfr. anche V. Ivanov, presso C. Mora, op. cit., 159 e 163 sg.

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“notabili, dignitari”, come corrispondente dell’accadico kabtûti. Ciò, nella sostanza, non cambia molto: sappiamo infatti dall’Editto di Telipinu che facevano parte dei Grandi del regno gli alti dignitari, proprio quelli che il re indica in quel testo come capi di quei funzionari della corte da lui appellati come panku (v. più avanti, p. 383). Da notare il § 20 III 33 sg. ancora del Testamento di ÷attušili I, dove il re si rivolge ai suoi interlocutori così: “ (33) [Ora] voi (siete) i miei dipendenti (ARADMEŠ-YA) [princ]ipali. E la mia parola, (la parola) del re, (34) voi la dovete [custodir]e.”. Ritengo possibile che egli alludesse anche qui ai funzionari da lui dipendenti, che gli erano particolarmente legati: probabilmente i componenti del panku (v. più avanti le mie conclusioni). Dall’Editto di Telipinu, infatti, come si evince dal § 33 II 66 sgg., appaiono far parte del panku i funzionari della corte (i figli, cioè gli impiegati, del palazzo, le guardie del corpo,38 gli uomini dalla lancia d’oro, i coppieri, gli uomini del tavolo, cuochi, gli scudieri, i sovrintendenti dei mille del campo), ai quali il re, dopo aver raccomandato di tener in mente quanto è accaduto a dei cospiratori (episodio da lui ripetuto più volte nel testo, a titolo ammonitorio), fa presente che se qualcuno dei capi di questi funzionari (da notare il parallelismo della maggior parte dei titoli di questi alti dignitari39 con i titoli di alcuni dei funzionari sopra ricordati) o dei capi delle grandi famiglie non inserite nell’organizzazione burocratica dello Stato40 o qualche alto dignitario - sia di rango secondario che primario - commette del male (evidentemente nei riguardi del re e dei suoi familiari), “(72) ... voi, il panku, afferratelo/impadronitevene (73) e divoratelo/sbranatelo coi denti”. Mi sembra interessante ricordare, come si è già rilevato sopra, che dai §§ 32 II 62 sgg. e 34 III 1 sgg. apprendiamo che molti di questi alti dignitari, insieme ad altri, fanno parte dei Grandi del regno: v. quanto abbiamo osservato in proposito in altra sede.41 Queste due categorie di funzionari si ritrovano come appartenenti al panku anche nel rituale CTH 760, di cui parleremo più avanti. 39 Il capo dei figli/impiegati del palazzo, il grande del vino, il capo delle guardie del corpo, il capo dei sovrintendenti dei mille del campo; cfr. anche i vicini §§ 32 e 34. 40 Su questa interpretazione da me proposta per la locuzione “padri della casa”, v. Stato, Economia, Lavoro, 229 sg. e 236, note 18, 19. 41 JESHO 25 (1983) 251 sg.; v. inoltre F. Pecchioli Daddi, MPD, 496 sgg. Si rileva inoltre che molti dei dignitari indicati in questo testo come Grandi si ritrovano in documenti di epoche successive menzionati come “signori” (v. Stato, Economia, 38

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Quanto si legge nel § 33 induce a ritenere che i Grandi, per quanto riguarda l’epoca di Telipinu, ma verosimilmente anche per quella di ÷attušili I, non appartenessero al panku e che tale organo potesse servire al re come strumento di controllo sugli alti dignitari del regno, proprio quelli che in realtà potevano costituire un pericolo per il suo potere.42 In tale prospettiva rientra bene anche quanto si legge nei §§ 31 e 32 di questo stesso testo, laddove Telipinu proibisce proprio ai Grandi del regno di confiscare i beni immobili e mobili di un principe condannato a morte per qualche colpa,43 e cioè dove si dice che se un principe commette un crimine, deve espiare con la sua testa, ma non ci si deve rivalere sulla sua casa, su sua moglie, sui suoi figli e sui suoi beni (case, campi, vigne, servi, animali). Tale principio di non estendere la responsabilità di un reato alla famiglia del colpevole si riscontra in vari documenti di epoche diverse fin dall’Antico Regno ittita. Questa proibizione, come ho cercato di dimostrare in altra sede,44 era verosimilmente volta a tutelare un equilibrio nella distribuzione dei beni fondiari - oltre che ispirata a motivi di clemenza e di giustizia - ed era, ovviamente, diretta a chi teneva posizioni di rilievo nel governo dello stato e poteva, perciò, costituire un maggior pericolo per il potere regio. Ciò evidenzia una politica regia intesa a mantenere nel regno una equilibrata suddivisione dei beni fondiari. Questa politica da parte del re di coinvolgimento dei funzionari dello stato nel controllo sui Grandi, affinché non divenissero troppo potenti, si accorda bene con l’atteggiamento tenuto da vari sovrani ittiti di epoche Lavoro [1988] 237 nota 21), di cui dovevano far parte, oltre a membri della famiglia reale, anche persone di alto rango, non necessariamente legate al re da vincoli di parentela, e inserite nella struttura burocratica dello Stato. 42 Secondo G. Beckman, op. cit., 435 (sommario) e 442 con nota 91 (in cui si ricollega a V. Korošec) e I.. Hoffmann, op. cit., 78, anche i capi dei funzionari della corte o dello stato facevano parte del panku, ma ciò non mi sembra risultare dalla lettura di questo paragrafo, a meno che non si intendesse qui affermare che tale organo doveva esercitare un controllo su tutti i membri che lo componevano, anche se si trattava dei Grandi del regno. Ritengo però che tale ipotesi non si accordi con il tipo di politica portata avanti da questo sovrano. 43 Si ribadisce inoltre che i Grandi, per il desiderio di prendere le proprietà del principe, non devono impadronirsi del villaggio e far del male al signore del villaggio, nel caso specifico da identificare col principe. 44 In Stato, Economia, Lavoro, infra.

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diverse - anche dell’Antico Regno - i quali, a mio parere, si servivano pure dei membri appartenenti alle comunità locali, che, abbiamo visto, operavano al di fuori della sfera statale, per controllare e limitare gli abusi compiuti nei loro villaggi dai funzionari regi, specialmente quelli responsabili dell’amministrazione di zone periferiche.45 Si ricorda, a tal proposito, un noto proclama, KBo XXII 1,46 purtroppo incompleto, del periodo antico-ittita, rivolto da un sovrano, in cui si può riconoscere Muršili I, a certi suoi dignitari per accusarli di non aver esercitato con equità il loro governo nei villaggi da loro amministrati. Questo intervento regio allo scopo di tutelare i membri liberi delle comunità locali appare appunto come un modo per cercar di coinvolgere questi ultimi nel controllo sugli amministratori dipendenti dal re. In questo documento si narra anche un episodio a carattere esemplificatorio (rr. 16’-20’) riferito al “padre del re”, ÷attušili I, il quale aveva convocato il tuliya per indagare sul comportamento di alcuni amministratori regi che avevano angariato dei loro contribuenti. Tale episodio è interessante anche perché attesta la presenza del tuliya all’epoca di ÷attušili I (ciò che non si riscontra invece nel Testamento) e le competenze giudiziarie di questo organismo. Si ricorda, a tal proposito, che anche nel § 55 della raccolta di Leggi si parla di una convocazione del tuliya probabilmente da parte di questo stesso sovrano, qui pure designato come “padre del re”, per dirimere una questione di tipo giuridico-amministrativo (o, meglio, per presentare a questa assemblea una sua delibera) riguardante una categoria di persone tenute a prestare determinati servigi.47 Un altro testo più volte esaminato dagli studiosi per cercar di definire la composizione del panku è un rituale, CTH 760 (KUB IX 34 IV 8’ sgg. e duplicati),48 in cui si enumerano diverse categorie sociali divise in due gruppi: nel primo si trovano funzionari della corte, ufficiali, sacerdoti; nel secondo gli appartenenti a ceti inferiori. In testa al primo gruppo si trova il panku, ma, verosimilmente, non come membro, iniziale e, quindi, più importante di quella lista (il ceto nobiliare, secondo V. Stato, Economia, Lavoro, 232 sg. V. bibliografia in Stato, Economia, Lavoro, 238 nota 35, cui si deve aggiungere M. Marazzi, in FsPuglieseCarratelli, 119-129. 47 Cfr., fra gli altri, F. Starke, ZA 69 (1979) 83 nota 71. 48 V. anche G. Beckman, op. cit., 437 e C. Mora, op. cit., 166 sg. 45

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l’interpretazione di alcuni), ma come un organo che compendiava le categorie elencate successivamente, tra cui - ciò che appare rilevante - i figli (= impiegati) del palazzo e le guardie del corpo, che abbiamo visto presenti anche fra i funzionari elencati nel già ricordato § 33 dell’Editto di Telipinu come facenti parte del panku. Quanto abbiamo detto sinora mostra che il panku non può essere inteso come assemblea dei nobili. Chiaramente non ne facevano parte neppure i membri della famiglia reale, che abbiamo visto designata nel suo complesso con l’espressione šalli øaššatar “grande famiglia”. Certo, pur considerando che la composizione del panku non risulta ben definibile dai documenti, non mi sembra però convincente l’ipotesi di ritenere questo termine, ed anche il termine tuliya, come designazioni generiche di cui solo la prima (panku) “corrisponderebbe ad un’effettiva entità di grande forza numerica, ma di scarso valore politico” (v. C. Mora cit., a p. 377): il fatto che il sovrano avesse convocato questi organi, sia pure a scopo semplicemente informativo, significa che attribuiva loro un certo valore o, per lo meno, che intendeva mostrare di mantenere intatte, anche se solo in apparenza, certe loro competenze. A mio avviso, l’esistenza stessa di questi termini per designare organismi collegiali implica già una selezione, specialmente in strutture sociali come quella ittita. Non mi sembra offrire un sostegno all’opinione ricordata qui sopra neppure il confronto, presentato sempre da C. Mora,49 con due protocolli di successione dinastica del Medio Regno ittita, in cui si parla insieme di “panku di ÷atti (e?/cioè?) uomini di ÷atti” e viceversa, ma dove non si comprende bene se queste due espressioni fossero distinte e legate fra sé asindeticamente oppure se l’una fosse apposizione dell’altra: questa seconda possibilità, preferita da C. Mora, mostrerebbe, a suo avviso, il panku come designazione dell’intera popolazione. A parte il fatto che non mi sembrano esserci motivi sufficienti per scegliere quest’ultima interpretazione, non ritengo che nella designazione “uomini di ÷atti” si intendesse includere tutta la popolazione del regno, ma soltanto quella parte che godeva di particolari diritti. Inoltre, se il panku avesse compreso tutta la

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Op. cit., 174 sgg.

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popolazione ittita,50 come avrebbe potuto avere il potere di convocare il tuliya (v. Editto di Telipinu § 31 II 51)? Appare, fra l’altro, interessante notare che anche nei due protocolli di successione su ricordati si richiede al panku di “riconoscere” (anche se, certo, solo formalmente) un erede al trono appena designato. Infine, la menzione in alcuni testi religiosi di un’altra assemblea, la šalli ašeššar, “grande riunione” in senso assai ampio, che si convocava durante la celebrazione di alcune feste di culto, oltre che attestare l’esistenza di designazioni diverse per indicare organismi assembleari, mi sembra confermare anche la differenza di contenuto e di valore di queste assemblee. Ai due organismi qui presi in esame, il panku e il tuliya, sono state per lo più attribuite competenze giudiziarie, sia che essi fossero intesi come istituti differenziati, sia come un unico organo collegiale (sinonimi). È del resto noto anche da altri àmbiti del Vicino Oriente antico che le assemblee avevano sovente funzioni giudiziarie. Vi sono però alcuni studiosi che considerano il panku come un organo più ampio e meno definibile sia nella composizione che nelle competenze e ritengono che soltanto al tuliya spettassero compiti giudiziari. Mi sembra tuttavia difficile negare che nel Testamento di ÷attušili I, laddove presumibilmente si dice che se qualcuno commette qualche colpa ... allora si deve interrogare il panku e (ogni) lingua (controversia?) deve essere volta (= deferita?) appunto al panku (cfr. p. 164), si alluda ad una competenza giudiziaria spettante a questo organo. Anche se successivamente abbiamo visto - si ribadisce, come del resto in vari documenti ittiti, che l’ultima decisione spetta sempre al re: “Ma tu, figlio mio” - dice ÷attušili a Muršili - “comportati sempre in accordo a ciò che è nel tuo cuore”, v. in proposito più avanti.51

Secondo M. Marazzi, WO cit., 101, il panku, il cui significato fondamentale è “massa di uomini, massa di popolo”, assume nell’Editto di Telipinu valori diversi a seconda del contesto: 1) massa di popolo come maggioranza indeterminata, 2) massa di popolo come rappresentanza della città o dello stato, quindi funzionari della corte e soldati, 3) massa (di popolo) appartenente ad un àmbito specifico dell’amministrazione dello stato. Come già abbiamo detto, tale opinione, plausibile se riferita a testi diversi, mi sembra meno sostenibile all’interno di uno stesso testo, soprattutto trattandosi di un proclama regio emesso in una non facile situazione politica. 51 Cfr. p. 386. 50

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Ed anche nel § 26, già ricordato più volte e su cui torneremo di nuovo, si legge che il panku condannò a morte alcune persone per reati politici. Invece nei §§ 27 e 31, come abbiamo visto e come vedremo ancora, sembra si demandi al tuliya la giudicabilità di alcuni reati compiuti nei riguardi della famiglia reale e, forse, dello stesso re. Non rimane chiaro, inoltre, se con l’espressione: “voi, il panku, divoratelo/sbranatelo coi denti” (v. p. 380), si alluda ad una richiesta di condanna o ad una esecuzione. Del panku (pan[kuš?]) sembra si parli anche in un frammento dell’Antico Regno, KBo XII 852 IV 19’ (in un passo - r. 16’ sgg. - che ha il suo parallelo nell’Editto di Telipinu, II 20 sgg.), dove questo organo è probabilmente incaricato di giudicare un certo Laøøa, un ribelle contro l’autorità regia, che pare venga condannato a morte: purtroppo, però, il contesto è molto frammentario. Tuttavia, dai documenti esaminati finora i compiti giudiziari sembrano risultare con maggiore chiarezza per il tuliya. Anche da un esame dei documenti a carattere religioso è emerso, come si è già rilevato sopra, un valore più generico del termine panku, legato al contesto in cui compare, mentre per quanto riguarda il tuliya appaiono particolarmente interessanti quei rituali o preghiere, ben evidenziati dal Beckman,53 in cui si parla della riunione di divinità nel tuliya, o nel posto del tuliya (tuliyaš pidi), dove esse svolgevano funzioni giudiziarie: ciò appare particolarmente significativo, poiché è nota la trasposizione di consuetudini umane nel mondo divino. C. Mora,54 a sostegno della sua tesi volta a vanificare il valore di queste assemblee, si rifà ad un articolo di M. Liverani “sulla monarchia di Telipinu e sul suo modo spregiudicato di gestire il potere, non limitati né dall’una né dall’altra assemblea” (la citazione è di C. Mora). È tuttavia evidente che un sovrano ha sempre bisogno di consenso per gestire il potere, e più ancora se egli è un usurpatore, e a tale scopo tende a salvare certe forme di legalità e di istituzionalità, anche se solo in CTH 20: da correggere la citazione in G. Bekman, op. cit., 440 nota 64; su questo testo v. O. Carruba, FsGüterbock, 77-79. 53 Op. cit., 438 sg.; cfr. anche 440 nota 57, per l’indicazione di un frammento di testo mitologico, CTH 351.1 (dove si fa riferimento alla scelta di un capo [t]uliyaš pidi), la cui utilizzazione nel nostro contesto è però incerta per l’origine hurrica del mito. 54 Op. cit., 168 nota 17. 52

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apparenza, mentre non ha certo interesse ad apparire spregiudicato: è infatti ben noto che quanto più un potere è illegittimo, tanto più chi lo gestisce cerca di mostrarsi in regola, e non c’è atto di governo assoluto che non fornisca motivazioni per il suo operato. Altrimenti, perché Telipinu stesso avrebbe imbastito con tanta cura e abilità il suo proclama e perché avrebbe ritenuto utile convocare un’assemblea (qualunque ne fosse la composizione) per presentare il suo editto, se non allo scopo di ottenerne un assenso che conferisse legittimità alla sua conquista del potere? È ovvio che si trattava solo di un atto formale, poiché egli aveva, di fatto, già compiuto e ottenuto ciò che voleva. È interessante osservare come egli in questo proclama non cerchi neppure di nascondere il suo comportamento nei riguardi del precedente re ÷uzziya, da lui deposto dal trono e allontanato55 - comportamento che, del resto, era ben noto a coloro ai quali era diretto questo proclama ma attribuisca la responsabilità del suo operato al cattivo funzionamento del precedente sistema monarchico.56 Il re tende, in tal modo, ad enfatizzare la limpidezza del suo atteggiamento, anche con l’esortare gli organi da lui appellati alla franchezza e alla pubblicizzazione di ogni atto o delibera. Si legge infatti nel § 30: “Inoltre, chiunque divenga re e progetti ingiurie contro un fratello o una sorella - voi però (siete) il suo panku - allora parlategli francamente...” (v. p. 374); e nel § 31: “Chiunque tra i (suoi = del re) fratelli e sorelle provochi del male ... convocate allora il tuliya. Appena il suo piano si attuerà, egli (= il reo) risarcirà con la sua testa. Ma non lo si uccida in segreto... “ (v. p. 374 sg.). A tale comportamento si era ispirato anche ÷attušili I nei suoi consigli a Muršili, v. § 10 II 53 sg.: “[Ness]uno dica: ‘E il re [farà] in segreto (la cosa) del suo cuore (= ciò che è nel suo cuore)...’ ”. M. Marazzi57 negando che il panku fosse un’assemblea istituzionalizzata e che avesse una specifica funzione giuridica poiché la sentenza legale e la giurisdizione appartenevano al potere regio, riesamina in tal senso il § 26 dell’Editto di Telipinu (v. p 373), laddove si intende che il panku ha condannato a morte tre personaggi rei di omicidio, che il re, invece, ha 55 Pur facendo presente che non è sua la responsabilità dell’uccisione di ÷uzziya e dei suoi fratelli. 56 V. in questo senso M. Liverani, OA 16 (1977) 120. 57 WO cit., 100 sg.: da correggere (a p. 100) § 36 in § 26.

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lasciato in vita, pur declassandoli dalla loro posizione sociale. A suo avviso, si vuole qui alludere soltanto ad una sentenza morale da parte del panku, per permettere in tal modo al re un atto di clemenza, senza però offrire l’immagine di un sovrano che contraddice la sentenza di un tribunale o di un’assemblea istituzionalizzata. Si deve però ricordare che nelle strutture monarchiche di tipo, di epoca, di àmbiti diversi spetta sempre al sovrano il potere di grazia, ciò che gli permette di evidenziare ancor più la sua generosità. Significativi a tal proposito sono alcuni articoli delle Leggi ittite,58 in cui si contemplano reati per i quali è prevista la pena di morte, espressa mediante la locuzione aki-aš “egli (= il colpevole) deve morire”, nel senso cioè che “deve essere ucciso (= punito con la morte)”,59 cui segue la frase “il re lo (= il reo) uccide (= fa morire), il re lo fa vivere”, che esprime la manifestazione della sua volontà, indipendentemente da ogni sentenza o consuetudine giudiziaria. Vi sono anche altri esempi in tale direzione in atti emanati da sovrani ittiti, su cui sarebbe troppo lungo soffermarci qui.60 Per concludere, riepilogando quanto ho rilevato sopra, non ritengo che panku e tuliya fossero sinonimi e neppure designazioni generiche. La documentazione finora pervenutaci riguardo alla convocazione di questi organismi assembleari da parte del sovrano concerne soprattutto il periodo antico-ittita, ma ne abbiamo sporadiche notizie anche per il cosiddetto Medio Regno ed un esempio per il Nuovo Regno, in un testo di istruzioni emanato dal sovrano Tutøaliya IV e rivolto ad alti dignitari del regno, in cui si parla di una convocazione all’assemblea (qui si usa pero l’espressione accadica ANA PU÷RI).61 Purtroppo però il passo è molto frammentario e può soltanto attestare la continuità di tali istituzioni collegiali del cui intervento attivo, però, non abbiamo alcuna notizia, neppure in situazioni difficili o di dubbia legalità riguardo all’esercizio del potere regio. 58 §§ 187, 188, cfr. anche § 198. Al giudizio del re si ricorre, con la stessa frase, anche nel § 199, senza che, però, sia stata comminata prima una sentenza di morte. 59 Su questo significato del verbo ak-, inteso come passivo di kuen-/kun“uccidere”, v. HW2 51. 60 Šaøur., 101 con note 160 e 161; v. anche p. 30 sg. § 9 rr. 61-64 e p. 98, nota 153, per altri esempi in proposito. 61 G. Beckman, op. cit., 441 con note 78-79.

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Abbiamo visto questi organismi collegiali convocati dal sovrano in circostanze straordinarie, quando la successione al trono non si presentava conforme alla consuetudine o era addirittura illegale. Non avevano però alcuna funzione decisionale nell’elezione del re. A loro, tuttavia, egli presentava le motivazioni del suo comportamento. Infatti, una dichiarazione di volontà da parte di un monarca fatta in deroga ad una norma esige anche la presentazione di una giustificazione per provocare l’assenso di coloro a cui essa è diretta. Così, in situazioni difficili per la monarchia e per il paese, al panku (cioè, al complesso dei suoi dipendenti), alle truppe (!) e ai notabili/dignitari ÷attušili I e all’assemblea dei funzionari del regno Telipinu chiedono un assenso formale che conferisca validità al loro operato. Ciò viene a costituire anche un punto di forza per il sovrano per legare questi organi istituzionali al rispetto del patto che con il loro consenso sono venuti a stringere con lui. Mi sembra inoltre plausibile pensare che Telipinu cercasse anche di coinvolgerli nel controllo sugli alti dignitari, che, soprattutto nel periodo più antico, dovevano essere per la maggior parte membri della famiglia reale, per limitarne l’influenza e diminuire il pericolo che potevano costituire per il potere regio. A tale scopo, egli presenta a questi organi collegiali le sue giustificazioni e la sua rielaborazione della realtà: i suoi funzionari appaiono infatti come i più adatti ad accoglierle. In effetti, il ceto elitario del paese era certo il meno influenzabile da tali argomentazioni e il ceto più basso e più lontano dal potere il meno interessato ad esse.

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XX.

LE RELAZIONI POLITICHE FRA ÷ATTI E TAR÷UNTAŠŠA

I. I problemi sollevati dalla scoperta della tavoletta di bronzo, contenente il trattato fra Tutøaliya IV e Kurunta re di Tarøuntašša,1 rendono necessario anche un riesame dei testi a carattere storico-politico di ÷attušili III e Tutøaliya IV, e in primo luogo di quei documenti che con la tavoletta di bronzo hanno in comune sia elementi strutturali, formali e contenutistici, sia personaggi che ne sono a vario titolo e in misura diversa protagonisti, sia entità territoriali in qualche modo in relazione con eventi ivi considerati. Per molti di questi problemi si prospettano più soluzioni, ciascuna delle quali però presenta aspetti che lasciano spazio a critiche. II. In questa sede si analizzeranno i rapporti intercorsi fra ÷atti e Tarøuntašša e la loro influenza sulla situazione politica interna del regno di ÷attušili III e del primo periodo di quello di Tutøaliya IV. A tale scopo sono di importanza basilare gli accordi stipulati fra questi due stati, di cui si ha notizia principalmente dalla tavoletta di bronzo e da KBo IV 10+ (CTH 106),2 “trattato” emanato da un sovrano ittita, il cui nome è andato perduto,3 in favore di Ulmi-Teššup re di Tarøuntašša. Nei due documenti si notano infatti strette analogie per il contenuto di alcune importanti clausole e per la presenza nelle liste di testimoni di molti degli stessi personaggi.4 Pubblicata da H. Otten, Bronzetaf. (1988). Ora KBo IV 10 + 1548/u + KUB XL 69: v. Th.P.J. van den Hout, JCS 41 (1989) 100 nota 1. 3 Sulle proposte di identificazione di questo sovrano, v. la bibliografia presso Th.P.J. van den Hout, RA 78 (1984) 89 note 5 (÷attušili III), 6 (÷attušili III/Tutøaliya IV), 7 (Tutøaliya IV). 4 V. in ultimo J. Lorenz, Der Vertrag mit Ulmi-Tešub von dU-ašša (CTH 106). 1

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Sprachliche und historische Würdigung und Einordnung innerhalb der hethitischen Staats vertragstradition. Hausarbeit vorgelegt am Fachbereich 11 - Aussereuropäische

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Per quanto riguarda la collocazione cronologica dei due documenti in esame, poiché l’intronizzazione di Kurunta in Tarøuntašša viene presentata come uno dei primi atti politici di ÷attušili III - subito dopo la sua ascesa al trono conseguente la deposizione di Urøi-Teššup - la tavoletta di bronzo appare anteriore a KBo IV 10+. La notizia di tale atto di intronizzazione proviene sia dalla stessa tavoletta di bronzo (Ro I 14-15), sia da altri documenti quali il frammento 544/f (CTH 96), Hatt. IV 62-64 (CTH 81), ABoT 57 (Ro) 2’-3’, 10’-11’ (CTH 97), KBo IV 10+ Ro 41’ (CTH 106); cfr. anche KUB VI 47 r. 1’ (CTH 214). Come vedremo in particolare più avanti, non c’è infatti spazio per un insediamento di Ulmi-Teššup sul trono di Tarøuntašša durante il regno di ÷attušili III e quella parte del regno di Tutøaliya IV che precede la stesura della tavoletta di bronzo. Ne consegue che KBo IV 10+ - il trattato diretto appunto ad Ulmi-Teššup - poteva essere stato soltanto stipulato da Tutøaliya IV o da un suo immediato successore;5 quest’ultima ipotesi sembra però da escludere per la presenza nella lista dei testimoni di personaggi già attivi all’epoca di ÷attušili III.6 Tuttavia un’accurata analisi storico-filologica dei due documenti in parallelo mostra come questa datazione, che risulta la più plausibile, sollevi alcuni problemi di cui è necessario tener conto. III. TAVOLETTA DI BRONZO § 1 Ro 11-5 Intestazione: nome del sovrano che ha emanato l’atto (Tutøaliya IV, nel caso specifico) e sua genealogia. § 2 Ro I 6-13 Antefatto storico: notizie sui rapporti intercorsi fra ÷attušili III, padre dell’attuale sovrano ittita, e Kurunta, il re di Tarøuntašša a cui è destinato il documento (deposizione di Urøi-Teššup da parte di ÷attušili Sprachen und Kulturen-der Phillipps-Universität Marburg, (1986) 71 sgg. (a proposito soltanto di KBo IV 10+); Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+ (1989) 7 sgg.; F. Imparati, FsAlp (1992) 307-322. 5 V. H. Otten, op. cit., 6. 6 V. F. Imparati, op. cit.

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III; enfatizzazione dell’assenza di colpe da parte di Kurunta in questa circostanza; richiamo al fatto che proprio Muwattalli aveva affidato Kurunta a ÷attušili III). Da notare: il sovrano ittita che parla di solito7 in prima persona, si riferisce a Kurunta in terza persona. Diversamente da quanto si dice nell’Autobiografia di ÷attušili III e in altri testi di questo sovrano, Tutøaliya IV mostra di attribuire al padre l’iniziativa delle ostilità nei confronti di Urøi-Teššup (v. la specificazione DUMU mMuwattalli, apposta al nome di Urøi-Teššup, che ne sottolinea la legittimità del potere,8 e l’impiego del verbo kururiyaøø-: I 7). Tale atteggiamento prelude quello più esplicito di Tutøaliya nel trattato con Šaušgamuwa = CTH 105 II 15-30 (episodio di Mašduri). § 3 Ro I 14-21 Prosecuzione dell’antefatto storico: deposizione di Urøi-Teššup; insediamento di Kurunta sul trono di Tarøuntašša da parte di ÷attušili III, il quale stipula con lui un accordo (išøiul) per definire i confini (ZAGMEŠ) del suo regno, accordo confluito in TUPPA÷I.A RIKILTI (I 17) che sono in mano di Kurunta. Inizio della definizione dei confini. Da notare: il riferimento alla delibera dei confini in 544/f (CTH 96) Ro 12’, ]nu-mu TUPPAHI.A [ŠA] ZAG[÷I.A, e l’uso del termine “tavoletta” al plurale anche in KBo IV 10+ § 6 Ro 38’, 39’ (qui accordato con l’aggettivo dimostrativo al singolare: apedani ANA TUPPA÷I.A). § 4 Ro I 22-28 Continua la descrizione dei confini: riferimento ad una riduzione di essi da parte di ÷attušili III e loro ristabilimento da parte di Tutøaliya IV. Da notare: il riferimento alla riduzione dei confini, operata da ÷attušili III (ANA [TU]PPI RIKILTI ŠA ABU-YA: I 23-24) rispetto alla precedente definizione stabilita, ovviamente, dallo stesso sovrano al momento dell’insediamento di Kurunta sul trono di Tarøuntašša, è indizio dell’esistenza di due diversi documenti redatti a questo scopo da ÷attušili III. 7 8

Fanno eccezione § 17 rr. 68-68 e § 22 r. 40. Anche se però Tutøaliya evita l’uso del nome dinastico di Muršili (III).

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§ 5 Ro I 29-42 Continua la descrizione dei confini. Da notare: lo spostamento del confine da Šuttašna a Šantimma (I 3537), operato da ÷attušili III (“mio padre”), conferma l’esistenza di tavolette dell’accordo (TUPPA÷I.A RIKILTI) da lui redatte per Kurunta in due tempi diversi, le più antiche, indicate come øantezzi-, non pervenuteci, le seconde confluite in KBo IV 10+ Ro 22’-23’. Poiché Tutøaliya non interviene a modificare la seconda decisione del padre, è presumibile che questa avesse comportato un ampliamento dei confini favorevole a Kurunta: cfr. le nostre osservazioni in proposito più avanti. Si rileva anche la menzione della montagna ÷u(wa)tnuwanta, presente pure nel testo di Šaøurunuwa,9 e il riferimento alla regolamentazione delle acque del bacino del monte Arlanta, il cui sfruttamento spetta per metà al paese del fiume ÷ulaya e per metà al paese di ÷atti. § 6 Ro I 43-47 Continua la descrizione dei confini. Da notare: la modifica (I 46) apportata da Tutøaliya IV non si riscontra in KBo IV 10+. Si rileva inoltre che a URU÷armina di I 46 corrisponde in KBo IV 10+ Ro 27’ :øarmina- (due volte): la normalizzazione nella tavoletta di bronzo può essere indizio di recenziorità. § 7 Ro I 48-52 Continua la descrizione dei confini. V. le annotazioni al § 8. § 8 Ro I 53-67 Continua la descrizione dei confini. Da notare: in I 62-64 la promessa di cedere al re di Tarøuntašša il territorio di Parøa una volta conquistato; tale impegno manca in KBo IV 10+ nel passo corrispondente.

9

Su cui v. in ultimo F. Imparati, Šahur. (1974) 82, e RGTC 6, 132.

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Si rilevano inoltre in questo e nel paragrafo precedente divergenze nelle indicazioni territoriali che appaiono qui più ampie e dettagliate rispetto ai passi corrispondenti in KBo IV 10+. Sui riferimenti geografici presenti nel § 8 della tavoletta di bronzo e sulle relative implicazioni, v. H. Otten, IBS-VKS 42 (1989) 18. § 9 Ro I 68-90 Assegnazione a Kurunta di località situate all’interno di Tarøuntašša, già appartenenti al re di ÷atti, e di gruppi di lavoratori. Da notare: la presumibile distinzione fra lavoratori stanziati periodicamente nel paese (I 76: ANA ZAG KURTI aš-kán ešzi) e lavoratori stabili (I 81: EGIR-an. . . EGIR-an ašanzi); questi ultimi sono assegnati (EGIR-an piyanteš) al servizio delle divinità di Tarøuntašša (I 81-82). EGIR-an, impiegato qui come preverbio temporale, nei passi indicati sembra conferire al verbo un valore durativo piuttosto che indicare, come di consueto, il ripetersi dell’azione. Sulla problematicità delle rr. 79 sgg., v. H. Otten, Bronzetaf., 41. Sull’impiego e la dislocazione di gruppi di lavoratori e di persone legate a determinate località, v. F. Imparati, Or 59 (1990) 176 sgg. Da notare inoltre il rilievo dato da Tutøaliya al suo positivo intervento presso il padre, perché concedesse a Kurunta non soltanto i “nudi muri” (I 87: purut- su cui v. H. Otten, op. cit., 42) ma anche gli abitanti. Appare significativa la notazione di Tutøaliya che tale concessione non è registrata sulla tavoletta del trattato del padre (I 90: ANA TUPPI RIKILTI ŠA ABI-YA-ma-at-kán ÚL GAR-tari). Questo paragrafo manca in KBo IV 10+. § 10 Ro I 91-II 3 Faccenda (AWAT) del NA4øekur SAG.UŠ “costruzione rocciosa stabile”. Riferimento alla proibizione da parte di ÷attušili III per Kurunta di accedere a tale costruzione, proibizione resa nota tramite (“per bocca di”) Maraššanta, al quale il sovrano affida una tavoletta (TUPPU) appositamente stilata, che egli conserva ancora all’epoca della tavoletta di bronzo. ÷attušili annulla questa decisione, quando viene a sapere che il NA4 øekur SAG.UŠ era stato riservato con delibera scritta come kuntarra 393

“residenza”10 del dio della Tempesta, poiché in tali condizioni non sarebbe stato possibile (ÚL kisari I 97 e II 2: cfr. E. Neu, StBoT 5 [1968] 97) per Kurunta utilizzarlo in futuro a proprio vantaggio. Ciò viene confermato da una persona inviata appositamente da Tutøaliya IV per verificare la situazione (v. però §§ 16 e 22). Da notare: “per bocca di Maraššanta “, v. H. Otten, op. cit., 44. Da questo paragrafo si evince l’esistenza di altri due documenti scritti: la tavoletta, che ÷attušili III “fece per Maraššanta “ (I 93), e l’iscrizione, probabilmente in luvio geroglifico (v. H. Otten, IBS cit., 30), che attribuiva il NA4øekur SAG.UŠ al dio della Tempesta come kuntarra (I 95 e 101). Difficile comprendere le motivazioni e i contenuti di questi documenti. Appare infatti strano che Tutøaliya non abbia ripreso il documento, redatto per conferire a Maraššanta11 l’incarico di occuparsi della “faccenda del NA4øekur SAG.UŠ” e diventato ormai superfluo dopo che la decisione di ÷attušili, rivelatasi inutile, era stata annullata. Inoltre, accettando l’interpretazione di lê dattari (II 3) proposta da H. Otten (p. 15), non è chiaro il motivo per cui Tutøaliya proibisca di togliere tale documento a Maraššanta qualora questi lo renda noto (secondo una possibile interpretazione di udai, II 3, nel contesto in esame). Tanto più che Tutøaliya nei §§ 16 (II 64-66) e 23 (III 51-52), in un contesto in cui tende ad evidenziare quello che egli ha dato a Kurunta in più del padre, conferisce a questo re e alla sua discendenza l’utilizzazione del NA4øekur SAG.UŠ e delle località ad esso legate. La decisione di Tutøaliya di mantenere questa tavoletta potrebbe essere motivata dall’intento di utilizzarla o come strumento di pressione nei confronti di Kurunta nel caso di un pericolo proveniente da lui per la stabilità del potere regio in ÷atti o come garanzia per Maraššanta, nell’eventualità di contestazione del suo operato, per convalidare cioè con un atto scritto la missione affidatagli dal re.

V. H. Otten, op. cit., 45; cfr. anche J. Tischler, HEG, 635 sg. Certo un alto personaggio che sappiamo avere operato in una zona vicina al confine orientale di Tarøuntašša: v. H. Otten, Bronzetaf. cit., 44; F. Imparati, FsAlp. Alle attestazioni presentate da H. Otten relative a questo personaggio si aggiunga ora KUB LX 97 Ro 10’. 10

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Tuttavia questi problemi interpretativi si possono risolvere intendendo il passo in questione (II 2-3) nel senso che “la tavoletta ... non deve essere presa (in considerazione)”: cfr. KUB XXVI 92, 14-15, apud E. Neu, op. cit., 160. Il secondo documento, in un primo tempo ignoto a ÷attušili, era stato ovviamente redatto da un sovrano a lui precedente - probabilmente Muwattalli, di cui è nota la devozione al dio della Tempesta (in particolare DU piøašašši), piuttosto che Urøi-Teššup, per poco tempo attivo nel sud anatolico. Nonostante si conoscano nella documentazione ittita alcuni esempi di “costruzioni rocciose” dedicate a divinità e utilizzate anche come monumenti funebri di sovrani,12 tuttavia il contesto in esame non sembra accordarsi con l’ipotesi di H. Otten (Bronzetaf. cit., 42 sgg.; IBS cit., 27 sgg.) secondo la quale il NA4øekur SAG.UŠ avrebbe costituito il mausoleo di Muwattalli, per cui la sua utilizzazione da parte di un discendente di questo sovrano avrebbe potuto conferire legittimità a sue eventuali pretese al trono di ÷atti. Infatti la prima delibera di ÷attušili (I 92) sembra nascere da un fraintendimento, nel senso cioè, a nostro avviso, che la costruzione ritenuta mausoleo di Muwattalli era in realtà luogo di culto del dio della Tempesta (I 94). Una volta chiarita la situazione (I 97-98), ne consegue necessariamente l’annullamento della delibera stessa (I 98); a ciò si attiene anche Tutøaliya, dopo aver ulteriormente verificato che la situazione era rimasta immutata (I 99-II 2). L’interpretazione da noi proposta ci sembra giustificare anche la successiva delibera di Tutøaliya formulata nei §§ 16 e 23 (v. sopra), in quanto la concessione del NA4øekur SAG.UŠ a Kurunta non poteva costituire un pericolo per la stabilità del potere del sovrano ittita, che, invece, da molti altri suoi documenti appare particolarmente preoccupato per una tale eventualità. Per quanto riguarda l’ubicazione di questa istituzione cultuale, riteniamo verosimile che essa si trovasse, all’interno del paese di Tarøuntašša, in una di quelle località rimaste al re di ÷atti e concesse

Cfr. per es. il NA4øekur DLAMMA destinato da Tawananna a suo monumento funebre e forse anche il NA4øekur Pirwa, su cui v. F. Imparati, SMEA 18 (1977) 19 sgg. 12

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poi da Tutøaliya a Kurunta insieme all’istituzione stessa e ad altri benefici (v. § 16). § 11 Ro II 4-20 Riconferma da parte di Tutøaliya IV dei diritti attribuiti da ÷attušili a Kurunta relativi al pascolo alpestre e all’accesso alla salina13 e inoltre a ogni kuwappala, vuoi quello dato al dio della Tempesta piøašašši, vuoi qualsiasi altro il cui conferimento sia stato convalidato da ÷attušili.14 Da notare: la presenza di vari termini glossati, alcuni dei quali di significato sconosciuto e talora hapax. Sulla località di Šarmana, presumibilmente importante per l’estrazione del sale e la sola menzionata in KBo IV 10+ Ro 34’, 35’, v. RGTC 6, 353. Questa località è citata anche negli annali di un Tutøaliya, KUB XXIII 27 I 8, vicino a Arzawa, Šaliwanta e Walinanta: v. RGTC 6, 472. § 12 Ro II 21-30 Regolamentazione delle imposte e forniture cultuali per gli dèi di Tarøuntašša. Nell’introduzione al paragrafo (II 21) Tutøaliya ricorda che in passato la cura degli dèi di Tarøuntašša spettava a ÷attuša (evidentemente all’epoca di Muwattalli, secondo le notizie provenienti da ABoT 57 Ro 7 sg. e KBo IV 10+ Ro 40’-41’). Il sovrano ittita, riconfermando quanto suo padre aveva dato a Kurunta, esclude che si possano prelevare da ciò le imposte per le divinità (II 22-24). Tutøaliya, dopo aver fissato l’ammontare dell’imposta annuale per gli dèi di Tarøuntašša in 200 buoi e 1000 pecore, stabilisce che alla consegna di tali forniture dovranno provvedere o località da lui appositamente indicate o la stessa ÷attuša (II 25-30). Da notare: questo paragrafo risale probabilmente a quel ŠA DINGIRLIM šaøøan išøiul, cui fa cenno, senza però riportarlo, KBo IV 10+ Ro 40’. Sul ruolo del sale in una econorma di tipo pastorale e sull’utilizzazione dei pastori per la sua estrazione nella Mesopotamia antica, v. D. Potts, OA 22 (1983) 205215, e in particolare 209 sgg.; v. inoltre G. Beckman, FsOtten2, 37 sg. 14 Per l’uso in tal senso del termine âra, v. A. Kammenhuber, HW2, 219 sgg.; J. Puhvel, HED, 118. 13

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§ 13 Ro II 31-42 Enfatizzazione da parte di Tutøaliya del suo legame personale con Kurunta, legame promosso dalla divinità già prima che Tutøaliya fosse designato come erede al trono e convalidato da un giuramento di protezione reciproca (II 31-34). Si apprende l’esistenza di un fratello maggiore di Tutøaliya, insediato da ÷attušili nella carica di LÚtuøukanti (II 35). Si riportano le parole del giuramento di Kurunta, che assicura la sua fedeltà a Tutøaliya, indipendentemente dal ruolo che il padre potrà assegnare a quest’ultimo (II 37-41), e le parole del giuramento di Tutøaliya, che si impegna a sua volta alla fedeltà (II 41-42). Da notare: ha inizio con questo paragrafo una nuova “introduzione storica” (§§ 13-16), in cui si presenta il tema della fedeltà come motivo delle maggiori concessioni di Tutøaliya a Kurunta rispetto al padre. Questo paragrafo sembra ormai confermare che la carica di LÚ tuøukanti veniva attribuita all’erede al trono di ÷atti.15 Da rilevare inoltre che le parole pronunciate da Kurunta sottolineano il suo stretto legame, anche personale, con Tutøaliya (v. pát, II 40) e fanno presumere l’esistenza di una forma di complicità fra i due, precedente l’ascesa al trono di questo sovrano e verosimilmente motivo di essa. La non automaticità della successione al trono di Tutøaliya è del resto confermata anche da quanto si legge alla r. 35: su questo problema v. più avanti. L’espressione tuel ARAD-iš (II 41) attribuita a Kurunta sembra utilizzata da Tutøaliya per sottolineare la differenza gerarchica già da tempo esistente fra i due personaggi in questione, nonostante la dichiarazione di amicizia reciproca. § 14 Ro II 43-52 ÷attušili, dopo aver sostituito con Tutøaliya il figlio precedentemente designato come LÚtuøukanti, esorta il nuovo erede al trono e Kurunta a mantenere, mediante giuramento, il loro impegno di reciproca fedeltà (II 43-48).

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V. in ultimo O.R. Gurney, AnSt 32 (1983) 97 sgg.

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Tutøaliya evidenzia la fedeltà di Kurunta ai giuramenti fatti (II 49-50) e, in conseguenza di ciò, si impegna a ricompensarlo una volta salito al trono (II 50-52). Da notare: non conosciamo i motivi che hanno spinto ÷attušili a sostituire l’erede al trono da lui prima designato: tale sostituzione può essere avvenuta o per influenza di Puduøepa o in conseguenza di una congiura ordita da Tutøaliya con l’appoggio di Kurunta, a cui ÷attušili dovette adeguarsi (v. più avanti). Si ricorda che Tutøaliya era stato dedicato dal padre al sacerdozio del dio della Tempesta di Nerik (KUB XXXVI 90 Ro 15-18 e KUB XXV 21 III 13-16) e di IŠTAR di Šamuøa (÷att. IV 76 sgg. e KBo VI 29 III 1 sgg.), il che fa pensare ad una sua esclusione dalla successione al trono: si confrontino per questo le analoghe situazioni di Kantuzzili nel Medio Regno e di Telipinu, figlio di Šuppiluliuma I. Tale intenzionale esclusione da parte di ÷attušili può trovare conferma nel fatto che a Tutøaliya era stata attribuita dal padre la carica di GAL MEŠEDI,16 conferita di solito a un fratello dell’erede designato, come dimostra il caso di Zida, fratello di Šuppiluliuma I, di ÷attušili stesso (÷att. I 25 e IV 41-42) e ora la lista dei testimoni nella tavoletta di bronzo, dove ÷uzziya GAL MEŠEDI segue Neriqqaili, che è LÚ tuøukanti nelle liste di KBo IV 10+ e Šaøur.17 È inoltre da rilevare che ÷attušili nella sua Autobiografia fa riferimento sia a Kurunta (÷att. IV 62) sia a Tutøaliya (÷att. IV 77 e 78) in passi abbastanza vicini. La locuzione LUGAL-iznani tittanu- “porre nella carica di re” nel passo in esame della tavoletta di bronzo appare usata per indicare soltanto la designazione al trono e non sembra portare elementi per una eventuale coreggenza fra ÷attušili e Tutøaliya, proposta invece da C. Mora18 sulla base della ricostruzione dell’iscrizione cuneiforme presente sul registro esterno dell’impronta di un sigillo di Tutøaliya IV (AO 21091), rinvenuta ad Ugarit (RLS 2). V. K. Riemschneider, JCS 16 (1962) 110 sgg. Si noti che Tutøaliya è menzionato con questo nome già in testi precedenti la sua ascesa al trono; sull’ipotesi che il suo nome di nascita fosse mBU-LUGAL-ma, v. bibliografia presso Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+ cit., 138 sgg., e F. Imparati, FsAlp. 17 Diversamente S.R. Bin Nun, RHA 31 (1973) 5 sgg. 18 RILSL 121 (1987 [1988]) 97 sgg. 16

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Alla r. 48 l’espressione anzaš-naš øanti tradotta da H. Otten, op. cit., 19 “und wir waren einander jeweils Schwurgenossen”, ci sembra piuttosto da intendere “e noi anche separatamente/per conto nostro eravamo uomini del giuramento”, per sottolineare che il rapporto di amicizia fra i due era anteriore all’esortazione loro rivolta da ÷attušili. Alla r. 51 si nota la presenza del verbo kaneš- usato anche in altri testi (v. in particolare l’Autobiografia di ÷attušili III)19 come termine tecnico per indicare la legittimità del riconoscimento divino. Si vedano inoltre altri esempi in contesti diversi non riferiti a divinità.20 Si evidenzia qui, come in altri passi della tavoletta (v. § 16 II 57), il riferimento all’intervento divino nell’ascesa al trono di Tutøaliya, teso a conferire all’evento una legittimità sulla quale, proprio nel caso specifico, ci sembra di poter dubitare.21 Il richiamo da parte di Tutøaliya all’impegno di fedeltà reciproca, precedente la sua ascesa al trono, viene probabilmente enfatizzato in un momento in cui il sovrano ittita non è sicuro di poter contare sulla fedeltà del suo partner. Comunque, nonostante i dubbi e i sospetti forse esistenti fra le due parti,22 rimane sempre probabile l’ipotesi che in epoca non lontana Kurunta avesse aiutato Tutøaliya nella presa del potere al posto del fratello (v. sopra). § 15 Ro II 53-56 Si evidenzia la fedeltà di Kurunta nei confronti di Tutøaliya anche nel difficile momento conseguente la morte di ÷attušili. Da notare: l’inconsueta distanza che separa il riferimento alla morte di ÷attušili (§ 15 II 53) da quello relativo all’insediamento di Tutøaliya sul trono (§ 16 II 57). È possibile che ciò sia dovuto al fatto che tale insediamento non era stato del tutto pacifico - cosa che potrebbe trovare conferma nella frase KUR.KUR÷I.A. . . ârša tiyat (II 53-54) - fatto utilizzato qui per mettere in rilievo la fedeltà di Kurunta. Cfr. ad esempio la situazione esistente al momento dell’ascesa al trono di Muršili II. Per le ricorrenze del termine in tale testo v. H. Otten, StBoT 24, 90, Glossar. V. E. Laroche, RHA 19 (1961) 27-29. 21 Cfr. l’analogo atteggiamento di ÷attušili in molti dei suoi testi. 22 V. infatti quanto si osserverà nelle conclusioni a proposito dell’intronizzazione di Ulmi-Teššup. 19

20

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§ 16 Ro II 57-66 Ascesa al trono di Tutøaliya IV (sull’intervento divino in tale occasione v. sopra § 14) e stipula di un išøiul con Kurunta, col quale atto vengono concesse a questo le località non comprese nel TUPPI RIKILTI di ÷attušili e le persone presenti all’interno del paese del fiume ÷ulaya; mediante lo stesso documento vengono inoltre risistemati i confini e “restituito”, anche per l’avvenire, il NA4øekur SAG.UŠ a Kurunta e ai suoi discendenti. Da notare: il paragrafo sembra riassumere quanto fino ad ora esposto in questa tavoletta. È possibile che si faccia qui riferimento ad un išøiul precedente, sempre di Tutøaliya; a due accordi distinti fa pensare anche l’inizio del § 17 II 67. Esso poteva contenere nuove disposizioni più favorevoli a Kurunta - emanate da Tutøaliya al momento della sua ascesa al trono relativamente ai confini e al NA4øekur SAG.UŠ, cosa che potrebbe giustificare la presenza del preverbio EGIR-pa (II 64: EGIR-pa ... teøøun; II 65: EGIR-pa piøøun), altrimenti difficilmente spiegabile rispetto a quanto deliberato nel § 10, dove Tutøaliya afferma di essersi attenuto alla decisione del padre. È significativo che si parli di benefici concessi a Kurunta subito dopo i §§ 13-15, in cui è evidenziata la fedeltà di Kurunta, precedente anche l’ascesa al trono di Tutøaliya: il sovrano ittita vuol mostrare la sua benevolenza nei riguardi di Kurunta come un compenso alla fedeltà di questo, probabilmente proprio perché allo stato attuale essa vacillava ed appariva utile sollecitarla. § 17 Ro II 67-78 Definizione del nuovo išøiul per Kurunta (II 67). Impegno da parte di Tutøaliya e della sua discendenza a difendere Kurunta e la sua discendenza nel potere regio (II 68-70) e a non permettere alcuna distruzione o depauperamento dei loro beni (II 71). Promessa da parte ittita di indennizzare Kurunta e i suoi discendenti ogni volta che si verificheranno perdite economiche o gli oneri saranno troppo gravosi (II 74-78: il mantenimento di tale impegno è sottolineato dall’uso dell’iterativo šarninkišk-).

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Da notare: sulla possibile esistenza di un nuovo išøiul, v. le nostre osservazioni al paragrafo precedente. Si rileva l’uso di due diversi verbi all’infinito (II 71: :zantalanuna, termine luvio su cui v. H. Otten, op. cit., 50; II 77: tepnummanzi) con lo stesso significato di “diminuire”: sulle attestazioni del verbo tepnu- in contesti analoghi nella tavoletta di bronzo, v. H. Otten, op. cit., 73. § 18 Ro II 79-83 Definizione della posizione cerimoniale del re di Tarøuntašša rispetto “al grande trono” ittita: per essa deve valere l’accordo (išøiul) già valido per il re di Karkemiš, secondo per importanza soltanto al LÚ tuøukanti. Da notare: l’impiego alla r. 81 del termine šaklai- “uso, cerimoniale” conferma che l’išøiul riguarda proprio il cerimoniale allora in uso presso la corte ittita. L’išøiul relativo al re di Karkemiš è conservato in KBo 128 (CTH 57).23 Sono, del resto, noti altri documenti in cui si prevedono precise norme cerimoniali nel caso di presenza alla corte ittita di alcuni sovrani “vassalli”: v. la tavoletta di Anitta, relativa all’uomo di Purušøanda che doveva sedere alla destra del re (CTH 1 Vo 76-79), e il trattato con Šunaššura di Kizzuwatna, dove si stabilisce che all’arrivo a corte di questo sovrano i Grandi del regno dovranno alzarsi per rendergli omaggio (CTH 411 38-44). Tale posizione, stabilita per il re di Tarøuntašša nella tavoletta di bronzo e per il re di Karkemiš in KBo I 28, sembra riferirsi soltanto allo stretto cerimoniale di corte, poiché questa gerarchia non è rispettata nell’ordine di successione dei testimoni nelle liste della stessa tavoletta di bronzo (dove il re di Karkemiš è menzionato dopo due DUMU.LUGAL e il GAL MEŠEDI) e in KBo IV 10+ (dove il re di Karkemiš è preceduto dal LÚtuøukanti e da tre DUMU.LUGAL); per quanto riguarda la lista nel testo per Šaøurunuwa, la lacuna dopo la menzione del In base a tav. br. Ro II 80 si può integrare KBo I 28 Ro 17-19 nel modo seguente: 17 [nu-kán A-N]A LUGAL KUR Kar-ga-miš 18 [LÚtu-uø-kán-t]i-iš-pát 1-aš 19 [šal-li-iš] e-eš-du 23

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tuøu[kanti e prima della menzione del re di Tarøuntašša non permette di verificare la sequenza.24 Per il riferimento a questo išøiul, in contesto diverso e in forma abbreviata, in KBo IV 10+ § 5 Ro 37’, v. il commento a questo paragrafo. § 19 Ro II 84-94 Modifica alla tavoletta del trattato (TUPPI RIKILTI) di ÷attušili, dove si stabiliva di insediare nel potere regio in Tarøuntašša il “figlio di quella” donna che la regina - certo Puduøepa - avrebbe dato in sposa a Kurunta, e delibera di Tutøaliya di lasciarlo libero nelle sue scelte relativamente alla sposa e all’erede: cfr. § 2 di KBo IV 10+. Da notare: il fatto che Kurunta, al momento della redazione del TUPPU RIKILTI di ÷attušili, non avesse ancora preso in moglie la donna destinatagli dalla regina (II 86-87) e che la cosa fosse rimasta in sospeso all’epoca della tavoletta di bronzo (II 88-89) fa supporre che fra i due atti non dovesse essere intercorso molto tempo. Con tale decisione Tutøaliya IV mostra ancora una volta il suo scopo di acquisire meriti nei confronti di Kurunta: v. §§ 14 e 16. È del resto nota la politica condotta da Puduøepa (e ÷attušili) nell’intessere relazioni matrimoniali come strumento di controllo o di alleanze internazionali. Per l’interpretazione della forma verbale dâi in II 86 ci sembra preferibile seguire quella proposta da H. Otten25 - presente III pers. sing. di dâ- “prendere” con valore di futuro26 - anziché quella di Th.P.J. van den Hout27 - imperativo II pers. sing. di dâi- “porre” - per il confronto con il passo corrispondente in KBo IV 10+ § 2 Ro 4’. § 20 Ro II 95 - Vo III 20 išøiul di Tutøaliya per garantire a Kurunta e ai suoi discendenti la regalità in Tarøuntašša. In caso di reati commessi da discendenti di Kurunta sarà lo stesso re di ÷atti a condurre personalmente l’inchiesta e a emettere un giudizio: V. F. Imparati, FsAlp. Op. cit., 21; v. anche commento p. 50. 26 E non preterito, come indicato da Th.P.J. van den Hout, JCS cit., 110. 27 Loc. cit. 24

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l’eventuale pena non dovrà coinvolgere la famiglia e il patrimonio del colpevole. Sono invocate le principali divinità del pantheon ittita - il dio della Tempesta di ÷atti e la dea Sole di Arinna - a tutela della discendenza proprio di Kurunta e non di un qualsiasi altro discendente di Muwattalli. La regalità di Tarøuntašša spetta in primo luogo ai successori di Kurunta in linea maschile, anche dopo l’eventuale rinuncia di uno di loro; in mancanza di discendenti in linea maschile, si deve cercare un discendente della figlia di Kurunta, anche se si trova in un paese straniero, e lo si deve insediare nel potere regio. Da notare: la riga iniziale di questo e del § 17 sono formulate in modo analogo (išøiul sembra riferirsi alla disposizione che segue immediatamente). La menzione specifica di un fratello di Kurunta (II 96), come possibile pretendente al trono di Tarøuntašša, può essere un’allusione ad un rischio effettivamente esistente: cfr. KBo IV 10+ § 2 Ro 7’. La clausola giuridica contenuta in II 99-III 2 presenta forti analogie con le clausole presenti in KUB XXVI 58 Ro 14-17, KBo IV 10+ Ro 9’-11’, KUB XXVI 43+ Ro 61-64: su questi passi e sul diretto intervento regio nell’inchiesta giudiziaria, v. F. Imparati, Šaøur., 96 sgg., e in particolare 98 sg. con nota 153. Rispetto ai passi citati manca qui la formula “e se egli è da andare in rovina, allora vada in rovina”, che avrebbe dovuto trovarsi fra II 102 e III 1: mancanza probabilmente intenzionale, in accordo con quel trattamento privilegiato che il sovrano ittita tende sempre a riservare a Kurunta: v. sopra. Nel quadro delle disposizioni tese a garantire la successione in Tarøuntašša alla discendenza di Kurunta, sembra si contempli (III 13-14) anche che un sovrano di questo paese (LUGAL-iznani artari) rinunci al potere regio in conseguenza di un responso divino sfavorevole nei suoi confronti; tuttavia anche in questo caso la regalità dovrà rimanere sempre nell’ambito della discendenza diretta di Kurunta.

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§ 21 Vo III 21-31 Richiesta di garanzia di fedeltà da parte di Kurunta e dei suoi discendenti nei confronti di Tutøaliya e dei suoi discendenti e impegno di tutela reciproca (III 21-27). Da notare: la singolarità del fatto che si possa anche soltanto contemplare nella r. 29 l’ipotesi di deposizione di un sovrano ittita discendente di Tutøaliya, eventualità per la quale si richiede ai discendenti di Kurunta di opporsi al (nuovo) re di ÷atti. Ciò rivela ancora una volta la coscienza di Tutøaliya di un reale pericolo per la stabilità del potere suo e dei suoi diretti successori; tale preoccupazione è latente in molti testi di questo sovrano (v. ad es. le istruzioni per i LÚMEŠ SAG e BÊLUMEŠ: KUB XXVI 1+ 110-16; KUB XXVI 18 Ro 9’-12’; Šaušgamuwa: KUB XXIII 1+ II 8-14; ecc.). La struttura e certe locuzioni di questo paragrafo richiamano, ovviamente, quelle del § 17: i due paragrafi, relativi alle reciproche garanzie di protezione, mancano in KBo IV 10+, probabilmente perché questo documento si colloca in un contesto politico diverso. § 22 Vo III 32-42 Tutøaliya conferma la decisione del padre di esonerare Kurunta dall’obbligo, stabilito dall’amministrazione di ÷atti, di fornire (tiri di) cavalli e truppe (a piedi) appartenenti al paese del fiume ÷ulaya (III 3234). Tuttavia Kurunta per le campagne militari del re di ÷atti deve consegnare un contingente di 100 soldati a piedi, elevato a 200 nel caso di guerre intraprese contro il re di ÷atti da parte di sovrani suoi pari o nel caso di una spedizione del sovrano ittita che prenda l’avvio dal Paese Inferiore. Tali truppe, però, non devono servire come guarnigione. Da notare: questo paragrafo costituisce probabilmente quel “trattato dell’esercito” (ŠA KARAŠ išøiul) a cui si fa riferimento in KBo IV 10+ § 6 Ro 39’ e che viene esposto nel § 7, e già prima in ABoT 57, in connessione però con l’išøiul della divinità: v. più avanti. Il fatto che si dica che ÷attušili ha annullato l’obbligo di cui alle rr. 32-33 fa presumere l’esistenza di due atti, uno sicuramente emanato da questo sovrano ed uno precedente, forse attribuibile ugualmente a lui. Infatti, un’attribuzione di quest’ultimo atto a Muwattalli appare meno giustificabile, dal momento che Tarøuntašša era la sede da lui prescelta e

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godeva quindi di una posizione privilegiata visto che proprio ÷attuša doveva prendersi cura delle divinità della nuova residenza. Si rileva inoltre che l’obbligo in questione riguardava il paese del fiume ÷ulaya. Anche in questo paragrafo Tutøaliya si rivolge a Kurunta usando prima la seconda (III 32) e poi la terza persona singolare (III 33 e 34), allo stesso modo che in ABoT 57 e KBo IV 10+ (v. più avanti). Ciò si può spiegare col fatto che la prima formulazione è rivolta direttamente al partner del trattato e la seconda riporta un atto ufficiale.28 Sulle divergenze nel passo relativo alla fornitura militare in caso di emergenza bellica in ABoT 57 e in KBo IV 10+ § 7, v. più avanti. Nella tavoletta di bronzo la richiesta a Kurunta di un contingente militare di entità maggiore si giustifica per la particolare gravità delle situazioni previste, in quanto, nel caso di attacco (III 39 arai) da parte di sovrani di pari rango, il re ittita necessita di un esercito numericamente più consistente; nel caso poi di operazioni militari svolte nell’àmbito del Paese Inferiore, il re di Tarøuntašša è ovviamente coinvolto, trattandosi della sua zona di influenza. Il fatto che si assicuri a Kurunta che il contingente da lui fornito non sarà utilizzato nel servizio di guarnigione (III 42) - cioè in modo stabile costituisce un ulteriore privilegio concesso a questo sovrano. § 23 Vo III 43-56 Per quanto riguarda la faccenda della fornitura di aiuto al sovrano ittita (III 44 AWAT NARARI) - del resto prevedibile in un accordo internazionale - si stabilisce che questa non venga richiesta al paese del fiume ÷ulaya, data la posizione strategica del territorio governato da Kurunta (III 43-46). Si conferisce l’esenzione da oneri (šaøøan e luzzi, III 53) e dalla fornitura di aiuto (AWAT NARARI, III 53) a tutte le località che nei vari paesi (di cui i più significativi sono elencati alle rr. 47-49) appartengono a particolari divinità e al NA4øekur SAG.UŠ del re di Tarøuntašša; Tutøaliya concede tale esenzione a vantaggio degli dèi di questo paese.

V. invece Th.P.J. van den Hout, op. cit., 110-112, alle cui attestazioni si aggiunga anche tav. br. § 25 IV 5-15. 28

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Da notare: la definizione dell’intero territorio governato da Kurunta come øantezziuš aunuš (III 44), cioè come “appostamenti di confine avanzati” (cfr. BEL MADGALTI, infra), sembra indicare Tarøuntašša come estremo limite del dominio ittita. Interessante è il fatto che le divinità menzionate nelle rr. 50-51, secondo la documentazione finora pervenutaci, appaiono legate a Muwattalli: per il dio della Tempesta piøaššašši, v. sopra; per quanto riguarda DINGIRLIM URUParša, si rileva la sua presenza nella preghiera di Muwattalli, oltre che in un altro testo frammentario a carattere cultuale;29 per quanto riguarda DIŠTAR URUInuita, se ne conosce solo un’altra attestazione, anch’essa nella preghiera di Muwattalli.30 Le rr. 51-52 mostrano che al momento della redazione di queste clausole il NA4øekur SAG.UŠ appartiene alla “casa” del re di Tarøuntašša: cfr. sopra. § 24 Vo III 57-77 Proibizione di mutare l’išøiul concluso da ÷attušili e da Tutøaliya con Kurunta. Tutøaliya, avendo verificato che gli oneri dovuti dal re di Tarøuntašša agli dèi del suo paese erano troppo gravosi e non sopportabili, stabilisce per questo re una regolamentazione nei riguardi delle sue divinità (AWAT/memian DINGIRLIM, III 62 e 64) analoga a quella vigente in ÷attuša, Arinna e Zippalanda. Riconferma delle esenzioni già concesse da ÷attušili e da Tutøaliya a Kurunta in favore del dio della Tempesta piøaššašši, di Šarruma e di tutti gli dèi di Tarøuntašša. Al sovrano ittita che non rispetterà gli impegni presi da ÷attušili e da Tutøaliya nei confronti di Kurunta e dei suoi discendenti la dea Sole di Arinna e il dio della Tempesta di ÷atti toglieranno la regalità. Da notare: il riferimento, anche in questo paragrafo, ad un trattato stipulato da ÷attušili e ripreso da Tutøaliya. Si rileva l’affinità del passo alle rr. 59-61 con KBo IV 10+ § 7 Ro 40’, se pure in contesto strutturato diversamente. V. RGTC 6, 307. V. RGTC 6, 141. La menzione di questa divinità nella tavoletta di bronzo r. 51 rende superflua l’ipotesi avanzata da F. Cornelius, Or 27 (1958) 385. 29 30

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L’AWAT DINGIRLIM stabilito da Tutøaliya per Kurunta sembra conferire alla città di Tarøuntašša la condizione di città sacra, condizione che già sapevamo esistente per Arinna e Zippalanda (v. ad es. le Leggi ittite § 50) e che la tavoletta di bronzo mostra estesa, almeno all’epoca di Tutøaliya, anche a ÷attuša.31 Si nota la previsione nelle rr. 76-77 di una punizione divina nei riguardi dei sovrani ittiti, verosimilmente successivi, che non terranno fede agli accordi, previsione piuttosto insolita nei trattati internazionali. Certo, considerando KBo IV 10+ posteriore alla tavoletta di bronzo, ne consegue che tale disposizione non venne rispettata: v. questo osserveremo in proposito nel paragrafo conclusivo. § 25 Vo III 78-IV 15 Invocazione ai mille dèi perché si riuniscano in assemblea (tuliya) per tutelare la tavoletta del trattato (išøiulaš TUPPU) ed esserne testimoni (III 78-81). Elenco delle divinità (III 81-IV 4). Maledizione per Kurunta se non rispetterà le parole della tavoletta (tuppiaš uttar) e se, invece di proteggere Tutøaliya e i suoi discendenti, aspirerà alla regalità di ÷atti (IV 5-11). Benedizione per Kurunta se rispetterà le parole di questa tavoletta e se proteggerà Tutøaliya e la sua discendenza (IV 12-15). Da notare: la menzione dei “mille dèi” (senza la consueta specificazione “di ÷atti”) per indicarne la totalità (III 79). Si rileva che anche qui il tuliya è convocato con specifica funzione di garante legale.32 In questo passo, come già nel § 21, appare singolare l’ipotesi che Kurunta possa aspirare alla regalità del paese di ÷atti (IV 7), sulla quale, del resto, poteva vantare diritti in quanto discendente di Muwattalli. Si osserva che la maledizione e benedizione riguarda qui sempre Kurunta, analogamente ai trattati di vassallaggio.

Cfr. la struttura urbana di ÷attuša in questo periodo. Sulle competenze giuridiche di questo organo collegiale, v. in ultimo F. Imparati negli Atti dell’VIII Colloquio Lateranense su Esercizio del potere e prassi della consultazione, Roma, 10-12 maggio 1990 (= “Utrumque Ius” Collectio Pontificiae Universitatis Lateranensis 21, Roma 1991, 161-181), infra, con bibliografia precedente. 31

32

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L’espressione alla r. 15 “e nella mano del mio Sole diventi vecchio”33 è probabilmente un topos letterario: se consideriamo KBo IV 10+ posteriore alla tavoletta di bronzo, tale augurio non sembra essersi realizzato. § 26 Vo IV 16-29 Maledizione per chi procura difficoltà a Kurunta e alla sua discendenza e altera le disposizioni della tavoletta. Tutela dei confini concessi da Tutøaliya a Kurunta, che neppure il sovrano ittita potrà modificare in favore di suo figlio e dei suoi familiari. Si assicura di nuovo il potere regio in Tarøuntašša alla discendenza di Kurunta e si maledice chi le recherà danno. Da notare: le disposizioni delle rr. 23-25 riguardanti il sovrano ittita e i suoi discendenti, presenti anche in KBo IV 10+ § 15, sono insolite rispetto agli altri trattati di vassallaggio. § 27 IV 30-43 Indicazione che il luogo di stesura della tavoletta è la città di Tawa e lista del testimoni. Da notare: non conosciamo l’ubicazione della località Tawa, perché è un hapax. Si può pensare a una sua localizzazione nel Paese Inferiore, se il kêz(za) di § 22 III 40 si riferisce al luogo di redazione del testo. Si rileva alla r. 42 la menzione dell’intera famiglia reale, che viene coinvolta a testimonianza dell’atto, menzione che non si ritrova in Šaøur. e KBo IV 10+: ciò costituiva forse un trattamento privilegiato per Kurunta, dovuto allo stretto legame di parentela fra i due contraenti, o non piuttosto una garanzia più forte, nel caso di sue eventuali pretese al trono di ÷atti? § 28 Vo IV 44-51 Indicazione del numero delle copie del trattato e dei luoghi dove esse erano deposte. Da notare: per l’uso del plurale in riferimento alle tavolette (IV 44) contenenti il testo del trattato, cfr. H. Otten, op. cit., 54.

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Cfr. CHD L-N, 227 sg.

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È insolita l’indicazione della presenza sul documento dei sigilli delle due principali divinità del pantheon ittita, la dea Sole di Arinna e il dio della Tempesta di ÷atti (IV 44-45), che non trova finora corrispondenza nella documentazione pervenutaci. Le tavolette sono deposte, oltre che davanti a queste due divinità, che rappresentano il pantheon ufficiale, anche davanti a Lelwani e a ÷epat di Kizzuwatna, alle quali era particolarmente devota la regina madre Puduøepa (ciò costituisce un ulteriore indizio a favore di una redazione di questo testo agli inizi del regno di Tutøaliya); al dio della Tempesta piøaššašši, oggetto della massima venerazione da parte di Muwattalli e quindi inserito in questo elenco probabilmente in rapporto a Kurunta; a Zitøariya, presente qui come divinità protettrice della casa reale. La settima copia è tenuta da Kurunta nella sua casa. Dall’analisi fin qui condotta risulta che la tavoletta di bronzo è costituita da due parti: una prima parte (§§ 1-12), in cui Tutøaliya conferma per Kurunta quanto già stabilito dal padre, con alcune modifiche, che riportano al primo trattato di ÷attušili III, e innovazioni, tese a favorire il re di Tarøuntašša; una seconda parte (§§ 13-28), che, dopo una nuova “introduzione storica” (§§ 13-16), in cui si esalta strumentalmente il rapporto di amicizia fra Tutøaliya e Kurunta, costituisce il “nuovo” trattato, decisamente più favorevole a Kurunta di quelli stabiliti per lui precedentemente da ÷attušili III. IV. KBo IV 10+ § 1 Ro 1’-3’ La prima parte della tavoletta è molto danneggiata; secondo Th.P.J. van den Hout,34 sono andate perdute ca. 30 righe, nelle quali doveva trovarsi, dopo l’intestazione, almeno l’introduzione storica e forse qualche clausola, data l’ampiezza delle singole righe e l’assenza di divisione in colonne della tavoletta. § 2 Ro 4’-14’ Disposizioni relative alla successione al trono di Tarøuntašša. 34

JCS cit., 105.

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Clausola giuridica relativa ad un eventuale reato commesso da un discendente di Ulmi-Teššup: v. le nostre osservazioni in proposito nel commento a tav. br. § 20 (le rr. 9’-1 1’ corrispondono a tav. br. § 20 II 99-III 2). Da notare: nelle rr. 4’-7’ del paragrafo, che contengono le disposizioni relative alla designazione del successore al trono di UlmiTeššup, sono state riconosciute da H. Otten35 e da Th.P.J. van den Hout36 analogie con le rr. 85-86 del § 19 della tavoletta di bronzo, dove si riportano le parole di un decreto di ÷attušili. Ciò si accorda anche con la precedente ipotesi, avanzata in forma dubitativa da J. Lorenz,37 secondo cui il pronome apêl alla r. 4’ si riferirebbe ad una sposa di Ulmi-Teššup, forse figlia di ÷attušili III. Accettando il confronto in questi termini, dobbiamo ammettere che anche in questa parte di KBo IV 10+ sia riportato un decreto di ÷attušili III, il quale però si esprimerebbe qui a titolo personale (v. la desinenza ]øi di prima persona singolare alla r. 4’, forse da integrare piø]øi e da considerare in riferimento ad un’azione futura), anziché delegare la scelta alla regina, come nella tavoletta di bronzo. In tal modo Ulmi-Teššup non avrebbe nella designazione del suo successore quella libertà che Tutøaliya IV nella tavoletta di bronzo ha concesso a Kurunta, superando le limitazioni imposte dal padre. Tuttavia, pur restando ferma la validità del confronto delle locuzioni apêl DUMU-an da (KBo IV 10+ Ro 4’) e apêl DUMU-ŠU dâi (tav. br. II 86), si rileva che l’ampiezza della lacuna nella parte centrale di KBo IV 10+ Ro 4’ rende possibile una ricostruzione della frase più complessa, con varie soluzioni: sullo stesso tema si confronti ad esempio il § 6 A 65’ sg. (= SV II, 54 sgg.) del trattato di Alakšandu di Wiluša, dove si lascia a questo sovrano libertà nella scelta dell’erede.38 Accettando l’analogia del passo in questione di KBo IV 10+ con quello corrispondente nella tavoletta di bronzo e ritenendo il trattato con Ulmi-Teššup posteriore a quello con Kurunta, ne consegue che

Op. cit., 50. JCS cit., 103. 37 Op. cit., 35 con nota 2. 38 Tale testo presenta altre analogie con KBo IV 10+, come già ha rilevato J. Lorenz, op. cit., 35 sg. 35

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Tutøaliya, nel riprodurre esattamente il decreto del padre, ha tolto a Ulmi-Teššup quella libertà di scelta che aveva concesso a Kurunta. Per la garanzia del rispetto della successione diretta del re di Tarøuntašša (Ro 7’-8’), cfr. tav. br. § 20 II 96-99. Le rr. 12’-14’, in cui si prevede la successione per linea maschile e in mancanza di un erede maschio il ricorso a un figlio della figlia, corrispondono con qualche variante a tav. br. § 20 III 10-11, 17-20. Si rileva la presenza in KBo IV 10+ Ro 12’ dell’espressione EGIRan-at-kán tarnattari che è stata variamente interpretata.39 G. Beckman40 riferisce questa espressione a NUMUN, che egli intende sempre come sostantivo neutro; KBo IV 10+ Ro 13’ ne attesta però anche un uso al genere comune (mân-aš...n-an...).41 L’accettazione, invece, del riferimento di tale espressione alla casa e al “paese” (Ro 10’, 11’) implica uno svolgimento in tre fasi di questa situazione: l’accertamento dell’impossibilità di una successione in linea maschile; il ritorno al sovrano ittita della gestione della regalità di Tarøuntašša; il conferimento di questa regalità a un discendente maschio per linea femminile. La mancanza nella tavoletta di bronzo della seconda fase, cioè di un nuovo intervento del re ittita nel regolare la successione in Tarøuntašša, può rispondere al più volte rilevato intento di Tutøaliya di favorire Kurunta. Si può tuttavia ipotizzare anche una spiegazione più semplice per la presenza in KBo IV 10+ dell’espressione EGIR-an ... tarna-, e cioè che essa vada messa in connessione con la formula NAŠU ... NADANU ... tipica degli atti di donazione di terre,42 dal momento che essi, a nostro avviso, sembrano avere in parte influenzato la struttura di KBo IV 10+ (v. le nostre osservazioni in proposito nelle conclusioni). Si rileva infine l’assenza in questo paragrafo - rispetto a quello corrispondente, del resto più ampio, nella tavoletta di bronzo - del 39 V. in proposito J. Lorenz, op. cit., 39 sgg., con discussione della bibliografia precedente, cui si deve aggiungere G. Beckman, FsGüterbock2 (1986) 19-20 nota 33. 40 Loc. cit. 41 A cui corrisponde in tav. br. III 18, 19 la forma neutra -at. 42 Così H. Otten, StBoT 24 (1981) 29. Si ricorda che in altri testi ittiti questa formula ha il suo corrispondente in arøa/IŠTU dâ- ... pâi-: v. F. Imparati, JESHO 25 (1983) 265 nota 126.

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riferimento alla discendenza di Muwattalli (tav. br. § 20 III 4, 6) e alle divinità ufficiali di ÷atti (tav. br. § 20 III 8; cfr. anche § 24 III 76, sempre in rapporto all’eventuale punizione di un sovrano ittita che non rispetterà i patti). Ciò è probabilmente dovuto al fatto che Ulmi-Teššup non apparteneva alla famiglia di Muwattalli43 e inoltre che Tutøaliya non aveva tenuto fede all’impegno precedentemente preso nella tavoletta di bronzo. § 3 Ro 15’-18’ Definizione dei confini.44 Da notare: le rr. 16’-18’ corrispondono con qualche variante a tav. br. § 3 rr. 18-21; manca invece in quest’ultimo testo il corrispondente alla r. 15’ di KBo IV 10+ perché, mentre qui il sovrano si rivolge direttamente a Ulmi-Teššup ed usa perciò la seconda persona singolare, nelle rr. 16-17 del § 3 di tav. br. si riporta la definizione dei confini stabilita da ÷attušili III per Kurunta e si fa quindi riferimento a questo sovrano usando la terza persona singolare.45 Sul fatto che ciò possa costituire un ulteriore elemento per riportare KBo IV 10+ a ÷attušili III, v. più avanti sub 6. § 4 Ro 19’-32’ Continua la definizione dei confini. Da notare: nella r. 19’ si stabilisce come confine “il bacino della sorgente di Arimatta”, che in tav. br. § 4 r. 24 è indicato come il confine stabilito “sulla tavoletta del trattato di mio padre”. In KBo IV 10+, rispetto alla tavoletta di bronzo, non c’è alcun accenno al confine precedente (URUNaøøanta), ridotto da ÷attušili III nel suo secondo accordo con Kurunta e ristabilito per quest’ultimo da Tutøaliya IV: tav. br. § 4 rr. 22-25. Le rr. 20’-22’ corrispondono a tav. br. § 5 rr. 29-34. 43 Diversamente G. Beckman, WO 20-21 (1989-90) 290, il quale propende a considerare Ulmi-Teššup non solo un discendente di Muwattalli in base a tav. br. § 20 III 6 (a nostro avviso non indicativo in tal senso), ma addirittura un (half?-)brother di Kurunta e Urøi-Teššup. 44 Sulle divergenze nella definizione dei confini fra KBo IV 10+ e tavoletta di bronzo e sulle loro implicazioni cronologiche qui e nei paragrafi successivi, v. Th.P.J. van den Hout, JCS cit., 108 sg. 45 Per i cambiamenti di persona qui e nella tavoletta di bronzo, v. nota 28.

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Per le rr. 22’-24’ si confronti tav. br. § 5 rr. 35-38: il mutamento dei confini previsto in KBo IV 10+ è attribuito nella tavoletta di bronzo da Tutøaliya al padre, quindi questa parte del trattato con Ulmi-Teššup risale in realtà al secondo trattato di ÷attušili III con Kurunta. Le rr. 24’-26’ corrispondono a tav. br. § 5 rr. 39-42; le rr. 26’-27’ corrispondono in parte a tav. br. § 6 rr. 43-45, dove sono menzionate anche le montagne ÷UR.SAGMEŠ damnaššaruš (r. 43). Per le rr. 27’-28’ si confronti tav. br. § 6 rr. 45-47: il fatto che la modifica di confine, operata nella tavoletta di bronzo da Tutøaliya IV, non compaia in KBo IV 10+ costituisce un ulteriore elemento della priorità anche di questa parte del trattato con Ulmi-Teššup rispetto alla tavoletta di bronzo. Su altri elementi in tal senso, v. qui sopra e anche il commento a tav. br. § 6. Le rr. 28’-29’ corrispondono a tav. br. § 7 rr. 48-50. Le rr. 29’-32’ presentano un testo molto abbreviato rispetto a tav. br. § 7 r. 50 - § 8: v. il commento in proposito. § 5 Ro 33’-37’ Regolamentazione dell’accesso al pascolo alpestre e alla salina nel territorio di Tarøuntašša; concessione al re di Tarøuntašša del :kuwappala del dio della Tempesta piøaššašši e di eventuali altri. Si estende al re di Tarøuntašša l’accordo stabilito per il re di Karkemiš. Da notare: questo paragrafo corrisponde, con alcune varianti, al § 11 della tavoletta di bronzo: all’inizio di Ro 33’ di KBo IV 10+ manca la menzione del “paese del fiume ÷ulaya”, che in tav. br. II 4 costituisce un’endiadi con il “paese di Tarøuntašša”;46 se ne parla però subito dopo nei due documenti nello stesso contesto. A :kuwappala di Ro 36’ e 37’ corrisponde in tav. br. II 15 e 18 lo stesso termine, scritto però senza il segno di glossa: sul significato che la presenza di termini glossati può avere per la datazione dei due testi, v. la notazione a tav. br. § 6. La concessione di cui si parla in KBo IV 10+ Ro 35’ è fatta dal “Gran Re al re di Tarøuntašša”, evidentemente Ulmi-Teššup, senza l’indicazione dei nomi di questi due sovrani, mentre nel passo 46

V. H. Otten, Bronzetaf. cit., 46.

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corrispondente in tav. br. II 12-13 la concessione analoga - più ampia viene riconfermata da “il Mio Sole Tutøaliya Gran Re” per Kurunta “re di Tarøuntašša”, sulla base di quella fatta da ÷attušili per lo stesso sovrano. Si deve inoltre rilevare che rispetto a tav. br. II 18-19, dove si fa ancora riferimento ad una delibera di ÷attušili ripresa da Tutøaliya, in KBo IV 10+ Ro 37’ manca qualsiasi riferimento ad un sovrano ittita. Evidentemente il primo autore delle due concessioni era stato ÷attušili e il beneficiario Kurunta; a tale atto si riferisce esplicitamente Tutøaliya ancora a favore di Kurunta; lo stesso documento è stato riprodotto per Ulmi-Teššup in KBo IV 10+, senza però la menzione dei nomi dei due contraenti. Ciò dimostra l’esistenza di almeno tre atti su questo preciso argomento, di cui quello di ÷attušili per Kurunta costituisce l’archetipo dal quale derivano, direttamente, il testo per Ulmi-Teššup e, in modo rielaborato, quello di Tutøaliya per Kurunta. Dal punto di vista dell’analisi testuale il fatto che il testo per UlmiTeššup, stando a quanto dice Tutøaliya nella tavoletta di bronzo, riproduca pedissequamente quello di ÷attušili per Kurunta può anche essere indizio di anteriorità. La clausola della seconda parte di Ro 37’, espressa in forma più ampia in tav. br. § 18, è stata probabilmente inserita in questo paragrafo per un’ “associazione di idee”47 nata dalla presenza nei due testi del termine ara, usato a proposito della faccenda del kuwappala, in KBo IV 10+ nel passo in esame e in tav. br. § 11 rr. 19 e 20, e ancora a proposito del re di Karkemiš in tav. br. § 18 rr. 82 e 83. La presenza di ara in passi diversi della tavoletta di bronzo li ha fatti unificare in KBo IV 10+. § 6 Ro 38’-39’ Paragrafo di collegamento, da cui risulta che le disposizioni fin qui esposte erano oggetto di un accordo precedente: le relative tavolette erano depositate davanti alla dea Sole di Arinna, mentre quelle successive costituiscono “l’accordo dell’esercito”. 47 Per esempi analoghi, cfr. G. Cardascia, in R. Monier-G. Cardascia-J. Imbert, Histoire des institutions et des faits sociaux des origines à l’aube de Moyen-Age, I, Paris 1956, 56 e 44 nota 94.

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Da notare: questo paragrafo, come del resto è già stato rilevato,48 mostra chiaramente la stratificazione del testo. L’uso del plurale “queste tavolette dell’accordo” alla r. 38’ (ripetuto all’inizio della r. 39’, ma concordato con un aggettivo dimostrativo al singolare), rispetto al singolare “tavoletta dell’accordo dell’esercito” alla r. 39’, è stato ritenuto da Th.P.J. van den Hout49 significativo per la ripartizione dell’accordo relativo ai confini su più tavolette e per la collocazione dell’accordo relativo all’esercito su una sola tavoletta, che egli identifica con ABoT 57 e data quindi all’epoca di Tutøaliya IV. Anche a noi sembra che l’uso differenziato di TUPPU al singolare e al plurale in tale contesto non sia casuale;50 si può però anche postulare che l’impiego del plurale nel primo caso alluda all’esistenza di più accordi relativi ai confini stilati in tempi diversi, come ci sembra deducibile dalle indicazioni contenute in KBo IV 10+ Ro 23’ e in tav. br. §§ 4 e 5 (v. in proposito la notazione sub 5). L’uso dell’imperativo GAR-ru alla r. 38’ può far supporre che le tavolette non fossero state ancora deposte in Arinna al momento della stesura di questa “nota redazionale”, che non rientra nella clausola di deposizione del trattato stesso; nella clausola di deposizione della tavoletta di bronzo viene infatti impiegata la forma presente del verbo (§ 28 r. 50: GAR-ri). Il fatto che il re ittita, a cui risale il trattato in esame, usi il verbo al preterito alla fine della r. 39’ (EGIR-anda ... iyat) potrebbe convalidare l’ipotesi che la tavoletta ABoT 57 sia stata redatta in precedenza dallo stesso sovrano. § 7 Ro 40’-47’ “Accordo dell’esercito”. Il sovrano, dopo una personale verifica in Tarøuntašša dell’accordo (išøiul) relativo al šaøøan della divinità e della difficoltà per questo paese a sostenerlo a causa della mutata situazione politica, stabilisce per V. in ultimo J. Lorenz, op. cit., 117 sg., e Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+ cit., 51 sg. A nostro avviso, però, anche questo paragrafo faceva parte del trattato stilato da ÷attušili III per Kurunta: v. sub 5. 49 Loc. cit.; cfr. anche p. 24 note al testo. 50 Non rilevante, invece, appare l’incongruenza sopra indicata nell’accordo fra sostantivo e aggettivo all’inizio della r. 39’: v. a questo proposito H. Otten, op. cit., 54. 48

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Ulmi-Teššup un nuovo accordo (išøiul), che riduce l’entità delle forniture militari, affinché i soldati siano in grado di adempiere alle prestazioni di lavoro dovute alle divinità; anche in caso di attacco da parte di una potenza straniera pari a quella ittita, deve intervenire in aiuto soltanto il re di Tarøuntašša, ma non deve fornire contingenti militari di vario genere. Da notare: l’ “accordo dell’esercito” ci è pervenuto come documento autonomo pubblicato in ABoT 57 ed è confluito, con qualche variante, nel paragrafo in esame. Per questo motivo esso presenta un “antefatto storico”, a cui segue l’išøiul espresso in forma di discorso diretto: v. la presenza dell’enclitica -wa- alla fine della r. 42’.51 Il contenuto di questo paragrafo si presenta nella tavoletta di bronzo diviso in vari paragrafi, dai quali risulta l’esistenza di più atti ad esso relativi emanati da ÷attušili III e ripresi da Tutøaliya IV. Per Ro 40’-42’ cfr. tav. br. § 12 rr. 21-24 e § 24 rr. 59-61. Le rr. 42’-43’ sono simili a tav. br. § 22 rr. 32-34, dove la concessione della prima esenzione è attribuita a ÷attušili III ed è poi riconfermata da Tutøaliya IV. Le rr. 43’-44’ corrispondono con varianti a tav. br. § 22 rr. 35-36. Nel paragrafo in esame si stabilisce che in caso di guerra deve essere fornito un contingente militare di 200 uomini e che il contingente di truppe fissato dalla É tuppaš deve essere riconsegnato, perché possa essere utilizzato per prestazioni di lavoro in favore delle divinità: rr. 44’45’, per le quali cfr. tav. br. § 24 ed anche § 23, sia pure in contesto diverso. Nelle rr. 46’-47’ si sancisce formalmente la disposizione fin qui espressa (cfr. tav. br. § 24 rr. 57-59) e inoltre si stabilisce l’obbligo di intervento personale del re di Tarøuntašša (cfr. tav. br. § 22 r. 39, con diversa soluzione per la stessa eventualità). Il verbo uøøun alla r. 40’ può indicare o che il sovrano vide questo atto per la prima volta - e quindi non ne sarebbe l’autore - o che verificò quanto da lui precedentemente stabilito.

Per situazioni analoghe v. le osservazioni di Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+ cit., 30 nota al testo; cfr. inoltre J. Lorenz, op. cit., 58 sg. 51

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§ 8 Ro 48’-49’ Breve lista di divinità invocate come testimoni a conclusione del trattato dell’esercito. Da notare: la presenza, oltre che della coppia divina posta a capo del pantheon ufficiale di ÷atti, del dio della Tempesta piøaššašši, divinità personale di Muwattalli (probabilmente invocato per il suo stretto rapporto con Tarøuntašša), delle tre divinità a cui erano particolarmente devoti ÷attušili III e Puduøepa (tanto da dedicare al sacerdozio delle prime due il figlio Tutøaliya) e del pantheon di ÷atti nel suo complesso. Si rileva l’assenza del dio Šarruma, certo singolare in un testo che si vuole attribuire a Tutøaliya IV. Ciò potrebbe confermare, invece, l’attribuzione del precedente trattato dell’esercito a ÷attušili III,52 anche se non si può fare a meno di osservare che nel suo archetipo ABoT 57 manca una lista di divinità. § 9 Ro 50’-Vo 4 Invocazione ai mille dèi perché si riuniscano in assemblea a tutela della tavoletta del trattato (TUPPU išøiulaš). Segue l’elenco delle divinità. Da notare: le rr. 50’-51’ corrispondono a tav. br. § 25 rr. 78-81, mentre Ro 51’-Vo 4 presenta alcune divergenze rispetto all’elenco analogo in tav. br. § 25 III 81-IV 4, come ad esempio DU URUKummanni Ro 53’ rispetto a DU URUKizzuwatni tav. br. III 83;53 o il maggior numero di nomi divini nell’elenco della tavoletta di bronzo. Si rileva inoltre la duplice menzione in KBo IV 10+ Ro 53’ del dio protettore di Muwattalli con i due appellativi piøaimmiš (forma participiale luvia) e ÷I.÷I-aššiš (= piøaššaššiš, forma aggettivale luvia). § 10 Vo 5-7 Maledizione per Ulmi-Teššup, per la sua famiglia, per il suo paese e per tutti i suoi beni, se non proteggerà le parole della tavoletta (tuppiaš uddar) e la famiglia reale ittita per quanto riguarda la stabilità del potere. Da notare: le divergenze di questa formula rispetto a quella corrispondente in tav. br. § 25 rr. 5-11. 52 53

Cfr. anche J. Lorenz, op. cit., 120. Per la loro identità v. RGTC 6, 213, con bibliografia.

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In KBo IV 10+ Vo 5 sono specificamente ricordati il re, la regina, il figlio del re, laddove in tav. br. IV 6 si parla solo del sovrano e della sua discendenza: la frequente menzione della regina a fianco del re in KBo IV 10+, rispetto alla sua assenza nella tavoletta di bronzo54 e un elemento di cui, a nostro avviso, è opportuno tenere conto nella datazione del testo. Inoltre la “protezione” richiesta al sovrano vassallo nei riguardi della famiglia reale appare espressa in KBo IV 10+ senza quella forte preoccupazione, presente nella tavoletta di bronzo; per la pretesa al trono ittita da parte del vassallo stesso (§ 25 IV 7: “... oppure tu [= Kurunta] aspiri alla regalità del paese di ÷atti”) o per eventuali pericoli in tal senso, pericoli del resto frequentemente evidenziati nei testi di Tutøaliya IV. § 11 Vo 8-11 Benedizione per Ulmi-Teššup, per la sua famiglia, per il suo paese e per tutti i suoi beni, se proteggerà le parole della tavoletta (tuppiaš uddar) e la famiglia reale ittita per quanto riguarda la stabilità del potere. Da notare: la formula è presente in forma abbreviata in tav. br. § 25 rr. 12-15. Per la menzione della regina in KBo IV 10+ Vo 8 e 9, cfr. le nostre osservazioni nel paragrafo precedente. § 12 Vo 12-14 Maledizione per chi procura difficoltà a Ulmi-Teššup e alla sua discendenza e altera le disposizioni della tavoletta. Da notare: la corrispondenza di questo paragrafo con tav. br. § 26 rr. 16-20, con qualche differenza. Per l’alternanza in KBo IV 10+ Vo 12-13 dèi pronomi di seconda e di terza persona singolare in riferimento a Ulmi-Teššup, v. J. Lorenz, op. cit., 118 sg., e Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+ cit., sub 6.3 e 6.6, e JCS cit., 106 nota 20; tale alternanza, in relazione a Kurunta, non si riscontra nel passo corrispondente della tavoletta di bronzo.

Dove compare soltanto in II 83, in riferimento però a disposizioni prese nel trattato del padre di Tutøaliya IV. 54

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Il riferimento letterario alla “nera terra” e la menzione della discendenza di Ulmi-Teššup presenti in KBo IV 10+ Vo 14 mancano in tav. br. § 26 IV 20. § 13 Vo 15-17 Possibilità di deroga al giuramento per quanto riguarda modifiche di confine, qualora ci sia accordo reciproco. Da notare: questa disposizione non è prevista nella tavoletta di bronzo; può essere però significativo il fatto che in quest’ultimo documento si dica più volte che Tutøaliya ha apportato modifiche rispetto ai confini stabiliti dal padre. § 14 Vo 18-20 Maledizione per Ulmi-Teššup e per la sua discendenza nel caso in cui egli prenda con la forza località che il re non vuole concedergli. Da notare: non si prevede reciprocità per questa clausola, come è ovvio in un trattato di vassallaggio. Tale clausola manca nella tavoletta di bronzo: è questo un indizio di minore forza del sovrano ittita nei confronti di Kurunta che non nei confronti di Ulmi-Teššup? § 15 Vo 21-27 Tutela dei confini concessi a Ulmi-Teššup (Vo 21-23); assicurazione del potere regio in Tarøuntašša alla discendenza di Ulmi-Teššup e maledizione a chi le recherà danno, con coinvolgimento di specifiche divinità (Vo 24-27). Da notare: le rr. 21-23 corrispondono a tav. br. § 26 rr. 21-24, dove manca il riferimento a concessioni probabilmente ulteriori (EGIR-anda[y]a-šši kuit piøøun) e alla redazione definitiva del trattato su una tavoletta di ferro. Le rr. 24-27 corrispondono a tav. br. § 26 rr. 24-29, dove si trova soltanto la menzione complessiva degli dèi del giuramento, mentre in KBo IV 10+ Vo 26-27 sono citate le due principali divinità del pantheon ittita (il dio della Tempesta del cielo e la dea Sole di Arinna); Šarruma, dio personale di Tutøaliya IV; IŠTAR, la dea a cui, come già abbiamo detto, erano particolarmente legati ÷attušili III e Puduøepa; e i “mille dèi di

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questa tavoletta” (espressione questa piuttosto inconsueta rispetto alla più frequente “mille dèi di ÷atti/del giuramento”). Può essere significativa per la stratificazione cronologica del documento la presenza, per la prima volta in questo testo, anche di Šarruma fra le divinità menzionate a parte rispetto all’intero pantheon.55 § 16 Vo 28-32 Indicazione che il luogo di stesura della tavoletta è la città di Urukina e lista dei testimoni. Da notare: questo paragrafo corrisponde al § 27 della tavoletta di bronzo, con differenze relative al luogo di stesura della tavoletta e alla presenza, assenza, collocazione e titolatura di alcuni testimoni. Per quanto riguarda la città di Urikina,56 si ricorda che in KUB XXI 17 (CTH 86. A) II 7 sg. ÷attušili III dichiara di aver costruito templi per IŠTAR di Šamuøa in questa città, che ricorre ancora nello stesso testo in II 27[ e 36[: in quest’ultimo passo, sembra, in rapporto al patrimonio di Arma-Datta/Arma-Tarøunta, donato a IŠTAR di Šamuøa. A tal proposito si ricorda che Tutøaliya IV era stato fatto dal padre sacerdote proprio di questa divinità e curatore del suo patrimonio.57 Inoltre, la menzione di questa città nei così detti “sogni della regina” riporta a Puduøepa. Il carattere composito di KBo IV 10+, riconosciuto già da tempo, è stato recentemente riesaminato da J. Lorenz e da Th.P.J. van den Hout, con i quali possiamo concordare sul fatto che il testo a noi pervenuto è costituito da quattro parti distinte; la datazione, però, delle singole sezioni e le motivazioni di una tale composizione non sono ancora del tutto chiare. Il confronto con la tavoletta di bronzo, inoltre, induce a ritenere che anche la prima parte di KBo IV 10+ (§§ 1-2 = Ro 1’-14’) risalga al secondo trattato di ÷attušili per Kurunta e non sia specifica per UlmiTeššup, come sembrano essere invece la sezione finale del testo (§§ 12Infatti la presenza di questa divinità nella lista divina del § 9 appare meno rilevante, essendo riportato lì il pantheon ittita al completo. 56 Per le attestazioni v. RGTC 6, 460 5., dove a KUB XXI 17 si aggiunga II 27[. 57 V. per es. KBo VI 29 (CTH 85); cfr. F. Imparati in Stato, Economia, Lavoro (1988) 231. 55

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16) e probabilmente l’ultima parte di Ro 37’, inserita qui per “associazione di idee”. V. ACCORDI INTERCORSI FRA ÷ATTI E TAR÷UNTAŠŠA L’analisi comparativa della tavoletta di bronzo e di KBo IV 10+ mostra che fra i sovrani ittiti ÷attusili III e Tutøaliya IV, da una parte, e i sovrani di Tarøuntašša Kurunta e Ulmi-Teššup, dall’altra, sono stati stipulati anche vari accordi parziali, relativi a questioni particolari. V.1. Accordi relativi ai confini I. non pervenuto; stipulato da ÷attušili III al momento dell’insediamento di Kurunta sul trono di Tarøuntašša e da questi conservato. Ne abbiamo notizia da tav. br. §§ 3 rr. 16-17, (4 r. 22), 5 r. 36; da KBo IV 10+ § 4 r. 23’ e da 544/f Ro 12’, documento redatto da Kurunta come impegno da lui assunto mediante giuramento (Vo 4’) al momento della sua ascesa al trono. II. non pervenuto come documento autonomo, ma confluito in KBo IV 10+ § 3-4, 5, ricostruibile in base al confronto delle indicazioni di confine; stipulato da ÷attušili III, sempre per Kurunta, per operare spostamenti di confine, in alcuni casi riduttivi: v. tav. br. § 4 rr. 23-24, 5 r. 37. Da KBo IV 10+ § 6 si deduce che esso comprendeva anche le disposizioni relative all’accesso al pascolo alpestre e alla salina, e alla concessione del kuwappala; e che la sua redazione era precedente al “trattato dell’esercito” e al trattato con Ulmi-Teššup. Al momento della redazione di quest’ultimo, il documento II era depositato in Arinna. La tavoletta di bronzo § 11 (e in particolare la r. 12) mostra che le delibere confluite in KBo IV 10+ § 5 erano state prese da ÷attušili III per Kurunta. III. stipulato da Tutøaliya IV, sempre in favore di Kurunta, e inserito nella tavoletta di bronzo § 3-9, 11.

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Vi si riconfermano i confini fissati da ÷attušili III, con qualche modifica - in cui si ristabiliscono determinazioni prese da questo sovrano nel I trattato (§ 4 r. 25) - e qualche innovazione, tese ad evidenziare quanto Tutøaliya abbia concesso a Kurunta in più del padre. IV. stipulato dal sovrano ittita in favore di Ulmi-Teššup e conservato in KBo IV 10+ § 3-4, 5. Esso deriva dal II trattato di ÷attušili III (v. in proposito le nostre osservazioni a KBo IV 10+ § 4); sulle possibili conseguenze di ciò per la datazione di questo testo v. più avanti sub 6. V.2. Accordi relativi ad oneri da sostenere e ad esenzioni da essi V.2.1. Accordo relativo al šaøøan della divinità (ŠA DINGIRLIM šaøøan išøiul)58 Quando Muwattalli si trasferì a Tarøuntašša, spettava ovviamente all’amministrazione centrale (= ÷attuša) provvedere alle divinità della nuova capitale, essendo essa parte integrante dello stato ittita. A. accordo non pervenuto; stipulato al momento in cui Tarøuntašša divenne sede autonoma, quindi o da Urøi-Teššup, che sappiamo aver riportato la capitale a ÷attuša - non è però attestata l’autonomia di Tarøuntašša sotto questo sovrano59 - o da ÷attušili III al momento dell’insediamento di Kurunta sul trono di questo paese. L’esistenza di questo atto, che doveva trovarsi a Tarøuntašša, dato che è là che si reca il sovrano autore di KBo IV 10+, risulta dal § 7 Ro 40’ di questo testo (v. nota al paragrafo). B. stipulato da ÷attušili III, dopo che si era reso conto che il primo atto era troppo gravoso per Kurunta e per il suo paese: v. tav. br. § 12 r. 22, dove Tutøaliya riconferma di aver concesso a Kurunta ciò che già gli aveva dato suo padre.

KBo IV 10+ Ro 40’; cfr. anche ABoT 57 Ro 4, 5, 11, purtroppo in contesto lacunoso. 59 544/f fa escludere, a nostro avviso, la possibilità di ipotizzare (v. in ultimo G. Beckman, WO cit., 290) che fosse stato Urøi-Teššup a conferire a Kurunta la regalità di Tarøuntašša; così anche Th.P.J. van den Hout, RA cit., 92 nota 37. 58

422

Per il riferimento di Tutøaliya a delibere del padre cfr. anche § 22 rr. 32-34 (che concerne le forniture militari) e § 24 rr. 57, 64, 73 (che riguarda il šaøøan e il luzzi per gli dèi di Tarøuntašša). Poiché l’accordo relativo al šaøøan della divinità in ABoT 57 e in KBo IV 10+ si presenta collegato al cosiddetto “trattato dell’esercito” (mentre nella tavoletta di bronzo le disposizioni in proposito sono trattate in paragrafi diversi), si ritiene opportuno esaminare ora le delibere relative alle forniture militari. V.2.2. Accordo relativo alle forniture militari L’esistenza di questo accordo e la sua posteriorità rispetto al trattato riguardante i confini sono attestate da KBo IV 10+ § 6. Il testo è riprodotto nel § 7 di questo documento. La sua struttura, che presenta carattere di atto autonomo, e la sua stretta somiglianza con ABoT 57 rendono verosimile l’ipotesi che quest’ultimo ne sia il prototipo. Dai paragrafi della tavoletta di bronzo menzionati in 5.2.1.B., e in particolare dal § 22 rr. 32-33, risulta che la determinazione di Tutøaliya di modificare quanto era dovuto da Tarøuntašša all’amministrazione centrale (É tuppaš) risale a una delibera di ÷attušili III. Queste considerazioni e, inoltre, l’analogia delle parti corrispondenti nei due trattati con ABoT 57 (v. in proposito le osservazioni ai relativi paragrafi) fanno presumere che ÷attušili III ne fosse l’autore. V.3. Accordi di vario genere V.3.1. - Regolamentazione dell’accesso di Kurunta al SAG.UŠ: tav. br. § 10

NA4

øekur

Manca in KBo IV 10+. A. Regolamentazione verbale tramite Maraššanta, al quale ÷attušili III aveva affidato una tavoletta in proposito (tav. br. § 10 rr. 91-93), motivata dal fraintendimento di un’iscrizione dedicatoria di Muwattalli (rr. 95 e 101).

423

B. Regolamentazione di Tutøaliya, analoga a quella del padre (tav. br. § 10 rr. 99 sgg.). C. Successiva delibera di Tutøaliya a modifica della decisione precedente: tav. br. § 16 rr. 64-65 e 23 r. 51. V.3.2. Situazione matrimoniale di Kurunta e scelta dell’erede al trono: tav. br. § 19 A. Delibera inserita nella tavoletta del secondo trattato di ÷attušili e riportata nella tavoletta di bronzo § 19 rr. 85-86 e forse in KBo IV 10+ § 2 rr. 4’-5’ (molto frammentarie). B. Abrogazione da parte di Tutøaliya IV: tav. br. § 19 rr. 88-94. V.3.3. Concessione verbale di manodopera a Kurunta da parte di ÷attušili III, per intercessione di Tutøaliya, non registrata nella tavoletta del trattato: tav. br. § 9 rr. 88-91. V.4. Designazione degli accordi V.4.1 Tavoletta di bronzo

išøiul

TUPPU/TUPPU÷I.A RIKILTI

§ 3 r. 16

§ 3 r. 17 (pl.) I trattato di ÷attušili III con Kurunta (v. 544/f Ro 12’: TUPPA÷I.A [ŠA] ZAG[÷I.A) ________________________________________________________ § 4 rr. 23-24 (sing.) II trattato di ÷attušili III con Kurunta ________________________________________________________ § 5 r. 35 (pl.) (øantezzi-) I trattato di ÷attušili III con Kurunta ________________________________________________________ § 9 r. 90 (sing.) II trattato di ÷attušili III con Kurunta ________________________________________________________

424

§ 16 r. 58 I trattato di Tutøaliya IV con Kurunta -----------------------------------------------------------------------------------------§ 16 r. 59 (sing.) II trattato di ÷attušili III con Kurunta ________________________________________________________ § 17 r. 67 II trattato di Tutøaliya IV con Kurunta ________________________________________________________ [§18 r. 79 trattato con il re di Karkemiš (di Arnuwanda II o Muršili II)]60 ________________________________________________________ § 19 r. 84 (sing.), 86 (sing.) II trattato di ÷attušili III con Kurunta ________________________________________________________ § 20 r. 95 II trattato di Tutøaliya IV con Kurunta ________________________________________________________ § 24 r. 58 II(?) trattato di ÷attušili III e I trattato di Tutøaliya IV con Kurunta ________________________________________________________

išøiulaš TUPPU § 25 r. 78 II trattato di Tutøaliya IV con Kurunta

tuppi § 24 r. 75; § 25 rr. 5, 12; § 26 r. 19 II trattato di Tutøaliya IV con Kurunta

60

V. in ultimo O.R. Gurney, AnSt cit., 100 sg.

425

TUPPA/TUPPA÷I.A § 27 r. 30 (sing.); § 28 r. 44 (pl.) II trattato di Tutøaliya IV con Kurunta [TUPPU § 10 I 93 e II 2 documento di ÷attušili III per Maraššanta]

AWAT/memiya-61 NA4

øekur SAG.UŠ § 10 rr. 91, 94, (98), 100 regolamentazione di ÷attušili III e Tutøaliya IV ________________________________________________________ DINGIRLIM (§ 20 r. 13), § 24 rr. 62, (63-64: URU÷attušaš URUArinnaš URUZippalantašša memiyani) regolamentazione di ÷attušili III (?) e Tutøaliya IV ________________________________________________________ NARARI § 23 rr. 44, 53 regolamentazione di Tutøaliya IV ________________________________________________________ KUR DU-tašša § 20 rr. 2, 7 delibera di Tutøaliya IV su ipotetici eventi futuri ________________________________________________________ apa-/ka- memiya§ 19 rr. 89, 94 faccenda della sposa delibera di ÷attušili III, annullata da Tutøaliya IV

61

Si indicano soltanto i passi in cui il termine ha valore tecnico.

426

V.4.2. KBo IV 10+

išøiul

TUPPU/TUPPU÷I.A RIKILTI

§ 4 rr. 23’ I trattato di ÷attušili III con Tarøuntašša ________________________________________________________ [§ 5 r. 37’ (ŠA LUGAL) trattato con il re di Karkemiš] ________________________________________________________ § 6 r. 39’ (pl.) I trattato di ÷attušili III con Tarøuntašša ________________________________________________________ § 6 r. 38’ (ŠA KARAŠ) trattato di ÷attušili III con Tarøuntašša (= ABoT 57) ________________________________________________________ § 7 rr. 40’ (ŠA DINGIRLIM šaøøan), 42’ (v. ABoT 57 Ro ]13) trattato di ÷attušili III con Tarøuntašša (= ABoT 57) ________________________________________________________ § 16 r. 28 (sing.) trattato attuale ________________________________________________________

TUPPU/TUPPA÷I.A išøiulaš

§ 6 r. 38’ (pl.) I trattato di ÷attušili III con Tarøuntašša ________________________________________________________ § 9 r. 50 (sing.) trattato attuale ________________________________________________________ § 6 r. 39’ (ŠA KARAŠ išøiulaš TUPPU) trattato di ÷attušili III con Tarøuntašša (= ABoT 57) ________________________________________________________

427

tuppi§ 10 rr. 5, 6; § 11, r. 8; § 12 rr. ]13-14 (tuppiaš uddar) generico, riferito al trattato attuale ________________________________________________________ § 15 r. 22 (AN.BAR-aš tuppi) trattato attuale nella stesura ufficiale ________________________________________________________ § 15 r. 26 (tuppiaš memian) trattato attuale ________________________________________________________ § 15 r. 27 (tuppiaš LIM DINGIRMEŠ) trattato attuale

memiya§ 7, r. 46’, § 8 r. 48’ termine generico, riferito al testo attuale, per indicare tutto il “trattato dell’esercito” ________________________________________________________ § 9 r. 50’ termine generico per indicare l’intero trattato attuale Dagli schemi qui presentati risulta che nella tavoletta di bronzo viene usato il termine TUPPU (RIKILTI) al plurale in riferimento al primo trattato di ÷attušili III con Kurunta e al singolare in riferimento al secondo trattato intercorso sempre fra questi due sovrani.

428

VI. Datazione di ABoT 57 e KBo IV 10+ Come si è già osservato, l’analisi della tavoletta di bronzo ripropone il problema della datazione degli altri due testi riguardanti la regolamentazione dei rapporti fra ÷atti e Tarøuntašša: ABoT 57 e KBo IV 10+. Mentre per il primo documento i pareri degli studiosi generalmente concordano nell’attribuirlo a ÷attušili III, per KBo IV 10+ le opinioni divergono fra una datazione all’epoca di ÷attušili III ed una a quella di Tutøaliya IV.62 J. Lorenz63 - che però non aveva potuto tener conto degli elementi forniti dalla tavoletta di bronzo - e Th.P.J. van den Houth64 nelle loro analisi di quest’ultimo testo giungono indipendentemente alla conclusione di attribuire a Tutøaliya IV la paternità non solo di KBo IV 10+, ma anche di ABoT 57, che a loro avviso sarebbe ugualmente rivolto a UlmiTeššup. H. Otten, invece, nella parte introduttiva all’edizione della tavoletta di bronzo,65 mantiene per questo testo la datazione a ÷attušili III e, quindi, la sua destinazione per Kurunta, mentre fa risalire KBo IV 10+ a Tutøaliya IV, in epoca posteriore alla tavoletta di bronzo. Come è noto, ABoT 57 è un atto autonomo (Freibrief) confluito in KBo IV 10+ § 7, come risulta dal § 6 r. 39’ del trattato con Ulmi-Teššup. Secondo Th.P.J. van den Houth,66 dopo l’antefatto storico, che si estenderebbe in ABoT 57 fino a metà della r. 11 e in KBo IV 10+ sino alla fine di Ro 41’ - comprendendo anche la frase relativa alla intronizzazione di Kurunta in Tarøuntašša da parte di ÷attušili III e Puduøepa67 - il re (ora Tutøaliya IV) e la regina si rivolgerebbero ad

Per lo status quaestionis, v. nota 3. Op. cit., 118 sgg. 64 JCS cit., 107 sgg. 65 Op. cit., 6. 66 KBo IV 10+ cit., 52 sg.; cfr. anche J. Lorenz, op. cit., 122. 67 Sul valore di kinun in KBo IV 10+ Ro 41’ (e quindi integrato in ABoT 57 Ro 10), v. J. Lorenz, op. cit., 121, e Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+ cit., 29. 62

63

429

Ulmi-Teššup, usando la seconda persona singolare,68 per cui anche il Freibrief sarebbe diretto a lui. Tale ipotesi non ci sembra accettabile per le seguenti considerazioni: 1. è improbabile che l’espressione “re e regina”, posta in due righe molto vicine, alluda a due diverse coppie di sovrani: ÷attušili III e Puduøepa in ABoT 57 Ro ]10 e in KBo IV 10+ § 7 Ro 41’, Tutøaliya IV con la regina in ABoT 57 Ro [12] e in KBo IV 10+ § 7 Ro 42’; 2. se l’autore del Freibrief fosse stato Tutøaliya IV, riferendosi a ÷attušili III avrebbe usato l’espressione “mio padre (÷attušili)” come avviene sempre nella tavoletta di bronzo;69 3. il passaggio dalla terza alla seconda persona singolare non è qui indizio di tempi e personaggi diversi, ma del passaggio dalla narrazione degli antefatti alla locuzione diretta, come risulta anche dalla presenza della particella -wa(-) in KBo IV 10+ § 7 Ro 42’ (fine), integrata in ABoT 57 Ro 13. Inoltre il cambiamento di persona non è insolito nei testi ittiti: v. ad es. nella stessa tavoletta di bronzo i §§ 3, 19, 20, 22, 25 e in KBo IV 10+ il § 12. Infine, tenendo conto del fatto che, secondo tav. br. § 22 rr. 32-34, la prima esenzione per Kurunta dalla fornitura dei contingenti militari risale a ÷attušili III, ci sembra più verosimile un’attribuzione di ABoT 57 a quest’ultimo sovrano. Per quanto riguarda KBo IV 10+, il confronto fin qui condotto con la tavoletta di bronzo mostra che esso contiene sia il secondo “trattato dei confini” (con gli ampliamenti su esposti), a nostro avviso stilato da ÷attušili III per Kurunta, sia il Freibrief ABoT 57, sempre di ÷attušili III per Kurunta. Appaiono particolarmente significativi in tal senso i seguenti riferimenti: 1. la definizione dei confini, che in KBo IV 10+ risulta essere quella fissata da ÷attušili III per Kurunta, mentre non vi si tiene conto delle modifiche apportate da Tutøaliya IV: v. § 3-4; 2. la concessione di :kuwappala, che in KBo IV 10+ § 5 riproduce il decreto di ÷attušili III per Kurunta (senza la menzione dei nomi dei due contraenti), come risulta dal § 11 della tavoletta di bronzo; 68 69

“a te”: ABoT 57 Ro 12 e KBo IV 10+ Ro 42’. V. H. Otten, op. cit., Glossar, 86, s.v. ABU, e 91, s.v. ÷attušili.

430

3. la scelta del successore al trono di Tarøuntašša, che in KBo IV 10+ § 2 si riallaccia a un decreto di ÷attušili III (espresso con una voce verbale alla prima persona singolare e al tempo presente), abolito da Tutøaliya IV in tav. br. § 19; 4. l’assenza in KBo IV 10+, a conclusione della definizione dei confini, della notizia dell’assegnazione da parte di ÷attušili III (ma su esplicita richiesta di Tutøaliya IV) al re di Tarøuntašša di territori e manodopera, assegnazione registrata invece nel § 9 della tavoletta di bronzo, dove peraltro Tutøaliya rileva che ciò “non è stabilito nella tavoletta del trattato di mio padre” (r. 90).70 Si nota inoltre l’assenza in KBo IV 10+, rispetto alla tavoletta di bronzo, di varie disposizioni, che, stando a quanto dice Tutøaliya, non facevano parte di accordi scritti fra ÷attušili e Kurunta: v. per esempio la faccenda del NA4øekur SAG.UŠ, su cui esisteva soltanto la tavoletta consegnata a Maraššanta, almeno stando a quanto è scritto in tav. br. § 10. Vi sono inoltre elementi interni al testo che portano ad una datazione a ÷attušili III della maggior parte delle disposizioni contenute in KBo IV 10+: 1. la presenza della regina a fianco del re - oltre che nel § 7, che riporta con alcune varianti ABoT 57, anche nei §§ 10 e 11 (dove è menzionato con loro pure il figlio), contenenti le formule di maledizione e di benedizione71 - può a nostro avviso costituire un elemento a favore della datazione di questo testo a ÷attušili III. Infatti nei testi “politici” sicuramente databili a Tutøaliya IV (come, per es., oltre che alla stessa tavoletta di bronzo, le istruzioni per i dignitari e il trattato con Šaušgamuwa di Amurru) non compare la regina,72 la cui presenza è invece frequente nei testi di ÷attušili III.

70 Si potrebbe obiettare che il trattato è diretto a Ulmi-Teššup, tuttavia è ormai generalmente riconosciuto che riproduce in gran parte gli accordi stipulati con Kurunta. 71 Paragrafi ritenuti da J. Lorenz, op. cit., 119, e da Th.P.J. van den Hout, JCS cit., 104, come posti a conclusione del primo trattato stilato da Tutøaliya IV per UlmiTeššup anteriormente a KBo IV 10+, nel quale erano confluiti accordi precedenti. 72 La presenza di Puduøepa, a fianco di Tutøaliya nel testo relativo all’assegnazione dei beni di Šaøurunuwa, può essere dovuta al fatto che Tutøaliya era subentrato al posto del padre, probabilmente defunto nel corso della preparazione dell’atto.

431

L’assenza della regina a fianco del re nei §§ 12-15 può offrire un sostegno all’ipotesi che essi costituiscano - insieme alla lista dei testimoni - un’aggiunta posteriore dell’epoca di Tutøaliya IV.73 2. L’assenza di preoccupazione da parte del sovrano per la stabilità del potere suo e dei suoi discendenti - preoccupazione che invece caratterizza molti documenti di Tutøaliya IV - riporta ancora a ÷attušili III. 3. La presenza di IŠTAR di Šamuøa e di IŠTAR di Lawazantiya, divinità protettrici di ÷attušili III, nel § 8, dove peraltro si rileva l’assenza di Šarruma, dio personale di Tutøaliya IV - presente infatti in tav. br. § 24 - rendono plausibile una datazione all’epoca di ÷attušili III.74 È per noi significativo il fatto che Šarruma compaia invece nel § 15, che costituisce, come si è detto, un’aggiunta posteriore. 4. Anche il luogo di redazione della tavoletta - la città di Urukina sembra portare in questa direzione. VII. Conclusioni La datazione all’epoca di ÷attušili III, conseguente a quanto detto sopra per le parti costitutive di KBo IV 10+, se estesa all’intero documento, comporterebbe: 1. una sequenza sul trono di Tarøuntašša in quest’ordine: Kurunta (÷attušili III) - Ulmi-Teššup (÷attušili III) - Kurunta (Tutøaliya IV); oppure 2. una identificazione Kurunta = Ulmi-Teššup, considerando l’uno nome dinastico, l’altro nome di nascita.75 A tali ipotesi si oppongono però i seguenti elementi e considerazioni: per quanto riguarda il punto 1, l’assenza di ogni notizia in proposito nei documenti contemporanei e successivi qui pervenutici e, soprattutto, in KBo IV 10+ - dove però l’esposizione degli antefatti storici è andata V. in ultimo le osservazioni di J. Lorenz, locc. citt., e di Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+ locc. citt., sulla stratificazione di questo testo, che essi però attribuiscono complessivamente a Tutøaliya IV, come anche ABoT 57. 74 Per la presenza di Šarruma nella lista delle divinità protettrici del trattato, v. nota 55. 75 V. la bibliografia in proposito presso G. Beckman, WO cit., 290 nota 6. 73

432

perduta - e nella tavoletta di bronzo, sia nella parte introduttiva che al suo interno. Stupisce che Tutøaliya non parli del fatto di aver reinsediato Kurunta sul trono di Tarøuntašša proprio nella tavoletta di bronzo, dove egli cerca costantemente di evidenziare le sue benemerenze nei confronti di Kurunta rispetto al padre. Una sostituzione di Kurunta con Ulmi-Teššup da parte di ÷attušili III poteva essere stata provocata soltanto da colpe molto gravi di Kurunta, commesse soprattutto allo scopo di impadronirsi del potere regio in ÷atti, al quale del resto egli aveva diritto di aspirare in quanto figlio di Muwattalli.76 Tale paternità riferita a Kurunta si può dedurre dai testi di Tutøaliya IV finora pervenuti, ma non è esplicitata, forse perché il riconoscerla poteva implicare un pericolo per il potere regio, in quanto ne avrebbe messo in discussione la legittimità. Il fatto poi che Tutøaliya avesse reinsediato Kurunta sul trono di Tarøuntašša comporterebbe che questi dopo la sua deposizione avesse stretto complicità con Tutøaliya per aiutarlo a subentrare al fratello maggiore nella carica di LÚtuøukanti (v. tav. br. §§ 13, 14). È vero che Tutøaliya non avrebbe fatto alcun riferimento ad una sua complicità con Kurunta se volta a tale scopo, ma certo avrebbe dovuto offrire qualche motivazione del reinsediamento di Kurunta, sia pure in modo deviante e a scopo strumentale. Ed anche la frequente enfatizzazione nella tavoletta di bronzo dell’amicizia di Tutøaliya con Kurunta, oltre tutto presentata come sancita dal padre, non troverebbe una collocazione plausibile in un contesto in cui fosse nota la deposizione di Kurunta e la sua sostituzione con Ulmi-Teššup proprio da parte di ÷attušili III. Per quanto concerne il punto 2, appare strano che due atti ufficiali, come KBo IV 10+ e la tavoletta di bronzo, siano diretti ad una stessa persona appellandola in due modi diversi, tanto più che nel primo documento sono presenti entrambi i nomi.77

76 Si potrebbe inserire in tale contesto il sigillo con la scritta “Kurunta, Gran re, Labarna, Mio Sole”, su cui v. H. Otten, op. cit., 5. 77 Kurunta, in § 7 Ro 41’ e Ulmi-Teššup, passim: v. Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+ cit., 375 sg., ss.vv.

433

L’esclusione delle ipotesi ai punti 1 e 2 porta necessariamente alla collocazione di KBo IV 10+ posteriormente, anche se di poco tempo, alla tavoletta di bronzo. KBo IV 10+ appare quindi - come è stato già da tempo rilevato - un testo composito, in cui Tutøaliya IV ha raccolto e messo insieme per Ulmi-Teššup almeno due trattati stilati da ÷attušili III per Kurunta.78 Si accorda con tale ipotesi la presenza di Šarruma limitata al solo § 15, che fa parte, come abbiamo osservato, di quei paragrafi considerati concordemente come aggiunte posteriori.79 A questi paragrafi appartiene anche il § 13, che contempla la possibilità di concordare modifiche ai confini fissati, in deroga all’accordo stabilito mediante giuramento. Questa disposizione, assente in quanto tale nella tavoletta di bronzo, può tuttavia aver tratto in seguito ispirazione dagli aggiustamenti di confine lì effettivamente operati da Tutøaliya in favore di Kurunta. Quindi, in base a quanto esposto fin qui, Ulmi-Teššup risulta essere stato il successore di Kurunta sul trono di Tarøuntašša. Se, come è probabile, Ulmi-Teššup è da identificare col ben noto personaggio al quale sembra fosse stata affidata la custodia di ÷attuša durante la contesa di ÷attušili III con Urøi-Teššup, si deve escludere che a Kurunta fosse succeduto un figlio, come invece era previsto nella

Sulle varie ipotesi relative alla formazione del testo, v. in ultimo J. Lorenz, op. cit., 117 sgg. e Th.P.J. van den Hout, JCS cit, 104 sgg. 79 Inoltre Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+ cit., 120, pur trovando sorprendente la presenza di Mašduri fra i testimoni della tavoletta di bronzo, osserva che l’assenza di questo sovrano nella lista dei testimoni di KBo IV 10+ potrebbe essere indizio della posteriorità di questo trattato, anche se fra i testimoni di esso non si parla affatto del paese del fiume Šeøa. Secondo F. Imparati, FsAlp, la presenza di Mašduri nella tavoletta di bronzo appare pienamente in accordo con la politica di Tutøaliya IV nei riguardi dell’Anatolia occidentale nel primo periodo del suo regno e con la grande importanza che il paese del fiume Šeøa era venuto ad assumere in tale contesto (cfr. I. Singer, AnSt 33 [1983] 205-217, con bibliografia), mentre all’epoca del trattato con Ulmi-Teššup la presenza in esso, fra i testimoni, dei sovrani di Karkemiš e di Išuwa si giustificherebbe, fra l’altro, anche con l’ipotesi di un successivo spostamento della politica internazionale di Tutøaliya IV, tesa al mantenimento del controllo nell’Anatolia sud-orientale. Quindi, pur considerando per vari motivi KBo IV 10+ posteriore alla tavoletta di bronzo, essa non ritiene indicativa in tal senso la presenza o l’assenza di Mašduri fra i testimoni dei due documenti. 78

434

tavoletta di bronzo.80 A questa conclusione porta anche il fatto che Tutøaliya IV nel trattato stilato con Ulmi-Teššup si sia richiamato agli accordi del padre per Kurunta, senza tener conto di quanto egli stesso aveva stabilito, sempre per Kurunta, nella tavoletta di bronzo. Anche se i documenti contemporanei e successivi non presentano finora espliciti riferimenti a tale situazione, vi sono tuttavia degli indizi che permettono di tentare una ricostruzione degli eventi che hanno portato Kurunta e poi Ulmi-Teššup al potere regio. Kurunta fu insediato sul trono di Tarøuntašša da ÷attušili III, che istituì per lui la regalità di questo paese, verosimilmente perché esso aveva acquisito importanza proprio ad opera di Muwattalli; farne quindi re il figlio di questo rientrava in un quadro di continuità e di legittimità e poteva anche tutelare e rafforzare lo stesso potere del sovrano ittita. ÷attušili, salito illegalmente al trono al posto di un figlio di Muwattalli, ha sempre voluto allontanare da sé qualsiasi sospetto di insubordinazione e di rivalità nei confronti del fratello e della sua famiglia. Ciò risulta infatti evidente dalla sua autobiografia e da molti altri suoi documenti, dove egli non si mostra mai in posizione conflittuale neppure nei confronti di Urøi-Teššup, al quale è subentrato - secondo la sua versione dei fatti - per volere divino. ÷attušili tende a mostrare la sua paterna benevolenza nei confronti di Kurunta, che menziona nella sua autobiografia non lontano dal figlio Tutøaliya (÷att. IV 62 sgg. e 76 sgg.) proprio nell’ultima parte del testo, in cui il sovrano ittita, ormai stabile nel potere, sembra voler lasciare la sua eredità politica proprio a loro, i soli indicati esplicitamente in tal senso. Tale legame fra i due cugini viene messo in evidenza - sia pure forse strumentalmente - anche da Tutøaliya IV nella tavoletta di bronzo e fatto da lui risalire all’epoca del padre. Così ÷attušili, insediando Kurunta sul trono di Tarøuntašša, gli conferisce come beneficio quanto questi, come figlio di Muwattalli e forse già personalmente potente, poteva pretendere legalmente ed anche conquistarsi da solo. Era forse questo un modo per ÷attušili di tentare di vincolare a sé il nipote e contemporaneamente di limitarne il potere. Le norme di successione non sarebbero state rispettate neppure nel caso che il trattato con Ulmi-Teššup avesse preceduto la tavoletta di bronzo. 80

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In tale contesto questo sovrano ittita stila un trattato evidentemente il primo - del quale Kurunta stesso dà notizia in 544/f, dove egli si definisce come DUMU.LUGAL (Ro 5’), designazione che porta anche nel sigillo ivi presente. È probabile che in questo trattato o in un atto ad esso collegato ÷attušili III avesse fissato gli obblighi di Kurunta verso le divinità di Tarøuntašša - a cui ovviamente egli doveva ora provvedere in quanto sovrano di uno stato divenuto autonomo - e le forniture militari dovute a ÷attuša da parte di questo paese. Gli oneri militari vengono poi ridotti a favore delle divinità in un atto appositamente stilato: ABoT 57. Certo l’esistenza stessa di Kurunta, anche se insediato in una regalità di rango inferiore, poteva riproporre continuamente il problema della legittimità del potere di ÷attušili. Risale verosimilmente a tale motivo la proibizione verbale da parte di questo sovrano relativa all’accesso di Kurunta al NA4øekur SAG.UŠ, anche se essa fu successivamente annullata. Malgrado la presumibile consapevolezza di ÷attušili del pericolo che il nipote poteva costituire, tuttavia gli atti politici di questo re ittita non manifestano, almeno nel primo periodo del suo regno, un eccessivo timore in tal senso. Ciò viene dimostrato dal fatto che Tutøaliya, nell’intento di evidenziare la sua benevolenza verso Kurunta, o porta innovazioni alle più recenti decisioni del padre o ne segue le prime delibere, quelle cioè più favorevoli a Kurunta. Così anche rispetto alla questione del NA4øekur SAG.UŠ, Tutøaliya in un primo tempo si attiene a quanto deciso dal padre (tav. br. § 10), salvo poi concedere ancora di più (tav. br. § 16). In seguito, in conseguenza dell’accresciuto potere sia di ÷attušili che di Kurunta,81 il sovrano ittita redige per il nipote un secondo trattato più riduttivo, almeno stando a quanto tende ad evidenziare Tutøaliya nella tavoletta di bronzo - riguardante l’estensione del territorio di Tarøuntašša, e alcuni accordi e delibere. In questo secondo trattato era presumibilmente inserita la clausola relativa all’imposizione per Kurunta di una sposa scelta dalla regina ittita e dell’obbligo di nominare erede il figlio nato da quella. È nota per esempio l’attività politica di Kurunta nel sud e nel sud-ovest dell’Anatolia: v. in ultimo Th.P.J. van den Hout, RA cit., 91 sg. 81

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Sembra questo un tentativo di ÷attušili di ridimensionare il potere e il prestigio di Kurunta, assimilandone la posizione a quella di un normale vassallo. Questa delibera deve essere attribuita all’ultimo periodo del regno di ÷attušili, visto che essa non aveva ancora trovato applicazione al momento della stesura della tavoletta di bronzo. Tutøaliya, salito al trono, rinnova anche lui gli accordi con Kurunta in senso più favorevole, come abbiamo più volte rilevato, di quelli del padre. Ciò risulta infatti da: - modifiche territoriali, tese in parte a ristabilire quanto era stato abolito da ÷attušili III nel secondo trattato nei confronti del primo e in parte a innovare (prima parte della tavoletta di bronzo); - completa libertà di scelta dell’erede al trono e automaticità dell’ordine di successione, rispetto alle limitazioni imposte a Kurunta da ÷attušili e a quelle che lo stesso Tutøaliya stabilirà poi per Ulmi-Teššup (seconda parte della tavoletta di bronzo); - risoluzione della faccenda del NA4øekur SAG.UŠ (seconda parte della tavoletta di bronzo); - assicurazione a Kurunta della non utilizzazione in servizi stabili dei contingenti da lui forniti (seconda parte della tavoletta di bronzo). L’intenzione di Tutøaliya di favorire Kurunta emerge anche dal racconto del suo intervento presso il padre per la concessione a Tarøuntašša di territori e manodopera (v. tav. br. § 9). Tale intento trova, a nostro avviso, conferma anche nell’assenza nella tavoletta di bronzo (§ 20) della formula giuridica di minaccia di distruzione totale per quel discendente del re di Tarøuntašša macchiatosi di qualche colpa verso il sovrano ittita, formula invece presente in KBo IV 10+ § 2, oltre che in altri documenti di ÷attušili e Tutøaliya.82 I favori rivolti da Tutøaliya a Kurunta e l’enfatizzazione del loro lungo rapporto di amicizia si possono interpretare sia come forma di compenso da parte del sovrano ittita per un aiuto ricevuto in occasione della sua ascesa al trono,83 sia come sintomo di debolezza di questi nei confronti del cugino divenuto ormai troppo potente. 82 83

V. notazione al § 20 della tavoletta di bronzo. Sulla cui irregolarità si vedano le nostre osservazioni al paragrafo relativo.

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Il timore per la stabilità del suo potere, che abbiamo visto caratterizzare molti documenti di Tutøaliya IV, può spiegare l’anomalia dell’ipotesi di una punizione divina nei confronti di quel sovrano ittita che non terrà fede ai patti (tav. br. § 24), previsione di norma riguardante soltanto il sovrano vassallo. Tale timore può giustificare anche il fatto che si arrivi a ipotizzare in tav. br. § 21 addirittura la deposizione di un sovrano ittita e in tav. br. § 25 che Kurunta possa aspirare alla regalità di ÷atti. La pericolosità di Kurunta - accresciuta anche dalla realtà incontestabile di essere figlio di Muwattalli - traspare dal tenore di tutta la tavoletta di bronzo, sì che Tutøaliya non sa trovare per lui altro deterrente se non l’ipotesi che un fratello di questi possa aspirare al trono di Tarøuntašša (tav. br. § 20 II 96-97). Tale ipotesi era, del resto, già stata utilizzata da ÷attušili per Kurunta - come si può dedurre da KBo IV 10+ § 2 Ro 7’-8’ (corrispondente al secondo trattato di ÷attušili per Kurunta) - ripresa in questo passo anche per Ulmi-Teššup, che pur non sembra aver costituito un qualche pericolo. La successione al trono di Tarøuntašša, stabilita da Tutøaliya IV nella tavoletta di bronzo, non sembra essere stata rispettata, visto che poco tempo dopo questo sovrano stipula un trattato col nuovo re di Tarøuntašša, Ulmi-Teššup (KBo IV 10+). Questo testo è cronologicamente vicino alla tavoletta di bronzo per la presenza di gran parte degli stessi personaggi posti come testimoni a conclusione dei due atti. La loro corrispondenza con molti di quelli elencati nel testo per Šaøurunuwa - ritenuto uno dei primi atti politici di Tutøaliya IV per la menzione con lui della madre Puduøepa - conferma la datazione dei due trattati al primo periodo di regno di questo sovrano.84 Non conosciamo finora le motivazioni dell’uscita di scena di Kurunta e del mancato rispetto degli accordi relativi alla sua successione. Accettando la datazione proposta da Th.P.J. van den Hout85 per le due lettere egiziane relative ad una malattia di Kurunta all’epoca di Tutøaliya IV, nei primi anni del suo regno, si potrebbe presumere che la scomparsa di Kurunta fosse avvenuta in conseguenza di tale malattia. 84 85

Cfr. H. Otten, op. cit., 6 sgg. RA cit., 90.

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In tal caso o Kurunta era morto senza eredi - cosa che non sembra molto probabile, sia per la sua non giovane età, sia per il tono del § 19 della tavoletta di bronzo86 - o gli eventuali eredi non erano graditi al sovrano ittita, né avevano la forza di far valere i propri diritti. È però possibile anche che egli sia stato deposto in seguito a un tentativo di colpo di stato per impadronirsi della regalità ittita, ciò che potrebbe trovare conferma nelle varie impronte, rinvenute a Boˆazköy, del sigillo contenente la scritta “Kurunta, Gran Re, Labarna, Mio Sole”.87 Il fatto che tale sigillo non fosse stato ultimato (manca infatti ai bordi l’iscrizione cuneiforme) mostra che questo tentativo non era riuscito. Esso però potrebbe aver provocato la deposizione o eliminazione di Kurunta e la decadenza di ogni impegno da parte ittita verso i suoi eredi. L’insediamento sul trono di Tarøuntašša di Ulmi-Teššup più fedele e forse anche meno pericoloso, perché presumibilmente non facente parte della famiglia di Muwattalli88 e inoltre già in età avanzata - poteva servire a Tutøaliya per ridimensionare una regalità rivelatasi troppo incomoda. Proprio in vista di ciò Tutøaliya, ignorando intenzionalmente i benefici da lui stesso concessi a Kurunta nella tavoletta di bronzo, si rifà nel trattato con Ulmi-Teššup alle più recenti delibere del padre, che questi aveva inserito nel secondo trattato con Kurunta. In accordo appunto con questo trattato, anche in KBo IV 10+ mancano, rispetto alla tavoletta di bronzo, le disposizioni ivi contenute nel § 9, quelle relative al NA4øekur SAG.UŠ, e inoltre ogni forma di enfatizzazione dei meriti di fedeltà e di amicizia del partner - che caratterizza invece la descrizione dei rapporti fra Tutøaliya e Kurunta non più necessaria nella nuova situazione politica. Inoltre, le disposizioni relative al “trattato dell’esercito” e al “trattato (del) šaøøan della divinità” in KBo IV 10+ sono concentrate nel § 7, che si rifà direttamente ad ABoT 57 - a nostro avviso redatto da ÷attušili III

86 Laddove si lascia a Kurunta completa libertà di scelta dell’erede al trono fra i figli o della moglie designata dalla regina o di qualche altra donna, che potevano anche essere già nati. 87 Per la datazione del sigillo a partire dall’epoca di Tutøaliya IV, v. H. Otten, op. cit., 4 nota 11. Per una nuova proposta di lettura del segno geroglifico L 277, v. ora O. Carruba-C. Mora, Or 59 (1990) 143 sgg. 88 V. notazione al § 2 di KBo IV 10+.

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- mentre nella tavoletta di bronzo sono distribuite in più paragrafi (§§ 12, 22, 23, 24), con diversa e più ampia formulazione. L’apparente eccezione nel trattato con Ulmi-Teššup, costituita dall’assimilazione della posizione cerimoniale del re di Tarøuntašša con quella del re di Karkemiš - inserita in KBo IV 10+ in un contesto non pertinente (§ 5 Ro 37’) e nella tavoletta di bronzo nella parte del “nuovo” trattato, quello redatto proprio da Tutøaliya per Kurunta (§ 18) - può essere effettivamente opera dello scriba per “associazione di idee”, come già abbiamo detto nel commento al paragrafo. Ciò viene quindi a costituire uno dei pochi elementi di recenziorità nella composizione di KBo IV 10+ rispetto alla tavoletta di bronzo. Quindi Tutøaliya, limitando il potere di Ulmi-Teššup, tende ad assimilarlo ad un normale sovrano vassallo, come già suo padre, negli ultimi anni di regno, aveva tentato di fare con Kurunta. Tale tentativo, del resto, era più facilmente realizzabile con una persona che non appartenesse alla stirpe di Muwattalli e che non potesse quindi vantare titoli per aspirare anche alla regalità ittita. Questo può trovare conferma nell’assenza in KBo IV 10+ § 2 - nella parte corrispondente a tav. br. § 20 - di ogni allusione alla discendenza di Muwattalli.89 Inoltre, nel trattato con Ulmi-Teššup non si nota quell’atmosfera di preoccupazione e di sospetto che - abbiamo detto caratterizza i testi “politici” di Tutøaliya IV. Già da tempo è stata rilevata la struttura particolare di KBo IV 10+ rispetto a quella tipica dei trattati internazionali.90 Poiché anomalie simili si riscontrano anche nella tavoletta di bronzo - la quale però si esprime in forma più accurata ed anche in modo più chiaro e dettagliato91 - ci

Con ciò si accordano le considerazioni di Th.P.J. van den Hout, JCS cit., 105, con nota 14, a proposito della faccenda del NA4øekur SAG.UŠ diversamente da H. Otten, ivi cit. 90 V. E. von Schuler, FsBossert (1965) 455-457, e cfr. anche pp. 459 sgg., infra. V. inoltre D.J. Mc Carthy, Treaty and Covenant2, Roma 1978, 51-81, infra, con bibliografia precedente. 91 V. Th.P.J. van den Hout, JCS cit., 112 sg., ritiene che le scorrettezze di KBo IV 10+ dipendano dal fatto che si trattava di un primo abbozzo per la redazione definitiva nella tavoletta di ferro. 89

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sembra lecito presumere che ciò dipenda dalla particolare natura92 del paese destinatario dei due atti e della regalità in esso istituita. Si rileva inoltre la presenza in questi due trattati di una dettagliata e ampia descrizione dei confini del territorio assegnato a Tarøuntašša e di una lunga lista di testimoni a conclusione dell’atto. Tali elementi richiamano aspetti importanti del contemporaneo testo per Šaøurunuwa e dei più antichi atti di donazione di terre.93 Così Tarøuntašša, nata come “capitale “ del regno ittita, trasformata poi in stato autonomo per sistemare il figlio di Muwattalli, continuava ad essere considerata dai sovrani di ÷attuša come parte, se pur separata, del territorio ittita e non mostra quegli aspetti distintivi di un paese con una lunga tradizione storica. Tant’è vero che le sue attestazioni, per lo meno allo stato attuale, sono legate a questo particolare momento e non ricorrono più.94 L’assimilazione del suo sovrano con quello di Karkemiš sembra limitatata soltanto al rango, dal momento che non risulta dalla documentazione contemporanea e posteriore che i sovrani di Tarøuntašša avessero svolto un ruolo pari a quello del re di Karkemiš nella politica internazionale dello stato ittita.95

92 Per es., la presenza dei “conjiurati” in alcuni trattati deriva dal fatto che i paesi contraenti non erano retti a struttura monarchica: v. E. von Schuler, op. cit., 449 sgg. 93 Cfr. F. Imparati, Šaøur., 148 sg. con note 3-5 e pp. 164 sgg., con bibliografia. Si ricorda inoltre l’assegnazione di località e di lavoratori nel § 9 della tavoletta di bronzo e la formula EGIR-an tarna- in KBo IV 10+ § 2 Ro 12’, avvicinata da H. Otten, StBoT 24, 29, alla formula NAŠU ... NADANU: v. anche la notazione a quest’ultimo paragrafo. 94 V. RGTC 6, 467 sgg. 95 L’attività di Kurunta nell’Anatolia occidentale non è ben collocabile cronologicamente, né risulta chiaro se la natura del suo intervento fosse legata a particolari circostanze: cfr. Th.P.J. van den Hout, RA cit., 91-92.

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XXI.

SIGNIFICATO POLITICO DELLA SUCCESSIONE DEI TESTIMONI NEL TRATTATO DI TUT÷ALIYA IV CON KURUNTA1

I. PREMESSA E CONFRONTO CON LE LISTE DI TESTIMONI DI ALTRI DUE DOCUMENTI CONTEMPORANEI Com’è noto, nel luglio del 1986, nel corso degli scavi che hanno luogo annualmente a ÷attuša, l’odierna Boˆazköy, in occasione di un lavoro di restauro alla parete interna delle mura della città, a circa m.35 ad occidente della cosiddetta “porta della sfinge”, a cm. 30 sotto il livello del selciato, è venuta alla luce una tavoletta di bronzo contenente la redazione completa di un trattato internazionale, stipulato dal sovrano ittita Tutøaliya IV con Kurunta, re di Tarøuntašša, databile, secondo H. Otten che lo ha pubblicato, al 1235 a.C. Si tratta di una tavoletta rettangolare perfettamente conservata, della superficie di cm.35 x 23,5, di uno spessore di mm. 8-10 e del peso di kg.5. Essa presenta sul lato più corto vicino agli angoli due fori, attraverso i quali passavano due catene di bronzo lunghe ciascuna cm.31, unite in fondo da lunghi lacci piegati a forma di arpioni, che potevano forse servire per attaccarvi i sigilli - sappiamo infatti dal testo del trattato che esso era provvisto di due sigilli - o per appendere la tavoletta. È difficile spiegare il motivo per cui questa tavoletta si trovasse lì: forse perché era stata appesa alle mura o ad una delle porte della città, per essere visibile a tutti,2 o forse perché era stata persa, in epoca 1 Per le abbreviazioni bibliografiche, mi sono attenuta a quelle presenti in J. Friedrich-A. Kammenhuber, Hethitisches Wörterbuch2 (= HW2), Heidelberg (1975 sgg.) e in The Hittite Dictionary of the Oriental Institute of the University of Chicago (= CHD), Chicago (1980 sgg.). (In questa riedizione le abbreviazioni sono state uniformate in tutto il volume [n.d.c.]). 2 Si confronti, ad esempio, quanto si legge nella “tavoletta di Anitta” Ro 33 (E. Neu, StBoT 18 [1974] 12 sg.): “Queste parole su(?) una tavoletta alla mia porta (cioè, alla porta del Palazzo)[ (si trovano?/sono visibili?)”.

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posteriore alla stesura del documento, durante una fuga, in una grave situazione di emergenza, nel corso della quale si portavano via dagli archivi i documenti più importanti3 (il bronzo, fra l’altro, poteva anche essere fuso e riutilizzato).4 Il ritrovamento di questo atto è stato estremamente importante, per vari motivi. In primo luogo perché, pur essendo noto che la redazione definitiva dei trattati internazionali vicino-orientali antichi veniva fatta su tavolette di metallo, come argento, ferro, bronzo, munite del sigillo reale, non ci era però finora pervenuto alcun originale di questi documenti, ma soltanto le copie su tavolette di argilla compilate per gli archivi palatini e templari, senza il sigillo reale.5 Inoltre questo documento, pubblicato integralmente e con molta solerzia e cura da H. Otten nel 1986,6 fornisce nuovi importanti elementi per la conoscenza della situazione politica interna ed esterna dell’impero ittita in quel periodo e per convalidare o rivedere alcune ipotesi, formulate in proposito dagli studiosi prima di questo importante reperimento. Dopo la pubblicazione di questo testo sono usciti nel 1989 e nel 1990 un articolo di Th.P.J. van den Hout,7 a proposito della cronologia dei trattati di Tarøuntašša, e alcune brevi recensioni.8 Nel giugno 1990 ho inviato ad Ankara, per gli studi in onore di S. Alp, un articolo9 a proposito dei testimoni elencati a conclusione di questo trattato, in 3 Si ricorda, a titolo esemplificatorio, il ritrovamento durante gli scavi effettuati ad Alalaø, nel IV livello (XV sec. a.C.), nel cosiddetto “palazzo di Niqmepa”, in un cortile esterno e attraverso le stanze che conducono ad esso da un piccolo archivio, di numerose tavolette che sembrava fossero cadute durante un precipitoso esodo. 4 Si potrebbe anche ipotizzare - ma ciò mi sembra meno probabile - che questa tavoletta fosse stata collocata vicino alle mura della città semplicemente a scopo apotropaico. 5 Del trattato stipulato fra ÷attušili III e Ramses II d’Egitto ci sono giunte anche le copie in geroglifico della redazione egiziana, venute alla luce nel tempio di Karnak e nel Ramesseo. 6 Die Bronzetafel aus Bogazköy (= StBoT Beiheft 1 [1988]). 7 JCS 41 (1989) 100-114. 8 H.C. Melchert, Kratylos 35 (1990) 204-206, di contenuto soprattutto linguistico, e G. Beckman, WO 20-21 (1989-90) 289-294. 9 “A propos des témoins du traité avec Kurunta de Tarøuntašša” (vedi FsAlp [1992] 307-322 [n.d.c.]).

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confronto anche con altri documenti, mettendo soprattutto in rilievo le implicazioni storiche che comporta la loro presenza in tale atto. Inoltre, nel maggio 1991 è stato consegnato alla stampa un articolo, che ho scritto in collaborazione con F. Pecchioli Daddi e che uscirà entro la fine di questo anno, su “Le relazioni politiche intercorse fra ÷atti e Tarøuntašša all’epoca di ÷attušili III e Tutøaliya IV”.10 Quasi a conclusione di questtultimo lavoro, nello scorso mese di aprile, Th.P.J. van den Hout mi ha gentilmente inviato la sua tesi di dottorato,11 discussa nel 1989 ma non ancora pubblicata, dove si prende in esame il ben noto trattato stipulato da Tutøaliya IV con Ulmi-Teššup di Tarøuntašša (KBo IV 10+), in relazione anche ad altri testi contemporanei. In questo saggio c’è pure un ampio studio prosopografico sui testimoni di tale documento, in rapporto con quelli presenti in un atto emanato da Tutøaliya IV e da sua madre Puduøepa per Saøurunuwa12 e con quelli menzionati nella tavoletta di bronzo, di cui Th.P.J. van den Hout aveva ricevuto la lista da H. Otten. Lo studioso olandese però non conosceva ancora, nel corso della preparazione del suo lavoro, il contenuto della tavoletta di bronzo. Non ho potuto, ovviamente, tener conto di questo saggio nel mio articolo per gli studi in onore di S. Alp, articolo che ha, del resto, un’impostazione totalmente diversa. Tuttavia, vedo ora che, pur percorrendo talora strade differenti, questo studioso ed io siamo spesso pervenuti agli stessi risultati riguardo all’identificazione o meno di alcuni personaggi. Soltanto nell’ottobre 1991, a conclusione della stesura definitiva del testo di questo seminario, ho potuto vedere l’articolo di H. Klengel contenente i prolegomena ad una biografia di Tutøaliya IV,13 del quale articolo ho cercato, per quanto mi è stato possibile, di tener conto in questo lavoro. Come si è detto sopra, la tavoletta di bronzo contiene il trattato stipulato da Tutøaliya IV agli inizi del suo regno con Kurunta, re di EOTHEN 4 (v. EOTHEN 4 [1991] 23-68 [n.d.c.]). KBo IV 10 + (CTH 106). Studien zum spätjunghethitischen Texte der Zeit Tuthalijas IV, Akademisch Proeschrift, Amsterdam 1989 (= KBo IV 10+). 12 CTH 225: v. F. Imparati, Šaøur. 13 AoF 18 (1991) 224-228. 10

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Tarøuntašša. Questo paese, com’è noto, aveva acquisito importanza all’epoca e ad opera di Muwattalli II, che vi aveva trasferito la capitale del regno ittita o per motivi di sicurezza di fronte al pericolo kaskeo, o per essere più vicino alle zone di operazione in Anatolia occidentale e in Siria, o per ambedue i motivi. Alla sua morte, suo figlio Urøi-Teššup riportò la capitale a ÷attuša, quindi ÷attušili III, divenuto re di ÷atti dopo aver detronizzato il nipote, istituì per Kurunta, verosimilmente figlio di Muwattalli e fratello di Urøi-Teššup, la regalità di Tarøuntašša, presumibilmente per frenarne le aspirazioni, del resto non del tutto illegittime, al trono di ÷atti. Tutøaliya IV, alla sua ascesa al trono, riconfermò la decisione del padre e stipulò con Kurunta un trattato (la tavoletta di bronzo, appunto), rifacendosi in gran parte al primo trattato, a noi non pervenuto, redatto da ÷attušili III per Kurunta al momento dell’ insediamento di questo sul trono di Tarøuntašša,14 portandovi però qualche modifica in senso più favorevole a Kurunta. A Kurunta successe sul trono di Tarøuntašša Ulmi-Teššup,15 con cui Tutøaliya IV fece un trattato (KBo IV 10+),16 riallacciandosi ad un secondo trattato, più restrittivo, stipulato da ÷attušili III con Kurunta, anche questo non pervenutoci, ma che si può individuare attraverso riferimenti nel documento per Ulmi-Teššup. Col porre sul trono di Tarøuntašša questo sovrano, che non sappiamo se fosse in qualche modo legato da vincoli di parentela con Kurunta,17 Tutøaliya non tenne conto dell’impegno da lui preso nella tavoletta di bronzo, e cioè di

Sull’utilizzazione di trattati e accordi di vario tipo stipulati da ÷attušili III con Kurunta e riutilizzati da Tutøaliya IV nei suoi due trattati con Tarøuntašša, v. in ultimo F. Imparati-F.Pecchioli Daddi in EOTHEN 4 cit. 15 H. Klengel, AoF 18 (1991) 231 sgg., attribuisce invece a ÷attušili III la paternità del trattato stipulato con Ulmi-Teššup, accettando l’identificazione, a suo tempo proposta da H.G. Güterbock, di quest’ultimo sovrano con Kurunta: a tal proposito, si vedano invece le osservazioni di F. Imparati-F. Pecchioli Daddi in EOTHEN 4. 16 V. per ultimi J. Lorenz, Der Vertrag mit UImi-Tešub von DU-ašša (CTH 106). 14

Sprachliche und historische Würdigung und Einordnung innerhalb der hethitischen Staatsvertragstraditio. Hausarbeit vorgelegt am Fachbereich 11 - Aussereuropäische Sprachen und Kulturen - der Philipps-Universität Marburg, 1986; Th.P.J. van den Hout, op. cit. in nota 11: ambedue i lavori con bibliografia precedente. 17 V. F. Imparati-F. Pecchioli Daddi, EOTHEN 4 nota 43.

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assicurare alla discendenza diretta di Kurunta la successione al trono di Tarøuntašša. Per questione di tempo non è il caso di affrontare qui una discussione sui possibili motivi dell’insediamento di Ulmi-Teššup sul trono di Tarøuntašša: forse in conseguenza di un tentato colpo di stato da parte di Kurunta per impadronirsi del trono di ÷atti, ciò che potrebbe essere confermato dal ritrovamento in ÷attuša di varie impronte di sigillo18 con la scritta “Kurunta Gran Re Labarna Mio Sole” (formula usata per i sovrani ittiti). Questo sigillo non sembra però ultimato (manca infatti l’iscrizione cuneiforme ai bordi di esso), per cui si presume che tale tentativo non fosse riuscito,19 neppure temporaneamente. Ma di tutto ciò non abbiamo finora notizie più esplicite. Come si è sopra accennato, anche a conclusione del trattato con Ulmi-Teššup si trova una lista di testimoni, gran parte dei quali corrisponde a quelli presenti nella tavoletta di bronzo. Molti di questi testimoni ricorrono anche nell’elenco dell’atto su ricordato (v. nota 12), relativo all’assegnazione di parte dei beni di un alto dignitario di nome Šaøurunuwa ai nipoti, figli di una figlia: atto emesso da Tutøaliya IV, verosimilmente agli inizi del suo regno poiché nell’intestazione del testo è associata con lui la regina madre Puduøepa. La presenza di un elenco di testimoni posto a conclusione di questi tre documenti si può motivare o perché tali documenti riprendevano in gran parte atti precedenti, o per la particolare struttura di questi testi, che richiamano aspetti dei più antichi atti di donazione di terre, a conclusione e a garanzia dei quali si trovava appunto una lista di testimoni.20 La corrispondenza di molti dei personaggi nelle liste in esame fa presumere che i tre testi fossero cronologicamente vicini e, per alcuni motivi che vedremo nel corso della trattazione, ritengo plausibile collocare il trattato con Kurunta e il decreto per Šaøurunuwa anteriormente al trattato con Ulmi-Teššup; inoltre, per la ricorrenza o meno di alcuni titoli vicino a certi testimoni, mi sembra si possa postulare la seguente V. H. Otten, op. cit., 4 sg. V. F. Imparati-F. Pecchioli Daddi, in EOTHEN 4. 20 Cfr. F. Imparati, Šaøur., 22 con note 78-80, 148 con note 3-5, 164 sgg. 18

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sequenza: trattato per Kurunta; decreto per Šaøurunuwa; trattato per Ulmi-Teššup. Vorrei in questa sede riprendere e portare più avanti il discorso da me iniziato in FsAlp, e cioè cercare di individuare aspetti importanti della situazione politica ittita all’interno e all’esterno del regno attraverso non soltanto la presenza o assenza di alcuni personaggi nella lista di testimoni della tavoletta di bronzo, rispetto pure alle altre due liste sopra indicate, ma anche in base all’ ordine di successione in cui questi testimoni sono elencati. Infatti, a mio avviso, non viene di solito posta nel giusto rilievo la posizione dei singoli personaggi in queste liste: posizione che non soltanto era soggetta ad un ben preciso cerimoniale legato al loro rango e alla loro funzione, ma che, soprattutto nel caso di accordi internazionali, doveva anche tener conto di sottili giuochi di alleanze e di necessità contingenti. Esistono, certo, motivazioni di altro genere per spiegare la presenza o assenza di alcuni personaggi in queste tre liste, come il tipo dei documenti di cui esse fanno parte (cioè, se si tratta di atti di politica estera o interna), oppure il precedente o l’attuale comportamento politico di alcuni di questi personaggi, o, più semplicemente, la morte di alcuni di loro. II. SCELTA E ORDINE DI SUCCESSIONE DEI TESTIMONI RECANTI IL TITOLO DI RE NEI TRE DOCUMENTI IN RAPPORTO ALLA POLITICA ESTERA DI ÷ATTI

Vediamo appunto come la scelta e l’ordine di successione di certi testimoni nei tre atti possa fornire chiarimenti o convalidare alcune ipotesi sulla politica estera ittita in quel tempo. Fra i testimoni nei tre elenchi in esame si trovano, in posizione e in numero differenti, alcuni sovrani di paesi stranieri. Inoltre, a parte il re di Karkemiš presente in tutte e tre le liste, si incontrano sovrani diversi in ciascuna di esse.

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Nell’elenco della tavoletta di bronzo sono menzionati ben quattro sovrani, mentre negli altri due testi ne compaiono soltanto due. Il primo sovrano che si incontra nella tavoletta di bronzo (Vo IV 31) è Ini-Teššup, re di Karkemiš, in posizione di rilievo dopo tre personaggi di rango assai elevato, appartenenti alla famiglia reale, tra i quali Neriqqaili, che nelle altre due liste comparirà col titolo di tuø(u)kanti, che in questi casi verosimilmente designava il probabile erede al trono. Questo sovrano occupa un posto di importanza anche negli altri due testi: nell’atto per Šaøurunuwa (Vo 29) egli compare dopo il principe reale Neriqqaili e forse dopo un altro principe, il cui nome e titolo potevano trovarsi nella lacuna alla fine della riga, e dopo il re di Tarøuntašša, il cui nome pure sta in lacuna, ma che doveva essere Kurunta, se si accetta di datare posteriormente a questo documento il trattato con Ulmi-Teššup, verosimilmente stipulato in occasione della sua intronizzazione. Anche nella lista di questo trattato Ini-Teššup occupa una posizione rilevante, dopo Neriqqaili, principe reale, e dopo altri tre principi. È, del resto, ben nota l’alta posizione tenuta dal re di Karkemiš presso la corte ittita e la importante funzione di controllo da lui esercitata per conto del re di ÷atti nella Siria settentrionale, soprattutto a partire dall’epoca di Ini-Teššup (v. FsAlp nota 4). A conferma della posizione di rilievo spettante al re di Karkemiš nel cerimoniale di corte ittita si ricorda un passo di un atto emanato da un sovrano ittita per Piyaššili, figlio di Šuppiluliuma I, da questi nominato primo re di Karkemiš, nel quale si stabilisce che soltanto il tuø(u)kanti deve essere più grande del re di Karkemiš. Ciò trova conferma nel § 18 II 79-83 della tavoletta di bronzo, dove appunto si dice che, per quanto riguarda la posizione del re di Tarøuntašša rispetto al “grande trono” ittita, ci si deve attenere all’accordo e alla regola che già vigeva per il re di Karkemiš, secondo per importanza soltanto al tuø(u)kanti (v. FsAlp infra). Tale posizione gerarchica, riferita probabilmente solo al cerimoniale di corte, non viene però osservata nell’ordine di successione dei testimoni dei due trattati con Tarøuntašša, dove il re di Karkemiš compare rispettivamente al quarto e al quinto posto. Nella lista dell’atto

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per Šaøurunuwa la lacuna fra la menzione del tuø(u)kanti Neriqqaili e quella del re di Tarøuntašša non consente di controllare tale ordine. È interessante osservare che in questo atto di politica interna, dove i due sovrani di Tarøuntašša e di Karkemiš sono probabilmente presenti per il loro stretto legame di parentela con il re di ÷atti più che per motivi di politica internazionale, il re di Tarøuntašša precede anche il re di Karkemiš, forse per l’eccessivo potere di Kurunta in quel periodo. Subito dopo il re di Karkemiš è menzionato al quinto posto nella lista della tavoletta di bronzo Mašduri, re del paese del fiume Šeøa. Com’è noto, egli era stato posto sul trono di questo paese da Muwattalli,21 il quale gli aveva inoltre dato in sposa la sorella Maššan(a)uzzi o Matanazzi,22 unica figlia femmina di Muršili II e sorella, oltre che di Muwattalli, anche di ÷alpašulupi e di ÷attušili (III), secondo quanto questi afferma nella sua “autobiografia” (I 9 sgg.).23 Alla morte di Muwattalli, Mašduri non ne difese il figlio UrøiTeššup, ma passò dalla parte di ÷attušili, come racconta con viva deplorazione Tutøaliya IV nel trattato da lui stipulato, posteriormente alla redazione dei documenti in esame, con Šaušgamuwa re di Amurru (Ro II 15-30).24 In base a tale deplorazione Th.P.J. van den Hout25 trova sorprendente la presenza di Mašduri fra i testimoni della tavoletta di bronzo. Secondo tale ottica, del resto assai ragionevole, egli dovrebbe stupirsi inoltre, e ancora di più, per la elevata collocazione di Mašduri nella lista di questo documento. A mio avviso, però, come ho già rilevato e ampiamente motivato in FsAlp, la presenza e, soprattutto, la posizione di rilievo di Mašduri fra i testimoni della tavoletta di bronzo non dovrebbero derivare soltanto dal suo rapporto di parentela con il Gran Re ittita Tutøaliya IV (di cui Mašduri era zio acquisito) - infatti anche Bentešina di Amurru era KBo I 28 (CTH 57) Ro 17-19: sull’integrazione di questo passo v. F. Imparati-F. Pecchioli Daddi in EOTHEN 4 nota 23. 22 Sulla lettura fonetica di questo nome v. FsAlp, nota 8. 23 V. FsAlp, nota 9. 24 V. C. Kühne-H. Otten, StBoT 16 (1971) 10 sg. 25 KBo IV 10+ cit., 120. 21

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parente (cognato) di Tutøaliya, ma viene menzionato in questa stessa lista addirittura nove persone dopo Mašduri - né dalla veneranda età di questo - età che risulta, fra l’altro, da una lettera inviata dal faraone Ramses II a ÷attušili III, dove il faraone fa notare al sovrano ittita che la sorella di questo, la sposa appunto di Mašduri, doveva avere a quel tempo almeno cinquanta o sessanta anni.26 Quindi, all’epoca della redazione della tavoletta di bronzo, l’età di Mašduri e della sua sposa era ancora aumentata. Ritengo invece che la posizione di rilievo tenuta da Mašduri in questa lista provenisse soprattutto dalla grande importanza che era venuto ad assumere il paese del fiume Šeøa nel quadro della politica estera di Tutøaliya IV per assicurarsi il controllo dell’Anatolia occidentale, dove questo sovrano si trovò ad esplicare un’intensa attività militare e politica, in coincidenza anche, e conseguentemente, alla pressione achea.27 Una politica estera ittita in tale direzione, in questo periodo, trova conferma anche nella presenza nella lista in esame di Alantalli, re di Mira, di cui parleremo più avanti. La menzione di Mašduri nella tavoletta di bronzo porta, come ha rilevato giustamente Th.P.J. van den Hout,28 ad una datazione all’epoca di Tutøaliya IV anche del documento assai discusso KUB XXIII 13 (CTH 211.3), nel caso che si accetti di riconoscere nel Tarøunaradu ivi presente il successore di Mašduri sul trono del paese del fiume Šeøa.29 Abbiamo sopra ricordato il passo del trattato di Tutøaliya IV con Šaušgamuwa di Amurru, in cui il sovrano ittita deplora vivamente il comportamento di Mašduri verso il figlio di Muwattalli. È, certo, chiaro 26 V. FsAlp, nota 11; che Maššan(a)uzzi/Matanazi, e, quindi, Mašduri, fossero in età già avanzata all’epoca della redazione della tavoletta di bronzo si può dedurre anche dall’affermazione di ÷attušili III nel passo sopra citato della sua “autobiografia”, e cioè che egli era il figlio minore di Muršili II; è tuttavia possibile che tale affermazione sia un topos letterario, non infrequente in tal genere di documenti: cfr. M. Liverani, Or 42 (1973) 183. 27 V. in proposito l’ampia trattazione di I. Singer, AnSt 33 (1983) 205-217, con bibliografia precedente. 28 KBo IV 10+, 121, con bibliografia. 29 Sulle diverse proposte di datazione di questo documento v. Th.P.J. van den Hout, loc. cit.

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che l’esempio ditale comportamento è riportato lì strumentalmente, come ammonimento per Šaušgamuwa, affinché questi, fatto da Tutøaliya suo cognato ed anche re di Amurru, non commetta nei riguardi della discendenza diretta di Tutøaliya un’azione analoga a quella di Mašduri. A sostegno che tale riprovazione è soltanto strumentale, si rileva che Tutøaliya, nello stesso testo, continua a menzionare Urøi-Teššup col suo nome personale e non con quello dinastico di Muršili (III), evidenziando in tal modo che egli non riconosce la legittimità del potere regio da questo esercitato. Inoltre Tutøaliya sembra voler far risaltare, sia pur attribuendo tale affermazione a Mašduri, che Urøi-Teššup era un “bastardo” (KUB XXIII 1+ Ro II 29). Mi pare, del resto, significativo che nel paragrafo precedente a questo (Ro II 13)30 Tutøaliya esorti Šaušgamuwa a considerare i suoi (= di Tutøaliya) fratelli come “bastardi”, ciò che mostra la non casualità nell’uso della stessa definizione per Urøi-Teššup, sia pur attribuendone la paternità a Mašduri. Non si deve infatti dimenticare che Tutøaliya è salito al trono proprio grazie all’usurpazione del padre e per giunta, stando a quanto è scritto sulla tavoletta di bronzo (Ro II 35 sg., 43 sg.), dopo che ÷attušili aveva, in un primo tempo, designato come suo successore un fratello di Tutøaliya, per poi deporlo in favore di quest’ultimo, forse per influenza della regina Puduøepa31 - madre di Tutøaliya e che ÷attušili aveva sposato tardi - o forse per trame di Tutøaliya stesso, probabilmente coadiuvato da Kurunta (cfr. ultra). Comunque, questa aperta riprovazione di Tutøaliya nei confronti di Mašduri induce a ritenere che fosse trascorso abbastanza tempo fra la redazione della tavoletta di bronzo (dove Mašduri tiene una posizione di rilievo fra i testimoni) e il trattato con Šaušgamuwa, all’epoca del quale Mašduri non era più in vita (come, del resto, non lo era più Bentešina, anch’egli testimone nella tavoletta di bronzo), e inoltre che la situazione politica in Anatolia avesse subito qualche mutamento. Si ricorda, a questo proposito, proprio nel trattato con Šaušgamuwa, la menzione, ma 30 31

Cfr. StBoT 16 (1971) 9-11, e Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+, 109. V. ora che questa è anche l’opinione di H. Klengel, AoF 18 (1991) 228.

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anche la successiva cancellazione (qualunque ne fosse stato il motivo), del re di Aøøiyawa fra i sovrani allora ritenuti di pari rango al re ittita (IV 1-3), mentre invece dallo stesso testo risulta evidente una forte tensione con l’Assiria. Vedremo più avanti come la presenza non soltanto del re di Karkemiš - presenza forse motivata dal suo legame diretto con la famiglia reale ittita - ma soprattutto del re di Išuwa fra i testimoni di KBo IV 10+ faccia ipotizzare una politica ittita volta in quel periodo a controllare soprattutto le zone meridionali ed orientali dell’impero. In base a quanto detto sinora, l’ordine di successione dei testimoni nella tavoletta di bronzo rende evidenti l’importanza del paese del fiume Šeøa nel contesto politico internazionale di quell’epoca (ciò che, del resto, è confermato anche da altri testi) e il fatto che Tutøaliya doveva, di conseguenza, tener conto della posizione di Mašduri, sia che ne approvasse o no il comportamento. Interessante, in tale contesto, è la presenza fra i testimoni anche di Alantal(l)i, re di Me/ira (Vo IV 36). Secondo I. Singer32 il paese di Mira, che dopo la conquista di Muršili II era il più importante stato arzaweo, a partire dal regno di ÷attušili III era venuto a perdere di rilievo a beneficio del paese del fiume Šeøa, suo vicino occidentale: tale opinione trova ora conferma nella diversa collocazione nell’elenco in esame di Mašduri (al quinto posto) rispetto ad Alantali (al quindicesimo). Tuttavia, la presenza di Alantali in questa lista mostra che il paese di Mira, ancora nei primi anni di regno di Tutøaliya IV, doveva svolgere una funzione di sostegno alla dominazione ittita nell’Anatolia occidentale. Di Alantal(l)i col titolo di re di Mira è questa la sola attestazione finora pervenutaci,33 tuttavia nel mio articolo in FsAlp mi è sembrato plausibile proporne l’identificazione con il personaggio omonimo presente nel frustolo KUB VI 47 (CTH 214.39) r. 9’, il cui autore potrebbe essere stato Tutøaliya IV. Ad un’attribuzione di questo

AnSt 33 (1983) 207. V. FsAlp, nota 15, cui si deve ora aggiungere Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+ cit., 156-163. 32 33

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documento a Tutøaliya IV aveva pensato anche A. Ünal,34 senza però aver avuto allora la possibilità di identificare lo Alantali ivi menzionato mediante la lista della tavoletta di bronzo. Una discussione approfondita su questo interessante, seppur troppo frammentario, documento, per il quale sono state proposte integrazioni e datazioni diverse, richiederebbe troppo tempo. Ricorderò soltanto la presenza in esso alla r. 11’ di una donna di nome DINGIRMEŠ-uzz[i, nella quale si può riconoscere Maššan(a)uzzi/Matanazzi, la sorella di Muwattalli e ÷attušili III, andata in sposa a Mašduri, e nella r. ]7’ - e verosimilmente anche nella parte rimasta della seconda riga - di un ÷attušili, generalmente identificato con ÷attušili III, tranne che da O. Carruba,35 il quale vi aveva riconosciuto ÷attušili II e aveva identificato Alantalli con l’omonimo personaggio vissuto all’epoca di Šuppiluliuma I.36 Ancora aperto rimane il problema dell’integrazione della prima riga del documento: infatti in essa si trova fra due lacune il nome ]LAMMA LUGAL KUR U[RU, in cui alcuni studiosi, tra cui O. Carruba37 e Th.P.J. van den Hout,38 hanno riconosciuto “Kupanta ]LAMMA/Kurunta re del paese di [Mira”, mentre altri, tra cui A. Ünal39 ed io,40 “]LAMMA/Kurunta, re del paese di [Tarøuntašša”. Anche Th.P.J. van den Hout propone di datare questo testo proprio all’inizio del regno di Tutøaliya IV; ne sarebbe però autore KupantaKurunta, certo molto vecchio41 (di circa 90 anni, secondo il calcolo dello studioso olandese) poiché era stato fatto re da Muršili II - a suo avviso menzionato nel documento - nel suo dodicesimo anno di regno.42 THeth 3 (1974) 14; v. anche FsAlp, nota 16, dove si riportano anche altre proposte interpretative del documento. 35 SMEA 14 (1971) 85 sg. 36 Bisogna, però, osservare che non era ancora venuta alla luce la tavoletta di bronzo, dove compare Alantalli re di Mira. 37 Loc. cit. 38 Op. cit., 157 sg. 39 Loc. cit. 40 FsAlp. 41 Per la lunga durata del regno di Kupanta-Kurunta Th.P.J. van den Hout si riallaccia al lavoro di S. Heinhold-Krahmer, THeth 8 (1977) 210-211. 42 Secondo Th.P.J. van den Hout, op. cit., 162, il re di Mira in questo testo sembrerebbe voler assicurare la sua fedeltà al sovrano ittita e garantire la successione al 34

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Ritengo invece difficilmente accettabile la proposta di riconoscere Kupanta-Kurunta nel personaggio citato nella prima riga del testo proprio per motivi di età, soprattutto in tempi in cui la vita media di un uomo era molto più breve di oggi.43 Si dovrebbe inoltre postulare un emendamento nel testo, come propone Th.P.J. van den Hout, cosa possibile, ma che di solito preferisco evitare.44 Quindi, come ho già espresso in FsAlp, ritengo plausibile riconoscere nella prima riga di questo frustolo Kurunta e considerare come autore del documento Tutøaliya IV, il quale farebbe qui riferimento all’intronizzazione di Kurunta nel paese di Tarøuntašša da parte di ÷attušili III (riferimento che, del resto, si ritrova anche in altri testi di Tutøaliya IV). Abbiamo sopra ricordato la presenza di un Alantalli/Alaltalli nella narrazione delle imprese di Šuppiluliuma I contro Arzawa, insieme ad altri personaggi avversari di questo sovrano, in rapporto alla difesa della montagna Tiwatašša, verosimilmente nell’àmbito di Mira: Mira è anche menzionata specificamente in questa narrazione alla fine del framm. 18 r. 31, prima della rottura della tavoletta.45 Non sembra improbabile che questo personaggio fosse un antenato dell’omonimo re di Mira presente nella tavoletta di bronzo. Comunque, ciò può costituire una dimostrazione della continuità dell’uso di tale nome in questa zona. Dopo Alantali compare fra i testimoni della tavoletta di bronzo, al sedicesimo posto, un altro sovrano, Bentešina di Amurru (Vo IV 36). Com’è noto, era importante per la politica internazionale ittita la conservazione dei buoni rapporti anche con lo stato siriano di Amurru, il trono nel suo paese al figlio Alantalli. Quindi, poiché Alantalli è già menzionato come re di Mira fra i testimoni della tavoletta di bronzo, anche questa databile agli inizi del regno di Tutøaliya IV, Kupanta-Kurunta doveva essere già morto prima della stesura di questo trattato. 43 Secondo I. Singer, AnSt 33, 206, Kupanta-Kurunta, avendo governato fin dal dodicesimo anno di regno di Muršili II, poteva difficilmente esser sopravvissuto per lungo tempo al trattato di pace fra Ittiti ed Egitto del 1258. 44 Lo studioso olandese (op. cit., 159 sg.) propone di leggere alla r. 7’ ABIŠU; tuttavia, come ho già esposto in FsAlp, il fatto che l’autore di un testo passi dalla prima alla terza pers. sing. non stupisce in una narrazione “storica”: cfr., ad esempio, gli annali di ÷attušili I, KBo X 2 Ro I 4-8. 45 V. FsAlp, note 19-21.

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cui sovrano Bentešina era stato molto legato a ÷attušili III, che lo aveva protetto facendolo tornare sul trono di Amurru, da cui era stato a suo tempo deposto da Muwattalli. Quindi ÷attušili aveva dato sua figlia Kašuliyawiya in moglie a Bentešina e suo figlio Neriqqaili come marito ad una figlia di Bentešina.46 Tutøaliya IV aveva poi concesso sua sorella in sposa a Šaušgamuwa, figlio di Bentešina, e, alla morte di quest’ultimo, lo aveva fatto re di Amurru.47 Nella lista infatti, subito dopo Mašduri, compare anche il figlio di Bentešina, Šaušgamuwa (Vo IV 32), con la designazione di “cognato del re”. A tal proposito, Th.P.J. van den Hout48 osserva che la presenza di padre e figlio nella stessa lista enfatizza le strette relazioni esistenti fra le case reali di ÷atti e di Amurru. A me sembra inoltre da rilevare la posizione privilegiata di Šaušgamuwa nell’elenco, al sesto posto, rispetto al padre, menzionato al sedicesimo posto. Appare chiaro che Bentešina è qui presente in quanto re di Amurru e non come membro della famiglia reale ittita, pur essendo anch’egli cognato del re (oltre che suocero di suo fratello Neriqqaili e di una sua sorella): cfr. l’esempio analogo di Mašduri. Chiaramente anche lo stato di Amurru era importante, in quel momento, per la politica siriana di Tutøaliya IV. Tuttavia il forte legame di Bentešina con il defunto padre di Tutøaliya, e forse anche con il fratello di quest’ultimo, Neriqqaili, di cui abbiamo visto che Bentešina era suocero, non forniva sufficienti garanzie di sicurezza al re ittita (si può anche qui fare un confronto con la posizione di diffidenza di questo sovrano nei riguardi di Mašduri). La diffidenza, del resto, caratterizza molti documenti politici di Tutøaliya IV. Così, questi aveva posto il re di Amurru fra i testimoni del trattato con Kurunta per motivi di politica internazionale, ma aveva preferito conferire una posizione di privilegio a Šaušgamuwa (che Tutøaliya poi farà re di Amurru), ricorrendo all’accorgimento dell’utilizzazione del titolo di parentela.49 Naturalmente, questa posizione V. FsAlp, nota 5. V. nel trattato fra Tutøaliya IV e Šaušgamuwa di Amurru (CTH 105) Ro I 8 sg., 111-3, 8: StBoT 16 (1971) 6-9. 48 Op. cit., 166. 49 V. già in FsAlp infra; cfr. ora anche H. Klengel, AoF 18 (1991) 233 sg. 46

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di privilegio nella lista rispecchiava anche dei vantaggi nella vita politica del paese di ÷atti. In questo contesto appare interessante ricordare che nel trattato con Ulmi-Teššup i sovrani presenti fra i testimoni sono Ini-Teššup re di Karkemiš e Ari-Šarruma re di Išuwa (ambedue in Vo 29), ciò che sembra accordarsi con uno spostamento della politica internazionale di Tutøaliya IV volta al mantenimento del controllo ittita sull’Anatolia sud-orientale,50 in rapporto anche all’accresciuto stato di tensione ittita-assiro. L’evolversi in tale direzione della situazione politica trova conferma anche in un passo del posteriore trattato con Šaušgamuwa di Amurru, dove Tutøaliya IV stabilisce un blocco commerciale nei riguardi dell’Assiria (Vo IV l4-18).51 Può essere significativa in tal senso la cancellazione in questo stesso testo del paese di Aøøiyawa fra i regni che sono pari a quello di ÷atti, ciò che può indicare una reale diminuzione di importanza di questo paese52 e confermare anche l’ipotesi di un conseguente spostamento della politica estera ittita dall’Anatolia occidentale. La menzione, invece, fra i testimoni dell’atto per Šaøurunuwa del re di Tarøuntašša, verosimilmente Kurunta (v. sopra), e di Ini-Teššup re di Karkemiš (ambedue in Vo 29) mi sembra dovuta non a motivi di politica internazionale (si tratta, infatti, di un atto politico interno), ma alla posizione privilegiata di questi due sovrani, conseguente soprattutto al loro diretto legame di parentela (cioè, non acquisito mediante matrimoni) con la famiglia reale ittita e all’origine del loro insediamento al potere regio: ciò veniva a conferire loro una posizione di rilievo, e forse pure la possibilità di una certa influenza, anche nella politica interna del regno ittita. Questo, del resto, trova conferma nel già ricordato § 18 della tavoletta di bronzo, in cui si stabilisce la privilegiata posizione cerimoniale di questi due sovrani alla corte ittita. Anche se questo può non essere il solo motivo della presenza di questi due sovrani in questa lista. 51 V. StBoT 16 cit., 14-17. 52 Secondo G. Pugliese Carratelli (PdP 74 [1960] 321 sg.) questo paese forse non esisteva più come entità politica, ma solo geografica; si parla, comunque, nello stesso testo (Vo IV 23) di una nave proveniente da Aøøiyawa. 50

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Si deve inoltre rilevare che la precedenza, nella lista del testo per Šaøurunuwa, del re di Tarøuntašša rispetto al re di Karkemiš si adatta bene alla posizione di forza che, stando a quanto si deduce dalla tavoletta di bronzo, Kurunta aveva di fronte al sovrano ittita, posizione che non si riscontra, invece, per Ulmi-Teššup. Ciò mi sembra, quindi, costituire un’ulteriore conferma della priorita del testo per Šaøurunuwa riguardo al trattato con Ulmi-Teššup. III. SCELTA E ORDINE DI SUCCESSIONE DEI TESTIMONI NEI TRE DOCUMENTI IN RAPPORTO ALLA SITUAZIONE POLITICA INTERNA DI ÷ATTI

Un’esposizione completa dei problemi sollevati da un’attenta analisi sia dei personaggi presenti nelle tre liste sia delle cariche che rivestivano richiederebbe troppo tempo. Accennerò qui rapidamente, a titolo esemplificatorio, soltanto ad alcuni di questi problemi, talora proponendo qualche soluzione. All’inizio di tutte e tre le liste si trova Neriqqaili, che nella tavoletta di bronzo (Vo 30) è indicato soltanto col titolo “figlio del re”, mentre nel testo per Šaøurunuwa (Vo 28) porta i titoli di “figlio del re” e di tuø(u)kanti e nel trattato con Ulmi-Teššup (Vo 28) soltanto quello di tuø(u)kanti. Sul personaggio recante questo nome - figlio di ÷attušili III, fratello di Tutøaliya IV e sposo della figlia di Bentešina di Amurru - è stato scritto molto,53 per cui ci soffermeremo qui soltanto su alcuni problemi che emergono dalla lettura dei testi in esame. In primo luogo, si nota nella tavoletta di bronzo l’assenza del titolo tuø(u)kanti vicino al nome di questo personaggio. Ora, accettando l’opinione che questo titolo designasse, almeno in quel periodo, il principe ereditario ittita54 - ciò che sembra trovare conferma anche nella tavoletta di bronzo II 35, 43 - si presume che, all’epoca del trattato con 53 V. in ultimo J. Lorenz, op. cit., 71 sgg.; H. Klengel, AoF 16 (1989) 185-188; Th.P.J. van den Hout, op. cit.,106 sgg., tutti con bibliografia. 54 V. invece H. Klengel, AoF 18 (1991) 226 sg. nota 21.

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Kurunta, Neriqqaili non avesse ancora ricevuto questa carica (pur se si può presumere che già la tenesse in pectore, data anche la posizione privilegiata che egli occupa nella lista), altrimenti, essendo questa la carica di maggior rilievo presso la corte ittita, se ricoperta sarebbe stata sicuramente menzionata in un atto politico di così grande importanza. Come abbiamo visto, nel documento politico per Šaøurunuwa, risalente anch’esso ai primi anni di regno di Tutøaliya IV, il nome di Neriqqaili è accompagnato dai titoli “figlio del re” e tuø(u)kanti, forse per metterne in rilievo la legittimità della carica, con lo specificare, cioè, che l’erede designato, pur non essendo figlio (ma fratello) del re attualmente in carica, faceva però ugualmente parte della famiglia reale. Tale specificazione non appariva più necessaria all’epoca, sia pur vicina, del trattato con Ulmi-Teššup, essendo verosimilmente mutata la situazione politica interna di ÷atti, forse proprio per la scomparsa dalla scena di Kurunta, il quale - abbiamo detto - aveva avuto giustificabili motivi per avanzare pretese al trono di ÷atti: infatti deve aver fatto addirittura un tentativo per impadronirsene, secondo quanto mostrano le numerose impronte di sigillo ritrovate a ÷attusa, con l’iscrizione “Kurunta Gran Re Labarna Mio Sole” (v. sopra). Comunque, in un frammento di “trattato” o “istruzione”, KUB XXVI 18 (CTH 275), vediamo Tutøaliya esortare il destinatario del documento a tenersi lontano dai discendenti di suo padre, Neriqqaili e ÷uzziya, e forse anche da Kurunta55 (verosimilmente figlio di Muwattalli); inoltre, anche da altri documenti56 dove Neriqqaili non è menzionato esplicitamente, risulta che Tutøaliya IV lo considerava molto pericoloso - come, del resto, 55 Così H. Klengel, AoF 16 (1989) 187, e H. Otten, op. cit., 8 sg.; v. invece J. Lorenz, op. cit., 71 sg. con nota 11 e Th.P.J. van den Hout, op. cit., 108 e 112. Nonostante che anche io avessi una volta proposto (Šaøur., 144 con nota 297) per questo nome una lettura mLUGAL]-DLAMMA, ritengo però ora plausibile riconoscere qui la presenza di Kurunta: perché, però, egli vi sarebbe menzionato fra i discendenti di ÷attušili? A meno che nella lacuna prima del suo nome non si trovasse una disgiuntiva, come intende H. Otten, op. cit., 8. Non vi sono infatti elementi sufficienti per postulare un’adozione di Kurunta da parte di ÷attušili III: per una tale ipotesi v. presso Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+, 93 sg. 56 Più volte discussi, in periodi diversi, e riportati complessivamente, con le varie ipotesi interpretati interpretative da H. Klengel, AoF 16 infra, e da Th.P.J. van den Hout, loc. cit.

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considerava pericolosi i suoi numerosi fratelli o i parenti discendenti da Muwattalli - per la sicurezza dei suoi diretti discendenti al trono ittita. Th.P.J. van den Hout57 si chiede allora perché Tutøaliya avrebbe nominato tuø(u)kanti proprio una tal persona e ipotizza perciò l’esistenza di due Neriqqaili, uno più anziano, figlio di ÷attušili e fratello di Tutøaliya, ed uno più giovane, figlio di Tutøaliya. Non abbiamo, però, alcuna notizia dell’esistenza di un figlio di Tutøaliya con questo nome e neppure del fatto che Tutøaliya, agli inizi del suo regno, quando ancora gli era associata nel governo la regina madre Puduøepa, avesse già un figlio, e soprattutto in età tale da poter fare il testimone nella tavoletta di bronzo e negli altri documenti cronologicamente vicini. Mi sembra, inoltre, opportuno ricordare che anche ÷uzziya è menzionato da Tutøaliya insieme a Neriqqaili fra i personaggi che potevano costituire un pericolo per la successione al trono ittita, tuttavia egli compare in posizione e con titoli di rilievo nelle liste dei due trattati (e poteva forse trovarsi anche nel testo per Šaøurunuwa, nella lacuna che segue la menzione di Neriqqaili) e non si postula per tale motivo l’esistenza di due ÷uzziya. A mio avviso, invece, Tutøaliya, essendo al momento senza eredi, si era trovato costretto, sia pur obtorto collo, a nominare tuø(u)kanti proprio quel Neriqqaili da lui così temuto. H. Klengel,58 del resto, si è posto la domanda se Neriqqaili, certo non figlio di Puduøepa, non fosse stato addirittura quel fratello più anziano di Tutøaliya, di cui, abbiamo visto, si dice nella tavoletta di bronzo, senza specificarne il nome, che era stato in un primo tempo nominato tuø(u)kanti da ÷attušili III e da questi poi retrocesso da questa carica in favore di Tutøaliya (v. sopra). È interessante però, a tal proposito, ricordare che in un testo di inventari attribuito o a ÷attušili III o a Tutøaliya IV, KUB XLII 51 (CTH 250), si parla in Ro 2’ di un tuø(u)kanti, il cui nome si trovava forse nella lacuna; inoltre, in Vo 5’ compare, insieme a EN-LUGAL-

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KBo IV 10+, 110; cfr. anche la lista dei testi a p. 106 e le sue conclusioni a p. 112. AoF 16, 187 nota 8; v. inoltre AoF 18 (1991) 230 sg. con nota 48.

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ma,59 l’antroponimo Nerik[, giustamente integrato da J. Siegelová60 in Nerik[kaili e identificato col nome del figlio di ÷attušili III e fratello di Tutøaliya IV. Anche se non conosciamo il nome del tuø(u)kanti a cui si allude in questo testo, mi sembra difficile presumere che fosse stato Neriqqaili perché questi nello stesso documento, in Vo 5’, è menzionato dopo EN-LUGAL-ma, collocazione improbabile se si fosse trattato del tuø(u)kanti. Del resto, non abbiamo alcuna notizia che Neriqqaili avesse ricoperto questa carica all’epoca di ÷attušili III,61 e la lista dei testimoni della tavoletta di bronzo mostra che egli non l’aveva assunta neppure immediatamente dopo l’ascesa al trono di Tutøaliya IV (anche se l’atto per Šaøurunuwa attesta che egli la teneva non molto tempo dopo). Quindi, all’epoca del testo di inventari su ricordato poteva rivestire questa carica o Tutøaliya stesso o quel suo fratello designato prima di lui come successore al trono di ÷atti:62 nel qual caso il testo di inventari in questione sarebbe stato dell’epoca di ÷attušili III piuttosto che di Tutøaliya IV, ciò che ben si accorda anche con la presenza di una regina, verosimilmente Puduøepa, in Ro 6’.63 Al secondo posto nella lista della tavoletta di bronzo è presente ÷uzziya - egli pure probabilmente figlio di ÷attušili III e fratello di Tutøaliya IV - con l’alto titolo di GAL MEŠEDI, “capo delle guardie del corpo”; nel trattato con Ulmi-Teššup, invece, egli porta soltanto il titolo di “figlio del re” ed è retrocesso al quarto posto, dopo altri due “figli del re”. In questo testo, quindi, la sua posizione sembra aver perduto di rilievo rispetto a quella tenuta nella tavoletta di bronzo. Questa posizione di ÷uzziya in questa lista, oltre all’assenza del titolo di “capo delle guardie del corpo” vicino al suo nome, fa pensare che egli non rivestisse = Ewri/Ibri-Šarruma, verosimilmente da identificare col personaggio omonimo presente nella lista della tavoletta di bronzo IV 35: v. FsAlp infra. 60 Heth. Verw. II (1986) 344 sg. 61 V. invece H. Klengel, AoF 18 (1991) loc. cit. in nota 58, del resto in accordo con la sua proposta di datazione del trattato con Ulmi-Teššup all’epoca di ÷attušili III (op. cit., 231 sg.). 62 V. tav. br. Ro II 35 sg., 43 sg. 63 Anche se sappiamo che Puduøepa continuò ad essere attiva nella vita politica ancora durante i primi anni di regno del figlio Tutøaliya: v. H. Klengel, AoF 18 (1991) 233. 59

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più questa importante carica,64 forse la più importante dopo quella di tuø(u)kanti è probabile, quindi, che la carica di GAL MEŠEDI fosse temporanea, oppure che ÷uzziya ne fosse stato per qualche motivo destituito, retrocedendo così nella carriera, come, del resto, sembra dimostrare la sua collocazione nella lista di KBo IV 10+. Si ricorda in proposito che anche ÷uzziya era una di quelle persone di cui Tutøaliya diffidava.65 Appare particolarmente interessante la presenza tra i testimoni della tavoletta di bronzo di ÷ešmi-Šarruma, uno dei quattro personaggi il cui nome è composto con quello del dio hurrico Šarruma, divinità personale di Tutøaliya IV.66 I quattro personaggi che recano questi nomi teofori sono tutti di alto rango, come denota il titolo di “figlio del re” che accompagna i loro nomi. L’antroponimo ÷esmi-Šarruma è ben noto agli ittitologi per essere stato ritenuto da alcuni studiosi, prima della scoperta della tavoletta di bronzo, la lettura fonetica del nome BU-LUGAL-ma/BU-Šarruma e considerato come nome di nascita di Tutøaliya IV.67 Sulla base, poi, di questa identificazione, la prima parte di questo nome teoforo, øešmi-/øišmi-, era stata vista come corrispondente øurrita del sumerogramma BU “chiaro, brillante”.68 Ora, la presenza di ÷esmi-Šarruma “figlio del re” fra i testimoni della tavoletta di bronzo fa evidentemente escludere l’ipotesi di una identificazione di questo personaggio (menzionato anche in altri testi contemporanei con lo stesso titolo) con Tutøaliya IV, che della tavoletta di bronzo è l’autore. Cade quindi anche uno dei presupposti per l’identificazione di ÷esmi-Šarruma con BU-Šarruma. Diversamente da quanto abbiamo sopra osservato per Neriqqaili, la cui posizione di rilievo nella lista della tavoletta di bronzo fa presumere che egli fosse già destinato alla carica di tuø(u)kanti. 65 Su questo personaggio v. inoltre le mie osservazioni in FsAlp ed anche J. Lorenz, op. cit., 78 e Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+, 113 sgg. 66 Com’è noto, il culto øurrita teneva in quel periodo un ruolo preminente nel mondo religioso ittita, ciò che si ripercuoteva anche nell’antroponimia. 67 Sulla questione v. in ultimo Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+, 138 sgg., con bibliografia. 68 Così anche nel glossario øurrita (GLH) del Laroche, 103 s.v. 64

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Ciò, di conseguenza, porta pure a riesaminare l’interpretazione di øešmi-/øišmi- come “chiaro, brillante”, proposta sulla base dell’identificazione con BU. Riporterò qui rapidamente alcune conclusioni emerse dall’analisi della questione, anche alla luce delle ipotesi formulate in proposito da Th.P.J. van den Hout,69 rimandando per quanto riguarda un esame più dettagliato a quanto ho scritto in FsAlp e al lavoro dello studioso olandese. L’identificazione di BU-Šarruma con Tutøaliya IV era stata proposta dal Güterbock e poi ripresa dal Laroche, a proposito della lettura del nome di nascita di questo sovrano, presumibilmente presente in grafia ieroglifica, insieme al suo nome regio, in un suo sigillo a tre registri impresso su una tavoletta ritrovata ad Ugarit, RS 17.159. Nel campo centrale di questo sigillo, dove si ritiene appunto che si trovasse il nome di nascita di Tutøaliya, si legge: x (= L 418)-Šarruma Gran Re. La lettura BU per la prima parte di questo nome fu proposta sulla base del confronto con il nome BU-Šarruma presente in un passo di un “trattato”70 (KBo IV 14+ - CTH 123 - III 40) stipulato da un sovrano ittita di cui non si conosce il nome,71 ma nel quale era stato riconosciuto Šuppiluliuma II o Arnuwanda III, ed ora Tutøaliya IV.72 Non si conosce il nome neppure della persona a cui è diretto l’atto e se si tratti di un dignitario o di un sovrano vassallo. È chiaro che il problema dell’identificazione di BU-Šarruma è legato alla datazione di KBo IV 14+, perché, se accettiamo la proposta di I. Singer di datare questo testo all’epoca di Tutøaliya IV - ipotesi verosimile per la relazione di questo documento con RS 34.16573 a causa della KBo IV 10+, 138 sgg., con bibliografia precedente. In realtà, non è ben chiaro il genere di appartenenza di questo documento, che potrebbe essere un “trattato” o una “istruzione”: v. C. Mora, Athenaeum 66 (1988) 555 nota 10. 71 Certo, però, posteriore a ÷attušili III per la menzione nel testo di Urøi-Teššup e di Eøli-Šarruma (su cui v. infra). 72 V. I. Singer, ZA 75 (1985) 111 sg., cui si attiene anche Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+, 272 sgg.; diversamente invece C. Mora, op. cit., 563 sgg. 73 Sul quale v. S. Lackenbacher, RA 76 (1982) 141-156 e i lavori citati nella nota precedente. 69

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menzione in ambedue i testi della battaglia di Niøriya, condotta appunto da questo sovrano ittita - viene allora automaticamente a cadere l’identificazione di questo sovrano con BU-Šarruma. Comunque, il BU-Šarruma menzionato in KBo IV 14+ dal contesto sembra essere stato un re, alla morte del quale il personaggio a cui si rivolge il sovrano ittita avrebbe “alzato il collo”, cioè si sarebbe sollevato contro ÷atti. Non appare inverosimile identificare questo BU-Šarruma con il personaggio omonimo menzionato in un rituale di scongiuro, KUB VII 6174 Ro 7, 8, in ductus recente, la cui autrice è NIN.GAL-uzzi, sposa di Kaššu, il quale è probabilmente lo stesso personaggio presente fra i testimoni del testo per Šaøurunuwa (Vo 31), oltre che in altri documenti contemporanei.75 Nel corso dell’incantesimo volto contro un nemico del re (ciò che attesta l’esistenza di disordini interni in ÷atti) si opera mediante due immagini, su una delle quali è scritto il nome di questo nemico e sull’altra il nome di BU-Šarruma. Purtroppo il testo si interrompe, tuttavia anche qui appare lecito ipotizzare che BU-Šarruma fosse un re.76 Come ho già fatto presente in FsAlp e come riprenderò più avanti, mentre non considero accettabile l’identificazione di BU-Šarruma con ÷ešmi-Šarruma,77 mi sembra ancora plausibile ipotesi di identificare il CTH 417, cui si deve aggiungere anche R. Werner, StBoT 4 (1967) 66. Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+, 140, sembra non tener conto di questo elemento poiché osserva che questo testo, prescindendo dal ductus recente, non è ulteriormente databile; su Kaššu, oltre ai lavori citati in FsAlp, nota 35, v. questo studioso, op. cit., 253 sgg. 76 Un BU-Šarruma è anche il mittente di una lettera della seconda metà del XIII secolo diretta al re di Ugarit, RS 34.140, concernente una spedizione di cavalli: v. Ug. VII, 404; cfr. W. van Soldt, Studies in the Akkadian of Ugarit. Dating and Grammar, 2 Bde. Diss., Leiden 1986, 225 sg. (non vidi). Secondo I. Singer, ZA 75, 113 nota 78, questo personaggio sarebbe da identificare con lo ÷išmi-Šarruma, principe di Ugarit, deportato da Ini-Teššup ad Alašiya, ciò che, a suo avviso, convaliderebbe l’equazione BU = ÷išmi; su tale equazione v. però quanto osserveremo più avanti. Non utili per la questione in esame le altre attestazioni di BU-Šarruma: v. in proposito FsAlp, fine nota 40, e Th.P.J. van den Hout, op. cit., 140; v. inoltre I. Singer, op. cit., 114. 77 Inoltre, come ho rilevato anche nella FsAlp, già il fatto che la grafia ÷ešmi/÷išmi-LUGAL(-ma) sia presente laddove si parla di un principe, non necessariamente figlio del sovrano, mentre negli altri casi in cui appare accettabile 74

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BU-Šarruma (verosimilmente un re) di KBo IV 14+ e di KUB VII 61 con Tutøaliya IV e, quindi, di continuare a vedere nell’autore di KBo IV 14+ un successore di Tutøaliya IV, che, secondo quanto presume C. Mora,78 poteva aver partecipato alla battaglia di Niøriya.79 Viene, tutt’al più, fatto di chiederci perché Tutøaliya in questi due testi sarebbe stato menzionato con il nome hurrico (quello di nascita?) e non con quello regio: per motivi politici in KBo IV 14+? per motivi rituali, o forse anche politici, in KUB VII 61? Si ricorda inoltre, a tal proposito, l’ipotesi che Tutøaliya IV portasse un nome di nascita non diverso da quello dinastico.80 Alcuni esempi in tal senso provengono dall’Autobiografia di ÷attušili III, il quale però poteva aver usato per il figlio non ancora re il futuro nome dinastico a scopo strumentale, per predisporne l’ascesa al trono; ciò può valere anche per le attestazioni di Tutøaliya in alcuni frammenti storici in cui si narrano le sue imprese militari.81 In tale ottica si può ipotizzare che ÷attušili avesse compilato la sua “autobiografia/apologia” non quasi subito dopo la sua presa di potere in ÷atti, per giustificare la sua usurpazione, ma in un periodo successivo, allo scopo di creare un ambiente favorevole alla sua decisione di nominare Tutøaliya come suo successore al trono, al posto di un altro

l’ipotesi di una identificazione con Tutøaliya IV venga utilizzata la grafia BU-LUGALma, sembra evidenziare due situazioni del tutto diverse e far escludere una identificazione fra questi due antroponimi. V. invece le considerazioni di I. Singer, ricordate nella nota precedente. 78 Athenaeum 66, 566. 79 Sono invece d’accordo con Th.P.J. van den Hout, op. cit., 275, nel non riconoscere come criterio valido per la datazione di KBo IV 14+ ad un’epoca posteriore a Tutøaliya IV il “totale pessimismo” e l’entità di parole glossate presenti in questo documento e nel non accettare un’immagine di stagnazione per delineare la situazione politica interna del regno ittita sotto questo sovrano: così C. Mora, op. cit., 566 sg. con nota 69; cfr., contro una tale immagine proiettata anche sulla situazione politica esterna all’epoca di Tutøaliya IV e dei suoi successori, le mie osservazioni in JESHO 25 (1983) 257 con nota 109. 80 Per questa ipotesi, formulata a proposito della ricorrenza del nome Tutøaliya in testi di inventari, v. FsAlp, nota 39: non abbiamo però alcun elemento che consenta di supporre che si trattasse in questi casi del futuro sovrano Tutøaliya IV e non di un funzionario recante questo nome; cfr. inoltre H. Klengel, AoF 18 (1991) 229 nota 36. 81 V. H. Klengel, AoF 18 (1991) 229 nota 37.

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figlio - più anziano - dello stesso ÷attušili, da questo in un primo tempo designato come tuø(u)kanti (v. tav. br. II 35 sg., 43 sg.). Infatti, fra la presa di potere di ÷attušili e la stesura della sua “autobiografia” deve essere trascorso un tempo sufficiente per permettere a lui di procedere alla prima designazione del suo erede al trono; a Puduøepa di tessere le sue trame per predisporre invece l’ascesa alla regalità per il figlio Tutøaliya; a questo di operare per tale realizzazione, con la complicità in quel periodo di Kurunta; infine a ÷attušili di mutare la sua precedente decisione riguardo la nomina del suo successore in favore di Tutøaliya, per l’influente pressione di Puduøepa e di Tutøaliya stesso. ÷attušili doveva far accettare pacificamente ai suoi sostenitori e ai suoi nemici la deposizione dalla carica di tuø(u)kanti dell’altro figlio oltre a tutto più anziano di Tutøaliya e che avrà verosimilmente avuto anche lui a corte e nel regno qualche sostenitore - per cui era di basilare importanza per il sovrano riaffermare anche la “legittimità” della sua presa di potere (dovuta al divino volere di Ištar) per consolidare in tal modo la sua stabilità sul trono e dare al contempo validità ad ogni sua delibera (cfr. anche altri documenti di questo sovrano, tra cui in particolare KBo VI 29, che presenta molte analogie con l’autobiografia”: v. Šaøur., 155 sgg. con bibliografia). In tale contesto, è particolarmente significativo che ÷attušili nella parte conclusiva della sua “autobiografia” - forse proprio la parte cruciale del documento - ricordi di aver fatto Kurunta re di Tarøuntašša (IV 62 sgg.) e di aver posto suo figlio Tutøaliya al servizio proprio di Ištar (IV 76 sgg.), che ÷attušili nel corso di tutto il testo ha presentato ripetutamente e con enfasi come sua divinità protettrice e, soprattutto, come sua guida nella sua conquista del potere: cfr. anche KBo VI 29, certo precedente all’ “autobiografia”, dove però ÷attušili non fa il nome del figlio posto al servizio di Ištar: si trattava forse di una fase ancora preparatoria, dopo la deposizione del precedente erede al trono? L’affidamento di Tutøaliya al servizio di questa dea - così come era avvenuto per lo stesso ÷attušili quando era ancora fanciullo (Autobiografia I 13-21), con il risultato positivo che ben conosciamo -

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rivestiva un chiaro significato politico cioè un’investitura alla successione al trono. Dice appunto ÷attušili (Autobiografia IV 78 sg.): “Io (sono) un servo della divinità, e anche quello (= Tutøaliya) sia un servo della divinità”. Inoltre nei due paragrafi conclusivi si proibisce di togliere alla discendenza di ÷attušili e Puduøepa il servizio, cioé il sacerdozio, di Ištar: cfr. ancora KBo VI 29 §§ 9, 11-13, citt. in Šaøur., 157 sg. In ogni operazione, comunque, aleggia sempre la presenza di Ištar, del cui volere ÷attušili non è che l’esecutore. Appare inoltre significativo che non si ricordi nell’ “autobiografia” quel figlio nominato per primo da ÷attušili come suo successore, ciò che mostra chiaramente che in quel tempo egli doveva essere già stato destituito da questo incarico; non si fa cenno nel testo neppure a qualcuno degli altri figli di questo sovrano. La menzione invece da parte di ÷attušili del nipote Kurunta non lontano dal figlio Tutøaliya rivela come fosse indispensabile il sostegno di quello in tale rimescolamento dei giuochi di successione, in quanto anche lui poteva avanzare pretese - e non prive di legittimo fondamento - a tale successione. Così, nello sfondo di questo documento, si possono intravedere i movimenti di vari personaggi, tra cui, in primo piano, Puduøepa, Tutøaliya e Kurunta, probabilmente i principali autori della trama su esposta, ancor più di ÷attušili stesso. Successivamente, una volta ottenuto il trono, l’azione politica di Tutøaliya si trovò drammaticamente costretta a fluttuare tra una severa presa di distanza dal comportamento scorretto del padre e dei sostenitori di questo (cfr. il suo giudizio su ricordato nei riguardi di Mašduri) per salvaguardare i diritti dei suoi discendenti alla successione al trono, e al contempo un inevitabile riconoscimento della legittimità dell’operato paterno per non indebolire se stesso nel potere, acquisito proprio in conseguenza dell’azione del padre e di altri intrighi che a noi in gran parte sfuggono, ma che erano ben presenti a chi viveva in quel tempo. Comunque, tornando al problema esaminato precedentemente, è indubbiamente significativa, nel sigillo di Ugarit a tre registri su ricordato, la presenza insieme al nome dinastico di Tutøaliya anche del suo nome

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hurrico, la cui seconda parte (in qualsiasi modo si debba leggere la prima) è appunto Šarruma. È interessante ricordare che l’identificazione di BU-Šarruma con ÷ešmi-Šarruma e con Tutøaliya IV si basava prevalentemente su una lettera in lingua accadica dell’epoca di ÷attušili III e Puduøepa - KUB III 34 (CTH 165)82 - scritta da Ramses II, dove ÷išmi-LUGAL-ma è presente in Ro 8’, 19’, Vo 15: in quest’ultimo punto è designato come DUMU.LUGAL KUR ÷atti, “figlio del re (del) paese di ÷atti”. Così, era stato riconosciuto in questo personaggio il figlio di ÷attušili III, cioè Tutøaliya IV, che sarebbe stato qui indicato col suo nome di nascita. Quindi, in base all’impronta di sigillo rinvenuta ad Ugarit, ed anche in base agli altri documenti sopra ricordati, si giungeva alle identificazioni suddette. Th.P.J. van den Hout, una volta caduta l’identificazione di ÷esmiŠarruma con Tutøaliya IV, considera ugualmente il personaggio in questione come un figlio di ÷attušili III, cioè un fratello più giovane di Tutøaliya IV, e secondo ciò modifica anche la cronologia di altri documenti. Tale ipotesi è possibile, tuttavia vorrei rimarcare che non è per niente certo che con l’espressione su ricordata, DUMU.LUGAL KUR ÷atti, s’intendesse alludere ad un figlio del sovrano ittita, come a prima vista potrebbe sembrare. Sappiamo infatti che spesso nei testi ittiti l’espressione “figlio del re” veniva usata come titolo e non in senso letterale-genealogico, per designare un principe ittita, anche se non propriamente figlio del sovrano. Inoltre, in base al confronto con una espressione analoga presente in un documento di Emar,83 dove si parla di “Piøa-Tarøunta figlio di Uppa ‘figlio del re’ del paese di ÷at[ti]” (DUMU.LUGAL ŠA KUR Hat[ti]), ritengo che anche nella lettera di Ramses II su ricordata con l’espressione “(del) paese di ÷atti” si volesse indicare la provenienza o la patria dello ÷išmi-Šarruma ivi menzionato, che portava il titolo di principe, o la sua dipendenza dal potere centrale ittita. Questo ÷ešmi-Šarruma è verosimilmente da identificare con il 82 83

V. FsAlp, nota 8 e Th.P.J. van den Hout, op. cit., 140 sgg. V. le mie osservazioni in proposito in Heth 8 (1987) 193 sg.

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personaggio omonimo presente con lo stesso titolo di “figlio del re”, cioè di principe, sia nella tavoletta di bronzo, sia in un testo di inventari di metalli, qui insieme ad altri personaggi che si ritrovano come testimoni nella tavoletta di bronzo.84 In base a tali cosiderazioni non mi sento di aderire all’ipotesi di Th.P.J. van den Hout,85 di integrare con ÷ešmi-Šarruma, al posto di [mTaš]mi-Šarruma come propone H. Otten,86 il nome frammentario ]-miŠarruma, se si adduce come motivazione di tale ipotesi soltanto la presenza vicino a questo antroponimo della titolatura “figlio del Gran Re, re del p[aese di ÷]atti” - a mio avviso sostanzialmente diversa da quella discussa precedentemente - in un’altra lettera, KBo XXVIII 44 Ro 8, sempre facente parte della corrispondenza egizio-ittita. L’integrazione di H. Otten potrebbe adattarsi anche alla proposta di D. Sürenhagen, espressa oralmente a H. Klengel e da questi citata,87 senza però riportarne le motivazioni, di considerare Tašmi-Šarruma come nome hurrico di Tutøaliya IV (e quindi di identificare BU-Šarruma con Tašmi-Šarruma). Tašmi-Šarruma, del resto, anche da altri testi risulta verosimilmente figlio di ÷attušili III.88 Tuttavia, si può accogliere tale ipotesi soltanto se riconosciamo il trattato con Ulmi-Teššup anteriore al trattato con Kurunta, datazione alla quale, come ho già espresso sopra, non mi sento di aderire. Come abbiamo visto, Th.P.J. van den Hout89 accetta la proposta di collocare KBo IV 14+ sotto il regno di Tutøaliya IV ed esclude quindi l’identificazione del BU-Šarruma ivi menzionato con questo sovrano; egli propone invece di identificare BU-Šarruma con Taki-Šarruma, antroponimo presente subito dopo ÷ešmi-Šarruma nella lista della tavoletta di bronzo, V. FsAlp, nota 40; cfr. anche nota 41, e Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+, 140, per altre attestazioni dell’antroponimo ÷ešmi-Šarruma. 85 Op. cit., 142. 86 FsEdel (1979) 316. 87 AoF 18 (1991) 232 nota 60; H. Klengel, tuttavia, sempre nella stessa pagina, citando Tutøaliya IV si chiede ancora: ÷ešmi-Šarruma, Tašmi-Šarruma? 88 Per le attestazioni di questo personaggio v. in ultimo J. Lorenz, op. cit., 75 sg. e Th.P.J. van den Hout, op. cit., 220 sgg., ambedue con bibliografia. 89 Loc. cit. in nota 67; v. anche le sue considerazioni (op. cit., 148) a favore di una lettura fonetica di BU con il hurrico tagi. 84

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sempre col titolo di “figlio del re”: ipotesi plausibile, ma, a mio avviso, non sufficientemente suffragata. Ho parlato ampiamente di Taki-Šarruma nella FsAlp, proponendone l’identificazione con la persona omonima presente, talora col titolo di “figlio del re”, in alcuni testi di inventari, in due documenti ritrovati ad Ugarit e in alcune impronte di sigilli, dove egli porta appunto il titolo di “figlio del re”.90 Del personaggio omonimo che compare nel testo ugaritico su ricordato (RS 17.251 rr. 2, 11, 26)91 - dove si trovano le tre impronte del suo sigillo-anello - come fratello di mT[ul]pi-Šarruma e figlio di m øaštanuri, ho trattato a lungo molti anni fa, proponendo di considerare anche qui, allo stesso modo che in altri casi, l’espressione “figlio del re” come titolo per principe e non in senso letterale, per cui non appare necessario spiegare il termine møaštanuri come un nome hurrico di un re ittita o di un re sconosciuto (v. E. Laroche), o come un titolo corrispondente allo ieroglifico re. Quindi, poiché ad Ugarit, secondo quanto ha rilevato il Nougayrol, il determinativo di persona può anche essere usato davanti a nomi di dignità o professioni, ritenevo, e ritengo ancora, plausibile intendere termine møaštanuri come il titolo di un alto dignitario, sul tipo di LÚtuppanuri/tuppalanuri, øuburtanuri.92 Anche Th.P.J. van den Hout93 ammette la possibilità di considerare qui il titolo “figlio del re” in senso non letterale; egli presenta inoltre varie ipotesi per spiegare il termine møaštanuri, tuttavia il problema rimane, a mio avviso, ancora aperto. Secondo questo studioso, in base alla sua proposta su ricordata di identificare BU-LUGAL-ma con Taki-Šarruma, si alluderebbe in KBo IV 14+ III 40 alla morte di Taki-Šarruma, da collocarsi all’inizio del regno di Tutøaliya IV. Mi pare tuttavia, come ho osservato sopra, che nel 90 Per tutte le attestazioni di questo antroponimo v. in ultimo Th.P.J. van den Hout, op. cit., 144; anch’egli è giunto, separatamente, alle identificazioni sopra indicate: v. anche le pagine successive a p. 144. 91 V. PRU IV, 236 sg. 92 V. le nostre considerazioni in proposito in Or 44 (1975) 92 con note 74 e 75, con bibliografia. 93 Op. cit., 145; cfr. anche le pagine seguenti.

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contesto in questione si faccia piuttosto riferimento alla morte di un sovrano, in occasione della quale il dignitario o sovrano vassallo avrebbe “alzato il collo”. Tutt’al più - ma sempre come ipotesi di lavoro, non avendo elementi per sostenerla - volendo accettare la proposta di identificazione di BUŠarruma con Taki-Šarruma per i motivi linguistici esposti da Th.P.J. van den Hout, si potrebbe ritenere questo antroponimo come nome hurrico di Tutøaliya IV, intendere il termine møaštanuri come designazione del re ittita (v. sopra) e considerare KBo IV 14+ posteriore al regno di Tutøaliya IV. Di grande interesse è anche la presenza nella lista in esame, al nono posto, di Eøli-Šarruma, lui pure accompagnato dal titolo di “figlio del re”. Egli è certo da identificare con la persona omonima, menzionata con lo stesso titolo in un testo di inventari (KUB XL 96 III 24), per la presenza in questo testo di personaggi ben noti, due dei quali si incontrano anche nelle liste in esame.94 Per lo Eøli-Šarruma del documento di inventari - e ciò vale ora anche per quello menzionato nella tavoletta di bronzo - era stata proposta da H. Klengel l’identificazione con l’omonimo re di Išuwa, presente in una lettera scritta da un re di ÷anigalbat, IBoT I 34 Ro 9, 16.95 Secondo questo studioso, la lettera in questione risalirebbe ai primi anni di regno di Tutøaliya IV e lo Eøli-Šarruma ivi presente sarebbe il figlio di Ari-Šarruma, menzionato come re di Išuwa fra i testimoni del trattato con Ulmi-Teššup (Vo 29). Quindi, la tavoletta di bronzo e il testo di inventari, dove EøliŠarruma è ancora indicato come principe (“figlio del re”), devono essere cronologicamente vicini; questo personaggio non era divenuto re neppure all’epoca di KBo IV 10+, poiché lo era Ari-Šarruma. Così la lettera del re di ÷anigalbat su ricordata, dove Eøli-Šarruma compare V. FsAlp, nota 24. Si tratta di dignitari di alto rango, quali ÷ešni “figlio del re”, presente con lo stesso titolo fra i testimoni di KBo IV 10+, e UR.MA÷-ziti capo degli scribi e Tuttu signore dell’edificio ABUSSI, ambedue menzionati con gli stessi titoli fra i testimoni della tavoletta di bronzo. 95 CTH 179.1: v. H. Klengel, Or 32 (1963) 280-291, e in particolare 288 sg.; tale identificazione è stata accolta anche da I. Singer, ZA 75, 115. 94

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come re di Išuwa, deve essere necessariamente posteriore a questi documenti. Non mi sembrano dunque sussistere quelle obiezioni di tipo cronologico avanzate da R. Stefanini alle proposte di A. Goetze e P. Meriggi di identificare lo Eøli-LUGAL menzionato (senza la complementazione fonetica -ma) in KBo IV 14+ con l’omonimo re di Išuwa, ritenendo egli la lettera IBoT I 34 molto anteriore a questo documento.96 All’epoca di questa lettera Eøli-Šarruma - che secondo Th.P.J. van den Hout era probabilmente molto più giovane, forse di una generazione, di Tutøaliya - doveva essere ai suoi primi anni di regno ed era quindi possibile che egli fosse ancora in vita ai tempo di KBo IV 14+, soprattutto se ne accettiamo la datazione al regno di Arnuwanda III proposta da R. Stefanini. Un altro caso interessante è costituito dalla presenza nella tavoletta di bronzo Vo IV 41, all’ultimo posto nella lista dei testimoni, di ŠEŠ-zi LÚ DUB.SARMEŠ UGULA MUBARRI 97 “(capo) degli scribi (e) sovrintendente dei macellai”, e dalla menzione nel trattato con UlmiTeššup Vo 32, sempre all’ultimo posto fra i testimoni, di Maøøuzzi GAL LÚ MUBARRI, e nell’atto per Šaøurunuwa Vo 33, forse al quart’ultimo posto nell’elenco,98 di Ma[øøu(zzi DUB.SAR GAL MUBARRI)]. La corrispondenza molto stretta della titolatura che accompagna questi tre nomi, la loro collocazione nella parte finale delle tre liste e la complementazione fonetica -zi legata al nome ŠEŠ nella tavoletta di bronzo farebbe ragionevolmente presumere che nei tre casi si trattasse di una stessa persona. A tal proposito sorgono però dei problemi per il 96 V. la bibliografia relativa in FsAlp, note 27-31, cui si devono aggiungere I. Singer, loc. cit. con note 88 e 89, e Th.P.J. van den Hout, op. cit., 135 sg., i quali però sono ancora incerti sull’identificazione dello Eøli-Šarruma figlio del re e poi re di Išuwa con lo Eøli-LUGAL di KBo IV 14+. Secondo I. Singer tale identificazione è improbabile accettando la datazione corrente - epoca di Šuppiluliuma II o anche di Arnuwanda III - di questo testo; la situazione si presenta diversa se lo collochiamo sotto Tutøaliya IV. 97 Sul titolo MUBARRU v. F. Pecchioli Daddi, MPD, 555; H.M. Kümmel, UF 1 (1969) 161 sg., A. Ünal, Or 54 (1985) 437. 98 Questa collocazione non è sicura perché le parti finali delle rr. 33 e 34 sono lacunose, comunque si tratta sempre degli ultimi posti nella lista.

472

fatto che l’antroponimo ŠEŠ-zi viene generalmente identificato con Nani(n)zi (NH e Heth 4, 865), sulla base che il termine nana/i è considerato il corrispondente ittita-luvio di ŠEŠ “fratello”.99 Mi sembra quindi utile esaminare separatamente le attestazioni dei tre antroponimi, prima di proporre qualsiasi ipotesi in proposito. Infatti sia E. Laroche in NH sia Th.P.J. van den Hout,100 in base all’identificazione ŠEŠ-zi/Nani(n)zi, presentano insieme le attestazioni di questi due nomi, dandone per scontato il riferimento ad una stessa persona, ciò che crea confusione per un’analisi oggettiva del problema. L’antroponimo ŠEŠ-zi compare anche in documenti di procedura101 e in un testo di inventari102 dove sono menzionati alcuni personaggi qui esaminati o altri contemporanei a questi. È presente, inoltre, in un decreto emanato da ÷attušili III,103 da cui apprendiamo che ŠEŠ-zi era figlio di Mittanamuwa e fratello di UR.MA÷-ziti, ambedue capi scribi; tutto ciò mostra che si era di fronte ad una famiglia di scribi. Egli compare anche in un documento rinvenuto ad Ugarit,104 con il titolo proprio di GAL LÚMUBARRI. Per quanto riguarda Nani(n)zi, lo incontriamo nella cosiddetta “congiura di ÷ešni”,105 in cui sono menzionati, fra gli altri, anche alcuni personaggi ricordati nella tavoletta di bronzo e nel trattato con UlmiTeššup, e lo troviamo inoltre, nella forma Nanizi, in un documento contenente una specie di autogiustificazione di un dignitario ittita,106 dove sono presenti pure due personaggi, Ali-Šarruma e Šaušgaziti, menzionati anche in KUB XL 80, laddove si parla di una figlia di ŠEŠ-zi (v. nota

V. FsAlp, nota 63. KBo IV 10+, 204 sgg. 101 KUB XIII 35+ (CTH 293) III 20; KUB XL 80 (CTH 297.11) 11. 102 KUB XLII 28+ (CTH *244.2) Ro III 8’. 103 KBo IV 12 (CTH 87) Vo 7’. 104 RS 17.109, 23 sg. (CTH 296): v. in ultimo F. Imparati in FsAlp, nota 64 e Th.P.J. van den Hout, loc. cit. 105 KUB XXXI 68 (CTH 297.8) r. 42’: v. R. Stefanini, Athenaeum 40 (1962) 28 sg. e Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+, 321 sgg. 106 KUB LIV 1 I 27’ (v. A. Archi-H. Klengel, AoF 12 [1985] 52-64, e in particolare 61 sg.): l’antroponimo Nanizi non è citato nell’Indice dei nomi di persona di KUB LIV. 99

100

473

101). Un Naninzi scriba compare pure su una tavoletta107 in cui si descrive il 29° giorno della festa AN.TA÷.ŠUMSAR, e ancora in un frammento della festa di ÷uwaššanna,108 dove egli sembra ricordato in quanto scriba (] ŠU mNa-ni-z[i). Poco si può dire sul Naninzi presente in un testo oracolare,109 in cui, secondo quanto presume ragionevolmente Th.P.J. van den Hout,110 si fa implicitamente cenno alla sua morte: questo studioso ritiene che questo Naninzi sia da identificare col personaggio omonimo citato in altri testi; si deve però rilevare che in alcuni dei testi da lui indicati il personaggio in esame porta il nome di ŠEŠ-zi. Di Maøøuzzi (NH e Heth 4, 714), oltre alle attestazioni suddette, abbiamo notizia in un frammento di protocollo,111 il cui contesto, però, non è di grande aiuto per una identificazione col personaggio in esame, anche se essa appare cronologicamente possibile. Si è visto, del resto, che molte delle persone fin qui prese in esame sono spesso presenti in protocolli giudiziari. Secondo Th.P.J. van den Hout Maøøuzzi, probabilmente più giovane di Naninzi (o ŠEŠ-zi), sarebbe un suo successore. Certo, è difficile offrire una soluzione sicura al problema affrontato. A sostegno di una identificazione con Nani(n)zi può giocare la corrispondenza del sumerogramma ŠEŠ con nana/i, sostenuta dalla complementazione fonetica -zi, e inoltre l’ambiente di Nani(n)zi e la sua professione di scriba. Si osserva, tuttavia, a favore della seconda ipotesi, che anche Maøøuzzi, proprio per la sua carica, dovrebbe far parte dello stesso ambiente e che al suo nome pure si adatta la complementazione fonetica -zi; quello però che mi sembra più rilevante è la corrispondenza quasi totale dei titoli che nelle tre liste in esame accompagnano il suo nome e KUB XX 59 (CTH 616) bd. sn. KUB LIV 4 (CTH 692) 6’: cfr. nota 103. 109 KUB XXII 40 (CTH 579) Vo III 27’. 110 KBo IV 10+, 208. 111 KBo XVI 59 (CTH 295) Ro 5’, Vo 6, 8 (v. StBoT 4 [1967] 54); cfr. Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+, 251. Non interessa in questo contesto il Maøøuzzi presente in un testo del periodo medio-ittita, KUB XIII 7 (CTH 258.2) IV 4, ovviamente per ragioni cronologiche. 107 108

474

quello di ŠEŠ-zi, ed anche l’analoga collocazione di questi due personaggi nella parte finale di questi elenchi (ciò che, peraltro, può conseguire dalla carica che essi rivestivano). Si deve soprattutto notare, anche se questo può essere casuale, che il titolo GAL/UGULA MUBARRI è finora attestato vicino ai nomi di ŠEŠ-zi e di Maøøuzzi, ma non di Naninzi: tutto ciò porta, a mio avviso, solide argomentazioni a sostegno di una loro identità. Ritengo, d’altronde, difficile ipotizzare una confusione dello scriba nella resa fonetica di ŠEŠ-zi nel trattato con Ulmi-Teššup e nell’atto per Šaøurunuwa, trattandosi di nomi di testimoni in documenti di così grande importanza. Mi domando allora se non si debba rivedere la lettura fonetica di ŠEŠ-zi sin qui accettata, oppure pensare a due rese fonetiche diverse di questo nome. Ma non è questa la sede per affrontare tale problema. IV. PRESENZA O ASSENZA DI PARTICOLARI DIGNITÀ E FUNZIONI NELLE TRE LISTE

Dall’analisi, per motivi di tempo non approfondita, soltanto di alcuni testimoni della tavoletta di bronzo, scelti qui a titolo esemplificatorio, abbiamo visto quante nuove informazioni, precisazioni, rettifiche, stimoli per ulteriori indagini porti la loro presenza e il loro ordine di successione nella lista. Abbiamo già notato la menzione fra i testimoni di padri e figli, come Bentešina e Šaušgamuwa, o come Šaøurunuwa, capo degli scribi su tavolette di legno (al diciassettesimo posto), e suo figlio Tattamaru, capo degli armati pesanti di sinistra (all’ottavo posto). Vorrei rimarcare di nuovo quanto ho osservato sopra, e cioè che nei casi sopra ricordati i figli appaiono nell’ordine di successione nella lista in posizione di maggior rilievo rispetto ai padri, segno che non si seguiva qui un criterio di posizione gerarchica all’interno della struttura familiare e di anzianità (il padre prima del figlio): è, del resto, ovvio che non ci si attenesse a tale criterio, trattandosi di un atto pubblico. I motivi di queste collocazioni erano evidentemente diversi: o di ordine politico interno ed

475

esterno, o di fiducia personale (come abbiamo ipotizzato per Šaušgamuwa rispetto a Bentešina), o secondo l’importanza della carica e della funzione che essi rivestivano al momento, o, forse, in base all’attività di servizio che i figli potevano prestare più intensamente per la loro più giovane età. Sarebbe troppo lungo prendere qui in esame tutte le cariche presenti nella lista e confrontarle fra sé. Si rileva soltanto l’interesse che può rivestire la menzione contemporanea di alcune cariche per risolvere problemi di vario tipo. Ad esempio, la presenza sia della carica di anduwašalli, tenuta qui da Upparmuwa, sia di quella di “signore dell’edificio ABUSSI”, qui rivestita da Tuttu, mostra la diversità di questi due titoli, mentre ne era stata più volte proposta l’equivalenza in base alla corrispondenza del loro ordine di collocazione in elenchi di alti dignitari ittiti - presenti in alcuni testi di Ugarit dopo il re, la regina, il principe ereditario di ÷atti, come destinatari di tributi ugaritici - soprattutto per il motivo che i due titoli non comparivano contemporaneamente nello stesso elenco. Alcuni personaggi si trovano nelle tre liste in esame accompagnati da titoli diversi, ciò che solleva problemi interessanti sia per l’interpretazione e la valutazione di certi titoli, sia per una conoscenza più approfondita delle cariche a questi connesse, della durata ditali cariche e della loro compatibilità con altre, sia per individuare la carriera dei personaggi ai quali esse erano attribuite entro la burocrazia dello stato ittita. Poiché è noto che una stessa persona, quando teneva alti incarichi di governo, riuniva spesso in sé una molteplicità di titoli e sovente anche di mansioni,112 sorge il problema se i testimoni in questione rivestissero in quel preciso momento più incarichi, anche se questi non figuravano tutti nella lista (è possibile che, forse per motivi di praticità, si citasse solo il titolo più importante o più pertinente all’atto in questione), oppure se coprissero solamente gli incarichi indicati nell’elenco, non avendo ancora ricevuto gli altri o avendoli perduti. Si può anche presumere che essi svolgessero soltanto le mansioni indicate in una determinata lista e che alcuni titoli aggiuntivi fossero solo

112

V. le nostre osservazioni in proposito in FsPuglieseCarratelli (1988) 94.

476

onorifici, per indicare l’appartenenza ad un ceto sociale (come, ad esempio, il titolo di DUMU.LUGAL: v. ultra.). A favore dell’ipotesi che gli incarichi tenuti da una persona non figurassero tutti nella lista potrebbe giocare il fatto che nella tavoletta di bronzo quasi tutti i testimoni, tranne ŠEŠ-zi, compaiono accompagnati da un solo titolo, mentre per taluni sappiamo da altri documenti che tenevano contemporaneamente più titoli. Questo si riscontra anche nel trattato con Ulmi-Teššup, dove fa eccezione soltanto il caso di Upparmuwa, ivi citato come DUMU.LUGAL e (sovrintendente degli) scudieri d’oro. Tale considerazione, invece, non è valida per l’atto per Šaøurunuwa, dove molti testimoni sono accompagnati da più titoli: v. infatti gli esempi di Neriqqaili (Vo 28), DUMU.LUGAL e tuø(u)kanti; Upparmuwa (Vo 30), DUMU.LUGAL e sovrintendente degli scudieri d’oro (l’unica eccezione nel trattato con Ulmi-Teššup); EN-tarwa (Vo 32), scriba, sovrintendente del Palazzo, uomo SAG; probabilmente Palla ([Vo 32]), [signore di ÷]urme, scriba, uomo SAG; Kammaliya (Vo 33), scriba, capo dei cuochi; Ma[øøu]zzi, scriba, gran MUBARRI; Anuwanza (Vo 34), scriba, signore di Nerik, uomo SAG. È possibile che in questo documento i testimoni fossero accompagnati da più titoli perché, trattandosi di un atto di politica interna, era importante mettere in rilievo la posizione che questi dignitari tenevano a corte e nell’organizzazione burocratica dello stato. È inoltre da notare che, quando in questa lista più titoli accompagnano il nome di una stessa persona, nella maggior parte dei casi uno di questi è il titolo di principe (forse menzionato - abbiamo già detto - come titolo onorifico) oppure quello di scriba (cfr. ultra). Tanti altri problemi e considerazioni si affacciano alla mente leggendo queste liste di testimoni. Si rileva, ad esempio, l’interesse che può avere la ripetuta menzione di un medesimo titolo attribuito nello stesso periodo a persone diverse (come quello di GAL KARTAPPU, che abbiamo visto nella tavoletta di bronzo conferito ad Abamuwa e ad UraTarøunta) per dimostrare la non unicità di tale carica nella burocrazia statale ittita in una determinata epoca, rispetto a quanto, invece, si è

477

potuto osservare per altre cariche, con tutte le implicazioni che ciò comporta per la valutazione di queste. Così, colpisce l’attenzione la più numerosa quantità di principi (“figli del re”) nei due trattati internazionali (6 nella tavoletta di bronzo e 8 nel trattato con Ulmi-Teššup) rispetto all’atto per Šaøurunuwa (solo 2, recanti anche un altro titolo), ciò che può essere motivato dal carattere internazionale dei primi due documenti, per cui era rilevante mostrare una più vasta presenza di appartenenti alla famiglia e all’ entourage reale. Inoltre, la più ampia testimonianza di scribi fra i testimoni dell’atto per Šaøurunuwa (6 scribi, che portavano anche altri titoli, più un capo scriba) rispetto ai due trattati internazionali (3 capi scribi più uno scriba nella tavoletta di bronzo e 2 capi scribi nel trattato con Ulmi-Teššup) potrebbe forse derivare dal fatto che il primo documento riguardava i beni proprio di un capo degli scribi su tavolette di legno (Šaøurunuwa) e in più che si trattava di un atto concernente una situazione, sia pur di rilievo, che toccava l’organizzazione economica all’interno del regno e che poteva rientrare nell’ambito di competenza degli scribi stessi. Nei due documenti internazionali, invece, era logico che fossero presenti dei capi-scribi per il maggior prestigio della loro carica, oltre che per la loro competenza specifica. Quanto ho sin qui esposto costituisce soltanto una parte dei numerosi problemi che mi si sono presentati nel corso di questa indagine; si può quindi comprendere l’importanza costituita dal ritrovamento della tavoletta di bronzo non solo per una migliore conoscenza della storia ittita e degli altri stati anatolici in quel periodo, ma anche per una più chiara rappresentazione della complessa struttura amministrativa su cui si reggeva allora il regno di ÷atti.

478

Collana di studi sulle civiltà dell’Oriente antico

481

482

Collana di studi sulle civiltà dell’Oriente antico fondata da Fiorella Imparati diretta da Giovanni Pugliese Carratelli e Stefano de Martino

Fiorella Imparati STUDI SULLA SOCIETÀ E SULLA RELIGIONE DEGLI ITTITI TOMO II

LoGisma editore

483

Volume pubblicato con il contributo di Aldo Zanardo in ricordo di Fiorella Imparati Studi sulla società e sulla religione degli ittiti Copyright © 2004 LoGisma editore www.logisma.it - [email protected]

ISBN 88-87621-42-X

484

Indice TOMO I Presentazione di Giovanni Pugliese Carratelli e Stefano de Martino I. La decifrazione della scrittura micenea (lineare B)

11

da Atene e Roma 2 (1957) 65-84

II. Su alcuni articoli del Codice Ittita relativi a categorie sociali

33

da RIDA 6 (1959) 65-75

III. Note e critiche filologiche

“Ruota” designazione del trono reale ittita?

43

da PdP 65 (1959) 117-123

IV. Note e critiche filologiche

51

Note al Codice Ittita

da PdP 66 (1959) 185-189

V. L’ Autobiografia di ÷attušili I

57

da SCO 13 (1964) 1-35

VI. É duppaš, LÚtuppanuri

95

da FsMeriggi (1969) 154-159

VII. “Signori” e “figli del re”

103

da Or 44 (1975) 80-95

VIII. Le istituzioni cultuali del NA4øékur e il potere centrale ittita

121

da SMEA 18 (1977) 19-64

IX. Une reine de ÷atti vénère la déesse Ningal

173

da FsLaroche (1979) 169-176

X. Il culto della dea Ningal presso gli Ittiti da FsMeriggi2 (1979) 293-324

485

185

XI. Aspects de l’organisation de l’état hittite

dans les documents juridiques et administratifs

213

da JESHO 25 (1983) 225-267

XII. Lehenwesen s.a. Feudalismus, ilku. Bei den Hethitern

253

da RlA 6 (1983) 543-547 s.v.

XIII. Il trasferimento di beni nell’ambito del matrimonio privato ittita 261 da Geo-archeologia 2 (1984) 109-121

XIV. Auguri e scribi nella società ittita

277

da FsBresciani (1985) 255-269

XV. La politique extérieure des Hittites: tendances et problèmes

291

da Heth 8 (1987) 187-207

XVI. Interventi di politica economica dei sovrani ittiti

e stabilità del potere

309

da Stato Economia Lavoro (1988) 225-239

XVII. Armaziti: attività di un personaggio nel tardo impero ittita

325

da FsPuglieseCarratelli (1988) 71-86

XVIII. Obligations et manquements cultuels envers la divinité Pirwa 343 da GsvonSchuler (1990) 166-187

XIX. Autorità centrale e istituzioni collegiali nel regno ittita

369

da CPUL 21 (1991) 161-181

XX. Le relazioni politiche fra ÷atti e Tarøuntašša

389

in collaborazione con F. Pecchioli Daddi, da EOTHEN 4 (1991) 23-68

XXI. Significato politico della successione dei testimoni

nel trattato di Tutøaliya IV con Kurunta da Seminari 1991 (1992) 59-86

486

443

TOMO II XXII. A propos des témoins du traité avec Kurunta de Tarøuntašša 489 da FsAlp (1992) 305-322

XXIII. La civiltà degli Ittiti: caratteri e problemi

515

da Antichi popoli europei - Dall’unità alla diversificazione, (O. Bucci ed.) Roma (1992) 365-433

XXIV. Apology of ÷attušili III or designation of his successor?

569

da FsHouwinktenCate (1992) 143-157

XXV. Miete. Bei den Hethitern

589

da RlA 8 (1994) 184-187 s.v.

XXVI. Mizramuwa. Anthroponyme attesté en écritures cunéiforme

595

et hiéroglyphique dans des documents hittites et ougaritiens. da RlA 8 (1994) 316-317 s.v.

XXVII. Mord (Meurtre/Homicide). Bei den Hethitern

597

da RlA 8 (1995) 382-385 s.v.

XXVIII. Private Life Among Hittites

603

da CANE I (1995) 571-586

XXIX. Aspects of Hittite correspondence:

631

problems of form and content

in collaborazione con S. de Martino, da StMed 9 (1995) 103-115

XXX. Observations on a letter from Ma$at-Höyük

649

da GsBilgiç (1997) 199-214

XXXI. Two mythological fragments concerning the deity Pirwa da FsKlengel (1998) 126-140

487

665

XXXII. Sifting through the edicts and proclamations

of the Hittite kings

689

in collaborazione con S. de Martino, da Acts of the IIIrd International Congress of Hittitology, Çorum, September 16-22 1996, Ankara (1998) 391-400

XXXIII. L’organizzazione dello stato ittita

697

da Geschichte des hethitischen Reiches, (H. Klengel ed.) Leiden-Boston-Köln (1999) 320-387

XXXIV. Il testo oracolare KUB XXII 51 (CTH 577)

761

da Heth 14 (1999) 153-177

XXXV. La “mano” nelle più significative espressioni idiomatiche ittite 787 in collaborazione con S. de Martino, da GsMoreschini (1999) 175-185

XXXVI. Ningal. Bei den Hethitern und Hurritern

803

da RlA 9 (2000) 356-357 s.v.

XXXVII. Palaces and local communities in some

Hittite provincial seats

807

da GsGüterbock (2002) 93-100

XXXVIII. Observations on Hittite international treaties

817

in collaborazione con S. de Martino, StBoT 45 (2001) 347-363

XXXIX. More on the so-called “Puøanu chronicle”

837

in collaborazione con S. de Martino, da FsHoffner (2003) 253-263

XL. Significato politico dell’investitura sacerdotale nel regno

di ÷atti e in alcuni paesi vicino orientali ad esso soggetti

837

da FsFronzaroli, (2003) 230-242

Indici analitici

865

Abbreviazioni e sigle

916 * * *

488

XXII.

A PROPOS DES TÉMOINS DU TRAITÉ AVEC KURUNTA DE TAR÷UNTAŠŠA

Dès la première lecture, la tablette de bronze contenant le traité stipulé par Tutøaliya IV de ÷atti avec Kurunta de Tarøuntašša, que l’on a découverte à ÷attuša en 1986 et que nous connaissons intégralement grâce à la rapide publication de H. Otten,1 offre d’innombrables directions de recherche sur la situation politique intérieure et extérieure de l’État hittite à cette période; elle fournit en outre des éléments qui permettent de confirmer ou de revoir certaines hypothèses formulées par les spécialistes avant cette importante trouvaille. Nous rapportons ici quelques observations effectuées lors d’un premier examen de la liste des témoins se portant garants de la validité de ce document, en la rapprochant aussi des listes présentes dans deux autres textes chronologiquement proches, c’est-à-dire l’acte relatif à l’assignation héréditaire des biens de Šaøurunuwa (CTH 225)2 et le traité stipulé par Tutøaliya IV avec Ulmi-Teššup de Tarøuntašša (CTH 106).3 Comme le remarque à juste titre H. Otten (op. cit., 9), les personnages de haut rang cités comme témoins dans la tablette de bronze et faisant partie de l’organisation étatique hittite étaient pour la plupart des membres de la famille royale; dans certains cas, les souverains des pays placés sous le contrôle plus ou moins fort de ÷atti étaient, eux aussi, liés à celle-ci par des liens de parenté. Nous nous arrêterons maintenant sur quelques-uns des témoins ou groupes de témoins nommés dans cette tablette, en nous réservant de revenir bientôt sur ce sujet, également pour discuter d’autres problèmes de différente nature, nés à la suite d’un examen global de ce document.

Bronzetaf. (1988). KUB XXVI 43+: v. F. Imparati, Šaøur. (1974). 3 KBo IV 10: v. V. Korošec, dans Akademie znanosti in umetnosti v Ljubljani (1943) 53-112. 1

2

489

SOUVERAINS DE PAYS ETRANGERS CITES PARMI LES TEMOINS

Quatre souverains sont nommés parmi les témoins de la tablette de bronze, tandis qu’on en trouve seulement deux dans CTH 106 et dans CTH 225: v. à ce propos p. 495. Le premier souverain mentionné dans la liste de la tablette de bronze (Vo IV 31) est Ini-Teššup, roi de Karkemiš, dans une position de relief après trois personnages de rang très élevé, parmi lesquels le probable héritier du trône à ce moment-là (cfr. p. 496 avec note 23). Ce souverain occupe une place importante aussi dans CTH 106, où il suit le prince héritier et trois autres princes et précède le roi de Išuwa, et dans CTH 225 (Vo 29), où il est cité après le prince héritier et peut-être après un autre prince (÷uzziya? la fin de cette ligne est malheureusement lacuneuse), ainsi qu’ après le roi de Tarøuntašša, dont le nom se trouve dans la lacune. On connaît bien la position de relief du roi de Karkemiš auprès de la cour hittite et l’importante fonction de contrôle qu’il exerçait pour le compte du souverain de ÷atti dans la Syrie septentrionale, surtout à partir de l’époque de Ini-Teššup.4 En effet pour Tutøaliya IV aussi, comme pour ses prédécesseurs, le maintien de bons rapports avec la Syrie était d’une importance extrême, tant pour des raisons d’ordre économique que pour la forte pression qu’ exerçait l’Assyrie à cette époque. La cour hittite considérait également comme très importante la conservation de bons rapports avec l’état syrien de Amurru, dont le souverain, Bentešina, avait été étroitement lié à ÷attušili III, lequel l’avait protégé et fait revenir sur le trône d’où l’avait déposé Muwattalli. Puis, comme on le sait, ÷attušili lui avait donné sa fille Kašuliyawiya en mariage et son fils Neriqqaili avait épousé une fille de Bentešina.5 De

V. en particulier M. Liverani, RSO 35 (1960) 135 sqq. et mes observations dans Heth 8 (1987) 19 sqq., avec bibliographie; v. en outre M. Forlanini, dans ASVOA 4.3 (1986), tav. XX. 5 Sur le traité entre ÷attušili III et Bentešina de Amurru (CTH 92) v. en dernier G.F. Del Monte, Il trattato fra Muršili II di ÷attuša e Niqmepa di Ugarit, Roma 1986 (= OAColl 18) 178 sqq. et, en particulier, p. 180 sq. Ro 18-21. 4

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plus Tutøaliya IV avait marié sa soeur à Šaušgamuwa, fils de Bentešina, et à la mort de ce dernier l’avait fait roi de Amurru.6 On retrouve en effet, parmi les témoins de la tablette de bronze, Šaušgamuwa, avec le titre, précisément, de beau-frère du roi, dans une position de relief (Vo IV 32) à la sixième place immédiatement après Mašduri et bien avant son père Bentešina (Vo IV 36), ce qui fait présumer que ce dernier ait été mentionné ici en tant que roi de Amurru et non pas comme membre de la famille royale hittite, bien qu’étant lui aussi un beau-frère du roi. Vraisemblablement, l’état de Amurru était lui aussi, à ce moment-là, important pour la politique syrienne de Tutøaliya IV, mais pas autant que Karkemiš. En outre - et, à mon avis, surtout - le lien étroit entre Bentešina et le défunt père de Tutøaliya IV ne fournissait pas de suffisantes garanties à ce souverain, lequel avait placé le roi de Amurru parmi les témoins du document que nous examinons pour des raisons politiques, mais avait préféré conférer une position de relief à Šaušgamuwa, en utilisant l’expédient du titre de parenté. Tout de suite après le roi de Karkemiš on trouve dans la liste de témoins de la tablette de bronze Mašduri,7 roi du pays de la rivière Šeøa. Je retiens que la position de relief de ce souverain dans cette liste n’était pas dû seulement à son rang, indubitablement élevé puisqu’il s’agissait d’un parent étroit du Grand Roi hittite (son oncle, pour l’exactitude), ou au prestige dérivant de l’âge probablement avancé de Mašduri à cette époque, mais aussi, et surtout, pour l’importance que le pays dont il était roi avait à ce moment-là dans la politique de Tutøaliya IV envers l’occident anatolien. On sait, en effet, que Mašduri avait épousé la soeur de Muwattalli et de ÷attušili III, DINGIRMEŠ-IR-i/Maššan(a)uzzi,8 seule fille de Muršili 6 V. le traité entre Tutøaliya IV et Šaušgamuwa (CTH 105) dans StBoT 16 (1981) 6-9 Ro I 8 sq., II 1-3, 8. 7 V. NH 783. 8 V. NH et Heth 4, 775 s.v. *Maššana-IR-i, et Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 255; pour la lecture phonétique de ce nom comme *Maššan(a)uzzi et pour sa correspondance, très plausible, avec celui de Matanazi, mentionné dans la correspondance entre Ramsès II et ÷attušili III comme soeur du Grand Roi hittite, v. KBo XXVIII 30, et H. Otten, RlA 4 (1972-75) 174 s.v. ÷attušili II, et Puduøepa, 9 sq., et E. Edel, Ärtze (1976) 31 sqq., 41 sqq., 53 sq., 67 sqq., 126. S. Heinhold-Krahmer, THeth 8 (1977) 371 sq., retient au contraire que l’identification de DINGIRMEŠ-uzzi avec DINGIRMEŠ-IR-i est discutable.

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II, selon ce qu’affirme ÷attušili lui-même dans son “autobiographie”, I 9 sqq.:9 “(9) Mon père généra nous, quatre enfants: ÷alpašulupi, (10) Muwattalli, ÷attušili et Maššanauzzi, une fille. De tous ceux-ci moi, j’étais le fils le plus jeune”. L’affirmation que ÷attušili était le plus jeune fils de Muršili II - à moins qu’il ne s’agisse ici d’un topos littéraire assez fréquent dans les documents de ce genre10 - porte à penser que Maššanauzzi/Matanazi (v. note 8), si elle était encore en vie, et Mašduri avaient probablement un âge avancé à l’époque de la rédaction de la tablette de bronze. Cela est confirmé par une lettre envoyée à ÷attušili III par Ramsès II - et donc antérieure à notre traité - où le pharaon relève précisément que cette soeur du souverain hittite devrait déjà avoir, à cette époque-là, au moins cinquante ou soixante ans.11 Toutefois, ni la parenté de Mašduri avec le roi hittite, ni l’âge vénérable de celui-là me semblent suffisants pour justifier la position de relief qu’il occupe dans la liste de témoins que nous examinons: Bentešina de Amurru aussi était un parent (un beaufrère) du roi, mais il est nommé bien neuf personnes après Mašduri. Comme je l’ai dit avant, je considère au contraire que la position de relief que connaît Mašduri dans cette liste dérivait surtout de la grande importance qu’avait assumé le pays de la rivière Šeøa dans le cadre de la politique étrangère de Tutøaliya IV pour s’assurer le contrôle de l’Anatolie occidentale, où ce souverain se trouva à exercer une intense activité militaire et politique, également en coïncidence avec la pression achéenne.12 Il me semble intéressant de rappeler que dans le traité de date postérieure stipulé par Tutøaliya IV avec Šaušgamuwa de Amurru (v. p. 495), au Ro II 15-30, après la mention du fait que Muwattalli avait marié sa soeur à Mašduri et avait nommé ce dernier roi du pays de la rivière Šeøa, on souligne que, à la mort de ce souverain hittite, Mašduri n’en V. A. Goetze, ÷att., 6 sq.; H. Otten, StBoT 24 (1971) 4 sq. Cfr., par exemple, le cas de Idrimi, plus jeune que ses frères, cité par M. Liverani, Or 42 (1973) 183. 11 V. apud I. Singer, AnSt 33 (1983) 208. Sur la problématique relative au mariage de cette princesse et sur les opinions divergentes de certains spécialistes, v. en dernier S. Heinhold-Krahmer, THeth 8, 227-232. 12 V. à ce propos l’ample discussion de I. Singer, op. cit., 205-217, avec bibliographie précédente. 9

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avait pas défendu le fils Urøi-Teššup, mais était passé du côté de ÷attušili III. Dans ce passage Tutøaliya déplore vivement le comportement de Mašduri à cette occasion: naturellement, il est clair que cet exemple est rapporté ici à titre instrumental et qu’il s’adresse à Šaušgamuwa, afin que lui aussi, que Tutøaliya a fait son beau-frère et roi d’Amurru, il ne répète pas une action analogue à celle de Mašduri. Toutefois, on remarquera que Tutøaliya lui-même continue à appeler Urøi-Teššup par son nom personnel (et pas par son nom dynastique de Muršili), indiquant ainsi qu’il ne lui reconnaissait pas la légitimité du pouvoir royal. En outre, Tutøaliya semble vouloir souligner, tout en attribuant cette affirmation à Mašduri, que Urøi-Teššup était un bâtard. N’oublions pas, en effet, que Tutøaliya IV est devenu roi grâce à l’usurpation de son père, et de plus, selon ce qui est écrit sur la tablette de bronze (Ro II 35 sq., 43 sq.), après que ÷attušili eut au premier abord désigné comme son successeur un frère de Tutøaliya, qu’il déposa ensuite en faveur de ce dernier. Cette réprobation de Tutøaliya à l’égard de Mašduri porte à penser d’abord qu’un certain nombre d’année avait dû s’écouler entre la rédaction de la tablette de bronze (où Mašduri a une place de relief) et le traité avec Šaušgamuwa, puis que Mašduri à l’époque de ce dernier traité n’était plus en vie (de même que Bentešina), et peut-être aussi que la situation politique en Anatolie avait subi quelque changement. Rappelons à ce sujet qu’on trouve, précisément dans le traité avec Šaušgamuwa, la mention, mais suivie de l’effacement de celle-ci, du roi de Aøøiyawa parmi les souverains alors considérés les égaux du roi hittite (IV 1-3), tandis que, au contraire, ce même texte montre avec évidence une forte tension entre ÷atti et l’Assyrie. Nous verrons plus loin (p. 495) comment la présence des rois de Karkemiš et de Išuwa parmi les témoins de KBo IV 10 fait supposer durant cette période une politique hittite tendant à contrôler les régions méridionales et orientales de l’Empire. La liste de la tablette de bronze fait donc voir nettement l’importance du pays de la rivière Šeøa dans la politique internationale hittite de l’époque et le fait que Tutøaliya devait, en conséquence, tenir compte de la position de Mašduri, qu’il en approuvât ou non le comportement antérieur.

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Selon I. Singer13 le pays de Mira, par contre, avait, à partir du règne de ÷attušili, perdu peu à peu de l’importance au bénéfice de son voisin occidental, le pays de la rivière Šeøa: nous en avons aujourd’hui une confirmation en comparant la position de Mašduri et celle de Alantalli, roi de Mira, dans la liste examinée. Toutefois, la présence de ce dernier souverain dans la liste (Vo IV 36) montre que le royaume de Mira pouvait encore au cours des premières années de règne de Tutøaliya IV jouer un rôle de soutien pour la domination hittite en Anatolie occidentale.14 Il s’agit là de la seule attestation que nous possédons jusqu’à ce jour de Alantalli15 avec le titre de roi de Mira. Son identification avec le personnage homonyme mentionné dans le fragment KUB VI 47 (CTH 214.3) l. 9’ me semble toutefois plausible et pour la mention dans ce même texte à la ligne 1’ de ]LAMMA LUGAL KURU[RU, où à mon avis on doit reconnaître Kurunta, roi de Tarøuntašša, et pour celle, aux ll. ]2’ et ]7’, de ÷attušili, vraisemblablement ÷attušili III, et à la ligne 11’ d’une femme nommée DINGIRMEŠ-uzz[i, très probablement la soeur de Muwattalli et de ÷attušili III, DINGIRMEŠ-IR-i, mariée à Mašduri (voir p. 491 avec note 8). Il me semble donc raisonnable de considérer Tutøaliya IV comme l’auteur de ce fragment,16 qui se référait à l’intronisation de Kurunta dans le pays de Tarøuntašša par ÷attušili III. Le fait que l’auteur passe dans le texte de la première a la troisième personne du singulier (voir par exemple l’utilisation de l’expression ABI-ŠU à la l. 7’) n’a rien d’étonnant dans une narration historique. Nous savons, du reste, que Tutøaliya, dans la tablette de bronze, renouvelle l’accord de son père avec Kurunta.17 Op. cit., 207. V. au contraire I. Singer, loc. cit. ainsi que p. 214, toutefois avant la découverte de la tablette de bronze. 15 V. NH et Heth 4, 25; v. aussi S. Heinhold-Krahmer, THeth 8, pp. citt. dans l’index p. 402 s.v. 16 V. aussi A. Ünal, THeth 3 (1974) 14. Que l’on parle de ÷attušili III dans ce fragment semble plausible également à H. Otten, dans RlA 4, loc. cit. à la note 8, et dans Puduøepa, 9 sq.; O. Carruba pensait, par contre, à ÷attušili II, dans SMEA 14 (1971) 85 sq.; l’hypothèse proposée par ce spécialiste de reconnaître Kupanta]-LAMMA roi de Mira dans le personnage mentionné à la l. 1’ ne semble pas acceptable d’un point de vue chronologique. 17 De cette façon on pourrait également résoudre le doute exprimé par O. Carruba, op. cit., 86 note 27. 13

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Parmi les autres personnes qui portent le nom de Alantalli, il en est une mentionnée - avec la graphie Alantalli/Alaltalli18- dans la narration des Gestes de Šuppiluliuma I contre Arzawa, avec d’autres adversaires de ce souverain,19 en rapport avec la défense de la montagne Tiwatašša,20 vraisemblablement au sein du pays de Mira.21 Il n’est pas impossible que cet Alantalli soit un aïeul de l'homonyme roi de Mira nommé dans la tablette de bronze. A ce point il est intéressant de rappeler que dans CTH 106 les souverains étrangers mentionnés parmi les témoins de ce traité sont IniTeššup roi de Karkemiš et Ari-Šarruma roi de Išuwa (tous deux au Vo 29), ce qui semble indiquer un déplacement de la politique internationale de Tutøaliya IV tendant au maintien du contrôle de l’Anatolie sudorientale, en rapport aussi à la plus forte tension hittite-assyrienne.22 Du reste, cette situation apparaît évidente également dans un passage du traité, postérieur, avec Šaušgamuwa de Amurru, que nous avons mentionné ci-dessus (p. 492), où Tutøaliya IV établit un blocus commercial envers l’Assyrie (Vo IV 14-18: v. StBoT 16, 14-17). Dans CTH 225 la mention parmi les témoins du roi de Tarøuntašša (Vo 29), dont le nom se trouve dans la lacune, et de Ini-Teššup roi de Karkemiš (Vo 29) me semble au contraire due, non pas à des motifs qui ont trait à la politique internationale (puisqu’il s’agit, en effet, d’un acte de politique intérieure), mais au prestige de ces deux souverains - liés à la famille royale hittite par des liens de parenté - et à leur position de relief également dans la politique intérieure du royaume de ÷atti. Il faut remarquer ici la présence du roi de Tarøuntašša avant le roi de Karkemiš. Tout cela trouve une confirmation dans le § 18 de la tablette de bronze, où il est dit que par rapport au “grand trône” doit valoir pour le roi de Tarøuntašša le même accord et la même règle que pour le roi de

18 On trouve aussi, dans la graphie Alantalli, le nom d’ un devin dans des textes oraculaires: v. NH et Heth 4, 25.2 et 3. 19 V. NH et Heth 4, 25.1; Deeds, 79 sq. fragments 18 l. 8 et 19 l. 8’, et THeth 8, locc. citt. 20 V. H. Gonnet, Mont. As. Min., 115. 21 V. THeth 8, 68 note 21. On remarquera que Mira y est mentionné à la fin du fragment 18 l. 31, avant la brisure de la tablette. 22 V. H. Klengel, OA 7 (1968) 70 sqq. et RlA 5 (1977) 214-216 s.v. Išuwa infra.

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Karkemiš et que seul le tuøukanti a un rang plus élevé que le roi de Tarøuntašša.23 I. ANTHROPONYMES COMPOSÉS AVEC LE NOM DIVIN ŠARRUMA Parmi les témoins de la tablette de bronze on trouve plusieurs anthroponymes - quatre pour l’exactitude - composés avec le nom divin Šarruma, ce qui n’est pas surprenant à une époque où le culte hourrite jouait un rôle prédominant dans le monde religieux hittite et où Tutøaliya IV lui-même avait choisi précisément Šarruma comme divinité personnelle. Ces noms théophores sont tous portés par des personnages de haut rang, accompagnés du titre de “fils du roi” et occupant dans la liste une position de relief. Eøli-LUGAL-ma = Eøli-šarruma (NH et Heth 4, 229; Bronzetaf. Vo IV 34) est certainement à identifier avec le personnage homonyme portant le même titre dans un texte d’inventaires, KUB XL 96 III 24,24 avec la fonction de contrôler la distribution d’objets en cuivre. Toujours dans ce texte d’autres dignitaires de haut rang exercent la même fonction, comme ÷ešni “fils du roi”, UR.MA÷-ziti chefs des scribes, Tuttu seigneur de l’édifice ABUSSI (administrateur du magasin/responsable du dépôt).25 On remarquera que ces deux derniers dignitaires sont mentionnés avec les mêmes titres parmi les témoins de la tablette de bronze, ce qui en confirme l’identité. ÷ešni aussi, toujours avec le titre de DUMU.LUGAL, est cité parmi les témoins de CTH 106 Vo 30. En ce qui concerne le Eøli-Šarruma mentionné dans le document d’inventaires indiqué ci-dessus, ainsi que celui de la tablette de bronze,

Cela devrait-il par conséquent exclure la possibilité de restaurer le nom de ÷uzziya dans CTH 225 Vo 28 dans la lacune à la fin de cette ligne, après la mention de Neriqqaili et avant le nom du roi de Tarøuntašša? Toutefois, il est bon de souligner que le roi de Karkemiš aussi - pour lequel devrait être valable la même règle que pour le roi de Tarøuntašša - n’est pas nommé tout de suite à la deuxième place dans les listes de la tablette de bronze et de CTH 106. 24 CTH 242.5: v. S. Košak, THeth 10 (1982) 81 sqq. et J. Siegelová, Heth. Verw. I (1986) 276 sqq. 25 V. F. Pecchioli Daddi, MPD, 512. 23

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on en a proposé l’identification avec le roi de Išuwa du même nom cité dans une lettre écrite par un roi de ÷anigalbat, IBoT I 34 Ro 9, 16.26 Le nom Eøli-LUGAL-ma correspond très vraisemblablement à Eøli-LUGAL (NH 228) attesté dans le traité KBo IV 14(+) (CTH 123) IV 71, même si dans ce dernier cas le nom manque du complément phonétique.27 Déjà A. Goetze et P. Meriggi avaient, à mon avis avec raison, proposé cette identification,28 sans naturellement pouvoir tenir compte de l’attestation de la tablette de bronze; par contre, pour des motifs chronologiques, R. Stefanini (loc. cit.) n’était pas d’accord pour reconnaître dans le Eøli-LUGAL du traité KBo IV 14(+) le roi de Išuwa homonyme, considérant IBoT I 34 très antérieur à ce traité.29 Selon H. Klengel la lettre IBoT I 34 - où nous avons vu Eøli-Šarruma indiqué comme roi de Išuwa - remonterait aux premières années du règne de Tutøaliya IV et Eøli-Šarruma serait le fils de Ari-Šarruma, mentionné comme roi de Išuwa parmi les témoins de CTH 106 Vo 29: tous deux pourraient être contemporains de Tutøaliya.30 Aujourd’hui, après la découverte de la tablette de bronze, il apparaît que le texte d’inventaires sus mentionné et la tablette de bronze sont chronologiquement proches, puisque dans ceux-ci Eøli-Šarruma est encore indiqué comme DUMU.LUGAL.31 En outre, sa présence dans la CTH 179.1: v. H. Klengel, Or 32 (1963) 280-291, et en particulier 288 sq. V. A. Goetze, JCS 1 (1947) 92 note 21; P. Meriggi, WZKM 58 (1962) 85; R. Stefanini, Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei (Rendiconti) 20 (1965) 77. 28 A. Goetze, loc. cit.; P. Meriggi, op. cit., 84 sq., voit même dans le roi de Išuwa portant ce nom le partenaire du traité KBo IV 14(+); v. aussi H. Klengel, Or cit., 288 note 1. 29 A son avis le Eøli-Šarri mentionné ici devrait être un personnage hittite, encore en vie à l’époque de la rédaction de ce document, peut-être celui qui se trouve dans le texte d’inventaires, dont, toutefois, il considère nécessaire de vérifier la chronologie. Dans son article cité ci-dessus, p. 78 sq., R. Stefanini semble accepter pour KBo IV 14(+) une datation à l’époque de Šuppiluliuma II, tandis que dans Atti dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria” 31 (1966) 107-109, il préfère dater ce texte à l’époque de Arnuwanda III. 30 Or cit., 288 sq.; v. aussi OA 7 (1968) 71; OA 15 (1976) 87; RlA cité à la note 22, 215 sq. Il rappelle aussi que H.G. Güterbock (JNES 32 [1973] 135 sqq.) retient qu’on peut lire les noms de ces deux souverains dans les légendes hiéroglyphiques (Nrr. 1-3) de certaines bulles d’argile avec sceaux découvertes à Korucutepe. 31 Le texte d’inventaires pourrait, tout au plus, remonter aux dernières années du règne de ÷attušili III. 26

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tablette de bronze avec ce titre confirme qu’il ne peut pas avoir régné en Išuwa avant Ari-Šarruma, puisque celui-ci est précisément indiqué comme roi de Išuwa dans CTH 106, que nous savons maintenant être postérieur au traité avec Kurunta. Ainsi IBoT I 34 - où nous avons vu Eøli-Šarruma comme roi de Išuwa, peut-être dans ses premières années de règne - doit nécessairement être postérieur à CTH 106. Enfin il ne me semble pas qu’il subsiste des objections d’ordre chronologique à l’identification de ce personnage évidemment devenu roi après le traité avec Ulmi-Teššup - avec son homonyme présent dans KBo IV 14(+) (v. notes 27, 28), surtout si nous acceptons la proposition de R. Stefanini de dater ce texte de l’époque de Arnuwanda III au lieu de Šuppiluliuma II (v. note 29).32 Sur le nom ÷ešmi-LUGAL-ma (= ÷ešmi-Šarruma) - NH 371; Tav. Br. Vo VI 34 - les spécialistes ont discuté, car quelques-uns le retenaient la lecture phonétique de BU-LUGAL-ma et l’ont considéré dans certains cas comme étant le nom de naissance de Tutøaliya IV.33 Alors que l’identification de BU-LUGAL-ma/BU-Šarruma avec Tutøaliya IV me paraît vraisemblable dans quelques cas (et c’est-à-dire pour KBo IV 14(+) III 40,34 pour KUB VII 61 (CTH 417) Ro 7, 8,35 Sur la tablette de bronze, au Vo IV 34, on mentionne, après Eøli-Šarruma, Abamuwa, Grand KARTAPPU. De lui on ne peut pas dire grand’ chose, car nous ne possédons qu’une seule autre attestation de cet anthroponyme (v. NH 99), en écriture hiéroglyphique, relative à un scribe, dans Tarsus 48: cfr. H.G. Güterbock, ArOr 18 (1950) 212 Nr.15; E. Laroche, Syria 35 (1958) 259. Il est possible d’identifier ces deus personnages, vu que, comme on le sait, la profession de scribe était compatible avec d’autres fonctions, parmi lesquelles celle de KARTAPPU. A cet effet, rappelons que dans quelques cas le KARTAPPU était chargé de certaines attributions diplomatiques à l’étranger: v. mes observations à ce sujet dans Heth 8 (1987) 194 sq. avec bibliographie cit. à p. 205 notes 30 et 31. 33 V. NH 371.3 et p. 360 sq.; E. Laroche, Ug. III, 118 sq.; H.G. Güterbock, CHM II, 386 sq.; E. v. Schuler, Kašk. (1965) 16 et note 155 avec bibliographie; H. Otten, RlA 4 (1972-75) 426 s.v. ÷išmi-Šar(ru)ma. 34 En plus de la bibliographie citée à la note précédente v. aussi R. Stefanini, Atti Lincei cit., 46 et 69. 35 V. H.G. Güterbock, op. cit., 387 sq. note 44; R. Werner, StBoT 4 (1967) 66. Il s’agit d’un rituel de conjuration dont l’auteur est NIN.GAL-uzzi, épouse de Kaššu, lequel pourrait être le personnage du même nom présent parmi les témoins dans CTH 225 Vo 31 et dans d’autres textes de la même époque. Sur la base du contexte, le BUŠarruma qui y est mentionné semble être un roi et, par conséquent, il pourrait s’agir de Tutøaliya IV: toutefois le texte est très fragmentaire. Sur Kaššu v. F. Pecchioli Daddi, Mesopotamia 13-14 (1978-79) 201 sqq., et A. Ünal, RlA 5 (1980) 473 sq. s.v. Kaššu. 32

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ainsi que pour le sceau RS 17.159),36 il ne me semble pas, au contraire, qu’il y ait assez d’éléments pour appuyer cette identification pour KUB III 34 (CTH 165) Ro 8’, 19’, Vo 15, une lettre de l’époque de ÷attušili III et de Puduøepa, écrite par Ramsès II,37 où ÷išmi-LUGAL-ma est désigné au Vo 15 comme DUMU.LUGAL KUR ÷atti. En effet, je suis de l’avis que l’expression “(du) pays de ÷atti” ne voulait indiquer ici que la provenance ou la patrie de ce ÷išmi-Šarruma, qui portrait le titre de “fils du roi”, ou sa dépendance du pouvoir central hittite, et que l’on n’entendait pas, au contraire, spécifier de cette façon qu’il s’agissait d’un fils du souverain de ÷atti. Un exemple analogue se retrouve aussi dans un document d’Emar, où l’on parle de “PiøaTarøunta fils de Uppa ‘fils du roi’ du pays de ÷at[ti]” (DUMU.LUGAL ŠA KUR ÷AT[TI]).38 Ainsi le ÷išmi-Šarruma de la lettre de Ramsès II ne serait pas à identifier avec Tutøaliya IV (cfr. NH 371.3), mais avec le personnage homonyme portant le titre de DUMU.LUGAL dans la tablette de bronze (sur celui-ci voir aussi plus loin) et avec celui qui est cité dans le texte d’inventaire de métaux KBo XVI 83+ (CTH 242.8) Ro II 5’39 sans le complément phonétique -ma (cfr. pour cela le cas analogue de EøliŠarruma, p. 496). Dans ce texte d’inventaires on trouve en effet aussi d’autres personnages qui apparaissent dans la tablette de bronze, comme Kammaliya (Ro II 8’), Kurakura (Vo III 4), Alalimi (Vo III 12[); parmi beaucoup d’autres, on y nomme aussi ÷ešni (Ro II 9’): cfr. la situation semblable relevée pour Eøli-Šarruma, p. 496.40 36 Sur ce sceau v. Ug. III cit.; P. Meriggi, RHA 15 (1957) 150; E. Laroche, HH I, Nr. 418. 37 V. E. Edel, dans Geschichte und Altes Testament, Tübingen 1953, 54 sqq.; A. Goetze, JCS 1 (1947) 247 sq.; H. Otten, loc. cit. à la note 33. 38 V. mes remarques dans Heth 8 (1987) 193 sq. 39 V. L. Mascheroni, FsMeriggi2 (1979) 355 et 360; S. Košak, THeth 10, 87, 89; J. Siegelová, op. cit. I, 262 sq.; L. Mascheroni, op. cit., 369 sqq. tend à reconnaître dans le Tutøaliya cité au Vo III 11 du texte examiné le futur Tutøaliya IV avant son intronisation: cela démontrerait, à son avis, que ce souverain n’avait pas un nom de naissance différent de son nom dynastique: Le nom Tutøaliya se retrouve, toutefois, dans plusieurs textes d’inventaires de la même époque (v. THeth 10, index des noms, 304; J. Siegelová, op. cit., index des noms, 719) et nous n’avons aucun élément permettant de supposer qu’il s’agisse du futur souverain. 40 Par contre, nous ne possédons actuellement aucun élément permettant de proposer une identification de ce ÷ešmi-Šarruma DUMU.LUGAL avec le fils

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Il me semble en outre intéressant d’observer que dans ces derniers cas examinés on trouve toujours la graphie ÷e/išmi-LUGAL(-ma), tandis que dans les autres cas où l’hypothèse d’une identification avec Tutøaliya IV semble acceptable on utilise la graphie BU-LUGAL-ma, ce qui semblerait mettre en évidence deux situations totalement différentes.41 Pour conclure, l’affirmation que dans les cas ci-dessus le nom ÷e/išmi-Šarruma ne soit pas le nom personnel de Tutøaliya IV trouve une confirmation dans la tablette de bronze où, comme nous l’avons déjà observé, ces anthroponymes apparaissent tous deux, l’un pour désigner un des témoins du document, l’autre le souverain qui en était l’auteur. Egalement l’anthroponyme mentionné successivement dans la liste examinée, Vo IV 35, Taki-Šarruma (NH et Heth 4, 1209), lui aussi accompagné ici du titre DUMU.LUGAL, se retrouve plusieurs fois dans des textes hittites et ugaritiques et, dans certains cas, on peut soutenir qu’il s’agit de la même personne.42 Comme pour les deux noms précédents, il semble très probable qu’on puisse identifier notre personnage avec son homonyme mentionné dans quelques textes d’inventaires. Dans KUB XL 95 (CTH 242.4) II 443 nous le trouvons parmi les noms de personnages de haut rang chargés de contrôler la livraison de matériaux. On le trouve aussi dans le texte analogue Bo 6754, Col. d. ]10’:44 remarquons à la l. 6’ la présence de Maraššanta (NH 752), un personnage que nous connaissons aussi par homonyme de la reine d’Ugarit Aøat-Milku et de supposer qu’il ait pu exercer à cette époque-là une fonction de relief dans la structure administrative de l’état hittite. Sur ce personnage v. NH 371.1, et les passages indiqués dans l’index des noms des PRU IV, 246 s.v.; v. aussi M. Liverani, Storia di Ugarit, Roma 1962 (= StSem 6) 99 sqq. On ne peut rien dire sur le BU-LUGAL mentionné dans KBo VIII 135 (CTH 832) Vo 5], vu le contexte extrêmement fragmentaire dans lequel ce nom apparaît. En outre nous n’avons pas tenu compte ici du BU-LUGAL-ma indiqué comme fils d’un Tutøaliya dans CTH 661.3 (liste royale) Ro I 19, celui-ci n’appartenant pas chronologiquement aux textes examinés ci-dessus: v. H. Otten, MDOG 83 (1951) 54. 41 Sur ÷e/išmi comme lecture hourrite de BU “clair, brillant” v., en plus de Ug. III cit., E. Laroche, GLH, 103 s.v. 42 Nous ne prendrons en considération ici que les attestations pour lesquelles la chronologie justifie cette identification. 43 V. S. Košak, op. cit., 79 sqq.; J. Siegelová, op. cit. I, 266 sqq., et en particulier 268 sq.; cfr. aussi L. Mascheroni, op. cit., infra. 44 V. J. Siegelová, op. cit. I, 272 sq.

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d’autres textes chronologiquement proches du nôtre45 et contenant des inventaires ou concernant l’administration du culte, textes d’où émerge sa position de relief. Cette position est confirmé aussi par la tablette de bronze (Ro I 91, 93, II 2): on y dit que le roi ÷attušili III avait confié à Maraššanta la garde d’un document où se trouvait une importante disposition royale relative au comportement de Kurunta par rapport à un siège cultuel de premier plan également au point de vue politique.46 Avec le titre de DUMU.LUGAL Taki-Šarruma comparait aussi dans un texte d’inventaire, KBo XXXI 50 Vo III ]1’47 malheureusement fragmentaire, où à la l. 7’ est mentionné un Tuttu LÚK[UŠ7, peut-être le même que celui qui, dans la tablette de bronze, porte le titre de seigneur de l’édifice ABUSSI. On peut aussi identifier notre Taki-Šarruma avec le personnage homonyme présent dans deux actes juridiques internationaux retrouvé à Ugarit et sur trois sceaux (NH 1209.2); sur ces sceaux il porte précisément le titre de “fils du roi”. Sur l’un d’eux, RS 17.251 (PRU IV, 236 sq.), où il comparaît aux ll. 2, 11, 26, nous apprenons qu’il est le frère de T[ul]pi-Šarruma (NH et Heth 4, 1368) et le fils du øaštanuri. Dans ce document nous voyons aussi trois empreintes dus sceau-bague de Taki-Šarruma “fils du roi”. Ainsi que j’ai déjà eu l’occasion de le remarquer ailleurs, si l’on considère ici aussi l’expression “fils du roi” comme un titre et non pas dans un sens littéral-généalogique, on peut comprendre également le terme møaštanuri comme le titre d’un haut dignitaire,48 sans arriver à l’expliquer comme le nom hourrite d’un roi hittite ou d’un roi inconnu, ou comme un titre correspondant au hiéroglyphique “roi”.49 Dans RS 17.319, 3 (PRU IV, 182), document de l’époque de Ammistamru II, et par conséquent de ÷attušili III-Tutøaliya IV, un Taki-Šarruma est mentionné comme père de Alalimi, marchand de Ura: donc pas l’Alalimi nommé dans la tablette de bronze, Vo IV 35, avec le 45 HT 50(+) Col. d. 6’ (CTH 243.1) et Bo 1747, 8’ (ici, à la l. 9’, on trouve Alalimi), ainsi que dans Bo 1728, 10’, et dans KUB XII 2 (CTH 511) I 8’, 10’, 12’: v. J. Siegelová, op. cit., passages indiqués dans l’index, III, 715, et I, 231 sqq. 46 V. H. Otten, IBS-VKS 42 (1989) 27 sqq. 47 V. J. Siegelová, op. cit. I, 274 sq. 48 Mot formé sur le modèle des titres LÚtuppanuri/tuppalanuri; øuburtanuri: v. E. Laroche, RHA 14 (1956) 27 sq. 49 V. ce que nous avons écrit dans Or 44 (1975) 92 avec notes 74 et 75.

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titre de chef des surintendants de 1000 (v. p. 512) même si parmi les témoins de cette tablette nous relevons quelques exemples de pères et de fils cités en même temps, comme Bentešina et Šaušgamuwa, Šaøurunuwa et Tattamaru. On doit aussi noter que ici les fils apparaissent dans l’ordre de succession dans la liste à une place de plus grand relief que celle de leurs pères, probablement pour différentes raisons: ou pour la charge qu’ils revêtaient alors et pour l’activité de service que, étant plus jeunes, ils pouvaient prêter plus intensément, ou encore pour des causes d’ordre politique intérieur ou extérieur (v. à p. 490 ce que nous avons observé pour Šaušgamuwa par rapport à Bentešina). Le dernier des noms théophores examinés, présent dans la tablette de bronze au Vo IV 35, est celui de EN-LUGAL-ma = Ibri/EwriŠarruma (NH et Heth 4, 238). Dans la plupart des cas, celui-ci est à identifier avec le personnage homonyme cité dans différents textes datant de la même époque. Il s’agit - tout comme nous l’avons constaté pour les personnages précédents de documents de procédure ou contenant des inventaires: les protocoles judiciaires KUB XXVI 49 (CTH 297.6) Vo 9’, un fragment où ce personnage comparaît dans la même graphie EN-LUGAL[ et où à la ligne suivante on trouve Šaøurunuwa, et KUB XIII 35+ (CTH 293) III 7, IV 21, où il apparaît, dans la graphie Ibri-LUGAL-ma, comme responsable d’une partie du patrimoine royal et où sont mentionnés également d’autres noms de personnages présents eux aussi dans la liste de témoins examinée, comme GAL-DU, ŠEŠ-zi, Tuttu, Alalimi, ÷uzziya, Palla,50 ainsi que le texte fragmentaire d’inventaire KUB XLII 51 (CTH 250) Vo 5’,51 où il est cité encore dans la graphie EN-LUGAL-ma. Remarquons dans ce texte au Ro 6’ la mention d’une reine, vraisemblablement Puduøepa, qui est aussi la plaignante dans le précédent document de procédure KUB XIII 35+ I 1. Toujours dans ce texte d’inventaire on parle, au Ro 2’, d’un tuøukanti, dont le nom se trouvait peut-être dans la lacune. En outre, au Vo 5, comparaît avec EN-LUGAL-ma l’anthroponyme Nerik[, justement restauré par J. Siegelová en Nerikkaili et identifié avec le nom du fils de ÷attušili III et frère de Tutøaliya IV.

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V. StBoT 4, 10-13, et index des noms, 83 sqq. V. S. Košak, op. cit., 183, et J. Siegelová, op. cit. II, 344 sq.

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Malheureusement nous ne connaissons pas le nom du tuøukanti mentionné dans le premier paragraphe de ce document: toutefois, je ne crois pas qu’il s’agisse de Neriqqaili puisque au Vo 5, celui-ci est mentionné après EN-LUGAL-ma, place improbable si c’était le tuøukanti. De plus nous n’avons aucun renseignement sur le fait que Neriqqaili ait pu recouvrir cette charge à l’époque de ÷attušili III, et il ne semble pas qu’il l’ait prise immédiatement après l’intronisation de Tutøaliya IV (c’est-à-dire à la période de la tablette de bronze), même si nous le voyons la tenir peu de temps après (v. CTH 225): cfr. mes observations à ce propos à p. 508. Etait-ce alors Tutøaliya IV qui revêtait cette charge, ou ce frère dont on parle dans la tablette de bronze, Ro II 35 sq., 43 sq., qui avait été désigné par ÷attušili III comme son successeur au trône avant Tutøaliya? Malheureusement l’état lacuneux du texte ne nous permet pas de répondre à ces interrogatifs. Identifiable avec le personnage examiné semble être celui qui est mentionné comme Ep(a)ri-Šarruma (NH 238.1) sur le sceau SBo II 14, où il porte le titre de “fils du roi” de même que dans la tablette de bronze.52 II. TÉMOINS PRÉSENTS AUSSI DANS CTH 225 ET 106 Comme nous l’avons vu, quelques-uns des témoins de la tablette de bronze se retrouvent aussi parmi ceux du texte relatif à l’hérédité des biens de Šaøurunuwa ou du traité avec Ulmi-Teššup ou dans ces deux documents. Certains de ces témoins sont accompagnés du même titre dans les trois listes, comme Šaøurunuwa, cité dans la tablette de bronze Vo IV 37 et dans CTH 106 Vo 30 comme chef des scribes sur tablettes de bois, titre qu’il porte avec d’autres aussi dans l’acte qui lui est adressé, CTH 225 Ro 49;53 ÷attuša-LAMMA (NH 348),54 qui dans la tablette de bronze

Par contre il semble difficile de soutenir une identification de notre personnage avec l’enfant nommé Ibri-LUGAL-m[a mentionné dans le “voeu de Puduøepa” parmi les individus donnés par cette reine à la déesse Lelwani: Pud. I 22, v. CTH 585 et StBoT 1 (1965) 18 sq. 53 V. les attestations dans Šaøur., 11-15, auxquelles on doit ajouter maintenant celles de la documentation publiée successivement. 52

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Vo IV 37 et dans CTH 106 Vo 31 porte le titre de Grand du vin; Tuttu (NH et Heth 4, 1390), dont le nom dans les trois textes (Tav. Br. Vo IV 40, CTH 225 Vo 32, CTH 106 Vo 31) est suivi du titre seigneur de l’édifice ABUSSI, c’est-à-dire administrateur du magasin, responsable du dépôt (v. note 25); UR.MA÷-ziti (NH et Heth 4, 1758), qui dans les trois textes (Tav. br. Vo IV 40, CTH 225 Vo 33, CTH 106 Vo 32) est chef des scribes. GAL-DU (= Ura-Tarøunta?) est mentionné dans la tablette de bronze Vo IV 38 avec le titre de Grand KARTAPPU,55 tandis que dans CTH 225 Vo 31 son titre se trouve dans la lacune. Kammaliya56 présente dans la tablette de bronze Vo IV 41 et dans CTH 225 Vo 33 les mêmes titres de scribe chef des cuisiniers (LÚ) DUB.SAR GAL LÚ.MEŠMU÷ALDIM/GAL LÚMU÷ALDIM - tandis que dans CTH 106 Vo 32 il ne porte que le titre de chef des cuisiniers (GAL LÚMU). Cette dernière attestation me semble soutenir l’interprétation donnée ci-dessus du titre de ce personnage dans la tablette de bronze et dans CTH 225, c’est-à-dire en reliant, comme cela a lieu généralement dans les titres, le terme GAL au substantif suivant et non pas au précédent:57 voir au contraire NH 493.2 (Grand scribe), où par ailleurs on ne tient pas compte du second titre, et H. Otten (Oberschreiber der Küchenverwaltung) dans Bronzetaf., 28 sq. l. 41. Le Kammaliya mentionné dans KBo XVIII 48 (CTH 186.4) Ro 9, Vo 16, une lettre écrite par un roi hittite à ÷išni, est vraisemblablement la même personne aussi: dans celle-ci, en effet, apparaissent d’autres personnages que nous connaissons par les listes examinées ou par d’autres documents de la même époque, comme ÷išni (Ro 1), ÷ašduili (Ro 4, 10[; v. Heth. 4, 324a), ÷uzziya (Vo 17) et, plusieurs fois, le roi de Karkemiš (Ro 5, 6[, 7[, 15 - à ajouter à l’index de KBo XVIII, p. XIV 19[), dont le nom n’est pas indiqué mais où l’on peut raisonnablement reconnaître Ini-Teššup.58

54 Sur ce personnage v. mes observations dans le volume de Or dédié à la mémoire de E. v. Schuler, actuellement sous presse. (= GSvonSchuler [1990] 166-187 [n.d.c.]). 55 Sur le titre KARTAPPU v. F. Pecchioli Daddi, SCO 27 (1977) 169-191. 56 NH et Heth 4, 493; v. aussi BiOr 30 (1973) 254 sq. 57 Dans les rares cas où GAL suit le nom auquel il se réfère il prend une valeur toute différente: v., par exemple, LÚSANGA.GAL par rapport à LÚSANGA.TUR dans MPD, 365. 58 Sur la datation de cette lettre v. H. Klengel, GS I, 62 et 94 note 57.

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Etant donné les fonctions aussi à caractère administratif que revêtait généralement un scribe et que probablement exerçait aussi un chef des cuisiniers, il ne semble pas invraisemblable que ce Kammaliya soit la même personne qui est nommée en rapport avec la ville de Tumanna, un important siège administratif,59 dans le texte d’inventaires KBo XVI 83 (CTH 242.8) II 8’, que nous avons déjà rappelé à p. 499, puisque l’on y retrouve d’autres personnages cités dans les listes examinées. Il s’agissait probablement aussi de la même personne mentionnée dans un autre texte d’inventaire KUB XLII 11 (CTH 241.7.A) VI 4’, malheureusement dans un contexte lacunaire.60 L’attention est attirée par la présence dans la tablette de bronze au Vo IV 41, à la dernière place dans la liste de témoins, par ŠEŠ-zi LÚ DUB.SARMEŠ UGULA MUBARRI, (chef des) scribes (et) surintendant des MUBARRI,61 et celle dans CTH 106 Vo 32, toujours à la dernière place parmi les témoins, de Maøøuzzi GAL LÚMUBARRI et dans CTH 225 Vo 33 celle de Ma[øøu]zzi DUB.SAR GAL MUBARRI[(?), peut-être à la quatrième place avant la fin de la liste.62 La correspondance des titres qui accompagnent ces trois noms, leur position dans la partie finale des trois listes et le complément phonétique -zi lié au nom ŠEŠ dans la tablette de bronze fait présumer raisonnablement qu’il s’agit dans ces trois cas de la même personne. A ce propos, toutefois, naissent des problèmes pour le fait que l’anthroponyme ŠEŠ-zi est généralement identifié avec Nani(n)zi (NH et Heth 4, 865), sur la base que le terme nana/i est considéré le correspondant hittitelouvite de ŠEŠ.63 Ce même ŠEŠ-zi, précisément avec le titre de GAL LÚ.MEŠMUBARRI, est nommé comme témoin aussi dans un acte juridique provenant V. RGTC, 437 sq. et J. Siegelová, op. cit., 260. V. S. Košak, op. cit., 34, 36, et J. Siegelová, op. cit. II, 408 sq. Par contre, il est difficile de soutenir l’identification du personnage en question avec son homonyme, présent dans deux textes oraculaires, KUB XLIX 98 Ro? II 2’ et L 84 Ro? II 24’, vu le mauvais état des contextes. 61 V. H. Otten, op. cit., 29: “ŠEŠ-zi (Obersten) der Schreiber (und) Aufseher der Fleischer”. 62 Cette position n’est pas sure, la fin des ll. 33 et 34 étant lacunaires. 63 V. NH, 226, où l’on indique comme correspondants du sumérien ŠEŠ l’akkadien aøu, l’hittite-louvite nana/nani, le hourrite šena/i. V. aussi E. Neu, Zeichenlexikon 79, où on lit mŠEŠ-zi-iš (mNaniziš). 59

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d’Ugarit: RS 17.109 Vo 23 sq. E. Laroche, qui a publié la tablette en question,64 s’était déjà demandé si l’on ne pouvait pas identifier ce personnage avec le Maøøuzzi de CTH 105 et 225, mais il semble avoir exclu cette possibilité justement sur la base que Nani(n)zi est la lecture phonétique de ŠEŠ-zi. Ce dernier anthroponyme65 se retrouve, lui aussi, dans des documents de procédure: dans KUB XIII 35+ (CTH 293) III 20,66 un document que nous avons déjà mentionné (v. p. 502), où l’on nomme d’autres personnages examinés ici, et dans KUB XL 80 (CTH 297) 11, à propos de la déposition de sa fille par rapport à Lupakki (un Lupakki est nommé aussi dans la “conjuration de ÷ešni”: voir plus loin). Il est cité également dans un texte d’inventaires, KUB XLII 28(+) (CTH *244.2) Ro III 8’.67 Avec raison J. Siegelová, loc. cit., identifie ce personnage avec celui qui est présent dans KBo IV 12 (CTH 87) Vo 7’, fils de Mittanamuwa (NH 808), chef des scribes sous ÷attušili III, et frère du scribe en chef UR.MA÷-ziti, bien connu des spécialistes (v. p. 504): il s’agissait, clairement, d’une famille de scribes. De Maøøuzzi (NH et Heth 4, 714), outre les attestations susdites, nous avons des renseignements dans un fragment de protocole, KBo XVI 59 (CTH 295) Ro 5’, Vo 6, 8.68 Le contexte de ce document ne nous aide guère pour une identification de ce personnage avec son homonyme rappelé ci-dessus, même si elle apparaît chronologiquement possible. Du reste, nous avons vu que beaucoup des personnages examinés ici sont présents aussi dans les protocoles judiciaires.69 En ce qui concerne Nani(n)zi, nous le rencontrons dans la “conjuration de ÷ešni”, KUB XXXI 68, 42’,70 où l’on retrouve, entre autres, aussi certains personnages présents dans la liste de la tablette de bronze (Alalimi) et dans CTH 106 (÷alpaziti, ÷ešni, Alalimi, ainsi que le roi de Išuwa); on y voit aussi un Lupakki (v. ci-dessus). Un Naninzi Dans Ug. V (1968) 770 sqq. et en particulier 772. NH et Heth 4, 865; v. également J. Siegelová, op. cit. I, 145 sq., où l’on examine la plupart des attestations de ce nom. 66 v. StBoT 4, 10 sq. 67 V. S. Košak, op. cit., 140 sq., et J. Siegelová, op. cit. I, 150 sq. 68 V. StBoT 4, 54. 69 D’un point de vue chronologique son identification avec le personnage homonyme de KUB XIII 7 (CTH 258) IV 4 ne semble pas possible. 70 CTH 297: v. R. Stefanini, Athenaeum 40 (1962) 28 sg. 64

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scribe est mentionné aussi sur le bord gauche de KUB XX 59 (CTH 616), une tablette où l’on décrit le 29ème jour de la fête AN.TA÷.ŠUMSAR. On peut dire bien peu sur le personnage homonyme présent dans le texte oraculaire KUB XXII 40 (CTH 579) Vo III 27’. Il peut sembler difficile d’établir avec lequel des deux personnages examinés ci-dessus, Nani(n)zi ou Maøøuzzi, on doit identifier le ŠEŠ-zi en question et, par conséquent, quelle était la lecture phonétique de son nom. Toutefois, même si en faveur de la première hypothèse peut jouer la correspondance du sumérogramme ŠEŠ avec nana/i, soutenue par le complément phonétique -zi ainsi que le milieu auquel appartenait Nani(n)zi et sa profession de scribe attestée dans un document, on observera, en faveur de la deuxième hypothèse, que Maøøuzzi semble également faire partie du même groupe de personnes et que son nom aussi s’adapte au complément phonétique -zi, mais surtout, comme on l’a relevé ci-dessus, la correspondance des titres qui accompagnent son nom et celui de ŠEŠ-zi dans les trois listes examinées et la place de ces deux anthroponymes dans la partie finale des listes de témoins porte, à mon avis, de solides arguments à l’appui de leur identité. D’ailleurs, je retiens improbable une confusion de la part du scribe dans la transcription phonétique de ŠEŠ-zi dans CTH 106 et 225, puisqu’il s’agit de noms de témoins dans des documents de si grande importance: doit-on alors revoir la lecture phonétique de ŠEŠ-zi acceptée jusqu’à présent ou penser même à deux transcriptions phonétiques diverses de ce nom? Mais ce n’est pas ici l’endroit indiqué pour traiter cette question. Il y a, au contraire, d’autres personnages qui apparaissent comme témoins dans les trois listes examinées avec des titres différents, ce qui soulève des problèmes intéressants, même pour l’interprétation ou l’évaluation de certains titres et pour leur compatibilité entre certains d’eux. Comme on le sait, une même personne, quand elle tenait de hautes charges gouvernementales, réunissait souvent en elle-même une multiplicité de titres et souvent aussi de mansions;71 il naît alors le problème de savoir si les témoins en question n’avaient déjà à ce moment-là plusieurs fonctions, même si celles-ci ne figuraient pas toutes 71

V. mes observations à ce sujet dans FsPuglieseCarratelli (1988) 94.

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dans les listes (peut-être aussi pour des raisons pratiques: on citait alors le titre le plus important?); ou s’ils exerçaient seulement les mansions indiquées, tout en portant aussi d’ autres titres; ou bien s’ils n’avaient pas encore reçu ces derniers ou s’ils les avaient perdus. On peut en outre présumer que quelque titre était seulement honorifique, pour indiquer l’appartenance à un rang social. En faveur de l’hypothèse que les charges recouvertes par un individu ne figurent pas toutes dans la liste pourrait jouer le fait que dans la tablette de bronze presque tous les témoins, sauf ŠEŠ-zi, apparaissent accompagnés d’un seul titre. Cela peut être aussi valable pour CTH 106, où seul fait exception le cas de Upparmuwa, qui y est cité (Vo 30) comme DUMU.LUGAL et (surintendant des) écuyers d’or. Au contraire, on ne peut pas faire une considération de ce genre pour CTH 225: voir en effet les exemples de Neriqqaili (Vo 28), DUMU.LUGAL et tuøukanti; Upparmuwa (Vo 30), DUMU.LUGAL et chef des écuyers d’or; EN-tarwa (Vo 32), scribe, surintendant du Palais, homme SAG; probablement Palla (Vo [32]), [seigneur de ÷]urma, scribe, homme SAG; Kammaliya (Vo 33), scribe, chef des cuisiniers (v. à ce propos p. 504 sq.); Ma[øøu]zzi, scribe, Grand MUBARRI; Anuwanza (Vo 34), scribe, seigneur de Nerik, homme SAG. Il est probable que dans ce document les noms des témoins sont accompagnés de plusieurs titres parce que, comme il s’agit d’un acte de politique intérieure, il était important de mettre en relief la position que ces dignitaires tenaient à la cour et dans l’organisation bureaucratique de l’État. On remarquera que dans ces casci l’un des deux titres est souvent celui de scribe (v. plus loin p. 513) ou de DUMU.LUGAL (ici peut-être titre honorifique pour souligner l’appartenance à l’entourage royal) ou de seigneur de quelque localité (÷urma, Nerik etc.). Le premier des témoins cités dans les trois listes est Neriqqaili, qui dans la tablette de bronze (Vo 30) porte le titre de DUMU.LUGAL, dans CTH 225 Vo 28 les deux titres de DUMU.LUGAL et de tuøukanti, dans CTH 106 Vo 28 celui de tuøukanti. Si l’on accepte l’hypothèse que ce dernier titre désigne le prince héritier, il serait le plus important et le fait qu’il ne soit pas indiqué dans la tablette de bronze est pour le moins étonnant. Peut-être que le motif de cela est que, comme Tutøaliya IV venait d’être intronisé, Neriqqaili n’avait pas encore été nominé tuøukanti même s’il pouvait déjà l’être in 508

pectore. Et dans CTH 225, qui remonte toujours aux premières années de règne de Tutøaliya, on mentionne les deux titres peut-être pour souligner que l’héritier désigné faisait partie de la famille royale: fait qui était désormais su de tous et que l’on ne retenait plus nécessaire de mettre en relief à l’époque de CTH 106, même si celle-ci n’était pas très éloignée dans le temps. Nous ne nous arrêterons pas ici sur Neriqqaili, un personnage désormais déjà largement étudié.72 A la deuxième place dans la tablette de bronze (Vo 31) nous trouvons ÷uzziya, qui porte ici le titre important de chef des gardes du corps (GAL MEŠEDI), tandis que dans CTH 106 Vo 29 il ne porte que celui de DUMU.LUGAL et qu’on le trouve à la quatrième place parmi les témoins, après le tuøukanti et deux autres DUMUMEŠ.LUGAL, Tašmi-Šarruma et ÷annutti.73 Par contre, nous ne le voyons pas dans CTH 225, mais il pouvait être mentionné dans la lacune après Neriqqaili. Il est certain que dans le second traité international (CTH 106) la position de ÷uzziya semble avoir perdu de relief par rapport à celle qu’il a dans le premier (Tav. Br.). En outre, le fait qu’il ne porte plus dans CTH 106 le titre de GAL MEŠEDI et qu’il se trouve renvoyé à la quatrième place dans la liste, fait présumer qu’il ne recouvrait plus cette charge, laquelle devait, par conséquent, être temporaire. Comme nous l’avons déjà mis en évidence,74 ce même ÷uzziya se retrouve avec Neriqqaili et Kurunta dans le fragment KUB XXVI 18 (CTH 275) ll. 9’ sq. et 16’, où Tutøaliya IV, se rappelant ce que son père avait fait, semble vouloir protéger sa descendance de possibles prétentions envers le trône de ÷atti de la part de ses frères ou de membres de la famille de Muwattalli.75

V. en dernier H. Klengel, AoF 16 (1989) 185 sqq., avec bibliographie. Un problème est également posé par la présence de ces personnages, tous deux avec le titre de “fils de roi”, dans une place de relief dans CTH 106 Vo 28, alors que ne sont pas mentionnés dans les deux autres listes examinées: était-ce parce que, à cette époque-là, ils ne détenaient pas encore une position importante dans le royaume ou parce qu’ils se trouvaient temporairement hors de leur patrie? 74 V. encore H. Klengel, AoF cit., 187, et H. Otten, Bronzetaf., 8 sq., avec bibliographie précédente. 75 V. déjà P. Meriggi, WZKM 58 (1962) 68 sq. et E. v. Schuler, Heth. Dienst., 21. 72

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La même crainte se retrouve aussi dans les “instructions pour les hommes SAG”, § 1 ll. 9 et 16.76 H. Otten77 observe avec raison que les empreintes d’un sceau provenant du temple 2-3 de ÷attuša, qui portent la mention de “Kurunta, Grand Roi Labarna Mon Soleil”, révèlent un fort contraste à l’intérieur de la dynastie pour la conquête du pouvoir. Ces préoccupations, du reste, sont confirmées aussi par le passage de KBo IV 14(+) III 38 sq. (v. note 34) où le roi Hittite dit au destinataire du document: “(38).... toi, toutefois, pour le [roi] loyal (39) serviteur que tu sois. Ne lève pas le cou; déjà quand Bu-Šarruma (= Tutøaliya IV) mourut, tu levas le cou...”. C’est probablement ce même ÷uzziya, comme d’autres personnages examines ici, que l’on retrouve aussi dans le protocole judiciaire KUB XIII 35+ (CTH 293) IV 28, où, avec le titre de scribe sur tablettes de bois, il prête sa déposition. Du reste, on sait que de nombreux scribes (et surtout des chefs des scribes) portaient également le titre de DUMU.LUGAL.78 Ce même ÷uzziya est nommé aussi dans la lettre royale déjà rappelée (p. 504) adressée à ÷išni,79 KBo XVIII 48 Vo 17. Un autre personnage, Upparmuwa, revêt une position de relief dans les trois listes (à la septième place dans la tablette de bronze, à la onzième dans CTH 106, à la cinquième/sixième dans CTH 225).80 Dans la tablette de bronze, au Vo 33 il porte le titre anduwašalli, tandis que dans les deux autres listes (CTH 106 Vo 30 et CTH 225 Vo 30) il a celui de DUMU.LUGAL et de surintendant des écuyers d’or (v. note 84). En ce qui concerne le titre de anduwašalli, on y voit généralement l’équivalent de EN/BEL (É)ABUSSI sur la base de la position de ces deux titres dans les listes de hauts dignitaires hittites qui comparaissent dans quelques textes d’Ugarit après le roi, la reine, le prince héritier de ÷atti, comme destinataires des tributs verses par Ugarit.81 Maintenant, V. E. v. Schuler, op. cit., 9. Loc. cit. ainsi que p. 4. 78 V. mes observations à ce propos dans Heth 8 (1987) 198. 79 V. Ph.H.J. Houwink ten Cate, BiOr 30 (1973) 254. 80 Peut-être à la sixième, si l’on sous-entend ÷uzziya dans la lacune après Neriqqaili: v. note 23. 81 V. J. Nougayrol, PRU IV, 79; M. Dietrich-O. Loretz, WO 3 (1966) 240; AHw, 55; E. Neu, StBoT 5, 111 note 2; A. Archi, OA 12 (1973) 216 sq.; G.F. Del Monte, RSO 49 (1975) 9 sq.; HW2, 123 sq.; F. Pecchioli Daddi MPD, 501 sq. 76

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la présence dans la liste de la tablette de bronze également du titre seigneur de l’édifice ABUSSI, titre porté par Tuttu (Vo 40) - mentionné entre autres dans une position pas très importante (à la quatrième place avant la fin) par rapport aux autres témoins - exclut l’identification de ces deux titres.82 Sur le Upparmuwa (NH et Heth 4, 1428) nommé dans les textes hittites (à l’exclusion de la tablette de bronze alors inconnue) ainsi que dans les documents de Ugarit et de Emar,83 avec le titre de “fils du roi” et de surintendant des écuyers d’or, frère de Mizra-muwa et père de PiøaTarøunta, eux aussi “fils du roi”, j’ai déjà eu l’occasion de traiter ailleurs.84 Upparmuwa est suivi dans la tablette de bronze (Vo 33) par Tattamaru,85 avec le titre de Grand UKU.UŠ de gauche,86 titre qu’il ne porte pas dans CTH 106 Vo 30, où il est accompagné seulement de la désignation DUMU.LUGAL. Ce personnage n’est naturellement pas présent parmi les témoins de CTH 225, étant l’un des fils de Šaøurunuwa et comparaissant dans ce texte (Ro 5) précisément comme l’un de ses héritiers. Sur la base de la documentation que nous possédons il ne résulte pas que la charge de Grand UKU.UŠ de gauche ou de Grand UKU.UŠ de droite puisse être tenue par plusieurs personnes en même temps; par conséquent il est possible que Tattamaru ne portait plus cette charge dans CTH 106, puisque c’est LUGAL-DLAMMA qui la revêtait alors, comme on le voit au Vo 31. En outre, étant donné que ce dernier personnage comparaît avec la même charge aussi dans CTH 225 Vo 30, on présume que déjà à cette époque Tattamaru ne la portait plus. On remarquera qu’ on y indique aussi le siège à laquelle cette charge 82 Ce personnage porte le même titre dans les trois listes examinées ici; dans CTH 225 sa position dans la liste est la meilleure. 83 Ici avec la graphie Uppa: v. Heth 4, 1426b. 84 V. Heth 8 (1987) 192 sqq.: mes observations à la p. 204 note 20 deviennent caduques puisque H. Otten, op. cit., 8 note 25, a pu, après avoir collationné le texte sur une photo, lire dans CTH 106 Vo 30, après Upparmuwa: DUMU.LUGAL UGULA! (et non pas GAL) LÚ.MEŠKUS7.GUŠKIN. 85 NH et Heth 4, 1303, ainsi que BiOr 30 (1973) 256; v. en outre F. Imparati dans Šaøur., 43 sqq., et G. Mauer, CRRAI 30, dans PIHANSt 57 (1986) 191-195. 86 Sur le titre GAL UKU.UŠ, aussi avec les précisations de droite et de gauche, v. G.F. Del Monte, RSO cit., 4 sq., et en particulier S. Rosi, dans SMEA 24 (1984) 109 sqq., et, surtout 118 sqq.

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semblerait liée: LUGAL-DLAMMA Grand UKU.UŠ de gauche de la ville[. Nous ne possédons aucune autre attestation de ce genre, si bien qu’il nous est difficile de supposer s’il y avait différents UKU.UŠ de gauche et de droite lies. à diverses localités, d’autant plus qu’il s’agissait d’une charge très importante, la quelle, par conséquent, ne devait pas être attribuée très fréquemment. La charge de Grand UKU.UŠ de droite est portée dans la tablette de bronze (Vo 39) par Šalikka et dans CTH 106 (Vo 29) par ÷alpaziti. Parmi les témoins de CTH 225, au contraire, on n’en trouve aucun avec ce titre, probablement parce que à cette période c’est Šaøurunuwa qui revêtait cette charge: v. Ro 49, où il est désigné aussi comme GAL LÚ UKU.UŠ, toutefois sans l’indication “de droite”, indication que l’on peut supposer avec quelques raisons, selon la juste considération de G.F. Del Monte, pour la présence dans le même texte de LUGAL-DLAMMA Grand UKU.UŠ de gauche.87 Par conséquent, si l’on tient compte de l’attribution périodique de ces charges et de leur rotation, selon la position chronologique de ces documents sur la base de la tablette de bronze, on peut alors proposer cette succession des charges examinées relativement à la période en question: Grand UKU.UŠ de droite, Šalikka, Šaøurunuwa, ÷alpaziti;88 Grand UKU.UŠ de gauche: Tattamaru et LUGAL-DLAMMA. De Alalimi échanson, surintendant et chef des échansons, et sur la reconstruction de sa carrière S. de Martino a déjà traité en détail,89 toutefois avant la trouvaille de la tablette de bronze, où ce personnage apparaît au Vo IV 35, exactement au milieu de la liste, avec le titre inhabituel de GAL UGULA LIMMEŠ chef des surintendants des 1000,90 une importante charge militaire. Dans CTH 106 Vo 32 Alalimi, avec le titre de chef des echansons, se trouve à une place bien moins importante dans la liste des témoins, puisqu’il est à la troisième place avant la fin. Par contre on ne le trouve pas dans CTH 225, et la nouvelle disposition chronologique de ces documents, qui dérive de la découverte du traité avec Kurunta, me semble rendre désormais improbable l’hypothèse, bien Op. cit., 4. A propos de ce personnage v. F. Imparati, FsBresciani (1985) 260 sq. 89 SCO 32 (1982) 309-311. 90 A ajouter dans MPD; sur UGULA (LÚMEŠ) LIM v. MPD, 472 sq., et sur GAL LÚ.MEŠUGULA LIM ZERI (hapax) v. MPD, 547. 87

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qu’elle soit alléchante, que la cause de cette absence soit due à la participation de ce personnage à la “conjuration de ÷ešni”.91 Du reste, ÷attuša-DLAMMA GAL GEŠTIN (v. ci-dessus p. 503 et note 54), se trouve lui aussi dans la tablette de bronze et dans CTH 106, mais pas dans CTH 225, même s’il n’est pas mentionné parmi les membres de la “conjuration de ÷ešni”. De nombreux autres problèmes et considérations viennent à l’esprit en lisant cette liste de témoins, sur laquelle nous réservons de revenir encore pour une étude plus spécifique sur qu’elques-uns des personnages qui y sont nommés et sur certaines fonctions et charges présentes dans l’organisation étatique hittite. Par exemple, on remarque l’intérêt que peut avoir la mention répétée d’un même titre attribué pendant la même période à des personnes différentes (comme celui de GAL KARTAPPU, qui, comme nous l’avons vu, est attribué dans la tablette de bronze et à Abamuwa et à GAL-DU) pour démontrer la non-exclusivité de cette charge dans la bureaucratie de l’état à une certaine époque, par rapport à ce que, au contraire, on a pu observer pour d’autres charges (cfr. cidessus) avec toutes les implications que cela comporte pour leur évaluation. Ainsi l’attention est attirée par la plus grande quantité de DUMUMEŠ.LUGAL dans les deux traités internationaux (6 dans la tablette de bronze et 8 dans CTH 106) pat rapport au texte de Šaøurunuwa (2 seulement), ce qui peut être motivé par la plus grande importance de ces deux documents à caractère international, raison pour laquelle il pouvait être utile de montrer une présence plus considérable des personnes faisant partie de la famille ou de l’entourage royal. En outre, les plus nombreuses attestations de scribes parmi les témoins de CTH 225 (6 scribes, qui portaient aussi d’autres titres, plus 1 scribe en chef) par rapport aux deux traités internationaux (3 chefs des scribes dans la tablette de bronze plus 1 scribe et 2 chefs des scribes dans CTH 106) dérivaient peut-être du fait que le premier document concernait les biens d’un chef de scribes sur tablettes de bois (Šaøurunuwa) et en outre qu’il s’agissait d’un acte ayant trait à une situation, tout importante qu’elle fût, qui regardait l’organisation économique à l’intérieur de l’état et qui pouvait rentrer dans le domaine 91

Cfr. S. de Martino, op. cit., 311.

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des compétences des scribes eux-mêmes. Dans les deux documents internationaux, au contraire, il était logique que des chefs de scribes y fussent mentionnés pour le prestige plus grand que donnait leur charge, ainsi que pour leur compétence spécifique. ADDENDUM. Entre le moment où cet article a été envoyé à l’impression, en juin 1990, et sa publication, d’autres travaux qui touchent en partie à ce sujet ont paru; en outre, Th. van den Hout m’a aimablement fait parvenir sa thèse de doctorat sur KBo IV 10+, discutée en 1989 mais encore inédite. J’ai par conséquent réexaminé quelques points du thème traité ici dans une leçon tenue à Rome le 5 juin 1991, à paraître dans Seminari dell’Istituto per gli Studi Micenei ed EgeoAnatolici, Roma 1992.

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XXIII.

LA CIVILTÀ DEGLI ITTITI: CARATTERI E PROBLEMI

I. LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICA E CRONOLOGICA

La scoperta della presenza degli Ittiti nel panorama delle civiltà del Vicino Oriente pre-classico e i successivi studi sulla loro lingua. la loro cultura, la loro storia hanno costituito uno degli eventi più importanti della scienza orientalistica degli ultimi decenni del secolo passato e dei primi del presente. Prima di tracciare un quadro sugli aspetti più significativi della storia e della cultura ittita, è opportuno localizzare l’area geografica e cronologica entro cui si sviluppò tale civiltà, che si è rivelata di grande importanza per l’evoluzione storico-culturale dell’Asia anteriore del II ed anche di parte del I millennio a.C. e che ebbe ripercussioni in tutto il bacino del Mediterraneo orientale antico. La capitale del regno ittita, l’antica ÷attuša, situata presso il villaggio turco di Boˆazköy (oggi Boˆazkale), sorgeva nella parte centrale dell’altopiano anatolico, a circa 130 Km. a nord-est di Ankara. Di là l’impero ittita si estese notevolmente entro l’Anatolia ed anche nella Siria settentrionale. La storia degli Ittiti a noi nota cominciò, secondo la cronologia corta, nella prima metà del XVI sec. e si concluse agli inizi del XII sec. a.C. in concomitanza con un vasto movimento di popoli, i cosiddetti “popoli del mare”, che coinvolse il bacino del Mediterraneo orientale, alla ricerca di nuove sedi. Certo, appare difficile considerare i “popoli del mare” come la sola causa della distruzione di ÷attuša e della fine del suo impero. Molteplici furono i motivi, di ordine interno e di ordine esterno, che provocarono lo sfacelo della compagine statale ittita: la crisi demografica e produttiva, che interessò soprattutto l’altopiano centrale e l’area settentrionale dell’impero; le carestie, verificatesi almeno in due riprese nell’ultimo periodo imperiale; la difficoltà di mantenere una coesione politica all’interno del regno e di controllare un vasto impero che tendeva sempre 515

più a defilarsi; l’impegno militare degli Ittiti e dei loro vassalli nell’Anatolia sud-occidentale, appunto per arginare l’invasione dei “popoli del mare”; altre imprese belliche; probabilmente la ripresa delle incursioni dei vecchi nemici, i nomadi Kaskei, dall’Anatolia settentrionale; forse la pressione di immigrati da occidente (quei Frigi, che nel I millennio a.C. troveremo insediati nella zona centrale dell’altopiano anatolico, laddove era stato il paese di ÷atti). Comunque, ÷attuša agli inizi del XII secolo a.C. fu conquistata, distrutta e non più ricostruita dagli Ittiti. Tuttavia, vari elementi della loro cultura si conservarono in alcuni piccoli stati situati nell’Anatolia sud-orientale (Cilicia e Cataonia) e nella Siria settentrionale, i cosiddetti regni neo-ittiti (donde ci sono pervenute numerose iscrizioni in luvio ieroglifico), finché, alla fine dell’VIII sec. a.C., questi non vennero assorbiti dall’Assiria. È opportuno ricordare che sulla cronologia della storia ittita vi sono divergenze fra gli studiosi, sia per la datazione dei relativi documenti in base a criteri paleografici e linguistici, sia anche in rapporto con la storia dei popoli con cui gli Ittiti erano venuti in contatto. Le cronologie più seguite sono la cronologia media e, soprattutto oggi, la cronologia corta. II. LA SCOPERTA DEGLI ARCHIVI DI ÷ATTUŠA; L’INTERPRETAZIONE DELLA LINGUA ITTITA E LA SUA APPARTENENZA AL GRUPPO LINGUISTICO INDEUROPEO; LINGUE E SCRITTURE ATTESTATE NEI DOCUMENTI

Già nel corso dell’Ottocento si era manifestato un interesse per il mondo anatolico da parte di studiosi e di viaggiatori francesi e inglesi appassionati di archeologia, che si erano recati in Asia Minore alla ricerca di grandi civiltà del passato e si erano trovati in varie zone di fronte a resti di opere monumentali (tra cui, presso il villaggio di Boˆazköy, le imponenti rovine di una colossale muraglia e i bastioni di una grande città fortificata), maestosi bassorilievi rupestri ed iscrizioni in una particolare grafia ieroglifica, analoga a quella apparsa su alcune lastre di pietra, già rinvenute nella Siria settentrionale: a questi reperti, però, non erano stati in grado di attribuire una paternità. Finché nel 1876 prima, e quindi nel 1879 un archeologo inglese, A.H. Sayce, non dichiarò che gli

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autori di quelle opere monumentali ed anche delle numerose iscrizioni in grafia ieroglifica ritrovate in Anatolia e in gran parte della Siria settentrionale dovevano essere stati quegli Ittiti tante volte nominati nell’Antico Testamento col nome di Hethei o “figli di Heth”. Si può tuttavia dire che l’Ittitologia, anzi addirittura l’Anatolistica, è nata con i primi scavi nella capitale ittita ÷attuša, iniziati nel 1906 da Hugo Winkler e Theodor Makridi, che con l’interpretazione da parte dell’assiriologo cèco B. Hrozný, all’epoca della prima guerra mondiale, dell’ittita, la lingua più ampiamente attestata nei documenti cuneiformi reperiti nel corso di quegli scavi. Lo studioso tedesco H. Winkler, infatti, era riuscito ad ottenere dal governo turco l’autorizzazione a scavare in quel villaggio dove erano apparse le rovine di imponenti mura e di bastioni di una grande città; su queste mura si aprivano grandi porte, ornate da leoni, da sfingi e da un’alta figura umana. Da questi scavi vennero alla luce, oltre a interessanti reperti archeologici di vario genere, circa 10.000 tavolette di argilla, scritte nella già nota scrittura cuneiforme mesopotamica, alcune frammentarie, ma per la maggior parte in buone condizioni, certo facenti parte di un archivio regio. Nel corso degli scavi successivi furono scoperti altri archivi, anche templari, e, quindi, ulteriori documenti in stato più o meno frammentario. Gli scavi a Boˆazköy sono proseguiti, con interruzioni nei periodi delle due guerre mondiali, sotto le direzioni ancora di Hugo Winkler, poi di Kurt Bittel ed ora di Peter Neve, e continuano ad offrire, sia pure in quantità minore, documenti di rilevante interesse. Allo stato attuale, si può affermare che dagli archivi di ÷attuša sono pervenuti complessivamente - fra tavolette complete e frammenti di tavolette circa 30.000 pezzi in grafia cuneiforme, finora pubblicati in quasi un centinaio di volumi. Gli studi paleografici successivi hanno mostrato che la grafia cuneiforme utilizzata per scrivere i testi ittiti deriva dal cuneiforme paleobabilonese, diverso da quello paleo-assiro attestato nella documentazione proveniente dalle colonie commerciali assire presenti in Cappadocia nel XIX e XVIII sec. a.C. È probabile che gli Ittiti avessero ricevuto questa grafia per il tramite siriano. La grafia ieroglifica anatolica sembra invece originaria della zona, utilizzata già nel II millennio soprattutto su iscrizioni a carattere 517

monumentale (particolarmente interessanti quelle su bassorilievi rupestri) e su sigilli di sovrani o di alti dignitari (per lo più insieme alla grafia cuneiforme); la maggioranza delle sue attestazioni proviene però dai regni neo-ittiti fioriti, come abbiamo visto, nella prima parte del I millennio a.C. La lingua espressa in tale grafia è molto simile al luvio, a noi noto dalla documentazione cuneiforme anatolica. Tra i reperti di ÷attuša di quest’ultimo decennio si ricordano in particolare un testo bilingue - scritto in ittita e in hurrita - venuto alla luce durante le campagne del 1983 e del 1985, estremamente importante anche per una migliore conoscenza di quest’ultima lingua, ancora in fase di interpretazione; una tavoletta di bronzo, ritrovata nel 1986, unica nel suo genere, contenente un trattato internazionale (v. § IX); una tomba di un sovrano ittita, Šuppiluliuma II, l’ultimo re di ÷atti di cui abbiamo notizia, vicino alla quale si sono trovate alcune grandi lastre di pietra contenenti una lunga iscrizione in grafia ieroglifica in buono stato in conservazione. Come abbiamo detto, un evento basilare per gli studi anatolistici fu costituito dall’interpretazione della lingua ittita in grafia cuneiforme da parte di B. Hrozný, il quale nel 1915 pubblicò appunto il suo primo saggio di grammatica ittita. Questo studioso, dopo un approfondito e minuzioso lavoro sulle tavolette cuneiformi di Boˆazköy in lingua ittita, basato inizialmente sull’individuazione dei nomi propri di persona e di luogo e dei termini in lingue già note (quella accadica e quella sumerica), presenti in gran quantità nei testi ittiti, passò poi ad esaminare ogni singola parola ittita e i mutamenti che essa presentava nel contesto. Da ciò poté dedurre che questa nuova lingua mostrava forme grammaticali del gruppo linguistico indeuropeo. Così, sulla base di confronti con alcune lingue indeuropee, il Hrozný riuscì a comprendere un’intera frase, che riportiamo qui poiché è stata il punto di partenza per l’interpretazione dell’ittita: nu NINDA-an ezza(t)teni wadar-ma eku(t)teni. Di tutta la frase era noto solo l’ideogramma sumerico NINDA “pane”, che fece subito venire alla mente l’idea del mangiare. Il Hrozný prese allora in esame alcune designazioni del “mangiare” in altre lingue indeuropee - latino ed-ere, antico inglese et-an, inglese moderno eat, antico sassone et-an, antico alto-tedesco ezz-an, tedesco moderno essen - che corrispondevano appunto al termine ittita ezza (da ed-/ad-)-teni di cui -teni, secondo il 518

confronto con altri termini, non era altro che una desinenza verbale (presente, con valore anche di futuro, II pers. plur.). Questo studioso vide poi che, nella seconda parte della frase in esame, collegata alla prima dall’enclitica -ma, appariva la parola wadar, che richiamava il greco XGZU, l’antico inglese waeter, l’inglese moderno water, l’antico sassone watar, l’antico alto-tedesco wazzar; il tedesco moderno wasser; tutte designazioni dell’ “acqua”. La strada della comparazione linguistica stava producendo risultati positivi e dimostrò infatti che la parola eku (da eku-/aku-)-teni, della stessa base del latino aqua, conteneva in sé l’idea del “bere”. Fu così interpretata la frase in esame: “ora mangiate/mangerete pane e bevete/berrete acqua”. Quindi, dopo un attento ed accurato studio di numerosi testi, il Hrozný poté finalmente annunciare che l’ittita apparteneva alla famiglia linguistica indeuropea, anzi che era la più antica delle lingue indeuropee note. L’affermazione che genti indeuropee avessero tenuto una posizione di predominio in Asia anteriore nel corso del II millennio a.C. contrastava notevolmente con le opinioni degli studiosi di quel tempo, per cui fu inizialmente accolta con scetticismo sia dagli storici che dai linguisti. In un secondo tempo, però, dopo un’accurata revisione filologica del lavoro del Hrozný da parte di eminenti studiosi, si giunse alla conclusione che la tesi da questo sostenuta sulla “indeuropeicità” della lingua ittita era esatta, soprattutto per quanto ne riguardava la struttura grammaticale e sintattica: invece, gran parte del lessico non risultava di origine indeuropea, ma risentiva di influenze del sostrato cosiddetto “asianico” o delle lingue dei popoli circostanti. Così, anche se l’interpretazione dei vocaboli fornita dal Hrozný presentava talvolta inesattezze a causa della sua eccessiva fiducia nel metodo etimologico e nella comparazione con altre lingue indeuropee, resta però sempre a lui il grandissimo merito di aver aperto la strada alla comprensione della lingua ittita. Lo studio dei testi ittiti ha permesso di conoscere, sia pure ancora non approfonditamente, anche altre civiltà dell’Anatolia antica del II millennio a.C., di cui si intuisce l’importanza, pur se la relativa documentazione, non essendoci pervenuta direttamente dalle loro sedi, è in quantità di gran lunga inferiore a quella ittita: la civiltà luvia, diffusasi nell’Anatolia sud-occidentale, e quella palaica, nell’Anatolia settenario519

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nale, le cui lingue appartengono pure al ceppo linguistico indeuropeo (si tratta probabilmente di varianti dialettali dell’ittita); la civiltà pre-ittita o hattica, attestata in una lingua agglutinante, di tipo essenzialmente prefissale, né indeuropea né semitica, la cui interpretazione è tuttora in corso, legata alla popolazione insediata nella zona prima degli Ittiti; la civiltà hurrica, attestata anch’essa in una lingua agglutinante né indeuropea né semitica, di tipo essenzialmente suffissale e non imparentata con la lingua precedente. La civiltà hurrica ha avuto un’ampia area di irradiazione, dalla Mesopotamia settentrionale al nord della Siria e all’Anatolia orientale, ed ha rivestito una grande importanza nella diffusione e nella trasmissione di cultura e tecniche proprie o mutuate da altre civiltà. Nei testi ittiti sono attestate, sia pure in misura e in modi diversi, anche due lingue mesopotamiche di tradizione colta, il sumerico e l’accadico; quest’ultima lingua, grazie al suo prestigio e alla sua vasta espansione, veniva usata anche come lingua diplomatica dell’epoca. È stato in seguito appurato dagli studiosi che gli Ittiti solevano designare la loro lingua, quando si contrapponeva a lingue diverse, con l’avverbio nešili/našili/nešumnili “in nesico” (la lingua della città di Neša), per cui sarebbe stato più corretto parlare di nesita e di Nesiti anziché di ittita e di Ittiti; tuttavia per non creare troppe difficoltà, si è preferito continuare a mantenere una terminologia ormai in uso da tanto tempo. Vari documenti in lingua ittita provengono anche dagli scavi in altri siti anatolici e siriani, posti sotto la dominazione degli Ittiti, e da archivi di paesi stranieri con i quali questi erano tenuti in contatto: Ønandik, Ma$at (antica Tapikka), Alaca Hüyük, Ta$lik, Ortaköy, a nord di Çorum, Tarso, Meskene (antica Emar), Tell Atchana (antica Alalaø), Ras Shamra (antica Ugarit), e le due lettere di Arzawa nell’archivio egiziano di Tell el Amarna. L’interesse degli studiosi per il mondo anatolico è stato fin dai primi momenti molto vivo, e non solo per gli orientalisti, ma anche per i linguisti, fra i quali aveva suscitato notevole scalpore la scoperta dell’appartenenza dell’ittita - e successivamente anche del luvio e del palaico - al gruppo linguistico indeuropeo, e per gli studiosi di storia del mondo classico per le connessioni in questo riconoscibili con elementi culturali anatolici. 520

In seguito, inoltre, con la decifrazione e l’interpretazione delle tavolette micenee, si sono rilevate certe analogie fra la struttura monarchica micenea e l’organizzazione interna del regno ittita, la cui documentazione è molto più vasta e varia. Il confronto, appunto con i testi ittiti ha fornito elementi utili per una migliore comprensione di istituti e aspetti della civiltà micenea e ha promosso suggestioni interpretative in proposito. III. LA DOCUMENTAZIONE SCRITTA: TIPOLOGIA DEI TESTI, PROBLEMI E METODI INTERPRETATIVI

Il contenuto dei documenti ittiti pervenutici tocca molteplici ambiti: testi a carattere storico-politico, quali editti emanati da sovrani spesso in circostanze problematiche per la situazione politica interna del paese e per la stabilità del potere regio; documenti di tipo annalistico, in cui il sovrano racconta ed esalta le sue imprese (e in un caso, anche quelle del padre); atti in cui il sovrano conferisce a persone o ad enti, soprattutto cultuali, benefici e privilegi - come donazioni di beni fondiari, esenzioni da oneri (tributi e prestazioni di lavoro) dovuti allo stato - come forma di compenso per qualche appoggio da loro ricevuto nella sua attività politica o per acquisirne consenso e fedeltà; istruzioni a categorie di dignitari e funzionari, che operavano a vari livelli nell’organizzazione palatina e templare (più raramente a singole persone), con norme a carattere pratico; testi economico-amministrativi, quali inventari di beni mobili e immobili, pertinenti per lo più ad enti pubblici (civili e religiosi), ed elenchi del personale che vi faceva capo; schedari di tavolette - con l’indicazione dell’argomento in esse trattato e con altre annotazioni sul numero della tavoletta sulla sua completezza o meno ecc. - che ci informano sull’organizzazione di archivi e biblioteche, sull’esistenza di un sistema di classificazione dei documenti e sulla loro ripartizione in più depositi, in base al loro tipo; i cosiddetti “vocabolari”, cioè elenchi di segni e di parole - in ittita ed anche in sumerico ed in accadico - redatti per sopperire alle esigenze degli scribi ittiti; la raccolta di Leggi e i cosiddetti protocolli giudiziari (v. § VII); la corrispondenza interna (tra sovrano e dignitari, o di dignitari fra sé) e a carattere internazionale; trattati internazionali (v. § IX); un interessante trattato di ippologia che

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fornisce informazioni assai minuziose sull’addestramento dei cavalli. La maggior parte della letteratura ittita è costituita da testi a carattere religioso (v. § VIII): poemi mitici e leggendari, testi contenenti descrizioni di riti di vario genere e di feste e cerimonie cultuali, censimenti di feste, testi medici, testi magici e divinatori, inni, preghiere, voti, descrizioni di immagini divine e di idoli. Gli inventari di arredi sacri e di beni e personale templare hanno anche carattere amministrativo. Tali documenti, come abbiamo più volte rilevato, provengono soltanto da archivi palatini e templari: si tratta quindi di una documentazione di parte - della parte che detenga il potere - spesso soggetta a condizionamenti ideologici e a strumentalizzazioni, e come tale fortemente filtrata. Questo, del resto, si può affermare anche per la documentazione figurata. Tale carattere di parzialità, che si riscontra anche nelle fonti delle altre società vicino-orientali antiche, appare più accentuato in quella ittita per la quasi totale assenza di documenti a carattere privato. Per gli strati inferiori della popolazione non esiste, quindi, una documentazione diretta: essi comparivano nei documenti soltanto quando entravano in contatto con necessità e interessi del ceto dirigente; si ricordano in tal senso, a titolo esemplificatorio, gli elenchi di lavoratori addetti al settore palatino o templare, le liste di derrate che tali lavoratori dovevano consegnare a questi due enti o di razioni che questi fornivano loro, ecc. Soprattutto nel caso di documenti ufficiali, che in qualche modo concernono la situazione politica interna o esterna del paese (proclami o editti regi, testi annalistici, trattati corrispondenza diplomatica a livello internazionale ecc.), sono molti gli elementi che possono condizionarne il contenuto: la particolare situazione in cui il documento è stato redatto, la tesi che vi si vuol sostenere, lo scopo che ci si propone di conseguire; è quindi, ovviamente, importante poter conoscere chi è l’autore del documento e a chi esso è diretto. Si ricordano, come esempio, le lunghe introduzioni “storiche” presenti di solito nei documenti ufficiali ittiti di genere diverso e nelle quali si espongono gli eventi che ne hanno preceduto e provocato la compilazione. Esse talvolta costituiscono l’unica fonte di fatti non attestati altrove, tuttavia il loro intento finalizzato a quanto si voleva conseguire col documento di cui facevano parte condiziona alquanto la 522

veridicità di molte notizie in esse contenute. Purtroppo, però, non è sempre possibile effettuare un controllo su determinati eventi, confrontandoli con i relativi dati in proposito pervenutici da testi diversi per genere e àmbito di provenienza, contemporanei o di altra epoca. Così, dagli studiosi delle civiltà vicino-orientali antiche viene spesso e per lo più a ragione - messa in rilievo l’importanza dell’elemento propagandistico per garantire ai sovrani una stabilità di potere (politica dell’informazione, legame con l’elemento divino, successo militare, immagine di giustizia e di clemenza, edilizia di prestigio ecc.); tuttavia, è sempre da tener presente la relativa limitatezza del carattere di diffusione dei messaggi e il fatto che la parte elitaria del paese, a cui soprattutto era destinata certa propaganda, ne era probabilmente la meno influenzabile. Appare interessante ricordare, sia pur sommariamente, alcuni metodi e criteri cui si sono attenuti gli studiosi nel corso delle ricerche sulla società ittita, anche in rapporto alle altre civiltà del Vicino Oriente antico. Pure nel campo dell’ittitologia, nella fase iniziale delle indagini prevalse un orientamento di carattere linguistico e filologico, dovuto alla necessità di interpretare la numerosa documentazione scritta, prima di passare alla sua utilizzazione per la conoscenza della civiltà ittita nei suoi molteplici aspetti. Inoltre, fu vivo l’interesse suscitato nel campo della linguistica indeuropea dall’interpretazione dell’ittita, ed anche del luvio e del palaico, e dalle ipotesi formulate nell’àmbito della decifrazione dello ieroglifico anatolico; tutto ciò promosse anche numerosi confronti con altre lingue indeuropee presenti in Anatolia nel I millennio a.C. Successivamente, ad un primo orientamento verso una ricostruzione storica di tipo prevalentemente politico e culturale si affiancò un interesse anche per ricerche che investivano l’àmbito economico e sociale, soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni cinquanta. Tale interesse venne, fra l’altro, sollecitato da dibattiti provocati da studiosi di impostazione marxista e da una rilettura interpretativa di K. Marx, e fu inoltre stimolato dalla crescente espansione delle scienze umane (sociologia, antropologia culturale, etnologia ecc.), in rapporto anche con l’intensificarsi degli studi sulle società ex-coloniali del Terzo Mondo. Appare opportuno, a tal punto, accennare alle più note proposte di classificazione tipologica della società ittita - considerata nell’àmbito di

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altre società dell’Asia anteriore antica - avanzate da studiosi di discipline diverse e di diverse tendenze storiografiche. Molti seguaci ha avuto, già nell’anteguerra, la designazione di società di tipo “feudale”, specialmente nella sfera di quel filone di studi definito come “occidentale”. Per quanto riguarda la società ittita, i sostenitori di una sua interpretazione in tal senso si basano in primo luogo sul tipo di rapporti di dipendenza esistenti fra il Gran Re ittita e i suoi sudditi all’esterno (cioè, i sovrani di paesi soggetti al dominio ittita, ai quali si richiedeva un giuramento di fedeltà, il pagamento di un tributo e la presentazione di un atto di omaggio annuale al Gran Re) e all’interno del regno (le cui notizie provengono dalle cosiddette “istruzioni” a dignitari e funzionari, ai quali pure si richiedeva un impegno di fedeltà al sovrano mediante giuramento), confrontando ciò con i rapporti di vassallaggio che in età medievale legavano i sudditi al sovrano. Questo confronto non è sufficiente, a mio avviso, a confortare tale ipotesi, specialmente per quanto riguarda le “istruzioni”, in quanto esse avevano un carattere più pubblico che privato - essendo generalmente dirette a categorie di persone piuttosto che a singoli - e il loro scopo appare soprattutto quello di fornire disposizioni tecniche e stabilire i compiti spettanti alle categorie interessate. I sostenitori di un’ipotesi “feudale” hanno incentrato la loro attenzione anche su quei documenti in cui i sovrani ittiti concedevano benefici e immunità a individui o a istituzioni religiose: negli atti di conferimento di tali concessioni, spesso legate a circostanze particolari all’interno della monarchia o del paese, si tende soprattutto a mettere in rilievo il privilegio accordato dal sovrano al suo favorito, mentre non si parla - o vi si accenna solo rapidamente - dell’impegno di fedeltà o di qualsiasi altra specie di promessa da parte del suddito. L’interesse di questi studiosi si è rivolto, inoltre, all’organizzazione dei beni fondiari nella società ittita, con particolare interesse a quel tipo di terre assegnate dal Palazzo a suoi dipendenti e soggette a particolari obblighi. Si deve però ricordare, a tale riguardo, che nel caso in cui fosse divenuto impossibile per l’assegnatario tener fede a questi obblighi, tali terre non potevano essere ereditate o vendute, ma tornavano automaticamente al Palazzo, che ne disponeva a suo arbitrio. I documenti, inoltre, sembrano mostrare un crescente intervento regio 524

nella proprietà privata (ciò che però non è necessariamente da intendersi come negazione di questo tipo di proprietà). L’accresciuto uso del carro da guerra in imprese militari, in accordo a più perfezionate tecniche ed equipaggiamenti bellici, è stato ritenuto come uno dei principali motivi di assegnazioni di terre da parte del Palazzo, al fine cioè di dare agli assegnatari la possibilità di provvedere in proprio all’equipaggiamento militare, divenuto estremamente costoso. Tale situazione induceva a stabilire paralleli fin troppo facili con la situazione feudale. Tuttavia si può presumere dai documenti che nella società ittita - come altrove nel Vicino Oriente antico - l’equipaggiamento e l’organizzazione militare spettassero al potere centrale, che raccoglieva mediante appositi funzionari quanto era necessario a tale scopo, per poi ridistribuirlo secondo le necessità. Insomma, dalla documentazione emerge piuttosto un carattere accentratore della monarchia ittita, la quale appare aver esercitato la sua influenza su tutti i settori della vita politica, sociale, economica, militare, giuridica e religiosa del regno. Quindi, a mio avviso, i dati sin qui esaminati, ed altri che sarebbe troppo lungo analizzare in questa sede, mostrano che le divergenze fra la struttura della società ittita e quella delle società feudali prevalgono su certe analogie che vi si possono talora riscontrare, per cui l’adozione di una terminologia tipicamente feudale non può che travisare gli aspetti propri di questa società. A partire soprattutto dalla fine degli anni ‘50 si è sviluppato un intenso dibattito fra gli studiosi a proposito della proposta di applicare alle società vicino-orientali antiche il concetto marxiano di “modo di produzione asiatico” (elaborato da K. Marx soprattutto in base alle sue conoscenze relative alle civiltà dell’India e della Cina). Per quanto riguarda la società ittita, la documentazione pervenutaci consente di riconoscervi la presenza di alcuni elementi caratterizzanti, secondo Marx, il “modo di produzione asiatico”, quali, in primo luogo, l’esistenza di un settore palatino, che inglobava anche quello templare (la cosiddetta “unità suprema” nella definizione marxiana di questo modo di produzione) e di un settore comunitario il quale, sempre secondo Marx, sarebbe stato economicamente autosufficiente (self-susteining). Non si accorda invece con la definizione marxiana l’esistenza nella società ittita della proprietà privata della terra. Riguardo alle comunità di villaggio, per 525

quanto esse possano aver mantenuto una certa autonomia nella suddivisione delle terre loro appartenenti e nell’organizzazione del lavoro, sembra però ragionevole presumere che il sovrano esercitasse una certa forma di controllo anche su di esse. Inoltre, la specializzazione del lavoro all’interno dell’organizzazione palatina e il relativo aumento della produzione artigianale e il maggior incremento ed espansione degli scambi commerciali esterni ed interni deve aver contribuito a indebolire sempre più l’autosufficienza delle comunità in campo economico. Tutto ciò avrà inevitabilmente creato, pur se con estremo ritardo rispetto all’àmbito palatino, una diversificazione nel settore produttivo e la formazione di gerarchie anche all’interno delle comunità. Alla probabile disgregazione delle comunità, conseguentemente al mutamento e alla frantumazione di certe strutture familiari, e a detrimento, quindi, dell’unità della proprietà fondiaria, deve aver contribuito anche l’infiltrazione di elementi esterni provenienti o forniti dall’àmbito palatino. Mi pare quindi si possa concludere rilevando che, nel corso del tempo, il settore comunitario tendeva sempre più ad essere subordinato al potere centrale. Ed anche se venivano lasciate alcune competenze a questo settore e ai suoi rappresentanti, ciò sembra essersi verificato solo per quanto riguardava istituti legati a certe tradizioni, come l’istituto giuridico e quello religioso. Ma tutto ciò che concerneva il settore politico ed economico veniva controllato dal vasto organismo palatino. La maggior parte degli studiosi dell’Europa orientale, soprattutto quelli appartenenti alla scuola dell’allora Leningrado facente capo a I.M. Diakonoff, hanno riconosciuto nelle società vicino-orientali antiche una struttura di tipo schiavistico, individuando in esse la presenza di due classi antagonistiche: quella dei proprietari, dei mezzi di produzione (cioè la terra), comprendente i grandi proprietari terrieri privati e i detentori di posizioni di privilegio nell’apparato statale, e quella dei lavoratori assoggettati, privati di tale proprietà e sottoposti a sfruttamento. Il Diakonoff pone tra questi ultimi non soltanto gli schiavi propriamente detti, ma anche coloro che prestavano la loro opera nel settore palatino e templare, ricevendo in cambio l’usufrutto di un campo. Ritengo si possa obiettare a tale posizione che non appare plausibile ricondurre uniformemente al concetto di lavoratori assoggettati differenti gruppi sociali, sicuramente dipendenti dal punto di vista economico, ma 526

in misure molto diverse (per esempio i cosiddetti “compartecipi”, cioè una specie di mezzadri o, meglio, soci in parte minore di privati, i salariati stagionali, oltre ai veri e propri schiavi, per altro in numero molto esiguo, ecc.). Si ricorda inoltre che quegli studiosi che rifiutano una definizione in senso schiavistico delle società orientali antiche mettono anche in rilievo la scarsa rilevanza numerica degli schiavi nell’organizzazione economica di queste società. Non appare infine lecito proporre una classificazione tipologica delle società antiche soltanto sulla base delle loro strutture economiche e dei rapporti fondamentali di classe, poiché è opportuno tener conto anche di quegli elementi sovrastrutturali (religiosi, giuridici, ideologici, linguistici ecc.) che esercitavano una funzione tanto rilevante nelle società ad economia pre-capitalistica. In realtà, si possono in taluni casi riconoscere nella società ittita, presenti l’uno accanto all’altro, elementi caratterizzanti le diverse strutture sociali e i diversi modi di produzione qui sinora esaminati. Tuttavia. anche riuscendo a individuare nei vari secoli di vita dello stato ittita un sistema socio-economico prevalente, non mi sembra che nessuna delle tre elaborazioni tipologiche sopra proposte (utilissime come suggerimento di indagine e come ipotesi di sistemazione) possa schematizzarne la realtà e riesca a far emergere il composito e l’originale che questa società rappresenta. IV. L’ORGANIZZAZIONE POLITICO-AMMINISTRATIVA DELLO STATO; LA SOCIETÀ; L’ECONOMIA

Lo stato ittita era retto da una monarchia che nel corso del tempo era andata evolvendosi in senso sempre più assolutistico: in una società di tal genere il potere politico, militare, religioso, giuridico era incentrato nella persona del re. Dalla documentazione pervenutaci, l’organizzazione del regno nel periodo più antico - il cosiddetto Antico Regno - presenta delle divergenze da quella del periodo imperiale. Infatti, nei documenti relativi alla storia dell’Antico Regno è assai frequente la menzione dei Grandi (i capi, cioè, di certe categorie di dignitari e gli alti funzionari di corte, e forse anche i capi delle grandi famiglie, non inseriti nell’organizzazione

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burocratica dello stato), i quali sembrano essere stati molto potenti in quel tempo, sì da limitare, e in taluni casi contrastare, il potere regio. Da alcuni testi relativi a questo periodo traspare un certo timore da parte dei sovrani per la forte ingerenza di questi Grandi nell’amministrazione del paese e si riconoscono iniziative regie per il potere. Con tutto ciò, sembra che gran parte dell’amministrazione del regno - soprattutto all’esterno - fosse in mano a membri della famiglia reale. Nel periodo imperiale si assiste, come abbiamo accennato, ad una assolutizzazione e centralizzazione della monarchia e ad una notevole espansione dell’apparato burocratico dello stato, anche in rapporto all’ampliamento dei confini di questo; tale apparato faceva capo al sovrano. Si deve tuttavia riconoscere che lo stato ittita - forse anche per la morfologia del suo territorio - non arrivava ad una centralizzazione e burocratizzazione così rigida come si riscontra in certi periodi della storia mesopotamica (soprattutto all’epoca di Ur III). La figura del sovrano di ÷atti riassumeva in sé tutte le principali attività di governo, vanificando ogni altra istanza autonoma organizzata. Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, la struttura amministrativa centrale controllava e condizionava anche le strutture amministrative delle comunità di villaggio, lasciando loro scarse sfere di autonomia. Essenziale per ogni forma di autorità è la produzione del consenso: per una monarca un elemento importante per procurarselo è l’immagine che egli riesce a fornire di sé. A tale scopo, i sovrani ittiti tendevano a mettere grandemente in rilievo il loro vincolo con l’elemento divino per rafforzare, e in talune situazioni per legittimare (come in casi di usurpazione del trono), il loro potere. Essi amavano presentarsi come restauratori dell’ordine e della giustizia, portatori di benessere nel paese, protettori dei deboli. Con la concessione di benefici e di immunità il monarca ittita non solo ricompensava chi lo aveva sostenuto in momenti difficili della sua vita politica, ma anche cercava di legare a sé chi in tali situazioni gli era stato ostile. Importante nell’ideologia regia era l’aspetto militare. Ovviamente, un’impresa bellica che si concludeva positivamente portava al sovrano innegabili vantaggi sia dal punto di vista politico che economico. In primo luogo si accresceva notevolmente il suo prestigio sia all’interno che all’esterno del regno. A tale scopo, le notizie di alcune 528

spedizioni militari ebbero una vasta eco nella tradizione storica ittita fin dall’Antico Regno. Ricordiamo come esempio significativo in proposito la risonanza avuta dalla spedizione ittita che, attraverso il Tauro, si spinse fino alla Siria settentrionale e alla Mesopotamia e il relativo racconto eziologico, pervenutoci anche in redazioni più tarde. Si ricorda inoltre il rilievo che il sovrano ittita ÷attušili I nei suoi Annali dà al fatto di aver attraversato l’Eufrate, un’impresa che soltanto il grande Sargon di Akkad (passato nella letteratura storiografica vicino-orientale con la connotazione di sovrano valoroso e vittorioso e realizzatore di una concezione imperialistica) aveva compiuto prima di lui. Le imprese militari permettevano inoltre al sovrano di mostrare la solidità del suo legame con l’elemento divino; il sovrano ittita, infatti, amava presentarsi come instrumentum divinitatis: era la divinità che lo guidava nelle sue imprese belliche e nelle sue azioni all’interno e all’esterno del paese. Ovviamente, l’esito positivo di una guerra portava anche vantaggi economici, soprattutto al sovrano e a chi gravitava nella sua orbita. Oltre ai tributi che i paesi assoggettati dovevano versare annualmente ai sovrani ittiti, questi si procuravano anche beni mobili e immobili e una quantità notevole di manodopera (prigionieri civili, deportati) che veniva a supplire alla carenza di forze lavorative, sempre riscontrabile negli stati dell’Asia anteriore antica; era però il sovrano a ripartire tali beni secondo criteri che gli consentivano di mantenere certi equilibri nella suddivisione delle ricchezze. La guerra, quindi, si traduceva in un sostegno per il potere regio. Oltre che supremo capo militare, il sovrano ittita era anche sommo sacerdote, legislatore e supremo giudice. Il sovrano ittita non era divinizzato in vita (soltanto alla sua morte si dice che “è divenuto dio”), tuttavia egli traeva la sua autorità dall’esercizio del sacerdozio delle principali divinità del paese (l’espressione “fare qualcuno sacerdote della dea Sole di Arinna” equivaleva a dire “fare qualcuno re di ÷atti”). È chiaro, infatti, che in una monarchia di tipo assolutistico lo stretto rapporto fra funzione regia e funzione sacerdotale e il forte legame del sovrano e della sua famiglia con le principali divinità del regno costituivano elementi di essenziale importanza per l’esercizio del dominio. 529

I sovrani ittiti tendevano a mettere grandemente in rilievo, persino nella loro titolatura, il loro vincolo con l’elemento divino e la protezione che ne godevano, allo scopo di rafforzare, e in talune situazioni di legittimare (come in caso di usurpazione del trono), il loro potere. Infatti il nome del sovrano - oltre che dal titolo tabarna o labarna, utilizzato solo in Anatolia, la cui origine (hattica o luvia?) e il cui valore iniziale sono ancora oggetto di discussione fra gli studiosi, e dal titolo di Gran Re, che poneva il sovrano ittita in posizione paritaria fra i monarchi delle contemporanee potenze vicino-orientali - era accompagnato anche dall’appellativo “il Sole”, che ne evidenziava lo stretto legame con una delle due principali divinità del paese; inoltre, in taluni casi, porta il titolo di “eroe” e di “amato dalla divinità x o y”: soprattutto i sovrani usurpatori tendevano ad arricchire in tal senso la loro titolatura. Di fronte alle principali divinità del paese il re deponeva importanti documenti politici, quali i resoconti annalistici delle sue imprese, le copie dei trattati internazionali ecc. La cura per gli dèi e per i loro santuari rappresentava, fin da epoca antica un compito primario per il sovrano; egli costruiva templi per le divinità e vi mandava gran parte delle sue prede di guerra; compiva puntualmente numerosi viaggi in varie località del regno per celebrarvi feste religiose, le quali, come vedremo ancora (§ VIII), avevano anche uno scopo politico ed economico, oltre che religioso. Parleremo più avanti (§ VII) dell’attività del sovrano ittita come legislatore e supremo giudice. Anche la regina ittita - designata col titolo di tawannanna, che sembra aver avuto origine dalla precedente tradizione anatolica e sulla cui interpretazione i pareri degli studiosi sono ancora discordi - traeva la sua autorità dal sacerdozio della principale divinità femminile del paese, la dea Sole di Arinna; tale funzione sacerdotale, indipendente da quella del re, era vitalizia, per cui, se il sovrano premoriva alla sua sposa, questa continuava a mantenere il titolo e la funzione di tawannanna e la moglie del nuovo re le succedeva in questa carica solo dopo la morte di quella. Le numerose notizie sull’intensa attività esplicata da certe regine in vari àmbiti della vita del regno hanno indotto alcuni studiosi ad attribuire in generale al ruolo di queste quanto derivava probabilmente dalla loro spiccata personalità.

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Di grande interesse si presenta l’iniziativa di alcune regine di origine straniera di introdurre nello stato ittita culti e credenze religiose dal loro paese di provenienza, certo allo scopo di rafforzare il loro potere politico. Significativo il caso della vedova del sovrano Šuppiluliuma I, di origine babilonese, di cui sono ben noti i numerosi intrighi da lei compiuti durante il regno del figliastro Muršili II, sì che essa, dopo un clamoroso processo intentato contro di lei da questo sovrano, fu deposta dal trono e mandata in esilio. Numerose sono le accuse rivolte a questa regina: di aver effettuato incantesimi contro la moglie di Muršili, causandone la morte; di aver procurato una malattia, cioè l’afasia, a questo sovrano; di aver tentato di introdurre a corte e nel paese costumi stranieri. Era in realtà difficile giustificare la deposizione dal trono di un sovrano, anche perché la funzione regia era strettamente legata a quella sacerdotale e le prerogative a questa inerenti presumibilmente duravano fino alla morte. Soltanto accuse che investivano la sfera religiosa - cioè, ad esempio, accuse di empietà - potevano avvalorare tale deposizione. Un’altra regina che ha avuto una forte influenza nella vita religiosa e politica ittita - senza, apparentemente, apporti troppo negativi - è stata la moglie di ÷attušili III, Puduøepa, figlia di un sacerdote di Kummanni, importante centro di culto kizzuwatneo. Questa regina tenne una parte rilevante negli affari di stato: la troviamo infatti molto spesso associata al marito - e, in taluni casi, dopo la morte di questo, al figlio Tutøaliya (IV), la cui ascesa al trono è stata verosimilmente provocata dall’azione di lei in documenti concernenti la politica interna ed esterna del regno. Essa aveva un sigillo personale e tenne anche una corrispondenza in proprio con i sovrani di Egitto. La sua forte personalità ebbe certo un ruolo notevole nel processo di assimilazione del pantheon ittita con quello hurrico, il cui compimento si manifesta appunto nel bassorilievo rupestre di Yaz½l½kaya, dell’epoca del figlio di lei, Tutøaliya IV (v. § VIII). Dal quadro sin qui presentato sui caratteri più significativi della monarchia ittita, appare chiaro che ogni iniziativa di consultazione da parte del sovrano costituiva soprattutto un mezzo per acquisire consenso, specialmente in situazioni difficili per il potere regio. Tuttavia, alcuni documenti ittiti mostrano l’esigenza di due organismi a carattere collegiale: il panku e il tuliya. Essi sono stati già da tempo oggetto di 531

discussione da parte di vari studiosi, ma le opinioni in proposito ancora divergono sia sul preciso valore di questi due organi, sia sulla loro composizione, sulle loro competenze e sulla loro possibilità di influenza nella struttura politico-amministrativa dello stato ittita, sia sul loro rapporto reciproco e nei riguardi del potere centrale. A mio avviso, è lecito considerare il panku come l’organo più ampio - verosimilmente formato dai funzionari della corte e dello stato - di cui il re si serviva, fra l’altro, anche come strumento di controllo sugli alti dignitari, i Grandi del regno, che potevano costituire un pericolo per il potere regio. Al panku spettava, in determinate situazioni, il compito di convocare l’organo più ristretto e più competente a svolgere determinate mansioni giudiziarie, cioè il tuliya, che a me sembra plausibile ritenere come facente parte del panku. Dai documenti risulta più evidente l’attribuzione di compiti giudiziari al tuliya, tuttavia in alcuni passi del Testamento di ÷attušili I e in un testo dell’Antico Regno sembra si alluda a competenze giudiziarie spettanti anche al panku. Dai testi in cui sono menzionati tali istituti collegiali si può dedurre che essi venivano convocati dal sovrano in circostanze straordinarie, come nel caso in cui la successione al trono non si presentava conforme alla consuetudine o era addirittura illegale. Non avevano però alcuna funzione decisionale nella nomina del re. A loro, tuttavia, il sovrano presentava le motivazioni del suo comportamento. Infatti, una dichiarazione di volontà da parte di un monarca fatta in deroga ad una norma esige anche la presentazione di una giustificazione per provocare l’assenso di coloro a cui questa giustificazione è diretta. A tale scopo egli espone a questi organi collegiali le sue giustificazioni e la sua rielaborazione della realtà: i suoi funzionari appaiono infatti come i più adatti ad accoglierle. In effetti, il ceto elitario del paese era certo il meno influenzabile da tali argomentazioni e il ceto più basso e più lontano dal potere il meno interessato ad esse. Da quanto detto sinora si può quindi dedurre che l’amministrazione del paese era quasi completamente accentrata entro gli organismi palatini. Lo stato ittita, come la maggior parte degli stati dell’Asia anteriore antica, si presenta diviso in distretti territoriali, accentrati intorno ad una città o ad un villaggio, principalmente a scopo fiscale, ma talora anche di difesa militare. Amministravano questi distretti dignitari dipendenti dal

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potere centrale, che potevano, in talune mansioni, essere coadiuvati da rappresentanti delle comunità locali (cfr. § VII). È interessante rilevare la numerosità di titoli che designavano dignitari e funzionari che operavano a vari livelli nell’amministrazione dello Stato, ciò che risalta ancora di più dal confronto con chi operava nel settore della produzione primaria (agricoltura e allevamento) ed anche nel settore artigianale (v. § VI). Ciò conferma l’ampiezza della struttura amministrativa del regno ittita e il ruolo rilevante che essa teneva in un’organizzazione statale centralizzata e burocratizzata come quella di ÷atti. Dall’efficienza di questa struttura, infatti, dipendeva la forza e - si può ragionevolmente affermare - l’esistenza stessa dello stato. Chi deteneva alti incarichi di governo riuniva sovente in sé una molteplicità e varietà di titoli e, spesso, anche di mansioni, ciò che non stupisce in un àmbito come quello di attività di direzione politica. I dignitari e i funzionari della corte e del regno, e soprattutto quelli preposti all’amministrazione di distretti territoriali, avevano molte possibilità di compiere malversazioni e soprusi a loro vantaggio personale. I sovrani cercavano in vari modi di impedire che ciò avvenisse: a mio parere, essi si servivano anche degli appartenenti alle comunità locali, che, abbiamo visto, operavano al di fuori della sfera statale, per controllare e limitare gli abusi compiuti nei loro villaggi da funzionari regi. Molti documenti, inoltre, evidenziano una politica regia tesa al mantenimento di una equilibrata suddivisione dei beni fondiari. In tal senso ritengo si possa intendere il diretto intervento regio sia nella ripartizione di terre mediante confische o donazioni, sia, addirittura, nei lasciti ereditari di grandi patrimoni fondiari. Sempre in questa linea politica il sovrano controlla che i capi di distretti amministrativi non divengano troppo potenti con l’esigere arbitrariamente imposte o con la confisca di terre. A tale scopo egli proibisce agli alti dignitari la confisca dei beni dei condannati a morte, sempre di alto rango e proprietari di patrimoni considerevoli, e non solo a tutela degli eredi di questi (ad eccezione del caso in cui di questi beni vengano a godere membri della famiglia reale). Insomma, il sovrano agisce in tal modo non solo per fornire di sé un’immagine di equità nell’esercizio della giustizia, di clemenza nei riguardi delle famiglie di condannati per qualche reato, di protezione 533

verso i deboli, i poveri e gli oppressi, di generosità nel fornire benefici immagine che non poteva che giovargli nell’esercizio del potere - ma anche nell’intento di tutelare concretamente la stabilità di questo potere col mantenimento di equilibri economici volti ad impedire la formazione di grandi fortune e a difendere la pluralità delle fortune esistenti. I.M. Diakonoff ha individuato nello stato ittita la presenza di un’economia di tipo palatino-templare, che gravitava nella città e si basava soprattutto sulla trasformazione dei prodotti, dando luogo ad una suddivisione specialistica del lavoro e ad una conseguente differenziazione sociale, ed una economia di tipo comunitario, che aveva sede nel villaggio e si basava sulla semplice produzione di cibo (agricoltura e allevamento). La popolazione ittita che si dedicava alla produzione di cibo era tenuta a consegnare gran parte dei prodotti all’autorità centrale, sia come tasse, sia per ottenere in cambio i prodotti dell’artigianato cittadino. L’autorità centrale utilizzava quanto riceveva per le proprie necessità e per il mantenimento di chi gravitava nel suo àmbito; le eccedenze venivano accantonate ed utilizzate tanto per opere e attività che ne consolidassero e accrescessero il prestigio e il potere, quanto per essere ridistribuite ai sudditi. Un elemento di grande utilità per la conoscenza della situazione economica, e conseguentemente anche sociale, dello stato ittita proviene dall’esame dei prezzi di ingaggio per lavoro di persone e animali e di affitti di beni di ogni tipo, in confronto anche con le valutazioni date loro in occasione di operazioni di compra-vendita. Purtroppo, la documentazione in proposito è limitata per l’assenza, qui più volte evidenziata, di testi riguardanti la sfera privata. Dai documenti in proposito (la raccolta di Leggi, i cosiddetti protocolli giudiziari, inventari di materiale vario, elenchi di persone che prestavano la loro opera nel settore palatino-templare, liste di offerte per il culto, voti e preghiere a divinità ecc.) apprendiamo che i prezzi potevano essere computati in argento ed anche in misure di frumento. L’argento, suddiviso in barre o in dischi, veniva misurato a peso; l’unità di peso era il siclo: quaranta sicli equivalevano ad una mina; con un siclo d’argento si potevano avere quattro mine di rame, ciò che dimostra il valore più basso del rame rispetto all’argento.

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Un’analisi in tale settore è utile per conoscere la valutazione che gli Ittiti davano ai vari tipi di lavoro (v. § VI), ai diversi tipi di animali (in base al loro genere, età, sesso, addestramento, utilizzazione), alla loro pelle e alla loro carne, ai diversi generi alimentari, utensili, tessuti e vesti, ai differenti tipi di terreni (per es. l’alto valore di terreni adibiti a vigneti) ecc. Certo, la quasi totale assenza di documenti ittiti a carattere privato non consente una visione ampia e completa anche delle numerose implicazioni che tale analisi potrebbe comportare, come, ad esempio, la frequenza dell’utilizzazione di persone, animali e cose mediante ingaggio o noleggio temporaneo e il relativo apporto economico. Comunque, per quanto riguarda l’uso di animali domestici, il confronto fra i prezzi di noleggio e quelli di acquisto di alcuni di loro mostra, per lavori a breve scadenza, una maggiore convenienza nel loro affitto. Inoltre - pur con tutte le riserve dovute alla parzialità delle informazioni - sembra che artigiani indipendenti che operavano in proprio o che potevano prestare la loro opera come lavoratori salariati non avessero molta incidenza nell’economia del paese. V. LA FAMIGLIA; LA VITA QUOTIDIANA; LE MALATTIE, GLI SVAGHI; LA VITA NELL’OLTRETOMBA

Dato l’àmbito di provenienza della documentazione ittita, per cui abbiamo detto - non ci sono pervenuti documenti a carattere privato, le notizie sulla struttura e sull’organizzazione della famiglia e sull’istituto matrimoniale, con le relative implicazioni, in rapporto alla gente “comune” provengono per lo più dalla raccolta di leggi, della quale parleremo in particolare più avanti. Riguardo, invece, ai matrimoni interdinastici esiste un buon numero di documenti - principalmente testi epistolari e trattati internazionali tuttavia la documentazione in proposito appare soggetta a condizionamenti ideologici e di natura politica e non è quindi molto illuminante per una rappresentazione della procedura matrimoniale in generale. Si nota, in primo luogo, che presso gli Ittiti - analogamente agli altri popoli del Vicino Oriente antico - non è attestato un termine astratto per

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definire il concetto di matrimonio, ma si utilizzavano a tale scopo espressioni sempre riferite all’uomo, come, ad esempio, “prendere in moglie, nello stato di moglie, fare sua moglie” ecc. Non sembra quindi che si richiedesse una particolare dichiarazione di volontà della donna per concludere un matrimonio. Comunque, erano di solito i genitori a regolare tutto. Come in altri àmbiti dell’Asia anteriore pre-classica, anche presso gli Ittiti il pretendente, per contrarre un matrimonio, pagava ai genitori della ragazza il cosiddetto “prezzo della sposa” o, più propriamente, la “dazione sponsale” (kušata), ciò che creava un vincolo giuridico fra i futuri coniugi: la ragazza era invece tenuta a portare la dote (iwaru, letteralmente “dono”). Quindi il matrimonio doveva presumibilmente concludersi con contratto, contenente clausole con impegni reciproci fra i due coniugi, convalidato da testimoni e da un sigillo. Dopo la stipulazione del contratto la donna, nella maggior parte dei casi, andava nella casa del marito: esisteva comunque anche la possibilità che lo sposo andasse a vivere nella casa del suocero. In tal caso, se la donna moriva prima del marito, la sua dote non spettava a lui, ma è lecito presumere che passasse ai figli, i quali sarebbero rimasti a vivere nella casa del nonno. Negli altri casi, invece, alla morte della donna la dote spettava a suo marito, anche se forse solo temporaneamente in nome dei figli. In conseguenza del matrimonio la moglie e i figli venivano ad assumere lo status sociale del marito e padre. In un primo tempo era stata enfatizzata da alcuni studiosi l’esistenza della monogamia fra i popoli vicino-orientali antichi: oggi, però, tale affermazione va ridimensionata. Si può infatti sostenere che presso gli Ittiti, pur essendo la monogamia un fatto consueto, non è però da escludere l’esistenza, in taluni casi, dell’istituto della poligamia: porta in questa direzione la comparazione con quanto si riscontra nella famiglia reale e l’esistenza di un istituto analogo a quello ebraico del levirato. In un articolo delle Leggi, infatti, dove si regola la posizione di una donna rimasta vedova, si sancisce il diritto, e probabilmente anche il dovere, di sposare questa vedova spettante in primo luogo al fratello del marito morto, quindi, in assenza di questo, al padre del marito o ad un suo congiunto. Ciò aveva probabilmente lo scopo non solo di perpetuare

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nome e la famiglia dell’estinto, ma anche di conservare il patrimonio nell’àmbito di una stessa famiglia. Nella raccolta di Leggi si contemplano alcuni casi rottura di impegni matrimoniali e di matrimoni: da questi paragrafi, ed anche dal confronto con situazioni analoghe in altre società limitrofe, si può riferire che il divorzio non era un atto totalmente arbitrario da parte del marito e che questi, una volta contratto un impegno matrimoniale, non poteva infrangerlo sic et simpliciter, contravvenendo agli obblighi giuridici da lui assunti. Si può inoltre presumere che la donna, pur non avendo molte possibilità di rompere un matrimonio per sua propria scelta, avesse però il diritto, tranne che per sua provata colpevolezza, di ricevere un indennizzo, certo variabile a seconda delle situazioni. Per quanto riguarda l’adulterio, si rileva che esso - come in altre raccolte dileggi del Vicino Oriente antico - viene considerato soltanto in rapporto al fatto commesso dalla moglie; inoltre, nella valutazione della colpa e della relativa pena, si tiene conto della responsabilità o di ambedue gli adulteri (la donna e il suo amante) o soltanto di uno di loro, ed anche se il marito abbia scoperto, o no, i colpevoli in flagrante; infine, in tutte queste raccolte di leggi, prevale il principio che il complice dell’adulterio debba incorrere nella stessa sanzione che il marito dell’adultera applica alla sua sposa e debba perciò rimanere impunito, qualora lo rimanga anche lei. Nelle Leggi ittite vediamo che il marito, se sorprende in flagrante i due adulteri, può ucciderli sul momento, ma se li conduce al tribunale del re, può richiedere la vita per la sua sposa, ma, in tal modo, fa restare in vita anche l’amante; se però richiede la morte per ambedue, la decisione allora spetta al re. Dalle Leggi ittite risulta che l’incesto era considerato un’azione esecranda, ciò che trova conferma anche da un passo di un trattato internazionale. Per quanto riguarda la procreazione, essa rappresentava un atto di basilare importanza non soltanto dal punto di vista affettivo e per il fatto che i genitori cercavano nei figli sia un sostegno per la loro vecchiaia sia qualcuno che dopo la morte li onorasse con riti, offerte di cibi e bevande, preghiere, alleviando loro la permanenza nell’al di là, ma anche perché i figli costituivano un elemento di forza-lavoro, essenziale in queste società caratterizzate da continua mancanza di manodopera.

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Inoltre, la fecondità umana rientrava in un quadro di ordine naturale, in armonia con la fertilità animale e vegetale. L’assenza o l’interruzione anche periodica di questa fertilità totale costituiva una calamità gravissima per la vita umana. Si ricordano, in proposito, le varie narrazioni mitologiche facenti parte del cosiddetto “ciclo del dio scomparso” (v. § VIII), la cui sparizione provocava, fra gli altri danni, anche la sterilità sulla terra, per cui era di importanza vitale ottenere il ritorno di questa divinità. Molti testi di genere letterario diverso - religiosi, narrativi, storicopolitici - presentano l’abbondanza della prole come una benedizione divina, mentre la privazione di figli è considerata come una maledizione degli dèi. Tale minaccia è presente nelle formule di maledizione per chi è reo di spergiuro: si ricorda, a titolo esemplificatorio, che in un trattato stipulato da un sovrano ittita con i Kaskei si rivolge a chi non terrà fede ai giuramenti la maledizione che gli animali e gli esseri umani a lui appartenenti non possano procreare e che le divinità preposte al giuramento ne divorino i figli nel ventre. Molti sono i testi ittiti contenenti la descrizione di riti da compiere sia per procurare a qualcuno fertilità e prole, sia per propiziare le divinità in occasione dell’entrata di una donna in stato di gravidanza o mensilmente nel corso di questa, sia per agevolare l’atto del parto, sia per purificare la madre e il bambino dopo il parto e per assicurare a questo un destino favorevole ed una giusta sessualità e alla madre la continuazione della fertilità. Alcuni documenti ci informano sulle limitazioni nella dieta e nei rapporti sessuali a cui la donna doveva attenersi prima del parto; su consultazioni oracolari per conoscere lo stato attuale e l’esito del parto, come modificare una situazione negativa e come predire il sesso e il destino del nascituro; sulle cure da prestare alla madre e al bambino dopo il parto (per le quali prevale l’aspetto magico-religioso piuttosto che medico delle prescrizioni, diversamente da quanto si rileva per l’àmbito mesopotamico: cfr. più avanti a proposito della medicina ittita); sulle cerimonie da celebrare in occasione del rientro della madre e del figlio nella comunità (tre mesi dopo la nascita se si trattava di un maschio, quattro nel caso di una femmina). Si comprende, quindi, bene come nelle Leggi ittite, analogamente alle altre legislazioni del Vicino Oriente antico, fosse considerato molto 538

severamente il reato di aborto, che costituiva una colpa anche contro la società. Presso gli Ittiti la pena (una multa in denaro) comminata per chi avesse procurato l’aborto ad una donna in stato di gravidanza variava a seconda della durata della gestazione. In àmbito ittita mancano quasi del tutto documenti giuridici che regolino i rapporti fra genitori e figli, quali atti di adozione, documenti testamentari ecc. L’adozione, in altri àmbiti del Vicino Oriente pre-classico, appare come un’istituzione dai molteplici aspetti e fini: poteva servire per affrancare uno schiavo, legittimare un fanciullo, istituire un erede, dare una sposa ad un figlio, costituire una rendita vitalizia, realizzare una vendita ecc. Per il mondo ittita gli esempi in proposito sono assai scarsi: si può intendere in tal senso il matrimonio antiyant-, mediante il quale qualcuno faceva entrare nel proprio nucleo familiare il genero, per lo più inferiore per rango o per possibilità economiche; oppure una specie di adozione-apprendistato consistente nell’accettazione di un giovane da parte di qualcuno per insegnargli una professione (§ 200B delle Leggi). Sono scarse presso gli Ittiti anche le notizie sulle norme che regolavano la successione ereditaria. A tal proposito, si ricorda un decreto regio emanato per permettere l’assegnazione di una parte del patrimonio di un personaggio di alto rango di nome Šaøurunuwa, mentre è ancora in vita, ai nipoti, figli di una figlia, la quale, essendo femmina, non poteva ereditare direttamente dal padre. Si presume che essa fosse rimasta ad abitare presso il padre anche dopo il matrimonio (verosimilmente un matrimonio antiyant-), per cui lo sposo di lei non aveva alcun potere sui beni trasmessi ai suoi figli direttamente dal patrimonio del nonno. È interessante rilevare che all’inizio di questo atto si allude brevemente anche alla parte di patrimonio ripartita da Šaøurunuwa fra i suoi figli maschi: se ne parla sommariamente sia perché, trattandosi di eredi maschi e discendenti diretti, la loro successione non avrebbe dato luogo a controversie, sia anche perché poteva esistere un altro atto in proposito, stipulato appositamente per loro. Un paragrafo delle Leggi ittite (§ 171) sembra attestare anche il riconoscimento della possibilità concessa ad una madre di ripudiare il proprio figlio, qualora avesse potuto offenderla con qualche colpa, e, successivamente, di riaccettarlo: si può fare un confronto con altri àmbiti 539

vicino-orientali antichi, e soprattutto con Nuzi, dove sappiamo che, in determinate circostanze il capo della famiglia poteva conferire alla sua sposa o alla figlia maggiore la facoltà di esercitare una specie di patria potestas. Dato l’àmbito a cui era legata la documentazione, sia scritta che figurata, è difficile avere notizie sul tipo e sul tenore di vita della gente comune. Per quanto concerne, invece, la composizione e l’entità dei nuclei familiari ed anche per un’indagine a carattere demografico, sono di particolare interesse alcuni elenchi di famiglie, di funzionari, di lavoratori, di deportati, di uomini e donne addetti a varie mansioni ecc., inseriti in documenti di genere diverso. A proposito di elenchi amministrativi di “case”, intese come entità economiche dotate di determinate unità lavorative (uomini, donne, ragazzi), è stato rilevato che in quei casi in cui in una di queste “case” non si raggiungeva il numero di forze lavorative ritenuto adeguato, il Palazzo forniva allora dei deportati per integrare la quantità mancante. Un gruppo di dieci persone sembra aver corrisposto alla dimensione media di un’economia domestica (membri della famiglia - genitori + 3/4 figli - e servi) ed era facilmente controllabile. Per quanto riguarda le abitazioni, in base ai reperti archeologici è stata delineata una “casa-tipo” anatolica, la cui tipologia è attestata appunto in Anatolia fin dall’inizio del II millennio a.C. Tale casa si presenta per tutto il periodo ittita composta per lo più da due stanze con un cortile anteriore, cui potevano essere aggiunti ulteriori vani mediante agglutinamento; poteva esistere anche un piano superiore, cui si accedeva dal cortile mediante una scala di legno; il materiale da costruzione era costituito di mattoni non cotti che poggiavano su fondamenta di pietra; talora veniva utilizzato del legname come rinforzo. Il mobilio era probabilmente scarso; ne abbiamo poche notizie: da qualche raffigurazione, di solito però in riferimento al culto o alla famiglia reale, e da testi contenenti inventari di materiale vario. Le notizie su quello che gli Ittiti utilizzavano per l’alimentazione sono per lo più indirette poiché provengono sia da testi a carattere religioso, in cui si descrive la preparazione di vivande a scopo rituale o in cui si elencano cibi e bevande offerte a divinità, sia da testi contenenti ricette mediche, sia da altri tipi di documenti a carattere amministrativo o giuridico. Non abbiamo invece notizie sulla consistenza approssimativa 540

di un pasto di un essere umano, sempre tenendo conto di varianti dovute a molteplici fattori, quali il ceto sociale, le occasioni, la disponibilità dei prodotti ecc. Come nella maggior parte delle società antiche, anche per gli Ittiti i cereali costituivano l’elemento base dell’alimentazione, sia per il loro alto valore nutritivo, sia anche per l’intensità della loro crescita e per la maggiore facilità di conservazione. Si utilizzavano pure i latticini, soggetti a trattamenti diversi, e vegetali di vario genere, anche come condimento di cibi o per uso medicinale. Si adoperavano inoltre, sia pur sporadicamente (soprattutto nella dieta di una persona comune), i prodotti della macellazione. Nell’àmbito dell’arboricoltura, si usavano soprattutto l’olivo e la vite, ma anche il fico, il melo, il pero, il melograno ecc. Importante l’uso del miele nell’alimentazione, sia per il suo alto potere nutritivo, sia come dolcificante. Della caccia e della pesca si hanno notizie da testi di tipo letterario (miti e racconti), dalla descrizione di cerimonie di culto, da espressioni letterarie a carattere metaforico: ciò non è però sufficiente a dimostrare che esse costituissero un forte apporto all’alimentazione. Per quanto riguarda le malattie e la loro cura ed anche la professione del medico, si è molto discusso fra gli studiosi e si è talora giunti perfino a negare l’esistenza di una medicina ittita, soprattutto al confronto con le più avanzate tecniche mediche mesopotamiche ed egiziane. La documentazione pervenutaci mostra che il medico ittita, oltre che terapeuta, era anche esorcista ed esperto in pratiche divinatorie. Egli, inoltre, apparteneva ad un ambiente culto: interessante, in tal senso, la connessione della mansione di medico con quella di scriba. Si ricorda che molti testi di contenuto medico provenienti dagli archivi di ÷attuša sono di tradizione mesopotamica (alcuni in lingua sumerica e molti in lingua accadica): si trattava di originali importati dalla Mesopotamia, o di copie eseguite da scribi ittiti, anche come esercitazioni scolastiche, o di traduzioni in ittita. Poiché sappiamo della presenza presso la corte di ÷atti, in talune circostanze, di medici provenienti da Babilonia, non appare impossibile che alcuni di questi testi fossero stati compilati da loro nel periodo di permanenza in ÷attuša. Ci sono, comunque, pervenuti anche testi medici in lingua ittita, di tradizione anatolica, purtroppo, però, in cattivo stato di conservazione, ciò che ne rende difficile l’interpretazione, soprattutto dei termini tecnici. 541

Vari testi riportano ricette per la preparazione di farmaci: per lo più si usavano piante o parti di esse, ma anche altri elementi. I nomi di queste piante sono molto numerosi, ma spesso non se ne comprende il significato, per cui è difficile stabilirne l’efficacia e, quindi, anche valutare la capacità dei terapeuti ittiti. Viene pure descritta la procedura per la preparazione di questi farmaci, nella quale però mancano indicazioni precise sulle dosi degli elementi da impiegare, forse perché spettava al medico stabilire la giusta proporzione fra gli ingredienti o forse perché le precisazioni del dosaggio costituivano un segreto professionale. Nella cura di una malattia, oltre all’applicazione di medicamenti, si ricorreva frequentemente - come risulta soprattutto da testi di tradizione anatolica - all’utilizzazione di pratiche magiche: abluzioni, atti simbolici che operavano per similitudine, recitazioni di miti in cui si contemplavano casi simili a quello trattato e che dovevano agire per analogia ecc. Si ricorda, a titolo esemplificatorio, un testo “mitico-rituale”, dove si parla della cura di un caso di “legamento” di qualcuno (forse uno stato di paralisi o di irrigidimento del corpo): la pratica esorcistica è lì preceduta da una narrazione mitologica in cui si contempla, appunto, un caso di “legamento” di elementi del mondo della natura, risolto ritualmente con l’intervento di una divinità; a ciò corrisponde, nella seconda parte del testo, un’azione parallela del terapeuta ittita. Tuttavia, pur riconoscendo la grande importanza attribuita dagli Ittiti ai trattamenti magici nella cura di una malattia, se teniamo conto sia della preparazione scolastica che si richiedeva al medico ittita, sia del suo verosimile apprendimento di vari aspetti della medicina mesopotamica, appare difficile negare che alla terapia magica si affiancasse un’esperienza medica di qualche consistenza. Così, anche se per gli Ittiti e per gli altri popoli dell’Asia anteriore antica, non si hanno finora attestazioni di una prassi nella chirurgia, nell’ortopedia, nell’odontoiatria, riscontrabile invece nella documentazione egiziana, tuttavia la frequenza delle guerre fa presumere pure per i curatori presenti in questi paesi una certa capacità di intervenire sui feriti. Come negli altri paesi vicino-orientali antichi anche in ÷atti il medico era legato all’àmbito palatino e dedicava le sue cure soprattutto al ceto elitario del paese; talvolta, ma genericamente, alla collettività, come,

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per esempio in caso di epidemie, compiendo operazioni magiche. L’autorità regia cercava di non farsi sfuggire terapeuti di particolare fama. Ci sono pervenuti i nomi di alcuni medici che esercitavano in ÷atti; l’esame onomastico li mostra talora legati all’area hurrica o, forse più propriamente, a quella kizzuwatnea, di matrice hurrico-luvia (v. ad esempio Azzari, donna-medico hurrica, Zarpiya, medico di Kizzuwatna), ciò che conferma l’importanza della mediazione hurrica nel processo di introduzione in ÷atti della medicina mesopotamica. I documenti ci mostrano inoltre la possibile ereditarietà della professione di medico in seno ad una stessa famiglia (è noto un medico, Piøa-Tarøunta, figlio di un altro medico, che una volta aveva curato con successo una malattia agli occhi del re) e l’esistenza delle cariche di sorvegliante dei medici e di capo dei medici, ciò che sembra dimostrare l’esistenza di una “corporazione” di questi professionisti. Anche le donne potevano praticare questa professione: ciò si giustifica per la vasta presenza di donne nei riti magici, sia come officianti, sia come autrici di rituali, e per l’influenza delle pratiche magiche nella terapia medica ittita. Poco sappiamo dai testi, e per lo più indirettamente, su come gli Ittiti si dedicassero agli svaghi. Come vedremo più avanti, sono molto numerosi i documenti in cui si descrive la celebrazione di feste, sempre però a carattere religioso, nel corso delle quali si svolgevano manifestazioni artistiche ed anche sportive (danze, canti, musica, rappresentazioni di vario genere, banchetti, gare agonistiche), per lo più connesse alla liturgia. Ciò però non esclude, a mio avviso, che tali arti potessero essere utilizzate anche per altre manifestazioni della vita sociale, quali banchetti ed altri tipi di trattenimenti (certo per la famiglia reale e per persone di ceto elevato), o per interessare un pubblico più vasto (come le processioni). Ciò sembra confermato dall’esistenza del verbo dušk“rallegrarsi, divertirsi”. Tali spettacoli erano inoltre importanti per rendere manifesto a tutti il potere regio. È anche possibile che la musica venisse utilizzata come accompagnamento durante imprese militari. Si riscontra, del resto, in vari àmbiti ed epoche del mondo antico un’origine o una componente sacrale in forme di spettacolo anche profane. Si conoscono dalla documentazione ittita termini per definire cantori, musici, danzatori, mimi o attori (?) - verosimilmente dipendenti 543

dal settore palatino-templare - le azioni da loro compiute, e strumenti musicali di vario genere. Dai testi risulta che gli Ittiti credevano in una continuità della vita nell’oltretomba, tuttavia essi avevano dell’ “al di là” una visione alquanto pessimistica, come di un luogo triste e scialbo, che non poteva offrire niente di piacevole. Si pensava che gli spiriti dei morti avessero bisogno di essere saziati e dissetati; spettava così ai vivi di provvedere con offerte e sacrifici fatti presso le tombe ad ogni necessità dei loro parenti defunti, i quali si sarebbero altrimenti adirati in modo terribile. Era infatti considerato molto pericoloso un loro intervento nella vita presente ed incontrarli rendeva addirittura impuri. La documentazione scritta e i reperti archeologici mostrano la coesistenza di due tipi di sepoltura, l’incinerazione e l’inumazione; non ci sono tuttavia, allo stato attuale, elementi sufficienti per stabilire il perché di tale differenziazione: non sembra però in rapporto al ceto sociale del defunto, né per motivazioni di tipo etnico: forse a causa di tradizioni più antiche o di apporti più recenti? VI. L’ATTIVITÀ PRODUTTIVA

Gran parte della popolazione ittita, forse la maggior parte, risiedeva nella campagna e si dedicava all’agricoltura e all’allevamento del bestiame; veniva praticata anche la caccia e la pesca, che però non sembra aver avuto una grande incidenza dal punto di vista economico. La terminologia adoperata per designare coloro che erano dediti alla produzione di cibo non è, ovviamente, molto ricca: si può inoltre osservare che essi spesso sono menzionati nei testi al plurale, in senso collettivo. La produzione artigianale, legata, come abbiamo detto, agli organismi palatino-templari, faceva prevalentemente capo all’àmbito cittadino; le notizie sull’artigianato privato, anche per il carattere della documentazione ittita, sono scarse ed è difficile stabilirne l’entità dell’apporto all’economia del paese; doveva comunque trattarsi di artigianato di minor rilievo. Molte di queste considerazioni valgono anche per il commercio, che sembra dipendesse per la maggior parte dal potere centrale.

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Nei documenti si nota la ricorrenza di diversi termini ed espressioni per designare più o meno genericamente l’artigiano (come “signore della mano”) o chi esercitava un’attività lavorativa (“signore/uomo dello strumento”). Vi sono altri termini o espressioni generalmente intesi come designazioni di artigiani; trattandosi però di hapax, è difficile stabilire con certezza se tali designazioni volessero indicare genericamente dei lavoratori, o non piuttosto chi esercitava specifiche attività di lavoro, a noi finora oscure. I “signori della mano” in alcuni trattati internazionali appaiono distinti da chi operava nel settore dell’agricoltura e dell’allevamento: vi si indicano inoltre alcuni mestieri che quelli potevano svolgere e che costituivano attività del settore della trasformazione come i lavori di tessitore, carpentiere, cuoiaio ecc. L’espressione “signore/uomo dello strumento”, che, secondo alcuni studiosi, in origine poteva aver avuto il valore di “uomo dell’arma”, è poi venuta a designare chi esercitava attività lavorative di vario genere: coppieri, addetti al tavolo, cuochi, mimi/attori, acquaioli, addetti alla tenda, araldi, sarti(?), corrieri e corrieri esploratori ecc. Essi di solito appartenevano al Palazzo o al Tempio, in taluni casi anche a privati, i quali erano però inseriti nella struttura amministrativa statale (palatino-templare). Sono attestati inoltre “uomini dello strumento” autonomi, che sembrano aver avuto beni fondiari e personale dipendente: in questi casi appare plausibile ritenere che si trattasse di lavoratori liberi, facenti parte delle comunità di villaggio, che operavano al di fuori dell’apparato statale. Nonostante l’esistenza di un artigianato autonomo che riceveva onorari per il suo lavoro e che si spostava a seconda delle richieste, la maggior parte delle attività artigianali, soprattutto quelle specializzate, dipendevano - come già si è detto - dal Palazzo e dal Tempio. Da queste organizzazioni gli artigiani ricevevano vitto, alloggio, salari, ed anche materiale grezzo, che essi dovevano riconsegnare finito. Entro tali organizzazioni operavano metallurgici, lavoratori del cuoio e delle pelli, del legno, delle pietre, addetti al settore tessile, vasai, muratori, giardinieri ecc. Vi erano inoltre gli addetti alla trasformazione dei prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento e alla loro conservazione, quali cuochi, mugnai, lattai, vinai, birrai, cantinieri ecc., e gli addetti ai servizi nell’àmbito palatino e templare. 545

Importanti le professioni che potremmo definire “intellettuali”, quali quelle di scriba, medico, addetto a mansioni divinatorie. Nonostante che la manodopera fosse prevalentemente maschile, abbiamo notizia di donne impiegate - oltre che in lavori agricoli - anche come cuoche, mugnaie, tessitrici, filatrici, taverniere, e inoltre come suonatrici, danzatrici, cantanti, e nel settore medico; come abbiamo detto, molte erano le donne che operavano nella sfera del culto, con mansioni pure di rilievo. Sappiamo dell’esistenza di ispettori che controllano i vari settori di lavoro ed anche di capi di questi settori, che erano spesso alti dignitari dello stato, e inoltre di giovani che lavoravano come apprendisti, guidati da istruttori o maestri; doveva esistere anche una specie di corporazioni di lavoratori. Si può parlare di specializzazione del lavoro soltanto per attività artigianali molto qualificate, come, ad esempio, quella dei metallurgici. Comunque, in particolari situazioni di emergenza nessuna categoria di lavoratori, anche se specializzati, poteva esimersi dal compiere lavori che generalmente non le spettavano. Inoltre, anche se si tendeva a concentrare le più importanti attività artigianali entro i nuclei urbani, potevano esistere motivi che provocavano il decentramento di alcune di queste attività, come, ad esempio, quella di esperti nella lavorazione di particolari metalli. Alcune professioni “intellettuali”, come quella di scriba o di medico, potevano essere ereditarie. Le notizie sui salari attribuiti ai lavoratori provengono in primo luogo dalla raccolta di leggi; tali salari erano stabiliti in rapporto alla durata del lavoro e all’opera eseguita. Per la valutazione del lavoro salariale si faceva una distinzione fra uomo e donna: la mercede della donna era inferiore a quella dell’uomo; spesso nel computo del salario fra uomo e donna risulta un rapporto di 2:1. Si è rivelato per lo più utile un confronto tra i compensi di lavoratori salariati ed alcuni prezzi di compravendita di lavoratori, ed anche con i prezzi per il noleggio periodico di animali e cose (v. § IV) Interessante per la dimostrazione della tutela di chi esercitava un’attività lavorativa è il § 10 delle Leggi ed il suo parallelo § IX del testo più recente. Vi si contempla il caso di ferimento di una persona e della sua conseguente impossibilità di lavorare per un certo periodo di tempo: il colpevole doveva prendersi cura del ferito e fornire anche una persona 546

che lo sostituisse temporaneamente nel lavoro: alla guarigione della vittima il reo doveva darle un indennizzo in argento e inoltre pagare l’onorario del medico, non definito nel testo più antico e dipendente, invece, nel più recente dallo status sociale (libero o no) della parte lesa. VII. L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA

Le fonti per la conoscenza delle istituzioni giuridiche ittite e di come si amministrava la giustizia in ÷atti sono costituite dalla raccolta di leggi, dai cosiddetti protocolli giudiziari - una specie di verbali di processo - e da testi di vario genere, quali editti regi, istruzioni a categorie di dignitari o funzionari dello stato o templari, trattati internazionali, lettere ecc. Si è parlato di raccolta di leggi poiché è improprio definire come “codici” le tavolette contenenti disposizioni giuridiche, provenienti sia dall’àmbito ittita che dagli altri paesi del Vicino Oriente antico. Le varie norme, infatti, non vi compaiono classificate sistematicamente, ma sono spesso disposte secondo un ordine che può sfuggire alla nostra logica; esse sembrano, come è stato talora osservato, seguire il meccanismo istintivo delle idee: le digressioni che si possono notare in tali raccolte appaiono appunto dovute ad associazioni di idee. Vi si rileva talvolta la mancanza di norme relative a importanti istituti giuridici e vi si trovano inoltre ripetizioni e contraddizioni. Ma appare soprattutto evidente l’assenza di enunciazioni giuridiche astratte, di principi di carattere generale. Tale incapacità di astrazione e di generalizzazione, del resto, si riscontra anche per le scienze esatte (aritmetica, geometria, astronomia ecc.), in cui, per altro, i Sumeri e i Babilonesi avevano raggiunto un alto livello. Così i testi di leggi, nella società ittita come nelle altre società dell’Oriente pre-classico, sembrano aver costituito un insieme di norme relative a fatti realmente avvenuti e a controversie particolari ed anche di giudizi emanati dalla corte di giustizia del re, raccolti allo scopo di fornire agli addetti all’amministrazione della giustizia “non principi generali, ma ipotesi concrete fornite dalla pratica” (E. Volterra), a cui essi potessero ispirarsi per risolvere casi analoghi. La raccolta di leggi ittite ci è pervenuta in varie copie più o meno frammentarie, diverse per l’età e per il ductus del!a scrittura, ma che

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presentano sempre il medesimo testo, con qualche leggera variante da esemplare a esemplare. Si è potuto così ricomporre quasi completamente questo testo, formato di due “serie” di circa un centinaio di articoli ciascuna. Di questo testo di leggi ci è giunto anche un esemplare più recente, in stato molto frammentario - il cosiddetto “testo parallelo” che presenta rispetto alle altre copie non solo varianti grafiche e linguistiche, ma anche un aggiornamento di contenuto, evidentemente in accordo con nuove esigenze e mutate necessità. È interessante confrontare la raccolta di Leggi ittite con altri testi di leggi vicino-orientali antiche, come quelle mesopotamiche (sumeriche, babilonesi, assire) e quelle ebraiche. Vi si notano analogie sia formali che di contenuto, dovute ad affinità ambientali e culturali, ma vi si rilevano anche importanti differenze. Infatti nelle Leggi ittite non compare la “legge del taglione” (tranne, forse, che in due casi, in cui viene però sostituita da una multa in argento), tipica dei diritti semitici (babilonese, assiro, ebraico), la pena di morte è rara e limitata a qualche caso particolare, la mutilazione (frequente nelle leggi assire) viene comminata molto raramente, soltanto in caso di schiavi, e può essere sostituita. Nel diritto ittita, insomma, risulta prevalente il principio di risarcire la vittima del danno subito (in misura e in modo diverso, a seconda della colpa commessa), piuttosto che di vendicarsi danneggiando il colpevole. A questo principio si ispiravano anche le leggi sumeriche, molto più antiche di quelle ittite. Si rileva anche che le Leggi ittite riconoscevano per alcuni reati (omicidio, violenza, furto, adulterio ecc.) delle circostanze attenuanti o aggravanti, cui conseguiva una diversa valutazione delle colpe e delle relative pene. Per quanto riguarda la struttura formale delle norme contenute negli articoli di legge, esse sono espresse - come la maggior parte delle disposizioni giuridiche dell’antichità - in forma ipotetica: “se qualcuno commette questo reato, ne conseguirà questa pena”. Del resto, è questo lo schema che si ritrova anche nei testi divinatori, nelle prescrizioni mediche ecc. del Vicino Oriente antico. I primi quattro articoli di questa raccolta riguardano casi di omicidio: si deve qui rilevare in primo luogo che gli Ittiti - come gli altri popoli del Vicino Oriente pre-classico - non usavano un termine generale per definire il concetto di omicidio, proprio per quella loro incapacità di 548

astrazione, a cui abbiamo più volte accennato, ma utilizzavano verbi o espressioni che indicavano concretamente il reato. In questi articoli vediamo che nel valutare la colpa si tiene conto del movente che l’ha provocata, e cioè se l’uccisione di qualcuno sia avvenuta “in conseguenza di una disputa”, senza che vi sia stata premeditazione. ma evidentemente con l’intenzione di uccidere (§§ 1 e 2), oppure in seguito a percosse, senza però che vi sia stata nel colpevole alcuna intenzione omicida: “la sua (= del colpevole) mano pecca” (§§ 3 e 4). In questi due ultimi casi la pena corrisponde alla metà di quella comminata nei casi precedenti. È inoltre da rilevare che, all’interno dei due tipi di omicidio, nel valutare la colpa e nello stabilire la punizione non si fa una distinzione in base al sesso della vittima, ma in base al suo status sociale: cioè, se la vittima è una persona di condizione sociale servile, il suo indennizzo corrisponde alla metà di quello richiesto per una persona libera. Questo rapporto 2:1 tra libero e servo si constata, del resto, anche in caso di condanna al pagamento di un’ammenda per qualche reato (salvo, naturalmente, che in quei casi molto rari, in cui lo schiavo è condannato a ricevere mutilazioni fisiche). Dagli articoli in esame risulta che il colpevole deve anche consegnare il cadavere della vittima ai suoi familiari, affinché possano adempiere al pietoso incarico della sepoltura, e inoltre deve dar loro, come indennizzo, alcune persone dello stesso sesso dell’ucciso: nel primo caso (§§ 1 e 2) quattro persone se la vittima era una persona libera e due se era di condizioni servile; nel secondo caso (§§ 3 e 4) due trattandosi di liberi e una trattandosi di non liberi. Tali persone, prese dal patrimonio dell’omicida - forse anche membri della sua famiglia - venivano utilizzate come manodopera, sempre necessaria in tali società. Si potrebbe vedere in questi paragrafi una dimostrazione della tutela del diritto pure di chi non era libero: si deve però tener presente che la consegna di persone come indennizzo del danno commesso era anche un modo di risarcire il proprietario del servo del danno subito per la perdita di manodopera da lui dipendente. Nel più recente “testo parallelo”, nel § II, corrispondente al § 4 del cosiddetto testo principale, a proposito dell’omicidio involontario commesso nei riguardi di servi, si stabilisce che il colpevole debba consegnare non delle persone, ma un’ammenda in denaro, il cui 549

ammontare varia in base al sesso della vittima (nonostante la lacunosità del testo, si può ragionevolmente presumere che la cifra fosse stata più elevata nel caso di uccisione di una persona non libera di sesso maschile). L’espressione “la sua mano pecca”, che abbiamo visto usata per indicare la non intenzionalità di compiere un reato, trova riscontro in due testi oracolari dove si indica il “peccato della mano” come causa dell’ira divina. Antitetica a tali espressioni è la frase presente in un editto regio: “la sua testa ha peccato”, con la quale si vuole definire un omicidio commesso con piena coscienza e premeditazione. In tal senso sono da intendere anche alcune espressioni presenti in altri testi, quali “causare del sangue”, commettere un’ “azione di sangue”: la giudicabilità di tale atto compete al “signore del sangue”, cioè all’erede/ai familiari dell’ucciso, mentre non si deve portare la causa davanti al re. Da ciò si può dedurre che i reati di omicidio premeditato ricadevano nella sfera privata e che non spettava alla legge di interferire. Questo potrebbe anche spiegare il fatto che nelle Leggi ittite, come in analoghe raccolte di leggi del Vicino Oriente antico, non si parli del reato di omicidio premeditato, tranne che in alcuni casi particolari. Dagli articoli in cui si condanna colui che abbia provocato danni fisici a qualcuno si apprende che la pena per tali colpe consiste in una multa in denaro, maggiore se la parte lesa è una persona libera; nel “testo parallelo” nello stabilire la punizione si tiene conto in taluni casi del movente che ha provocato il reato e in altri delle conseguenze che le offese fisiche potranno lasciare sulla parte lesa. Di alcuni articoli della raccolta di leggi (riguardanti aspetti particolari dell’organizzazione della famiglia o concernenti salari e prezzi di lavoratori, di animali e di oggetti vari) abbiamo già parlato nei precedenti paragrafi e di altri tratteremo nei successivi. Problematici e stimolanti per gli studiosi interessati all’organizzazione dei beni fondiari e al controllo regio sulla terra sono alcuni articoli relativi a casi di assegnazioni di terre da parte del Palazzo o delle comunità rurali a certe categorie di individui in cambio dell’adempimento di certi obblighi e quegli articoli in cui si tratta di terre assegnate a qualcuno in dotazione, o ricevute in dono dal re, o acquistate. Interessanti sono anche quei paragrafi in cui si regola l’attribuzione di obblighi verso lo stato (tributi o prestazioni di lavoro) o se ne conferisce l’esenzione a particolari categorie di persone spesso legate al 550

culto, o a gruppi etnici che probabilmente conservano uno stato sociale privilegiato. Vari articoli riguardano furti e danni alla proprietà privata. Nei casi di furto sembra si tenesse conto nel comminare la pena della circostanza attenuante che la cattura del ladro fosse avvenuta mentre questo si accingeva a compiere il furto, ma prima di averlo consumato. Si apprende inoltre che anche il ricettatore di oggetti o di animali smarriti veniva ritenuto un ladro ed era suscettibile di punizione, ciò che, del resto, si riscontra nella maggior parte delle legislazioni antiche. Comunque, anche da questi casi risulta che presso gli Ittiti lo scopo della punizione era soprattutto quello di far sì che il colpevole indennizzasse ampiamente la vittima del danno recatole, contrariamente a quanto avveniva in Babilonia, in Assiria ed in altre legislazioni semitiche, dove in tali casi il reo era condannato a subire pene corporali. Di grande interesse per la conoscenza di certe credenze religiose sono quegli articoli che mostrano come venissero severamente puniti i reati di magia nera, cioè tesi a provocare danno a qualcuno, come, ad esempio, i due casi di magia “simpatica” o “analogica” ivi contemplati: l’uccisione di un serpente pronunciando contemporaneamente il nome di una persona, o il plasmare dell’argilla a immagine umana, certo a scopo malefico. A mio avviso, toccano prevalentemente la sfera religiosa alcuni articoli (§§ 164-169), nei quali però vengono anche provocati danni alla proprietà altrui; vi si richiede, infatti, oltre che la consegna di alcuni beni (che potevano servire come indennizzo per la parte lesa, ma pure per l’esecuzione di un atto purificatorio), anche il compimento di un rito di purificazione. Vi si condannano, ad esempio, danni provocati a pane e vino, probabilmente destinati a scopi sacrificali, o la violazione dei confini di campi (i confini presso i popoli antichi erano ritenuti sacri) ecc. Agli articoli in cui si puniscono severamente relazioni incestuose abbiamo già accennato nel § V. Per i casi di rapporti sessuali fra uomini e animali è necessario rimettersi al giudizio del re; è però da notare che il rapporto di un uomo con certi animali (con un cavallo o con un mulo) non è considerato meritevole di pena: tutto ciò poteva rientrare nella sfera tabuistica. In tutti questi casi, tuttavia, il colpevole non deve presentarsi al re, probabilmente per non contaminarlo, dato il carattere del reato. Esempi di rapporti sessuali fra uomini e animali 551

si ritrovano presso popoli antichi, soprattutto riflessi nella mitologia: si ricorda, ad esempio, che in una narrazione ittita - il cosiddetto “racconto del pescatore” - si parla anche di un rapporto sessuale fra il dio Sole e una vacca. Da questo rapido, e necessariamente generico, esame dei casi più significativi della raccolta di Leggi si comprende la grande importanza di questo testo non soltanto dal punto di vista giuridico, ma anche per la conoscenza di aspetti significativi della società ittita. Da questa raccolta, come da altre fonti giuridiche del Vicino Oriente antico, emerge che tali legislazioni non scaturivano da popoli primitivi, legati ad un’economia chiusa: si trattava, infatti, di società con un’amministrazione pubblica complessa e ben articolata, con un artigianato sviluppato con un commercio esteso all’interno e all’estero, con intensi rapporti internazionali anche nella sfera giuridica. Come si è più volte rilevato, il tipo di documentazione ittita non permette di avere un quadro esauriente della procedura giudiziaria, del funzionamento delle corti di giustizia e dell’applicazione pratica delle leggi presso gli Ittiti. Da alcuni documenti, contenenti una specie di verbali di processo in cui si indaga su reati di malversazioni o inadempienze, però nell’àmbito della corte, si può notare molta accuratezza nella conduzione delle indagini e un grande rilievo dato alla deposizione delle parti, forse proprio per il fatto che si trattava di affari di corte. Importante nell’indagine giudiziaria appare anche la prestazione del giuramento: talora si ricorreva pure alla procedura dell’ordalia. Un luogo in cui si esercitava la giustizia era la “porta del re” o la “porta del Palazzo”, intendendo in questo caso non soltanto il palazzo reale, ma anche quei palazzi dislocati come sedi amministrative in varie parti del regno e dipendenti dal potere centrale. Giudice supremo, oltre che legislatore, era il re, che interveniva personalmente in reati di una certa gravità ed al quale spettava compiere un atto di clemenza quando il reato prevedeva la pena di morte. Di solito, invece, amministravano la giustizia in nome del potere centrale dignitari regi, preposti al governo di paesi o di distretti amministrativi; potevano collaborare con loro nell’esercizio della giustizia - sempre però a livello locale - i rappresentanti delle comunità di villaggio, che stavano al di fuori dell’apparato statale. 552

Agli incaricati di amministrare la giustizia si raccomandava di attenersi nel giudicare - per quanto era possibile - agli usi locali: una raccomandazione del genere e la collaborazione di rappresentanti sia del potere regio che delle comunità locali in tale amministrazione permettevano all’autorità centrale di tutelare i suoi interessi politici e militari senza produrre pericolose alterazioni o soppressioni di istituti tradizionali delle comunità locali. Tuttavia, per reati di particolare significato politico, economico, militare, si ricorreva direttamente al giudizio del re. VIII. LA SFERA RELIGIOSA

Come negli altri stati del Vicino Oriente antico, anche in quello ittita la religione occupava un posto di primaria importanza nei vari aspetti della vita individuale, sociale e politica del paese. La numerosità dei testi ittiti a carattere religioso - che costituiscono la maggioranza dei documenti - mostra come la religione fosse intensamente, anche se forse non intimamente, sentita. Nel mondo religioso ittita si evidenziano due aspetti: quello legato alla religione ufficiale e quello legato a culti e tradizioni locali, che risalivano molto indietro nel tempo. La religione di stato tendeva ad accogliere ed inglobare gli elementi provenienti da culti locali e inoltre da paesi posti sotto il dominio ittita. Anche nel pantheon, quindi, si può rilevare quel carattere di sincretismo riscontrabile, del resto, in vari campi della cultura ittita. Questo pantheon assai ricco, definito dagli stessi Ittiti con l’espressione “i mille dèi di ÷atti”, chiaramente non in riferimento ad un numero preciso di divinità che lo componevano, ma alla loro totalità e alla loro ampia composizione, risulta formato dalla fusione di elementi divini di varia origine ed appare come la conseguenza di una forte azione centralizzatrice operata dai sovrani ittiti sui culti dei differenti popoli assoggettati o accolti nel loro impero. Fanno parte di questo pantheon divinità anatomiche ittite, luvie, palaiche, hattiche - e inoltre divinità hurriche, sumeriche, semitiche (babilonesi, assire, siriane). Non sempre è possibile individuare e distinguere divinità propriamente ittite da quelle assunte da altri panthea,

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tanto più che molte presentano caratteristiche e attributi simili e non sono altro che ripetizioni di una stessa divinità in mondi religiosi diversi. Di alcune divinità, poi, non conosciamo che il nome. Fonti di informazione sul pantheon ittita sono la documentazione scritta, talora anche di contenuto non religioso, e quella figurata (rilievi, statue, glittica ecc.). Per la conoscenza di culti locali, per lo più di tradizione antica, le principali notizie provengono da testi contenenti inventari del materiale templare e descrizioni di feste e cerimonie religiose, databili per la maggior parte all’epoca di Tutøaliya IV. Interessanti fra i documenti del primo gruppo sono quelli in cui si elencano e si descrivono le immagini di varie divinità, caratterizzate dai loro particolari simboli, attributi e animali sacri. Talora si fornisce la raffigurazione più antica di queste divinità - una stele o un oggetto, come una spada, un recipiente ecc. - a cui in un secondo tempo è stata sostituita un’immagine antropomorfa: innovazione, questa, dovuta ad un intervento regio. Di alcune di queste immagini divine abbiamo le misure: si trattava di piccole statuette, certo del tipo di quelle ritrovate nel corso di alcuni scavi. Le divinità del pantheon ufficiale sono, comunque, quasi tutte antropomorfe. Vi furono iniziative da parte del clero ufficiale per dare un’organizzazione a questo pantheon, soprattutto nel XIII sec. a.C., per influenza della regina di origine kizzuwatnea Puduøepa (cfr. § IV) e sotto il figlio di lei, Tutøaliya IV: in primo luogo, in questo periodo si attuò pienamente un processo, per certi aspetti già iniziato in precedenza, di assimilazione fra le divinità ufficiali del pantheon ittita e gli dèi hurriti di Kummanni, e, insieme, di sincretismo di divinità simili di origine diversa; inoltre ebbe luogo un accorpamento di divinità, soprattutto per scopi sacrificali, in due serie distinte, i cosiddetti kaluti hurrico-kizzuwatnei, cioè cerchie o liste divine maschili e femminili, in testa alle quali stavano rispettivamente il dio della Tempesta Teššup, identificato con il dio della Tempesta ittita, e la dea ÷epat, assimilata alla dea Sole di Arinna. A conferma di questa identificazione di divinità hurriche con le loro corrispondenti ittite e hattiche si ricorda un noto passo di una preghiera di Puduøepa: “O dea Sole di Arinna, mia signora, regina di tutti i paesi, nel paese di ÷atti tu porti il nome di dea Sole di Arinna, ma in quello che tu hai creato paese dei cedri tu porti il nome di ÷epat”. 554

Il compimento di questo processo di assimilazione del pantheon ittita con quello hurrico risulta evidente da uno dei più importanti monumenti ittiti del periodo imperiale, il famoso santuario rupestre di Yaz½l½kaya, nelle vicinanze di ÷attuša, costituito da due gallerie o camere scavate naturalmente nella roccia: nella galleria principale è raffigurata in rilievo sulle pareti una duplice processione di divinità, da un lato quelle maschili e dall’altro quelle femminili (corrispondenti quasi esattamente ai due kaluti hurrico-kizzuwatnei), precedute rispettivamente da Teššup e ÷epat, che si incontrano nella parete più interna del santuario. Tutte queste divinità, che recano in una mano il loro simbolo e nell’altra un cartiglio con il loro nome, scritto in grafia ieroglifica e in lingua hurrica, rappresentavano appunto il pantheon di stato ittita relativamente a quel periodo (epoca di Tutøaliya IV). A capo del pantheon ittita stava, come abbiamo sopra accennato, una coppia divina: il dio della Tempesta, della folgore, dell’uragano, ma anche della pioggia benefica, a Yaz½l½kaya identificato con il dio hurrico Teššup, e la dea Sole della città di Arinna, divinità con caratteristiche ctonie, venerata in Anatolia già prima dell’arrivo degli Ittiti col nome hattico Wurušemu e presente a Yaz½l½kaya col nome hurrico ÷epat. Tale connubio avrebbe dovuto generare fertilità e fecondità sulla terra. Del resto gli Ittiti, come gli altri popoli dell’Oriente antico, concepivano la maggior parte delle loro divinità come manifestazioni di fenomeni naturali e atmosferici, che certamente dovevano impressionare la loro fantasia e la loro mentalità non ancora evoluta. Nel loro pantheon appaiono divinizzati elementi naturali come monti, fiumi, sorgenti, venti, nubi (spesso elencati a conclusione delle liste divine dei trattati internazionali ed invocati pure nelle preghiere) ed anche prodotti della terra come, ad esempio, il grano. Facevano inoltre parte del pantheon ittita divinità della protezione, dell’amore, della guerra, della salute, del fato, degli Inferi ecc.: si deve, tuttavia, tener presente quanto spesso sia difficile individuare la sfera d’azione di una divinità e tanto più attribuirle un’unica prerogativa. Interessanti e vari sono i testi ittiti contenenti narrazioni a carattere mitico o leggendario, talora presenti come opere narrative autonome, talora inseriti in testi a carattere magico o in descrizioni di cerimonie rituali o in documenti di argomento storico-politico.

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Gli Ittiti solevano designare le loro composizioni a carattere mitologico, secondo quanto risulta dai colofoni di queste, in tre modi diversi: mugawar/mugeššar “invocazione, evocazione”; uttar “parola, racconto”; SÌR “canto”. Tra le narrazioni designate nel primo modo si ricorda il “mito del dio scomparso”, riferito alla sparizione di divinità diverse, per lo più adirate per qualche motivo; alle conseguenze negative sulla vita umana animale, vegetale che tale sparizione provoca; al procedimento seguito per ritrovare queste divinità e provocarne il ritorno, riportando così la fertilità e la prosperità nella vita della natura nei suoi vari aspetti. Di questo ciclo narrativo il più famoso è il mito relativo alla scomparsa del dio Telipinu anche perché più ampio e in migliore stato di conservazione. Tra le narrazioni designate nel secondo modo si ricorda il mito in cui si narra la lotta fra il dio della Tempesta e il drago Illuyanka, pervenutoci in due versioni diverse; dal preambolo apprendiamo che tale racconto veniva recitato in occasione dell’antica festa primaverile del purulli, probabilmente a scopo propiziatorio, per favorire il nuovo anno agricolo. Tra le narrazioni designate nel terzo modo si ricorda il vasto ciclo noto come Teogonia o Regalità nel cielo, in cui si racconta appunto la lotta fra gli dèi per la conquista del potere in cielo, la nascita del dio della Tempesta e il conseguimento da parte di questo della regalità celeste. Tale ciclo mitologico - a cui è stata attribuita un’origine hurrica e in cui si possono riconoscere anche elementi ricollegabili alle culture mesopotamiche e anatoliche, e che ha subito un processo di assimilazione e rielaborazione in ambito ittita - ha suscitato interesse e ha stimolato ricerche anche da parte degli studiosi della civiltà greca per le analogie in esso riconoscibili con la Teogonia di Esiodo. È difficile stabilire come tale mito fosse pervenuto nel mondo greco: se attraverso gli empori commerciali della costa siro-settentrionale, in alcuni dei quali sono stati trovati resti di stanziamenti micenei, o per la mediazione dei Fenici, o portato dal padre di Esiodo, il quale proveniva dall’anatolica Kyme. Per quanto riguarda il rapporto dell’elemento umano con le divinità, si nota come queste fossero solite emanare regole e precetti religiosi e morali, che l’uomo doveva seguire scrupolosamente: ogni sua infrazione costituiva un peccato che provocava l’ira e, di conseguenza, la punizione 556

divina. Le leggi religiose non tenevano conto dell’intenzione di qualcuno nel compiere un peccato, così uno poteva peccare anche senza saperlo e vedersi poi colpito da una sorte avversa, senza conoscerne il motivo. La divinità offesa poteva lasciar trascorrere un lungo intervallo di tempo prima di mandare la punizione per un peccato: talora la colpa di un padre poteva trasmettersi al figlio o, addirittura, ai suoi discendenti. Le conseguenze del peccato di un sovrano ricadevano su tutto il paese, da lui appunto rappresentato di fronte agli dèi; se invece era stato il paese ad offendere in qualche modo la divinità, spettava al re di compiere i riti di espiazione. In ogni caso, quando si ignorava quale fosse la colpa commessa o quale fosse la divinità irata, si cercava di informarsene mediante consultazioni oracolari, prima di procedere ai riti richiesti per placarne la collera. Alla divinità l’uomo si rivolgeva con la preghiera, talora facendo anche dei voti per ottenerne il favore o una grazia. Di particolare interesse sono le preghiere di Muršili II, in occasione di una terribile pestilenza che aveva afflitto per venti anni il paese di ÷atti. In queste preghiere assistiamo ad un alternarsi di vive assicurazioni di fede e di devozione all’esposizione dei fatti che avevano preceduto la situazione attuale, all’interrogazione oracolare per conoscere la causa dell’ira divina, a suppliche ardenti ed anche ad abili argomentazioni, pur se non troppo spirituali, tese a mostrare agli dèi il danno che essi pure avrebbero ricevuto da un tale stato di cose, nell’evenienza che anche i sacrifici e le offerte a loro destinati dovessero cessare a causa di tale situazione funesta. Interessante il passo in cui Muršili, una volta conosciuto che la collera divina è stata provocata da colpe commesse dal padre di lui, Šuppiluliuma I, invoca gli dèi affinché non infieriscano su di lui che è innocente, mostrando così, col ritenere implicitamente che la responsabilità e la conseguente punizione e per una colpa dovrebbero riguardare soltanto colui che l’ha commessa, una concezione più consapevole del peccato, in contraddizione con la legge sacra allora vigente. Oltre che obbedire ai precetti religiosi, il fedele aveva anche il dovere di fornire alla divinità tributi giornalieri e straordinari, provvedere al suo mantenimento, compiere nei santuari tutte quelle prestazioni che potevano esserle necessarie e gradite.

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Si cercava di acquisire la benevolenza del dio con doni e feste in suo onore, durante le quali egli veniva allietato con musica, danza, processioni, giuochi, gare agonistiche, rappresentazioni e recitazioni di miti. Di grande importanza era la celebrazione di queste feste e costituiva un elemento di vanto per il sovrano l’averle celebrate sempre puntualmente, interrompendo, se necessario, anche delle operazioni militari; il caso opposto poteva provocare grandemente la collera divina, come era avvenuto appunto per Šuppiluliuma I, la cui colpa di non aver celebrato le feste per la dea Sole di Arinna, essendosi attardato in imprese militari, era ricaduta sul figlio Muršili. Queste feste erano molto numerose, alcune avevano un carattere periodico: mensile, annuale o stagionale; anzi, trattandosi di popolazioni dedite per lo più all’agricoltura o all’allevamento del bestiame, le cui divinità erano per la maggior parte connesse con la vita della natura nei suoi vari aspetti, anche le loro feste erano legate a quei mutamenti e a quegli eventi che il succedersi delle stagioni provoca nei lavori dei campi, nel fiorire della vegetazione e nel prosperare degli armenti. Comunque, alle solennità già stabilite se ne aggiungevano altre originate da occasioni straordinarie. Certe feste erano comuni a tutto il regno, altre erano tipicamente locali e i loro calendari variavano a seconda dei centri di culto. Alcune feste potevano protrarsi anche per molti giorni ed avevano un carattere itinerante. Di particolare importanza erano due grandi feste che si svolgevano in primavera e in autunno - la festa AN.TA÷.ŠUMSAR “del croco” e la festa nuntarriašøaš “dell’affrettarsi” - e che si protraevano per più di un mese, con spostamenti in varie località del regno. Nel corso di esse si svolgeva la cerimonia dell’apertura e della chiusura dei pithoi, recipienti in cui si conservava il frumento. Il sovrano partecipava a tali celebrazioni per lo più accompagnato dalla regina, da altri membri della sua famiglia e dai suoi più importanti dignitari e sacerdoti ed alloggiava nel tempio o in un apposito edificio a questo annesso. La particolareggiata descrizione di queste feste fornisce importanti notizie non solo per la definizione della struttura di esse, ma anche per la conoscenza di particolari culti e riti che vi si celebravano, soprattutto a carattere locale, e per illuminanti precisazioni di tipo geografico (nel caso di feste itineranti) e storico. 558

Lo scopo dei viaggi del re nei vari centri di culto per celebrarvi feste non era soltanto religioso, ma aveva anche motivi politici, come la manifestazione della legittimità e della grandezza del potere regio, convalidato dal favore divino, e il consolidamento dei rapporti con l’àmbito locale, acquisendone i culti. Si aggiungevano inoltre motivi di tipo economico-amministrativo, come la raccolta di offerte fornite dall’elemento locale, spesso di entità considerevole e superiori al normale fabbisogno per il culto. Tali offerte venivano immagazzinate in sedi apposite, per essere poi adoperate ed eventualmente ridistribuite in caso di necessità. Un buon numero di documenti ittiti è costituito dalla descrizione di riti ed operazioni religiose di vario genere, tese a molteplici scopi. La magia, elemento essenziale nelle religioni antiche, stava alla base di questi riti e veniva utilizzata per fini diversi: per allontanare ogni forma di sventura, come malattie, discordie familiari, spiriti maligni, sterilità umana e naturale, epidemie nel paese e nell’esercito; per guarire imperfezioni fisiche; per purificare persone ed oggetti impuri; per attrarre nel proprio paese divinità da città nemiche; per far cadere la maledizione su persone o paesi ostili; per rafforzare i giuramenti. L’esecuzione di operazioni magiche e l’enunciazione di formule adeguate cooperavano per il conseguimento di uno stesso fine. Per l’efficacia del risultato era di essenziale importanza che il rito fosse eseguito con la massima precisione fin nei minimi particolari, altrimenti si poteva ottenere l’effetto opposto: ciò spiega la minuziosità e spesso la ripetitività nella descrizione del rito. La magia che tendeva a scopi utili era ufficialmente permessa, mentre era gravemente punita quella che mirava a provocare danno a qualcuno (v. § VII). Sacerdoti competenti eseguivano questi riti magici: appositamente specializzate in tali cerimonie erano delle sacerdotesse denominate le “vecchie”, una specie di maghe che non appartenevano al clero ufficiale. Interessanti, anche se spesso di difficile comprensione e talora problematici per la lettura stessa, sono i testi divinatori, in cui si descrivono dettagliatamente molteplici specie di consultazioni mantiche. Era questo un mezzo per l’uomo per comunicare con le divinità al fine di conoscerne le intenzioni presenti e future, gli avvertimenti ed eventuali

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motivi di collera. In base a ciò l’uomo poteva regolarsi nell’intraprendere particolari azioni, o per rimediare a colpe commesse. Occupavano un posto di rilievo nella mantica ittita gli auspici tratti dal volo degli uccelli, dai loro movimenti ed anche dai loro gridi: conosciamo i nomi di numerosi uccelli mantici, ma non tutti sono stati interpretati. Altre forme divinatorie note erano l’epatoscopia, ovvero l’arte di ottenere predizioni in base all’esame del fegato di una vittima, e l’extispicio, che traeva presagi dallo studio dei suoi visceri. Una specie di “divinazione provocata”, che sembra specifica della cultura anatolica, si basava sull’esame del movimento di certi animali entro un ambiente circoscritto, nel quale erano posti in determinati punti degli ostacoli, ognuno dei quali corrispondeva ad un simbolo. Uno dei mezzi con cui il dio poteva comunicare direttamente con l’uomo era il sogno, o spontaneo o, in taluni casi, provocato mediante la cosiddetta “incubazione sacra”: la divinità spesso manifestava spontaneamente avvertimenti o presagi per eventi futuri, oltre che mediante il sogno, anche tramite fenomeni metereologici o qualche altro segno particolare. Veniva praticata presso gli Ittiti anche l’astrologia: si potevano, ad esempio, trarre pronostici dall’esame di eclissi di sole o di luna, dalla direzione delle corna di questa, o dallo studio delle stelle cadenti ecc.; i testi in proposito mostrano forti analogie con i corrispondenti documenti babilonesi ed assiri. Come si è già evidenziato (§ IV), nella società ittita era assai forte la compenetrazione fra potere politico e potere religioso, ciò che per lo più si riscontra anche nelle altre società del Vicino Oriente antico, per le quali tuttavia si ha pure notizia, per certi periodi, di contrasti fra i due poteri per la supremazia sul paese. Il sovrano ittita aveva un funzione primaria nel culto, in quanto era sommo sacerdote. I documenti mostrano, infatti, che il sovrano esercitava un forte controllo anche di tipo amministrativo sui templi ed altre istituzioni cultuali, che costituivano, fra l’altro, centri economici di grande rilievo. Da questi documenti apprendiamo cosa si produceva all’interno di queste istituzioni, non solo nel settore agricolo-pastorale, ma anche a livello artigianale, la manodopera che vi afferiva - quella stabile e, in taluni casi, quella saltuaria - le offerte che vi affluivano dall’esterno e chi 560

era tenuto a fornirle e quello che si doveva dare come tassa allo stato. Su questo appunto ci informano gli atti di conferimento di esenzioni, e in particolare quei passi dai quali risulta l’obbligo per certe istituzioni cultuali di fornire allo stato contingenti militari, anche se soltanto in caso di necessità belliche (ciò che dimostra appunto la notevole entità di certe istituzioni), o l’esenzione loro concessa dal consegnare parte di oggetti necessari per gli armamenti all’amministrazione centrale, alla quale, come abbiamo detto (§ III), verosimilmente spettava il compito di provvedere all’equipaggiamento militare del paese. Dell’organizzazione templare e della sua dipendenza dall’organizzazione palatina ci informano anche i resti di templi riportati alla luce a ÷attuša, e soprattutto i resti del più grande, e probabilmente più importante, di questi santuari, il cosiddetto Tempio I. Gli scavi hanno mostrato l’esistenza in esso di numerosi magazzini, certo molti di più di quelli che potevano essere necessari per il fabbisogno cultuale, ed anche di numerosi recipienti di considerevole volume complessivo. Inoltre, dal contenuto delle tavolette di argilla rinvenute nei magazzini di questo tempio si è potuto dedurre che esso fungeva in parte anche da archivio di stato. Di particolare interesse è stato il ritrovamento presso alcuni santuari di mura di cinta, allo scopo evidente di proteggere non solo il patrimonio cultuale, ma anche i magazzini da nemici sia interni che esterni. Del resto, in una tavoletta contenente istruzioni per il personale templare si parla di mura di cinta e si accenna anche alla necessità di un servizio rigoroso di guardia e di pattuglia. Su queste fondazioni cultuali il sovrano esercitava vari modi di controllo, sia mediante alti dignitari, sia nominando uno dei suoi figli sacerdote di qualche divinità e conferendogli in nome di lei beni fondiari e di altro genere e svariate forme di benefici. IX. LA POLITICA INTERNAZIONALE

Di grande importanza per un sovrano per consolidare ed ampliare il proprio potere e il proprio dominio sia all’interno che all’esterno del suo regno era la capacità di costruire una vasta e solida rete di alleanze a livello internazionale.

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Per la conoscenza di questo rilevante aspetto della politica ittita sono fonti primarie i trattati internazionali, mediante i quali i re ittiti regolavano i loro rapporti non soltanto con le potenze loro pari, ma anche con gli stati a loro soggetti, e inoltre la corrispondenza epistolare, con cui si intrecciavano, si consolidavano, si modificavano relazioni internazionali: notizie importanti si ottengono anche da altri tipi di documenti. Ovviamente, tali informazioni provengono non soltanto dagli archivi della capitale ittita, ma anche da archivi di paesi stranieri, coinvolti in modi e in entità diverse nella politica estera di ÷atti. I trattati internazionali costituiscono un aspetto particolare della letteratura ittita. Nei colofoni di questi documenti li troviamo definiti sia con il termine ittita išøiul (o con il suo corrispondente accadico) “legame, vincolo” sia con il termine ittita lingai (o con il suo corrispondente accadico) “giuramento”: “[1 tavoletta, di Tuppi-Teššup, del vincol]o”; “2 tavolette, di [÷ukkana, del giuramento x x”. Nei trattati siro-ittiti compaiono sovente le due designazioni “vincolo e giuramento”. È noto anche il termine ittita takšul che in epoca più antica aveva il significato di “patto”, “accordo”, ma che in seguito venne ad assumere il valore di “pace”, “amicizia”. Questi trattati, secondo distinzioni generalmente in uso fra gli studiosi, possono essere di parità, cioè stipulati dai sovrani ittiti con sovrani loro pari per importanza e potere, e di dipendenza o “vassallaggio”, cioè stipulati con sovrani di paesi assoggettati. Fra questi si distinguono alcuni trattati, definiti da alcuni studiosi come trattati di protettorato, che gli Ittiti avevano stipulato con i paesi considerati per vari motivi meritevoli di particolare riguardo, ma non in posizione di parità. I vari tipi di trattati si rassomigliano nella loro struttura formale, anche se differiscono notevolmente nella sostanza. È stato individuato dagli studiosi uno schema-tipo cui di solito ci si atteneva nella redazione dei trattati internazionali, con alcune eccezioni dovute o alla situazione politica internazionale del momento, o alla particolare struttura politica vigente nei paesi con i quali il re ittita aveva stipulato l’atto, o anche a circostanze contingenti, come, per esempio, quando un trattato era compilato sulla base di un altro più antico, per cui si trattava di riprendere o modificare rapporti contrattuali già esistenti (v. più avanti).

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Tali documenti hanno inizio con un preambolo, in cui si presentano i contraenti dell’atto e si espongono le circostanze che ne hanno preceduto e provocato la stesura. Queste introduzioni sono talora assai ampie e risalgono alquanto indietro nel tempo, per cui possono costituire utili fonti storiche: tuttavia, nella loro utilizzazione, è sempre necessario tener presente il loro intento finalizzato alla stipulazione dell’atto, per cui si evidenziano o si mettono in ombra, e talora si celano, eventi ritenuti più o meno utili, e in taluni casi addirittura nocivi, allo scopo prefisso. Dopo il preambolo si stabiliscono gli accordi e gli impegni reciproci mediante clausole di ordine politico, che regolano i rapporti fra i due stati contraenti ed anche con altri stati (nei trattati di dipendenza il sovrano ittita talora influisce anche nella politica interna dello stato “vassallo”); di ordine militare, in cui si stabilisce, fra l’altro, anche la fornitura di aiuti militari in caso di necessità belliche; di ordine economico, in cui, ad esempio, si decide l’entità del tributo che deve dare al re ittita il sovrano “vassallo” e talora anche la politica economica di questo nei riguardi di paesi stranieri (come la regolamentazione del commercio estero); di ordine giuridico, in cui si riconosce al sovrano ittita la facoltà di giudicare il comportamento dei sovrani “vassalli” sia nei suoi confronti, sia fra di loro, sia verso sovrani di altri paesi. Si possono inoltre trovare altre clausole legate a situazioni contingenti. Di particolare interesse sono le clausole relative all’estradizione sia di rifugiati politici, evidentemente di posizione sociale elevata, sia di rifugiati di basso ceto, generalmente debitori insolventi che fuggivano in terra straniera per non divenire schiavi, venendo in tal modo a privare il loro paese di un apporto sempre utile di manodopera. A conclusione dei trattati si trova di solito un lungo e dettagliato elenco delle divinità dei due paesi contraenti, posto a tutela dell’atto, e si invoca la maledizione divina per chi violerà tale accordo e la benedizione per chi lo rispetterà. Ogni documento, inoltre, era siglato dal sigillo regio. Come si è detto sopra, sono noti casi particolari in cui alcuni trattati si allontanano formalmente dallo schema consueto, come, ad esempio, per una diversa collocazione della lista degli dèi del giuramento e delle formule di benedizione e di maledizione, o per la mancanza di una introduzione storica, o per la presenza di una lista di “conjurati”, che si impegnano contrattualmente mediante giuramento, o di una lista di testimoni posta a garanzia dell’atto. 563

Queste varianti possono derivare da svariati motivi e situazioni: per esempio, quando il paese “vassallo” non era governato da una monarchia, ma secondo una struttura oligarchica, era una pluralità di persone che prestava il giuramento in rappresentanza del proprio paese. Oppure, quando un trattato veniva compilato su un altro più antico per i più svariati motivi, si richiedeva allora la presenza di una lista di testimoni a garanzia dell’atto, secondo una prassi mutuata da altri tipi di documenti giuridici, quali gli atti di donazioni di terre o alcuni documenti in cui si conferivano esenzioni da parte del Gran Re. Con l’esistenza di un trattato più antico si può spiegare anche la diversa posizione delle divinità, che potevano essere menzionate in riferimento a parti precedenti del trattato e non alle norme complessive. Inoltre, la mancanza dell’esposizione degli antefatti in alcuni trattati potrebbe derivare dall’assenza di una tradizione storica in certi paesi oppure dal fatto che gli Ittiti non avevano avuto con questi relazioni tali da motivare la stipulazione di un trattato. Si apprende dai trattati stessi che essi venivano depositati davanti alle principali divinità dei due paesi contraenti. Tali atti erano scritti in lingua ittita e talora anche in accadico, che era la lingua diplomatica dell’epoca (del trattato stipulato fra il sovrano ittita ÷attušili III e il faraone egiziano Ramses II ci è giunta anche la versione egiziana oltre a quella in accadico). Sappiamo che i trattati internazionali erano scritti su tavolette in metallo - argento, ferro, bronzo - e portavano il sigillo regio, tuttavia fino a qualche tempo fa non ci era pervenuto alcun originale di questi documenti, ma soltanto le copie su tavolette di argilla compilate per gli archivi palatini e templari, senza il sigillo regio. Del trattato stipulato fra il sovrano ittita ÷attušili III e il faraone egiziano Ramses II sono state trovate anche le copie della redazione egiziana, venute alla luce nel tempio di Karnak e nel Ramesseo. Così, anche sotto questo aspetto, è stato di grande importanza il ritrovamento a Boˆazköy nel 1986 di una tavoletta di bronzo contenente la redazione completa di un trattato internazionale stipulato fra il sovrano ittita Tutøaliya IV e Kurunta re di Tarøuntašša, databile intorno al 1235 a.C. I trattati paritetici si basavano su un rapporto di fratellanza e amicizia e sull’uguaglianza dei diritti e dei doveri. Ambedue i contraenti - che si 564

appellavano reciprocamente “fratelli” - contribuivano alla stesura dell’atto mediante intensi rapporti diplomatici, mentre nel caso dei trattati di dipendenza l’unico estensore del documento era il re di ÷atti. Esempio tipico dei trattati paritetici è appunto quello fra ÷attušili III e Ramses II di Egitto, nel quale il principio di assoluta reciprocità viene sottolineato anche stilisticamente nei vari paragrafi e le singole clausole sono ripetute letteralmente nei due atti. Essendo questo trattato frutto di collaborazione reciproca, è preceduto da una fitta rete di scambi diplomatici per concordarne la stesura. Gli antefatti storici sono molto brevi per motivi ben comprensibili: si intendeva evidentemente sorvolare su un passato di ostilità per evidenziare invece le future relazioni di amicizia dei due paesi contraenti. Le convenzioni su cui si basava tale accordo stabilivano un’alleanza difensiva e offensiva verso i nemici esterni, sostegno reciproco in caso di ribellione interna e l’appoggio, in occasione della morte di uno dei due contraenti, per assicurare la successione al trono al legittimo erede. Reciproca era anche l’estradizione dei fuggiaschi. Per quanto riguarda, invece, la posizione dei “vassalli” emergente dai trattati, risulta evidente la loro subalternità a ÷atti sia nella gestione della politica estera sia anche nella conduzione della politica interna. Il sovrano “vassallo” deve giurare fedeltà ed obbedienza al Gran Re e alla sua discendenza, qualora quello abbia sposato una principessa ittita, è a lei che spetta la posizione di regina e ai figli di lei la successione al trono. In alcuni trattati si stabilisce anche che il “vassallo” non abbia rapporti con le dame di Palazzo. Il Gran Re interviene anche nel controllo della politica economica del “vassallo” nei riguardi di paesi stranieri. Per quanto concerne il problema dei fuggiaschi, cui già abbiamo accennato a proposito del trattato paritetico con l’Egitto, si riscontra nei trattati di dipendenza una situazione diversa, e cioè il sovrano “vassallo” deve restituire al Gran Re chiunque si sia rifugiato nella sua terra, mentre il Gran Re non restituirà i fuggiaschi - che costituivano per lui un apporto di manodopera - tranne che nel caso in cui si tratti di contadini o di artigiani, cioè di individui aventi un certo valore economico. I trattati ci illuminano anche sulle concezioni giuridiche e sui costumi degli stranieri e sulla posizione degli Ittiti a tale riguardo. Sappiamo che gli Ittiti permettevano spesso ai paesi assoggettati di 565

mantenere le proprie usanze, le proprie leggi, le proprie amministrazioni locali, i propri culti. Il Gran Re, però, interveniva quando costumi troppo diversi da quelli di ÷atti potevano provocare situazioni di gravità estrema. Comunque, nonostante le limitazioni di libertà, il sovrano “vassallo” riceveva dal Gran Re garanzia e sostegno per il mantenimento della sua sovranità e per la successione dinastica, protezione per il suo paese e difesa contro eventuali nemici esterni. Così, gli stati più piccoli e più deboli preferivano affidarsi alla protezione di stati più forti per non restare schiacciati fra i conflitti delle grandi potenze. In caso di indebolimento o in conseguenza di insuccessi di una di queste potenze, i “vassalli” tendevano a distaccarsi e a chiedere sostegno altrove. Per ovviare a questo il Gran Re ittita cercava di approfondire le relazioni personali con il “vassallo” (per esempio, mediante la politica dei matrimoni interdinastici), interveniva in situazioni di contrasto per la successione al trono e mostrava una certa mitezza in occasione di delitti. Emblematica, in tale contesto, la situazione degli stati siriani, situati fra le due potenze egemoniche egiziana e ittita e spesso fluttuanti nella scelta dell’alleanza con l’uno o l’altro paese. Si possono talora riconoscere analogie nella forma e nel principio ispiratore fra i trattati di “vassallaggio” e le cosiddette “istruzioni” dirette dal sovrano a dignitari o ad altre categorie di persone che operavano nell’àmbito militare, cultuale o del Palazzo. In realtà, in questi due tipi di documenti prevale l’imposizione del volere del sovrano ittita da un lato su dignitari o categorie di funzionari operanti nel regno, dall’altro su potenze straniere a lui soggette. Come i trattati, anche le “istruzioni” sono designate con il termine “vincolo”; vengono spesso considerati come “istruzioni” pure quei testi definiti dagli Ittiti col termine “giuramento” - in cui si richiedevano appunto giuramenti di fedeltà a dignitari e ad altre categorie di persone. La singola prescrizione dell’accordo è detta “parola” (ittita uttar o memiya(n)-). Anche per questi documenti si è cercato di delineare uno schematipo, che però non è applicabile per tutti: le differenze che vi si notano dovevano dipendere, oltre che dalle epoche e circostanze in cui essi erano stati redatti, anche dalle funzioni e dal rango dei loro destinatari.

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Questo è lo schema delineato: a) preambolo contenente il nome e la titolatura del sovrano che ha emanato l’atto (con una formulazione più semplice che nei trattati internazionali) e la richiesta di un giuramento di fedeltà al re, ai suoi familiari e ai suoi discendenti da parte dei dignitari a cui è diretta l’istruzione; b) disposizioni regie, cioè una lunga casistica di compiti da eseguire e di proibizioni da rispettare che si conclude di solito con una formula di giuramento; c) proibizione di spergiuro e di violazione e inosservanza degli ordini. Ovviamente, le “istruzioni” dirette a dignitari con funzioni di rappresentanti del re nello stato e nelle province, investiti di ampi e vari poteri, si avvicinano ai trattati di dipendenza, mentre quelle rivolte agli addetti templari e militari o ai servi del Palazzo si presentano diverse sia nella forma che nel contenuto. Nelle “istruzioni”, rispetto alla maggioranza dei trattati, manca un antefatto storico, del resto non necessario dato il tipo dei documenti: infatti i rapporti fra il sovrano e i dignitari o funzionari di vario genere non avevano bisogno di alcun chiarimento o giustificazione. Fitta era la rete diplomatica che i re ittiti intrecciavano con sovrani loro pari o di rango inferiore per stabilire o incrementare rapporti di tipo politico, militare, economico a livello internazionale, ma anche per accrescere, di riflesso, il loro prestigio all’interno del regno. Erano quindi intensi i contatti diplomatici fra le corti vicino-orientali mediante l’invio di messaggeri e lo scambio di corrispondenza ed anche di doni. In tale contesto teneva un posto di rilievo la politica matrimoniale, che, quando coinvolgeva sovrani di pari rango, richiedeva trattative assai lunghe, con discussioni sull’entità dei doni da scambiarsi, sul rango della principessa richiesta e inviata in sposa e sulla posizione delle altre mogli del re, futuro marito. Molto più semplice, più esplicito e talora anche più brusco è il tono usato dal Gran Re ittita con un re di rango inferiore al suo, in qualche caso a lui soggetto. Come si è detto sopra, alla principessa ittita andata in sposa ad uno di questi re spetta il ruolo di regina nel paese che l’accoglierà e ai figli e ai discendenti di lei il diritto di successione al trono in questo paese. È noto, comunque, anche un tipo di corrispondenza non legata ad uno scopo preciso, ma di pura cortesia, per mantenere buoni rapporti internazionali. Importante era la funzione del messaggero, che aveva

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pure il compito di ambasciatore e che apparteneva ad un ceto elevato, talora addirittura alla famiglia reale. Come già si è detto, il sovrano ittita garantiva al sovrano “vassallo” la sua protezione e il mantenimento del potere regio per lui e per i suoi discendenti; in taluni casi, però, affidava la regalità sui paesi assoggettati a membri della sua famiglia (v. i casi di Aleppo e di Karkemiš), ciò che poteva costituire per lui una più forte garanzia di fedeltà. Interessante è anche il caso di ÷attušili III che, per motivi di politica interna, trovò politicamente opportuno istituire una regalità nuova, quella sul paese di Tarøuntašša, che conferì a Kurunta e che fu poi riconfermata da Tutøaliya IV. Com’è noto, il re di Karkemiš accrebbe sempre più la sua autorità, soprattutto sotto i regni degli ultimi sovrani ittiti, ed arrivò ad esercitare una funzione di controllo, in nome del re di ÷atti, sulla Siria settentrionale. Per questo motivo, dopo il disfacimento dell’impero ittita, Karkemiš tenne una posizione di rilievo fra i regni neo-ittiti, anche se questi avevano una loro autonomia politica; inoltre, fu soprattutto nella zona di Karkemiš, e in quelle zone della Siria settentrionale le quali in età imperiale erano state sotto il suo controllo, che si mantenne una continuità culturale ittita, tant’è vero che gli Assiri, fino al momento della loro conquista, continuarono a chiamare ÷atti la zona ad occidente dell’Eufrate e ad indicare Karkemiš con la designazione di “grande ÷atti”.

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XXIV.

APOLOGY OF ÷ATTUŠILI III OR DESIGNATION OF HIS SUCCESSOR?1

I. THE PURPOSE OF THE DOCUMENT As I have already had occasion to express elsewhere2 after the discovery and publication of the Bronze Tablet3 with the information it contained (II 35 ff., 43 ff.) that Tutøaliya succeeded his older brother to the position of tuøukanti, it seemed to me that the so-called Apology or Autobiography of ÷attušili III4 was drawn up for a different motive than has been understood up to now.5 In my opinion in fact, already at the beginning of this text, in § 2, there is presented the purpose for which it was drawn up, and this purpose is repeated more specifically and concretely at the end of the document. As a matter of fact, immediately following the preamble, which contains the name and titles of the king who drew it up (§ 1), ÷attušili declares that he intends to speak of “solicitous will” of Ištar, which everyone must heed, and that in the future the son of My Sun, his grandson, and all his descendants will owe particular respect and devotion to Ištar among all the gods (§ 2). And in the concluding paragraphs (§§ 12b, 13, 14, infra) ÷attušili, after stating that he has placed Kurunta on the throne of Tarøuntašša,6 1 Among his far-ranging research on problems of Hittite history, Ph.H.J. Houwink ten Cate has done important work on the epoch of kings ÷attušili III and Tutøaliya IV. I would like, therefore, to dedicate to him these brief remarks on some aspects of the reigns of these two sovereigns, as evidence of my profound esteem. 2 Seminari 1991 (1992) 76-78. 3 See H. Otten, Bronzetaf. 4 CTH 81; see most recently H. Otten, StBoT 24, which I have followed also in the numbering of the paragraphs. 5 I now see that the observations of Ph.H.J. Houwink ten Cate, ZA 82 (1992) 265 ff., also tend in this direction. 6 On the importance of the use here of verbs in the past tense, see below.

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bestows gifts on Ištar and names his son Tutøaliya priest of the goddess and administrator of her property. The text ends with a reminder to his son, grandson, and the “progeny of ÷attušili (and) Puduøepa” of their duty to honour the goddess, thus repeating the concept expressed in the first part of the document and completing the symmetry of the text. The name of ÷attušili’s son is not specified in § 2, but it is plausible that the allusion is to the only one of ÷attušili’s sons mentioned in the text, right at its conclusion (IV 77, 78): Tutøaliya, on whom is bestowed the priesthood of Ištar.7 Then, from § 3 to the concluding paragraphs, ÷attušili tells the story of his life8 and his ascension to the throne, emphasizing constantly the invaluable assistance given him by Ištar in his achievement of his goal. As is known, a large part of the documents drawn up by this king contain long prologues in which he narrates extensively the events leading up to his ascension to the throne, always presenting his power as the legitimate expression of divine will. Since he usurped the throne, this practice is particularly useful for attributing validity not only to his past actions but also to every initiative he would take, present and future. It seems important, in fact, to recall here that such documents were prepared with a precise purpose, usually stated at their conclusion, and not only with an apologetic aim in favour of the person drawing them up:9 thus the narration of preceding events - even when extensive and in great detail - appears aimed at furthering the achievement of this goal. We can cite here as examples KBo VI 29+,10 a text whose contents are close to the Autobiography - albeit with some differences - in which property and privileges are conferred on Ištar and the priesthood of this goddess on an unnamed son of the king and on this son’s descendants; On the king’s mention of Kurunta in this text as, most plausibly, “[son of m]y [brother]”, see below. 8 ÷attušili’s statement that he was the youngest of Muwattalli’s four children could be a literary topos (see F. Imparati, FsAlp, 307 with notes 9 and 10); we must keep in mind, however, that this was a case of a recent fact, easily verifiable by ÷attušili’s audience. 9 This is true also of other documents issued by other kings, as for example the socalled “Testament of ÷attušili I”, drawn up to name Muršili I as successor to the throne, etc. 10 CTH 85; see A. Goetze, ÷att., 44 ff.; NBr., 46 ff.; F. Imparati, Šaøur., 155 ff. 7

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KBo VI 28+,11 in which certain benefits are granted to a sacred foundation indicated as NA4øekur Pirwa;12 KBo IV 12,13 a decree in favour of the family of Mittanamuwa; KUB XXVI 58,14 which bestows certain benefits on someone named Ura-Tarøunta, who had earned ÷attušili’s esteem and gratitude. II. THE PRESENCE OF PUDU÷EPA IN KBo VI 29+ AND THE AUTOBIOGRAPHY

In the preamble of most of the documents mentioned above, we can note some discrepancies in the titles of the kings.15 Furthermore, as 11 CTH 88; see F. Imparati, Šaøur., 154 f. and SMEA 18 (1977) 38-49. This document and the one cited in the preceding note - as well as KUB XXVI 58, also drawn up by this king, but in which the bestowal of a benefit on a high personage in the Hittite court appear very near the beginning of the text (see note 14) - have been designated “Freibriefe”; see my observations on this topic in Šaøur., 148 ff. 12 In this text the narration of the preceding events (obviously quite different from the narrations in KBo VI 29+ and in the Autobiography) goes back quite far in time, perhaps to point out the very old link between this sanctuary and the Hittite dynasty, and the merits it could have earned with regard to the dynasty from the remote reaches of time, with the purpose of justifying the benefits which were now being granted (see Šaøur., 154 f.). Furthermore, if we accept the proposal of H. Otten, ZA 58 (1967) 233, to recognize this sanctuary as the øešti building, which remained standing when a large part of ÷atti’s kingdom and even the capital itself had been destroyed (Obv. 14-15), this historical narration is justified even more; cfr. my observations in SMEA 18 (1977) 47 and 60 with bibliographical notes. On the øešti building see V. Haas-M. Wäfler, UF 8 (1976) 65-99; 9 (1977) 87-122; H. Otten, RlA 4 (1972-75) 369; J. Puhvel, HED 3, 319-323. 13 CTH 87; see A. Goetze, ÷att., 41 ff. 14 CTH 224; see also Šaøur., 152 f. In this text the narration of preceding events is brief, as it concerns only a person, albeit important, whom ÷attušili presumably wished to reward for his devotion and his assistance with the king’s undertakings. 15 For example, the absence in the titles of ÷attušili and his predecessors of the title UR.SAG “hero” in the Autobiography and in KBo VI 29+, as opposed to KBo IV 12 Obv. 2-4, KBo VI 28+ Obv. 1, 3, 4[, KUB XXVI 58 Obv. 4[; or the presence of the title tabarna before ÷attušili’s name in the Autobiography I 1, in KBo VI 28+ Obv. 1, in KUB XXVI 58 Obv. 1, where in KBo VI 29+ I 1 and in KBo IV 12 Obv. 1 we find DUTUŠI, etc. It should also be noted that in KBo VI 28+ Obv. 2 the name of ÷attušili is accompanied not only by his usual appellations but also by “beloved of the Sun goddess of Ari[nna], the Storm god of ÷atti and Ištar of Šamuøa”, a way of highlighting the favour ÷attušili enjoyed in the sight of the major divinities of ÷atti, that is the divine couple who reigned over the Hittite pantheon and its divine

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opposed to the case in these documents,16 we do find the name of the queen Puduøepa in the preamble to KBo VI 29+ I 5, precisely the text, as we have seen, whose contents are close to the Autobiography. Earlier,17 I tried to justify the mention of this queen along with her consort in the preamble to KBo VI 29+ by her close tie with the goddess Ištar, whose glorification permeates the entire text; this observation, however, would be true also for the Autobiography, where, instead, the queen’s name does not occur in the preamble. Therefore, I wonder if this discrepancy between the two documents might not be due to political reasons.18 Perhaps in the case of the text that seems to come first chronologically, KBo VI 29+, in which the process of establishing Tutøaliya in the priesthood of this goddess was still in fieri,19 it could have been beneficial to show from the very beginning of the text how the queen participated actively in the operation, also in order to highlight the fact that this priest had to be a son not only of the king, but of Puduøepa as well. protectress. We recall here that also in KUB XXI 11 (CTH 90) Obv. 1 ÷attušili III bears the appellation of “beloved of the Stormgod of Nerik” and that also Tutøaliya IV in the treaty with Šaušgamuwa of Amurru, CTH 105 I 2, is presented as “[beloved of] the Sun goddess of Arin[na].” On the royal titles in the preambles to some documents issued by these two kings, see F. Imparati, Šaøur., 40-43, with relevant notes; cfr. also H. Gonnet, Heth 3 (1979) 56-63, 71-73, obviously taking into account in both cases some modifications resulting from the most recent discoveries. 16 This is the case only with the preambles of these documents, since within their texts and also other texts the queen is often mentioned along with her husband or named specifically or by her title of MUNUS.LUGAL. She does not appear, instead, alongside Tutøaliya IV in the “political” texts issued by this king; she is mentioned with Tutøaliya in the preamble of a document of an administrative nature concerning the assignment of the property of Šaøurunuwa, KUB XXVI 43 Obv. 3 and Rev. 15. The queen’s presence in this text can be explained either by the fact that this document reproduced, at least in part, a decree issued by ÷attušili III with his wife (referring furthermore to a preceding decree issued by Muwattalli; see F. Imparati, Šaøur., 21 f.; cfr. also below, note 35) or even because Tutøaliya could have taken his father’s place in the drawing up of the document, perhaps due to ÷attušili’s death before this was completed; see F. Imparati-F. Pecchioli Daddi, EOTHEN 4 (1991) 60 and cfr. 48 f. 17 See Šaøur., 156. 18 Unless the reason was much more casual, such as an insertion or omission on the part of the scribes writing the two documents; but this seems to me highly improbable, since these were royal acts. 19 In effect, this text does not yet give the name of the son of ÷attušili and Puduøepa who was proposed as priest of Ištar; see below.

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A reason, instead, for the absence of the queen in the preamble to the Autobiography, where the operation was already practically concluded, could be due to the fact that this was a state document, whose nature was essentially political, and whose purpose was not only the conferring of property on Ištar but mainly the explicit nomination of Tutøaliya to the priesthood of the goddess, which functioned implicitly as his designation as successor to the throne:20 in fact it should be recalled that in ÷attušili III’s official political documents known to date, only the king appears in the preamble as issuer of the act.21 It should be further noted that in KBo VI 29+ III infra, it is ÷attušili alone who confers property and privileges on Ištar and the priesthood of this goddess on his son, unnamed in the text, and this son’s descendants; to safeguard their rights, the request is made that everything established in the act be respected. In the Autobiography instead, even if it is ÷attušili alone who grants the priesthood of Ištar to Tutøaliya (IV 76-79), nonetheless when mention is made of the future safeguard of the rights conferred on this son and his descendants, the text specifies that these are in effect the “progeny of ÷attušili (and) Puduøepa” (IV 81, 86 f.).22 It seems almost as though in this text, despite the fact that Puduøepa does not appear in the preamble, ÷attušili wants in this way to head off from the beginning any claims which might be made in future by other members of the royal The reason for the fact that, since this document was in its definitive phase, there was by then no longer any need for the presence of the queen for further confirmations or indications, is contradicted by the fact that she appears in the two concluding paragraphs of the act (IV 81, 87); see above in the text. 21 Cfr., for example, the international treaties stipulated by ÷attušili III. Puduøepa instead is mentioned with her husband also in the preamble to KUB XXI 17 (CTH 86) I 1-2, containing the so-called “case against Arma-Tarøunta”. We could thus presume that the queen appeared with her husband in the preambles to decrees whose nature was administrative (such as KBo VI 29+), juridical or religious, but not those concerning the domestic or foreign policy of the kingdom. 22 Besides, the queen - certainly Puduøepa - appears alongside the king in the clauses for the dynasty’s protection with regard to the royal power in KBo IV 10+ Rev. 5-6, 8-9, and in the treaty between ÷attušili III and Bentešina of Amurru, CTH 92 Obv. 38, 39[; see G.F. Del Monte, OAColl 18, 182 f., EVO 14 (1991) 139 f., and O.R. Gurney, AnSt 43 (1993) 19; see also the observations contained in F. Imparati-F. Pecchioli Daddi, locc. citt. in note 16, regarding the implications of the queen’s presence in the above passages from KBo IV 10+ for assigning a date to this text. 20

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family, and more precisely by other sons of the king, specifying that in this instance the text speaks specifically of the son of this queen and his descendants. It should be recalled here that Puduøepa was the mother of Tutøaliya - whose success she had worked actively to attain - and also of other sons of ÷attušili, but not of all the king’s children.23 III. COMPARISON BETWEEN THE TWO ABOVE-MENTIONED DOCUMENTS

In the preceding paragraph we have noted certain discrepancies in the preambles to these two acts and in the mention of Puduøepa at different points in them. Furthermore, even if the bestowal of the priesthood of Ištar on the king’s son and his descendants is placed in both acts at their conclusion, we see that in the Autobiography mention is made of this in the beginning as well, in § 2. Both texts contain the observation that ÷attušili was the youngest of his brothers (see note 8), whose names however are specified only in the Autobiography. Further, despite the fact that the two texts speak at different points of the marriage between ÷attušili and Puduøepa,24 in both an important At any rate, also in the documents where it is spoken about the bestowal of the kingship over Tarøuntašša on Kurunta (cited apud F. Imparati-F. Pecchioli Daddi, op. cit., 24), we usually find also the “queen”, obviously Puduøepa, mentioned along with ÷attušili. This confirms yet again her influential participation in the whole process. We should note, however, that she is not mentioned at the point concerning Kurunta’s enthronement in the Autobiography (IV 62-64). It should be recalled in this instance that in KBo IV 12, which we have already mentioned, Puduøepa, even if she does not appear in the preamble, does appear (Rev. å5’¥) with the title of “great queen” alongside her husband in a passage concerning the concession of their benevolence to the family of Mittanamuwa; furthermore, the promise is made that this benevolence will be maintained by “our sons, our grandchildren, the son of My Sun, the grandson of My Sun, the progeny of Puduøepa, Great Queen” (Rev. 8’-9’): see most recently on this passage Ph.H.J. Houwink ten Cate, op. cit., 261 f. with note 43. 24 It is spoken of almost immediately in KBo VI 29+ I 16-20, while in the Autobiography, III 1-8 it appears only after the narration of other events, including the war against Egypt, which is not mentioned in KBo VI 29+. 23

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element is highlighted: that this marriage was the will of Ištar, of whom Puduøepa was the “servant”.25 In both documents another important fact is remembered, that Muwattalli, once he had succeeded his father to the throne, had entrusted to his brother ÷attušili the administration of certain countries and had bestowed on him the priesthood of the Storm god of Nerik in ÷akpiš. Rather, even more in the Autobiography, after stating that ÷attušili had been named by his brother lord of the army (EN KARAŠ) and later chief of the royal bodyguards (GAL MEŠEDI)26 it is specified that he and his wife had been named king and queen of ÷akpiš (II 62 f. and III 12 f.).27 It should be noted, instead, that the fact that ÷attušili held the position of GAL MEŠEDI is not recorded in KBo VI 29+; it is mentioned, though, in KBo IV 12 Obv. 14. In the Autobiography (infra) extensive attention is paid to the plots against ÷attušili on the part of Arma-Tarøunta and ÷attušili’s subsequent expropriation, once he had become king, of ArmaTarøunta’s property as well as that of his son Šippaziti, in order to donate it to Ištar, while this is not mentioned in KBo VI 29+. Could this, too, depend on the more official nature of the Autobiography and thus on the more propagandistic tone used in the document? Both texts remark - albeit with able nonchalance - on ÷attušili’s installation on the Hittite throne of Urøi-Teššup, son of Muwattalli and a woman from his harem, as this king had no legitimate sons.28 This statement, among other things, leads one to think that also Kurunta was not a legitimate son of Muwattalli. Urøi-Teššup’s illegitimacy, besides, is skilfully recalled, although indirectly, also by Tutøaliya IV in his treaty with Saušgamuwa of Amurru.29 25 26

below.

Cfr. KBo VI 29+ I 20 (cfr. also note 17) and Autobiography III 2. On the meaning of the attribution of this position also to Tutøaliya IV, see

This position too had probably been held by Tutøaliya; see below. See KBo VI 29+ I å34¥ and Autobiography III å40’¥. 29 See my observations in Seminari 1991, 66, concerning Tutøaliya’s deploration of the behavior of Mašduri with regard to the son of Muwattalli; this deploration, to my mind, is done solely with a specific purpose, to warn Šaušgamuwa not to do to Tutøaliya’s direct descendants anything like what Mašduri had done. Nonetheless 27 28

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The Autobiography highlights everything that ÷attušili had to endure at the hand of his nephew, king of ÷atti; in KBo VI 29+ we find a large lacuna in this context which prevents our making a comparison on this point. The two texts go on to speak with great emphasis of the continuing, solicitous intervention of Ištar of Samuøa in favour of her protégé.30 It is interesting to examine the passage in the Autobiography, III 73 ff., where ÷attušili answers, before it is formulated, an accusation which might be raised against him, evidently with the purpose of preventing it: “Now if someone says the following: “Why did you earlier place him in the royal function, why do you now write to him of enmity?”, a question which ÷attušili answers by attributing the responsibility for this conflict to Urøi-Tesšup, who began it, and by citing the divine verdict in Hattušili’s favour.31 From what we have observed up to now, as well as other elements which it would take too long to discuss here, we can see that in the Autobiography the narration of preceding events appears to be more extensive and detailed, even considering that in KBo VI 29+ there are many lacunae. Furthermore, greater emphasis seems to have been given in the Autobiography to the military endeavours entrusted to ÷attušili by

Tutøaliya seems to want to point out - while attributing the statement to Mašduri - that Urøi-Teššup was a “bastard” (KUB XXIII 1+ 29). It appears significant, besides, that in the paragraph preceding this one (II 13) Tutøaliya urges Šaušgamuwa to consider his own (= of Tutøaliya) brothers as “bastards”, which shows that the use of this term with regard to Urøi-Teššup, even though its use is attributed to Mašduri, was not casual. Still in this article, loc. cit., I observed also that Tutøaliya, in the same treaty, continues to refer to Urøi-Teššup using his personal name and not his dynastic appellation of Muršili (III), highlighting in this way the fact that he did not recognize the legitimacy of the royal power being exercised by Urøi-Teššup. Besides, we must remember that Tutøaliya ascended to the throne both by usurping it from his father and by taking over from one of his brothers the position of tuøukanti. 30 In the Autobiography (III 71 f.) we find ÷attušili appealing to divine justice to solve this dispute: “now may Ištar of Šamuøa and the Storm god of Nerik decide the suit for us!” 31 We should note the use in this two texts of two different images to describe Ištar’s capture of Urøi-Tesšup: “but Ištar of Šamuøa, my Lady, caught him like a fish with a net” (KBo VI 29+ II 33-34) and “she (= Ištar) shut him up at Šamuøa like a pig in a sty” (Autobiography IV 26): see most recently J. Puhvel, HED 2, 472.

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Muwattalli,32 which ÷attušili carried out successfully (see infra), to the expulsion of the Kaškeans33 from ÷akpiš (III 11) and the fact that he had been named king of this country (III 12-13, 45’, IV 42), to the reconstruction of Nerik, destroyed as early as the time of ÷antili (III 46’48’). This too was perhaps due to the more official nature and greater importance of this document as compared to KBo VI 29+ (cfr. above), since in the Autobiography not only is Tutøaliya granted the priesthood of Ištar, but also the path is opened for him to succeed to the throne. It could therefore have been important to highlight certain offices held by ÷attušili and certain tasks he had performed, especially when they could be seen as relating in some way to offices held or operations carried out at a later date by Tutøaliya (see below). Both texts speak of the king’s gift of property to the goddess Ištar and the bestowal of benefits connected to the ownership of this property, consisting in exemption from a number of duties. We can note that these exemptions are spelled out in detail in KBo VI 29+ III 19’-28’, and that in their formulation they present numerous analogies with other exemptions34 granted by ÷attušili in other texts mentioned above, such as KBo VI 28+ Rev. 22-27 and KUB XXVI 58 Obv. 8-13. It is interesting to see that the formula granting these exemptions corresponds to the one used for the exemptions concerning the patrimony bequeathed to the children of a daughter of a high official in the Hittite country, named Šaøurunuwa (KUB XXVI 43 Rev. 10-14).

32 One wonders at this point if Muwattalli did not send his brother - whom he must have already recognized as dangerous to the royal dynasty, as far as we can infer, for example, also from the fact that he had called him to answer for his actions (see Autobiography I 36), even though he later recognized his innocence - to perform all these feats of war in order to distance him from the court and the kingdom, even if this could in the end yield the opposite result, that is giving ÷attušili the opportunity to acquire too much prestige and even to make in this way alliances; cfr. my observations in Heth 8 (1987) 188. 33 Who, as ÷attušili points out still in the Autobiography, were on his side in the dispute with Urøi-Teššup, as was also the case for all of ÷attuša (IV 26-29). 34 See A. Goetze, NBr., 55-59 and F. Imparati, Šaøur., 105-112; cfr. here also 5575; cfr. also SMEA 18 (1977) 40-47.

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In fact, even if this last document was drawn up by Tutøaliya IV, it reproduced, at least in part, a decree pronounced by ÷attušili III.35 The Autobiography (IV 85), instead, regarding the exemptions given to the property offered to Ištar, speaks only of the šaøøan and the luzzi, as though it were not deemed necessary to specify once again what had already been stated in KBo VI 29+; this could confirm the earlier date of this document with respect to the Autobiography.36 Nonetheless, the absence in the Autobiography of a detailed description of these exemptions could be caused also by the fact that the primary purpose of this document was to grant the priesthood of Ištar to Tutøaliya, thus designating him successor to the throne. KBo VI 29+, on the contrary, has the nature more of an administrative than a political act. In this document37 appears a clause regarding the possibility that this son might not have direct descendants in the male line. In that case the priesthood would fall to the family, that is the descendants, of the daughter of the king and of ÷a[....], most plausibly the husband of this daughter: the priesthood must not pass to another’s descendants (III 13’19’).38 A similarly formulated clause does not appear in the Autobiography. Finally, at the conclusion of the two acts,39 we find clauses inserted as a safeguard, also for the future, of what is established in the documents.40

35 And in it reference was even made to an earlier exemption granted by Muwattalli: see above note 16 infra. 36 Unless the Autobiography refers to the concession of other property to Ištar, that is that belonging to Arma-Tarøunta and Šippaziti (IV 66, 71 ff.), not mentioned in KBo VI 29+, but this seems to me quite improbable. 37 Where ÷attušili repeats that his son (unnamed in the text) nominated to the priesthood of Ištar, and his son, grandson, and great-grandson (“my progeny”, summarizes ÷attušili) must preserve this priesthood: (III 9’-13’). 38 See F. Imparati, Šaøur., 16 note 46. See also the Bronze Tablet § 20 III 10-11, 17-20, and KBo IV 10+ Obv. 12-14. 39 KBo VI 29+ III 32’-43’, IV 1’-2’; B IV 1’-18’; Autobiography IV 81-89. 40 A safeguard, that is, of the maintenance of the priesthood of Ištar in the hands of the son of ÷attušili and his descendants (in the Autobiography: “to the progeny of ÷attušili Puduøepa”) and of the benefits - exemption from the šaøøan and the luzzi - granted to the property donated to this goddess.

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In light of the interpretation which I proposed concerning the motive for drawing up the Autobiography (to designate Tutøaliya as successor to the throne), the last paragraph of this text (IV 86-89) seems particularly interesting, if we accept the meaning given by A. Goetze to the expression šara išparzazi (lines 87-88): “zur Regierung kommt”.41 That is, this paragraph would treat of the respect that also in the future would be owed to Ištar of Šamuøa by that son or grandson or descendant of ÷attušili and Puduøepa who ascends (to the kingship). Could this be an implicit reference to Tutøaliya - invested a few lines earlier (IV 76-79) with the priesthood of Ištar of Šamuøa and the task of administrating her patrimony - and to his descendants? IV. WHO WAS THE TU÷UKANTI WHO PRECEDED TUT÷ALIYA? As is known, the Bronze Tablet has informed us that ÷attušili had earlier named to the position of tuøukanti an older brother of Tutøaliya, whose identity is still disputed by scholars. The proposal to identify him as Kurunta himself,42 who would have been adopted as a son by his uncle ÷attušili, even if in some ways plausible, does not however conform to the way in which Kurunta formulates his vow of loyalty to Tutøaliya, who had not yet been named tuøukanti (Bronze Tablet II 37-41). The formulation in lines 40-41, in fact, appears improbable if attributed to someone bearing the title of heir to the throne,43 especially when we compare it to the much less servile formula which Tutøaliya in his turn uses to express his loyalty to Kurunta in the next line 42. Besides, in the Autobiography (IV 62) ÷attušili - if we accept the plausible integration of the lacuna at the beginning of this line with [nu DUMU.ŠEŠ-Y]A44 - speaks of Kurunta specifically as the son of his brother. This precise designation could have been included not only in Hatt., 41 and 105; see most recently J. Puhvel, HED, 447. See most recently Ph.H.J. Houwink ten Cate, op. cit., 259 ff.; this hypothesis is based also on two passages from the so-called “letter of Tawagalawa”: see however R. Beal, AnSt 43 (1993) 31 f. note 10. 43 Cfr. R. Beal, loc. cit. 44 See A. Goetze, NBr. 32-34, and most recently H. Otten, StBoT 24, 28. 41

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order to justify the nomination of Kurunta as king of Tarøuntašša, but also to exclude completely - and openly - any possible claims be might make to be a direct descendant of the reigning king. In any case, this does not seem to me to constitute evidence that Kurunta was adopted by ÷attušili. I have already written elsewhere45 about the other proposal to identify the tuøukanti Tutøaliya’s predecessor46 as Nerikkaili, most probably an older stepbrother of Tutøaliya,47 who appears in the Bronze Tablet (IV 30) simply with the title of “son of the king,” in the act for Šaøurunuwa (Rev. 28) with the titles of “son of the king” and tuøukanti, and in the treaty with Ulmi-Teššup of Tarøuntašša (Rev. 28) only with the title of tuøukanti.48 Since much has been said49 about the person mentioned with this name also in other Hittite texts, here I shall only report some observations I made in the article cited in note 45. Firstly, we note in the Bronze Tablet the absence of the title tuøukanti next to the name of this personage. Now, if we accept the opinion that this title designated, at least in that period, the Hittite crown prince,50 we must presume that, at the time of the treaty with Kurunta, Nerikkaili did not hold that position,51 otherwise, since this was the most important position in the Hittite court, it would certainly have been mentioned in a political document of such great significance. Seminari 1991, 71-73. Proposal advanced by H. Klengel in AoF 16 (1989) 186 and AoF 18 (1991) 228 and 230 f. This is also the opinion of G.F. Del Monte, op. cit. 134 f.; R. Beal, loc. cit.; O.R. Gurney, op. cit., 22 f.; see instead Ph.H.J. Houwink ten Cate, loc. cit.; cfr. also A. Hagenbuchner, SMEA 29 (1992) 111-126 infra. 47 See H. Klengel, AoF 16, 187 note 8, and AoF 18, 228. 48 For this chronological sequence of these documents, see my observations in Seminari 1991, 63 and infra; cfr. also H. Otten, Bronzetaf., 7 ff. 49 For a more extended treatment, see J. Lorenz, Der Vertrag mit Ulmi-Tešub von DU-ašša (CTH 106): Sprachliche und historische Würdigung und Einordnung innerhalb der hethitischen Staatsvertragstradition. Hausarbeit vorgelegt am Fachbereich 11 Aussereuropäische Sprachen und Kulturen - der Philipps-Universität Marburg 1986, 71-75; Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+ (1989) 106-112; H. Klengel, AoF 16, 185188; A. Hagenbuchner, op. cit., 111-126. 50 Which seems to be confirmed also by the Bronze Tablet, II 35, 43; see instead H. Klengel, AoF 18, 226 f. note 21. 51 Even if one could think that he held it already in pectore, given his prominent place in the list of witnesses to the document. 45

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As we have seen, in the political act for Šaøurunuwa, which also can be dated in the early years of Tutøaliya IV’s reign, when he probably did not yet have children, Nerikkaili’s name is accompanied by the titles “son of the king” and tuøukanti, perhaps in order to highlight more effectively the legitimacy of his nomination to that position, that is, to specify that the designated heir, although not the son (but rather the brother) of the reigning king, was nonetheless a member of the royal family. This observation, of course, is more sustainable if we do not identify Nerikkaili as the tuøukanti who was Tutøaliya’s predecessor. The designation “son of the king” does not appear to have been necessary any longer by the time, albeit not long thereafter, of the treaty with Ulmi-Teššup - in my opinion stipulated by Tutøaliya IV after the date of the Bronze Tablet52 - since the internal political situation of ÷atti in all likelihood had changed, perhaps also because of Kurunta’s disappearance from the scene. As I have observed in the same article, I believe that Tutøaliya, since at the time of his ascension to the throne he had no direct heirs, found himself forced, even if obtorto collo, to name a brother as tuøukanti. But it does not seem truly plausible to me to think that he could have chosen for such a position that very brother whom he had earlier replaced as heir to the throne. Thus, he chose Nerikkaili for this office, even if he feared him - as he certainly feared also his other brothers and close relatives53 - but judging perhaps that Nerikkaili was less dangerous than the preceding tuøukanti, whom Tutøaliya had succeeded and who could at any moment have pretended to the throne with greater credibility. Furthermore, concerning the proposal to identify Nerikkaili as Tutøaliya’s predecessor as tuøukanti, I spoke in the same article of a text of inventories attributed either to ÷attušili III or to Tutøaliya IV - KUB 52 See F. Imparati-F. Pecchioli Daddi, op. cit., 58-68; contrary to what appeared on page 66, it is now felt, after the publication of Peter Neve, Hattuša - Stadt der Götter und Tempel, Mainz am Rhein 1993, 19 ff. and 55, that Kurunta’s coup d’etat was successful, even if for a short period of time. 53 It is known that Tutøaliya IV considered Nerikkaili very dangerous to the succession of his direct descendants to the Hittite throne, in the same way that he considered dangerous his many brothers or his relatives who descended from Muwatalli; see my observations on this topic in Seminari 1991, 71 f.

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XLII 51 (CTH 250) - where in Obv. 2’ a tuøukanti is mentioned, whose name either was not indicated, or else was in the lacuna preceding this title. In this same text, in Rev. 5’, there appears, along with EN-LUGALma,54 the anthroponym Nerik[, properly completed by J. Siegelová55 as Nerik[kaili and identified as the son of ÷attušili III and brother of Tutøaliya IV. Now, even if we do not know the name of the tuøukanti to whom this text refers, it seems difficult to me to presume that this was the Nerikkaili in question, because in the same document this latter is mentioned after EN-LUGAL-ma, an improbable position if he were the current tuøukanti. Therefore, at the time of this document, this position could have been held either by Tutøaliya himself or by the brother designated before him as successor to the throne of ÷atti.56 Thus the document in question would be from the time of ÷attušili III rather than Tutøaliya IV, which would find a correspondence also in the mention in Obv. 6’ of a queen, in all likelihood Puduøepa.57 To my mind the problem of the identification of Tutøaliya’s older brother who was removed by his father from his position as tuøukanti is still an open question; it is understandable that Tutøaliya, as a political tactic, did not want to mention his name in the Bronze Tablet, and it is also possible that he did not speak of him in later documents or that at the least he tried to gloss over his existence. It seems also significant to me that ÷attušili did not refer to this son in his Autobiography, perhaps because he had already deposed him from the position of tuøukanti, or because mentioning him in that context did not further his plans.

54 = Ewri/Ibri-Šarruma, who in all likelihood is the same person present in the list on the Bronze Tablet IV 35; see my observations in FsAlp, 314 f.; see also Th.P.J. van den Hout, op. cit., 150 f. 55 Heth. Verw. II, 344 f. 56 See the Bronze Tablet II 34 f., 43 f. 57 Even if we know that Puduøepa continued to be active in political life also during the early years of her son Tutøaliya’s reign; see H. Klengel, AoF 18, 233.

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V. CONCLUSIONS As I have already observed elsewhere,58 I therefore feel it is reasonable to hypothesize in this context that Hattušili did not compile his Autobiography soon after he seized power in ÷atti, in order to justify his usurpation, but at a later date, with the purpose of creating a favourable climate for his decision to name Tutøaliya as his successor to the throne in place of an other son who had earlier been placed in that position.59 In effect, between ÷attušili’s assumption of power and the writing of his Autobiography enough time must have passed to allow him to designate his first heir to the throne; to allow Puduøepa to weave her plots to prepare the ground for her son Tutøaliya’s nomination as crown prince; to allow Tutøaliya to work toward this goal, with Kurunta as accomplice in a certain sense during that period, in exchange for which the latter would be given the throne of Tarøuntašša, even if only for his accepting to withdraw from the race for power; and finally to allow ÷attušili to change in Tutøaliya’s favour, albeit not yet officially, his earlier decision concerning his successor60 and thus to place Kurunta on the throne of Tarøuntašša. This last act took place before the Autobiography was compiled, as demonstrated in IV 62-64, where the use of the past tense for the verbs shows that this was something that had already happened. Seminari 1991, 76. The fact that ÷attušili had drawn up this document about ten years after his ascent to the throne has been rightly observed also by H. Otten (StBoT 24, 27, note to line 58 f.) on the basis of the passage in Rev. IV 58 f. From this he deduces that the issue of the legitimacy of ÷attušili’s assumption of power had remained questionable throughout the king’s entire reign; as confirmation, he cites § 10c of the Autobiography and KUB XXIII 1 II 15 ff. To support this we can add that doubts as to this legitimacy could arise even more forcefully above all in those circumstances in which the king wished his decisions of fundamental importance to the country, like the designation of his successor to the throne, to be accepted, in particular when it was the case of a decision replacing one he had made earlier. 60 As a result of the pressure brought to bear on him by Puduøepa and by Tutøaliya himself. 58 59

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I do not feel that ÷attušili gave Kurunta the throne of Tarøuntašša solely to reward him for his loyalty on the occasion of the former’s usurpation of the throne, as has sometimes been believed.61 In effect, even if I do not exclude that this could also have been a motive, I nonetheless think that the Hittite king, by mentioning this nomination in his Autobiography before naming Tutøaliya as priest of Ištar, wanted to point out to Kurunta and any of his followers that be had already been well taken care of and that now be must leave the way free for Tuthaliya. It truly must not have been easy for ÷attušili to make not only his enemies, but also his supporters, accept without protest such a substitution in the position of tuøukanti,62 and there was the further danger that in this fluid situation around the question of succession, Kurunta too could enter into the power struggle and pretend to the throne, a stand that would not have been without a certain legitimacy. It was therefore of fundamental importance for the king both to reaffirm in this instance the “legitimacy” of his assumption of power, which was the consequence of Ištar’s divine will - in order thus to consolidate the stability of his hold on the throne and at the same time to validate every decision of his - and to take care of Kurunta by placing him on the throne of Tarhuntašša. In this way, it seems particularly significant that ÷attušili, right in the conclusion of his Autobiography, that is, in the most crucial part of the document, recalls both that he has settled Kurunta and also that he has placed his son Tutøaliya at the service of this very goddess whom the Hittite king has throughout his entire text presented repeatedly and emphatically as his guide in his conquest of power. The placement of Tutøaliya in the goddess’ service - as had been the case for ÷attušili himself when he was still a boy (Autobiography I 1321)63 - thus takes on a clear political significance, that is, an investiture See H. Klengel, AoF 18, 232 with note 19. Also because his other son whom he named to this position was older than Tutøaliya, and furthermore this son too could also have had supporters in the court. 63 The statement that Ištar had taken care of ÷attušili ever since his boyhood tends to underscore the fact that, even as a child, he was already predestined to become king. 61

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with the succession to the throne. ÷attušili says in fact (Autobiography IV 78 f.): “I (am) a servant of the goddess, and may he (= Tutøaliya) too be a servant of the goddess”. It is known, besides, that ÷attušili tends in both his Autobiography and other documents to emphasize certain aspects of his life which show analogies with the life of his son Tutøaliya,64 presumably with the purpose of preparing the way for him to attain the same goal: royal power. Both of them had in fact held the position of GAL MEŠEDI, which was the highest in the Hittite kingdom after that of tuøukanti, and in that position had performed deeds of great importance.65 Both of them had held the priesthood of the Stormgod of Nerik and the “vice-kingship” in ÷akpiš;66 Tutøaliya IV was most likely the DUMU.LUGAL who took part in cult ceremonies in Nerik in his father’s place;67 and finally, like his father ÷attušili III, Tutøaliya had also been placed in Ištar’s service.68 In this context, then, § 12a of the Autobiography is particularly interesting. There ÷attušili, summarizing his career, reiterates twice that he had been prince and GAL MEŠEDI, and that as GAL MEŠEDI he had become king of ÷akpiš, and finally that as king of ÷akpiš he had become Great King. Dominion over the kingdom of ÷atti, granted him by Ištar (IV 47-48), is thus presented almost as the natural conclusion of such a path. 64 Cfr. most recently Ph.H.J. Houwink ten Cate, op. cit., 263 note 45 infra and the observations of Th.P.J. van den Hout, ZA 81(1991) 298 ff. 65 I would like in this context to recall the acute essay by K.K. Riemschneider, JCS 16 (1962) 110-121, especially 119 ff., concerning the evident emphasis which ÷attušili had wanted to give to certain deeds done by a Tutøaliya GAL MEŠEDI, whom he properly identified as Tutøaliya IV. At our current state of knowledge, this intention to glorify the prince clearly appears to be a function of furthering of his father’s projects. It is particularly interesting to examine this GAL MEŠEDI’s zone of operation in the fragments studied by Riemschneider in the same article. 66 Certainly ÷attušili and in all likelihood Tutøaliya; see V. Haas, KN, 13 f., 15, 24, 175 ff. 67 See V. Haas, op. cit., 42, cfr. also 41. 68 With this investiture ÷attušili seems to have wanted to pass on to his son his own fortunate connection with the goddess in order to have the same successful result: the kingship.

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I have spoken above, at the end of section III, of the particular significance that the concluding paragraph of the Autobiography takes on in this light. As I already hinted at in note 29, Tutøaliya’s political acts, once he was on the throne, were forced to fluctuate dramatically between severely distancing from his father’s misdeeds and supporters69 necessary so as not to place in question or in danger the rights of his descendants to succeed to the throne - and at the same time an inevitable recognition of the legitimacy of his father’s operations in order not to weaken his own hold on power, a power he had attained precisely as a result of his father’s workings and also of other intrigues, which are in large part unknown to us but were certainly familiar to those living at court at that time. I also wonder if Tutøaliya’s concession to Kurunta in § 19 of the Bronze Tablet of freedom of choice in his successor to the throne and the commitment made by this Hittite king to respect that choice might not have been influenced by what had happened in the past in the naming of Tutøaliya as heir to the throne in place of his older brother, a fact recalled by the king in that same text. In this manner Tutøaliya may perhaps have tried to prevent any future claims on the throne on the part of anyone who could in some way have had any rights to it.70 Furthermore, he thus established also his liberty to choose his successor in the future, with the proviso, however, that this choice always remained with the king and had to be from among his descendants. Summing up what I have observed up to now, I ask, if Hattušili had only wanted to present an apology for himself, with the sole purpose of reconfirming the legitimacy of his power, why would he have spoken in the concluding part of this text of Kurunta and Tutøaliya?

Cfr. his judgement concerning Mašduri, recalled in note 29. Ph.H.J. Houwink ten Cate, op. cit., 242 note 44, instead harks back to H. Otten, Bronzetaf., 7 and 9 with note 30, who sees in the brother of Kurunta mentioned in this passage “a veiled allusion to Ulmi-Teššup, Kurunta’s successor after the two treaty partners eventually fell out with one another.” This hypothesis, however, seems to me to be premature at the time of the drawing up of the Bronze Tablet and not in agreement with the context. 69

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And if this document was drawn up only for the purpose of granting the priesthood of Ištar to Tutøaliya, as a public act of devotion and gratitude to the goddess on ÷attušili’s part and as a visible remembrance of what she had done to bring him to royal power, why would he have mentioned there also Kurunta along with Tutøaliya? It does not seem to me enough to say that it was with the sole purpose of recalling to everyone that he had behaved correctly in connection with his brother’s progeny or to reward Kurunta for his loyalty, since ÷attušili had drawn up various other documents in this sense. It would also be surprising to find the two cousins mentioned in such dose context without there being some precise reason, while the current tuøukanti and other children of ÷attušili were not named at all. In my opinion, finally, it is possible that the Autobiography, which, we know from ÷attušili himself, was drawn up after the establishment of Kurunta on the throne of Tarøuntašša - and therefore after ÷attušili’s first treaty with Kurunta - preceded however the second treaty between ÷attušili and Kurunta, a treaty less favourable to the latter than the earlier one. In fact, the reduced concessions given to Kurunta in this document seem evidence of the stability of ÷attušili’s hold on power71 and the acceptance, at this point well-established at court and throughout the kingdom, of Tutøaliya as his successor to the throne, so that there was no longer any need for ÷attušili to appease Kurunta to keep him from opposing the king’s plans. ÷attušili, rather, had more reason to reduce Kurunta’s position so that he could not obtain too much power. KBo VI 29+ could be dated either before Kurunta was placed on the throne of Tarøuntašša or between this event and the compilation of the Autobiography.

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Cfr. F. Imparati-F. Pecchioli Daddi, op. cit., 64.

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XXV.

MIETE. Bei den Hethitern

§ 1. Introduction. - § 2. Terminologie relative aux louages. Calcul des prix. - § 3. Salaires des individus. - § 4. Louage d’animaux. - § 5. Louage d’objets. - § 6. Conclusions. § 1. Introduction. La connaissance des prix d’engagement pour le travail de personnes et d’animaux, ainsi que ceux de louage de biens de tous genres - par rapport aussi avec les évaluations qui leur ont été données lors ou d’opérations d’achat-vente, ou d’indemnisation à la suite de vols d’animaux, ou de dommages soufferts par ceux-ci - est un élément très utile pour l’étude de la situation économique et, par conséquent, sociale d’un état. Malheureusement, toutefois, en ce qui concerne le milieu hittite, la documentation à cet égard est limitée puisqu’il ne nous est encore parvenu presque aucun texte relatif au domaine privé, comme, par exemple, des contrats d’achat et de vente, de louage ou de prêt, etc. Les données relatives aux louages sont fournies surtout par le recueil des lois. § 2. Terminologie relative aux louages. Calcul des prix. Ce texte nous apprend que le mot hittite pour désigner “salaire, prix de louage” est kuššan, d’où le verbe kuššaniya- “louer, entrer/se placer ou prendre contre récompense”. Les prix de louage pouvaient être évalués en argent, mais aussi en mesures de froment. L’argent, subdivisé en barres ou en disques, était mesuré au poids: l’unité de poids était le sicle. Quarante sicles équivalaient à une mine (le sicle hittite avait probablement un poids inférieur au sicle babylonien). Le texte des lois nous apprend aussi que contre un sicle d’argent on pouvait avoir quatre mines de cuivre, ce qui montre

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combien le prix du cuivre était bas par rapport à celui de l’argent (§ 181 l. 43). Dans les cas où l’on calculait les prix en mesures de froment, l’unité de mesure était indiquée avec le terme accadien parîsu.

En ce qui concerne le recueil des Lois, dans le groupe des §§ 150161, ainsi que dans les §§ 24, 42, 145, on fixe les salaires de quelques individus par rapport à la durée de leur travail (§§ 24, 150, 158), ou à l’ouvrage qu’ils ont exécuté (§§ 42, 145, 158, 160, 161, 200 B), ainsi que les prix de louage d’animaux (§§ 151-152) et d’objets (§ 157). 3. Salaires des individus. Pour l’évaluation du travail salarié on faisait une distinction entre les hommes et les femmes; la rétribution versée à la femme était inférieure à celle de l’homme. Dans le § 150 on établit les salaires mensuels d’un homme (un sicle d’argent) et d’une femme (demi-sicle d’argent) (v. H. Otten-C. Rüster, ZA 62 [1972] 105); on ne spécifie pas de quel genre de travail il s’agissait. Par contre, dans le § 158 on indique les salaires d’un homme et d’une femme, engagés pour travailler pendant la période de la récolte. A propos du travail demandé à l’homme, on parle de lier des gerbes, de les charger sur des chariots, de les renfermer dans le grenier, et de ratisser le lieu du battage. Pour la femme on ne spécifie pas le type de travail à faire, mais on présume qu’il s’agissait d’activités analogues. Dans ce cas, ils sont payés en nature: le salaire de la femme, rapporté à la durée du travail, est inférieur à celui de l’homme: en effet pour trois mois on donne à l’homme trente parîsu de froment (c’est-à-dire, dix par mois), tandis que la rétribution de la femme est de douze parîsu de froment pour deux ou trois mois de travail (selon une variante du texte), c’est-àdire six ou quatre par mois. A ce propos, il est intéressant de considérer le § 24, qui est inséré dans un groupe d’articles où l’on traite de la fuite des esclaves. Dans ce paragraphe on établit que, si le maître retrouve son esclave (homme ou femme) auprès du foyer (= la maison) de quelqu’un, ce dernier doit payer au maître en question une somme en argent, c’est-à-dire le prix du louage pour avoir joui du travail de l’esclave dans la période pendant laquelle il était auprès de lui. Cet article nous est parvenu en plusieurs copies, d’époques diverses. Dans l’exemplaire B (le plus complet, sur lequel on s’appuie habituellement dans l’édition de la première partie du texte des

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lois) le salaire est fixé sur la base d’un an de travail et correspond à x mines d’argent pour l’homme (peut-être deux mines et demie, selon l’hypothèse convaincante de H.G. Güterbock, cité dans Imparati, Leggi, 207 note 6) et cinquante sicles d’argent pour la femme, tandis que dans le paragraphe correspondant de l’exemplaire plus ancien A (de l’époque de ÷attušili I ou, plus probablement, de Muršili I) le salaire, calculé ici mensuellement, est de douze sicles d’argent pour l’homme et de six sicles pour la femme. Le § 42 semble, lui aussi, faire ressortir le rapport 2:1 dans le calcul du salaire entre l’homme et la femme, bien que le sens de cet article ne soit pas aisé à comprendre (v. F. Imparati, Leggi, 228 sq.): on y parle de l’engagement d’un homme et d’une femme pour l’exécution de travaux non spécifiés et l’on envisage l’éventualité que l’homme, durant cette période de louage, doive participer à une expédition, - peut-être militaire mais pas nécessairement (v. en effet CHD L-N 5) - et qu’il meure. Il est probable qu’un fait de ce genre devait se vérifier assez fréquemment en ce temps-là. Le recruteur, s’il a déjà payé le salaire de l’homme, ne doit verser aucune indemnisation; dans le cas contraire, il doit donner une personne - on ne spécifie pas s’il doit la donner à la famille ou au maître de la victime - pour qu’il la remplace dans son travail, suppléant ainsi à la grave insuffisance de main d’oeuvre, phénomène endémique dans les pays du Proche-Orient antique. L’article termine en définissant les salaires de l’homme (douze sicles d’argent) et de la femme (six sicles d’argent) pour cet engagement. Par rapport à l’oeuvre exécutée on fixe dans les § 145, 160 et 161 les salaires de certains travailleurs: six sicles d’argent pour la construction d’une étable pour boeufs; toutefois, si l’artisan laisse inachevé le travail qui lui a été confié, il perd le droit de percevoir son salaire (§ 145); un parîsu et demi de froment pour la construction d’une gouttière en cuivre du poids d’une mine et demie (§ 160 A); un parîsu d’épeautre pour la fabrication d’une hache de bronze d’un poids de deux mines (§ 160 B); un parîsu de froment pour la fabrication d’une hache d’un poids d’une mine (§ 161). Il est intéressant de considérer le § 200 B, où on établit ce qu’on doit payer (six sicles d’argent) à un instructeur (annanumma) pour l’apprentissage d’un jeune, ou comme charpentier, ou comme forgeron, ou comme tisserand, ou comme corroyeur, ou comme foulon. Si 591

l’instructeur ne le forme pas parfaitement, il doit donner, sans doute au père du jeune garçon ou à celui qui s’occupe de lui, une personne en dédommagement du mauvais enseignement donné. Dans le § 10 et dans son parallèle § IX, d’époque plus récente (peutêtre de la période de Tutøaliya IV ou même de Arnuwanda III), on envisage le cas d’une personne qui a été blessé et qui, par conséquent, ne peut pas travailler pendant un certain laps de temps. Le coupable, outre que soigner le blessé et fournir aussi une personne qui le remplace temporairement dans son travail, au moment de la guérison de celui-là, doit lui payer une indemnisation en argent (six sicles dans le § 10, dix sicles dans le § IX), et en outre il doit verser au médecin une rétribution qui n’est pas spécifiée dans le paragraphe le plus ancien, mais qui consiste, dans le plus récent, en trois sicles d’argent s’il s’agit d’un homme libre et en deux sicles s’il s’agit d’un non-libre. On y a aussi la démonstration que celui qui effectuait un travail était protégé. Il est utile de comparer les articles où l’on indique les rétributions de ces travailleurs salariés avec d’autres articles, toujours dans le recueil des Lois, où l’on pane de la vente des travailleurs, en en fournissant les prix. Rappelons, à titre d’exemple, que dans le § 176 B on fixe le prix d’un artisan (un potier, un forgeron, un charpentier, un corroyeur, un foulon, un tisserand, un fabricant d’un certain type de vêtements) en dix sicles d’argent; il s’agissait évidemment d’une personne qui n’était pas libre vu que, d’une part, il était possible de l’acheter et que, de l’autre, le prix d’achat était bas par rapport aux salaires susdits et aux prix correspondants dans le milieu mésopotamien. Dix sicles d’argent est, d’ailleurs, le prix qu’on doit verser comme indemnisation à celui qui a maintenu un esclave/serf en vie pendant une année de disette (§ 172).

4. Louage d’animaux. A propos du louage périodique d’animaux ou d’objets rappelons les §§ 151-152 et 157. Pour le louage mensuel d’un boeuf à charrue le prix consiste en un sicle d’argent, et un demi-sicle d’argent pour une vache (§ 151); un sicle d’argent est aussi le prix pour le louage mensuel d’un cheval, d’un mulet, d’un âne (§ 152): cf. les salaires des travailleurs établis au § 150 pour la même période. Cette uniformité d’évaluation contraste avec les §§ 178-181 et 185-186, plus récents toutefois, où l’on fixe les prix de vente d’animaux, de leur peau

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et de leur chair. Dans la plupart de ces articles, en effet, on remarque des différences d’évaluation selon le genre de l’animal, son âge et son sexe, son entraînement et son utilisation. Quelques-uns de ces critères de différenciation servent aussi pour l’évaluation de leur peau et de leur chair. Pour établir une échelle de valeurs entre les différents animaux, il est utile aussi de lire les paragraphes des Lois où l’on condamne les vols d’animaux domestiques (§§ 57-92).

Dans le § 159 on fixe le prix de louage à la journée pour un attelage de boeufs: un demi-parîsu de froment, c’est-à-dire environ quinze parîsu par mois; au fond, plus que ce qui est indiqué au § 158 comme salaire pour des travailleurs agricoles (v. H. Klengel [1988] 77). § 5. Louage d’objets. Le prix mensuel d’une hache en bronze d’une mine de poids est d’un sicle d’argent, tandis que le prix de louage d’une hache d’une demi-mine de poids correspond à la moitié du précédent. Un demi-sicle d’argent est aussi le prix du louage mensuel d’un objet tapulli (un couteau? v. H.G Güterbock, ZA 44 [1938] 61) - en bronze, selon l’indication du texte le plus ancien - d’une mine de poids. Le recueil de Lois ne donne pas la possibilité de comparer les prix de louage de ces objets avec leur prix d’achat; cependant, d’autres renseignements à cet égard nous sont donnés par des documents de différents genres, comme, par exemple, les protocoles judiciaires, surtout à propos du vol de certains objets dont on indique la valeur, ainsi que les inventaires de matériaux.

§ 6. Conclusions. Comme nous l’avons déjà remarqué, l’absence quasi totale de documents hittites à caractère privé limite de beaucoup nos connaissances à l’égard de l’application pratique des normes juridiques et, dans le cas qui nous intéresse, permet d’exprimer seulement quelques considérations, très hypothétiques, sur l’ampleur de l’utilisation et sur l’apport économique d’individus, d’animaux et d’objets par engagement ou louage temporaire. En ce qui concerne l’utilisation d’animaux domestiques, le rapport entre leur prix de louage et celui de leur achat montre que, pour des travaux de brève durée, il était plus avantageux de les louer: cf. H. Klengel (1988) 79. 593

Quant à l’emploi de main-d’oeuvre spécialisée, il faut considérer que, en général, celle-ci résulte incluse dans l’administration du Palais et du Temple et que nous savons peu de choses sur les artisans indépendants, qui pouvaient travailler à leur compte ou prêter leur ouvrage périodiquement comme travailleurs salariés. En tous cas, les renseignements qui nous sont parvenus ne semblent pas indiquer que ces derniers aient eu une grande incidence sur l’économie du pays. Toutefois, on doit toujours considérer que nous nous basons sur une documentation liée au milieu palatin et du temple, dans laquelle les particuliers n’apparaissent que là où ils entraient en contact avec les besoins et les intérêts de ces organismes.

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XXVI.

MIZRAMUWA.

Anthroponyme attesté en écritures cunéiforme et hiéroglyphique dans des documents hittites et ougaritiens

1. En cunéiforme hittite: mMi-iz-ra-A.A(-aš) a. suivi du titre de “chef des bergers de gauche”, dans la liste des témoins d’un décret émané par le souverain hittite Tutøaliya IV en union avec sa mère Puduøepa relativement à l’assignation héréditaire d’une partie des biens d’un haut dignitaire hittite, nommé Šaøurunuwa (KUB XXVI 43 Vo 31 = ibid. 50 Vo 24’: [CTH 225]); b. dans un document de l’époque de ÷attušili III ou de Tutøaliya IV relatif à l’administration religieuse, malheureusement très fragmentaire (KBo XIII 135 [CTH 509] Ro I 4). 2. En écriture hiéroglyphique: (Mi-za/i+ra/i-muwa), accompagné du titre MAGNUS HH 438, peut-être “chef des bergers”, et de celui de scribe, sur deux sceaux (SBo II 80, 81). Sur la possibilité de reconnaître ce nom aussi dans les signes cunéiformes visibles à droite des signes hiéroglyphique sur les deux sceaux cités, v. J.D. Hawkins et al. (1973) 159-160. Pour la correspondance du titre hiéroglyphique MAGNUS HH 438 avec le cunéiforme GAL NA.GAD “chef des bergers”, v. Th.H. Bossert, Or 19 (1960) 441 sq., et R. Werner, Einführung ins HieroglyphenLuwische (1991) 47 Nr. 15.

3. En cunéiforme ougaritien M. parait dans une lettre envoyée par un souverain, probablement Ini-Teššup de Karkemiš, a Ibiranu d’Ugarit, pour lui annoncer qu’un personnage dénommé M. (mMi-iz-ra-mu-wa) ira habiter à Ugarit et pour demander au souverain de ce pays de le traiter convenablement, en spécifiant qu’il est frère d’Upparmuwa* et “fils du roi” - DUMU.LUGAL - (RS 17.413:6 sqq., 19 sqq. - PRU IV 193).

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4. Nous n’avons pas d’éléments suffisants pour soutenir l’identité du M. mentionné dans 1a. avec son homonyme cité dans 1b., même si, d’un point de vue chronologique, cela ne serait pas impossible. Une identification avec le personnage présent en 2 est, au contraire, plausible si nous acceptons l’interprétation du titre MAGNUS HH 438 comme “chef des bergers”. On considère aussi comme vraisemblable l’identité du personnage de 1a. avec celui dont parle la lettre d’Ugarit comme “fils du roi”. Cela trouve une confirmation dans la présence parmi les témoins du décret pour Šaøurunuwa non seulement d’un M., mais aussi d’un Upparmuwa (KUB XXVI 43 Vo 30), qui porte le titre de “surintendant des écuyers d’or” et - chose très significative - également celui de “fils du roi”.

BIBLIOGRAPHIE E. LAROCHE, NH Nr. 811. D.J. HAWKINS-A. MORPURGO DAVIES-G. NEUMANN, HHL (1973) 159-160. F. IMPARATI, Heth 8 (1987) 191. TH.P.J. VAN DEN HOUT, KBo IV 10+ (CTH 106), Academisch Proefschrift, Amsterdam 1989, 259-260.

596

XXVII.

MORD (Meurtre/Homicide). Bei den Hethitern.

§ 1. Introduction. - § 2. Cas d’homicide envisagés dans le recueil de Lois. - § 3. Renseignements tirés d’autres documents. § 1. Introduction. Les sources hittites sur lesquelles nous nous basons pour l’étude de l’homicide sous ses différents aspects sont principalement les paragraphes du recueil des Lois (HG), et en outre des renseignements tirés d’édits royaux et de documents d’autre genre. En ce qui concerne le texte des Lois, il faut rappeler que les différentes règles juridiques qui y sont envisagées ne suivent pas une classification systématique; en outre, on y relève l’absence de normes relatives à d’importantes institutions juridiques et on y voit, surtout, l’absence de formulations juridiques abstraites. Tout cela est vrai aussi pour l’homicide.

L’acte de “tuer” est exprimé par le verbe hittite kuen-; comme forme passive de ce verbe on emploie le verbe ak- “mourir”: rappelons l’expression aki-aš “qu’il meure”, c’est-à-dire “qu’il soit tué/qu’il soit puni par la mort”, qui revient souvent dans les Lois. On connaît aussi les expressions ešøar iya- “faire/provoquer le sang” et išøana “fait de sang” et išøanaš/ešnaš uttar “fait de sang”. § 2. Cas d’homicide envisagés dans le recueil des Lois. Dans les quatre premiers paragraphes des Lois on envisage des cas d’homicide et l’on tient compte, pour l’évaluation de la faute, du mobile qui l’a provoquée, c’est-à-dire si l’homicide de quelqu’un a eu lieu “à la suite d’une dispute” - šullanaz - sans qu’il y ait eu préméditation, mais évidemment avec l’intention de tuer (§§ 1 et 2), ou bien si cette mort a eu lieu à la suite de coups, mais sans que le coupable ait eu nullement l’intention de tuer: “sa (= du coupable) main pèche” - keššar-šiš waštai -

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§§ 3 et 4). Dans ces deux derniers cas, la peine est la moitié de celle qui est appliquée dans les cas précédents. En outre, on relève que, dans ces deux types d’homicide, l’évaluation de la faute et la fixation de la punition correspondante ne tiennent aucun compte du sexe de la victime, mais se base sur son status social: c’est-à-dire que si la victime n’est pas un individu libre, son indemnisation correspond à la moitié de celle qui est demandée pour une personne libre. Par ailleurs, nous trouvons le même rapport 2:1 entre homme libre et non libre également lorsqu’un serf ou un esclave est condamné à payer une amende pour un crime qu’il a commis. L’expression “sa main pèche”, qui montre l’absence d’intention de commettre un crime, se retrouve dans deux textes oraculaires (KUB V 3 I 3 et V 4 II 27) où l’on indique comme cause de la colère divine un “péché de la main” (ŠU-waštul). Pour la phrase antithétique à cette expression - “sa tête a péché” - v. le paragraphe suivant.

A la lecture de ces articles des Lois il semble qu’on puisse comprendre que le coupable doit remettre le corps de la victime à sa famille, afin qu’elle puisse l’ensevelir; en outre, il doit lui verser, à titre d’indemnisation, plusieurs individus (à la lettre: têtes) du même sexe que la victime: dans le premier cas, quatre si la victime était une personne libre (§ 1), deux si elle était de condition servile (§ 2); dans le deuxième cas, deux s’il s’agissait d’individus libres (§ 3), un pour des non libres (§ 4). Dans le dit texte présumé parallèle - un exemplaire très fragmentaire du recueil des Lois, d’époque plus récente - on déclare dans le § II, correspondant au § 4 de l’exemplaire principal, à propos de l’homicide involontaire commis envers des serfs, que le coupable ne doit pas livrer d’individus, mais verser une amende en mines d’argent. Le montant de celle-ci est établi selon le sexe de la victime: x mines d’argent quand il s’agit d’un serf, deux mines d’argent pour une serve. Bien que les lacunes du texte nous empêchent de connaître le chiffre exact demandé pour le premier cas, nous pouvons toutefois raisonnablement présumer qu’il était plus élevé que dans le deuxième.

Dans le § 174, aussi, on parle de la mort de quelqu’un pendant une rixe et l’on condamne le coupable à donner un individu comme indemnisation. 598

Il y a encore d’autres paragraphes où l’on examine des cas d’homicide au cours d’une lutte (§§ 37, 38 et le très fragmentaire § XXXII): il s’agit là, toutefois, de cas très particuliers et peu aisés à comprendre. Un cas d’homicide particulier est envisagé dans le § 5 et dans son parallèle, § III. On y parle, en effet, du meurtre d’un marchand hittite (v. F. Imparati [1964] 194 note 3), sans doute dans un but de rapine: on peut donc raisonnablement penser à un homicide prémédité. Dans l’établissement de la peine on distingue si le crime a été commis en ÷atti ou en territoire étranger (le pays de Luwiya ou celui de Pala), qui devait alors se trouver sous la juridiction de ÷atti. Dans le § 5, donc, on établit que, si le marchand est tué en ÷atti, le coupable doit payer une amende de cent mines d’argent; si le marchand est tué en territoire étranger, le coupable doit payer la même amende, mais il doit en outre rembourser les biens que le marchand avait avec lui. On ne spécifie pas si le remboursement des biens avait lieu également dans le cas précédent. On ajoute, de plus, que si le marchand est tué en ÷atti, on doit aussi livrer son corps, probablement parce qu’il était plus facile de transporter son cadavre (sur des différentes interprétations v. F. Imparati [1964] 194-198, et R. Haase [1978] 213-219). L’importance de l’amende demandée était peut-être due, non seulement au fait qu’il s’agissait d’un homicide intentionnel, avec la préméditation comme probable circonstance aggravante, mais aussi au fait que les marchands appartenaient à une catégorie sociale particulière, dépendant de l’administration palatine et que ce crime la touchait donc directement.

Dans le § III du texte parallèle on ne tient pas compte, dans l’application de la peine, de la différence de lieu où le crime a été commis, mais du mobile qui l’a provoqué. Ainsi, au cas où le marchand de ÷atti est tué “au milieu de ses biens”, par conséquent dans un but de rapine, le coupable doit payer une amende de x mines d’argent et, de plus, rembourser les biens au triple de leur valeur; au cas où le marchand n’avait aucun bien avec lui, mais où il est tué “à la suite d’une dispute”, le coupable doit verser six mines d’argent; si “seule la main pèche”, c’est-àdire s’il s’agit d’un homicide involontaire, il faut que le coupable paie alors deux mines d’argent.

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Remarquons que, dans l’évaluation de l’amende, le rapport 3:1 ne concorde pas avec la proportion 2:1, que l’on rencontre en général dans la première série, dans la rédaction la plus ancienne (à propos de l’indemnisation au triple également pour des délits d’un autre genre, relatif au milieu syrien, v. F. Imparati [1964] 196 note 1). On observe que pour ce type d’homicide on ne demande la remise d’aucun individu à titre d’indemnisation, comme dans les cas précédent, probablement pour le type particulier d’activité exercée par la victime. On présume, en outre, que l’homicide de marchands se vérifiait alors plutôt fréquemment, car ils étaient sujets par leur profession à de continuels déplacements et, par conséquent, soumis aux dangers que les voyages devaient comporter à cette époque-là.

Dans le § 6 et dans son parallèle § IV on parle de l’homicide d’un individu, provoqué par une main inconnue, sur un territoire étranger. Dans le § 6 on établit qu’il revient au propriétaire du champ où l’on a trouvé le corps de la victime d’indemniser sa famille. Celle-ci doit recevoir cent gipeššar (une mesure de surface) de ce champ comme indemnisation du dommage subi. Le paragraphe correspondant du texte parallèle (§ IV) présente une forme plus élaborée. En effet, on y distingue si l’homicide a eu lieu à l’intérieur du champ de quelqu’un ou non. Dans le premier cas, lors de l’établissement de la peine on fait aussi une différence selon le sexe de la victime: s’il s’agit d’un homme, le propriétaire du champ doit donner ce champ, la maison, une mine et vingt sicles d’argent; s’il s’agit d’une femme, il doit donner trois mines d’argent. Dans le deuxième cas, c’est-àdire si le champ n’appartient à personne, la responsabilité retombe sur tout centre habité se trouvant dans un rayon de trois milles à partir du lieu du crime. S’il n’y a aucun centre habité à l’intérieur de cette limite, l’héritier de la victime ne percevra aucune indemnisation. Nous ne savons pas si cette mesure était valable aussi au cas où le mort était un homme non libre. Nous nous trouvons donc en face d’un cas de responsabilité collective, dont nous avons des parallèles aussi dans d’autres législations anciennes.

La compréhension du § 43 pressente des difficultés: ici aussi on envisage un cas d’homicide. On y parle d’un homme qui a l’habitude de traverser la rivière avec son boeuf, probablement pour son travail, et que 600

quelqu’un pousse, attrape la queue du boeuf et passe la rivière laquelle entraîne le propriétaire du boeuf: “il faut alors prendre” l’autre homme, évidemment considéré comme responsable de ce qui a eu lieu. Il n’est pas très clair si le sujet de cette dernière phrase est constitué par les autorités auxquels il revient de prendre, c’est-à-dire de capturer, le coupable pour le juger et le punir, ou s’il s’agit de la famille de la victime, qui prend le coupable pour l’utiliser en remplacement du défunt et lui faire accomplir son travail.

Dans le § 44A on examine le cas d’un homme qui pousse quelqu’un dans le feu, si bien que celui-ci meure; le coupable doit alors donner à la place de la victime une personne, peut-être un fils ou un jeune esclave pris dans son patrimoine. Quoi qu’il en soit, on peut présumer que la victime était jeune elle aussi. Dans le § 197 on trouve une situation où l’homicide est permis: on y examine un crime d’adultère et on admet, entre autres, que, si un mari surprend sa femme en flagrant délit avec un amant, il puisse les tuer tous deux à l’instant; autrement, la décision de laisser en vie ou de faire mourir les coupables revient au roi. Enfin, dans le § 98 on parle d’un individu libre qui a mis le feu a une maison, provoquant sa destruction, ainsi que peut-être aussi la mort de personnes ou d’animaux qui se trouvaient à l’intérieur du bâtiment et que “il ne doit pas rembourser comme précieux”, mais seulement sur la base de leur valeur réelle. § 3. Renseignements tirés d’autres documents. Outre le recueil des Lois, il existe également des documents d’un autre genre qui nous fournissent des renseignements sur le délit d’homicide. Un édit émané par Tutøaliya II (KUB XIII 9+ II 3-6) parle de quelqu’un dont “la tête a péché” (SAG.DU-ZU wašta) et qui, pour cette raison, a donné en dédommagement du (= pour le) sang (ešøanaš šarnikzil) - un champ ou un individu - si bien qu’on ne peut pas le mettre sous procès. L’expression “sa tête pèche”, utilisée pour exprimer la préméditation ou l’intention de commettre un homicide, se présente comme l’antithèse de l’autre formule examinée plus haut: “sa main pèche”, par laquelle on veut définir la non-intentionnalité de commettre un crime.

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Nous avons mentionné ci-dessus des expressions comme “provoquer/causer du sang”, commettre “un fait/une action de sang” pour indiquer un homicide exécuté en pleine conscience, dont le jugement appartient au “seigneur du sang”, c’est-à-dire à l’héritier du mort, et on ne doit pas porter la cause devant le roi. On lit en effet dans le § 49, 11 ll. 27/19’-29/21’, de l’Edit de Telipinu “et le fait du sang (išøanaš uttar) (est = se règle) ainsi: celui qui provoque du sang (ešøar iezzi), (qu’on fasse pour lui) exactement ce que le seigneur du sang (ešøanaš išøaš) dit; s’il dit: ‘qu’il soit mis a mort’ (aku), alors qu’il soit mis à mort, mais s’il dit: ‘il doit donner un dédommagement’ (šarnikdu), alors qu’il donne un dédommagement. Mais au roi, rien”. Sur la signification de cette dernière phrase, les avis des spécialistes ne concordent pas. Doit-on l’entendre dans le sens qu’aucune part de l’indemnisation versée par le coupable n’est due au roi, ou qu’il n’est aucunement du ressort du roi d’intervenir dans le jugement de ce crime? La deuxième hypothèse s’accorde bien avec ce que l’on soutient dans le passage en question et ailleurs aussi, c’est-à-dire que les crimes d’homicide prémédité retombaient dans le domaine privé et qu’il n’appartenait pas à lui d’interférer. Rappelons à ce sujet que dans une lettre (KBo I 10+ Vo 15-26) envoyée au roi de Babylone Kadašman-Enlil II, ÷attušili III se plaint du meurtre de quelques-uns de ses marchands en Amurru et à Ugarit et il affirme que, lorsqu’il se vérifie un cas de meurtre parmi les Hittites, le coupable est livré aux frères de la victime auxquels il revient de décider de son sort et de recevoir la somme d’argent fixée comme indemnisation. Pour des renseignements intéressants à ce propos, qui proviennent de la zone syrienne et surtout d’Ugarit, à l’époque où ce centre se trouvait sous la domination hittite, v. H. Klengel (1980).

BIBLIOGRAPHIE R. HAASE, BiOr 18 (1961) 14-16; id., WO 9 (1978) 113-119; id., Texte zum hethitischsen Recht. Eine Auswahl, Wiesbaden 1984. F. IMPARATI, Leggi, (1964). H. KLENGEL, Mesopotamia 8 (1980) 189-197. E. V. SCHULER, FsFriedrich (1959) 435-471. U. SICK, Die Tötung eines Menschen und ihre Ahndung in den keilschriftlichen

Rechtssammlungen unter Berücksichtigung rechtsvergleichender Aspekte I-II (1984) (avec bibliogr.).

602

XXVIII.

PRIVATE LIFE AMONG HITTITES

At the outset, it is necessary to point out that we lack a full understanding of how the Hittites conducted their private lives, because what we have of their written or pictorial documentation comes from the spheres of the palace or the temples, two areas that in ÷atti were interconnected. We are therefore better informed about the ruling group than about the life of the “average” Hittite or the people of a servile social status. Thus, if we exclude the information we draw from the collection of Laws because of their particular nature and a few other texts, we come to know about these social strata only when they come into contact with palace and temple administrations, such as when they pay taxes, perform labor, commit fraud or other misdemeanors against these administrations, or participate in certain cultic ceremonies. I. DEMOGRAPHY, HABITATIONS, FURNISHINGS Useful evidence about demography from written or archaeological sources is rather scarce. From various kinds of documents, we have lists of families, officials, workers, deportees (or civilian prisoners) - men and women skilled at different tasks, and so on. Interesting in this regard, for instance, is the “Vow of (Queen) Puduøepa” to the goddess Lelwani. The document, which records the annual offerings of the queen, includes lists of families assigned to Lelwani’s cult. Moreover, in the section written in the fifth year of the vow’s execution, we find an annual revision of the personnel registered in previous years, including updates resulting from deaths or changes of domicile. Administrative lists commonly used the Sumerogram É (literally “house”) to refer to a “household”. The term denotes an economic entity possessing specified labor units (men, women, children). It has been noted that if, for whatever reason, the necessary size of a work force was deemed inadequate in one of these households, the palace 603

assigned deportees to that household to make up the deficiency. A “normal working unit” apparently consisted of ten deportees, thus suggesting that a group of ten persons was probably the average size of a functioning domestic economic unit, including parents, three or four children, and servants. This size was also easy to control. On the basis of textual and archaeological evidence, estimates concerning the population that resided in the capital city, ÷attuša (modern Boˆazköy and today Boˆazkale), range from ten thousand to twenty thousand. However, studies of areas formerly thought to contain domestic structures and archaeological soundings in ÷attuša have left the issue open, and it would be prudent to reassess the answers. Further, it does not seem correct to postulate a close correlation between the dimensions of an urban area and the size of its population. Also, because little has been preserved beyond the foundations of buildings in ÷attuša and in other Anatolian cities, it is sometimes difficult to identify their use and to ascertain the number of people who might have lived in them. Various scholars have tried to delineate a “typical” Anatolian house. The design for such a house is recognizable from the beginning of the second millennium. It was generally composed of two rooms and a forecourt, to which other rooms could be added later. There was often an upper story, entered from the courtyard by a wooden ladder. In sloping terrain, there could have been storage rooms under one part of the building, with residential space on the upper level. The building material consisted of unbaked bricks set on a stone foundation, and sometimes wood might have been used for reinforcement. The roofs would have been flat, packed with mud and twigs, and supported by wooden beams. Hearths and areas for bathing were located indoors. Furniture was probably scanty, but archaeological documentation is not a great help, because depictions are usually connected to the cult or the royal family. Inventory texts of various materials, as well as documents of other kinds, can be usefull in inquiries such as this, even if they often reflect only the upper social strata. In this way, we come to learn about such furniture as beds, different kinds of chairs, and a variety of tables often used in the cult celebrations. Baskets and chests, sometimes colored, inlaid, or resting on carved animal feet, were used to hold wool, fabrics, and clothes of different colors and styles, coming from various places (Amorite, Hurrian, or Cypriot), and household linens and other objects. Ceramic material is plentiful and includes vases 604

of various sizes and shapes (some with two or more handles), pitchers, flasks, bowls, lidded bowls, cups, so-called teapots, jars, plates, and so on. These objects, often zoomorphic (in the shapes of bulls, lions, or birds, for example), were used for various purposes, but their principal service was in cultic functions. Tools for spinning and weaving (disks for spindle whorls and loom weights) and agricultural implements have also been found. As for clothing, there are depictions and texts that provide many names of garments and textiles, often not identified. The representations generally are of divinities, sovereigns, or persons of high rank. In any case, men normally wore a sleeved tunic of varied length, adding trim for special occasions and perhaps an ornamental belt. Shoes and boots had upturned toes. The women were wrapped from head to foot in a full mantle, under which they wore a light garment. Men and women alike wore jewelry such as earrings, bracelets, necklaces, and rings. II. ORGANIZATION OF THE FAMILY The information we have about family organization and its implications comes mainly from the Hittite Laws, although it is possible to draw upon texts written for many other purposes. Unfortunately, we lack such documents as marriage, adoption, or other contracts that regulate relationships between individuals. The Hittite Laws, like all collections of laws in antiquity, did not contain abstract juridical pronouncements or principles of a general nature but instead rules related to actual events and particular disputes, which those employed in the administration of justice would use as reference for the solution of analogous cases; thus, any attempts to reconstruct a norm or procedure must be done by inference from the exceptions to it. 1. Marriage There are a number of documents illustrating the procedures regulating interdynastic marriages, but this documentation, generally subject to ideological and political conditioning and to ceremonial requirements, does not reveal the matrimonial procedure of the common people. There is not known in Hittite, or any other ancient near eastern language, an abstract term for marriage. Various expressions were used, 605

taken always from the man’s perspective: “to take a wife/as his own wife/in the condition of wife”; there are also phrases like “he has a free woman as wife” and “do not make her your wife”. It does not seem that a declaration of the woman’s will was required to conclude a marriage. In any case, it was usually the parents who controlled matters. The Laws indicate that the suitor paid the parents of the girl the kušata, a “bride price” or “wedding price”, or, better, datio nuptialis, which was a familiar custom in other civilizations of the ancient Near East. Such payment rendered a marital obligation legally valid. In fact, once this payment was made, the party who did not honor the commitment became subject to sanctions. For example, we read in the Laws that if the bride’s parents do not honor this commitment, they must repay double the kušata (§ 29), and if the man refuses the woman, he must renounce the kušata (§ 30). In reality, these penalties coincide, since the bride’s parents, in paying double the sum received, are providing both restitution of it and payment of a fine, while the groom leaves the amount he has given as a fine or indemnity. Such penalties demonstrate that the kušata had a real value and was not simply symbolic, as some scholars have thought. After payment of the kušata the woman was considered in many aspects to be in a position similar to that of a married woman. The legal bond resuiting from the payment of the kušata is expressed in section 29, in the phrase “if a girl (is) bound to a man”, which indicates a bond stronger than a simple commitment unaccompanied by payment, defined conversely by the expression “if a girl (is) promised to a man” (§ 28). To secure a marriage contract, a woman had to bring an iwaru, a term that literally signifies “gift”, which scholars translate as “dowry”. This practice is widely attested in the ancient Near East. Marriage was presumably concluded by means of a contract that contained clauses with reciprocal obligations between the spouses and was validated by witnesses and a seal. Unfortunately, acts of this kind are still lacking in Hittite sources. In most cases, after the drawing-up of the contract, the woman went to live in the house of her husband. The possibility existed, however, that the groom could go to live in the house of his father-inlaw. Interesting in this respect are two paragraphs of the Hittite Laws, sections 27 and 36. The first considers the case of a woman who predeceases her husband. Two possibilities are proposed regarding the disposition of her dowry. If the married woman had lived in the house of 606

her husband, upon her death the dowry was left to her husband (even if perhaps only temporarily in the name of the children). If, however, the woman died in the house of her father - where it is inferred that she had remained after the marriage - then her husband did not receive the dowry, even if there were children. We may suppose that in this instance the dowry passed to the children, who probably remained in the house of the grandfather. The case in which there were no children is not discussed in this section or in any other, but it seems logical to presume that the dowry of the woman would then revert to the paternal estate. Section 36 concerns a servant who, after having paid the kušata for a free youth, took him as antiyant-, “son-in-law”, into his house. The term in fact designates the groom who enters the house of his father-in-law. This type of marriage arrangement, which basically implies the idea of adoption, is attested among other peoples of ancient near eastern Asia as erêbu marriage and seems to survive in modern Turkey (compare the Turkish term içgüvey, made up of iç, “within”, and güvey, “son-in-law”). As a result of the marriage, the wife and children assumed the social status of the husband and father. Interesting in this regard are sections 35 and 175, which consider the case of a particular conjugal union between a man, probably not free, and a free woman. This union seems to draw its validity not from the payment of the kušata but from the fact that the two interested parties had cohabited as consorts without interruption for a certain period of time. At the expiration of the legally prescribed time (three years in section 35, two or four in section 175), such a union acquired de facto legal validity, and as a result, the woman came to assume the man’s social status, consequently loosing her freedom. Analogous cases are recognized in other contexts among the Assyrians and Egyptians, and in several studies a comparison has been made with marriage by usus in ancient Roman law. Moreover, in section 175 the position of the children of a union of this sort is regulated by a phrase that means, in my opinion, that no one can “release” these children from the condition of servitude. 2. Types of Marriage Initially some scholars emphasized the existence of monogamy among the peoples of the ancient Near East, but today these assertions must be reconsidered. We can confirm that monogamy in marriage was 607

the usual practice among common people (also for economic reasons), but we cannot preclude the existence of polygamy in some cases. Comparison with other ancient near eastern cultures, the possible existence of the institution of levirate marriage, and comparison with marriage practice within the Hittite royal family allow us plausibly to affirm polygamy also in the Hittite world, even if the relevant documentation is not enlightening. We may note section 193 of the Hittite Laws, in which the circumstances of a widow were regulated according to the institution of the levirate, as known from the Bible and from Middle Assyrian Laws: the right, and perhaps also the duty, of a male relative of the dead husband (brother, father, or other relative) to marry the widow was sanctioned by this law. It is plausible that the purpose of this law was not only to perpetuate the name and family of the dead man but also to preserve the estate within the family. 3. Dissolution of Marriage The Laws consider cases of dissolution both of marriage commitments and marriages. Examples have been found regarding the dissolution of mixed marriage (such as between a free individual and one not free) and regarding various issues such as the division of the goods and the assignment of children (§§ 31-33). All but one of the children were assigned to the father. Thus, the mother was at an economic disadvantage, since as a labor resource children held great importance. The Laws do not contain anything concerning the termination of marriage between free persons. Perhaps this subject was discussed in section 26, whose text has reached us in a very fragmentary state. The possibility of terminating such a matrimonial bond, with all its implications, was probably provided for in the marriage contract. In any case, the relevant paragraphs of the Hittite Laws and comparison with analogous situations in neighbouring countries show that a man, once he had contracted a marital obligation, could not simply break it, contravening the precise legal obligation he had assumed. We may also suppose that the woman, with little possibility of dissolving a marriage by her own choice, nevertheless had the right to receive an indemnity that varied according to the circumstances. This would not be the case if she was proved to be at fault.

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4. Adultery In the law collections of the ancient Near East, with a few exceptions, the offence of adultery was considered solely in relation to the wife. In the evaluation of the offence and its related penalties, consideration was given to whether responsibility belonged to both adulterers or only to one and to whether the husband had caught the guilty parties in the act. Moreover, the principle prevailed that the accomplice of the adulteress had to incur the same sanctions that the husband applied to his wife and should not be punished if she escaped punishment. Accordingly, in sections 197 and 198 of the Hittite Laws, we read that if a man violated a woman, evidently married, in the mountains, only the man could be considered guilty and would be put to death. The woman was presumed innocent because, given the isolation of the scene, she lacked any possibility of calling for help. Conversely, if an act of this sort took place inside a house, then the woman was considered guilty, it being assumed that she consented; thus, she had to die. If the husband surprised the adulterers in the act, he could kill them at that moment, but if he conducted them to the “gate of the palace” - that is, the tribunal of the king - and asked to spare the life of his wife, he also had to preserve the life of the man. But if the husband requested the death of the pair, then their fate was determined by the king. 5. Procreation Procreation represented an act of fundamental importance among the Hittites, not only for emotional reasons but also because the parents hoped that their children would both support them in their old age and, after their death, honour them with rituals, offerings of food and drink, and prayers, thus ameliorating their stay in the afterlife; children also constituted an essential element in the labor force of societies characterized by a chronic shortage of workers. Moreover, human fertility fell within the framework of the “natural order”, in harmony with animal and vegetable fertility. The absence or even periodic interruption of overall fertility constituted a very grave calamity for human life. We may recall in this regard the various mythological narratives forming part of the “cycle of the disappearing god”, whose disappearance provoked, among other calamities, sterility on earth, so 609

that it was of vital importance to bring about the return of the god. Numerous literary texts-religious, narrative, and “historical” - describe an abundance of offspring as a divine blessing on the couple who produced them. In contrast, the lack of children was considered a divine curse; for instance, perjurers were threatened with the curse of childlessness. 6. Birth Specific births are referred to in detail in various narratives, some of a mythological nature. For example, we read the story of a man named Appu who is very rich but suffers because he lacks children. He fears that childlessness may demonstrate his inferiority, both from the social point of view and within his family, since his wife seems to doubt his sexual capacity. The text points out that every time the elders of his country - that is, the more representative elements of the community sat before him to eat, they also gave food and drink to their children, while Appu had no children to whom to give bread. Appu thus asks the sun-god for a descendant, and his wish is granted. The ensuing story has analogies in other fragmentary Hittite narratives that are, for the most part, mythological: the pregnancy of the wife is announced; the months of the pregnancy are enumerated; the birth occurs; the midwife presents the son to the father; the newborn is acknowledged by the father; the name of the child is bestowed; and his destiny is foretold. This procedure, recounted numerous times, seems to constitute a literary topos that probably reflected many aspects of reality, though referring to persons of a high rank. The motif of the rich man who is unhappy because of his lack of offspring appears in other narratives of the ancient Near East and in folklore. 7. Fertility and Birth Rituals Numerous Hittite texts contain rites for obtaining fertility, for procuring offspring, and for solving the specific problems of an individual, such as, a man’s lack of reproductive capacity, a woman’s repeated miscarriages, infertility due to a spell, and so on. Texts describe propitiatory rites to be performed in honour of deities by a woman at the onset of pregnancy or during the course of a pregnancy. Other documents inform us about restrictions on diet and sexual relations that a woman must follow before giving birth and 610

whether she must be separated from her family for this period. There are also texts describing oracles for discerning a woman’s condition and for forecasting the outcome of a birth, as well as for finding out how a negative situation might be modified. We have information, too, about rites to prepare a woman for childbirth and the things necessary for the birth (special seats, cushions, and stools) and for timely intervention in case a defect is found in the equipment, a fact that in itself could be a bad omen. Incantations were also performed to facilitate the birth. 8. Postpartum Rituals Evidence concerning the period following the birth is more limited, although we know that there were purification rites for the mother and the newborn, and propitiatory rites to secure a favourable destiny for the baby, to confer on it a proper sexual identity, and to guarantee the continuation of the mother’s fertility. Hittite texts concerned with the care of the mother and baby during and after the birth differ from related Mesopotamian texts in the primarily magical-religious aspect of the regulations. We have learned from the texts that some months after the birth of the baby - three months if a boy, and four if a girl - a ceremony occurred celebrating the reentry of the mother and the initial entry of the child to the community. The greater part of these rites must certainly have concerned individuals possessing enough wealth to provide for all the expenses, but we may assume that the common people performed such ceremonies more simply. 9. Abortion Among the offences included in the various legal systems of the ancient Near East, abortion was regarded with great severity, because it constituted a crime also against society. But distinctions based on various circumstances were made in determining the penalty, such as whether the abortion was intentional or accidental; the social position of the woman (free, semifree, slave); whether the husband had other children; and whether the abortion involved a woman who did not succeed in carrying her pregnancies to term. With regard to the Hittite world, sections 17 and 18 of the Laws, and their parallel sections XVI and XVII, record that anyone who injured a pregnant woman in such a way 611

as to cause her to abort was guilty of a crime. The offender had to pay a fine in silver that varied according to the month of pregnancy in which the fetus was lost. 10. Adoption and Inheritance Hittite culture has left almost no legal records that deal with the relations between parents and children, such as acts of adoption, wills, and so forth. In other cultures of the ancient Near East, adoption appears as an institution with multiple aspects and multiple ends. A person could adopt another not only as child but also as brother, daughter-in-law, or father. By means of adoption one could free a slave, legitimise a child, name an heir, give a wife to a son, set up a lifelong income, complete a sale, and so on. For the Hittites, the relevant examples are rare. It is perhaps possible to consider the antiyant- marriage (cited above) as a form of adoption. A tablet written in Akkadian and recovered from Ønandik, a village about 109 kilometers (about 65 miles) northeast of Ankara, may be understood in this way. It presents a royal act, probably from the period of ÷attušili I, in which the “administrator” of a city adopts a certain Zidi, granting his daughter to him in marriage and assigning also property as an inheritance, at the same time excluding the legitimate son. Information about the norms that regulated inheritance among the Hittites is scanty. We know in this regard of a royal decree by the Hittite king Tutøaliya IV and his mother, Puduøepa, that concerns the assignment of a part of the estate (with related obligations and privileges) of high-ranking Šaøurunuwa, still alive at the time, to the children of his daughter. The property is passed to her children probably because, as a woman, she could not inherit the goods directly from her father. Presumably, we are dealing here with a married daughter who continued to live with her father after marriage. Her husband would not have had any power over the property transferred directly to the children from the patrimony of the grandfather. The division of a portion of Šaøurunuwa’s estate among his male children is also alluded to at the beginning of this act. However, it is mentioned only summarily both because, as they were male heirs in the direct line, there was no cause for controversy and because another related act might have existed that specifically concerned them. 612

From elsewhere in the ancient near eastern world, particularly from Nuzi (modern Yorˆun Tepe), we learn that the head of the family could in certain circumstances confer on his wife or older daughter the authority to exercise power equal to his own over the other children. Something similar appears in section 171 of the Hittite Laws, where the expulsion from the house and subsequent reinstatement of a son on the part of his mother is discussed (probably in the case of the death or temporary absence of her husband). These decisions were publicized by means of symbolic acts, such as the carrying of objects out of the house and their later return to the home. 11. Sexual Relations: Condoned and Prohibited One part of the Hittite Laws (§§ 187-200A) concerns sexual relations of various sorts, some of which were considered serious crimes, liable to result in the death penalty (in certain cases commutable), while others were permitted, or at least tolerated. From a number of these paragraphs, we learn that incest was considered a serious offence, an execrable action (øurkel) and thus worthy of death (§ 189). However, if one had sexual relations with his own stepmother (§ 190) or sister-in-law (§ 195), the action was considered execrable only if the father or brother was still alive. It was also øurkel if the spouse of a free woman had sexual relations with her daughter, mother, or sister (§ 195). Such relations in fact came to be considered incestuous; they were seen also as a betrayal of persons sharing the same blood. Sections 191 and 194 consider the case of a free man who has sexual intercourse with sisters (annanekuš, daughters of the same mother), free women in section 191, and slaves in section 194. In section 191, if these free women do not reside in the same locality, the act is not considered worthy of penalty, but if it does happen in the same place and the man is aware of their relationship, then it is considered execrable. It is possible that such an act was not considered worthy of punishment, since the man was not joined by matrimonial bond with one of these women. Thus, for the act not to give rise to scandal, it was sufficient that the free women with whom the man had had sexual relations, even if they were bound by blood ties, reside in different localities. For women not free, there was no such consideration (§ 194).

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In connection with this, it is interesting to recall the treaty of the Hittite king Šuppiluliuma I with ÷ukkana and the people of the country ÷ayaša. The Hittite king prohibits ÷ukkana from having sexual relations with the sister and relatives of his own wife, an act not permitted in ÷atti: But he who did this, such a deed, in ÷attuša does not remain alive, (but) dies. [Now] since your country (is) uncivilized, this is the cu[sto]m(?) there, (that) [one] takes (sexually) one’s own brother, sister, (or) girl cousin; but in ÷attuša this (is) not permitted. In the case of sexual relations between humans and animals, a distinct evaluation of the crime was made according to the animal involved. Sexual relations of a man with a cow, sheep, pig, or dog were considered execrable actions and worthy of death. The final judgment of the offender was left to the king, but the transgressor was not allowed to come before the king in person, probably in order not to contaminate him, given the nature of the crime (§§ 187, 188, 199). In contrast, the sin of a man with a horse or a mule is not considered worthy of punishment; nevertheless, this man, too, is forbidden to go before the king or to become a priest (§ 200A). Examples of sexual relations between humans and animals are found among ancient or “primitive” peoples and are especially reflected in their mythologies. In the Hittite texts, for example, we may recall the “Tale of the Fisherman”, where a sexual liaison between the sun-god in human form and a cow is related. The fact that Hittite Laws consider sexual relations execrable only in relation to certain animals may come within the sphere of taboo. III. LABOR ACTIVITY Like most states in the ancient Near East, ÷atti appears to have been divided into territorial districts centred around a city or village and administered by dignitaries who were dependent on the central authority and who, in performing certain functions, could be assisted by representatives of the local communities. It has been noted that the Hittite state had both a palace-temple economy that gravitated to the city 614

and was based mainly on the transformation of raw materials, giving rise to a specialized subdivision of labor and to consequent social differentiation, and also a community economy located in the village and centred on the simple production of food (agriculture and animal husbandry). In the Hittite documentation, attestations relating to the community sector are very limited, and we often infer its existence indirectly because of the type and provenance of the documents. The community element is defined in the texts by the expression “men of the city” or “men of the village”. We also have information about this sector from some paragraphs in the Laws, according to which the village communities seem to possess a certain autonomy in the subdivision of the land belonging to them and in the organization of work within them. At any rate, those who formed part of the community sector were also periodically obliged to furnish services to the central power. We may assume that a large part of the Hittite population, perhaps the majority, resided in the country and dedicated itself to agriculture and animal husbandry. Hunting and fishing were also practiced but seem not to have had great significance from an economic point of view. The Hittite population devoted to food production was obliged to deliver part of the produce to the central authority, either as a tax or to obtain in exchange the products of the urban craftsmen. The central authority used what it received both for its own requirements and for the maintenance of those who lived within its own sphere. The surplus was set aside and used at least as much for works and activity that consolidated and augmented royal power as for redistribution to subjects in time of need. 1. Division of Labor The terminology employed to designate the people who were devoted to the production of food is limited. Furthermore, it is notable that such persons are often mentioned in texts in the plural, in a collective sense. In contrast, craft production was above all linked to the palace-temple complex, whose point of reference was the urban sphere, although given the partial nature of our documents, information about private artisan work is rare and it is difficult to establish the size of its contribution to the economy of the country; in any case, such persons 615

must have been artisans of lesser importance. Most of these considerations are valid also for the sphere of commerce. 2. Artisans In the Hittite texts a large number of terms and expressions define more or less generically artisans or, more properly, those who carried out a labor activity. It seems that the expression (LÚ)EN/BÊL ŠU/QÂTI “master of the hand”, was a designation for artisan. In fact, in a text of the Hittite Middle Kingdom, an edict issued by the Queen Ašmu-Nikkal, the masters of the hand are listed along with farmers, cowherds, and shepherds, but are distinct from them. In international treaties the masters of the hand also appear separately from those who worked in the agricultural or herding sectors. Furthermore, these documents list some trades that masters of the hand could carry out and that constituted activities in the sector of processing raw materials, such as the work of weavers, carpenters, or leather workers. Frequently occurring in the Hittite texts is the much discussed expression (LÚ) GIŠTUKUL, which, according to several studies, could originally have had the meaning “man of the weapon” but came in time to signify those who practiced labor activities of various kinds. A presumably analogous meaning can be attributed to the expression EN/BÊL GIŠTUKUL “lord/owner of the weapon/tool”. In a number of texts, workers connected to the palace and temple are designated as belonging to the category of the “men of the GIŠTUKUL”: cupbearers, those in charge of the table, cooks, mimes/actors, water carriers, those in charge of the tent, heralds, tailors(?), couriers and courier-scouts, and so on. We also have information about the “men of the GIŠTUKUL” who belonged to private individuals being included, nonetheless, in the administrative structure of the state (palace-temple). Furthermore, autonomous men of the GIŠTUKUL are attested; they seem also to have owned real estate and dependent personnel. In fact, in censuses carried out for administrative purposes, such men appear obliged to furnish female singers and deportees. In these cases, it seems plausible that such men of the GIŠTUKUL were free workers forming part of the village communities that functioned outside of the state apparatus. As for the designations LÚøantantiyali, “fixer, repairman”, and EN UNÛTI, “master, lord of the tool”, it is difficult to establish with 616

certainty if these terms indicated some workers generically or, especially in the first case, referred to persons who performed specific labor activities unknown to us. Despite the existence, even if poorly documented, of autonomous artisans who received recompense for their labors and who moved around according to demand, we can say that most craft activity, in particular, specialized work, was subordinated to the palace and the temple. Workers in such activities received from these administrations food, lodging, and wages and were given raw material, which they turned into finished products. Within these organizations were metalworkers; leatherworkers; crafters of wood, stone, and reed; weavers; fullers; potters; bricklayers; gardeners; and the like. There were also those skilled in the processing and preservation of agricultural and animal products, such as cooks; kitchen staff; preparers of particular types of bread, foods, and beverages; millers; dairymen; vintners; brewers; and cellar keepers. Serving the palace and temple were cupbearers, people in charge of the table, barbers, and guards, among many other specialists. Important professions that we could describe as “intellectual”, such as scribe, physician, and expert at divination, were also practiced; these will be discussed later. 3. Performance of Labor Labor was performed mainly by men, although we do have information about women employed-aside from agricultural work - as cooks, millers, fullers, weavers, innkeepers, cellar keepers, musicians, dancers, singers, and in the medical sector. There were many women employed in the cultic sphere, sometimes carrying out important functions. We may speak also of the existence of a sort of workers guilds or organizations of workers. There were inspectors (UGULA) who supervised and checked various work sectors, and heads (GAL literally “great one”) of such sectors, who were often high state dignitaries. We have evidence, too, that young people worked as apprentices, guided by instructors or masters. The Laws (§ 200B) set six shekels of silver as compensation to an instructor for the training of a youth in a trade. If the instructor failed to train the youth properly, he had to give to the young person’s father or 617

the person responsible for him one person, no doubt as indemnity for his ineffective teaching. We can speak in terms of labor specialization only for highly qualified craftsmen, such as metalworkers. Instead, in the case of lessskilled workers, the same person could be asked to perform many different manual tasks according to necessity. However, emergencies arose during which no category of workers, even if specialized, could be exempted from other labors to which they were unaccustomed. Military and civilian duties could also be exchanged in some cases. There is an interesting passage in a text concerning religious administration, in which are listed offerings that had to be made for cultic purposes; it speaks, among other things, of certain goldsmiths who, having moved from one place in order to settle in another, no longer made offerings. We do not know the reason for this move; it seems improbable that these goldsmiths would have moved around as autonomous itinerant workers, since the artisans who worked in similar sectors, given the highly specialized nature of their work, were integrated into the palace and temple administration. Furthermore, we have very little information about the movements of independent self-employed craftsmen; these were probably artisans of lesser skills. Thus, as far as this passage is concerned, the most likely hypothesis is that skilled workers were transferred by the central authority for administrative or other reasons. In fact, while the effort was usually made to concentrate the most important artisan activities in the cities, there could be numerous reasons for moving some of these activities to another place. For illustration, we may recall the case of Kizzuwatna, a very important center for the distribution of iron. As we find in a letter written by a Hittite king, probably ÷attušili III, a royal warehouse was located there, the so-called House of the Seal, where iron products were stored. Thus, it seems highly likely that metalsmiths dependent on the palace were relocated here. 4. Scribes Among the intellectual professions, that of the scribe was of great importance in the Hittite world, as was commonly the case in the ancient Near East. The profession could be inherited; in fact, colophons 618

(notations at the end of a document) provide evidence for several generations of scribes in the same family. The palace scribes had to know several languages besides their native tongue; some of them may have been brought from other lands. ÷attuša scribes also had to know differing scripts-hieroglyphic as well as cuneiform-and they learned how to write on diverse media: clay, wood, and possibly also wax. Hieroglyph on stone may have been carved by illiterate artisans who merely copied what scribes wrote on clay or wood. As in other activities, there was a scribal hierarchy. The office of the “head of the scribes” was of great importance; sometimes this title was further amplified to include the specification “on tablets of wood”. Certain scribes were able to fulfill specialized functions other than their own, such as that of physician, priest, or diviner. IV. WAGES AND PRICES Knowledge of prices for the hire of human labor and animals and of rents for all types of property, in comparison with the value given to them on the occasion of their sale, is very useful for the study of the economic and social situation in a state. Unfortunately, relevant documentation regarding the private sphere in Hittite culture is limited. The documents that furnish some evidence in this area are the Laws, supplemented by the so-called judicial protocols, inventories of various materials (metals, fabric, and clothing), lists of persons who performed their labor in the public sector (palace and temple), and, finally, texts of a totally different nature, such as lists of cultic and votive offerings, and prayers to deities. Our texts indicate that prices could be calculated in silver or in measures of grain. Silver, divided into bars or disks, was measured by weight. The unit of measure was the shekel, with forty shekels equaling one mina. From section 181 of the Laws we learn that one shekel of silver was worth four minas of copper, showing the lower value of copper. When wages and prices were computed in measures of grain, the unit of measure is indicated by the Akkadian term parîšu (§§ 158-161). In sections 24, 42, 145, 150-161, and 200B the salaries for some workers are established in relationship to the duration of their labor (sections 24, 150, 158) or the task performed (sections 42, 145, 158, 160, 619

161, 200B); the prices for the hire of animals (§§ 151-152) and objects (§ 157) are also given. In calculating wages, a distinction was made between a man and a woman; a woman was paid less than a man for roughly equivalent labor. We may turn for an illustration to section 158, where salaries are indicated for a man and a woman hired to work during harvesttime: they are to be paid in kind; the man is to receive for three months’ work thirty parîsu of grain (that is, ten per month), while the woman is to receive twelve parîsu of grain for two or three (according to a variant in the text) months of work (either six or four parîsu a month). Elsewhere, the wages of a man and a woman are calculated in a ratio of 2:1; for example, section 42 speaks of the hiring of a man whose salary was twelve shekels of silver and of a woman whose salary was six shekels of silver. In sections 145, 160, and 161, the wages for certain laborers are fixed in relation to the work performed: for example, six shekels of silver were paid upon the construction of a stall for oxen. If, however, the job was left incomplete, the worker lost his right to wages (§ 145). Interesting, not only in comparison with the cases examined above but also for the demonstration of the protection given workers, are section 10 and its parallel, section IX from a more recent epoch. This law is concerned with injury that compromised a person’s ability to work for a certain period of time. The responsible party had to take care of the wounded worker and furnish a temporary substitute on the job. Furthermore, upon the worker’s recovery, the offender had to give the recovered artisan a cash indemnity (six shekels of silver in the earlier version of the law and ten in the later one), as well as pay the physician’s fee, which is not defined in the earlier text and in the earlier one depends on the social condition of the wounded person (three shekels of silver if he was free and two shekels if he was not). 1. Examples of Prices and Wages A comparison of salaries paid wage earners with the prices realized for selling workers is useful. In section 176B the price for an artisan (potter, blacksmith, carpenter, leatherworker, fuller, weaver, textile worker) is fixed at ten shekels of silver. Evidently, this refers to a person who is not free, both because he could be purchased and because of his low price in comparison to certain wages; in essence, ten shekels of silver 620

is the price of keeping a servant alive during a year of famine (§ 172). Twenty-five shekels of silver is the price for a trained bird-fancier and twenty for an untrained man or woman. Various paragraphs of the Laws furnish prices for the hire of animals or objects for a stipulated period. For example, the price for the monthly hire of a plow ox is one shekel of silver and of a cow half a shekel. One shekel of silver is also the monthly hire of a horse, a mule, or a donkey. We may observe that in section 159 the price for the daily hire of a pair of oxen is half a parisu of grain, and thus around fifteen parisu per month, a larger amount than that fixed by section 158 as the wage of an agricultural worker, which is ten parisu per month. In sections 178-181 and 185-186, prices are given for the sale of animals, for both their skins and their meat. Differences in value are based on the kind of animal, its age and gender, its training and use. Thus, we note that twelve shekels of silver is the price of a plow ox (evidently fully grown), ten for a breeding ox, and seven for an adult cow, while five shekels is the price of a one-year-old plow ox or a cow of the same age, four for a weaned calf, eight for a pregnant cow, and two for a calf (§ 178). Furthermore, there are variations within the same paragraph either in the value or in the characteristics of certain animals, so that comparisons are meaningful but not definitive. Worth noting is the greater value attributed within the same text to a mule (one mina of silver) than to a draft horse (twelve shekels of silver) or to other types of equines, in keeping with the wider use of the mule in mountainous areas of Anatolia. In section 179 the price of goats is less than that of sheep. Many distinctions are also made in establishing the value of various animal hides (§ 185). For instance, the price of a “shaggy” sheepskin, one thick and rich in wool, 15 one silver shekel. This is equivalent to ten sheepskins without wool; these were probably either sheared or taken from young animals. One can deduce from this section and from section 186 that the value of the sheep was due more to its skin than to its meat. In section 181, prices for some-unfortunately very few-edibles are set, informing us not only of their value to the Hittites but also about the diet of the people. We learn, for example, that a zipittani measure of fine oil was worth two silver shekels, twice as much as the same quantity of lard or butter. The price for various articles of clothing and textiles is given in section 182. The meaning of most of these terms remains obscure, and it is therefore difficult to explain the often-striking price 621

discrepancies that we encounter. Among the prices of particular types of land whose designations are, unfortunately, not always understood, the high value of vineyards stands out. 2. Hire and Rental The Laws also establish the prices for hiring objects. It is interesting in this regard to compare different documents, such as judicial protocols that concern the theft of objects or animals, whose value is given, and texts containing inventories of various goods. To be sure, the almost total absence of private Hittite documents permits only a few hypothetical observations about the use and economic contribution of persons, animals, and things through their lease or temporary hire. Nonetheless, comparing the hire and purchase prices of domestic animals reveals an advantage in renting them for work of brief duration. It seems that independent artisans who worked for themselves or hired themselves out to others did not have a great impact on the economy of the country. V. MEDICINE 1. The Medical Profession We learn from documents that the Hittite physician was also an exorcist and an expert in divinatory practices. In ÷atti, as in all other countries of the ancient Near East, the physician was bound to the palace, dedicating his craft, above all, to the royal family and the ruling group. Sometimes he served the community as a whole, such as during epidemics, when he performed apotropaic rituals to ward off evil. The royal authority tried to retain the services of especially well-known physicians. Women could practice the medical profession, a fact that can be explained by the widespread presence of women in cult functions and by the influence of magical-religious procedures in Hittite medical therapy. As in other professions, most notably among scribes, a physician could bequeath his practice to members of his family. We also find references to “overseers” or “heads” of physicians; these titles allow us to presume the existence of a “guild” for physicians. 622

We know the names of many physicians working in ÷atti. Analyzing the linguistic elements in their names allows us to link some of these physicians to the Hurrian sphere or, perhaps more precisely, to Kizzuwatna, an area of Hurrian-Luwian cultural amalgam. This confirms the importance of the Hurrians in the process of the introduction of Mesopotamian medicine into ÷atti. Royal correspondence between the kings of Egypt and Babylonia indicates that Hittite sovereigns requested court physicians to treat members of the royal family. Particularly interesting is a letter from the Egyptian pharaoh Ramses II in response to the Hittite king ÷attušili III, who had asked the pharaoh to send a physician as well as drugs to ÷attuša in order to treat his sister’s infertility. The pharaoh responded by saying that although ÷attušili’s sister, at least fifty or sixty years old, would have difficulty conceiving children, nonetheless he would send the physician and medicines. This and other letters on medical matters could be seen as evidence that in the capital city, ÷attuša, capable specialists were in short supply. Hittite physicians belonged to the circle of the learned, and the connection between their functions as physician and as scribe is interesting. Many medical texts from the archives of ÷attuša are in the Mesopotamian medical tradition - some in Sumerian, but many more in Akkadian. Aside from translations into Hittite, we have in the archives original texts imported from Mesopotamia as well as copies from the Akkadian made by Hittite apprentice scribes using them as school exercises, sometimes inserting personal annotations in Hittite or glossing the Akkadian terms with Anatolian equivalents. Because Babylonian physicians are known to have come to ÷attuša, it does not seem impossible that they compiled some of these texts during their stay at the capital. 2. The Treatment of Diseases Medical texts of the Anatolian tradition in the Hittite language have also come down to us; unfortunately, these are in a poor state of preservation, making interpretation, especially of technical terms, difficult. The texts deal with the care of wounds, flatulence, and diseases of the intestines, eyes, neck, and throat, and suggest appropriate medical treatments. 623

Various texts record prescriptions for the preparation of medicines. Mainly plants or parts of plants are used, including oils extracted from them. Other elements are also employed, such as animal fat and, on occasion, metals. In addition, the procedure for preparing the particular drug is described. Here we may note the absence of precise indications of quantities for the ingredients. Perhaps it was up to the physician to establish the correct proportion; perhaps the determination of dosages was a trade secret. The names of plants used for drugs are numerous, but often their meaning is unknown, and it is therefore difficult to establish their efficacy and thus to evaluate the competence of the Hittite practitioners. Furthermore, it is impossible to make a comparison - which would be very interesting - with medicinal traditions of the contemporary Near East or with modern methods and ingredients of herbal remedies. Drugs were applied internally, by mouth or through enemas, and externally, mainly as poultices or ointments. Information is scarce about the timing, duration, and efficacy of the cure. In one case, the treatment could take place by day or by night; in another case, the patient was required to take the remedy on an empty stomach. Various therapies could be prescribed for the same illness. Medical texts, especially those in the Anatolian tradition, make it clear that magic, such as ablutions or symbolic acts that worked by analogy, often accompanied medication: “Just as the dressers scrape a fur-cloth to clear away the tufts so that it becomes white, so let the gods clear away this man’s evil sickness from his body”. Myths that dealt with similar cases were also recited and were expected to work by analogy, and divine intervention was sought through consultations of oracles, prayers, offerings, and the like. Nonetheless, even though it emerges clearly from the Hittite texts that magical practices were very important in treating diseases, if we take into account both the scholarly preparation required of the Hittite physician and his very likely instruction in various aspects of Mesopotamian medicine, we can conjecture that, beyond magical therapy, the Hittites practiced authentic and pragmatic medicine. Medical instruments are rarely mentioned in the texts, but they must have existed, if only in a rudimentary form, since we know of therapies, such as enemas, that would have required them. There is as yet no evidence, such as appears in Egyptian documentation, of the practice of 624

surgery, orthopedics, or dentistry in Hittite Anatolia or other parts of the ancient Near East, but the frequency of war might lead us to speculate that some capacity to operate on wounds may have existed. VI. FOOD AND NUTRITION Our sources concerning Hittite foodstuffs are for the most part indirect, coming from religious texts describing the preparation of food for ritual purposes, from lists of food and drink offered to various deities, from texts containing medical prescriptions, and from economic and juridical documents. We do not have any information about the content of a typical meal, even taking into account the variants introduced by factors such as the social status of the consumers, the occasions for food consumption, and the seasonal availability of products. Thus, we cannot be certain about the caloric value of the Hittite diet. Moreover, many terms relative to food products are still incomprehensible to us. Almost, we can recognize the category to which the foodstuff belongs because the writing system often used cuneiform signs (“determinatives”) to distinguish among them - bread, meat, drink, and so forth. Hittite food consisted of assorted vegetables; milk products, processed as diverse cheeses and creams; and occasionally meat. But, as in most ancient societies, cereals constituted the basic element of the Hittite diet, because of their high nutritive value, high yield when properly grown, and ease of conservation. Documents give us information on six varieties of grain. Anatolian excavations have shown that four species of wheat and two of barley predominated in the Bronze Age, but we cannot as yet match textual names of grains to the recovered samples. Cereals were subjected to various processes. After the harvest, the grain was threshed to loosen the chaff. The straw was then collected in sheaves, and the kernels stored. During the autumn and the spring, at the closing and opening of the grain storage vessels, cultic ceremonies were carried out that accented the eminence of grain in the Hittite diet. Grain was primarly used to prepare bread, and we have a large vocabulary for the types of bread, largely because a wide variety was required during cultic ceremonies. Breads were differentiated by, among other factors, 625

shape (geometric, modelled after animals, anatomical features, celestial bodies), size and weight, geographic origin, and ingredients or techniques specific to their preparation. The practice of leavening was not unknown in Anatolia, as is shown by an act of sympathetic magic that occurred during a “military oath” ritual: He (a priest) sets yeast in their hands and they lick it. Then he (speaks) as follows: “What is this? (Is) it not yeast? And as one takes a bit of this yeast and mixes it (with dough) in a kneading vessel and lets the kneading vessel stand for a day so that it ferments - whoever transgresses these oaths and sets traps for the king of ÷atti, and directs his eyes against ÷atti in a hostile manner, may these oaths seize him! May he become bloated as a consequence of illness! May it bring an evil death!” And they declare: “Let it be so!” The preparation of bread required flour, and various types of millstones, frequently of basalt, are mentioned in the texts. Grinding the grain was predominantly a women’s task. There is a passage in the annals of ÷attušili I in which the image of a millstone becomes symbolic of forced labor proper to women of servile status. Cereals were used additionally to prepare beer, a beverage that played a role in cultic ceremonies. Frequently used as food and seasoning were legumes and herbs of various kinds. We can recognize the following: peas, beans, broad beans, lentils, chick-peas, vetch, onion, garlic, leeks, cucumbers, watercress, fennel, parsley, cumin, coriander, various types of carrots and, for its medicinal use, asafetida (a frequently malodorous gum resin of the carrot family). An important plant was the crocus, whose spring blooming was accompanied by an itinerant religious festival lasting more than a month and in which the royal family participated. Arboricultural foods were the olive, from which oil was extracted; the vine, whose fruit was needed in the preparation of wine and must and also served as sweetener (oil and wine were also important cult elements); the fig; the apple; the pear; and the pomegranate. (We do not know if the Hittite varieties are directly related to those now growing in Anatolia). Their fruits, flowers, foliage, and seeds were also used for medicinal purposes. The date palm is mentioned in Hittite documents only in texts translated from other languages; therefore, it is not certain 626

that it grew in Bronze Age Anatolia. Also mentioned in texts are the pistachio and almond. Whortleberry (similar to the blueberry) was compounded into medicine and perfume and played a role in cultic activities. Sesame, in Mesopotamia used for oil, was probably utilized in ÷atti as a seasoning, but its local name still remains an object of discussion. The Hittites also used domestic animals, such as sheep, goats, pigs, and cattle, not so much for meat, only rarely present in the average person’s diet, but mainly for their milk (especially from sheep, goats, and cows), used in an unprocessed state or made into butter and cheeses of various sorts. These animals also furnished other materials that could be processed, such as wool, leather, and bristles. There is evidence of Anatolian apiculture, in keeping with the nutritional importance of honey, both for its high caloric value and as a sweetener. As for hunting and fishing (practiced in the rivers and streams of Asia Minor), we have information from literary texts (myths and tales), from the description of cult ceremonies, and from metaphors, but this evidence is not sufficient to establish that these activities made a great contribution to feeding the population. Both natural disasters (droughts, epidemic) and man-made ones (wars, invasions, internal struggles) frequently wrought damage on the primary production of food and therefore sometimes caused grave famines. As a result, measures had to be taken either centrally or peripherally, such as the stockpiling of food by the central authorities, to limit the effects of these periods of famine. We also know of occasions when food was imported from Egypt and Ugarit. VII. ENTERTAINMENT By and large, what little information the texts provide on how the Hittites entertained themselves is indirect. Hittite documents do give us terms for singers, musicians, dancers, mimes, and actors(?) - who were all very likely dependent on the palace-temple sector - and the actions they performed, as well as the names of various musical instruments. Further, there are quite numerous documents describing the celebration of festivals; however, these are religious festivals - frequently of a seasonal character or linked to crucial moments in agricultural or human life (rites 627

of passage) - during which artistic and sporting events took place, with dances, songs, music, representations of various sorts, banquets, and sports competitions. The origin and preeminent cultic function of these arts and games does not preclude their use in other aspects of social life, such as during banquets or other types of entertainment (certainly for the royal family and for persons of high rank) or in order to involve a wider public (as in processions). The verb dušk-, “to rejoice, enjoy”, occurs often in these texts, thus confirming the festive atmosphere that prevailed during these celebrations. These spectacles were important, too, as a demonstration of royal power. It could also be that music was used as an accompaniment to military undertakings, when the armies pledged their loyalty before setting out to battle or when they returned in triumph with prisoners and spoils. In many spheres and epochs of the ancient world, secular forms of spectacle often had a sacred origin or component. The existence has also been posited of taverns or inns (arzana building), where persons who seem to have participated in religious festivals or ceremonies could drink, eat, sleep, and perhaps also perform music. The fact that a text says that in such a building people “rejoiced, enjoyed” themselves might be so interpreted. Unfortunately, however, the examples that could refer to a secular use of this building are practically nonexistent and unclear. Further, one text demonstrates the presence there of a stela connected for the most part to cultic functions, and another document speaks of a visit there by a pregnant woman in the course of a ritual. In my view, we do not have sufficient evidence to hypothesize that in these arzana buildings prostitution was practiced, especially secular prostitution, as has sometimes been proposed. It is nonetheless interesting to remember that we know of the existence in Mesopotamia of taverns in which, among other retail business, transactions of a more personal nature took place. VIII. CONCLUSION Despite the partial nature of Hittite documentation, linked to the nature of the group wielding power, and the almost total lack of private documents, we can still state that the life of the “average” Hittite was fairly similar to that of persons of the same social status in most of the 628

contiguous states in the ancient Near East. Nonetheless, even if we do find in Hittite civilization evidence for the assimilation from neighbouring societies of certain cultural and technical elements and some religious beliefs, we must still note that the Hittites reworked these elements independently, in keeping with their own cultural heritage, their own social order, their own particular political abilities, and the exigencies placed on them by the geographical area in which they lived.

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Hethitische Verwaltungspraxis im Lichte der Wirtschafts- und Inventardokumente, vols. 1-3, Praga 1986; R. WERNER, Hethitische Gerichtsprotokolle, Wiesbaden 1967 (= StBoT 4); and see A. Ünal, “Ritual Purity versus Physical Impurity in Hittite Anatolia”, BMECJ 5 (1993) on public health in ÷atti.

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XXIX.

ASPECTS OF HITTITE CORRESPONDENCE: PROBLEMS OF FORM AND CONTENT1

INTRODUCTION The recent, interesting publication by Professor Sedat Alp2 and Dr. Albertine Hagenbuchner3 of texts containing Hittite letters, along with other works published earlier by various scholars,4 have supplied Hittitologists with rich and valuable material, stimulating further research. In an overall study of these letters which we are currently conducting, a number of interesting problems, both literary and politicalcultural, have emerged. We should like now to offer some observations and results of our research for your attention. A. ASPECTS OF FORM Dr. Albertine Hagenbuchner has already pointed out the structure and formulas of Hittite letters, taking into consideration the geographical areas from which they came and the language in which they were written. What we offer now as examples mainly involves the identification of certain stylistic models and some motifs which are part of the patrimony of images belonging to the ancient Near-Eastern world, raised to the level of literary topoi. To begin, we should like to consider the use of metaphors in letters.

Part A is by S. de Martino and Part B is by F. Imparati. S. Alp, HBM (1991). 3 A. Hagenbuchner, Die Korrespondenz der Hethiter, Heidelberg 1989 (= THeth. 15-16). 4 For these, see the two works cited above, in their general bibliography and the bibliographies appended to the individual topics discussed. 1

2

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For example, in KBo XIII 62,5 a letter in Hittite sent by an unknown person to the queen, presumably Puduøepa, on the occasion of her being ill, the sender expresses his sorrow with the words: “My soul has gone down into the black earth” (Obv. 10-11), an expression which has been documented elsewhere, mainly in rituals and mythological texts.6 A metaphor inspired by the animal world7 is found in KUB XIX 20,8 a fragmentary letter written in Hittite by a king, who it seems could be Šuppiluliuma I, to a Pharaoh. In the letter, the killing of a son of the Hittite king is mentioned; some scholars9 have seen a reference to the well known episode concerning Prince Zannanza recorded in fragment 28 of Table VII of the Annals of Šuppiluliuma I.10 In lines 19’-20’ of the Reverse the sender emphasizes the brutality of the event with a metaphor featuring a hawk and a newborn, and thus vulnerable, bird. We speak here of metaphor and not simile, as instead some others have thought,11 because the syntax typical of similes, that has been pointed out by J. Puhvel,12 is missing. Speaking of the transposition of aspects typical of animal behaviour into the human world, there is an interesting comparison using the image of a wild bull (GU4AM) in a letter in Hittite KUB XXIII 10313 Rev. 12’, where this animal seems to indicate an impetuous and irrational attitude.

A. Hagenbuchner, op. cit., Nr. 15, 22-25. On the expression “black earth”, see most recently J. Catsanicos, BSL 81 (1986) 131; N. Öttinger, WdO 20-21 (1989-90) 82-98; E. Neu, Bochumer altertumswissenschaftliches Colloquium 2 (1990) 110 ff.; J. Tischler, HEG III/8 107-113. 7 Another metaphor from the animal world, found in KBo I 14 Rev. 18’-19’, is difficult to understand; for the interpretation of the accadian verb uzzanunini and the reading of the two preceding signs (l. 19’). G. Beckman’s hypothesis, JNES 45 (1985) 23-25, does not really fit the context, while that offered by A. Harrak, Assyria and Hanigalbat, Hildesheim-Zurich-New York 1987, 73 and note 24, by making the verbal form in question derive from the verb zenû, appears more suited to the context, but we feel that the reading EGIR-ya? should be excluded. 8 See A. Hagenbuchner, op. cit., Nr. 208, 304-309. 9 See most recently the paper read by Th.P.J. van den Hout, XXXIX RAI, Heidelberg 1992. 10 See H.G. Güterbock, JCS 10 (1956) 94-98; G.F. Del Monte, L’annalistica ittita, Brescia 1993 (= TVOA 4.2) 133 ff.; Th.P.J. van den Hout, ZA 84 (1994) 60-88. 11 See A. Hagenbuchner, op. cit., 309. 12 Homer and Hittites, Innsbruck 1991, 21-29. 13 A. Hagenbuchner, op. cit. Nr. 191, 249-260, with bibliography. 5 6

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Another metaphor illustrates the difficult position of the king of ÷anigalbat, squeezed between the two powers of ÷atti and Assyria, in a letter in Akkadian IBoT I 3414 Obv. 10-11, where it says: “If a man has two judges, the one comes forth and the other does not c[ome forth].” Still in this letter a hyperbole is found in Obv. 18 in the wording of the message that Eøli-Šarruma, king of Išuwa, sent to the king of ÷anigalbat, according to the translation of A. Hagenbuchner:15 “Are the servants of My Sun garbage?” With this hyperbole he intended to highlight the Hurrian king’s disparaging attitude toward the Hittite vassals. Another hyperbole is found in a letter in Akkadian, sent by ÷attušili III to Kadašman-Enlil II of Babylonia, KBo I 10 + KUB III 7216 Obv. 41, where we read: “In the country of my brother (that is, the king of Babylonia) horses are more plentiful than straw.” This expression, although written in Akkadian, in form recalls one in the text in Hittite by Kikkuli of Mittani, Table I, I 58, IN.NU.DA iwar “like straw”, in the sense of “amply, profusely”.17 However, it also calls to mind the hyperbole documented various times in the correspondence of El Amarna: “Gold in your country is dirt, one simply gathers it up,”18 used in reference to Egypt. While in this hyperbole the tendency is to exaggerate in the direction of excess, the opposite tendency appears in a very fragmentary Akkadian letter, KUB III 7319 ll. 8’-9’. In fact, it says: “(8’)] no one has committed offences against your country (9’) no one has taken [... a blade of straw or] a splinter of wood to the border of your country,” meaning that the borders of the recipient of the letter had not been violated in any way. The expression “a blade of straw or a splinter of wood” to indicate something very small or, worthless is common, as E. v. Schuler has pointed out,20 in both the Akkadian and Hittite languages. 14 H. Klengel, Or 32 (1963) 280-291; A. Harrak, op. cit., 77-79; A. Hagenbuchner, op. cit., Nr. 213, 313-315. 15 Op. cit., 315. 16 A. Hagenbuchner, op. cit., Nr. 204, 281-300. 17 See J. Puhvel, HED 2 (1984) 322. 18 Cfr. EA 16, 14-15; EA 29, 146-147. 19 A. Hagenbuchner, op. cit., Nr. 202, 275-277. 20 Or 52 (1983) 161-163.

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In the letter already mentioned of ÷attušili III to Kadašman-Enlil II, KBo I 10 + KUB III 72 (see note 16), two hyperboles appear, one expressed in terms of space and the other of time. In the first case ÷attušili, in an attempt to clear himself of any suspicion of interference in Babylonian affairs, repeats that he has shown the Greats of Babylonia only his intention to protect the legitimate descendant to the throne; to demonstrate that his innocence is known to everyone, he uses the expression: “(Obv. 8) They have heard [these words from] east to west”. In the second case ÷attušili, wishing to throw onto the Babylonian high court dignitary Itti-Marduk-balâÆu the responsibility for having misinterpreted his intention in favour of the heir to the throne, accuses the latter of wickedness and laments the fact that a man so old is still alive with the phrase: “(Obv. 21) Itti-Marduk-balâÆu, whom the gods have let live almost 3600 years!”. Another hyperbole, instead, appears ironical, in a rhetorical question in a letter from Ma$at 75/16 (= HBM 6)21 ll. 11-14, where the king admonishes Kaššu for not having blocked an enemy invasion, using the words: “Did the enemy perhaps have magical powers and you didn’t see him?”. In letter KUB III 61 Rev. 3,22 written in Akkadian, a person named Zuwa is indicated with the disparaging epithet “dog”.23 This epithet used in the same sense is found, for example, in a letter from Ugarit RS 18.54A l. 12, while it appears with different connotations in some letters from El Amarna,24 where the image of the dog is used as a symbol of obedience. We have noticed in various letters certain motifs, whose recurrence could be explained not as a reference every time to an event that actually happened, but rather as a literary topos. The first case in this sense could be one we find in two letters in Hittite which seem to belong to the matrimonial dossier between ÷atti and Egypt, at the time of ÷attušili III and Ramses II. In KUB XXI 38, in all probability the rough draft of a letter from Puduøepa to the S. Alp, op. cit., 127-129. A. Hagenbuchner, op. cit., Nr. 345, 455-456. 23 On the use of kalbu also in a disparaging sense, see CAD VIII, 72. 24 See for example EA 315 ll. 17-18. EA 319 ll. 22-23. 21 22

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Pharaoh,25 the Hittite queen apologizes for having displeased the Pharaoh, telling him a Babylonian ambassador’s story about a princess from his country taken as a bride by the Pharaoh.26 The passage is obscure, but it seems that an embassy from Babylonia was not able to make contact with the princess.27 This passage is clarified by another in the fragmentary letter KUB XXVI 89,28 where from l. 9’ onwards it speaks again of the “daughter of the land of Babylonia” who married the Pharaoh; the Pharaoh, with the intent of refuting the rumor that she disappeared at his court, here points out that the Babylonian ambassadors, in his presence, had made contact with the princess. It is interesting to note that also in the letter from El Amarna Nr. 1, written by Amenophis III to Kadašman-Enlil I about one hundred years before the other two letters mentioned above, reference is made to Babylonian ambassadors who had not been able to recognize their princess in the Pharaoh’s harem. The Pharaoh invites the king of Babylonia to send a dignitary to Egypt in order to ascertain that the princess is present at court and thus in good health.29 Certainly, it is possible that Babylonian princesses were always the victims of bad luck. It seems more plausible to us, however, to think that Puduøepa was reusing an episode from the past, which must have been well known in Near Eastern court circles. Her purpose was to procure an important position in the Egyptian court for her daughter, emphasizing to the Pharaoh the poor reputation he had with other courts as to how foreign princesses taken as brides to Egypt ended up. The fact that Puduøepa specifies even the name of the Babylonian ambassador who would have told her the story is not necessarily a sign of veracity, but the use of real elements can function to give verisimilitude to her tale. In some letters ÷atti’s fame as a cold country seems to be used to achieve a specific purpose: we shall recall here two examples of this.

See W. Helck, JCS 17 (1963) 87-97; E. Edel, AHK (1994) 216-223. Rev. 7’-17’. 27 For the various interpretations, see R. Stefanini, Atti dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria” 39 (1964) 15, 48; HW2, 200; E. Edel, op. cit, 343. 28 See A. Hagenbuchner, op. cit., Nr. 228, 336-337; E. Edel, op. cit., 214-215. 29 EA 1 ll. 10-51. 25

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In the often cited letter between ÷attušili III and Kadašman-Enlil of Babylonia (KBo I 10+ KUB III 72), at ll. 62-66 of the Reverse, the Hittite king asks the Babylonian ruler to send him some horses as a gift, specifying that they must not be old since in ÷atti it is intensely cold and old horses do not survive. It is very probable that here ÷attušili was emphasizing the rigidity of the Hittite climate in order to obtain younger, more resistant horses, and thus of greater value. In letter KUB XXI 38 already mentioned, in ll. 17’-24’ of the Obverse Puduøepa justifies her failure to send the Pharaoh some cattle and civil prisoners which were part of the dowry of her daughter, engaged to Ramses II, because the onset of winter (Obv. 23)30 has prevented the departure of the caravan for Egypt. Also in KBo XVIII 79 ll. 25’ ff.,31 a fragmentary letter in all probability between two Hittite functionaries, one of these uses the pretext of the cold in order not to send the other a group of people, probably to use as a work force. The excuse however is not accepted by the other official, who does not consider the cold an insurmountable obstacle to reaching his goal.32 In various letters, as too in other kinds of texts, the motif of “youth” recurs as a cause or justification for certain types of behaviour or situations. In some cases it is difficult to establish if these are instances of a topos used instrumentally or an actual fact. We can recall as an example letter from El Amarna Nr. 17, where Tušratta blames the interruption of diplomatic relations between his country and Egypt on his youth and the resulting negative influence on the wielding of power on the part of the people close to him (ll. 11-20). Also in the often cited letter KBo I 10 + KUB III 72, ÷attušili III attributes to the youth of Kadašman-Enlil II the fact that the Greats of Babylonia had taken certain positions against ÷atti (Obv. 17-19, 33-34). We are accepting here the reading by R. Stefanini, op. cit., 8-9 note 5; W. Helck, op. cit., 89, reads differently. 31 See A. Hagenbuchner, op. cit., Nr. 131, 178-181. 32 We could perhaps also interpret in the same way the passage from letter VBoT 1 (= EA 31) 27, if we take the verb form igait to mean “to be cold,” in connection with the Pharaoh’s request to have people sent from the town of Kaška; on the various hypotheses for interpretation of the passage in question, see V. Haas, in W.L. Moran, The Amarna Letters, Baltimore-London 1992, 102-103; see also HW2 28, and J. Puhvel, HED 2, 257. 30

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Nonetheless, when ÷attušili asks the Babylonian king for a promise of solidarity with ÷atti against Egypt, he uses the expression: “Now you are a man”, to invite him to assume his responsibilities (Obv. 76).33 In a passage of the so-called Letter of Tawagalawa (IV 32-34)34 the Hittite ruler who writes it offers his youth as a justification for his behaviour in the past in regard to the recipient. Since, in our opinion, various elements concur to render preferable the hypothesis that the sender of this letter is ÷attušili III,35 the use of the motive of his youth takes on the value of a pretext. In fact, as is known, ÷attušili was already an adult when he ascended to the throne. We could cite many other interesting examples of stylistic aspects of the letters, but the time has come to move on to the second part of our research, which regards their contents. B. ASPECTS OF CONTENT As we have already pointed out, the letters are a precious source for a knowledge of the political, economic, social, administrative, juridical, and sometimes every religious situations of the Hittite kingdom. Here we shall confine ourselves to some observations about juridical-administrative aspects that can be inferred from some letters from Ma$at. In the course of our talk, we shall cite the letters with the numbering system used in the volume by S. Alp. In this regard, we would like to mention two letters written by the Hittite king which appear to be connected: M$t. 75/836 (= HBM 36) and M$t. 75/2537 (= HBM 30). In the postscript to the first of these letters - which compared to the other seems to have been written earlier - ÷ašamili38 addresses someone We must keep in mind here the still controversial dating of this text: E. Edel, JCS 12 (1958) 130-133; M.B. Rowton, JNES 25 (1966) 240-249; C. Zaccagnini, in I trattati nel mondo antico, Roma 1990, 49 note 37. 34 See F. Sommer, AU, 16-19. 35 See, most recently, H.G. Gütetbock, Or 59 (1990) 157; S. Heinhold-Krahmer, AfO 38/39 (1991-1992) 143 note 47. 36 S. Alp, op. cit., 182 ff. 37 S. Alp, op. cit., 172 ff. 38 On this figure, see S. Alp, op. cit., 57. 33

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who is certainly higher in rank, as he calls this person BÊLU MA÷RÛYA “my first lord” and also “my dear father”. It is likely that this person can be identified as ÷imuili because the only other two uses of the expression BÊLU MA÷RÛ in the Ma$at letters refer to him.39 In the postscript in question, ÷ašamili, after the greeting formula, describes to the addressee a situation about which he has informed him on other occasions, concerning a female slave belonging to ÷ašamili himself. She, who had with her some flour that was most probably stolen, had been captured by ÷imuili’s administrators (maniyaøøanteš) and taken back by them to the locality of Taøazimuna.40 There then follow some lines containing many gaps, in which it seems that grain is mentioned, but it is not clear if this is connected with the preceding topic. The other letter as well (= HBM 30) was sent by the king to ÷imuili and another person whose name is missing because of a gap in the text. In the postscript ÷ašamili himself addresses Uzzu41 as his brother, and thus equal in rank to him. We learn from the passage that Uzzu, after having written repeatedly to Hašamili on the subject of the latter’s slave, now gives no more news of her. It is possible that Uzzu kept the woman, either as compensation for the theft she had committed or because someone had entrusted her to him to await judgement perhaps since he was a scribe in Ma$at and worked next to ÷imuili. In fact ÷imuili seems to have been BÊL MADGALTI 42 and we know that this official was responsible also for the administration of justice. ÷ašamili requests that the slave be returned to him by means of his messenger; he specifies that he wants her back “in good condition” (SIG5), that is integral/intact, stating thereby that he is willing to make restitution with triple whatever she took or stole.43 This recalls §§ 95 and 99 of the Hittite Laws, which provide that a master could make restitution for damages resulting from a crime 39 M$t 75/101 Rev. 11: see S. Alp, op. cit., Nr. 29, 170 ff.; M$t. 75/57 Obv. 19 Lower Edge 19-20: see S. Alp, op. cit. Nr. 52, 216 ff. 40 On this locality, which appears a number of times in the letters from Ma$at, see most recently S. Alp, op. cit., 39 ff., and G.F. Del Monte, RGTC 6/2, 152. 41 See S. Alp, op. cit., 104. 42 See S. Alp, op. cit., 60; see, however, R.H. Beal, The Organisation of the Hittite Military, Heidelberg 1992, 429-431. 43 Rev. 21-22, Upper Edge 23-25, Left Edge 1-2.

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committed by one of his slaves, thereby avoiding the slave’s mutilation.44 In our letter this is alluded to in the request to have the slave back intact. The physical wholeness of a slave, in fact, was a guarantee of his or her efficiency in work and thus constituted an advantage for the master. An opposite situation seems to be the case in letter M$t. 75/60 (= HBM 57).45 The senders are Ilali and Kaši[l]ti, names appearing only here; the addressees, called here “dear brothers”, must have been in Ma$at; they are the BÊL MADGALTI - whose name is not given explicitly but seems to be probably ÷imuili - and ÷uilli. The subject of the letter is the case of Kaštanda, a slave of the priest46 of the city of Urišta. Kaštanda’s position in the text depends on the interpretation of the form wa-aš-ta in l. 13, which has been seen by scholars in two different ways. S. Alp47 suggests it should be read as wa-aš-ta with the sign -aš omitted by the scribe. This would lead to the conclusion that Kaštanda would have committed an offence against a woman of the city of Gašša (URUGa-ašša.). The sumerogram MUNUS (l. 12) does not have a phonetic complementation indicating its ending. Nevertheless, in our opinion, this sumerogram can be understood as an accusative of respect followed by the verb wa-aš-ta-. Instead, R. Beal48 understands wa-aš-ta as coming from the verb waš- “to buy”.49 He prefers this reading because, otherwise, we should find here katta wašta-. See F. Imparati, Leggi, 267-270. S. Alp, op. cit., 226 ff. 46 We interpret LÚ as the determinative of DUMU.SANGA, because in the edition of the cuneiform text there is no space between the signs LÚ and DUMU; we are nonetheless aware of the fact that DUMU does not appear preceded by a determinative. Perhaps the determinative is justified here by attraction by SANGA, which we consider as part of the single expression DUMU.SANGA (on this expression in Hittite texts, see F. Pecchioli Daddi, MPD [1982] 365); cf. in this sense also G.F. Del Monte, RGTC 6/2, 180. Differently S. Alp, op. cit., 226 ff. 47 Op. cit., 228. 48 Op. cit., 433 note 1622. 49 It must be pointed out however that the form wašta from waš- “to buy” would be a hapax, unless wašta in KUB XIII 9+ II 4 is meant as C. Melchert suggests apud R. 44

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We think, instead, that katta wašta- means “to sin together with”, according to §§ 187-190 of the Hittite Laws, whereas wašta- is “to commit a sin” with regard to someone. The acceptance of one or other of the interpretations affects the meaning of the letter: in the first case Kaštanda would appear to be the offender, in the second, the injured party. Anyway, from the context of the letter - and above all from the last two paragraphs - the first interpretation seems to be preferable. In ll. 14-17 two men of the city of ÷aššarpanda (÷imuili50 and Tarøumuwa), whose role in the matter is not clear, are mentioned. In fact, the passage in ll. 13 and 17 nu=an=ši=kán... arøa daîr, literally “then they took away her (= the woman) for him/from him,” can be understood either in the sense of these men as accomplices of Kaštanda (they took the woman away for him) or in the sense of their intervention in order to get her away from him to save her (they took the woman away from him). We prefer the first hypothesis because the two people in question are, precisely with Kaštanda, the direct object of the verbal expression para nâi- “send out/send forth” in a paragraph that unfortunately has been damaged, but in which a judicial action (l. 31: øann[atteni]51) and a capture (l. 33: ept[ani]) are mentioned, as though the three were sent together to the recipients of this letter for judgement. The use of the adverb apiya “there” in l. 32, as elsewhere in the Ma$at letters,52 seems to indicate that some judicial proceedings must have taken place precisely in this locality, where the recipients of the letter were at the time. This is confirmed also by the expression Westbrook-R. Woodard, JAOS 110 (1990) 645. Nevertheless, in our opinion, the connection with the expression ešøanaš šarnikzil in KUB XIII 9+ II 3 and the contrast with the formula “his hand sins” present in §§ 3, 4, 11, III, V, VI of the collection of laws (see F. Imparati, Leggi [1964] 185 ff.) still render valid the hypothesis of E. v. Schuler, FsFriedrich (1959) 452. 50 This is clearly not the well known ÷imuili, BÊL MADGALTI. 51 See above, l. 23 and M$t. 77/1 (= HBM 60), l. 9. 52 See for example M$t. 77/1, ll. 15-16, in which the guilty parties are sent there, where the recipients of the letter are located, so that they can proceed with interrogation.

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katti=šmi “to the place where you are” in l. 21, where (ll. 18-24) the indictment of Kaštanda is mentioned.53 We think, thus, that ll. 18-36 can be interpreted as follows: the writers of the letter have sent Kaštanda, the priest’s slave, to Ma$at to appear before ÷imuili and ÷uilli, who are requested to judge him properly (ll. 23-24).54 The priest does not seem to make any moves in the slave’s favour (ll. 25-30: “and it will happen that the [priest] will not [beg] (your) fa[vour] and will not s[ay] to you: ‘Do not ju[dge] my slave’”). So, as we have said above, if the judicial proceedings go ahead, the three guilty parties (that is, Kaštanda and his accomplices) will be captured and sent to Ma$at (ll. 31-36). As we have already said, ll. 25-30 seem to describe a situation contrary to the one we highlighted in letter M$t. 75/25 (= HBM 30) upper edge 23-25, left edge 1-2, where the master of a female slave who has committed a crime seems ready to offer triple compensation for the damages caused if he can just have the slave back intact (see our observations above). In the letter HBM 57 instead, the owner of the guilty slave seems not to want to compensate for the damage but prefers instead to send the slave up for judgement, since it probably was not to his advantage to make compensation, presumably a large one, if the offence against the woman came within the sphere of sexual crimes. The letter M$t. 77/155 (= HBM 60) Obv. 5 (ŠA DI÷I.A uttar) and 9 ÷I.A (DI ) also speaks of judicial matters. In it the sender, Šarpa,56 speaks to the addressees Zaldumanni57 and ÷uilli58 on the topic of the judicial matters concerning the house59 of Tarøunmiya,60 about which Šarpa has 53 We should note in l. 22 the designation of neøøun in the first person singular, while we would expect to find the first person plural, since two people were signing the letter; this is probably a case of the use of the singular verbal form with a collective subject. 54 On the verbs øann(a)- and ašnu-, see J. Puhvel, HED 3, 77-84, 1, 192-196; HW2 I 372-383. 55 HBM 60, 232 ff. 56 See S. Alp, op. cit., 92. 57 See S. Alp, op. cit., 105 ff. 58 See S. Alp, op. cit., 63. 59 That this is a building and not the goods belonging to Tarøunmiya can be deduced from letter M$t. 75/57 (= HBM 52) ll. 30-31, in which the same person asks

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already written them on a wooden tablet (l. 6). He asks them to keep their eye on the house of this man - that is, Tarøunmiya - and to judge correctly the relative judicial question. The same verbs, øann(a)- and ašnu-, are used with this meaning also in a similar instance in the letter examined earlier, M$t. 75/60 (= HBM 57) ll. 23-24. We learn from this letter that Tarøunmiya has spoken to Šarpa about two people who have caused him some damage.61 Šarpa asks the addressees of the letter to bring the guilty parties to Ma$at (l. 15: apiya “there”)62 for interrogation, and that they then be sent to him. Šarpa himself, going to the Hittite sovereign, will take them with him,63 most likely in order to present them to the king for judgement. We know in fact that, when a case was particularly important, the assigned officials carried out the investigation, but final judgement fell to the king.64 In the letter’s postscript, addressed to Pallanna and Manni, the sender, whose name is not given, asks Pallanna to keep his eye on his house. We can presume that the sender of the postscript was Tarøunmiya from a comparison with letter M$t. 75/64 (= HBM 81) in which Tarøunmiya seems to be addressing the same people (see ll. 1-3, 29-32).65 Other letters also inform us about the problem of Tarøunmiya’s house. In the postscript of letter M$t. 45/43 (= HBM 27) Tarøunmiya asks the BÊL MADGALTI (that is, ÷imuili) to keep his eye on his house (ll. 24-25). This expression should not be understood here nor in ÷imuili to place a man UKU.UŠ in front of his house: on the term UKU.UŠ see S. Rosi, SMEA 24 (1984) 109-129; and R.H. Beal, op. cit., 37-44. 60 See S. Alp, op. cit., 96-98. 61 In this regard we can recall that in the postscript to letter M$t. 75/43 (= HBM 27), ll. 23-25, Tarøunmiya asks ÷imuili to have a look at his house. 62 See on the use of this adverb our observations on p. 640; this does not exclude Alp’s interpretation, op. cit., 235 l. 15 and 338, of the expression anda dâi- as “ins (Gefängnis) setzen”. 63 From Obv. 21-26 we learn also that one of these two people, UDU-šiwali, has damaged Tarøunmiya’s cart, and Šarpa decides that the guilty party must return the cart in good condition (SIG5); there does not seem to be any fine levied as punishment for the offender. 64 See in this regard F. Imparati, Šaøur. (1974) 63 ff. and 99 ff. 65 Thus in letter HBM 60, Tarøunmiya would have been with Šarpa, perhaps in the city of Šapinuwa.

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the postscript to letter M$t. 77/1 (= HBM 60) in the sense of a generic request for protection, based on what is seen in the postscript of letter M$t. 75/57 (= HBM 52), where Tarøunmiya addresses ÷imuili using the same expression and adding an explicit request for protection, that is the assignment of a man UKU.UŠ to guard his house, so that no harm should come to it (ll. 25-33). We can deduce from the context of these letters a sequence of the events they concern. HBM 27, which contains only a request for protection without any reference to damages already suffered, would seem to be the first in Tarøunmiya’s dossier; HBM 52 would then follow it, with the request for protection from any harm; the third letter chronologically would be HBM 60, which speaks of the judiciary question concerning the matter of Tarøunmiya’s house. A further problem concerning Tarøunmiya’s house emerges from HBM 52, addressed by the high official ÷attušili to ÷imuili. While in the postscript sent by Tarøunmiya it is his house that is discussed, ÷attušili’s letter concerns the house of the scribe which was located in ÷imuili’s administrative jurisdiction, thus in Ma$at, and which had undergone some damage. It is possible that both the letter and the postscript deal with the same house and the same case, given that Tarøunmiya is a scribe. This question also seems to be connected with a problem of the imposition of fiscal duties šaøøan and luzzi. It would be too lengthy to take on this problem here; a work of F. Imparati specifically on this subject is currently in preparation. One last interesting judicial case is presented in letter M$t. 75/46 (= HBM 68),66 where the overseer of the military heralds,67 presumably Kaššu,68 complains of the fact that certain people continue to cause him harm, even though he has never done anyone any ill and has not taken anyone’s house or possessions. This must instead have frequently

S. Alp, op. cit., 250 ff. See, most recently, R.H. Beal, op. cit., 396 ff., with literature; a different translation by S. Alp, op. cit., 340. 68 See S. Alp, op. cit., 70-75. 66 67

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happened on the part of people holding positions of power in the administration of the Hittite kingdom.69 Kaššu will report all of this to the king so that some people will be sent to investigate the matter; these will then bring the guilty party before the king, who will personally conduct the investigation. From the context it appears that Kaššu does not trust the fact that the investigation, in which he might be implicated, will be conducted by functionaries assigned to the place for the administration of justice. It is not clear here if Kaššu has actually suffered harm or if instead he is trying to intimidate the addresses of the letter with the possibility of a recourse to the king to protect himself from accusations that might be made of embezzlements he committed. In the letter Kaššu seems to be accused for having distributed some flour, perhaps arbitrarily, to the inhabitants of the city of Kašipura.70 Other letters reveal that Kašipura was often subject to raids from the Kaškeans and thus afflicted by famines,71 this city sometimes appears in connection with Kaššu.72 From one of these letters - M$t. 75/21 (= HBM 5) - sent by the king to Kaššu, we learn that the latter has taken some oxen that were in the locality of Kašipura, which belonged to the administrative district of another official, EN-tarawa. The king orders Kaššu to return the oxen. Kaššu’s presence in this locality, even though he was not its administrator, can be explained by military reasons, since Kaššu is a high-ranking officer in the army and as such often had to deal with the dangers posed by the Kaškeans. It is not possible to establish whether Kaššu took the oxen for his own personal purposes or to use them during some military operation; in any case, he did receive some sort of benefit from it, either economic or 69 See F. Imparati, JESHO 25 (1983) 56 and 264 ff., and in Stato, Economia, Lavoro (1988) 226 ff. 70 For this passage see R.H. Beal, op. cit., 463 note 1718. Kaššu seems to justify himself also concerning the taking of an ox belonging to the “stone-[house]”, saying he knows nothing about it: Lower Edge 1-4. 71 M$t. 75/18 (= HBM 24) ll. 4-10 and M$t. 76/1 (= HBM 45) ll. 19-22. 72 M$t. 75/21 (= HBM 5), M$t. 75/16 (= HBM 6), M$t. 75/15 (= HBM 19), and M$t. 75/53 (= HBM 54).

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of prestige, even at the cost of creating a conflict of authority with other officials. In this regard, for instance, we can recall the contrast existing between Kaššu and ÷imuili, testified by letter M$t. 75/53 (= HBM 54). Here it is Kaššu who admonishes Himuili about the latter’s failure to use some seeds and his hostile attitude toward Kaššu’s messengers. It appears also that Kaššu tried to intimidate Himuili with the threat of a Palace investigation (ll. 18-24). The fact that Kaššu often presents the possibility of a recourse to the king’s intervention would lead us to think he had a good relationship with his sovereign; however, this is not confirmed by some of the Ma$at letters which were sent to Kaššu by the king. In fact, besides the already mentioned letter M$t. 75/21 (= HBM 5), we can cite also M$t. 75/16 (= HBM 6) ll. 1-14, where the king admonishes Kaššu for not having stopped the advance of the enemy, and M$t. 75/70 (= HBM 7), where the king seems to be pointing out to Kaššu that he knows his behaviour very well (l. 23: “I know you, Kaššu!”). Thus, either Kaššu was boasting about the king’s favour which in reality he did not enjoy, or at a certain point in his career he fell into disgrace with the king. The king’s distrust of Kaššu can be deduced also from KBo XVIII 54, a letter from Kaššu to the king, which we feel can be linked with the situation described in the letters cited earlier; this one too contains Kaššu’s justification in answer to an admonition from the king because of the negative results of a military campaign.73 Certain elements in the letter in question lead to the conclusion that the Kaššu mentioned here is the same person as in the Ma$at letters, despite the spelling of the name. The few names of people mentioned in the letter cannot be taken as indicative for a dating of the text; in fact,

For the transliteration and translation of this text, see F. Pecchioli Daddi, Mesopotamia 13-14 (1978-79) 201-212. 73

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Kaššu and Tuttu74 appear in Hittite documents from both the Middle Kingdom and the imperial period; Zarnaziti is found in the form Zarniyaziti - considered by E. Laroche as a variant of the former75 - in a list of men contained in a text from Ma$at,76 however the social rank of these men does not seem to allow an identification of them with the persons in question. More significant, instead, is the mention of a Great of the scribes (Obv. 6), because a Great of the scribes is the sender of letter M$t 75/77 (= HBM 72) addressed to Kaššu himself, in which (ll. 34-36) the sender asks the scribe to write to him “in Babylonian”; this fact concords with the passage, unfortunately fragmentary, of KBo XVIII 54 Rev. 15-16. We should also recall that a Great of the scribes, but on wooden tablets, writes to Kaššu letter M$t. 75/97+99 (= HBM 73). Further, the mention of the city of Talmaliya in KBo XVIII 53 (a fragment of a letter that seems to have been addressed by Kaššu to the king, contemporary with KBo XVIII 54)77 recurs also in letter M$t. 75/108 (= HBM 88) 2’[. It is interesting to note as well that in KBo XVIII 54 Obv. 5’ mention is made of a “famine” (kašt-), a topic that recurs frequently in the letters from Ma$at.78 Finally, both in KBo XVIII 54 and in the letters from Ma$at Kaššu carries out his duties in military surroundings. Other elements in favour of this datation of KBo XVIII 54 have been pointed out by several scholars.79 In conclusion, the letters from Ma$at which we have cited above and KBo XVIII 54 testify to the same political situation, and in all of them Kaššu must defend himself to the king for not having obeyed orders or for incompetence or lack of will. The anthroponym D/Tuttu is found, although in a fragmentary form, also in letter M$t. 75/67 (= HBM 72) l. [26]; it also appears, along with Zarniyaziti, in a list of men from Ma$at; see note 43. 75 NH Suppl. Nr. 1537. 76 HKM 100 Obv. 18. 77 See H.G. Güterbock, KBo XVIII, p. V. 78 See the passages cited from S. Alp, op. cit., 371 under the relative entry. 79 See A. Ünal, RlA 5 (1976-80) s.v. Kaššu; Th.P.J. van den Hout, KBo IV 10+ (1989) 193; R.H. Beal, op. cit., 402 note 1513; 457 note 1693. 74

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This examination, albeit necessarily limited, has allowed us to clarify certain aspects of judicial procedure and the practical application of the laws, which is always useful due to the lack of Hittite documentation of the acts of juridical praxis. Furthermore, the Ma$at letters, coming as they do from a locality on the edge of the Hittite kingdom, shed light on the relationships between the various officials responsible for the administration and defence of these districts and their relationship with the central power. Especially with regard to this last aspect, we have collected numerous examples and deductions in a monograph on Hittite correspondence that we are now finishing; unfortunately we do not have space here to describe them at length. At any rate, also the examples we have presented here show the opportunity that the administrative officials had, especially in areas on the edges of the kingdom, for committing abuses for their own personal advantage; furthermore they point out the king’s intervention as a consequence in order to safeguard his own interests and the stability of his power.

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XXX. OBSERVATIONS ON A LETTER FROM MA#AT-HÖYÜK

I. LETTER HKM 52 Some of the information contained in the letters of Ma$at,1 the ancient city of Tapikka,2 concerning Hittite administration in the provinces of the kingdom, is included in letter M$t. 75/57 (HKM 52), a document which has already been analysed by S. Alp in an interesting article.3 I add here some further observations, which I wish to dedicate to the memory of the illustrious scholar E. Bilgiç. This document, whose provenance will be discussed shortly, comprises a principal letter sent by ÷attušili, probably the noted scribe of the Hittite Middle Kingdom,4 to ÷imuili, BÊL MADGALTI 5 in Ma$at, and a supplementary letter (or postscriptum) written by another well-known scribe, Tarøunmiya, again to ÷imuili. From the formulary adopted in the letters we may assume that ÷attušili was a functionary of the same rank as ÷imuili, since the former addresses the latter with the term “brother”. Tarøunmiya, on the other hand, must have been of inferior rank to ÷imuili, since the former addresses the latter as “lord”, both in the heading as well as in the course of the letter, and refers to himself as “son”.6 Tarøunmiya’s subordinate See in particular the important monograph by S. Alp, Hethitische Briefe aus Ma$at-Höyük, Ankara 1991 (= HBM); for copies of the documents from the excavations at Ma$at, see S. Alp, Hethitische Keilschrifttafeln aus Ma$at-Höyük, Ankara 1991 (= HKM). 2 See S. Alp, HBM, 42 f. 3 GsvonSchuler, 107-113; see also the interesting article by G. Beckman in Atti del II Congresso Internazionale di Hittitologia, Pavia 1995 (= StMed 9), 26, and also S. de Martino-F. Imparati, StMed 9, 112. 4 See S. Alp, HBM, 58 f.; J. Klinger, ZA 85 (1995) 88 ff. 5 Provincial governor: literally “lord of the watchplace”. On ÷imuili see S. Alp, HBM, 59-62; R. Beal, THeth 20 (1992), pages cited in the index of Personal Names, 567, s.v. ÷imuili BÊL MADGALTI; J. Klinger, op. cit., 85 f. 91. 6 Obv. 19, Lower Edge 21, Rev. 25, 29, 38, 40; on Tarøunmiya see S. Alp, HBM, 95 f. 1

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position is also inferred by the tone of the supplementary letter here under examination. ÷attušili, and in the postscriptum Tarøunmiya, address ÷imuili once again about a matter they have already written repeatedly, namely, damages brought to bear on the “house” of Tarøunmiya, located in the administrative district of ÷imuili, by “men of the district” and “men of the town” and the imposition of the duties šaøøan and luzzi by “men of the town” (see below). The fact that the matter in question has protracted for some time is confirmed by references to it in other letters from Ma$at,7 and by the use in this specific document of various verbs in the iterative.8 The scribal circle9 which Tarøunmiya belonged to must have been under the control of Hattušili; this is clear from the interest which the latter shows in the problems of Tarøunmiya, as well as from the already mentioned difference in rank between the two men. From the letters concerning the affairs of Tarøunmiya we can reasonably assume that at the time the letters were written he resided, or at least carried out his profession, in the city of Tapikka (this depends on the meaning attributed in the letters to the expression “house of Tarøunmiya”; see below), occasionally moving to other localities as requirements dictated.10 1. The provenance of the letter We are unclear as to where ÷attušili and Tarøunmiya were at the time the letter was written, although it was certainly in a place where there was a Palace. Indeed, in this letter, in Obv. 6-8 and 17-18, ÷attušili notifies ÷imuili that the question of the damages being inflicted upon

7 HKM 27 and 60; on this see S. de Martino-F. Imparati, op. cit., 111 f.; to these letters should probably be added also HKM 80: see below. 8 Obv. 7, 8, 9, 12, 16, Rev. 27, 33. 9 Which probably also exercised administrative functions. 10 Note that Tarøunmiya, who is mentioned several times in the Ma$at documents, is not yet attested to in the documentation of ÷attuša, contrary to what happens for other personages.

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Tarøunmiya may or may not be taken to the Palace (É.GAL);11 in the supplementary letter, Rev. 42-Upper Edge 46, Tarøunmiya assures ÷imuili that he will carry out at the Palace the matter concerning the horses and chariots about which the latter has written to him (see below). This Palace was in all probability one of those important seats with administrative functions under the authority of the central government, situated in various parts of the kingdom, where the king could also reside in the course of his journeys.12 The term É.GAL often recurs in the letters of Ma$at,13 where it appears to have had the function of a centre responsible for the collection and distribution of goods (HKM 24)14 and for the organization of armaments (HKM 5215 and 63).16 It also functioned as a higher authority whose task it was, for example, to investigate matters concerning the agricultural life of various districts (HKM 54)17 and as an establishment that was notified of important events and circumstances, evidently in the hope that decisive intervention could be obtained from it (HKM 52,18 7419 and possibly 77),20 and also presumably, with the aim of

In ll. 17-18 ÷attušili ends his letter with the threat that if damage continues to be inflicted on the scribe (= Tarøunmiya), he (÷attušili) will refer the matter in the Palace. 12 See S. Alp, HBM, 309 on the meaning of É.GAL in the Ma$at letters; the question of the location of these É.GALMEŠ in the various situations considered in the letters has not however been dealt with. 13 See in fact the passages indicated by S. Alp, loc. cit, and also in the Index p. 424 s.v. 14 Letter written by the king to Pišeni, where the Palace is mentioned in Obv. 14 and Rev. 49, in connection with the distribution of wheat and straw(?) in an emergency situation. 15 See here above, on the case of the horses and chariots about which ÷imuili wrote to Tarøunmiya. 16 Letter from Piyatarøu to ÷imuili: in Obv. 15 f. the sender informs the recipient that chariots have been assigned(?) (see S. Alp, HBM, 241 note 304 and 338) by the Palace (= to the recipient). 17 Letter from Kaššu to ÷imuili, where the Palace (Rev. 23) appears to be responsible for investigating a matter concerning the oxen of Kašipura and the fields ploughed by them. 18 Obv. 7 f. and 17 f., where ÷attušili notifies Himuili of the twofold possibility of either informing or not informing the Palace of the Tarøunmiya case, on the basis of ÷imuili’s attitude towards it. 11

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receiving its favours (HKM 1021 and possibly 63).22 From such Palaces orders were also sent out (HKM 75,23 8824 and 94;25 the initial part of these three letters is fragmentary). Unfortunately, the texts mentioned here do not supply enough information for us to know for certain, for the cases being considered in them whether or not different Palaces were involved26 and to postulate their precise location. Obviously the recipient of each letter knew perfectly well which Palace was being referred to in them. This might 19 Letter from the “priest” of Kizzuwatna to Kaššu, in which, in Obv. 8-11, the possibility in expressed that the sender notifies the Palace of a matter which has arisen in connection with Kaššu’s refusal to return some of his subjects to the sender. From the tone of the letter this priest appears to have held a government position in Kizzuwatna; this is not surprising, since the office of “priest” in Kizzuwatna appears to have been particularly important and not involved religious functions only: see F. Imparati, FsLaroche (1979) 174 note 40; see also pp. 171 ff. in connection with Kantuzzili, possibly the son of Tutøaliya I/II and Nikalmati, appointed priest of Teššup and ÷epat in Kizzuwatna (172 note 21, cfr. also note 22); this person is probably to be identified as the “priest” who sent letter HKM 74: see J. Klinger, ZA 85 (1995) 93-99, who also claims that Kantuzzili may have been the son of Arnuwanda I and Ašmunikal; cfr. also S. Alp, HBM, 111 f. and 342. 20 The heading is missing and the context is very unclear. The Palace is mentioned in Obv. 7 and 12; in l. 12 f. it seems that reference is made to writing something to the/in the Palace. 21 Letter from the king to Gaššu; in the postscriptum sent by ÷attušili to ÷imuili, in Rev. 47-52, the sender announces that he will take it upon himself to talk at the Palace about a matter concerning ÷imuili’s “sons-in-law”. On this see S. Alp, HBM, 309. 22 Letter from Piyatarøu to ÷imuili (cfr. above note 16): in Rev. 12-14 the sender almost seems to justify himself for not having announced ÷imuili’s brother in the Palace; evidence for the existence of a matter concerning Himuili’s brother is found in letter HKM 2 Lower Edge 10 ff., see S. Alp, HBM, 62. 23 In Obv. 5’-7’ it is said that the overseer of the NIMGIR.ÉRINMEŠ brought the word (= the order) of the Palace; on this functionary see F. Pecchioli Daddi, OA 14 (1975) 118 ff.; S. Alp, HBM, 70 ff.; R. Beal, THeth 20 (1992) 484 ff. 24 In Lower Edge 10’-11’ it is said that the word (= the order) of the Palace has been written to someone, not clearly identifiable. 25 In Rev. 8’-9’ there could be mention, according to what is proposed, albeit tentatively, by S. Alp, HBM, 297 with note 503, of the notification of something by the Palace. 26 Only in HKM 81 - sent by Tarøunmiya to two persons whom he calls his lord and lady and also father and mother, therefore of a superior status to his own - in Lower Edge 19-Rev. 20 is there mention of the Palace of ÷anø[anaJ, unfortunately, however, in a highly fragmentary context.

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explain why in these documents the term É.GAL is not accompanied by any geographical indication, with the exception of one Palace (situated) in ÷anø[ana] (see HKM 81 Lower Edge 19- Rev. 20: cf. note 26). This geographical indication and the fact that in letter HKM 3327 Rev. 25’-27’, in all extremely fragmentary context, reference is made to the defence of “all the Palaces” (l. 25’: É.GAL øuman[teš)28 would seem to suggest that different Palaces were involved in the various letters; this, however, does not help in locating them. Moreover, the fact that two of these letters (HKM 10 and 24), which dealt with two separate issues, were sent by the king is not, in my opinion, sufficient evidence to suggest that the Palace referred to in them was in ÷attuša. We should remember, indeed, that from letter HKM 20 it emerges that the king, the sender of it, was at the time in Šapinuwa (present-day Ortaköy),29 it being specified that the city was reachable in two days, evidently from Tapikka.30 At this point, it would seem plausible also to hypothesize that in most of the above-mentioned cases reference is made to the same Palace, situated in an administrative district not far from that of Tapikka, but of greater prominence. The administration of Tapikka would presumably have consulted this Palace on issues of greater importance; there would therefore have been no need for geographical specifications to indicated it. Occasionally the king would stay in this Palace for a period of time, for various reasons (military, religious, administrative), and see to various affairs involving neighbouring districts, to whose governors he must at times have sent letters. For their own part, these governors would take advantage of the fact that the king was in their

The heading and a large part of the tablet have not survived. And also of the defence of something else, nothing of whose designation has remained in the letter other than an indication of the plural. 29 On the identification of Ortaköy as the Hittite Šapinuwa see A. Süel, Belleten 59 (1995) 271-283. 30 In this letter the king orders its recipients, Gaššu and Pipappa, to hastily mobilize the troops of Išøupitta and (Lower Edge 10-12) take them “rapidly in two days before My Sun”. Compare, instead, letter HKM 15, where the king writes to Gaššu and to Zilapiya, telling them to lead, together with troops, warriors on chariots, which they have at their disposal, rapidly in three days before My Sun, something which may indicate that at the time the king must have been in a place that was not Šapinuwa. 27

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area to inform him of various matters and consult him with a view to resolving various issues. It is interesting in this context to remember that from letter HKM 60, another of the letters where there is mention of the “house” of Tarøunmiya (see note 7),31 we learn that, as S. Alp has observed,32 Tarøunmiya was in Šapinuwa at the time of its writing.33 I believe that this is confirmed, among other things, also by the fact that the sender of the letter, Šarpa, a high dignitary who at the time occupied a political position of considerable importance in Šapinuwa,34 alluding to certain damages suffered by Tarøunmiya, referred to what the latter had “said” to him (memišta, Obv. 11 and 21[), rather than what had been “written” to him, as occurs instead in other cases. Now, given that we know that Šapinuwa was a more important district than that of Tapikka,35 whose administration appears in certain respects to have been under the jurisdiction, or at least within the sphere of influence, of Šapinuwa, to me it seems possible that in our letter HKM 52 (and perhaps also in others where the term É.GAL appears) reference is made to the Palace situated in this centre. The existence of a Palace here has been known about for some time, and is confirmed by excavations presently being carried out there. In fact, from many Hittite texts from the archives of ÷attuša we learn of the great importance which Šapinuwa had during the course of Hittite history, as a religious centre, as a political and administrative seat, and as a military base. We know that some Hittite rulers resided there on various occasions. Moreover, there are several references to the Palace of Šapinuwa in these documents, from which we get a sense of its Presumably subsequent to the letter under examination: see S. de Martino-F. Imparati, op. cit., 112. 32 HBM, 97 (cfr. also p. 92 sub Šarpa), see also S. de Martino-F. Imparati, op. cit., 112 note 65. 33 This does not mean that Tarøunmiya resided there (see above), but simply that he was in Šapinuwa at that time. 34 According to S. Alp, HBM, 92, the position of Šarpa was superior to that of the LÚEN MADGALTI of Tapikka. 35 See S. Alp, HBM, 36 f.; this also seems to emerge from some still unpublished letters from the excavations presently being carried out at Ortaköy, according to a communication by A. and M. Süel in the course of a lecture and a seminar held at the Department of History of the University of Florence on 30-31 March 1995, see also A. Süel’s article, cit. in note 29. 31

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prominence, and members of the staff (LÚMEŠ) of this Palace are also mentioned.36 The importance of the Palace is also clear from the imposing structure of the building that has come to light in the course of the excavations of Ortaköy.37 The hypothesis of identifying the Palace of Šapinuwa as the Palace mentioned in letter HKM 52 and also in other letters from Ma$at would be consistent with the close ties which this centre seems to have had with ÷attuša and with the royal family in the Hittite Middle Kingdom,38 ties which continued to exist in later periods. In any case, whatever the location of the Palace mentioned in letter HKM 52, it seems clear from the context that Hattušili had a certain influence in this centre. The phrase in Obv. 17 f., particularly, almost sounds like a threat directed at ÷imuili in the event that the latter fails to protect the “house” of Tarøunmiya: “(Obv. 15-18) Now (you = ÷imuili) keep your eye on (this); they must not continue to oppress him (= Tarøunmiya); if not, I will come (and) say this/report this in the Palace”. Moreover, the use in this letter too,39 in Obv. 8 and 18, of the verb mema- (rather than øatrai-) seems to support the hypothesis that Hattušili was actually in the locality where this Palace was situated and that he had the opportunity to talk directly to influential people about matters which concerned him, like this one regarding the “house” of Tarøunmiya. As has already been pointed out, in connection with the passage in Rev. 42-Upper Edge 46, Tarøunmiya also had relations with this Palace, evidently because of his profession as a scribe, although he had less influence than ÷attušili.

36 See RGTC 6, 347 f. and 6/2, 139 f.; see also V. Haas, Die Serien itkaøi und itkalzi des AZU-Priesters, ChS I/1 (1984) 10 f., who points out the influence of Šapinuwa in transmitting Hurrian religious elements in ÷attuša from the time of the Middle Kingdom, and AoF 12 (1985) 275 f.; see also M. Forlanini, RIL 125 (1992) 289 with note 49. 37 See A. Süel, XIV. Kaz½ Sonuçlar½ Toplant½s½ II, 25-29 May½s 1992, Ankara, 495 ff. and Resim 1. 38 See V. Haas, AoF 12, 275, who has seen a connection between the HurrianHittite dynasty set up in ÷atti by Tutøaliya I/II and the city of Šapinuwa; see also S. de Martino, EOTHEN 4 (1991) 20. 39 Cfr. what we observed above for letter HKM 60 Obv. 11 and 21[.

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2. The “house” of Tarøunmiya The damages inflicted on Tarøunmiya and his “house” is also mentioned in other letters from Ma$at, the context of which has enabled us to hypothesize a sequence of the events described in them.40 The act of “damaging” is expressed by the verb dammešøai-,41 which is often used in these letters in connection with damage to agriculture inflicted by enemies. We also find instances in which this verb refers to damage of another kind, as, for example, in the above-mentioned letter HKM 60, in which Šarpa in Obv. 14 speaks of damage brought to bear on Tarøunmiya by two persons; further on in the same letter, Rev. 22-26, it is specified that one of these persons has in fact broken Tarøunmiya’s chariot, which therefore has to be repaired well for him. The verb in question, with the meaning “to inflict damage” or “to oppress”, is also found in letter HKM 80 Obv. 6’. The first part of this letter has not survived, so we know neither the name of the sender nor the name of its recipient. We can deduce however that the sender must have been of lower rank since in Obv. 5’ the former addresses himself to the latter using the title “(my) lord”. I wonder whether the sender of this letter was not Tarøunmiya and the recipient ÷imuili, since in Obv. 5’-6’ it is written: “(My) lord, keep an eye on my house. And they must not damage/oppress it!”. Moreover, the sender of the postscriptum of this letter was Hattušili, who as we have seen was linked to Tarøunmiya. Note that the verb dammešøai- also appears in other documents together with the terms šaøøan and luzzi, and has the meaning of “to oppress” someone with these duties.42 In letter HKM 52 Rev. 37 the expression šaøøani luzzi=ya/luzziya tittanu- is used in an analogous way, i.e. “subjecting (someone) to šaøøan and luzzi/ (and) luzzi”. As has already been pointed out elsewhere43 with regard to this letter, while in the postscriptum Tarøunmiya refers explicitly to his “house” (Rev. 26, 30), in the “principal” letter written by ÷attušili the 40 On this see S. de Martino-F. Imparati, op. cit., 112; see also note 7 of the present article. 41 See J. Tischler, HEG II/79 f.: “schädigen, bedrängen, Gewalt üben; strafen”; for attestations of this verb in the letters of Ma$at see S. Alp, HBM passages cited in the index 404 s.v. 42 See CHD L-N, 91 s.v. luzzi. 43 See S. de Martino-F. Imparati, loc. cit.

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latter talks of the “house of the scribe” (Obv. 11), without further specification. Given that Tarøunmiya is in fact a scribe, it is reasonable to assume that in both cases reference is being made to the same “house”, upon which it is said, in these passages and also in other letters, that damage is being inflicted. The statement at l. 10 f., that “there within your (= ÷imuili’s) district (maniyaøøiya a[nd]a) (there is) only44 one scribe’s house”, may suggest that the place in question was not specifically Tarøunmiya’s dwelling or patrimonial and/or family complex, but possibly an administrative centre where he worked; however, this does not exclude that when he was in Tapikka he also resided there. Note, by way of comparison, the administrative centre described as the “house of the scribes on wood” (É LÚ.MEŠ DUB.SAR.GIŠ) in KUB XXV 31 + 1142/z Obv. 10.45 A public institution46 would also be suggested by Tarøunmiya’s request to place a man UKU.UŠ (Rev. 30-31) in front of the “house”, this presumably meaning a watchman/gendarme.47 It seems to me that the interpretation of this “house” as a public place is further supported by ÷attušili’s threat to take the matter up in the Palace and the weighty intervention of Šarpa, the high dignitary of Šapinuwa, in favour of Tarøunmiya’s “house”, an intervention which constitutes the reason for the “principal” letter HKM 60. In Lower Edge 18-Rev. 20 Šarpa even announces that, when he goes before the king, he will bring with him two persons who are guilty in relation to Tarøunmiya. The request for royal intervention in the matter shows the gravity and importance of the issue and is more in keeping with a situation that in some way affected also the interests of the central administration, rather than with a private affair.

See S. Alp, HBM, 215. See most recently G.F. Del Monte, OAMisc 2 (1995) 118 with note 84. 46 Despite the fact that Tarøunmiya’s worried, almost anguished tone might lead one to postulate a situation of a personal nature: see the postscriptum of HKM 52 Rev. 25-26, where Tarøunmiya invokes ÷imuili thus: “O lord, may lord, keep your eye towards my «house»”. 47 Thus S. Alp, op. cit., 217 and index 437: see instead R. Beal, op. cit., 43 note 171, who finds this interpretation “too narrow”; on the role of the “troops” UKU.UŠ in Hittite military organization see most recently S. Rosi, SMEA 24 (1984) 109 ff. and R. Beal, op. cit., 37 ff. 44 45

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3. Competences of the “men of the district” and of the “men of the town” What seems to me to be of considerable interest in the present letter is that the initiative for the imposition on Tarøunmiya of the obligations šaøøan and luzzi - as well as the responsibility for certain damages inflicted on the scribe - is attributed to the “men of the town” LÚMEŠ URULIM) and perhaps also to the “men of the district” (LÚMEŠ KURTI):48 see below. The letter we are studying has been compared by S. Alp49 with another letter from Emar (present-day Meskene),50 in which, among other things,51 consideration is made of the case of the arbitrary imposition of šaøøan and luzzi by a Hittite functionary, Alziyamuwa, who performed administrative functions in the area, on a diviner, who was “previously”52 exempt from them.53 The Hittite king intervenes personality to restore the previous situation.

Rev. 32, see also Rev. 36 and 38, where the two expressions appear separately; from the context, however, it would not seem that in the specific case this distinction alluded to a difference in the competences of these two bodies, although this may have been possible in practice due both to their size - the men of the district were certainly more numerous than the men of the town - and, perhaps, to a more diversified composition; see also below. 49 See S. Alp, GsvonSchuler, 108 and 112, and HBM, 334. 50 Msk. 73.1097: see most recently A. Hagenbuchner, THeth 16 (1989) 40-44; see also F. Imparati, JESHO 25 (1983) 264-267 (note here that the numbering of the lines of the tablet is at times erroneous, since at the time I was able to use only a provisional transliteration, kindly supplied by E. Laroche), and G. Beckman, op. cit., 31. 51 In Obv. 6-10 the diviner accuses Alziyamuwa of arbitrarily wanting to confiscate his goods in order to give them to another person, a certain Palluwa, probably a Hittite functionary; the sovereign then intervenes (Obv. 17-18a) to prevent his dignitary from carrying out this abuse of power. On direct royal interventions of this nature, not only with the aim of exercising justice equably, but also to prevent state dignitaries or functionaries from carrying out abuses to their own advantage and so becoming too powerful and therefore dangerous for royal authority, see F. Imparati, Stato, Economia, Lavoro (1988) 225-239 infra. On the use in the Emar letter under examination of the formula arøa dâ- (Obv. 8) ... pâi- (Obv. 10), corresponding to the formula NAŠU NADÂNU in the acts of donations of lands and also in other types of document, to indicate the action of confiscating someone’s goods in order to give them to someone else, see F. Imparati, JESHO cit., 261 note 126. 52 On the use of annaz as synonymous with the older adverb karu- here, as in other cases, as opposed to kinun(=ma): Obv. 11, 12; Rev. 19, 21, 23, 24), see HW2, 81. 48

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However, this last letter deals with an issue that is substantially different from the one described in the Ma$at letter. In the letter from Meskene, in fact, the sovereign condemns an abuse committed by one of his functionaries in the area and annuls the decisions taken by him (see note 51). In the Ma$at letter, instead, the arbitrary imposition of duties was effected not by a dignitary under the authority of the central government, but by members of a local community, that is, by the “men of the town”, possibly with the connivance - or at least without the vigorous opposition - of the Palace dignitary ÷imuili, who appears to have done little to deal with and resolve the matter in favour of the other employee of the central administration, Tarøunmiya. This can be gleaned from the fact that various letters and solicitations about this matter are sent to ÷imuili, requesting that he take it upon himself to resolve the case. It is probable, indeed, that in our letter also, as elsewhere in Hittite documents, the expressions “men of the district” and “men of the town” designated members of the community of free men in the various administrative centres who were not incorporated within the structure of the state bureaucracy. In fact, ÷attušili’s statement in Obv. 1 that others are responsible for causing damage to Tarøunmiya seems to me to 53 The granting of privileges to people who carried out an activity in the cultural sphere is also attested to in other Hittite documents: see, for example, § 50 and cfr. also § 51 of the Laws; see also what I observed in JESHO cit., 236 f. On p. 265 f. of this article I pointed out that in reference to the earlier situation it was repeated twice that the diviner was not obliged to perform (ešša-) the šaøøan (Obv. 10-12, Rev. 19-20), whereas now he is subjected (kattan dâi-) to šaøøan and luzzi (Obv. 12-14, Rev. 21-22) and must fulfil (eøa-) šaøøan and luzzi (Obv. 15-16); see also A. Hagenbuchner, op. cit., 43. The precise distinction between the two situations, repeated in the text twice without variations, would suggest that in the present period not only were duties imposed arbitrarily on the diviner, but also that these duties had been increased; see however JESHO cit., 245, in connection with KBo IV 10+ Obv. 40’, 42’, 44’, 45’ (whose author today, after the discovery of the “bronze tablet”, I believe was Tutøaliya IV), where it does not seem that an analogous alternation - albeit in a different context had any particular significance; cfr. the corresponding passage in the “bronze tablet”, Bo 86/299 II 59-70, where šaøøan (and) luzzi are always mentioned joined asyndetically. It should be noted that in the Meskene letter, in Obv. 15, we find a special accusative form, luzzin, in place of the usual form luzzi as a neutral accusative: this was probably an error on the part of the scribe, perhaps resulting from the attraction of the nearby form šaøøan?

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indicate that the persons in question did not belong to the central administration. Thus, if we are to accept this interpretation, we must wonder in the name of what right or authority these members of the local communities imposed duties like the šaøøan and luzzi on Tarøunmiya, who was a royal functionary. Indeed, if we accept the equation of the expression “house of the scribe” with the expression “house of Tarøunmiya”, and the hypothesis that this “house” was an administrative centre subject to the authority of the central government, the action of the local community would also have been directed against this authority. An important question emerges, therefore, and that is whether the local community might in some instances have had the competence to impose duties, particularly or an employee of the royal administration, or whether, in the case in question, it had done so unlawfully. Clearly an answer to this question would shed new light both on the competences of the local community in the sphere of Hittite provincial administration and on the relations of this element with the central government. It is interesting, in this context, to recall that in two acts, one issued by ÷attušili III and the other by Tutøaliya IV, in the passages in which these rulers grant certain goods exemption from specific duties, mention is also made of exemption from ELKU, an obligation due as much to two high dignitaries employed by the central government, the BÊL MADGALTI and the EN KURTI, as to the highest local authority, the MAŠKIM URUKI.54 Therefore, these passages inform us only of the fact that certain duties were due not only to royal functionaries, but also to a high exponent of the local community; it is not clear, however, whether or not the latter also had the authority to impose such duties. Anyway, it was always the royal power which granted exemption from what was due not only to its dignitaries, but also to the representative of the local community KBo VI 28+ Rev. 24, KUB XXVI 43 Obv. 19-20, Rev. 12, 13-14 and in its duplicate: see F. Imparati, RHA 32 (= Šaøur.) (1974) 55 ff. On the above-indicated interpretation of the expression MAŠKIM URUKI “town/village inspector”, see E. v. Schuler, FsFriedrich, 489; F. Imparati, RHA cit., 65 ff., JESHO 25 (1983) 247 ff.; G. Beckman, Atti del II C.I.H., 25; on the two royal dignitaries mentioned together, see F. Imparati, RHA cit., 56-65; R. Beal, op. cit., 426 ff., 437 ff. 54

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Now, from the letter of Ma$at that we are presently examining, Rev. 36-37, it appears that it was the “men of the town” who imposed the duties šaøøan and luzzi on Tarøunmiya, and not that they merely carried out the task of providing for the fulfilment of these obligations. From the context of this letter, when there is mention of the imposition of these duties, it seems to me that we can infer that there was a request for the intervention of the royal dignitary, put in charge of the administration of the district of Tapikka, against this action of the “men of the town” only because the scribe in question was not bound to fulfil such duties and not because the local community had carried out an action that did not lie within its competence. In fact ÷attušili, in Obv. 13-14, asks ÷imuili: “(Are there) šaøøan and luzzi (obligations) for the scribes? Why does (he = Tarøunmiya) continue to perform them there55?”.56 And in Rev. 34-39 Tarøunmiya writes to ÷imuili: “Moreover for me there was no (obligations) šaøøan and luzzi. Now the men of the town have subjected me to šaøøan and to luzzi I (and) to luzzi. So, (my) lord, ask those aforementioned men of the district, [i]f I have (ever) performed šaøøan and luzzi”.57 Note that in this passage the “men of the town” are mentioned separately from the “men of the district”, something that instead does not happen either in this letter or in the others cited in note 7 when mention is made of the damages inflicted on Tarøunmiya and his “house”. However there are no elements for attributing any particular significance to this distinction; besides, the enclitic particle -pát, attached in Rev. 38 to the expression “men of the district”, would suggest a connection with the expression “men of the town” previously mentioned in Rev. 36.

In the administrative district of Tapikka. See G. Beckman, op. cit., 26. 57 We could perhaps hypothesize that Tarøunmiya, although a royal employee, also had usufruct of lands situated in Tapikka and belonging to the local communities which, for this reason, would have imposed these duties on him. We may recall, in this regard, that in §§ 40 and 41 of the collection of Hittite Laws we find Palace employees and members of the local communities associated in the usufruct of lands, which were in fact subject to šaøøan: see F. Imparati, JESHO 25, 229 ff. and 262. However, no reference is made in the Ma$at letters relative to the case of Tarøunmiya (see note 7) to duties linked to the usufruct of lands. 55

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With regard to a deeper knowledge of the competences of the local community, in the sphere of the provincial districts, and about its relations with the central government, it may be useful to remember that according to various texts from the archives of ÷attuša the local community appears in some cases to have been charged by the sovereign with exercising a form of control over royal employees in the administration and government of the various state provinces, the idea being to prevent the latter from committing abuses to their own personal advantage.58 It is interesting, in this context, to recall that in an edict issued by Tutøaliya I/II,59 where it is established who has or has not the right to open a royal granary,60 the “men of the town” are charged with the task of seizing whoever has opened the said granary against the royal will and taking the guilty person to the “king’s gate”, that is, the royal court, should they fall to do this, they themselves, the “men of the town”, are obliged to identify the damage caused by the opening of the granary. This is a demonstration of the involvement of the local community by royal authority, which attributes to it both the function of guarantor in respecting the sovereign’s will, and joint responsibility in the misdeed and corresponding punishment in the event that this will fails to be respected.61 And the letter HBM 52 here under examination appears to show that in certain circumstances the local community may have had the

See F. Imparati, Stato, Economia, Lavoro, 232-234. KBo XIII 9 + KUB XL 62 (CTH 258). For the transliteration and translation of this text see E. v. Schuler, FsFriedrich 446 ff. and also R. Westbrook-R.Woodard, JAOS 110 (1990) 641 ff.; in both cases, however, the text is attributed to Tutøaliya IV. See also the duplicate KBo XXVII 16. 60 III 3’-11’. Here it is said (ll. 3’-8’) that this task is the concern of those who administer the Palaces or a royal functionary delegated by them, and not an [AGRI]G? administrator (keeper of the royal storehouses), a doorkeepers or a farmer. On the role of the AGRIG in the Hittite texts see I. Singer, AnSt 34 (1984) 97 ff. 61 I wonder whether this joint responsibility was not due to the fact that the people who were prohibited from opening the king’s granary - AGRIG administrator, doorkeepers and farmer - might themselves too form part of the local communities, or at least have some connection with them. 58

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power to impose duties on someone, even, in this specific case, a royal functionary.62 Admitting that such a possibility existed, we have now another element, even if small, to delineate the competences of the local community in the provincial seats. We are therefore increasingly obliged, in this context, to acknowledge the extraordinary value of the documents that are preserved in the archives of these centres.

62 In the case in question, as has already been pointed out, the provincial governor, ÷imuili, royal functionary, does not appear to put himself out excessively to protect the employee who has suffered damages, namely the scribe Tarøunmiya.

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XXXI.

TWO MYTHOLOGICAL FRAGMENTS CONCERNING THE DEITY PIRWA1

During a study of some mythological texts where the deity Pirwa2 appears, two fragments of the thirteenth century B.C.3 containing Luvianisms or Luvian loanwords seemed to be of particular interest. For a number of reasons which it would take too long to go into here, the hypothesis was put forward that in both cases these were fragments of bilingual texts.4 Unfortunately, the fact that they are fragmentary has made comprehension of them difficult; nonetheless, for one of them, some proposals for interpretation have been offered,5 which will be discussed

To Horst Klengel in remembrance of a long-standing friendship and collaboration as a token of my profound esteem. I would like to thank very much my colleagues Prof. Volkert Haas and Prof. H. Craig Melchert for having read this work and for having provided me with useful suggestions. 2 On Pirwa see most recently V. Haas, GHR (1994), the passages cited in the Index 926 f. s.v.; M. Popko, Religions (1995), the passages cited in the Index 227 ss.vv. Pirwa and Peruwa. It is possible that Pirwa was a “bisexual” divinity; nevertheless. it seems difficult to me to establish which was Pirwa’s sex in different periods and cultures of II millennium Anatolia. I deal also with this subject in a monograph about Pirwa, in course for many years now and at this point quite close to conclusion. For this reason I have used here always together both masculin and feminin genders regarding to Pirwa. 3 For the dates of these two fragments, see F. Starke, StBoT 30 (1985) 253 and 254. Ph.H.J. Houwink ten Cate, Effigies Dei (1987) 16, points out that Bo 6483 (= KUB XLVIII 99) “shows older language forms”; cfr. also p. 17 and note 20. 4 For the earliest discussion of this, see H. Otten, JKF 2 (1952) 70, and VIO 19 (1953) 23 note 33, and most recently, F. Starke, StBoT 30, 216. 5 See H. Otten, JKF 2, infra, and especially the pages indicated on page 70; F. Starke, StBoT 30, 216 f. O. Carruba, Part. (1969) 65-67, who offers an interpretation of some passages of this fragment, in connection with the possibility that there existed also in Hittite the Luvian conjunction introducing a sentence a-; on this conjunction see 1

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in the course of this essay. For the transliteration of the two texts, see E. Laroche6 and F. Starke;7 some different hypotheses for reading and interpretation will be treated in due course. The following is a proposed translation of the two documents. I. KUB XLVIII 99 (CTH 337.1) Ro 1’ ]xxx[ ________________________________________________________ 2’ The Goddess Queen sa[w] that 3’ and she loo[ked](?) into the heart of Pirwa. ________________________________________________________ 4’ The Goddess Queen [to the] young me[n] (= to the escort) of Pirwa 5’ [began] to speak: ________________________________________________________ 6’ “Who it, the eagle, [to] Pirwa (or: Who him/her, the deity Pirwa an eagle) 7’ wi[ll] lead from ÷aššuwa, ________________________________________________________ 8’ then to him (= to him who takes back Pirwa/the eagle to Pirwa) we shall give much good (= wealth), the king 9’ Pirwa wi[ll] make [him] rich/Pirwa wi[ll] make rich (l. 8’) the king.”. ________________________________________________________ 10’ The young men (= the escort) of Pirwa pu[t] themselves on the road/undertoo[k] the road, 11’ the assembly (accus.) ________________________________________________________ 12’ placed (= they convoked/one convoked) - the assembly (accus.)! (the young men) 13’ began to boast. ________________________________________________________ also HW2, 369 s.v. a-aš-ša, and H.C. Melchert, CLL (1993) 1; cfr. also Ph.H.J. Houwink ten Cate, Effigies Dei, 16. 6 RHA 23 (1965) 174 f. where the transliteration of KUB XLVIII 99 (CTH 337.1) is given. 7 StBoT 30, 253-255, who gives the transliteration of both texts.

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14’ åThe deity¥ Ilali boaste[d]: 15’ åI¥ wi[ll] bring it.” ________________________________________________________ 16’ [The deity Ša]n?øuppiya bo[a]st[ed]: 17’ “[I] wi[ll] bring it.” ________________________________________________________ 18’ [the deity Duwi?]ni [boasted] Verso not preserved. 1. Notes on the translation l. 3’. On the reading of the first signs in this line as a-aš ŠA, see O. Carruba, Part., 67, and F. Starke, StBoT 30, 253. E. Laroche, RHA 23, 174, reads it differently: a-aš-ša; in effect the sign ŠA in the autograph of the text seems to be attached to the two preceding signs; in this case we should consider Pirwa to be an apposition to -aš, the subject of the sentence. E. Laroche also reads the verb at the end of this line as ša-a[it?]; consequently, the passage would he rendered as: “then he/she, the deity Pirwa, became an[gry] in his/her heart.” We note that this form of the verb is found in the Myth of Telipinu, KUB XVII 10 I 22’ etc. (see HW, 174) with reference to the anger of that god. O. Carruba, loc. cit., observes however that this verb would require the presence of -z(a), so that he prefers here the integration šâ[øta] “loo[ked] for/exami[ned]”. Differently from E. Laroche’s restoration and the consequent interpretation, in H.C. Melchert’s opinion there are two other counts: “(1) the non-writing of the final -aš on a nominative Pirwaš in a line otherwise written phonetically would be very odd; (2) a-aš-ša could only be interpreted as a=ašš=a, with subject ‘he/she’ and the geminating conjunction -a ‘also’. But this conjunction never occurs with an enclitic pronoun in Hittite, because the meaning ‘also’ inevitably implies some focus or emphasis of the preceding word, but this is incompatible with an unstressed enclitic pronoun”.8 I think it could be also possible to integrate it as ša-a-[ku-wa-it] “loo[ked]”. J. Tischler, HEG I/3, 556, considers the form karta as the directive of ker/kard and the form kardi as dative-locative: this seems to 8

Quotation from letter kindly written to me by H.C. Melchert.

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me to fit better this integration. Nevertheless, also for this integration there is a problem, as H.C. Melchert has noted in his letter (see note 8): “One peculiarity of this manuscript is that in all preserved lines, the last sign of every line is postponed to the very end of the line, not just in the last line of each paragraph, as is common. ... If the autograph is correct in implying that there is a space after ša-a- and before the break in line 3’, then only one more sign could have followed - at the very end of the line..... I realize that we are assuming [da-iš] with two signs at the end of line 5’, but I believe there are cases of this word written virtually as a ligature, so I find this a less serious problem.” l. 4’. As examples of the use, moreover not very frequent, of the expression memiškiwan dâ-/dâi-/tiya- (l. 5’[) together with the enclitic particle -za in the sense of “begin to speak,” see two passages from the Myth of Appu, II 13-14, IV 6-7.9 The last term in line 4’, ma-a-ya[(-), most likely incomplete, creates another problem for interpretation. I have accepted here the integration ma-a-ya-[aš] proposed by E. Laroche, loc. cit., since it seemed to me the only one which could give some sense to the phrase. I have thus considered the term as a dative plural of (LÚ)maya-, understanding its meaning to be that of a grown man, in the sense, though, of a man at the height of his strength more than that of adult man.10 In my opinion, the passage being examined - and also the following line 10’ - alludes to young men who acted as a kind of escort or bodyguards for Pirwa;11 see also below, note to line 10’.

Such a use is however not followed throughout this whole text: cfr. J. Siegelová, StBoT 14 (1971) 8 f. and 12 f. and the other passages cited in the Index, p. 102, and J. Boley, Particle (1993) 93. 10 Cfr. CHD L-N, 113 ff., ss.vv. mai- etc., maya- and (LÚ)mayant- and other related terms; S. de Martino, Atti del Convegno su “Fascino e bellezza. Ideale maschile nell’antichità pre-classica”, Roma 1992, 33; H.C. Melchert, CLL 145, s.v. [mâya/i-] “much, great”. According to this latter scholar, furthermore, the term in question belongs to the Hittite rather than the Luvian sphere, contrary to F. Starke, StBoT 31 (1990) 506 and note 1866; see also H.C. Melchert, op. cit., 146, where he observes that mâêš (l. 10’) and mâya[š] (l. 4’) in our text “belong to the Hittite cognate LÚmâya-, ‘adult’. contra F. Starke, StBoT 30, 254. 11 For a different interpretative hypothesis of this term, see O. Carruba, Part., 65 f. note 47. 9

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l. 6’. E. Laroche, loc. cit., proposes, albeit with doubt, to integrate the lacuna at the end of this line with -[aš?], thus the name of Pirwa should be considered as a genitive; in that case, however, this would have had to precede the term øaran, to which it refers: see in fact lines 4’ and 10’, if one accepts the interpretation I have proposed there of the terms mâya[š] and mâêš.12 E. Laroche, on that same page note 1, proposes also the alternative possibility of integrating in the same lacuna the sign -an: in that case the name of Pirwa would be in the accusative case. J. Puhvel, HED 3, 137, agrees with this proposed integration, and thus translates ll. 6’-8’: “he that brings him, P. [as] an eagle [i.e., ornithomorphously?] from ÷., to him we give much good:” to support the possible ornithomorphism of Pirwa he recalls the existence both of a øégur (mountain peak) ÷arana13 Eagle Rock - and of a NA4øékur Pirwa.14 For this interpretative hypothesis a comparison is useful also with the text we shall discuss later (KBo LX 59 l. 6) in which Pirwa could he mentioned in the form of a lion (see below in the note concerning this line and the commentary on the text, infra). However, it also seems plausible to integrate in the lacuna at the end of this line the dative ending (DPí-ir-wa-[i]), which fits in well with the structure and meaning of the sentence in question. For both hypotheses, in any case, it is interesting to note the proposal of some scholars to link the name of Pirwa etymologically with the term peruna “rock” and the ancient Indian term parwata “mountain”15 and to keep in mind that in Hittite documents the eagle is often associated with mountain divinities.16 On the consequences that the interpretations proposed above for the lacuna at the end of this line could have on the interpretation of the text, see below in the commentary. Certainly, it could be objected that the normal Hittite sentence structure does not seem to be followed in this text, perhaps for poetic purposes: see in fact the notes to lines 10’-12’. 13 Cfr. F. Imparati, SMEA 18 (1977) 20 with note 7. 14 See F. Imparati, SMEA 18, 38 ff. 15 See apud V. Haas, GHR, 412 with note 8. 16 See in particular B.J. Collins, Animals (1989) 103-136 infra; cfr. also H. Ertem, Fauna (1965) 179-186 infra; P. Taracha, AoF 14 (1987) 263-273 infra; see also below note 40. 12

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In this context, it is interesting to recall that also the Luvian fragment KUB XXXV 111 III 6 - which perhaps could be considered a join to our document (see note on l. 14’) - speaks of “eagles”. ll. 8’-9’. E. Laroche, loc. cit., and E Starke, StBoT 30, 254, integrate the lacuna at the end of this line with a dative ending, LUGAL-[i] without however furnishing any justification; could they have considered this term to be linked to the enclitic personal pronoun - present in the first word of the line, in the sense, perhaps, of “now to him, to the king, we shall give much good”? In that case, however, one must assume that in line 9’ the complement object of the verb øappinaøø- “to make/render rich” is unexpressed (cfr. below); on this verb see most recently J. Puhvel, HED 3, 124. O. Carruba, Part., 66, translates lines 6’-9’ as: “wer ihn, den øaran dem Pirwa (oder “den Pirwa”?) aus der Stadt ÷aššuwa zurückbringt, dem gehen wir viel Gutes, (und) der König (Nominativ?) Pirwa macht ihn reich.” Carruba seems here to take the term LUGAL as the appellative of Pirwa, which however - as far as I know - does not appear anywhere else; for this translation too, as in the case of the text cited above, one must assume that the complement object of the verb øappinaøø- is unexpressed. On this subject H.C. Melchert17 notes that at the end of line 8’ “there is enough room to restore LUGAL-[ša-an], which would be an expected phonetic complement for øaššuš=an ‘the king him’ ”. In my opinion, moreover, for this interpretation of the passage it is interesting to compare the lines 9-12 of the following text, where it seems to say that Pirwa ruled as king (LUGAL-itta) in a vigorous/strong manner (cfr. below, the relative notes and commentary to the text).18 It also seems plausible to me, however, to integrate LUGAL-[un] at the end of line 8’ and consider this term as the object of the verb øappinaøø- (whose subject would be Pirwa), understanding the passage to say that the deity Pirwa, once he/she has been found or they have brought the eagle back to him/her - that is, once his/her anger has been See note 8. H.C. Melchert observes that: “the fact that the Goddess Queen seems to be Pirwa’s consort also argues for his being a king”: see below note 26; nevertheless, it seems to me that we do not have, at present, enough elements to assume such an union. 17

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appeased - will give well-being to the king. In fact, as is known, also in other myths of the cycle of missing deities, their return brings prosperity and well-being to the king and, in all likelihood, also to the country he represents; see, for example, the concluding section of the first version of the myth of Telipinu.19 l. 10’. Two translations can be proposed for this line, however the choice of one or the other does not change the meaning of the passage in any substantial way. According to the first hypothesis, KASKAL-an should be considered a directional accusative, -za-an as the contraction of *-za=šan (see HW, 259), the verb form dâir from dâi-/tâi- “to place” (on which see, for example, J. Siegelová, StBoT 14, the passages cited in the index 109): the sentence in question should thus be understood in the sense of “put oneself on the road.” We recall, though, that J. Boley, Part., 55 ff., among the citations of the enclitic particle -za united to certain verbs, presents several instances relating to dâ- “to take,” but not to dâi-/tâi-, “to place.” Moving on to the second hypothesis, which considers our dâir to come from dâ-, “to take,” we note that M. Ciantelli20 gives examples of this verb united with -za, but not with -šan. However, in HW, 201 f., among the various meanings of the expression šara (cfr. -šan) dâ-, there appears also that of “undertake”: nonetheless, the particle -za is not present. In CHD P s.v. palša-/palši-, we find on page 71 sub b. the expression KASKAL-an epp- (whose meaning does not seem unlike that of KASKAL-an dâ-) “to take the road;” but the examples given do not present either the particle -za nor the particle -šan. On that same page, sub d., examples are given of expressions formed with an accusative + KASKAL-ši ... dai- in the sense of “to put someone on the road”.

19 KUB XVII 10 IV: (25) ... DTelipinuš=a LUGAL MUNUS.LUGAL nu=uš=za (26) øuišwanni innarauwani EGIR.UDMI kappuwêt (27) Telipinuš=za LUGAL-un kappûit: see E. Laroche, RHA 23, 98; H.A. Hoffner jr., Hittite Myths Atlanta 1990 (= WAW 2), 17; F. Pecchioli Daddi-A.M. Polvani, La mitologia ittita, Brescia 1990 (= TVOA 4.1) 83 f. 20 Das hethitische Verbum da-, “nehmen”, Heidelberg 1979 (= Thes. 9), 183 ff. infra.

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It seems in any case possible to understand the expression in question also as “The young men (= the escort) of Pirwa too[k] on themselves (= undertoo[k]) the road”, which does not really change the line’s basic meaning. On the translation of the term mâêš in line 10’, see the note to line 4’. F. Starke, StBoT 31, 506 note 1866, interprets this word here instead in the sense of “mächtig,” referring to Pirwa; such an interpretation, however, as I have said above, does not seem to me to give the sentence much sense. ll. 11’-12’. It is difficult to understand which verb governs the two accusatives tuliyan in these two lines. The first, in fact (l. 11’), would seem to come at the end of the paragraph, according to the paragraph stroke between lines 11’ and 12’. However, the hypothesis seems unlikely that this accusative is governed by the preceding verb form dâ[ir] placed at the end of line 10’, both because of the position which it would occupy in this case, unusual in terms of the normal structure of Hittite sentences (this consideration is valid also for the position of the same accusative in line 12’), and because it seems more logical to think that the verb dâ[ir] at the end of line 10’ takes the accusative KASKAL-an found at the beginning of this same line (see above). On the other hand, the following verb dâir (l. 12’), because of the presence of the enclitic particle of direct discourse -wa attached to it, should have been found at the beginning of a sentence; in that case, though, it would precede and govern the following accusative tuliyan, which would thus appear in an anomalous position in the sentence (see above). Nevertheless, we find an unusual placement of the particle -wa21 also in the following text, KUB LX 59 112: see my observations on this in the note to line 9 of this document. Therefore, in the text being examined here, either we understand at the end of line 11’ a verb governing the preceding accusative tuliyan, or we consider this accusative to be governed by the verb form dâir in line 12’. This second alternative seems to me to be the best solution: the repetition of the two accusatives before and after the verb in an unusual position for Hittite sentence structure could be justified as a form of 21

That is, not at the beginning of a discourse.

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emphasis, since the text is very likely a poetic composition (see above). For this reason, in agreement with the structure of the tablet, the paragraph stroke would have been placed between lines 11’ and 12’, which otherwise does not appear to be justified by the context. As for the verb form dâir in line 12’, I feel that it should be understood as “they placed” (rather than “they took”), in the sense of “they convoked” the assembly, presumably of all the gods. The possibility also exists that this verb form has here an impersonal valence (differently from line 10’) in the sense of “one placed/one convoked the assembly”, that is, the promoters of the assembly of the gods were not the young men of Pirwa’s escort, who would however have been invited to take part in order to present their plans. Moreover, regarding the presence in line 12’ of the particle -wa attached to this verb, even though in an anomalous position (see above), it does not seem to me that it here serves to introduce a direct discourse as in lines 6’, 15’ and 17’, but rather that it indicated the continuation of the mythological narrative, as in lines 2’ and 14’ (cfr. the note to line 9 of the following text). l. 14’. The deity Ilali, at our current level of knowledge, is mentioned only in another fragment in the Luvian language, KUB XXXV 111 III 9 (CTH 768.1), dated by F. Starke (StBoT 30, 216 f. and 249 f.) in the thirteenth century B.C. and compared by him with the document being examined here. On the basis of the structure of the two texts (both divided into paragraphs of two lines each), the size of the writing, the ductus and the color of the clay, he has offered the very believable hypothesis that they could belong to the same tablet, without direct contact. On the deity Ilali see H. Otten, RlA 5 (1976-1980) 48 ff., with bibliography.22 l. 16’. The integration at the beginning of the line with the name of a divinity is based on the context; the name of the deity Šanøup(p)iya

22 Cfr. also J. Tischler, HEG I/2, 354 s.v. ilaliya- “begehren”; J. Puhvel, HED 2, 355-357, s.v. ilaliya- “desire, want”; V. Haas, GHR, the passages cited in the index 922, ss.vv. Ilali, Ilaliyant-Gottheiten and llaliyantikeš; M. Popko, Religions, the passages cited in the index 223, s.v. Ilali(y)a(nt).

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seemed to me to he the only one that could fit the signs present after the initial lacuna.23 The bits of signs surviving at the end of this line, according to the autograph of the text, permit a reading w[a]-l[u]-u[t?-ta-at] “bo[a]st[ed]”, which fits well with the context, cfr. in fact l. 14’: see H.G. Güterbock, apud E. Laroche, RHA 23, 175 note 3; otherwise, F. Starke, StBoT 30, 254. O. Carruba has verbally suggested to me the hypothesis of understanding this line and the following line 17’, unfortunately quite damaged, as: “(16’) he (= Ilali) to [T]uøuppiya (see RGTC 6, 434 f., 6/2, 172) [in the] ci[ty] (U[RU-ri) [went] (17’) [but he did not] fin[d] it”; then the next deity would have intervened, but with the same result, and so on until the element who would resolve the situation was sent out. This hypothesis is attractive; however the presence of the enclitic particle of direct discourse in line 17’, -w]a-ra-, confirms the analogy with lines 14’-15’. This is not surprising, if we accept the hypothesis that here we are dealing with the young men of Pirwa’s escort, who are mentioned earlier always in the plural: it seems quite. logical that later they would have stood to speak one after the other. l. 18’. I have integrated the lacuna with the name of the deity Duwini on the basis of a comparison with KUB XXXV 111 III 3, where this divinity appears in the same column where Ilali is also found: see above note to line 14’.24 2. Commentary This document seems from the context to be part of a mythological cycle concerning the disappearance of a deity who was angry for some reason.25 Unfortunately the fragmentary nature of the tablet and, as has been seen in the notes to the text, the various possibilities for integration

23 Cfr. J. Jie, A Complete Retrograde Glossary of the Hittite Language, Istanbul 1994, 72; on this divinity, see most recently V. Haas, GHR 743 ff. 24 On Duwini and his citations in documents, see E. Laroche, Dict. Louv., 101, and H.C. Melchert, CLL, 240. 25 On the most important Hittite myths which are part of it, see most recently H.A. Hoffner jr., Hittite Myths, 14-22, 24 f., 26-30, 35-37; F. Pecchioli Daddi-A. M. Polvani, op. cit., 57-108.

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and thus for translation of some passages influence the overall reconstruction of the part of the myth which has survived to our day. It seems valid, once again on the basis of the context, to think that the angry deity was Pirwa and that the Goddess Queen - who often appears in documents of various types together with Pirwa26 - looked for the reason for this anger by examining the deity’s heart. In any case, lines 4’ ff. tell us that the Goddess Queen worked to find a solution to the situation. She seems here to be taking the role usually held in this mythological cycle by ÷annaøanna, that is, the role of the wise goddess to whom the other gods appeal for advice and who is able to resolve difficult situations in a positive manner.27 The Goddess Queen, perhaps because of her connection with Pirwa, occupies here the place of that goddess. So, the Goddess Queen called the young men who made up the escort of Pirwa (see note to line 4’) and asked them to bring back from ÷aššuwa either Pirwa in the form of an eagle or the eagle that, in this specific case, belonged to or was sacred to this deity (see note line 6’).28 Accepting the second hypothesis, one could consider the eagle’s disappearance as the reason for Pirwa’s anger and consequent disappearance. This would be of great interest because usually in texts of this type the reason for the anger provoking a deity’s disappearance is not known.29 See most recently V. Haas, GHR, 413 note 18, 475 with note 59; M. Popko, Religions, 114. 27 See H. Otten, RlA 4 (1972-1975) 108; G. Kellerman, Heth 7 (1987) 109-147, and especially 128-131; see also G. Beckman, StBoT 29 (1983) 239 ss., and most recently V. Haas, GHR, the passages cited in the Index 921, s.v. ÷annaøanna; M. Popko, Religions, the passages cited in the Index 222, s.v. ÷an(n)aøan(n)a. 28 There comes to mind here the recurring presence of the eagle in the mythological cycle concerning the disappearance of a divinity, where this animal is given the task of finding the god, a task however at which he always fails, while the bee, a tenacious worker, succeeds (see E. Laroche, Dict. Myth., Paris 1981, 27); however, because of the different context in which the eagle is mentioned in our document, it seems impossible to propose any sort of comparison. 29 Given, however, the fact that many of these texts are missing their beginnings, we could presume also that the reason for anger was described there. Nonetheless, it is also possible that awareness or explanation of the cause of a missing deity’s ire was not essential to the operation of bringing about his return: cfr. F. Pecchioli Daddi-A.M. Polvani, op. cit., 93 f. 26

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In any case, the Goddess Queen in line 8’ promises - perhaps in the name of all the gods, as would seem to be indicated by the use of the verb piyaweni in the first person plural - to give “much good” to whoever brings back Pirwa or the eagle to Pirwa. This deity, whose ire would by now be placated, would give him wealth: for an other possible interpretation of this passage, see note to lines 8’-9’. The young men of Pirwa’s escort prepared to undertake this task, but first an assembly was called together, during which these youths began to boast of their ability to bring about this undertaking (see notes to lines 10’-12’). From the context in fact it would seem that the deities mentioned in the following paragraphs (cfr. note to line 16’) made up the group of young men escorting Pirwa. We point out that the motif of an assembly of the gods recurs also in the Myth of Telipinu.30 And too, it is known that mythological narratives often speak of festivals in which all the gods meet to discuss and decide on particularly grave matters.31 Unfortunately, the fragmentary nature of the tablet in question and consequently the lack of the rest of our story makes it impossible to know its outcome and to ascertain if the undertaking was brought to a successful conclusion or if recourse to other elements was necessary for things to be resolved in a positive manner. This latter hypothesis would be confirmed both by a comparison with other narratives in this mythological cycle, in which the first attempts to find a missing god are never successful,32 and by the fact that in our narrative the motif of the youths’ boasts seems to receive too much emphasis for them to be the ones who manage to resolve the situation.

30 KUB XVII 10 III 28-30, which tells of all the gods seated “in the place of the assembly” (tuli[yas pidi(?)]), see E. Laroche, RHA 23, 95. 31 See most recently Ph.H.J. Houwink ten Cate, Effigies Dei, 16 ff. 32 Cfr., for example, in other episodes of this mythological cycle the successful intervention of the bee in the finding of the missing god, after all other attempts had failed. Besides. also in later narrative fables, even though not of the same type as this mythological cycle, it is almost never the first party who succeeds in bringing about a successful conclusion to an undertaking.

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II. KUB LX 59 As we have said, this text, which is contemporary with the preceding one,33 seems to contain a mythological narrative or, rather, a mythologem (see below in the commentary). Unfortunately, the fact that it is extremely fragmentary makes interpretation very difficult; at any rate, we shall attempt here to propose a translation of the Recto, commenting on certain sections. Ro I 1-2 [ ]x x he/she, (that is) the deity[ ] remo[ved]/transf[erred] [ ] that thing of the [l]ion (or: [Subje]ct, he/she, remo[ved]/transf[erred] [ ] that thing of the [l]ion [of the] deity[ ]/that thing [of the] deity[ ], of the [l]ion). ________________________________________________________ 3-5 [ ] x x the [hearin]g of the lion[ ] heale[d] well. ________________________________________________________ 6-7 [ ] x the lion [of?] Pirwa[ ]/Pirwa[ ] (as = in the form of) a lion [h]ealed well. ________________________________________________________ 8-10 The hearing heals well. (Pirwa?) reigned in a vigorous/strong way. ________________________________________________________ 11-12 Pirwa reigned in a vigorous/strong wa[y 1. Notes on the translation l. 1. The subject of the sentence could be the enclitic pronoun -aš in agreement with the name - located in the lacuna at the end of the line of the deity who would presumably have solved the problem of the lion’s hearing in a positive manner (see the following note). The possibility also exists, however, that the first lacuna contained the subject of the sentence - of which there remain the last sign and the

33

See the transliteration of this document in F. Starke, StBoT 30, 254 f.

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nominative ending -aš34 - and that the name of the deity in the last lacuna was in the genitive case, and could therefore be linked to the following term, that is, the lion, either to indicate possession: “that thing of the [l]ion [of the] deity[ ]” or considering the lion as apposition to the deity mentioned in the lacuna: “that thing [of the] deity[ ], (that is) of the [l]ion,” thus hypothesizing a thereomorphism of the deity in question (see later in the commentary). In this second case, however, the presence of the personal pronoun -aš would still have to be explained: could it perhaps be rhetorical reiteration? We do not know, furthermore, if there was something else written in the lacuna at the beginning of line 2, before the lion is mentioned (cfr., for example, the note to line 5, where we observe that at the beginning of this line, before a-aš-šu, it is most likely that nothing was written). In the autograph of the text, no sign appears after the determinative of divinity located before the lacuna at the end of line 1 (see instead F. Starke, StBoT 30, 254), so that it is not possible to formulate any hypothesis on the divine name present there. I wonder if it might not have been Pirwa, who appears elsewhere in the text in connection with the lion: see below in the note to line 5 and in the commentary; cfr. also the note to line 6’ in the preceding text, concerning a possible thereomorphism (in that specific case: ornithomorphism) of Pirwa. l. 2. The verb at the end of this line must have been nini(n)k- (see CHD L-N, 438 ff.), probably in the preterite tense. This verb means, along with “move, mobilize,” also “remove, transfer.” Accepting this latter meaning,35 we can see here a reference to an actual physical removal of “that thing” (uni) which was disturbing the lion’s hearing, perhaps by transferring it onto another object through magical rituals. l. 3. It is difficult to propose any integration for the lacuna at the beginning of this line: cfr. also line 6; from the context, though, it does not seem that the sign -mu in these two lines should he considered to be an enclitic personal pronoun.

The tablet, in fact, begins with this line. And considering also the pragmatism which characterized various aspects of the civilizations of the ancient Near East. 34

35

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Furthermore, from the context of the entire paragraph (lines 3-5) one can deduce that line 3 must have ended with the word UR.MA÷-aš. l. 4. GEŠTU-ar; corresponding to the Hittite verbal noun ištamaššuwar, seems to me from the context to indicate here and in line 9 “the ability to hear, hearing;” see J. Puhvel, HED 2, 456: “hearing, perception”, but also “attention, obedience”; see also J. Tischler, HEG I/3, 427: “Gehör”. On the verb form iyauwat-ta[t] (as in line 7 too; see also line 8: iyauwatta) from iyawa- “be healed, recover”, see J. Puhvel, HED 2, 353. l. 5. From the context and a comparison with lines 7 and 8, we presume that this line contained only the adverb aššu. l. 6. From the two hypothesized translations presented above for this passage, the first, which is based on the possibility of considering Pirwa’s name as a genitive, would however in that case put this name in an anomalous position with regard to the normal structure of the Hittite sentence. For the second hypothesis, that is; to see here a reference to Pirwa in the form of a lion, see above the note to line 1 and also further along in the commentary; cfr. also the note to line 6’ of KUB XLVIII 99, concerning a possible mention of “Pirwa in the form of an eagle.” l. 8. The subject of iyauatta seems likely, by comparison with lines 4 and following, to be GEŠTU-ar in the next line, even though this word is in an unusual position; for a similar placement of the subject, see bel(o)w lines 11 and following and the note to line 9. l. 9. I considered LUGAL-itta, present here and in line 11, as a preterite third person singular of a denominative verb “be king, rule”, as H.C. Melchert, CLL, 293, suggests, albeit with some doubt. The subject of this verb is not expressed: I feel, however, that both here and in line 11 - which seems to be a poetic reiteration of lines 9-10 - the subject is Pirwa, present in line 12, albeit in an anomalous position, perhaps due to the text’s poetic structure: cfr. also our observations in this sense in the note to line 8 and also in the notes to the preceding document, infra. An unusual position in the sentence is also occupied by the particle of direct discourse -w[a, linked to Pirwa: cfr. the placement of this particle in line 12’ of the preceding text and the note to lines 11’-12’ of this one; cfr. also the final section of this note for the possibility that the particle -wa 679

also in KUB LX 59 I 9 indicates the continuation of the mythological narrative, rather than introducing a new direct discourse.36 Accepting, finally, the hypothesis of a thereomorphism of Pirwa (see above note to line 1), we could also consider the subject of LUGAL-itta to be “Pirwa in the form of a lion,” who, having regained his hearing, would have at the same time regained his strength and ability to dominate the other animals. ll. 10-11. On the adverbial form mayantili, cfr. note to line 4’ of the preceding text, infra; see also CHD L-N, 118. 2. Commentary As we pointed out above, this document presents numerous problems for interpretation. H. Otten has highlighted the subdivision of the passages in the surviving part of the Recto into two and three lines alternatively, while on the Verso after every line we find a paragraph stroke. He compares this with the first text examined here, which is divided into paragraphs of two lines each; this would lead one to think that in both cases we are dealing with “‘hethitische’ strophische Gesänge”.37 Also in the text examined here, similarly to the preceding one (see above), we can note a particular sentence structure; on the Verso we find Luvianisms and Luvian loan words. I wonder if we might not have here a mythologem/mythological narrative, to be recited when someone had an earache or disease of the ear, perhaps even the king himself, as one could deduce both from the presence of a noble and proud animal like the lion and from the use of the verb form LUGAL-itta, even if here it probably refers to the deity Pirwa, who however seems to have a relationship with royalty (see below). This mythologem/mythological narrative, by analogy, should have had a positive effect on the person afflicted by the disease.38 JKF 2, 70; see also O. Carruba’s observations, Part., 67, on this document. H. Otten, loc. cit.: “Ob man in beiden Texten ‘hethitische’ strophische Gesänge sehen will oder letzten Endes Bilinguen, ist im Augenblick wohl nicht sicher zu entscheiden”: cfr. also F. Starke, StBoT 30, 216. 38 Cfr., for example, KUB VII + KBo III 8 (CTH 390.A), where in Column III we find a magic “healing” ritual, the so-called “ligament exorcism”, which was to he recited 36

37

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Unfortunately the part of this text which has survived to our day is extremely small, rendering comprehension very difficult; nonetheless, as we have pointed out several times in the notes to the translation, a comparison with the text examined earlier seemed to us to be of interest. In the note to line 6’ of KUB XLVIII 99, regarding the possibility of an allusion to Pirwa in the form of an eagle, we recalled the possible connection of the name of this deity with the terms designating “rock” or “mountain” and the eagle’s association with mountain divinities. This association is true also of the lion;39 further, in some cases, these two animals are mentioned together in connection with the same deified mountain.40 Furthermore, it is interesting to note that the image of these two animals is sometimes used in Hittite texts in reference to the king, to symbolize royal power.41 Certainly, these elements lead one to favour the hypothesis both of a thereomorphism of Pirwa in connection with these two texts and of a relationship on the part of the deity with royalty. This second aspect of Pirwa would seem to confirm the proposal to consider this deity in the form of a lion as the subject of LUGAL-itta, which ties in well with the image of strength suggested by the adverb mayantili in KUB LX 59 I 9-12. in the case of paralysis or stiffness striking a young person. The text of this ritual (which contains various Luvianisms) includes the mythological narrative of a case of paralysis, striking the natural world, which was resolved ritually through divine intervention. This story should have worked positively by analogy - as we have said also in the case of human beings. In the narration, along with other divinities, Pirwa is also present, nonetheless the predominant role in the magical operation is played by the goddess Kamrušepa, probably because of her therapeutic prerogatives. 39 See most recently B.J. Collins, Animals, 30-66 infra; see also H. Ertem, Fauna, 151-157 infra. 40 We could mention as examples some tests of inventories containing references to divine mountains represented by a man standing on a lion and surmounted by an eagle: cfr. R. Lebrun, Actes du Colloque de Cartigny 1981 (= Les Cahiers du CEPOA 2), Leuven 1984, 100 with note 24; P. Taracha, AoF 14, 268 f.; B.J. Collins, Animals, 61 f., 109 f.; V. Haas, GHR, 461. 41 In certain similes the image of the eagle is sometimes used in reference to the king to symbolize keenness and shrewdness, and the lion to indicate strength, nobility, and superiority, see A. Ünal, RlA 7 (1987-1990) 85-87 (for the lion), and B.J. Collins, Animals, 38 ff., 44. We could at this point recall also the mountain’s connection with royalty, but a deep discussion on this subject is not part of the present research.

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This observation would also seem to be an element in favour of the hypothesis of considering LUGAL an appellative of Pirwa in KUB XLVIII 99 Ro 8’.42 Undoubtedly Pirwa seems to take a prominent place in the two documents examined here, at least in the small sections which have reached us: I await the conclusion of my examination of all the documentation in our possession regarding Pirwa43 in order to establish if possible - if this position was limited only to the Luvian sphere and to this particular period.44

42 Even if there remain the perplexities raised in the relevant note to the translation and the comparison with the Myth of Telipinu mentioned therein. 43 See my monograph mentioned in note 2. 44 It should be noted in closing that there is a mention of MUNUS.LUGAL also in KUB LX 59 IV 9’, however not in the same context; moreover, the fragmentary state of the two columns does not permit us to ascertain if this presence is in any way significant.

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XXXII.

SIFTING THROUGH THE EDICTS AND PROCLAMATIONS OF THE HITTITE KINGS

Set forth in this lecture are some brief considerations that form part of a more extensive study on Hittite royal edicts presently being prepared. 1. The first document we wish to refer to is the so-called “testament of ÷attušili I” (CTH 6);1 we shall not dwell here on the numerous historical and philological-linguistical problems arising from the text and widely debated among scholars. We would prefer instead to concentrate now on the episode of the rebellion against ÷attušili by his son ÷uzziya and his daughter (§ 12-13 II 63-74), and, more specifically, on the precise location of this episode in the text. We would expect, in fact, to find the description of these facts in the previous §§ 1-6, where the events preceding and motivating Muršili’s appointment as heir to the throne are presented, in other words, where reference is made to the deplorable behaviour of the previously appointed heir, Labarna, towards the king. Instead, the account of the rebellion of ÷attušili’s children in §§ 1213 comes later on in the text, even after § 7, where ÷attušili has appointed his grandson Muršili as successor to the throne. Clearly, therefore, the document does not follow a chronological order, since ÷attušili’s exclusion of his son ÷uzziya from the succession to the throne and the punishment of the king’s daughter must have occurred

KUB I 16+ KUB XL 65 (CTH 6): for the edition of the text in transliteration and translation, with critical commentary, see F. Sommer-A. Falkenstein, HAB; for the translation of the Hittite version, see T.R. Bryce, The Major Historical Texts of Early Hittite History, University of Queensland 1984, 99 ff.; for the translation of the Akkadian version see M. Marazzi, Beitrage zu den akkadischen Texten aus Bogazköy in althethitischer Zeit, Rome 1986. 1

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prior to the deposition of ÷attušili’s nephew Labarna, who from the text, §§ 1-6, appears as the last successor deposed before the appointment of Muršili. In our view, the passage in §§ 12 and 13 concerning the rebellion of ÷attušili’s children can be linked to what is stated in § 11. In §§ 8-11, in fact, ÷attušili counsels Muršili in matters of conduct for the role he has been called upon to fulfil. In the last of these paragraphs, that is § 11 (II 59 ff.), ÷attušili prohibits the most representative members of the local communities, the “elders”, from addressing Muršili the aim being to prevent them from influencing him. In II 59 we read: “The elders shall not utter a word”. And in II 60 it is written: “And the elders of ÷atti shall not speak to thee (= to Muršili)”. The “elders” mentioned in the first passage (II 59),2 with no further specification, may be the “elders of ÷atti” mentioned in the following line, which seems to be a restatement of what comes immediately before. The ban on speaking to Muršili is then extended to the “men” of various cities, a reference most probably not to all the inhabitants of these cities, but to the “free” members of the local communities. As stated previously, it is our belief that there is a connection between what is said in this paragraph and the example contained in the two subsequent paragraphs (§§ 12-13) concerning the rebellion of ÷attušili’s son, ÷uzziya, guilty of having been made to instigate against his father by the people of the city of Tapaššanda. In our opinion, in fact, independently of the various interpretations advanced for ll. 66-67 with regard to the purification of the Palaces of Tapaššanda,3 the passage in question censured the fact that ÷uzziya paid heed to the solicitations of the local communities. It seems to us reasonable to assume, therefore, that the episode of ÷uzziya, inserted precisely at this point in the text, functioned as an exemplum in relation to what was said previously, that is, to the advice given to Muršili that he should not be exposed to the influence of the “elders”. Otherwise, should this logical connection between the advice given to Muršili in § 11 and the episode of ÷uzziya’s rebellion in the 2 3

On the role of the “elders” in this context see H. Klengel, ZA 57 (1965) 230. See B.J. Collins, Or 56 (1987) 137 ff. and F. Pecchioli Daddi, SEL 9 (1992) 12 f.

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immediately subsequent §§ 12-13 not be accepted, the placing of the latter episode in such a context would appear inexplicable. It is noteworthy that the text goes on with the episode of the rebellion of ÷attušili’s daughter: she too had been persuaded by the “sons of ÷atti” to rebel against her father. 2. Let us look now at tablet KBo III 27 (CTH 5),4 whose initial part, where the name of the king who was the author of the document was most probably written, has not survived. This tablet contains an edict that was issued, according to most scholars, by ÷attušili I,5 to banish either the Tawannanna, i.e. the queen in office, or a person named Tawananna - according to whether this term is interpreted as a title or as a proper noun - and her sons. In this text, among other things, ÷attušili refers to Muršili as heir to the throne, with the words: “(Ro 13’-14’) I have just given (as successor) you,6 Muršili to you (= the subjects); he shall take the throne of his father...”. Thus KBo III 27 must have been written after the Testament given that the latter was the official document of Muršili’s appointment as heir to the throne - although it cannot have been such a long time after because when the Testament was written ÷attušili must already have been advanced in years. The problem, referred to above, of whether the term Tawannanna indicates here the title which designated the Hittite queen or whether it was a proper name,7 depends on who is identified as the banished person.

Text published in transliteration and translation by S. de Martino, AoF 18 (1991) 54-66, and O. Carruba, FsAlp (1992) 73-89. This is an Old Hittite text survived in a Neo Hittite copy: see H.C. Melchert, Ablative and Instrumental in Hittite, Ph.D Dissertation, Harvard 1977, 45; K. Yoshida, The Hittite Mediopassive endings in -ri, Berlin-New York 1990, 13. 5 See S. de Martino, op. cit., 64, and also the following pages for other elements connected with this dating; F. Pecchioli Daddi, OAMisc 1 (1994) 91, attributes this document to Muršili I. 6 See most recently S. de Martino, op. cit., 57 and O. Carruba, op. cit., 79, who translates here: “Seht! Ich habe euch Muršili gegeben”. On kaša construed with the preterite tense, see H.A. Hoffner jr., JAOS 88 (1968) 532. 7 For a discussion of this matter see O. Carruba, op. cit., 79 ff, who favours the second possibility. 4

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In this regard, scholars have advanced four different hypotheses,8 namely that the person in question was: 1) ÷attušili’s aunt; 2) his sister; 3) his daughter; 4) his wife ÷aštayar.9 The first hypothesis identifies the banished person as ÷attušili’s aunt,10 the only one until now known as Tawannanna from this king’s Gesta. In the preamble of the Gesta,11 in fact ÷attušili calls on his kinship with her, undoubtedly to demonstrate the legitimacy of his position as king of ÷atti. From this we may assume that at this time ÷attušili’s aunt did not have children who were old enough to take the throne. Moreover, she cannot have had children who could claim rights of succession to the throne even at the time of the Testament, since there is no mention of them in this document, which instead refers to various members of the royal family who could aspire to the succession. It would appear, therefore, that all identification of this Tawannanna with ÷attušili’s aunt, who we have said had no children, can be excluded, given that in KBo III 27 Ro 6’-8’ - subsequent to, as we said, though not that long after the Testament - reference is made to the sons of the/of Tawannanna who were banished with her. The fourth hypothesis, that the person in question is ÷aštayar - in which case Tawannanna would be a title - might be justified by the fact that in the final paragraph of the Testament ÷attušili had warned ÷aštayar to stop dealing in magic practices;12 her possible banishment could then be explained by the transgression of this admonition. Indeed, to get an idea of the extent to which the practice of sorcery was considered dangerous for royal power, we may recall, by way of illustration, the clamorous episode of the banishment of Šuppiluliuma I’s widow by Muršili II, a banishment motivated, among other things, by the accusation of having practised black magic, even though we know that this accusation was a pretext for attacking a politically dangerous person.

8 See S. de Martino, op. cit., 58 ff; O. Carruba, op. cit., 80 ff.; (see now also J. Klinger, StBoT 37, 216-218; G. Steiner, UF 28 [1996] 607-610; D. Sürenagen AoF 25 [1998] 84). 9 On this see S. de Martino, op. cit., 58-60. 10 See R. Beal, JCS 35 (1983) 124-126; O. Soysal, Heth 7 (1987) 251 note 258. 11 KBo X 2 I 3/KBo X I Ro 1. 12 On this see S. de Martino, op. cit., 59 f.

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It should be pointed out, moreover, that in the Testament ÷attušili’s warning to ÷aštayar seems to be expressed more with the tone of an affectionate piece of advice than with that of an accusation. However, what we consider most significant is the fact that ÷aštayar does not seem to oppose ÷attušili’s decision to place Muršili on the throne; moreover it is to her that ÷attušili turns for the performance of the funeral rites to be executed after his death.13 For all these reasons ÷aštayar also does not seem to have been the person sent into exile in KBo III 27. Let us now consider the second and third hypothesis presented above, that is, that the banished person was either the sister14 or the daughter15 of ÷attušili. It seems unlikely, however, that either of them fulfilled the royal function corresponding to the title Tawannanna at a time subsequent to the writing of the “testament” due to the rebellious conduct of these two individuals, who were in fact stigmatized by ÷attušili in this text. Excluding, on the basis of the above-mentioned considerations, that the term Tawannanna was a title, though accepting the hypothesis that in KBo III 27 reference was made to one of these two persons - that is, either the sister or the daughter of ÷attušili - Tawannanna ought then to be a proper name.16 In this case the banishment of one of them would not be at odds with what is written in the Testament, where ÷attušili seems to limit himself to setting aside his sister and removing his daughter from the court. The banishment decreed in KBo III 27, which we have said came after the Testament, may have been the result of further plotting against ÷attušili by one of them. From the Testament, despite the fact that both the sister and the daughter of ÷attušili appear to have been hostile to him, from the king’s words (II 69-III 25) the more dangerous of the two seems to have been the daughter, not only because she had led a broad coalition that included members of the court and the “sons of ÷atti” with the aim of See most recently S. de Martino, OA 28 (1989) 1-24; H.C. Melchert, FsPolomé (1988) 182-188; G. Pugliese Carratelli, PdP 279 (1994) 401-408. 14 See A. Archi, Or 46 (1977) 483; (see now J. Klinger, StBoT 37, 217-218). 15 S. BinNun, THeth 5 (1975) 70 ff. 16 On this see O. Carruba, op. cit., 88 f. 13

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putting one of her own sons on the throne, but also because, even though her life is spared, she is removed from ÷attuša and her possible return to the capital is presented by the king as a serious threat to the country. As for the sister, although she is accused of having had a bad influence on her son Labarna in instigating him against ÷attušili, and although described by ÷attušili in highly dramatic tones to the point that he likens her to a serpent,17 no mention is made in the Testament of her expulsion from ÷attuša. It is her son, rather, who is punished by ÷attušili with the deposition from his charge as heir to the throne and his banishment from the capital. We are inclined, therefore, to identify the person sent into exile by ÷attušili as the latter’s daughter, who would therefore have had the personal name Tawannanna. We can also assume that the banishment was encouraged by Muršili in defence of the stability of his succession to the throne, since the sons of Tawannanna exiled with her might have posed a threat to this succession. 3. The last text we shall discuss is an edict issued by Tutøaliya I/II, KUB XIII 9 + KUB XL 62 (CTH 258).18 In the first paragraph the king says that on his return to ÷attuša from a military campaign conducted in the country of Aššuwa19 he received a petition from the “men of ÷atti”, who addressed themselves to him to request his intervention in the sphere of the administration of justice: “(Ro I 6-8) You, My Sun, our lord, (are) a leader of military campaigns, and (therefore) you were unable(?) to give judgement on litigation”.20

A I/H II 8-25. For the transliteration and translation of the text see E. v. Schuler, FsFriedrich, 446 ff. and also R. Westbrook and R.D. Woodard, JAOS 110 (1990) 641 ff.; in both cases, however, the text is attributed to Tutøaliya IV. This is a Middle Hittite text survived in a Neo Hittite copy: see H.C. Melchert, Ablative and Instrumental in Hittite, Ph.D. Dissertation, Harvard 1977, 91; K. Yoshida, op. cit., 32; CHD P, 125. Now see also the duplicate KBo XXVII 16. 19 This campaign is also treated in the annals of this ruler: see S. de Martino, EOTHEN 5 (1996) 13 ff. 20 Cf. CHD L, 10. 17 18

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This is followed by the statement of various regulations of a legal and administrative character. Both the way the petition is formulated and the fact that it is addressed to the sovereign by “all the men of ÷atti” are singular features. Indeed, the request almost seems to assume the tone of an accusation directed at the king, who appears to have devoted himself excessively to military enterprises and to have neglected the administration of the justice. Moreover, the expression “all the men of ÷atti” cannot refer to the whole population since it is obvious that it had no way of manifesting its remonstrances and suggestions directly to the sovereign. It may be considered, rather, that the text uses a “literary fiction” here, which Tutøaliya adopted in order to present himself as attentive to the needs of his subjects, and, at the same time, to recall his military achievement in an enterprise of such great importance as the conquest of Aššuwa. Hence, from the end of Column I various legal regulations are set forth. Unfortunately ll. 13-16 are almost completely damaged; in them the crime must have been considered, the compensation for which is established in the first two lines of Column II, a compensation consisting of a field; noteworthy in l. 1 is the presence of the expression -ašta21 .... para tarna-,22 which recurs several times in the following lines and which we shall refer to further on. In ll. 3-8 there is reference to the compensation for a blood crime, committed intentionally: thus, indeed, we have interpreted with E. von Schuler23 the much debated expression in l. 4 nu-za-ta SAG.DU-ZU waaš-ta.24 See O. Carruba, Or 33 (1964) 409 ff.; J. Friedrich-A. Kammenhuber, HW2 I, 426 ff.; J. Bowley, StMed 7 (1992) 331; E. Neu, StBoT 32 (1996) 107 f. 22 On the various interpretations of the expression para tarna-, see H. Freydank, ArOr 38 (1970) 257 ff.; J. Tischler, HEG III/9, 193 f.; CHD P, 115, 125; E. Neu, op. cit., 322. 23 Op. cit., 455 ff. 24 This expression has been highly debated; in our view, it should he interpreted as “and his (= the guilty person’s) head has sinned”, considering the first term as nu=za=ašta, according to H. Otten-V. Sou£ek, StBoT 1 (1965) 37 note 5; as regards the verbal form wašta, present also in the letter of Ma$at HKM 57 Ro 13 (see S. Alp, HBM, 228 f.), we have preferred the translation “he has sinned” both on the basis of the comparison with the formula “his hand sins” (which indicates the opposite concept, that is, non intentional homicide) attested to in various paragraphs of the Hittite Laws 21

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The offender redeems his guilt, if he has given to the family of the victim, as compensation, either a field, whose size is not specified, or a person, whose sex and social status are not indicated and who must presumably have been used as workforce (l. 5). No one, therefore, must hand over the offender in all probability to the victim’s family because the crime has already been expiated (l. 6). It is used here the expression ašta ... para tarna, that we have already found at l. 1 and often recurs in this text with the meaning “to hand over”25 to someone. In l. 6 the unexpressed direct object could be the offender.26 We believe that here (as further on, in connection with theft) the intention is to confirm that once a crime has been compensated for there is no room left for private justice (or revenge), to which certain types of crime, like “blood crimes”, were probably subject. We may compare, in fact, § 49 of the Edict of Telipinu, in which it is established that a “blood crime” must be judged by the “lord of the blood”, in other words the family of the victim. It is interesting to note, however, that in this paragraph of the Edict of Telipinu the “lord of the blood” can choose between putting the guilty person to death or the consignment of a compensation by the latter: in this case, however, it seems that the matter is concluded with such compensation and that the guilty person is no longer prosecutable. This tallies, as we shall see further on, with what is written in ll. 8-15 of the Edict of Tutøaliya examined here, in relation to a crime of theft.

(see §§ 3 l. 6 f., 4 l. 8, II l. 2, III l. 7 f., V l. 15, VI l. 17), and for the connection with the expression ešøanaš šarnikzil “compensation of the blood”, documented in the text under examination Ro II 3: S. de Martino-F. Imparati, in StMed 9 (1995) 109 f. and note 49. To interpret the unusual form wašta thus either an error on the part of the scribe (see E. v. Schuler, op. cit., 446, 452) or the existence of a verb waš- “to sin” (see J. Catsanicos, Recherches sur le Vocabulaire de la Faute, Paris 1991 [= Cahiers de N.A.B.U. 2], 14 ff.) has been hypothesized; otherwise, instead, H. Otten-V. Sou£ek, loc. cit., and R. Westbrook-R.D. Woodard, op. cit., 644 f. with note 5. To conclude, it is not necessary to interpret SAG.DU-ZU as an accusative of respect, according to the proposal of J. Catsanicos, op. cit. 14 ff.; (See now H.A. Hoffner jr., The Laws of the Hittites, Leiden 1997, 170). 25 Thus CHD P, 125. 26 Thus E. v. Schuler, op. cit., 449; otherwise H. Freydank, op. cit., 259; and R. Westbrook-R.D. Woodard, op. cit., 643, believe that the reference here is to the object of the compensation.

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We propose here the translation of ll. 3-6: “and if someone (= the offender) - whose head has sinned - has given either a field or a person (to the family of the victim) as compensation for blood, no one shall hand (the offender) over (to the family of the victim)”. The following ll. 7-8 leave room for various possible interpretations,27 especially with regard to certain enclytic pronominal particles. The first problem arises from the interpretation of the enclytic personal pronoun -aš at the very beginning of l. 7, which has been understood either as a 3rd person singular with the function of subject, referring to the injured party, or as a 3rd person plural with the function of object, referring to what has been given as compensation.28 In the former case, however, the phrase would lack the direct object to which to link the expression “together with his wives (and) his children”.29 In any case the logical subject of the phrase in l. 7 seems to be the injured party, because otherwise, if the subject was instead the offender, it would be difficult to explain from whom he would be taking the wife and children. It could, at the most, be hypothesized that the subject refers to those persons responsible for the administration of justice. Therefore, either the injured party or the persons in charge of the administration of justice would have taken the wives and children of the offender as a guarantee that the latter paid the indemnity. The second problem concerns the difficult interpretation of the pronominal particles -an and -ši at the beginning of l. 8; in our view the first (-an) - singular accusative with a collective value - refers to the offender’s wife and children and the second (-ši) refers to the offender himself.30 We believe that the aim of the whole phrase is to specify that the injured party - that is, the family of the victim - who has already obtained the above mentioned compensation, shall hand his wives and children over to him, that is, the offender (l. 8 -ašta ... para tarna-).

See E. v. Schuler, op. cit., 449, 454; H. Freydank, loc. cit.; R. Westbrook-R.D. Woodard, op. cit., 643, 645 with note 8. 28 Thus R. Westbrook-R.D. Woodard, op. cit., 643, 645 with note 6. 29 Thus E. v. Schuler, op. cit., 449; H. Freydank, op. cit., 259. 30 Otherwise E. v. Schuler, op. cit., 449, 454; H. Freydank, op. cit., 259; R. Westbrook-R.D. Woodard, op. cit., 643, 645 with note 8. 27

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At this point it seems interesting to examine the expression -ašta ... para tarna- which frequently crops up in the text, at the end of phrases that follow each other and are structured in the same way. We would expect the expression under examination to have the same value always. Instead, we must draw attention to some differences in the formulation of these phrases which - although slight - may be significant: in II 6, in the expression -ašta ... para tarna- the subject UL kuiški is expressed, in II 10, 13, 15 and 19 the verb is in the third person plural with an impersonal value, and in ll. 13, 15 and 19 the pronominal particles -an and ši are also expressed.31 We may conclude, therefore, that in those cases in which the verb appears in the third person plural with an impersonal value and the pronominal particles -an and, particularly, -ši are expressed, the whole expression should be interpreted as “to hand over the offender (-an) to the justice (-ši)” (II 13, 15, 19). When the verb is always in the third person plural with an impersonal value, but these pronominal particles are missing, we should interpret the expression as “to hand over (the offender to the law)” (II 10). In II 6, as we have said, the formula would instead indicate “no one will hand over (the offender to the victim’s family)”. Lastly, we have seen that in l. 8 the subject of the expression under examination seems to be the same as in l. 7, that is, the injured party; the difference here, compared to the passages in II 13, 15 and 19, lies in the interpretation we give to the pronominal particles -an and -ši. Therefore, ll. 7-8 could be translated as follows: “if he (= the injured party) has taken (the compensation) together with his (= the offender’s) wives (and) his children, then he (= the injured party) hands them over (an = the offender’s wives and children) to him (-ši = the offender)”. With this precept the intention is to confirm what was said above, that is, that the misdeed has already been redressed and that the family of the guilty person should not be involved in it.32 The phrase in l. 15 is in the affirmative, like the one in l. 8; in the other cases the phrase appears in the negative. The phrase in II 1, lacking the protasis, is not taken into consideration. 32 On cases of non-involvement of the members of the offender’s family in the resonsibility for some crime in Hittite society, albeit in relation to different situations, see F. Imparati in Stato, Economia, Lavoro (1988) 229 ff. 31

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In ll. 8-19 the case of a crime of theft is considered and a distinction is made between whether the guilty person is a freeman or whether he is a non-freeman. In ll. 8-10 it is established that if someone - here the pronoun kuiški is used without any specification of juridical status or sex - has paid the compensation for a theft - i.e. a field - the guilty person shall not be handed over, presumably, to the law;33 here again the expression -ašta .... para tarna- is used (II 10). Establishing precisely the social status of the perpetrator of the theft considered in ll. 8-10 poses a problem, since the subject of the phrase (l. 9) is expressed - as we have seen - by the use of the indefinite pronoun kuiški “someone”, whereas in the subsequent passages a distinction is made between the case of a non-freeman and then a freeman. The case exposed in ll. 8-10 - that is, when the offender is indicated with the pronoun kuiški only - does not appear to be a general regulation relating to theft, placed here to introduce specific cases, because if this was so in these cases first the situation relative to a non-freeman would be examined (ll. 10-15) and then that relating to a freeman (ll. 16-19), contrary to what usually happens: see, for example, in the collection of the Hittite laws infra. The hypothesis that ll. 8-10 refer to a crime committed by a freeman, a crime for which a field is requested as compensation, therefore seems more probable. The fact that subsequently, in ll. 16-19, mention is again made of a theft committed by a freeman, may be due to an association of ideas resulting from what is stated in ll. 11-15 in reference to the blinding of a non-freeman guilty of theft, the aim being to specify that this type of punishment for such a crime should not be inflicted on a free person. As previously mentioned, in ll. 11-13 the case is then considered in which the guilty person is a non-freeman. If the person in question is caught in the act and blinded there and then, he will not, in our view, be handed over to the justice. Here again the expression -ašta .... para tarnais used in connection with the dative of the 3rd person enclytic pronoun -ši - which we interpret as referring to the justice, to which the guilty person (a non-freeman) would not be consigned since he has already paid for his misdeed by being blinded. In ll. 14-15, on the other hand, Otherwise E. v. Schuler, loc. cit.; H. Freydank, loc. cit.; R. Westbrook-R.D. Woodard, op. cit., 643. 33

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the possibility that the offender - again a non-freeman - is not blinded is introduced; in this case he must be handed over to the justice, here too indicated with -ši. This passage shows that private justice could only be exercised in flagrante, otherwise the case became the competence of public justice; we can recall in this context §§ 197 and 198 of the Laws, which are linked to each other, where, in a case of adultery, the husband of the adulterous woman may kill his wife and her lover only when he catches them in flagrante; otherwise he must hand them over to the judgement of the king.34 We should point out, finally, that mutilation in consequence of a crime - very rare in the application of Hittite justice - is attested to in two paragraphs of the collection of Laws, in §§ 95 and 99, again in reference to a non-freeman for a crime of theft and for a crime of arson.35 What is surprising in the passages of the edict of Tutøaliya I/II examined here is that there is no mention in it, in the event that the crime is committed by a non-freeman, of compensation for the damage, something instead that is dealt with in the two above-mentioned paragraphs of the laws, and particularly in § 95, which refers precisely to a case of theft. In the edict of Tutøaliya reference is made instead to compensation for damage in the case of a free person. In ll. 16-18 it is specified that if the guilty person is a freeman and has paid compensation for the theft he shall not be blinded. A further problem is represented by the integration of the final part of l. 19, which ends the paragraph, this being very damaged. This line is usually completed by supposing a parallelism with l. 15, referred to above, in which it is stated that if a non-freeman guilty of theft has not been blinded he shall be handed over to the justice. On the basis of this parallelism l. 19 is interpreted by some scholars in the sense that also the freeman who has become guilty shall be handed over to the justice, expressed again with the same enclitic pronoun -ši. The sentence is in fact translated in the following way: “If, however, some free man

34 See F. Imparati, Leggi, 178-181, 321 ff. (see now also H.A. Hoffner jr., Laws cit. 155-157, 226). 35 See F. Imparati, op. cit., 92-95, 267 ff. (see now also H.A. Hoffner jr., Laws cit., 93-94, 96-97, 197).

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commits a theft and has paid compensation for the theft, they will not blind him, [(but only) ha]nd [him over to him] (-ašta ... para tarna-)”.36 In our view, however, this parallelism with the case of theft committed by a non-freeman is not convincing, since he, having once paid his debt to justice by being blinded, is no longer prosecutable, whereas if we accept the above-proposed integration for l. 19,37 the freeman would be prosecutable, despite having already paid compensation. We wonder, therefore, whether this phrase should not be completed instead in a negative form, and that is in the sense that the guilty person, thanks to the payment of the compensation, should not be handed over ([-ašta.... para tar]na-) to the justice. The integration in a negative form also fits the space of the lacuna. This interpretation appears to tally with what is established in ll. 10 and 13, that is, that the guilty person, once the compensation has been paid, is released. The ll. 8-19 could be translated as follows: “... And if someone (= a freeman) has given compensation for a theft - and if (it is) a field - they will not hand (him) over (to the justice); if, however, a non-freeman has stolen and he (= the injured party) holds him (= the guilty party) for the theft (before the judgement); if he (= the guilty party) (has been) blinded (in flagrante), they will not hand him (= the guilty party) over to him (= the justice); if he (= the guilty party) (has) not (been) blinded, they will hand him (= the guilty party) over to him (the justice). (§) If, however, some free man steals and he [has] gi[venl compensation for a theft, they will not blind him [and they [will not han]d [him over to him] (= the justice)”. As we have seen, the recurring element in conclusion of the various cases considered in the passages we have examined is the expression ašta ... para tarna-, which in this text indicates “to hand someone over to the interested party” and that is either to hand over the offender to the law/to the victim’s family or to hand someone over to the offender, as in the specific case of ll. 7-8.

36 CHD P, 125; E. v. Schuler, op. cit., 450: “Wenn aber irgendein Freier stiehlt, (erfolgt) Busse für den Diebstahl [...] Man blendet ihn nicht [und überl]ässt [ihn dem (Bestohlenen zum Prozess)]”. 37 See previous note.

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It seems that in the part of the text under examination the king’s intention is to establish thus the limits and competences of the private sphere of influence compared to the public sphere of influence in the judgement and punishment of a crime.

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XXXIII.

L’ORGANIZZAZIONE DELLO STATO ITTITA1

I. I DOCUMENTI Notizie utili per la conoscenza dell’organizzazione del regno di ÷atti si possono trarre da documenti ittiti di vario genere, a carattere politico, economico, giuridico, amministrativo ed anche religioso, tutti rinvenuti in archivi pubblici, cioè palatini o templari, situati sia nella capitale, sia in altre località dello stato. Tale documentazione proviene quindi dalla parte che teneva il potere ed era spesso soggetta a condizionamenti ideologici e a strumentalizzazioni. La stessa popolazione ittita che non apparteneva al ceto dirigente è scarsamente - e quindi soltanto indirettamente documentata. Notizie interessanti vengono anche dagli archivi di altri paesi del Vicino Oriente antico contemporanei al regno di ÷atti, sia di pari importanza a questo, sia ad esso subordinati: Babilonia, Assiria, Egitto e vari stati siriani. Per quanto riguarda la documentazione ittita si utilizzano per l’argomento in questione soprattutto testi a carattere “storico”-politico ed economico-amministrativo: editti regi; documenti di tipo annalistico o cronachistico; narrazioni epiche; trattati internazionali; testi epistolari, contenenti sia la corrispondenza che aveva luogo all’interno del regno, sia quella internazionale; i cosiddetti testi di “istruzione”, contenenti norme a carattere pratico, dirette dal sovrano a categorie di dignitari e funzionari che operavano in settori e località diverse e a vari livelli nell’organizzazione palatina e templare; testi contenenti richieste di giuramento di fedeltà rivolte dal sovrano a categorie di persone o - anche se più raramente - a singoli; atti in cui il sovrano conferiva a persone o ad enti, soprattutto cultuali, benefici e privilegi, come donazioni di beni 1 Vedi in generale F. Imparati, in O. Bucci (ed.), Antichi popoli europei: dall’unità alla diversificazione, Roma 1993, 383 sgg. (con una bibliografia di A.M. Polvani), e inoltre G. Beckman, CANE I (1995) 529 sgg., nonché i contributi di R.H. Beal, (545 sgg.), H.A. Hoffner jr. (555 sgg.) e F. Imparati (571 sgg.).

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fondiari o esenzioni da oneri (tributi e prestazioni di lavoro) dovuti allo stato; inventari di beni mobili e immobili, pertinenti per lo più ad enti pubblici, civili e religiosi, ed elenchi del personale lavorativo che faceva capo a questi enti; testi a carattere giuridico, quali la raccolta di Leggi e i cosiddetti “protocolli giudiziari”, contenenti verbali di processi. Si sono rivelati utili per la conoscenza dell’organizzazione dello stato ittita anche testi a carattere religioso, tra i quali soprattutto quelli relativi alla celebrazione e all’amministrazione del culto.2 II. LA FAMIGLIA REALE Da questi documenti risulta che lo stato ittita era governato secondo una struttura monarchica, analogamente alla maggior parte degli stati del Vicino Oriente antico. Nella persona del re si incentrava, fino dall’Antico Regno, oltre che il potere politico, anche quello militare, religioso, giuridico.3 Ovviamente il sovrano nell’esercizio delle sue funzioni si avvaleva della collaborazione dei più alti dignitari e dei funzionari del regno, l’influenza dei quali nella gestione del potere poteva variare in misura maggiore o minore a seconda della situazione politica contingente e della personalità individuale di ogni sovrano. I re ittiti si fregiavano di diversi titoli,4 che variavano secondo il periodo e il contesto storico e che non erano sempre tutti presenti contemporaneamente nella titolatura che nei documenti accompagnava il loro nome. Si presenta più ricca la titolatura regia del periodo imperiale, che, con qualche variante, mostra una sequenza di questo tipo: “T/Labarna X, Gran Re, re del paese di ÷atti, eroe, amato dalla divinità X o/e Y”. Mentre il titolo labarna o tabarna era utilizzato solo dai sovrani ittiti,5 quello di Gran Re era portato anche dai monarchi delle altre grandi potenze vicino-orientali contemporanee a quella ittita; quindi la utilizzazione di quest’ultimo titolo da parte del sovrano ittita lo poneva in 2 Descrizioni di rituali e feste religiose, inventari, offerte votive ed anche, in taluni casi, preghiere e consultazioni oracolari. 3 V. invece F. Starke, ZABR 2 (1996) 140 sgg. 4 Sulla titolatura dei sovrani ittiti, v. H. Gonnet, Heth 3 (1979) 3-108. 5 Il fatto che vi siano alcune attestazioni che mostrano che questo titolo era stato portato anche da Kurunta, re di Tarøuntašša e appartenente alla famiglia reale ittita, in circostanze non ben chiare è ancora oggetto di studio e di discussione fra gli studiosi.

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posizione paritaria a tali sovrani. Inoltre, alcuni sovrani ittiti del periodo imperiale tendevano ad arricchire la loro titolatura con altri epiteti come quelli di “eroe” e di “amato dalla divinità X e/o Y” ecc. Il primo appellativo evidenzia l’importanza che aveva l’aspetto militare nell’ideologia regia mentre il secondo tende a mettere in rilievo il legame del sovrano con l’elemento divino, allo scopo di rafforzare - e talora anche legittimare - il suo potere.6 Il titolo t/labarna è da lungo tempo oggetto di discussione fra gli studiosi,7 per quanto riguarda sia il suo àmbito di provenienza (hattico o indeuropeo), sia la sua grafia originale (tabarna o labarna), sia la sua utilizzazione iniziale o come titolo/appellativo8 o come nome di persona.9 Un’altra designazione del sovrano ittita, probabilmente attestata fin dall’Antico Regno, ma più frequentemente usata a partire da Šuppiluliuma I, è quella di “Mio Sole”. Si deve notare che questa designazione, quando si trova inserita nella titolatura regia, occupa il primo posto, ciò che ne testimonia l’importanza.10 In un primo tempo si era pensato che questo appellativo fosse un prestito dall’Egitto; oggi però sembra più plausibile ritenere che esso fosse pervenuto in ÷atti dalla Siria settentrionale.11 È forse possibile che in un periodo più tardo si 6 Infatti qualche sovrano, con l’evidenziare il favore che egli godeva da parte di una divinità, cercava di conferire legittimità al suo potere, a cui era pervenuto in maniera non regolare. Ne è un esempio il caso di ÷attušili III, un usurpatore, che talora porta l’epiteto di “amato dal dio della Tempesta di Nerik” o addirittura quello più ampio di “amato dalla dea Sole di Arinna, dal dio della Tempesta di Nerik, da Ištar/Šaušga di Šamuøa”. In tal modo si riferisce alle due divinità che stavano a capo del pantheon ittita e alla sua divinità protettrice. 7 V. per ultimi CHD L, 41 sgg.; F. Starke, RlA 6 (1980-83) 404 sgg.; O. Carruba, IX. Türk Tarih Kongresi 1986, 201 sgg.; J. Tischler, FsOtten2 (1988) 347 sgg. e HEG II/34, 34 sgg.; J. Puhvel, JIES 17 (1989) 351 sgg.; J. Klinger, StBoT 37 (1996) 207 sgg. 8 Secondo i sostenitori di questa ipotesi, soltanto più tardi questo titolo sarebbe stato usato come nome proprio; tuttavia è stato anche ipotizzato che il termine t/labarna, tranne che nella documentazione ieroglifica del periodo neo-ittita, avesse avuto sempre soltanto il valore di appellativo, collegato con il verbo luvio tapar“comandare, governare”. 9 Si sarebbe, cioè, trattato del nome del primo importante sovrano dello stato ittita, Labarna (I), che sarebbe poi divenuto un appellativo regio - analogamente a quanto era avvenuto per il latino Caesar in periodi più tardi. 10 V. H. Gonnet, Heth 3 (1979) 19 sg. 11 V. su questo in ultimo G. Beckman, CANE I (1995) 532.

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fosse voluto con tale titolo anche evidenziare lo stretto legame del sovrano con una divinità solare, probabilmente con la dea Sole della città di Arinna, che insieme al dio della Tempesta di ÷atti stava a capo del pantheon ittita. Si rileva, in tale contesto, che, almeno per quanto riguarda l’epoca di ÷attušili III, l’autorità regia appare strettamente legata all’esercizio del sacerdozio di questa dea: si ricorda, a titolo esemplificatorio, l’uso dell’espressione “fare qualcuno sacerdote della dea Sole di Arinna” per indicare “fare qualcuno re di ÷atti”.12 La regina ittita, oltre che col titolo di Grande Regina, era designata anche con quello di tawannanna. Anche su questo titolo, come su quello di labarna, i pareri degli studiosi sono ancora discordi,13 per quanto concerne sia il suo àmbito di provenienza (hattico o indeuropeo) sia la sua utilizzazione originaria o come titolo o come nome proprio. Sembra che la funzione di tawannanna fosse vitalizia, per cui, se il sovrano premoriva alla sua sposa, questa continuava a mantenere questo titolo e la funzione ad esso collegata. Soltanto dopo la sua morte la moglie del nuovo re le succedeva in questa carica. Come il re, anche la regina sembra aver esercitato il sacerdozio della principale divinità femminile del paese, la dea Sole di Arinna. Abbiamo notizie dai documenti di una intensa attività esplicata da alcune regine nella vita del regno, sia in àmbito politico - anche a livello internazionale - che amministrativo, oltre che in quello religioso. Ciò ha indotto alcuni studiosi a ritenere che la possibilità che queste regine avevano di esplicare attività del genere conseguisse dalla carica da loro rivestita; è però probabile che ciò dipendesse soprattutto dalla loro spiccata personalità individuale.14 Il principe ereditario ittita portava il titolo di tuø(u)kanti, la cui origine hattica è generalmente riconosciuta dagli studiosi.15 Conosciamo 12 V., ad esempio, l’ “Apologia” di ÷attušili III; cfr. H. Otten, StBoT 24 (1981) 24 sg. (Col. IV 14 sg.). 13 V. per ultimi O. Carruba, FsAlp (1992) 73 sgg. e J. Klinger, StBoT 37 (1996) 213 sgg., dove sono discusse anche le ipotesi precedenti. 14 Sulle attività e le iniziative di alcune regine di ÷atti, v. in ultimo G. Beckman, CANE I (1995) 537 sg. 15 Sulle attestazioni di questo termine nei documenti ittiti v. F. Pecchioli Daddi, MPD (1982) 502 sg. e in ultimo J. Klinger, StBoT 37 (1996) 220 sgg. (con discussione sugli studi precedenti). V. anche C. Girbal, Beiträge zur Grammatik des ÷attischen, Frankfurt am Main-Bern-New York 1986, 41 sgg., il quale attribuisce a questo termine il significato di “derjenige, der rein macht”: v. però anche J. Klinger, op. cit., 221 nota 373.

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finora soltanto i nomi di due personaggi che nel corso della storia ittita avevano rivestito la carica di tuø(u)kanti: Tutøaliya, figlio e successore di Arnuwanda I, e Nerikkaili, figlio di ÷attušili III e fratello di Tutøaliya IV.16 Soprattutto in rapporto a Nerikkaili è stato per lungo tempo dibattuto il problema se il titolo tuø(u)kanti avesse designato in ogni epoca esclusivamente la carica di erede al trono o non avesse piuttosto indicato, in taluni casi, la più alta carica del regno, la quale, in quanto tale, veniva attribuita al successore al trono.17 La scoperta della “tavola bronzea” (1988) ha portato elementi a favore dell’ipotesi di considerare il termine tuø(u)kanti soltanto come designazione dell’erede al trono in ÷atti.18 Accettando l’ipotesi di attribuire un’origine hattica ai tre titoli più elevati del regno ittita - t/labarna, tawannanna, tuø(u)kanti - si potrebbe presumere che i primi sovrani indeuropei che governarono lo stato ittita avessero voluto usare come designazione della loro autorità i titoli appartenenti alla lingua della popolazione da loro conquistata per inserirsi nella tradizione di questa, allo scopo di legittimare e, quindi, di far accettare il nuovo dominio. Il sovrano ittita non era divinizzato in vita, ma soltanto dopo la morte;19 il suo decesso era indicato con l’espressione “divenire dio”. Il problema della successione al trono di ÷atti, per quanto riguarda l’Antico Regno, ha dato luogo a numerosi dibattiti. Comunque oggi la maggior parte degli studiosi è concorde nel ritenere che la monarchia ittita fosse, già nell’Antico Regno, di tipo ereditario e patrilineare.20 Il sovrano, in assenza di figli maschi o quando questi non si rivelavano adatti al compito che li attendeva, adottava come “figlio” un successore da lui scelto. Sembra però che tra i figli maschi del sovrano non esistesse 16 Su questo personaggio è stato scritto molto: v. per ultimi H. Klengel, AoF 16 (1989) 185 sgg.; F. Imparati, Seminari 1991 (1992) 71 sgg. e FsHouwinktenCate (1995) 151 sgg.; Th.P.J. v. den Hout, StBoT 38 (1995) 96 sgg. 17 Su questo v. in ultimo J. Klinger, StBoT 37 (1996) 221 sgg. 18 Nerikkaili compare nella “tavola bronzea” solo come “figlio del re” (Vo 30), con i titoli “figlio del re” e tuøkanti in KUB XXVI 43 (Vo 28) e con il solo titolo tuøukanti in KBo IV 10+ (Vo 28), ciò che gioca un ruolo anche nella discussione sulla datazione del trattato di Ulmi-Teššup. 19 Riguardo al periodo della tarda età imperiale, vedi Th.P.J. van den Hout, BiOr 52 (1995) 545 sgg. 20 V. in ultimo G. Beckman, FsGüterbock2, 13 sgg. e CANE I (1995) 533 sgg.

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un diritto di primogenitura, ma che egli potesse scegliere fra i suoi figli come suo successore quello che egli riteneva più idoneo a succedergli nel difficile compito di governare il paese. Ricordiamo, a titolo esemplificatorio, il cosiddetto Testamento di ÷attušili I, laddove questo sovrano, dopo aver revocato la nomina di successore al trono al proprio figlio ÷uzziya e al nipote Labarna, figlio di una sorella del re, nomina come suo erede il nipote in linea diretta Muršili (I) con le parole: “[e]cco, Muršili (è) mio figlio, [riconoscete]l[o e] ponet[e]lo (sul trono)”.21 Un altro esempio in tal senso ci viene offerto da un passo del trattato stipulato da Tutøaliya IV con Kurunta di Tarøuntašša (“tavola bronzea”) nel quale Tutøaliya dice di essere stato nominato dal padre ÷attušili come suo successore al trono, in sostituzione di un fratello più anziano precedentemente designato dal re a ricoprire tale carica. Secondo la norma di successione al trono emanata da Telipinu nel suo Editto, tale successione spettava in primo luogo ad un “figlio maschio di primo rango”, cioè della regina. In mancanza di questo, ad un “figlio maschio di secondo rango”, nato cioè da una delle concubine del re, forse facenti parte del suo harem. Qualora non vi fosse stato alcun erede maschio, si doveva dare uno sposo antiyant- alla “figlia di primo rango” e questo diveniva re. Col termine antiyant- si designava un tipo particolare di sposo che, mediante una forma di adozione, entrava a far parte della famiglia del suocero.22 È stato discusso fra gli studiosi il problema se questa norma emanata da Telipinu costituisse un’innovazione rispetto alla situazione precedente o la codificazione di una consuetudine.23 In base ad un attento esame dei fatti di sangue descritti nel documento, si rileva che le vittime sembrano scelte programmaticamente fra persone le quali in qualche modo rientravano nella linea di successione enunciata da Telipinu e che i mandanti di questi crimini erano persone che a loro volta potevano vantare diritti al trono in base a questa stessa norma. Pertanto Telipinu avrebbe codificato una prassi già esistente, per lo meno a partire da ÷antili.24 ÷att. I II 37 sg. V. in ultimo G. Beckman, FsGüterbock2, 17. 23 V. in ultimo G. Beckman, op. cit., 13 sgg. 24 Con tale codificazione Telipinu, oltre che mostrarsi come sovrano restauratore dell’ordine nel paese, fornendo regole stabili anche per il futuro, voleva sostanzialmente evidenziare la legittimità della sua ascesa al trono: egli infatti - a causa dell’esilio di 21 22

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I sovrani ittiti avevano di solito molti figli (DUMUMEŠ.LUGAL) e figlie (DUMU.MUNUSMEŠ.LUGAL), ai quali solevano attribuire numerosi incarichi nell’amministrazione politica, militare o religiosa del regno, e che spesso costituivano anche un pericolo per la stabilità del potere regio. Si ricorda, come esempio, il timore che si avverte in vari testi di Tutøaliya IV, timore cioè che la sua successione al trono fosse potuta passare ai discendenti di uno dei suoi numerosi fratelli. Egli, del resto, sapeva bene come suo padre, ÷attušili III, avesse raggiunto la regalità in ÷atti, detronizzando appunto il figlio di suo fratello Muwattalli. Così, dunque, si legge in un passo di un documento in cui questo sovrano richiede un giuramento di fedeltà a degli importanti dignitari del suo regno, LÚMEŠ SAG: “......Il Mio Sole (è) nelle vostre mani! Ecco, proteggete il Mio Sole e in seguito proteggete la discendenza del Mio Sole! Il Mio Sole (ha) molti fratelli, numerosi (sono) per lui [i figli?] dei suoi padri (= predecessori); il paese di ÷a[tti] (è) pieno [del]la discendenza della regalità: all’interno di ÷a[ttuša la discendenza di] Šuppiluliuma (I), la discendenza di Muršili (II), la discendenza di Mu[wattalli (II), la discendenza di] ÷attušili (III) (è) numerosa. Ora voi non riconoscete nessun altro [uo]mo per la s[ignor]ia! [P]er quanto riguarda la signoria per tutte le generazioni future proteggete soltanto la discendenza di Tutøaliya!”.25 III. LA GESTIONE DEL POTERE Essenziale per ogni forma di autorità è la produzione del consenso. Per un monarca un elemento importante per procurarselo è l’immagine che egli riesce a fornire di sé. Così anche i sovrani ittiti - come gli altri re dei paesi contermini - amavano presentarsi come benvoluti dalle divinità, vittoriosi in imprese belliche, restauratori dell’ordine e della giustizia, portatori di benessere nel paese, protettori dei deboli. Con la concessione di benefici e di immunità essi non solo intendevano ricompensare chi li aveva sostenuti in momenti difficili della loro vita politica, ma anche ÷uzziya e dei fratelli di questo - si presentava come l’unico che poteva a buon diritto aspirare alla regalità in quanto marito della sorella dello stesso ÷uzziya.). 25 KBo XXVI 1+ I 7-16, v. in ultimo Th.P.J. van den Hout, StBoT 38 (1995) 102. Sull’espressione øašša øanzašša v. anche J. Tischler, HEG I, 195 sg. e J. Puhvel, HED 3, 224 sgg.

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cercavano di ottenere per il futuro il consenso e la fedeltà anche di chi era stato loro ostile. Come si è detto sopra, il forte legame del monarca ittita e della sua famiglia con le principali divinità del regno - che culminava nello stretto rapporto fra funzione regia e funzione sacerdotale (v. sopra) - costituiva un elemento di essenziale importanza per l’esercizio del dominio. I sovrani ittiti tendevano a mettere grandemente in rilievo, in ogni occasione, questo legame. Di fronte alle principali divinità del paese essi deponevano i più importanti documenti politici, quali i resoconti delle loro imprese, le copie dei trattati internazionali ecc. La cura per gli dèi e per i loro santuari rappresentava, fin da epoca antica, un compito primario per il sovrano. Egli costruiva templi per le divinità e vi mandava gran parte del suo bottino militare, compiva puntualmente numerosi viaggi in varie località del regno per celebrarvi feste religiose, le quali avevano anche uno scopo politico ed economico, oltre che religioso. Il sovrano poteva in tal modo rendere manifesta la grandezza del suo potere, legittimato dal favore divino, consolidare i rapporti con l’elemento locale attraverso i suoi specifici culti, raccogliere le offerte fornite da questo, offerte spesso di entità considerevole e superiori al normale fabbisogno per il culto.26 Ugualmente importante nell’ideologia regia era l’aspetto militare. Ovviamente, un’impresa bellica che si concludeva positivamente portava al sovrano innegabili vantaggi sia dal punto di vista politico che economico. In primo luogo si accresceva notevolmente il suo prestigio sia all’interno che all’esterno del regno. In tale ottica, le notizie di alcune spedizioni militari compiute dal re ebbero una vasta eco nella tradizione storica ittita fin dall’Antico Regno.27 Le imprese militari permettevano Appare come un dovere anteporre la celebrazione delle feste in onore degli dèi ad ogni altra attività, anche bellica; si ricorda, a tal proposito, che Muršili II si vanta della sua premura e della sua puntualità nella celebrazione delle feste religiose più volte, in vari documenti, come, per esempio, nel prologo dei suoi “Annali decennali” (v. sopra) o nei suoi “Annali completi”. 27 È significativa in proposito, ad esempio, la risonanza avuta dalla spedizione ittita che, attraverso il Tauro, si spinse fino alla Siria settentrionale e alla Mesopotamia e il relativo racconto eziologico, pervenutoci anche in redazioni più tarde. Si nota inoltre il rilievo che il sovrano ittita ÷attušili I nei suoi “Annali” dà al fatto di aver attraversato l’Eufrate, un’impresa che soltanto il grande conquistatore Sargon di Akkad (passato nella letteratura storiografica vicino-orientale con la connotazione di sovrano valoroso e vittorioso e realizzatore di una concezione imperialistica) aveva compiuto prima di lui: cfr. H. Klengel, Stato Economia Lavoro cit., 186. 26

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inoltre al sovrano di mostrare la solidità del suo legame con l’elemento divino; il sovrano, infatti, amava presentarsi come instrumentum divinitatis: era la divinità che lo guidava nelle sue imprese belliche, come del resto anche nelle altre sue azioni all’interno e all’esterno del paese, conferendo loro in tal modo legittimità. Si ricorda, a titolo esemplificatorio, un passo tratto dalle Gesta di ÷attušili I, dove questo sovrano dice: “(La dea Sole di Arinna) mi [prese] la mano [e] corse davanti a me in battaglia”,28 e un passo tratto dagli Annali completi di Muršili II, relativamente al quindicesimo anno, recita: “e io li attaccai in battaglia; gli dei marciarono davanti a me; il forte dio Tarøunta (dio della Tempesta), mio signore, la dea Sole di Arinna, mia signora, il dio Tarøunta di ÷attuša, la dea Inara di ÷attuša, il dio Tarøunta dell’esercito, la dea Šauška del campo e il dio Yarri marciarono davanti a me; io sbaragliai il nemico...”.29 Un passo dell’ “Apologia” di ÷attušili III dice: “... e poiché la dea Ištar, mia signora, mi teneva per mano, vinsi alcuni nemici e gli altri fecero la pace con me”.30 Ovviamente, l’esito positivo di una guerra portava anche vantaggi economici, soprattutto al sovrano ed anche a chi gravitava nella sua orbita. Oltre ai tributi che i paesi assoggettati dovevano versare annualmente ai re ittiti, questi si procuravano anche beni mobili e immobili e una quantità notevole di manodopera (prigionieri civili, deportati) che veniva a supplire alla carenza di forze lavorative, sempre riscontrabile negli stati dell’Asia anteriore antica; il sovrano talora ripartiva tali beni fra gli appartenenti al suo entourage, sempre, però, secondo criteri che gli consentissero di mantenere un equilibrio nella suddivisione delle ricchezze. Gran parte del bottino di guerra veniva donato dal re ai templi o a istituzioni cultuali di vario genere, che, come vedremo più avanti, dipendevano dalla sua autorità (v. sotto).31 La guerra, quindi, si traduceva in un sostegno per il potere regio. In tempo di pace il sovrano si adoperava non solo per utilizzare i vantaggi sia politici che economici acquisiti con la guerra e per KBo X 2 I 29 sg. KBo V 8 III 26-30, v. A. Goetze, AM, 158 sg. (lì lo include nel 21° anno di regno) e G.F. Del Monte, L’annalistica ittita, Brescia 1993 (= TVOA 4.2), 111. 30 V. H. Otten, StBoT 24 (1981) 14 sg., Col. II 64 sg. 31 Sul fatto che il sovrano utilizzasse certe imprese belliche per tenere impegnati in queste operazioni alcuni personaggi di alto rango, togliendo loro tempo e spazio per iniziative contro di lui e offrendo loro contemporaneamente la possibilità di appagare le loro ambizioni e di prestigio e di ricchezza, v. F. Imparati, Heth 8 (1987) 188. 28 29

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consolidare nella subalternità i domini acquisiti, ma anche per ricostituire i mezzi indispensabili per affrontare nuove imprese militari ed ottenere ulteriori conquiste.32 Di grande importanza era anche l’attività legislativa e giudiziaria del sovrano. Dell’attività legislativa del sovrano si ha notizia da alcuni editti regi, all’interno dei quali egli emana alcune norme giuridiche,33 e da alcuni articoli della raccolta di Leggi, dove si parla di alcune iniziative prese da lui, senza però che vi si faccia esplicitamente il suo nome.34 Si deve notare che in questi documenti non si trova mai alcun riferimento ad una ispirazione divina delle iniziative legislative del sovrano, contrariamente a quanto si rileva, ad esempio, nella maggior parte delle raccolte di leggi mesopotamiche.35 In queste i re che ne erano gli autori enfatizzavano l’emanazione divina di questa loro attività legislativa, chiaramente a scopo propagandistico.36 Il re, oltre che emanatore del diritto, era anche supremo giudice. Egli interveniva personalmente in reati di una certa gravità ed a lui spettava compiere un atto di clemenza quando il reato La documentazione ittita presenta la pace più come assenza di guerre civili e di congiure in ambito palatino, che come assenza di guerre esterne, v. F. Imparati, Heth 8 cit., 188 sg. e 202 nota 3. V. inoltre R.H. Beal, CANE I (1995) 553. 33 Si ricorda, a tal proposito, l’Editto di Telipinu, il quale, oltre alle norme che regolavano la successione dinastica all’interno della famiglia reale ed anche l’àmbito di giurisdizione di due organismi a carattere collegiale, il panku e il tuliya (v. più avanti), emanò pure una serie di norme relative all’organizzazione economico-amministrativa del paese, al regolamento dei delitti di sangue, ai reati di stregoneria. Si ricorda inoltre un Editto (KUB XIII 9 + KUB LX 62) di Tutøaliya I/(II), il quale pure promulgò alcune norme giuridiche su reati di sangue e di furto ed anche altre norme di tipo giuridico-amministrativo; alcune di queste sono di difficile comprensione per la frammentarietà del documento. 34 V., ad esempio, i §§ 9 e 25, dove si dice che il re ha stabilito la riduzione di alcune pene, presumibilmente previste dalla consuetudine. 35 Tranne che in quelle di Ešnunna (di poco anteriori alle Leggi di ÷ammurapi) e in quelle medio-assire (XIV-XIII sec. a.C.): cfr. anche la nota 36. 36 Certo, dato che nel mondo ittita, allo stesso modo che nelle civiltà contermini, il potere regio discendeva dalla divinità, appare lecito inferire che anche l’attività legislativa del sovrano costituisse un implicito corollario della sua investitura divina. Tuttavia la raccolta di leggi ittite - mancando di un prologo e di un epilogo, analogamente alle Leggi di Ešnunna e a quelle medio-assire - si presenta come una compilazione effettuata in ambienti palatini per scopi verosimilmente pratici. Si trattava, cioè, di raccogliere, organizzare - ed eventualmente anche di modificare - esperienze consuetudinarie o desunte da decreti regi, allo scopo di consentire una utilizzazione concreta dei relativi risultati in sedi giudiziarie. 32

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prevedeva la pena di morte. Di solito, invece, amministravano la giustizia in nome del potere centrale dignitari regi, preposti al governo di distretti amministrativi. Talora potevano collaborare con loro nell’esercizio della giustizia - sempre però a livello locale - i rappresentanti delle comunità di città o di villaggio, che stavano al di fuori dell’apparato statale, quali gli “Anziani” e l’ “ispettore di città o di villaggio”; tuttavia, per reati di particolare significato politico, economico, militare si ricorreva direttamente al giudizio del re (v. par. IV). Ai vertici di governo dello stato, vicino al sovrano, stavano alti dignitari, per lo più imparentati in qualche modo con la famiglia reale. Essi avevano il compito di collaborare con il re nell’esercizio delle sue funzioni; in circostanze difficili per la monarchia ittita, l’avevano anche contrastata, limitandone, in taluni casi, il potere. A titolo esemplificatorio, si ricorda che in alcuni testi di vario genere, relativi alla storia dell’Antico Regno, sono frequentemente menzionati i Grandi, che appaiono essere stati molto potenti in quel tempo. Significativo, in tal senso, è un passo del cosiddetto “Testamento” di ÷attušili I, in cui egli ricorda che ai tempi di suo nonno i dipendenti (lett. “servi”) di questo e i Grandi non tennero conto della sua decisione per quanto riguardava la scelta del suo successore al trono.37 Da molti documenti, soprattutto dell’Antico Regno, traspare un certo timore da parte dei sovrani per la forte ingerenza dei Grandi nel governo del paese; in tale contesto si possono riconoscere iniziative regie per frenare il loro potere.38 Come si è detto, fin dagli inizi dell’Antico Regno gran parte dell’amministrazione dello stato sembra essere stata in mano a membri KUB I 16+ III 41-45, v. HAB (1938) 12-15. Il fatto che tale episodio sia ricordato da ÷attušili come “esempio negativo” del comportamento dei Grandi in quella circostanza - tanto è vero che le conseguenze di questa insubordinazione furono nefaste per loro e per le loro “case” - contrasta con l’ipotesi formulata da alcuni studiosi che la monarchia ittita, all’epoca del nonno di ÷attušili, fosse stata di tipo elettivo. 38 Si ricorda, come esempio, quanto si legge nei §§ 31-32 II 55-65 dell’Editto di Telipinu, laddove questo sovrano proibisce ai Grandi del regno di confiscare i beni mobili e immobili di un principe condannato a morte per qualche colpa; non ci si deve rivalere sulla sua casa, su sua moglie, sui suoi figli e sui suoi beni. E in II 63-65 di questo Editto si esemplifica l’avidità di possesso da parte dei Grandi ai danni dei Principi, allo scopo di impadronirsi dei beni fondiari di questi. In casi del genere il re cercava di prevenire la concentrazione dei beni nelle mani dei Grandi, affinché questi non divenissero troppo potenti e costituissero una minaccia per il potere regio. V. F. Imparati, Stato Economia Lavoro (1988) 225 sgg. e CPUL (1991) 174. 37

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della famiglia reale. A questo riguardo si ricorda come esempio il preambolo storico dell’ Editto di Telipinu a proposito di Labarna e di ÷attušili I,39 o la “cronaca di Ammuna”,40 nei quali si dice che i sovrani in questione affidarono ai loro figli l’amministrazione di vari paesi. Nei testi ittiti di varie epoche ricorre frequentemente l’espressione “figlio del re”41 che - analogamente a quanto avviene in altri àmbiti del Vicino Oriente antico - non è sempre da intendersi in senso letteralegenealogico per designare un figlio nato dal re, ma in molti casi si riferisce semplicemente a membri imparentati - o legati in qualche modo - con la famiglia reale.42 Questa designazione può corrispondere, grosso modo, al nostro termine “principe”. Nella documentazione ittita la troviamo accanto al nome di alcuni personaggi per indicarne il rango, piuttosto che la mansione specifica. Ovviamente, questi “principi” facevano parte del gruppo che teneva il potere. Un altro titolo usato per designare persone appartenenti al ceto dirigente era quello di “Signori”.43 Si alludeva in tal caso ad una categoria di dignitari di rango assai elevato, con mansioni diverse, sempre però di grande importanza. Nei testi ittiti i “Signori” sono spesso menzionati insieme ai Principi, ma compaiono anche con altri dignitari.44 Appunto ai “Signori” e ai “Principi” si rivolge il sovrano Tutøaliya IV nella prima parte di un documento in cui egli richiede loro un giuramento di fedeltà a lui e alla sua discendenza diretta. Da notare che in questo stesso documento45 sono presenti due imposizioni di giuramento, separate l’una dall’altra da una doppia linea di divisione di paragrafo: una (§§ 1-21) è §§ 3 e 6, v. I. Hoffmann, THeth 11 (1984) 12 sg., 18 sg. V. CHD L-N, 168 s.v. maniyaøøai-. 41 V. F. Pecchioli Daddi, MPD, 503 sgg. 42 V. in proposito F. Imparati, Or 44 (1975) 87 sgg. e Heth 8 cit., 190; R.H. Beal, THeth 20 (1992) 413 sgg.; F. Starke, ZABR 2 (1996) 140 sgg. 43 V. su questo F. Pecchioli Daddi, MPD, 477 sgg. (EN/BÊLU/išøa-) e le pagine citt. nell’Indice per espressioni composte con questo termine, v. inoltre F. Imparati, Or cit., 80 sgg. e F. Starke, ZABR 2 (1996) 140 sgg. Nei testi ittiti il termine “signore” compare talora come appellativo generico di chi - essere umano o divino - occupava una posizione elevata, oppure si trova in espressioni del tipo EN SISKUR “signore del sacrificio”, cioè il committente di un sacrificio, EN QÂTI “signore della mano”, cioè artigiano, ecc. 44 V. F. Imparati, Or 44 (1975) 81 sg. con note 6-7. 45 KUB XXI 42+ (CTH 255.1), v. su questo E. von Schuler, Dienst., 22 sgg. e H. Otten, AfO 18 (1958) 389 sgg. nonché A. Goetze, JCS 13 (1959) 68 sgg. 39

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diretta ai “Signori” e ai Principi, e l’altra (§§ 22-31) a degli importanti dignitari, i LÚMEŠ SAG (su questi, v. più avanti). Nella prima parte di questo testo il sovrano si rivolge dapprima ai “Signori” che esplicano mansioni diverse,46 cioè a quelli che comandano le truppe e a quelli che amministrano alcuni distretti di confine. A questi ultimi si ordina, fra l’altro, di catturare chi cerca di fuggire in un altro paese e di impedire le defezioni. Infine il sovrano richiede ai “Signori” e ai Principi, e più avanti anche ai LÚMEŠ SAG, di non legarsi mediante giuramento ai fratelli del re - sia a quelli legittimi, figli della regina, sia a quelli che sono figli di una concubina del padre del re - ma di riconoscere per la sovranità soltanto il re e la sua discendenza diretta. Si è già rilevato alla fine del paragrafo precedente il costante timore di Tutøaliya IV di un possibile colpo di stato da parte dei suoi numerosi fratelli. I Principi e i “Signori” si trovano associati anche in un testo di giuramento di età medio-ittita,47 rivolto alla

46 È possibile che, nel caso specifico, fossero anche di rango diverso: nel § 2’ di questo testo infatti il sovrano si rivolge a coloro che sono signori delle truppe e a quelli che non lo sono (I 4’-5’), a chi è grande (signore)/a chi è un Grande e a chi non lo è (I 5’-6’) e a coloro che appartengono alla famiglia reale (I 8’). Poiché manca l’incipit di questo documento è difficile stabilire se in questo paragrafo si faccia riferimento esclusivamente ai Signori e ai Principi - per cui si parlerebbe qui sia di un Signore di rango superiore (BÊLU) GAL, sia di quei Signori appartenenti alla famiglia reale (nel qual caso vi sarebbe una distinzione di rango fra questi Signori) oppure se si faccia riferimento a gruppi diversi di alti dignitari del regno (cfr. § 16’ III 7’-8’). Tenendo presente il contenuto della prima parte di questo documento, dove appunto ci si rivolge ai Signori e ai Principi, sembra possibile che anche in questo passo si rivolga ai Signori in primo luogo - per cui il Grande (GAL) alla r. 5’ è da collegare al Signore delle Truppe, cosa che indica un signore di rango più alto - e quindi ai Principi appartenenti alla famiglia reale (8’). Sappiamo del resto che un BÊLU GAL, come pure un Principe, poteva essere incaricato dal sovrano di sostituirlo nel comando dell’esercito (v. nota 49). La presenza in documenti di vario genere dell’espressione BÊLU GAL, generalmente intesa come “signore di rango superiore”, potrebbe far postulare l’esistenza di una gerarchia o distinzione di rango fra i “Signori”; v. su questo ad es. anche l’espressione LÚSANGA GAL rispetto a LÚSANGA TUR e inoltre F. Pecchioli Daddi, MPD, 365. F. Starke, ZABR 2 (1996) 153 sgg., invece, considera l’espressione BÊLU GAL come “ein....asyndetisch konstruiertes Begriffspaar Herr (und) Großer” - analogamente alle espressioni “König (und) Königin” e “Fußtruppen (und) Streitwagen”. Questo studioso, del resto, ritiene che non vi fosse una gerarchia all’interno della categoria dei Grandi: v. art. cit., 151 sg.). 47 CTH 259; v. S. Alp, Belleten 11 (1947) 383 sgg., ed in ultimo M. Giorgieri, I testi ittiti di giuramento (Tesi di dottorato), Firenze 1995, 137 sgg. Questo documento è definito nel colophon come išøiul (v. ultra par. VII).

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“popolazione”48 di ÷atti. In alcuni passi il sovrano chiede all’esercito, fra le altre cose, di obbedire a quel Principe o a quel signore di rango superiore (BÊLU GAL) incaricati di sostituire il sovrano nel comando.49 Da notare, però, che successivamente nel medesimo testo (Col. I 26-28) si dice che se quel Principe o quel “Signore”50 offende il re davanti all’esercito, deve essere catturato e portato davanti al re ed il re di persona indagherà sul fatto.51 Vi sono solo poche designazioni di alte cariche di comando composte con il termine “signore”; come signore dell’esercito o delle truppe, signore delle truppe UKU.UŠ,52 signore del posto di guardia,53 signore del paese (X) o della città (X). Si tratta quindi di mansioni che investono l’àmbito militare o amministrativo (v. successivamente). Come si è già accennato, i “Grandi” del regno, frequentemente attestati nella documentazione ittita, avevano una grande importanza nel governo dello stato.54 Abbiamo ricordato sopra come, ai tempi del nonno di ÷attušili I, essi si erano opposti alla volontà del re; è però da tener presente che tale episodio aveva avuto luogo quando la dinastia che reggeva il paese probabilmente non aveva ancora consolidato fermamente il suo potere. Anche in altre epoche della storia ittita, in cui Evidentemente non può trattarsi di tutti gli abitanti di ÷atti; appare quindi appropriata la definizione data da G.F. Del Monte, SCO 24 (1975) 140, per questo testo, e cioè: “giuramento di fedeltà personale imposto a tutti coloro che svolgono un ruolo attivo nella difesa e nella produttività dello stato”. Diversamente invece S. Alp, il primo editore di questo testo, in: Belleten 11 (1947) 403 sg., generalmente seguito dagli studiosi, ed anche R.H. Beal, THeth 20 (1992) 62 sgg. 49 KUB XIII 20 I 14, 16 (CTH 259). 50 In questo caso manca il sumerogramma GAL, “grande”, dopo BÊLU. 51 V F. Imparati, Or 44 (1975) 86 note 35-36, 89 sg. note 58-59, per casi analoghi nei trattati internazionali. 52 Si tratta forse di una variante del titolo Grande degli uomini UKU.UŠ: v. R.H. Beal, THeth 20 (1992) 391. 53 BÊL MADGALTI forse un sinonimo per “Signore del confine”, attestato in due testi ittiti, v. R.H. Beal, THeth 20 (1992) 442. 54 V. F. Pecchioli Daddi, MPD (1982) 496 sgg.; v. inoltre l’Indice 626 sg. per i Grandi/Capi di particolari categorie di “funzionari/impiegati” dello stato, addetti a mansioni diverse. Sul potere dei Grandi soprattutto nell’Antico Regno ittita v. F. Imparati, JESHO 25 (1983) 251 sgg., ed ora F. Starke, ZABR 2 (1996) 140 sgg., il quale ne enfatizza l’importanza nel governo del regno, anche riguardo al potere decisionale del re, specialmente in epoca precedente il XIII sec. a.C., periodo in cui sarebbe subentrato il potere dei LÚ.MEŠSAG (v. sopra). 48

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la dinastia al governo attraversava per vari motivi un periodo di crisi, può essere accaduto che i Grandi avessero condizionato o influenzato la volontà regia, tuttavia la monarchia ittita presenta anche in questi casi l’aspetto di potere di tipo assolutistico. Nell’Editto di Telipinu sono menzionati più volte i Grandi del regno e nei §§ 32-34 si specifica anche chi veniva considerato come tale, e cioè i “padri della casa”, il Grande (o capo) degli impiegati palatini (lett.: “figli del palazzo”), il Grande delle guardie del corpo, il Grande (degli uomini) del vino (titolo che designava un alto capo militare), il Grande dei guidatori di carri/degli scudieri,55 il Grande dei sovrintendenti del mille del campo, il sovrintendente degli araldi/ispettori delle truppe.56 Alla luce di altri documenti tale elenco non risulta completo; probabilmente non lo era neppure all’epoca dell’Editto di Telipinu, poiché le cariche ivi citate avevano presumibilmente soltanto un valore esemplificatorio. Suscita problemi l’interpretazione della locuzione “padri/e della casa”(LÚ.MEŠABU/LÚABU BÎTI),57 menzionata all’inizio dell’elenco del Grandi nell’Editto di Telipinu (nei §§ 32 e 34 al plurale, nel § 33 al singolare).58 Infatti, gli elenchi dei Grandi presenti nell’Editto in questione si può riscontrare una dicotomia tra i “padri della casa” e gli altri dignitari menzionati dopo.59 È difficile spiegare se tale dicotomia 55 GAL LÚ.MEŠIŠ/KUŠ : per le attestazioni di questa carica, v. F. Pecchioli Daddi, 7 MPD, 538 sg.; per la lettura e il significato v. C. Ruster-E. Neu, HZL, Nr. 151 e R.H. Beal, THeth 20 (1992) 368 sgg. 56 Per le attestazioni di questa carica, v. F. Pecchioli Daddi, MPD, 130; per l’interpretazione di questa espressione, v. in ultimo R.H. Beal, THeth 20 (1992) 396 sgg. 57 V. F. Pecchioli Daddi, MPD, 517 sgg., v. anche la documentazione accadica in CAD A I (1964) 76b, per la documentazione di Mari v. D. Charpin-J.M. Durand, MARI 2 (1983) 90; per quanto riguarda questi àmbiti questo titolo viene sempre inteso come “intendente”; tuttavia si deve tener presente che nel passaggio da un ambiente ad un altro i termini non sempre conservano il loro valore semantico. 58 Secondo F. Starke, ZABR 2 (1996) 147 nota 33, la menzione dei “padri della casa” al plurale è dovuta al fatto che questa carica era doppia, per l’esistenza di un “padre della casa di destra” ed un “padre della casa di sinistra”. In base a tale considerazione ci chiediamo allora perché il GAL LÚ.MEŠKUŠ7 - il cui titolo è attestato anche con la specificazione “di destra” e “di sinistra” (v. F. Pecchioli Daddi, MPD, 539) - nel § 34 III 8’ sia menzionato al singolare. Si rileva inoltre che nel § 33 II 70 sg. dell’Editto di Telipinu il titolo “padre della casa” compare al singolare. 59 I “Padri della Casa”, citati sempre all’inizio di questi elenchi, sembrano distinti dagli altri dignitari o mediante la menzione dei primi al plurale o mediante le due disgiuntive naššu . . . našma . . . “o . . . o . . .”.

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fosse dovuta ad una funzione particolare di questi dignitari o se fosse plausibile intendere i “padri della casa” presenti nell’Editto di Telipinu come i capi delle grandi famiglie del paese, che ancora non facevano parte della burocrazia regia - ciò, naturalmente, riguarderebbe la fase più antica del regno ittita.60 Nella documentazione più tarda, infatti, questa locuzione si presenta ormai inserita indistintamente all’interno di un elenco di capi di funzionari e sembra designare dei dignitari ormai integrati nella burocrazia dello stato, che tenevano posizioni di rilevo nell’amministrazione del regno.61 Si può quindi affermare che la categoria dei “Grandi” del regno comprendeva i detentori delle più alte cariche dello stato, molti dei quali - ma non tutti - erano i capi di diverse categorie di funzionari che operavano in diversi àmbiti - politico, amministrativo, militare, cultuale - e che portavano inserito nella designazione della loro carica il termine “Grande” (cioè “capo”, come si traduce generalmente). Nella documentazione del XIII sec. a.C. sono menzionati come alti dignitari del regno i LÚMEŠ SAG,62 strettamente legati al sovrano da un vincolo di fiducia. A questi dignitari, infatti, Tutøaliya IV richiedeva impegni di fedeltà garantiti mediante la prestazione di un giuramento. A loro sono rivolti sia la seconda parte di un documento ricordato sopra contenente nella prima parte richieste di giuramento sia un testo in cui questo stesso sovrano, al momento della sua ascesa al trono, domandava loro di prestare un giuramento nella città di Ušša.63 Questo testo contiene 60 Infatti la più antica attestazione di questa espressione nella documentazione ittita in nostro possesso proviene proprio dall’Editto di Telepinu. Sulla presenza e sulla posizione nell’Editto di Telepinu dei “padri della casa” nell’elenco dei “Grandi” del regno, v. F. Imparati, Stato Economia Lavoro (1988) 229 sg. e 236 sg. nota 18. Accettando l’interpretazione, relativamente a quell’epoca, dell’espressione “padri della casa” come designazione dei capi delle grandi famiglie del paese, si può presumere che essi fossero allora difficilmente controllabili dal potere regio, forse ancora meno degli altri Grandi. 61 Si potrebbe forse postulare un mutamento delle posizioni e delle competenze di chi rivestiva questa carica da un’epoca più antica ad una più recente, cosa che del resto si riscontra anche in altri casi, v. F. Imparati, Stato Economia Lavoro (1988) 237 note 19 e 20. 62 V. F. Pecchioli Daddi, MPD (1982) 513 sgg. e in ultimo F. Starke, ZABR 2 (1996) 160 sgg. 63 CTH 255.2; v. E. von Schuler, Dienst. (1957) 8 sgg., e H. Otten, AfO 18 (1958) 388 e A. Goetze, JCS 13 (1959) 66 sgg.; v. anche la traduzione di G.F. Del Monte apud

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disposizioni analoghe a quelle impartite nella seconda parte del giuramento. In ambedue i testi si rileva la genericità degli impegni che questi dignitari erano tenuti a prendere. A loro il sovrano chiedeva soprattutto, e con molta intensità, estrema fedeltà nei confronti suoi e della sua discendenza diretta e di non porsi dalla parte dei fratelli del re, e inoltre di denunciare qualsiasi fatto al re e di riferire fedelmente i messaggi da questo inviati. Nei due documenti si rispecchia chiaramente il timore di Tutøaliya IV per possibili colpi di stato.64 Secondo F. Starke65 il concetto di “Grandi” come “detentori delle più alte cariche della corte” cedette il passo nel XIII sec. al concetto più ampio di LÚMEŠ SAG, che a quell’epoca vengono menzionati più frequentemente nei testi e che comprendono nella loro categoria la cerchia di persone dei Grandi, ma in una composizione nuova, allargata. A suo avviso essi, come precedentemente i Grandi, avrebbero rappresentato una potenza politica che governava insieme con il re; erano determinanti per la stabilità del potere regio ed anche per la stabilità dello stato, quindi nessuno dipendeva da loro come il re. Tale ipotesi, però, non mi sembra tenere sufficientemente conto della situazione contingente in cui erano stati redatti i più significativi di questi documenti, a cui lo studioso si appella spesso, e cioè i due testi di richiesta di giuramento di fedeltà emanati da Tutøaliya IV. Questo sovrano, infatti, appare spesso in ansia per la stabilità del suo potere, per motivi di ordine interno e di ordine esterno; è perciò comprensibile che egli cercasse di circondarsi di persone di estrema fiducia e che si adoperasse per tenerle legate a sé. Sappiamo, del resto, che vari sovrani ittiti di epoche diverse, nel timore che i loro alti dignitari acquisissero troppo potere, si preoccupavano di limitare questo potere mediante svariate forme di controllo e con iniziative e provvedimenti adeguati. Anche gli appartenenti a categorie meno elevate di funzionari erano talora coinvolti in questo e, in taluni casi, anche i M. Liverani, Antico Oriente, Stato Società Economia, Roma-Bari 1988, 518 sg.; v. inoltre M. Giorgieri, I testi ittiti di giuramento (Tesi di dottorato), Firenze 1995, 275 sg. 64 A proposito della prima parte dell’impegno (CTH 255.2), Ph.H.J. Houwink ten Cate, ZA 82 (1992) 268 sg., pone la questione se la scelta per la prestazione di questo giuramento della città di Ušša, ubicata vicino al confine con Tarøuntašša, non sia da collegare all’appoggio che Kurunta, re di questo paese, aveva offerto a Tutøaliya in occasione della sua ascesa al trono. Altrimenti il re ittita avrebbe potuto, in questo modo, voler enfatizzare la sua autorità sui dignitari, e dunque anche su Kurunta. 65 ZABR 2 (1996) 163 sgg. e 181.

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membri delle comunità locali. Tuttavia, come si è ripetuto più volte, il potere decisionale spettava sempre al re. IV. L’AMMINISTRAZIONE DEL REGNO Lo stato ittita, come la maggior parte degli stati dell’Asia anteriore antica, si presenta diviso in distretti territoriali, accentrati intorno ad una città o ad un villaggio, principalmente a scopo fiscale, ma anche di difesa militare. Amministravano questi distretti dignitari dipendenti dal potere centrale, che potevano in talune mansioni - come ad esempio nell’amministrazione della giustizia (v. par. III), ma anche nella sfera cultuale - essere coadiuvati da rappresentanti delle comunità locali. Conosciamo i titoli degli amministratori che governavano questi distretti e talora siamo informati anche sui compiti a loro spettanti. Numerose sono le notizie pervenuteci sull’attività di un alto dignitario noto col titolo di “signore del posto di guardia” (EN/BÊL MADGALTI, itt. auriyaš išøa-).66 Con questo titolo era designato un governatore di zone provinciali situate vicino ai confini del regno, che per la loro posizione erano meno sicure e più facili a defezionare. Questo dignitario dunque operava in punti cruciali per la sorveglianza e la difesa. Le sue funzioni erano necessariamente assai ampie, dato che egli poteva trovarsi a dover fronteggiare particolari situazioni di emergenza. Molte notizie sulla sua attività provengono da documenti del Medio Regno ittita; si ricordano in particolare le “istruzioni” dirette a questo dignitario dal sovrano Arnuwanda I: esse contenengono disposizioni molto precise e dettagliate per regolare la sua attività in vari settori. Inoltre sono di grande importanza per la conoscenza dell’attività di questo dignitario nelle sedi provinciali ittite le notizie che ci forniscono le lettere rinvenute nell’archivio di Ma$at (antica Tapikka), situata a nord-est di ÷attuša, al confine con la zona kaskea, che risalgono al Medio Regno ittita.67 Anche 66 Su questo v. fra gli altri F. Imparati, Šaøur., 62 sgg.; S. Alp, HBM (1991) 60 sgg.; R.H. Beal, THeth. 20 (1992) 426 sgg.; G. Beckman, StMed 9 (1995) 23 sg. e CANE I (1995) 540. 67 Per le “istruzioni”(CTH 261) v. traslitterazione, traduzione e commento di V. Korošec, ZSSR 18 (1942) 139 sgg., e da E. von Schuler, Dienst. (1959) 36 sgg.; v. inoltre A. Goetze, JCS 14 (1960) 69 sgg. e A. Kammenhuber, Or 41 (1972) 434 sgg.; per le attestazioni di questo dignitario nei testi di Ma$at v. S. Alp, HBM, passim.

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testi di epoche più tarde68 forniscono documenti utili alla conoscenza di questo “signore del posto di guardia”. Dalla documentazione in proposito risulta che egli, anche se aveva come compito principale quello di salvaguardare i confini del regno e quindi di tenere sotto continua sorveglianza ogni movimento nemico e di attendere accuratamente ai doveri militari, tuttavia aveva anche altri incarichi nell’àmbito del territorio da lui governato. Doveva quindi provvedere all’amministrazione dei beni pubblici e all’organizzazione dell’agricoltura, curare la manutenzione del patrimonio regio, sovrintendere al culto, esercitare funzioni giudiziarie. Da un passo delle “istruzioni” per questo dignitario (KUB XIII 2 III 9-16) vediamo che collaboravano con lui nell’amministrazione della giustizia i rappresentanti delle comunità locali, e cioè gli “Anziani” e l’ “ispettore di città o di villaggio” (v. più avanti). Inoltre, sempre nello stesso testo (Col. II 37-39), si prescrive che il “signore del posto di guardia” provveda insieme all’ “ispettore di città o villaggio” a ripristinare i templi andati in rovina. In alcuni testi si evidenzia il compito di questo funzionario di occuparsi dei disertori - in accordo con le sue mansioni primarie di sorveglianza e di difesa e col tipo di zona da lui governata. Si ribadisce però sempre che il giudizio definitivo sui disertori spettava al re, probabilmente per evitare ogni possibilità di accordi e di tradimenti.69 Ritroviamo questo dignitario anche in alcune clausole presenti in certi testi,70 nelle quali si parla del conferimento a persone o a enti cultuali di esenzioni da obblighi verso lo stato. In queste clausole sono menzionati insieme tre dignitari, probabilmente responsabili di far adempiere questi obblighi: il “signore del paese” (EN KURTI), il “signore del posto di guardia” (EN/BÊL MADGALTI), l’ “ispettore di città o di villaggio” (MAŠKIM URUKI). Tuttavia, anche se questi dignitari compaiono insieme in questi documenti, ciò non significa che si trovassero tutti e tre nella stessa sede. Per gli ultimi due funzionari è nota una loro collaborazione in taluni settori dell’amministrazione provinciale, mentre una tal cosa sembra improbabile per i primi due funzionari

V. F. Pecchioli Daddi, MPD, 455 sgg. V. F. Imparati, Šaøur., 63 sg. 70 V. F. Imparati, op. cit., 55 sgg. con nota 36. 68 69

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summenzionati, data l’analogia delle loro funzioni.71 Secondo questo ordine di successione si potrebbe anche presumere che il “signore del paese” avesse avuto una posizione più elevata degli altri due dignitari menzionati insieme.72 Anche a lui spettava l’incarico di governare distretti o regioni, con varie mansioni (amministrative, giuridiche, religiose); egli pure sembra aver avuto ampi e vari poteri.73 Quindi, la distinzione fra il “signore del paese” e il “signore del posto di guardia” probabilmente va ricercata più nel tipo delle zone da loro governate - ubicate più all’interno quelle del primo, in prossimità dei confini del regno quelle del secondo che nelle mansioni che essi vi esplicavano e che non dovevano differire molto fra sé, anche se quelle del BÊL MADGALTI dovevano essere maggiormente rivolte verso quanto riguardava la sorveglianza e la difesa. Sempre in rapporto allo stesso ordine di successione, è possibile che l’ “ispettore di città o di villaggio” (MAŠKIM URUKI) fosse inferiore di rango ai due dignitari menzionati precedentemente. Egli, come ha indicato E. von Schuler, sembra essere stato un’autorità locale, forse addirittura la più alta.74 Anche egli sembra aver avuto incarichi di tipo diverso - amministrativi, giudiziari, religiosi.75 In questi incarichi egli poteva collaborare con dignitari dipendenti dall’autorità centrale, quali il

71 V. F. Imparati, op. cit., 75 con nota 110, e R.H. Beal, THeth 20 (1992) 438. Nelle clausole sopra ricordate si concedeva l’esenzione da certi oneri relativamente a quel dignitario dei tre lì menzionati, sotto l’amministrazione del quale i beni in causa venivano a trovarsi. 72 Su questo dignitario v. fra gli altri F. Imparati, op. cit., 57 sgg., e R.H. Beal, THeth 20 (1992) 437 sgg. 73 Come ha rilevato E. von Schuler, Kašk., 148, in taluni testi l’EN KURTI non appare chiaramente distinto dall’ EN/BÊL MADGALTI. Talora si nota addirittura una confusione nella grafia di questi titoli, v. per esempio, la scrittura EN KURTI-KAL-TI. 74 V. E. von Schuler, FsFriedrich, 489. Sulle varie ipotesi relative alla posizione e alle mansioni di questo funzionario nel mondo ittita v. F. Imparati, Šaøur., 66 sgg.; R. Haase, Recueil de la Societé J. Bodin 41 (1983) 197 sgg.; R.H. Beal, THeth 20 (1992) 433 sgg.; G. Beckman, StMed 9 (1995) 25 e CANE I (1995) 540. 75 Sulla sua collaborazione con il BÊL MADGALTI in àmbito giudiziario e cultuale v. sopra. Da un passo assai frammentario delle “istruzioni per il ÷AZAN(N)U di ÷attuša (KBo XIII 58 [CTH 257] II 29) sembra che questo desse appunto delle istruzioni all’ “ispettore di città/di villaggio” riguardo a qualcosa: questo fatto potrebbe spiegarsi considerando il ÷AZAN(N)U un dipendente regio. É inoltre possibile ritenere che nel caso in esame l’ “ispettore di città/di villaggio” esplicasse nella capitale gli incarichi a lui impartiti, v. F. Imparati, Šaøur., 67.

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“signore del posto di guardia” e il ÷AZAN(N)U.76 Si deve rilevare che l’ “ispettore di città/di villaggio” non compare, come invece ci aspetteremmo, nella documentazione proveniente da Ma$at. Un altro funzionario responsabile dell’amministrazione di città è il ÷AZAN(N)U, una specie di “sindaco”. I suoi compiti sono definiti in un testo di istruzioni a lui rivolte dal sovrano Arnuwanda I, però per quanto riguarda la città di ÷attuša.77 A questo funzionario spettava soprattutto il compito di occuparsi della sicurezza e della difesa della capitale. A tale scopo il sovrano gli impartiva disposizioni molto dettagliate, come, ad esempio, quella di controllare i turni di guardia e di dislocare le sentinelle presso le mura, le porte e i principali edifici della città, o di curare la chiusura di notte delle porte della città - mediante chiavistelli cui erano applicati sigilli - e la loro apertura al mattino. A lui competevano anche altri incarichi come la difesa contro gli incendi, la cura dell’approvvigionamento idrico, la sorveglianza di una corretta esecuzione di lavori di vario genere. Facevano parte dell’alta burocrazia dello stato - oltre ai governatori di distretti amministrativi - anche i capi di alcune categorie di funzionari che operavano all’interno della corte e fuori, e i capi militari.78 Il titolo di questi alti dignitari è, come si è visto nel paragrafo precedente, per lo più composto con il termine GAL “grande”, e talora anche con il termine EN “signore” e con il termine UGULA “sovrintendente”. Vi era inoltre un gran numero di funzionari che operavano in diversi àmbiti e a vari livelli nell’amministrazione dello stato.79 Nella documentazione ittita colpisce la numerosità di titoli che designavano questi dignitari e funzionari, ciò che risalta ancora di più dal confronto con i titoli che designavano chi operava in altri settori: non solo in quello della produzione (agricoltura, allevamento del bestiame), ma soprattuto in quello artigianale, che gravitava anch’esso per la maggior parte V. inoltre F. Imparati, op. cit., 67 sgg. e in ultimo, R.H. Beal, THeth 20, 439 sgg. V. H. Otten, BaM 3 (1964) 91 sgg. e Or 52 (1983) 133 sgg.; F. Pecchioli Daddi, OA 14 (1975) 93 sgg. (in particolare 132 con note 148-150) per la possibilità dell’esistenza di un tale funzionario anche in altre città, oltre che nella capitale; v. inoltre R.H. Beal, THeth 20 (1992) 441, ma anche G. Beckman, StMed 9 (1995) 25 con nota 35. 78 Sull’organizzazione militare ittita v. R.H. Beal, THeth 20 (1992) e CANE I (1995) 545 sgg. 79 V. F. Pecchioli Daddi, MPD (1982), passim. 76

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nell’àmbito palatino-templare. Ciò conferma l’ampiezza della struttura amministrativa del regno ittita e il ruolo rilevante che essa teneva in una organizzazione statale centralizzata e burocratizzata come quella di ÷atti.80 Dall’efficienza di questa struttura, infatti, dipendeva la forza ed anche l’esistenza stessa dello stato. Nel periodo imperiale si assiste ad una espansione di questo apparato burocratico, anche in rapporto all’ampliamento dei confini del regno.81 Tale apparato, però, faceva sempre capo al sovrano. Non sempre i titoli portati dai dignitari o funzionari dello stato rispecchiavano le mansioni da loro esercitate: talora questi titoli mostrano chiaramente di aver avuto origine nell’àmbito più ristretto della corte e di aver poi subìto un’evoluzione che non è sempre spiegabile.82 Si deve comunque tener presente che gli scribi utilizzavano spesso come designazione di una funzione un titolo straniero, per lo più proveniente dall’àmbito mesopotamico, che non sempre riusciva a rendere esattamente il significato di una funzione peculiare del mondo ittita. Dalla documentazione pervenutaci si può vedere che sovente chi deteneva alti incarichi di governo riuniva in sé una molteplicità e varietà di titoli e, spesso, anche di mansioni.83 Questo denota l’assenza di una specializzazione in alcune di queste mansioni, ciò che però è comprensibile in un àmbito di attività di direzione politica. Non si rileva una distinzione neppure fra alcune mansioni che noi potremmo definire “intellettuali”, come ad esempio quella di addetto a pratiche oracolari e quella di scriba, o quella di medico e quella di

In ogni caso, lo stato ittita - forse anche per la morfologia del suo territorio non arrivava ad una centralizzazione e burocratizzazione così rigida come si riscontra in certi periodi della storia mesopotamica, soprattutto all’epoca di Ur III. 81 Anche se molte di queste funzioni esistevano già al tempo dell’Antico Regno, è lecito però presumere una loro utilizzazione su una scala più vasta nel periodo imperiale. G. Beckman, CANE I (1995) 542, ha osservato a questo proposito che più che di sviluppo di uno stato burocratico in ÷atti durante questo periodo, si può parlare di un sistema di governo più elaborato. 82 Emblematico è il titolo GAL (LÚMEŠ) GEŠTIN, che letteralmente significa “Grande/Capo (degli uomini) del vino”, ma che dai documenti risulta essere stato un importante capo militare. 83 Si ricorda, ad esempio, il caso di un alto dignitario, Šaøurunuwa, che era contemporaneamente “Capo degli Scribi su legno”, “Capo delle truppe UKU.UŠ” e “Capo dei Pastori” e, come sappiamo da alcuni sigilli, anche Principe. 80

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scriba.84 Da quanto detto sinora si può quindi ritenere che l’amministrazione del paese fosse accentrata quasi completamente dal Palazzo. È noto che, oltre al palazzo reale (É.LUGAL, “casa del re”), vi erano molti palazzi (É.GAL, “casa grande”) periferici, dislocati in numerose località del paese, che avevano la funzione di centri amministrativi dipendenti dal potere centrale. Il re poteva risiedere qui durante i suoi spostamenti, che effettuava attraverso il suo regno per ispezione o in occasione di cerimonie cultuali.85 I funzionari di questi palazzi controllavano le proprietà dello stato, riscuotevano imposte e tributi, distribuivano manodopera ed altri beni. Esistevano altri centri amministrativi designati con espressioni composte con il termine “casa”, accompagnato da un altro termine che lo qualifica. Com’è noto, il termine “casa”86 viene utilizzato nelle società vicino-orientali antiche non soltanto col valore di edificio, ma anche in altre accezioni, come “famiglia, complesso patrimoniale, entità economico-amministrativa”: esso viene ad assumere significati più precisi appunto quando è in connessione con un altro termine che ne specifica il significato. Oltre alle due espressioni che abbiamo visto sopra usate per designare il palazzo, si ricordano altre sedi amministrative, quali, ad esempio, la “casa del sigillo” (É NA4KIŠIB), che aveva la funzione di magazzino in cui si conservavano i prodotti dei possedimenti statali e quelli consegnati come imposte, quindi la “casa dello/degli scriba/i” (É (LÚ.MEŠ)DUB.SAR, e la “casa della tavoletta” (É DUB.BA.A), che aveva la funzione di archivio o di scuola, ecc. Esistevano inoltre in ogni parte del regno numerose istituzioni cultuali designate con espressioni composte con il termine “casa”: oltre ai templi, indicati come “casa della divinità” (É.DINGIR), si ricordano anche la “casa di pietra” (É.NA4), cioé un mausoleo, quindi la “casa del picco roccioso” (santuario rupestre) É NA4øekur, un’istituzione cultuale probabilmente legata anch’essa al culto dei sovrani defunti, ecc. Questi complessi cultuali, oltre ad avere funzioni religiose, avevano anche funzioni economico-amministrative e possedevano personale e beni V. F. Imparati, FsPuglieseCarratelli, 94. Spesso non c’è distinzione anche fra mansioni militari e civili (v. più avanti). Sono invece diversificate le più qualificate attività artigianali. 85 V. H.G. Güterbock, in P. Garelli (ed.), Le palais et la royauté, Paris 1974, 305 sgg.; A. Archi, OA 12 (1973) 209 sgg. 86 Sumerico É, accadico BÎTU, ittita pir/parna. 84

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propri.87 I testi ittiti, convalidati anche da reperti archeologici, mostrano la dipendenza dei templi e di altre sedi di culto dall’amministrazione palatina. Essi ci appaiono come centri statali di accumulazione e redistribuzione e, in taluni casi, anche come archivi di stato. Su di essi il sovrano esercitava varie forme di controllo, sia mediante suoi dignitari, sia nominando qualche suo figlio sacerdote di una divinità, alla quale poi concedeva beni fondiari e di altro genere e varie forme di benefici.88 Alcuni documenti ci mostrano come i dignitari e i funzionari della corte e del regno, soprattutto quelli preposti all’amministrazione di distretti territoriali, avessero molte possibilità di compiere malversazioni e soprusi a loro vantaggio personale.89 I sovrani cercavano in vari modi di impedire che ciò avvenisse e si servivano anche degli appartenenti alle comunità locali, che operavano al di fuori della sfera statale, per controllare e limitare gli abusi compiuti nei loro villaggi da funzionari regi.90 Tuttavia la struttura amministrativa centrale controllava e condizionava anche le strutture amministrative delle comunità di villaggio, lasciando loro scarse sfere di autonomia. Molti documenti evidenziano una politica regia tesa al mantenimento di una equilibrata suddivisione dei beni fondiari. Infatti sembra plausibile intendere in tal senso il diretto intervento regio sia nella ripartizione di terre - mediante confische o donazioni - sia, addirittura, nei lasciti ereditari di grandi patrimoni fondiari. Attraverso questa linea politica, il sovrano controlla che i capi di distretti amministrativi non divengano troppo potenti con l’esigere arbitrariamente imposte o con la confisca di 87 Sulla funzione economica del tempio ittita v. H. Klengel, SMEA 16 (1975) 181 sgg.; sulla “casa di pietra” v. H. Otten, HTR, sull’istituzione cultuale del NA4hekur v. F. Imparati, SMEA 18 (1977) 19 sgg., H. Otten, Bronzetaf. (1988) 42 sgg. e in ultimo J. Börker-Klähn, SMEA 35 (1995) 69 sgg. 88 Emblematico è il caso di ÷attušili III, il quale dona alla sua divinità protettrice Ištar il patrimonio confiscato al suo potente nemico Arma-Tarøunta e, più tardi, al figlio di questo, Šippaziti. Più tardi conferisce al suo proprio figlio il sacerdozio di questa dea e insieme il godimento dei beni a lei donati e i benefici connessi a questi beni: v. in proposito F. Imparati, Stato Economia Lavoro, 231. 89 Si vedano in particolare i cosiddetti “protocolli giudiziari”, nei quali si contemplano spesso reati di peculato, compiuti da dignitari o funzionari dello stato, v. R. Werner, StBoT 4 (1967). Abbiamo notizia di reati di malversazione pure da testi di altro genere, anche a carattere religioso: v., a titolo esemplificatorio, F. Imparati, GsvonSchuler, 185 sgg. 90 V. F. Imparati, Stato Economia Lavoro, 225 sgg.

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terre. A tale scopo, ad esempio, il re di solito proibisce agli alti dignitari la confisca dei beni dei condannati a morte, di alto rango e proprietari di beni considerevoli.91 Il sovrano agisce in tal modo non soltanto per fornire di sé un’immagine di equità nell’esercizio della giustizia e di clemenza nei riguardi delle famiglie di persone condannate per qualche reato, ma anche allo scopo di tutelare concretamente la stabilità del suo potere col mantenimento di equilibri economici volti ad impedire la formazione di grandi patrimoni e a difendere la pluralità dei patrimoni esistenti. V. GLI ORGANISMI COLLEGIALI Come si è detto, il sovrano ittita già fin dall’Antico Regno, nonostante i limiti e le difficoltà che in questo periodo potevano provenirgli dal potere dei Grandi, riassumeva in sé le principali attività di governo. Ciò lasciava quindi poco spazio deliberativo ad altre istanze autonome organizzate. È quindi plausibile ritenere che ogni iniziativa di consultazione da parte del sovrano nei riguardi di altri organismi costituisse piuttosto un mezzo per acquisire il loro consenso specialmente in situazioni difficili per il potere regio - piuttosto che una ratifica al suo operato. Alcuni documenti ittiti mostrano l’esistenza, nell’àmbito dell’amministrazione centrale, di due organismi a carattere collegiale, il panku e il tuliya.92 I documenti più significativi per la conoscenza della composizione e delle competenze di questi due organi sono il cosiddetto Testamento di ÷attušili I, l’Editto di Telipinu e inoltre un editto emanato da Muršili I93 e il § 55 della raccolta di Leggi.94 Un Ad eccezione del caso in cui di questi beni vengano a godere membri della famiglia reale; v. F. Imparati, op. cit., 231. 92 V. per ultimi, a tal proposito, G. Beckman, JAOS 102 (1982) 435 sgg.; C. Mora, GsPintore, 159 sgg.; I. Hoffmann, THeth 11 (1984) 76 sgg.; M. Marazzi, WO 15 (1984) 96 sgg.; F. Imparati, CPUL 21 (1991) 161 sgg.; F. Starke, ZABR 2 (1996) 142. In questi articoli si trova anche l’indicazione dei testi ittiti dove i due termini compaiono e la bibliografia sull’argomento. 93 KBo XXII 1 16’-20’ (in F. Imparati, op. cit., 174, si deve correggere KBo XXI 1 in KBo XXII 1). 94 In questi due ultimi documenti gli episodi della convocazione del tuliya riguardano ÷attušili I: essi sono interessanti, fra l’altro, perché attestano la presenza di questo organo anche all’epoca di questo sovrano, dato che nel Testamento si fa soltanto riferimento al panku. 91

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altro testo preso spesso in esame dagli studiosi per cercare di definire la composizione del panku è il rituale KUB IX 34 IV 8’ sgg. e duplicati, in cui si enumerano diverse categorie sociali divise in due gruppi. Le opinioni degli studiosi ancora divergono per quanto concerne sia il valore semantico del panku95 e del tuliya,96 sia la composizione di questi due organi, le loro competenze e la loro possibilità di influenza sulla struttura politico-amministrativa dello stato ittita, il loro rapporto reciproco e nei riguardi del potere centrale. Gli studiosi hanno o diminuito o enfatizzato l’importanza di questi due organismi, considerando il panku e il tuliya o designazioni generiche di scarso valore politico97 o designazioni di organi di grande potere, tali da condizionare l’autorità regia.98 Per quanto riguarda l’ipotesi di considerare questi due termini come sinonimi, risulta allora difficile comprendere perché Telipinu nel suo editto avrebbe convocato e appellato uno stesso organismo designandolo in due modi diversi, soprattutto in un testo di grande rilievo politico, in cui si richiedeva necessariamente grande precisione nel definire istituti ai quali il re mostrava di attribuire - almeno formalmente - considerazione e importanza. Si deve inoltre tener presente che nel § 32 II 47, 51 di questo editto il sovrano esorta il panku a convocare il tuliya. Varie ipotesi sono state formulate anche riguardo al rapporto di questi due organismi fra sé e sulle loro mansioni.99 La maggior parte degli studiosi è concorde nell’attribuire loro - ma soprattutto al tuliya - competenze giudiziarie. L’influenza che questi due organi potevano avere nell’amministrazione del regno e il loro rapporto con il potere regio sono strettamente legati alla loro composizione. La documentazione pervenutaci offre maggiori notizie riguardo al panku, il quale è stato 95 Questo termine può avere il valore di aggettivo “tutto, ogni, intero, completo, generale” (v. CHD P, 88 sgg.) o di sostantivo “moltitudine, massa, assemblea, totalità” (v. CHD P, 90 sgg.); nei testi contenenti descrizioni di cerimonie di culto il termine panku sembra avere un valore più generico, per indicare l’insieme di ciò che è indicato nel passo, v. O. Gurney, AAA 27 (1940) 34 sg.; G. Beckman, JAOS 102 (1982) 436 sg. Nei testi di altro genere, invece, il panku di solito riveste un valore più specifico. 96 Oltre ai saggi citati sopra in nota 92, v. sul tuliya anche J. Tischler, HEG I/3, 129 sgg. 97 V. in particolare C. Mora, GsPintore, 159 sgg. 98 Su questo v. in particolare F. Starke, ZABR 2 (1996) 142. 99 Per una trattazione delle diverse ipotesi sull’argomento v. F. Imparati, CPUL 21 (1991) 168 sgg.

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ritenuto dagli studiosi costituito o dagli appartenenti alla estesissima stirpe reale,100 o dai membri della più alta burocrazia dello stato e non della nobiltà per se101 o, invece, dal personale della corte, dipendente dai Grandi.102 Quest’ultima ipotesi si basa soprattutto sul § 33 dell’Editto di Telipinu, dove appunto si descrive la composizione del panku.103 Da questo paragrafo sembra possibile ipotizzare che il re, in taluni casi, si servisse del panku come strumento di controllo sugli alti dignitari del regno, cioè i Grandi - dei quali, come abbiamo visto, facevano parte anche i capi degli stessi funzionari/impiegati che componevano il panku - per limitare la loro influenza e per diminuire il pericolo che essi potevano costituire per il potere regio. Al panku spettava, in determinate situazioni, il compito di convocare l’organo presumibilmente più ristretto e più competente a svolgere determinate mansioni giudiziarie, cioè il tuliya, 104 che è possibile, quindi, facesse parte del panku.105 È da rilevare

100 Cioè dalla parte più potente e influente del regno, così che il re, in talune importanti decisioni, aveva bisogno del loro consenso: v. in ultimo F. Starke, ZABR 2 (1996) 142. 101 Così G. Beckman, JAOS 102 (1982) 435 e 442 con nota 91; v. inoltre I. Hoffmann, THeth 11 (1984) 78. La distinzione fra la più alta burocrazia dello stato e la nobiltà non appare però così netta entro la struttura gerarchica ittita, anche per quanto riguarda l’Antico Regno. 102 Così F. Imparati, CPUL 21 (1991) 171 sgg. 103 Da questo paragrafo (II 66-68) si evince che il panku risultava composto appunto di funzionari/impiegati della corte: gli impiegati del Palazzo, le guardie del corpo, gli “uomini dalla lancia d’oro”, i coppieri, gli “uomini del tavolo”, i cuochi, gli scudieri, i “sovrintendenti dei mille del campo”. A questi il sovrano si rivolge dicendo (II 70-73) che se qualcuno - evidentemente un Grande (v. sopra), cioè, o un “padre della casa” o qualche alto dignitario, tra cui i capi dei funzionari menzionati precedentemente, di qualsiasi rango esso sia - commette un’azione malvagia, “anche voi, il panku, catturate(lo) e voi sbranatelo coi denti”. Per quanto riguarda l’ipotesi di interpretare l’espressione presente nella prima riga della redazione accadica del Testamento di ÷attušili I, secondo la quale è stata integrata la parte ittita corrispondente, come “... alle truppe, al NAKBATU (= itt. panku) e ai notabili”, v. F. Imparati, CPUL 21 (1991) 162 sg. e 171 sg., con bibliografia relativa; v. inoltre le osservazioni di M. Marazzi, WO 15 (1984) 96 sgg. 104 V. Editto di Telipinu § 31 II 51. È da notare che anche in alcuni testi a carattere religioso il tuliya mostra quella fisionomia di organismo a carattere giudiziario, che risulta dai testi di tipo politico-istituzionale; v. G. Beckman, JAOS 102 (1982) 438 e 440 nota 57. 105 Dai documenti in cui sono attestati i due termini in questione risulta più evidente l’attribuzione di compiti giudiziari al tuliya, tuttavia vi sono alcuni casi in cui

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che la documentazione finora pervenutaci riguardo alla convocazione di questi organismi assembleari da parte del sovrano concerne soprattutto il periodo antico-ittita; ne abbiamo però sporadiche notizie anche per il Medio Regno.106 Per quanto riguarda il Nuovo Regno, in un testo di istruzioni emanato da Tutøaliya IV e rivolto ad alti dignitari dello stato si parla di una convocazione all’assemblea, usando però l’espressione accadica ANA PU÷RI.107 Purtroppo il passo relativo è molto frammentario e può attestare soltanto la continuità dell’esistenza di organi collegiali. Per il loro intervento attivo non abbiamo, però, alcuna notizia, neppure in situazioni difficili o di dubbia legalità riguardo all’esercizio del potere regio. Da alcuni testi abbiamo visto che questi organismi a carattere collegiale venivano convocati dal sovrano in circostanze straordinarie, come, ad esempio, in casi in cui la successione al trono poteva apparire non conforme alla consuetudine o, addirittura, illegale. Tali organi non avevano però alcuna funzione decisionale nella nomina del re o di un suo successore. A loro, tuttavia, il sovrano presentava le motivazioni del suo comportamento e la sua rielaborazione della realtà,108 chiedendo loro un assenso formale, che conferisse validità al suo operato. In alcuni testi religiosi si fa menzione di un’ altra assemblea, la šalli ašeššar, cioè “grande riunione” in senso assai ampio. Essa veniva convocata durante la celebrazione di alcune feste di culto. L’esistenza di designazioni diverse per indicare organismi assembleari conferma la differenza di contenuto e di valore di queste assemblee. Abbiamo fatto riferimento sopra ad un altro interessante organismo a carattere collegiale (v. sopra), il consiglio

sembra che si alluda a competenze giudiziarie spettanti anche al panku: v. F. Imparati, CPUL 21 (1991) 177 sg. 106 V. G. Beckman, JAOS 102 (1982) 441 con nota 73; C. Mora, GsPintore, 174 sg.; F. Imparati, CPUL 21 (1991) 176 sg. È interessante notare che nel “protocollo di successione dinastica” KUB XXXVI 109 (CTH 275) 5’-7’ si richiede al panku di riconoscere - anche se, in realtà, solo formalmente - un erede al trono appena designato. 107 V. G. Beckman, JAOS 102 (1982) 441 con note 78-79. 108 Una dichiarazione di volontà da parte di un monarca, fatta in deroga ad una norma, esige anche la presentazione di una giustificazione, allo scopo di provocare l’assenso di coloro a cui tale giustificazione è diretta. I funzionari/impiegati della corte potrebbero essere i più adatti ad accogliere queste giustificazioni. In effetti, il ceto elitario del paese era certo il meno influenzabile da tali argomentazioni e il ceto più basso e più lontano dal potere il meno interessato ad esse.

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degli “anziani”,109 costituito dai rappresentanti delle comunità locali; questi non dipendevano direttamente dallo stato. Come si è visto, essi potevano collaborare con i rappresentanti del potere centrale nel campo dell’amministrazione religiosa e in quello dell’amministrazione della giustizia, sempre però a livello locale. Agli incaricati dell’amministrazione della giustizia il sovrano raccomandava di attenersi nel giudicare agli usi locali.110 Una raccomandazione del genere e la collaborazione di rappresentanti sia del potere regio sia delle comunità locali in àmbiti come quello cultuale e quello giudiziario permettevano all’autorità centrale di risolvere il problema della tutela dei suoi interessi principali prevalentemente politici, economici e militari - senza produrre pericolose alterazioni o soppressioni di istituzioni tradizionali locali. VI. L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO I.M. Diakonoff111 già molti anni fa aveva individuato nello stato ittita la presenza di un’economia di tipo palatino-templare, che gravitava nella città e si basava soprattutto sulla trasformazione dei prodotti, dando luogo ad una suddivisione specialistica del lavoro e ad una conseguente differenziazione sociale, ed una economia di tipo comunitario, che aveva sede nel villaggio e si basava sulla semplice produzione di cibo. Gli appartenenti all’àmbito comunitario vengono definiti nei testi ittiti con l’espressione “uomini della città/del villaggio” (LÚMEŠ URULIM) oppure “uomini del paese/del distretto” (LÚMEŠ KURTI); facevano talvolta parte di questo àmbito anche i cosiddetti “uomini dello strumento” (LÚMEŠ GIŠ TUKUL), che, nel caso specifico, erano costituiti da lavoratori liberi che operavano al di fuori dell’apparato statale.112 Nella documentazione 109 Sul ruolo degli “anziani” in Asia Minore al tempo degli Ittiti, v. H. Klengel, ZA 57 (1965) 223 sgg. 110 Nelle “istruzioni” per il “signore del posto di guardia” si dice: “Inoltre il “signore del posto di guardia”, l’ispettore delle città/del villaggio e gli Anziani giudichino bene i processi e li risolvano. E come fino dai tempi più antichi nei paesi (è) stabilita la norma riguardo a un crimine, nella città in cui si metteva a morte, si continui a mettere a morte, ma nella città in cui si metteva al bando, si continui a mettere al bando.....” (KUB XIII 2 [CTH 261] III 9-14). 111 MIO 16 (1967) 313 sgg.; v. anche A. Archi, FsOtten (1973) 17 sgg. 112 Sull’espressione (LÚ) GIŠTUKUL si è molto discusso, v. in ultimo R.H. Beal, AoF 15 (1988) 269 sgg., e THeth 20 (1992) 55 sg. In realtà anche se è possibile - come

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ittita si trovano poche attestazioni relative al settore comunitario. Se ne parlava nei testi soltanto quando esso aveva occasione di entrare in rapporto con le organizzazioni palatino-templari, come nel caso di pagamento di tributi o di prestazioni di lavoro nei riguardi di queste amministrazioni, o nel caso della partecipazione degli appartenenti a questo settore a determinate cerimonie religiose o a spedizioni militari.113 Del resto, tutti coloro che esercitavano attività non a livello dirigenziale comparivano nei documenti soltanto quando venivano in contatto con necessità e interessi del ceto dominante. È probabile che la maggior parte della popolazione ittita risiedesse nella campagna e si dedicasse all’agricoltura e all’allevamento del bestiame; veniva praticata anche la caccia e la pesca, che però non sembra aver avuto grande incidenza dal punto di vista economico. I produttori di cibo erano tenuti a consegnare gran parte dei prodotti all’autorità centrale, sia come tasse, sia per ottenerne in cambio i prodotti dell’artigianato cittadino. L’autorità centrale utilizzava quanto riceveva per le proprie necessità e per il mantenimento di chi gravitava nel suo ambito. Le eccedenze venivano accantonate e adoperate tanto per opere e attività che ne consolidassero e accrescessero il prestigio e il potere, quanto per essere ridistribuite ai sudditi.114 Gli appartenenti al settore comunitario erano tenuti a fornire al potere centrale anche periodiche prestazioni di lavoro. ritengono alcuni ittitologi - che tale espressione avesse avuto inizialmente il significato di “uomo dell’arma”, con l’andare del tempo essa passò a designare chi possedeva una certa capacità tecnica, per cui è stata spesso tradotta con il termine “artigiano”; v. F. Sommer, HAB (1938) 120 sgg. (il quale ritiene anche che tale espressione, per estensione, sia giunta poi a designare i “Kleinbürger”); A. Archi, FsOtten, 18 nota 7; v. inoltre, in ultimo, F. Imparati, CANE I (1995) 578. 113 Per la presenza del settore comunitario durante la celebrazione di feste religiose, v. A. Archi, OA 12 (1973) 223 sg. Riferimenti a questo settore si trovano, fra l’altro, anche in alcuni paragrafi della raccolta di Leggi (§§ 40, 41, 46, 47b, 52, 53, 112, e nei §§ XXXVII, XXXVIII, XXXIXb), laddove si parla degli “uomini della città” ed anche dei cosiddetti “uomini dello strumento” (v. sopra). Secondo alcuni di questi paragrafi le comunità di villaggio sembrano aver avuto una certa autonomia nella ripartizione e nella gestione delle terre loro appartenenti. Tuttavia si può constatare, in determinate situazioni, un intervento regio anche in questo àmbito, ciò che dimostra come il sovrano esercitasse forme di controllo e di condizionamento anche sulle strutture amministrative di queste comunità; v. F. Imparati, JESHO 25 (1983) 229 sgg. e 260 sgg. 114 V. in ultimo F. Imparati, CANE I (1995) 577 sg. Per situazioni analoghe nelle società del Vicino Oriente antico, cfr. M. Liverani, L’origine della città, Roma 1986, 3 sgg.

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La produzione artigianale, invece, appare soprattutto legata agli organismi palatino-templari.115 Si può dedurre questo sia da inventari contenenti elenchi di lavoratori dipendenti da questi organismi, da liste di derrate che tali lavoratori dovevano consegnare a questi due enti o di razioni che questi enti fornivano loro, sia, sporadicamente, da documenti di altro genere, come i cosiddetti “protocolli giudiziari” (v. par. I), alcuni editti regi, trattati internazionali, testi epistolari ecc. Dalle amministrazioni palatina e templare gli artigiani ricevevano vitto, alloggio, salari, ed anche materiale grezzo che essi dovevano riconsegnare finito.116 Si può parlare di specializzazione del lavoro soltanto per attività artigianali molto qualificate, come, ad esempio, quella dei metallurgici.117 Invece, nel caso di lavori meno qualificati, si poteva richiedere ad una stessa persona di passare da un lavoro ad un altro, a seconda delle necessità. Inoltre, in particolari situazioni di emergenza, nessuna categoria di lavoratori, anche se specializzati, poteva esimersi dal compiere lavori che generalmente non le spettavano. C’era anche, in talune circostanze, la possibilità di scambio fra mansioni militari e mansioni civili.118 Come si è rilevato precedentemente, il potere centrale 115 Esisteva anche un artigianato “privato”, che riceveva onorari per il suo lavoro e che si spostava a seconda delle richieste. Dato il carattere della documentazione e i luoghi da dove essa proveniva (archivi palatini e templari), le notizie in proposito sono scarse. Sulla terminologia v. F. Pecchioli Daddi, MPD, e inoltre in generale F. Imparati, CANE I (1995) 577 sgg. e H. Klengel, AoF 23 (1996) 265 sgg. 116 All’interno di queste amministrazioni operavano metallurgici, lavoratori del cuoio e delle pelli, del legno, delle pietre, addetti al settore tessile, vasai, muratori, giardinieri, ecc. vi erano anche gli addetti alla trasformazione dei prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento e alla loro conservazione, e inoltre gli incaricati dei servizi, quali i coppieri, gli addetti ai tavoli, i barbieri ecc. 117 Anche se conosciamo alcune designazioni di lavoratori che appaiono collegate a compiti specifici (come, ad esempio, gli addetti alla preparazione di particolari cibi o bevande), non sembra però plausibile ritenere che si volesse indicare in questo modo personale specializzato in tale settore; doveva piuttosto trattarsi di designazioni relative a mansioni temporanee. 118 Si veda, ad esempio, ABoT 57 (CTH 97) Ro 12-24, e il passo corrispondente in KBo IV 10 (CTH 106) Ro 42’-47’, dove si parla della concessione da parte del sovrano ittita e della sua sposa al re del paese di Tarøuntašša di particolari esenzioni da obblighi militari per permettere ai soldati di compiere alcune prestazioni di lavoro in favore di divinità; v. su questo Th.P.J. van den Hout, StBoT 38 (1995) 36 sg. e 66 sg.; inoltre, per i passi corrispondenti, v. F. Imparati-F. Pecchioli Daddi, EOTHEN 4 (1991) 47. Cfr. anche KBo VI 28 (CTH 88) Vo 26 sg., dove dalla formulazione dell’esenzione concessa in questo passo si può dedurre che, in altri casi, era possibile richiedere alle truppe

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tendeva a concentrare le più importanti attività artigianali entro i nuclei urbani. Tuttavia potevano esistere vari motivi che determinavano il decentramento di alcune di queste attività, come, ad esempio, quella di esperti nella lavorazione di particolari metalli.119 Venivano inoltre esplicate professioni che possiamo definire “intellettuali”, come quelle di scriba, di medico, di addetto a mansioni sacerdotali, divinatorie ecc. La professione di scriba - come, del resto, nelle altre civiltà del Vicino Oriente antico - era di grande importanza nel mondo ittita. Gli scribi venivano addestrati scrupolosamente in apposite scuole “scribali”. Conoscevano varie lingue oltre la loro e, talora, anche diverse scritture (cuneiforme e geroglifica). La corte ittita faceva venire, talvolta, scribi anche da altri paesi. È possibile che alcuni di loro fossero specializzati nella redazione, copiatura o rielaborazione di testi di un particolare genere letterario.120 Troviamo talvolta la loro designazione ampliata e specificata mediante l’espressione “scriba su tavolette di legno”.121 Di grande interesse sono i colofoni di varie tavolette, contenenti, oltre all’indicazione del contenuto del documento, anche il nome dello scriba che le ha redatte, e, talvolta, la sua genealogia più o meno ampia (padre, nonno, per risalire talora anche più indietro nel tempo), il nome del supervisore alla stesura del documento e il nome del maestro presso il quale lo scriba si era formato.122 Comunque, da questi stanziate in guarnigione lavori di vario genere, secondo le necessità contingenti, senza tener conto di eventuali specializzazioni e senza attenersi a mansioni puramente militari: v. F. Imparati, SMEA 18 (1977) 44 sg. Anche nel molto discusso § 56 della raccolta di Leggi sembra si faccia riferimento ad una situazione di emergenza, durante la quale nessuna categoria di artigiani, anche se specializzati, poteva esimersi dal compiere prestazioni che generalmente non le competevano. 119 V. in proposito F. Imparati, GsvonSchuler, 178 sg. In particolare l’attività metallurgica connessa all’uso del fuoco, e soprattutto la lavorazione del ferro, dovevano essere praticate per lo più fuori dai centri abitati, come accadeva in Europa in età medievale; v. in proposito H. Klengel, AoF 23 (1996) 273. 120 Talora proprio nel restauro e nella copiatura di documenti più antichi, come, ad esempio, di testi religiosi, soprattutto all’epoca di Tutøaliya IV: v. in proposito A. Marchini nella sua tesi di laurea su “Gli scribi dei testi religiosi ittiti”, svolta sotto la mia guida e sostenuta a Firenze nell’anno accademico 1995-1996. 121 Sull’uso di questo supporto scrittorio in ambito ittita, v. M. Marazzi, FsBelardi (1994) 131 sgg. e H. Klengel, AoF 23 (1996) 266 sg. 122 Vi sono dei casi in cui uno scriba appartenente ad una importante famiglia scribale, pur seguendo la tradizione professionale della famiglia, veniva inviato a istruirsi presso un maestro e una scuola scribale diversi.

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colofoni apprendiamo che la professione di scriba - come del resto accade per altre professioni - poteva essere ereditaria. Sappiamo, inoltre, che gli scribi ittiti - analogamente a quanto avveniva anche altrove nel Vicino Oriente antico - potevano svolgere altre mansioni specialistiche oltre la loro, come quella di medico, sacerdote o addetto a pratiche divinatorie.123 Per quanto riguarda la professione medica, si può dedurre dai documenti che il medico ittita, oltre che terapeuta, era anche esorcista ed esperto in pratiche divinatorie.124 Tuttavia - anche se dai documenti pervenutici emerge la grande importanza attribuita dagli Ittiti ai trattamenti magici nella cura delle malattia - se teniamo conto sia della preparazione scolastica richiesta al medico ittita, sia del suo verosimile apprendimento di vari aspetti della medicina mesopotamica,125 appare logico ipotizzare che alla terapia medica si affiancasse anche una medicina pragmatica. La professione di medico - come quella di scriba poteva essere ereditaria. Come negli altri regni del Vicino Oriente antico, anche in ÷atti il medico era legato all’ambito palatino e prestava il suo servizio soprattutto a favore del ceto dominante del paese. Tuttavia si occupava anche della salute della comunità, come in caso di epidemie, ricorrendo a pratiche magiche. Il re si preoccupava di avere nel suo regno i terapeuti di grande fama, fornendo loro beni e ricchezze. A tale scopo i sovrani ittiti si rivolgevano a corti straniere, come quella egiziana e quella babilonese, per avere medici che curavano i membri della famiglia reale di ÷atti. Il personale cultuale, che era attivo all’interno delle istituzioni religiose, era numeroso.126 Il re e la regina avevano il rango più alto all’interno della gerarchia sacerdotale e presiedevano spesso - talora insieme, talora separatamente, talora con i loro figli - ad È infatti logico presumere che agli addetti all’esecuzione di queste pratiche si richiedesse la conoscenza della scrittura, proprio per la necessità di annotare sul momento e con esattezza i risultati delle varie operazioni per fornire responsi. Questa necessità di registrare immediatamente i risultati delle consultazioni sembra emergere anche dalla grafia affrettata che caratterizza di solito i testi oracolari: infatti, per registrare le consultazioni venivano impiegate numerose abbreviazioni dei termini tecnici; v. F. Imparati in FsBresciani, 255 sgg. 124 Sulla medicina ittita v. C. Burde, StBoT 19 (1974) e per ultimi G. Beckman, RlA 7 (1990) 629 sgg. e F. Imparati, CANE I (1995) 581 sgg., con bibliografia. 125 Sappiamo, infatti, della presenza presso la corte ittita, in talune circostanze, di medici provenienti da Babilonia. Numerosi testi di contenuto medico, trovati negli archivi di ÷attuša, sono di tradizione mesopotamica. 126 V. F. Pecchioli Daddi, MPD, 204 sgg. 123

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importanti cerimonie religiose. Dai testi, però, abbiamo notizia dell’esistenza nello stato ittita di una vasta e complessa amministrazione religiosa, organizzata gerarchicamente. Ciò si può spiegare per l’ampiezza del pantheon ittita, che conglobava divinità provenienti da àmbiti geografici e da tradizioni culturali differenti (hattica, hurrica, luvia, palaica, sumerica, accadica), le quali venivano venerate secondo liturgie diverse.127 Oltre ai sacerdoti di stato, vi erano quindi anche sacerdoti legati a specifici culti locali, esperti in particolari procedure religiose. Vari erano inoltre gli addetti a rituali magici di vario genere, di diversa origine e da eseguirsi per gli scopi più disparati. Numerosi erano anche gli esperti in pratiche divinatorie.128 Oltre agli officianti nei vari riti o nelle consultazioni oracolari e ai loro assistenti, vi era anche il personale templare addetto al servizio degli dèi: i coppieri, gli “uomini del tavolo”, gli addetti alla preparazione dei cibi e delle vesti, i cantori, i danzatori ecc. Anche le donne facevano parte del personale addetto al culto, di vario tipo e a diversi livelli. Di grande interesse sono le cosiddette “istruzioni per il personale templare”,129 poiché sono rivolte ai “sacerdoti grandi e piccoli”, ai “sacerdoti unti”, alle sacerdotesse “madri della divinità”, agli addetti ai vari servizi per gli dèi e agli addetti alle attività produttive nei possedimenti templari; queste “istruzioni” offrono quindi un ampio quadro anche della struttura del tempio ittita. Da questo testo, inoltre, emergono i numerosi obblighi e le restrizioni cui erano soggetti coloro che servivano le divinità, soprattutto per quanto riguardava una grande cura nel mantenimento della pulizia e della purezza sia personale che rituale, la corretta gestione dei beni templari, la precisione nella celebrazione del culto e l’attenzione nella tutela degli edifici religiosi. V. V. Haas, GHR (1994); M. Popko, Religions (1995). Il sacerdote più frequentemente menzionato e, forse, di più alto rango è quello designato come SANGA; un ruolo di rilievo era anche tenuto dal LÚGUDU12, letteralmente l’ “unto”, che sembra essere stato attivo nella parte settentrionale e centrale del paese: Importanti erano inoltre le sacerdotesse denominate come MUNUSAMA.DINGIRLIM “madre della divinità” e NIN.DINGIR “signora della divinità” (legata a culti dell’Anatolia settentrionale), generalmente connesse con il culto di divinità femminili. Noti operatori in procedimenti magici o divinatori erano la MUNUSŠU.GI, la “vecchia”, il LÚ÷AL, il “veggente”, talora identificato con il LÚAZU, il LÚMUŠEN.DÙ l’ “augure” ecc. 129 CTH 264, v. in ultimo A. Süel, Hitit Kaynaklarinda Tapinak, Ankara 1985, con bibliografia. 127

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Per ciò che concerne l’àmbito militare,130 il capo supremo dell’esercito era il sovrano, il quale, in taluni casi, poteva essere sostituito nel comando da un Principe o da un Signore di rango superiore; già nel par. III, indicando chi faceva parte dei Grandi del regno, si sono ricordate alcune cariche militari, tra cui quella importante di “grande (degli uomini) del vino”, GAL (LÚMEŠ) GEŠTIN; è stata menzionata fra queste cariche anche quella di GAL MEŠEDI “capo delle guardie del corpo”, di grande rilievo nel regno e legata a funzioni civili e militari. Fra le altre cariche di capi militari di vari livelli - ma inferiori a queste due - si ricordano quelle di “capo” o “signore” delle truppe UKU.UŠ (armati pesanti?), “signore dell’esercito”, “capo degli aurighi”, “sovrintendente degli araldi delle truppe”, ecc. Il compito di occuparsi dell’organizzazione militare spettava anche ai governatori di distretti di vario genere (v. par. IV). Conosciamo anche diversi termini per designare ufficiali militari a livello inferiore e i componenti degli eserciti. Una espressione che ricorre spesso nei testi ittiti è quella di ÉRINMEŠ ANŠE.KUR.RAMEŠ, da intendersi come “Fußtruppen (und) Wagenkämpfer”131 o “truppe a piedi (e) a cavallo”.132 Comunque, come si è già rilevato, è necessario tenere sempre presente che spesso è difficile fare una netta distinzione fra mansioni militari e mansioni civili. Come si è visto più volte, i vari settori di lavoro venivano controllati da ispettori (UGULA); esistevano inoltre i capi (GAL, “grande”) di questi settori, che erano spesso alti dignitari facenti parte della burocrazia statale (v. par. III). I giovani venivano addestrati nei loro mestieri o professioni da istruttori o maestri.133 La mano d’opera era prevalentemente maschile, tuttavia anche le donne venivano impegnate in diverse attività di tipo agricolo e artigianale, nella prestazione di vari servizi. Molto spesso le donne operavano in àmbito cultuale, dove talvolta esercitavano mansioni di rilievo - anche nella medicina e nelle pratiche di scongiuro. Un confronto - purtroppo assai limitato per la scarsità della 130 Per l’organizzazione militare degli ittiti v. in ultimo R.H. Beal, THeth 20 (1992) e CANE I (1995) 545 sgg. 131 V. in ultimo C. Rüster-E. Neu, HZL, Nr. 327. 132 V. R.H. Beal, THeth 20, 32: “Infantry and mounted troops”. 133 È spesso presente nei testi ittiti l’espressione accadica LÚUMMIANU, che si potrebbe tradurre “maestro artigiano”, verosimilmente corrispondente all’ittita LÚummiyanni (hapax): v. F. Pecchioli Daddi, MPD, 29 e 36.

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documentazione in proposito - dei salari percepiti per alcuni lavori da uomini e da donne mostra come la retribuzione del personale femminile fosse inferiore a quella del personale maschile.134 Alcune clausole presenti in trattati internazionali, stipulati da sovrani ittiti con sovrani di paesi stranieri, mostrano l’interesse delle corti nell’acquisire nuove forze lavorative,135 o, per lo meno, nel conservare la propria manodopera.136 Appare interessante, per quanto ancora non del tutto chiaro, quanto si legge in alcuni trattati stipulati fra il Gran Re di ÷atti e alcuni sovrani di paesi a lui soggetti. Vi si dice che il sovrano ittita non restituirà a questi ultimi i fuggiaschi, tranne che nel caso in cui si tratti di contadini o di artigiani,137 cioè di individui aventi un certo valore economico nel settore produttivo.138 A dimostrazione della tutela di chi esercitava attività lavorative si ricorda il § 10 (e il suo parallelo § IX, di epoca più recente) della raccolta di Leggi, nel quale si contempla il caso del ferimento di una persona e della sua conseguente impossibilità di lavorare per un certo periodo di tempo. Il colpevole deve, in tal caso, prendersi cura del ferito e fornire anche una persona che lo sostituisca temporaneamente nel lavoro. Alla sua guarigione, l’offensore dovrà pagare alla vittima un

Per la conoscenza di come gli Ittiti valutassero determinati lavori è interessante anche un confronto fra i prezzi di ingaggio di personale lavorativo e quelli di affitto di taluni animali, ed anche una comparazione con i prezzi di acquisto di persone, ovviamente non libere, e di animali e oggetti: v. su questo H. Klengel, AoF 15 (1988) 76 sgg., con bibliografia, e F. Imparati, RlA 8 (1994) 184 sgg. e CANE I (1995) 580 sg. Un esame di tal genere è utile anche per la valutazione di personale addestrato in determinati lavori rispetto a quello ancora inesperto. 135 V. infatti in vari trattati la clausola in cui si stabilisce che il sovrano ittita non restituirà ai sovrani di stati a lui subordinati persone fuggite da questi paesi in ÷atti. Questa norma, però, non è reciproca, non vale cioè anche per i sovrani assoggettati. 136 Infatti nel trattato paritetico tra il sovrano ittita ÷attušili III e il faraone egiziano Ramses II si stabilisce che i due sovrani restituiranno reciprocamente chiunque sia fuggito dal paese di uno dei due contraenti per rifugiarsi in quello dell’altro. 137 Nei passi in proposito, indicati nella nota seguente, il termine “signore della mano”, cioè artigiano, è collegato ai lavoratori citati prima (un tessitore, un carpentiere, un cuoiaio): infatti questi sono separati mediante la disgiuntiva našma, “o”, dal “contadino” menzionato precedentemente. 138 V. KBo V 4 I 39’ sg. (trattato fra Muršili II e Targašnalli di ÷apalla, v. J. Friedrich, SV I, 58 sg. § 7*) e KUB XIX 54 I 4’-7’ (trattato stipulato ancora da Muršili II con Kupanta-Kurunta di Mira e Kuwaliya, v. J. Friedrich, SV I, 140 sg., § 23*). V. inoltre F. Pecchioli Daddi, MPD, 14 sg. Era forse questa una forma di riguardo particolare usata da questo sovrano verso questi regni dell’Anatolia occidentale? 134

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indennizzo in sicli d’argento (nel testo più recente tale indennizzo è maggiore) e sostenere anche le spese mediche.139 Anche per quanto riguarda il commercio la quasi totale assenza di documenti ittiti a carattere privato non consente di avere una visione completa della sua organizzazione.140 Sembra, tuttavia, possibile ipotizzare che esso pure dipendesse dal potere centrale e che i mercanti fossero funzionari regi, anche se, presumibilmente, esisteva un commercio privato, ma di minore importanza, forse svolto da venditori ambulanti o praticato in spacci, taverne, posti di ristoro. Abbiamo già parlato della presenza nei testi ittiti di numerose sedi amministrative designate con espressioni composte con il termine “casa”. I documenti mostrano anche l’esistenza di “case” dei cuochi, dei panettieri, dei lattai, dei cuoiai, ecc. Queste potevano forse non aver sempre costituito edifici indipendenti fra sé, ma magazzini o laboratori facenti parte di complessi più vasti, probabilmente palatini o templari, destinati alla raccolta, alla conservazione e alla elaborazione dei prodotti in essi convogliati. Sono di grande interesse a questo proposito gli elenchi a carattere amministrativo di “case”, intese in questo caso come entità economiche, dotate di determinate unità lavorative (uomini, donne, ragazzi). Quando, per vari motivi, in una di queste “case” non si raggiungeva il numero di forze lavorative ritenuto adeguato, allora il Palazzo forniva dei deportati (NAM.RAMEŠ) per integrare la quantità mancante.141 VII. L’AMMINISTRAZIONE DELL’IMPERO E LE RELAZIONI INTERNAZIONALI

Di grande importanza per un sovrano per consolidare ed ampliare il proprio potere e il proprio dominio sia all’interno che all’esterno del suo regno era la capacità di costruire una vasta e solida rete di alleanze a 139 L’onorario del medico non viene indicato nel testo più antico; nel testo più recente, invece, esso dipende dallo status sociale della parte lesa: l’onorario, cioè, è più alto se la vittima è un libero. 140 V. su questo H. Klengel, AoF 6 (1979) 69 sgg. 141 Su questo v. H. Klengel, Oikumene 5 (1986) 28 sgg., secondo cui 10 deportati formavano “a normal working unit”. Probabilmente un gruppo di 10 persone corrispondeva alla dimensione media di un’economia domestica.

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livello internazionale. Per la conoscenza di questo rilevante aspetto della politica ittita sono fonti primarie trattati, editti, verdetti, arbitrati internazionali. Mediante questi i re ittiti regolavano i loro rapporti sia con le potenze loro pari, sia con gli stati a loro soggetti, e inoltre la corrispondenza epistolare, con cui si intrecciavano, si consolidavano, si modificavano relazioni internazionali.142 Notizie importanti si ottengono anche da altri documenti di genere diverso, quali, ad esempio, testi di tipo annalistico, in cui il sovrano che ne è l’autore espone l’attività politica e militare da lui esplicata entro un determinato periodo di tempo. Ovviamente, utili informazioni sull’argomento qui esaminato provengono non soltanto dagli archivi della capitale ittita, ma anche da archivi di paesi stranieri, coinvolti in modi e in posizioni diverse nella politica estera di ÷atti. Di particolare interesse in tale contesto sono i trattati internazionali, cioè i trattati di stato, pervenutici in gran numero e risalenti a periodi diversi della storia ittita, a partire già dall’Antico Regno.143 Essi venivano scritti su tavolette in metallo - argento, ferro, bronzo144 - e portavano il sigillo regio; tuttavia fino al ritrovamento a Boˆazköy nel 1986 della tavola di bronzo contenente la redazione completa del trattato internazionale stipulato fra il sovrano ittita Tutøaliya IV e Kurunta, re di Tarøuntašša, non ci era pervenuto alcun originale di questi documenti; fino ad allora erano note soltanto copie su tavolette di argilla compilate per gli archivi palatini e templari, senza il sigillo regio. Del trattato stipulato fra il sovrano ittita ÷attušili III e il faraone egiziano Ramses II esistono anche le copie della redazione egiziana, in grafia ieroglifica, venute alla luce sulle pareti del tempio di Amon a Karnak e del Ramesseo, oltre alle copie in accadico ritrovate a Boˆazköy/÷attuša. I 142 Alcuni tra i testi più significativi per la conoscenza della politica internazionale ittita sono stati recentemente presentati in traduzione da G. Beckman, HDT (1996); a p. 171 sgg. si trova l’indicazione in autografia dei testi trattati, con le relative corrispondenze in CTH e la bibliografia principale per ogni documento. V. 181 sgg. vi è una bibliografia generale sull’argomento nel suo complesso. 143 V. in ultimo la tavola sinottica dei trattati ittiti pervenutici presso G. Beckman, HDT, 6 sgg.; alla vasta bibliografia sull’argomento indicata da questo studioso si può ora aggiungere E. Edel, Der Vertrag Zwischen Ramses II. von Ägypten und ÷attušili III. von ÷atti, Berlin 1997 (= WDOG 95) e G. Beckman, ZA 87 (1997) 96 sgg. 144 V. ad esempio le lettere inviate dalla corte egiziana a quella ittita dopo la stipulazione del trattato fra ÷attušili III e Ramses II, in molte delle quali si fa riferimento alla “bella tavola d’argento” contenente questo trattato.

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trattati pervenutici sono scritti in lingua ittita (per la maggior parte stipulati con sovrani di paesi anatolici) o in lingua accadica (per lo più i trattati stipulati con gli stati siriani) - la “lingua della diplomazia” - o in ambedue le lingue.145 Non abbiamo una definizione uniforme di questi documenti; essi sono designati in ittita con il termine išøiul, derivato dal verbo išøiya-/išøai-, “legare”, corrispondenti all’accadico RIKSU e RIKILTU/RIKISTU, “legame, vincolo, obbligo”,146 o con il termine ittita lingai-,147 corrispondente all’accadico MÂMÎTU148 “giuramento”. In alcuni trattati, soprattutto in quelli siro-ittiti, compaiono le due designazioni “vincolo e giuramento”.149 Si trova in alcuni trattati anche il termine ittita takšul, che in epoca più antica aveva il significato di “patto, accordo”, ma che in seguito venne ad assumere il valore di “pace, amicizia”.150 I trattati internazionali potevano essere sia di parità, cioè stipulati da sovrani ittiti con sovrani loro pari per importanza e potere, sia di subordinazione, cioè stipulati con sovrani di paesi soggetti al dominio ittita (trattati di subordinazione). Fra questi ultimi, che costituiscono la maggior parte dei trattati in nostro possesso, se ne distinguono alcuni stipulati dagli Ittiti con paesi considerati per vari motivi meritevoli di particolare riguardo, ma non in posizione di parità. Questi atti, definiti da alcuni studiosi come “trattati di protettorato”, formalmente ricordano i trattati paritetici e possono anche, ad una prima lettura, apparire come contratti bilaterali, poiché molte clausole che vi si trovano presentano un carattere di pariteticità, tuttavia da un loro attento esame emerge chiaramente la supremazia di ÷atti nei confronti dell’altro paese contraente. Due trattati con Kizzuwatna, il trattato con Šattiwaza di Mittani ed alcuni trattati con sovrani siriani: v. G. Beckman, HDT, 6 sgg. 146 Per alcuni esempi di questa designazione nei trattati internazionali e nei testi di “istruzione” v. C. Zaccagnini in I trattati nel mondo antico. Forma, ideologia, funzione (M. Canfora, M. Liverani, C. Zaccagnini edd.), Roma 1990, 56 sgg. 147 Dal verbo link-/linka-(?) “giurare”, v. C. Zaccagnini, op. cit., 64 sgg. 148 Viene usata in tal senso anche l’espressione accadica NΊ ILI/ILÂNI. 149 Tale designazione si trova anche nel trattato tra Šuppiluliuma I e Šattiwaza di Mittani, nel colophon della redazione della parte di Šattiwaza (CTH 52): “Una tavoletta del vincolo/legame e del giuramento. Di Kili-Teššup (= lo scriba). Completa”. 150 G.F. Del Monte, OA 20 (1981) 207 sgg.; v. inoltre tutto l’articolo (pp. 203-221) per l’uso diacronico di queste diverse definizioni dei trattati ittiti. Sulla designazione delle cosiddette “istruzioni”, v. più avanti nota 161. 145

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I trattati ittiti, sia paritetici che di subordinazione e di “protettorato”, si rassomigliano nella struttura formale, anche se differiscono notevolmente nella sostanza. È stato individuato dagli studiosi uno schema-tipo cui di solito ci si atteneva nella redazione dei trattati internazionali - con alcune eccezioni dovute o a particolari situazioni politiche o a circostanze contingenti. All’inizio di questi documenti si trova una intestazione o preambolo, in cui sono menzionati nei trattati paritetici i due contraenti dell’atto151 e nei trattati di subordinazione(“vassallaggio”) soltanto il Gran Re ittita che ha redatto il contratto.152 Quindi, nella maggior parte dei casi segue una introduzione all’atto, in cui si espongono le circostanze che ne hanno preceduto e provocato la stesura. Queste introduzioni sono spesso assai ampie e risalgono alquanto indietro nel tempo, per cui possono costituire utili fonti storiche. Tuttavia, nella loro utilizzazione, è sempre necessario tener presente il loro intento finalizzato alla stipulazione del contratto. Per tale motivo in esse vengono evidenziati o messi in ombra o talora celati eventi ritenuti dall’estensore del documento più o meno utili, e in taluni casi addirittura nocivi, allo scopo prefisso. Quindi, per verificare l’attendibilità di queste introduzioni, sarebbe importante poter confrontare situazioni ed eventi in esse esposti con gli stessi fatti raccontati in altri documenti del medesimo o di differente tipo.153 Dopo l’introduzione si stabiliscono in questi trattati gli accordi e gli impegni delle due parti contraenti mediante clausole di ordine diverso. Nelle clausole di ordine politico vengono regolati i rapporti non solo fra i due stati impegnati nel contratto, ma anche, in molti casi, tra loro e altri paesi V. il trattato tra Zidanta II e Pilliya di Kizzuwatna (CTH 25) e quello fra ÷attušili III e Ramses II di Egitto (CTH 91). 152 V., ad esempio, l’intestazione del trattato fra Muwattalli II e Alakšandu di Wiluša (CTH 76): “Così (parla) il Mio Sole, Muwattalli, Gran Re, [re del pae]se di ÷atti, amato dal dio della Tempesta piøaššašši (cioè del fulmine?), figlio di Muršili Gran Re, eroe”, oppure quella più ampia del trattato fra Tutøaliya IV e Kurunta di Tarøuntašša: “Così (parla) il Tabarna Tutøaliya, Gran Re, re del paese di ÷atti, eroe, figlio di ÷attušili, Gran Re, re del paese di ÷atti, eroe, nipote di Muršili, Gran Re, re del paese di ÷atti, eroe, pronipote di Šuppiluliuma, Gran Re, re del paese di ÷atti, eroe, discendente di Tutøaliya, Gran Re, re del paese di ÷atti, eroe”. 153 È utile, in tal senso, il confronto fra i vari trattati stipulati dagli Ittiti con il regno di Amurru (Šuppiluliuma I ed Aziru, Muršili II e Tuppi-Teššup, ÷attušili III e Bentešina, Tutøaliya IV e Šaušgamuwa) per la loro sequenza cronologica, che permette di valutare il susseguirsi e lo svolgersi di certi avvenimenti e la loro portata. 151

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stranieri. Nelle clausole di ordine militare, si stabilisce, fra l’altro, anche l’entità e il tipo di fornitura di aiuti militari in caso di una guerra. Nelle clausole di ordine economico si decide, ad esempio, l’entità del tributo che deve dare al re ittita il sovrano subordinato e talora anche la politica economica di questo nei riguardi di paesi stranieri (come, ad esempio, la regolamentazione del commercio estero). Nelle clausole di ordine giuridico si riconosce al re ittita la facoltà di giudicare il comportamento del sovrano subordinato e le sue eventuali colpe sia nei riguardi del Gran Re di ÷atti sia dei sovrani di altri paesi. Di particolare interesse sono le clausole relative all’estradizione dei rifugiati - sia di posizione sociale elevata, per lo più rifugiati politici,154 sia di basso ceto, generalmente debitori insolventi che fuggivano in terra straniera per non divenire schiavi. Si possono inoltre trovare in questi documenti anche altre clausole legate a situazioni contingenti. Nella maggior parte dei casi, a conclusione dei trattati di vario tipo si trova un lungo e dettagliato elenco delle divinità dei due paesi contraenti.155 Si invoca poi la maledizione divina per chi violerà tale accordo e la benedizione per chi lo rispetterà. In alcuni trattati di subordinazione è anche indicato il luogo di deposizione del documento, cioè nei templi delle principali divinità o dei due paesi contraenti o soltanto dello stato subordinato. Si stabilisce inoltre che nel paese assoggettato l’atto venga letto periodicamente ad 154 In questo caso, è interessante quanto è fissato come norma nel trattato fra ÷attušili III e Ramses II (CTH 91): all’estradato e alla sua famiglia veniva assicurata, al ritorno in patria, la completa immunità per i reati commessi; v. E. Edel, Der Vertrag Zwischen Ramses II. von Ägypten und ÷attušili III. von ÷atti, Berlin 1997 (= WDOG 95), 56 sg.; G. Beckman, HDT, 94. Evidentemente i fuoriusciti politici costituivano un maggior pericolo all’estero che in patria; si speculava quindi sul fatto che la speranza di un’amnistia potesse indurli al ritorno al loro paese di origine. 155 Uno studio comparativo di queste liste divine è di grande importanza per la conoscenza non solo delle possibili influenze religiose fra diversi paesi, ma anche delle vicende politiche internazionali. Un esempio: poiché sappiamo che gli Ittiti solevano accogliere nel proprio pantheon di volta in volta le divinità dei paesi assoggettati, un esame in senso diacronico delle liste di divinità di ÷atti menzionate nei trattati può essere assai utile per conoscere varie fasi della politica estera degli Ittiti, proprio in base alla presenza o assenza di divinità di paesi stranieri nel pantheon ittita in periodi diversi. E per quanto riguarda le influenze cultuali e culturali di un paese su un altro, si ricorda l’interesse suscitato fra gli studiosi dalla presenza di divinità indo-arie, quali Mitra, Varuna, Indra e i Nasata, fra le divinità del giuramento del pantheon mittanico nel trattato fra Šuppiluliuma I e Šattiwaza di Mittani. V. in ultimo V. Haas, GHR, 6 e 543, con bibliografia.

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alta voce. Talora è indicato anche il nome dello scriba del documento. I trattati nella loro stesura definitiva erano siglati dal sigillo regio..156 Sono noti casi particolari in cui alcuni trattati si allontanano formalmente dallo schema consueto, come, ad esempio, per una diversa collocazione della lista degli dèi del giuramento e delle formule di benedizione e di maledizione, o per la mancanza di una introduzione storica, o per la presenza di una lista di persone, che si impegnano mediante giuramento al rispetto del contratto, o di una lista di testimoni posta a garanzia di esso.157 I trattati paritetici, stipulati appunto fra sovrani di pari importanza e potere, designati col termine accadico ME÷RU, corrispondente all’ittita annauli-/annawali- “(di) pari (rango)”, si basavano su un rapporto di “fratellanza” e “amicizia” e sull’uguaglianza dei diritti e dei doveri. Ambedue i contraenti, che si appellavano reciprocamente “fratelli”, contribuivano alla stesura dell’atto mediante intensi rapporti diplomatici, mentre nel caso dei trattati di subordinazione l’unico estensore del Si riporta il paragrafo conclusivo della tavola bronzea, cioè del trattato fra Tutøaliya IV e Kurunta di Tarøuntašša: “Questa tavoletta è fatta in sette esemplari ed è sigillata con il sigillo della dea Sole di Arinna e con il sigillo del dio della Tempesta di ÷atti. Una tavoletta è depositata di fronte alla dea Sole di Arinna, una tavoletta di fronte al dio della Tempesta di ÷atti, una tavoletta di fronte a Lelwani, una tavoletta di fronte a ÷epat di Kizzuwatna, una tavoletta di fronte al dio della Tempesta piøaššašši (=del fulmine?) e una tavoletta nel palazzo reale di fronte a Zitøariya. E Kurunta, re del paese di Tarøuntašša, tiene una tavoletta nella sua casa”. v. H. Otten, Bronzetaf. (1988), 28 sg. e v. F. Imparati-F. Pecchioli Daddi, EOTHEN 4 (1991) 40. Da notare la insolita menzione dei sigilli delle due principali divinità del pantheon ittita anziché del sigillo del Gran Re ittita. 157 Queste varianti potevano derivare da svariati motivi e situazioni. Per esempio, nel caso in cui un paese subordinato non fosse stato governato da una monarchia, ma secondo una struttura oligarchica; era allora una pluralità di persone che prestava il giuramento. Oppure, quando un trattato veniva compilato su un altro più antico per i più svariati motivi; si richiedeva allora la presenza di una lista di testimoni come garanti. Si segue una prassi mutuata da altri tipi di documenti giuridici, quali gli atti di donazioni di terre o alcuni documenti in cui si conferivano esenzioni da parte del Gran Re ittita. Tramite l’esistenza di un trattato più antico si può spiegare anche la diversa collocazione delle liste di divinità all’interno del testo; queste infatti potevano essere invocate a tutela di alcune parti del trattato. Inoltre, la mancanza dell’esposizione degli antefatti in alcuni trattati potrebbe derivare o dall’assenza di una tradizione storica nei paesi con cui era stipulato l’atto, o dal fatto che gli Ittiti non avevano in passato avuto con questi paesi relazioni tali da giustificare la stipulazione di un trattato, oppure dalla considerazione che il ricordo di tali relazioni potesse nuocere alla stipulazione di esso. 156

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documento era il re di ÷atti. Sono considerati paritetici i trattati stipulati da ÷atti con Kizzuwatna nel periodo precedente al trattato tra Tutøaliya II e Šunaššura di Kizzuwatna;158 ci sono pervenuti però in condizioni assai frammentarie. Un esempio evidente dei trattati paritetici viene offerto da quello fra ÷attušili III e Ramses II d’Egitto, che ci è giunto completo.159 In esso il principio di assoluta simmetria è sottolineato anche stilisticamente nei vari paragrafi e le singole clausole sono ripetute letteralmente nei due atti. Il trattato fu frutto di collaborazione reciproca e fu preceduto da una fitta rete di scambi diplomatici per concordarne la stesura. Nell’intestazione di questo documento, nella redazione egiziana si nomina prima ÷attušili e poi Ramses, mentre nella redazione in accadico avviene l’inverso. Gli antefatti “storici” sono molto brevi per motivi ben comprensibili: si intendeva evidentemente sorvolare su un passato di ostilità per evidenziare invece le future relazioni di amicizia dei due paesi contraenti. Le convenzioni su cui si basava tale accordo stabilivano reciproca alleanza difensiva e offensiva verso i nemici esterni, e mutuo sostegno in caso di ribellione interna. Reciproca era anche l’estradizione dei fuggiaschi. È da notare che ÷attušili richiede a Ramses un appoggio, in caso di morte del Gran Re ittita, per assicurare la successione al trono di ÷atti al suo erede. Che non vi sia nell’atto una norma corrispondente a questa per quanto riguarda l’Egitto si può forse spiegare col fatto che in questo paese non sembravano sussistere al momento problemi per una futura successione al trono, mentre questi si sarebbero invece potuti verificare in ÷atti, dove regnava ÷attušili, sovrano usurpatore.160 Per quanto riguarda la posizione degli stati subordinati emergente dai trattati di subordinazione, risulta evidente la loro subalternità a ÷atti sia nella gestione della politica estera che nella conduzione della politica

CTH 21, 25, 26 e del trattato fra Taøurwaili di ÷atti e Eøeya di Kizzuwatna. V. in ultimo E. Edel, Der Vertrag Zwischen Ramses II. von Ägypten und ÷attušili III. von ÷atti, Berlin 1997 (= WDOG 95). 160 A tal proposito è stato messo in rilievo che probabilmente Urøi-Teššup viveva in Egitto già in quel periodo e che Ramses avrebbe così potuto impedirgli di fuggire in Siria per creare difficoltà allo zio usurpatore; v. G. Beckman, HDT, 4 sg. O forse già a quel tempo ÷attušili aveva motivo di temere anche una rivendicazione di Kurunta alla successione al trono? Su questo punto non è possibile, al momento, giungere a conclusioni certe. 158

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interna.161 L’unico estensore di questi trattati era il re di ÷atti. I sovrani degli stati assoggettati al Gran Re dovevano giurare fedeltà ed obbedienza a lui e alla sua discendenza. Qualora uno di questi sovrani avesse sposato una principessa ittita, spettava a lei la posizione di regina e ai suoi figli la successione al trono. Il sovrano subordinato doveva provvedere che nessun segreto di stato venisse divulgato. In caso di guerra era obbligato a prestare aiuto militare al Gran re.162 Egli non doveva possedere alcuna città fortificata e doveva accettare guarnigioni ittite sul proprio territorio, i cui comandanti avrebbero dovuto informare il Gran Re su qualsiasi complotto. Il sovrano del paese sottomesso a ÷attuša doveva pagare al monarca ittita un tributo annuo163 e inoltre recarsi annualmente presso di lui per rendergli omaggio.164 Come si è Sono state riconosciute analogie fra i trattati di subordinazione e le cosiddette “istruzioni” sia nella forma che nel principio ispiratore. Queste ultime sono dirette dal sovrano a dignitari o ad altre categorie di persone che operavano nell’àmbito militare, cultuale o del Palazzo. In ambedue questi due tipi di documenti prevale l’imposizione del volere del sovrano ittita da un lato su paesi stranieri a lui soggetti, dall’altro su dignitari o categorie di funzionari operanti nel regno. Come i trattati, anche i documenti spesso etichettati come “istruzioni” erano definiti dagli Ittiti con i termini išøiul e lingai-; talvolta però manca per essi qualsiasi designazione. Dopo il preambolo contenente il nome e la titolatura del sovrano che ha emanato l’atto (con una formulazione più semplice che nei trattati internazionali) si trovano le varie prescrizioni, designate con i temini ittiti uttar o memiya(n)- “parola, fatto”. Anche per questi documenti si è cercato di delineare uno schema-tipo, che però non è applicabile per tutti i testi così etichettati. Le “istruzioni” dirette a dignitari con funzioni di rappresentanti del re nello stato e nelle province, investiti di ampi e vari poteri, si avvicinano ai trattati di subordinazione, mentre quelle rivolte agli addetti templari e militari o ai dipendenti del Palazzo si presentano diverse sia nella forma che nel contenuto. Nelle “istruzioni” manca un antefatto storico, che del resto non è necessario dato il tipo dei documenti; i rapporti fra il sovrano e i dignitari o funzionari di vario genere non avevano bisogno di alcun chiarimento o giustificazione. V. E. von Schuler, Historia, Einzelschr. 7 (1964) 45 sgg.; RlA 5 (1975) 114 sgg. e F. Imparati, Šaøur., 149 sgg. 162 V. sotto riguardo all’esenzione da obblighi militari, che Ammistamru II di Ugarit e Kurunta di Tarøuntašša. 163 V., ad esempio, il trattato fra Muršili II e Tuppi-Teššup di Amurru, dove il sovrano ittita stabilisce per questo re di Amurru lo stesso tributo che pagavano suo nonno e suo padre, e cioè 300 sicli di oro puro (“cotto”) di prima qualità, buono, pesato con i pesi di ÷atti (CTH 62 II 30’ sg.). V. inoltre più avanti, a proposito di alcuni editti venuti alla luce ad Ugarit, dove si elencano tributi di vario genere ed entità che questo paese doveva consegnare a ÷atti. 164 Proprio questo obbligo di pagare un tributo e l’atto di rendere omaggio annuale al Gran Re ha indotto a confrontare questi rapporti di subordinazione nei riguardi del 161

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detto sopra, il Gran Re interveniva anche nel controllo della politica economica dello stato subordinato nei riguardi di paesi stranieri. È ben noto, in tal senso, un passo del trattato stipulato da Tutøaliya IV con Šaušgamuwa di Amurru, in cui si stabilisce un blocco commerciale nei confronti dell’Assiria, con cui gli Ittiti erano allora in tensione. Questo passo si inserisce in una clausola in cui si condiziona la politica estera amorrea a quella ittita.165 Per quanto concerne il problema della restituzione dei fuggiaschi, si riscontra nei trattati di subordinazione una situazione diversa da quella dei trattati paritetici e cioè il sovrano subordinato doveva restituire al Gran Re chiunque si fosse rifugiato nella sua terra, mentre il Gran Re non avrebbe restituito i fuggiaschi - che costituivano per lui un utile apporto di manodopera (v. sopra, par. VI). Si è già rilevato che il sovrano ittita era anche il supremo giudice e l’ultima istanza a cui appellarsi in casi di particolare rilievo sia all’interno che all’esterno del regno di ÷atti. A lui spettava quindi di giudicare anche il comportamento dei sovrani subordinati e appianare le loro controversie. Si ricorda, a titolo esemplificatorio, un passo del trattato stipulato fra Muršili II e Targašnalli di ÷apalla,166 dove si dice che se sorge una controversia legale fra sovrani a lui soggetti, questi non devono agire precipitosamente, e quindi sconsideratamente, ma presentarsi davanti al Gran Re, oppure inviare presso di lui i Grandi del loro regno; egli stesso condurrà l’indagine. Anche da altri trattati vediamo che il re ittita promuoveva il procedimento giudiziario mediante l’azione del punuššuwar, dal verbo punuš- “interrogare, indagare”.167 È significativo, in tale contesto, il passo di un documento in cui si evidenzia appunto la necessità di un intervento del re ittita per sedare alcune dispute sorte fra sovrani della Siria settentrionale a lui subordinati: “Ma se qualche processo diviene troppo difficile e voi non siete in grado di dirimerlo, allora portatelo davanti al Mio Sole, e il Mio Sole lo dirimerà” (KBo III 3+ III 29’-33’).168 I trattati ci illuminano anche sulle concezioni sovrano ittita con quelli esistenti nelle società feudali; v. in proposito F. Imparati, RlA 6 (1983) 543 sgg. 165 CTH 105 Vo IV 1-18, v. C. Kühne-H. Otten, StBoT 16 (1961) 14 sgg. 166 V. ora G. Beckman, HDT, 67 § 10. 167 V. F. Imparati, Šaøur., 98 sgg., dove si riportano anche alcuni esempi presi dai trattati e dai testi di “istruzione”. 168 CTH 63, v. H. Klengel, Or 32 (1963) 38 e 44 e inoltre G. Beckman, HDT, 157.

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giuridiche e sui costumi di certi paesi stranieri e sulla posizione degli Ittiti a tale riguardo. Sappiamo che gli Ittiti permettevano spesso ai paesi assoggettati di mantenere le proprie usanze, le proprie leggi, le proprie amministrazioni locali, i propri culti.169 Il Gran Re, però, interveniva quando costumi troppo diversi da quelli di ÷atti potevano provocare situazioni di gravità estrema. Si ricorda, come esempio, un famoso passo del trattato stipulato da Šuppiluliuma I con ÷uqqana e la gente di ÷ayaša (nell’Anatolia nord-orientale).170 In questo passo il Gran Re, dopo aver concesso sua sorella in sposa a ÷uqqana, si rivolge a questo dicendogli che, avendo la sua sposa molte sorelle di stirpe e di seme, ora anche egli le ha acquisite come sorelle, in conseguenza del matrimonio. Ma in ÷atti esiste una regola importante, per cui un fratello non può prendere (sessualmente) la propria sorella o cugina: una azione del genere viene là punita con la morte. Dato che il paese di ÷ayaša è incivile, ciò vi è permesso, ma il Gran Re diffida ÷uqqana dal fare questo e gli richiede di impegnarsi mediante giuramento a non compiere ciò.171 Comunque, nonostante le limitazioni di libertà, il sovrano subordinato riceveva dal Gran Re ittita garanzia e sostegno per il mantenimento del potere regio per lui e per i suoi discendenti, protezione per il suo paese e difesa contro eventuali nemici esterni. Così, gli stati più piccoli e più deboli preferivano affidarsi alla protezione di stati più forti per non restare schiacciati fra i conflitti delle grandi potenze. In caso di indebolimento o in conseguenza di insuccessi di una di queste potenze, i sovrani ad essa subordinati tendevano a distaccarsi e a chiedere sostegno altrove. Emblematica, in tale contesto, la situazione degli stati siriani, situati fra le due potenze egemoniche egiziana e ittita e spesso fluttuanti nella scelta dell’alleanza con l’uno o l’altro paese. Si ricorda, come esempio particolarmente significativo, la posizione del regno di Amurru che cercava di stare sempre dalla parte dello stato momentaneamente più forte.172 Per ovviare a situazioni del genere il 169 Analogamente a quanto erano tenuti a fare gli amministratori delle sedi provinciali del regno ittita (v. sopra). 170 V. in ultimo G. Beckman, HDT, 27 sg., §§ 25-28. 171 Si richiede a questo sovrano di non aver rapporti sessuali neppure con le donne del Palazzo. 172 V. H. Klengel, MIO 10 (1964) 57 sgg.; M. Liverani, GsPintore, 93 sgg.; I. Singer, Amurru Akkadian: A Linguistic Study (Sh. Izre’el ed.), Atlanta 1991, Appendice; H. Klengel, Syria, 160 sgg.

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Gran Re ittita cercava di approfondire le relazioni personali con i sovrani dei paesi subordinati (per esempio, mediante la politica dei matrimoni interdinastici) e mostrava una certa mitezza in occasione di delitti. Nel caso di morte naturale di un sovrano subordinato il potere passava al suo erede, con il quale il Gran Re stipulava un nuovo trattato. Egli invece interveniva direttamente in situazioni di contrasto per la successione al trono nei paesi a lui assoggettati. Nei cosiddetti “trattati di protettorato” i sovrani dei paesi posti sotto la “protezione” ittita sembrano aver mantenuto una certa indipendenza politica, pur se si possono rilevare anche in questi atti alcune restrizioni alla loro libertà dovute a situazioni contingenti. Inoltre questi sovrani contrariamente a quanto avveniva per gli altri sovrani subordinati a ÷atti - non erano tenuti a pagare alcun tributo al re ittita, che tendeva a mostrarsi come un loro alleato. Appartengono a questo tipo di “trattati di protettorato” il trattato fra Tutøaliya II e Šunaššura di Kizzuwatna, e quello fra Šuppiluliuma I e Šattiwaza di Mittani. Il primo era stato ritenuto in un primo tempo come paritetico, ma alcuni studiosi hanno giustamente messo in rilievo le differenze - sostanziali più che formali fra questo trattato e quelli conclusi precedentemente tra ÷atti e Kizzuwatna.173 Šunaššura era stato per un periodo di tempo tributario del paese di Mittani e poi, con l’assicurazione di un’alleanza difensiva da parte ittita e del mantenimento della sua sovranità, era stato indotto alla ribellione nei confronti dei Hurriti. Gli Ittiti seppero utilizzare a loro vantaggio la necessità che Šunaššura aveva della loro alleanza. Così, anche se le prescrizioni del trattato in esame possono apparire formulate secondo un principio di reciprocità, si riscontrano in esse molti elementi, più o meno velati, che mostrano la superiorità di ÷atti. Per esempio, mentre può sembrare che fosse lasciata ai due contraenti dell’atto libertà nella politica delle loro alleanze, viene tuttavia vietato a Šunaššura di avere rapporti diplomatici con Mittani.174 Inoltre, anche quando si 173 V. F. Schachermeyr, MAOG 4 (1928-29) 184 sg.; J. Pirenne, ArOr 18 (1950) 378 sgg.; M. Liverani, OA 12 (1973) 267 sgg.; G. Beckman, HDT, 13 sgg. (con bibliografia a p.171). 174 V. G. Beckman, HDT, 20, § 58: “.... Inoltre, Šunaššura non è più [il suddito] del re di ÷urri. Noi faremo un’altra tavoletta. In più, Šunaššura non deve mandare il suo messaggero al re del paese di ÷urri, ed egli non deve ammettere il messaggero del paese di ÷urri nel suo paese”.

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mettono in rilievo i benefici che il sovrano “protetto” ha ricavato dall’alleanza con ÷atti, emerge però contemporaneamente la sua subordinazione a questo paese. Ad esempio, nel trattato in questione si evidenzia che i Hurriti chiamavano Šunaššura un “suddito/servo”, mentre il Gran Re ittita ne ha fatto un vero re. A Šunaššura spetta una posizione privilegiata alla corte ittita: quando si reca dal sovrano, gli è concesso di guardarlo in faccia; inoltre, al suo arrivo a corte, i Grandi del regno di ÷atti si leveranno in piedi in segno di rispetto.175 Egli può essere invitato dal Gran Re a presentarsi davanti a lui, ovviamente per rendergli omaggio, anche se ciò non costituisce per Šunaššura - come lo era, invece, per gli altri sovrani subordinati - un obbligo vincolante. È chiaro che non c’è reciprocità in questo tipo di invito. Nel caso in cui Šunaššura non voglia presentarsi davanti al Gran Re, sarà questo stesso - e non Šunaššura - a designare quale dei figli di quest’ultimo potrà sostituirlo.176 Si specifica, però, in questo stesso paragrafo che Šunaššura non dovrà pagare alcun tributo a ÷atti, mostrando in tal modo che egli non è considerato come un suddito di questo paese. Dal trattato fra Šuppiluliuma I e Šattiwaza di Mittani, pervenutoci in due redazioni - una di Šuppiluliuma I ed una di Šattiwaza177 - risulta ancor più evidente la superiorità di ÷atti. L’esame dei due testi mostra, in base a molti elementi sia contenutistici che linguistici, come il contratto fosse stato compilato soltanto dalla cancelleria ittita. Si evidenzia anche qui - come in altri trattati di subordinazione, l’importanza dell’intervento del Gran Re ittita al fine di porre Šattiwaza sul trono di Mittani: a tale scopo l’esposizione degli antefatti “storici” delle due versioni sono molto lunghi. Emblematico, in tal senso, l’ampio racconto di Šattiwaza nella redazione di parte mittanica, a proposito di quando egli si era recato da Šuppiluliuma per implorarne l’aiuto, al fine di poter tornare sul trono di suo padre, usurpato da Šuttarna (III). Si mette qui grandemente in rilievo la benevolenza di Šuppiluliuma in quella circostanza e la sua lealtà (CTH 52 Ro 22 sgg.); il Gran Re lo ha preso nella sua mano e si è rallegrato con lui; quindi gli ha detto: “Io non ti respingerò, ma ti adotterò come mio figlio. Io [ti] sosterrò/starò vicino, io ti farò sedere sul trono di tuo padre. E gli dèi conoscono il Mio Sole Šuppiluliuma, il Grande Re, il re V. G. Beckman, HDT, 15, § 9. Così anche nel § 10. 177 V. in ultimo G. Beckman, HDT, 37 sgg. 175

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del paese di ÷atti, l’eroe, l’a[mato] dal dio della Tempesta. Una parola che esce dalla sua bocca non torna indietro”. Šuppiluliuma mantenne infatti quanto aveva promesso, pose Šattiwaza sul trono di Mittani e, inoltre, gli dette una sua figlia in sposa. Si legge infatti nella redazione di parte ittita (CTH 51 Ro 55): “Io, il Gran Re dissi così: “Il dio della Tempesta ha deciso il suo (= di Šattiwaza) caso legale”. È da notare, a tal punto, il richiamo all’intervento divino, allo scopo di legittimare l’azione di Šuppiluliuma e l’ascesa al trono di Šattiwaza: questo era stato scelto dal dio perché ritenuto da lui meritevole del compito affidatogli.178 Continua ancora Šuppiluliuma (Ro 56-58): “Dopo che io avrò preso nella mia mano Šattiwaza, figlio del re Tušratta, lo farò sedere sul trono di suo padre, cosicché il paese di Mittani, il grande paese, non vada i[n m]alora. Io, il Gran Re, il re del paese di ÷atti, ho fatto tornare in vita il paese di Mittani a causa di mia(!) figlia. Io ho preso nella mia mano Šattiwaza, figlio di Tušratta, e gli ho dato una figlia in moglie”. Si rilevano nei vari passi sopra riportati i riferimenti fatti all’azione di Šuppiluliuma di “prendere nella mano” Šattiwaza; questa espressione ricorre anche in altri testi ittiti per indicare il conferimento della regalità ad un sovrano subordinato da parte del Gran Re ittita e, quindi, la legittimità di questa investitura.179 In accordo a quanto si è già osservato a proposito dei trattati di subordinazione, anche nel trattato in esame si stabilisce che alla figlia del Gran Re ittita andata in sposa a Šattiwaza spetta il diritto di divenire regina di Mittani e che soltanto la discendenza di lei ha il diritto

Viene alla mente, in tale contesto, un passo nell’ “Autobiografia” di ÷attušili III, dove pure si attribuisce al giudizio divino l’esito della contesa fra questo sovrano e Urhi-Teššup: “La dea Ištar di Šamuøa e il dio della Tempesta di Nerik decideranno per noi (= ÷attušili e Urøi-Teššup) il caso legale!” (CTH 81 III 71 sg.). Si usa qui la figura etimologica itt. øanneššar øann(a)- “rendere giudizio, giudicare una causa/caso legale”, utilizzata anche per i processi umani. 179 V. S. de Martino-F. Imparati, GsMoreschini (1999) 175-185. Si confronti anche il passo analogo nel trattato fra Tutøaliya IV con Šaušgamuwa di Amurru (CTH 105 Ro II 1-3). Questo gesto è spesso rappresentato anche sui rilievi (Yaz½l½kaya: Tutøaliya IV) come sui sigilli di diversi Gran re del Nuovo Regno ittita: una divinità pone il braccio sul sovrano e lo prende per la mano. Da notare, inoltre, che in ambedue i casi i sovrani subordinati, Šattiwaza e Šaušgamuwa, entrano a far parte della famiglia reale mediante il matrimonio rispettivamente con la figlia e con la sorella del re ittita. 178

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alla successione al trono.180 Segue qui una frase lacunosa in cui si stabilisce che in futuro Šattiwaza dovrà essere come un fratello e avere lo stesso rango dei figli del re ittita, e che i figli e i nipoti di Šattiwaza dovranno essere come fratelli nei riguardi dei figli e dei nipoti del sovrano ittita. Più oltre Šuppiluliuma riprende questa raccomandazione, esortando alla pace e ad un sostegno reciproco Šattiwaza e Piyaššili, il figlio del Gran Re, da lui posto sul trono di Karkemiš.181 Si rileva che anche in questo atto, analogamente a quanto avviene nei trattati di subordinazione, non viene neanche contemplata la possibilità che un sovrano ittita possa mancare agli impegni presi; soltanto Šattiwaza quindi viene vincolato al giuramento e sottoposto, insieme ai suoi familiari, ai suoi beni e a tutto il suo popolo, alle conseguenze funeste in caso della violazione di esso. Era infatti impensabile anche soltanto ipotizzare che il sovrano ittita potesse venir meno ad un suo impegno. Tuttavia, è anche plausibile presumere che, nella sostanza, si intendesse in tal modo soprattutto tutelare il sovrano ittita da ogni punizione divina, nel caso che tale violazione da parte di lui si fosse verificata. Una posizione particolare era quella dei cosiddetti regni di “appannaggio”, cioè di quei regni il cui governo era affidato dal Gran Re ai suoi figli cadetti182 o agli appartenenti ad un ramo collaterale della sua famiglia.183 Ciò poteva costituire per lui una più forte garanzia di fedeltà da parte di questi sovrani, oppure poteva servire ad appagare, o anche soltanto a tacitare, le loro ambizioni o rivendicazioni (talora anche legittime) alla successione al trono di ÷atti. È possibile che questi sovrani, per certi aspetti, si trovassero spesso ad esplicare nei loro dominii funzioni analoghe a quella dei governatori di zone provinciali. Di particolare interesse è il caso di Tarøuntašša, che era stata capitale del 180 Si specifica che le altre donne con cui Šattiwaza può avere rapporti o legami e i loro figli devono stare in una posizione di secondo piano rispetto alla figlia del re di ÷atti. 181 V. G. Beckman, HDT, 42 §§ 11-12. 182 Šuppiluliuma I aveva insediato suo figlio Piyaššili sul trono di Karkemiš e suo figlio Telipinu sul trono di ÷alab/Aleppo. 183 Apprendiamo dall’ “Autobiografia” di ÷attušili III che questo, sotto il regno del fratello Muwattalli II, era stato fatto da lui re di Hakpiš (CTH 81 II 62 sg.; v. anche Col. III 12 sg. e IV 42 sg.). È anche possibile che questa stessa carica fosse stata affidata da ÷attušili III, ormai divenuto re, a suo figlio Tutøaliya, v. F. Imparati, FsHouwinktenCate (1995) 155 con nota 66; v. anche il caso di Kurunta, fatto re di Tarøuntašša dallo zio ÷attušili III.

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regno ittita al tempo di Muwattalli e dove ÷attušili III, per motivi di politica interna, trovò opportuno istituire una regalità nuova, che egli conferì al nipote Kurunta, al quale fu poi riconfermata da Tutøaliya IV. In taluni casi il sovrano ittita attribuiva a qualche suo figlio il sacerdozio di qualche importante divinità di paesi posti sotto l’influenza di ÷atti. Tale investitura aveva una valenza soprattutto politica, oltre che religiosa. Emblematici sono i casi di Kantuzzili, figlio o di Tutøaliya I o di Arnuwanda I,184 verosimilmente insediato nel sacerdozio di Teššup e di ÷epat in Kizzuwatna; o di Telipinu, figlio di Šuppiluliuma I, nominato dal padre sacerdote di Teššup, ÷epat e Šarruma in Kizzuwatna (v. più avanti), prima di essere fatto re di Aleppo (e sacerdote di queste divinità). Da menzionare in ultimi ÷attušili (III), a cui suo fratello Muwattalli II aveva conferito il sacerdozio del dio della Tempesta in ÷akpiš,185 così come Tutøaliya IV, il quale - ricalcando le orme paterne - aveva tenuto il sacerdozio del dio della Tempesta di ÷akpiš, prima di essere nominato dal padre sacerdote di Ištar. Quest’ultima carica poteva, forse, servire a predisporre la nomina di Tutøaliya alla successione al trono di ÷atti.186 L’allargamento dell’impero ittita aveva portato, conseguentemente, anche un ampliamento della struttura burocratica dello stato. Il sovrano si era trovato a dover affidare ai suoi figli e ad altre persone di fiducia, che facevano parte del suo entourage ed erano di solito imparentati più o meno strettamente con lui, importanti mansioni amministrative e di controllo anche nei paesi posti sotto il dominio ittita, ma non facenti parte del regno di ÷atti. Del conferimento di tali mansioni a questi principi abbiamo notizia fin dall’Antico Regno.187 Numerose notizie sulle loro attività amministrative e di supervisione in regni che dipendevano più direttamente dallo stato ittita provengono dagli archivi di Ugarit e di Emar. Per il fatto che il re di Karkemiš, com’è noto, aveva accresciuto F. Imparati, FsLaroche (1979) 171 sgg.; V. Haas, ChS I/1 (1984) 9 e AoF 12 (1985) 273 sg.; R.H. Beal, Or 55 (1986) 436 nota 59; S. de Martino, EOTHEN 4 (1991) 13 sg. e 17; J. Klinger, ZA 85 (1995) 93 sgg. 185 V. KBo VI 29+ (CTH 85.1) I 25 sg. e “Autobiografia” (CTH 81) III 60. Ciò potrebbe equivalere al conferimento della regalità in questo paese: v. nota 183. 186 F. Imparati, FsHouwinktenCate (1995) 143 sgg. v. inoltre H. Tadmor, in History, Historiography and Interpretation (H. Tadmor-M. Weinfeld edd.), Leiden 1983, 54 sgg. 187 Dall’introduzione “storica” dell’Editto di Telipinu (v. sopra) si apprende che già Labarna affidava ai suoi “figli” l’amministrazione dei paesi conquistati. 184

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sempre più la sua autorità e che, soprattutto sotto i regni degli ultimi sovrani ittiti, era arrivato ad esercitare una funzione di controllo, in nome del re di ÷atti, sulla Siria settentrionale,188 viene spesso ritenuto che i “figli del re” presenti nei documenti di Ugarit o di Emar fossero o direttamente figli del re di Karkemiš o dignitari sottomessi al suo potere. Tuttavia, un esame prosopografico riguardo ad alcuni di questi principi menzionati in questi documenti, ne permette l’identificazione con personaggi omonimi presenti nella documentazione ittita contemporanea - sia con lo stesso titolo di “figlio del re”, sia con qualifiche differenti.189 Appare plausibile ritenere che molti di loro fossero dignitari ittiti - anche quando sono menzionati in lettere di cui il re di Karkemiš è il mittente. Tali dignitari erano inviati in questi paesi dall’autorità centrale ittita, dalla quale dipendevano e in nome della quale esercitavano mansioni di controllo/supervisione ed anche di rappresentanza. È possibile che il sovrano ittita - pur delegando sempre più a Karkemiš numerosi e importanti incarichi di governo sui paesi della Siria settentrionale posti sotto il dominio ittita - intendesse però anche esercitare forme di controllo e di intervento diretto sull’amministrazione di questi paesi mediante suoi rappresentanti, soprattutto in situazioni di particolare gravità e importanza. Oltre ai trattati internazionali, si presentano di grande utilità per la conoscenza della politica estera ittita altri tipi di documenti. Si ricordano in particolare editti, verdetti e arbitrati del Gran Re ittita. Attraverso questi egli interveniva per deliberare su problemi politici, economici, amministrativi, giuridici degli stati a lui soggetti e per regolare i loro rapporti non solo col paese di ÷atti, ma anche con altri stati da questo V. la sintesi di H. Klengel, Syria, 120 sgg. Per questo motivo, dopo il disfacimento dell’impero ittita, Karkemiš tenne una posizione di rilievo fra i regni neoittiti, anche se questi avevano una loro autonomia politica; v. A.M. Jasink, Gli stati neo ittiti, Pavia 1995 (= StMed 10). Fu soprattutto nella zona di Karkemiš stessa così come in quelle zone della Siria settentrionale che proprio nell’età imperiale ittita erano state sotto il suo controllo, che si mantenne una continuità culturale ittita. Tant’è vero che gli Assiri, fino al momento della loro conquista, continuarono a indicare la zona ad occidente dell’Eufrate con il termine ÷atti e a designare Karkemiš come “grande ÷atti”. 189 Si ricorda, inoltre, che molti dei nomi di alti dignitari che operavano ad Ugarit e a Emar sono di origine anatolica, spesso luvia; i loro sigilli sono spesso di tipo ittita; v. D. Beyer, Heth 8 (1987) 29 sgg.; F. Imparati, Heth 8 (1987) 189 sgg. Su alcuni di questi personaggi v., in ultimo, Th.P.J. van den Hout, StBoT 38 (1995) passim. 188

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dipendenti. Ci sono pervenute, ad esempio, delibere prese dal sovrano per affidare ad un suo figlio incarichi di rilievo per la gestione del potere in qualche paese straniero, come il decreto emanato da Šuppiluliuma I allo scopo di nominare il figlio Telipinu come sacerdote di Teššup, ÷epat e Šarruma in Kizzuwatna.190 Questa investitura rivestiva una grande importanza non solo dal punto di vista religioso, cioè per la rilevante influenza kizzuwatnea nel culto ittita, ma anche dal punto di vista politico e militare. Ciò soprattutto in previsione delle campagne di Šuppiluliuma in Siria, trovandosi Kizzuwatna in posizione strategica per accedere a questa regione. In tale atto si stabiliscono pure delle norme per definire il comportamento di Telipinu anche per il futuro,191 dalle quali emerge la sua subordinazione al re di ÷atti. Interessante è anche un decreto emanato da un sovrano ittita,192 il cui nome è in lacuna, ma che presumibilmente era Muršili II, allo scopo di stabilire, anche per il futuro, la posizione cerimoniale presso la corte ittita del fratello Piyaššili, già nominato dal padre Šuppiluliuma I come re di Karkemiš. Si stabilisce che più “grande” di questo re sia soltanto l’erede al trono di ÷atti (tuø(u)kanti): inoltre questo sovrano potrà restare seduto di fronte al re ittita. Lo stesso privilegio sarà in seguito conferito da Tutøaliya IV a Kurunta di Tarøuntašša.193 In alcuni di questi decreti si definiscono i tributi che il sovrano subordinato doveva consegnare al re ittita, alla regina, al principe ereditario e ad alcuni alti dignitari del regno di ÷atti.194 Un confronto sull’entità e sul genere dei tributi dovuti a questi CTH 44; questo decreto ci è pervenuto in due documenti assai frammentari, pubblicati in traslitterazione e traduzione da A. Goetze, Kizzuwatna (1940) 12 sgg.; v. in ultimo T.R. Bryce, Heth 11 (1992) 7 sgg., con bibliografia. 191 V. T.R. Bryce Heth 11 (1992) 8. 192 CTH 57, v. H. Klengel, GS I (1965) 53 sgg.; G. Beckman, HDT, 154; v. anche C. Mora, Or 62 (1993) 67 sgg. 193 V. la Tav. Br. Ro II 79-83 e in proposito F. Imparati-F. Pecchioli Daddi, EOTHEN 4 (1991) 34 con nota 23. Nel decreto per Piyaššili, a tutela di quanto vi è stabilito, si dice inoltre che la parola del tabarna non può essere alterata o rotta e si invocano le divinità perché puniscano chi non si attiene a questa delibera. 194 Questo, ad esempio, è stabilito in un decreto emanato da Šuppiluliuma I per lo stato di Ugarit (CTH 47), scritto in accadico e in ugaritico. Questo costituiva un supplemento al trattato che Šuppiluliuma I aveva stretto con Niqmadu II. Nell’introduzione “storica” del decreto era mostrato il favore di Šuppiliuma nei riguardi di Niqmadu; dopo una definizione dettagliata del tributo segue poi l’invocazione alle divinità a tutela delle parole scritte nella tavoletta e la maledizione per chi le altererà. V. in ultimo su questo G. Beckman, HDT, 151 sgg. 190

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dignitari, insieme all’esame dell’ordine di successione in cui essi sono elencati nel testo, si è spesso rivelato utile per valutare comparativamente l’importanza sia di loro come individui sia delle mansioni che essi svolgevano. Con alcuni decreti il sovrano ittita concedeva a dei sovrani subordinati l’esenzione da prestazioni militari o perché in cambio di ciò consegnassero un quantitativo di metallo prezioso,195 o perché fossero in grado di sostenere meglio i loro obblighi nei riguardi delle divinità, quando questi erano divenuti troppo gravosi.196 Diversi atti sono stati emanati dal sovrano ittita per stabilire i confini tra paesi a lui soggetti.197 Sulla definizione dei confini fra stati limitrofi dovevano sorgere frequenti controversie: sono infatti noti verdetti o arbitrati per risolvere tali questioni.198 Ci sono pervenute anche altre delibere del sovrano ittita relativamente a molte altre questioni concernenti gli stati a lui soggetti, come problemi a carattere commerciale,199 o riguardanti l’estradizione dei

CTH 108: editto di Tutøaliya IV per dispensare Ammistamru II di Ugarit dal partecipare con truppe a piedi e su carro alla guerra con l’Assiria. Ugarit aveva da pagare in cambio di 50 mine d’oro. V. G. Beckman, HDT, 167 sg. È da notare che tale decreto è stato stilato alla presenza di Ini-Teššup, re di Karkemiš. 196 CTH 97: editto di ÷attušili III, con il quale si concede a Kurunta di Tarøuntašša l’esenzione da particolari obblighi militari, affinché il paese possa adempiere agli impegni presi nei riguardi delle divinità. V. G. Beckman, HDT, 103. V. anche in proposito i trattati che ci sono pervenuti tra ÷atti e Tarøuntašša. 197 V. ad esempio CTH 64, un editto di Muršili II concernente i confini di Ugarit. Da notare nel testo il richiamo ad una parte del trattato stipulato tra Šuppiluliuma I e Niqmadu II di Ugarit, dove si tratta appunto dei confini di questo paese, v. in ultimo su questo G. Beckman, HDT, 159 sg. e 30 sgg. Anche nell’editto di Muršili II si invocano le divinità a tutela della tavoletta. Sempre di Muršili II sono anche altri editti relativi alle frontiere tra Ugarit e Šiyannu e alla consegna di tributi da parte di Šiyannu ad Ugarit e da parte di Ugarit a ÷atti: CTH 65 (PRU IV 71-81), v. in particolare H. Klengel, Syria, 136 sg. e inoltre G. Beckman, HDT, 160 sgg. 198 V., ad esempio, CTH 111, un verdetto di Tutøaliya IV sul conflitto tra Ugarit e Šiyannu relativamente ai confini di questi due paesi. 199 V. il decreto di ÷attušili III (CTH 93), diretto a Niqmepa ed emesso allo scopo di limitare le attività svolte dai mercanti di Ura, una città in Kizzuwatna, a Ugarit, per non provocare danni economici a questo importante centro commerciale siriano. H. Klengel, AoF 6 (1979) 78, ha giustamente rilevato che è possibile che questi mercanti operassero, almeno in parte, per conto del potere centrale ittita. Da notare che il documento conclude dicendo che il Gran Re ha fatto un accordo (RIKILTU) fra i mercanti di Ura e la gente di Ugarit. Su questo testo, v. in ultimo G. Beckman, HDT, 162 sg. 195

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fuggiaschi,200 ecc. Di particolare interesse è la delibera del Gran Re ittita Tutøaliya IV, a proposito del divorzio di Ammistamru II di Ugarit dalla figlia di Bentešina di Amurru; ambedue gli stati siriani in questione erano soggetti a ÷atti. Il sovrano ittita decreta sulla divisione dei beni fra le due parti in causa, sulla successione al trono di Ugarit201 e sull’affidamento dei figli, che devono rimanere ad Ammistamru.202 Un altro decreto tratta della stesso affare, e regola l’assegnazione dei beni della figlia di Bentešina, che questa aveva accumulati in Ugarit; esso era stato emanato però da Ini-Teššup re di Karkemiš in nome dell’autorità del Gran re.203 I re ittiti intrecciavano con sovrani loro pari o di rango inferiore una fitta rete diplomatica non solo per stabilire o incrementare rapporti di tipo politico, militare, economico a livello internazionale, ma anche per accrescere, di riflesso, il loro prestigio all’interno del regno. Gli intensi contatti diplomatici fra le corti vicino-orientali si svolgevano mediante l’invio di messaggeri e lo scambio di corrispondenza ed anche di doni. Importante era quindi la funzione del messaggero. Egli aveva anche il compito di ambasciatore e apparteneva ad un ceto elevato, talora addirittura alla famiglia reale.204 È interessante ricordare ciò che Tutøaliya II scrive a Šunaššura di Kizzuwatna nel trattato sopra menzionato, affinché questo eserciti un controllo sull’affidabilità del messaggero latore a lui di una tavoletta da parte del sovrano ittita, e cioè confronti se il contenuto della tavoletta corrisponda al dispaccio orale che esporrà il V. l’editto di ÷attušili III (CTH 94) relativo a fuggiaschi da Ugarit, che sono penetrati nel territorio dei øabiru del sovrano ittita, cioè soggetto al suo controllo. Il Gran Re - evidentemente perché questi fuggiaschi non provochino disordini nel suo paese - li restituirà ad Ugarit, rinunciando così ad un possibile apporto di manodopera, v. in ultimo G. Beckman, HDT, 163. 201 Il figlio di Ammistamru e della figlia di Bentešina può conservare il suo diritto alla successione al trono, purché rinunci ad ogni rapporto con la madre, altrimenti verrà sostituito nella carica da un altro figlio del re. 202 CTH 107, v. in ultimo G. Beckman, HDT, 165 sgg. 203 RS 17.396. 204 Ci sono pervenuti i nomi di alcuni di questi messaggeri ed anche notizie sulle missioni diplomatiche compiute da alcuni di loro: v. J.T. Greene, The Role of the Messenger and Message in the Ancient Near East, Atlanta 1989, 17 sgg. Per effettuare tali missioni si utilizzavano come mezzi di trasporto carri tirati da cavalli, con i quali presumibilmente si compivano percorsi dai 50 ai 70 km al giorno: cfr. C. Kühne, Die Chronologie der internationalen Korrespondenz von El Amarna, Neukirchnen-Vluyn 1973, 106 sgg. Sulle modalità di trasporto delle tavolette contenenti lettere v. A. Hagenbuchner, THeth 15 (1989) 23 sg. 200

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messaggero. Se questi messaggi differiscono, Šunaššura non dovrà fidarsi del messaggero, né tenere conto di quanto questo riferisce.205 A tal proposito, si ricorda quanto Ramses II scrive nella parte finale di una lettera da lui inviata alla regina ittita Puduøepa, per rallegrarsi del felice esito del negoziato concernente l’invio di una principessa ittita nell’harem del Faraone. Ramses espone a Puduøepa alcune richieste contraddittorie presentate a lui da messaggeri della corte ittita in nome di ÷attušili e della sua sposa e chiede chiarimenti su ciò, per sapere come comportarsi.206 È però possibile anche che Ramses - poco propenso ad accettare ciò che gli è stato richiesto, e cioè il rinvio alla corte ittita di alcuni giovani di ÷atti, che forse prestavano la loro opera alla corte egiziana - usi qui come pretesto la non attendibilità di questi messaggeri allo scopo di procrastinare - se non addirittura di accantonare - la questione. La documentazione epistolare ittita pervenutaci è assai numerosa207 e copre un arco cronologico molto vasto, a partire dall’Antico Regno208 fino alla fine del periodo imperiale, dal quale ci è tramandata di gran lunga la maggior parte della corrispondenza epistolare. Gran parte delle lettere erano scritte in lingua ittita; molte però erano anche scritte in accadico, lingua della diplomazia internazionale.209 È interessante ricordare che in una lettera in lingua ittita, proveniente dagli archivi di El V. G. Beckman, HDT, 20 § 59. CTH 158 Bd. 44-Vo 75: v E. Edel, ÄHK I, 108 sg., Nr. 43, Bd. 44-Vo 75; v. G. Beckman, HDT, 130 sg. §§ 10-14. 207 Gran parte di questa documentazione proviene dagli archivi della capitale ittita. Un numero cospicuo di lettere è stato ritrovato anche in due centri provinciali del regno ittita, situati nell’Anatolia settentrionale (Ma$at/antica Tapika e Ortaköy/antica Šapinuwa) così come in un altro sito, che si trova più a sud-est ed è stato recentemente scoperto, Ku$akl½ (antica Šarišša). Molte lettere provengono anche da archivi di paesi che avevano avuto relazioni politiche di vario genere con gli Ittiti, quali Ugarit ed Emar, e dall’archivio egiziano di El Amarna; qualche documento, il cui luogo di provenienza non è sempre certo, proviene anche da collezioni private. V. in generale A. Hagenbuchner, THeth 15 e 16 (1989); W.L. Moran, The Amarna Letters, BaltimoreLondon 1992; E. Edel, ÄHK I-II (1994). 208 M. Salvini, SMEA 34 (1994) 61 sgg. 209 Si svolgeva in ittita lo scambio di lettere all’interno del regno di ÷atti e la corrispondenza con i paesi anatolici, mentre quella con gli altri stati dell’Asia anteriore e con l’Egitto era in accadico. Da notare che era in lingua ittita la “lettera su Piyamaradu”, scritta da un sovrano ittita - verosimilmente ÷attušili III - al re di Aøøiawa (CTH 181). Erano anche in lingua ittita due lettere venute alla luce nell’archivio di El Amarna (EA 31 e 32), corrispondenza fra Amenophi III a Tarøuntaradu, re di Arzawa. 205

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Amarna, inviata da Tarøuntaradu, re di Arzawa, nell’Anatolia occidentale, al faraone Amenophi III, lo scriba arzaweo, dopo un’elaborata formula di augurio diretta al suo collega, lo scriba egiziano, lo invita a scrivergli in ittita, ciò che fa pensare che nella cancelleria del paese di Arzawa non si conoscesse l’accadico.210 Ci occuperemo, in questo contesto, soltanto della corrispondenza a carattere “internazionale”, che i membri della corte ittita (il sovrano, gli appartenenti alla sua famiglia e talora anche gli alti dignitari) scambiavano sia con le grandi potenze contemporanee sia con gli stati soggetti a ÷atti. Le grandi potenze che gli Ittiti consideravano loro pari - sia pure non sempre in egual maniera nel corso della loro storia - erano la Babilonia, l’Assiria, ÷anigalbat, l’Egitto ed anche Aøøiyawa.211 Le lettere scambiate dal Gran Re ittita con alcuni sovrani di questi paesi si attengono ad un formulario stereotipo, caratterizzato dall’uso dei termini “fratello” e “sorella”, con cui i sovrani di pari rango si appellavano reciprocamente. Gli stati subordinati al potere ittita, con i quali è attestato uno scambio di lettere, sono gli stati siriani di Karkemiš, Emar, Ugarit, Amurru, e quelli del paese del fiume Seøa, Mira e Milawata. Dal formulario di queste lettere risulta chiaramente il carattere sbilanciato del rapporto fra i corrispondenti e la posizione preminente del sovrano ittita. Infatti egli è chiamato “signore” e/o “padre” dal sovrano a lui subordinato; questo, a sua volta, viene appellato dal re ittita come “figlio” e si autodefinisce come “servo” di quello.212 Per quanto riguarda il formulario delle lettere,213 si rileva che esse iniziano tutte o con l’indicazione al primo posto del nome del mittente e al secondo posto il nome del destinatario, o viceversa. Questa alternativa dipende dall’importanza dei due corrispondenti, poiché deve essere sempre menzionato al primo posto il personaggio di rango superiore.214 All’intestazione possono seguire V. V. Haas, apud W. L. Moran, The Amarna Letters, Baltimore-London 1992, 103. 211 V. il trattato tra Tutøaliya IV e Šaušgamuwa di Amurru sopra ricordato. 212 La stessa terminologia - per indicare il rango dei corrispondenti - si riscontra anche nella corrispondenza che si svolgeva all’interno di ÷atti. 213 V. su questo A. Hagenbuchner, THeth 15 (1989) 40 sgg. 214 Nella corrispondenza che aveva luogo all’interno del regno ittita - quando il mittente o il destinatario era il sovrano stesso- non era ritenuto necessario specificarne il nome; lo si indicava soltanto con l’espressione DUTUŠI “il Mio Sole”; ciò talora crea delle difficoltà per l’identificazione del sovrano citato. 210

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formule di saluto e/o di ossequio più o meno ampie. Spesso nelle lettere si fa riferimento a situazioni precedenti, talora già trattate in altre lettere: ciò può essere di grande utilità per ricostruire una determinata situazione al suo inizio e nelle varie fasi in cui si è articolata.215 Vari sono i motivi per la compilazione delle lettere a carattere “internazionale”: la stipulazione di accordi fra i diversi stati, spesso mediante la combinazione di matrimoni interdinastici; il verificarsi di eventi di particolare significato, quali ad esempio l’ascesa al trono o la morte di un sovrano; inoltre situazioni politiche o personali di genere diverso. È noto anche un tipo di corrispondenza non legata ad uno scopo preciso, ma di pura cortesia, per mantenere buoni rapporti internazionali. Come si è già osservato, un posto di rilievo nelle relazioni internazionali era tenuto dalla politica matrimoniale. Questa, quando coinvolgeva sovrani di pari rango, richiedeva trattative assai lunghe, con discussioni sull’entità dei doni da scambiarsi, sul rango della principessa richiesta e inviata in sposa e sulla posizione delle altre mogli del re, futuro marito.216 Molto più semplice, più esplicito e talora anche più brusco era il tono usato dal Gran Re ittita con un re di rango inferiore al suo, in qualche caso suo subordinato. Si è detto più volte che alla principessa ittita, andata in sposa ad uno di questi re, spettava il ruolo di regina nel paese che l’avrebbe accolta e ai figli e ai discendenti di lei spettava il diritto di successione al trono in questo paese. Le lettere relative alla preparazione e stipulazione di matrimoni diplomatici forniscono dati preziosi per ricostruire le procedure matrimoniali e il complesso e rigido cerimoniale che le caratterizzava. Nel corso delle trattative i messaggeri delle due corti interessate all’evento si spostavano dall’una all’altra. Il sovrano a cui era richiesto di concedere una figlia o una sorella in sposa ad un altro sovrano, mostrava di solito all’inizio una certa reticenza, anche se fittizia, probabilmente allo scopo di ottenere condizioni sempre più vantaggiose, finché, dopo un fitto scambio di messaggi, si arrivava alla definizione dell’entità dei beni che il promesso Ricorre infatti frequentemente nelle lettere l’espressione kuit øatraiš/TAŠPUR “relativamente a quanto tu mi hai scritto”; v. in ultimo F. Starke, BiOr 49 (1992) 814; diversamente invece A. Hagenbuchner, THeth 15 (1989) 87 sgg. 216 V. C. Zaccagnini, Lo scambio dei doni nel Vicino Oriente durante i secoli XVXIII, Roma 1973; F. Pintore, Il matrimonio interdinastico nel Vicino Oriente durante i secoli XV-XIII, Roma 1978; Ph.H.J. Houwink ten Cate, AoF 23 (1996) 40 sgg. 215

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sposo doveva inviare alla famiglia della donna e della dote di lei.217 È interessante, a tal proposito, una lettera probabilmente inviata dalla regina Puduøepa a Ramses II218 in risposta alle lagnanze di questo per il ritardo da parte della corte ittita nell’invio della principessa a lui promessa come sposa. La regina ittita adduce molte scuse per giustificare questo ritardo; si trattava evidentemente di pretesti, forse allo scopo di inviare al faraone una dote inferiore a quella che egli poteva aspettarsi da uno stato importante come quello ittita.219 Altri aspetti della procedura matrimoniale che venivano precisati in questo tipo di lettere concernevano le modalità dell’arrivo, dell’accoglienza della promessa sposa e della posizione che essa avrebbe occupato presso la corte che la riceveva. Dalla lettera qui sopra ricordata si intuisce che Puduøepa - pur sapendo che una principessa straniera non sarebbe potuta divenire regina di Egitto - cercava però - anche se non esplicitamente - di procurarle una posizione di rilievo tra le altri mogli del faraone.220 Una vasta raccolta di lettere riguarda il divorzio di una principessa amorrea, ripudiata dal re di Ugarit per una grave colpa da lei commessa, ma che noi ignoriamo. In un primo tempo essa fu rimandata dal marito nel suo paese con la sua dote; questo però, in un secondo tempo, ne chiese l’estradizione per poterla punire. Ciò provocò un caso internazionale, che richiese l’arbitrato del sovrano ittita, in quanto i due stati interessati al fatto, Amurru ed Ugarit, si trovavano sotto il dominio di questo sovrano. Per concludere, le

217 Questa dote era descritta particolareggiatamente in inventari che venivano mandati allo sposo, affinché a lui fosse ben chiaro il suo esatto - e cospicuo - valore. Ciò si evince dalla documentazione di El Amarna, dove sono stati trovati inventari di questo genere, anche se non in riferimento a matrimoni egizio-ittiti. 218 KUB XXI 38 (CTH 176): v. per ultimi E. Edel, ÄHK I Nr. 105, 216 sgg. e II 324 sgg., inoltre G. Beckman, HDT, 125 sgg. Purtroppo la parte iniziale di questa lettera è andata perduta, per cui l’identificazione dei due corrispondenti è stata per lungo tempo oggetto di discussione fra gli studiosi. Il fatto che questa lettera fosse stata scritta in ittita anziché in accadico e le varie inesattezze e cancellature che vi si trovano fa pensare che essa fosse un abbozzo preliminare di una lettera ufficiale. 219 La regina, dopo aver evidenziato alcune sventure capitate alla corte ittita, e dopo aver usato un paradosso per enfatizzare la ricchezza del faraone, insinua che questo voglia arricchirsi a spese di lei e rileva che ciò non è degno di vanto né denota signorilità. 220 V. in proposito S. de Martino-F. Imparati, StMed 9 (1995) 106.

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esigenze politiche prevalsero e la principessa fu sacrificata a queste.221 Un’importante occasione per un intenso scambio di lettere fra sovrani era la stipulazione di un trattato internazionale. Emblematico in tale contesto è l’ampio carteggio fra la corte ittita e quella egiziana in occasione della stipulazione del trattato di pace fra ÷attušili III e Ramses II. A questo carteggio parteciparono tutti i membri della famiglia reale e alcuni alti dignitari delle due corti. Per l’occasione si scambiarono calorosi saluti e vivi rallegramenti per la “bella pace e la bella fratellanza” fra i due paesi. Si descrivono in queste lettere anche i doni che le due corti si inviarono reciprocamente in tale occasione.222 Una lettera di grande interesse per lo studio delle politica internazionale contemporanea è quella inviata da ÷attušili III al re di Babilonia Kadašman-Enlil.223 Questa lettera è molto lunga e tocca vari problemi; il suo scopo primario sembra quello di riparare a delle tensioni sorte fra ÷atti e Babilonia dopo la morte di Kadašman-Turgu, padre di Kadašman-Enlil. Il sovrano ittita, nella parte iniziale del testo, mette in rilievo i rapporti di amicizia e fratellanza intercorsi fra lui e KadašmanTurgu e continuati nel corso del tempo, e come ambedue i sovrani si fossero impegnati anche per il futuro alla reciproca protezione degli eredi al trono nei due paesi. ÷attušili ricorda di aver pianto la morte del padre di Kadašman-Enlil, ma di aver subito dopo mandato un’ambasceria ai Grandi di Babilonia, esortandoli a proteggere la progenie del defunto re, altrimenti il sovrano ittita stesso sarebbe andato a Babilonia e l’avrebbe conquistata. Egli aveva anche offerto loro il suo aiuto, che essi però rifiutarono, per timore di un’ingerenza ittita nel loro paese. ÷attušili deplora vivamente questa sfiducia nei suoi riguardi e, con frasi enfatiche, iperbole, espressioni idiomatiche, attribuisce la colpa di questa presa di posizione a un alto dignitario babilonese, Itti-Marduk-balâtu. Di contro scagiona da ogni responsabilità Kadašman-Enlil per la sua giovane età in quel periodo: “Mio fratello era ancora un fanciullo in quei giorni”. 221 V. per ultimi H. Klengel, Syria, 141 sg.; I. Singer, in Sh. Izre’el, Amurru Akkadian, Atlanta 1991, Appendice, 174 sg.; D. Arnaud-M. Salvini, Semitica 41-42 (1993) 7 sg. 222 V. per ultimi E. Edel, ÄHK I, 16-49; G. Beckman, HDT, 121 sgg. 223 CTH 172, v. per ultimi A. Hagenbuchner, THeth 16 (1989) 281 sgg.; G. Beckman, HDT, 132 sgg. Questa lettera è stata trovata a ÷attuša, perciò doveva essere o un abbozzo o una copia trattenuta dalla cancelleria ittita.

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Questa frase, ripetuta più di una volta, ha evidentemente lo scopo di permettere a ÷attušili di tener fuori l’attuale re babilonese da ogni precedente situazione di tensione fra ÷atti e Babilonia, per procedere così più facilmente nella sua opera di distensione fra i due paesi. Per quanto riguarda la situazione internazionale, sono interessanti i riferimenti contenuti in questa lettera a questioni concernenti la posizione dei due paesi su menzionati, ÷atti e Babilonia, nei riguardi dell’Egitto. In Ro 55-75 ci si riferisce alla tensione fra ÷atti e l’Egitto, causata dal rifiuto del faraone di accondiscendere alla richiesta da parte di ÷attušili dell’estradizione del suo “nemico” - verosimilmente UrøiTeššup - che si trovava in quel momento in territorio egiziano.224 ÷attušili mette in rilievo con enfasi che in questo frangente il padre di Kadašman-Enlil si era schierato dalla sua parte, rompendo i rapporti diplomatici con l’Egitto. Alla sua ascesa al trono Kadašman-Enlil, invece, ha ripreso questi rapporti; Babilonia e l’Egitto si sono scambiati messaggeri e doni.225 Questo passo è stato integrato differentemente nelle parti lacunose e, quindi, interpretato in maniera diversa da alcuni studiosi, che lo hanno utilizzato per la datazione di questa lettera ad un periodo o antecedente o posteriore al trattato di pace tra ÷attušili III e Ramses II.226 Purtroppo. la lunghezza di questa lettera e la varietà dei temi in essa affrontati non permette di esaminarla qui per intero.227 Utile per lo studio dei rapporti fra ÷atti e l’Assiria è l’esame di varie lettere scambiatesi fra i sovrani di questi due paesi. Particolarmente interessante fra queste è una lettera, verosimilmente scritta da Tutøaliya IV a Tukulti-Ninurta I, salito al trono dopo la morte del padre Salmanassar I. Di questo testo ci è pervenuto una brutta copia in lingua ittita, anziché in accadico, ciò che dimostra che era ancora in fase preparatoria. Questa lettera ci è pervenuta in più esemplari, che Questa presenza di Urhi-Teššup in Egitto sembra confermata da un passo della lettera KUB XXI 38 Ro 11’-12’, se accettiamo l’ipotesi che il mittente di essa fosse Puduøepa e il destinatario Ramses II; v. E. Edel, ÄHK (1994) 216 sg. e G. Beckman, HDT, 126 § 2. 225 A tal proposito, ÷attušili evidenzia che ora Kadašman-Enlil è un uomo, e quindi, in grado di assumere le proprie responsabilità nel suo comportamento. 226 V. E. Edel, JCS 12 (1958) 130 sgg., e contra M.B. Rowton, JNES 25 (1966) 243 sgg. 227 Alcune espressioni enfatiche, iperbole e frasi idiomatiche presenti in essa sono state esaminate da S. de Martino-F. Imparati, StMed 9 (1995) 105 sgg. 224

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contengono anche altre lettere inviate dallo stesso re ittita a due dignitari della corte assira.228 Purtroppo queste lettere sono frammentarie e soltanto di una ci è pervenuto l’incipit, dove però, essendo il destinatario un alto dignitario, non è espresso il nome del sovrano che l’ha inviata, secondo il formulario in uso nella corrispondeza che aveva luogo all’interno del regno di ÷atti. Così, per quanto riguarda la lettera in esame, i nomi del mittente e del destinatario sono stati ipotizzati in base al contesto del documento. Nella prima parte di questo sono contenuti due argomenti: l’elogio delle imprese militari compiute dal sovrano defunto, e gli auguri - insieme ad alcuni consigli - per il nuovo re.229 Tutøaliya evidenzia poi i buoni rapporti intercorsi fra ÷atti e l’Assiria anche all’epoca dei padri dei due sovrani attuali di questi paesi. Quindi, in risposta alle lamentele del re assiro di non aver ricevuto doni dalla corte ittita in occasione della morte di suo padre, Tutøaliya adduce come giustificazione che ciò non rientra negli usi ittiti, ma che egli ha provveduto a inviare doni al sovrano assiro vivente.230 Nonostante il tono amichevole di questa lettera, sappiamo che i rapporti con l’Assiria erano tesi a causa della continua volontà espansionistica di questo stato. Probabilmente Tutøaliya in quel momento aveva scelto di seguire una politica di amicizia con il nuovo re, per evitare uno scontro diretto con questo paese. Diverso è invece il tono di una lettera, della quale pure ci è pervenuto una brutta copia in ittita, in condizioni molto frammentarie.231 Non conosciamo né il nome del mittente né quello del destinatario. Su quest’ultimo gli studiosi concordano nel riconoscere Adad-Nirari I, mentre per il nome del sovrano ittita sono stati proposti i nomi di Muwattalli II, Muršili III/Urøi-Teššup e ÷attušili III.232. Lo stato di tensione che trapela da questa lettera è conseguente alla conquista da parte dell’Assiria della maggior parte di ciò che rimaneva del paese di CTH 178; v. A. Hagenbuchner, THeth 16 (1989) Nr. 191, 249 sgg.; cfr. inoltre A. Harrak, Assyria and Hanigalbat, Hildesheim ecc. 1987, 147 sg. 229 A lui dice il re ittita: “Proteggi i confini di tuo padre . . . e non svilire (lett.: far precipitare) il nome di tuo padre” (A Ro 9’-11’). 230 V. A. Hagenbuchner, THeth 16 (1989) 259. 231 CTH 171, v. A. Hagenbuchner, THeth 16 (1989) 262 sgg. (Nr. 192); G. Beckman, HDT, 138 sg.; v. inoltre A. Harrak, Assyria and Hanigalbat, Hildesheim ecc. 1987, 75 sgg. 232 V. la discussione in proposito in A. Hagenbuchner e G. Beckman, locc. citt. 228

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Mittani/÷anigalbat.233 Per tal motivo il mittente della lettera rifiuta con molta durezza di avere rapporti di fratellanza con il re assiro, specificando che coloro che non sono in buoni rapporti fra sé non si scrivono solitamente come “fratelli”. Egli domanda: “(Siamo) forse tu ed io nati dalla stessa madre?” e specifica che anche suo nonno e suo padre non erano soliti scrivere al re di Assur come fratelli. Come si è già osservato (v. par. VI) era in uso fra le varie corti di scambiarsi specialisti in mestieri e professioni diverse. E certo, una volta che uno di loro era giunto presso il sovrano che lo richiedeva, questo faceva di tutto per non lasciarselo sfuggire. Si è già detto, ad esempio, che i re ittiti si rivolgevano a corti straniere per farsi inviare terapeuti di particolare fama. Si ricorda, in proposito, che nella sopra menzionata lettera mandata da ÷attušili III a Kadašman-Enlil di Babilonia si parla (Vo 34-41) di un medico babilonese inviato da questo sovrano alla corte ittita, dove il professionista aveva prestato molto bene la sua opera. Ma egli era caduto ammalato e, nonostante le molte cure ricevute alla corte ittita, era morto. ÷attušili insiste sul suo comportamento corretto e generoso non solo nei riguardi di questo medico, ma anche, e soprattutto, nei riguardi del sovrano babilonese.234 Sempre nella stessa lettera (Vo 42-48), ÷attušili parla di un sacerdote esorcista e ancora di un medico che erano stati inviati, durante il regno di Muwattalli, alla corte ittita, dove erano stati trattenuti. ÷attušili esprime il suo disaccordo con ciò. Forse ora il sacerdote esorcista è morto, ma il medico si è insediato in ÷attuša. Tuttavia questo medico non vi è stato trattenuto con la forza, ma vi è rimasto volontariamente, avendo sposato una donna della famiglia reale ittita ed alloggiando in una bella casa. Si può, però, presumere che il sovrano ittita abbia fatto il possibile per creare a questo specialista una situazione a lui vantaggiosa, così da indurlo a rimanere presso la sua corte. Nella stessa lettera (Vo 58-61) si parla anche della richiesta al sovrano babilonese da parte di ÷attušili dell’invio alla corte V. G. Wilhelm, The Hurrians, Warminster 1989, 38 sgg. Infatti ÷attušili, dopo aver detto che un suo messaggero avrebbe portato i servi del medico presso il sovrano babilonese, affinché questo possa interrogarli, e che gli avrebbe mandato anche una tavoletta contenente la lista dei molti doni di valore che il re ittita aveva fatto al medico in questione, conclude ribadendo che quando era venuto il suo momento, il medico era morto, ma che in ogni caso, ÷attušili non avrebbe fatto niente per trattenerlo presso di sé. 233 234

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ittita di uno scultore, affinché faccia delle immagini da porre negli alloggi della famiglia reale. ÷attušili assicura che lo rimanderà in patria, non appena quello avrà terminato il suo lavoro. A conferma di ciò e per tranquillizzare Kadašman-Enlil, probabilmente non molto fiducioso riguardo a ciò, ÷attušili ricorda di aver rimandato indietro alla corte babilonese anche il precedente scultore mandatogli dal padre dell’attuale sovrano. In tale contesto si ricorda anche una lettera scritta da Ramses II a ÷attušili III.235 Contiene la risposta ad una richiesta di quest’ultimo dell’invio a ÷attuša di un medico e di particolari farmaci per permettere a sua sorella Matanazzi/Maššanuzzi di avere figli. Il faraone acconsente alla richiesta, pur rilevando che, avendo questa sorella a quel tempo o cinquanta o sessanta anni, soltanto un intervento divino poteva aiutarla a esaudire il suo desiderio.236 Per quanto riguarda le lettere inviate dalla corte ittita ai sovrani dei paesi soggetti a ÷atti, esse rivelano chiaramente questa subordinazione. Emblematica, fra le numerose lettere di questo tipo, è quella scritta dal principe Piøawalwi al nuovo re di Ugarit, Ibiranu. Egli lo rimprovera di aver trascurato due dei suoi più importanti doveri nei riguardi del re di ÷atti: egli non si sarebbe ancora recato davanti a lui, per rendergli omaggio, e non avrebbe ancora inviato i suoi messaggeri - certo per recargli dei doni.237 La posizione subordinata di Ibiranu, anche rispetto al dignitario regio, è evidenziata dall’intestazione della lettera, dove il mittente Piøawalwi è menzionato al primo posto e dove il re di Ugarit è da lui appellato come “figlio”. È impossibile toccare qui tutti gli argomenti presenti in queste lettere e gli interessanti problemi che suscita la loro lettura. Tuttavia, già dagli esempi riportati emerge come lo studio di esse lettere sia illuminante oggi per la conoscenza della situazione politica internazionale, dei rapporti di forza e di potere tra i vari stati e dell’abilità diplomatica dei sovrani che li governavano.

V. E. Edel, ÄHK I, 178 sgg.; v. anche G. Beckman, HDT, 131 sg. Questa lettera è stata ritenuta come prova della scarsa conoscenza da parte ittita in campo ginecologico. È però possibile che anche ÷attušili fosse consapevole dell’impossibilità della cosa, ma, con questa sua richiesta al faraone, intendesse soltanto dimostrare alla sorella la sua volontà di aiutarla con ogni mezzo. 237 CTH 119; v. G. Beckman, HDT, 121. 235

236

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XXXIV.

IL TESTO ORACOLARE KUB XXII 51 (CTH 577)1

Verosimilmente dell’epoca di ÷attušili III sono la tavoletta frammentaria KUB XXII 51 (Bo 4963) e il frustolo a questa in parte parallelo KUB L 108 (Bo 5779), ambedue contenenti una consultazione oracolare relativamente ad una campagna militare condotta da un sovrano ittita, di cui non si specifica il nome, e da alcuni suoi comandanti di truppe verso la zona di Nerik,2 all’itinerario da percorrere e all’organizzazione tattica dell’attacco. Consultazioni di tal genere, ovviamente di grande importanza, richiedevano risposte sicure, che venivano di solito verificate mediante indagini mantiche di tipo diverso. Nel testo in esame le indagini sono effettuate mediante l’esame delle viscere degli animali, il volo degli uccelli, il procedimento mantico KIN;3 gli operatori mantici menzionati nel documento sono un LÚ÷AL “indovino”, specialista nell’esame delle viscere, e un LÚIGI.MUŠEN “augure”, esperto appunto nell’ornitomanzia. Per quanto riguarda KUB L 108, le rr. 7’-11’ di questo documento corrispondono quasi completamente a KUB XXII 51 Ro 10’-14’, mentre le altre righe si differenziano.4 Si nota, ad esempio, che mentre il passo di Desidero ringraziare il Prof. Ahmet Ünal per aver letto questo mio lavoro, fornendomi utili suggerimenti. 2 Sulle spedizioni militari ittite verso questa zona, v. in ultimo M. Forlanini, RILSL 125 (1992) 277-308, e in particolare 288 sg. 3 Sui termini relativi all’aruspicina presenti in questo testo e nel suo parallelo, v. in particolare E. Laroche, RA 64 (1970) 127-139 infra e GLH, 182 ss.vv.; M. Schuol, AoF 21 (1994) 73-124, 247-304; S. de Martino, ChS I/7 (1992) 143-159 ss.vv., con bibliografia. Sui termini e le espressioni relative all’ornitomanzia, v. in particolare A. Ünal, RHA 31 (1973) (ap. 1976) 27-56 infra, A. Archi, SMEA 16 (1975) 158-180 infra. Sulla terminologia relativa alla consultazione oracolare, v. A. Archi, OA 13 (1974) 134-144; A. Ünal-A. Kammenhuber, KZ 88 (1974) 157-180: A. Ünal, THeth 4 (1974) 94-102. 4 Si ritiene utile, per facilitare un confronto fra i due documenti, riportare anche il testo di KUB L 108. 1

1’ 2’

]xxxxxx[ -z]i KARAŠ-ma ar-ø[a

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KUB XXII 51 qui sopra indicato, contenente l’oggetto dell’indagine mantica, è preceduto da una consultazione ornitomantica, il passo corrispondente in KUB L 108 è preceduto da una consultazione effettuata mediante l’esame delle viscere. ]ú-iz-zi KI.MIN nu KIN SIG5-ru ] wa-aš-túl IZI mu-ni-mar åME¥-aš[ _________________________________________________________________ 5’ ]x x nu IGI-zi SUMEŠ SIG5-ru EGIR-ma NU.SIG5-d[u 6’ ] EGIR SUMEŠ ni-eš-kán ZAG-an pé-eš-ši-at -at ZAG(-)x[ _________________________________________________________________ 7’ [nu URUŠ)]a-pí-nu!-wa še-eš-zi KARAŠ÷I.A-ma URU÷a-a[(n-zi-wa ka-ri-ya)-an-zi] 8’ [(nu-kán URUŠu-up-p)]í-lu-li-an GAM-an ar-øa pa-iz-zi nu URUŠ[(a-øu-zi-mi-ša-a)n RA-zi] 9’ [(mKa?-ša?-lu-wa-an-m)]a T[(A)] åÉRIN¥ME.EŠ ti-eš-ša-an-zi nu KI!.MIN URU[(Daøa-aš-)da-an 10’ (RA-zi mKu/Ma-ni-ya-LÚ)]-ma TA ÉRINME.EŠ ŠU-TI ti-eš-ša-an-zi na-a[n 11’ (mAš-du-wa-re-e)]š-ma mTi-me-t-ti-x?-ša URUKam-ma-ma-za[ 12’ KU]R ÷ar-pu-uš-ta pa-iz-zi KI.MIN nu KIN SI[G5-ru 13’ ]x? GIG GAL ME-aš nu-kán an-da SUD-li12 x[ 14’ -r]i MÈ-i GAR-ri 3-ŠÚ LÚKÚR MÈ (-)[ _________________________________________________________________ 15’ K]I.MIN _________________________________________________________________ 16’ ]-ya-zi lu-kat-ti-ma URUŠe?-x-zi-x[ 17’ -z]i ta-ma-in-ma x[ 18’ ]še-eš-zi [KARAŠ 19’ ]x[ 3’ 4’

All’inizio della r. 5’ si intravedono tracce di segni, tra i quali forse GAR, che dall’autografia del testo sembrano erasi. Nelle rr. 7’-11’ di questo testo si sono integrati alcuni toponimi ed antroponimi in base a quelli presenti in KUB XXII 51 Ro 10’-14’. La lettura del toponimo all’inizio della r. 7’ come Šapinuwa - nonostante la singolare grafia della parte rimasta di questo nome (cfr. infatti il segno nu in KUB L 108, 3’, 5’, 9’, 12’, 13’) - si basa sul passo corrispondente in KUB XXII 51 Ro 10’; così anche in RGTC 6/2, 139; v. invece l’indice dei toponimi in KUB L, X. Nella r. 9’ di KUB L 108 dopo ÉRINME.EŠ manca ŠUTI (cfr. invece KUB XXII 51 Ro 12’); sempre in questa riga, prima della possibile menzione della città di Daøašda, si trovano dei segni per i quali si è proposta una lettura nu KI!.MIN, nonostante la singolare grafia del segno KI (in KUB XXII 51 Ro 12’, nel passo presumibilmente corrispondente, è scritto invece nu-kán). Tra la fine della r. 10’ e l’inizio della r. 11’ doveva trovarsi il passo presente in KUB XXII 51 Ro 14’ prima della menzione di Ašduwareš; sempre nella r. 11’ dopo il nome di Timetti e prima del segno -ša c’è una rasura con tracce di segni: ci aspetteremmo lì -iš/-eš. Sempre in KUB L, X s.v. ŠUTUM, in riferimento alla r. 10’ di questo frammento, si deve leggere ŠUTI anziché ŠUTI÷I.A.

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Da un esame delle fotografie delle due tavolette5 il loro ductus sembra uguale; parrebbe addirittura trattarsi della mano dello stesso scriba. La loro superficie invece appare diversa, ma è difficile stabilire ciò in base a delle fotografie. KUB XXII 516 Ro 1’ [I]Š-TU LÚ÷AL åKI¥.MIN nu IGI-zi SUMEŠ åSIG5-ru¥ EGIR-ma NU.Š[IG5-du? ni-eš-kán] 2’ GÙB-aš KAxU-i GÙB-aš-ma ar-øa-ya-an ši en-tíš GÙB-aš åGAR¥[ri? 3’ EGIR SUMEŠ GIŠTUKUL GÙB-aš ta-ú-tíš ZAG-aš UGU åú¥-da-aš _____________________________________________________ 4’ åIŠ¥-TU LÚIGI.MUŠEN IRåTUM¥ QA-åTAM¥-MA-pát nu [MUŠE]Nå÷I.A¥ åŠIxŠÁ¥-an-du šu-lu-pé-[eš-ma?-kán? 5’ ú-it na-aš-kán pí-an ŠIG5-za ú-åit¥ na-åaš-GUN¥-li12 zi-la-an ú-it x[ 6’ GÌR÷I.A kán-ga-nu-ut na-aš zi-la-an ku-uš ú-åit¥ šu-lu-pé-eš-ma-kán EGIR[ 7’ na-aš-za TUŠ-at KAxU-ŠÚ-ma-za-kán åpí¥-an ar-åøa¥ na-a-a-iš EGIR KAŠKAL mar-[ša-na-aš-ši/e-i/eš] 8’ [EG]IR UGU ŠIG5-za ú-it na-aš 2 ar-øa pa-it i-pár-wa-aš-ši-ešma-kán pát-tar-pal-øi-iš[ 9’ [ ]-ådu¥-wa šu-lu-pé-eš-ma ku-iš GUN-li12 TI8[MUŠ]EN-ma tar-li12-an GÌRå÷I.A¥ kán-qa-nu-ut nu-ši GÙB-a[n _____________________________________________________ 10’ ånu¥ URUŠa-pi-nu-wa åše¥-eš-zi KARAŠ-ma URU÷a-an-zi-wa ka-ri-ya[az?-zi] 11’ nu-åkán¥ URUŠu-up-pí-lu-li-ya-an GAM-an ar-øa pa-iz-zi nu URUŠa-øuzi-mi-ša-a[n RA-zi] 5 Delle quali ho potuto prendere visione a Berlino, presso il “Vorderasiatisches Museum”, grazie alla cortesia del Prof. H. Klengel. 6 In questa tavoletta si trovano molte rasure, su alcune delle quali sono stati scritti nuovamente dei segni; in altre si intravedono tracce dei segni cancellati. Non si sono indicate queste rasure nella traslitterazione e nella traduzione del testo, per non appesantirne la lettura, ma sono state segnalate quelle più significative nelle note al testo.

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12’ åmKa?-ša?¥-lu-wa-an-ma TA ÉRINMEŠ ŠU-TI ti-eš-ša-an-zi nu-kán URU Da-øa-aš-[da-an] 13’ [ ] RA-zi mKu/Ma-ni-ya-LÚ-ma TA ÉRINMEŠ ŠU-TI ti-eš-ša-

an-zi

14’ [(na-a)n ]x KUR Ku-wa-ri-na-za EGIR UGU RA-zi mAš-du-wa-reåeš¥-ma mTi-me-e[(t-ti)-iš-(š)]a 15’ [(URU)]Kam-åma¥-m[(a-z)]a IGI-an-da åRA¥-an-zi KASKAL m TI8MUŠEN-LÚ DUTUŠI-ma KASKAL A-BI DUTUŠI pí-an [ ]x?-zi! 16’ [KI.MI]N nu KIN SIG5-ru LÚKÚR ZAG-tar DU÷ tar-nu-mar GIŠ TUKUL LÚKÙR ME-aš ŠÀ KUR-ŠÚ x[ ]x SUD-li12 17’ [ ]x? UGU-za GAR-iš DU÷ LÚKÚR MÈ ME-aš na-at EGIR-pa ANA LÚKÚR SUM-[za? 18’ [ LÚ]MEŠ ÷at-ti ZAG-tar KASKAL ME-ir nu-uš-ma-aš GÙB-za GAR-ri 19’? [ ] _____________________________________________________ 20’ [IŠ-TU LÚ÷AL K]I.[MI]N nu IGI-zi SUMEŠ SIG5-ru EGIR-ma NU.SIG5-du IGI-zi SUåMEŠ¥ ni ši 21’ [ ]x åSUMEŠ¥ xå.UŠ/-uš¥ øi-re-en-du-kar-åri¥ NU.SIG5 Vo nu] åURUŠa-øu-zi-mi-ša-an¥ 1’ 2’ mKu/Ma-ni-ya-L]Ú-ma åURUKu-w¥[a-ri-na-za EGIR UG]U RA-zi m

Aš-du-wa-re-eš-ma

3’ [mTi-me-et-ti-iš-ša URUKam-ma-ma-z]a IGI-an-da RA-an-zi KASKAL m TI8MUŠEN-ZA DUTUŠI-ma 4’ p]í?-åan? RA?-zi¥ [K]I.MIN nu KIN ŠIG5-ru _____________________________________________________ 5’ [IŠ-TU L]Ú÷AL åKI¥.MIN _____________________________________________________ 6’ [IŠ-TU LÚ]IGI.MUŠEN KI.MIN 7’ ] ÷UR.ŠAGMEŠ ku-it-ya ŠÀ! IGI TAR/IGI-tar/lì-tar nu ÷UL-la-tar UL-Ú _____________________________________________________ 8’ ]x SIXSÀ-at INIM LÚKÙR NU.åSIG5¥-du DUTU AN GUBiš ŠA LUGAL IGI.LÁ

764

9’ 10’ 11’ 12’ 13’ 14’ 15’ 16’

ME]-aš na-at ANA LÚMEŠ KUR ÷at-ti åGÙ[B-z]a GAR-åri¥ INA UD.2.KAM LÚMEŠ KUR ÷at-ti GÙB KASKAL IZI ]x-aš? nu-åkán¥ DINGIRMEŠ-aš _____________________________________________________ LÚ K]ÚR-pát GÙB-aø-øi NU.SIG5-du LÚKÚR ZAG-tar MÈ ME-aš ANA LÚMEŠ ÷at-ti x ] AŠ-RU!÷I.A ]ANA LUGALMEŠ mu-ki-åšar¥ EGIR-pa mAl-la-mu x[ _____________________________________________________ -z]a? DåPí¥-ir-wa-an DÙ-zi åD¥U.GUR.URU? øal-pu!-ti-li-in EZEN4 GIŠ zu-up-pa-r[i(-) DIN]GIRLUM A-NA DUTUŠI øa-ra-tar wa-aš-tul UL DÙši! nu åKIN S¥[IG5-ru ]xxxx åGIŠDAG!¥ ME-ir na-at-kán[

Tracce di alcuni segni sul margine sinistro. Ro 1’ (La consultazione) [m]ediante l’indovino (è) allo stesso modo: ora, le prime viscere sia(no) favorevoli, ma le ultime [sia(no)] sfavo[revoli; il ni(pašuri) :] 2’ la (parte) sinistra (è) nella/presso la “bocca”, ma la (parte) sinistra (è) separata; lo ši(ntaøi), lo enti: la (parte) sinistra giac[e 3’ le ultime viscere: l’arma (la parte) sinistra, il tauti (la parte) destra ha sormontato. _____________________________________________________ 4’ La consultazione mediante l’augure (è) sullo stesso soggetto della precedente: ora, gli uccelli stabiliscano (ciò); [ma(?)] (un uccello) šulupe[(?) 5’ venne ed esso venne in avanti dalla parte buona, ed esso venne GUN-li zilan x[ 6’ fece pendere le zampe ed esso venne zilan dalla parte kuštai, ma/e (un uccello) šulupe dietro [ 7’ ed esso si posò (lett.: si sedette), ma volse il suo becco (lett. bocca) via in avanti, dietro la strada un (uccello) mar[šanašši] 8’ venne [die]tro su dalla parte buona ed esso volò via a mezza strada, ma un (uccello) dalle ali larghe da ovest [ 765

9’ [ ]x x ma/e un (uccello) šulupe che (è) GUN-li ma/e un’aquila tarlian fece pendere le zampe e a lei a(?)/la(?) sinistra (accus.) [ _____________________________________________________ 10’ åOra¥, deve (il Mio Sole) riposare nella città di Šapinuwa, ma deve l’esercito sos[tare] nella città di ÷anziwa; 11’ e deve (il Mio Sole) passare sotto la città di Šuppiluli(ya) e [attaccare] la città di Šaøuzimiša? 12’ Ma devono far mettere in marcia [Kaša(?)]luwa insieme con le truppe ŠUTI ed (egli) la città di Daøaš[da] 13’ [ ] deve attaccare? Ma devono far in marcia Ku/Maniyaziti insieme con le truppe ŠUTU 14’ e deve (egli) dal paese di Kuwarina attaccarl[a ]x dal dietro sopra? Ma devono Ašduwari e(?) Timetti 15’ dalla città di Kammama attaccare di fronte? (Deve esserci) la spedizione di ÷ar(r)anaziti? Ma il Mio Sole la spedizione del Padre del Mio Sole davanti deve [ ]? 16’ (La consultazione è) [allo stesso mod]o: ora, il KIN sia favorevole, il nemico il favore, il dissolvimento, la concessione, l’arma (del?) nemico prese, all’interno del suo paese x [ ] x SUD-li. 17’ [ ] sopra per sé pose, prese il dissolvimento (del?) nemico (e) la battaglia e ciò/quelle cose indietro al nemico (è/sono?) da[to/e(?). 18’ [ gli uomin]i di ÷atti presero il favore (e) la spedizione ed (essi) sono deposti per loro a sinistra. 19’? [ ] _____________________________________________________ 20’ (La consultazione) [mediante l’indovino] (è) [allo s]t[esso mod]o: ora, le prime viscere sia(no) favorevoli, ma le ultime sia(no) sfavorevoli, le prime viscere, il ni(pašuri), lo ši(ntaøi) 21’ [ ]x viscere x x øirindukarri: sfavorevole. Vo 1’ 2’

e] la città di Šaøuzimiša (accus.) ] ma deve [Ku/Maniyazi]ti dalla città di Kuw[arina] attaccare [dal dietro sopra? Ma devono Ašduwari 3’ [e Timetti dalla città di Kammama] attaccare di fronte? (Deve esserci) la spedizione di ÷ar(r)anaziti? Ma il Mio Sole

766

4’ 5’ 6’ 7’ 8’ 9’ 10’ 11’ 12’ 13’ 14’ 15’ 16’

davan]ti(?) deve attaccare(?)? (La consultazione è) [al]lo stesso modo: ora, il KIN sia favorevole. _____________________________________________________ (La consultazione) [mediante] l’indovino (è) allo stesso modo. _____________________________________________________ (La consultazione) [mediante] l’augure (è) allo stesso modo. ] montagne e ciò che (è?) all’interno(?) x x, allora non (è/sia) male. _____________________________________________________ ]x stabilì (mediante l’oracolo): la faccenda (del) nemico sia sfavorevole; il dio Sole del cielo si alzò, la vista del re pres]e ciò agli uomini del paese di ÷atti [a] sinis[tr]a è posto, nel secondo giorno gli uomini del paese di ÷atti a sinistra la spedizione, il fuoco ] x e gli dèi _____________________________________________________ il ne]mico su menzionato rende infruttuoso: (il risultato) sia sfavorevole, il nemico prese il favore, la battaglia agli uomini di ÷atti x ] luoghi ]ai re l’invocazione dal dietro/indietro Allamu x[ ]x celebra Pirwa, il dio U.GUR della città?, l’oggetto øalputili (accus.) la festa delle fiaccol[e o divi]nità, per il Mio Sole uno scandalo (e) una colpa non fai? Ora, il KI[N sia] f[avorevole(?) ] xxxx il trono presero e/allora ciò

NOTE AL TESTO E ALLA TRADUZIONE Ro r. 1’. La parte iniziale della r. 2’ e il confronto con passi analoghi nei testi oracolari permettono di ipotizzare nella lacuna alla fine della r. 1’ la presenza del termine mantico ni(pašuri)- in una delle sue possibili grafie abbreviate; con questo termine doveva verosimilmente chiudersi anche la riga. Per i tipi di frasi dove compare il nipašuri-, v. E. Laroche, RA cit., 767

131; CHD L-N, 447 sg.; M. Schuol, AoF cit., 248 sgg.; per le attestazioni di questo termine v. S. de Martino, op. cit., 150 sg. r. 2’. M. Schuol, AoF cit., 89 e 91, rileva che gli aggettivi “sinistro” e “destro” in contesti oracolari hanno il valore rispettivamente di “sfavorevole” e “favorevole” e così traduce (p. 91) un passo analogo a quello presente in Ro 1’-2’ del nostro testo: “ni ungünstig am/beim Mund”. Sul termine oracolare šintaøi-, v. per ultimi M. Schuol, AoF cit., 251 sgg., la quale ne propone la traduzione “Standort”; S. de Martino, op. cit., 152 sgg.; sul termine oracolare enti-, v. in ultimo S. de Martino, op. cit., con bibliografia. r. 3’. Sul sumerogramma GIŠTUKUL, “arma” nei testi oracolari ittiti, v. in ultimo M. Schuol, AoF cit., 272 sgg. Sull’espressione UGU/šara uda- “portarsi al di sopra di, sormontare”, v. E. Laroche, RA cit., 136. Dopo tautiš c’è una rasura, sulla quale sono rimaste tracce di un segno che poteva essere GAR. r. 4’. Sulla formula con cui viene qui posta la richiesta oracolare, v. A. Ünal, RHA cit., 33 con nota 17, cui si deve aggiungere KUB XXII 51 Ro 4’; A. Archi, SMEA cit., 144 con nota 75. Per l’integrazione della lacuna alla fine di questa riga, v. le successive rr. 6’ e 9’; non è certo se questa riga finisse qui. Sull’uccello šulupi/e- v. H. Ertem, Fauna, 219, dove si dà la traslitterazione delle rr. 4’-9’; nelle rr. 7’-8’ in qualche punto questa traslitterazione diverge dalla nostra. r. 5’. A proposito della possibilità di una traslitterazione GUN-liš qui e alla r. 9, v. E. Neu-C. Rüster, HZL, Nr. 201. Secondo A. Archi, SMEA cit., 174 Nr. 6, si tratta qui di un avverbio; alla r. 9’, però, la presenza del pronome relativo kuiš induce piuttosto a considerare GUN-li12 in quella frase come un aggettivo. Per un passo analogo (con il verbo pâi- al posto di uwa-) a quello posto alla fine della r. 5’ del nostro testo, cfr. CHD P, 36 Nr. 16’. Il termine zila(w)an, presente qui e nella riga successiva, in CHD, loc. cit., non viene tradotto; v. invece A. Archi, SMEA cit., 172 sg., e A. Ünal, RHA cit., 39 sg., i quali lo interpretano come “di qui, da questa parte”. Nell’autografia del testo si segnala la presenza sul Verso di resti della fine di Ro 5’(?) e 6’(?). r .6’. Su ku-uš come abbreviazione di kuštayati/kuštayaz da kuštai-, v. HZL Nr. 206, CHD P, 35 Nr. 7’; v. invece A. Ünal, RHA cit., 39; A. 768

Archi, SMEA cit., 152 e 176 sg. Per l’espressione zila(w)an ku-uš uwa-, v. CHD, loc. cit., dove si cita una frase analoga, costruita però con il verbo pâi-; con tale espressione si indicava probabilmente un presagio non favorevole, contrariamente alle rr. 5’ e 8’, laddove si dice che l’uccello venne dalla parte buona. r. 7’. Per l’espressione pían arøa nâi- in tale contesto, v. A. Ünal, RHA cit., 37; A. Archi, SMEA cit., 153, 167; CHD L-N, 352 Nr. 10’. Sull’uccello oracolare maršana(u)ašši v. H. Ertem, Fauna, 216 sg. e, in ultimo, CHD L-N, 196. r. 8’. Sulle interpretazioni proposte per l’espressione 2-an/takšan arøa pâi nelle consultazioni ornitomantiche, con la quale forse si indicava che l’uccello non aveva raggiunto il segnale stabilito, v. A. Archi, SMEA cit., 153 e 170; A. Ünal, RHA cit., 37; J. Tischler, HEG III/8, 44; CHD P, 35 Nr. 4’ (“to fly off down the middle”). L’interpretazione del termine iparawašša/i- è controversa: mentre da alcuni studiosi esso è stato inteso come un uccello (v. H. Ertem, Fauna, 215 sg. e in ultimo CHD P, 36 Nr. 10’), secondo altri indica “una direzione o un punto di riferimento”: v. A. Archi, SMEA cit., 163 sgg. e, per ultimi, J. de Roos, JAC 5 (1990) 90 sg. e C. Melchert, CLL, 90. Prima della menzione dell’uccello pattarpaløi-, dalle “ali larghe”, c’è una rasura, su cui si intravedono tracce di alcuni segni. Su questo uccello v. HW, 166; H. Ertem, Fauna, 217; CHD P, 242 sg. r. 9’. Dopo GUN-li12 c’è una rasura, della quale è forse rimasto il cuneo verticale vicino a li12; nell’autografia del testo sembra che vi sia la traccia di un piccolo cuneo orizzontale in basso accanto a GUN. Su tarli12-an come abbreviazione di tarwalli(y)an, v. A. Archi, KUB LII, Inhaltsübersicht Nr. 75; HZL Nr. 7; J. Tischler, HEG III/9, 248 sgg. V. inoltre A. Archi, SMEA cit., 178 sg. Nr. 6 (TAR.LIŠ-an), il quale considera questo termine come avverbio; cfr. anche CHD P, 35 Nr. 9’. H. Ertem, Fauna, 181 sg. nota 11, fornisce una lista di testi oracolari dove compaiono aquile: da notare, a proposito di questa lista, che nel nostro testo l’aquila come uccello facente parte della consultazione oracolare è presente soltanto in Ro 9’, perché in Ro 15’ e in Vo 3’ il nome di questo uccello è inserito nell’antroponimo ÷ar(r)anaziti.

769

r. 10’. Per le rr. l0’-16’ v. RGTC 6/2, 62 (traduzione rr. 10’-15’); S. Alp, HBM, 38 (traslitterazione e traduzione rr. 10’-11’); M. Forlanini, RILSL cit., 288 sg. (traslitterazione rr. 10’-15’); R.H. Beal, THeth 20, (1992) 471 con nota 1745 (traslitterazione rr. l0’-16’); per i personaggi e i toponimi menzionati in questo passo v. ultra. S. Alp, loc. cit. integra la lacuna all’inizio delle r. 10’: [LUGAL-u]š. In questa riga, dopo KARAŠma, si vede una rasura, di cui sono rimaste tracce di segni. r. 11’. L’integrazione RA-zi si basa sul contesto; così anche R.H. Beal, loc. cit. Per una parziale corrispondenza di Ro 11’-16’ con Vo 1’-4’, v. le note relative a queste righe. r. 12’. Sull’integrazione dell’antroponimo presente in questa riga, v. ultra. All’interno della voce verbale teššanzi, prima del segno -zi, c’è una rasura su cui si vedono le tracce di alcuni segni. Sul verbo (:)ti/eššai- v. J. Tischler, HEG III/10, 377. r. 13’. Sulle letture proposte per l’antroponimo menzionato in questa riga, v. ultra. Nell’autografia del testo il segno ŠU entro il termine ŠUTI presenta un cuneo verticale in più (cfr. invece altrove nel testo), che sembra rimasto su una rasura. r. 14’. L’integrazione di parte della lacuna all’inizio di questa riga si basa sulla fine di KUB L 108, 10’. Il segno EŠ nell’antroponimo Ašduwareš è scritto su una rasura. Le rr. 14’, 15’ e 16’ continuano sul margine destro della tavoletta; qui, in fondo alla r. 14’ dopo la lacuna, sotto la parte rimasta dell’ultimo segno, c’è una riga sottile. r. 15’. Dopo ABI DUTUŠI si vedono dei segni rimasti su una rasura. Rimane difficile stabilire, sulla base del contesto, la validità di una integrazione pí-an [R]A-zi! nella lacuna alla fine di questa riga, secondo la parte iniziale di Vo 4’; inoltre dall’autografia del documento non risulta chiaro se nella lacuna all’inizio di Vo 4’ vi fosse stato spazio sufficiente per la menzione della “spedizione del Padre del Sole”, di cui si parla nella r. 15’ del Recto: ciò non permette quindi di conoscere se vi fosse stata una esatta corrispondenza fra i due passi in Ro 15’ e in Vo 4’. Il significato della seconda metà della r. 15’ è piuttosto oscuro. La frase relativa alla spedizione o campagna militare di ÷ar(r)anaziti e a quella del Padre del Sole non sembra aver fatto parte della procedura KIN, poiché

770

la descrizione di questa procedura ha inizio nella r. 16’; si presume quindi che la frase in questione rientrasse ancora nella consultazione oracolare. Inoltre il riferimento alla spedizione di ÷ar(r)anaziti non appare collegato al passo successivo, il quale deve aver inizio con la menzione del Mio Sole a causa della presenza qui dell’enclitica -ma. Così, per dare un senso alla frase, ho considerato il passo relativo alla campagna militare di ÷ar(r)anaziti come una interrogazione a sé stante, con un verbo “essere” sottinteso. Non rimane chiara neppure la frase dove si parla del sovrano (il Mio Sole) in rapporto ad una spedizione del Padre del Mio Sole, anche per la lacunosità del verbo in fondo alla riga (v. sopra). Può darsi che si facesse qui riferimento ad una campagna militare di Muršili II - che sappiamo aver compiuto spedizioni nella zona di Nerik e addirittura verso il mare7 - e che il figlio ÷attušili volesse intraprendere un’impresa analoga. Si rileva infine che in questa riga non compare la località ÷arpušta, presente in KUB L 108, 12’; infatti, come si è detto sopra, a partire da qui KUB L 108 si differenzia dal nostro testo.8 r. 16’. L’integrazione [KI.MI]N all’inizio di questa riga si basa su passi analoghi in testi di questo tipo: v., ad esempio, più avanti Vo 4’. Dall’autografia del testo il segno ŠÀ sembra scritto sopra o vicino ad una rasura, di cui sono rimaste tracce di alcuni segni. Su SUD-li12 v. A. Archi, OA cit., 140 sg. nota 102; A. Ünal, THeth 4, 95 sg. r. 17’. In questa riga e nella successiva si vedono molte rasure. L’integrazione della lacuna alla fine della riga e la conseguente traduzione del passo relativo si basano su contesti analoghi nella procedura KIN: v. ad esempio A. Ünal, THeth 4, passi citati nell’indice p. 163 s.v. pai(SUM-za e EGIR-pa SUM-za); v. anche A. Archi, OA cit., 114 sg., a proposito di KUB V 1 II 65, 72. r. 18’. Da notare che il termine ÷atti, come anche in Vo 11’, non è preceduto da alcuna indicazione di luogo: v. invece Vo 9’. Dopo nu-ušma-aš c’è una rasura, su cui sono rimaste tracce di segni. 7 V. per ultimi M. Forlanini, RILSL cit., 292-300 e G.F. Del Monte, L’Annalistica ittita, Brescia 1993 (= TVOA 4.2) infra. 8 V. invece M. Forlanini, RILSL cit., 289, il quale legge ed integra diversamente la parte finale di KUB XXII 51 Ro 15’.

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r. 19’. Non è certa l’esistenza di questa riga; in alto subito dopo la lacuna si vede, nell’autografia del testo, una piccola linea, che, però, non sembra essere stata la fine di un cuneo. r. 20’. L’integrazione all’inizio della riga si basa su formule analoghe in questo genere di consultazioni: v., ad esempio, sopra Ro 1’. r. 21’. Il segno dopo SUMEŠ è molto danneggiato; per il segno successivo appare invece possibile una lettura UŠ: si potrebbe quindi ipotizzare per i due segni una lettura SAG.UŠ “normale, abituale” (v. E. Laroche, RA cit., 136 s.v. ukturi-), tuttavia i resti del segno prima di UŠ, secondo l’autografia del testo, non sembrano giustificare una lettura SAG. Sul termine øirindugarri(-) v. in ultimo S. de Martino, op. cit., 147, con bibliografia. Vo r. 1’. Per l’integrazione nella lacuna e per la lettura della parte dei segni rimasti in questa riga, v. Ro 11’. La fine di questa riga, della successiva e delle rr. 9’ e 11’ continuano sul margine destro. rr. 2’-4’. Le integrazioni delle lacune in queste righe si basano su Ro 13’-16’, tenendo però conto che questa parte del Verso è abbreviata rispetto a quella corrispondente nel Recto; esiste anche la possibilità che nella consultazione presente nel Verso si indicasse un percorso alternativo a quello descritto nella consultazione presente nel Recto. Per le integrazioni in Vo 2’, v. Ro 13’-14. Nella lacuna all’inizio di Vo 3’, secondo Ro 14’-15’, dovevano essere menzionati l’antroponimo Timetti (legato appunto ad Ašduware della riga precedente: v. infatti la voce verbale RA-anzi, appunto alla III persona plurale) e la città di Kammama. In base al confronto con lo spazio delle lacune all’inizio di Vo 5’ e 6’, è difficile stabilire se nella lacuna all’inizio di Vo 4’ sia possibile integrare l’espressione KASKAL ABI DUTUŠI: cfr. sopra nota a Ro 15’. In Vo 3’ è da rilevare la diversa grafia dell’antroponimo ÷ar(r)anaziti (mTI8MUŠEN-ZA) rispetto a quella in Ro 15’ (mTI8MUŠEN-LÚ);9 dell’alternanza grafica ZA/LÚ (= ziti) nell’onomastica ittita sono noti

9

V. E. Laroche, RHA 13 (1955) 91; Ug. III (1956) 147.

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diversi casi, come, ad esempio, quello del Grande degli scribi UR.MAHLÚ/ZA10 o dello scriba Palluwara-LÚ/ZA.11 r. 7’. Si rileva la presenza di un piccolo cuneo obliquo sotto il segno ŠÀ. I due segni successivi potrebbero essere letti come IGI TAR oppure come IGI-tar. In rapporto a questa seconda possibilità, si deve però osservare che non abbiamo attestazioni di una forma šakuwatar; mi sembra inoltre troppo macchinoso ipotizzare che il termine IGI-tar potesse essere una forma abbreviata dell’espressione IGI/šakuwa(š) uwatar, talora attestata nei documenti oracolari, sulla quale v. A. Archi, OA cit., 136. Si potrebbe forse pensare ad una lettura lì-tar, da intendere come una metatesi per tar-lì (v. sopra, nota Ro 9’), analogamente a quanto si riscontra alla fine di questa stessa riga, dove si trova UL-Ú per Ú-UL. r. 8’. Su INlM/memiya(n)- nella consultazione oracolare KIN, v. in ultimo CHD L-N, 274; sulla possibilità di intendere questo termine, in taluni casi, nel senso di “impresa”, v. A. Archi, OA cit., 135. r. 9’. L’integrazione nella lacuna iniziale è conforme alla procedura consueta nelle consultazioni oracolari. r. 10’. In fondo a questa riga e sul margine destro si trova una rasura con tracce di segni, in cui sembra si possa riconoscere GAR. r. 11’. Alla fine di questa riga e sul margine destro c’è una rasura con dei segni, alcuni dei quali sembrano cancellati ed altri scritti sopra: dall’autografia del testo non appare chiaro se vi si possa riconoscere il segno GÙ[B. r. 13’. Su muke/iššar “invocazione” nella consultazione oracolare KIN, v. in ultimo CHD L-N, 326. r. 14’. Dall’autografia del testo non risulta chiara la lettura del segno che segue il nome del dio U.GUR e che appare legato a questo. Per la lettura åD¥U.GUR.URU? v. HW2 III 79; infatti la collocazione del segno in questione ed anche la struttura della frase (per esempio: il termine ÷alputili- all’accusativo) rendono difficile l’ipotesi di considerare URU V. Th.P.J. van den Hout, StBoT 38 (1995) 174 con nota 315. V. A. Marchini nella sua tesi di laurea su “Gli scribi dei testi religiosi ittiti”, svolta sotto la mia guida e sostenuta a Firenze nell’anno accademico 1995-1996. 10

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come un determinativo di quest’ultimo termine;12 non abbiamo, del resto, attestazioni di un toponimo con questo nome. H. Otten, StBoT 15 (1971) 9, considera ÷alputili in questo passo come una divinità, insieme a Pirwa e a U.GUR;13 tale opinione, nonostante l’assenza del determinativo divino davanti a ÷alputili, può però spiegare il fatto che questo termine si trovi qui all’accusativo. Secondo H. Otten, loc. cit., a queste tre divinità si riferirebbe la “festa delle fiaccole”: quindi anche la voce verbale DÙ-zi riguarderebbe le tre divinità? Sulla menzione di Pirwa nello stesso contesto con il dio U.GUR (= Nergal), v. ultra nel commento. r. 15’. Su øaratar waštul v. in ultimo J. Puhvel, HED 3, 140 sg.; secondo l’autografia del testo nel segno -ši dopo DÙ sembra trovarsi un cuneo in più. r. 16’. Il segno DAG nell’ autografia del testo sembra presentare un cuneo in più. COMMENTO PERSONAGGI PRESENTI NEL TESTO Nelle parti cruciali del nostro testo (Ro 10’-15’, Vo 1’-4’) e in quelle corrispondenti del testo parallelo (rr. 7’-12’) è esposta la motivazione dell’indagine oracolare, riguardante - come si è detto - l’organizzazione di una campagna militare condotta simultaneamente dal re, che guidava personalmente un’armata, e da altri suoi ufficiali - dei quali si indica il 12 V. E. Laroche, Rech., 73, e, per ultimi, J. Puhvel, HED 3, 44; B.H.L. van Gessel, Onomasticon of the Hittite Pantheon, Leiden-New York-Köln 1998, II 839 sg.; A. Archi, SMEA 1 (1966) 117, aveva proposto, sia pur dubitativamente, per il segno in questione una lettura -ma, ragionevole per il contesto, ma che si adatta poco alla grafia del segno. Mi sono anche chiesta, sia pur con molte riserve, se non fosse possibile leggere il segno come KI.MIN e intendere il passo: “] celebra Pirwa, U.GUR allo stesso modo . . .”; ciò si accorderebbe anche con la posizione della voce verbale DÙ-zi nella frase. 13 Sulla divinità ÷alputili v. E. von Weiher, RlA 4 (1972-1975) 63, e, per ultimi, HW2, loc. cit.; J. Puhvel, loc. cit.; V. Haas, GHR, 299, 701 con nota 32; B.H.L. van Gessel, Onomasticon I, 79 sg.

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nome, ma non si specifica il titolo - che comandavano altre armate. Probabilmente essi dovevano attaccare contemporaneamente il nemico da fronti diverse, per rendere più efficace l’azione. Appare interessante per l’inquadramento cronologico del nostro testo l’esame degli antroponimi presenti in questi passi, anche se di alcuni abbiamo purtroppo poche notizie. Il primo di questi antroponimi (Ro 12’) è conservato solo parzialmente,14 tuttavia nell’autografia del testo le tracce dei segni della prima parte del nome e le due ultime sillabe rimaste potrebbero, a mio avviso, giustificare una lettura åmKaša¥luwa.15 Di questo nome conosciamo finora due attestazioni riferite a Kaskei;16 si rileva, a tal proposito, che nel nostro testo è presente anche il nome Timetti, esso pure legato all’àmbito kaskeo17 (v. ultra). In Ro 12’ si predispone che Kašaluwa(?), insieme alle truppe ŠUTI, un contingente militare a carattere tribale,18 attacchi la città di Daøaš[da]. Il nome che incontriamo successivamente nel nostro testo (Ro 13’) è stato letto diversamente dagli studiosi: Kuniya-LÚ (NH 631; RGTC 6/2, 62) o Maniya-LÚ (CHD L-N, 48; M. Forlanini, RILSL cit., 289); di ambedue questi nomi abbiamo soltanto questa attestazione.19 Si propone che anche questo personaggio si muova insieme alle truppe ŠUTI per attaccare il nemico dal paese di Kuwarina.

Secondo l’autografia del testo, della parte iniziale di questo nome è conservato soltanto il determinativo, seguito dai resti di due o tre segni e dalla parte finale del nome ]-luwa all’accusativo. 15 Sui nomi terminanti in -luwa attestati nella documentazione ittita, v. Jin Jie, A Complete Retrograde Glossary of the Hittite Language, Istanbul 1994, 63. 16 NH Suppl., 533a, cui si deve aggiungere HKM 102 Vo 15. Su questo personaggio v. in ultimo S. Alp, HBM, 69, con bibliografia. 17 V. E. v. Schuler, Kašk., 93. 18 V. per ultimi CHD L-N, 47-49 e R.H. Beal, op. cit., 104-108. 19 È tuttavia possibile che fosse un’altra grafia del nome Kuniyaziti quella dell’antroponimo Kunaziti (NH Suppl. 628a) menzionato in una lettera di Ugarit (RS 19.50, 11 e 23 = PRU VI 14, 15 sgg.; correggi la citazione della pagina in NH Suppl. cit.); non abbiamo però elementi che permettano di ipotizzare una identificazione fra questi due personaggi. Certo, anche se il confronto del primo segno di questo nome con i segni KU e MA presenti nell’autografia di questo documento farebbe propendere per una lettura ma-, tuttavia l’esistenza nella documentazione ittita di un antroponimo Kuniyapiya (oltre al suddetto nome Kunaziti) mi sembra offrire un sostegno alla lettura Kuniyaziti. 14

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Un altro attacco verrebbe condotto da due personaggi, Ašduware20 (Ro 14’ e Vo 2’) e Timetti21 (Ro 14’[, KUB L 108, 11’), che dovrebbero muoversi da Kammama. L’antroponimo Ašduwar(a)i/e compare in testi ittiti di epoche diverse, a partire dal periodo antico-ittita. Poiché il testo qui preso in esame è verosimilmente da datare all’epoca di ÷attušili III, ci occuperemo soltanto dei personaggi recanti il nome Ašduwar(a)i/e vissuti intorno a questo periodo. Sembra identificabile con il personaggio omonimo del nostro documento lo Ašduwar(a)i che si trova, in un contesto purtroppo molto frammentario, in KUB XXI 9 Ro I(?) 6’,22 un frustolo in cui si evidenzia l’interesse e la cura di ÷attušili III nei riguardi di Nerik, già fin da quando era re di ÷akmiš (v. r. 10’). Tale identificazione si accorda col fatto che in quest’ultimo documento Ašduwar(a)i compare in un contesto in cui si parla di campagne militari verosimilmente compiute da ÷attušili III nella zona di Nerik, appunto quando era re di ÷akmiš.23 Dato che anche l’itinerario militare del nostro testo oracolare riguarda questa zona, abbiamo così un’ulteriore conferma della datazione di questo testo all’epoca dello stesso sovrano.

20 NH 183, cui si deve aggiungere KUB LVI 2 II 4; 10 III 4; HKM 58 bd. inf. 15, Vo 18; v. S. Alp, HBM, 54 sg. 21 NH e Suppl. 1329. 22 CTH 90; per la traslitterazione, traduzione e commento di questo testo v. P. Cornil-R. Lebrun, Heth 1 (1972) 22 sgg. e A. Ünal, THeth 4, 8 sgg., il quale avanza l’ipotesi di datare questo documento all’epoca di Tutøaliya IV; cfr. anche V. Haas, Der Kult von Nerik, Roma 1970, 11 con nota 4. 23 A. Ünal (op. cit., 12) propone di integrare in KUB XXI 9, alla fine della r. 6’, un verbo che avrebbe retto l’accusativo del nome Ašduwari: “ein Verbum des Verjagens, des Gefangennehmens, Schickens o.ä.”; egli. però, non specifica chi dovrebbe, a suo avviso, essere il soggetto di questo verbo. Ora, se ammettiamo che si trattasse di ÷attušili III, il quale sembra essere il soggetto di tutto il frammento, appare improbabile pensare ad un verbo come “verjagen” o “gefangennehmen”. In tal caso, infatti, Ašduwari apparirebbe in posizione ostile a questo sovrano: dato però che nel nostro testo Ašduwari è menzionato come uno dei capi militari del re ittita, verosimilmente ÷attušili III, si dovrebbe allora ipotizzare il verificarsi di un mutamento nella situazione politico-militare ittita. A mio avviso, però, sembra meno costoso ipotizzare nella suddetta lacuna di KUB XXI 9, 6’ la presenza di un verbo di significato diverso da questi due, come, ad esempio, “schicken”.

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Questo antroponimo è presente due volte anche nel “voto di Puduøepa”,24 non sappiamo se riferito ad uno stesso personaggio. Tuttavia, quello che faceva parte del personale di una unità amministrativa (“casa”) non sembra, per la disparità di rango, identificabile con lo Ašduware del nostro testo; non si può postulare tale identificazione neppure per l’altro personaggio omonimo, citato nello stesso “voto” soltanto come padre di una ragazza facente parte di alcuni ostaggi. Timetti, il personaggio menzionato nel nostro testo oracolare insieme ad Ašduware, è noto anche da altri documenti dell’epoca di ÷attušili III.25 È interessante osservare che alcuni di questi documenti contengono, come il nostro, consultazioni oracolari relative a spedizioni militari compiute da un sovrano ittita, verosimilmente ÷attušili III, proprio in zona kaskea;26 Temet(t)i vi compare con l’incarico di comandare contingenti militari indipendentemente dal re: KUB V 1 (CTH 561) I 7, II 47, III 78, 84, 87, 90, 91, 93;27 KUB XXII 25 (CTH 562) Ro 15’.28 Gli elementi qui sopra evidenziati giustificano l’identificazione di questo Temet(t)i col personaggio omonimo presente nel nostro testo. R.H. Beal29 ritiene che sia la stessa persona anche il Temeti menzionato in un frustolo di contenuto annalistico, purtroppo molto frammentario: KUB XXXI 18 (CTH 211.17), 7’.30 Pud. II 10, 31: v. H. Otten-V. Soucek, StBoT 1 (1965) 24-27 e 49 nota 7. Su questo personaggio v. in ultimo R. Beal, op. cit., 471. 26 Sui documenti relativi alle spedizioni militari ittite verso Nerik contro i Kaskei, v. in ultimo M. Forlanini, RILSL cit., 277-308. 27 Questo documento viene generalmente datato all’epoca di ÷attušili III: v. bibliografia presso A. Ünal, THeth 3 (1974) 130 nota 70, dove si riporta anche la diversa opinione di E. v. Schuler, op. cit., 51 sg., il quale poneva invece questo testo sotto Muršili II. Per la traslitterazione e traduzione di tutto il documento v. A. Ünal, THeth 4 (1974) 32-102; nell’indice dei nomi di persona a p. 208 si deve aggiungere l’attestazione in V 1 I 7. 28 Per la traslitterazione e traduzione di questo testo, v. E. v. Schuler, op. cit., 176-183; a suo avviso (51 sg., 176, 184) questo documento è piuttosto da datare all’epoca di Muršili II; di tale opinione è anche A. Kammenhuber, THeth 7 (1976) 20 e 250 e THeth 9 (1979) pagine citate nell’Indice a p. 295: per una datazione, invece, all’epoca di ÷attušili III, v. H.G. Güterbock, JNES 20 (1961) 93; V. Haas, KN, 16 sg. nota 6. 29 Loc. cit. 30 V. invece E. v. Schuler, op. cit., 184, il quale considera probabile l’appartenenza di questo frammento agli Annali di Muršili II. 24

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Non mi sembra invece aver alcun rapporto col personaggio in esame il Temetti menzionato nel “voto di Puduøepa”,31 per il motivo sopra indicato a proposito di Ašduware (cioè, la disparità di rango). Improduttive per la nostra identificazione appaiono le altre attestazioni di questo antroponimo, o perché presenti in documenti troppo frammentari o cronologicamente distanti da quelli sopra esaminati, o perché tali attestazioni sembrano riferite a personaggi appartenenti all’àmbito kaskeo.32 Tuttavia fra questi documenti è interessante rilevare la presenza di un Te-mi-it-ti-x[ nel frammento 1691/u Vo 9’33 - facente verosimilmente parte della cosiddetta “preghiera di Arnuwanda e Ašmunikal”34 e concernente Nerik - e gli atti di violenza compiuti dai Kaskei - per il legame di questo personaggio con la località di Kammama, località, com’è noto, gravitante in àmbito kaskeo (v. ultra), da cui egli sembra provenire o prendere le mosse.35 Si ricorda infatti, a tal proposito, che nel nostro testo i due personaggi Ašduware e Timetti, per compiere il loro attacco, si sarebbero dovuti muovere da Kammama.

31 Pud. I 38, 54: v. H. Otten-V. Sou£ek, StBoT 1, 18 sg., 20 sg., 49; v. inoltre A. Ünal, THeth 3, 130 nota 70; v. invece V. Haas, loc. cit. 32 Sembra essere stato probabilmente un kaskeo il Timitti presente in KBo VIII 135 (CTH 139) II 26’, un trattato stipulato da un sovrano ittita con i Kaskei: per l’attribuzione di questo documento ad Arnuwanda I, v. in ultimo E. Neu, FsBittel (1983) 391-399 infra, e in particolare p. 397; per la traduzione di tutto il testo v. E. v. Schuler, op. cit., 109 sgg., e in particolare 111; v. anche 93, dove questo personaggio è indicato appunto come kaskeo, e 89 sgg., sui nomi di persona presenti in àmbito kaskeo; v. inoltre, per la loro diffusione nell’intera Anatolia, H. Otten-V. Sou£ek, StBoT 1, 51. Era verosimilmente un kaskeo anche il Temeti menzionato in una lettera frammentaria, KBo XVIII 32 Vo 14’, sulla quale v. A. Hagenbuchner, THeth 16 (1989) 124 sgg. Nr. 80. Forse era lo stesso antroponimo quello presente nella grafia Tame/it(t)i in testi di epoche e di tipo diverso, e cioè in un elenco di funzionari, KUB XXXI 62 (CTH 232.1) II 13; in un testo relativo all’amministrazione del culto, KUB LIV 67 Ro 7’, dove si fa riferimento alla sua casa , intesa come unità patrimoniale; in una lista di ostaggi, HKM 102 Ro 2, dove è indicato come “uomo di Taggašta”, proveniente cioè da una zona confinante con i Kaskei: v. E. v. Schuler, op. cit., 93; S. Alp, HBM, 95 ed anche 40; v. inoltre RGTC 6/2, 154. 33 V. E. v. Schuler, op. cit., 93 e 164. 34 V. in ultimo E. Neu, op. cit., 394 nota 10 e 396. 35 Non ho avuto possibilità di consultare questo documento e mi attengo all’indicazione fornita da E. v. Schuler, op. cit., 93.

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In sostanza, da attestazioni di tal genere che risalgono indietro nel tempo risulta, oltre che il legame di molti di questi nomi con la zona kaskea, anche la continuità della loro presenza in questo àmbito. Probabilmente per compiere operazioni militari in questa zona i sovrani ittiti sceglievano personaggi che ne erano originari e che, pertanto, conoscevano più approfonditamente sia le particolarità morfologiche di questo territorio, sia le tattiche e le capacità belliche dei suoi abitanti. Ciò mi sembra offrire un sostegno all’ipotesi proposta sopra di integrare in Ro 12’ del nostro testo il nome di Kašaluwa, personaggio anch’esso probabilmente originario da una zona gravitante nell’ àmbito kaskeo. In Ro 15’ e Vo 3’ di questo documento si parla di una spedizione di un personaggio di nome mTI8MUŠENLÚ/-ZA (= ÷ar(r)anaziti),36 purtroppo in un passo di difficile interpretazione (v. nota a Ro 15’). Questo antroponimo è attestato anche in altri documenti ittiti. Esso pure è presente nel cosiddetto “Voto di Puduøepa” II 6, III 67,37 ma in un contesto diverso da quelli dove compaiono Ašduwari e Temetti (v. sopra). Sembra infatti che nei passi qui citati si dica che questo ÷ar(r)anaziti ha fornito un certo numero di persone, verosimilmente provenienti da una campagna militare contro la città di Zikeššara.38 Questa interpretazione del passo rende plausibile l’identificazione di questo personaggio con quello presente nel nostro testo. Lo stesso antroponimo si ritrova anche in una tavoletta riguardante una consultazione oracolare relativa al sogno di una regina (forse Puduøepa), nel quale ha un ruolo, anche se non ben chiaro, la sposa di ÷ar(r)anaziti:39 non vi sono nel documento altri elementi che consentano una qualsiasi identificazione di questo personaggio. Accettando però l’ipotesi di riconoscere in Puduøepa la regina a cui si riferisce il sogno, 36 NH e Suppl. 1733, cui si deve aggiungere KUB LVI 5 II 4; v. inoltre NH e Suppl. 1734, cui si deve aggiungere HTAC 75, 7; 76, 4. Sulla grafia di questo nome nel nostro testo, v. quanto si è osservato sopra nella nota a Vo 2’-4’ infra. 37 Da aggiungere a NH. 38 V. StBoT 1, 22 sg. e 26 sg.; v. inoltre 39 nota 11, dove si rileva che non abbiamo finora notizie di una tale spedizione e si prospetta quindi la possibilità di una diversa Interpretazione del passo: “(vom) Wege nach Zikeššara”, senza quindi alcun riferimento ad un’azione militare; ritengo tuttavia preferibile l’altra interpretazione del passo indicata sopra, anche per il confronto con il nostro testo. Cfr. anche le osservazioni in StBoT 1, 40 con nota 17. Sulla località Zikišara, RGTC 6, 501. 39 KBo XVIII 142 Ro 3 : v. StBoT 1, 51 e cfr. KBo XVIII, p. VI.

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può essere allora di qualche significato per tale identificazione il confronto con i passi su ricordati del “voto” di questa sovrana, dai quali risulta l’esistenza di un qualche tipo di rapporto tra lei e un personaggio di nome ÷ar(r)anaziti. L’antroponimo Allamu - presente in Vo 13’ del nostro documento, in un contesto lacunoso, forse all’interno dell’operazione oracolare - non è attestato altrove nella documentazione sinora pubblicata.40 TOPONIMI PRESENTI NEL TESTO Questi toponimi fanno parte dell’itinerario proposto per la campagna militare che, come si è detto, costituisce l’oggetto della consultazione oracolare in esame (Ro 10’-15’; Vo 1’-4’; KUB L 108, 7’12’). Si tratta di località situate nei pressi dei confini con i Kaskei e, quindi, soggette spesso alle loro incursioni; per tal motivo non erano sempre sottoposte al dominio ittita, ma talora anche a quello kaskeo. Di queste località quelle più frequentemente menzionate nei testi ittiti di epoche diverse sono Šapinuwa e Kam(m)ama. La documentazione proveniente dagli scavi di Ortaköy ha permesso di localizzare in questo sito Šapinuwa,41 menzionata nel nostro testo in Ro 10’ e in KUB L 108, ]7’. Da molti testi ittiti provenienti dagli archivi di ÷attuša e di Ma$at (l’antica Tapika)42 si evince il grande rilievo che nel corso della storia ittita aveva avuto Šapinuwa, sia come centro religioso,43 sia come sede politica e amministrativa, sia come base militare, trovandosi appunto in posizione strategica per le campagne belliche 40 Si potrebbe forse ipotizzare una identificazione di questo nome con l’antroponimo Alamuwa (NH e Suppl. 24), riferito però ad un personaggio diverso, anche se vissuto nella stessa epoca: su questo personaggio v. J. Siegelová, Heth. Verw. (1986) II, 295. 41 V. in proposito A. Süel, Belleten 59 (1995) 271-283; sulle attestazioni di questa località v. RGTC 6, 347 sg. e 6/2, 139 sg., e S. Alp, HBM, 36 sg.; v. inoltre M. Forlanini, RILSL cit., 289 con note 49 e 50 e infra. 42 V. S. Alp, HBM, 42 sg. 43 V. V. Haas, ChS I/1 (1984) 10 - il quale mette in evidenza l’influenza di Šapinuwa nella trasmissione in ÷attuša di elementi religiosi hurrici fin dal Medio Regno - e AoF 12 (1985) 275 sg.

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condotte dagli Ittiti contro i Kaskei. Come risulta anche dal testo qui preso in esame, è noto che i sovrani ittiti soggiornavano lì in varie occasioni; inoltre nei documenti ittiti si parla più volte del Palazzo di Šapinuwa, da intendersi come sede politico-amministrativa dipendente dal potere centrale ittita; vi si menzionano anche i dipendenti (LÚMEŠ) di questo Palazzo e i deportati (NAM.RAMEŠ) ad esso appartenenti. L’importanza di questa sede risulta ora evidente dall’imponente struttura dell’edificio venuto alla luce nel corso degli scavi di Ortaköy.44 Nel nostro testo oracolare, secondo l’itinerario in esso presentato, il re avrebbe dovuto sostare in questa città e l’esercito, invece, nella vicina città di ÷anziwa.45 Una relazione fra questa località e Šapinuwa risulta anche dalla presenza di ÷anziwa in KBo XXIII 27 I 14’, un rituale hurrico-ittita legato appunto a Šapinuwa. Nell’itinerario indicato nella consultazione oracolare in esame si propone che il re passi al di sotto della città di Šuppiluliya,46 posta verosimilmente presso il fiume omonimo e da localizzare, secondo S. Alp,47 a occidente di Šapinuwa, “an der Grenze des hethitischhurritischen Sprachgebietes”; quindi il sovrano dovrebbe attaccare Šaøuzimiša,48 località di cui non si conoscono finora altre attestazioni.

44 V. A. Süel, XIV. Kaz½ Sonuçlar½ Toplant½s½ II, 25-29 May½s 1992, Ankara, 495 sgg. e Resim 1. Dato che sappiamo che Šapinuwa era un distretto più importante di quello di Tapika (v. S. Alp, HBM, 36 sg.), l’amministrazione del quale sembra per certi aspetti essere stata sotto la giurisdizione, o almeno nella sfera di influenza, di Šapinuwa, ho proposto in altra sede l’ipotesi di riconoscere il Palazzo di Šapinuwa in quello menzionato senza altre specificazioni in alcune lettere provenienti da Ma$at: v. GsBilgiç e gli Atti del “207th. Meeting of the American Oriental Society”, 23-26 Marzo 1997 (= Recent Developments in Hittite Archeology 199-214). Tale ipotesi mi sembra accordarsi bene anche con il forte legame che questa sede aveva avuto con ÷attuša e con la famiglia reale già fin dal Medio Regno ittita (v. V. Haas, AoF cit., 275, ed anche S. de Martino, EOTHEN 4 [1991] 20), legame che era continuato pure nei periodi successivi. 45 Ro 10’ e KUB L 108, 7’[: v. RGTC 6, 79 e 6/2, 26 sg.; M. Forlanini, loc. cit. A conferma della stretta vicinanza di questa località con Šapinuwa, A. Ünal mi ha informato della significativa presenza di ÷anziwa in una delle lettere provenienti da Ortaköy, da lui presa in esame in un volume tuttora in corso di stampa. 46 Ro 11’ e KUB L 108, ]8’: v. RGTC 6, 330 e 6/2, 149; S. Alp, HBM, 38; M. Forlanini, loc. cit.; CHD P, 37, dove si legge Šuppiluli. 47 Loc. cit. 48 Ro 11’ e KUB L 108, 8’[: v. RGTC 6, 330 e 6/2, 133.

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È poi menzionata in questa operazione bellica la località di Daøaš[ta],49 presente anche in un altro itinerario oracolare50 e in un passo molto frammentario - e quindi improduttivo - di una lettera di Ma$at.51 Si propone quindi che il comandante Ku/Maniyaziti attacchi da Kuwarina52 - località di cui finora non abbiamo altre attestazioni - mentre Ašduwari e Timetti attaccheranno da Kam(m)ama.53 Questo toponimo è frequentemente attestato in documenti ittiti di epoche diverse, spesso insieme ad altre località soggette alle incursioni dei Kaskei o poste sotto il loro dominio (v. paragrafo precedente). In KUB L 108, 12’ si aggiunge inoltre che il re muoverà verso ÷arpušta,54 da localizzare, secondo M. Forlanini,55 tra Kam(m)ama e Ištaøara. DIVINITÀ PRESENTI NEL TESTO La menzione in Vo 8’ del dio Sole del cielo si riferisce ad un simbolo che rappresenta questa divinità all’interno della procedura oracolare KIN.56 Di particolare interesse è la presenza in Vo 14’, in un contesto lacunoso e, quindi, oscuro, di Pirwa57 insieme con il dio della guerra 49 Ro 12’[: v. RGTC 6, 378 e 6/2, 152: v. inoltre S. Alp, HBM, 39, il quale si chiede se questo toponimo non sia da identificare con Taggašta, e M. Forlanini, RILSL cit., 290 sg., secondo cui è possibile che Daøašda, per la sua vicinanza con Katapa, e quindi con Zippalanda, avesse preso il nome dal monte Dalia. 50 V. M. Forlanini, loc. cit. 51 V. S. Alp, HKM, 40. 52 Ro 14’: v. RGTC 6, 233. Questo toponimo è preceduto dai sumerogramma KUR; manca invece il determinativo URU; cfr. ultra per la località ÷arpušta. 53 Ro 15’, Vo [3]’ e KUB L 108, 11’: v. RGTC 6, 167 sg. e 6/2, 62; per le proposte di ubicazione di questa località v. i saggi di M. Forlanini, citt. in RGTC 6/2, 62 e S. Alp, HBM, 16 (s.v. Gamamma). 54 Davanti a questo toponimo si trova soltanto il sumerogramma KUR, mentre è assente il determinativo di città: cfr. sopra per la località Kuwarina; su ÷arpušta v. RGTC 6, 89 e 6/2, 31 e M. Forlanini, RILSL cit., 289, il quale, in riferimento a KUB L 108 r. 12’, parla di un monte(?) ÷arpušta. 55 Loc. cit. 56 V. A. Archi, OA cit., 114 sg., 122 sg., 143 sg. 57 Per le attestazioni di Pirwa nei testi ittiti v. B.H.L. van Gessel, Onomasticon I, 356-361.

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U.GUR58 e, forse, anche con la divinità ÷alputili, la cui menzione nel passo non è, però, sicura;59 sugli aspetti di quest’ultima divinità, inoltre, non conosciamo molto. Pirwa non compare qui insieme a quelle divinità, con le quali per lo più si trova nella documentazione ittita, soprattutto nei rituali di feste, dove è di solito presente nel gruppo delle divinità cantate dai cantori di Kaniš, quali la dea Regina e Aškašepa; talora il gruppo si allarga e viene a comprendere pure Maliya e qualche altra divinità.60 Si deve tuttavia ricordare che Pirwa anche in altri testi compare in prossimità di U.GUR e di altre divinità della guerra.61 In un documento ugualmente molto frammentario databile al XIII sec. a.C., contenente molti luvismi, KUB XXXV 145 (CTH 767.2.A),62 in Vo III 11’-13’ sono menzionati proprio nello stesso contesto DU.GUR, [D]AMAR.UTU, DZA.BA4.B[A4], DPirwa. Si tratta di un rituale di parto: nel passo in questione si minaccia chiunque prepari del male per il neonato, con immagini che dovevano incutere terrore al colpevole: “(il colpevole) veda Nergal divampante?/che incendia?,63 veda Šanta che tira (l’arco)64 veda Zababa [ ], veda Pirwa galoppante/che dà la caccia”.65 Nella tavoletta KUB XLVI 17, contenente un elenco del calendario delle feste per diverse divinità e dei relativi sacrifici cultuali, Pirwa è presente in Vo III 16[ in un contesto assai frammentario. Nel paragrafo e Su questa divinità, oltre all’importante articolo di H. Otten, JKF 2 (1952-1953) 6273, per ultimi V. Haas, GHR (1994) pp. citt. nell’indice a p. 926 sg.; M. Popko, RAM (1995) pp. citt. nell’indice a p. 227. 58 Per le attestazioni di U.GUR nei testi ittiti v. B.H.L. van Gessel, Onomasticon II, 837-840. Su questa divinità v. per ultimi V. Haas, GHR, 367 sg. e le pagine citate nell’indice a p. 930; M. Popko, RAM, 117. 59 V. sopra, nella nota a Vo 14’. 60 V. per ultimi V. Haas, GHR, 412-414, 432, 475 sg., 613 sg., e M. Popko, RAM, 88 sg. 61 Sulle divinità della guerra presenti nel pantheon ittita v. V. Haas, GHR, 363 sgg.; v. anche 352 su Ištar come dea della guerra. 62 V. la traslitterazione di questo testo apud F. Starke, StBoT 30 (1985) 230-232, e G. Beckman, StBoT 29 (1983) 194. 63 Su (:)palpadami- v. F. Starke, StBoT 31 (1990) 158 con nota 510, 291 fine nota 987; H.C. Melchert, CLL, 165; CHD P, 68 sg. 64 CHD P, 146: “shooting”. 65 CHD P, 146: “gallopping”; G. Beckman, op. cit., 290, s.v. parø-: “chase”; così anche V. Haas, GHR, 414.

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nella riga immediatamente precedenti (Vo III 15) è collocato il dio U.GUR.66 Sembra difficile, per il confronto con gli altri paragrafi della stessa colonna, che in ambedue queste righe vi fosse spazio per la menzione di ulteriori divinità, dato che dovevano trovarsi lì anche altre indicazioni, quali le feste da celebrare, gli animali da sacrificare ecc.: Pirwa starebbe quindi fra una divinità della guerra e una divinità della protezione (Vo III 17). Meno significativa nel senso sopra indicato appare la posizione di Pirwa in una tavoletta dell’epoca di Tutøaliya IV, KUB XXV 32+ (CTH 66

Vo III ________________________________________________________________ 1 A-NA DUr-za-ma-aš-ša-ni[ 2 A-NA ÍDMa-ra-aš-ša-an-da x?[ ________________________________________________________________ 3 A-NA DINGIR MA÷ É ar-ki-ú-i[ ________________________________________________________________ 4 A-NA 2 DMUNUS.LUGAL÷I.A É.N[A4/É N[A4 5 EZEN ITU EZEN zé-e-na-aš[/a[n-da-aš 6 EZEN-åma-aš¥-ma-aš-ma-aš KASKAL N[e-ri?-ik? ________________________________________________________________ 7 A-NA 2 DLAMMA÷I.A ú-pa-ti-y[a-aš 8 øa-me-eš-øa-an-da-aš-ša [ ________________________________________________________________ 9 Dx-u/DPiš?-øu-øu-nu-i-li-iš åD¥[/a[n________________________________________________________________ 10 DDAG-iš LÚ.MEŠša-l[a-aš-øi?-eš? 11 åÙ¥ ŠA É MUNUS.LUGAL[ ________________________________________________________________ 12 A-NA DDAG ŠA LÚSA[GI.A 13 e-eš-zi 1 UDU 1 PA x[ 14 ke-e-da-ni SIXSÁ?[ ________________________________________________________________ 15 DU.GUR ŠAåÉ¥?[ ________________________________________________________________ 16 A-NA DPí-ir-[wa ________________________________________________________________ 17 A-NA DåLAMMA ú¥-[pa-ti-ya-aš 18 [E]ZEN MU[ Difficile la lettura del nome divino alla r. 9; B.H.L. van Gessel, Onomasticon II, 1054, pensa a Pišøunuili, tuttavia, in base all’autografia del testo, il primo segno del nome, scritto su una rasura, non sembra giustificare questa lettura.

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681), relativa alla “festa della città di Karaøna”;67 infatti, in una lista di sacrifici di pecore, capri, agnelli a varie divinità, in Ro I 11 Pirwa si trova insieme alle due divinità con le quali è per lo più presente nei testi, Aškašipa e - probabilmente - la dea Regina.68 Si deve però rilevare che nella precedente r. 10,69 subito prima della menzione di Pirwa, si parla del sacrificio di una pecora a DU! KARAS,70 una pecora a DU!.åGUR¥, una pecora a [DZ]A.BA4.BA4, tre divinità maschili della guerra. Pirwa e U.GUR compaiono in uno stesso paragrafo (KUB LVI 45(+) Ro II 4’-8’)71 in un altro documento, contenente un rituale di festa in cui si fanno sacrifici a varie divinità, ma la loro collocazione nel paragrafo non è di alcun sostegno per spiegare la loro vicina menzione nel nostro testo oracolare. A questo proposito, mi sembra importante tener presente che Pirwa, divinità verosimilmente dal sesso ambiguo,72 è stata talora assimilata a Ištar,73 che nella sua ipostasi maschile era una divinità della guerra.74 67 Per la traslitterazione e la traduzione di tutto il testo v. A.M. Dinçol-M. Darga, Anatolica 3 (1969-70) 99-118; G. McMahon, The Hittite State Cult of the Tutelary Deites, Chicago, Illinois 1991 (= AS 25), 53-82; per la datazione di questa tavoletta all’epoca di Tutøaliya IV, v. in ultimo G. Mc Mahon, op. cit., 53 sg. e 81, con bibliografia precedente. 68 (Ro I 11) 1 MAŠ.GAL A-NA DPí-ir-wa 1 UDU DAš-ka-ši-pa 1 UDU D[MUNUS.LUGAL]: per l’integrazione del nome divino alla fine di questa riga, v. Anatolica cit., 100 nota 11; così anche G. McMahon, op. cit., 585. 69 Cfr. A.M. Dinçol e M. Darga, op. cit., 100 con note 9 e 10, e G. McMahon, op. cit., 58 nota 23. 70 Dio della Tempesta dell’esercito o dell’accampamento militare: v. in ultimo V. Haas, GHR, pp. citt. nell’Indice a p. 973. 71

4’ 5’ 6’ 7’ 8’

________________________________________________________________ na-aš-ta 1 MÁŠ.GAL A-NA DPí-ir-wa DMUNU[S].LU[GAL] DAš-ka-še-pa DIMIN.IMIN.BI DŠu-wa-li-ya-at-[ti] DINGIR.MUNUSMEŠ-ya DŠi-wa-at-ti D÷a-ša-am-me-l[i] DINGIRMEŠ URUKa-ni-iš D÷i-la-aš-ši DU.GUR D

Zu-li-ya-a ši-pa-an-ti

________________________________________________________________ V. V. Haas, GHR, 614 72 V. per ultimi V. Haas, GHR, 301; M. Popko, Religions, 114, 118: è possibile che questa divinità sia stata originariamente di genere maschile e che soltanto in periodo più tardo abbia assunto il genere femminile, forse per la sua assimilazione con Ištar. 73 V. in ultimo V. Haas, GHR, 414, con bibliografia (per una diversa interpretazione del passo del mito luvio-ittita ivi ricordato in nota 21, v. F. Imparati, FsKlengel (1998) 129 nota alla r. 4’, 132 nota alla r. 10’); v. inoltre M. Popko, locc. citt.

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È possibile che la divinità Pirwa fosse presente proprio sotto questo aspetto nel nostro testo ed anche in KUB XXXV 145 e in KUB XLVI 17, nei passi sopra ricordati, e che, per tal motivo, fosse lì accostata a dèi della guerra. Poiché l’oggetto della consultazione del testo oracolare in esame è costituito dall’organizzazione di una spedizione militare, è comprensibile che si cercasse di acquisire il favore e la protezione di divinità in qualche modo legate all’àmbito bellico.75

V. V. Haas, GHR 352. Si ricorda che in taluni casi gli dèi della guerra assomigliano nei loro attributi, e verosimilmente in alcune prerogative, alle divinità della protezione: v. in ultimo M. Popko, Religions, 89. 74 75

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XXXV.

LA “MANO” NELLE PIÙ SIGNIFICATIVE ESPRESSIONI IDIOMATICHE ITTITE

Delle numerose attestazioni nei documenti ittiti del termine “mano” (ittita: keššar/keššara-; accadico: QÂTU; sumerico: ŠU) abbiamo qui preso in considerazione soltanto quelle espressioni contenenti questo termine, alle quali si può attribuire un valore traslato rispetto al loro significato primario. Si prescinde quindi dall’analisi di quei passi in cui si fa riferimento ad azioni realmente compiute con la mano, anche se talora, come in contesti cultuali, esse vengono ad assumere un significato simbolico. Si fa presente in tal senso, a titolo esemplificatorio, il gesto di “porre la mano” sulle o in direzione delle offerte cultuali, compiuto dal re o da un membro della sua famiglia o da un suo funzionario, forse allo scopo di consacrare queste offerte, oppure, come ritengono alcuni, per attribuire un legame di appartenenza fra l’attore del rito e le offerte stesse.1 Si ricorda inoltre il gesto eseguito con la mano allo scopo di trasferire su altri, per lo più su un animale, l’impurità o una malattia da chi ne è afflitto.2 Le espressioni che si intendono esaminare verranno suddivise secondo campi semantici e talora, all’interno di questi, secondo il contesto e secondo il diverso tipo di rapporto tra gli elementi che agiscono come soggetto e come oggetto delle forme verbali connesse al termine “mano”.

V. D.P. Wright, JAOS 106 (1986) 433 sgg. V. P. Janowski-G. Wilhelm, in Religiongeschichtliche Beziehungen zwischen Kleinasien, Nord-syrien und dem Alten Testament, Freiburg Schweiz 1993, 109-170. 1

2

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I. “CERCARE LA MANO” L’espressione “cercare la mano” del Gran Re di ÷atti da parte di un re “vassallo” equivale ad una richiesta di protezione e contemporaneamente di sottomissione al sovrano più potente: a) Trattato di Muršili II con Niqmepa re di Ugarit (in accadico).3 “(82-85) ... se tu, [Niqmepa, ... , non cerchi il benessere del paese di ÷attuša] e la mano (QÂT ... UBA’A) di Muršili, Gran Re, [re del paese di ÷attuša e cerchi il benessere di] un altro paese, del paese di ÷anigalbat [o del paese di Egitto], (e) se [cerchi] la mano di un [altro] G[rande] Re, [avrai trasgredito il giuramento; ...] b) Trattato di Muršili II con Kupanta-Kurunta, re di Mira e Kuwaliya (in ittita).4 “(§ 11 rr. 40-41) non cercare una qualche mano straniera (tamain=ma=za ŠU=an lê kuinki ilaliyaši)”. II. “PRENDERE LA MANO; PRENDERE CON LA/PER LA/NELLA MANO”

1. Il sovrano ittita usa l’espressione “prendere la mano” per conferire ad un suo alto dignitario l’incarico di condurre qualcuno al suo cospetto: Lettera di Tawagalawa5 (in ittita). (Il re dice al TARTÊNNU): “(I 68-70) Va’, recati là e prendi (a) lui (Piyamaradu)6 la mano (ŠU=an êp) e fallo sedere sul carro e portalo da me”; (il re affida al TARTÊNNU il seguente messaggio): “(II 4-7) Va’, fa’ un giuramento con lui, p[rend]i (a) lui la mano e portalo da me”. 2. Nel trattato di Muršili II con Kupanta-Kurunta di Mira e Kuwaliya (in ittita)7 il Gran Re usa l’espressione “prendere con la mano” per indicare la cattura del precedente re di Mira Mašøuiluwa, resosi colpevole nei suoi riguardi: G.F. Del Monte, Il trattato fra Muršili II di Hattuša e Niqmepa’ di Ugarit, Roma 1986, 26 sg., da cui è stata ripresa la traduzione qui citata. 4 V. J. Friedrich, SV I (1926) 120 sg. 5 F. Sommer, AU, 6 sg. 6 Il verbo ep- è qui costruito col doppio accusativo; v. HW2 II, 56. 7 J. Friedrich, SV I, 112 sg. 3

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“(§ 6 rr. 10-11) e io lo (Mašøuiluwa) presi con la mano (ŠU=az A¬BAT) e [poiché] si era reso colpevole [contro il Mio Sole], lo portai a ÷attuša”. 3. Le espressioni in esame possono inoltre essere utilizzate per indicare un rapporto non paritario tra persone di rango differente oppure tra l’elemento divino e quello umano. 3.1. Tali espressioni sono usate dal re di ÷atti nei confronti di un sovrano di rango inferiore, per significare che quest’ultimo viene accettato nella sfera di influenza ittita, con le relative implicazioni di vantaggi e di doveri che ciò comportava per il re sottomesso: a.1) Trattato tra Šuppiluliuma I e Šattiwaza re di Mittani (in accadico).8 “(I 56) Dopoché io (Šuppiluliuma) avrò preso nella mia mano (ANA ŠUYA A¬¬ABAT) Šattiwaza, figlio di Tušratta, il re, lo farò sedere sul trono di suo padre”. a.2) Trattato di Šattiwaza di Mittani con Šuppiluliuma I (in accadico).9 “(I 21-22) Io mi sono gettato ai piedi del Sole, Šuppiluliuma, il Grande Re, il re del paese di ÷atti, l’eroe, il protetto di Teššup; [il Gran Re mi] ha preso nella sua mano ([INA QÂ]TI=ŠU I¬BAT) e si è rallegrato per me”. b) Trattato di Tutøaliya IV con Šaušgamuwa di Amurru (in ittita).10 “(Ro II 1-3) [Ora] io, il Sole, il Gran Re, ho preso te, Šaušgamuwa, per mano (ŠU=ta A¬BA[T]) e ti ho dato mia sorella in sposa e ti ho fatto re nel paese di Amurru”. L’espressione “prendere per/nella mano”, qui come anche in altri testi, indica il conferimento della regalità al re subordinato da parte del re ittita e quindi il suo status di sovrano legittimo. In ambedue i casi, inoltre, i sovrani sottoposti vengono a far parte della famiglia reale mediante il matrimonio rispettivamente con la figlia e con la sorella del re ittita.

E. Weidner, PD (1923) 19 sg. E. Weidner, op. cit., 41 sg. 10 C. Kühne-H. Otten, StBoT 16 (1971) 8 sg. 8

9

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3.2. Nei passi che seguono il soggetto di queste espressioni è una divinità e l’oggetto è il sovrano ittita: a) Autobiografia di ÷attušili III (in ittita).11 “(I 21) E Ištar, mia signora, mi prese per mano (ŠU=za I¬BAT) e mi portò sulla strada giusta”. Anche in questo testo l’espressione è usata per indicare il conferimento del potere regio, qui però da parte di una divinità, a ÷attušili: conferimento particolarmente enfatizzato da ÷attušili, in quanto sovrano usurpatore. b) Gesta di ÷attušili I. “(Versione ittita,12 I 29-30) (La dea Sole di Arinna) mi [prese] la mano (ŠU) [e] corse davanti a me in battaglia”. “(Versione accadica,13 Ro 30) (la divinità solare) prese la sua (= di ÷attušili) mano (QA=ŠU I¬BAT); davanti a lui andò ripetutamente”. 3.3. Quanto abbiamo sinora detto permette di comprendere l’espressione che definisce la divinità LAMMA in KUB II 1 II 26 (in ittita): “la divinità LAMMA [del Laba]rna, (quella) del prendere la mano (ŠU=an appannaš)”.14 Si voleva certo mettere in tal modo in rilievo la funzione di guida che LAMMA divinità della protezione esercitava nei riguardi del sovrano, legittimando così le sue azioni.15 III. “TENERE LA/PER LA MANO” Questa espressione, riferita a una divinità, viene usata per indicare la funzione che essa svolge come guida delle azioni del sovrano ittita. a) Negli Annali completi di Muršili II16 (in ittita) il dio della Tempesta tiene la mano (KBo V 8 III 41’: ŠU=an øarzi) di questo sovrano e lo conduce alla vittoria sui nemici. H. Otten, StBoT 24 (1981) 4 sg. F. Imparati, SCO 14 (1965) 46 sg. 13 C. Saporetti, SCO 14 (1965) 77, 80. 14 Cfr. in proposito XIII.c con nota 55. 15 V. in ultimo G. McMahon, The Hittite State Cult of the Tutelary Deities, Chicago 1991 (= AS 25), 101 e nota 75. 16 KBo V 8 III 41-43: v. A. Goetze, AM (1933) 160 sg.; G.F. Del Monte, L’annalistica ittita, Brescia 1993 (= TVOA 4.2), 111. 11 12

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b) Nell’Autobiografia di ÷attušili III17 Ištar, guidando in ogni situazione l’operato di ÷attušili, lo tiene per mano (ŠU=za øark-) e lo porta così al conseguimento di un potere che non gli spettava legittimamente: “(I 46) la divinità, mia signora, mi teneva per mano in ogni situazione”; “(II 64) e poiché Ištar, mia signora, mi teneva per mano, vinsi ogni nemico e gli altri fecero la pace con me”. IV. “PORRE NELLA MANO” 1. L’espressione è usata per indicare il conferimento di un potere da parte di qualcuno. a) Nella lettera in ittita KUB XXXI 47,18 di cui sono sconosciuti il mittente e il destinatario, ma nei quali Ph.H.J. Houwink ten Cate19 propone di riconoscere rispettivamente Adad-Nirari I e Muwattalli, si legge: “(Ro 11) a lui hai dato la regalità e glie[l]a hai posta nella mano (ŠU=i tiškit)”. Il passo sembra riferirsi al re ittita che avrebbe conferito in tal modo la regalità al re di ÷anigalbat. b) Autobiografia di ÷attušili III.20 “(III 43-44) Io (= ÷attušili) posi in mano (ŠU=i teøøun) [a lui] (= UrøiTeššup) tutta [÷attuša]”. Si allude qui al sostegno che ÷attušili si vanta di aver dato al nipote allo scopo di insediarlo sul trono. c) Autobiografia di ÷attušili III.21 “(I 63-64) e (Muwattalli) mi (= ÷attušili) pose nella mano (ŠU-i dâiš) tutte le truppe, a piedi e su carri, di ÷atti”, per indicare che ÷attušili fu fatto dal fratello comandante dell’esercito. d) Si ricorda, a tal proposito, il passo della lettera di Ma$at HBM 44 (in ittita):

I 39, I 46, II 64: v. H. Otten, StBoT 24, 6 sg., 14 sg. A. Hagenbuchner, THeth 16 (1989) 442 sg. 19 JEOL 28 (1983-84) 68-79. 20 H. Otten, StBoT 24, 20 sg. 21 H. Otten, op. cit., 8 sg. 17 18

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“(Vo 9’-1 1’) Pon[ete] ...22 a lui nella mano (kišri anda ... dai[šten]) [truppe (?)] per protegger(lo)”.23 L’integrazione “truppe”, proposta da S. Alp,24 viene avvalorata dal confronto con il passo IV.1.c. citato sopra. Nella lettera si richiederebbe quindi di mettere sotto il comando del personaggio menzionato nelle righe precedenti un contingente militare che gli garantisca la protezione. e) Un ulteriore esempio in ta senso potrebbe venire da un passo del Mito di Illuyanka (in ittita),25 che presenta però difficoltà di interpretazione per la sua lacunosità. (KBo III 7 II 15’-20’): si parla qui di Inara che, giunta nella città di Kiškilušša pose nella? mano del re ([ANA ?] QÂTI LUGAL ... dâi[š]) la sua26 casa e il [fiume] delle acque abissali.27 Il testo continua dicendo che questo è l’evento in ricordo del quale si celebra la festa del purulli. L’espressione “porre [nella] mano” sembra indicare qui il conferimento del potere al sovrano da parte di Inara; tuttavia alcuni problemi, come il valore della congiunzione mân28 alla r. 17’, rendono difficile l’interpretazione di tutto il passo. 2. L’espressione “porre qualcuno nelle mani di una divinità” indica che essa decide del destino di quello: a) Rituale di sostituzione KUB XXIV 5+29 (è il re che parla rivolgendosi alla dea Lelwani).

Il termine [S]IG5-in può essere qui inteso nel senso di “adeguatamente, convenientemente, sufficientemente”. 23 Letteralmente “a lui ... che è da proteggere”. 24 HBM, 196 sg. 25 V. in particolare G. Beckman, JANES 14 (1982) 14, 19; H. Gonnet, Anatolica 14 (1987) 98 nota 13; H.A. Hoffner jr., Hittite Myths, Atlanta 1990, 12; F. Pecchioli Daddi-A.M. Polvani, La mitologia ittita, Brescia 1990 (= TVOA 4.1), 51 sg. 26 Non sappiamo se si tratti della casa di Inara o di quella del re. 27 V. in proposito G. Beckman, op. cit., 21-23. 28 Per una discussione in proposito v. F. Pecchioli Daddi-A.M. Polvani, op. cit., 51 sg. nota 16, con bibliografia; nessuna delle varie soluzioni ivi raccolte giustifica, a nostro avviso, la posizione di mân all’interno della frase; v. inoltre l’interpretazione che H.A. Hoffner jr., loc. cit., dà di questo passo. 29 H.M. Kümmel, StBoT 3 (1967) 12 sg. 22

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“(Vo 5-7) ... gli [d]èi super[ni] mi (= il re) hanno posto a te (= alla dea Lelwani) nella mano (ŠU=i tiêr), ma tu prendi i sostituti che io ti ho posto nella mano (ŠU-i teøøun) e prendi quelli e lasciami libero”. 3. L’espressione è usata anche laddove la divinità consegna nella mano del suo protetto qualcuno che poteva rappresentare per lui un pericolo. a) Editto di Telepinu (in ittita). 30 “(II 21-22) E [gli dèi] mi (= Telepinu) posero nella mano (kiššari dâir) quello (= Laøøa)”, cioè un avversario di questo sovrano. b) Autobiografia di ÷attušili III.31 “(I 58-59) Ištar, mia signora, mi (= ÷attušili) pose nella mano (ŠU=i dâiš) nemici e invidiosi”. V. “PRENDERE CON LA MANO”, “PORRE NELLA MANO” Riportiamo qui due passi tratti dalla corrispondenza epistolare, dove queste espressioni presentano un significato diverso da quello indicato nei passi riportati nei §§ III e IV. a) Nella lettera in ittita KUB LVII 123, inviata da Taki-Šarruma al re di ÷atti,32 la frase (Ro 10) “prenderò la faccenda con la mano (attar ŠU=za DIB=mi)”, significa che il mittente si interesserà della faccenda allo scopo di risolverla. b) In HBM 38,33 una lettera in lingua ittita proveniente dall’archivio di Ma$at, inviata dal re di ÷atti ad un suo dignitario, compare un’espressione di difficile interpretazione: “(Ro 3-7) Avessi34 tu (= il destinatario della lettera) già pro[te]tto da dietro l[e] tru[ppe] a pie[di] e35 avessi tu già posto nella mano (kiššari anda ... dâis) la faccenda (uttar) degli uomini!”.

I. Hoffmann, THeth 11 (1984) 28 sg. H. Otten, op. cit., 8 sg. 32 A. Hagenbuchner, op. cit., 20 sg. 33 S. Alp, HBM (1991) 188 sg. 34 Sul valore ottativo qui attribuito a man v. CHD L-N, 139 sgg. 35 Ro 5: =a (antuøšaš=a=kán). 30

31

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Diversa è l’interpretazione che dà del passo S. Alp,36 il quale intende il verbo dâiš in Ro 7 come III pers. sing. e ipotizza perciò un soggetto sottinteso (die Gottheit). Il re sembra qui rimproverare il destinatario della lettera, forse un comandante militare, per un errore tattico da lui compiuto e, inoltre, per non aver portato a compimento la sua missione: infatti, a nostro avviso, la frase “porre nella mano la faccenda degli uomini”37 significa impegnarsi a risolvere la faccenda in questione. Così, le due espressioni “prendere la faccenda con la mano” e “porre la faccenda nella mano”, per quanto formalmente diverse, avrebbero un significato analogo. VI. “ESSERE NELLA MANO” 1. L’espressione è attestata in un passo dell’Autobiografia di ÷attušili III (II 73), laddove, in occasione della battaglia di Qadeš, questo sovrano dice che parte dell’esercito “era nella (sua) mano (ŠU=i ešøa)”, cioè sotto il suo comando, con il riconoscimento ufficiale del fratello Muwattalli (PANI ŠEŠ=YA). 2. Il termine mano compare anche in un testo in cui Tutøaliya IV richiede ad un’importante categoria di dignitari (LÚ.MEŠSAG) un impegno giurato di fedeltà a lui e ai suoi diretti discendenti, in un momento difficile per il potere regio: “(§ 2, I 6-7) Il mio Sole (è) nelle vostre (= dei SAG) mani”.38 VII. VOCE VERBALE + L’ESPRESSIONE “NELLA MANO DI QUALCUNO”, CON CONNOTAZIONE POSITIVA:

1. “stare bene nella mano di qualcuno”, nel senso di trovarsi bene sotto l’autorità di qualcuno. 36 Op. cit., 189: “(3-7) Hättest du die Fu[sstruppen] hinterher schon ges[ch]ützt, (hätte die Gottheit dir) die Sache der Menschen schon in die Hand gelegt.”. 37 Non è chiaro, a chi si riferisca il termine antuøša-: si trattava qui di persone che facevano parte dell’esercito ittita, assaliti dai nemici, oppure di forze lavorative? 38 E. v. Schuler, Dienst. (1957) 8 sg. e commento p. 17; A. Kammenhuber, HW2 I, 113; diversamente v. F. Starke, ZABR 2 (1996) infra e, in particolare, 168 sg.; cfr. anche nello stesso testo § 10, II 10-12 su cui v. F. Starke, op. cit., 171.

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Nell’Editto di Telipinu,39 nella rappresentazione strumentalmente idealizzata che questo sovrano dà del regno di ÷attušili I, si legge fra l’altro che “(I 19-20) tutte le grandi città stavano bene nella mano di quello (apêl=a ŠU=i tittiyanteš)”. 2. “vedere la benevolenza (lûlu)40 nella mano di una divinità o del sovrano”: a) Autobiografia di ÷attušili III.41 “(I 20) Vidi la benevolenza nella mano (ANA ŠU) di Ištar, mia Signora”. b) Trattato di Šuppiluliuma I con ÷uqqana di ÷ayaša42 (in ittita). “(II 10-13) Se tu, ÷uqqana, proteggi proprio il Mio Sole e ti poni proprio dalla parte del Mio Sole, allora questi giuramenti ti proteggano nel benessere e che tu possa vedere la favorevole benevolenza (âššu lûlu) nella mano (ANA QÂT) del Mio Sole”. 3. “diventare vecchio nella mano del Mio Sole”: a) Trattato di Tutøaliya IV con Kurunta di Tarøuntašša43 (in ittita). “(IV 14-15) che gli dèi ti proteggano nel benessere e che tu diventi vecchio nella mano (ANA DU ... meøuntaøøut) del Mio Sole”. b) Trattato di Tutøaliya IV con Ulmi-Teššup di Tarøuntašša44 (in ittita). “(Vo 10-11) che (le divinità) ti proteggano nel benessere e che tu diventi vecchio nel benessere nella mano (ANA DU ... aššuli miøuntaøøut) del Mio Sole”. 4. “vedere la benevolenza (lûlu) nella mano del Mio Sole e diventare vecchio nella mano del Mio Sole”. a) Trattato di Muwattalli con Alakšandu di Wiluša45 (in ittita).

I. Hoffmann, op. cit., 16 sg. CHD L-N, 84 sg. s.v. lulu(t). 41 H. Otten, op. cit., 4 sg. 42 J. Friedrich, SV II, 114 sg. 43 H. Otten, Bronzetaf. (1988) 26 sg. 44 Th. v. den Hout, StBoT 38 (1995) 44-45. 45 J. Friedrich, SV II, 82 sg. 39

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“(IV 45-46) E che tu veda la favorevole benevolenza (lûlu) nella mano (ANA ŠU-i) del Mio Sole e che tu diventi vecchio nella mano del Mio Sole (ANA ... ŠU-i miyaøøuwantaøøut). 5. “partorire nella mano”. KUB XXI 3846 (in ittita) è la brutta copia di una lettera inviata da Puduøepa a Ramses II nel corso delle trattative per il matrimonio di una principessa ittita con il faraone. La regina enfatizza la sua straordinaria fertilità, che ha trasmesso pure alle altre donne della famiglia reale, e quindi anche alla figlia che andrà sposa in Egitto. “(I 60) [le prin]cipesse che io trovai nel nucleo familiare (ŠÀ ÉTI) mi partorirono nella mano (ŠU=i øašir)”. Come si è fatto presente sopra, questa espressione non vuol far riferimento ad un ruolo di levatrice della regina, ma ha qui un valore idiomatico per indicare che la grande prolificità cui godevano le donne della famiglia reale ittita era dovuta al favore divino nei riguardi di Puduøepa. Antitetico si presenta un passo dell’Editto di Telipinu47 laddove, parlando del regno di Ammuna resosi colpevole della morte del padre Zidanta, si enfatizza, a nostro avviso, la punizione divina cui si attribuisce l’improduttività delle culture agricole e la sterilità degli animali di allevamento. “(I 70-71) ... e lui/per lui nella sua mano (kiššari=ši) cereali, vitigni, buoi, pecore no[n ....... ] nella mano (kiššari)”. VIII. “AVERE NELLA MANO” DEL RE, NEL SENSO DI AVERE L’AUTORIZZAZIONE DI QUESTO A RAPPRESENTARLO

Tale espressione è usata nella lettera di Tawagalawa48 là dove il re ittita, non avendo assecondato la richiesta di Piyamaradu di poter trattare con il tuøukanti, spiega di aver conferito al suo inviato, il TARTÊNNU, 46 W. Helck, JCS 17 (1963) 92; R. Stefanini, Atti dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria” 29 (1964-65) 13 sg.; E. Edel, ÄHK (1994) 220 sg. 47 V. I. Hoffmann, op. cit., 24 sg. 48 F. Sommer, AU, 2 sg.

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la facoltà di rappresentarlo, usando la formula: “(I 12) av[eva] la mia mano (ŠU=an=man øa[rta])”. IX. “PROTEGGERE LA MANO (DI UN SOVRANO)” In questa espressione la “mano” simboleggia il potere del Gran Re di ÷atti, che un sovrano subordinato si impegna contrattualmente a difendere. Trattato di Muršili II con Tuppi-Teššup di Amurru.49 a) KUB III 14 (in accadico): “(Ro 6) ... Aziru protesse la mano (åQÂTU4¥... I¬¬UR) [di mio padre]”; “(Ro 15-16) (Aziru e DU-Teššup), [come] avevano protetto la mano (QÂTU ... I¬¬URU) di mio [padre], così protessero la mia mano (ŠU=TI ITTA¬RU)”. b) KBo V 9 (in ittita): “(I 23’) proteggi (tu, Tuppi-Teššup,) i giuramenti divini del re e la mano del re (ŠU paøši)”. X. “TENERE LE MANI INTORNO A QUALCUNO” Con questa espressione si vuole indicare la protezione da parte di colui che compie questo atto. 1. L’azione è compiuta dalla divinità. a) In alcune lettere di Ma$at,50 nella formula augurale rivolta dal mittente al destinatario si trova l’espressione: “(gli dèi) ti tengano intorno le mani nel benessere (ŠU÷I.A=uš araøzanda aššuli øarkandu)”. b) Lettera proveniente dall’archivio di El Amarna, inviata da Tarøundaradu, re di Arzawa, al faraone Amenophi III51 (in ittita). Vi si invoca la protezione delle divinità Nabu e Ištanu sullo scriba che leggerà la lettera:

49 V. G.F. Del Monte, Trattato cit., 156 sgg.; J. Friedrich, SV I, 1 sgg. infra, traduce nei passi in esame il termine “mano” con “Macht”. 50 HBM 73 Vo 21-22, p. 260 sg.; 81 Ro 6-7 p. 273 sg.; 89 Ro 5-6, p. 290 sg. 51 V. in ultimo W. Moran, The Amarna Letters, Baltimora-London 1992, 103.

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“(EA 32 19-20) (gli dèi) ti tengano intorno le mani nel benessere (ŠU =uš araøzanda aššuli øarkandu)”. ÷I.A

2. L’azione è compiuta da un sovrano nei riguardi di un’altra persona. Questa espressione si trova nel trattato di Šuppiluliuma I con ÷uqqana di ÷ayaša52 (in ittita) nelle varie formule in cui i due contraenti si impegnano a proteggersi reciprocamente: “(I 22-25) Se tu - come hai buona disposizione (= cura) verso la tua testa, la tua anima e il tuo corpo (e) tieni le mani intorno (ŠU÷I.A=uš=za araøzanda øarši) - allora se tu non hai in ugual modo buona disposizione (= cura) verso la testa del Mio Sole, l’anima del Mio Sole, il corpo del Mio Sole, e non tieni in egual modo le mani intorno a me ...”. XI. “VINCERE CON LA MANO” Questa espressione si ritrova negli Annali decennali di Muršili II , KBo III 4 IV 45’-46’:53 “E io (= il re di ÷atti) vinsi con la mia mano (ammêdaz ŠU-az taraøøun) questi paesi nemici in dieci anni”. Muršili vuole in questo modo mettere in rilievo, anche con l’uso del possessivo ammêdaz, che proprio per merito suo si sono concluse positivamente le campagne militari intraprese. Questa affermazione non contraddice quanto è scritto nel passo citato in III.a., laddove è invece il dio della Tempesta che, tenendo per mano Muršili II, lo guida alla vittoria, convalidando con il suo appoggio l’operato del sovrano. Infatti ambedue le espressioni - che sottolineano in un caso il merito personale di Muršili e nell’altro il sostegno che questi godeva da parte della divinità - hanno lo stesso intento glorificatorio nei riguardi del re. XII. “CADERE IN MANO DI QUALCUNO” L’espressione è usata nel testo dell’Antico Regno, noto come “Assedio di Uršu”, KBo I 11 Vo 22’-23’ (in accadico),54 laddove si dice:

J. Friedrich, SV II, 108 sg. A. Goetze, AM, 136 sg.; G.F. Del Monte, Annalistica cit., 72. 54 H.G. Güterbock, ZA 44 (1938) 116 sg.; v. inoltre S. de Martino, Seminari 1990 (1991) 72 con bibliografia; G. Beckman, JCS 47 (1995) 23-33. 52

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“se Uršu va in rovina, il servo (dell’uomo di Karkemiš) cadrà in mano nostra (INA QÂTI=NI IMAQUT)”. XIII. “SOLLEVARE LA MANO” Con tale gesto si accompagna l’invocazione a divinità: a) Annali decennali di Muršili II, KBo III 4 I 22-23:55 “io (= Muršili) sollevai la mano (ŠU=an šarâ êppun) verso la dea Sole di Arinna, mia signora, e parlai nel modo seguente ...”. b) KBo VI 29 II 9-11:56 “e sollevai la mano (ŠÙ-an šarâ êppun) verso Ištar di Šamuøa, mia signora, e Ištar di Šamuøa, mia signora, mi venne in soccorso”. c) In KUB II 1, già citato al § II.3.3., in IV 12-1357 è presente la “divinità Ala del [so]llevare [la mano?] del [Laba]rna ([ŠU=an? šar]â appannaš [Laba]rnaš)”. La menzione del Labarna, ripetuta in ogni epiteto delle divinità tutelari presenti in questo testo, non sembra connessa all’epiteto stesso, ma proprio alla divinità.58 Si deve, quindi, nel caso specifico intendere: “la divinità Ala del Labarna, (quella) del sollevare la mano”, alludendo in questo modo a un gesto di protezione oppure a un gesto di guida compiuto da questa divinità nei riguardi del Labarna. In tale contesto appare opportuno ricordare che nel rituale di Malli, KUB XXIV 9+ I 12, ]27,59 la sacerdotessa MUNUSŠU.GI invoca la “divinità solare della mano” (kiššeraš DUTU=uš). In questo passo, in cui non si fa riferimento né al sovrano né a imprese belliche, ma a pratiche di contromagia, ci sembra che con tale espressione si voglia alludere ad un gesto con cui la divinità esercita il suo potere a favore di qualcuno. XIV. “METTERE LE MANI NEL MEZZO” Questa espressione compare nella lettera inviata da ÷attušili III a Kadašman-Enlil di Babilonia, KBo I 10+ Ro 43 (in accadico),60 ed è A. Goetze, AM, 20 sg.; G.F. Del Monte, Annalistica cit., 59. A. Goetze, ÷att. (1925) 48 sg. 57 G. McMahon, op. cit., 110 sg. 58 V. A. Archi, SMEA 16 (1975) 90 sg. 59 L. Jakob-Rost, THeth 2 (1972) 22-25 e commento p. 61. 60 A. Hagenbuchner, THeth 16 (1989) 282, 289-290. 55

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usata nel senso di “interferire, intromettersi”, a proposito degli Aølamei, accusati di ostacolare i contatti tra Babilonia e ÷atti: “metterebbero gli Aølamei le mani nel mezzo (QA=ŠUNU IPTARKU)?”.61 XV. “TOGLIERE (LETT.: PRENDERE) LE MANI DELLE SERVE DALLA MACINA E DEI SERVI DAL LAVORO”

÷attušili I utilizza questa espressione nelle sue res gestae per indicare che dopo la conquista di ÷aøøu affrancò i servi, per trasferirli però al servizio della divinità:62 “(Versione ittita, III 15-20):63 Io, il Gran Re, il Tabarna, tolsi le mani (ŠUMEŠ=uš ... daøøun) delle serve dalla macina e tolsi le mani dei servi dal lavoro ... e li cedett[i] alla dea Sole di Arinna, mia signora”. XVI. “LEGARE MANI E PIEDI” Questa espressione (ŠUMEŠ GÌRMEŠ išøiya-/išøai-) viene usata nel “primo giuramento militare” in un’operazione di magia analogica riferita alle truppe nemiche e allude verosimilmente ai ceppi che venivano messi alle mani e ai piedi dei nemici (I 29’-30’; 31’-34’).64 Il confronto con l’espressione presente nei passi ora citati giustifica l’integrazione della lettera KUB III 61 Vo 3 da parte di A. Hagenbuchner:65 “[Zu]wa [legato?] alle sue mani e ai [suoi] piedi”. Del resto, la condizione di prigioniero di Zuwa si accorda anche con la frase dispregiativa alla r. 6: “Chi è Zuwa? È un cane”.66

61 Così W. von Soden, AHw, 829 s.v. parâku(m); v. invece A.L. Oppenheim, Letters from Mesopotamia, Chicago 1967, 143. 62 V. F. Imparati, op. cit., 69 sg. 63 F. Imparati SCO 14 (1965) 52 sg., cui corrisponde la parte accadica Vo 11-14, su cui v. C. Saporetti, SCO 14 (1965) 79, 82. 64 N. Öttinger, StBoT 22 (1976) 6-9. 65 Op. cit., 455-456. 66 Su questo v. S. de Martino-F. Imparati, StMed 9 (1995) 105-106.

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XVII. “LASCIARE NELLA MANO” In KUB XIX 23 Ro 11, una lettera di un Tutøaliya - verosimilmente il IV - alla regina, da intendersi probabilmente come Puduøepa,67 si legge: “tu, mia signora, [me] che hai lasciato :iyašøantin nella mano (:iyašøantin ŠU=i daliyat)...”. Poiché non si conosce il significato del termine :iyašøantin,68 è difficile determinare il valore di tale espressione. XVIII. “LA MANO PECCA/PECCATO DELLA MANO” In alcuni paragrafi delle Leggi ittite (§§ 3 e 4, e II, III, V, VI del testo parallelo)69 compare l’espressione “la sua (= del colpevole) mano pecca (keššar/QÂTU/ŠU... waštai)” per indicare la non intenzionalità di compiere un reato da parte del colpevole; tale espressione ricorre anche in due testi oracolari dove si indica il “peccato della mano (ŠU=aš waštul)” come causa dell’ira divina.70 XIX. “AMMINISTRARE CON LA MANO” In IBoT I 30 Ro 6 ricorre questa espressione per indicare che il sovrano è incaricato dal dio della Tempesta di amministrare il paese ittita con la sua mano.71 XX. “MANO” COME INDICAZIONE DI APPARTENENZA “della mano (ŠA ŠU) di qualcuno”, in riferimento a oggetti “appartenenti a qualcuno”.

A. Hagenbuchner, op. cit., 27 sg. V. J. Tischler, HEG I, 347; J. Puhvel, HED 1-2, 349. 69 F. Imparati, Leggi (1964) 34-37, 99-101. 70 KUB V 3 I 8 (su cui v. invece F. Starke, op. cit., 169); KUB V 4 II 27. Antitetica a queste espressioni è la frase presente in un editto di Tutøaliya II (KUB XIII 9 II 4): “la sua testa ha peccato”: v. F. Imparati, op. cit., 185-188; Antichi popoli europei, Roma 1993, 410 sg. 71 V. Ph.H.J. Houwink ten Cate, Natural Phenomena, Amsterdam 1992, 87 e 132 nota 10 con bibliografia precedente; F. Starke, op. cit., 172 sg. 67

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Questa espressione si ritrova nel testo oracolare KUB XXII 70 Ro 9 e in alcuni inventari amministrativi.73 72

XXI. “MANO” COME SPECIFICAZIONE DI UN SOSTANTIVO a) “signore della mano ( (LÚ)EN/BÊL ŠU/QÂTI)”. Viene designato in tal modo l’artigiano74 in alcuni testi, come in un atto emesso dalla regina Ašmunikal (KUB XIII 8 Ro 2-3),75 in alcuni trattati internazionali76 e in un testo relativo all’assegnazione di parte dei beni di un alto dignitario ad alcuni eredi.77 XXII. “MANO” + NOME DI PERSONA Questa espressione si ritrova nei colofoni di moltissime tavolette per indicarne lo scriba. Tale rassegna mostra la ricchezza di espressioni contenenti il termine “mano”, presenti nel lessico ittita in varie accezioni. Oltre a quei passi in cui la mano richiama in maniera concreta l’azione a cui si riferisce, anche nelle altre formule prese qui in esame, seppure traslate, la mano appare come uno strumento tangibile mediante il quale si esercita il potere, si offre protezione, si garantisce legittimità, si assicura guida e sostegno, si manifesta la propria potenza, in rapporti sbilanciati sia in àmbito religioso che politico, per lo più nella direzione dal più potente al più debole.

72 A. Ünal, THeth 6 (1978) 56 sg. e 107 sg., il quale ritiene questa espressione un calco linguistico dall’accadico. 73 J. Siegelová, Heth. Verw. (1986) II, 364 e III, 677; diversamente S. Košak, THeth 10 (1982) 124. 74 F. Imparati, in Antichi popoli europei cit., 404 sg. 75 H. Otten, HTR (1958) 106 sg. 76 V. ad esempio il trattato fra Muršili II e Targašnalli di ÷apalla § 7* (J. Friedrich, SV I, 58 sg), il trattato con Kupanta-Kurunta di Mira e Kuwaliya § 23* (J. Friedrich, SV I, 140 sg.), il trattato di Tutøaliya IV con Kurunta di Tarøuntašša I 85 (H. Otten, Bronzetaf. [1988] 14 sg.). 77 KUB XXVI 43+ Ro 50: v. F. Imparati, Šaøur. (1974) 30 sg. e 90-92.

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XXXVI.

NINGAL. II. Bei den Hethitern und Hurritern

§ 1. The name, spelling. - § 2. N., wife of the Moon god and mother of the Sun god. - § 3. Typology of the documents. - § 4. N. in the Hittite onomastic. - § 5. Introduction of the cult of N. in Hittite Anatolia. § 1. The name, spelling. The cult of N., the “Great Lady”, of Sumerian origin, spread from Mesopotamia to Syria-Palestine and Anatolia. N.’s name in Hittite context is usually written with the logogram NIN.GAL, but there are syllabic spellings, too: DNi-ik-kal and, less frequently, DNi-ig-gal or, once, DNi-ig-ga-lu (KBo V 2 III 10). With a case-ending the name is treated as a u-stem (acc.: DNi-ik-kal-lu-na- ... KBo XXXV 139 Obv. 5). In Hurrian texts from ÷attuša syllabic spellings prevail; here also the name is a u-stem: erg.: DNi-ig-ga-lu-un FHG 20 III 5 (with pron. suffix); gen.: DNi-kal-l[u]-åú-e¥ KBo XX 129 II 8; dat.:åD¥Ni-ga-lu-u-pa III 24. For logographic renderings in Hurrian see KUB XLV 47 passim, 47, 19: 8’. B.H.L. van Gessel (1998) 333-334, 737-740.

§ 2. N., wife of the Moon god and mother of the Sun god. For the Moon god (under his different names, esp. Umbu*) as N.’s husband and the Sun god as her son see V. Haas-D. Prechel, Mondgott* A. II. §§ 1-2; V. Haas (1994) 141 with note 196. The “prayer of Kantuzzili” mentions the Sun god Ištanu as the “fully grown-up son” of the Moon god and N. (see CHD L-N, 117, 2a). § 3. Typology of the documents. The earliest mention of N. in Hittite documentation dates from the Middle Kingdom. KUB XLV 47 + Bo 4186 (with dupl. KBo XVII 84) is a ritual celebrated specifically for the goddess by a queen (in all probability Nik(k)al-mati*) together with

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her sons Manni(n)i, Pariyawatra, the “priest” (almost certainly to be identified with Kantuzzili*) and Tulpi-Teššup. Also involved in this cultual ceremony is a LÚAZU, a priest often present, from the Middle Kingdom onward, in Hittite rituals of Kizzuwatnean origin, in the course of which he sometimes recited in Hurrian.

For the most part, N., under the various forms of her name, occurs in sacrifice and offering lists. The actions described are usually part of ceremonies which denote a strong Hurrian-Kizzuwatnean influence. In these lists, N., often preceded by (D)Umpu, is generally found after Išøara, Allani and before Ištar. N., preceded by Umbu, is also present in Hurrian passages of the itkalzi-ritual (see V. Haas [1984] 492, 494, s.v.). In the 2nd tablet both, Umbu and N., are mentioned in a litany attributing the purification of water to various couples or groups of deities: D Nikkalu(=*Þ)=l itk=i=a=Þ šiye=na en=n(a)-aÞ=ae teb(e)=ae katk(i)=ae “Umbu (and) N. purify the waters by the gods’ word (and) utterance”. (quotation by G. Wilhelm) FHG 20 III 5. N. rarely appears in the preserved portions of the lists of divine witnesses (Schwurgötterlisten) of Hittite state treaties. In many of these the Moon god is invoked as the patron deity of the oath and Išøara* is often associated with him (see D. Prechel, Die Göttin Išøara [1996] 9497); however, the treaty between Tutøaliya IV and Kurunta, king of Tarøuntašša (Bo 86/299, the so-called “bronze tablet”) reads in Rev. III 93-94: “The Moon god, king of the oath, Ningal, queen of the oath, Išøara, goddess of Arušna” (H. Otten [1988] 24; cf. KBo I 10 Rev. 56). § 4. N. in the Hittite onomastic. N. occurs in Hittite theophoric names of various periods, notably in the names of queen Nik(k)almati* (E. Laroche, NH and Suppl. Nr. 875) and her daughter Ašmu-Nikkal (NH and Suppl. Nr. 174) as well as a princess, Eøli-DNikkal (NH Nr. 227), known from Ugarit. Cfr. also NIN.GAL-uzzi (female author of a ritual, NH Nr. 876) and the male name Ašnu-Nigalli (he is too author of a ritual, NH Nr. 175).

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The existence of a theophoric name Mal-Nigal (NH Nr. 730) is still the subject of debate; see J. Börker-Klähn, SMEA 38 (1996) 55-60; O. Carruba, ZA 88 (1998) 114-117. § 5. Introduction of the cult of N. in Hittite Anatolia. The presence of the cult of N. in the Hittite Middle Kingdom - where religious elements of the Hurrian-Kizzuwatnean sphere can be recognized suggests that the Hurrians of Kizzuwatna had acted as intermediaries between the north-Syrian area and the land of ÷atti.

BIBLIOGRAPHIE B.H.L. VAN GESSEL (1998): Onomasticon of the Hittite Pantheon I-II (= HdO 1 Abt. Bd. 33). V. HAAS (1984): ChS I/1; id. (1994): GHR, passages quotes in the index pp. 926 ss. vv. Nikkal, Ningal and p. 930 s.v. Umbu. E. LAROCHE (1955): RHR 148, 1-24. H.G. GÜTERBOCK (1958): JAOS 78, 237-245. F. IMPARATI (1979a): FsMeriggi, 193-314; ead. (1979b): FsLaroche, 169-176. H. OTTEN (1988): Bronzetaf. G. WILHELM (1989): The Hurrians, 53-55.

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XXXVII. PALACES AND LOCAL COMMUNITIES IN SOME HITTITE PROVINCIAL SEATS *

The documents from the excavation of Ma$at (ancient Tapika) have given us interesting information about Hittite administration in the provinces of the kingdom and we expect that the documentation from the recent excavation of Šapinuwa (present-day Ortaköy) will supply to scholars other news or confirm hypotheses already presented about this important topic.1 Some of the information contained in the letters of Ma$at concerning Hittite provincial administration is included in letter M$t 75/57 (HKM 52), which has already been analysed in an article by S. Alp.2 The document in question comprises a principal letter sent by ÷attušili, most probably the noted scribe of the Hittite Middle Kingdom,3 to ÷imuili, BÊL MADGALTI,4 in Ma$at, and a supplementary letter (or postscriptum) written by another well-known scribe, Tarøunmiya, again to ÷imuili.

This paper forms part of a larger work - “Observations on a letter from Ma$atHöyük” - that will be published in the Gedenkschrift E. Bilgiç (ed. H. Ertem) (v. GsBilgiç [1997] 199-214 [n.d.c.]). 1 See in particular the important monograph by S. Alp, HBM (1991); for copies of the documents from the excavations at Ma$at, see S. Alp, HKM (1991); on the identification of Ma$at as Tapika, see S. Alp, HBM, 42-43; on the identification of Ortaköy as Hittite Šapinuwa, see A. Süel, Belleten 59 (1995) 271-83. 2 FsvonSchuler (1990) 107-113; see also G. Beckman, Atti del II Congresso Internazionale di Hittitologia, Pavia 1995 (= StMed 9), 26; and S. de Martino-F. Imparati, StMed 9, 112. 3 See S. Alp, HBM, 58-59; J. Klinger, ZA 85 (1995) 88 ff. 4 Provincial governor: literally “lord of the watchplace”. On ÷imuili, see S. Alp, HBM, 59-62; R. Beal, THeth 20 (1992) pages cited in the Index of Personal Names, 567, s.v. ÷imuili BÊL MADGALTI; J. Klinger, ZA 85 (1995) 86-87, 91. *

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From the formulary and the tone of the letter we may assume that ÷attušili was a functionary of the same rank as ÷imuili; Tarøunmiya, on the other hand, must have been of inferior rank to ÷imuili.5 ÷attušili and, in the postscriptum, Tarøunmiya address ÷imuili once again concerning a matter they have already written about repeatedly, namely, damages brought to bear on the “house” of Tarøunmiya, located in the administrative district of ÷imuili by “men of the district” and “men of the town” and the imposition of the šaøøan and luzzi obligations by “men of the town.” The fact that the matter in question has continued for some time is confirmed by references to it in other letters from Ma$at and by the use in this specific document of various significant verbs in the iterative.6 Based on the letters concerning the affairs of Tarøunmiya, we can reasonably assume that at the time the letters were written he resided, or at least carried out his profession, in the city of Tapika, occasionally moving to other towns as requirements dictated.7 It is unclear where ÷attusili and Tarøunmiya were at the time the letter was written, although it was certainly a place where there was a palace. Indeed, in this letter (Obv. 6-8 and 17-18) ÷attušili notifies ÷imuili that the question of the damages being inflicted upon Tarøunmiya may or may not be taken to the palace (É.GAL);8 in the supplementary letter (Rev. 42-Upper Edge 46) Tarøunmiya assures ÷imuili that he will always carry out at the palace the matter concerning the horses and war chariots about which the latter has written to him.

See F. Imparati, GsBilgiç; on Tarøunmiya see S. Alp, HBM, 95-96. Other letters: HKM 27 and 60. On this, see S. de Martino and F. Imparati, in StMed 9 cit., 111-112. To these letters should probably be added also HKM 80 (see below). Iterative: Obv. 7, 8, 9, 12, 16, Rev. 27, 33. The scribal circle to which Tarøunmiya belonged, which probably also had administrative functions, must have been under the control of ÷attušili (see F. Imparati, GsBilgiç). 7 Note that Tarøunmiya, who is mentioned several times in the documents, is not yet attested in the documentation from ÷attuša, contrary to the situation for other individuals. 8 In lines 17-18, ÷attušili ends his letter with the threat that if damage continues to be inflicted on the scribe (Tarøunmiya), he (÷attušili) will refer the matter to the palace. See S. Alp, HBM, 309 on the meaning of É.GAL in these letters. 5

6

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The term É.GAL often recurs in the letters from Ma$at,9 where it appears to have had the function of a center responsible for the collection and distribution of goods (HKM 24) and for the organization of armaments (HKM 52 and 63). It also functioned as a higher authority whose task it was, for example, to investigate matters concerning the agricultural life of various districts (HKM 54); it was an establishment that was notified of important events and circumstances, evidently in the hope that decisive intervention could be obtained from it (HKM 52, 74,10 and possibly 77); and it was also, presumably, with the aim of receiving its favours (HKM 10 and possibly 63). From such palaces orders were also sent out (HKM 75, 88, and 94; the initial part of these three letters is fragmentary).11 Unfortunately, the texts mentioned here do not supply enough information for us to know for certain, for the cases being considered in them, whether or not different palaces were involved12 and to postulate their precise location. Obviously, the recipient of each letter knew perfectly well to which palace the letter referred. This might explain why in these documents the term É.GAL is not usually accompanied by any geographical indication, with the exception of one palace (situated) in See the passages indicated by S. Alp, HBM, 309 and Index, 424 s.v. The question of the location of these É.GALMEŠ in the various situations considered in these letters has not yet been dealt with. 10 A letter from the “priest” of Kizzuwatna to Kaššu, in which (Obv. 8-11) the possibility is expressed that the sender will notify the palace of a matter that has arisen in connection with Kaššu’s refusal to return some of his subjects to the sender. From the tone of the letter, this priest appears to have held a government position in Kizzuwatna; this is not surprising, since the office of “priest” in Kizzuwatna appears to have been particularly important and involved more than religious functions. See F. Imparati, FsLaroche (1979) 174 note 40. In connection with Kantuzzili, possibly the son of Tutøaliya I/II and Nikalmati, appointed priest of Teššup and ÷epat in Kizzuwatna, see ibid., 171 ff. (esp. 172 note 21; see also note 22). This person is probably to be identified as the “priest” who sent letter HKM 74 (see J. Klinger, ZA 85 [1995] 93-99, who claims that Kantuzzili may have been the son of Arnuwanda I and Ašmunikal; see also S. Alp, HBM, 111-112 and 342). 11 On the letters mentioned in this paragraph, see S. Alp, HBM, below, and my observations in GsBilgiç, notes 14-25. 12 Only in HKM 81 (Lower Edge 19-Rev. 20), sent by Tarøunmiya to two people whom he calls his lord and lady and also father and mother, therefore of a superior status to his own, is there mention of the palace of ÷anø[ana], unfortunately in a highly fragmentary context. 9

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÷anø[ana] (see note 12). This geographical indication and the fact that in letter HKM 33 (Rev. 25’-27’), in an extremely fragmentary context, reference is made to the defence of “all the palaces” (l. 25’: É.GAL øuman[teš])13 seem to suggest that different palaces were involved in the various letters; this, however, does not help in locating them. Moreover, the fact that two of these letters (HKM 10 and 24), which deal with two separate issues, were sent by the king is not, in my opinion, sufficient evidence to suggest that the palace they refer to was in ÷attuša. We should remember, indeed, that in letter HKM 20 it emerges that the king, its sender, was in Šapinuwa at the time; it also specifies that the city was reachable in two days, evidently from Tapika.14 At this point, it would seem plausible also to hypothesize that in most of the above-mentioned cases reference is made to the same palace, situated in an administrative district not far from that of Tapika, but having greater prominence. The administration of Tapika would presumably have consulted this palace on issues of greater importance; there would therefore have been no need for geographic specifications to indicate it. Occasionally, the king would stay in this palace for a period of time, for various reasons (military, religious, administrative) and see to several affairs involving neighbouring outlying districts, to whose governors he must at times have sent letters.15 It is interesting in this context to remember that in letter HKM 60, another in which there is mention of the “house” of Tarøunmiya (see note 6), we learn that Tarøunmiya was in Šapinuwa at the time it was written.16 I believe that this is confirmed by, among other things, the fact

And also of the defense of something else, of which no designation remains in the letter other than an indication of the plural. 14 In this letter, the king orders its recipients, Gaššu and Pipappa, to mobilize the troops of Išøupitta hastily and (Lower Edge 10-12) take them “rapidly in two days before My Sun”. Compare, instead, letter HKM 15, where the king writes to Gaššu and Zilapiya, telling them to lead (together with troops) warriors on chariots, which they have at their disposal, rapidly in three days before My Sun, something which may indicate that at this time the king was in a place that was not Šapinuwa. 15 For their own part, these governors would take advantage of the fact that the king was in their area to inform him of several matters and consult him with a view to resolving various issues. 16 Presumably subsequent to the letter under examination (see S. de Martino and F. Imparati, StMed 9, 112 and note 65; and S. Alp, HBM, 97 and 92 sub Šarpa). This 13

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that its sender, Šarpa, a high dignitary who at the time occupied a political position of considerable importance in Šapinuwa,17 in alluding to certain damages suffered by Tarøunmiya referred to what the latter had ‘said’ to him (memišta, Obv. 11 and 21), rather than what had been ‘written’ to him, as occurs instead in other cases. Now, given that we know that Šapinuwa was a more important district than Tapika,18 whose administration appears in certain respects to have been under the jurisdiction, or at least within the sphere of influence, of Šapinuwa, it seems possible to me that in our letter HKM 52 (and perhaps also in others where the term É.GAL appears) reference is made to the palace situated in this center.19 From many Hittite texts from the archives of ÷attuša, we learn of the great importance that Šapinuwa had during the course of Hittite history as a religious center, as a political and administrative seat, and as a military base. We know that various Hittite rulers resided there on various occasions. Moreover, there are several references to the palace of Šapinuwa in these documents, from which we get a sense of its prominence. The importance of this palace is also clear from the imposing structure of the building that has come to light in the course of the excavations of Ortaköy.20 The hypothesis of identifying the palace of Šapinuwa as the palace mentioned in letter HKM 52 and in other letters from Ma$at would be consistent with the close ties that this center seems to have had with ÷attuša and the royal family in the Hittite Middle Kingdom,21 ties that continued to exist in later periods. In any case, whatever the location of the palace mentioned in our letter HKM 52, it seems clear from the context that the scribe ÷attušili had a certain influence in this center. The phrase in Obv. 15-18, does not mean that Tarøunmiya resided there, but simply that he was in Šapinuwa at that time. 17 See S. Alp, HBM, 92. 18 See S. Alp, HBM, 36-37; see also F Imparati, GsBilgiç. 19 The existence of a palace here, which has been known for some time, is confirmed by excavations presently being carried out. 20 See F. Imparati, GsBilgiç, notes 36 and 37. 21 V. Haas has seen a connection between the Hurrian-Hittite dynasty set up in ÷atti by Tutøaliya I/II and the city of Šapinuwa (AoF 12 [1985] 275; see also S. de Martino, EOTHEN 4 [1991] 20).

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particularly ll. 17-18, almost sounds like a threat directed at ÷imuili in the event that the latter fails to protect the “house” of Tarøunmiya: “Now (you = ÷imuili) keep your eye on (this); they must not continue to oppress him (= Tarøunmiya); if not, I will come (and) say this/report this in the palace.” Moreover, the use in this letter also22 of the verb mema- rather than øatrai- (Obv. 8 and 18) seems to support the hypothesis that ÷attušili was actually in the locality where the palace was situated and that he had the opportunity to talk directly with influential people about matters which concerned him, like this one regarding the “house” of Tarøunmiya.23 While in the postscriptum of the letter under examination Tarøunmiya refers explicitly to his “house” (Rev. 26, 30), in the “principal” letter written by ÷attušili the latter talks of the “house of the scribe” (Obv. 11) without further specification. Given that Tarøunmiya is in fact a scribe, it is reasonable to assume that in both cases reference is being made to the same “house.” For many reasons, I presume that the “house” in question was not specifically Tarøunmiya’s dwelling or his patrimonial and/or family complex, but possibly a scribal center with administrative functions, subject to the central authority, where Tarøunmiya worked; however, this does not exclude the possibility that when he was in Tapika he also resided there. But what seems to me to be of considerable interest in the present letter is that the initiative for the imposition on Tarøunmiya of the šaøøan and luzzi obligations, as well as the responsibility for certain damages inflicted on the scribe, is attributed to the ‘men of the town’ (LÚMEŠ URULIM) and perhaps also to the ‘men of the district’ (LÚMEŠ KURTI).24

See my observation above (p. 7) for letter HKM 60 Obv. 11 and 21[. The damages inflicted on Tarøunmiya and his “house” are also mentioned in other letters from Ma$at, the context of which allows us to hypothesize the sequence of the events described in them (see again my observations in GsBilgiç, with notes 40-47). 24 Rev. 32; see also Rev. 36 and 38, where the two expressions are shown separately. From the context, however, it would appear that in the specific case this distinction did not allude to a difference in the competences of these two bodies, although this may have been possible in reality due both to their size - the men of the 22

23

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The letter in question has been compared by S. Alp with another letter from Emar (present-day Meskene).25 In this letter, among other things, consideration is given to the case of the arbitrary imposition of šaøøan and luzzi by a Hittite functionary, Alziyamuwa, who performed administrative functions in the area, on a diviner, who was “previously” exempt from them.26 The Hittite king intervenes personally to restore the previous situation. This last letter, however, deals with an issue that is substantially different from the one described in the Ma$at letter. In the letter from Emar, the sovereign condemns an abuse committed by one of his functionaries in the area and annuls his decisions. In the Ma$at letter, on the other hand, the arbitrary imposition of obligations was effected not by a dignitary under the authority of the central government, but by members of the local community, that is, by the “men of the town,” possibly with the connivance - or at least without the vigorous opposition - of the palace dignitary ÷imuili, who appears to have done little to deal with and resolve the matter in favour of the other employee of the central administration, Tarøunmiya.27 It is probable, indeed, that in our letter, as elsewhere in Hittite documents, the expressions “men of the district” and “men of the town” designate members of the community of free men in the various administrative centres who were not incorporated within the structure of the state bureaucracy. In fact, ÷attušili’s statement (Obv. 12) that others are responsible for causing damage to Tarøunmiya seems to me to indicate that the persons in question did not belong to the central administration.

district were certainly more numerous than the men of the town - and, possibly, to a more diversified composition; see also below. 25 For HKM 52, see S. Alp, GsvonSchuler, 108 and 112, and HBM, 334; for Msk. 73.1097, see most recently A. Hagenbuchner, THeth 16/2 (1989) 40-44; see also F. Imparati, JESHO 25 (1983) 264-267 (note here that the numbering of the lines of the tablet is in various places erroneous, since at the time I was able to use only a provisional transliteration, kindly supplied by E. Laroche) and G. Beckman, in StMed 9, 31. 26 See F. Imparati, GsBilgiç, notes 47-49. 27 This can be gleaned from the fact that various letters and solicitations are sent to ÷imuili, requesting that he take it upon himself to resolve the case.

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Thus, if we agree on this interpretation, we must wonder under what right or authority these members of the local community imposed obligations like the šaøøan and luzzi on Tarøunmiya, who was a royal functionary.28 An important question emerges, therefore, and that is whether the local community might in some instances have had the competence to impose duties, even on employees of the royal administration, or whether, in the case in question, it had done so unlawfully.29 From our letter (Rev. 36-37) it appears that the “men of the town” imposed the šaøøan and luzzi duties on Tarøunmiya, rather than merely carrying out the task of providing for the fulfilment of these obligations. From the context of this letter, when there is mention of the imposition of these duties, it seems to me that we can infer that there was a request for the intervention of the royal dignitary, who administered the district of Tapika, against this action of the “men of the town” only because the scribe in question was not bound to fulfil such duties, and not because the local community had carried out an action that did not lie within its competence. In fact ÷attušili (Obv. 13-14) asks ÷imuili: “(Are there) šaøøan and luzzi (obligations) for the scribes? Why does (he = Tarøunmiya) continue to perform there (= in Tapika) that (= these obligations)?”30 And Tarøunmiya (Rev. 34-39) writes to ÷imuili: “Moreover for me there there were no šaøøan and luzzi obligations. Now the men of the town have subjected me to šaøøan and to luzzi /(and) to luzzi. So, (my) lord, ask those aforementioned men of the district, [i]f I have (ever) performed šaøøan and luzzi.31 Indeed, if we accept the equation of the expression “house of the scribe” with the expression “house of Tarøunmiya,” and the hypothesis that this “house” was an administrative office subject to the authority of the central government, the action of the local community would have been directed against this authority 29 Clearly an answer to this question would shed new light both on the competences of the local community in the sphere of Hittite provincial administration and on the relations of this element with central government 30 G. Beckman, StMed 9, 26. 31 The fact that in these passages the above-mentioned obligations appear to be linked to the scribal profession of Tarøunmiya and that Tarøunmiya insists on being exempt from them prevents us from formulating the hypothesis that he, although a royal employee, also had the usufruct of lands situated in Tapika and belonging to the local communities which, for this reason, imposed the duties on him. Note, in this regard, that in §§ 40 and 41 of the collecion of Hittite Laws we find palace employees 28

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Note that in this passage the “men of the town” are mentioned separately from the “men of the district,” something that does not happen in Rev. 32, again with regard to the damages inflicted on Tarøunmiya and his “house.” However, there are no elements for attributing any particular significance to this distinction; moreover, the enclitic particle -pát, attached in Rev. 38 to the expression “men of the district,” might suggest a link or connection with the expression “men of the town” previously mentioned in Rev. 36,32 especially on the basis of the comparison with l. 32. With regard to a deeper knowledge of the competences of the local community in the sphere of the provincial districts and its relations with the central government, it may be useful to remember that according to various texts from the archives of ÷attuša the local community appears in some cases to have been charged by the sovereign with exercising a form of control over royal employees in the administration and government of the various state provinces, the idea being to prevent the latter from committing abuses that would result in their own personal advantage.33 It is interesting in this context to recall that, in an edict issued by Tutøaliya I/II34 that establishes who has or does not have the right to open a royal granary,35 the “men of the town” are charged with the task of seizing whoever has opened the said granary against the royal will and taking the guilty person to the “king’s gate,” that is, the royal court; should they fail to do this, they themselves, the “men of the town,” are obliged to indemnify the damage caused by the opening of the granary. This is a demonstration of the involvement in some cases of the local community by royal authority, which attributes to it both the function of and members of the local communities associated in the usufruct of lands, which were in fact subject to šaøøan (see F. Imparati, JESHO 25 [1983] 229 ff. and 262). However, no reference is made in the letters relative to the case of Tarøunmiya (see note 6) to duties linked to the usufruct of lands. 32 See CHD P, 214. 33 See F. Imparati, Stato, Economia, Lavoro (1988) 232-34 34 KBo XIII 9 + KUB XL 62 (CTH 258). For the transliteration and translation of this text, see E. von Schuler, FsFriedrich (1959) 446 ff. and also R. Westbrook and R. Woodard, JAOS 110 (1990) 641 ff.; in both cases, however, the text is attributed to Tutøaliya IV. See also the duplicate KBo XXVII 16. 35 III 3’-11’.

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guarantor in respecting the sovereign’s will and joint responsibility in the misdeed and corresponding punishment in the event that this will fails to be respected.36 The letter HKM 52, under examination here, as we have said, appears to show that in certain circumstances the local community may have had the power to impose duties on someone, even, in this specific case, a royal functionary.37 In admitting that such a possibility existed, we have now another element to delineate the competences of the local community in the provincial seats.

36 I wonder whether this joint responsibility was not due to the fact that the people who were prohibited from opening the king’s granary - AGRIG administrator, doorkeepers, and farmer - might also form part of the local communities, or at least have some connection with them. 37 In the case in question, as has already been pointed out, the provincial governor, ÷imuili, royal functionary, does not appear to put himself out excessively to protect the functionary who has suffered damages, namely the scribe Tarøunmiya.

816

XXVIII.

OBSERVATIONS ON HITTITE INTERNATIONAL TREATIES

Some considerations drawn from an examination of Hittite international treaties are presented here. We continue our analysis of formal aspects identifiable in Hittite texts belonging to different literary genres, an analysis which began with an examination of correspondence that was discussed at the second Hittitological Congress. In this context we shall not make a detailed examination of the structure of the treaties and their content, which have been the object of important and fundamental works that may be referred to in the ample bibliography compiled by G. Beckman in his volume on “Hittite Diplomatic Texts”.1 I. STYLISTIC FEATURES Although the purpose of the compilation of the treaties was purely political, we can observe in them a frequent use of stylistic features, such as: 1) metaphors, 2) hyperbole, 3) hendiadys, 4) idioms, 5) emphatic expressions and 6) similes. 1. Metaphors In the treaty stipulated by Šuppiluliuma I with ÷uqqana of ÷ayaša, in the clauses concerning the king’s duty to show loyalty to the Hittite royal family, we find the phrase: (KBo V 3+ I 14-15) namma=ma=za damain BÊLAM kuiešaš kuiš [UN-aš]2 ANA DUTUŠI EGIR-an arøa lê kuinki šâkti “but furthermore you shall not recognize any other noble

1 2

G. Beckman, HDT, Atlanta 1996. See J. Friedrich, SV II (1930) 106 note 1.

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man, whoever he (might be), behind the back of My Sun”.3 The expression ANA x appan ar-øa eš, “to be behind the back of someone”, is here used metaphorically to indicate a conspiracy against someone. The following passage from the treaty between Muršili II and Targašnalli of ÷apalla may be interpreted in a similar way: (KBo V 4 Rev. 13) nu =aš=kán 1-as 1-edani kunanna EGIR-an šarâ lê kuiški dai, which can be translated freely as “none shall undertake to kill the other behind his back (1-edani .... appan)”;4 it is in fact difficult to render in a modern language the pleonasm formed by the presence of more than one pronoun used as the subject, that is, with the enclitic particle -aš, with 1-aš and with kuiški. The same expression also appears in the treaty between Muršili II and Kupanta-Kurunta, the successor of Mašøuiluwa on the throne of Mira and Kuwaliya, KUB VI 44+ IV [27’]-28’, where, however, the indefinite pronoun kuiški after lê is missing. Another metaphor well-known also from documents of various kinds such as mythological texts and letters, etc., is the expression dankui tekan “dark earth” used to indicate the Underworld. This recurs in various treaties in the curse formulas against those who have not honoured their oaths and must therefore be completely annihilated - in some texts with their family and all their goods - “on the/from5 the dark earth”, in the sense that they will find no peace, not even in the Underworld. We may mention, for example, the treaty with ÷uqqana of ÷ayaša (KBo V 3+ IV 50’-59’); the treaty between Muršili II and Manapa-Tarøunta of the land of the river Šeøa (KUB XIV 49+ IV 35’39’); the treaty between Muwattalli II and Alakšandu of Wiluša (KUB XXI 1+ IV 33-37); and the treaty with Ulmi-Teššup of Tarøuntašša6 (KBo IV 1+ Rev. 12-14, 18-20). Various expressions are used to indicate the death of a sovereign,7 like the well known DINGIRLIM kiš- “to become a god” (see, for Cfr. G. Beckman, HDT, 23-24. Cfr. J. Puhvel, HED 1-2, 91; 4, 209; G. Beckman, HDT, 67. 5 In the treaties with ÷uqqana and with Ulmi-Teššup the postposition šêr is used; in the other two examples cited here the simple ablative. 6 On the controversial question whether the Hittite king who stipulated this treaty was ÷attušili III or Tutøaliya IV, see most recently H. Klengel, Geschichte des hethitischen Reiches, Leiden 1999, 239, 258, 290 f. 7 See V. Haas, GHR (1994), 216; Th.P.J. van den Hout, Hidden Futures, Amsterdam 1994, 41-44; P. Taracha, FsNowicka (1998) 189 note 2. 3

4

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example, the treaty between Tutøaliya IV and Šaušgamuwa of Amurru: KUB XXIII 1 I 41, II 20). We should also mention the expression ÷UR.SAG EMÊDU, “to reach the mountain”, which in this context means to die8 (treaty between ÷attušili III and Bentešina of Amurru: KBo I 8 Obv. 7); and the expression EGIR-KI ŠIMTI-ŠU ALÂKU, “to go to one’s own destiny”9 (treaty between ÷attušili III and Bentešina, Obv. 16). Moreover, in the treaty with Alakšandu of Wiluša, where there is mention of the succession to the throne after the latter’s death, the expression ŠA AMA=KA UD-aš ari is used (KUB XXI 1+ I 63’-64’), “the day of your mother10 (= your day of death) arrives”. Whereas euphemistic expressions are used to indicate someone’s physical death, the term “to die” (MÂTU) is used explicitly to indicate the end of a person’s political career. In fact, with regard to the removal of Bentešina from the throne of Amurru by Muwattalli II and to his later political rehabilitation by ÷attušili III, in the treaty stipulated by the latter with Bentešina the following expressions are used: “(Obv. 11-12) Bentešina was (politically) dead in the [land] of Amurru”; “(Obv. 22-23) You (= ÷attušili) are giving life to me (= Bentešina), a dead man”.11 There are expressions which use images drawn from the animal world. For example, in the treaty between Tutøaliya I/II and Šunaššura of Kizzuwatna,12 with regard to the semi-nomadic people of Išuwa who had gone from being subjects of ÷atti to being subjects of Mittani, the following metaphor is used: “(KBo I 5 I 17-18) Now, finally, the cattle (= the people of Išuwa) have chosen their stable (= the land of Mittani)”.13 The same metaphor is used to indicate the passage of Kizzuwatna to the sphere of Hittite power: “(I 30-31) Now the people of the land of Kizzuwatna are Hittite cattle and have chosen their stable”.14 8 On this expression see E.F. Weidner, PD (1923) 125 note 12; CAD E, 140; V. Haas, GHR, 216; S.Y. #enyurt, in Acts of the IIIrd International Congress of Hittitology, Ankara 1998, 581. 9 See CAD A.1, 300 ff. 10 See J. Puhvel; HED 1-2, 56; V. Haas, GHR, 216; Th.P.J. van den Hout, op. cit., 42; S.Y. #enyurt, op. cit., 580. 11 Similarly in the same text Obv. 24. 12 For the identity of the Hittite king who stipulated this treaty see G. Beckman, HDT, 13 f. with previous literature; differently see now Ph.H.J. Houwink ten Cate, AoF 25 (1998) 34 ff. 13 See G. Beckman, op. cit., 15. 14 See G. Beckman, op. cit., 15.

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2. Hyperbole The phrase “not even a blade of straw or a spunter of wood”, which recurs in both Hittite and Akkadian in texts of various kinds,15 to indicate something insignificant, very small, or of a little value, is found in the treaty between Šuppiluliuma I and Šattiwaza of Mittani, in the version of the Hittite part (KBo I 1 Obv. 51: ÷ÂMU U ÷U¬ÂBU). A similar image, used to indicate a fault of the smallest kind, is found in the treaty attributed to Arnuwanda I and stipulated with ÷uøazalma, presumably the king of Arzawa: “(KBo XVI 47 Obv. 8’-9’) if (the cities of Ura and Mutamutašša) sin as much as a thread of wool (SIGmaišta-),16 [then] I My Sun (= Arnuwanda I) shall fight them from here (= from ÷atti), you (= ÷uøazalma) fight them from there (= from Arzawa)”.17 In this context we should also recall the expression that appears in the treaty with Šattiwaza, in the version of the Hittite part, in which Tušratta states that he is ready to invade the territories beyond the Euphrates, even if only a lamb or kid-goat of his country should come to any harm (KBo I 1 Obv. 9).18 In the treaty between Šattiwaza and Šuppiluliuma, with regard to the fact that the king of Mittani, Šuttarna, had impoverished the goods of his country, the following expression is used: “(KBo I 3(+) Obv. 11) He (= Šuttarna) exhausted the house of the king of the land of Mittani, together with its treasures and its riches. He filled it with dirt (ITTI EPIRI UBTELLIL)”.19 3. Hendiadys We may consider as hendiadys the expression that recurs several times in the treaty with Kupanta-Kurunta: warriš/NÂRÂRU GÉŠPUaš(=a) šardiyaš eš- “(KBo V 13 II 9’, 10’, 12’, and 15’-16’, where the expression appears in the negative form), to be supporter and helper of On this expression see E. von Schuler, Or 52 (1983) 161-163. See CHD L-N, 119. 17 See S. de Martino, L’Anatolia occidentale nel medio regno ittita, Firenze 1996 (= EOTHEN 5), 69-71, and 63 ff. for the attribution of this document to Arnuwanda I and for the identification of ÷uøazalma as king of Arzawa. 18 For this phrase see E. Weidner, PD, 4-5 with note 3. 19 See G. Beckman, HDT, 45; see also CAD E, 186: “he mixed it with dust”. 15

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the forearm(?),” to indicate the strong support which Kupanta-Kurunta and his descendants must ensure to the Hittite sovereign Muršili II and to his heirs; the same expression is used also in the treaty with Alakšandu, KBo XXI 1+ III 39, 43. Another example of hendiadys appears in the Middle Hittite treaty with the Kaskeans: “(KBo VIII 35 II 15’) let you (= the Kaskeans) thrive (and) prosper (maišten šišten) in the hand of the King”. Note that the combined use of the two verbs mai- and šišt- also crops in other texts of various kind.20 4. Idioms An expression that could be taken from everyday language is found in the historical introduction of the treaty between Muršili II and Kupanta-Kurunta. The Hittite king, with regard to the succession of Kupanta-Kurunta after Mašøuiluwa on the throne of Mira and Kuwaliya, quotes the words of the latter: “(KUB VI 41+ I 24-25) I (= Mašøuiluwa) have no son. The people (antuøšatar) are grumbling (?) against us: ”.22 A similar expression to the one quoted above, which also seems to be characteristic of the spoken language, appears in the treaty with Alakšandu: “(KUB XXI 1+ III 17-18) ... if someone comes and whispers before you (= Alakšandu): ”. 5. Emphatic Expressions Emphasis in a phrase may be expressed by resorting to various stylistic devices, such as the use of words with a figurative meaning. In the treaty with Šunaššura of Kizzuwatna the renounce of the king of Mittani to have diplomatic relations with this country is expressed with the phrase “(KBo I 5 III 59) I (= the king of Mittani) will indeed have no See CHD L-N, 115. Restorations follow KBo IV 7+ I 25. 22 See CHD L-N, 77; G. Beckman, HDT, 70. 23 Restorations according to KUB XXI 5 III 33. 20 21

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illicit relations (?) [with] the land of Kizzuwatna”. We may observe here the use of the Akkadian verb NÂKU, which means specifically “to have sexual relations”.24 In the treaty in Akkadian with Šattiwaza, Šuppiluliuma I emphasises how Hittite military intervention in favour of the Hurrian prince had revitalized (BALÂÅU)25 Mittani. All this was done by virtue of the family ties which linked this Hittite king to his son-in-law Šattiwaza: “(KBo I 1 Obv. 57-58) I, Great King, King of ÷atti, have given life to the land of Mittani, for the sake/on the wishes of my(!) daughter”. Further on in the text we read: “(Rev. 22) And I, Great King, King of ÷atti, will revive the dead land of Mittani”. The treaty ends with the following auspicious formula: (Rev. 75) [Prolong the life] of the throne of [your father]; prolong the life of the land of Mittani!”26 Moreover, in the treaty between Šattiwaza and Šuppiluliuma I, the former uses the words: “(KBo I 3+ Obv. 28) If you, my lord, will give me life”,27 alluding to the support that may be given to him by the king of ÷atti. See also the treaty in Akkadian between Šuppiluliuma I and Tette of Nuøašše, KBo I 4+ III 57-]58. It should be noted that the image of the Great King who gives life to the subordinate countries belongs, as it is known, more to the Egyptian tradition than to the Anatolian one. This tradition may have been transmitted through Hurrian-Syrian mediation; in fact it is no coincidence that it appears in a treaty with the king of Mittani. Particular emphasis can be observed in some curse formulas directed at countries subordinate to ÷atti, in the event that they fail to honour commitments taken under oath. Note the great efficacy of a passage from the Middle Hittite treaty with the Kaskeans, KBo VIII 35: “(II 1925) if you come to attack the land of ÷atti, may Zababa turn back your weapons28 and may they eat your own flesh; may (he) [t]urn back your arrows and may they pierce your own hearts.29 And if you break the

See E. Weidner, PD, 105 note 8; CAD N.1, 197-198. See CAD B, 60. 26 See G. Beckman, op. cit., 40-44. 27 See G. Beckman, op. cit., 45. 28 See CHD P, 145. 29 See CHD P, 220. 24

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oaths, your oxen, your sheep and men shall not procreat]e, and let the oath deities devour your children within you (lit. in your heart)”.30 With such crude images the Hittite sovereigns aimed to terrorize their partners and thus prevent possible violations of sworn pacts, especially when the contracting countries seemed less trustworthy to them, also because they were not organized in centralized forms of government, as were the Kaskeans. A form of emphasis can also be detected in the lapidary reply of the king of Mittani in a passage from the treaty with Šunaššura, with regard to the request of the Hittite sovereign that the people of Išuwa who had previously passed into Hurrian territory are returned to him: “(KBo I 5 I 12-13) But the ruler of ÷urri sent back to My Sun thus: “.31 Such concise replies, nonetheless effective, also appear in other texts, among which, by way of example, we may mention a passage from the letter sent by ÷attušili III to the king of Aøøiyawa concerning the affair of Piyamaradu (KUB XIV 3 I 71), in which the latter brusquely responds “No!” to the proposal of the Hittite sovereign.32 6. Similes In the treaty in Akkadian between Šuppiluliuma I and Šattiwaza, within the curse formulas, we find a series of similes which express with particularly strong images the terrible fate reserved for the king of Mittani should be fail to honour the oaths he has undertaken: “(version of the Hittite part, KBo I 1 Rev. 61-68)33 The gods, lords of the oath ... will draw you (= Šattiwaza and the Hurrians) out like malt from its husk. As one does not get a plant from the midst of PUPUWA÷I,34 so, you, together with your wives, your sons, and your land shall have no progeny. ... And, you, Šattiwaza - these oath gods shall snap you off like a reed, together with your land. ...The ground shall be ice, so that you

30 See CHD L-N, 68; on this kind of curse formulas see N. Oettinger, Die militarischen Eide der Hethiter, Wiesbaden 1976 (= StBoT 22), 77 ff. 31 See G. Beckman, op. cit., 15. 32 See F. Sommer, Die Aøøijavâ-Urkunden, München 1932 (= ABAW 6), 6-7. 33 The same images also appear in the version of the Hurrian part, KBo I 3+ Rev. 27-33 for these passages see G. Beckman, op. cit., 44, 48. 34 See E. Weidner, PD, 33 note 8; AHw II, 879.

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will slip. The ground of your land shall be a marsh of SA÷÷U,35 so that you will certainly sink and be unable to cross”. Analogous curse formulas are found in the treaty between Šattiwaza and Šuppiluliuma (KBo I 3+ Obv. 44-52).36 Although effective expressions do appear in the curse formulas of some Hittite treaties, as already mentioned, we should point out that such vivid images do not appear frequently in this type of document. We might therefore advance the hypothesis that in the composition of this treaty, particularly in the version drawn up by Šattiwaza, that is, the version of the Hurrian part, a repertoire of images characteristic of the Assyrian tradition were adopted, a tradition we do not know about from treaties of the Middle Assyrian age, but one that is well documented for the Neo-Assyrian Age.37 II. SPECIAL EXPRESSIONS There are in the treaties frequent expressions in which parts of the body are used, for example: 1) the hand, 2) the eyes, 3) the heart. There are also expressions containing 4) terms linked to the sphere of the family. 1) We will not deal here with expressions containing the word “hand”, because they are the object of a recently published work.38 2) Let us now proceed to an examination of those expressions using another part of the body, that is, the term “eyes”, again in relation to international treaties. In the treaty with Šunaššura, with regard to the pledge requested of this sovereign by the Hittite king of not supporting any possible defections of countries, cities and people subject to ÷atti, we find the following phrase: “(Hittite text, KUB VIII 81+ II 8’-10’) You, Šunaššura must non make it (= a land or a group of people) turn away from

See CAD S, 56. See G. Beckman, op. cit., 49. 37 See for example S. Parpola, Neo-Assyrian Treaties and Loyalty Oaths, Helsinki 1988 (= SAA 2), passim. 38 S. de Martino-F. Imparati, GsMoreschini (1998) 175-186. 35 36

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following (me = the King of ÷atti); he shall keep (his) eyes (turned) to him/her/it”. The interpretation of the final phrase poses problems (l. 10’): :ša-aku-wa-aš-še-eš-ša-an øar-du. In the first place we note the inexplicable presence of the gloss mark in front of the first word. Another difficulty is the identification of the suffixes following the term šakuwa “eyes”; we can interpret here the expression either šakuwa=šeš=šan, “the eyes to him/her/it”,39 or šakuwa=ši=šan, “his/her eyes”; in the latter case the neutral gender of the noun does not agree with the common gender of the possessive, even though sometimes this non-agreement may be found especially in relation to parts of the body.40 The second problem is the identification of the subject of the verb øardu in the 3rd person singular; the third problem is knowing to whom the enclitic pronominal form -ši may refer. It would seem plausible to consider Šunaššura the subject of the phrase, even though in this case we would have the 2nd person singular of ll. 8’-9’ passing to the 3rd person singular; changes of subject however, as we know, are not infrequent in the treaties. As regards to the third problem, G. Beckman believes that the pronoun -ši refers to the Hittite king and translates the passage thus: “He (= Šunaššura) shall keep his eyes turned to His Majesty (-ši)”.41 In our view, however, it is strange that the expression ANA DUTUŠI is not used here in reference to the Hittite sovereign, as it is in other parts of the text (II 1’, 4’, 6’, 13’). In our opinion, the most likely explanation is that the pronominal form under examination refers to the country, to the cities and to people mentioned in l. 6’, using here a form in the singular with a collective value. Thus the Hittite sovereign requests Šunaššura to turn his eyes to countries, cities and people who have passed to Hittite side, with the purpose of controlling their movements and avoiding possible defections. Returning again to examine certain expressions containing the word “eyes”, we remember a passage from the treaty with Tuppi-Teššup in which the Hittite sovereign intimates to this king not to pass to the side See A. Goetze, ZA 36 (1925) 16. See J. Friedrich, HE 1, 66. 41 J. Friedrich, HE 1, 21. 39

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of another sovereign with the words: “(Hittite version, KBo V 9 I 32’) You shall not turn your eyes to another (damedani IGI÷I.A=wa lê neiyattati)”.42 In the treaty between Šuppiluliuma I and Šattiwaza, to express the friendship that should link the countries of ÷atti and Mittani, even in the future, it is said that these two countries should not look at each other “with an evil eye (INA ÎNI LEMUTT[I])”43 (KBo I 1 Obv. 68). It is interesting to mention the ban addressed by a Hittite sovereign to a subordinate ruler on “directing towards the mountain the eyes” of fugitives or seminomadic peoples who had left Hittite territories and entered the country of the king subordinate to ÷atti. The purpose of this ban was to prohibit the subordinate ruler from sending such groups of people to places that were difficult to control for Hittite troops; this ruler should rather direct them on the road to ÷atti; see, for example, the treaty in Akkadian between Šuppiluliuma I and Tette of Nuøašše (KBo I 4+ III [41-47]); and the treaty in Akkadian between Muršili II and Tuppi-Teššup of Amurru (KBo V 9 III 20). In the treaty in Akkadian between Muršili II and Niqmepa (RS 17.338+ 61-65) it is added also that the sovereign of Ugarit should provide for sustenance of these seminomadic peoples, even supplying them with “beer and provisions”. 3) As regards those expressions in which the word “heart” appears,44 we should mention two passages from the treaty in Hittite stipulated by Muršili II with Kupanta-Kurunta; here the Hittite sovereign reaffirms that the latter should not listen to evil rumours aimed at breaking the peaceful relations established between them and orders the subordinate king to keep the relevant clauses of the treaty deeply impressed in his heart: “(KUB VI 41+ IV 24’-25’) this word is to be left in your heart (ŠÀ-ta) and leave it in your heart....”. Equally, further on in the text, we read: “(KUB VI 44+ IV 23’-24’) [This wo]rd is to be sealed in [y]our heart (ŠÀ-ta), like a bond and leave in your soul (ZI-ni) this [word]”.45 4) Various expressions use terms linked to the sphere of the family. It is well known that some of these terms are sometimes used in a metaphorical sense, like “father” and “son”, to indicate an unequal For šakuwa with the verb nai- see CHD L-N, 350 f. See CAD I-J, 156. 44 See A. Kammenhuber, ZA 56 (1964) 150-212; ZA 57 (1965) 177-222. 45 See J. Friedrich, SV I (1926) 138. 42

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relationship between a person of superior rank and another of inferior rank, and “brother” to indicate a relationship of parity. In the treaty between Šuppiluliuma I and Aziru, the Hittite sovereign, addressing himself to the latter, says that the nobles of ÷atti, who are in the land of Amurru, “shall walk like brothers [before you] (= Aziru) (Hittite version, KBo X 12(+) III 10’)”. This expression also appears in an analogous context in the treaty in Akkadian between Šuppiluliuma I and Tette of Nuøašše (KBo I 4+ III 13-14) and in the one, again in Akkadian, between Muršili II and Niqmepa of Ugarit (RS 17.338+ 42). It may have had the aim of emphasizing the unity and harmony that should exist between the subordinate king and the Hittite high dignitaries, but also of emphasizing that the position of the subordinate king corresponded to that of the nobles of ÷atti46 and therefore, in some way, of playing down the rank of this king. III. STYLISTIC-NARRATIVE ELEMENTS In this section the elements we wish to draw attention to concern the inclusion in the text of: 1) admonitory anecdotes, 2) themes recurring in other kinds of text, 3) passages reported in direct speech. 1) Certain clauses of the treaties are exemplified by means of anecdotes, which have the purpose of furnishing warning and codes of conduct. We shall briefly mention two well-known examples. One concerns the episode of Mariya that appears in a passage from the treaty in Hittite stipulated by Šuppiluliuma I with ÷uqqana of ÷ayaša, in which (KBo V 3+ III 40’-47’) it is said that Mariya had dared to look at a palace woman and because of this had been put to death. This episode had taken place at the time of the father of the Hittite king, Tutøaliya III. It has recently suggested by P. Dardano47 that this was a fictitious episode set in the past to lend greater credibility to the narration. However, since a person named Mariya is also mentioned twice in col. IV (ll. 42’, 51’) of the same text, where part of an earlier treaty is

46 For this second hypothesis see G.F. Del Monte, Il trattato fra Muršili II di ÷attuša e Niqmepa di Ugarit, Roma 1986 (= OAColl 18), 84. 47 P. Dardano, L’aneddoto, 8-9.

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reported,48 we may assume that this event had actually taken place at the time of Tutøaliya III. The other example comes from the treaty between Tutøaliya IV and Šaušgamuwa of Amurru, in which (KUB XXIII 1+ II 20-38) the Hittite sovereign warns the king of Amurru not to behave in the same way as Mašduri, king of the land of the river Šeøa, towards Urøi-Teššup. We underline in the whole passage the instrumental emphasis in the narration of the episode by Tutøaliya and in particular the use of the direct speech and rhetorical questions in the quotation of the words attributed to Mašduri concerning Urøi-Teššup: “(KUB XXIII 1+ II 29) Will I protect even a bastard? Why should I act on behalf of the son of a bastard?”.49 As noted elsewhere, what emerges from this passage is the political ability of Tutøaliya, who stigmatises Mašduri’s conduct and at the same time emphasizes, through the latter’s own words, the non-legitimacy of Urøi-Teššup, thus conferring validity to the coup d’état carried out by his father; in fact, thanks to this coup d’état Tutøaliya himself had become king.50 2) About the themes recurring also in other texts, we note some of these themes in so-called “historical” texts. We may recall, by the way of example, various passage in which it is intended to demonstrate the dishonesty and cowardice of the enemy. In the Akkadian version of the treaty stipulated by Tutøaliya I/II with Šunaššura of Kizzuwatna,51 the Hittite sovereign underlines the cowardice of the king of Mittani in battle with the phrase “(KBo I 5 I 21-22) They (= the Hurrians) plundered the land of Išuwa behind the back of My Sun (INA ARKI DUTUŠI)”.52 By specifying that the king of Mittani had attacked Išuwa behind the back of the king of ÷atti, the latter wants to show that the norms of correct conduct to which one should adhere even in the course of military operations were not

See O. Carruba, FsOtten2 (1988) 59 ff. See G. Beckman, op. cit., 100. 50 See F. Imparati, FsHouwinktenCate (1995) 148 with note 29. 51 Cfr. note 12. 52 See E. Weidner, PD, 91; G. Beckman, op. cit., 15. 48

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followed.53 Moreover, with this military expedition the Hurrian king broke an agreement of non-belligerence previously undertaken with the Hittite sovereign, as we read a few lines further on in the text: “(I 25) The [ruler of] ÷urri transgressed the oath”. In this context it is interesting to make a comparison with a passage from the “Detailed Annals” of Muršili II (KBo XIV 19 III 2’-3’),54 in which it is said that the inhabitants of the locality of Tiøuliya,55 taking advantage of the absence of Šuppiluliuma I, who was in ÷urrian territory, attacked Muršili behind his back. In a passage from the treaty between Šattiwaza and Šuppiluliuma I it is said that the Assyrian armies repeatedly refused to go to battle against Piyaššili and Šattiwaza: it was intended thus to emphasize the cowardice of the enemy56 (text in Hittite, KUB XXIII 50+ 21’-29’). We may recall, by way of comparison, a passage from the “Detailed Annals” of Muršili II, in which this sovereign narrates that at the beginning of his reign he had stationed a military contingent at Karkemiš against a possible Assyrian attack: when the Assyrians came to know of the presence of this contingent, they attacked no more (KUB XIV 16 I 12’-19’).57 Again in the “Detailed Annals” of Muršili, in reference to an attack against the Hittites which the Kaskeans had wanted to organize on Mount Kulitøa,58 it is said that the Kaskeans, on the arrival of Muršili, fled from the encounter with the Hittite troops (KBo XVI 8+ II 28’-38’).59 3) Lastly we can note that the use of direct speech in the various parts of the treaties, both in the historical introduction and in the clauses, often assumes a particular significance. In the historical introduction it serves mainly to lend veracity to the description of past events, used instrumentally. 53 On the rules of war in the ancient Near East see M. Liverani, Guerra e diplomazia nell’antico Oriente, Bari 1994, 140 ff. 54 See G.F. Del Monte, L’annalistica ittita, Brescia 1993 (= TVOA 4.2), 119. 55 See G.F. Del Monte, RGTC 6, 419; RGTC 6/2, 168. 56 See M. Liverani, Guerra e diplomazia, 145. 57 See G.F Del Monte, L’annalistica ittita, 75. 58 See G.F. Del Monte, RGTC 6, 218; 6/2, 83. 59 See G.F. Del Monte, L’annalistica ittita, 110.

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In the introduction of the treaty with Šattiwaza direct speech is used instead to report a line of reasoning attributed to the enemy, even though it is not expressed verbally: it was thus intended perhaps to demonstrate the arrogance of a group of mariyannu who had dared to challenge Šuppiluliuma I: “(KBo I 1 Obv. 34-35) ... and they (= the mariyannu) began war, thinking: ”.60 Particularly interesting is a passage from the treaty between ÷attušili III and Bentešina, in which we find, in the form of direct speech, an entire phrase extrapolated from a letter, in all probability sent by the king of Amurru to the Hittite sovereign before the drawing up of the treaty. This passage is introduced by an incipit typical of letter-writing formulary: “(KBo I 8+ Obv. 22) Thus (say) to my lord!”. This is evidence that for drafting of treaties, as for that matter of other texts, documents in the archives were consulted. IV. SPECIAL EPITHETS ATTRIBUTED TO RULERS SUBJECT TO ÷ATTI

It is interesting to see how the Hittite sovereign addressed himself to the partner with whom he stipulated the contract. The epithets with which the king of ÷atti called or described the other contracting party depended on the political structure of the latter’s country, that is, whether it was organized according to a monarchical structure or according to a different structure. Obviously in the first case the ruler of the country subordinate to the Hittites was called or described with the title of “king”: we should mention, for example, the sovereigns of Tarøuntašša, Kizzuwatna, Aleppo, Karkemiš, Ugarit, Amurru and Mittani. In some cases the Great King emphasized, albeit instrumentally, that he had conferred kingship on his partner, elevating him from the position previously held. For example, in the treaty with Šunaššura the Hittite sovereign - to underline the difference in the treatment reserved for Šunaššura by ÷atti compared to the treatment Mittani had 60

See G. Beckman, HDT, 39.

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previously imposed on him - expresses himself thus: “(KBo I 5 I 38-39) The Hurrians call Šunaššura a servant, but My Sun has now made him a true king”.61 As far as the second case is concerned, that is, when the other contracting country was not governed according to a monarchical structure, the Hittite sovereign simply called his partner by his name, without any title, as in the case of ÷uqqana of ÷ayaša. Šuppiluliuma I also addresses himself to the latter with a clearly derogatory epithet, whose interpretation, however, is controversial. In fact in KBo V 3+ I 23, where Šuppiluliuma says he has elevated (šara dâ-) ÷uqqana from a humble condition, this condition is expressed with a term that scholars have interpreted in different ways due to the tablet’s poor state of preservation at this point: J Friedrich, followed by other scholars,62 reads here apizzin UR.åSAG¥-an “ein einfacher(?), (aber) tüchtiger (Mann)”, while J. Klinger,63 E. Eichner64 and G. Beckman65 read apizzin UR.åGI7¥an “a lowly dog”. We incline towards the latter interpretation,66 since in the first case the adjective appizzi- would contrast strikingly with the term UR.SAG, “hero”, to which it refers, unless of course we attribute to the expression a highly ironic tone. One singular example is an expression that recurs in a passage appearing in two treaties stipulated by Muršili II with the rulers of countries in western Anatolia, that is Targašnalli of ÷apalla (KBo V 4 Rev. 2-15) and Kupanta-Kurunta of Mira and Kuwaliya (KBo IV 3+ IV 20’-37’). Indeed, in the passage under examination of the two abovementioned treaties Muršili establishes that the three “free man” (LÚMEŠ ELLÛTIM), Targašnalli, Mašøuiluwa before67 and then KupantaSee G. Beckman, op. cit., 15. J. Friedrich, SV II, 107 note 1, 137-138; see also HW2, 187: “Held von geringem Rang”; J. Puhvel, HED 1-2, 9: “a down-at-the-heels paladin”. 63 J. Klinger, Xenia 32 (1992) 192, 208 note 42. 64 “÷uqqana von ÷aiaša: Held oder Hund?”, lecture held at the “II Congresso Internazionale di Hittitologia”, Pavia 1993. 65 G. Beckman, op. cit., 23. 66 The term “dog” used in a derogatory way is also documented in the letter KUB III 61 Rev. 3, on which see A. Hagenbuchner, THeth 16 (1989) 455-456; S. de MartinoF. Imparati, StMed 9 (1995) 105-106. 67 Mentioned in the treaty with Targašnalli. 61

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Kurunta,68 and Manapa-Tarøunta should be linked by a single oath, mantain peaceful relations among themselves and not conspire against each other. The presence of this passage in the treaty with Kupanta-Kurunta suggests that an analogous passage also appeared in the previous treaty which has not survived - stipulated by Muršili II with the predecessor of Kupanta-Kurunta, that is, with Mašøuiluwa. Further, again in the treaties with Targašnalli and with KupantaKurunta, Muršili defines the relations which these rulers should have with other “free men” (again using the same expression here), who in all probability governed neighbouring countries.69 These relations, whether amicable or hostile, were to be inspired by a unitary policy on the part of Targašnalli, Mašøuiluwa before and then Kupanta-Kurunta, and Manapa-Tarøunta: a unitary policy that was also reflected in the request to the three of them by the Hittite king for a single oath. This policy adopted by the Hittite sovereign, although being presented as an invitation to maintain the peace in that particular geographical area, may in reality have had the aim of obtaining a sort of reciprocal control of each of the three rulers over the others, thus preventing one of them from acquiring a position of supremacy that may have been dangerous for the stability of Hittite power in western Anatolia. What is surprising, on the other hand, is the diversity of the formulary appearing in the treaty with Manapa-Tarøunta, where only the relationship which this ruler should have with Mašøuiluwa is established (KUB XIX 50+ III 20-27; KUB XIX 49+ III 19’-47’). S. HeinholdKrahmer70 has suggested that the reason for this lies in the fact that the land of the river Šeøa was more adjacent to Mira and Kuwaliya than to ÷apalla, and also in the fact that Muršili II was more preoccupied about the unreliability of Manapa-Tarøunta and about a possible aggressive policy of the latter towards Mašøuiluwa. These considerations however, In the treaty stipulated with him by Muršili II. See the treaty with Targašnalli KBo V 4 Rev. 10 and the treaty with KupantaKurunta KBo IV 3+ IV 24; for the interpretation of the expression araøzanda weø- see J. Friedrich, SV I, 63 note 2, 88; E. Neu, StBoT 5 (1968) 198; HW2 I, 241; J. Puhvel, HED 1-2, 132. 70 S. Heinhold-Krahmer, THeth 8 (1977) 134 f. 68

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in spite of their validity, do not explain the fact that in the treaty with ÷apalla we find both the land of the river Šeøa and Mira-Kuwaliya mentioned in a similar context. One might suppose that the treaty with Manapa-Tarøunta had been stipulated before the treaty with Targašnalli; it must be pointed out, however, that in the treaty with Manapa-Tarøunta (KUB XIX 50+ III 15-19) Muršili mentions, together with Manapa-Tarøunta, also Mašøuiluwa and Targašnalli, which means that at the time this act was drawn up the Hittite king had already proceeded with the tripartite division of the territory belonging to the former kingdom of Arzawa. Returning now to the epithet given by Muršili to these three persons, that of “free men”, it has been pointed out that he never calls them “kings”, a term which is used for the first time by Muwattalli in the treaty with Alakšandu71 in reference, in addition to the latter, to the present rulers of western anatolian countries, Manapa-Kurunta,72 KupantaKurunta and Ura-÷attusa.73 It may be recalled, in this regard, that Manapa-Tarøunta and Mašøuiluwa belonged to families that had for some time held local power and who gravitated political in the sphere of Arzawa.74 On the basis of the documentation in our possession, it cannot be established whether these families already held the kingship in these countries subordinate to Arzawa or whether they held power in another form. However, since Muršili - as S. Heinhold-Krahmer has pointed out75 does not call “king” even Uøøa-ziti, who instead had in all probability been the king of Arzawa, in our view it is not surprising that the Hittite sovereign chooses not to recognize the kingship of Manapa-Tarøunta and Mašøuiluwa either. Obviously, it is a device for belittling the power 71

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See E. Forrer, Forsch. I, Berlin 1926, 89 f.; S. Heinhold-Krahmer, op. cit., 127-

About the interpretation of this name and the identity of the person who bore it, see S. Heinhold-Krahmer, op. cit., 154-157; Ph.H.J. Houwink ten Cate, JEOL 28 (1983-84) 62; G. Beckman, HDT, 118 note 20; D. Hawkins, AnSt 48 (1998) 16 note 68. 73 In all probability the successor of Targašnalli: see S. Heinhold-Krahmer, op. cit., 153 and note 176. 74 For Manapa-Tarøunta see S. Heinhold-Krahmer, op. cit., 102; Manapa-DU, in: RlA 7 (1987-1990) 332; for Mašøuiluwa see G.F. Del Monte, Or 43 (1974) 356-357; S. Heinhold-Krahmer, op. cit., 100-101; RlA 7 (1987-1990), 446-447. 75 S. Heinhold-Krahmer, op. cit., 102-103. 72

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of these two figures in a official act, thus emphasizing the superiority of the king of ÷atti over the recently conquered countries of western Anatolia. It must also be pointed out that when Muršili uses the term “free men”76 to refer also to the chiefs of localities neighbouring the countries ruled by Manapa-Tarøunta, Mašøuiluwa and then Kupanta-Kurunta, and Targašnalli - neighbouring chiefs and localities whose name the Hittite sovereign feels it is unnecessary to mention - it seems that his intention is to put any anonymous local chief on the same footing as the rulers of politically well-defined countries like the land of the river Šeøa, MiraKuwaliya and ÷apalla. This, in substance, is perfectly in line with the political approach adopted by the Hittite sovereigns in most of the treaties of subordination, in which manifestations of favour towards the subject rulers alternate with emphatic expressions of their inferiority compared to ÷atti. It is difficult to establish the identity of the above-mentioned chiefs of the localities neighbouring the three western Anatolian countries, defined as “free man”, and also the identity of the localities governed by them. It is significant, however, that Muršili had not stipulated any treaty with them. This is bound up with the question of how Muršili had divided up and organized the territory of Arzawa as a whole. The problem, which has been tackled by S. Heinhold-Krahmer,77 is one that is difficult to resolve due the nature of the documentation in our possession. In fact, although we know about Muršili’s creation of states like Mira and Kuwaliya, the land of river Šeøa and ÷apalla, we don not know whether or not these countries covered the entire territorial area of Arzawa. Given that the country of Mira and the land of the river Šeøa already existed as local powers at the time of the kingdom of Arzawa, it is improbable that they constituted the core of the country of Arzawa. As we know, at the time of Muršili’s conquest they were enlarged with the addition of the territory of Kuwaliya78 and Appawiya79 respectively; the

S. Heinhold-Krahmer, op. cit., 134 f. S. Heinhold-Krahmer, op. cit., 136-147. 78 See G.F. Del Monte, RGTC 6, 232; 6/2, 89. 79 See G.F. Del Monte, RGTC 6, 27; 6/2, 8. 76

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state of ÷apalla was then created.80 It is possible, however, that other regions - above all those which constituted Arzawa’s core - were neither annexed to new states81 nor incorporated into ÷atti. They may in fact have remained partly empty following the massive deportation of the peoples of Arzawa worked by Muršili82 probably to impoverish these regions and thus render them inoffensive. They may also in part have been left to peoples who were not incorporated into some politically organized structure and have been ruled by these local chiefs, to whom reference may have been made in the treaties precisely with the expression “free men”: local chiefs who surrounded the countries of Mira and Kuwaliya, the river Šeøa and ÷apalla. In this way, in fact, there would have been no danger that, by leaving alive the central nucleus of the kingdom of Arzawa, this could revive and again represent a threat to the stability of Hittite power in western Anatolia.

80 Even though the name of this country is already documented in the Annals of Tutøaliya I/II, KUB XXIII 11 II 6’. 81 For another opinion see D.J. Hawkins, AnSt 48 (1998) 23. 82 See E. Forrer, Klio 30 (1937) 25; S. Heinhold-Krahmer, op. cit., 143-145.

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XXXIX. MORE ON THE SO-CALLED “PU÷ANU CHRONICLE”

This text (CTH 16.a) has been the object of a number of studies by Hittitologists. O. Soysal1 has published a transliteration with translation and an ample philological and historic-literary commentary. Among other scholars who have analysed the document from a variety of viewpoints, H.A. Hoffner has himself made a significant contribution.2 It is to him that we dedicate this short article, with our admiration and acknowledgements for his important contribution to Hittitological studies and with our warmest wishes. As is well known, the text has survived as a series of fragments,3 each of which is referred to in this paper. I. KUB XXXI 4 + KBo III 41 The first line of the text introduces Puøanu as the author of the document and describes him as a “servant” (ARAD) of Šarmaššu. First of all we are confronted by the problem of the identity of Puøanu.4 Although up until now this anthroponym has been documented only here, the name Šarmaššu also appears in §§ 3 and 4 of the “Palace Chronicle”,5 a text that can be dated to the time of Muršili I, but in which reference is made to events from the time of ÷attušili I.6 Since in 1 Heth 7 (1987) 172-253; Heth 14 (1999) 109-37, to which one may refer for previous literature. 2 JCS 24 (1971) 34-35; CoS I, 184-85. 3 On the reconstruction of the text and the manuscripts that have tradited it, see O. Soysal, Heth 7 (1987) 184-85. 4 On the name Puøanu, see H. Otten, 1455 (1963) 161; O. Soysal, VO 7 (1988) 121 with note 50, with earlier bibliography. See also AHw, 877, to which which we shall return later. M. Forlanini, VO 7 (1988) 129, believes that Puøanu was a Syrian scribe in the service of Šarmaššu. 5 See most recently P. Dardano, L’aneddoto, 32-35. 6 See most recently P. Dardano, L’aneddoto, 10-11 with previous literature.

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this latter text there is mention too of Zidi, who also appears in the document presently under examination, it would seem reasonable to assume that we are dealing with the same persons and that our text too can be dated to the reign of ÷attušili I.7 Puøanu, the author of the document, seems in the course of the narration (see below) to have an important function in introducing the events and in pressing their protagonists with questions.8 After the heading of the document (l. 1), unfortunately in a fragmentary context, there is introduced a person described - on the basis of what remains in the text - simply by the term antuøša-;9 the fragmentary nature of l. 1 makes it difficult to establish the identity and role of this figure within the narration. O. Soysal10 believes that this person is responsible here for the investiture of the sovereign, and that reference to the king is made with the following pronominal enclitic -ši. If we were to accept this hypothesis, we would then have to restore at least the title of the king, if not his name, in the break before antuwaøøaš=ši. Otherwise it would be strange that the first reference to the sovereign in the text is made in such a vague way by means of the pronoun alone. We agree with E. Neu,11 who claims that -ši here has a reflexive value, linked to the verb waš-, and who translates the phrase: “ein Mann zieht sich ein buntes Hemd an”, evidently assuming that no other words follow antuwaøøaš=ši at the end of l. 1. There remains the problem, however, of what the lacuna in the middle of l. 1 after the mention of the name of Šarmaššu might contain, and whether there was in fact some reference here to the Hittite sovereign, who otherwise would never be explicitly cited in KUB XXXI 4+. In ll. 2-3 there is a description of the clothing of the person mentioned in l. 1, whose identity in the document, as we have seen, is 7 See H. Otten, ZA 55 (1963) 162, and most recently O. Soysal, Heth 7 (1987) 196-199, Heth 14 (1999) 128. 8 According to O. Soysal, Heth 14 (1999) 13-32, Puøanu was a priest of the Weather god, present in the retinue of the Hittite army during the course of military enterprises. 9 This term is followed by the enclitic pronoun -ši. Due to the fragmentary nature of this text, it is uncertain to whom it refers. 10 Heth 14 (1999) 110-111 with note 4a. 11 StBoT 5, 123 with note 6.

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not specified. On the basis of what follows in the text, this person seems to represent the Hittite sovereign12 - or rather a “substitute” for him (see below). This second possibility may be supported by the fact that there is no mention of the sovereign even in the following paragraphs, and also by the justificatory tone that we find in the speech of the person in question. O. Soysal13 has already drawn attention to the analogy in formulation between the passage in question and the substitution ritual KBo XV 2+ Rev. 11’-15’14 and has advanced the hypothesis that the reference here is to a military ritual. We also accept the idea that the first part of the text contains the description of a ritual action. It is precisely the justificatory tone that suggests that by means of a kind of substitution ritual the sovereign was redeeming himself of some crime or offence he had committed, but that, as sovereign, he was unable to admit openly. In support of this hypothesis we should bear in mind that some scholars have associated the name Puøanu with the Akkadian term pûøu(m), which also designates a substitute in ritual actions.15 Furthermore, Hittite “substitution rituals” were derived precisely from the Mesopotamian tradition. Admittedly, we have records of these documents in ÷atti only from the beginning of the imperial age,16 but this is not to say that they were unknown in earlier periods.17 In this context the word antuwaøøaš (l. 1) might indicate the “substitute” in the ritual action. We are aware of the differences both in formulation and in the structure of the text between the substitution rituals hitherto known and the document under examination. This may be due to the particular situation considered here. It is certainly also significant that the document as a whole is not presented as a ritual, but seems to refer to a ritual operation only in the first part. Returning to the clothing of the person identified by us as the king’s “substitute”, we may note that it is characterized by three particular elements: a coloured robe, a basket placed on the head, and a bow. As Thus O. Soysal, Heth 7 (1987) 183; A. Archi, CANE IV, 2370-2371. Heth 14 (1999) 110-111. 14 See H.M. Kümmel, StBoT 3, 62-63. 15 See AHw, 877. 16 See H.M. Kümmel, StBoT 3, 188-189. 17 See Th.P.J. van den Hout, in Hidden Futures (1994) 4-41.

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regards the coloured robe - [TÚG.G]Ú.È.A GÙN.A - we recall that the term TÚG.GÚ.È.A often recurs in Hittite sources and is understood as a kind of tunic or shirt.18 The object which this “person” wears on his head is a “basket (made of wicker or reed)” (pattar).19 O. Soysal believes this to be a quiver, an object which in his view would be in keeping with the mention of a bow in l. 3.20 We concur, however, with the objections of H.A. Hoffner21 regarding both the meaning that pattar generally has in Hittite sources and also the unusual fact that a quiver is worn on the head. The comparison made by H.A. Hoffner22 with the Mesopotamian iconography of sovereigns bearing a basket on their heads to indicate their building activity could be associated with the mention of this royal attribute. The bow, as is well known, is a royal attribute and is frequently documented in the iconography of the imperial age.23 Thus, the coloured robe, the basket, and the bow could serve here as symbols of royalty to indicate whom the “substitute” represented. Moreover, one must bear in mind the important role played by the ceremony of dressing the substitute with the clothes of kingship in “substitution-rituals”.24 We must draw attention to the tone of the following ll. 3-11. Here, in fact, the king’s “substitute” begins to speak. As previously mentioned, we feel it to be significant that his words do not have a triumphant and celebratory tone. To the contrary, beginning already in l. 3 he asks for help - we do not know from whom or in what circumstances - and exculpates himself from misdeeds he claims he has never committed, specifying in particular that he has not taken possession of livestock or slaves. In § 3 the king’s “substitute” complains of having been treated badly and of suffering the imposition of the yoke: “Why do you treat me like 18 See the literature quoted by O. Soysal, Heth 7 (1987) 183. and for the Mesopotamian area, H. Waetzoldt, RlA 6 (1982-83) 22; see now also O. Soysal, Heth 14 (1999) 11. 19 See CHD P, 241-242. 20 Heth 7 (1987) 183 f.; Heth 4 (1999) 111; thus also A. Archi, CANE, 2371. 21 CoS I, 184 note 1. 22 CoS I, 184 note 1. 23 See most recently R.L. Alexander, Acts IIIrd Hitt. Congr., 16. 24 See H.M. KümmeI, StBoT 3, 1-15, ll. 20’-22’; 136-137, ll. 3’-7’.

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this and why have you boun[d] me with this yoke?” (l. 7). We do not know the reasons for these expressions of self-justification, nor to whom they are directed, or exactly who has set the yoke upon the sovereign, who addresses himself to his interlocutors using the second person plural. If one interprets this part of the document as referring to a ritual action, then the “substitute” might be addressing the gods, although these are not specifically mentioned, as they are in the passage of the above-mentioned substitution ritual (see below). In ll. 8-9 it seems that the character of this yoke is explained. What is striking here is the reference to two attributes mentioned in the preceding ll. 2-3, the basket and the bow. Nonetheless, the images used in ll. 8-9 are difficult to interpret. In the first image, the king’s “substitute” seems to complain of being forced to continue to carry ice (eka-) in the basket. According to H.A. Hoffner25 this must be a reference to a kind of forced labour, something we have evidence about from other Hittite sources. It is strange, however, that service of this kind is requested of the king. O. Soysal,26 on the other hand, interprets the passage differently, claiming that it indicates metaphorically the destruction and death caused by the king’s military enterprises. In our view, the basket, because of its material,27 seems to be a singularly inappropriate container for transporting ice, considering both its poor capacity for retention and its scanty thermal insulation.28 We might therefore attribute a metaphorical meaning to this passage, that is, it indicates an action that is difficult to perform, one that would be unlikely to lead to a satisfactory result. We wonder why this metaphor was used in this context. It is possible that the “substitute” wanted to justify before the gods the fact that some action carried out by the sovereign had failed to achieve a positive result. Through the ritual action described in the text the latter would have sought to win back the favour of the gods (see below). In the same way, mention of the basket in l. 2 can be linked to the appearance of the same object in l. 8, thus we see a relationship between JCS 24 (1971) 34; CoS I, 184 note 3. Heth 7 (1987) 179, 185-186; Heth 14 (1999) 112-113. 27 See note 19. 28 In this context we may recall the attestation in Hittite documentation on a container for ice, DUGøariulli; see HW2 2, 27; J. Puhvel, HED 3, 142-143. 25

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the bow mentioned in l. 3 and the arrows with which the “substitute” says that he will continue to fight (l. 9). It should be pointed out also that in § 3 the military activity of the king is presented as a “yoke” (iuka-) borne by him and not as a source of pride, as is usually the case. In this context we feel that it is particularly significant that in § 2 the king’s “substitute” justifies himself by claiming that he has taken neither livestock nor goods from anyone. In light of § 3 ll. 8-9, such materials might have come precisely from booty of war.29 In § 4 the character of the narration seems to change. In fact, it seems that at this point reference to the ritual action ends and the king begins to speak, although even here there is no explicit mention of him. We may notice that he now abandons the humble attitude with which he justified himself previously and instead assumes another, almost brazen, tone. In l. 10 the king addresses himself to interlocutors, calling them with the second person plural and asking for news about an element of “subversion,”30 presumably to be interpreted here as a reference to an adversary of the sovereign31 whom they have taken to Arinna. Neither the identity of these interlocutors nor their role in the matter is clear. It is also uncertain whether they had taken this unnamed adversary to Arinna to support him in opposition to the Hittite sovereign. In ll. 10-11 the king denigrates his adversary, calling him an “ass” and saying that he will sit upon him.32 His interlocutors themselves must escort him there, almost as if the sovereign wanted to reassert his authority over them in this way. The passage appears, therefore, to refer to an antagonist who was contending for kingship with the Hittite monarch, and who had been installed at Arinna. Despite the claims of O. Soysal33 to the contrary, we 29 There may be a reference here to the Syrian campaigns of ÷attušili I, which will be discussed below. 30 See J. Puhvel, HED 3, 438: “what is this subversion you have brought to Arinna?” 31 See most recently O. Soysal, Heth 14 (1999) 113. 32 Thus H.A. Hoffner jr., CoS I, 184 with note 5; E. Neu, in Man and the Animal World (P Anzieter, L. Bartosiewicz, E. Jerem, and W. Meid edd.), Budapest 1998, 644; otherwise O. Soysal, Heth 7 (1987) 179; J. Puhvel, HED 1-2, 296; A. Archi, CANE cit., 2371. 33 Heth 7 (1987) 195-196; Heth 14 (1999) 128-130.

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do not think there is sufficient evidence to justify the identification of this city with the Arinna situated in south-western Anatolia. Although the area was frequently in a state of rebellion against Hittite power, it was peripheral to the heart of the kingdom of ÷atti and not particularly significant from either a political or religious point of view. It therefore seems highly unlikely that an aspirant to Hittite royal power would have chosen to settle there. We prefer to recognize in this passage the important cult center already well known in sources of the Old Kingdom34 in relation to the exercise of royal power.35 Such a city would appear more likely as the headquarters of an adversary feared by the Hittite king. As observed in relation to § 4, in the following § 5 the king appears to continue to boast of his own importance, emphasizing his role in the defence and literal conservation of the country, as the one who keeps the rivers, mountains, and seas in their places.36 In § 6 the exposition by Puøanu resumes. The interpretation of l. 15 is particularly problematic. An initial difficulty arises from the restoration of the initial break. On the basis of the interpretation of H. Otten,37 the restoration [EGIR-p]a/[app]a=ma=šmaš38=aš39 has been proposed: “but behind them he”. However, it is still unclear to whom the two enclitic personal pronouns might refer. As regards the pronoun -šmaš, one might think that it alluded, to Hittite troops; as for the particle =aš it seems to be the subject of the verbal form kišati, which is usually translated as “he became”.40 Some scholars41 believe that the subject is a divinity. A. Archi42 thinks, instead, that the king himself has assumed the likeness of a bull here. O. Soysal, lastly, hypothesizes that the whole

See V. Haas, GHR, 585. See A. Archi, FsOtten2, 8 note 15. 36 See A. Archi, FsOtten2, 8 note 15; and A. Bernabé, AuOr 6 (1988) 9. 37 ZA 55 (1963) 160. 38 For the haplography -maš instead of -ma-šmaš, see HW, 138. 39 See H.A. Hoffner jr., CoS I, 184. O. Soysal, Heth 14 (1999) 114-115, believes that there could be a divine name in the genitive case in the lacuna. 40 See H. Otten, ZA 55 (1963) 161; O. Soysal, Heth 7 (1987) 179; A. Archi, CANE cit., 2371; H.A. Hoffner jr., CoS I, 184. 41 See the literature quoted by O. Soysal, Heth 7 (1987) 233 note 135. 42 CANE cit., 2371. 34 35

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passage alludes to a military machine, a kind of ram,43 or perhaps a cult standard carried at the head of the Hittite army.44 We prefer the first hypothesis, considering a divinity to be the subject of the phrase. Perhaps this was the Weather-god himself, represented by his sacred animal, the bull.45 In fact, the presence of the verb kišati would suggest a sort of divine metamorphosis, although the absence of a explicit indication of the divinity transformed into a bull is surprising.46 It is difficult, however, to accept the restoration proposed above for the break at the beginning of l. 15, since the divine bull should be at the head of the Hittite troops and not behind them. With regard to the above-mentioned proposal considering the king as the subject of the phrases, this seems to conflict with ll. 16-19, where Puøanu interrogates a person whom it seems reasonable to recognize as the king. He describes the role played by the bull in the course of the military campaign and explains how the animal’s horn has been damaged. The king seems to attribute to this animal the responsibility for the extraordinary event of the crossing of the Taurus mountain range. The beast had lifted up the mountains, allowing the Hittite army to reach the sea. We should note the role of Puøanu not only as the author of the document, but also as the one who, with his questions, offers the king the opportunity to free himself from the responsibility for this enterprise by attributing it to the divinity. In fact, as we shall seek to demonstrate, this action may have caused the king problems of a religious sort. In the following § 7 we find the expression DUTU-uš which has usually been interpreted as referring to the Sungoddess.47 O. Soysal,48 on the other hand, believes that the expression alludes to the Hittite king, because D UTU-uš seems to be the logical subject of the phrase piššen[uš Heth 7 (1987) 187. Heth 14 (1999) 116-118. 45 See most recently, H. Klengel, Gesch. Heth. Reich., 47. On the bull in Hittite religion, see most recently V. Haas, GHR, 315 ff. 46 Unless the name is to be sought in the break at the beginning of l. 15. 47 For the interpretation of the expression DUTU-uš see the literature quoted by O. Soysal, Heth 7 (1987) 189, to which we now add A. Archi, CANE cit., 2371; H.A. Hoffner jr., CoS I, 185; J. Freu, Ollodagos 10 (1997) 282; O. Carruba, GsImparati, 150. 48 Heth 7 (1987) 188-189. Heth 14 (1999) 119-120. 43 44

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øa]treškizzi and, in his view, the context of the passage as a whole “spricht . . . für einen menschlichen Charakter”. In this regard we must point out, however, that in KBo III 40 Rev. 9’-10’ it is divinities who send a message to the king. We should also underline the anomaly of the expression DUTU-uš, with the phonetic complement -uš, to indicate the king’s title. Accepting instead the hypothesis that we are dealing with the Sun-goddess here, one might presume that it is this divinity who authorizes the undertaking against Aleppo, thus conferring legitimacy upon the Hittite action. In that area there are already two Hittites, Šuppiaøšu and Zidi, mentioned previously. Together with them the divinity Inara49 of ÷attuša is mentioned in an unfortunately fragmentary context. The presence of this divinity, who was of great importance in the Hittite Old Kingdom, may also have had the purpose of legitimising the actions of the king. An invitation to go to Zalpa follows, although we do not know who formulates it. The invitation appears to be addressed to Hittite troops. Note the use of two different verbs of movement in relation to the two cities: l. 20, URU÷alpa itte[n] “go to ÷alpa!”; l. 23, uwatte[n URUZa]lpa uitten “com[e] to [Za]lpa, come!”;50 l. 24, [URUZa]lpa uwatten “come to [Za]lpa!” If it is true that in the first case it is the Sun-goddess who speaks, it is clear that she, as goddess of ÷atti, gives the order to the Hittite troops to go from ÷atti to Aleppo in Syrian territory, using the verb “to go”. The second case is more complex, since the context prevents us from determining who imparts the order to “come” to Zalpa. The analogy in formulation between ll. 20-21 and l. 23 (“go!” and “say!”) suggests that in this second case it is again a divinity who gives the order. Perhaps it is the same Sun-goddess mentioned al the beginning of the paragraph who is the deus ex machina of all the actions requested, or perhaps it is the goddess Inara. It is also difficult to establish exactly which city of Zalpa is

49 The determinative is damaged. For the interpretation of this noun as a theonym, see H. Otten, ZA 55 (1963) 160; O. Soysal, Heth 7 (1987) 227 note 62; B.H.L. van Gessel, Onomasticon, 187, 189. On the goddess Inara of ÷attuša, see most recently V. Haas, GHR, 436 note 127. 50 Note here the repetition of this verb, in keeping with the literary character of the whole text.

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mentioned in this paragraph,51 that is, whether it is the Syrian Zalpa, which according to KBo III 27 ll. 28-31 and possibly also the “Annals” of ÷attušili I,52 had been conquered by this sovereign,53 or the city of the same name situated on the Black Sea, an important cult center. Since we are dealing here with events that took place in the Syrian area, the first alternative would seem preferable. The use of the verb uwa- “to come” in relation to Zalpa would suggest that the city was already in Hittite hands. The lines remaining al the end of this text are extremely fragmentary.

II. KBo III 40 The first two paragraphs are full of breaks. In the first we note in ll. 1-2 the presence of the verb form karšikanzi, which also appears in l. 6, where it has the ideogram ÷UR.SAG-an “mountain” as object. We agree with Ph.H.J. Houwink ten Cate54 that the verb karš- “to cut” refers here to the opening of a pass through the range of the Taurus mountains to allow the Hittite army to reach Syria.55 The repetition of the verb in question and the presence of the verb išøamai- “to sing” at the end of l. 2 emphasize the poetic-literary character of the text.56 In § 2 there arises the problem of the identification of the person to whom the first-person pronoun uk refers, and also of the identity of those referred to simply as LÚ.MEŠmaiyanduš “young men”.57 In the first case it would seem reasonable to recognize Puøanu,58 whose authorial interventions also guarantee the continuation of the narration. It is more difficult, on the other hand, to establish the identity of the “young men,” See H. Otten, StBoT 17, 59 note 11. KBo X 2 Obv. 9-11; KBo X 1 Obv. 4-7, see F. Imparati and C. Saporetti, SCO 14 (1965) 44-45, 77, 80. 53 See most recently H. Klengel, Gesch. Heth. Reich., 45-46, 53. For the location of this city, see M. Astour, UF 29 (1997) 18 note 84, who nonetheless believes that the Zalpa mentioned in the “Annals” is the one situated on the Black Sea. 54 Anatolica 11 (1984) 81 note 72. 55 See O. Soysal, Heth 7 (1987) 180-181, 230 note 114; Heth 14 (1999) 121. 56 See O. Soysal, Heth 7 (1987) 216 ff. 57 See most recently CHD L-N, 117. 58 See O. Soysal, Heth 7 (1987) 217. 51

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since due to the lacunae we do not know about what matter they are questioned. Their response has also been lost. Scholars have debated at length about § 3, which has been variously interpreted as regards the identification of the divinities present and their role.59 We share the opinion expressed by I. Singer60 that the purpose of the paragraph is to demonstrate that the Weather-god of Aleppo had by now accepted the Hittite presence in northwestern Syria, even though Aleppo itself had not yet been conquered. Puøanu, as seems to emerge from the context, must have acted as an intermediary between the divinity and the Hittite sovereign and his high dignitaries (LÚ.MEŠGAL.GAL). The divinity, through Puøanu, announces that he does not attribute any blame to the Hittite sovereign, who has honoured him and thereby earned his benevolence.61 In this passage we would emphasize the important role played by the magnates in the Hittite Old Kingdom.62 In the context of the document, this paragraph seems specifically to have the function of justifying the king’s actions, a theme in keeping with the whole text. Paragraph 4, l. 12’, begins with a reference to a possible Hurrian attack, presumably in support of the Syrian centers assaulted by the Hittites. This attack had been expected for four years.63 In anticipation, in l. 12’ ff. there is reference to two wrestlers,64 who strike up a song. This is in all probability a ritual action connected with the battle that the Hittites are preparing to wage against the Hurrians.65 This passage also confirms the literary character of the text, despite the fact that it also contains ritual aspects and references to past events. Similarly to what has been observed in relation to § 2’ and § 4’ (l. 15’), See most recently O. Soysal, Heth 14 (1999) 121-123, with previous literature. IOS 14 (1994) 86-87. 61 O. Soysal, Heth 7 (1987) 218, believes that reference is made here to the results of an oracular consultation. 62 See F. Imparati in H. Klengel, Gesch. Heth. Reich., 331 f. 63 See most recently O. Soysal, Heth 14 (1999) 123 with note 27. See also S. de Martino, Seminari 1990 (1991) 73. 64 See J. Puhvel, HED 3, 363. O. Soysal, Heth 14 (1999) 123-124. 65 On the interpretation of this song and on its significance in the text see the literature quoted by O. Soysal, Heth 14 (1999) 124-125, to which add now O. Carruba, FsTarditi (1995) 576-577; lntellectual Life of the Ancient Near East, CRRAI 43 Prague, 1998, 69-70; H.C. Melchert, FsWatkins (1998), 492-93; H.A. Hoffner jr., BiMes 26 (1998) 172. 59

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Puøanu seems to intervene once more. Speaking in the first person, he interrogates the two wrestlers about the possible arrival of the “horde”66 of enemies. Their reply is very fragmentary, but it seems that the Hurrians are about to arrive in the country. Ferocity, presumably of the latter,67 is emphasized by the simile in l. 17’: “it (= the Hurrian army) bi[tes] the country like a dog”. This is in keeping with the definition “horde” applied to the army of the Hurrians. The remaining portion of the text is badly damaged. We would point out the mention of the name Inara in ll. 25’ and 26’; this could be a theonym or part of a theophoric anthroponym.68 III. KBo III 43 This document is extremely fragmentary. Note that the mention of the “sea” and of the “horn” (ll. 6’ and 7’, respectively) recalls what we read in § 6 of KUB XXXI 4+. Paragraphs 3’ and 4’ seem to allude to cultic matters. This is indicated by the verb mugai- “to invoke”69 in l. 9’, the mention of cedar in l. 11’, the vessels tapišant-70 in l. 12’, and the Weather-god in l. 15’. IV. KBo III 42 Very utile remains of this fragment. In l. 6 we note the verb form me-maøøu[n] “I have said,” whose subject could be Puøanu, addressing the šalašøa-man71 of the city of Uššu.72 In conclusion, we believe that we have here a composite text in which we can recognize a ritual portion that refers to events that actually happened. In the first part, the text might refer to a rite performed through a king’s “substitute” in order to purify the sovereign of an action For the interpretation of the term walkuwa(n), see most recently O. Soysal, Heth 14 (1999) 12-27; H.A. Hoffner jr., BiOr 53 (1996) 758. 67 See O. Soysal, Heth 7 (1987) 217. 68 See O. Soysal, Heth 7 (1987) 230 note 103. 69 CHD L-N, 319-322. 70 For this form see J. Tischler, HEG I/8, 131. 71 See most recently O. Soysal, Heth 7 (1987) 194. 72 See RGTC 6, 464-465; 6/2, 181. 66

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that had provoked the wrath of the gods. That this action was associated with an enterprise of ÷attušili I in Syria can be deduced from the second part of the text, which deals with the crossing of the Taurus mountains by the Hittite army. The fact that the entire episode is not presented in a triumphant tone73 suggests that the enterprise did not have the desired result. And as we know, ÷attušili did not succeed in conquering the great Syrian center of Aleppo. In accordance with the ideological conception of war that existed in the ancient Near East, the unachieved or incomplete success of a military enterprise demonstrated that divine support for it was lacking. In our opinion, this would be the reason for the rite discussed in the first part of the text, a rite performed precisely in order to win back the favour of the gods. That this favour has in fact been regained is shown by the second part of the text, in which the king assumes a more self-confident tone. Here too emphasis is placed on the fact that the most important Hittite deities had promoted the enterprise and that even the Weather-god of Aleppo himself had accepted it. As regards the stylistic aspects of the text, we have drawn attention to its poetic-literary tone. The narration post eventum does not follow chronological order, but the guiding principle is rather provided by the interventions and questions of Puøanu.

This stands in contrast to what emerges from the “Annals” of the same king ÷attušili I regarding the Syrian campaign and the crossing of the Euphrates, an undertaking which only the great Sargon of Akkad had carried out previously. 73

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XL.

SIGNIFICATO POLITICO DELL’INVESTITURA SACERDOTALE NEL REGNO DI ÷ATTI E IN ALCUNI PAESI VICINO ORIENTALI AD ESSO SOGGETTI1

È ben noto dalla documentazione ittita che la consacrazione di qualcuno al sacerdozio della principale divinità del pantheon di ÷atti equivaleva alla sua nomina come re di questo paese.2 Conosciamo inoltre casi in cui un sovrano ittita, concedendo ad un suo figlio l’investitura del sacerdozio di una o più importanti divinità di un paese straniero inglobato nel regno di ÷atti o ad esso subordinato, gli conferiva in tal modo il governo di questo paese. 1. Si ricorda il famoso esempio di Telipinu, figlio di Šuppiluliuma I, che era stato prima nominato sacerdote del dio della Tempesta, di ÷epat e di Šarruma in Kizzuwatna, ed al quale poi il padre aveva conferito il governo dello stato siriano di Aleppo.3 Del resto, come ha evidenziato R. Beal,4 anche il decreto di insediamento di Telipinu come sacerdote in Kizzuwatna da parte di Šuppiluliuma I, della regina ÷enti, del principe ereditario Arnuwanda e di Zida, Capo delle guardie del corpo, ha l’aspetto di un trattato di subordinazione. Della nomina di Telipinu come re di Aleppo si ha finora notizia soltanto da due testi più tardi, dell’epoca di ÷attušili III,5 mentre le altre fonti in cuneiforme e in geroglifico cronologicamente più vicine menzionano questo Telipinu soltanto come “sacerdote” o “gran A Pelio Fronzaroli, con simpatia e stima, ricordando i primi comuni studi orientalistici nella Facoltà di Lettere di Firenze. 2 V. in ultimo G. Beckman, CANE I (1995) 530. 3 V. A. Goetze, Kizzuwatna (1940) 12-17; H. Klengel, Gesch. Syr. I (1965) 196 sg.; e inoltre Syria, Berlin 1992, 114, 128 sg.; Die Orientalische Stadt: Kontinuität, Wandel, Bruch (I. Internationales Colloquium der D.O.G. 9-10 Mai 1996), Saarbrücker 1997, 370 sg.; Gesch. Heth. Reich. (1999) 165 sg.; R.H. Beal, Or 55 (1986) 435 sg.; THeth 20 (1992) 321 sg.; T.R. Bryce, Heth 11 (1992) 5-18. 4 Or 55, 435 con nota 51. 5 KUB XIX 9 (CTH 83.I.A) I 18; KBo VI 28 + KUB XXVI 48 (CTH 88) Ro 21. 1

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sacerdote”, come se il conferimento di questa carica avesse costituito l’elemento basilare della sua nomina al governo di Aleppo: sappiamo infatti che questa località già fin da epoca antica, antecedentemente alla dominazione ittita, era un importante centro di culto del dio della Tempesta, ma anche delle due divinità ad esso legate, ÷epat e Šarruma.6 Di particolare interesse è un passo in un documento di Muršili II, in cui questo sovrano conferisce ad un “sacerdote” - del quale non si specifica il nome, ma in cui è stato a ragione riconosciuto il Telipinu in questione, fratello appunto di questo re - il ruolo di giudice rispetto a controversie sorte fra altri stati siriani subordinati a ÷atti:7 emerge da ciò l’importanza di questo “sacerdote” anche in àmbito politico-amministrativo a livello internazionale. Accettando l’ipotesi di identificare questo “sacerdote” con Telipinu, il fatto che egli fosse menzionato soltanto con questo titolo anche sotto Muršili II mi sembra far presumere che il padre Šuppiluliuma I gli avesse conferito il governo di Aleppo, ma non il titolo di re di questo paese. Ciò poteva essere stato fatto nel preciso intento di tenere sotto un maggiore controllo Aleppo, rafforzando invece il potere di Karkemiš, sul cui trono Šuppiluliuma aveva posto un altro suo figlio, Piyaššili/Šarri-Kušuø.8 Appare significativo, in tale contesto, il famoso passo dell’editto in cui Muršili II stabilisce la posizione cerimoniale alla corte ittita del fratello Piyaššili e dei suoi discendenti che saliranno in futuro sul trono di Karkemiš, e cioè che il re di questo paese sarà secondo per importanza soltanto al principe ereditario ittita (LÚtuø(u)kanti).9 V. per ultimi V. Haas, GHR (1994) 553-555; H. Klengel, in Die orientalische Stadt, 359-374, infra. 7 KBo III 3+ III 27’-29’: v. H. Klengel, Or 32 (1963) 38, 44, 51; T.R. Bryce, Heth 11, 16 sg. In III 29’-33’ dello stesso testo si specifica che, in caso di dispute di grande importanza, spettava al sovrano ittita il compito di dirimerle; del resto, ciò avveniva anche nell’amministrazione della giustizia all’interno del regno ittita: v. in ultimo F. Imparati, in H. Klengel, Gesch. Heth. Reich., 330 sg. 8 Sul problema se Aleppo in quel periodo avesse avuto rispetto a Karkemiš una posizione di parità o di subordinazione, v. in ultimo T.R. Bryce, Heth 11, 17 sg., e H. Klengel, op. cit., 371 con nota 50. 9 KBo I 28 Ro 6-19; sull’integrazione delle rr. 17-19 v. F. Imparati-F. Pecchioli Daddi, EOTHEN 4 (1991) 34 nota 23; per gli studi su questo documento v. G. Beckman, HDT (1996) 177 Nr. 29. 6

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Una ulteriore conferma del carattere politico che rivestiva una tale investitura sacerdotale in Aleppo verrebbe dall’ipotesi già formulata da A. Archi ed ora ripresa e sviluppata da Th.P.J. van den Hout, e cioè quella di identificare lo ÷alpaziti che sembra aver svolto una funzione sacerdotale con l’omonimo re di Aleppo,10 noto dalla lettera IBoT I 34 Ro 8,11 dell’epoca di Tutøaliya IV. Secondo Th.P.J. van den Hout,12 il fatto che Tutøaliya avesse insediato ÷alpaziti - che non era stato trattato bene da ÷attušili - sul trono della “politically unimportant and subordinate city of ÷alpa, could then be considered an effective measure of compensation and remuneration by Tutøaliya”. A mio avviso, si trattava di qualcosa di più di una semplice volontà di offrire un compenso a ÷alpaziti: era piuttosto un’abile mossa politica di Tutøaliya per cercare di recuperare quella fazione che era stata ostile a suo padre ed ora anche a lui. Questa iniziativa non doveva apparire troppo rischiosa - poiché ÷alpaziti era ormai molto vecchio a V. A. Archi, AoF 6 (1979) 8, il quale aveva proposto di riconoscere nello ÷alpaziti presente in KUB XXII 35 III 9’ il re di Aleppo per “il richiamo agli dèi di Aleppo nella l. 13’ ”; Th.P.J. van den Hout, FsKlengel (1998) 68-74; The Purity of Kingship (1998) 55-59; a p. 57 di tale volume questo studioso rileva che “the fact that this title (= priest) is now attested for two kings of ÷alpa could point to a certain tradition of priest-rulers there”, pur riconoscendo che “Talmišarruma is never mentioned as «Priest» in our sources”. S. Alaura, nella sua recensione a questo libro (v. OLZ 94 [1999] 484-494), non concorda, per vari motivi che sarebbe troppo lungo esporre qui, con questa ipotesi di identificazione. Le sue obiezioni si basano, fra l’altro, anche sul fatto che lo ÷alpaziti coinvolto in alcune controversie all’epoca di Muwattalli II - e quindi già adulto in questo periodo - non poteva essere, a causa dell’età, il re di ÷alpa presente nella lettera su menzionata, che Th.P.J. van den Hout (FsKlengel, 69; The Purity of Kingship, 56) ritiene si debba datare ad una fase tarda del regno di Tutøaliya IV (cioè, intorno al 20o anno di regno di questo sovrano). Abbiamo tuttavia vari esempi di persone - ovviamente di ceto sociale elevato e che potevano quindi godere di un miglior tenore di vita rispetto alla gente comune - vissute molto a lungo, come lo stesso ÷attušili III, Bentešina di Amurru, Mašduri, re del paese del fiume Šeøa, il faraone Ramses II ecc. Bisogna inoltre aggiungere che sulla datazione di IBoT I 34 i pareri degli studiosi non sono concordi, anche se oggi appare verosimile una collocazione di questo documento all’epoca di Tutøaliya IV: v. in ultimo H. Klengel, Gesch. Heth. Reich., 282. 11 V. H. Klengel, Or 32 (1963) 280-291; A. Hagenbuchner, THeth 16 (1989) 313-315; v. inoltre bibliografia in H. Klengel, Syria, 130 nota 234, e Gesch. Heth. Reich., 282. 12 The Purity of Kingship, 59. 10

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quell’epoca (v. nota 10) e non sarebbe rimasto troppo a lungo sul trono di ÷alpa - ed avrebbe inoltre mostrato la buona volontà del sovrano ittita di venire incontro ai suoi avversari. Come ho già avuto modo di rilevare altrove, Tutøaliya in alcune occasioni aveva preso le distanze dalla politica paterna, stigmatizzando certi atteggiamenti di personaggi che avevano favorito l’ascesa al trono del padre13 o cercando di recuperare personaggi messi da parte da quest’ultimo, allo scopo di sedare vecchi contrasti politici e di tutelare così la stabilità del suo potere e di quello dei suoi eredi legittimi, soprattutto in una situazione politica che si presentava spesso instabile, anche per le possibili rivendicazioni al trono ittita da parte di Kurunta. A proposito dell’utilità di insediare, in taluni casi, una persona di età molto avanzata sul trono di un paese subordinato a ÷atti, si ricorda quanto si è osservato altrove per un eventuale collocamento di UlmiTeššup sul trono di Tarøuntašša.14 2. Per quanto riguarda Kizzuwatna, già prima di Telipinu abbiamo l’esempio di Kantuzzili, principe del Medio Regno ittita, ritenuto da alcuni studiosi come figlio di Tutøaliya I/II e Nikkalmati15 e da altri Senza però rinnegare, ovviamente, l’azione politica di questo, in virtù della quale Tutøaliya aveva conseguito il potere regio: si ricorda, a titolo esemplificatorio, la deplorazione di questo sovrano verso il comportamento di Mašduri espressa - sia pure strumentalmente allo scopo di salvaguardare i diritti dei suoi discendenti alla successione al trono - nel trattato con Šaušgamuwa di Amurru, o la presumibile diffidenza sempre di Tutøaliya nei riguardi di Bentešina di Amurru: v. F. Imparati, Seminari 1991 (1992) 64-67 e 69; v. inoltre p. 77 sg., dove si rileva che l’azione politica di Tutøaliya, una volta salito al trono, “si trovò drammaticamente costretta a fluttuare tra una severa presa di distanza dal comportamento scorretto del padre e dei sostenitori di questo ... e al contempo un inevitabile riconoscimento della legittimità dell’operato paterno per non indebolire se stesso nel potere ...”. 14 V. F. Imparati-F. Pecchioli Daddi, EOTHEN 4 (1991) 67, dove si osserva: “L’insediamento sul trono di Tarøuntašša di Ulmi-Teššup - più fedele e forse anche meno pericoloso (di Kurunta), perché presumibilmente non facente parte della famiglia di Muwattalli e inoltre già in età avanzata - poteva servire a Tutøaliya per ridimensionare una regalità rivelatasi troppo incomoda”. 15 V. F. Imparati, FsLaroche (1979) 173; FsMeriggi2 (1979) 299; GsBilgiç (1977) 302 nota 19; S. Košak, AnSt 30 (1980) 37-38; V. Haas, ChS I/1 (1984) 9; AoF 12 (1985) 274; S. de Martino, EOTHEN 4 (1991) 17. Negli articoli qui sopra citati ho proposto l’identificazione della regina che officia in KUB XLV 47 con Nikalmati, basandomi non soltanto sul fatto che il nome di questa regina è composto con il nome della dea Ningal, che fino a quel tempo non pare aver tenuto alcun ruolo nel culto ittita (v. J. Klinger, ZA 13

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come figlio di Arnuwanda I.16 Come è noto, egli era stato insediato come “sacerdote” in Kizzuwatna: tale nomina aveva verosimilmente un valore politico. A tal proposito, è interessante ricordare una lettera rinvenuta a Ma$at (HKM 74),17 scritta da un “sacerdote”, di cui non si indica né il nome né la provenienza, a Kaššu, personaggio presente in molte lettere di Ma$at col titolo di “sovrintendente degli araldi delle truppe”.18 La lettera in esame è una replica al rifiuto di Kaššu di restituire volontariamente (ZI-it) al “sacerdote” alcune persone, evidentemente sudditi di quest’ultimo passati al servizio di Kaššu in Zikašta;19 Kaššu aveva addotto come motivazione del suo rifiuto il fatto che questa località (situata nel distretto di Tapik(k)a, odierna Ma$at) costituiva il posto di frontiera più avanzato ed aveva suggerito al “sacerdote” di far presente la situazione al Palazzo. Il “sacerdote”, dopo aver affermato che avrebbe notificato ripetutamente il fatto al Palazzo, dice che egli pure non restituirà i sudditi di Kaššu che si recheranno in Kizzuwatna, poiché anche questo luogo costituisce il posto di frontiera più avanzato. Mi sembra interessante notare che il “sacerdote” in Ro 11 usa il verbo tarkummai-/tarkummiya- “far presente, notificare” all’iterativo diversamente da Kaššu in Ro 9 - quasi per voler evidenziare l’importanza del fatto e la sua intenzione che esso non venga accantonato. Dal contesto della lettera risulta che questo “sacerdote” doveva tenere un posto di rilievo in Kizzuwatna, dato che si occupa della importante questione della restituzione dei fuggiaschi. Egli viene per lo più identificato dagli studiosi con il Kantuzzili sopra ricordato.20 85 [1995] 96 nota 84), ma anche perché essa è la prima a portare un nome così composto e inoltre perché la figlia di lei, Ašmunikal, reca - certo non casualmente - un nome contenente quello della stessa dea. La documentazione pervenutaci non mi sembra in contrasto con tale ipotesi. 16 V. R.H. Beal, Or 55, 445; THeth 20, 320-321 con nota 1225; J. Klinger, ZA 85 93-99 infra. Secondo J. Freu, Heth 13 (1996) 23, Kantuzzili sarebbe stato figlio di ÷uzziya II. 17 V. S. Alp, HBM (1991) 262 sg.; R.H. Beal, THeth 20, 321 e 404; F. Imparati, GsBilgiç, 202 nota 19. 18 V. in ultimo R.H. Beal, THeth 20, 396-407. 19 Su questa località v. S. Alp, HBM, 46 sg.; G.F. Del Monte, RGTC 6/2 (1992) 195. 20 V. R.H. Beal, THeth 20, 321 e J. Klinger, ZA 85, 93 sgg.; F. Imparati, GsBilgiç, 202 nota 19. S. Alp, HBM, 342, pensa ad un personaggio vissuto precedentemente a

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È noto che il problema di coloro che fuggivano per rifugiarsi in altri paesi era molto sentito dai vari stati vicino-orientali antichi sia nel loro interno, cioè nel passaggio da una provincia all’altra, sia nei loro rapporti internazionali. Il fatto che tale problema affliggesse fortemente il paese di Kizzuwatna emerge dal trattato stipulato da un sovrano ittita del Medio Regno con Paddatiššu di Kizzuwatna,21 laddove, oltre ai paragrafi relativi alla loro restituzione, analoghi a quelli presenti in altri trattati, si contemplano anche casi legati a movimenti di popolazioni transumanti attraverso i confini di questo paese.22 Nel caso della lettera di Ma$at in esame appaiono significative sia l’affermazione di Kaššu in Ro 7-9, e cioè che egli non avrebbe restituito volontariamente al “sacerdote” i sudditi di questo, sia la convergente opinione dei due interlocutori - sia pure espressa con toni e, evidentemente, finalità diversi - sull’opportunità che il “sacerdote” notificasse il caso in questione al Palazzo. È infatti noto da vari documenti ittiti che, se qualcuno catturava un fuggiasco, doveva per la maggior parte dei casi consegnarlo al re.23 Conosciamo due lettere provenienti sempre da Ma$at - HKM 9 e 24 - scritte appunto dal re, in cui egli informa il loro destinatario di aver ricevuto i fuggiaschi che quest’ultimo gli aveva mandato; è interessante rilevare che la prima di queste lettere è diretta proprio a Kaššu. Sappiamo inoltre, come si è detto sopra, che quando una controversia fra sudditi di ÷atti, sia all’interno del regno sia a livello internazionale, si presentava importante dal punto di vista politico, economico, amministrativo, militare, si doveva ricorrere al giudizio del sovrano ittita.24 Per il caso discusso nella nostra lettera non è certo se in essa si facesse riferimento al Palazzo situato nella capitale: è anche possibile che vi si alludesse al famoso Palazzo posto in Šapinuwa, dove il re si recava spesso e dove poteva trovarsi in quel determinato periodo.25 Telipinu; G.F. Del Monte, loc. cit., ritiene che si tratti di Telipinu, il “sacerdote” di Kizzuwatna di cui si è parlato sopra 21 V. in ultimo H. Klengel, Gesch. Heth. Reich., 98, con bibliografia. 22 V. i §§ 5-9, rr. 17’-40’ di questo trattato presso G. Beckman, HDT, 12 sg., v. anche 171; v. inoltre T.R. Bryce, Tel Aviv 13-14 (1986-1987), 95 sg. 23 V. alcuni esempi in proposito in CHD P, 362, infra. 24 V. sopra nota 7. 25 V. F. Imparati, GsBilgiç, 201-206, e in particolare 202 nota 19.

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In ogni caso, per i motivi sopra esposti, anche per la questione discussa in questa lettera era necessario richiedere il giudizio dell’organo più competente a dirimerla. Quindi Kaššu nella lettera in esame, a sostegno del suo rifiuto, si faceva forte del fatto che non spettava a lui prendere una decisione in proposito; può darsi, inoltre, che egli si sentisse sicuro dell’appoggio del re, almeno in quel periodo della sua carriera. Esiste tuttavia anche la possibilità che Kaššu volesse far credere al “sacerdote”, allo scopo di impressionarlo, di godere del favore regio più di quanto ciò corrispondesse alla realtà. Infatti, come si è avuto modo di esporre altrove, anche in altre lettere di Ma$at - HKM 68 e 54 - Kaššu parla della possibilità di un suo ricorso all’intervento del Palazzo o del re, forse per voler intimidire la parte con cui egli era in contrasto: ci sono, tuttavia, pervenute alcune lettere dalle quali si può dedurre che egli non aveva goduto ininterrottamente della fiducia e del favore del re.26 Dalla lettura della lettera in esame sorge anche il problema relativamente alla posizione del “sacerdote” e, quindi, di Kizzuwatna rispetto a ÷atti in quell’epoca. Tale posizione appare, chiaramente, di subordinazione: in quanto Kizzuwatna era uno stato assoggettato al regno ittita o in quanto faceva parte di questo come provincia? Secondo S. Alp27 il “sacerdote” di Kizzuwatna nella nostra lettera sembra aver avuto una certa autonomia nei riguardi di ÷attuša perché in Vo 15 ss. egli minaccia di rappresaglia Kaššu, dignitario del Gran Re ittita. A me pare, invece, che l’accettazione del “sacerdote” di presentare la faccenda al Palazzo e di richiedere ripetutamente il giudizio del sovrano ittita riveli piuttosto una forte dipendenza di Kizzuwatna da ÷atti. A mio avviso, in questa lettera si tratta piuttosto di un contrasto fra dignitari dipendenti da ÷atti - sia pur di rango e con competenze diverse - che di una controversia fra un alto dignitario di una sede provinciale ittita e il capo di uno stato subordinato a ÷atti. Ciò si accorda con l’opinione di R. Beal28 che Kizzuwatna fosse stata incorporata in ÷atti durante i regni congiunti di Tutøaliya I/II e di Arnuwanda I.29 È quindi V. S. de Martino-F. Imparati, StMed 9 (1995) 112-114. HBM, 342. 28 Or 55, 436-445. 29 Sulla possibilità che Kizzuwatna confinasse con Tapik(k)a v. S. Alp, HBM, 342; di opinione diversa è invece R.H. Beal, THeth 20, 404 nota 1522. È anche possibile che 26

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possibile che la nomina di Kantuzzili come “sacerdote” in Kizzuwatna fosse posteriore al trattato di Tutøaliya I/II con Šunaššura,30 verosimilmente l’ultimo re di Kizzuwatna. In caso contrario, se si ritenesse Kizzuwatna, nel periodo della lettera in esame, come uno stato soggetto a ÷atti, si dovrebbe allora addurre come sostegno della risposta negativa di Kaššu alla richiesta del “sacerdote” il fatto che nei trattati stipulati da sovrani ittiti con paesi a loro soggetti la restituzione dei fuggiaschi veniva effettuata soltanto dal paese assoggettato, mentre il re ittita li restituiva soltanto eccezionalmente.31 Anche in questo caso, tuttavia, sarebbe sempre valida la decisione di ambedue le parti di presentare la questione al Palazzo. Riepilogando, mi sembra plausibile presumere che - mentre la nomina di Kantuzzili come “sacerdote” in Kizzuwatna avesse lo scopo di inglobare definitivamente questo paese nel regno di ÷atti - con l’insediamento di Telipinu come “sacerdote” in Aleppo si intendesse creare al momento una situazione transitoria, in previsione di fare successivamente di questo paese un regno subordinato a ÷atti, retto appunto da membri della famiglia reale ittita.32 3. Tornando di nuovo a Kantuzzili, mi sembra interessante soffermarci brevemente su un problema che sorge dalla lettura di una lettera33 dell’epoca del Medio Regno ittita, proveniente da Ku$akl½, antica fra queste due località esistessero zone non appartenenti a strutture locali organizzate, ma abitate da genti semi-nomadi che avevano per questo la possibilità di spostarsi più facilmente da una provincia all’altra (cfr. sopra, a proposito del trattato con Paddattiššu); comunque, questo non è il caso trattato nella lettera HKM 74, dove si allude specificamente a fuggiaschi sudditi di Kaššu o del “sacerdote”. 30 V. in ultimo H. Klengel, Gesch. Heth. Reich., 106 [A 7], con bibliografia. 31 In alcuni trattati stipulati con sovrani di paesi dell’Anatolia occidentale il sovrano ittita stabilisce che i fuggiaschi da questi paesi nel suo territorio, nel caso in cui esercitino una attività nel settore produttivo, sia in ambito agricolo che artigianale, non verranno trattenuti a ÷atti: v. i trattati di Muršili II con Targašnalli di ÷apalla (KBo V 4 Ro 39’-40’) e con Kupanta-Kurunta di Mira-Kuwaliya (KUB VI 44 IV 41’-45’). 32 Infatti, come si è detto sopra, di una eventuale nomina di Telipinu come re di Aleppo non si ha finora notizia in testi a lui contemporanei, mentre è la documentazione coeva che ci informa che Muršili II nominò il figlio di Telipinu, Talmi-Šarruma, re di Aleppo: cfr., fra gli altri, H. Klengel, Syria, 128 sg.; G.F. Del Monte, L’Annalistica ittita, Brescia 1993 (= TVOA 4.2), 96 sg. nota 79. Di diversa opinione è T.R. Bryce, Heth 11, 17 sg., il quale ritiene che anche a Telipinu fosse stato conferito il titolo di “re”. 33 KuT 49: v. G. Wilhelm, MDOG 130 (1998) 177-180.

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Šariš(š)a.34 Questa lettera è inviata da un ÷AZAN(N)U, non sappiamo di quale località,35 ad un “capo degli impiegati di Palazzo” (GAL DUMUMEŠ É.GAL)36 per informarlo su una consultazione oracolare fatta allo scopo di conoscere lo stato di salute di una persona definita come DUMU MUNUS SANGA.37 Questa espressione sumerica può essere interpretata o come “figlia del sacerdote” o come “figlio della sacerdotessa” o come un’unica espressione per indicare una particolare designazione sacerdotale con implicazioni forse relative all’età o al rango:38 G. Wilhelm,39 l’editore della lettera, preferisce la seconda possibilità; a me pare invece che possano esservi dei motivi per giustificare la prima ipotesi interpretativa. Purtroppo non si indica nel testo né il nome di questo/a eventuale sacerdote/ssa né la località a cui esso/a è legato/a.40 Doveva verosimilmente trattarsi di una persona molto importante, per la preoccupazione che traspare dalla lettera e che coinvolge dignitari di rilievo, e inoltre ben nota, dato che se ne parla senza darne alcuna specificazione. Poiché, come si è visto, nella lettera di Ma$at sopra esaminata, sempre del Medio Regno ittita, laddove si parla di un “sacerdote” senza alcuna specificazione è possibile che si facesse riferimento a Kantuzzili V. RGTC 6 (1978) 351 sg., 6/2, 141. Sulla possibile presenza di questo dignitario anche in sedi ittite diverse da ÷attuša, v. bibliografia presso F. Imparati, in Gesch. Heth. Reich., 341 nota 77. 36 V. F. Pecchioli Daddi, MPD (1982) 529-535. 37 Ro 4, 14, 22, 23. 38 Piuttosto che per indicare la minore capacità o esperienza professionale del sacerdote, che sembra espressa mediante l’espressione LÚSANGA.TUR: v. F. Pecchioli Daddi, MPD, 426, ed anche 365 sg. 39 MDOG 130, 178 nota 10. 40 Non conosciamo neppure il luogo di provenienza della lettera, cioè se si trattasse di una lettera in arrivo a Šariš(š)a o la copia di archivio di una lettera in partenza da Šariš(š)a. Nella prima ipotesi, è possibile che il “capo degli impiegati di Palazzo” avesse chiesto l’esecuzione delle operazioni mantiche nella capitale e il ÷AZAN(N)U di ÷attuša avesse fornito le informazioni relative; inoltre, dato che il “capo degli impiegati di Palazzo” era un dignitario che stava di solito molto vicino al re (v. F. Imparati, SMEA 18 [1977] 54 sg. con nota 133), non è da escludere che in quel tempo anche il sovrano si trovasse a Šariš(š)a. Nella seconda ipotesi il “capo degli impiegati di Palazzo” sarebbe stato nella capitale e si sarebbe rivolto per le consultazioni al ÷AZAN(N)U di Šariš(š)a, ciò che dimostrerebbe l’importanza di questo centro per l’esecuzione di operazioni mantiche. 34 35

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mentre in un’altra lettera ancora di Ma$at, HKM 57,41 dove si tratta il caso di un servo di un LÚ DUMU SANGA/LÚDUMU.SANGA/ LÚ DUMU SANGA,42 si trova alla r. 11 l’indicazione del luogo dove questo esercitava il sacerdozio, cioè in Urišta43 - appare lecito chiedersi se anche nella lettera di Ku$akl½ su ricordata non si parlasse della figlia di un “sacerdote” non ulteriormente definito e non si alludesse in tal modo a Kantuzzili.44 A tal proposito vorrei ricordare quanto ho avuto modo di rilevare altrove,45 a proposito della menzione in alcuni testi - sempre di epoca medio-ittita - di Kantuzzili insieme ad alcuni personaggi, quali Manninni, Pariyawatra, Tulpi-Teššup, e della menzione in due testi contemporanei di un LÚSANGA, non altrimenti denominato, ancora insieme con questi personaggi:46 mi sembra importante notare che in questi ultimi due casi, dove è presente questo “sacerdote”, non compare Kantuzzili.

S. Alp, HBM, 226 sg., e 336. V. S. de Martino-F. Imparati, StMed 9, 109-111 con nota 46, dove si è proposta una spiegazione della presenza e del valore che poteva avere LÚ in questa espressione, ma non si è affrontato il problema del significato di DUMU in essa. 43 Su questa località v. in ultimo S. Alp, HBM, 46, con bibliografia, e G.F. Del Monte, RGCT 6/2, 180. 44 Di una “figlia”, senza alcuna specificazione, si parla in un’altra lettera (KuT 50 Ro 7) proveniente, come quella in esame, dall’edificio C di Ku$akl½ e ad essa contemporanea in base al ductus, v. G. Wilhelm, MDOG 130, 175 sg. e 180-186. Anche in questa seconda lettera si parla di consultazioni oracolari relative a questa figlia; purtroppo, però, non abbiamo altri elementi per individuare chi fosse questa persona, la quale dal contesto della lettera appare essere stata di alto rango, verosimilmente appartenente alla famiglia reale: v. G. Wilhelm, op. cit., 181. Di essa infatti si occupa addirittura la regina, la quale non sente alcuna necessità di fornire su di lei ulteriori indicazioni. È difficile anche stabilire la possibilità di un legame tra questa “figlia” e un’ipotetica “figlia del sacerdote” presente nella lettera KuT 49: si rileva però che, se in quest’ultimo caso si fosse trattato di una figlia di Kantuzzili, avrebbe anche questa fatto parte della famiglia reale. Da notare la presenza in questa lettera degli “impiegati di Palazzo”. A proposito della menzione in alcuni testi di questi “sacerdoti-capi” di qualche paese soggetto a ÷atti con il solo titolo sacerdotale, senza altre specificazioni, si ricorda come confronto anche un passo del documento di Muršili II su menzionato (v. nota 7), dove si parla appunto di un “sacerdote” senza altra indicazione e nel quale è stato riconosciuto quel Telipinu, figlio di Šuppiluliuma I, posto dal padre al governo di Aleppo. 45 V. FsLaroche, 173. 46 V. F. Imparati, FsLaroche, 169-172. 41 42

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Purtroppo, però, non sono in grado di presentare elementi concreti a sostegno di una possibile presenza di Kantuzzili “sacerdote” nella lettera in esame di Ku$akl½. 4. Sempre nell’ottica di considerare certe investiture sacerdotali col valore di nomine a carattere politico, sono ben noti i casi di ÷attušili III e di Tutøaliya IV, ai quali, prima della loro ascesa al trono di ÷atti, fu conferito - rispettivamente al primo dal fratello Muwattalli II e al secondo dal padre ÷attušili III - il sacerdozio del dio della Tempesta di Nerik e della regalità di ÷akpiš/÷akmiš,47 probabilmente allo scopo di costituire in questa zona un “vice-reame” di ÷atti.48 Appare verosimile che ÷attušili III avesse conferito al figlio Tutøaliya il sacerdozio del dio della Tempesta di Nerik e con ciò, presumibilmente, anche la vice-regalità in ÷akpiš in un periodo precedente alla deposizione del fratello più anziano di quest’ultimo dalla carica di tuø(u)kanti. Quando poi era avvenuta questa deposizione, o per lo meno questa era già nei programmi di ÷attušili, egli aveva affidato al figlio Tutøaliya il

See V. Haas, KN (1970) 13 sg., 15, 24, 175 sgg.; questa regalità fu conferita certamente a ÷attušili e con molta probabilità a Tutøaliya; v. anche F. Imparati, FsHouwinktenCate, 155, e Th.P.J. van den Hout, The Purity of Kingship, 86. 48 V. in ultimo F. Imparati, in Gesch. Heth. Reich., 372-373; cfr. anche R.H. Beal, THeth 20, 324 sg. Mi sembra interessante ricordare il ben noto passo del § 3, I 13-18, dell’ “autobiografia” di ÷attušili III (v. H. Otten, StBoT 24 [1981] 4-5), laddove si dice che questo, ancora fanciullo e di salute molto cagionevole, era stato posto dal padre al servizio della dea Ištar come suo “sacerdote”, su richiesta della dea stessa, richiesta fatta pervenire a Muršili proprio tramite il fratello di ÷attušili, Muwattalli, il futuro re di ÷atti. Dato l’intento fortemente strumentale che caratterizza tutto questo testo, non appare ben chiaro il reale significato di questo passo. Si possono, a mio avviso, formulare tre ipotesi: 1) ÷attušili voleva soltanto enfatizzare anche qui, come fa in tutto il testo, l’interessamento di Ištar nei suoi riguardi fin dalla sua fanciullezza e la continua volontà della dea di conferirgli il potere su ÷atti; 2) Muršili, probabilmente anche sotto l’influenza dello stesso Muwattalli - il quale è presentato nel testo, forse non casualmente, come latore del messaggio della dea al padre - intendeva allontanare dalla scena politica ÷attušili, conferendogli appunto un sacerdozio prestigioso, probabilmente allo scopo di vanificare ogni sua eventuale aspirazione futura al trono di ÷atti; 3) forse Muršili pensava alla possibilità di una successiva utilizzazione di questo sacerdozio, in previsione cioè di conferire un giorno a ÷attušili un “regno di appannaggio” o qualcosa di simile. 47

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sacerdozio di Ištar, che, a mio avviso, ne preludeva l’investitura ad erede al trono di ÷atti.49 5. In questo contesto mi sembra interessante ricordare il caso di ÷ešni, DUMU.LUGAL - verosimilmente figlio di ÷attušili III e fratello di Tutøaliya IV - organizzatore della famosa “congiura”.50 Th.P.J. van den Hout51 propone di identificare questo ÷ešni col personaggio omonimo che è menzionato in alcuni testi ittiti col titolo di “sacerdote”, o che, pur non essendo accompagnato da questo titolo, sembra però aver esercitato una funzione sacerdotale. Tale proposta di identificazione si basa sulla lettera KBo XVIII 48,52 diretta da un sovrano ittita, verosimilmente ÷attušili III, a ÷ešni “DUMU-[YA]”, che lì risulta aver svolto la mansione di “Orakelpriester” o “auf jeden Fall die Funktion eines solchen Beamten ausüben konnte”. Si deve rilevare che dal contesto di questa lettera ÷ešni sembra aver rivestito anche un ruolo politico di rilievo, poiché viene consultato e informato proprio dal re riguardo a situazioni di politica internazionale. Improduttivo per la sua estrema frammentarietà è il frustulo KBo XVIII 134, lettera inviata presumibilmente sempre da ÷attušili III a ÷ešni, dove sembra si contemplino anche situazioni a carattere internazionale per la menzione alla r. 2 del paese di Babilonia (INIM KUR Karan[duniaš]); appare inoltre significativa, in rapporto a quanto osservato per la lettera precedente, la presenza alla r. 3 del termine oracolare TEMEŠ.53 Gli altri casi in cui ÷ešni è menzionato esplicitamente col titolo di “sacerdote” non sembrano particolarmente rilevanti per l’identificazione proposta da Th.P.J. van den Hout.54 Questa ipotesi di identificare il “principe” ÷ešni con il “sacerdote” dello stesso nome viene ad assumere per noi un particolare interesse se V. F. Imparati, FsHouwinktenCate, 143-157; cfr. anche H. Tadmor, in History, Historiography and Interpretation, Leiden 1983, 54 sgg. 50 Su questo personaggio v. in ultimo Th.P.J. van den Hout, StBoT 38 (1995) 206211, con bibliografia precedente. 51 StBoT 38, 207 sg. 52 V. A. Hagenbuchner, THeth 16, 7-12, dove a p. 10 si deve cancellare l’attestazione di ÷ešni fra i testimoni presenti nel testo relativo all’eredità dei beni di Šaøurunuwa; cfr. anche H. Klengel, Gesch. Syr. I, 62 sg., 82, 94 nota 57. 53 V. A. Hagenbuchner, THeth 16, 12 sg. 54 StBoT 38, 208. 49

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accettiamo la proposta di N. Tani55 di riconoscere nello ÷ešni organizzatore della famosa “congiura” proprio quel fratello maggiore di Tutøaliya IV, che dalla Tavola Bronzea risulta essere stato nominato tuø(u)kanti prima di lui dal padre ÷attušili III e poi deposto da questo in favore appunto di Tutøaliya.56 In tal caso, sarebbe allora plausibile ipotizzare che l’investitura di ÷ešni come “sacerdote” avesse avuto, almeno in un primo tempo, anche una valenza politica, cioè la sua nomina come erede al trono di ÷atti. Purtroppo, data la natura dei documenti in cui è ricordata la funzione sacerdotale di questo personaggio, non abbiamo notizia sul contesto politico e sul periodo entro il quale egli fu nominato “sacerdote”, né se fosse legato al culto di qualche particolare divinità. L’importanza della sua posizione, risultante soprattutto dalla lettera KBo XVIII 48 sopra menzionata, induce a datare questo documento ad un periodo anteriore alla nomina di Tutøaliya quale erede al trono; così pure la carica sacerdotale rivestita da ÷ešni, presumibile anche da questo documento, porta a collocare la sua investitura a “sacerdote” antecedentemente al conferimento a Tutøaliya della carica di successore al trono di ÷atti. 6. Nell’ottica di intendere in taluni casi la consacrazione sacerdotale di qualcuno come un conferimento a questo del governo di qualche paese, mi sembra interessante riprendere in esame un passo del § 3 del “Testamento di ÷attušili I”,57 la cui versione ittita è integrata secondo la versione accadica. Com’è noto, ÷attušili - dopo aver ricordato nei paragrafi precedenti che egli aveva nominato il nipote Labarna suo figlio e suo successore al trono di ÷atti e che lo aveva poi deposto da questa carica a causa del suo cattivo comportamento - ribadisce alla reazione drammatica ed esasperata della madre del giovane a questa decisione: Ipotesi formulata nella sua tesi di laurea su “I processi ittiti per malversazione”, discussa a Firenze il 6 luglio 1998; tale ipotesi è stata rielaborata da N. Tani (v. AoF 28 [2001] 154-164 [n.d.c.]). 56 Sulle diverse ipotesi proposte per l’identificazione di questo fratello di Tutøaliya v. in ultimo F. Imparati, FsHouwinktenCate, 151-153. 57 V. F. Sommer-A. Falkenstein, HAB (1938) 4-5; per la traduzione della versione ittita, v. T.R. Bryce, The Major Historical Texts of Early Hittite History, Queensland 1982, 100-101; per la versione accadica v. M. Marazzi, Beiträge zu den akkadischen Texten aus Boˆazköy in althethitischen Zeit, Roma 1986 (= BRLF 18), 7-12, entrambi con bibliografia. 55

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“(KUB I 16 + H II 16-19)58 ... (Ma io), il re, feci a lui q[ualcosa] di male? [Non lo feci sacerdote] e lo po[rtai avanti sempre] in modo buono?59 [Ma egli non] tenne in considerazione [il volere] del re! C[ome allora può egli in considerazione della bontà del suo proprio cuore]60 a[vere] affetto per ÷attuša?”.61 Mi sembra possibile ritenere che ÷attušili in questo passo, ricordando con una certa enfasi quanto si era impegnato a favore del nipote, addirittura facendolo sacerdote (A I 16/H II [16]), si riferisse in tal modo ad un periodo anteriore al momento attuale, alludendo cioè con tale espressione alla precedente investitura di questo nipote come erede al trono di ÷atti. Che il re facesse qui riferimento al periodo precedente la deposizione del nipote da questa carica mi sembra confermato dal § 6 (A I 30-36/H II 30-36), dove si parla invece di ciò che ÷attušili aveva assegnato a Labarna, dopo averlo deposto dalla successione al trono, e di come questi da allora in avanti aveva il dovere di comportarsi. È da notare che nel passo del § 3 sopra esaminato il re non specifica in quale paese e di quale divinità egli avesse conferito il sacerdozio al nipote, contrariamente a quanto abbiamo visto a proposito di Kantuzzili, Telipinu, ed anche di ÷attušili III e Tutøaliya IV rispetto alla regalità di ÷akpiš/÷akmiš. Ciò poteva esser dovuto al fatto che ormai la deposizione di Labarna era già avvenuta e quindi una specificazione più ampia e precisa della sua precedente consacrazione sacerdotale non si riteneva più necessaria. Inoltre, essendo l’investitura sacerdotale di Labarna un evento non lontano dalla redazione del “testamento” e quindi ben noto ai contemporanei, appariva inutile fornire ulteriori indicazioni.

Integrato secondo KUB I 16 + A I 16-19. Su quest’ultima espressione v. J. Puhvel, HED 1 (1984) 200: “I have constantly singled him out for good treatment”; su tutta la frase v. CHD P, 119: “[Did I not make him a priest] and pr[omote] him [always] in a good way?”. 60 Lett. “di quel cuore”. 61 V. J. Puhvel, HED 4 (1997) 156. 58

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INDICI ANALITICI (a cura di A. Marchini)

ANTROPONIMI ‘Ammurapi, re di Ugarit 209; Anani-NIN.GAL 209; Anitta 79; 443 n. 2; Anuwanza 282 e n. 31; 288 n. 67; 300; 326 n. 3; 477; 508; Aparru, uomo di Kalašma 107 e n. 21; Appu 610; mito di A. 668; Aranøapilizzi 289 n. 71; Ari-Šarruma, (re di Išuwa) 163-164; 457; 471; 495; 498; (v. anche EøliŠarruma) Arma-Datta v. Arma-Tarøunta Armayaziti 333; Armanani 285; 300sgg.; 303-304; 339340; Armapiya 285; 286-289; 331 n. 29; 339; 346 n. 15; Armatanša 333; Arma-Tarøunta 229; 318; 420 ; 575; 578 n. 36; 720 n. 88; (v. anche Šippaziti) proprietà di A. 575; “caso contro A.” 573 n. 21; Arma-Datta 279; 318; 332; 420; Armaziti/mDSIN/MI-LÚ 277sgg.;; 278-279; 287 n. 1; 301 e n. 36; 303305; 307; 313 e n. 13; 326-342; 345346; Armazuøi v. Zuzzulli Arnuwanda Arnuwanda, principe ereditario 851; Arnuwanda (I) 109 n. 29; 140; 177; 179; 182; 188; 190; 235 n. 84; 241243; 255-256; 277 n. 2; 283-284; 334; 348 n. 26; 701; 714; 717; 778 n. 32; 820 e n. 17; 855; 857, (v. anche Kan-

Abamuwa 498 n. 32; 513; Abamuwa GAL KARTAPPU 477; Adad-Nirari I 758; 791; Aøat-Milku, regina di Ugarit 500; Aøli-Šarri 497 n. 29; Akalkazzi 283 n. 37 Alakšandu (di Wiluša) 410; 821; trattato Muwattalli II-A. di Wiluša: 736 n. 152; 795; 818819; 821; Alalimi 287-289; 339; 499; 501-502; 506; 512; 833; Alalimi, mercante di Ura 501; Alaltalli v. Alantalli Alamuwa 780 n. 40; Alantalli 495 e n. 18; Alantal(l)i, re di Mira 451; 453-454; 494; Alantalli, augure 201; Alantalli/Alaltalli 455; 495; Aliøešni 301-303; 334 n. 46; Ali-Šarruma 364-365; 473; Allamu 780; Alziyamuwa 250; 658 e n. 51; 813; Amenophi III 752-753; 797; (v. anche Kadašman-Enlil I) Ammiøatna, sacerdote di Išøara, uomo di Kizzuwatna 193; Ammistamru II (re) di Ugarit 99; 296; 740 n. 162; 750-751; divorzio di A. 751; epoca di A. (di Ugarit) 204; 501; epoca di A./÷att. III-Tutø. IV 209 e n. 107; figlio di A. 751 n. 201; Ammuna 374; cronaca di A. 294 e n. 6; 708; regno di A. 796;

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trattato ÷att. III-B. di Amurru: 490 n. 5; 563 n. 22; 736 n. 153; 819; 830; BU v. ÷e/÷išmi BU-LUGAL(-ma)/BU-Šarruma 398 n. 16; 462-465, 468-471; 498 e n. 35; 500 e n. 40; 510; Daddamaru 279; 332; fDaduøepa 179; fDanuøepa deposizione di D. 208 n. 103; DINGIRMEŠ-IR-i/(-IR)-uzzi v. Maššan(a)uzzi Ebina’e 301-303; 334 n. 46; Eøeya di Kizzuwatna v. Taøurwaili Eøli-LUGAL(-ma) v. Eøli-Šarruma fEøli-Nikkal/nikkalu, (sposa di Tarøuwašša re di ÷abišše, figlio di ‘Ammurapi re di Ugarit) 208-209; 804; Eøli-Šarruma/Eøli-LUGAL(-ma) 463 n. 71; 471-472; 496-499; Eøli-Šarruma, DUMU.LUGAL 164; 471-472; Eøli-Šarruma, figlio di Ari-Šarruma (re di Išuwa) 471; 497; Eøli-Šarruma, re di Išuwa 163 e n. 137; 633; EN-Šarruma v. Ibri/Ewri/Ep(a)ri/ENŠarruma/LUGAL-ma EN-tar(a)wa 644; EN-tarwa, scriba, sovrintendente del Palazzo, uomo SAG 477; 508; Ep(a)ri-Šarruma v. Ibri/Ewri/Ep(a)ri/ EN-Šarruma/LUGAL-ma Esiodo 556; Ešnunna 706 nn. 35-36; Ewri-Šarruma v. Ibri/Ewri/Ep(a)ri/ EN-Šarruma/LUGAL-ma ÷alpašulupi, fratello di Maššan(a)uzzi, Muwattalli e ÷att. III v. Maššan(a)uzzi/ Matanazzi ÷alpaziti 287-290; 339; 342 n. 85; 506; 512; 853 e n. 10; ÷alpaziti GAL GEŠTIN 175 n. 12; ÷alwa-LÚ 288 n. 66; ÷ammurapi

tuzzili; Tašmišarri; Tulpi-Teššup; Tutøaliya I/II) palazzo di A. 159-160; 179 n. 26; LÚSANGA 179 n. 26; trattato di A. (con ÷uøazalma) 334; 820; Arnuwanda e Ašmunikal donazione di A. e Ašmunikal a Kuwattalla 350 n. 34; epoca di A. e Ašmunikal 191 n. 28; 231 n. 74; figlio di A. e Ašmunikal 652 n. 19; 809 n. 10; preghiera di A. e Ašmunikal 226; 321 n. 37; 355 n. 52; 778; Arnuwanda III, (figlio di Tutø. IV) 160 n. 121; 256; 472; 463; epoca di A. 472 n. 96; 497498; 592; epoca di A.-Šuppiluliuma II 208-209; 242; Ašduware(š)/Ašduwar(a)i 762 n. 4; 770; 772; 776-779; 782; Ašøapala 242; 255; 330 n. 25; fAšmunikal 177; 179-180; 208; 616; 802; 804; 855 n. 15 (v. anche Arnuwan-da e A.) decreto/editto di A.: 226; 262; 267; Ašnu-Nigalli 208; 804; Atiunna 335-336; Awauwa 281; 282; 283; Aziru 797; 827; trattato Šupp. I-A. (di Amurru): 109 n. 29; 115; 736 n. 153; 827; fAzzari 543; Bentešina (di Amurru) 450; 452; 455456; 475-476; 490-493; 502; 819; 853 n. 10; 854 n. 13; (v. anche Kašuliyawiya; Šaušgamuwa) figlia di B. (di Amurru) 456; 458; 490; 751 e n. 201; rimozione di B. 819;

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Testamento di ÷. 76-77; 83; 120 n. 84; 237; 348 n. 26; 370; 375; 377-378; 380; 383; 532; 570 n. 9; 683; 687; 702; 707 e n. 37; 721; 723 n. 103; 863; zia di ÷. 686; ÷attušili II 153 n. 103; 454; 491 n. 8; 494 n. 16; ÷attušili III, (fratello di Maššan(a)uzzi, Muwattalli e ÷alpašulupi, padre di ÷ešni e Tutøaliya IV) 46; 127sg. n. 26; 137 n. 45; 139 n. 49a; 143-144; 146; 148-150; 152-153; 164 e nn. 141-144; 168-169; 175 n. 9; 177; 188 n. 15; 194 n. 49; 215 e n. 7; 227-228; 231-233; 256-258; 270; 276; 280 n. 14; 286 n. 54; 296; 302; 305; 312; 314; 318-319; 323; 325-326; 332 n. 39; 335-336; 354 e n. 48; 358 n. 59; 360 n. 64; 365; 389-439; 446 e n. 15; 450-452; 454-456; 459-461; 463 n. 71; 465-467; 490-491; 493-494; 501; 503; 506; 531; 568-587; 602; 618; 623; 633-634; 636-637; 660; 699 n. 6; 702-703; 720 n. 88; 739 e n. 160; 745-747; 752 e n. 209; 756-761; 771; 776-777; 790-791; 793; 818-819; 851; 853 n. 10; 861-864; (v. anche Nerikkaili; ÷ešni; ÷uzziya; Maššan(a)uzzi; Ramses II; Tašmi-Šarruma) accordi scritti di ÷. con Kurunta v. Kurunta atti politici di ÷. 390; Autobiografia di ÷./“Apologia” di ÷. 43; 46 e n. 24; 50; 229; 391; 398; 399; 465; 569; 700 n. 12; 705; 745 n. 178; 746 n. 183; 790; 791; 793; 794; 795; 861 n. 48; contesa di ÷. con Urøi-Teššup 434; 577 n. 33; coreggenza fra ÷. e Tutøaliya 398; corrispondenza: lettera di ÷. a Kadašman-Enlil II v. Kadašman-Enlil II

Leggi di ÷. 706 n. 35; ÷annutti 509; ÷antili 577; 702; ÷apaziti 288 n. 70; ÷ar(r)anaziti 769; 772; 779-780; campagna militare/spedizione di ÷. 770-771; sposa di ÷. 779; ÷ar/÷ur/÷AR-šanya v. Nuwanza ÷ašamili 637-638; ÷ašduili 504; ÷ašip-Ningal 211 n. 120; ÷aštayar 686-687; ÷aštanuri 470; 501; ÷attuša-LAMMA 348-349; 363; 367; 503; ÷attuša-LAMMA, GAL GEŠTIN 348 n. 27; 513; ÷attušili 454; 494; mGIŠPA-DINGIRLIM/÷attušili, (alto ufficiale, scriba(?) del Medio regno) 335-336; 643; 649-652; 655657; 659; 661; 807-808; 811-814; ÷attušili (I) 59; 61; 76; 80; 85; 89; 370-374; 379 n. 27; 382; 384; 386; 529; 612; 683-688; 704 n. 27; 708; 721 n. 94; 790; 800; 849 e n. 73; 863864; (v. anche ÷uzziya) annali/gesta di ÷. 71; 226; 231233; 455 n. 44; 623; 705; 790; 846; autobiografia di ÷. 57-93; 83; bilingue di ÷. 58; campagne siriane di ÷. 842 n. 29; deposizione di ÷. 684; epoca di ÷. 195 n. 50; 266; 376; 381-382; 591; 837; epoca/tempi del nonno di ÷. 707 n. 37; 710; figli di ÷. 683-684; figlia di ÷. 77; 685; 687; impresa/e di ÷. 59; 848; n. bili/dignitari di ÷. 388; predecessore di ÷. 699 n. 9; regno di ÷. 293 n. 3; 838; ribellione contro ÷. 683;

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179 n. 26; 204; 208-209; 232-234; 249; 277 e n. 2; 279; 281-283; 286; 288; 296; 326; 332-333; 336337; 346; 352 n. 42; 389 n. 3; 421; 501; 569 n. 1; 595; regni di ÷att. III e/o Tutø. IV 158; 278 n. 3; 325; 327; 337; 341; documenti di ÷att. III e/o Tutø. IV 437; regolamentazione di ÷att. III e/o Tutø. IV 426; f÷enti, moglie di Šuppiluliuma I 851; f÷epamuwa 135 n. 42; 139 n. 48; ÷e/išmi/BU 500 n. 41; ÷e/išmi-Šarruma/LUGAL-ma 462; 464 e n. 77; 468-469; 499-500; (v. anche BU-LUGAL-ma/BUŠarruma) identificazione di ÷. 462; 468; principe di Ugarit 464 n. 76; ÷e/išmi-Šarruma, DUMU.LUGAL /figlio del re 499 e n. 40; ÷e/išmi-Šarruma, DUMU.LUGAL KUR ÷atti 468; ÷e/išni 496; 504; 506; 510; 862-863; congiura di ÷. 288-290; 303; 313; 326 n. 3; 329-330; 473; 506; 513; lettera da ÷attušili III a ÷. 862; ÷ešni, fratello maggiore di Tutøaliya IV 863; ÷e/išni, DUMU.LUGAL/”figlio del re” 164; 471 n. 94; 496; 862; ÷ešni, DUMU.LUGAL, figlio di ÷attušili III e fratello di Tutøaliya IV 862; ÷ilašdu 333; ÷imuili 179 n. 28; 638-643; 645; 649652; 655-657; 659; 661-662; 807-808; 812-814; 816 n. 37; amministratori di ÷. 638; fratello di ÷. 652 n. 22; generi di ÷. 652 n. 21; giurisdizione amministrativa di ÷. 643; 650;

lettera (di ÷.) al re di Aøøiyawa 752 n. 209; 823; lettere ÷.-Ramses II: v. Ramses II decreto di ÷. 178 n. 25; 410; 431; 473; 750 n. 199; delibera di ÷. 395; 414; 423; discendenti/discendenza di ÷. 459 n. 55; 703; divinità protettrici di ÷. 432; documenti politici ufficiali di ÷. 573; editto di ÷. 750 n. 196; 751 n. 200; figli di ÷. 570; 574; 587; figlia di ÷. 410; figlio di ÷. 458; 468; 469; 578 n. 40; 736 n. 152; Freibrief di ÷. per Kurunta v. Kurunta legittimità del potere di ÷. 436; morte di ÷. 399; 572 n. 16; presa di potere di ÷. 466; 582-583; programmi di ÷. 861; regno di ÷. 243; 256; 389390; 437-438; 453; 494; 497 n. 31; sorella di ÷. 623; testi di ÷. 389; 431; trattati/accordi: 424; con Tarøuntašša: 427; (v. anche Kurunta; Ulmi-Teššup) con Amurru: v. Bentešina con l’Egitto: v. Ramses ÷attušili III e Puduøepa 127 n. 26; 133 n. 40; 151; 270; 279sg.; 332; 402; 417; 419; 429-430; 468; 499; 570; discendenza di ÷. e P. 467; 573; 578-579; figlio di ÷. e P. 572 n. 19; matrimonio fra ÷. e P. 574; ÷attušili III e/o Tutøaliya IV 143 e n. 61a; 155; 163 e n. 140;

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÷imuili, BÊL MADGALTI 640 n. 50; 649 e n. 5; 807 e n. 4; ÷uilli 639; 641; ÷uøazalma, re di Arzawa(?) 820 e n. 17; v. anche Arnuwanda I ÷uqq/kkana (di ÷ayaša) 562; 614; 742; 795; 817 n. 5; 831; trattato Šuppiluliuma I-÷.: 202; 614; 742; 795; 798; 817-818; 827; ÷ura[, uomo di ÷azušra 350; ÷utarla/i 331 n. 29; 346 n. 15; ÷utupiyanza, figlio di Zida, (nipote di Šupp. I e cugino di Muršili II) 116117; ÷uzziya ÷uzziya, figlio di ÷attušili I 76; 683-684; 702; episodio di ÷. 684; ribellione di ÷. 684; Huzziya (I) 238 e n. 92; 386 e n. 55; 703 n. 24; ÷uzziya II v. Kantuzzili ÷uzziya, (GAL MEŠEDI, figlio di ÷attušili III e fratello di Tutøaliya IV) 398; 459-460; 461-462; 490; 502; 504; 509-510; il nome di ÷. 496 n. 23; posizione di ÷. 461; 509; Yarziti, figlio di Tuttu 330 n. 24; (v. anche Muwaziti) Ibiranu, (di Ugarit/re di Ugarit) 278; 296; 301; 313 n. 13; 333-334; 595; 760; (v. anche Niqmadu III) Ibri/Ewri/Ep(a)ri/EN-Šarruma/ LUGAL-ma 460-461; 502-503; 582 e n. 54; Ep(a)ri-Šarruma, figlio del re 503; Idrimi (di Alalaø) 492 n. 10; trattato I.-Pilliya di Kizzuwatna 212; Ilali 639; mDIM.SIG mDU.SIG 5 v. 5 Ini-Teššup, (di Karkemiš/re di Karkemiš) 296; 301; 307; 313 n. 13; 333; 449; 457; 464 n. 76; 490; 495; 504; 595; 750-751;

accordo stipulato da I. 204; epoca di I. 249; 296; 449; 490; Išputaøšu v. Pariyawatri Ištapariya 374; Itti-Marduk-balâÆu 634; 756; GAL-DIM/DU v. Ura-Tarøunta Kammaliya 499; 504-505; Kammaliya, scriba, capo dei cuochi 477; Kantuzzi 178 n. 25; Kantuzzili 159; 175-176; 177-182; 190; 192 n. 30; 211; 294; 398; 652 n. 19; 804; 854-855; 858-861; 864; “uomini del palazzo di K.” 179 n. 26; É.GAL di K. 179 n. 26; epoca di K. 191 n. 28; figlia di K. 860 n. 44; preghiera di K. 180 e n. 33; 182; 186; 803; testi di K. 860; Kantuzzili, figlio di un Tutøaliya 178 n. 24; Kantuzzili, figlio di ÷uzziya II 855 n. 16; Kantuzzili, “sacerdote”/LÚSANGA 190 e n. 26; 858; 861; 179 n. 26; Kantuzzili, figlio di Tutøaliya I o di Arn. I 747; 809 n. 10; Karria, KARTAPPU 158 n. 115; Kašaluwa 775; 779; Kašilti 639; K/Gaššu 336 n. 62; 464 n. 75; 498 n. 35; 634; 643-646; 651-653; 809-810; 855-858; (v. anche (f)NIN.GAL-uzzi) messaggeri di K. 645; sudditi di K. 855; 857 n. 29; Kaštanda 639-641; fK/Gaš(š)uliyawiya/fGaššulaniya fGaššulaniya/Gaššuliyawiya, sposa di Muršili II 133 n. 40; fKašuliyawiya, figlia di ÷attušili III e moglie di Bentešina 456; 490; Kadašman-Enlil Kadašman-Enlil I lettera di Amenophis III a K. 635;

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adozione di K. 459 n. 55; attività politica/attività di K. 436 n. 81; 441 n. 95; comportamento di K. 501; deposizione/eliminazione di K. 433; 439; discendenti/za di K. 403-404; 408; 447; esenzione per K. 430; fedeltà di/a K. 398-399; 579; figlia di K. 403; fratello di K. 403; 412 n. 43; 586 n. 70; Freibrief di ÷att. III per K. 430; giuramento di K. 397; insediamento/intronizzazione di K. 390-392; 421-422; 426; 455; 494; 575 n. 23; 586; malattia di K. 438; obblighi di K. 436; pericolosità di K. 438; prestigio di K. 437; reinsediamento di K. 433; rivendicazione di K. 739 n. 160; scomparsa di K. 438; 459; 581; sigillo di K. 433 n. 76; 439; situazione matrimoniale di K. 424; successori/e di K. 403; 434; 586 n. 70; Kurunta, figlio di Muwattalli (e fratello di Urøi-Teššup) 446; 459; Kurunta, (re) di Tarøuntašša 162 n. 135; 348-349; 354 n. 48; 367 e n. 76; 391; 414; 418-419; 454; 466; 493-494; 580; 698 n. 5; 738 n. 156; 740 n. 162; 749-750; Kurunta, “Gran Re Labarna Mio Sole” 459; 510; Kuwaggulli/Kukkulli 328 n. 14; Kuwatnaziti Kuwatnaziti, DUMU.LUGAL 118 n. 76; Kuwatnaziti, nipote di Šaøurunuwa 118 n. 76; Kuwattalla v. Arnuwanda

Kadašman-Enlil (II) (di Babilonia/re di Babilonia) 602; 756-757; 760; gioventù di K. 636; lettera di ÷attušili III a K. 633634; 636; 756; 759; 799; padre di K. 757; Kadašman-Turgu, padre di K.-Enlil 756; morte di K. 756; Kazzanna 328 n. 14; Kikkuli di Mittani 633; Kili-Teššup Kili-Teššup, scriba 735 n. 149; Kuniyapiya 302 n. 44; processo di K. 302; 775 n. 19; Kun(iy)aziti/Maniyaziti/Kuniya-LÚ 775 e n. 19; 782; Kurakura 499; Kurkalli/Gurgali 301-303; 334 n. 46; Kupanta-Kurunta/-LAMMA, (re di Mira/re del paese di Mira e Kuwaliya) 107 n. 21; 454-455 494 n. 16; 732 n. 138; 831sg.; 833-834; successione di K. 821; trattati: con K.: 832 e n. 69; Muršili II-K. (di Mira e Kuwaliya): 732 n. 138; 788; 802 n. 76; 818; 820-821; 826; 831832; 858 n. 31; GUR-Šarruma 288 n. 67; Kurunta/LAMMA 280; 332; 389-440; 433; 446-447; 452; 454; 456-459; 466-467; 509; 568; 569-570; 574-575; 579-581; 583-584; 586-587; 713 n. 64; 746-747; 854 e n. 14; accordi, trattati, decreti di/per K.: 400; 412; 431 n. 70; 437; 447448; 459; 494; 498; 512; 580; trattati ÷att. III-K.: 409; 413; 415 n. 48; 420; 422; 424-425; 428; 430-431; 434; 438; 446 e n. 14; 587; trattati Tutø. IV-K.: 389; 424426; 439; 443; 445; 489; 564; 702; 734; 736 n. 152; 738 n. 156; 795; 802 n. 76; 804;

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Teššup e di Kantuzzili(?) 192 n. 30; 804; 860; Mannunza, figlio di Tapaliziti 158 n. 115; Maraššanda/ta 287 n. 57; 331 n. 29; 346 n. 15; 393-395; 423; 426; 431; 500-501; Mariya 827; Mašduri, (re del paese del fiume Šeøa) 434 n. 79; 450-456; 467; 491-493; 575-576; 586 n. 69; 828; 853 n. 10; (v. anche DINGIRMEŠ-IR-i) comportamento di M. 451; 493; 575 n. 29; 828; 854 n. 13; episodio di M. 391; posizione di M. 453; 493-494; successore di M. 451; Mašøuiluwa (re di Mira) 107 n. 21; 818; 821; 831-834; trattato di Muršili II con M. 832; Mašøuiluwa re di Arzawa 107 n. 21; Maššan(a)uzzi/Matanazzi/Maššana-IRi/DINGIRMEŠ-IR-i/(-IR)-uzzi 491 n. 8; 494; Maššan(a)uzzi/ecc., (sorella di Muwattalli e di ÷attušili III e) moglie di Mašduri 454; 494; Maššan(a)uzzi/ecc., figlia di Muršili II, sorella di Muwattalli, ÷att. III e ÷alpašulupi 450-451; 454, 491492; 760; (v. anche DINGIRMEŠIR-i) Mida di Paøøuwa 348 n. 25; Miøamaru 331 n. 31; mDMI-LÚ v. Armaziti Mizramuwa 296-298; 307; 595-596; Mizramuwa, fratello di Upparmuwa (e padre di Piøatarøunta) 511; DUMU.LUGAL 595; Mittanamuwa (v. anche ŠEŠ-zi) famiglia di M. 574 n. 23; decreto in favore della f. 571; Muršili 124 n. 19; Muršili (I), (nipote di ÷attušili I) 77; 321; 348 n. 26; 371-372; 382;

Labarna Labarna (I) 293-294; 708; 747 n. 187; 699 n. 9; Labarna, nipote di ÷attušili I 77; 683; 688; 702; 863-864; deposizione di L. 684; Laøøa 385; 793; fLalantiwašøa 175 n. 12; LAMMA v. Kurunta LUGAL-DLAMMA 459 n. 55; 511512; LUGAL-DLAMMA, Gran UKU.UŠ di sn. 511-512; Lullu 330 n. 25; Lupakki 506; Madduwatta 176 n. 16; Maøøuzzi 474-475; 506-507; Maøøuzzi, GAL LÚMUBARRI 472; 505; Maøøuzzi, Scriba, Gran MUBARRI /DUB.SAR GAL MUBARRI 472; 477; 505; 508; fMala 93; 130; Malli rituale di M. 799; fMalnigal 208; 805; fMalnigal, sposa di Urøi-Teššup 208 n. 103; Manapa-Kurunta 833; Manapa-Tarøunta 832-834; (v. anche Muršili II) regalità di M. 833; trattato: trattato con M. 832-833; trattato di Muršili II con M. del paese del fiume Šeøa 818; Maniyaziti/Maniya-LÚ v. Kun(iy)aziti Manina 175 n. 9; Manni 642; Manninna 175 n. 9; Mannin(n)i 173-175; 180 n. 29; 183; IBILA M. 174; Mannin(n)i, figlio di Arnuwanda e Daduøepa 175 n. 9; Mannin(n)i, (figlio di Nikalmati e) fratello di Pariyawatra, Tulpi-

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575; 577-578; 582 n. 53; 736 n. 152; 746-747; 758; 791; 794; 819; 861 e n. 48; (v. anche Kurunta; Maššan(a)uzzi; Urøi-Teššup; Alakšandu) accordo M.-Tarøuntašša: 231; dio prottettore di M. 417; discendente/i/discendenza di M. 403; 407; 412 e n. 43; 439; 460; 703; epoca di M. 289 n. 71; 396; 853 n. 10; famiglia di M. 412; 439; 509; 854 n. 14 figlio di M. 435; 438-439; 451; 575 e n. 29; mausoleo di M. 395; morte di M. 450; preghiera di M. 129 n. 29a; 181; 187; 351; 406; regno di M. 759; stirpe di M. 439; Muwattalli (II), padre di Kurunta 433; Nananza 330 e n. 25; Nani(n)zi 473-475; 505 e n. 63; 507; (v. anche ŠEŠ-zi) Nani(n)zi, scriba 506sg.; Nerik 461; 502; 582; Nerikkaili, (figlio di ÷att. III e fratello di Tutø. IV) 456; 459-461; 502-503; 508-509; 580-582; 701 e n. 18; (figlio del re e) (LÚ)tuøukanti 398; 450; 458-459; 477; 580; menzione di N. 460; principe reale 449; Nerikkaili, figlio di Tutøaliya IV 460; fNik(k)almati 177; 180; 182; 190 e n. 26; 208; 289 n. 71; 299 n. 71; 803804; (v. anche Tutøaliya II e Nikalmati) fNik(k)almati, madre di Mannin(n)i, Pariyawatra e Kantuzzili 190; Nikkul-mati 210; (f)NIN.GAL-uzzi (f)NIN.GAL-uzzi, sposa di Kaššu 208; 464; 498 n. 35;

384; 386; 570 n. 9; 591; 683-685; 688; 702; 837; editto emanato da M. 721; Muršili II 107 e n. 21; 123-124; 127-129; 133 n. 40; 139 n. 49a; 141 n. 55; 168 n. 157; 178 n. 25; 181 n. 36; 191 n. 28; 194-195; 201; 286; 289 n. 71; 316; 336 n. 62; 451 n. 26, 454; 492; 531; 557-558; 686; 704 n. 26; 736 n. 152; 749; 777 nn. 27-28; 798799; 821; 829; 831-835; 852; 858 n. 32; 861 n. 48; (v. anche ÷utupiyanza; Maššana(u)zzi; Targašnalli; Kupanta-Kurunta; Tuppi-Teššup) ascesa al trono di M. 399; campagna militare/conquista di M. 453; 771; discendenza di M. 703; moglie di M. 531; nipote di M. 736 n. 152; preghiere di M. 557; regno di M. 455 n. 43; editti/documenti vari: 204; 750 n. 197; 852; 860 n. 44; Annali (completi/decennali) di M. 78; 107 n. 21; 110-111; 116; 122; 705; 777 n. 30; 790; 798-799; 829; trattati: con Amurru: v. Tuppi-Teššup con Ugarit: v. Niqmepa con Mira (e Kuwaliya): v. Kupanta-Kurunta; Mašøuiluwa con il paese del fiume Šeøa: v. Manapa-Tarøunta con ÷apalla: v. Targašnalli Muršili (III)(/Urøi-Teššup) 391 n. 8; 452; 493; 576 n. 29; 758; Mušrana 334; Muwaziti, figlio di Yaraziti 330 n. 24; Muwattalli (II), (fratello di Maššan(a)uzzi, ÷alpašulupi e ÷att. III) 46; 50; 164 n. 144; 177; 187; 215 n. 7; 348 n. 25; 354 n. 48; 362 n. 69; 391; 395; 404; 406; 422-423; 435; 446; 450; 456; 490; 492; 570; 572 n. 16;

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Piyatarøu 651 n. 16; Piøa-Tarøunta/-DU/IM/-Teššup 285 e n. 49; 285 n. 49; 287 n. 64; 296-301; 303; Piøa-Tarøunta, medico 543; Piøa-Tarøunta, figlio di Uppa e DUMU.LUGAL ŠA KUR ÷at[ti] 468; 499; 511; Piøawalwi 760; Pi/alliya, (re) di Kizzuwatna 175 n. 13; 736 n. 151; trattati: Idrimi di Alalaø-P.: v. Idrimi Zidanta II-P.: v. Zidanta II Pippappa 653 n. 30; 810 n. 14; Pišeni 651 n. 14; Pittazzi 347; 357 e nn. 57-58; fPittiya 133 n. 40; 135 n. 42; 139 n. 48; fPuduøepa, (moglie di ÷attušili III) 181; 187; 269; 311; 352; 398; 402; 409; 420; 431 n. 72; 438; 445; 447; 460-461; 466-467; 491 n. 8; 502; 531; 554; 571-575; 582-583; 632; 634; 636; 752; 755; 757 n. 224; 779; 796; 800; (v. anche ÷attušili e P.) lettere P.-Ramses II: v. Ramses II preghiera di P. 194 n. 49; 554; voto di P. 212; 333; 503 n. 52; 603; 777-779; fPuduøepa, madre di Tutøaliya 452; 595; 612; Puøanu, (servo di Šarmaššu) 837-839; 843-844; 846-848; Ramses II 499; 623; 634; 636; 739 e n. 160; 752; 757 n. 224; 853 n. 10; lettere/corrispondenza: 468; 499; R. II-÷attušili III: 451; 491492; 760; R. II-Puduøepa: 759; 796; trattato ÷attušili III-R. II: 202 n. 84; 444 n. 5; 564-565; 732 n. 136; 734 e n. 144; 736-737; 739; 756-757; (v. anche Egitto) Šadduwaziti 287 n. 57; Šaøurunuwa (capo degli scribi su tavolette di legno) 117 e n. 73; 214-215;

(f)NIN.GAL-uzzi,

autrice di un rituale 804; Niqmadu Niqmadu II 209 n. 107; 749 n. 194; trattato/accordo Šupp. I-N. di Ugarit: 203-204; 750 n. 197; Niqmadu III, figlio di Ibiranu 307; Niqmepa 204; 750 n. 199; 788; palazzo di N. 444 n. 3; trattato Muršili II-N. di Ugarit: 202 n. 84; 788; 826-827; NU.GIŠ.SAR 281-283; Nuwanza Nuwanza, GAL GEŠTIN 108 n. 29; Nuwanza, figlio di ÷ar/÷ur/÷ARšanya 158 n. 115; Paddatiššu di Kizzuwatna 856; trattato con P. 858 n. 29 Palla 133 n. 40; 335-336; 365-368; 502; Palla, SAG, scriba e (signore di ÷urma) 300; 367; 477; Palla, uomo di Ankušna 350; 365; 368; 508; Pallanna 330-331; 336 n. 62; 345-346; 642; Pallanna, LÚSANGA 345; Pallanza 333; Palliya v. Pilliya Palluwa 658 n. 51; Palluwara-LÚ/ZA, scriba 773; Pariyawatra/i 173-174; 175-177; 180 n. 29; 804; 860; Pariyawatra, (figlio di Nikalmati e) fratello di Mannin(n)i, Kantuzzili(?) e Tulpi-Teššup 192 n. 30; 804; 806; Pariyawatri, padre di Išputaøšu, Gran Re di Kizzuwatna 176 n. 13; Piyamaradu 110; 788; 796; “lettera su P.” 752 n. 209; 823; Piyaššili 829; Piyaššili, figlio di Šuppiluliuma I, (fratello di Telipinu e re di Karkemiš) 449; 746 e n. 182; 749; 852; decreto per P. 749 n. 193;

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lettura fonetica di Š. 507; figlia di Š. 473; ŠEŠ-zi LÚDUB.SARMEŠ (UGULA MUBARRI) 472; 505 e n. 61; ŠEŠ-zi, figlio di Mittanamuwa, fratello di UR.MA÷-ziti 473; ŠEŠ-zi/Nani(n)zi) 473; 505 n. 63; mDSIN-LÚ v. Armaziti Šippaziti, figlio di Arma-Tarøunta 318; 575; 578 n. 36; 720 n. 88; Šunaššura (di Kizzuwatna) 743 e n. 174; 744; 752; 824-825; 830; trattato Tutøaliya I/II-Š.: 401; 739; 743; 751; 819; 821; 823-824; 828; 830; 858; Šuppiaøšu 845; Šuppiluliuma Šuppiluliuma I 104 n. 6; 128 e nn. 26-27; 139; 164 n. 144; 175 n. 9; 178-179; 183; 202; 209 n. 107; 336337; 531; 557-558; 632; 699; 744745; 749 e n. 194; 829; 831; 851-852; (v. anche Tašmišarri; Tawannanna; Tulpi-Teššup; Šattiwaza; Zida) annali di Š. 632; campagne/imprese di Š. 178; 455; 485; 749; decreto emanato da Š. 749 e n. 194; dišcendenza di Š. 703; epoca di Š. 181 n. 40; 195 n. 50; 208-210; 227; 337 n. 70; 345 n. 12; 454; gesta di Š. 485; matrimonio di Š. 180; pronipote di Š. 736 n. 152; trattati: con Amurru: v. Aziru con ÷ayaša: v. ÷uqq/kkana con Mittani: v. Šattiwaza con Nuøašše: v. Tette con Ugarit: v. Niqmadu II vedova di Š. 686; Šuppiluliuma I, fratello di Zida v. Zida Šuppiluliuma I, padre di Piyaššili v. Piyaššili

242; 250 n. 125; 258; 269-270; 290 n. 73; 299; 302; 304; 311, 313-314; 317; 323; 326; 329; 336 n. 62; 340; 342 n. 85; 352; 447; 475; 502-503; 511-513; 577; 595; 612; 718 n. 83; (v. anche Tatta/dda-maru; Kuwatnaziti) decreto/atto/documento/testo per Š.: 227; 229; 232; 367; 392; 401; 431 n. 72; 438; 441; 445; 447-448; 450; 457-461; 464; 475; 477-478; 489; 503; 513; 580-581; 596; 862 n. 52; eredi di Š. 216; proprietà di Š. 572 n. 16; 612; Šaliqqa/Šalikka 328; 512; Šaliyanu(-)[ 330; 345; Salmanassar I, padre di Tukulti-Ninurta I 757; Šantaziti 348 e n. 25; Sargon (re di Akkad) 58; 89; 529; 704 n. 27; 849 n. 73; Šarmaššu 837-838; Šarpa 641-642; 654 e nn. 32-34; 656657; 810 n. 16; Šarri-Kušuø v. Piyaššili Šattiwaza (di Mittani) 735 n. 149; 744746; 822-824; 829; trattato Šuppiluliuma I-Š.: 202 n. 83; 735 nn. 145-149; 737 n. 155; 743-744; 789; 820; 822-824; 826; 829-830; Šattiwaza, figlio di Tušratta 745; 789; Šaušgamuwa, (di Amurru/re di Amurru e figlio di Bentešina) 404; 452; 456457; 475-476; 491; 493; 495; 502; 575-576; 745 n. 179; trattato Tutøaliya IV-Š.: 391; 431; 450-452; 456 n. 47; 491-493; 572 n. 15; 575; 736 n. 153; 741; 745 n. 179; 753 n. 211; 819; 828; 854 n. 13; Šaušgatti 279; 332; Šaušgaziti 473; ŠEŠ 505; 506; ŠEŠ-zi 473-475; 502; 506-508; trascrizione fonetica di Š. 507;

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Tarøuntapiya 160-161; 284 e nn. 39-43; 285 e n. 51; 287 n. 57; 289; 304; 331 n. 29; 339-340; 342 n. 85; 346 n. 15; servi di T. 159; Tarøun(t)aradu Tarøuntaradu, re di Arzawa 753; corrispondenza Amenophi IIIT.: 797; Tarøunaradu 451; Tarøuntaššu v. mDU.SIG5 Tarøuntišša 335; 336 n. 64; Tarøupiøaya, figlio di Tiwata-DU 158 n. 115; Tarøupiøanu, scriba su legno 158 n. 115; Tarøuwaššu v. mDU.SIG5 Taruøšu 373; 374 n. 22; Tašmišarri v. anche Arnuwanda I nome hurrita di Arn. I 177; nome hurrita di Šupp. I 177 n. 18; Tašmišarri, sacerdote 177; Tašmi-Šarruma 469 e n. 87; Tašmi-Šarruma, figlio di ÷att. III: 469; Tašmi-Šarruma, DUMU.LUGAL 509; Tatt/ddamaru 117 e n. 73; 161; 288289, 299; 502; 511-512; parole di T. 288 n. 66; Tatt/ddamaru, figlio di Šaøurunuwa 117; 475; Tat[ 283 n. 37, Tatamaru 286 n. 54; Tawagalawa “lettera di T.” 109; 579 n. 42; 637; 788; 796; fTawannanna fTawannanna, (zia di ÷att. I) 61; 76; 685-686; fTawannanna, sorella o figlia di ÷attušili I 687; fTawannanna, figlia di ÷attušili I 688; figli di T. 688;

Šuppiluliuma I, padre di Telepinu 295; 398; 852; Šuppiluliuma II 124-125; 167-168; 170; 230; 242; 255-256; 463; 518; epoca di Arn. III-Š. v. Arnuwanda III epoca di Š. 124; 143 n. 61a; 209; 242-243; 335; 472 n. 96; 497498; Šuttarna (III), (re di Mittani) 744; 820; Tabrani 303; Tabrani ša rêši del Palazzo 303; Taki-Šarruma 117; 470-471; 501; 793; morte di T. 470; Taki-Šarruma, DUMU.LUGAL/figlio del re 500-501; Talmi-Šarruma 853 n. 10; Talmi-Šarruma, figlio di Telipinu e re di Aleppo 858 n. 32; Talmi-Teššup, KARTAPPU 307; Tame/it(t)i, “uomo di Taggašta” 778 n. 32; Tanøuwatašša, re di ÷abišše e figlio di ‘Ammurapi, re di Ugarit 209; T/Danuwa 373-375; Taøurwaili 373-374; trattato fra T. di ÷atti e Eøeya di Kizzuwatna 739 n. 158; Tapaliziti v. Mannunza Taparami/Tabram(m)i 301-303; Targašnalli (di ÷apalla) 831-834; successore di T. 833 n. 73; trattato fra Muršili II e T. (di ÷apalla) 732 n. 135; 741; 802 n. 76; 818; 832-833; 858 n. 31; Tarøumuwa 640; Tarøunaradu v. Tarøuntaradu Tarøunmiya 641-643; 649-652; 654662; 807-816; carro di T. 642 n. 63; 656; casa di T. 641; 643; 650; 654657; 660; 808; 810; 812; 814 n. 28; dossier/caso/affari/problema/i di T. 642-643; 650-651; 661 n. 57; 808;

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Tulpi-Teššup, (figlio di Nikalmati e) fratello di Mannin(n)i, Pariyawatra, Kantuzzili 190-192; 804; 860; Tulpi-Teššup, fratello di Arnuwanda I e di Šuppiluliuma I 176 n. 14; Tum(ma)ni 282 n. 31; Tumnaziti 282 n. 31; Tuppi-Teššup 562; 797; trattato Muršili II-T. (di Amurru): 736 n. 153; 740 n. 163; 797; 825-826; Tušratta 636; 820; v. anche Šattiwaza Tutøaliya 103-104; 106 n. 15; 169-171; 179; 282; 321; 499-500; (v. anche Kantuzzili) annali di un T. 328 n. 14; 396; il nome T. 499 n. 39; lettera di un T. 800; Tutøaliya, re anteriore a Šuppiluliuma I 178; Tutøaliya (I/II) 171; 655 n. 38; 662; 688; 701; 751; 811 n. 21; 857; (v. anche Kantuzzili) discendente di T. 736 n. 152; editto (emanato) da/di T. 601; 690; 694; 706 n. 33; 801 n. 70; 815; trattato con Kizzuwatna: v. Sunaššura T. e Nikalmati 189; 294; 652 n. 19; 809 n. 10; 854; Tutøaliya III 175 n. 9; 827; epoca di T. 828; Tutøaliya IV, (figlio di Puduøepa, padre di Arnuwanda) 123; 125; 133 n. 40; 146; 150; 155-156; 160 n. 121; 163-164; 166-171; 176 nn. 16-17; 179 n. 26; 194 n. 49; 214; 227; 229; 240; 251; 258; 268; 278-279; 282; 296; 302; 305; 311-313; 319; 325326; 330; 332-333; 341; 344-345; 348-349; 351-352; 354; 358-359; 361; 387; 389-440; 445-472; 489; 490-491; 493-500; 503; 508-509; 531; 554-555; 568-570; 572-573; 575-579; 581-587; 592; 595; 612; 659-660; 662 n. 59; 688 n. 18; 702-703; 708; 712-713;

fTawannanna,

(regina) 129 e n. 30; 135 n. 42; 137 n. 45; 140-142; 167 n. 156; 171; 395 n. 12; vedova di Šuppiluliuma I 128 e n. 26; 139; 336 n. 62; principessa babilonese 181; 211; matrigna di Muršili II 128 n. 26; fTawannanna, MUNUS.LUGAL 128 e n. 26; Tawannaga 79; Tele/ipinu Telepinu 238; 292; 295; 316; 319; 330 n. 25; 373-374; 376; 381; 385386; 388; 702 e n. 24; 722; 793; Editto di T./Costituzione di T. 47 e n. 25; 76; 120 n. 84; 174 n. 5; 237-239; 266; 269; 294 e n. 6; 315-317; 322-323 n. 40; 369370; 373; 374 n. 20; 376; 378 e nn. 34-35; 380; 383-386; 690; 702; 706-708; 711-712; 721; 723 e n. 104; 747 n. 187; 793; 795-796; epoca di T. 381; Telipinu, f. di Šuppiluliuma I, (re di Aleppo) 164 n. 144; 176-177; 398; 746-747; 749; 851; 852; 854; 856 n. 20; 858 n. 32; 860 n. 44; 864; (v. anche Talmi-Šarruma) Telipinu, sacerdote in Kizzuwatna 181 n. 40; 856 n. 20; Telipinu, “sacerdote” in Aleppo 858; Tenu, sacerdote di Teššup 124 n. 15; Tette di Nuøašše trattato fra Šuppiluliuma I e T. 114 n. 58; 822; 826-827; Time/it(t)i 762 n. 4; 775-776; 777-779; 782; Tiwata-DU v. Tarøupiøaya Timuwa, uomo di Ura 124 n. 15; Tukulti-Ninurta I (v. anche Salmanassar I) lettera da Tutøaliya IV a T. 757; T[ul]pi-Šarruma 470; 501; Tulpi-Teššup 173 e n. 4; 175; 176 e n. 14-16-17; 177; 180 n. 29;

876

Tuttu, padre di Yarziti 330 n. 24; Tuttu, pittauriya 337 e n. 70; Tuttuwa-DINGIRLIM/Tuttuwaili 282 n. 31; Tuttuwaili v. Tuttuwa-DINGIRLIM Tutu 330 n. 24; Uøøa-ziti 833; mDU.SIG /mDIM.SIG 281; 283 e n. 5 5 37; UDU-šiwali 642 n. 63; Ukkura affare di U. 286 n. 55; 288; 299; 330 n. 24; Ullikummi 78; Ulmi-Teššup (di Tarøuntašša/re di Tarøuntašša) 153 n. 102; 232-233; 245; 251 n. 129; 270; 297; 349 n. 30; 367; 389-390; 410-414; 416; 418-422; 429; 431 n. 70; 432; 433 e n. 77; 434-435; 438-439; 446; 458; 854 e n. 14; benedizione per U. 418; discendente/discendenza di U. 410; 419; insediamento/intronizzazione di U. 390; 399 n. 22; 439; 447; maledizione per U. 417-419; sposa di U. 410; successore al trono di Kurunta 586 n. 70; successore al trono di U. 410; trattati ÷atti/Tarøuntašša: ÷attušili III-U.: 203; 229; 231; 329; Tutøaliya IV-U.: 284; 285 n. 45; 231-233; 245; 251 n. 129; 411; 413-414; 421; 429; 431 n. 71; 434-435; 439; 440; 445-449; 457-459; 461 e n. 61; 469; 471-473; 475; 477478; 489; 498; 503; 580-581; 701 n. 18; 795; 818 e n. 5; Ura-÷attuša 833; Ura-Tarøunta/GAL-DU/IM 215 n. 7; 227; 318; 502; 504; 513; 571; Ura-Tarøunta GAL KARTAPPU 477;

728 n. 120; 736 n. 152; 745-747; 749-751; 757-758; 776 n. 22; 784785; 794; 815 n. 34; 818 n. 6; 828; 852-854; 861 e n. 47; 863-864; (v. anche BU-Šarruma, Puduøepa, ÷attušili III e Tutøaliya IV) ascesa al trono di T. 399-400; 461; atto/i (politici) emanato/emesso da/di T. 438; 445; 447; 586; concessione di terre da parte di T. 203 n. 84; figlio di T. 460; fratellastro di T. 580; fratello di T. 452; 458; 460; 493; 579; 582; v. anche Nerikkaili, ÷uzziya, ÷ešni insediamento/intronizzazione di T. 399; 503; mausoleo di T. 352 n. 42; nome di nascita/personale di T. 462-463; 498; 500; nome dinastico di T. 467; nome hurrico di T. 469; 471; padre di T. 456; 491; politica estera/internazionale di T. 451; 457; 492; 495; politica siriana di T. 456; 491; predecessore di T. 580-581; sigillo di T. 398; successione al trono di T. 397; successore di T. 465; testo di istruzioni emanato da T. 724; trattati: con Tarøuntašša: v. Kurunta; Ulmi-Teššup con Amurru: v. Saušgamuwa verdetto di T. 750 n. 198; Tutøaliya, GAL MEŠEDI 584 n. 65; Tuttu 164; 328-330; 333; 502; 646 e n. 74; Tuttu, signore dell’edificio ABUSSI 471 n. 94; 476; 496; 501; 496; 511; Tuttu, LÚK[UŠ7 501;

877

Zuzzullu, KARTAPPU Karkemiš 307;

Urøi-Teššup, (figlio di Muwattalli) 124 n. 19; 412 n. 43; 422 e n. 59; 435; 450; 452; 463 n. 71; 493; 566 e n. 29; 575; 739 n. 160; 745 n. 178; 757 e n. 224; 791; 828; (v. anche ÷attušili III; Kurunta; fMalnigal; Muršili (III)) deposizione di U. 390; 395; illegittimità di U. 575; 828; UR.MA÷-LÚ/-ziti UR.MA÷-ziti, capo/Grande degli scribi 471 n. 94; 496; 504; 506; 773; (v. anche ŠEŠ-zi) UR.MA÷-LÚ/ZA 773; UR.MA÷-ZA v. UR.MA÷-LÚ/-ziti Uppa 298; 511 n. 83; (v. anche Piøatarøunta) Upparmuwa 296-299; 508; 510-511; (v. anche Mizra-muwa) Upparmuwa, anduwašalli 476; Upparmuwa, DUMU.LUGAL e sovrintendente degli scudieri d’oro 477; 508; 511 n. 84; 596; Uzzu 638; fWašti 299 n. 27; Wattanta 328 n. 14; Zannanza 632; Zarni(y)aziti 136 n. 44; 646 e n. 74; Zarpiya, medico di Kizzuwatna 543; Zida Zida, fratello di Šupp. I 116-117; 398; Zida, capo delle guardie del corpo 851; Zidanta, padre di Ammuna 796; Zidanta II trattato Z.-Pilliya di Kizzuwatna: 736 n. 151; Ziti/di 266; 612; 838; 845; Zilapiya 653 n. 30; 810 n. 14; Zu 346; 353; 360; Zuga 158 n. 115; Zuru 238, 374-375; Zuwa 634; 800; Zuwanni 288 n. 67; Zuzu, SAG, scriba e KARTAPPU 300; Zuzzulli, figlio di Armazuøi 118 n. 76;

del

re

ALTRI Alessandro 48 e n. 28; Cosroe trono di C. 48 n. 28; Daniele 49; Demetrio Poliorcete; 48 n. 28; Ezechiele 49; Nerone domus aurea di N. 48 n. 28; Nestore 20 n. 45; Omero 21;

878

di

TEONIMI Aa 200; Abate (v. anche Liluri A. Tiyari) A. Liluri di Manuz(z)i(ya) 199; A. Tiyari di Manuz(z)i(ya) 198; Adad A. del cielo 204; A. di ÷atti 204; A. di Arinna 204; A. del monte ÷azi 204; Aiu (v. anche Aya) A. Ikalti 188; A. UTU-ki 189; Aya v. Ea Ala 799; A. del Labarna 799; Allani/Allatum 67; 83-84; 193-199; 207; 804; (v. anche Isøara A.) Amanaøi 195 n. 53; Amon 734; ‘Anat 207; Aškaše/ipa 783; 785; Aštabi/pi 196; 199-200; (v. anche Ilawa A.) Atal(l)ur 67; 83; 92; Ahuramazda trono-carro di A. 49 n. 32; Damkina v. Ea Daqit 207; Dara v. Tar(r)u Takidu Daru Dakitu v. Tar(r)u Takidu DINGIRMEŠ URUKa-ni-iš 785 n. 71; DINGIRLIM URUParša 406; DINGIRLIM-za KI.MIN/KI.MIN KURTI 362 n. 69; Duntaøi 195 n. 53; Duwini 674 e n. 24; 667; Ea 194; 196; 199; 201; 207; Ea Damkina 196; 198; Ea Ningal 196 n. 58; Aya 195; A. Enikaldu 195; A. Šimeki/UTU-ki 196; 199; Enikaldu v. Aya Enikaldu Enlil, padre del dio Sole 180 n. 34; 186 n. 4; E.-Ninlil 186 n. 6;

DEN.ZU

v. dio Luna v. Ištar; DGÍR 346 n. 18; ÷alputili 773-774; 783; ÷annaøanna 362 n. 69; 675 e n. 27; ÷ašigašnawanza 157 n. 113; ÷epat 84; 174 n. 6; 186 n. 5; 188-189; 193-195; 197 n. 62; 198-199; 201; 207; 554-555; (v. anche Teššup e ÷epat) casa di ÷. 200 n. 78; circolo di ÷. 174 n. 7; ipostasi di ÷. 194; kaluti hurrita di ÷. 194 n. 49; rituale per ÷. 208; ÷. del šinapši 188; ÷. di Kizzuwatna 195 n. 50; 204 e n. 87; 409; 738 n. 156; ÷. di Kummanni 188; ÷. muš(u)-ni 74 n. 6; 194-195; 198; ÷. regina del cielo 195 n. 50; ÷epat Šarruma 197-198; ÷. e Šarruma (in Kizzuwatna) 747; 851-852; ÷ilašši 785 n. 71; ÷ulla 174 n. 7; ÷umunni v. dio della Tempesta ÷utena ÷utellura 193-194; 197-199; ÷ušuena 174 n. 6; ÷uwaššanna, dea di ÷upišna 230; festa di ÷. 474; Yariø v. dio Luna Yarri 705; Ib 199; ‘ibnkl/‘ib-nkl (hurr.) 206 e n. 94; 208; Ibrimuša 174 n. 6; Ilali 667; 673-674; Ilaliyant- 673 n. 22; Ilaliyantikeš 673 n. 22; Ilali(y)a(nt) 673 n. 22; Ilawa Aštapi 198; Illuyanka 556; mito di I. 792; DIMIN.IMIN.BI 785 n. 71; DINANNA DGAŠAN

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Kumarbi 190 n. 23; 194; 196; 199-200; 207; Kušuø v. dio Luna DLAMMA 790; É NA4øékur DL. = “santuario del picco montano di L.” 127 sgg. e n. 25; 129-133; 135-136; 138-142; 165 n. 149; NA4øékur DL. 143; picco montano di L. 167; 171 e n. 166; santuario rupestre di L. 167 n. 156; L. di Tauriša 125; L. “dello scudo” 172; DLAMMA KUŠkuršaš 172; rituale per DL. 143 n. 61a; Lelwani 409; 503 n. 52; 603; 738 n. 156; 792; culto di L. 603; Liluri 67; 83; 198; (v. anche Abate L. di Manuz(z)i(ya)) L. Abate Tiyari 199; Luna dio L. 180 n. 32; 185; 188; 196 n. 54; 803; 200-203; 206-207; 210; 212; giuramento del dio L. 201; ipostasi del dio L. 199; 200; moglie del dio L. 803; Yariø 205; nozze di Nikkal con Y. 205; 210 n. 117; Kušuø 187 n. 7; 198; 207; Nanna, Suen, En.sin 206; Nannar 185; EN.ZU 185; 194; 200; Sin 180-181; 187-188; 190; 203; 205 e n. 90; 207; 211; (v. anche Ištar; dio Sole; Šamaš; Nušku) culto di Ningal e S. 211; S. di ÷arran 202 n. 83; DXXX 199; DXXX DNikkal 201; Malia 783; Mati 198; Marduk 186 n. 6;

GIŠ DI. 345 n. 13; Inara 792; 845; 847; I. di ÷attuša 705; 845 e n. 49; Indra 737 n. 155; Išøara 166 n. 149; 180 n. 32; 185-186; 188; 193-199; 201-203; 205-207; 212 n. 123; 227; 804; (v. anche Ammiøatna) I. dea di Arušna 804; I. “signora del giuramento” 202 n. 84; I. Allani 193 n. 41; 198; Iškur/DIŠKUR v. dio della Tempesta Ištalli v. Uršui Ištalli Ištanu v. dio Sole Ištar/IŠTAR 193-199; 201; 203; 318; 323; 419; 466-467; 569-570; 572-573; 575-578; 583-586; 705; 720 n. 88; 747; 783 n. 61; 785 e n. 72; 790-791; 793; 795; 804; 861 n. 42; 862; figlia di Sin e Ningal 186 n. 3; I. di Alalaø 204; I. di Inuita 406; I. di Lawazantiya 432; I. di Ninive 193 n. 41; 196; I./Šaušga/DGAŠAN-ga 189; 193 nn. 40-41; 195; Š. del campo 705; I./IŠTAR/Šaušga di Šamuøa 227-229; 270; 398; 420; 432; 572 n. 15; 576 e nn. 30-31; 579; 699 n. 6; 745 n. 178; 799; festa in onore di I. 194; patrimonio di I. 216 n. 7; sacerdote di I. 579; I./Šapušga/DIŠTAR-pušga 195 e n. 51; (v. anche Naparpi Šapušga) I. uwaliwalli 194 n. 49; Yariø v. dio Luna Kammama 127; NA4øékur DK./picco montano di K. 126-127; 143 e n. 61a; Kamrušepa 681 n. 38; Katiti 63; 92; Ktrt 205, Kubaba, signora di Karkemiš 204; Kulitta v. Ninatta

880

ornitomorfismo/tereomorfismo di P. 669; 678; 680681; (uomini della) scorta di P. 672-676; NA4øékur (D)p/P./ picco montano/roccioso/santuario rupestre di P. 143-144; 146; 149; 151-154; 158-160; 168169; 215; 227-228; 235; 352; 360 e n. 64; 659; NA4øékur (D)p/P. di Tutø./picco montano di p/P. di Tutø. 163; 169; 352; LÚMEŠ É øékur p/Pírwa 155; P. di Ikšuna 351; P. di Šippa 351; Peruwa 665 n. 2; Pišøunuili 784 n. 66; Regina, dea 359 n. 61; 362 n. 69; 666; 675-676; 783; 785; DMUNUŠ.LUGAL 344 n. 7; Šamaš v. dio Sole Šanøuppiya 667; Šanta 783; Šapušga v. Ištar Šarruma 193 n. 41; 197 n. 62; 295; 406; 417; 419; 432 e n. 7; 434; 472; 477; 496; (v. anche ÷epat; Teššup e ÷epat; Umbu Š.) Šaušga/ka v. Ištar DSIN/Sin v. dio Luna Šimeg/ki v. dio Sole Sole, dea/dea solare di Arinna 61; 63; 65; 67; 69; 71; 77-78; 84; 86; 88; 92; 147; 186 n. 5-6; 188; 194-195; 204 e n. 87; 226; 229; 232; 403; 406; 409; 414; 419; 529-530; 554-555; 558; 572 n. 15; 699-700; 705; 738 n. 156; 790; 799-800; 845; (v. anche Mezzulla) figlia della dea Allatum ÷epat 195 n. 50; sigillo della dea S. di Arinna 738 n. 156; Sole, dio 186; 194; 201-202; 552; 803; (v. anche Enlil) figlio di Sin e Ningal 180; 186;

Mezzulla 61; 63; 67; 78; 194 e n. 50; figlia della dea Sole di Arinna 195 n. 50; É DM. 91; 127; Mitra 737 n. 155; DMUNUŠ.LUGAL v. dea Regina DNIR.NIR.BI 344 n. 6; Nabu 797; Nergal 783 (v. anche DU.GUR) Nanna v. dio Luna Nannar v. dio Luna Naparpi 189; 198; Naparpi Šapušga 189; Nasata 737 n. 155; Nikatiti/Katiti 79; Nikkal v. Ningal/Nikkal/NIN.GAL Ninatta 201; N. (e) Kulitta 193 n. 41; 195; 197 e n. 62; 203; 207; N. e Kulitta di Ninive 193 n. 40; NIN.GAL v. Ningal/Nikkal/NIN. GAL Ningal/Nikkal/NIN.GAL 173-174; 180-182; 185-211; 803-805; (v. anche Ea; dio Sole; Šamaš; Nušku; Umbu Ningal/Nikk/ggal) culto di N. 211; culto di N. e Sin v. Sin festa per N. 191; giuramento di N. 201; N. di Nubanni 204 e n. 88; N. di Gur’ati 204; nkl 207; nklwib(d) 206 n. 94; Ninlil v. Enlil-Ninlil Nupatik 196; 199-200; Nušku, figlio di Sin e Ningal 186 n. 3; Pardaøi, del paese di Šuda 202 n. 83; P/Pirwa 124 n. 15; 143 e n. 62-63; 159; 163 e n. 140; 165 n. 149; 314; 343368; 665-682; 774 e n. 12; 782-786; appellativo di P. 670; consorte di P. 670 n. 18; culto di P. 278 n. 3; 330; 344; 346; 348; 350-351; 359-360; 367; nome di P. 669; 679;

881

servo del dio della T. di Manuzi 199; dio della T. piøaimmiš 417; dio della T. piøaššašši/÷I.÷I-aššiš 396; 406; 409; 413; 417; 736 n. 152; 738 n. 156; ÷umunni/Zašøapuna DU-ni 90; DIM-un-ni 90; DIŠKUR/Iškur 61; 91; 199; 212 n. 123; Taru 78; Tarøunta 705; T. dell’esercito 705; T. di ÷attuša 705; Teššup 124 n. 15; 196 n. 54; 199200; 202 n. 83; 554-555; kaluti di T. 194; T. di Aleppo 158; Teššup e ÷epat 295; 555; 652 n. 19; T. e ÷. di Aleppo 179 n. 26; T. e ÷. in Kizzuwatna 178; 190; 747; 809 n. 10; T., ÷. e Šarruma in Kizzuwatna 749; DU 91; 92; 93; DU É SAG.DU 201; DU URU÷alpa/÷alap 158-159; DU! KARAŠ (v. dio della Tempesta dell’esercito/dell’accampamento militare) DU URUKizzuwatni 417; DU URUKummanni 417; DU piøašašši 395; Tênu/Tenu/Temu 124 n. 15; Teššup v. dio della Tempesta Tiyapenti 174 n. 6; Tiyari v. Abate Tiyari di Manuz(z)i(ya) DU v. dio della Tempesta DU-šun v. Ušun DU.GUR 773-774; 783-785; Umbu 188-189; 193-194; 196; 200; 803-804; U. Šarruma 199; U. Ningal/Nikk/ggal

LÚAZU

del dio S. 182 n. 45 “inno al dio S.” 180; madre del dio S. 803; dio S. del cielo 65; 71; 81; 186 n. 6; 204; Ištanu 69; 81; 86; 797; 803; Šamaš, figlio di Sin e Ningal 186 n. 3; Šimeg/ki 190 n. 23; (v. anche Aya Šimeki) Šigina 199; DUTU 194; 212 n. 123; (v. anche Aiu UTU-ki; Aya UTU-ki;) DUT[U LU]GAL 344 n. 7; Šuwatti 785 n. 71; Šuwala 196; 198; Šuwaliyatti 199; 785 n. 71; Takidu v. Tar(r)u Takidu Taru v. dio della Tempesta Tarøunta v. dio della Tempesta Tar(r)u Takidu/Daru Dakitu 194; 196199; Dara Takidu 193 n. 41; Telipinu 224 n. 34; 326; 556; mito di T. 667; 671; 676; 682 n. 42; Temmuwa 124 n. 15; Tempesta, dio della 67; 71; 81; 188; 745; 790; 798; 801; 844, 851; LÚAZU del dio della T. 182 n. 45; sacerdozio del dio della T. 747; dio della T. del cielo 419; dio della T. dell’esercito/dell’accampamento militare 785 n. 70; dio della T. della montagna Manuziya 188; dio della T. di Aleppo 158-159; 846-847; (v. anche DU URU÷alpa/ ÷alap) dio della T. di Nerik 164 n. 144; 398; 572 n. 15; 575-576; 585; 699; 745 n. 178; 861; dio della T. di ÷atti 195 n. 50; 403; 406; 409; 572 n. 15; 700; 738 n. 156; dio della T. di Manuzi 198;

882

U. Niggal/Ningal 188-189; 193 nn. 39-40-41; 195-199; 206; Umwuu Nikkal 197; 199; U. e Ningal 196 n. 59; Uršui Ištalli 196; Ušun/U-šun 174 n. 6; DUTU v. dio Sole Wurušemu 86; 555; Varuna 737 n. 155; Zababa/ZA.BA4.BA4 198; 203; 783; 785; 822; Z. di Ikšuna 351; 362 n. 69; Zašøapuna v. ÷umunni/Zašøapuna Zimeki v. Šimegi Zitøariya 409; 738 n. 156; Zuliya 344 n. 6; 350; 785 n. 71; DXXX v. dio Luna

ALTRI Athana 30; Enesidaon 30; Enyalios 30; Eleuthia 30; Poseidaon 30; Zeus 30; Hera 30; Poseidaeia 30;

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TOPONIMI

(in corsivo i nomi moderni)

regno/stato di A. 46; 490-491; 493; 736 n. 153; 742; Anatolia 185; 516-517; 519-520; 530; 540; 778 n. 32; 803; pantheon hurrico dell’A. 208 n. 101; Anatolia nord-or.le 742; Anatolia occ.le 753; 835; regni/paesi dell’A. 732 n. 138; 831; 834; 858 n. 31; Anatolia sett.le 752 n. 207; culti dell’A. 730 n. 128; Anatolia sud-occ.le 843; Ankušna 350; 359-360; 367-368 (v. anche Palla) “gente di A.” 351; 361; 367; Apaya 65; 80; Appawiya 834; Arinna 35-38; 91; 223-224; 406-407; 415; 421; 842-843; (v. anche URUTÚL-na) Ariwašuøi(-) 350 n. 36; 356; Arušna 129; 133; 138; divinità di A. 129-131; 133 n. 41; 138-139; 141; 203 e n. 86; dea di A. 804; Arzawa 59; 396; 455; 820; 833-835; (v. anche Tarøuntaradu, Mašøuiluwa) cancelleria del paese di A. 753; città di A. 63; genti di A. 835; gesta di Šupp. I contro A. 495; lettere di A. 520; re di A. 833; regno di A. 833-835; territorio di A. 52; 834; Assiria 453; 457; 490; 516; 633; 697; 741; 753; 757-758; guerra con/contro l’A. 99; 750 n. 195; rapporti con l’A. 758; Assur 759; Aššuwa 688-689;

Aøøiyawa 457 e n. 52; 753; questione di A. 139 n. 49; re di A. 453; 493; (v. anche ÷attušili III) Aøla 350 n. 36; 356; Akkad v. Sargon di A. Ala 350; 353; Alašiya 464 n. 76; Alaca Höyük 510; tombe di A. 87; Alalaø (Tell Atchana) 210 e n. 110; 235 n. 85; 278 n. 2; 337-338; 444 n. 3; 520; (v. anche Idrimi di A.) divinità venerate ad A. 210; onomastica di A. 210; popolazione di A. 210 n. 115; Alalaø IV testi di A. IV 204 n. 89; Alalaø VII 58; Alaløa 61; Alašiya 125; Alauna 124; Aleppo 200; 568; 845; 847; 849; 851853; (v. ancøe Telipinu; dio della Tem-pesta) dèi di A. 853 n. 10; dio di A. 285; (÷A-LA-AB) 81; governo di A. 852; 860 n. 44; re di A. 295; 747; 830; 851; 853 e n. 10; trono di A. 746 n. 182; ÷alpa 65; 845; 853; re di ÷. 853 n. 10; Aløa 65; Amana 196 n. 53; Amurru 455; 602; 753; 755; 789; (v. anche Šaušgamuwa di A.; TuppiTeššup di A.) case reali di ÷atti e A. 456; paese di A. 789; 819; 827; trono di A. 456; 819; re di A. 452; 456; 491; 740 n. 163; 828; 830;

884

documentazione di El A. 755 n. 217; testo di El A. 116 n. 68; Emar (Meskene) 249-251; 258; 293 e n. 4; 296; 298-301; 305 e n. 54; 312; 340 e n. 78; 468; 499; 511; 520; 658659; 747-748; 752-753; 813; archivi di E. 747; documentazione contemporanea di M. 285; lettera di E./M. 658-659; 813; ÷abišše v. Tanøuwatašša ÷adduna 333; ÷ayanziya 350 n. 36; ÷ayaša 614; 742; v. anche Azzi ÷aøøa/u 59; 69; 71; 90; 93; 226; conquista di ÷. 800; ÷akpiš/÷akmiš 164 n. 144; 575; 577; 585; 747; re di ÷. 585; 746 n. 183; 776; re e regina di ÷. 575; regalità di ÷. 861, 864; vice-regalità in ÷. 861; ÷alab v. Aleppo ÷alpa v. Aleppo ÷amuwa 39; ÷anigalbat v. Mittani ÷anøana palazzo di ÷. 642 n. 26; 653; 809-810; ÷aniyara 350 n. 36; ÷anziwa 781 e n. 45; ÷a(n)zušra 350 e n. 34; 353; ÷apalla 832; 834-835; (v. anche Targašnalli di ÷.) trattato con ÷. 833; ÷apušna 350 n. 36; 357 e n. 58; ÷arana picco montano (della città) di ÷. 122 e n. 7; 143; ÷[AR]?-migga 363; ÷armina 392; ÷arran 185; (v. anche Sin di ÷.) ÷arpušta 771; 782 e nn. 52-54; ÷arziuna 353; ÷aššarpanda 640;

Azzi/÷ayaša 106 n. 14; Babilonia 48; 142 n. 60; 180 n. 34; 225; 697; 753; 756-757; 800; “figlia della terra di B.” 635; Grandi di B. 634; 636; 756; INIM KUR Karan[duniaš] 862; medici provenienti da B. 729 n. 125; re di B. 128 n. 27; 623; 635; (v. anche Kadašman-Enlil II) Šanøara 129 n. 28; Boˆazköy/Boˆazkale 57; 82; 155; 167168; 171; 209 n. 110; 302; 515-516; 564; 604; 734; (v. anche ÷attuša) scavi a B. 517; Siegeldepot di B. 24 n. 38; tavolette cuneiformi di B. 518; testi di B. 206; Büyükkale 57; 170 e n. 162; Cappadocia 517; colonie paleoassire di C. 234; Cataonia 516; Cilicia 516; Çorum 520; Daøašda 762 n. 4; 775; 782 e n. 49; Dala 124; Dunna 196 n. 53; Dunta/Dunda 196 n. 53; Ebla 200; 210 n. 118; Egitto 113; 627; 633; 636-637; 697; 699; 739 e n. 160; 752-753; 757 e n. 224; 796; (v. anche Ramses II) dossier matrimoniale fra ÷atti e l’E. 634; guerra contro l’E. 574 n. 24; paese di E. 788; re di E. 623; regina di E. 755; sovrani di E.: 531; trattato ÷atti/Egitto: 455 n. 43; 565; El Amarna/Tell el Amarna 234; 520; archivi/io di El A. 752 e nn. 207-209; 797; corrispondenza di/lettera da El A. 633-634;

885

panku di ÷. 383; politica estera di ÷. 562; politica interna di ÷. 459; 734; popolazione di ÷. 379 n. 36; 710; potere regio in ÷. 394; 433; rapporti fra ÷. e Tarøuntašša (v. Tarøuntašša) re di ÷./re del paese di ÷./sovrano di ÷. 61; 101; 164; 281; 294-295; 297; 306; 393; 395; 402; 404; 449-450; 490; 499; 518; 528; 530; 565; 568; 576; 626; 686; 698; 736 n. 152; 739740; 744-745; 748; 760; 789; 793; 798; 822; 825; 828; 830; 834; (futuro re di ÷.) 861 n. 48; re e regina di ÷. 96; regalità di ÷. 407; 438; regine di ÷. 700 n. 14; relazioni fra Kizzuwatna e ÷. 212; “signore di ÷.” 105 n. 7; 108; signori di/del paese di ÷. 109 n. 29; 241; strada per ÷. 826; successione al trono di ÷. 701; 746; 747; sudditi di ÷. 856; territorio di ÷. 52; 54; 805; trono di ÷. 395; 397; 408; 446447; 459; 509; 582; 739; 749; 861-864; truppe di ÷. 791; “uomini di ÷.” 111 n. 40; 383; 688-689; ÷attuša 40; 52; 59; 63; 69; 129 n. 28; 153 n. 104; 164 n. 146; 256; 306; 312 n. 8; 316; 334-337; 374; 396; 405407; 422; 436; 446-447; 459; 489; 516-518; 555; 561; 577 n. 33; 604; 614; 623; 653; 655 e n. 36; 688; 703; 717; 740; 756 n. 223; 759-760; 780781; 789; 791; 810-811; 857; 859 n. 35; 864; (v. anche Boˆazköy; Tarøunta; Inara)

÷aššuwa 59; 65; 67; 71; 91; 93; 163 n. 140; 656; 675; dèi di ÷. 82; ÷atra 39; 40; ÷atti 59; 96; 99, 113; 121; 164-165; 177; 181; 183; 200; 215 n. 3; 253; 277 n. 2; 281; 291; 293-295; 299; 307; 335 n. 53; 341 n. 83; 352; 421; 457; 464-465; 468; 478; 489; 493; 495; 499; 532-533; 543; 565-566; 568; 571 n. 12; 582; 585; 599; 614; 622-623; 626-627; 633; 636-637; 655 n. 38; 697; 699-700; 718 e n. 81; 729; 732 n. 135; 735; 739-753; 756-758; 760; 771; 800; 811 n. 21; 820; 822; 824; 826; 830; 834-835; 845; 851852; 854; 857-858; 860-861; (v. anche dio della Tempesta di ÷.; Egitto) “anziani di ÷.” 684; amministrazione di ÷. 404; cancelleria di ÷. 282; case reali di ÷. e Amurru 456; corte di ÷. 541; dignitari dipendenti da ÷. 857; divinità/dèi/pantheon di ÷. 412; 417; 420; 553; 572 n. 15; 737 n. 155; 851; erede al trono/principe ereditario di ÷. 476; 510; 701; famiglia reale di ÷. 729; figli di ÷. 215 n. 3; 685; 687; figlia del re di ÷. 746 n. 180; giovani di ÷. 752; giurisdizione di ÷. 599; giustizia in ÷. 547; Gran Re di ÷. 732; 737; 788; 797; Grande del regno di ÷. 744; influenza di ÷. 747; lettere di ÷. 635; mercante di ÷. 51; 599; nobili di ÷. 827; paese di ÷. 59; 61; 95; 99; 150 n. 94; 167 n. 156; 181 n. 36; 212; 298; 392; 407; 418; 457; 516; 554; 557; 703; 748; 826;

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471-472; 490; 493; 497-498; 506; 828; (v. ancøe Ari-Šarruma; Eøli-Šarruma) sovrani di I. 434 n. 79; Gakkalna(?) 350 n. 36; Kalašma 107 e n. 21; v. anche Aparru Kam(m)ama 127 n. 25; 772; 778; 780; 782; Kaniš 351; (v. anche DINGIRMEŠ URUK.) ŠAKNU di K. 287 n. 64; K/Gaparša 347 n. 22; 350; 352; 355357; Gapili/awanta 349-350; Karaøna festa della città di K. 785; Karkemiš 204; 295-296; 302; 441; 491; 568; 748 e n. 188; 753; 829; 852 n. 8; (v. anche Ini-Teššup; DKubaba) potere di K. 852; re di K. 295; 297; 301; 303; 305-307; 334 n. 46; 401; 413414; 425; 440-441; 448-450; 453; 458; 490-491; 493; 495496; 568; 747-748; 830; (v. anche Piyaššili) sovrani di K. 434 n. 79; 450; stato di K. 204 n. 89; trono di K. 746 e n. 182; 852; uomo di K. 798; zona di K. 568; 748 n. 188; Karnak 444 n. 3; 564; 734; Kašipura 644; 651 n. 17; K/Gaška 106 n. 14; città di K. 636 n. 32; Gašša 639; Kašula 328 n. 12; Katapa 158 n. 115; 782 n. 49 Kiškilušša 792; Kizzuwatna 174 n. 6; 181; 183; 187; 208 n. 101; 210-212; 227; 295; 358; 618; 623; 652 n. 19; 743; 749-750; 809 n. 10; 819; 822; 854-858; (v. anche Ammiøat-na; ÷epat di K.; DU URUK.; Šunaššura; Zarpiya; Pilliya; Telipinu; Paddatiššu; Isputaøsu;) città di K. 182;

archivi di ÷. 293 e n. 4; 312; 325; 517; 541; 623; 654; 662; 714; 729 n. 125; 780; 811; 815; custodia di ÷. 434; distruzione di ÷. 515; documentazione di ÷. 650 n. 10; 808 n. 7; ÷AZANNU di ÷. 235 n. 84; 859 n. 40; (v. anche ÷AZANNU) paese di ÷. 788; persona di ÷. 52; popolazione di ÷. 142 n. 60; re del paese di ÷. 788; scribi di ÷. 619; sovrani di ÷. 441; templi 2-3 di ÷. 510; testi hurriti di ÷. 803; trono di ÷. 379; uomo di ÷. 52; Boˆazköy/÷attuša 443; 515; 604; 734; ÷e/im(m)uwa 40; 347-348; 350; 353; ÷upišna 230; ÷urma/e 508, (v. anche Palla) “signore di ÷.” 108; ÷urri 59; 63; 823; 829; messaggero del paese di ÷. 743 n. 174; re del paese di ÷. 743 n. 174; suddito del re di ÷. 743 n. 174; Ikkali 61; Ikšuna 350; 351; (v. anche Pirwa di I., Zababa di I.) Ønandik 520; 612; 702; Inuita v. DIŠTAR URUI. Išøupitta truppe di I. 653 n. 30; 810 n. 14; Isin 290 n. 75; 304; 339-340; Ištaøara 782; Ištuna 350 n. 36; Išuwa 163-164; 350; 352 e n. 42; 495 n. 22; 498; gente di I. 819; 823; re di I. 152; 158; 160-164; 351352; 356-358; 372 n. 12; 453,

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distretto di T. 814; documenti di M. 331 n. 28; 345-346; 650 n. 10; lettere/a di M. 637-638; 640; 645-647; 651 e n. 12; 655-656; 659; 661 e n. 57; 690; 781-782; 792; 797; 807-809; 811-813; 855-857; 859-860; lista di uomini da M. 646 n. 74; scavi a M. 807 n. 1; tavolette di M. 335-336; testi/o di/da M. 336; 646; 714 n. 67; Meskene v. Emar Mesopotamia 234; 520-519; 531; 613; 617-618; 704 n. 27; 803; Milawata 753; Mira (e Kuwaliya) 455; 495 n. 21; 753, 832-835; (v. anche Kuwaliya; Alantalli; Kupanta-Kurunta) paese di M. 453; 494-495; 834; re di M. 454-455; 495; regno di M. 494; trono di M. e K. 821; Mittani(/÷anigalbat) 183; 743; 745; 759; 819; 822; 826; (v. anche Kikkuli; Šattiwaza; Šuttarna) casa del re del paese di M. 820; rapporti diplomatici con M. 743; re/sovrano di M. 112 n. 46; 821-823; 828; 830; regina di M. 745; trono di M. 744-745; ÷anigalbat 59; 753; 788; re di ÷. 471; 497; 633; 791; Mutamutašša v. Ura e M. Naøøanta 412; Nerik 35-38; 223 e n. 33; 225; 508; 585; 776-778; (v. ancøe dio della Tem-pesta di N.; Anuwanza) festa di N. 112 n. 43; 114 n. 57; Grandi di N. 38; “signore di N.” 108; ricostruzione di N. 577; zona di N. 761; 771; 776; Neša 520;

rapporti fra K. e la Siria sett.le 212; re di K. 830; 858; relazioni fra K. e ÷atti 212; sacerdote di/in K. 652 n. 19; 809 n. 10; 851; 855; 857-858; trattati con K. 202 n. 82, 735 n. 145; trattati fra gli Ittiti e K. 212 n. 124; Korucutepe 327 n. 9; 497 n. 30; Kummanna/i 183; (v. anche ÷epat di K.; DU URUKummanni) dèi hurriti di K. 554; divinità/dèi di K. 181; 187-188; figlia di un sacerdote di K. 531; Gur’ata/i 204 n. 89; (v. anche Ningal di G.) Kuruštama 123 n. 11; Ku$akl½ v. Šarišša Kuššar(a) 370; uomo di K. 76; Kuwaliya (v. anche Mira e Kuwaliya) territorio di K. 834; Kuwarina 775; 782 e n. 54; Luqqa 106 n. 14; Luwiya 52; 54; 599; uomo di L. 52; Manuz(z)i(ya) (v. anche dio della Tempesta di M.; Abati Lelluri; Abati Tiyari) divinità/dèi di M. 198-199; liste di M. 197 n. 59; 199; Mari 58; 113 e n. 51; 211 n. 120; 235 n. 85; archivi di M. 312 n. 9; testi di M. 317 n. 19; documentazione di M. 711 n. 57; Ma$at (Tapik(k)/gga) 293 e n. 4; 312; 335 e nn.57-58; 338; 520; 638-639; 641-643; 649-650; 653-654; 657; 661 e nn.55-57; 714; 717; 752 n. 207; 780-781; 807-808; 810-811; 814 e n. 31; 855-857; amministrazione di T. 810; archivi/io di M. 780; 793;

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Palazzo di/posto in Š. 654-655; 781 e n. 44; 811; 856; scavi di O. 811; Šar½kale 168; Šarišša (Ku$akl½) 752 n. 207; 858 sg. e n. 40; ÷AZANNU di Š. 859 n. 40; edificio C di K. 860 n. 44; lettera di K. 860-861, lettera in arrivo a Š. 859 n. 40; lettera in partenza da Š. 859 n. 40; Šarmana 396; Šaššuna 350 n. 36; 354; Šiyannu 750 nn. 197-198; Šippa 350; 351; (v. anche Pirwa di Š.) tempio della città di Š. 346; 360; Siria 208 n. 101; 520; 739 n. 160; 749; Siria nord-occ.le 847; Siria sett.le 59; 186 n. 6; 517; 529; 699; 704 n. 27; 741; 748; dialetto della S. 58; paesi della S. 748; zone della S. 748 n. 188; Siria-Palestina 185; 803; Šuda v. DPardaøi Šunupašši 123 n. 8; Šupašši 158 n. 115; Šuppiluli(ya) 781 e n. 46; Šuttašna 392; Taggašta 782 n. 49; “uomo di T.” 778 n. 32; Taøazimuna 638; Takšana 80; Talmaliya 646, Tamalki 39; Tapaššanda 684; purificazione dei Palazzi di T. 684; Tapik(k)/gga v. Ma$at Tarøuntašša 150; 162 n. 135; 229 n. 62; 232; 390; 394 n. 11; 393; 396; 402404; 406-408; 413; 415-417; 419; 421-422; 426; 441; 750 n. 196; (v. anche Ulmi-Teššup di T.; Kurunta di T.; ÷attušili III)

Niøriya battaglia di N. 464-465; Nippur 96; Ni$anta$ 168 n. 158; Ni$antepe 168 e n. 158; 171 e n. 165; Ninašša 63; Nubanna/i 204 n. 89; (v. anche Ningal di N.) Nuøašše v. Tette di N. Nuzi (Yorˆun Tepe) 209 n. 110; 211 n. 120; 276 n. 15; 540; 613; documenti di N. 112 e n. 46; onomastica di N. 211 n. 120; Ortaköy v. Šapinuwa Osmankayas½ v. Yaz½l½kaya Paøøuwa 348 n. 25; (v. anche Mida di P.) Pala 116; 599; territorio di P. 52; 55; Pala(p)palašša 352; Palantarišša 350 n. 36; Parøa 392; Parmanna 65; 80-81; Parša v. DINGIRLIM URUP. Parzaliuwa[(-) 350 n. 36; Persia 113; Pittalaøša 122-123; Pittalaøši 123 n. 8; Pulantariša 361 n. 68; Purušøanda uomo di P. 401; Qadeš 794; Ras Shamra v. Ugarit Šaøuzimiša 781; Šaliwanta 396; Šallaøšuwa 63; 79-80, Šamuøa 576 n. 31; (v. ancøe Ištar di Š.) Šanaø(ø)uitta 61; 63; Šanøara v. Babilonia Šantimma 392; Šapinuwa (Ortaköy) 158 n. 115; 520; 642 n. 65; 653-655; 752 n. 207; 762 n. 4; 780-781; 807 e n. 1; 810-811; dignitari di Š. 657; lettere provenienti da O. 781 n. 45;

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Aøat-Milku; Ammi-stamru II; ÷išmi-Šarruma; Ibiranu; Niqmadu II) archivi di U. 313; 747; confini di U. 750 n. 197; divinità di U. 207; documentazione/documenti di 99; 101; 114; 208; 278; 296; 299-300; 601; 748; documenti hurrici di U. 207; documento/i rinvenuto/i / ritrovato/i ad U. 470; 473; frammenti da U. 202 n. 84; gente di U. 750 n. 199; lettera/e di U. 113 n. 51; 596; 775 n. 19; pantheon di U. 206; 210 n. 117; pantheon hurrico di U. 208 n. 101; re/sovrano di U. 113; 301; 304305; 307; 313-314; 334 e n. 46; 340-341; 464 n. 76; 755; 760; 826; 830; regno/stato di U. 99; 313; 334; 749 n. 194; sigilli/o di U. 327 n. 9; 467-468; testi/o di U. 99-100; 113-114; 195 n. 50; 200; 203; 208; 225; 250 n. 126; 278 n. 6; 313; 333 n. 45; 340; 476; 510; tributi versati per U. 511; trono di U. 751; Ulma 63; Ulušna 346-347; 352; Ummaya 65; 80; Ur 185; Ur III epoca di U. 309; 528; 718 n. 80; Ura (v. anche Alalimi) uomo di U. 287 n. 64 (v. anche Timuwa) mercanti di U. 750 n. 199; Ura e Mutamutašša 820; Urikina 420; 432; Urišta 639; 860; Uršu 799; “Assedio di U.” 798;

divinità/dèi di T. 354 n. 48; 393; 396; 406; 423; É duppaš del paese di T. 95; paese di T. 455; 494; rapporti fra ÷atti e T. 389; 429; re/sovrani di/del paese di T./ DU-ašša 95-96; 203 n. 85; 393; 401-402; 405-406; 409; 411; 413; 416; 421; 431; 437438; 441; 449-450; 458; 490; 495-496; 727 n. 118; 746 n. 183; 830; regalità di/su T. 403; 411; 422 n. 59; 446; 574 n. 23; “sede dell’amministrazione” del paese di T. 99; successione in T./successione al trono di T. 409; 411; territorio di T. 436; trattati di/con T. 444; 446 n. 14; 449; trono di T. 390-392; 403; 421; 431-435; 438-439; 446-447; 569; 583-584; 587; 854 e n. 14; Tarso 175; 520; Ta$lik 520; Tašøiniya 39; 61; Tawa 408; Taunaga 85; Tauriša v. DLAMMA di T. Tawannaga 67; 85; Tell Atchana v. Alalaø Tell el Amarna v. El Amarna Tiøuliya 829; Tilisso 12 e n. 6; 17 n. 34; Timana 71; 88; Tiwaliya 350; 351-352; 355-359; Tuøuppiya 674; URUTÚL-na 91; (v. anche Arinna) Tumanna 116; 505; DU-ašša v. Tarøuntašša Ugarit (Ras Shamra) 113; 116 n. 64; 204; 206; 209-210; 234; 293 e n. 4; 296-297; 300-305; 307; 313; 325; 333; 340-341; 398; 463; 470; 501; 506; 520; 595; 602; 627; 740 n. 163; 747-753; 755; (v. anche ‘Ammurapi;

890

“casa del mercante di olio” di M. 12; anfore di M. 12; tavole di M. 14; abitanti di M. 14 n. 20; Orcomeno 12; Palecastro 12 e n. 6; Panfilia 30; Pilo 12; 17-23; 26; 30 e n. 83; abitanti di P. 14 n. 20; archivio di P. 25; palazzo di P. 12; regno di P. 19-20; tabelle/a di P. 14; 18-19; 21-23; tavole di P. 14; testo/i di P. 17; 19-20; 30; Pyrgi 99 n. 20; Pleuron 19; Praisos 17; Tebe 12; Tirinto 12;

Ušša 712; Uššu 848; Ut(?)rulia 131 e n. 35a; Walinanta 396; Waršuwa 61; Wiluša v. Alakšandu di W. Wuruliya 131 n. 35a; Yaz½l½kaya/(Osmankayas½) 167-171; 531; 555; 745 n. 179; divinità femminili di Y. 211; Yenicekale 168; Yorˆun Tepe v. Nuzi Yozgat 353; Zalpa 39-40; 61; 91; 845-846; Zaruna 65; Zikašta 855; Zike/iš(š)ara 779 e n. 38; Ziku/ma-[ 286 n. 56; Zippalanda 35-38; 223-225; 406-407; 782 n. 49; Zippašna 67; 69; ALTRI Amnio 30; Cnosso 12; 17 n. 30; 25-26; 29-30; distruzione di C. 17 n. 34; lineare B di C. 13 n. 14; 17; materiale di C. 12 n. 7; occupazione di C. 17; palazzo di C. 12-13; 17 n. 33; tabelle di C. 14; 18 n. 37; 30; tavole di C. 14; 24; testi di C. 17; 20; 23-24; 26; Creta 12; 17 n. 30; Dreros 17; Eleusi 12; Festo 12; ÷aghìa Triàda 12 e n. 6; 17; Itaca 21; Kyme 556; Klimova trono di K. 48-49; Mallia palazzo di M. 12; Micene 12-14;

891

ORONIMI

IDRONIMI

(in corsivo i nomi moderni)

(in corsivo i nomi moderni)

Arimatta sorgente di A. 412; Eufrate v. Mala-Purattu ÷arranašša 122 n. 7; fonte ÷. 159; ÷ulaya paese del fiume ÷. 245; 392; 400; 405; 413; É duppaš del paese del fiume ÷. 95-96; Kapantišša fonte K. 156; 159; Kuwannaniya fonte K. 165; Mala-Purattu/Eufrate 59; 71; 312; 529; 704 n. 27; 748 n. 188; 820; 849 n. 73; Paruna 65; Šaniya fonte Š. 156; Šariya 328 n. 12; Šeøa paese del fiume Š. 434 n. 79; 451; 453; 491-494; 753; 832-835; (v. anche Manapa-Tarøunta; Mašduri) re del paese del fiume Š. 450; trono del paese del fiume Š. 451; Šuppiluliya 781; Wanattiya fonte W. 159;

Adalûr/Atâllûr 82; Ammana 196 n. 53; Aranøapila/Ara(n)øapilanni 63; 79; 92; Arlanta 392; Dalia 782 n. 49; Dykte 30; Dunna 196 n. 53; ÷arana 122 e n. 7; øégur ÷. 669; ÷arpušta 782 n. 54; ÷arran 122 n. 7; ÷arranašša 122 n. 7; ÷azi v. Adad ÷u(wa)tnuwanta 392; Išd/taøarunuwa 123-124; 143; Išøara montagna I. 166 n. 149; Kulitøa 829; Liøša 350 n. 36; 359-360; Manuziya dio della Tempesta della montagna M. 188; Tauro 529; 704 n. 27; 844; 849; Tiwatašša 455; 495; Zagros 208 n. 101;

892

TERMINI ITTITI CITATI -ašta .... para tarna- 689-691; 692-696; ad-/ed- 519; :atupalašša- 132 n. 39a; auri- v. išøa-

A

aøri- 192 n. 32; aørušøirecipiente a. 192; ak- 387 n. 59; 597; a/eku- 519; allinališ(?)[(-)/allinaš[i(?)(-) picco montano a. 159; anaøi- 192; annanumma- 591; (:)annari- 125 n. 22; 160 n. 124; annauli-/annawali- 738; annaz 250 n. 127; 658 n. 52; (LÚ)antiyant- 265-267; 275; 607; 702; matrimonio a. 539; 612; sposo a. 702; antuwaøøa-/antuøša- 794 n. 36; 838839; anduwašalli- 476; 600; LÚ.MEŠapanalli÷I.A361 n. 68; apiši- 186 n. 6; (= (LÚ)ŠIPU) LÚappa- 98 n. 18; appa/EGIR-pa 146 n. 73-78; 400; appa(n)/EGIR-an 393; appanda/EGIR-anda appat(a)riya- 52 n. 3; appizzi- 831; ap/buzzi v. É apu/bu(z)zi ar- 55; âra 396 n. 14; 414; araøzanda v. weø-/waøarawaøø- 87; 146; arma- 325 n. 1; armuwalašøa- 187; arnu- 53-55; aršana-/(::)aršanya- 335 n. 59; arzanacasa a. 628; ašawar 78; ašøušikkunni 196 e n. 59; ašnu- 632; 641 n. 54; aššu- 265; 678-679;

E

eøa- 659 n. 53; eyaalbero e. 37; 38; 224-226; ek/ga- 220 n. 22; 841; enti- 768; ep- 261 n. 2; 640; eš- 223 n. 32; e/išøar ešøar iya- 597; ešøanaš išøaš 103; 602; ešøanaš šarnikzil 601; 640 n. 49; 690 n. 24; ešøar iezzi 602; ešša- 659 n. 53; v. anche iya-

GIŠ

÷

øabiru territorio dei ø. 751 n. 200; øaøla-/øaøøal- 126; øala- 44; (v. anche øurki-) øalai- 44 n. 11 øaliya- 44 e nn. 10-11; 50; 126; øaølai-/øaøliya- 126; øaliølai-/øaliøliya- 126; LÚøalipi- 302; øalzaituliyan øalzai- 374; øamenk- 263; øamri- 84; øaniyaš KÁ.GAL 126 n. 23; øann(a)- 640-642; øanneššar øann(a)- 745 n. 178; LÚøantantiyali- 616; øantezzi- 392; øantezziuš aunuš 406;

893

øanzašša v. øaššaøappar 223 n. 28; øapparai- (øappirâi-, øappariya-) 223 n. 28; øappinaøø- 670; øara(n)- 122 n. 7; 669-670; øark- 44 n. 18; 158 n. 115; 218 n. 14; 221; øarakzi, TI-anza, øarkantan 217 n. 11, 222 n. 27; DUGøariulli 841 n. 28; :øarmina- 392; øarnaš(a)î 122 n. 7; øarš- 145 n. 69; (::)øašp- 345 n. 11; 349; øaššaøašša . . . øanzašša 703 n. 25; øaššumaš festa ø. 119 n. 83; øaštanuri- 501; (v. anche m÷aštanuri) ø/÷atpínaš 155; øatrai- 655; 812; kuit øatraiš 754 n. 215; (v. anche TAŠPUR) (NA4)øék/gur(÷I.A) 121sgg.; 143 n. 61a; 154-155; 165 e nn. 148-149; 167168; 172; 360 n. 66; 669; (v. anche elenco a p. 171-172; É NA4øékur; LÚMEŠ É NA4øékur) NA4hégur annari 160; øékur ø/÷atpínaš 155; (NA4)øékur DKammama 127 n. 25; 143 e n. 61a; NA4øékur NA4kurušta 123; NA4hégur muwatti 160; NA4øékur p/Pírwa 143 n. 61a-63; 149; 153-155; 167-168; 170-171; 360; 395 n. 12; 571; LÚMEŠ NA4øékur p/Pírwa 158 n. 115; (v. anche p. 172) (NA4)pírwa 143; N]A4(?)øékur p/Pírwa mTu[tøaliya(?) 158; 166; 168-170; (v. anche p. 172) NA4øékur Temmûwa 124 e n. 15; 126;

øékur DINGIRLIM 126; 159;

NA4

167;

øékur DLAMMA 127 n. 25; 143; 168-169; 395 n. 12; (v. anche É NA4ø. DLAMMA) NA4øékur SAG.UŠ 124-125; 143 n. 61a; 166-171; 394-395; 400; 405-406; 423; 436; 439; 393-394; faccenda/questione del/AWAT . . . 393-394; 431; 436-437; 440 n. 89; øešEGIR-pa øéššir 79; øe/išmi- 463; øešti-/acasa ø. 126; 153 e nn. 104-105; 168 nn. 157-158; 171 n. 165; 571 n. 12; LÚøippara- 222-223; (ø)išuwa 198; øirindugarri(-) 772; øuburtanuri- 470; 501 n. 48; øubrušøirecipiente ø. 192; øurki- 44 e nn. 11-17; 50; ta øurkin øalienzi 43; øurke/il- 44 e nn. 11-16-18; 45 e n. 19; 50; 613; øutuširecipiente ø. 124; øuwaši-/ZI.KIN 221 e n. 26; 225 e n. 35; (v. anche ZI.KIN) (NA4)

I, Y

igai- 636 n. 32; iya-za iya- 345 n. 13; ešša- 250; 345 n. 13; iyaanda iya- 265; EGIR-anda ... iyat 415; :iyašøantin 801; iyawa- 679; ilaliya- 673 n. 22; iparawašša-/i- 769; išøa- 708 n. 43;

894

auriaš išøa- 714; išøamai- 846; išøana- 597; išøanaš/ešnaš uttar 597; 602; LÚišøanittara- 250 n. 125; išøiya-/išøai- 276; 735; išøiul 391; 400-403; 406; 415-416; 427; 532; 709 n. 47; 735; 740 n. 161; (v. an-che TUPPU) i. della divinità 404; i. di Tutøaliya 402; ŠA DINGIRLIM šaøøan i. 396; 427; ŠA LUGAL 427; ŠA KARAŠ i. 404; 427-428; išøunâi- 275-276; išpartšara išparzazi 579; ištamašištamaššuwar 678; ištarna- 33-34; 219 e n. 19; itkalzi rituale i. 189; 804; iuka- 842; iwaru- 220-221; 264; 536; 606;

kiš- 223 n. 32; kišati 843-844; DINGIRLIM kiš- 818; kuen-/kun- 387 n. 59; 597; (v. anche ak-) kuer-/kur- 85; kulê- 221 n. 24; kuntarra- 393-394; kururiyaøø- 391; NA4kurušta- 123; 143; kûš v. kuštaikušata- 262-275; 536; 606-607; kuššan- 589; kuššaniya- 589; kuštai- 768; kutt- 84; (::)kuwappala- 396; 413-414; 421; 430; L

lamniyaANA GIŠDUBBIN lamniya- 43; :larella 344-345; (::)lapana- 361 n. 68; (:)lapanalli- 345 n. 11; 361 e n. 68; labarna- v. tabarnalingai- 562; 735; 740 n. 161; link-/linka- 735 n. 147; lûlu- 795; luššanu- 361 n. 68; luzzi- 33-40; 69; 87-88; 145-151; 216; 219-233; 235; 249-251; 256; 312-313; 405; 423; 578 n. 40; 643; 650; 656; 658-661; 808; 812-814;

K/G

kalmuš- 127; kaluti- 197 n. 59; 554-555; k. anatolici 207; k. di Teššup 194; k. hurrita di ÷epat 194 n. 49; k. kizzuwatnei 195 n. 51; 196; 207; kaneš- 399; kapunu- 322 n. 38; karš- 846; karu- 658 n. 52; kaša 685 n. 6; kašt- 646; genuwaš øalaššiya- 78; ker/kard- 667; keššar-/keššara- 787-802; (v. anche wašta-) kinun 348; 350; 355; 429 n. 67; 658 n. 52; gipeššar 600;

GIŠ

M

mai- 668 n. 10; 821; maya- 668 e n. 10; mâêš 668 n. 10; 669; mâya[š] 668 n. 10; 669; (LÚ)mayant- 668 n. 10; LÚ.MEŠmaiyanduš 846; mayantili 680-681; SIGmaišta- 820; man (-man) 335 n. 60;

(LÚ)

895

maniyaøø- 106 n. 18; 239; 311 n. 7; maniyaøøâi- 106-107; 708 n. 40; maniyahhanteš 628; LÚmaniyaøøiyaš v. LÚ maniyaøøiyaš mariyannu 830; maršana(u)ašši-/maršanašši- 769; volo degli uccelli m. 201 n. 79; mema- 82; 654-655; 812; 848; memiškiwan dâ-/dâi-/tiya- 668; memiya(n)- 426; 428; 566; 740 n. 161; (v. anche INIM; AWAT) menaøøanda 188; mugai- 848; mugawar / muke/iššar 556; 773; rituale mukeššar 140-141;

pattarpaløi- 769; volo degli uccelli p. 201 n. 79; peruna- 669; pi/enkita- 132 n. 39a; piøašašši- v. DU/dio della Tempesta p. pir- 719 n. 86; (v. anche È) parnaššea šuwaizzi v. šuwaipiran 146 n. 73; pitta- 337; piddâi- 271; pittauriya- 337; pittenu- 270-272; punuš- 110 n. 36; 372; punuššuwar 741; purullifesta (primaverile) del p. 556; 792; purut- 393;

N

naøøitipane n. 188; 192; nâi- 641 n. 53; para nâi- 640; pían arøa nâi- 769; našma 732 n. 137; (v. anche naššu) naššu . . . našma 316 n. 18; 711 n. 59; nini(n)k- 187; 678; nipašuri 767; nuntarriašøa- 558; festa n. 316;

Š

šâ-

EGIR-an šanzi 356; 357; šaøøan- 33-40; 69; 87-88; 107 e n. 19; 125; 145-151; 162 n. 135; 214; 216222; 224-233; 235; 241; 249-251; 256; 312-313; 354 n. 48; 405; 423; 578 e n. 40; 643; 650; 656 e n. 42; 658-661; 808; 812-814; festa del š. 230; š. della divinità 415; 422-423; 439; šaøøani luzzi=ya/luzziya tittanu656; šakkuriya- 82; šaklai- 401; šakuwa 825; (v. anche IGI) šakuwa + nai- 826; šakuwai- 37-38; šalašøauomini š. della città di Uššu 848; šalik- 138 n. 46a; šallišalli ašeššar 384; 724; šalli øaššatar 374; 383; šarammapane š. 112 n. 43; šarikuwa-

P/B

pangaui- 379; pâi- 218; 2-an takšan arøa pâi 769; EGIR-pa piøøun 400; EGIR-anda-[y]a-šši kuit piøøun 419; (:)palpadami- 783 n. 63; palša-/palši- 671; panku- 239, 369-388; 532; 706 n. 33; 721-724; composizione del p. 723; parø- 783 n. 65; parn- v. pirpattar 840;

896

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uomini š. 226; šarnikkizil-/šarnikzel- 54; 136 n. 44; šarnink- 54; 153 n. 105; šarninkišk- 400; šintaøi- 768; šišt- 821; šullatar 55-56; 597; šulupi-/e- 768; šuwai- 40-42; 273; parnaššea šuwaizzi 41; 51 n. 1;

EGIR-an . . . tarna- 411; 441 n. 93; taršipaliyauomo t. 98; (v. anche É LÚ taršipaliyaš) tarwalli(y)an 769; tawananna- 530-531; 685sg.; 687; 700701; te- 263 n. 4; EGIR-pa ... teøøun 400; tekandankui tekan 818; tepnu- 401; terip(p)- 145 n. 69; teši festa t. 284; tiya- 45; 668; (:)ti/eššai- 770; tittanuLUGAL-iznani tittanu- 398; tuø(u)kanti/LÚtuøukanti- 397-398; 401402; 433; 450; 458-462; 466; 477; 496; 502-503; 508-509; 569; 576 n. 29; 579-582; 584-585; 587; 700-701; 749; 796; 852; 861; 863; tuliya- 239; 369-388; 407; 532; 672; 706 n. 33; 721-723; tuliyaš pidi 385 e n. 53; 676 n. 30; d/tuppa- (v. anche LÚ duppaš; É LÚ duppaš;) uomo duppaš 98; duppaš parnaš 98; LÚtuppala- 100; 101; LÚtuppa(la)nuri- 99-101; 470; 501 n. 48; tuppi- 426; 428; AN.BAR-aš tuppi 428; tuppiaš LIM DINGIRMEŠ 428; tuppiaš memian 428; tuppiaš uddar 407; 417-418; 428; tûriya- 148 n. 84; dušk- 543; 628; duddunu- 244 n. 113;

T/D

dâ- 261 n. 2; 402, 668; 671-673; arøa dâ- 250 n. 125; 640; šara dâ- 671; 831; arøa dâ- ... pâi- 250 n. 126; 411 n. 42; 658 n. 50; IŠTU dâ- ... pâi- 250 n. 126; 411 n. 42; dâi-/tâi- 402; 668; 671; anda dâi- 642 n. 62; kattan dâi- 251 n. 128; 659 n. 53; takkiššara-/(:)takkišra- 132 e n. 39a; takš- 81; takšanniya- 81; takšul- 562; 735; t/damai- 131 n. 35; dammešøai- 322; 656; dankui- v. tekant/labarna- 530; 698-701; 749 n. 193; divinità Ala del L. 799; tapišantvaso t. 848; tapri- v. GAL (LÚ.MEŠ)tapri tapulli- 593; tar- 217 n. 12; 263 e n. 4; tarø-/tarøu- 35-37; tarøuili- 36; tarøuilatar 36; tarkummai-/tarkummiya- 855; tarkuwaliyatarkuwalliškinun 86; tar-li12-an v. tarwalli(y)an tarnapara tarna- 689 n. 22;

U

udaUGU/šara uda- 768;

897

uiyakatta uiya- 131 n. 35; ukturi- 772; uni- 678; uøøi- 416; LÚummiyanni- 731 n. 133; uppa- 131 n. 36; urriyanni- 208 n. 104; uri-/ura- 100 n. 27 uttar 556; 566; 740 n. 161; uwa- 768; 846; v. anche zila(w)an

keššar-šiš waštai - 597; wat/dar 519; weda- 170 e n. 163; welku- 122; we/aø- 148 n. 84; araøzanda weø- 832 n. 69; waønu- 148 n. 84; waønuwar 148 n. 84; witantanni 78; Z :zantalanuna 401; zila(w)an 768;

W

walø- 188; waršam(m)a- 145 n. 70; 360 n. 64; waš- 639 e n. 49; 690 n. 24; 838; wašta- 640; katta wašta 640;

zila(w)an ku-uš uwa- 769; ziladuwa 146 n. 73; zintuøidonne z. 346; zipittani- 621;

GIŠ

898

SUMEROGRAMMI LÚA.ZU

281; 338 n. 73; 275; 662 nn. 60-61; 816 n.

LÚDUGUD/LÚ.MEŠDUGUD

112 n. 43; 120 n. 84; 317 n. 20; 333; 371 n. 9; 379; dignitari D. 105 n. 7; 109 n. 32; giuramento degli uomini D. 109110; uomini D. 108 e n. 25; 111 n. 39; 241 e n. 102; 311; 321 e n. 36; DUMU 85; 119 n. 83; 295 n. 8; 639 n. 46; 860 n. 42; DUMU É DUB.BA 97 n. 16; DUMU/DUMUMEŠ É.GAL 114 n. 57; 116 n. 64; 161-162; 134; 295 n. 8; (v. anche MÂR EKALLI; GAL DUMUMEŠ É.GAL) LÚ.MEŠDUMU.É.GAL 107; DUMUMEŠ/LÚMEŠ KUR URU÷atti 295 n. 8; DUMU/DUMUMEŠ.LUGAL 103 e n. 2; 110-1112; 114; 117; 118-119; 120; 164 n. 143; 173-174; 178; 294; 401; 436; 477; 496-497; 499-501; 508-511; 513; 585; 595; 703; (v. anche ARAD) DUMU.LUGAL IBILA 174 n. 5; DUMU.LUGAL KUR (URU)÷atti 468; 499; DUMU.LUGAL ŠA KUR ÷at[ti] 499; DUMU.MUNUS 174 n. 5; DUMU.MUNUSMEŠ.LUGAL 118; 703; DUMU MUNUS SANGA 859; DUMU.NITA 173-174; LÚDUMU.SANGA/LÚDUMU SANGA v. LÚ DUMU SANGA DUMU.ŠEŠ-Y]A 579; É 219 n. 18; 273; 603; 719 n. 86; É apu/bu(z)zi 329 n. 18; É NA4øékur 121; 168; 719; (v. anche LÚMEŠ É NA4øékur)

(LÚ)AGRIG

36; ALAM(÷I.A) 83; 89; 92; GU4AM 632; MUNUSAMA.DINGIRLIM 730 n. 128; AN.BAR v. tuppiAN.TA÷.ŠUMSAR festa A. 125; 165; 474; 497; 548; ANŠE.KUR.RA (v. anche ÉRINMEŠ ANŠE.KUR.RAMEŠ) ANŠE.KUR.RA tûriya(u)waš 148 n. 84; ANŠE.KUR.RA weøuwaš 148 n. 84; ANŠE.KUR.RAMEŠ waøann[aš 148 n. 84; ARAD/ARADMEŠ 161 e n. 128; 209 n. 106; 219 n. 20; 348 e n. 28; 350; 372 e n. 12; 379-380; ARAD DUMU.LUGAL 161 n. 127; ARAD É.NA4 161 n. 127; ARADMEŠ LUGAL URUIšuwa 164; 372 n. 12; LÚ.MEŠAŠGAB LÚ.MEŠAŠGAB ŠA É LÚ taršipaliyaš ŠA É LÚ duppâš 98; LÚAZU 174 n. 6; 182 e nn. 42-45; 190192; 194; 196 e n. 57; 730 n. 128; 804; BU 463; 469 n. 89; 500; DI÷I.A 641; ŠA DI÷I.A uttar 641; DINGIRLIM kiš- 818; GIŠDUBBIN v. lamniyaDUB.SAR 97 n. 16; (v. anche GAL DUB.SAR) (LÚ)DUB.SAR(MEŠ) 472; 504-505; DUB.SAR.GIŠ v. É LÚ.MEŠDUB.SAR. GIŠ

899

É NA4øékur DLAMMA 127sgg.; 142; 166; 360 n. 66; (v. anche p. 172) É t/duppaš 95; 96 e n. 8; 98-99; 101; 257; 416; 423; (v. anche É DUB.BA(.A); Tarøuntašša; ÷ulaya) É.DINGIR 719; É.DINGIRLIM LÚMEŠ É.DINGIRLIM 138; É DUB.BA(.A) 96-98; 719; (v. anche É t/duppaš) DUMU É DUB.BA v. DUMU É (LÚ.MEŠ)DUB.SAR 719; É LÚ.MEŠDUB.SAR.GIŠ 657; É.GAL/É.GALMEŠ 130 n. 31; 162; 643; 651 e n. 12; 653-654; 719; 808811; (v. anche DUMU/DUMUMEŠ É.GAL; LÚ/LÚMEŠ É.GAL;) É.GAL Karkamiš v. LUGAL É.GAL Karkamiš É.GAL di Kantuzzili 179 n. 26; É.GAL DU URU÷alpa 158; ÉTIM.GAL 155 n. 111; (v. anche LÚMEŠ ÉTIM.GAL) É NA4KIŠIB 719; É LÚ duppaš v. LÚ.MEŠAŠGAB É LÚ taršipaliyaš v. LÚ.MEŠAŠGAB É.LUGAL 135; 719; É.NA4 226 n. 43; 121; 161 n. 128; 167; 719; (v. anche ARAD É.NA4; LÚMEŠ É.NA4) É.NA4 DINGIRLIM 128; 155; 166-167; É.NA4 DINGIRLIM mArnuwanda 169; É.NA4 DINGIRLIM mTutøaliya 166; 169-170; ¦É© ŠA LÚMEŠ MÁŠ.GAL 147; (LÚ)EN/BÊLU 108-109; 240; 616; 708 n. 43; 717; (v. anche išøa-) EN KUR 103 n. 2; EN KURTI 107-108; 147-148; 306; 311 n. 7; 660; 715-716; EN KURTI-KAL-TI 716 n. 74; EN SISKUR 103; 708 n. 43;

BÊL ŠU/QÂTI 616; 708 n. 43; 802; EN URULIM 311 n. 7; EN/BÊL (É)ABUSSI 329 n. 18; 510; (LÚ)EN/BÊL MADGALTI 108; 147-148; 311 n. 7; 654 n. 34; 714716; (v. anche auriaš išøa-; BÊL MADGALTI) EN UNÛTI 299 n. 27; 616; ENMEŠ (v. anche BÊLUMEŠ/÷I.A/ ENMEŠ) ENMEŠ URU÷atti 108; EN/ENMEŠ KARAŠ 108 n. 29; 575; ENMEŠ KUR URU÷atti 108; ÉRINMEŠ 81; 91; 370 n. 8; 378-379; ÉRINMEŠ ANŠE.KUR.RAMEŠ 731; GAL 109 n. 32; 504 e n. 57; 617; 709 n. 46; 717; 731; (v. anche (BÊLU) GAL) GAL (LÚ.MEŠ)tapri 335 n. 54; GAL DUB.SAR 100; GAL DUMUMEŠ É.GAL 859; GAL (LÚMEŠ) GEŠTIN 108 n. 29; 111; 175 n. 12; 255; 348-349; 503; 718 n. 82; 731; GAL LÚ.MEŠIŠ/KUŠ7 104 n. 7; 711 nn. 55-58; GAL LÚ GIŠGIDRU 346; GAL LÚMU 504; GAL LÚ/LÚ.MEŠMU÷ALDIM 504; GAL NA.GAD 595-596; GAL LÚ.MEŠSANGA 178; 295; GAL (LÚ)UKU.UŠ 511-512; GAL UGULA LIMMEŠ 512; (v. anche UGULA (LÚMEŠ) LIM) GAL LÚ.MEŠUGULA LIM ZERI 512 n. 90; GAL KARTAPPU 477; 504; 513; GAL MEŠEDI 111; 398; 401; 461462; 509; 575; 585 e n. 65; 731; (v. anche Grande dei MEŠEDI) GAL (LÚ/LÚ.MEŠ)MUBARRI 472473; 505; (LÚ)EN/

900

LÚ.MEŠGAL(.GAL)

106 n. 12; 371 n. 9; 376 n. 27; 379; 847; GAR-ri 415; GAR-ru 415; GEŠPU 77; GEŠTU-ar v. ištamaššuwar GIDIM 166; GIŠGIGIR MÂDNANU 77; GILIM 131 n. 35; LÚGUDU 12 730 n. 128; LÚ.MEŠGUDU 105; GUŠKIN 84; (v. anche AYALU; IMITTU) LÚ÷AL 194; 196; 280 n. 14; 288-289; 331 n. 39; 730 n. 128; 761; ÷UR.SAG ÷UR.SAG EMÊDU 819; ÷UR.SAGMEŠ damnaššaruš 413; IBILA 173; 174 e n. 5; 176; IGI 773; IGI/šakuwa(š) uwatar 773; IGI÷I.A-wa 826; LÚ.MEŠIGI.DU .A 127; 8 LÚIGI.MUŠEN 761; IN.NU.DA iwar 633; INIM/memiya(n)- 773; LÚIŠ 329 n. 18; (v. anche LÚKUŠ ) 7 capo degli uomini I. 104 n. 7; 109 n. 32; (v. anche GAL LÚ.MEŠIŠ/ KUŠ7; UGULA! LÚ.MEŠKUŠ7. GUŠKIN) KÁ.GAL(÷I.A) 79; 156; KALAG.GA 100 n. 24; KARAŠ/KARAŠ÷I.A 89; (v. anche EN/ ENMEŠ KARAŠ; BÊLU÷I.A KARAŠ÷I.A) ŠA KARAŠ išøiul 404; 427-428; KASKAL 671; (v. anche palša-/palši-) KASKAL-an epp- 671; KASKAL-an dâ- 671; KASKAL-ši ... dai- 671; KASKAL ABI DUTUŠI 772; KI.MIN 774 n. 12; KIN 87; KIN 279-280; 332; 362; 364; 761; 770771; 773; (v. anche SU)

NA4KIŠIB

v. É NA4KIŠIB it 242; 311; (v. anche GIŠTUKUL; LÚ GIŠKU(-li)) KÙ.BABBAR 84; KÙ.DAM.TUKU 262; KUR.KUR÷I.A ... ârša tiyat 399; LÚKUŠ LÚIŠ) 7 491; (v. anche LÚ/LÚMEŠ 193 n. 37; 219 n. 20; 348 n. 28; 639 n. 46; 655; 781; LÚ d/tuppâš 100; (v. anche É LÚ duppâš) LÚ/LÚmaniyaøøiyaš 107 e n. 22; LÚmaniyaøøiyaš EN/išøa- 107; 311 n. 7; LÚ taršipaliyaš v. É LÚ taršipaliyaš LÚ DUMU SANGA/LÚDUMU. SANGA/LÚDUMU SANGA 639 n. 46; 860; LÚ GIŠGIDRU v. GAL LÚ GIŠGIDRU LÚ GIŠKU(-li)/GIŠTUKUL 34 n. 6; 216 e n. 10; 606; 725 n. 112; LÚ GIŠPA v. LÚ GIŠGIDRU LÚMEŠ (È NA4)øékur p/Pírwa 155; 158 n. 115; 166; LÚMEŠ É.DINGIRLIM 138; LÚ/LÚMEŠ É.GAL 116 n. 64; 160162; 295 n. 8; LÚMEŠ É.GAL LÚABUBITI 162; LÚMEŠ ÉTIM.GAL 155; LÚMEŠ É.NA4 160-161; LÚMEŠ (É) (NA4)øékur 121; 160; 165; 720 n. 87; LÚMEŠ É.NA4 DINGIRLIM 166; LÚMEŠ KURTI 658; 725; 812; LÚMEŠ KUR URU÷atti v. DUMUMEŠ KUR URU÷atti LÚ/LÚMEŠ MÁŠ.GAL 147-148; LÚ/LÚMEŠ SAG; LÚ/LÚ.MEŠSAG 104-105; 111 e n. 42; 299-300; 303; 404; 703; 709-710; 712-713; 794; (v. anche SAG) Istruzioni per i LÚMEŠ SAG 103-104; 110; 267; 300; GIŠKU-

901

nu-za-ta SAG.DU-ZU wa-aš-ta 689; SAG.RIG 264; SAG.UŠ 124; 165 n. 149; 772; LÚSAGI.A 162 n. 134; SA÷AR(÷I.A) 85-86; (LÚ)SANGA/LÚ.MEŠSANGA 105; 164 n. 144; 174; 176; 179 e n. 26; 181-182; 196 n. 57; 211; 284; 286; 639 n. 46; 730 n. 128; 860; (v. anche LÚ DUMU SANGA; DUMU MUNUS SANGA; GAL LÚ.MEŠSANGA; mPallanna) uomini del palazzo del . . . 179 n. 6; LÚSANGA.GAL 504 n. 57; 709 n. 46; LÚSANGA.TUR 504 n. 57; 709 n. 46; 859 n. 38; SIG pani/e S. 194-197; SIG5 638; 642 n. 63; 792 n. 22; uomini S. 104 n. 6; SÌR 556; SISKUR mantalliya 166; SU KIN e SU 280; 332; SUD-li12 771; ŠÀBA 127; GIŠŠÀ.LAMMA 145; 360 n. 64; LÚ.MEŠŠÀ.TAM 329; ŠEŠ 473; 505 e n. 63; 507; ŠEŠ.DUG.GA-YA 97; ŠEŠMEŠ DUGUD 283 n. 37; ŠU 787-802; (v. anche EN/BÊL ŠU/ QATI) ŠU-waštul 598; GIŠŠU.A-øi 131 n. 35; MUNUSŠU.GI 172; 730 n. 128; 799; GIŠŠU[DUN] 373 n. 18; TAR.LIŠ-an 769; TÚG.GÚ.È.A 840; TUKUL-lê 220-222; GIŠTUKUL 256; 768; (v. anche GIŠKU; BÊL GIŠTUKUL)

LÚ/LÚMEŠ GIŠTUKUL 216; 725; (v. anche LÚ GIŠKU(-li)) LÚMEŠ URULIM 658; 725; 812; LÚMEŠ ELLÛTIM 831; LÚMEŠ÷ADAN LUGAL 267; (LÚMEŠ) KABTÛTI v. KABTÛTI LÚ-na-tar-na 80; LUGAL 670; 679-682; LUGAL É.GAL Karkamiš 302; LUGAL KUR U[RU 494; LUGAL.GAL 79; MAŠKIM 234; MAŠKIM LUGAL 234; MAŠKIM URUKI 107 n. 19; 147148; 232; 234; 314; 660 e n. 54; 715-716; LÚMU v. GAL LÚMU MU-anni 78; MU-ti meanaš 190; 191; MU.IM.MA-anni 78; LÚMU÷ALDIM 197 n. 64; (v. anche GAL LÚ/LÚ.MEŠMU÷ALDIM) LÚMU÷ALDIM DUMU É.GAL 162 n. 134; MUNUS 639; MUNUS.LUGAL 112; 128 n. 26; 173; 344; 572 n. 16; 682 n. 44; LÚ/LÚ.MEŠMUŠEN.DÙ 282 n. 27; 730 n. 128; MUŠEN ÷URRI 127 n. 26; 166 n. 153; NA4 121; NA.GAD v. GAL NA.GAD NAM.RA/NAM.RAMEŠ 217; 292 n. 2; 733; 781; NÍG.MÍ/MUNUS.ÚS(.SÁ) 262; NIMGIR.ÉRINMEŠ 652 n. 23; NIN.DINGIR 730 n. 128; NINDA 518; NUMUN 411; LÚSÌLA.ŠU.DU .A v. LÚSAGI.A 8 SAG (v. anche LÚ SAG) uomo S. 477; 508; SAG.DU-ZU 690 n. 24; SAG.DU-ZU wašta 601;

902

uomo/uomini del . . . 256; 606; (v. anche LÚ/LÚMEŠ GIŠTUKUL; LÚ GIŠKU(-li)) UGU v. udaUGULA 109 n. 32; 617; 717; 731; UGULA! LÚ.MEŠKUŠ7.GUŠKIN 511 n. 84; UGULA (LÚMEŠ) LIM 512 n. 90; (v. anche GAL UGULA LIMMEŠ) ¦UGULA©(?)/¦GAL©?? UGULA 10 104 n. 7; UGULA 70 ŠA DUMUMEŠ É. GALTIM LUGAL 116 n. 66; 162 n. 132; UGULA LÎMTÎ 104 n. 7; UGULA MUBARRI 472; 505; LÚUKU.UŠ 100; 642 n. 59; 657; Grande UKU.UŠ di destra/di sinistra 512; capo/Grande/signore degli uomini/ delle truppe U. 242; 288-290;

311; 330 n. 25; 511-512; 710 n. 52; 718 n. 83; 731; (v. anche GAL UKU.UŠ) truppe U. 657 n. 47; 710; UNMEŠ UNMEŠ-šuš 134-135; UNMEŠ-tar 138; UR.GI7 831; UR.MA÷-aš 678; UR.SAG 571 n. 15; 831; LÚ.MEŠUŠ.BAR 162 n. 134; DUTU DUTU-uš 844sg.; nepíšaš DUTU 81; DUTUŠI 753 n. 214; ANA DUTUŠI 825; INA ARKI DUTUŠI 828; ZA/LÚ (= ziti) 772; ZAGMEŠ 391, ZI.KIN 229; (v. anche øuwaši-)

903

ACCADOGRAMMI

ABU 430 n. 69; ABI-ŠU 494; ABI DUTUŠI v. KASKAL (LÚ)ABU BITI 109 n. 32; 316-317; 711; LÚ.MEŠABU BITI 711; ABUSSI edificio A. (v. anche È ap/buz(z)i; mTuttu) signore dell’edificio A. 471 n. 94; 504; 511; (v. anche EN/ BEL (É)A.) A÷U 505 n. 63; AYALU 86; AYALU GUŠKIN 84; ALÂKU 819; AMÊLU AMÎLI RABÛTI 113-114; LÚASÎRU(M) 223 n. 28; (LÚ)ŠIPU 186 n. 6; 290 n. 75; 339 n. 76; AWAT 426; BALÂÅU 822; BÂRÛ 290 n. 75; 339 n. 76; LÚ.MEŠBE v. BÊLU BÊLU BÊL ÉRINMEŠ 109 n. 29; BÊLU GAL 104-106; 108-111; 114; 116 n. 66; 118 n. 80; 709710; BÊL ŠU v. (LÚ)EN/BÊL ŠU/ QATI BÊL GIŠTUKUL 616; BÊL (É)ABUSSI v. EN BÊL MADGALTI 106-108; 306; 406; 638-639; 642; 649 e n. 5; 660; 710 n. 53; 716 e n. 75; 807 e n. 4; (v. anche EN M.) BÊLU MA÷RÛ 638; BÊLA RAB 109 n. 32; 114 e n. 58;

BÊLUMEŠ/÷I.A/ENMEŠ 103 e n. 2; 105-106; 109-111; 116 n. 66; 118119; 404; LÚ.MEŠBE 193 n. 37; BÊLU÷I.A KARAŠ÷I.A 106; BÊLUMEŠ KUR URU÷atti 109 n. 29; BÎTU (v. anche ABU BITI) BÎT DUPPAŠŠI 99 e n. 20; GIŠBUBÛTU 145; 360 n. 64; E/ILKU 107 n. 19; 147-148; 215-216; 218 sgg.; 228-230; 233; 253 sgg.; 256; 660; uomo/uomini dell’I. 214-216; 218219; 233; 247; 256; ELLU 105 n. 8; ELLÛTI 105; (v. anche LÚMEŠ ELLÛTIM) EMÊDU v. ÷UR.SAG ENTU sacerdotessa E. 181 n. 40; ER(R)EBÛ 266; 607; matrimonio E. 266; ÷ADA v. LÚMEŠ÷ADAN LUGAL (LÚ)÷AZAN(N)U/÷AZZIYANNI 107; 235 nn. 84-85; 716-717; 859; ÷. di ÷attuša 235 n. 84; 859 n. 40; “istruzioni per il ÷. di ÷attuša” 104 n. 7; 716 n. 75; ÷. di Šarišša 859 n. 40; istruzioni per il ÷. 312 n. 8; ÷URPALÛ/÷UPTALÛ 84; IDI 284 n. 41; 328-329; IGÂRA 84; IG/TÂRU 84; 92; ILKU v. ELKU IMITTU 84; IMITTU KU.BABBAR/GUŠKIN 84; ITÂRU v. IGÂRU KABTÛTI 376 n. 27; 380; (LÚ)KARTAPPU 300; 307; 488 n. 32; 504 n. 55; (v. anche GAL K.)

904

KIDINNU 225 n. 35-36; KUDURRU 225 n. 35; MADNÂNU 86; (v. anche GIŠGIGIR MADNÂNU) MAYALTU 86; MÂMÎTU 187 n. 8; 735; MANDATTU 333; MÂR MÂR EKALLI (= DUMU É.GAL) 109 n. 32; 114 e n. 57; MÂR RUBÎ 114 n. 58; MÂR/MÂRI ŠARRI 113-114; MÂTU 819; ME÷RU 738; MEŠEDI 111-112; 162 e n. 133; Capo dei M. 104 n. 7; 109 n. 32; 116; Grande dei M. 316 n. 18; (v. anche GAL M.) MUBARRI/U 472 n. 97; (v. anche GAL (LÚ/LÚ.MEŠ)M.; UGULA M.) Gran M. 477; 508; MUŠKENU 209; MUWATTI 160; NAKÂSU 85; NAKBATU 379; 723 n. 103; NAKBÁTI 371; 378-379; NÂKU 822; NAŠÛ . . . NADÂNU 250 n. 126; 411; 441 n. 93; 658 n. 50; NΊ ILI/ILÂNI 735 n. 147; NUDUNNÛ(M) 265 e n. 6; PARÎSU 590-591; 593; 619-621; PU÷RU(M) ANA PU÷RI 387; 724; PÛ÷U(M) 839; PUPUWA÷I 823; QÂTU 787-802; (v. anche EN/BÊL ŠU/QÂTI) QUTRI 147-148; LÚ.MEŠRABU LÚ.MEŠRABUTIM 106 n. 12; 107; RIKILTU/RIKISTU 735; RIKSU 735; SA÷÷U 824; SABU 370 n. 8;

¬ÂBÊMEŠ 39; ŠA RÊŠI 302-303; ŠAKINU 302; ŠAKNU Š. di Kaniš 287 n. 64; ŠAPÂKU 82; ŠERIKTU(M) 264; ŠUTI 762 n. 4 truppe Š. 775; TAMLÛ 84; TAPPÛ 99 n. 20; TAPPÛTU 99 n. 20; TART/DÊNNU 100 e n. 22; 796; LÚTARDENNI 118 n. 80; TAŠPUR 754 n. 215; TE MEŠ 862; TER÷ATU(M) 262; TUPPU/TUPPA÷I.A 393; 415; 427; (v. anche BÎT DUPPAŠŠI) TUPPU/TUPPA÷I.A išøiulaš / išøiulaš TUPPU 407; 417; 425; 427; ŠA KARAŠ išøiulaš TUPPU 428; TUPPA÷I.A/TUPPI RIKILTI 391; 400; 428; TUPPI RIKILTI di ÷attušili 402; UKKIE uomo U. 223; LÚUMMIANU 731 n. 133; UNÛTI v. EN U. ZENÛ 632 n. 6; UZZANUNINI 632 n. 6;

905

PASSI COMMENTATI, TRASLITTERATI E/O TRADOTTI1

ABoT 53+ ABoT 65 FHG 16 IBoT I 29 IBoT I 34 IBoT I 36 IBoT II 26 IBoT II 131

IBoT III 134(+) KBo I 1 1

Vo? 16’-17’ 320nota32 (trs.) Vo 8-11 96-97 (tt.) Ro II 1-8 98nota17 (trs.) Ro 53-58, Vo 18-19 119nota83 (trs.) Ro 10-11 633 (trd.) III 6-8 104nota7 (tt.) rr. 5'-6' 198nota66 (tt.) §10 7’-9’ 345 (trs.) §10 17’ 346 (trs.) Ro 10’ 345nota9 (trs.) Ro 10’-12’ 351 (trs.) Ro 10’-14’ 356 (tt.) Ro 12’ 357nota57 (trd.) Ro 14’ 354 (trs.) Ro 15’ 359nota61 (trs.) Ro 21’-23’ 359 (trs.) Ro 27’ 345nota9 (trs.) Ro 27’-28’ 346 (trs.) Ro 29’ 345nota9 (trs.) Ro 31’ 354 (tt.) Ro 32’ 345nota9 (trs.) Ro 32’-34’ 356 (tt.) Ro 33’ 357nota56 (trd.) Ro 34’ 354 (trs.) Ro 38’-40’ 357 (tt.) Ro 39’ 344nota6 (trs.) Ro 40’, 41’, 44’, 47’ 355 (tt.) Ro 41’ 355 (tt.) Ro 44’ 355 (tt.) Ro 47’ 355 (tt.) Ro 6’ 344nota6 (trs.) Ro 7’-9’ 331nota27 (trs.) Ro 9’ 353 (tt.) Vo 4 344nota7 (trs.) Vo 5 355 (tt.) Vo 9-10 344nota7 (trs.) rr. 1’-10’ 73 (trs.) Ro 34-35 830 (trd.)

(c.) = commentati; (tt.) = traslitterati e tradotti; (trd.) = solamente tradotti; (trs.) = solamente traslitterati.

906

KBo I 3(+) KBo I 5

KBo I 8+ KBo I 10+

KBo I 11 KBo I 28 KBo II 6+ KBo III 4 KBo III 7 KBo III 27 KBo III 40 KBo III 41 KBo III 42 KBo III 43 KBo IV 10+

Ro 51 820 (trs.) Ro 57-58 822 (trd.) Vo 22 822 (trd.) Vo 75 822 (trd.) Vo 61-68 823 (trd.) Ro 11 820 (trd.) Ro 28 822 (trd.) I 12-13 823 (trd.) I 17-18 819 (trd.) I 30-31 819 (trd.) I 21-22 828 (trd.) I 38-39 831 (trd.) III 59 821 (trd.) Ro 22 830 (trd.) Ro 8, 21 634 (trd.) Ro 41 633 (trd.) Ro 43 799sg. (trd.) Ro 76 637 (trd.) Vo 22’-23’ 798 (trd.) Ro 17-19 401nota23 (trs.) IV 17, 23 332 (trs.) I 22-23 799 (trd.) IV 45’-46’ 798 (trd.) II 15’-20’ 792 (trd.) 685-688 (c.) Ro 13’-14’ 685 (trd.) 846-848 (c.) v. KUB XXXI 4+ 848-849 (c.) 848 (c.) 409-420 (c.) § 1 Ro 1’-3’ 409 (c.) § 2 Ro 4’-14’ 409sgg. (c.) § 3 Ro 15’-18’ 412 (c.) § 4 Ro 19’-32’ 412sg. (c.) § 5 Ro 33’-37’ 413sg. (c.) § 6 Ro 38’-39’ 414sg. (c.); 391 (trs.) § 7 Ro 40’-47’ 415sg. (c.) § 8 Ro 48’-49’ 416sg. (c.) § 9 Ro 50’-Vo 4 417 (c.) § 10 Vo 5-7 418 (c.) § 11 Vo 8-11 418 (c.) § 12 Vo 12-14 418sg. (c.) § 13 Vo 15-17 419 (c.) § 14 Vo 18-20 419 (c.) § 15 Vo 21-27 419sg. (c.) § 16 Vo 28-32 420 (c.)

907

KBo IV 10 KBo IV 12 KBo VI 3 KBo V 3+ KBo V 4 KBo V 8 KBo V 9 KBo VI 28

KBo VI 28+ KBo VI 29+ KBo VIII 35 KBo X 2

KBo X 3 KBo X 10 KBo X 12(+) KBo X 35 KBo XII 1 KBo XII 56 KBo XII 140 KBo XIII 58 KBo XIII 62 KBo XIV 21

Vo 30 297nota20 (trs.) Ro 42-44 95-96 (tt.) Vo 8’-9’ 574nota23 (trd.) Vo III 2 38 (trd.) I 14-15 817sg. (tt.) Vo 13 818 (tt.) III 26-30 705 (trd.) I 23’ 797 (trd.) I 32’ 826 (trd.) Vo 18-21 144 (tt.) Vo 22-27 145-146 (tt.) Ro 14-15 153nota104 (trd.) Vo 28-42 151nota96 (trs.) Ro 2 571sg.nota15 (trd.) II 9-11 799 (trd.) II 33-34 576nota31 (trd.) III 26-28 149nota88 (trd.) II 15’ 821 (trd.) II 19-25 822 (trd.) 60-71 (tt.) I 29 sg. 705 (trd.) III 18-19 226nota42 (trs.) Ro I 3-16 = KBo X 3 Ro 1’-16’ Ro I 23-29 = KUB XXIII 31 Ro 1’-7’ Ro I 35-44 = IBoT III 134(+) rr. 1’-10’ Ro I 46(?)-Ro II 10 = KUB XXIII 33 rr. 1’-10’ Ro II 24/25(?)-31 = VBoT 13 rr. 1’-9’ Vo III 14-42 = KUB XXIII 20 Ro I 1’-18’ Ro I 1’-16’ 72 (trs.) Vo 24-33 347 (trs.) III 10’ 827 (trd.) Ro(?) II 1’-13’ 126nota23 (trs.) r. 19’ 322 (trd.) r. 24’ sg. 322 (trd.) r. 3’-4’ 321e 321nota37 (tt.) I 8’-9’ 331nota31 (trs.) Ro 1-11 156 sg.nota113 (trs.) Vo 1’-20’ 157nota113 (trs.) bd. sn. 1-4 157nota113 (trs.) II 22-24 104sg.nota7 (trs.) Ro 10-11 632 (trd.) Ro I 3’ 368 (trs.) Ro I 5’ 368 (trs.) Ro I 15’ 360 (trs.) Ro I 38’-41’ 366 (trs.) Ro I 61’-72’ 364sg. (trs.) Ro II 55’-75’ 363sg. (trs.)

908

KBo XIV 139 KBo XV 37 KBo XVI 17 KBo XVI 47 KBo XVI 54+ KBo XX 62 KBo XX 129 KBo XXIV 47 KBo XXV 176 KBo XXVI 1+ KUB I 1 KUB I 3 KUB I 16+ KUB II 1 KUB III 14 KUB III 61 KUB III 62+ KUB III 72+ KUB III 73 KUB V 13 KUB V 6 KUB VI 41+ KUB VIII 75+

KUB IX 1 KUB X 13 KUB XII 1 KUB XIII 2 KUB XIII 8

Vo III 60-61 363sg. (trs.) II 10-11 197nota65 (trs.) I 1 198 (trs.) I 65 198 (tt.) II 9-10 198nota69 (trs.) III 26-27 107 (tt.) III 30 107nota21 (trs.) Ro 8’-9’ 820 (trd.) v. ABoT 53 Ro I 5'-7' 182nota41 (trs.) Ro I 9' 182nota41 (trs.) Ro I 10’-11’ 174nota6 (trs.) I 1-13 189nota20 (trs.) Vo? III 1'-14' 196 (trs.) Vo? III 14'-15' 196nota 54 (trs.) bd. sn. 1-2 317nota19 (trd.) I 7-16 703 (trd.) IV 85 229nota63 (tt.) IV 6 = KUB I 1 IV 85 683-685 (c.) § 11 II 59-60 684 (trd.) II 26 790 (trd.) IV 12-13 799 (trd.) Ro 6 797 (trd.) Ro 15-16 797 (trd.) Vo 3 800 (trd.) Vo 6 800 (trd.) v. KBo I 10 v. KBo I 10+ rr. 8’-9’ 633 (trd.) IV 9’ 332 (trs.) III 64 139nota51 (trs.) III 71-73 140 (trs.) I 24-25 821 (trd.) IV 23’-24’ 826 (trd.) IV 24’-25’ 826 (trd.) I 50’ 337nota70 (trs.) I 54’ sg. 337nota70 (trs.) III 6 337nota69 (trs.) IV 40’ 337nota69 (trs.) IV 61’ 337nota70 (trs.) II 17 104nota6 (trs.) IV 20’-26’ 317nota19 (trd.) IV 45 175nota9 (trd.) III 9-14 725nota110 (trd.) Ro 6 226nota43 (trs.) Ro 9 226nota44 (trs.)

909

KUB XIII 9 +

KUB XVII 10 KUB XVII 21 KUB XVII 22 KUB XVIII 54 KUB XIX 23 KUB XXI 1+ KUB XXI 38 KUB XXII 51

KUB XXII 70

688-696 (c.) Ro I 3-6 691 (trd.) Ro I 6-8 688 (trd.) Ro I 8-19 695 (trd.) Ro II 7-8 692 (trd.) II 4 801nota70 (trd.) IV 25-27 671nota19 (trs.) I 24 sg. 321nota37 (trs.) I 24-25 226nota45 (trs.) IV 1-3 178nota21 (trs.) r. 74 140 (trs.) r. 76 141 (trs.) Ro 11 800 (trd.) I 63’-64’ 819 (trd.) III 17-18 821 (trd.) I 60 796 (trd.) 761-786 Ro 1’-21’ 763-767 (tt.); 767-772 (c.) Ro 1’ 767 (c.) Ro 2’-5’ 768 (c.) Ro 6’-9’ 769 (c.) Ro 10’-14’ 770 (c.) Ro 15’ 770sg. (c.) Ro 6’-18’ 771 (c.) Ro 19’-21’ 772 (c.) Vo 1’-16’ 764-767 (tt.); 772-774 (c.) Vo 1’ 772 (c.) Vo 2’-4’ 772sg. (c.) Vo 7’-11’ 773 (c.) Vo 13’ 773 (c.) Vo 14’ 773sg. (c.) Vo 15’-16’ 774 (c.) Ro 12-16 130sg. (tt.) Ro 19 131nota36 (trs.) Ro 20-21 131 (tt.) Ro 22-24 132 (trs.) Ro 35 133nota40 (trs.) Ro 41-43 133 (trs.) Ro 49-60 134 (trs.) Ro 61-64 134sg.nota42 (trs.) Ro 74 135nota42 (trs.) Vo 14-15 135nota42 (trs.) Vo 17-27 135sg.nota44 (trs.) Vo 30 135nota42 (trs.) Vo 44 135nota42 (trs.) Vo 44-47 137 (trs.) Vo 48 137nota46 (trs.)

910

KUB XXIII 1+ KUB XXIII 20 KUB XXIII 31 KUB XXIII 33 KUB XXIII 41 KUB XXIII 91 KUB XXIV 5+ KUB XXIV 13 KUB XXV 32+ KUB XXVI 43 KUB XXVII 13

KUB XXX 44+ KUB XXX 56 KUB XXXI 4+ KUB XXXI 47 KUB XXXII 91 KUB XXXV 127 KUB XXXV 145 KUB XXXVIII 12 KUB XL 62 KUB XLV 41 KUB XLV 47

KUB XLVIII 99

Vo 51-57 138 (trs.) Vo 61 135nota42 (trs.) Vo 65 sg. 135nota42 (trs.) II 29 828 (trd.) rr. 1’-18’ 74 (trs.) Ro I 1’-7’ 72 (trs.) Vo IV(?) 1’-10’ 74-75 (trs.) rr. 1’-10’ 73 (trs.) v. IBoT III 134(+) rr. 9-10 328nota13 (trs.) r. 14 328nota13 (trs.) Vo 5-7 792 (trd.) III 21-22 107 (tt.) Ro I 11 785nota68 (trs.) Vo 30 297nota19 (trs.) Vo 31 297nota17 (trs.) IV 13-14 159sg.nota120 (trs.) IV 14 160nota120 (trs.) IV 17-18 159nota122 (trs.), 352nota41 (trs.) IV 22 165nota147 (trs.) IV 4 160nota120 (trs.) IV 4-7 159nota118 (trs.) IV 10-11 159nota118 (trs.) II 6’ 327nota7 (trs.) III 7 178nota22 (trs.) 837-846 (c.) Ro 11 791 (trd.) Ro? II 8' 197nota61 (trs.) II 6-7 200nota77 (trs.) Vo III 11’-13’ 783 (trd.) IV 8 179nota26 (trs.) v. KUB XIII 9+ II 15'-16' 195nota53 (trs.) I 35-45 191-192nota30 (tt.) Vo III 1-18 784nota66 (trs.) Vo III 24-27 191nota29 (tt.) IV 32-36 192nota37 (trs) IV 38-39 173nota2 (trs.) Ro 1’-18’ 666-667 (trd.) 667-677 (c.) Ro 3’ 667sg. (c.) Ro 4’ 668 (c.) Ro 6’ 669sg. (c.) Ro 8’-9’ 670sg. (c.) Ro 10’ 671sg. (c.) Ro 11’-12’ 672sg. (c.) Ro 14’ 673 (c.)

911

HBM/HKM 57 HBM/HKM 73 HBM/HKM 80 HBM/HKM 81 HBM/HKM 89 VBoT 13

Ro 16’ 673sg. (c.) Ro 18’ 674 (c.) Ro 1’-18’ 666sg. (trd.) Ro 16’-17’ 674 (trd.) I 4’ sg. 302nota41 (trs.) II 15’ 331 (tt.) r. 9' 201 (trs.) rr. 17'-20' 201nota81 (trs.) v. KUB I 16+ r. 10’ 332nota41 (tt.) rr. 1’-19’ 761-762nota4 (trs.) (c.) Ro II 4’-8’ 785nota71 (trs.) Ro 10 793 (trd.) Ro I 1-12 677 (trd.) 677-682 (c.) Ro I 1 677sg. (c.) Ro I 2 678 (c.) Ro I 3 678sg. (c.) Ro I 4-8 679 (c.) Ro I 9 679sg. (c.) Ro I 10-11 680 (c.) rr. 11-14 634 (trd.) r. 23 645 (trd.) bd. bs. 10-12 653nota30 (trd.) Ro 3-7 793 (trd.) Vo 9’-11’ 791 (trd.) 649-663 (c.) Ro 13-14 661 (trd.) Ro 15-18 655 (trd.) Vo 25-26 657nota46 (trd.) Vo 34-39 661 (trd.) rr. 25-30 641 (trd.) Vo 21-22 797enota50 (trd.) Ro 5’-6’ 656 (trd.) Ro 6-7 797enota50 (trd.) Ro 5-6 797enota50 (trd.) rr. 1’-9’ 73-74 (trs.)

202/p 203/p 544/f Bo 3229 Bo 3245 Bo 331 Bo 4294 Bo 6074

v. KBo X 2 (tt.) v. KBo X 3 (trs.) Ro 12’ 391 (trs.) v. KUB XXIII 20 (trs.) Vo 1’-13’ 343sg.nota2 (trs.) v. KUB XXIII 41 (trs.) v. KUB XXIII 33 (trs.) v. KUB XXIII 31 (trs.)

KUB XLVIII 99 KUB XLVIII 113 KUB XLIX 11 KUB XLIX 50 KUB XLIX 65 KUB L 57 KUB L 108 KUB LVI 45(+) KUB LVII 123 KUB LX 59

HBM/HKM 6 HBM/HKM 7 HBM/HKM 20 HBM/HKM 38 HBM/HKM 44 HBM/HKM 52

912

M$t. 75/16 M$t. 75/57 M$t. 75/60 M$t. 75/70 Anitta2 Aut. di ÷att.3

Gesta4 (A) Gesta (H) ÷att. I5

Heth. Dienst.6 Leggi Ittite Leggi Ittite

v. HBM/HKM 6 v. HBM/HKM 52 v. HBM/HKM 57 v. HBM/HKM 7 Ro 33 443nota2 (trd.) I 9-10 492 (trd.) I 20 795 (trd.) I 21 790 (trd.) I 46 791 (trd.) I 58-59 793 (trd.) I 63-64 791 (trd.) II 64 791 (trd.) II 64 sg. 705 (trd.) II 73 794 (trd.) III 43-44 791 (trd.) III 71 sg. 576nota30 (trd.) III 73 sgg. 576 (trd.) IV 26 576nota31 (trd.) IV 78sg. 467; 584 (trd.) Ro 30 790 (trd.) I 29-30 790 (trd.) III 15-20 800 (trd.) II 37 sg. 702 (trd.) § 10 II 53 sg. 386 (trd.) § 22 III 56-63 371sg. (trd.) § 17 r. 13 106enota18 (trs.) 48 III 29-30 321nota33 (trs.) II Serie § 175 rr. 19-20 88 (trd.) § 50 58-61 38 (trd.) § 52 7-8 33 (trd.) § 54 15-18 39 (trd.) § 56 24-25 150 (trd.) § 56 24-25 34nota7 (trs.) § 95 42-47 40 (trd.) § 99 55-58 38 (trd.) § I-V 1-13 51-52 (trd.) § XIX (A) 45-49 52 (trd.) § LXXVI 76-77 72 (trd.) § C 59-62 52 (trd.) § CXCVI 1-5 53 (trd.)

= Testo di Anitta. = Autobiografia di Hattusili III. 4 = Gesta di Hattusili I: (A) versione accadica; (H) versione ittita. 5 = Testamento di Hattusili I. 6 = “Istruzioni per il signore del posto di guardia”. 2

3

913

Lettera di Tawagalawa PD, 72 sg. Tav. br.

Tel.7

7

§ CXXVII 17-19 53 (trd.) I 68-70 788 (trd.) II 4-7 788 (trd.) r. 29 115nota59 (trs.) 390-409 (c.) § 1 Ro 11-5 390 (c.) § 2 Ro I 6-13 390sg. (c.) § 3 Ro I 14-21 391 (c.) § 4 Ro I 22-28 391sg. (c.) Ro I 23-24 391 (trs.) § 5 Ro I 29-42 392 (c.) § 6 Ro I 43-47 392 (c.) § 7 Ro I 48-52 392 (c.) § 8 Ro I 53-67 392sg. (c.) § 9 Ro I 68-90 393 (c.) Ro I 76 393 (trs.) Ro I 81 393 (trs.) Ro I 90 393 (trs.) § 10 Ro I 91-II 3 393sgg. (c.) Ro II 2-3 395 (trd.) § 11 Ro II 4-20 396 (c.) § 13 Ro II 31-42 397 (c.) § 14 Ro II 43-52 397sgg. (c.) § 15 Ro II 53-56 399 (c.) § 16 Ro II 57-66 400 (c.) § 17 Ro II 67-78 400 (c.) § 18 Ro II 79-83 401sg. (c.) § 19 Ro II 84-94 402 (c.) § 20 Ro II 95-Vo III 20 402sg. (c.) § 21 Vo III 21-31 404 (c.) § 22 Vo III 32-42 404 (c.) § 23 Vo III 43-56 405sg. (c.) § 24 Vo III 57-77 406sg. (c.) § 25 Vo III 78-IV 15 407sg. (c.) § 26 Vo IV 16-29 408 (c.) § 27 IV 30-43 408 (c.) § 28 Vo IV 44-51 408sg. (c.) § conclusivo 738nota156 (trd.) § 26 II 26-30 373 (trd.) § 27 II 31-35 374 (trd.) § 30 386 (trd.) II 46 374 (trd.) § 31 386 (trd.) II 50 375nota22 (tt.) II 50-54 374-375 (trd.)

= Editto di Telepinu.

914

I 19-20 794 (trd.) I 70-71 796 (trd.) II 21-22 793 (trd.) II 61-62 316nota18 (trd.) II 70-71 316nota18 (trd.) Tratt. fra Tutø. I/II e Šunaššura di Kizz. § 58 743nota174 (trd.) Tratt. Šupp. I/Šattiwaza I 21-22 789 (trd.) I 56 789 (trd.) Tratt. Šupp. I/÷uqqana I 22-25 798 (trd.) II 10-13 795 (trd.) Tratt. Murš. II/Kupanta-Kurunta § 6 rr.10-11 789 (trd.) § 11 rr. 40-41 788 (trd.) Tratt. Murš. II/Niqmepa di Ugarit 82-85 788 (trd.) Tratt. Murš. II/Tuppi-Teššup v. KBo V 9; KUB III 14 Tratt. ÷att. III/Bentešina Ro 11-12 819 (trd.) Ro 22-23 819 (trd.) Tratt. Tutø. IV/Kurunta IV 14-15 795 (trd.) Tratt. Tutø. IV/Šaušgamuwa Ro II 1-3 789 (trd.) Tratt. Tutø. IV/Ulmi-Teššup Vo 10-11 795 (trd.) Tratt. Muw. II/Alakšandu IV 45-46 795 (trd.) CTH 51 CTH 52 CTH 76 CTH 81 CTH 261 CTH 378

Ro 55, 56-58 745 (trd.) Ro 22 sgg. 744-745 (trd.) colophon 735nota149 (trd.) intestazione 736nota152 (trd.) III 71 sg. 745nota178 (trd.) v. Heth Dienst. I 14-15 104nota6 (trs.)

TESTI DI ARCHIVI NON ANATOLICI EA 32 Msk 73.1012 Msk 73.1097 PRU IV 17.59 RS 17.04 RS 17.342 RS 17.351 A

rr. 19-20 797 (trd.) r. 24 298nota21 (trs.) r. 31 sg. 321nota37 (trs.) rr. 17-19 99 (trs.) Vo 1' (= PRU IV, 100) 202nota84 (trs.) Vo 8' (= PRU IV, 94) 202nota84 (trs.) Vo 7' (= PRU IV, 95) 202nota84 (trs.)

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SIGLE E ABBREVIAZIONI (a cura di A. Marchini)

AA AAA AAN

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JBL JCS JEOL

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