Storie di miracoli nel Nuovo Testamento
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BERND KOLLMANN

STORIE DI MIRACOLI NEL NUOVO TESTAMENTO

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QUERINIANA

Titolo originale

Neutestamentliche Wundergeschichten. Biblisch-theologische Zugiinge und Impulse /iir die Praxis © 2002 by W. Kohlhammer, Stuttgart © 2005 by Editrice Queriniana, Brescia via Ferri, 75-25123 Brescia (ltalia!UE) tel. 030 2306925 -fax 030 2306932 internet: www.queriniana.it e-mail: [email protected]

Tutti i diritti sono riservati. È pertanto vietata la riproduzione, l'archiviazione o la trasmissione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, comprese la fotocopia e la digi­ talizzazione, senza l'autorizzazione scritta dell'Editrice Queriniana. ISBN 88-399-0807- 2 Traduzione dal tedesco di ANNA BOLOGNA Stampato dalla Tipolitografia Queriniana, Brescia

Prefazione

Quasi nessun ambito del Nuovo Testamento causa al­ l'uomo di oggi, la cui mentalità è vincolata alla concezione scientifica del mondo dell'età moderna, difficoltà di com­ prensione quali quelle presentate dai miracoli. Gesù ha in­ dubbiamente guarito malati e scacciato demoni. I racconti biblici dei miracoli, che riportano inoltre risurrezioni dai morti e spettacolari interventi sulla natura, sono testimo­ nianze di fede dei primi cristiani e non resoconti oggettivi. La fede nei miracoli ha un effetto sconcertante su molte persone e viene considerata non più attuale. Per la pratica della pedagogia della religione si aggiunge il problema se i miracoli possano ancora essere oggetto di insegnamento. In alcuni casi si capitola fin dall'inizio, saltando tacitamente i miracoli nei piani di studio. D'altra parte, nel passato più recente, i racconti di miracoli del Nuovo Testamento si re­ cepiscono sempre più come importanti documenti di una religiosità globale, riferi�a anche al corpo, e si riscoprono le immagini di speranza celate in essi. n presente volume si muove nel campo sopra delineato, coprendo un ampio raggio tematico. illumina il contesto antico della tradizione dei miracoli neotestamentaria, ap5

profondendo le questioni storiche, teologiche e pedagogi­ che da essa sollevate. Vengono prese in esame tanto l'im­ portanza dei miracoli per l'operato di Gesù quanto la loro critica da parte degli evangelisti. Tramite esempi vengono illustrati alcuni modelli ermeneutici influenti, quali l'esegesi esistenzialista, femminista o psicologica. L'esposizione mira in special modo a indicare l'importanza odierna dei raccon­ ti biblici di miracoli e a fornire impulsi per la pratica. Il libro è concepito sotto forma di un manuale, sviluppa­ tosi dalla prassi di insegnamento universitario, che desidera avviare al proseguimento autonomo della riflessione sui racconti di miracoli. Un ringraziamento particolare va ai miei studenti di oggi e di ieri, nelle università di Gottingen, Aquisgrana e Siegen, per essersi aperti con grande impe­ gno, durante i corsi più diversi nell'arco degli ultimi quin­ dici anni, ai racconti di miracoli del Nuovo Testamento, fornendo così un contributo significativo alla nascita di questo libro. Meriti particolari per la realizzazione del pre­ sente volume vanno a Marion Kielmann per il suo lavoro al computer e a Carl Martin Pollmann con le sue instancabili ricerche bibliografiche. Sono grato a Holger Zeigan per l'accurata revisione, la tenace insistenza per l'uso delle nuo­ ve regole ortografiche e una serie di spunti relativi al conte­ nuto. A Michael Meyer-Blanck, di Bonn, della cui compe­ tenza nell'insegnamento della religione potei profittare già molti anni fa come vicario del Religionspadagogisches In­ stitut di Loccum, devo una presa di posizione critica relati­ va ad alcune sezioni di questo libro.

Bernd Kollmann

6 l Prefazione

I. Il concetto di miracolo

l. Che cos'è

un

miracolo?

I miracoli sono eventi eccezionali, che fanno sensazione o appaiono incomprensibili perché infrangono il corso con­ sueto delle cose. Quando si parla di miracolo, vi si associa per lo più l'idea che si tratti dell'operato di Dio o di un'al­ tra potenza superiore. Il concetto di miracolo stesso può es­ Jere allargato. Un miracolo propriamente detto avviene quando qualcosa si verifica contro l'ordine naturale a noi noto e appare così inspiegabile dal punto di vista scientifi­ co. Questo concetto di miracolo in senso stretto è in con­ trasto con il pensiero razionale ed è andato sempre più in­ crinandosi nell'orizzonte della concezione del mondo mo­ derna, la quale, attraverso i progressi scientifici, ha reso lo spazio per i miracoli sempre più angusto. Dal punto di vista della fede si può continuare ad attribuire a Dio un'infrazio­ ne dell'ordine naturale da lui stesso creato, mentre a parere della scienza è solo questione di tempo prima che venga trovata una spiegazione naturale. Pertanto oggi è decisa­ mente più comune parlare impropriamente di miracolo an7

che quando in un avvenimento è insito l'elemento inaspet­ tato o sorprendente, pur senza che esso sia in contrasto con l'ordine della natura. Succede qualcosa che non si poteva prevedere. In quasi nessun contesto, ad eccezione forse dei testi delle canzoni di musica leggera, si abusa di tale concet­ to di miracolo quanto in relazione a risultati sportivi inatte­ si o all o spettacolare mantenimento dell'incolumità in caso di catastrofi. Il 'miracolo di Berna' ( 1 954), per esempio, consisté nella vittoria della nazionale tedesca contro i favo­ ritissimi undici ungheresi, il 'miracolo di Lengede' ( 1 963) nel salvataggio di 89 minatori ritenuti morti da tempo. In questi casi le leggi naturali vennero annullate altrettanto poco quanto avviene per il così spesso evocato 'miracolo dell'amore'. Considerare questi avvenimenti che infrangono la normalità come fortunate coincidenze o vedere in essi u­ na potenza superiore all 'opera è questione di fede. Con questi miracoli impropriamente detti siamo in un certo senso non troppo lontani dalla concezione dei mira­ coli dell'antichità, anche se in essa l'esperienza del divino risulta decisamente più in primo piano. L'assioma dell'età moderna, secondo cui un miracolo è a rigor di termini un evento che va contro la ragion critica e infrange la causalità naturale scientificamente concepibile, risulta estraneo alla concezione della realtà del Nuovo Testamento e del suo ambiente. Al di là di una riflessione mirata su un certo or­ dine delle leggi naturali e la sua infrazione, nel pensiero dell'antichità il miracolo rappresenta un avvenimento che desta scalpore, al di fuori del consueto e che rinvia a una potenza superiore. Il miracolo consente di percepire in ma­ niera particolarmente intensa la presenza e l'efficacia delle energie divine che pervadono il mondo intero. In questo senso le liberazioni dal demonio, le guarigioni, le risurrezio­ ni, l'influenza esercitata sulla natura e simili vengono consi8 l Il concetto di miracolo

derate miracoli sia all'interno sia all'esterno della Bibbia, pur senza entrare necessariamente in contrasto con le leggi naturali. Uno studio dell'uso linguistico consolida questa tesi, spalancando già prospettive fondamentali sull'inter­ pretazione dei miracoli nell'antichità e le sue diverse sfuma­ ture. Gli autori biblici sono legati alla mentalità miracolisti­ ca della loro epoca, eppure se ne discostano in punti rile­ vanti. Ciò si dimostra, non da ukimo, nella maniera in cui utilizzano la terminologia relativa ai miracoli in uso nel loro ambiente. Per ciò che noi definiamo 'miracolo' la lingua greca non possiede un termine unico. Ha in serbo una vasta gamma di termini, tra i quali il Nuovo Testamento opera una selezio­ ne meditata. Dei termini tecnici greci pertinenti che pongo­ no l'accento sullo spettacolare e sul prodi�ioso, thauma (fe­ nomeno curioso, magia, prodigio) e arete (prova di abilità, azione eroica) come definizioni dei miracoli di Gesù non sono affatto documentati, thaumdsion (sorprendente, mera­ viglioso) e parddoxon (evento inaspettato, incredibile) solo una volta ciascuno (Mt 2 1 , 1 5 ; Le 5 ,26). Al loro posto avan­ zano in primo piano in particolare i concetti di dynamis (prodigio) , seméion (segno) , téras (apparizione eccezionale, segno divino) , soltanto abbinato al precedente, e per finire érgon (opera) , concetti anch'essi consueti nel greco profano per indicare i miracoli, ma arricchiti nel Nuovo Testamento di particolari connotazioni. In dfnamis (Mc 6,2; Mt 1 1 ,20s.) domina l'aspetto della dimostrazione personale di potere da parte di Gesù e della forza di Dio visibile in essa. Seméion, il termine preferito dal vangelo di Giovanni per i miracoli di Gesù ( Gv 2 , 1 1 ; 20,30), connotato tuttavia nega­ tivamente nella tradizione sinottica a causa del rifiuto della richiesta di un segno (Mc 8,12), esprime il fatto che i mira­ coli sono segno di qualcosa di più grande, che è al di là da 9

venire. L'espressione seméia kài térata, resa di solito nelle nostre traduzioni bibliche con «prodigi e segni», cerca di sottolineare in modo particolare l'origine divina e il caratte­ re escatologico delle azioni di Gesù (At 2,22) o degli apo­ stoli (At 5 , 1 2 ; Rm 15 ,19) , nell'ambito di una storiografia al­ la luce della fede. Già nella traduzione in greco dell'Antico Testamento ebraico era diventata un'espressione codificata per i prodigi dell'esodo (Es 7,3 ; 1 1 ,9), ma anche per i segni divini che accreditano i profeti (Is 20 ,3 ). Quando, infine, attraverso la definizione di érgon i miracoli di Gesù vengo­ no considerati come opere di cui è incaricato, ciò rimanda nuovamente all'armonia di intenti tra Gesù e Dio e la sua pienezza di potere. In questa terminologia il rapporto dei miracoli con l'or­ dine naturale è collocato al di fuori del campo visivo. Fon­ damentale è la convinzione, espressa già nell'uso linguistico biblico, che i miracoli non awengono come episodi isolati per se stessi o per la glorificazione di chi li compie, bensì sono in correlazione all'opera di salvezza di Dio sul mondo. I racconti di miracoli della Bibbia hanno altrettanto poco interesse dei loro paralleli contemporanei ad affermazioni scientifiche, vogliono però, al contrario di questi, spalanca­ re la visuale per la presenza di salvezza di Dio. A partire da questa intenzione, la terminologia scelta dal Nuovo Testa­ mento per i miracoli ottiene il suo carattere particolare e in­ confondibile. L'assioma dell'età moderna, secondo cui un miracolo è un evento che va contro la ragion critica e infrange la causalità naturale scientificamente concepibile, risulta e­ straneo all a concezione della realtà dell'antichità. I mira­ coli sono eventi eccezionali che rimandano all'azione di

10 l Il concetto di miracolo

' potenze superiori. TI Nuovo Testamento compie una scel­ ta meditata all'interno della terminologia greca per que­ : Sto ambito e la ricolma di un nuovo significato, per docu1 mentare l'opera di salvezza di Dio sul mondo visibile nei . miracoli di Gesù e degli apostoli. ·.

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2. D dibattito sui miracoli di Gesù

La questione del valore storico e di un'interpretazione a­ deguata delle storie di miracoli nel Nuovo Testamento è da annoverarsi tra i temi teologici più controversi degli ultimi tre secoli. Fino all'età moderna compresa, i miracoli biblici venivano spiegati con la massima naturalezza come inter­ vento di Dio nel corso naturale delle cose, come avviene tutt'oggi in ambienti integralisti. Il razionalismo, che elevò la ragione a unità di misura della fede cristiana e conobbe la sua fioritura nei primi dell'Ottocento, sostenne invece la spiegazione naturale dei miracoli di Gesù. Questi si base­ rebbero su dati di fatto e non avrebbero in sé nulla di con­ trario alla ragione, non appena sia possibile riconoscere le cause naturali non citate nella Bibbia. L'elemento miracoli11

stico che contraddice alle leggi naturali viene in un certo senso eliminato dai racconti, per salvame la storicità. Teolo­ gi come Cari Friedrich Bahrdt ( 1741-1792 ) e Cari Heinrich Venturini ( 1768-1 849), con le loro biografie romanzate su Gesù, rappresentano in tale contesto un razionalismo po­ polare dall'immensa portata. Secondo Bahrdt le guarigioni si erano verificate in maniera naturale esattamente come i miracoli sulla natura, nel caso dei quali riteneva ad esempio che quando Gesù camminò sulle acque si fosse mosso su tronchi da costruzione galleggianti o che per la moltiplica­ zione dei pani disponesse di grandi quantità di pane imma­ gazzinate nelle caverne. Per Venturini, nella suo Naturliche Geschichte des grossen Propheten von Nazareth [Storia na­ turale del grande profeta di Nazaret] ( 1 800- 1 802) in quat­ tro volumi, la spiegazione razionale delle liberazioni dal de­ monio, delle guarigioni e delle risurrezioni di Gesù - nel caso delle quali si tratterebbe della rianimazione di morti apparenti - starebbe nell'efficace somministrazione di far­ maci e nell'impiego di tecniche chirurgiche, che dovevano apparire come miracoli al popolo ignorante. I miracoli sulla natura sarebbero invece il risultato di errori e malintesi. Nel caso della tempesta placata si suppongono conoscenze meteorologiche di Gesù. Anche la moltiplicazione dei pani non rappresenta per Venturini un vero miracolo, in quanto Gesù avrebbe ispirato i ricchi a dividere con i poveri le loro grandi riserve di cibo. Per quanto riguarda il camminare sul mare, per effetto della distanza i discepoli avrebbero erro­ neamente creduto di vedere sull'acqua Gesù, che invece si muoveva sulla riva. Anche Heinrich Eberhard Gottlob Paulus ( 1 76 1 - 1 85 1 ) , come esponente di un razionalismo scientifico giunto a piena maturazione, nella sua Leben Jesu [Vita di Gesù] del 1 828 vuole individuare le cause naturali dell'operato miracoloso di Gesù sotto la superficie dei reso12 l Il concetto di miracolo

conti evangelici. Nei caso degli indemoniati si tratta per lui di nevrotici, il cui incontro con Gesù avrebbe portato a una manifestazione acutizzata della malattia seguita dal recupe­ ro della salute. Le guarigioni vengono ricondotte a un'azio­ ne stimolante del sistema nervoso da parte di Gesù, mentre dietro le risurrezioni si celerebbe la diagnosi di svenimenti protratti. Nella spiegazione dei miracoli sulla natura Paulus e Venturini, che si influenzarono reciprocamente, collima­ no quasi del tutto. Nuovi criteri per l'interpretazione dei miracoli, validi an­ cora oggi, vennero stabiliti da David Friedrich Strauss ( 1 808- 1874) nella sua Leben ]esu [Vita di Gesù] in due vo­ lumi, del 1 835-36. Facendo implacabilmente i conti con i tentativi di interpretazione razionalistici e soprannaturali­ stici, egli dichiara i miracoli miti che furono attribuiti a Ge­ sù riprendendo la tradizione dell'Antico Testamento a di­ mostrazione della sua messianicità. Se Gesù era davvero il Messia, doveva, secondo quanto ritenuto dai suoi seguaci, raggiungere e superare i miracoli dei profeti. Pur suppo­ nendo in singoli casi liberazioni dai demoni e guarigioni da parte di Gesù, Strauss considera però i relativi resoconti e­ vangelici virati al miracolistico in maniera inattendibile, in conseguenza dell'idea messianica. Le risurrezioni e i mira­ coli sulla natura gli appaiono invece miti totalmente non storici. Egli rivendica, come fonte principale per il costi­ tuirsi di una tradizione mitica, il ciclo di Elia e Eliseo, che avrebbe tenuto in serbo modelli adatti all'invenzione di guarigioni di lebbrosi, risurrezioni e moltiplicazioni dei pa­ ni da parte di Gesù. A integrazione di ciò, la nascita dei racconti di miracoli neotestamentari viene attribuita a un'interpretazione messianico-cristologica di Is 35,5s. A lungo andare la scienza del Nuovo Testamento, nono­ stante critiche accese e i più svariati tentativi di ritornare a 13

modelli razionalistici o soprannaturalistici d'interpretazio­ ne, non poté chiudersi a tali opinioni. TI modo di considera­ re i miracoli di Gesù come miti non storici, di cui, in quan­ to prodotto della fede messianica dei primi cristiani, non bisogna indagarne la storicità, ma che andavano interpretati teologicamente, si era saldamente affermato. Mentre però Strauss vedeva nella tradizione biblica veterotestamentaria la fonte più autorevole dei racconti dei miracoli nel Nuovo Testamento, Martin Dibelius ( 1 883 - 1 947) e Rudolf Bult­ mann ( 1884-1976), con il loro esame dei miracoli di Gesù in base alla storia delle religioni e delle forme, misero in primo piano i paralleli ellenistici. Dalla constatazione di u­ na stretta parentela sia contenutistica che formale con alcu­ ni racconti popolari della classicità greca e romana, deduce­ vano la mancanza di storicità dei resoconti di miracoli del Nuovo Testamento. Nella sua Formgeschichte des Evange­ liums [Storia delle forme del vangelo] ( 19 1 9, 1 93Y) , per le novelle, genere sotto cui annovera la maggior parte dei mi­ racoli, Dibelius presuppone l'uso di motivi popolari, fino all'attribuzione di interi racconti di miracoli a Gesù. Per Bultmann, nella sua Geschichte der synoptischen Tradition [Storia della tradizione sinottica] ( 192 1 ) , quanto rinvenuto nel contesto non ebraico del Nuovo Testamento offre pa­ ralleli talmente estesi che ne emergerebbe l'ipotesi di una nascita su suolo ellenistico della grande maggioranza dei re­ soconti sinottici di miracoli. Allo stesso tempo, egli inter­ preta i miracoli come sviluppi storici del messaggio di fede dei primi cristiani, derivanti dalla concezione mitica del mondo dell'antichità, che sono interscambiabili e non pos­ sono costituire oggetto di fede nell'orizzonte del pensiero moderno-illuminista. L'indagine su quanto sia realmente accaduto viene considerata tanto vana quanto teologica­ mente discutibile. Secondo la scuola di Bultmann, i miraco14 l Il concetto di miracolo

li di Gesù hanno rilevanza solo come testimonianze simbo­ liche di fede, come metafore predicate dai primi cristiani. I resoconti di miracoli del Nuovo Testamento riportano solo in

apparenza eventi meravigliosi della vita terrena di Gesù. In realtà annunciano ciò che Dio, attraverso Gesù come Cristo, cioè attra­ verso il Signore della comunità crocifisso e risorto, operò su quel­ la comunità e vuole operare sul mondo. Testimoniano l'azione contemporanea su coloro che sono ciechi, smarriti e schiavi, da parte del Signore operante nell'annunciazione cristiana'.

Come conseguenza diretta di questa prospettiva, dominò a lungo una ricerca sui miracoli indirizzata alla storia della loro redazione che, mettendo progressivamente in secondo piano le questioni storiche, si dimostra interessata unica­ mente alla critica dei miracoli da parte degli evangelisti e a un'interpretazione metaforica del miracolo come portatore del messaggio di fede, del kirygma. Attualmente si è tornati a presupporre più spesso la presenza di motivi storici nella tradizione neotestamentaria relativa ai miracoli e la sua affi­ dabilità è senz'altro considerata molto più alta di quanto av­ venisse nell'ermeneutica dei miracoli mitica e storico-religio­ sa. Non si sfugge tuttavia alla considerazione di fondo che i racconti di miracoli del Nuovo Testamento siano, con pro­ babilità di gran lunga maggiore, testimonianze di fede piut­ tosto che resoconti di fatti reali e che, se raffrontati con i lo­ ro paralleli antichi, abbiano pochi elementi inconfondibili. Quando Eugen Drewermann pone nuovi accenti attra­ verso la sua interpretazione di psicologia del profondo dei miracoli, al termine di sentieri tortuosi si ritrova - per quanto riguarda la questione storica - non lontano dello 1

W.

SCHMITHALS, Wunder und Glaube, BSt 59, Neukirchen-Vluyn

1970, 25s.

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schema di pensiero razionalista. Fondamentalmente non vede alcun motivo di dubitare della storicità di miracoli di Gesù, che tuttavia non rappresentano per lui miracoli nel senso di un'infrazione delle leggi naturali, bensì riportano il malato in armonia con se stesso e l'ordine della natura sul piano, sottratto alla ragione, dell'inconscio. Dove il raziona­ lismo legge, nelle storie di guarigioni, delle cause naturali, troviamo in Drewermann una diagnostica psicosomatica, in parte fantasiosa, delle circostanze della malattia, che do­ vrebbe spiegare il miracolo della guarigione. Quando, nelle risurrezioni da parte di Gesù, si presuppone una rigidità i­ pnotica o acinesia, ciò va infine a coincidere con le ipotesi di catalessi dell'interpretazione razionalistica dei miracoli, con la quale mostra evidenti paralleli anche il ricondurre la tempesta placata a conoscenze meteorologiche, in questo caso sciamaniche, di Gesù. Nel passato più recente si può riconoscere lo sforzo di percorrere una terza via, al di là della metaforizzazione e della ricollocazione storica, che rispetti la visione della realtà, a noi estranea, dei miracoli biblici. Klaus Berger di­ stingue i miracoli, in quanto 'fatti deboli' , dai 'fatti forti' che avvengono in conformità alle leggi naturali. Ci sarebbe­ ro molte aree della realtà, che non si contraddicono, ma si integrano in modo complementare. I miracoli di Gesù, in quanto fatti deboli oggi non più verificabili, farebbero par­ te di una visione della realtà caratterizzata da una percezio­ ne e da un modo di sentire mitico-mistico, che avrebbe una propria logica, staccata dalle leggi naturali, senza per que­ sto essere irrazionale o non rispondente a verità. Stefan Alkier e Bernhard Dressler vedono i racconti di miracoli del Nuovo Testamento come mondi paralleli, che si tratte­ rebbe di esplorare in modo nuovo, senza misurarli fin dal­ l'inizio in base' alla nostra visione della realtà. 16 l Il concetto di miracolo

Non dobbiamo inserire nelle storie della Bibbia il nostro sapere culturale, né i nostri razionalismi e neppure le nostre sensazioni, se i racconti biblici vogliono rimanere veramente tali e se non fac­ ciamo inutilmente raccontare loro ciò che comunque già sappia­ mo e che abbiamo sempre pensato'.

La questione dei miracoli viene propagata in modo mira­ to come una domanda da lasciare aperta. Invece di giudizi affrettati su fatto o invenzione, nello studio dei miracoli vanno sviluppate domande specifiche su Dio e il mondo. Si tratta di un incontro con i mondi paralleli dei miracoli, sen­ za invaderli. Dal punto di vista teorico ciò in effetti può suonare plausibile. Resta poi da vedere se in pratica si pos­ sa davvero ignorare semplicemente un'indagine critica, in base alla visione moderna della realtà, della tradizione bi­ blica relativa ai miracoli. Fino all'età moderna i miracoli venivano interpretati so­ prannaturalisticamente come intervento di Dio nell'ordi­ ne naturale. n razionalismo tentò di conciliare i miracoli con la visione moderna del mondo, eliminandone, contro la loro intenzione, l'elemento meraviglioso per salvame la storicità. L'interpretazione mitica e storico-religiosa oggi dominante considera i racconti di miracoli non come re­ soconti di fatti realmente accaduti, bensì come testimo' nianze di fede, che vanno interpretate in base alla loro fi­ : nalità cristologica.

2 S. ALKIER - B. DRESSLER, Wundergeschichten als /remde Welte lesen lernen, in B. DRESSLER - M. MEYER-BLANCK (edd.), Religionen zeigen,

Miinster 1998, 163-187, qui 183 .

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BIBLIOGRAFIA ALKIER, S., Wen wundert was?, in Zeitschrz/t/iir NT 4 (200 1 ) 2-15. ALKIER, S.- DRESSLER, B., Wundergeschichten als /remde Welte lesen lernen, in DRESSLER, B. - MEYER-BLANCK, M. (edd.), Religionen zeigen , Munster 1998, 163 - 1 87. BERGER, K., Dar/ man an Wunder glauben?, GT B 1450, Gutersloh 1 999. KELLER, E. - KELLER, M.-L., Der Streit um die Wunder, Gutersloh 1 968. KOLLMANN , B., ]esus und die Christen als Wundertiiter, FRLANT 170, Gottingen 1996, 18-45. ScHWEITZER, A., Geschichte der Leben-]esu-Forschung, UTB, Tubin­ gen 1 984', 69-105 [trad. it., Storia della ricerca sulla vita di Gesù, Paideia, Brescia 1986, 1 0 1 - 146] . THEISSEN, G.- MERZ, A., Der historische Jesus, Gottingen 1996, 260264 [trad. it., Il Gesù storico. Un manuale, Queriniana, Brescia 1 999, 353-3 60].

Prospetto riassuntivo: La discussione sulla storicità dei miracoli di Gesù Tipo di interpretazione

Esponenti

Premesse

Interpretazione soprannaturalistica

Agostino, Tommaso d'Aquino

Non c'è da dubitare dei miracoli di Gesù. Dio è in grado di compiere miracoli contro l'ordine naturale da lui stesso creato.

Interpretazione razionalistica

C.F. Bahrdt, H.E.G. Paulus, C.H. Venturini

I miracoli di Gesù si basano su dati di fatto che non hanno in sé niente di soprannaturale, in contrasto con la ragione, se si conoscono le circostanze concernitanti.

18 l Il concetto di miracolo

Interpretazione mitica

D.F. Strauss

I miracoli di Gesù sono miti non storici. Gli sono stati attribuiti riprendendo testi sui miracoli dell'Antico Testamento, per dimostrarne la messianicità.

Interpretazione storico-religiosakerygmatica

M. Dibelius, R. Buhmann, W. Schmithals

Racconti di miracoli popolari e motivi miracolosi, provenienti soprattutto dal mondo ellenistico, sono stati riferiti a Gesù. I racconti di miracoli non sono resoconti di fatti reali, bensì testimonianze di fede e metafore di qualcosa di totalmente diverso.

Visione dei miracoli in base alla storia della redazione

H.J. Held, L. Schenke, D.Koch, K. Kertelge, U. Busse, J. Becker

Lo sguardo va rivolto alla critica dei miracoli e alla visione metaforica dei miracoli degli evangelisti. Rispetto a questo l'indagine storica sui miracoli di Gesù è secondaria.

Interpretazione della psicologia del profondo

M. Kassel, E. Drewermann

Nella sfera dei sentimenti sottratta alla razionalità, non c'è da dubitare dei miracoli di Gesù. Singoli miracoli sulla natura sono da attribuirsi alla comunicazione sciamanica con gli elementi.

'Terza via' tra K. Berger, storicizzazione e S. Alkier, metaforizzazione B. Dressler

I miracoli di Gesù, in quanto 'fatti deboli', sono vincolati a una visione della realtà che segue leggi diverse dalle nostre, senza per questo essere irrazionale. La questione dei miracoli deve rimanere aperta.

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3. Possibilità e limiti dei miracoli Ci sono diversi motivi per avere un atteggiamento di ri­ fiuto verso i miracoli. Essi sono di natura filosofica, sociolo­ gica e teologica. Le possibilità offerte dalla fede nei miraco­ li rischiano spesso, tra tutte queste giustificate critiche, di non venire colte. L'argomento filosofico principale contro i miracoli è il loro contraddire la ragione. Come precursore della critica razionalistica ai miracoli il filosofo olandese Baruch de Spi­ noza ( 1632- 1 677) constatava, nel suo Trattato teologico-poli­ tico del 1670 [trad. it., La Nuova Italia, Firenze 1 97 1 ] , un contrasto insormontabile tra fede nei miracoli e ragione. Non accadrebbe nulla di contrario alla natura con le sue leggi immutabili. Per abitudine o in aperta contraddizione con la scienza, la gente comune non ne vuole sapere delle cause naturali delle cose, bramando udire soltanto ciò che meno conosce e che quindi può ammirare di più. Anche l'orientalista amburghese Hermann Samuel Reimarus ( 1 694- 1768), che in vita non osò pubblicare la sua Apologie oder Schutzschri/t /iir die verniin/tigen Vereherer Gottes [A­ pologia o difesa per i ragionevoli adoratori di Dio] - venne edita postuma da Lessing come opera di un preteso 'anoni­ mo di Wolfenbiittel' [trad. it., I frammenti dell'Anonimo di Wol/enbiittel pubblicati da G.E. Lessing, Bibliopolis, Napoli 1977] - affronta i miracoli di Gesù con uno scetticismo gui­ dato dalla ragione. Non sarebbero così assurdi ed esagerati come i miracoli dell'Antico Testamento, sarebbero però soggetti a grossi dubbi. Oltre a credulità, sete di prodigi e distinzione imperfetta tra naturale e soprannaturale, biso­ gnerebbe supporre una frode mirata in singoli casi, quando le guarigioni sarebbero state solo simulate. Questo scettici20 l Il concetto di miracolo

smo nei confronti della tradizione relativa ai miracoli viene rinforzato per Reimarus da certe indicazioni in parte con­ traddittorie degli evangelisti, che avrebbero inoltre inventa­ to numerosi miracoli aggiuntivi decenni dopo la morte di Gesù, senza un'istanza critica opposta, per sostenere il loro 'sistema di nuova creazione'. La critica filosofica dei mira­ coli raggiunse un temporaneo climax con Ludwig Feuer­ bach (1804- 1872). Secondo lui i miracoli servono al soddi­ sfacimento dei desideri umani più profondi e sono un pro­ dotto della fantasia, l'intelligenza condizionata dai bisogni emotivi e dalle aspirazioni dell'essere umano. A ciò si asso­ cia una valutazione qualitativa. Nella fantasia l'essere uma­ no si fa signore della natura in modo non razionale e spiri­ tuale, bensì fantastico e sensoriale. La fede nei miracoli rap­ presenta quindi uno stadio di sviluppo nel quale lo spirito umano è per così dire ancora bambino e non riconosce che avrebbe lui stesso il potere di soddisfare i propri desideri e bisogni. La fede nei miracoli viene considerata come una superstizione da superare, che ostacola l'essere umano nel suo sviluppo e nella sua autoaffermazione. Questa visione dei miracoli come proiezione di desideri inappagati si lascia anche volgere in positivo. Nel suo Il principio speranza ( 1 959), Ernst Bloch ( 1 885 - 1 977) sottolinea efficacemente che il concetto biblico di miracolo contiene, al di là di una superstizione trascendente, anche l'idea per nulla supersti­ ziosa della rottura dello stato di cose abituale con le sue cir­ costanze disperate. I miracoli di Gesù, nonostante la conce­ zione del mondo transitoria che ne sta alla base, concezione superata nell'età moderna, continuano pertanto a mantene­ re la loro importanza per due riguardi, e cioè per la loro in­ terruzione dello status qua e per il loro contenuto buono di per sé. Fondamentale è che i miracoli, nel quadro di un'u­ topia concreta, contengono l'intenzione di un tangibile mu21

tamento esteriore, dal momento che la salvezza che si intra­ vede in essi spinge per la propria realizzazione. Il miracolo, che smaschera le circostanze esistenti come imperfette, spa­ lanca lo sguardo per le opportunità dell'esistenza umana non ancora realizzate e le reclama. Dal punto di vista sociologico si è giunti a riconoscere che la ricettività per i miracoli e la magia rappresentano lar­ gamente un fenomeno degli strati sociali più bassi. Si parla di fede popolare della vasta massa e ciò si intende di solito in senso negativo. La pietà popolare contraddistinta da 'cre­ dulità' e 'sete di prodigi' viene considerata all'interno di una religione universale organizzata, come quella costituita dal cristianesimo, il relitto di un'epoca primitiva da superare. La massa è credula. L'insolito e il fantastico ne eccitano la fantasia e trovano fede presso di essa. Essa costruisce pertanto, con gran­ de facilità, delle leggende e brama miracoli di ogni genere. La mas­ sa è dunque influenzabile soprattutto attraverso immagini ed e­ venti o resoconti di eventi dai colori vividi. Pretende solide garan­ zie, la certezza di quanto è visibile e sperimentabile empiricamen­ te [. . ]. Abbiamo descritto sopra la massa come resto sociologico dello stadio della comunità popolare sacrale. A esso corrisponde la mentalità magica, che nel periodo arcaico si mescola con la reli­ gione e che continua a essere caratteristica di questa massa anche nella religione universale. Qui nasce anche la magia religiosa, che costituisce il fattore più caratteristico della fede popolare'. .

Miracoli e magia vengono associati agli abissi della bassa devozione popolare, si ritiene che se ne possa fare a meno nelle forme più alte di religione. Gerd Theissen richiama al contrario l'attenzione sul significato positivo dei miracoli per i piccoli e riabilita la fede 'infantile' nei miracoli, im' G . MENSCHING, Soziologie der Religion, Bonn 1968', 175-177.

22 l Il concetto di miracolo

prontata alla fantasia mitica. Essa riprenderebbe sì la mate­ ria arcaica di un'esperienza infantile, ma non sotto forma di desiderio ingenuo di qualcosa. Il miracolo si ribellerebbe contro la realtà, sarebbe espressione di protesta contro la malattia e il bisogno. I racconti di miracoli assolvono quin­ di, come azioni sociali collettive dei ceti più bassi, un'im­ portante funzione. Legittimano nuove forme del vivere, agi­ scono simbolicamente contro il bisogno e allo stesso tempo donano forza per superare nella vita quotidiana la negati­ vità dell'esistenza anche attraverso azioni pratiche. Dal punto di vista teologico i miracoli vengono sminuiti in relazione alla croce. Al contrario della croce, questo il rimprovero di fondo, il miracolo non frantumerebbe l'esse­ re umano nel suo dispotismo, per aprirlo completamente alla grazia di Dio, bensì lo farebbe diventare semplicemente spettatore constatante del divino, lasciandogli la sua arbi­ traria autoaffermazione. Già Martin Lutero aveva attribuito ai miracoli di Gesù, paragonati al miracolo per eccellenza in cui Gesù aveva portato la vita eterna attraverso la sua morte in vece nostra, un significato secondario, favorendo il vangelo di Giovanni rispetto a quelli sinottici per la sua quantità inferiore di storie di miracoli. Questo tipo di criti­ ca dei miracoli in base alla teologia della croce acquistò un impatto particolare attraverso Rudolf Bultmann. Per amore della sincerità della fede cristiana - questo desiderio viene spesso ignorato - egli non riesce a richiedere all'uomo mo­ derno un'accettazione acritica, nel senso di un sacrificio della ragione impossibile da pretendere, della visione del mondo mitologica della Bibbia. Non si può usare la luce elettrica e la radio, o ricorrere a mezzi medici e clinici moderni in caso di malattia e contemporaneamen­ te credere nel mondo degli spiriti e dei miracoli del Nuovo Testa23

mento. E chi ritiene di poterlo fare per quanto riguarda se stesso, deve comprendere chiaramente che, quando lo spiega come l'at­ teggiamento della fede cristiana, rende incomprensibile e impossi­ bile l'annuncio cristiano nel presente'.

Bultmann considera valido un solo miracolo, e cioè la manifestazione della grazia di Dio per i malvagi, che conce­ de un perdono immeritato, in contrasto con le leggi del mondo contrassegnate da criteri meritocratici. I miracoli di Gesù vengono invece dichiarati prodigi sempre ambigui, che appaiono significativi al massimo come portatori del kérygma, ma che, di per sé, sono irrilevanti per la fede cri­ stiana. Il tentativo di dimostrare la realtà dei miracoli di Gesù rappresenterebbe un traviamento, sarebbe espressio­ ne della brama di cercare prove della presenza di Dio e di fondare la fede su fatti certi allo scopo di raggiungere false sicurezze. Quand'anche i miracoli di Gesù, nessuno esclu­ so, fossero accertati storicamente, non ci interesserebbero affatto, in quanto opere di una persona del passato e sareb­ bero da abbandonare integralmente alla critica. L'essenza della fede cristiana viene qui caratterizzata come fede nella grazia di Dio apparsa in Cristo, che non si dimostra nei mi­ racoli, bensì nel superamento della Legge e della morte. È questo l'unico miracolo che bisogna accogliere nella scom­ messa della fede, seguendo la chiamata a scegliere, abban­ donando la propria vecchia condotta di vita segnata dal peccato e afferrando l'opportunità di una nuova esistenza. Sull'onda della tradizione riformatrice accentuata in tal modo da Bultmann, la benevolenza di Dio verso l'essere u' R. BULTMANN, Neues Testament und Mythologie, in H.-W. BARTSCH (ed.), Kerygma und Mythos, 1 960', 15-48, qui 18 [trad. it., Nuovo Testa­

mento e mitologia, Queriniana, Brescia 1 970, 1 10]. 24 l Il concetto di miracolo

mano viene situata esclusivamente sul piano spirituale-reli­ gioso. Ne segue una riduzione della salvezza all'interiorità o alla salvezza spirituale, collegata alla tendenza alla raziona­ lizzazione della fede. D'altra parte attualmente, rifacendosi all 'unità biblica tra salvezza del corpo e dell'anima, si va ri­ scoprendo l'essere .umano nella sua globalità. A partire dal disagio nel vedere esclusi i sentimenti e la fisicità dall'ambi­ to della religione, si torna con Eugen Drewermann a una riabilitazione del miracolo e dei miti nella fede cristiana. E­ gli colloca i miracoli nella sfera dei sentimenti e delle emo­ zioni, che mette in collegamento corpo e anima. In que­ st'ambito intermedio accadrebbero costantemente miracoli, nel senso che i processi fisici di quanto avviene a livello del corpo verrebbero regolati in una maniera incomprensibile dal punto di vista puramente razionale. Il fondamentale de­ ficit dell'interpretazione dei miracoli dell'età moderna viene visto nel suo atteggiamento negativo verso tale piano dei sentimenti e delle emozioni. Attraverso la funesta riduzione dell'essere umano al solo pensiero, soltanto gli aspetti ra­ zionalmente concepibili della natura avrebbero ancora va­ lore e sarebbe stato sottratto qualunque spazio al miracolo. La teologia dialettica non si sbagliò, perciò, quando vide che la fe­ de e l'autoritrovamento dell'uomo, l'autenticità della sua esistenza sono strettamente legati tra di loro; l'uomo però non viene guida­ to alla sua autenticità, ma viene guidato a una radicale autoaliena­ zione, qualora con motivazioni teologiche si affermi che egli deve uscire dal proprio sentimento, dal proprio corpo e da tutti i rap­ porti mondani, per farsi afferrare da Dio nella pura trascendenza'.

' E. DREWERMANN, Tie/enpsychologie und Exegese 2, Olten 1 992', 128

[trad. it., Psicologia del profondo e esegesi 2. La verità delle opere e delle parole, Queriniana, Brescia 1996, 130]. 25

Con tutto il rispetto per l'approccio teologico esistenziale di Bultmann, gli viene mosso il rimprovero di aver condot­ to l'essere umano, con l'eliminazione dei sentimenti e della fisicità dalla fede cristiana, ad un funesto estraniamento da se stesso, precipitando la teologia in una profonda crisi. Da

un

punto di vista fùosofico, contro i miracoli si fa va­ lere il loro contraddire la ragione, da quello sociologico il loro radicamento nei ceti popolari più bassi, da quello teologico la loro inferiorità rispetto alla croce. Correg­ gendo tali prospettive, i racconti di miracoli sono da ono­ rare positivamente come portatori di utopie che si realiz­ zano, come azioni simboliche che aprono nuove oppor­ tunità esistenziali per le classi sociali più basse e come te­ stimonianze di salvezza globale. BIBLIOGRAFIA BLOCH, E., Das Prinzip Hoffnung, Frankfurt 1959, 1540-1550 [trad. it., Il principio speranza III, Garzanti, Milano 1994, 1505-15 14]. BULTMANN, R., Zur Frage des Wunders, in Glauben und Verstehen I, Tiibingen 1933, 2 14-228 [trad. it., Sulla questione del miracolo, in Credere e comprendere, Queriniana, Brescia 1977, 231-246] . KELLER, E. - KELLER, M.-L., Der Streit um die Wunder, Giitersloh 1968. THEISSEN, G., Urchristliche Wundergeschichten, StNT 8, Giitersloh 1987', 244-256, 283-297.

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27

II. Il contesto storico-religioso

1. Santuari di Asclepio

Nel mondo contemporaneo al Nuovo Testamento i reso­ conti di miracoli sono molto diffusi. Un primo ambito im­ portante è delimitato dalle numerose iscrizioni e testimo­ nianze letterarie che danno notizia dell'operato miracoloso di singole divinità nei luoghi di culto. Nell'antichità esisteva una medicina templare molto ramificata. I luoghi di cura e­ rano istituzioni riconosciute della vita dell'antichità, che si contrapponevano a una segregazione sociale dei malati. La divinità guaritrice più significativa e dal maggiore successo del mondo greco-romano era Asclepio, cantato già da O­ mero come grande medico e il cui lustro si mantenne fino al IV secolo d.C. Secondo la leggenda Asclepio, considerato figlio di Apol­ lo e della principessa Coronide, venne ucciso da Zeus con un fulmine a causa delle sue eccezionali capacità mediche. Per denaro, pare che si fosse lasciato convincere a riportare in vita una persona già votata agli Inferi. Dopo la sua morte ignominiosa, Asclepio non rimase nell'Ade, ma venne accol29

to nelle schiere degli dèi. Continuò ad esercitare l'arte di guaritore come divinità assunta in cielo, apparendo nel son­ no ai malati in particolari luoghi di culto a lui consacrati. Il più famoso di questi santuari di Asclepio, in cui la divinità portava la salute, si trovava ad Epidauro, nel Peloponneso. Dobbiamo allo scrittore Pausania, che visitò Epidauro in­ torno al165 d.C., una descrizione del luogo di culto fonda­ to nel VI secolo a.C. e delle sue registrazioni di miracoli. Se­ condo quanto ci racconta, egli vi trovò ancora sei stele sulle quali erano elencati non solo i nomi degli uomini e delle donne guariti da Asclepio, ma anche il tipo di malattia e i dettagli della guarigione. Queste lastre epigrafiche in pietra di cui parla Pausania sono già delle copie. Originariamente le persone risanate avevano donato, in segno di ringrazia­ mento, delle tavolette votive in legno, che informavano del­ le circostanze della guarigione. Nel IV secolo a.C. si inco­ minciò a riportare il testo di queste tavolette sulla pietra, per conservarlo per i posteri, potenziando in questa occa­ sione anche gli elementi prodigiosi. Nel corso degli scavi in­ trapresi a partire dal 1 883 ad Epidauro, fu possibile ritrova­ re tre stele complete più frammenti di una quarta. Esse con­ tengono complessivamente settanta resoconti di guarigioni prodigiose. Tra le varie malattie guarite ad Epidauro, distur­ bi alla vista e paralisi occupano uno spazio particolarmente ampio, ma veniva prestato soccorso anche in casi di idropi­ sia, sterilità, alopecia, piaghe e simili. Si tratta di cosiddette guarigioni per incubazione, che si compivano durante il sonno nel tempio della divinità. Dopo un sacrificio prelimi­ nare e un'abluzione rituale, i malati in cerca di guarigione pernottavano in uno spazio apposito, in cui Asclepio appa­ riva loro nel sonno, restituendo subito la salute o imparten­ do istruzioni dalla cui esecuzione derivava in un secondo tempo il recupero della salute. Della realtà di tali guarigioni 30 l Il contesto storico-religioso

non c'è da dubitare. Anche se i resoconti redatti sulle stele esagerano per incoraggiare i malati e propagandare il san­ tuario, presuppongono tuttavia un gran numero di guari­ gioni indiscutibili. Esse venivano operate da una combina­ zione di fattori religiosi, psicologici e della medicina popo­ lare. Una fede incrollabile nel potere curativo della divinità e le esperienze oniriche giovevoli per la psiche durante l'in­ cubazione, unite a pratiche mediche, soprattutto di tipo far­ macologico e dietetico, avevano come conseguenza il recu­ pero della salute. Si tratta di un ristabilimento globale del malato. Epidauro era un centro culturale che, con il teatro, la poesia e la musica, ma anche attraverso l'incontro intenso con la natura, favoriva la ricerca interiore del bello e del di­ vino, affinché le persone ritrovassero la salute e l'armonia. La maggior parte delle persone in cerca di aiuto soffriva probabil­ mente di malattie psicogene, per le quali la rottura dei blocchi psi­ chici attraverso il rafforzamento della volontà o una terapia d'urto portava alla guarigione. Ciò è evidente soprattutto nelle guarigioni delle paralisi, in cui Asclepio fa salire un paralitico su una scala a pioli («N.N. di Epidauro, paralitico. Questi giunse nel tempio co­ me postulante su una barella. Mentre dormiva nel luogo sacro vi­ de un volto; sognò che il dio spezzava il suo bastone e gli ordinava di prendere una scala e arrampicarsi sul tempio il più in alto pos­ sibile. Egli dapprima aveva tentato, poi si era scoraggiato, ripo­ sandosi in alto sul cornicione, alla fine aveva ceduto e aveva sceso lentamente la scala passo dopo passo. Asclepio si era dapprima arrabbiato per il suo comportamento, poi lo aveva deriso per la sua viltà. Quando venne giorno osò portare a termine il compito e ne uscì senza danni corporali»') oppure salta nel sonno sulla ma­ no paralizzata di un malato e questi il giorno seguente può torna­ re a muoverla. Anche le sorgenti termali hanno un ruolo di rilievo

1 R HERzOG, Die Wunderheilungen von Epidauros, Ph.S. 22.3, Leip­

zig 1931,23.

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nel culto di Asclepio. In molti resoconti di guarigioni di ciechi di Epidauro si rispecchiano pratiche farmacologiche. Del tutto enig­ matici restano invece i particolari delle guarigioni in resoconti che sono ricamati in maniera fantastica e sottolineano particolarmente l'elemento meraviglioso. Asclepio decapita ad esempio in sogno una donna idropica, fa uscire l'acqua dalla malata e alla fine le ri­ mette la testa sul collo.

Il successo di Epidauro portò automaticamente alla na­

scita di filiali. All'epoca del Nuovo Testamento l'impero ro­ mano era ricoperto da una fitta rete di tali santuari di A­ sclepio. Si conservano resoconti di guarigioni paragonabili a quelle di Epidauro provenienti da Lebena a Creta, da Ro­ ma e da Pergamo. Oltre ad esse si sono ritrovati in singoli luoghi di culto iscrizioni votive più brevi e anche riprodu­ zioni delle parti del corpo risanate come ex voto. Nella par­ te orientale dell'impero romano Iside e Serapide avevano u­ na reputazione di divinità guaritrici altrettanto buona e fa­ cevano concorrenza ad Asclepio. Iside viene considerata l'inventrice di numerosi farmaci e si dice che, come Ascle­ pio, abbia fornito in sogno numerose indicazioni per riac­ quistare la salute. Anche Serapide operava guarigioni pro­ digiose, la cui registrazione riempiva molti libri. Uno dei santuari di Serapide più importanti si trovava ad Alessan­ dria d'Egitto e nel IV secolo cadde - come anche numerosi luoghi di culto di Asclepio - nelle mani di profanatori cri­ stiani in seguito alla 'svolta costantiniana'. Improntato fin dall'inizio alla medicina scientifica in mo­ do decisamente maggiore degli altri santuari di incubazione fu il tempio di Asclepio sull'isola di Cos, alla cui gestione collaborava la stirpe di medici degli Asclepiadi, ll residente. Il più famoso di questi Asclepiadi di Cos fu lppocrate, che secondo una leggenda avrebbe fondato la medicina copian­ do dalle tavolette votive nel santuario di Asclepio le cure in 32 1 Il contesto storico-religioso

esse menzionate. In epoca imperiale assume un posto d'ec­ cezione il tempio di Asclepio a Pergamo, le cui pratiche te­ rapeutiche incontrarono nel II secolo d.C. l'approvazione dello stimato medico romano Galeno e la cui fama si diffu­ se moltissimo ad opera del retore Elio Aristide. Chi andava a Pergamo in cerca di guarigione doveva astenersi, secondo un'iscrizione ritrovata nel 1 965 durante gli scavi, dai rap­ porti sessuali e da determinati cibi, offrire sacrifici alla divi­ nità e assicurare il pagamento dell'onorario attraverso la nomina di garanti. L'ingresso nella stanza di incubazione veniva fatto precedere da un bagno rituale. Quale potesse essere l'intreccio tra incubazione e medicina si può desu­ mere dai Discorsi sacri dell'acceso adoratore di Asclepio, E­ lio Aristide, che era un paziente regolare del tempio di Per­ gamo. Durante la notte riceveva in sogno delle indicazioni da parte del dio, che di giorno venivano messe in pratica con la consultazione di medici e del personale paramedico del tempio. Aristide attribuisce un particolare potere tera­ peutico alle sorgenti di Pergamo, che avrebbero a loro volta curato problemi alla vista, paralisi e disturbi del linguaggio. L'incontro intenso del cristianesimo con il culto di Ascle­ pio avvenne presto. Il dio venne innalzato da parte pagana a figura concorrente di Gesù Cristo. Viceversa, gli apologe­ ti cristiani non poterono resistere alla tentazione di riallac­ ciarsi in modo positivo ai miti di Asclepio, per superarli poi cristologicamente. Seguendo un sentiero rischioso, cercaro­ no, rifacendosi al modello di Asclepio, di rendere evidente al mondo pagano la realtà dei miracoli biblici, di mitigare lo scandalo della disonorevole morte in croce di Gesù e di rendere comprensibile il messaggio della risurrezione di Cristo. Così, ad esempio, l'apologeta cristiano Giustino af­ ferma intorno al 150 d.C., a proposito dei racconti di mira­ coli del Nuovo Testamento, che sarebbero alla pari con i 33

corrispettivi resoconti su Asclepio. Anche l'annunciazione della morte di croce, risurrezione e ascensione di Gesù Cri­ sto non avrebbe in sé, nell'orizzonte dei miti di Asclepio, nulla di nuovo o di sconcertante, visto che Asclepio, che o­ perava anche lui come medico, sarebbe stato ucciso da un fulmine e accolto in cielo. Se Asclepio era stato in un primo momento tanto rivalutato per illustrare il messaggio di fede cristiano, era poi un'impresa difficile dimostrare contempo­ raneamente la sua inferiorità nei confronti di Gesù Cristo. Risultò una felice coincidenza l'antica polemica su Asclepio come medico avido di denaro, che era stato punito con la morte da Zeus appunto perché si era lasciato indurre dietro pagamento alla guarigione di una persona votata alla morte. Già in Platone si levano dubbi se nel caso di Asclepio, che guariva per sete di denaro, si potesse davvero trattare di un discendente degli dèi. Gli apologeti cristiani, grati di ciò, ri­ presero questo aspetto per provare che Gesù Cristo era davvero Figlio di Dio, in quanto privo di bisogni materiali e superiore a ogni avidità economica. n confronto tra cristia­ nesimo e culto di Asclepio, caratterizzato non solo da pole­ mica e distinzioni, ma anche dalla tendenza a riallaciarvisi e a superarlo, ha fatto sì che Cristo assumesse presto tratti di Asclepio. In prima linea si deve pensare ad appellativi cri­ stologici di regalità come medico delle anime, salvatore, be­ nefattore o filantropo, per i quali si tratta in gran parte di una ripresa di tradizionali appellativi di Asclepio. La testi­ monianza di forse maggiore icasticità è però un rilievo ro­ mano di Cristo dell'epoca intorno al 300 d.C., in cui Cristo è rappresentato chiaramente secondo il modello di Ascle­ pio, barbuto e con i capelli ricciuti2• ' E. DINKLER, Christus und Asklepios, SHAW.PH 1980/2, Heidelberg 1980, tav. XII.

34 l Il contesto storico-religioso

Nei santuari di Asclepio dell'antichità avvenivano, nel­ l?"ambito di un culto istituzionalizzato, gu�rigioni miraco­ lose, che venivano operate attraverso una combinazione di fattori religiosi, psicologici e medici. I resoconti che le testimoniano coincidono in molti punti con i racconti di miracoli del Nuovo Testamento. Si giunse presto a un in­ çontro e a un confronto intensi tra cristianesimo e culto df Asclepio.

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2 . 'Uomini divini'

Alla pratica miracolosa organizzata nei luoghi di culto si contrappone la carismaticità libera, non legata a una preci­ sa località, di singole persone. Questi taumaturghi non so­ no legati con il loro potere a un'istituzione e legittimati da essa, bensì dispongono di un carisma individuale a proposi­ to del quale, però, le opinioni si dividono. Mentre alcuni venerano il taumaturgo carismatico, altri lo considerano un ciarlatano che si serve di pratiche fraudolente. Personaggi 35

di rilievo come Pitagora, Empedocle o Apollonio di Tiana, che operarono miracoli attraverso una combinazione di ca­ risma, magia e scienza, entrarono in conflitto con le auto­ rità e si videro esposti all'accusa di ciarlataneria, mentre ve­ nivano venerati come esseri soprannaturali dai loro seguaci. Si tratta di persone che superano i confini tra il mondo de­ gli dèi e quello degli uomini. Si può dunque parlare della ti­ pologia degli 'uomini divini' (theios dnthropos o theios anér) anche se questa terminologia si incontra piuttosto di rado nei testi e dietro di essa si nascondono le cose più diverse. Per quanto riguarda Pitagora (VI secolo a.C.), Walter Burkert ha scoperto in modo convincente che si trattava di uno sciamano e che i miracoli fanno parte del nucleo più antico della tradizione pitagorica. Nelle cosiddette società primitive tribali, gli sciamani sono dei medium tenuti in grande considerazione, che procurano agli esseri umani il contatto diretto con le forze divine, placando ad esempio le potenze superiori attraverso riti sacrificali o scortando le a­ nime dei defunti nell'aldilà. Come stregoni operano guari­ gioni riportando l'anima umana, andata perduta o rubata dagli spiriti maligni, al suo posto originario nel corpo uma­ no, ristabilendo così l'armonia. Indubitabile è il fatto che Pitagora insegnasse la metempsicosi, che fosse convinto di una preesistenza dell'anima in altri esseri viventi e si dedi­ casse principalmente, secondo i metodi degli sciamani, a u­ na purificazione dell'anima umana. Le conoscenze sul de­ stino passato e futuro dell'anima nell'aldilà, inglobate nella dottrina pitagorica della metempsicosi, presuppongono l'accesso alla dimensione degli dèi e dei demoni, con cui lo sciamano entra in collegamento quando la sua anima, stac­ cata dal corpo, si mette in viaggio per l'aldilà. In questo contesto vengono attribuiti a Pitagora voli prodigiosi, che gli consentivano l'apparizione contemporanea in luoghi di36 l Il contesto storico-religioso

versi, e un viaggio rituale nell'Ade. Quest'ultimo perseguiva probabilmente lo scopo di fornire una scorta funebre nel­ l'aldilà alle anime dei defunti o procurare informazioni ai vivi sulla preesistenza della loro anima. Oltre alla trasmis­ sione di tali conoscenze, che servivano a riconoscere gli er­ rori della vita precedente e il dolore da essi derivanti, l'atti­ vità di Pitagora comprendeva anche la musicoterapia, per restituire all'anima la sua armonia originaria. Anche i rac­ conti prodigiosi che trattano del potere di Pitagora sugli a­ nimali selvaggi sono espressione della sua dottrina della metempsicosi. Presupponendo che le anime umane si rein­ carnino anche negli animali, uno sciamano è in grado di en­ trare in contatto e comunicare con esse. A quanto si racconta, Pitagora catturò l' orsa daunia, che faceva grandissimo scempio della popolazione: dopo averla accarezzata a lungo, le diede da mangiare focacce e frutti e le fece giurare che non avrebbe più toccato un essere umano, !asciandola poi andare. Subito l'orsa si allontanò alla volta delle montagne e delle bosca­ glie e da allora non la si vide assalire neanche un animale. [ . . . ] A Taranto, invece, Pitagora vide un bue al pascolo in un campo rigoglioso d'erba d'ogni genere che stava accostandosi a delle fave verdi; allora si avvicinò al bovaro e gli suggerì di dire al bue di non toccare le fave. n bovaro prese a scherzare sulla parola 'dire' e aggiunse di non conoscere la lingua dei buoi; nel caso però che la sapesse lui, il suggerimento era davvero inutile: doveva essere Pitagora a parlare al bue. Allora questi si avvicinò all'animale e gli sussurrò a lungo nell'orecchio. Così, fece in modo non soltanto che questi si allontanasse spontaneamente dalle fave, ma anche che da quel momento - a quanto dicono - non le toccasse più. L'animale visse molto a lungo, fino a tarda età, nel santuario ta­ rantino di Era, dov'era chiamato da tutti 'il bue sacro di Pitagora' e si nutriva dello stesso cibo degli uomini, che gli veniva offerto dai visitatori. [. .. ] E una volta che Pitagora si trovava a Olimpia a parlare ai disce­ poli degli auspici tratti dagli uccelli, dei presagi e dei segni che

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vengono dal cielo, sostenendo che gli dèi inviano agli uomini che sono loro veramente cari dei messaggi, per così dire, e delle voci profetiche, un'aquila passò in volo sopra di lui; egli allora la fece discendere - così si racconta - e dopo averla accarezzata la lasciò di nuovo libera. Questi fatti, e altri del genere, mostrano che Pita­ gora deteneva lo stesso potere sugli animali che aveva Orfeo: cioè di incantarli e soggiogarli in virtù del potere della voce che gli u­ sciva dalla bocca'.

Le capacità soprannaturali che venivano attribuite a Pita­ gora non sono ancora finite. Si dice che avesse una coscia d'oro, venisse salutato dai fiumi e sapesse prevedere il futu­ ro. Già in epoca aristotelica, Pitagora veniva visto come A­ pollo divino, in seguito il suo biografo Giamblico lo celebra come «il più divino e il più saggio di tutti gli uomini». Chi, come Pitagora, inviava la propria anima nell'aldilà in un viaggio estatico e durante esso entrava amichevolmente in contatto con gli dèi, veniva in breve tempo considerato uno di loro. Oltre a Pitagora una delle figure più influenti degli 'uo­ mini divini' fu Empedocle di Agrigento (V secolo a.C. ) . Anch'egli fu attivo come filosofo e taumaturgo. Le sue pre­ tese di essere adorato come divinità, derivanti dai suoi mi­ racoli, si possono ricavare da uno dei suoi carmi. «[ . ] io tra di voi dio immortale, non più mortale, m'aggiro ono­ rato da tutti, com'è conveniente, di bende cinto e di fiorite coro­ ne. Quando io giungo in città fiorenti, dagli uomini e dalle donne sono onorato; essi, a migliaia, mi seguono, per apprendere ove sia il sentiero che porta al guadagno; alcuni di un oracolo hanno bi. .

' GIAMBLICO, Vit. Pyth. 1 3 , 60-62 (lAMBLICHOS, Pythagoras, a cura di M. von Albrecht, Ziirich 1963 , 65-67) [trad. it., GIAMBLICO, La vita pita­ gorica, BUR, Milano 1 99 1 , 1 87-189].

38 l Il contesto storico-religioso

sogno, altri, afflitti da ogni sorta di morbi, vogliono sentire una sa­ lutare parola» (DIOG. LAERT. 8, 62) [trad. it., DIOGENE LAERZIO, Vite dei filoso/i, Laterza, Bari 1962, 407 (libro VIII, cap. II)].

Anche l'affermazione di Empedocle, evidentemente rela­ tiva a se stesso - «All a fine però diventano veggenti, aedi, medici e prìncipi degli uomini terreni, dai quali si innalza­ no come dèi, ricchissimi di onori, compagni degli altri im­ ·mortali, loro convitati, non soggetti al dolore umano, pe­ renni» - getta luce sulle sue pretese di uomo divino. Queste :non risultano solo dall'attività divinatoria e dalle guarigioni, ·sna in uno dei suoi carmi, che tratta della trasmissione delle :8Ue capacità al discepolo Pausania, si parla anche, a com­ pletamento di ciò, di miracoli sulla natura e di risurrezioni. «[ . . ] farai cessare la forza dei venti infaticabili, che sulla terra balzando con i loro soffi devastano i campi; e poi, di nuovo, se tu lo vuoi, i soffi benefici desterai; di nera procella agli uomini farai opportuna siccità e farai anche dell'aridità estiva correnti di piog­ gia che nutrono gli alberi e che traboccheranno dall'etere. Dall'A­ de tu trarrai alla luce la forza di un uomo morto>> (DIOG. LAERT. 8, 59) [trad. it. cit., 406]. .

Empedocle, infatti, è diventato celebre soprattutto per a­ ver rianimato una donna nella quale i medici per trenta giorni non avevano constatato né respirazione né battito del polso e che avevano già dichiarata morta (DIOG. LAERT. 8, 60-62) [trad. it. cit., 406-407]. Nel caso di questo evento miracoloso si trattò probabilmente di un ripristino delle fa­ coltà respiratorie avvenuto per via medica, dato che esisto­ no testimonianze di riflessioni scientifiche di Empedocle aulle basi fisiologiche del sonno e della morte, oltre che sul modo per distinguerli. La donna era quindi solo in catalessi e Empedocle fu in grado di diagnosticarlo. Tra i miracoli 39

sulla natura di Empedocle spicca un'impresa che gli acqui­ stò il soprannome di 'domatore dei venti'. Si dice che una volta, ad Agrigento, abbia placato dall'alto della montagna un vento che causava malattia e sterilità. Si tramanda però anche la sua purificazione di un fiume da esalazioni veleno­ se, in seguito alla quale la folla lo adorò come un dio. Con i suoi eccezionali prodigi, che operò con una combinazione di magia e scienza, Empedocle andò incontro per secoli a un accentuato interesse nel mondo greco-romano e posse­ deva carattere esemplare di modello per il contegno dei taumaturghi successivi. L''uomo divino' più significativo dell'epoca del Nuovo Testamento fu il taumaturgo e filosofo itinerante Apollonia, originario di Tiana, una città dell'Asia Minore, contempo­ raneo di Paolo. Apollonia trascorse la sua giovinezza nel santuario di Asclepio ad Aigai dove si consacrò al pitagori­ smo. In seguito redasse una biografia di Pitagora, che però è andata perduta. La fonte principale sull'opera di Apollo­ nia, cioè la Vita di Apollonia di Filostrato, è da accogliersi con scetticismo, dato che risale solo all'inizio del III secolo e Damis, che in essa viene continuamente chiamato in cau­ sa come garante e compagno di viaggio di Apollonia, si è dimostrato una finzione letteraria. Ciò che sta principal­ mente a cuore a Filostrato è assolvere Apollonia dall'accusa di magia equivoca. A questo scopo dà un peso rappresenta­ tivo preponderante all'insegnamento sapienzale di Apollo­ nia rispetto ai miracoli, cercando di soppiantare l'immagine di Apollonia come mago radicata nella tradizione più anti­ ca. Oltre alla Vita di Apollonia ci sono giunte un gran nu­ mero di lettere di Apollonia, la grande maggioranza delle quali, tuttavia, non è stata scritta da lui. Meritano invece di essere considerati altamente attendibili quegli scritti in cui Apollonia sviluppa un'interpretazione positiva della magia, 40 l Il contesto storico-religioso

reclama una natura divina per se stesso in quanto mago e lascia riconoscere un fondarsi dell'efficacia dd suoi miraco­ li nella tradizione pitagorica. Apollonia godeva di alta considerazione soprattutto a causa dei miracoli. Viene definito da Filostrato expressis verbis un uomo divino. I numerosi racconti di miracoli del­ la Vita Apollonii vanno probabilmente annoverati tra le tra­ dizioni locali su Apollonia menzionate da Filostrato. In essi vengono attribuiti ad Apollonia i miracoli più disparati, ol­ tre a guarigioni, a liberazioni dai demoni e a una risurrezio­ ne anche la protezione di alcune città dalla peste o dai ter­ remoti, l'aver salvato dall'esecuzione un condannato inno­ cente, l'aver ammansito un satiro pazzo d'amore e l'essersi liberato dalle catene. Tra le liberazioni dai demoni spicca la terapia di un adolescente posseduto ad Atene, che mostra evidenti paralleli con i resoconti evangelici di Mc 5 , 1 -20 e 9, 14-29. un riso sguaiato e insolente; Apollonia sollevando a lui lo sguardo, «non sei tu», disse, «a in­ sultare così, ma il demone che ti incita senza che tu te ne accor­ ga». n giovane in effetti era posseduto, e non lo sapeva; rideva per cose che a nessun altro muovevano il riso, e passava al pianto sen­ za alcun motivo, parlava con se stesso e cantava da solo. La gente credeva che a questi tratti lo inducesse la sfrenatezza dell'età, ma quando sembrava ubriaco egli non era che l'interprete del demo­ ne, appunto come allora. Poiché Apollonio guardava verso di lui, il demone prese a mandare urla di spavento e di furore, simili a quelle dei condannati al rogo e alla tortura, e giurava che avrebbe lasciato libero il giovane e non si sarebbe introdotto in alcun altro uomo. Ma Apollonio gli rivolse la parola in tono irato, come un padrone fa con uno schiavo astuto, vizioso e sfrontato, e gli or­ dinò di dare un segno della sua dipartita. «Farò cadere quella sta­ tua», disse l'altro, indicando una delle statue intorno al portico del re, dove si svolgeva la scena; e quando la statua prese a muo-

[ . ] il giovane coprì le sue parole con . .

e

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versi dapprima lentamente, poi cadde, chi potrebbe descrivere il tumulto e gli applausi che salutarono il prodigio? Il giovane si fregò gli occhi, come risvegliandosi dal sonno, e li rivolse ai raggi del sole; assunse un'aria vergognosa, poiché tutti guardavano ver­ so di lui, e non aveva più l'aspetto impudente né lo sguardo disso­ luto, ma era ritornato alla sua natura originaria non diversamente che se fosse stato guarito con un farmaco [. . .]'.

Così come i resoconti di miracoli del Nuovo Testamento, anche i miracoli di Apollonia non vanno presi acriticamen­ te per oro colato, ma possiedono comunque, nella maggior parte dei casi, un nucleo storico. Secondo ogni apparenza Apollonia di Tiana disponeva di abilità spiccate nell'ambito della divinazione, della magia e della medicina. Estremamente controversa è la questione su fino a che punto l'immagine di Gesù come taumaturgo sia stata pla­ smata sulla scorta del modello del tbeios aner (uomo divi­ no) , come quello rappresentato in maniera esemplare da A­ pollonia. È facile prevedere in questo caso conclusioni sba­ gliate di tipo diverso. I sostenitori della concezione del theios aner ne deducono affrettatamente un'interpretazione dei racconti di miracoli del Nuovo Testamento come pro­ dotti non storici di una propaganda missionaria cristiano­ ellenistica o collocano in modo troppo parziale il genere letterario 'vangelo' in prossimità di biografie di un theios aner come la Vita di Apollonia di Filostrato. Altri, con una contromossa, cercano di rendere plausibile il thhos aner come tardo sviluppo del III secolo d.C., dichiarandolo ine­ sistente per l'epoca del Nuovo Testamento, per salvare in questo modo la storicità dei miracoli di Gesù e dimostrare ' PHILOSTRATOS, Vit. Apoll. IV, 20 (Das Leben des Apollonius von Tya· na, a cura di V. Mumprecht, Miinchen 1983 , 391-393) [trad. it., FILO· STRATO, Vita di Apollonia di Tiana, Adelphi, Milano 1978, 1 95 - 1 96].

42 l Il contesto storico-religioso

la posizione solitaria d'eccezione dei vangeli. Senza dubbio l'intervallo temporale di più di cent'anni che intercorre tra la Vita di Apollonia, redatta all'inizio del III secolo d.C., e i vangeli va preso in considerazione. Alla luce dell'antichità e dell'ininterrotta sopravvivenza della tradizione pitagorica ed empedoclea, però, è difficile contestare che l 'idea del­ l'uomo divino esistesse già in precedenza e che sia da met­ tere seriamente in conto come quadro di riferimento della tradizione relativa ai miracoli del Nuovo Testamento.

l'ta i taumaturghi carismatici itineranti dell'antichità, che fanno concorrenza alla pratica taumaturgica istituziona­ ilizzata dei luoghi di culto, spiccano figure come Pitagora, bpedocle o Apollonia. In quanto sciamani che supera­ ao i èonfini tra il mondo degli dèi e quello degli uomini "enivano venerati dai loro seguaci come creature sopran­ faturali e incarnano la tipologia dell"uomo divino' , nel rjuale sono all'opera forze taumaturgiche eccezionali. La IJortata di tale categoria per l'interpretazione dei miracoli idi Gesù è tuttavia estremamente dibattuta. BIBLIOGRAFIA BURKERT, W. , Weisheit und Wissenscha/t, Ni.i rnberg 1 962 . KLAUCK, H.·J., Die religiose Umwelt des Urch ristentums l, KStTh 9 . 1 , Stuttgart 1 995, 1 4 1 - 1 46. KoSKENNIEMI, E . , Apollonios von Tyana in der neutestamentlichen Exegese, WUNT II/6 1 , Ti.ibingen 1 994.

PETZKE, G., Die Traditionen iiber Apollonius von Iyana und das Neue Testament, SCHNT l , Leiden 1 970. WRIGHT, M.R., Empedocles, Indianapolis 1 995'.

.

ZELLER, D., Christus unter den Gottern, Sti.ittgart 1993 , 65 -83 .

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3. Taumaturghi ebrei

Nell'ebraismo antico spicca, accanto a Gesù, una serie di altri taumaturghi o maghi. Tra di essi, una delle figure più significative è l:Ioni il tracciatore di cerchi, che venne fatto lapidare dal sovrano ebreo !reano II verso il 65 a.C. perché si rifiutò di fare il malocchio a Aristobulo II, fratello e riva­ le di questi. I:Ioni divenne celebre per una pioggia miraco­ losa poco prima della festa di Pasqua, nel caso della quale pare che riuscisse a gestire persino la qualità della precipi­ tazione. Mentre lo storico Giuseppe menziona l'avveni­ mento solo marginalmente, nel trattato della Mishna Ta'a_ nith ('Giorni di digiuno') se ne trova una descrizione detta­ gliata. Avvenne che dissero a I:Joni il tracciatore di cerchi: «Prega che ca­ da la pioggia>>. Egli rispose loro: «Andate e portate dentro i forni per la Pasqua, ché non si inzuppino». E pregò, ma la pioggia non cadde. Tracciò un cerchio e si mise al centro di esso e disse: «Si­ gnore del cielo, i tuoi figli si sono rivolti a me; perché io sono co­ me un figlio della tua casa ai tuoi occhi. Giuro per il tuo grande nome che non mi muoverò da qui finché non avrai pietà dei tuoi figli». Iniziò a piovviginare. Egli disse: «Non di questo ti ho pre­ gato, ma di una pioggia per le fosse, le cisterne e le cavità sotterra­ nee». [La pioggia] cadde con forza. Egli disse: «Non di questo ti ho pregato, ma di una pioggia di misericordia, di benedizione e di fecondità». [La pioggia] cadde abbondantemente, finché gli israe­ liti di Gerusalemme si rifugiarono sul monte del Tempio a causa di essa. Gli dissero: «Come l'hai pregata di cadere, prega (ora) che smetta!». [ . . . ] Shime'on ben Shatai) gli mandò a dire: «Sareb­ be necessario bandirti, ma come posso farti questo? Poiché ti comporti di fronte a Dio come un figlio si comporta di fronte a suo padre e questi agisce secondo la sua volontà. E di te dicono le 44 l Il contesto ston'co-religioso

Scritture (Prv 23,25): «Gioisca tuo padre e tua madre e si rallegri colei che ti ha generato»'.

l;Ioni cerca in un primo momento di provocare la pioggia prodigiosa con una normale preghiera a Dio, ma fallisce. Solo l'applicazione di tecniche magiche porta al successo sperato. l;Ioni traccia un cerchio magico che chiaramente serve a proteggersi dai demoni, utilizzando così una tecnica documentata nella magia antica nei contesti più disparati. I­ noltre l;Ioni pronuncia un giuramento in nome di Dio di non muoversi da lì fino al compimento del miracolo. Intra­ prende così il tentativo di influenzare Dio con mezzi coerci­ tivi, che potrebbe essere interpretato come infrazione al pri­ mo comandamento e, all'avverarsi del miracolo, non è nem­ meno soddisfatto della qualità della pioggia. Il dottore della legge fariseo Shime'on ben Shatal)., che nella tradizione rab­ binica viene ritratto come acerrimo nemico della magia, so­ stiene la tesi che, secondo la Legge, l;Ioni dovrebbe essere bandito. Quello che lo salvò da questo destino fu l'effettivo avverarsi del miracolo. Ciò venne interpretato come prova di una relazione particolarmente intensa con Dio e quindi nel senso di una legittimazione divina delle discusse prati­ che di l;Ioni. Abba Hilkiah e l;Ianan, due nipoti di l;Ioni, a­ vrebbero a loro volta causato piogge prodigiose. Le facoltà nel campo della magia meteorologica, che si debbono pro­ babilmente a una prescienza di tipo magico-sciamanico, ve­ nivano a quanto pare trasmesse di generazione in generazio­ ne. Reclamare l;Ioni come figura esemplare di /tisfdhim pietisti - ebraici, distaccandosi dalla magia in modo mirato, come fa Geza Vermès, non tiene probabilmente conto dei

-

' Ta'an III, 8. Cfr. D. CORRENS, Ta'anzj'ot. Fastentage, Giessner Mischna

ll, 9, Tiibingen 1989, 85s.

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dati di fatto. Mentre l'I;Ioni storico, con le sue pratiche ma­ giche, era in contrasto con i dottori della legge, nella storia della tradizione su di lui si giunge, attraverso «a process o/ rabbinization» (W.S. Green) - un processo di rabbinizzazio­ ne, a una sua progressiva integrazione nell'ebraismo orto­ dosso. I;Ioni viene posto sullo stesso piano del profeta Elia. Il carattere esplosivo del suo tracciare un cerchio magico per influenzare Dio con mezzi coercitivi viene ridotto nel Talmud attraverso un rimando alle Scritture, considerandolo come compimento di Ab 2 , 1 . Inoltre I;Ioni, di cui non è tra­ mandata alcuna interpretazione della Legge, viene stilizzato come uno degli scribi più importanti della sua generazione. Un mago discusso si è trasformato in uno stimato rabbino. li taumaturgo carismatico l:lanina ben Dosa operò verso la metà del I secolo d.C. Come Gesù era originario delle vi­ cinanze di Sefforis, viveva in povertà volontaria e veniva considerato Figlio di Dio. Secondo la Mishna pregava per i malati in pericolo di vita ed era in grado di prevedere le probabilità di sopravvivenza, a seconda se la preghiera gli veniva alle labbra in modo fluente o stentato. Nel Talmud si trovano sviluppi narrativi di questa pratica carismatica di preghiera terapeutica, inseriti in una tradizione risalente al­ l'Antico Testamento (cfr. Nm 17,13s.; 1 Re 1 3 ,4-6). Una volta il figlio di Rabbi Gamaliel si ammalò e questi mandò due scribi a dire a Rabbi I:Janina ben Dosa di implorare misericor­ dia per lui. Quando questi vide arrivare i messaggeri, salì in soffit­ ta e implorò misericordia per lui. Scendendo disse loro: «Andate, la febbre lo ha lasciato>>. Gli dissero: «Sei forse un profeta?». Ri­ spose: «Non sono né un profeta, né il figlio di un profeta; soltanto così mi è stato detto: se la preghiera mi scorre bene in bocca, allo­ ra so che è stata accolta, se no, che è stata dispersa». Dopo queste parole si sedettero e scrissero l'ora esatta e quando tornarono da Rabbi Gamaliel egli disse loro: «In nome di Dio, non avete ag46 l Il contesto storico-religioso

giunto né tolto nulla: proprio allora awenne, proprio a quell'ora la febbre lo ha lasciato ed egli ha chiesto acqua da bere». Un'altra volta awenne che Rabbi J:Ianina ben Dosa si recò a studiare la Torah da Rabbi Jo]:mnan ben Zakkai, e dato che pro­ prio allora il figlio di Rabbi JoQllnan ben Zakkai si ammalò, questi gli disse: «J:Ianina, figlio mio, implora dunque per lui la grazia che guarisca !». Allora egli pose la testa tra le ginocchia e implorò mi­ sericordia per lui; e quello guarì. Allora Rabbi Jol;lanan ben Zakkai disse: «Se ben Zakkai avesse sbattuto tutto il giorno la te­ sta sulle ginocchia, non gli si sarebbe badato>>. Allora sua moglie gli disse: «È forse I:Janina più importante di te?>>. Le rispose: «No; soltanto, egli è come un servo davanti al Re, io invece come un principe davanti al Re»6•

In entrambi i casi si tratta di guarigioni carismatiche. Da esse si può dedurre che alle preghiere di J::lanina per la sal­ vezza di persone in pericolo si attribuiva una forza partico­ lare, che includeva la prescienza del successo che avrebbe­ ro avuto. I miracoli vengono compiuti da Dio come desti­ natario della preghiera. Se la forza della preghiera di I:Jani­ na ben Dosa viene ricondotta a un'intensa relazione con Dio, della quale il rinomato fariseo Jo}:tanan ben Zakkai non disponeva, si fa di nuovo evidente un contrasto tra la taumaturgia carismatica non vincolata e il ceto organizzato degli scribi, pur senza che J::lanina ben Dosa si sia servito di pratiche magiche come f:loni. Mentre le due guarigioni, co­ al come un ulteriore miracolo a distanza, cioè la conoscenza del salvataggio della figlia di Ne}:tumiah da una fossa, ri­ mandano alla memoria di fatti storici, i numerosi miracoli sulla natura attribuiti a f:lanina ben Dosa destano un'im-

6

bBer (Talmitd babilonese, trattato Beriikh6th [Delle benedizioni])

)4b. Cfr. L. GOLDSCHMIDT, Der babylonische Ta!mud l, Be rlin 1 964', l'5s.

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pressione leggendaria. Ha in comune con personaggi come Pitagora o Paolo l'immunità prodigiosa dai serpenti. Altri miracoli, come la concessione di cibo o magia sulla pioggia, venivano raccontati a proposito di I:Ianina ben Dosa per e­ quipararlo ai profeti Elia ed Eliseo, mentre egli stesso aveva espressamente rifiutato l'interpretazione profetica dei suoi miracoli con le parole di Amos 7 , 14 (bBer [ Talmud babilo­ nese, trattato BerakhOth (Delle benedizioni)] 34b). Questa equiparazione posteriore ai grandi profeti autori di miracoli dell'Antico Testamento, superiori a ogni dubbio, ha non da ultimo l'intenzione di rendere meno scottante la pratica taumaturgica di I:Ianina ben Dosa, che è in contrasto con il fariseismo consolidato. In modo analogo a quanto avviene per I:Ioni il tracciatore di cerchi, si assiste ad un' assimilazio­ ne di I:Ianina ben Dosa da parte dell'ebraismo rabbinico, dato che anch'egli viene stilizzato come un dottore della legge con pieni poteri, contro i fatti storici. Un tipo di taumaturghi carismatici molto diverso da quello che si incontra in I:Ioni o I:Ianina ben Dosa è incar­ nato dai profeti dei segni. Costoro fecero la loro comparsa nell'epoca precedente alla guerra giudaica (66-70 d.C.) e sono da annoverarsi all'ambito del movimento zelota, che propagava l'aperta resistenza contro la potenza d'occupa­ zione romana. L'autenticazione di pretese profetiche attra­ verso segni preannunciati, nota dall'Antico Testamento (Dt 13 , 1 -5 ) , acquista in questo contesto, sotto forma di una «ac­ tion prophecy» - profezia d'azione (R. A. Horsley - J.S. Hanson) con implicazioni politiche di liberazione, un' ac­ centuata rilevanza. Gli scritti di Giuseppe Flavio sono la fonte principale sui profeti dei segni. Essi vengono però menzionati anche nella Bibbia (At 5 ,36; 2 1 ,38). n primo profeta di questo tipo a noi noto è un sama· 48 l Il contesto storico-religioso

ritano, che intorno al 35 d.C. conduce un numero considerevole di propri connazionali sul monte santo di Garizim per mostrare loro il vasellame del Tempio lì seppellito da Mosè (}OSEPH., Ant. 18, 85-87 [GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche II, UTET, Tori· no 1998, 1 120s.]). Sullo sfondo c'è una tradizione samaritana se­ condo la quale il ritrovamento del vasellame del Tempio sul Gari­ zim segnava l'avvento del tempo di salvezza. Sotto il procuratore romano Fado (44-46 d.C.) fa la sua comparsa il profeta Teuda, che conduce una folla di quattrocento persone al Giordano, con la promessa che a un suo comando il fiume si sarebbe diviso (Jo­ SEPH., An t. 20, 97-99 [trad. it. cit., 1230s.]). Ciò mira a una ripeti­ zione del miracolo del Mar delle Canne (Es 14) o del Giordano (Gs 3), tanto più che i seguaci di Teuda, come all'epoca la comu­ nità dell'esodo, portavano con sé tutti i loro beni. Quando, sotto la procura di Felice (52-60 d.C.), alcuni profeti taumaturghi, an­ nunciando segni di libertà, esortano a ritirarsi nel deserto, si pensa nuovamente a una ripetizione di singoli miracoli dell'esodo. Circa nello stesso periodo un ebreo egiziano della diaspora, convinto di aver ricevuto una chiamata profetica, guidò una moltitudine di trentamila persone dal deserto al Monte degli Ulivi, con la pro­ messa che a un suo cenno le mura della città sarebbero crollate (JoSEPH., Bel!. 2, 261 -263 [trad. it., FLAVIO GIUSEPPE, La gue"a giudaica I, Fondazione Lorenzo Valla - Mondadori, Milano 1974, 349]), evocando così la caduta di Gerico (Gs 6). Sotto il procura­ tore Festa (60-62 d.C.) un altro profeta dei segni promette la fine di tutti i mali a coloro che lo seguiranno nel deserto (}OSEPH. , Ant. 20, 188 [trad. it. cit., 1245]). Nel 70 d.C. un profeta, promet­ tendo segni di salvezza, provoca la morte di seimila persone nel tempio di Gerusalemme (Bel!. 6, 285 [trad. it., La guerra giudaica II, cit., 377]) e ancora dopo la distruzione della città il tessitore Gionata di Cirene annuncia al popolo segni e apparizioni prodi­ giose nel deserto (Bel!. 7, 438 [trad. it. cit. , 5 1 7]).

Il comportamento di questi profeti lascia riconoscere u­ no schema unitario. In tutti i casi si fa sperare in un segno divino, con riferimenti alla storia della salvezza, nutriti dal­ l'Antico Testamento. Si tratta prevalentemente della ripeti49

zione di singoli miracoli dell'esodo e della conquista della Palestina. Bisogna inoltre sapere che gli ebrei di quell' epo­ ca 'escatologizzavano' la tradizione dell'esodo, si immagina­ vano cioè la redenzione alla fine dei giorni in modo molto simile al modello degli eventi dell'esodo. Gli annunci di se­ gni da parte dei profeti di miracoli acquistano così il carat­ tere di apocalittiche promesse di salvezza. La moltitudine che presta fede ai segni diventa comunità escatologica del­ l' esodo, lo stesso profeta di segni assume i tratti di un no­ vello Mosè, quale viene promesso in Dt 18,15 . 1 8 come figu­ ra della fine dei tempi. Questi riferimenti escatologici del­ l'evento miracoloso si riflettono anche nell'alto valore che assume la tradizione del deserto nelle profezie dell'Antico Testamento ( Os 2 , 16; Is 40,3 ) come simbolo del tempo di salvezza a venire. L'effettivo verificarsi dei miracoli era con­ cepito come prova della legittimità delle pretese profetiche, doveva però anche provocare l'intervento apocalittico di Dio e la liberazione dalla dominazione romana. Delle prati­ che taumaturgiche dei profeti di segni non si sa nulla, tanto più che nella maggior parte dei casi le truppe romane cau­ sarono una fine prematura dell'evento. L'esorcista Eleazaro, anch'egli attivo all'epoca della guer­ ra giudaica, invece, è il rappresentante di spicco di un'arte terapeutica magico-medica secondo la tradizione di Salo­ mone, che rappresenta una specie di 'mainstream-magic' corrente magica ebraica dell'epoca del Nuovo Testamento. Dobbiamo una rappresentazione precisa del suo operato a una testimonianza oculare di Giuseppe Flavio, a cui capita di parlarne nel contesto dell'arte terapeutica magica di Sa­ lomone. n fatto descritto ebbe luogo tra il 67 e il 69 d.C., quando Giuseppe fu in un primo momento prigioniero di guerra, poi seguace volontario del condottiero e futuro im­ peratore romano Vespasiano. 50 l Il contesto storico-religioso

[ . . . ] Io ho visto un certo Eleazaro, mio connazionale, il quale in presenza di Vespasiano, dei suoi figli, dei tribuni e di una quantità di soldl\ti, liberava i posseduti dai demoni; e le modalità della te­ rapia erano queste: awicinava al naso dell'indemoniato un anello che aveva sotto il suo sigillo una delle radici prescritte da Salomo­ ne, e nell'atto che l'uomo fiutava, espelleva il demonio dalle sue narici, e subito, quando l'uomo cadeva, egli, parlando in nome di Salomone e recitando formule magiche da lui composte, scongiu­ rava il demonio di non ritornare mai più. Volendo poi persuadere gli astanti e mostrare loro che aveva tale potere, Eleazaro pose lì vicino una tazza o un catino pieno d'acqua e ordinò al demonio che, uscendo dall'uomo, lo rovesciasse, facendo così vedere agli spettatori di aver lasciato l'uomo. Il fatto dimostrò chiaramente la sagacia e la saggezza di Salomone [

. .

T.

Quando Eleazaro utilizza un anello con sigillo, con una radice nascosta sotto di esso, si serve di uno strumento am­ piamente documentato nell'antichità, specialmente per la cura dell'epilessia, e che veniva utilizzato già nel santuario di Asclepio ad Epidauro. I paralleli più diretti sono forniti dal Ciranide, un compendio magico-medico egiziano, dove anelli dotati di radici dai poteri terapeutici servono per la cura dell'epilessia o contro la possessione diabolica. Tra pa­ rentesi, anche il medico romano Galeno (Il secolo d.C.) poté convincersi attraverso esperimenti scientifici del pote­ re terapeutico contro l'epilessia di alcune radici e si spiegò tale fenomeno ritenendo che parti delle radici vengano in­ spirate, con effetto salutare. Eleazaro mette in pratica in concomitanza pratiche esorcistiche e misure protettive per scacciare i demoni, impartendo al demone in fuga il divieto di tornare e facendogli rovesciare un catino d 'acqua come 7 ]OSEPH., Ant. 8, 45-49 (cfr. H. CLEMENTZ, Des Flavius ]osephus ]iidi­ sche Altertiimer l , Wiesbaden 1990'", 475) [trad. it., FLAVIO GIUSEPPE, Antichità giudaiche I, UTET, Torino 1998, 487-488] .

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prova tangibile del suo allontanamento. Il divieto di ritor­ nare si compie pronunciando il nome di Salomone e reci­ tando formule di scongiuro a lui attribuite. Eleazaro non fu probabilmente una figura isolata nell'ebraismo antico. Giu­ seppe lo cita a mo' di esempio nel contesto specifico più ampio di singole istruzioni per gli esorcismi attribuite a Sa­ lomone, che circolavano come manuali di magia e venivano utilizzati anche da altri taumaturghi ebrei. Una di queste o­ pere era il Libro dei rimedi menzionato nella tradizione rab­ binica, per il quale si reclamava la paternità letteraria di Sa­ lomone. Anche il Padre della chiesa Origene conferma l'e­ sistenza di compendi redatti secondo quanto asserito da Sa­ lomone. Dato che gli esseni utilizzavano radici a scopi tera­ peutici e a Qumran si praticava una musicoterapia esorci­ stica con salmi apocrifi, pronunciando il nome di Salomo­ ne, Eleazaro potrebbe essere stato un esseno , senza che questo si possa provare in maniera plausibile. Qumran sul Mar Morto, dove una parte degli esseni conduceva u­ na vita di tipo claustrale, era una specie di roccaforte della magia ebraica. Nel caso di una pergamena scoperta nella grotta 1 1 ( 1 1 Q­ PsAp0) si tratta della combinazione del Salmo 9 1 , utilizzato già al­ l'epoca dell'Antico Testamento a scopo di scongiuro, con altri sal­ mi di Davide, apocrifi, in cui viene menzionato Salomone. In un altro testo di Qumran ( 1 1 QPsaDavComp XXVID si dice che Davi­ de avrebbe redatto 4050 salmi, tra cui «quattro canzoni per musica sui colpiti» - con ciò si intendono i posseduti dai demoni. Proba­ bilmente 1 1 QPsApa veniva annoverato tra i canti di Davide in que­ stione, tanto più che il Salmo 9 1 viene per convenzione considera­ to nel Talmud il 'Canto dei colpiti', capace di scacciare i demoni. Dato che 1 1 QPsAp0 non è un documento genuinamente essenico, la comunità di Qumran partecipa in questo caso di pratiche magi­ che che sono rappresentative di ulteriori gruppi dell'ebraismo anti­ co. Anche i canti della grotta 4 (4Q510.51 1 ) , conservati solo fram­ mentariamente, sono collegati agli esorcismi di Qumran. 52 l Il contesto storico-religioso

Miracoli e magia hanno un ruolo di spicco nell'ebraismo antico, senza che emerga un'immagine unitaria. I:Ioni in­ carna l� tipologia dell'uomo della pioggia magico-sciama­ nico. L'esorcista Eleazaro rappresenta invece i taumatur­ ghi che si servivano di manuali magico-medici attribuiti i­ dealmente a Davide o a Salomone. A fianco di essi si in­ 'contra, nella persona di I:lanina ben Dosa, il carismatico della preghiera, che opera salvataggi solo con il suo inter­ vento per interposta persona presso Dio. Sotto forma di Una 'action prophecy' profezia d'azione con riferimenti indipendentistici, nell'epoca precedente alla guerra giu­ daica anche il movimento di profeti taumaturghi ripren­ de vigore. -

BIBLIOGRAFIA BARNETT, P.W., The Jewish Sign Prophets - A.D. 40-70, in NTS 27 ( 1 98 1 ) 679-697. CROSSAN, J.D., Der historische ]esu, Miinchen 1 995', 1 98-237. DULING, D.C., The Eleazar Mz"racle and Solomon's Magica! Wisdom in Flavius ]osephus' Antiquitates ]udaicae 8.42-49, in HThR 78 ( 1 985) 1 -25 . GREEN, W. S., Palestinian Holy Men, Charismatic Leadership and Rab­ binic Tradition, in ANRW II. 19, 2 ( 1 979) 6 1 9-647 . HORSLEY, R.A. - HANSON , J.S., Bandits, Prophets and Messiahs, S an Francisco 1985 [trad. it., Banditz� profeti e messia, Paideia, Brescia 1995 ] . VERMÈS, G., ]esus der ]ude, Neukirchen-Vluyn 1 993 , 45-98 [trad. it., Gesù l'ebreo, Boria, Roma 200 1 , 48-95 ] .

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4. Papiri magici li campo della magia antica ha in serbo altro materiale di

paragone con i miracoli di Gesù. Istruzioni magiche, come quelle che facevano parte degli attrezzi del mestiere degli e­ sorcisti di professione, venivano elencate in manuali. Que­ sti erano sottoposti al segreto, divennero inoltre vittima di distruzioni di libri (At 19,19) e, non da ultimo per queste ragioni, sono andati in gran parte perduti. Perlomeno una frazione di essi, tra i quali numerose istruzioni per esorci­ smi, si è però conservata nei Papyri Graeca e Magicae (PGM), i cosiddetti papiri magici greci, provenienti dall'E­ gitto. Benché questi testi siano stati messi per iscritto preva­ lentemente tra il III e il IV secolo d.C., guardano però a u­ na lunga storia precedente. Trasmettono pratiche magiche quali si erano conservate per secoli e che essenzialmente e­ rano già caratteristiche della svolta dei tempi. Tutti i tentativi di separare decisamente la magia dal campo della religione e di operare una rigida distinzione tra miracoli magici e miracoli carismatici sono destinati a un successo solo parziale. Nel caso ideale si può in effetti di­ stinguere tra il carismatico, che viene legittimato dal suo rapporto con Dio e opera miracoli grazie alla sua influenza personale, dal mago, i cui miracoli si basano su un'arte ap­ presa, che agisce indipendentemente dalla persona, il quale possiede quindi solo una legittimazione tecnica. In pratica, però, i confini sfumano, dato che la maggior parte dei cari­ smatici si serve senz'altro di pratiche magiche, mentre an­ che i maghi, viceversa, possiedono un legame con Dio e of­ frono sia preghiere che sacrifici. Fino a che punto qualcosa vada classificato come magia o religione e dove venga trac­ ciato il confine tra miracoli magici rifiutati e miracoli cari54 l Il contesto storico-religioso

smatici accettati è in gran parte questione del punto di vista soggettivo e della posizione di forza nella società. Di prefe­ renza vengono discreditati come magia quei fenomeni che non sono conformi all'interpretazione dominante della reli­ gione e della scienza. La magia è così una forma di compor­ tamento religioso divergente, non approvata dalle classi al potere. Soddisfa bisogni che non vengono coperti dalle isti­ tuzioni religiose dominanti ed è dunque, in una certa misu­ ra, una forma sowersiva di protesta sociale. Rimane contro­ verso se la magia, al di là di questa classificazione funziona­ le, si lasci in qualche modo circoscrivere dalla religione in rapporto ai contenuti. È evidente che la magia non presup­ pone una mancata disponibilità del dio e cerca di muoverlo a misericordia attraverso delle suppliche, bensì eleva l'in­ fluenza con mezzi coercitivi a strumento fondamentale del­ l'esercizio della religione. La magia si dimostra perciò un fenomeno sincretistico, dato che vengono invocate divinità dei paesi e delle culture più disparati. Per molti tipi di ma­ gia si aggiungono altri aspetti problematici, ad esempio l'imposizione di desideri moralmente discutibili o il trascu­ rare apertamente la riflessione etica, tipico degli incantesi­ mi di danneggiamento. La magia si dimostra così una di­ scutibile forma dell'esercizio della religione non in linea di massima, ma in molte delle sue varietà. Tra i papiri magici, PGM IV, 1227- 1264 merita in primo luogo il nostro interesse. Si tratta del modello di un formu­ lario dal titolo 'Ottimo metodo per scacciare i demoni', du­ rante l'uso del quale si inserisce il nome della persona pos­ seduta. Il testo illustra il modo di procedere di un esorcista professionale. «lo ti comando demone, chiunque tu sia, per questo dio (parole magiche): vieni fuori demone, chiunque tu sia, e abbandona N.N., 55

ora, ora, subito, subito. Vieni fuori, demone, perché ti incateno con catene d'acciaio, indistruttibili, e ti consegno al caos nero del­ l'inferno». Azione: prendi sette rametti d'ulivo e legane sei alle e­ stremità [dell'indemoniato], ognuno separatamente, colpendolo tra gli scongiuri con quello restante. Tieni segreto questo rimedio; è già sperimentato. Dopo l'esorcismo appendi al collo di N.N., come amuleto, che il malato indossa dunque dopo la cacciata del demone, un foglietto di zinco con queste parole: «(parole magi­ che) proteggi N.N.»".

Il mago si rivolge direttamente al demone, scongiurando­ lo nel nome della divinità e impartendo l'ordine di uscita con formula di accelerazione. Un ulteriore ordine di uscita, questa volta completato dalla spedizione del demone all'in­ ferno, conclude l'esorcismo, che è arricchito da un'azione di accompagnamento con l'utilizzo di rametti d'ulivo. Il ri­ tuale è sottoposto alla segretezza più assoluta, come del re­ sto la magia in generale si svolge di preferenza al buio, lon­ tano dal pubblico. Ad ulteriore misura protettiva, che do­ vrebbe impedire il ritorno dello spirito scacciato, alla per­ sona guarita viene appeso al collo un amuleto scaccia-de­ mom. Non meno informativo è il formulario attribuito al mago egizio Pichebe (PGM IV, 3007-3086). Nella sua forma fina­ le il testo si dimostra una testimonianza di magia pagana, in cui però è stato incorporato un rituale di scongiuro dei de­ moni di origine ebraica, solo in parte revisionato. L' esorci­ smo è preceduto da una doppia azione rituale. La sostanza estratta da olive ed erbe aromatiche, recitando un comando d'uscita rivolto al demone, serve chiaramente all'unzione dell'indemoniato, al quale contemporaneamente viene ap\

' PGM IV, 1239ss.; cfr. K. PREISENDANZ - A. HEINRICHS, Papyri Grae· cae Magicae I, Stuttgart 197Y, 1 15 .

'56 l I l mnll'Jto storico-religioso

peso al collo un amuleto di zinco con parole scaccia-demo­ ni. Il vero e proprio rituale di scongiuro è, come il testo stesso lascia riconoscere alla fine, di origine ebraica. Lo scongiuro però dice così: «Ti scongiuro per il Dio degli ebrei, Gesù [ . . . ] cbe appare nel fuoco, che sei nei campi e nella neve e nella nebbia; sorga Tannetis, il tuo angelo, l'inesorabile, e incateni saldamente il demone vagante di questa creatura, che Dio ha crea­ to nel suo santo paradiso; perché io lodo il Dio santo per Ammo­ ne [ . . . ] . Ti scongiuro per Colui che venne rivelato a Israele in una colonna di luce e in una nuvola di giorno e ha salvato il suo popo­ lo dal faraone e ha colpito il faraone con le dieci piaghe perché non voleva ascoltarlo. Ti scongiuro, spirito demoniaco di qualun­ que specie, che tu dica chi sei; perché ti comando per il sigillo che Salomone pose sulle labbra di Geremia ed egli parlò. Così dì an­ che tu che demone tu sia, del cielo o dell'aria, o della terra, o sot­ terraneo o dell'aldilà, o un ebuseo o un cerseo o lUl fariseo, dì, chi tu sia. Perché ti scongiuro per il Dio portatore di luce, invincibile, che sa che cosa stia nel cuore di ogni creatura, che creò la stirpe degli uomini sulla terra, che estrae le nuvole dall 'arcano e le am­ massa, e bagna la terra di pioggia e benedice i suoi frutti, lo loda ogni potenza degli angeli e degli arcangeli. Ti scongiuro per il grande Dio Zebaoth, per cui il fiume Giordano si ritirò e il Mar Rosso attraverso il quale passò Israele divenne impossibile da per­ correre. Perché io ti scongiuro per Colui che ha rivelato le cento­ quaranta lingue e le ha distribuite secondo il suo ordine. Ti scon­ giuro per Colui che ha incenerito i giganti ostinati con i suoi raggi di fuoco, che lodano i cieli dei cieli, che lodano le ali del cherubi­ no. Ti scongiuro per Colui che ha collocato le montagne intorno al mare o un muro di sabbia, che gli ha comandato di non supera­ re i suoi confini. E gli abissi obbedirono; così obbedisci tu pure, spirito demoniaco; perché ti scongiuro per Colui che muove insie­ me i quattro venti dalla santa eternità, per Colui che ha formato i cieli, il mare, le nuvole, portatore di luce, invincibile. [Ti] scon­ giuro per Colui davanti e presso il quale arde il fuoco inestingui­ bile nella pura Gerusalemme, per tutta l'eternità, con il suo santo nome [ . . _ ] davanti a lui trema il fuoco infernale e intorno divam57

pano le fiamme e il ferro si incrina e che è temuto da ogni monta­ gna dalle sue fondamenta. Ti scongiuro, spirito demoniaco di qualunque sorta, per Colui che guarda la terra e ne fa tremare le fondamenta e ha tratto l'universo dal nulla all'esistenza». Scongiu­ ro però te che senti questo scongiuro di non mangiare carne di maiale e quello spirito o demone, chiunque egli sia, ti sarà sotto­ messo. Durante lo scongiuro però soffia una volta a partire dalle estremità dei piedi, inviando l'alito fino al volto e egli [il demone] verrà sottomesso. Serba ciò come uomo puro; perché il formula­ rio è ebraico e protegge gli uomini puri>>9•

Il testo del formulario di origine genuinamente ebraica i­ nizia con uno scongiuro evidentemente indirizzato al demo­ ne in nome del Dio degli ebrei. Quando questo testo finì nelle mani di maghi pagani, essi vi aggiunsero il nome di Gesù. Il Dio degli ebrei viene invocato direttamente come Colui che appare nel fuoco (Es 13,2 1 ) e pregato di inviare il suo angelo Tannetis per incatenare il demone vagante. L'e­ sorcista cerca a sua volta di spaventare il demone e di spin­ gerlo ad andarsene con formule di scongiuro codificate, che fanno riferimento alla potenza creatrice di Dio e al suo ope­ rato di salvezza su Israele, nelle quali viene attribuito parti­ colare rilievo agli awenimenti dell'esodo. Lo scongiuro vie­ ne accompagnato dal soffiar via in modo rituale lo spirito della malattia. Per la datazione di questo formulario di esor­ cismo ebraico, contrassegnata da grande incertezza, assume un'importanza particolare la formula di scongiuro: «[Ti] scongiuro per Colui davanti e presso il quale arde il fuoco i­ nestinguibile nella pura Gerusalemme, per tutta l'eternità». Questa affermazione, che allude al Tempio come dimora di Dio e al fuoco perpetuo che in esso brucia (Es 27 ,20ss.), 9

PGM IV, 3 0 1 9-3086 (K. PREISENDANZ - A. HEINRICHS, cit., 17 1 ,

173 ) . 5 8 l Il contesto storico-religioso

può essere nata già prima della distruzione del Tempio nel 70 d.C. Alla stessa rimanda la formula, chiaramente usata per interrogare il demone, in nome del sigillo di Salomone, visto che anelli con sigillo collegati a Salomone sono già ti­ pici delle pratiche magiche dell'esorcista Eleazaro. In un'altra dettagliata serie di istruzioni per scacciare i demoni (PGM V, 96-171) viene invocato il dio Osiri de per liberare l'indemoniato dallo spirito di malattia. Nei papiri magici sono inoltre documentati esorcismi attraverso la re­ citazione di versi di Omero o l'utilizzo di zolfo e resina. Nei manuali di magia, come quelli usati dagli esorcisti di professione, si trovano numerose istruzioni per guarire persone possedute dai demoni. La maggior parte degli llCOngiuri, da compiersi con determinate azioni di accom­ pagnamento, si rivolge di solito direttamente al demone, a completamento si sollecita la collaborazione delle divi­ #:ù.tà attraverso preghiere o sacrifici. Dove si tracci la linea di confine tra miracoli carismatici accettati e miracoli ma­ gici rifiutati dipende in grossa misura dalle convenzioni e dal potere sociali. BIBLIOGRAFIA BETZ H.D. (edd.) , The Greek Magica! Papyri in Translation, Chicago - London 1 992'. LUCK, G., Magie und andere Geheimlehren in der Antike, KronerTB 489, Stuttgart 1 990 [trad. it. , Il magico nella cultura antica, Mur­ sia, Milano 1994] . MERKELBACI I, R . - TOTTI, M. (edd . ) , Abrasax l-IV, PapCo/ 1 7, 1 -4, 0pladen 1 992 - 1 996. ,

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Bibliografia in lingua italiana BURKERT, W., Antt"chi culti misterici, Laterza, Bari 1 9 9 1 . HORSLEY, R.A. HANSON, J.S. , Banditz; profeti e messia. Movimenti popolari al tempo di Gesù, Paideia, Brescia 1 995 . ]ASCHKE, H., Gesù, il guaritore. Psicoterapia a partire dal Nuovo Te­ stamento, Queriniana, Brescia 1997 . LUCK, G . , Il magico nella cultura antica, Mursia, Milano 1 994 . THEISSEN, G. MERZ, A., Il Gesù storico. Un manuale, Queriniana, Brescia 1 999. VERMÈS, G., Gesù l'ebreo, Borla, Roma 200 1 . -

-

60 l Il contesto storico-religioso

III. La tradizione dei miracoli di Gesù

1. Regolarità nella storia della tradizione

I miracoli fanno la parte del leone nella tradizione su Ge­ sù e non vengono superati nemmeno dalle parabole. La tra­ dizione dei miracoli si divide in tre categorie, cioè nei !6ghia, in cui Gesù stesso prende posizione a proposito dei suoi miracoli; racconti singoli, che vogliono informare det­ tagliatamente su concreti prodigi; e sommari, in cui gli e­ vangelisti condensano e generalizzano l'operato miracoloso di Gesù. Prima di essere accolti nei vangeli, i racconti di miracoli hanno attraversato una storia della tradizione orale della durata di vari decenni. Molti elementi indicano che durante questo periodo furono sottoposti a influenze modi­ fi canti in misura maggiore altre tradizioni su Gesù, tanto più che l'ambiente in cui venivano tramandati, già di per sé popolare, probabilmente non era limitato alla comunità cri­ ariana. Già una verosimiglianza interna fa pensare a un ampio raggio di tradizione dei racconti di miracoli. Certamente gli estranei erano

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attratti soprattutto da essi: è anzitutto il dato sensazionale a cala­ mitare l'attenzione. E se è vero che i racconti di miracoli furono conosciuti, tramandati e narrati oltre la cerchia dei seguaci di Ge­ sù, si comprende allora come qui l'aspetto caratteristico della pre­ dicazione dello stesso Gesù abbia potuto perdere i suoi contorni specifici. In un siffatto processo 'non controllato' della tradizione, è possibile che racconti di miracoli compiuti da altri taumaturghi siano stati trasferiti su Gesù, si siano mescolati con i suoi e vi sia stato, insomma, un reciproco influsso. Nei racconti di miracoli, dunque, abbiamo a che fare con una tradizione che, a differenza di tutte le altre tradizioni gesuane, si è formata anche con il con­ tributo di persone lontane da lui'.

La tradizione dei racconti di miracoli segue alcune rego­ larità. Esiste la tendenza all'elaborazione, all'ampliamento e alla trasformazione. Per prima cosa, nella trasmissione ora­ le, ma anche scritta, di racconti di miracoli, si osserva spes­ so un potenziamento del fattore miracoloso. Come regola empirica se ne deduce che la versione meno prodigiosa di un racconto rappresenta normalmente lo stadio più antico della tradizione. Un indemoniato (Mc 5 , 1 -20) o un cieco (Mc 10,46-52) guariti da Gesù diventano due (Mt 8,28-34; 20,29-34), la figlia di Giairo, ancora viva in Mc 5 ,23 , è già morta in Mt 9 , 1 8, il camminare sulle acque di Gesù (Mc 6,45 -52) ha come conseguenza lo stesso miracolo da parte di Pietro (Mt 14,22-23 ) , una guarigione a distanza compiu­ ta in un primo momento tra le mura di Cafarnao (Mt 8,513 ) avviene in seguito nello spazio decisamente più lungo tra Cana e Cafarnao (Gv 4,46-54). Un'ulteriore regolarità della tradizione concerne il for­ marsi di doppioni o varianti. Nella moltiplicazione dei pani

' G. THEISSEN - A. MERZ, Der historische ]esus, Gi:ittin gen 1996, 273 [trad. it., Il Gesù storico. Un manuale, Queriniana, Brescia 1999, 373 ] . 62 l La tradizione dei miracoli di Gesù

si narra, a scelta, che vennero nutrite quattromila (Mc 8 , 1 10) o cinquemila persone (Mc 6,30-44). Anche le guarigioni di ciechi in Mc 8,22-26 e in Gv 9 , 1 -7 sembrano essere ela­ -borazioni della stessa tradizione di base, come nel caso del­ le guarigioni del paralitico in Mc 2 , 1 - 12 e Gv 5 , 1 -9. li mira­ colo di sabato in Le 14,1 -6 è probabilmente costruito in a­ nalogia a Mc 3 , 1 -6, la guarigione di due ciechi in Mt 9,2730 è una riproduzione di Mt 20,29-34. Inoltre metafore di Gesù vennero in seguito rielaborate come racconti di mira­ coli. La pesca miracolosa in Le 5 , 1 - 1 1 viene considerata da molti uno sviluppo narrativo dell'espressione 'pescatori di uomini' in Mc 1 ,1 7 , la maledizione del fico (Mc 1 1 ,12-14 . .20-2 1 ) potrebbe essere stata sviluppata dalla parabola in Le 13 ,6-9. Nella propagazione del racconto, inoltre, alcuni ,motivi della tradizione miracolistica popolare sono confluiti =.in varie maniere nei racconti dei vangeli. I tratti di Gesù ·vennero dipinti secondo il modello di altri taumaturghi del­ l' antichità. Infine, in singoli casi, ad esempio in Le 7 , 1 1 -17 o Mt 17 ,24-27, bisogna aspettarsi l'attribuzione a Gesù di interi resoconti di miracoli provenienti dal contesto esterno al Nuovo Testamento. Su un piano più vasto è questo il ca­ so del vangelo dell'infanzia apocrifo di Tomaso del II secolo d;C. [trad. it., in Apocrifi del Nuovo Testamento I, UTET, Torino 1 97 1 , 247s.] dove al fanciullo Gesù, nel quadro di nna bizzarra pietà popolare, vengono attribuiti numerosi miracoli fantastici, non ultimi anche dall'ambito della ma­ gia di danneggiamento. Prima di trovare accesso nei vangeli, i racconti di miraco­ li vennero inizialmente tramandati come tradizioni singole, · ;p oi uniti progressivamente in raccolte. I resoconti stretta­ mente imparentati della guarigione di un sordomuto (Mc 7,3 1 -37) e di un cieco presso Betsaida (Mc 8,22-26) erano · forse tramandati in coppia in epoca pre-marciana. Per 63

quanto riguarda Mc 4,35-6,52, si torna regolarmente a pre­ supporre che Marco abbia ripreso un ciclo di racconti di miracoli preesistente, la cui origine nella storia della comu­ nità è da ricercare nell'ambito delle prediche missionarie. Tuttavia, la determinazione delle proporzioni di tale ciclo dà risultati molto diversi. La possibilità più plausibile è supporre una raccolta pre-marciana che va da Mc 4 ,35 a 5 ,43 , i cui racconti di miracoli sono localizzati prevalente­ mente sul lago di Genesaret e caratterizzati da una cristolo­ gia della regalità di Gesù decisamente unitaria. Forse è pos­ sibile inglobare in questo ciclo anche i due racconti di mi­ racoli di Mc 6,32-52. Anche per i racconti di miracoli del vangelo di Giovanni si ipotizza che prima dell'integrazione nel vangelo appartenessero a una fonte comune, in favore della cui esistenza è, non da ultimo, l'enumerazione di Gv 2 , 1 1 e 4,54 in contrasto con quella di 2,23 e 4,54. A causa della definizione codificata dei miracoli come segni (seméia) si parla della fonte dei segni o semeia. Da questa fonte derivano sicuramente Gv 2 , 1 - 1 1 , il miracolo delle nozze di Cana, e 4 ,46-54, la guarigione del figlio del funzio­ nario del re. Forse sono da attribuire ad essa anche gli altri cinque racconti di miracoli del vangelo di Giovanni, che tuttavia vennero resi punto di partenza di trattazioni didat­ tiche già in epoca pre-giovannea. Allo stesso modo, Mt 1 1 ,5 e Le 7 ,22 rinviano, per i sostenitori della tradizione della fonte 'Q' dei detti, alla conoscenza di una raccolta di rac­ conti di miracoli più vasta. Anche se le ricostruzioni restano ricche di incertezze e conducono a risultati diversi, l'ipotesi di una raccolta di mi­ racoli rielaborata dagli evangelisti ha di per sé un alto grado di probabilità e sarebbe tutt'altro che senza precedenti. Nel contesto del Nuovo Testamento le compilazioni di resocon­ ti di miracoli, le cosiddette aretalogie (da aretdi, prove di a64 l La tradizione dei miracoli di Gesù

bilità) sono ampiamente documentate ai fini della propa­ ganda religiosa. In prima linea bisogna pensare alle raccolte di miracoli del culto di Asclepio, Iside e Serapide, in cui vengono attestate le potenti opere di queste divinità guari­ trici, ma ne esistono anche a proposito di Pitagora e del ca­ rismatico ebreo l:Ianina ben Dosa.

� a tradizione sui miracoli di Gesù presenta alcune rego­

�rità. Si può frequentemente osservare il potenziamento

9.!!1 fattore miracoloso, la formazione di doppioni, l'ela­ hO razione di parabole di Gesù in resoconti di miracoli e il riferimento a Gesù di motivi o di interi racconti prove­ hienti dal contesto del Nuovo Testamento. I resoconti, �rarnandati inizialmente come tradizioni singole, vennero � che uniti in raccolte di miracoli prima di trovare acces­ So ai vangeli.

BIBLIOGRAFIA AcHTEMEIER, P.J., Towards the Isolation o/ Pre-Markan Miracle Cate­ nae, in ]BL 89 ( 1970) 265 -2 9 1 . BECKER, ]., Das Evangelium nach Johannes I, O TK 4/1, Giitersloh Wiirzburg 1991', 1 3 4 · 1 42 . KOLLMANN, B., ]ems und die Christen als Wundertiiter, FRLANT 170, Gottingen 1996, 355-3 62 . KuHN, H. -W. , Altere Sammlungen im Markusevangelium, SUNT 8, Gottingen 197 1 , 1 9 1 -2 1 3 .

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2. La forma dei racconti di miracoli del Nuovo Testamento I racconti di miracoli dell'antichità sono vincolati a un modello narrativo caratteristico che i testi del Nuovo Testa­ mento condividono con i loro paralleli nella storia delle reli­ gioni. Si tratta di una struttura in quattro parti che com­ prende introduzione, esposizione, azione miracolosa e di­ mostrazione, all'interno della quale si può incontrare un cer­ to repertorio di motivi combinati in vario modo. Nell'intro­ duzione vengono descritte la situazione e la comparsa delle persone coinvolte. L'esposizione caratterizza lo stato di biso­ gno e serve a creare la tensione. Al centro della narrazione stanno l'azione miracolosa vera e propria, con una prepara­ zione scenica, la rappresentazione delle tecniche taumatur­ giche e la constatazione del miracolo. La conclusione dimo­ strativa descrive l'effetto del miracolo sui presenti. I tentativi di una classificazione per genere il più possibi­ le esatta dei racconti di miracoli del Nuovo Testamento ri­ sentono ancora oggi dell'influsso dell'opera pionieristica compiuta da Rudolf Bultmann e Martin Dibelius nel cam­ po della storia delle forme. Bultmann distingueva le due grandi categorie di guarigioni miracolose e miracoli sulla natura. Collocava inoltre racconti a carattere di disputa o didattico, ad esempio Mc 2,1-12 o 3 , 1 -6, nell'ambito degli apoftegmi (da ap6phthegma, motto, sentenza). n miracolo non costituisce qui il vero centro della narrazione, ma con­ duce a una frase di Gesù che ne è il vero succo. Dibelius classificava singoli racconti di miracoli, come Mc 2 , 1 - 12 o 1 0,46-52 , come exempla, paradigmi, esprimendo così la convinzione che nel cristianesimo delle origini fossero ser­ viti come esempi nelle prediche. La maggior parte dei rac66 l La tradizione dei miracoli di Gesù

conti di miracoli, invece, veniva annoverata da Dibelius al genere novellistico. Sarebbero privi di elementi edificanti e caratterizzati da un certo compiacimento nella narrazione fantastica. La determinazione della forma oggi ampiamente riconosciuta dei racconti di miracoli del Nuovo Testamento è stata sviluppata da Gerd Theissen sulla base di una preci­ sa analisi dei motivi e delle tematiche. Genere :Esorcismi . (liberazione 'dai demoni)

Esempi Mc 1 ,23-28 5,1-20 9, 14-29

.Terapie (risurre- Mc 1 ,29-3 1 ·zioni comprese) 5,25-34; 7,3 1 -37 8,22- 26 10,46-52

Caratteristiche

n malato è in balia di un demone che dimora dentro di lui; lotta di potere tra demone e taumaturgo. Guarigione attraverso la trasmissione di un'energia miracolosa dal tawnaturgo al malato; di frequente motivo della fede.

Miracoli :normativi

Mc 2,1-12 3,1 -6; 7,24-30 Mt 8,5 - 13 Le 17, 1 1 - 17

Fissazione di norme come funzione del miracolo; in molti casi ammorbidimento della Torah (infrazione del precetto del sabato) .

'Donazioni miracolose

Mc 6,30-44 8,1-10 Lc 5,1-1 1 Cv 2 , 1 - 1 1

App rontamento miracoloso di beni materiali da parte di Gesù; spontaneità dell'azione miracolosa; discrezione del processo miracoloso; ampio sviluppo della dimostrazione miracolosa.

;Salvataggi miracolosi

Mc 4,35-4 1 6,45-52

Salvataggio miracoloso da situazioni d'emergenza.

Epifanie

Mc 6,45-52 9,2-10

Apparizione miracolosa e scomparsa improvvisa di Gesù come un essere divino; prossimità tematica alle epifanie pasquali.

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Alla determinazione della forma dei racconti di miracoli si collega una certa decisione preliminare sulla loro stori­ cità. Per la maggior parte dei racconti apoftegmatici, Bult­ mann partiva dal presupposto che il miracolo fosse stato sviluppato come scena ideale senza motivazione storica dal­ la parola di Gesù o che si tratti di costruzioni per analogia. Anche per i racconti di miracoli veri e propri, per lui risul­ tava comunque, con poche eccezioni, il pregiudizio di uno sviluppo in terreno ellenistico, per cui essi vengono lo stes­ so considerati non storici. Dibelius giudicava i pochi rac­ conti annoverati tra gli exempla come piuttosto credibili dal punto di vista storico, distinguendoli sotto questo punto di vista dalle 'meno solide' novelle, in cui vedeva racconti di miracoli già esistenti applicati a Gesù. Più sfaccettato risul­ ta il giudizio di Gerd Theissen e Annette Merz. Nel caso degli esorcismi, delle terapie e dei miracoli normativi con tematica di guarigione, suppongono, in linea di massima, un'origine nel Gesù storico, anche se non si tratta di reso­ conti di fatti reali. Vedono invece i salvataggi e le donazioni miracolose e le epifanie come decisamente più influenzati dalla fede pasquale dei primi cristiani, che attribuisce già al Gesù terreno capacità oltre l'umano e avrebbe rielaborato punti d'appoggio del suo operato storico (viaggi in barca, pasti in comune, soggiorno sulla montagna) come storie della rivelazione di un essere soprannaturale. All'interno dei racconti di miracoli del Nuovo Testamen­ to è possibile distinguere, in base a caratteristiche di ge­ nere, esorcismi, terapie, miracoli normativi, salvataggi miracolosi, donazioni miracolose ed epifanie. A tale de­ terminazione delle forme è collegato un giudizio prelimi­ nare sul valore storico. Mentre i primi tre generi citati of-

68 l La tradizione dei miracoli di Gesù

frano in grande misura riflessi dell'operato storico di Ge­ SÙ, gli ultimi tre sono, in misura decisamente maggiore, prodotti della fede successiva alla Pasqua.

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3. La funzione dei racconti di miracoli Una delle opinioni di base della storia delle forme classi­ ca è che i diversi tipi di tradizione siano correlati alla vita della chiesa delle origini. Ogni forma, compreso natural­ mente il genere del racconto di miracoli, si inserisce in una specifica situazione teologica e sociologica delle comunità paleocristiane, che si definisce come Sitz im Leben (= ' con­ testo, ambiente vitale' ) . Si tratta della funzione che un testo adempie nella vita della comunità e a cui deve la propria trasmissione e la propria impronta specifica. I gruppi origi­ nari di diffusori dei racconti di miracoli sono da collocare 69

con maggiore probabilità nei ceti sociali più bassi, dato che nei testi si rispecchiano situazioni di bisogno che sono più estranee alle classi superiori. Se ci domandiamo a quali bisogni della vita delle comu­ nità paleocristiane sia dovuta la trasmissione di racconti di miracoli, veniamo rinviati prima di tutto alle prediche mis­ sionarie. I miracoli attestano la qualità di Figlio di Dio (Mc 5 ,7) e la messianicità (Mt 1 1 ,5 ) di Gesù. Con i suoi miracoli Gesù non supera soltanto le azioni dei profeti taumaturghi dell'Antico Testamento come Elia ed Eliseo, ma può misu­ rarsi anche con l'operato di divinità ellenistiche come A­ sclepio o Dioniso, o di uomini divini come Apollonia di Tiana. I racconti di miracoli servivano, su questo ci sono pochi dubbi, nel contesto dell'attività missionaria dei primi cristiani, a dimostrare la maestà di Gesù e a sbaragliare la concorrenza. Vogliono incitare alla fede in Gesù e si servo­ no di una forma di propaganda comune nel mondo antico. Tuttavia i racconti di miracoli sono fin dall'inizio non so­ lo rivolti propagandisticamente verso l'esterno, ma esercita­ no funzioni importanti anche all'interno della comunità. Nel caso di molti di essi balza agli occhi che le tecniche tera­ peutiche vengono descritte in modo molto dettagliato o che in esse si sono depositate formule come quelle utilizzate an­ che dai taumaturghi paleocristiani. Racconti del genere, ad esempio Mc 5 , 1 -20; 8,22-26; o 9,14-29, potevano servire, ol­ tre che all'uso nelle prediche missionarie, a motivare, legitti­ mare o istruire direttamente taumaturghi carismatici cristia­ ni. Missionari itineranti come quelli della fonte dei detti o gli avversari di Paolo nella seconda lettera ai Corinzi si vede­ vano incaricati di annunciare la parola e di operare miracoli nella tradizione del discorso della missione di Gesù. Per lo­ ro era logico attribuire all'azione miracolosa di Gesù una funzione esemplare per il proprio operato e orientarsi in ba70 l La tradizione dei miracoli di Gesù

al suo modello con la propria pratica taumaturgica. È no­ ta la prassi della chiesa antica, risalente forse fino all'epoca del Nuovo Testamento, di recitare racconti di miracoli sui malati, per abbinare l'invocazione a Gesù affinché interven­ ga a salvare con il rimando storico alle sue guarigioni mira­ colose quando era sulla terra, facendo così coraggio al mala­ te. Ben documentata è, ad esempio, la recita di Mc l ,29-3 1 sui malati di febbre. Al di là di casi singoli di malattia del genere, i racconti di miracoli, in origine situati prevalente­ mente nelle classi sociali più basse, sono, come ha dimostra­ to Gerd Theissen, azioni simboliche collettive dei piccoli, .attraverso le quali si reagiva al bisogno e ci si faceva forza per il suo superamento. Possono venire lette dalla comunità come storie che confortano e fanno coraggio. li Sitz im Leben dei miracoli normativi nella chiesa delle origini sta nell'attività didattica delle comunità, in cui le controversie teologiche e le esigenze bisognose di legittima­ .zione venivano risolte in base a un'autorità, rifacendosi al potere carismatico di Gesù. Nuove norme, non ancora com­ pletamente affermate, reclamavano un miracolo legittiman­ te, per essere comprovate come valide. Mentre secondo l'in­ terpretazione biblico-ebraica solo Dio può concedere la re­ missione dei peccati, in Mc 2 , 1 -12 questo potere viene este­ so a Gesù e nel parallelo di Mt 9 , 1 -8 viene esteso agli 'uomi­ ni', cioè alla comunità cristiana. Nella consapevolezza che, con il miracolo della guarigione del paralitico, Dio stesso si mette dalla parte dell'azione che infrange la norma tradizio­ ·nale, la prassi della remissione dei peccati esercitata dalla comunità (Mt 18,15-18) viene in tal modo legittimata. Mira­ coli normativi come Mc 3 , 1 -6, o gli altri conflitti sul sabato, rispecchiano controversie interne alla comunità sulle guari­ gioni di sabato, come vengono alla luce anche in Rm 14,5s. o in Co/ 2,16. Nonostante l'indiscussa posizione dominante se

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che la domenica possedette per la chiesa fin dall'inizio come giorno della risurrezione di Gesù Cristo, gli ebrei cristiani fedeli alla Legge continuavano a ritenere di precetto l' osser­ vanza del sabato. Nelle comunità miste, composte da cri­ stiani di origine ebraica e pagana, ciò conduceva inevitabil­ mente a conflitti, che vennero risolti da testi come Mc 3 , 1 16, rifacendosi alle guarigioni di sabato di Gesù, nel senso di una fondamentale libertà dal sabato. La guarigione dei lebbrosi in Le 17,1 1 - 19, in cui si incontra proprio un sama­ ritano come modello della vera fede, serve a legittimare l'e­ vangelizzazione della Samaria, controversa in alcuni settori della cristianità di origine ebraica (Mt 10,5 s.). In maniera a­ naloga, Mc 7 ,24-30 e Mt 8,5-13 giustificano l' evangelizzazio­ ne dei pagani. Da Mt 17 ,24-33 si evincono controversie sul­ la tassa ebraica per il Tempio. Pur conoscendo la libertà cri­ stiana, questo testo patrocina la causa secondo cui la tassa per il Tempio deve continuare ad essere versata dagli ebrei cristiani. Ancora una volta un miracolo stabilisce una nor­ ma, visto che la somma necessaria per la tassa viene trovata in bocca a un pesce. Anche per quanto riguarda singoli rac­ conti di miracoli veri e propri, l'attività didattica interna alla comunità costituisce un possibile Sitz im Leben. Le tradizio­ ni relative alla moltiplicazione dei pani, ad esempio, a causa della loro prossimità terminologica ai resoconti sull'istitu­ zione dell'eucaristia, si possono intendere come catechesi eucaristica, che vuole informare sul significato dell'Ultima Cena. Non andrebbe infine sottovalutata la soddisfazione, da parte dei miracoli, di un generico bisogno di intratteni­ mento. Quando in Mc 5 , 1 -20, una legione di demoni, con trasparente riferimento alla forza d'occupazione romana, mendica di poter rimanere nel paese, viene scacciata in un branco di porci che alla fine annega, ciò possiede, special­ mente per orecchie ebree, un alto valore di intrattenimento. 72 l La tradizione dei miracoli di Gesù

Nella vita comunitaria della chiesa delle origini i racconti 9i miracoli assolvevano determinate funzioni e hanno as­ sunto la loro impronta specifica attraverso il Sitz im Le­ ben. I miracoli normativi sono al servizio di decisioni di­ dattiche interne alla comunità. I racconti di miracoli veri e propri trovavano impiego nell'opera di evangelizzazio­ ne, servivano però anche ai taumaturghi carismatici cri­ stiani per legittimare il loro contegno e venivano recitati $Qpra i malati per far loro coraggio. I racconti di miracoli sono in linea di massima azioni simboliche dei piccoli, ton le quali essi reagivano al bisogno e acquistavano fi­ ducia nel suo superamento.

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74 l La tradizione dei miracoli di Gesù

IV. Gesù come taumaturgo

l. Liberazioni dal demonio

Le liberazioni dal demonio fanno parte degli atti prodi­ giosi di Gesù più sicuramente documentati e sono al centro ·del suo operato miracoloso. Benché vengano definite anche 'esorcismi' (da exorkfzein, scongiurare), bisognerebbe per lo meno rendersi conto che lo scongiuro di divinità o di spiriti, quale caratterizza la natura di un esorcismo, non è ·documentato nel caso di Gesù. La possessione diabolica, come quella presupposta negli esorcismi di Gesù, rappre­ senta un fenomeno di confine tipico di una certa cultura. In un ambiente che crede ai demoni serve come spiegazione di fenomeni psicopatici e aiuta le persone colpite a trovare u­ na forma per articolare il loro stato di bisogno ed esprimer­ ne l'identità. In una società che esprime i suoi problemi in un linguaggio miti­

co, gruppi in stato di oppressione e costrizione possono interpre­ tare il loro stato come minaccia da parte dei demoni. I sintomi della possessione diabolica possono essere appresi socialmente. Se

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tali sintomi vengono accettati come espressione di conflitti insolu­ bili, se si fanno sperare opportunità di risolvere con un esorcismo i problemi a cui in questo modo si è data voce, essi possono di­ ventare allora un linguaggio pubblico, di cui molti si servono con successo. Con gli esorcisti, quindi, aumentano di solito anche le possessioni diaboliche da esorcizzare' .

S i può addurre come chiaro esempio del recente passato il fatto che con la proiezione del film [;esorcista ( 1 973 ) au­ mentò anche nei paesi del mondo occidentale il numero di coloro che si consideravano posseduti dal demonio. Per il mondo palestinese contemporaneo di Gesù, il contesto del­ la dominazione romana è da mettere in conto, non da ulti­ mo, come fattore fondamentale per l'aumentata comparsa di fenomeni di possessione. I popoli colpiti dal coloniali­ smo si trovano in una latente condizione schizoide. Sono lacerati tra l'odio e l'ammirazione nei confronti della poten­ za occupante, oscillano tra resistenza e sottomissione. Le società in stato di occupazione provocano quindi disturbi mentali in misura superiore alla media, che possono essere interpretati come controllo da parte dei demoni. Le carat­ teristiche principali di tale possessione sono alterazioni del­ la fisionomia e del tono della voce, come anche l'improvvi­ sa comparsa di dissociazione della personalità e di azioni incontrollate. Le liberazioni dal demonio rendono visibile in modo più chiaro di altre azioni miracolose l'orizzonte escatologico dell'operato di Gesù. Ciò è collegato prevalentemente al fatto che non si incontrano soltanto in narrazioni o somma­ ri, ma sono presenti anche nella trasmissione dei detti, mal-

' G. THEISSEN, Urchristliche Wundergeschichten, StNT 8, Gi.itersloh 1987\ 248. 76 l Gesù come taumaturgo

to più affidabile, in cui Gesù stesso si esprime a proposito del significato del suo operato miracoloso. La testimonian­ za più importante a questo proposito è la controversia su Beelzebul in Mc 3,22-27, di cui esiste anche una versione Q più lunga (Le 1 1 , 14-23 par. ) . In questa disputa Gesù, in oc­ casione di una liberazione dal demonio, si vede esposto al­ l' accusa di compiere i suoi miracoli con l'aiuto di Beelze­ bul. Si tratta di una denominazione di Satana, che nella de­ monologia ebraica viene considerato il capo degli spiriti maligni. Persino gli avversari di Gesù riconoscono le sue li­ berazioni dal demonio come indiscussi dati di fatto, gli im­ putano però l'accusa di 'magia nera' , quale si riflette anche in Celso e nel Talmud. Il filosofo platonico Celso redasse intorno al 178 d.C. una resa dei conti con il cristianesimo, vittima delle distruzioni di libri da parte cristiana, ma di cui si conservano frammenti nella replica di Ori­ gene. In essa, rifacendosi a una fonte ebraica, mosse l'accusa che Gesù avesse dimorato in Egitto per acquisire sapere magico e che i suoi miracoli fossero da collocare nell'ambito della magia frau­ dolenta (ORIGENE, Cels. I , 6, 28, 68 [trad. it., Contro Celso, U­ TET, Torino 197 1 , 47s., 72s. 1 2 1 s.]). TI Talmud afferma che Gesù, alias Ben Pandera, sia stato giustiziato per stregoneria. Si verifica inoltre un'identificazione secondaria di Gesù con il mago ebreo Ben Stada (bSanh [Talmud babilonese, trattato Sanhedhrin (Del si­ nedrio)] 67a; bShab [Talmud babilonese, trattato Shabbath (Del sabato)] 104b). Costui era stato condannato alla morte per lapida­ zione per aver praticato l'idolatria, essersi fatto tatuare sul corpo segni magici egiziani e aver violato il sabato.

Gesù indebolisce come illogica l'accusa del patto con Beelzebul attraverso la metafora del regno diviso in se stes­ so. Dato che Satana non agirebbe mai contro il proprio do­ minio del male, non è lui, bensì Dio la potenza superiore in questione alle spalle di Gesù. Ciò è illustrato a mo' di com77

mento dal paragone in Mc 3 ,27: «Nessuno può entrare nel­ la casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non a­ vrà legato quell'uomo forte; allora ne saccheggerà la casa». Il legare l'uomo forte allude all'esautorazione di Satana. Nell'ebraismo antico ci si aspettava che, alla fine dei tempi, Dio avrebbe legato Satana in un giudizio di annientamento, tornando poi a esercitare, come all'epoca del Paradiso ter­ restre, la sovranità illimitata sulla sua creazione. A tale re­ staurazione della sovranità regale di Dio si collegava la spe­ ranza della fine della malattia e della sofferenza, dato che il male sarebbe stato annullato una volta per tutte. Un'apoca­ lisse ebraica dell'epoca di Gesù, l'Ascensione di Mosè, lo riassume in modo chiaro: «E allora la sua (di Dio) sovranità apparirà su tutta la sua creazione e allora il diavolo non ci sarà più e con lui verrà portata via la tristezza ( 1 0 , 1 ) ». Gesù condivideva questo modo di pensare dei suoi contempora­ nei, con una sostanziale differenza. Presupponeva che il diavolo fosse già stato definitivamente esautorato e che Dio avesse iniziato già allora a restaurare la sua sovranità. Ciò risulta particolarmente chiaro in Le 10,18 - «lo vedevo Sa­ tana cadere dal cielo come la folgore» - dove probabilmen­ te si riflette una specie di visione vocazionale di Gesù. Sata­ na, che secondo l'interpretazione tradizionale ( Gb l ,6-2 ,6) si trova in cielo come accusatore dell'umanità davanti a Dio, ha perso questa posizione. li legare Satana in Mc 3 ,27 significa la stessa cosa. Dio ha esautorato Satana una volta per tutte. Gli spiriti maligni a lui sottomessi sono così senza padrone e possono essere combattuti sotto forma di libera­ zioni dal demonio. Dato che l'uomo forte è legato, si può fare irruzione nella sua casa e saccheggiarla. Per questo si parla a ragione delle liberazioni dal demonio di Gesù come scontri della retroguardia in una battaglia già decisa contro il male. Sono l'inizio della fine del dominio di Satana. La 78 l Gesù come taumaturgo

restaurazione della sovranità del Signore è iniziata in modo visibile a tutti e si apre la strada nei miracoli, «se invece io scaccio i demoni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio» (Le 1 1 ,20). Nella ritirata dei demoni si mani­ festa già, in piccolo, l'avvento di quel nuovo mondo che co­ munemente si attendeva solo alla fine dei tempi. Questo rendere presente la salvezza ultima nei miracoli di guarigio­ ne è unico e rappresenta un tratto inconfondibile di Gesù. È possibile istituire un paragone alla lontana con i miracoli dei profeti ebrei dei segni, caratterizzati da corrispondenze tra tempo dei primordi e tempo della fine. Costoro, però, non speravano nel ritorno allo stato paradisiaco del creato, bensì in un ripetersi dei miracoli dell'esodo con la fine della dominazione straniera su Israele. Inoltre Gesù ha categori­ camente rifiutato le richieste di segni e i miracoli spettaco­

lari (Mc 8,12; Mt 4,1- 1 1 ).

Dalla trasmissione dei detti si possono dunque dedurre i riferimenti teologici fondamentali delle liberazioni dal de­ monio da parte di Gesù. Per i dettagli della sua prassi mira­ colosa, in particolare per quanto riguarda il quadro clinico e le tecniche terapeutiche, dipendiamo dalla tradizione nar­ rativa. In essa bisogna però aspettarsi che la comunità ri­ traesse Gesù secondo il modello di altri taumaturghi. I ri­ flessi di liberazioni concrete dal demonio vengono in gran parte talmente compressi in schemi narrativi precostituiti che il profilo inconfondibile di Gesù sfuma e gli vengono impressi tratti di un mago dell'antichità. All'inizio della sua predicazione nel vangelo di Marco, Gesù guarisce nella sinagoga di Cafarnao un uomo posse­ duto da uno spirito maligno (Mc 1 ,2 1 -28). La malattia in questione è probabilmente l'epilessia, visto che Mc 1 ,26 «e lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte» - ri­ manda a una crisi epilettica. In tutti gli accadimenti negati-

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vi dell'esistenza, non da ultimo nelle malattie, la fede popo­ lare dell'antichità vedeva all'opera potenze malvagie, che si immaginava in forma personale come demoni. In particola­ re per malattie come l'epilessia e le manie, in cui una perso­ na, a causa di un modello comportamentale fortemente de­ viante, che in parte incute timore, non sembra più padrona di sé, ci si immaginava che il demone fosse addirittura nel corpo del malato. Nella medicina greca, già attraverso lo scritto Del morbo sacro attribuito a lppocrate (V secolo a. C . ) , si combatté energicamente l'attribuzione dell' epiles­ sia a cause sovrannaturali e si polemizzò con violenza con­ tro l'arte medica magica. Ritroviamo Gesù dalla parte delle credenze popolari nei demoni, molto lontano dalla medici­ na scientifica, che del resto era pochissimo diffusa tra gli e­ brei della Palestina. La guarigione in Mc l ,25 si compie in conformità ad esse, sgridando il demone e comandandogli di tacere e di uscire dall'uomo. La minaccia rivolta allo spi­ rito di malattia fa parte delle pratiche esorcistiche tipiche dell'antichità. N ella tradizione taumaturgica ellenistica, compresi i papiri magici, tuttavia, non è mai documentato il termine epitiman scelto da Mc 1 ,25. Questa parola greca è la traduzione dell'ebraico ga'ar, che a sua volta si incontra spesso nelle tradizioni ebraiche, nel contesto delle libera­ zioni dal demonio. Locus classicus è Zc 3 ,2 - «Ti rimprovera il Signore, o Satana» - che rappresenta una formula fissa per scacciare il demonio, in documenti relativi alla magia dell'ebraismo dell'antichità. Forse, come altri taumaturghi ebrei, Gesù ha minacciato il demone recitando Zc 3 ,2 . Ciò si concilierebbe con il fatto che egli definisce Dio il vero fautore delle sue liberazioni dal demonio e condivide tale a­ spetto con altri taumaturghi ebraici (Le 1 1 , 1 9s. ) . Per il co­ mando di uscita, invece, si trovano paralleli diretti nei papi­ ri magici greci, manuali di magia provenienti dall'Egitto. 80 l Gesù come taumaturgo

Qui, in tre formtÙari di esorcismi, è documentato un ordine di uscita allo spirito della malattia formtÙato esattamente come in Mc 1 ,25: «Esci da lui» (éxelthe) . O Gesù si è servi­ to di pratiche del genere, caratteristiche anche dei magi pa­ gani dell'antichità, o il suo operato venne dipinto dai narra­ tori dei racconti di miracoli com'era loro noto dalla magia del mondo intorno a loro. Nel caso dell'indemoniato di Gerasa, posseduto addirit­ tura da un'intera legione di demoni (Mc 5 , 1 -20), tutte le ca­ ratteristiche del comportamento rimandano a una mania autodistruttiva. È violento e impossibile da domare anche con le catene, gira senza vestiti, dimora di preferenza tra i sepolcri e si infligge ferite con le pietre. Si tratta di una per­ sona che dispera profondamente di se stessa e la cui intera esistenza è condizionata da tormentose contraddizioni. La liberazione dal demonio si compie anche qui attraverso un comando di uscita formulato con «Esci ! » (Mc 5 ,8). Oltre a questo si riflettono qui anche altre pratiche magiche del­ l'antichità. Per prima cosa va indicata la domanda del nome in Mc 5 ,9. Secondo le credenze popolari antiche esiste un grado di possessione in cui non è più il malato ad articolarsi verbalmente, bensì il demone che dimora in lui. L'interro­ gare i demoni è un tentativo di acquisire conoscenze sul lo­ ro nome o la loro origine per procedere in modo mirato contro di loro. Psicologicamente si può interpretare Mc 5 ,9 come domanda sensibile sulle condizioni interiori del gera­ seno malato di mente, che gli fornisce l'opportunità di co­ municare al taumaturgo, come primo passo verso la guari­ gione, l'intera misura della sua lacerazione interiore. Quan­ to profonda essa si dimostri, emerge chiaramente dalla ri­ sposta: «Mi chiamo legione, perché siamo in molti». Lo spi­ rito immondo di nome 'legione' simboleggia l'odiata forza di occupazione romana. Abbiamo visto che il credere ai de81

mani e alle possessioni diaboliche rappresenta sempre an­ che un costrutto sociale che, in situazioni di crisi, si manife­ sta con frequenza superiore alla media soprattutto nelle classi sociali più basse, consentendo alle persone di attirare l'attenzione in una forma socialmente accettata sul loro sta­ to di disperazione, e di richiedere aiuto. In una società co­ me quella della Palestina dell'epoca di Gesù, segnata dalla dominazione romana, bisogna presupporre che le persone che cedevano sotto il peso politico e sociale del contesto dell'occupazione articolassero i loro disturbi mentali in un grido d'aiuto sotto forma di possessione diabolica. L'inde­ moniato di Gerasa, comunque, si fa riconoscere come per­ sonalità estremamente dissociata. Non è più se stesso, il suo io viene dominato da parecchie migliaia di soldati occupan­ ti, che marciano nella sua anima e sui quali non possiede al­ cuna autorità. L'invio dei demoni in un nuovo oggetto si spiega in base a tale drastico quadro clinico. L'uscita degli spiriti maligni deve avvenire in modo quanto più visibile ed essi hanno bisogno di una nuova dimora fissa affinché si e­ scluda il loro ritorno. Mentre l'esorcista ebreo Eleazaro, in seguito a manipolazione magica, fa rovesciare al demone in uscita un catino d'acqua e Apollonia di Tiana costringe il demone fuoriuscito dal malato alla distruzione di una co­ lonna, Gesù invia la legione di spiriti in un branco di due­ mila porci, che alla fine si precipitano in mare. Si tratta qui di azioni simboliche fantastiche che danno voce all' esplo­ sione dell'aggressività repressa e suggeriscono al malato ri­ sanato un bando perpetuo dei demoni dalla sua anima. La guarigione dell'indemoniato di Gerasa acquista inoltre un significato simbolico rivoluzionario (J.D. Crossan) in quan­ to l'odiata forza d'occupazione romana affoga simbolica­ mente nel lago di Genesaret. Nel caso di un ragazzo posseduto da uno spirito muto 82 l Gesù come taumaturgo

(Mc 9,14-29) si tratta senza alcun dubbio di un epilettico. Ciò è dimostrato già dalla caratterizzazione, da parte, di Matteo della malattia come epilessia o mal lunatico (Mt 17,15), una definizione molto diffusa nell'antichità perché si consideravano gli intervalli degli attacchi epilettici rego­ lati dalla luna. Il demone «lo [il ragazzo] getta al suolo ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce» (Mc 9,18). Analoga è la diagnosi scientifica di epilessia nella medicina ippocratica: «E dalla bocca cola schiu­ ma e i denti sono stretti» (IPPOCRATE, Morb. Sacr. 7 , l [trad. it., La malattia sacra, Marsilio, Venezia 1 996] ). Una guarigione di un epi­ lettico imparentata in alcuni tratti salienti con quella di Mc 9, 1429, ad opera di uno sconosciuto esorcista siriano, viene riportata dal satirico Luciano di Samosata ( 1 20-185 d.C.): «L ] tutti cono­ scono il Siro di Palestina, bravo in queste cose, quanti ne riceve di quelli che, colti da epilessia davanti alla luna, storcono gli occhi ed emettono schiuma dalla bocca; e lui riesce a guarirli e li manda via sani di mente, liberandoli, per un grosso compenso, dall'orro­ re. Mentre giacciono distesi, si mette vicino a loro e domanda agli spiriti da dove siano giunti dentro il corpo: il paziente tace, e il demone risponde, in greco o nella lingua del suo paese d'origine e dice come e da dove è entrato nell'uomo; lui gli impone dei giura­ menti, e se non obbedisce, scaccia il demone minacciandolo. Io stesso ne ho visto uscire uno, di color nero e fumo>/. . .

Il ragazzo epilettico aveva inoltre sofferto attacchi peri­ colosissimi nelle vicinanze di fuoco e acqua ( 9,22) . Dato ·che la perdita momentanea della parola costituisce un feno­ meno concomitante dell'epilessia, il demone viene conside­ rato «spirito muto e sordo» (Mc 9,25 ) . La liberazione da

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questo spirito di malattia si compie, come in Mc l ,25 , con la minaccia e un comando di uscita. Quest'ultimo, tuttavia, è arricchito ormai da un divieto di tornare. In tale pratica si riflette il timore, articolato anche in Mt 1 2 ,43 -45, che gli spiriti della malattia scacciati potrebbero tornare, e quindi sono necessarie misure cautelative particolari. Nella descri­ zione dell'operato miracoloso di Gesù, quindi, emergono sorprendenti paralleli con Eleazaro e Apollonia di Tiana, dato che entrambi, in modo analogo a Gesù, durante l' esor­ cismo impongono al demone il divieto di ritornare nella persona posseduta. Tra le righe si rende evidente che Gesù, in accordo con l'antica credenza popolare, riconduceva malattie come ma­ nia o epilessia alla possessione diabolica. Di conseguenza è proceduto contro queste malattie con la liberazione dai de­ moni. Gesù stesso parla unicamente del fatto che scaccia i demoni «con il dito di Dio» (Le 1 1 ,20). Dai racconti sinot­ tici di miracoli la minaccia rivolta al demone - forse con Zc 3 ,2, come documentato per altri taumaturghi ebrei - risulta la tecnica miracolosa più importante. In una certa misura Gesù può inoltre essersi rivolto agli spiriti maligni anche con comandi di uscita, interrogazioni, ordini di trasferirsi in un'altra creatura e divieti di ritornare, se la trasmissione dei suoi miracoli non segue modelli narrativi precostituiti. Le liberazioni dal demonio sollevano quindi la domanda mirata se Gesù non fosse un mago. Nella ricerca si risponde spesso in modo affermativo. Otto Bocher dimostra che nel Nuovo Testamento ci si attiene con grande disin· voltura al demonismo dell'antichità e traccia uno schizzo di Gesù come esorcista dai poteri magici, che possiede tratti inconfondibi­ li solo per il riferimento a Dio e la prospettiva escatologica dei suoi miracoli. Morton Smith tenta di ricostruire dai vangeli l'im· 84 l Gesù come taumaturgo

magine coerente in se stessa di una carriera di Gesù come mago, che inizia con il battesimo e termina con l'Ultima Cena. I miracoli di Gesù sar�bbero tratti interamente dal repertorio dei maghi; l'immagine di Gesù come ambiguo stregone, trasmessa dal Talmud e dall'oppositore del cristianesimo Celso, risulterebbe in linea di massima corretta. Il fatto che nei vangeli si trovino solo scarsi indizi di pratiche magiche di Gesù viene considerato da Smith irrilevante. Qui si inserisce la tesi del 'materiale probatorio soppresso'. Per motivi apologetici i racconti di miracoli sarebbero stati sottoposti a una 'censura difensiva' con l'eliminazione dei tratti da mago di Gesù. Mentre per Smith la magia è sinonimo di ciarlataneria e raggiro, per John Dominic Crossan essa rappresen­ ta nulla più che una forma di comportamento religioso divergen ­ te, non accettato dalle forze dominanti. Egli concepisce Gesù co­ me un mago sovversivo, nella tradizione di Elia, Eliseo e I:Ioni, che aveva una visione ideale di una società migliore e disponeva di un programma sociale dai precisi contorni, consistente in 'magie and meaf magia e cibo. -

Ci sono effettivamente dei buoni motivi per non rifiutare tanto affrettatamente, come spesso avviene, la tesi di Gesù mago. Anche se è possibile che si basi su abbellimenti nar­ rativi, l'immagine sotto cui appare l'esorcista Gesù nei van­ geli si sovrappone in larga misura a quella del mago dell'an­ tichità. Anche la storia degli effetti può esservi per lunghi tratti confrontata. Al nome di Gesù viene attribuito valore magico all'interno e all'esterno della cristianità. Come Pita­ gora e Apollonio, anche Gesù gode di alta stima nei papiri magici greci. Gesù condivide inoltre la sorte di Pitagora, Empedocle o Apollonio, non da ultimo a causa dei miraco­ li, di essere venerato dai suoi seguaci come essere sopranna­ turale, e accusato invece dagli oppositori di magia fraudo­ lenta. I vangeli perseguono quindi in parte l'intento, in conformità a biografie di theios aner antiche come la Vita di Apollonia di Filostrato o la biografia di Pitagora di Giam85

blico, di ridurre i tratti magici, rivalutando gli insegnamen­ ti. D'altra parte, la tesi di Gesù come mago va molto ridi­ mensionata. Con le sue guarigioni prodigiose Gesù copre solo un piccolo segmento di ciò che appartiene al reperto­ rio di un mago dell'antichità. Di lui non si tramandano in­ cantesimi d'amore, maledizione degli avversari in un pro­ cesso, ricette per raggiungere la ricchezza e altro ancora. Quegli aspetti che rendono la magia una forma di religione problematica, ad esempio l'influenzare la divinità con mez­ zi coercitivi, l'imposizione di desideri moralmente discuti­ bili o addirittura il danneggiamento di persone, si dimostra­ no irrilevanti nel caso di Gesù. Almeno per una parte delle guarigioni prodigiose di Gesù è vero inoltre che vengono effettuate molto di più attraverso il carisma personale che con tecniche magiche. A quanto pare, i miracoli di Gesù sono il risultato di un processo scatenato forse dalla visione in Le 10,18, nel corso del quale egli si staccò da Giovanni Battista dopo l'elaborazione di una escatologia autonoma, dominata da riferimenti alla salvezza presente, incomin­ ciando a compiere guarigioni miracolose carismatiche nel­ l' orizzonte della restaurazione appena avviata della signoria di Dio. Le liberazioni dal demonio sono al centro dell'operato miracoloso di Gesù. Fondamentale è il loro orizzonte e­ scatologico. Gesù considerava Satana già sconfitto e la restaurazione del regno di Dio già in moto. Dove i demo­ ni si ritirano, si riporta l'essere umano malato al suo stato conforme alla creazione e si aiuta a manifestarsi la signo­ ria salvifica di Dio. Gesù condivide in una certa misura con i maghi dell'antichità la demonologia, le pratiche taumaturgiche e la storia degli effetti, senza che possa es-

86 l Gesù come taumaturgo

sere incasellato in una delle correnti più ampie, a noi no­ te, della magia pagana o ebraica. La prospettiva escatolo­ gica delle sue liberazioni dal demonio è unica e le rende inconfondibili. BIBLIOGRAf1A ANNEN, F., Hezl /ur die Heiden, FThSt 20, frankfurt a. M. 1 976. ANNEN , F. , Die Diimonenaustreibungen ]esu in den synoptischen Evangelien, in ThBer 5 ( 1 976) 1 07 - 146. BòcHER, 0., Chn.stus Exorcista, BWANT V/ 16, Stuttgart 1972. CROSSAN, J.D., Der historische ]esu, Miinchen 1 995', 402-468. KOLLMANN, B . , ]esus und die Christen als Wundertà'ter, FRLANT 170, Gottingen 1996, 174-2 1 5 . SMITH, M., ]esus der Magier, Miinchen 1981 [trad. it. , Gesù mago, Gremese, Roma 1 990] . TRUNK, D., Der messianische Heiler, HBSt 3 , Freiburg 1994. TWELfTREE, G H . ]esus the Exorcist, WUNT II/54, Tiibingen 1993 . WoHLERS, M., Heilige Krankheit, MThSt 57 , Marburg 1 999. .

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2. Guarigioni Gesù non ha guarito solo le possessioni diaboliche, bensì anche altre malattie. Nella parola di Gesù in Le 13 ,32 en­ trambe le cose vengono menzionate nello stesso momento. Mentre nelle liberazioni dal demonio avviene un confronto diretto con lo spirito maligno, ciò non capita nel caso delle terapie. La malattia può essere considerata come provocata da un demone, ma non si avverte affatto la presenza di spi­ riti maligni. Invece della lotta di potere tra taumaturgo e demone, compaiono immagini di una trasmissione terapeu87

tica di energia. Anche i racconti di guarigioni non vanno letti come protocolli storici, ma sono contraddistinti dalla fede e dalla predicazione della comunità. Mostrano scarso interesse per le diagnosi mediche e, dal punto di vista dello stile della narrazione, sono vincolate in alto grado a t6poi tradizionali. Benché quindi non si possa certo prendere tut­ to per oro colato, la maggioranza di essi rinvia ad eventi della vita di Gesù e getta luce sulla sua attività terapeutica. Gran parte dei miracoli di guarigione viene operata unica­ mente dal carisma di Gesù, in altri casi egli si comporta co­ me un medico popolare. Questa distinzione si può osserva­ re bene nelle due guarigioni dei ciechi del vangelo di Marco. La guarigione del cieco di Betsaida in Mc 8,22-26 awie­ ne attraverso la saliva. Gesù prende per mano il cieco, in­ staurando così un rapporto di fiducia, e lo conduce fuori dal villaggio, in un luogo lontano dal vecchio mondo in cui viveva. Poi gli mette della saliva sugli occhi, servendosi così di una tecnica diffusissima nella medicina popolare antica. Molto simile è il caso di Gv 9 , 1 -7, benché in esso trovi im­ piego una mistura di fango e saliva. La saliva è documentata nella storia naturale di Plinio come rime· dio oftalmico contro le infiammazioni agli occhi, le emorragie de· gli occhi e le oftalmie. Lo scrittore medico Marcello Empirico la menziona come rimedio contro il senso di ruvidezza agli occhi, macchie oculari e cataratta. ll medico Paolo di Aigina consiglia la saliva contro la sclerite, riconducendo il suo potere terapeutico a un'azione emolliente e detergente. Dalle disposizioni per il sabato del Talmud (bShab 108b) risulta che anche nell'ebraismo antico la saliva trovava impiego come rimedio oftalmico e, come nella me­ dicina popolare greco-romana, si attribuisce un particolare potere curativo alla saliva di una persona sobria. Una guarigione analoga a quella qui riferita a proposito di Gesù viene tramandata nella triplice versione di Tacito, Svetonio e Dione Cassio sul condottie­ ro romano, in seguito imperatore, Vespasiano. Durante l'ingresso 88 l Gesù come taumaturgo

ad Alessandria nel 69-70 d.C. un uomo quasi cieco si rivolse a Ve­ spasiano, davanti al tempio di Serapide, pregandolo di bagnargli le guance e !e cavità oculari con la saliva. Vespasiano soddisfò la sua ardente richiesta e il malato riacquistò completamente la vista. La saliva ha un'azione antidemoniaca piuttosto che terapeutica nella guarigione del sordomuto in Mc 7 ,3 1 -3 7, che possiede tratti magici. Evidentemente la lingua del malato si considera legata per opera diabolica. Con la saliva di Gesù viene sciolta e contempora­ neamente il demone che la lega viene privato delle forze.

Una particolarità di Mc 8,22-26 sta nel fatto che, dopo la terapia con la saliva, la guarigione si compie gradualmente. li cieco vede per prima cosa gli uomini come alberi che camminano, non ha dunque subito recuperato interamente la vista, ma riesce a percepire l'ambiente intorno a lui solo in modo schematico. Dopo avergli imposto ancora una vol­ ta le mani sugli occhi si verifica finalmente la guarigione completa. li racconto viene concluso dal divieto di diffon­ dere la notizia. Il malato guarito deve andare a casa e non farsi vedere nel villaggio. Ciò serve a mantenere segrete le pratiche miracolose e ricorda alcune regolamentazioni dei papiri magici. Dato che la saliva era un rimedio oftalmico diffuso non solo nella medicina popolare greco-romana, ma anche in quella ebraica, la guarigione di Mc 8 ,22-26 può senz' altro essersi svolta nella forma descritta. La localizza­ zione dell'avvenimento a Betsaida, però, risale probabil­ mente a Marco, dato che la guarigione miracolosa era origi­ nariamente ambientata nei pressi di un villaggio, mentre Betsaida possedeva nel I secolo d.C. diritti di città. Con la guarigione in Mc 8,22-26, Gesù si differenzia al massimo di poco da altri guaritori della sua epoca. Per questo motivo Marco relativizza e approfondisce il miracolo, interpretan­ dolo in modo simbolico nel contesto di Mc 8,18. li coman­ do della segretezza, inoltre, è sulla stessa lunghezza d'onda 89

della teoria marciana del segreto messianico, che mette fre­ no a una rivelazione anticipata della potenza di Gesù prima della crocifissione. Per il racconto di Bartimeo in Mc 10,46-52, si tratta di un'antica tradizione locale di Gerico, che tuttavia non deri­ va da una sola stesura. La concorrenza tra il titolo di maestà cristologica di Figlio di Davide e il 'Rabbunì" dal suono ar­ caicizzante, ma anche contraddizioni nello svolgimento del­ l'azione indicano uno sviluppo progressivo. n nucleo origi­ nario raccontava con tutta probabilità, in forma più breve, di come Gesù visiti la città di Gerico, il mendicante cieco Bartimeo, seduto lungo la strada, attiri gridando l' attenzio­ ne su di sé, di come Gesù lo interroghi sulla sua richiesta, questi esclami le parole: . Tolsero dunque la pietra. Gesù però gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori !». li morto u­ scì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e !asciatelo andare».

Questo resoconto del miracolo presenta punti di contat­ to con quello di Giairo: Gesù viene nuovamente chiamato al capezzale di una persona malata, che muore prima del suo arrivo, e il miracolo si compie attraverso un comando a cui segue una disposizione. Tuttavia l'intero procedimento è massicciamente potenziato. Lazzaro giace già da quattro giorni nel sepolcro, una grotta chiusa da una pietra, e si tro­ va ormai in stato di decomposizione. Particolarmente spet­ tacolare appare quindi la conclusione del racconto, in cui Lazzaro, risuscitato, ancora avvolto nel lenzuolo funebre e­ sce dalla grotta. Quando si dibatte la controversa questione della storicità, si torna sempre a mettere in campo la para­ bola di Luca sull'uomo ricco e Lazzaro il povero, dando voce all'ipotesi che il miracolo di Gv 1 1 sia un'elaborazione narrativa di Le 16,3 0: «Ma se qualcuno dei morti andrà da loro, si ravvedranno». Se nella parabola di Luca si richiede il ritorno di Lazzaro sulla terra, esso sarebbe in Giovanni l 04 l

Gesù come taumaturgo

raccontato come un fatto realmente avvenuto, in cui Lazza­ ro diventa l'eroe di una scena di risurrezione. Più probabile dovrebbe invece essere l'ipotesi che una guarigione di Gesù sia stata potenziata in un secondo tempo in forma di risur­ rezione, come sembrava già pensabile per il racconto di Giairo. Per l'evangelista Giovanni il miracolo acquista un significato teologico, che va ben oltre le intenzioni origina­ rie del racconto. È un presagio della risurrezione di Gesù e allo stesso tempo la palese dimostrazione della sovranità as­ soluta di Gesù sul potere della morte. Tra la risurrezione di Lazzaro e quella di Gesù vengono stabiliti paralleli narrati­ vi: una tomba rupestre è in entrambi i casi l'ultima dimora, la salma è avvolta in bende e il capo coperto da un sudario. La risurrezione di Lazzaro, nel caso della quale si tratta ap­ parentemente di un ritorno a una vita che continua a essere mortale, acquista carattere esemplare della risurrezione fi­ nale dei morti, che l'evangelista concepisce allo stesso tem­ po come un patrimonio di salvezza che il credente possiede già ora ( 1 1 ,24-26) . La morte nel vecchio senso ha perso il suo significato, perché chi abbraccia la fede in Gesù parte­ cipa già della vita eterna. In conclusione si rende evidente che le risurrezioni dei vangeli sono notevolmente influenzate dalla tradizione ve­ terotestamentaria ed ellenistica relativa ai miracoli benché, nel caso della figlia di Giairo e di Lazzaro, possano essere state rielaborare in un secondo tempo come risurrezioni. I resoconti di miracoli del Nuovo Testamento, in primo luo­ go il racconto di Lazzaro, non trattano della guarigione di persone in catalessi, ma avanzano chiaramente la pretesa di informare della risurrezione di persone realmente defunte. Si tratta di storie della fede, che annunciano la vittoria di Gesù sulla morte. Dato che nella tradizione ebraica la risur­ rezione dei morti costituisce un elemento fisso dell'operato 1 05

di Dio alla fine dei tempi, le risurrezioni dei morti di Gesù potrebbero essere interpretate, alla luce di Is 26, 1 9, come e­ venti dell'epoca messianica di salvezza (Mt 1 1 ,5) già nella fonte dei l6ghia. Mentre le tradizionali aspettative future sulla fine dei tempi supponevano la restaurazione della si­ gnoria di Dio e la risurrezione dei morti, nella convinzione dei primi cristiani ciò era già incominciato in modo esem­ plare con la venuta di Gesù. A partire dalla prospettiva del­ la fede pasquale, la sconfitta della morte viene già annun­ ciata sotto forma di segni nell'operato miracoloso di Gesù in terra. Le risurrezioni del Nuovo Testamento vogliono annun­ ziare, a partire dalla prospettiva della fede pasquale, la vittoria di Gesù sul potere della morte. Facendo ricorso alla tradizione biblica ed ellenistica sui miracoli, Gesù viene ritratto come profeta messi anico della fine dei tem­ pi, che può misurarsi alla pari con i grandi profeti tauma­ turghi Elia ed Eliseo come con gli 'uomini divini' greci e romani. Alcune singole risurrezioni di Gesù risalgono probabilmente a guarigioni miracolose, che vennero po­ tenziate in un secondo tempo. BIBLIOGRAFIA FISCHBACH, S.M., Totenerweckungen, FzB 69, Wiirzburg 1992. KREMER, J., La.zarus, Stuttgart 1985. PETZKE, G., Histori.zitlit und Bedeutsamkeit von Wunderberichten, in H.D. BETZ - L. SCHOTTROFF (edd.), Neues Testament und christli­ che Existen.z (FS H. Braun), Tiibingen 1973, 367-3 85 .

106 1 Gesù come taumaturgo

5. Miracoli sulla natura Il concetto di 'miracoli sulla natura' serve a classificare collettivamente tutti quei racconti di miracoli dei vangeli in cui si verifica un intervento diretto sulla natura. All 'interno di essi si possono distinguere le donazioni e i salvataggi mi­ racolosi e le epifanie, in cui vengono particolarmente alla luce i lati divini di Gesù. Del tutto fuori dall'ordinario è la maledizione del fico (Mc 1 1 ,12- 14.20-2 1), molto probabil­ mente elaborata a partire dalla parabola di Le 1 3 ,6-9, come unico miracolo punitivo dei vangeli. Se la spiegazione mitologica o storico-religiosa-kerygma­ tica ha talvolta ragione, questo è il caso dei miracoli sulla natura. Già la loro mancanza nella fonte di l6ghia, così co­ me nella trasmissione di detti di Gesù in generale, dà adito a seri dubbi sulla loro storicità. Il fatto che nel cristianesi­ mo antico non venissero per forza annoverati tra le opere caratteristiche di Gesù è dimostrato anche dalla loro man­ cata menzione nei sommari. Nella forma attuale si tratta chiaramente di narrazioni didattiche teologiche, influenzate in sommo grado dalla tradizione veterotestamentaria o elle­ nistica relativa ai miracoli. Partendo dalla fede pasquale, vogliono rendere visibile il potere divino del Cristo elevato e lo inseriscono nell'immagine del Gesù terreno, attribuen­ dogli facoltà che vanno oltre l'umano. Ciò non esclude ra­ dici storiche, tanto più che le tradizioni vengono raramente create dal nulla. Nelle donazioni miracolose, dei beni materiali vengono sorprendentemente resi disponibili in quantità eccezionale. Ciò può essere motivato da una situazione di bisogno o av­ venire spontaneamente a carattere dimostrativo. Il miracolo di donazione più celebre è la moltiplicazione dei pani. Il re107

soconto più antico, che corrisponde essenzialmente a Mc 8,1 - 10, parlava di come Gesù, sul lago di Genesaret, avesse saziato una folla di quattromila persone con sette pani ed alcuni pesci e di come rimanessero ancora sette sporte di pezzi avanzati. In seguito il numero delle persone viene au­ mentato a cinquemila (Mc 6,30-44 ) . La nascita di questa tradizione si deve al concorso di vari fattori. Nella tradizio­ ne biblico-ebraica la salvezza futura, paragonabile alla no­ stra idea del paese di cuccagna, veniva descritta con l'im­ magine di cibi e bevande in abbondanza (Is 25,6). Gesù ha anticipato nel presente questa speranza per il futuro, non solo rappresentando il regno di Dio nei toni di un grande banchetto (Le 14,16-24), ma anche esprimendone simboli­ camente l'avvento con i suoi pasti comuni con i pubblicani e i peccatori. n racconto della moltiplicazione dei pani ha le sue radici in questa speranza, risvegliata da Gesù e concre­ tizzata in effettivi pasti comuni, di un nuovo mondo che sta per arrivare, in cui i bisogni materiali saranno superati e tutti coloro che hanno farne saranno saziati. Per la rielabo­ razione in forma di miracolo, quello di Eliseo, che saziò cento persone con venti pani (2 Re 4 ,42-44) ha esercitato u­ na funzione strutturale di modello. Gesù viene proclamato profeta taumaturgo e portatore messianico di salvezza, che supera di molto i prodigi di Eliseo. La moltiplicazione dei pani racconta, dalla prospettiva della fede, del placare la fa­ me e dell'essere saziati nel nuovo mondo di Dio, portato da Gesù. Il miracolo delle nozze di Cana in Gv 2 , 1 - 1 1 era per la scuola storico-religiosa l'esempio per eccellenza di penetra­ zione della tradizione ellenistica relativa ai miracoli nella tradizione che riguarda Gesù. L'approntare grandi quantità di vino era tipico di Dioniso, il dio del vino. Nel santuario di Dioniso a Elide, alla vigilia dell'annuale festa di Dioniso, 1 08 l Gesù come taumaturgo

i sacerdoti chiudevano, come raccontano scrittori antichi, tre caldaie vuote in un edificio sigillato e le presentavano il giorno seguente, probabihnente attraverso una manipola­ zione, piene di vino. In collegamento con Dioniso è spesso documentata l'idea che, a intervalli regolari, sgorghi vino da alcune sorgenti. Ciò include, per lo meno in singoli casi, anche l' idea di una trasfo rmazione dell ' acqua in vino . Quando, per questo motivo, si è spesso visto nel miracolo di Cana solo l'attribuzione a Gesù di un miracolo dionisia­ co o la risposta cristiana alle leggende su Dioniso, ci si sba­ gliava tuttavia per difetto. L'abbondanza incommensurabile di vino non è tipica solo di Dioniso, bensì, contemporanea­ mente, è un simbolo delle gioie del regno messianico nella tradizione biblico-ebraica. Con la penetrazione del culto di Dioniso in Palestina, dal II secolo a.C. , si giunse a un arric­ chimento reciproco delle due tradizioni, che probabihnente influirono entrambi su Gv 2 , 1 - 1 1 . La radice storica dovreb­ be essere un pranzo di nozze a Cana, che venne in seguito rielaborato in forma di miracolo di trasformazione dell' ac­ qua in vino. In esso l'improvvisa abbondanza di vino pote­ va venir interpretata, nell'orizzonte della tradizione dioni­ siaca, come epifania del divino, sullo sfondo della simbolo­ gia biblico-ebraica come avvento del nuovo mondo di Dio. Nella missione il miracolo di Cana era adatto a proclamare il potere di Gesù, come pendant cristiano alle leggende su Dioniso. Nel caso della pesca miracolosa in Le 5 , 1 - 1 1 , come terza donazione miracolosa dei vangeli, potrebbe trattarsi di un racconto pasquale, retrodatato in un secondo tempo all'epoca della vita terrena di Gesù, come dimostra il paral­ lelo di Gv 2 1, 1 - 14. In questo modo si spiegherebbe il rico­ noscimento di essere un peccatore da parte di Pietro (Le 5 ,8), sconcertante nel contesto della pesca, ma plausibile sullo sfondo della scena del rinnegamento in Mc 14,66-72 . 109

Nei salvataggi miracolosi dei vangeli siamo di fronte alla liberazione da situazioni di acuto bisogno, in particolare al­ la protezione da forze naturali ostili. Queste erano immagi­ nate dagli uomini dell'antichità come potenze governate da angeli o da demoni. La tempesta calmata in Mc 4,35-4 1 , perciò, ha i tratti di una liberazione dal demonio, dal mo­ mento che il vento e le onde vengono considerate come po­ tenze personificate attraverso il rimprovero, il comando del silenzio e la costrizione a calmarsi. Si tratta qui solo in ap­ parenza del salvataggio prodigioso dal pericolo di naufra­ gio. In realtà Mc 4 ,35-4 1 parla del pericolo esistenziale del credente in una situazione di angustia e tentazione estreme. La tempesta placata, in quanto racconto contro la paura, dà voce alla certezza che colui che ha fede nel suo Signore non perirà nelle tempeste della vita. n punto di partenza del co­ stituirsi della tradizione, che è ispirata dalla storia veterote­ stamentaria di Giona e da altri racconti di tempeste placate dell'antichità, sono i regolari viaggi in barca che Gesù intra­ prendeva con i suoi discepoli sul lago di Genesaret, di tan­ to in tanto burrascoso. Se, nella fede della comunità, Gesù aveva la fama di essere un importante taumaturgo, era faci­ le attribuirgli anche il potere sulle forze della natura. Quando Gesù cammina sulle acque in Mc 6,45-52 si trat­ ta più di un'epifania che di un salvataggio miracoloso. Il motivo della protezione in caso di acuta minaccia traspare ancora, ma passa evidentemente in secondo piano a vantag­ gio dell'epifania, l'improvvisa apparizione della figura divi­ na. Ciò si mostra, non da ultimo, nella vistosa somiglianza con i racconti pasquali. I discepoli impauriti ritengono Ge­ sù che cammina sull 'acqua un fantasma (cfr. Le 24,37) pri­ ma che questi si faccia riconoscere con la formula di identi­ ficazione tipica dei racconti pasquali: «Sono io ! ». L'inten­ zione fondamentale di Mc 6,45-52 è di dimostrare la natura 1 1 0 l Gesù come taumaturgo

divina di Gesù. L'Antico Testamento parla di Dio che cam­ mina sulle acque. Lo scrittore greco Diane Crisostomo for­ mula in modo programmatico che «il più forte degli uomini sotto il sole, dotato di un potere non inferiore a quello degli stessi dèi, è colui che dispone della facoltà di rendere possi­ bile ciò che appare impossibile, colui che, se solo lo deside­ ra, è capace di camminare sul mare» (Or. III, 3 0 [trad. it. , Orazioni (1 -6), Giannotta, Caltanisetta 1979] ) . Alcuni so­ vrani dell'antichità, come il re dei persiani Serse o il re dei Seleucidi Antioco IV, avrebbero camminato sulle acque a prova della loro divinità o ne avrebbero per lo meno fatto il tentativo. Ma la capacità di camminare sulle acque viene at­ tribuita anche ai maghi, come gli iperborei o 'piedi di su­ ghero' scherniti dal satirico Luciano. La versione di Matteo del nostro racconto è ampliata dalla scena di Pietro che cammina sulle acque, che confidando in Gesù lascia la bar­ ca per imitarlo, viene però colto dalla paura e rischia di an­ negare, prima di venire infine salvato (Mt 14,22-33 ). li rac­ conto vuole dimostrare come la fede audace doni la forza di superare i confini in terreno insidioso e possa essere cer­ ta di essere protetta dal Signore nella situazione di paura e pericolo esistenziale che ne scaturisce. ·

I miracoli sulla natura sono testimonianze di fede leggen­ darie dei primi cristiani, che sviluppano la professione di fede nei confronti del Signore crocifisso e risorto ripren­ dendo la tradizione relativa ai miracoli dell'Antico Testa­ mento e dell'ellenismo. Vogliono illustrare il potere divino del Cristo risòrto e lo mostrano nell'immagine del Gesù terreno, attribuendogli facoltà che vanno oltre l'umano.

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v.

Miracoli nel cristianesimo delle origini

l. Miracoli nella comunità e nella missione I miracoli non sono limitati all'epoca di Gesù, ma appar­ tengono alla realtà dei cristiani anche dopo la risurrezione. La vita della comunità e la pratica missionaria ne sono se­ gnate in maniera molteplice. Un esempio evidente di mira­ coli all'interno della comunità è il catalogo paolino dei cari­ smi in l Cor 12. Singoli cristiani di Corinto posseggono il dono delle guarigioni (l Cor 12,9) . A integrazione di ciò si parla di prodigi, soprattutto liberazioni dal demonio, come ulteriori fenomeni operati dallo Spirito ( l Cor 1 2 ,10.28) . Si delinea un'antropologia globale, non rivolta soltanto alla salvezza dell'anima, dato che il potere vitale dello Spirito attivo nei carismi include anche il corpo rendendolo sano. n concetto di carisma non fa soltanto riconoscere che que­ Ste facoltà dello Spirito si debbono alla grazia di Dio, ma ne sottolinea anche il carattere di dono e l'impossibilità di di­ eporne volontariamente. Paolo ci lascia all'oscuro delle mo­ dalità delle guarigioni e dei prodigi. Sono da supporre pra­ tiche terapeutiche popolari e tecniche esorcistiche in nome 1 15

di Gesù, entrambe probabilmente accompagnate da pre­ ghiere. In epoca post-paolina la tendenza è legare il carisma delle guarigioni alla carica ecclesiastica e farlo ricadere nel­ l'ambito dei compiti dei presbiteri (Gc 5 , 14- 1 6) . La pre­ ghiera degli anziani della comunità e l'unzione con olio do­ vrebbero risanare il malato. Contemporaneamente si anno­ vera il peccato come causa di malattia e si accorda la possi­ bilità di una confessione dei peccati. Per quanto riguarda i miracoli come componente della campagna evangelizzatrice, particolare importanza spetta alla tradizione sinottica della missione. Gesù non aveva compiuto solo personalmente liberazioni dal demonio e guarigioni, ma ne aveva incaricato anche i suoi discepoli (Mt 10,8; Le 10,9) . Nel cristianesimo delle origini tali tradi­ zioni servivano come ordini del giorno dell' evangelizzazio­ ne. Gli apostoli itineranti si comportavano orientandosi se­ condo le disposizioni missionarie di Gesù e le istruzioni ri­ guardo ai miracoli in esse contenute. Ciò viene alla luce con la massima evidenza nel caso de­ gli avversari di Paolo nella seconda lettera ai Corinzi. Si trat­ ta di missionari itineranti ebreo-cristiani sulle tracce di Pao­ lo, che pretendevano di essere mantenuti dalla comunità e cercavano di dimostrare la loro qualità di veri apostoli e portatori dello Spirito attraverso atti prodigiosi e discorsi pieni di autorità. Criticavano al contrario Paolo per la sua rinuncia al diritto apostolico al mantenimento e gli rimpro­ veravano un comportamento debole. A causa di insufficien­ ti prodigi non disporrebbe dei «segni del vero apostolo» ri­ chiesti (2 Cor 12,12). Si tratta di una parola-chiave dei suoi avversari per definire la prova apostolica legittimante che avviene sotto forma di miracoli. In prima linea ci sono le guarigioni e le liberazioni dal demonio, a fianco ad esse però anche le visioni e altri prodigiosi effetti dello Spirito. 1 16 l Miracoli nel cristianesimo delle origini

Gli avversari di Paolo possono vantarsi di tutto ciò. Auto­ definendosi «operai» (2 Cor 1 1 , 13), così come con il loro ri­ corso al diritto di mantenimento, si basavano in modo mi­ rato sulle istruzioni di evangelizzazione del discorso di mis­ sione (Mt 1 0,10), che rappresenta anche il punto di riferi­ mento più evidente per il grande rispetto tributato ai prodi­ gi come segni del vero apostolo, riconoscibile in 2 Cor 12 , 12 . All'opinione che un apostolo debba distinguersi in prima linea attraverso i prodigi corrispondeva probabil­ mente una cristologia della gloria. La dottrina degli avver­ sari è comunque caratterizzata dall'annuncio di un «Gesù diverso» (2 Cor 1 1 ,4). Evidentemente non attribuivano im­ portanza particolare al theologumenon del Cristo Crocifisso (l Cor 1 ,23 ) , centrale invece per Paolo. Nel tentativo di de­ fmire in modo più preciso quest'immagine opposta di Gesù al di là di tale distinzione, il radicamento degli avversari nel discorso della missione costituisce un importante punto di appoggio. Dietro l' annuncio di un «Gesù diverso» si cela probabilmente una ripresa unilaterale di tradizioni sul Ge­ sù terreno, che per Paolo hanno un ruolo vistosamente su­ bordinato. Ciò include anche un orientamento sui miracoli degli avversari di Paolo. Se, in 2 Cor 12,12, Paolo riprende il linguaggio dei suoi avversari anche nella precisazione del segno del vero apostolo come «segni, prodigi e miracoli», questi si basavano su una triade codificata, che in At 2 ,22, nel discorso di missione, viene riferita a Gesù. li punto di partenza della cristologia non era per loro, come invece per Paolo, il kérygma della passione, bensì l'operato prodigioso di Gesù come taumaturgo nel passato e nel presente. L'im­ magine di Gesù degli avversari doveva essere stata decisa­ mente segnata dalla cristologia dei racconti di miracoli del Nuovo Testamento e aver contemporaneamente determina­ to la loro immagine di se stessi, dal momento che, con i lo1 17

ro prodigi, si consideravano intermediari della forza tauma­ turgica di Gesù. Il comportamento degli awersari di Paolo a Corinto cor­ risponde del tutto all'immagine consueta del missionario i­ tinerante protocristiano. Di solito gli apostoli, rifacendosi alla tradizione della missione, richiedevano il mantenimen­ to da parte della comunità e attribuivano un valore irrinun­ ciabile, oltre che alla predicazione, anche alle liberazioni dal demonio, alle guarigioni e simili. Ciò non è probabile solo per gli inviati della fonte dei l6ghia, come portatori della tradizione della missione, bensì riconoscibile anche nell' ambiente del vangelo di Matteo. La scena del giudizio in Mt 7 ,15-20, con trasparente riferimento al presente della comunità di Matteo, documenta l'esistenza di una discussa carismaticità, penetrata nella comunità dall'esterno e che si distingue attraverso la profezia, le liberazioni dai demoni e altri miracoli. L'evangelista Matteo è estremamente critico nei confronti di questi taumaturghi carismatici, dal momen­ to che li svaluta come falsi profeti e predice loro che saran­ no rigettati nel giudizio finale. La pratica cristiana dei mira­ coli poteva inoltre trovare legittimazione nelle indicazioni attribuite al Signore risorto (Mc 16,17-18). Negli apocrifi del Nuovo Testamento l'operato taumaturgico degli apo­ stoli viene potenziato all'infinito. Anche se i taumaturghi carismatici vennero spesso emarginati per la loro accentua­ zione esagerata dei doni dello Spirito, contribuirono in mo­ do decisivo alla marcia trionfale della chiesa. Alcuni Padri della chiesa , come Ireneo, Tertulliano o Origene, non si stancano di sottolinearlo. Perciò nel suo nome [di Gesù] coloro che sono veramente suoi discepoli, dopo aver ricevuto da lui la grazia, compiono opere a beneficio di tutti gli altri uomini, come ciascuno di loro ha ricevu1 1 8 l Miracoli nel cristianesimo delle origini

to il dono da lui. Alcuni infatti allontanano i demoni con fermezza e verità, così che spesso credono quegli stessi che sono stati purifi­ cati dagli spiriti cattivi e sono nella chiesa. Altri hanno la previsio· ne del futuro, le visioni e detti profetici. Altri curano gli ammalati con la imposizione delle mani e li restituiscono alla salute. Ma, co­ me abbiamo detto, già alcuni morti sono risuscitati e sono rimasti con noi molti anni. Certamente non si può dire il numero delle grazie che in tutto il mondo la chiesa ha ricevuto da Dio - nel no· me di Gesù Cristo che fu crocifisso sotto Ponzio Pilato - e ogni giorno compie a beneficio delle nazioni, senza ingannare alcuno e senza togliere denaro'.

Le liberazioni dal demonio e le guarigioni furono una causa determinante della diffusione del cristianesimo, che offriva sia la salute del corpo che quella dell'anima. Non è ,da sottovalutare il fattore che, per principio, i miracoli cri­ :Stiani avvenivano gratuitamente. Mentre i maghi dell'anti­ .chità, per assicurarsi il vitto, facevano dipendere l'applica­ zione delle loro pratiche magiche dalla solvibilità del mala­ ·to e i templi delle divinità guaritrici dipendevano dal paga­ mento per coprire il costoso esercizio del culto, i taumatur­ ghi carismatici cristiani, sostenuti dalle comunità locali, po­ tevano compiere guarigioni senza contropartita in denaro. [ miracoli avevano un ruolo significativo nella vita della comunità e n ell 'evangelizzazione del cristianesimo delle origini. All'interno della comunità il carisma delle guari­

gioni viene rapidamente istituzionalizzato e legato all ' uf­ ficio dei presbiteri_ Di fronte agli altri, i missionari itine-

' IRENEO, Haer. Il, 32, 4 ( IRENAUS VON LYON, Gegen die Hiireslen Il,

[trad. it., Contro le eresie e altri scritti, ]aca Book, Milano 198 1 , 203-204]. FontChr 8.2, Freiburg 1 993 , 279, 281)

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ranti, che derivano la loro legittimità e il modo di com­ portarsi dalle disposizioni di Gesù sulla missione, contri­ buiscono in modo determinante alla forza di attrazione del cristianesimo attraverso le liberazioni dal demonio e le guarigioni gratuite, pur venendo regolarmente criticati a causa della loro accentuazione eccessiva dei doni dello Spirito.

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2. I miracoli di Pietro e di Filippo

Le tradizioni sui miracoli degli Atti degli Apostoli servo­ no a Luca per provare un passaggio senza cuciture dal tem­ po di Gesù al tempo della chiesa. Le figure significative del cristianesimo delle origini appaiono come portatrici della forza e del potere trasferiti da Gesù alla cerchia dei suoi di­ scepoli. I segni prodigiosi del tempo della salvezza, che si e­ rano già annunciati nell'operato dei profeti dell'Antico Te­ stamento e avevano raggiunto in Gesù il loro culmine, tro­ vano il loro proseguimento nel tempo della chiesa. Tale ten­ denza della rappresentazione di Luca si fonda sull'indiscu­ tibile fatto che gli apostoli e i missionari del cristianesimo 120 l Miracoli nel cristianesimo delle origini

delle origini hanno compiuto liberazioni dal demonio e guarigioni sul modello di Gesù. Oltre a Paolo, spiccano a questo proposito soprattutto Pietro e Filippo. Per Filippo, l'evangelista della cerchia dei sette di Stefa­ no, da non confondersi con l'apostolo Filippo, si evidenzia­ no perlomeno i tratti di un taumaturgo carismatico signifi­ cativo. Il suo operato, in conformità alla tradizione della missione, era caratterizzato da un insieme di predicazione della parola e miracoli, in particolare liberazioni dal demo­ nio e guarigioni di paralitici (At 8 ,7 ) . Non si conoscono dettagli che vadano oltre questa sommaria informazione. Se davvero Filippo, durante la sua missione in Samaria, incon­ trò Simon Mago e lo rimise al suo posto con i suoi prodigi, come riportato in At 8,9-13, si incontrarono due taumatur­ ghi carismatici di tipologia analoga. Al termine dell'episo­ dio con l'eunuco etiope si parla di rapimento in cielo pro­ dotto dallo Spirito. Filippo, che stava evangelizzando tra Gerusalemme e Gaza, si ritrova improvvisamente ad Azoto (At 8,3 9-40). Questa tradizione leggendaria evoca i rapi­ menti in cielo di Elia ed Eliseo. Filippo appare come uno pneumatico qualificato in senso profetico, il cui operato in parole e miracoli è emanazione dello Spirito. Pietro incarna come nessun altro la continuità tra pratica taumaturgica pre- e postpasquale nella sequela di Gesù. Come figura più significativa dei Dodici apparteneva alla . cerchia di persone che erano state istruite riguardo alle gua­ rigioni e alle liberazioni dal demonio e inviate da Gesù stes­ so (Mt 10,8). Contemporaneamente sappiamo da alcune as­ serzioni di Paolo che Pietro, quale missionario cristiano, si orientava secondo le disposizioni di Gesù anche dopo Pa­ squa ( 1 Cor 9,5 ) . Esiste così un chiaro punto d'appoggio storico per i miracoli di Pietro negli Atti, benché essi segua­ no la tendenza a rappresentare Pietro come amministratore 121

legittimo del potere taumaturgico di Gesù. Non può certo essere una coincidenza che numerose tradizioni sui miraco­ li si cristallizzino nella persona di Pietro; non è affatto così per una figura di pari importanza storica come quella del cugino di Gesù, Giacomo. ll primo miracolo di Pietro riferito dagli Atti è la guari­ gione di uno storpio dalla nascita che chiede l'elemosina davanti al tempio di Gerusalemme (At 3 , 1 - 10). All'apostolo Giovanni, anche lui presente, spetta al massimo il ruolo di comparsa. La guarigione carismatica avviene attraverso la recita della formula: «Nel nome di Gesù Cristo, il Nazare­ no, cammina ! », e prendendo il malato per mano. Anche se la narrazione è costituita secondo la tipica forma del rac­ conto di miracoli dell'antichità ed è potenziata dal motivo della paralisi dalla nascita, alla base di essa sta probabil­ mente un avvenimento reale. Le guarigioni compiute invo­ cando il nome di Gesù e la sua forza sono ampiamente do­ cumentate nell'antichità. Nel caso di disturbi del movimen­ to, il processo di guarigione basato su un effetto psichico non rappresenta una rarità. Nel sommario di At 5 ,12- 16, Pietro viene messo in evidenza, non senza motivo, nella schiera degli apostoli autori di miracoli della comunità del­ le origini, pur venendo dipinto da Luca, attraverso il ricor­ so al motivo popolare dell'ombra risanatrice, nei toni delle credenze antiche relative ai miracoli. Nel miracolo di Pietro in At 9,32-35 , un'altra guarigione di un paralitico, siamo di fronte a un'antica tradizione locale della comunità di Lid­ da. Rimane aperta la questione se il paralitico Enea appar­ tenga già alla comunità cristiana o no. In ogni caso egli vie­ ne liberato dalla sofferenza da Pietro per mezzo del coman­ do: «Enea, Gesù Cristo ti guarisce; alzati e rifatti il letto». Il nome Enea indica la memoria di un fatto storico. Come nel caso del mendicante di Gerusalemme, si trattava con tutta 122 l Miracoli nel cristianesimo delle origini

,probabilità di una paralisi psicogena, che venne risanata dall'aura carismatica del taumaturgo. Il terzo miracolo di Pietro negli Atti (9,36-43 ) si svolge nella città portuale di Gioppe, l'attuale Giaffa, distante meno di 20 km da Lidda. Anche lì, all'arrivo di Pietro, esiste già una comunità, dove Pietro avrebbe risuscitato una discepola di nome Tabità. Il :racconto è segnato in alto grado dalle narrazioni di 1 Re 17, 17-24 e 2 Re 4,30-37, in misura minore anche dalla sto­ ·ria di Giairo. Ci sono alcuni elementi a favore dell'ipotesi -che un'antica tradizione della comunità di Giaffa, che par­ lava della guarigione di una cristiana di nome Tabità da parte di Pietro, sia stata potenziata in seguito come raccon­ to di risurrezione. Espressione della fede dei primi cristiani nella protezione divina in situazioni di bisogno sono le leg­ gendarie liberazioni miracolose in At 5,17-26 e 1 2, 1 - 1 1 , alla cui base stanno, come punto di contatto storico, brevi pri­ gionie di Pietro nei primi anni della comunità delle origini ·e all'epoca di Agrippa I (4 1-44 d.C. ). La pratica taumatur­ gica dell'apostolo viene accresciuta all'infinito negli Acta Petri apocrifi del tardo II secolo d.C. [trad. it., Atti di San Pietro, in Apocrifi del Nuovo Testamento II, UTET, Torino 1 97 1 , 963s.] . In essi Pietro non compie solo i miracoli di guarigione più disparati, ma impressiona i romani anche donando la parola a un cane, facendo parlare un neonato con la voce di un uomo adulto e riportando in vita un pesce affumicato. L'apice degli Acta Petri è segnato dal duello, ca­ ratterizzato da massicci miracoli spettacolari, con Simon ' Mago che, a Roma, durante il suo volo prodigioso, viene Jatto precipitare dalle preghiere di Pietro.

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Negli Atti degli Apostoli di Luca incontriamo figure si­ gnificative della chiesa dei primordi come detentrici del potere conferito da Gesù per la liberazione dai demoni e le guarigioni. Pietro rappresenta in modo particolarmen­ te accentuato la continuità tra la pratica taumaturgica prima e dopo la Pasqua, nella sequela di Gesù. BIBLIOGRAFIA BòTIRJCH, C . , Petrus, Leipzig 200 1 , 173 - 1 83 . DoBBELER, A . VON, Der Evangelist Philippus in der Geschichte des Urchristentums, TANZ 30, Tiibingen 2000. KLAUCK, H.-] . , Magie und Heidentum in der Apostelgeschichte des Lukas, SBS 167, Stuttgart 1996, 24-42. KOLLMANN, B., Philippus der Evangelist und die An/iinge der Heiden· mission, in Bib 8 1 (2000) 55 1 -565.

3 . Paolo come taumaturgo

Nel caso di Paolo ci troviamo davanti al fenomeno che e­ gli stesso, nelle sue lettere, si impone un grande ritegno per quanto riguarda i suoi miracoli, mentre negli Atti degli Apo­ stoli di Luca è un traboccare di notizie su di lui come tauma­ turgo. Complessivamente vengono raccontati, in modo più o meno dettagliato, sette miracoli di Paolo, in altri quattro pas­ si si parla sommariamente di una sua attività di taumaturgo. Mentre i sommari (At 14,3; 1 5 , 12; 19, 1 1 - 12 ; 28,9) si debbono completamente a Luca, i resoconti di miracoli si basano prevalen· temente sulla tradizione a lui precedente. Tuttavia quattro di que· 124 l Miracoli nel cristianesimo delle origini

ste narrazioni, cioè la punizione miracolosa a Cipro (At 1 3 ,9- 12), la liberazione miracolosa a Filippi (16,25-40), la risurrezione nella Troade (20,7- 12) e la protezione prodigiosa a Malta (28,3 -6), ap­ paiono leggendarie e sono probabilmente poco adatte a far luce in modo attendibile sull'attività taumaturgica di Paolo. Diversamen­ te stanno le cose per quanto riguarda i restanti miracoli di Paolo negli Atti degli Apostoli.

Alla base della guarigione miracolosa che Luca tramanda nel contesto del soggiorno di Barnaba e Paolo a Listra (At 14,8-18), sta una tradizione attendibile, pur con tutti gli a­ deguamenti a At 3 , 1 10 . Un uomo paralizzato alle gambe, �torpio sin dalla nascita, grazie alla sua fede viene guarito da Paolo con le parole: «Alzati diritto in piedi ! », e può camminare per la prima volta in vita sua. Al racconto viene tonferito colorito locale attraverso la dettagliata acclama­ zione dei due apostoli. Come reazione alla guarigione del paralitico la folla inizia a rendere omaggio agli apostoli qua­ li dèi in forma umana, in dialetto licaonio, che è attestato bella zona intorno a Listra fino al VI secolo d.C. A Barnaba Viene attribuito il nome del padre degli dèi Zeus, mentre Paolo viene venerato come il messaggero degli dèi Hennes. I nomi delle > (Mt 9,18-26), la tempesta viene placata senza il comando del silenzio e la costrizione a cal­ marsi delle forze naturali (8,23 -27).

Matteo compie così una eliminazione, se non completa, tuttavia molto ampia dell'elemento demoniaco e magico dai miracoli di Gesù, con una doppia finalità. Verso l'esterno Matteo si vedeva con tutta probabilità esposto alla polemi­ ca . ebraica, tangibile al più tardi nel Talmud e in Celso, se142 l Critica dei miracoli negli evangelisti

condo la quale Gesù avrebbe effettuato i suoi miracoli per mezzo di magia fraudolenta. All'interno della chiesa, la concordia della comunità matteana era minacciata dai cari­ smatici che si richiamavano al modello di Gesù attraverso la loro accentuazione eccessiva delle guarigioni prodigiose {Mt 7,15-23 ) . La critica dei miracoli di Matteo prende due piccioni con una fava. Eliminando dai racconti di miracoli i tratti magici e le tecniche eventualmente imitabili, viene sottratta all 'interno la base di legittimazione ai discussi tau­ maturghi carismatici e contemporaneamente Gesù viene di­ feso verso l'esterno dal sospetto di essersi servito di dubbie pratiche magiche. Nella composizione del suo vangelo, Matteo subordina il 'Messia delle opere' al 'Messia della parola'. Attraverso il ' suo adattamento dei raçconti di miracoli si giunge a un'ampia eliminazione dell'elemento demoniaco e magi­ co dalla tradizione su Gesù. Allo stesso tempo Matteo di­ ',_pinge Gesù con i suoi miracoli come Figlio di Davide e Servo del Signore, per prevenire un'interpretazione erra­ , ta della sua messianicità. Singoli racconti di miracoli del vangelo di Matteo vogliono informare decisamente di più sulla situazione della chiesa che sulla natura di Gesù. -

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3. Luca L'accresciuto interesse di Luca per i miracoli si mostra già nella misura in cui egli ha arricchito la nostra immagine di Gesù sotto questo aspetto. Il vangelo di Luca contiene cinque racconti (Le 5 , 1 - 1 1 ; 7 , 1 1-17; 13 , 10-17; 14,1 -6; 17 , 1 1 1 9) e un sommario a tematica miracolosa che non hanno paralleli negli altri vangeli. Luca ha evidentemente incorpo­ rato nel suo vangelo tutto il materiale sui miracoli prove­ niente dalla tradizione del patrimonio specifico a lui acces­ sibile. Alcuni di questi racconti, ad esempio Le 14 , 1 -6 o 17,1 1 -19, potrebbero addirittura essere stati inventati da lui stesso. A ciò si aggiungono i riassunti codificati dell'operato miracoloso di Gesù negli Atti degli Apostoli (At 2 ,22 ; 10,38). Se, viceversa, nel vangelo di Luca mancano quattro racconti di miracoli marciani (Mc 6,45 -52 ; 7,3 1 -3 7 ; 8 , 1 . 10.22-26), ciò non indica per forza una consapevole ridu144 l Critica dei miracoli negli evangelisti

zione della tradizione, dato che i racconti elencati appar­ tengono alla cosiddetta lacuna di Luca. La mancanza di Mc 6,45-8,26 in Luca, indicata da questa espressione, si spiega forse con il fatto che egli disponeva di un esemplare incom­ pleto o danneggiato del vangelo di Marco. Luca riprende la concezione marciana dei miracoli, se­ condo la quale in essi viene visibilmente alla luce la natura divina di Gesù (Le 4,34.4 1 ; 8,28). Anche per quanto riguar­ da l'imposizione del silenzio ai demoni e ai miracolati Luca si riallaccia fedelmente a Marco, benché tuttavia non sem­ bri aver compreso l'intera portata della teoria marciana del segreto messianico. Pone invece accenti diversi nel fatto di rivalutare i miracoli in misura pari alla parola nell'operato di Gesù e nell'accordare spiccata importanza alla concezio­ ne di Gesù come profeta taumaturgo della fine dei tempi. La prima parte dell'operato pubblico di Gesù inizia con la 'predica di insediamento' a Nazaret, che per l'evangelista Luca è il prototipo e la chiave dell'intero comportamento 9i Gesù. Luca ha consapevolmente anticipato questa peri­ cape, che incontriamo in Marco solo più avanti (Mc 6,1-6), rielaborandola in forma di scena drammatica, che ritrae Gesù non solo come predicatore (cfr. Mc 1 , 15 ) , ma anche come taumaturgo con tratti profetici. Riprendendo Is 6 1 , 1 2, il Gesù d i Luca presenta il programma del suo futuro o­ perato. Oltre all'incarico di annunciare il vangelo, la sua missione si compie anche per i ciechi e gli ossessi. Come profeta della fine dei tempi porta a realizzare, con i suoi mi­ racoli di guarigione, le promesse del libro del profeta Isaia. Dato che in patria il profeta non conta nulla, Gesù esten­ derà il suo operato prodigioso all'ambito esterno a Israele, in analogia ad Elia ed Eliseo (4,25-27 ) . L'idea di Gesù come profeta taumaturgo, che supera le imprese di Elia ed Eli­ seo, presente nella tradizione sui miracoli di Marco solo 145

nella guarigione del lebbroso (Mc 1 ,40-45) e nelle moltipli­ cazioni dei pani (6,30-44; 8,1 - 10), è caratteristica anche del­ le tradizioni del patrimonio specifico di Le 7 , 1 1 - 17 e 17 ,1 1 1 9 e acquista un peso ancora maggiore attraverso appunti redazionali. Gesù era per Luca «un profeta potente in ope­ re e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo» (24,19), nei miracoli del grande profeta Gesù «Dio ha visitato il suo po­ polo» (7,16). I segni prodigiosi dell'epoca della salvezza, che si annunciavano già nell'opera dei profeti dell'Antico Testamento, raggiungono con la comparsa di Gesù il loro apice e il loro compimento. In contrasto con Marco e Matteo, che subordinano chia­ ramente il miracolo alla parola, Luca equilibra con arte le due grandezze nell'operato di Gesù. Da una parte può ve­ dere l'annuncio del Regno come unica missione di Gesù, senza riferimento ai miracoli (Le 4,43 ); dall'altra in molti casi pone i miracoli davanti alla parola (Le 24, 1 9; At 1 , 1 ) e nei riassunti in forma di compendio dell'operato di Gesù rivolge l'attenzione solo ai miracoli (At 2 ,22; 1 0,38). Rife­ rendo, nell'adattamento di Mc 1 ,27, la reazione del popolo non più alla parola, bensì alle liberazioni dal demonio, Lu­ ca fa diventare la parola e i miracoli prove di pari valore del potere di Gesù (Le 4 ,32.36) . La formula citata del «profeta potente in opere e in parole» (24,19) lo riassume in modo evidente. L'adattamento dei racconti di miracoli è caratterizzato in singoli casi da una condensazione cristologica, dal momen­ to che Luca incentra la sua narrazione sulla persona di Ge­ sù, lasciando sullo sfondo i discepoli (Le 4 ,3 8-39; 9,37-42 ) . Per quanto riguarda l a rettifica dei tratti magici nell'imma­ gine preesistente di Gesù, non si può riconoscere alcuna li­ nea coerente quanto quella che si mostra nel vangelo di Matteo. Da una parte Luca riduce l'elemento magico, elimi146 l Critica dei miracoli negli evangelisti

nando la costrizione a calmarsi nella tempesta placata e il «talithà kum» nella risurrezione della figlia di Giairo, che suonava come una parola magica forestiera a orecchie gre­ che. Dall'altra, la guarigione di Mc 1 ,29-3 1 viene rielabora­ ta da Luca in forma di liberazione dal demonio personifi­ cando la febbre e l'elemento magico viene potenziato (Le 4,39). Come nessun altro evangelista Luca mette in evidenza che sequela e fede sono strettamente collegate ai miracoli di Gesù. Al contrario di Mc 1 , 1 6-20, le prime vocazioni dei di­ scepoli in Le 5 , 1 - 1 1 sono precedute dalla pesca miracolosa. Diversamente dal filo narrativo marciano, nel vangelo di Luca Gesù opera anche prima liberazioni dal demonio e guarigioni (Le 4,3 1 -4 1 ) . Tralasciando Mc 2,13, la conversio­ ne di Levi (Le 5,27-32) è allo stesso modo non più motivata dall'insegnamento di Gesù, bensì solo dalla precedente guarigione del paralitico. Solo Luca riferisce il fatto che Maria Maddalena e altre donne presero a seguire Gesù do­ po che questi le aveva guarite da spiriti cattivi e infermità (Le 8,1 -3 ) . li Gesù di Luca chiama gli uomini e le donne suoi discepoli non solo attraverso il potere della parola, ma anche nella forza dei miracoli.

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In Luca l'idea di Gesù come profeta taumaturgo della fi­ ne dei tempi, che dimostra il suo potere sia con le opere

sia con le parole, acquista un'importanza accentuata. Co­ me nessun altro evangelista Luca sottolinea che la sequela e la fede si basano in modo decisivo sui miracoli di Gesù.

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4. Giovanni Rivolgendo lo sguardo ai miracoli di Gesù nel vangelo di Giovanni, balza prima di tutto all'occhio che le liberazioni dal demonio, centrali per la tradizione sinottica, ma già in Matteo passate chiaramente in secondo piano, mancano or­ mai del tutto. Non sappiamo se Giovanni conoscesse i si­ nottici, in quale misura avesse una tradizione sinottica a di­ sposizione e fino a che punto potesse compiere una selezio­ ne mirata in essa. Tutto però indica una rettifica consapevo­ le della tradizione, sui motivi della quale si possono solo formulare ipotesi. L'accusa di possessione diabolica, rivolta a Gesù nell'ambito della comunità giovannea da parte e­ braica ( Gv 7 ,20; 8,48-52; 1 0,20) è decisamente collegata al­ le liberazioni dal demonio (Mc 3 ,22) e può aver spinto Gio­ vanni ad ometterla com:pletamente nella sua biografia di Gesù. Il fatto che la regalità di Dio, visibile nella ritirata dei demoni, non abbia alcun ruolo nel quarto vangelo come ar­ gomento dell'annuncio di Gesù, avrà facilitato a Giovanni la rinuncia agli esorcismi. Inoltre la possessione, come stato in cui l'essere umano è del tutto succube di una potenza diabolica e non è più padrone di sé, male si intona all'an148 1 Critica dei miracoli negli evangelisti

tropologia giovannea che presuppone una decisione pro o contro Gesù, di cui l'essere umano è direttamente respon­ sabile. Giovanni riporta soltanto sette miracoli di Gesù. Si trat­ ta, nel dettaglio, del miracolo delle nozze di Cana (2 , 1 - 1 1 ) , della guarigione del figlio del funzionario di Cafarnao (4,46-54), della guarigione di un paralitico (5 , 1 -9), della moltiplicazione dei pani e dei pesci (6, 1 - 15), di Gesù che cammina sulle acque (6, 16-21 ) , della guarigione di un cieco (9, 1 -7 ) e della risurrezione di Lazzaro ( 1 1 , 1 -44). La guari­ gione del cieco e del paralitico sono localizzate a Gerusa­ lemme, mentre gli altri vangeli - a parte Mt 2 1 , 1 4 - riporta­ no un'attività taumaturgica di Gesù in questa città. Ad ec­ cezione di 2 , 1 - 1 1 , tutti i miracoli giovannei hanno dei paral­ leli più o meno diretti nei sinottici. In confronto ad essi, in Giovanni l'elemento prodigioso è massicciamente potenzia­ to, dato che ad esempio una guarigione a distanza viene compiuta nel tragitto da Cana a Cafarnao o, nel caso di Lazzaro, viene riportato in vita un cadavere già in stato di decomposizione. Inoltre, il motivo di una vera situazione di bisogno passa in seconda linea, per cui la sovranità del tau­ maturgo che prende di suo l'iniziativa si sposta marcata­ mente in primo piano e i beneficiati dal miracolo vengono quasi ricacciati in un ruolo di comparse. La discussione sull'interpretazione dei miracoli di Gio­ vanni è segnata decisamente dall'opinione, introdotta da Rudolf Bultmann e accentuata da Ji.irgen Becker, che l'e­ vangelista abbia fatto ricorso a una raccolta di racconti di miracoli per modificarne criticamente la visione positiva dei fatti prodigiosi. A causa della definizione dei miracoli come segni (seméia) , tipica di tale fonte, si parla di 'fonte dei segni' o di 'fonte dei seméia'.

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La fonte dei segni è una grandezza ipotetica, la cui effettiva esi­ stenza non è assodata e le cui dimensioni vengono calcolate in modo molto diverso . Si attribuiscono ad essa perlomeno tutti e sette i racconti di miracoli e Gv 20,30s. come conclusione origina­ ria. Altri suppongono un'estensione notevolmente maggiore, Im­ maginandosi la fonte dei segni come una specie di 'semivangelo'. L'appunto in Gv 20,30s. può senz'altro essere stata la conclusione della fonte dei segni, mentre si adatta solo parzialmente come ca­ ratteristica riassuntiva del vangelo nel suo complesso, che contie­ ne ben più che segni. A favore dell'esistenza di tale fonte è inoltre la numerazione dei miracoli in Gv 2,1 1 e 4,.54, che è in contrasto con Gv 2,23 e quindi probabilmente non da attribuirsi all'evange­ lista. Se si debbano attribuire a tale fonte, oltre a Gv 2 , 1 - 1 1 (il mi. racolo di Cana) e 4,46-54 Oa guarigione del figlio di un funziona­ rio) , anche i restanti cinque racconti di miracoli del vangelo di Giovanni è già più difficile da decidere, dato che essi in molti casi sono stati presi come punto di partenza di trattazioni dottrinali già prima di Giovanni, cosa che l'evangelista prosegue. Oggi molti esegeti contestano in blocco l'esistenza di una fonte dei segni e presumono che Giovanni abbia trovato i racconti di miracoli co­ me tradizioni singole o li debba in parte addirittura a una cono­ scenza della tradizione sinottica. La contestata numerazione di Giovanni in 4,54, in contrasto con Gv 2,23, non viene quindi inte­ sa come indizio dell'uso di una fonte, bensì attribuita all'evangeli­ sta e spiegata con il fatto che Gv 4,46-54 sia il secondo segno rac­ contato o il secondo miracolo a Cana.

I sostenitori di una fonte dei segni dividono di regola strettamente l'interpretazione dei miracoli di Giovanni da quella presente nella sua fonte. Questa avrebbe conseguito lo scopo rappresentativo, come lascerebbe riconoscere Gv 20,30s. come sua conclusione originaria, di suscitare, riman­ dando ai miracoli, la fede in Gesù in quanto Messia e Figlio di Dio. Dall'evangelista stesso il miracolo verrebbe ammes­ so solo per quel tanto che appartiene all'immagine tradizio­ nale di Gesù, che ridesta l'attenzione e avvia così molti ai 150 l Critica dei miracoli negli evangelisti

primordi della fede. La vera fede nascerebbe per Giovanni invece dall'ascolto della Parola e non avrebbe bisogno dei miracoli, che sarebbero quindi awolti dal malinteso o rap­ presenterebbero metafore di un significato più profondo. Si presuppone quindi che Giovanni accolga nel suo vangelo i miracoli per dovere nei confronti della tradizione e come concessione ai suoi lettori che ancora persistono negli stadi precedenti alla vera fede, per potersi staccare in modo tanto più deciso dalla fede nei miracoli. Anche se c'è molto di ve­ ro in tale opinione, essa sbaglia per difetto e tende tacita­ mente a proiettare la critica ai miracoli dell'età moderna nel pensiero teologico dell'evangelista. Nelle pubblicazioni più recenti i miracoli vengono di conseguenza sempre più per­ cepiti come elemento integrante del quarto vangelo e ono­ rati anche nella loro funzione positiva. Gli strumenti essenziali dell'interpretazione giovannea dei miracoli sono la disposizione compositiva dei racconti, gli interventi interpretativi in essi e la loro spiegazione di approfondimento attraverso i discorsi di rivelazione di Ge­ sù, redatti in un secondo tempo. Giovanni condivide in li­ nea di massima la convinzione della sua fonte secondo cui ai miracoli di Gesù spetta un'importante funzione di testi­ monianza cristologica. L'intenzione del miracolo è la rivela­ zione della vera natura di Gesù. Come segni od opere non manifestano solo la gloria di Gesù ( 1 1 ,4.40), provandone la -sua missione divina (5 ,3 6) , ma suscitano anche la fede (2, 1 1 ; 4 ,35) e acquistano significato di salvezza. Anche se si volessero ricondurre, come non di rado succede, tutte le di­ chiarazioni del vangelo di Giovanni a favore dei miracoli al­ la tradizione precedente all'evangelista e non a lui stesso, già la loro ripresa dimostrerebbe che Giovanni non tratta i miracoli con disapprovazione. Proprio Gv 20,3 0s. , come probabile conclusione della fonte dei segni, non è un sem15 1

plice relitto della tradizione trascinatosi dietro controvo­ glia, bensì rispecchia anche l'interpretazione dei miracoli dell'evangelista e , nominando con una formula lo scopo della stesura del vangelo, rappresenta per le lettrici e i letto­ ri un importante aiuto alla comprensione. I miracoli dimo­ strano la grandezza di Gesù, rendono visibile la sua gloria celeste e suscitano la fede. Una funzione epifanica autonoma viene attribuita da Giovanni ai miracoli in Gv 2 , 1 - 1 1 , 4,46-54 e 6, 16-2 1 . Nel miracolo di Cana, che in quanto primo segno di Gesù nel vangelo di Giovanni ha funzione paradigmatica, e nell'epi­ sodio in cui Gesù cammina sulle acque, l'epifania della glo­ ria di Gesù, manifesta nel miracolo, viene lasciata intatta senza commenti e così chiaramente condivisa senza restri­ zioni. Nel resoconto della guarigione a distanza di Gv 4 ,4654, invece, l'evangelista ha introdotto il rimprovero critico: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete» (4,48), co­ me implicita indicazione di lettura, facendo così riconosce­ re che egli considera una fede fondata solo sull'assistere ai miracoli bisognosa di integrazione. Ciò viene espresso an­ che in altri passi. In Gv 3 , 1 - 13 , una sopravvalutazione dei segni viene ridimensionata attraverso la necessità di una ri­ nascita dallo Spirito; Gv 20,29 dà maggiore importanza alla fede di chi non ha visto rispetto all'assistere ai segni. La for­ ma qualitativamente superiore è la fede che si basa sull'a­ scolto della parola, senza che la fede nei miracoli venga così del tutto abbandonata. Altri miracoli di Gesù, non diversamente del resto dalle sue parole, rischiano di venir mal interpretati e necessitano di un'interpretazione. Dando adito a discussioni in forma di disputa e servendo come base d'appoggio di ampie com­ posizioni di discorsi, vengono sottoposte a un'interpreta­ zione di approfondimento attraverso la Parola, che era ini152 l Critica dei miracoli negli evangelisti

ziata già prima di Giovanni e viene proseguita in modo mi­ rato dall'evangelista. l resoconti di miracoli in Gv 5 e 9 erano stati ampliati in conflitti sul sabato già prima di Giovanni, forse dal redattore della fonte dei segni. Giovanni stesso non mostra interesse alla tematica del sabato, ma sceglie i miracoli come punto di partenza di discorsi di rivelazione, in cui il rialzare il paralitico simboleggia l'ottenimento della vita eterna (Gv 5 , 19-30) e la guarigione del cieco nato viene riferita al vedere Dio (9,39-4 1). Il discorso della moltiplicazione dei pani richiama l'attenzione su un significato più profondo cela­ to sotto la superficie del miracolo, come concessione del pane del­ la vita che non muore e raggiunge il suo apice con l'identificazio­ ne del pane della vita con l'eucaristia (6,22-58). La risurrezione di Lazzaro, spiegata interpretativamente dalle scene di dialogo, è per l'evangelista il simbolo della risurrezione a vita eterna ( 1 1 ,25-26). n significato di fondo dei prodigi rimane intatto, ma at­

traverso un discorso epifanico di Gesù viene insufflato loro un significato più profondo. La parola apre interpretativa­ mente una dimensione profonda e densa di simboli del mi­ racolo, che appare per così dire dotato di un doppio fondo. Nel vangelo di Giovanni i miracoli si spostano quantitati­ vamente in secondo piano, mancano del tutto liberazioni dal demonio da parte di Gesù. Giovanni non ritratta al­ cun aspetto dei miracoli e attribuisce loro un'importante funzione di testimonianza cristologica. Considera tuttavia una fede che si fonda solo nell'aver visto i miracoli biso­ gnosa di integrazione. La maggior parte dei miracoli di Gesù viene resa accessibile nel suo significato più profondo attraverso discorsi epifanici, motivo per cui do­ mina un'interpretazione figurata dei prodigi.

153

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154 l Critica dei miracoli negli evangelisti

VII. Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

l. Ermeneutica esistenziale

L'ermeneutica si occupa della corretta esegesi della Bib­ bia e di una sua interpretazione rivolta al presente. I testi biblici sono nati in un contesto esistenziale a noi estraneo e sono vincolati a una visione del mondo che si distacca deci­ samente da quella dell'età moderna. La ricostruzione stori­ co-critica delle origini storiche della tradizione biblica, che spalanca lo sguardo sul significato originario di un testo, ha reso visibile questo abisso tra oggi e allora in tutta la sua profondità. Come conseguenza emerge la necessità di tra­ sportare il messaggio della Bibbia nelle mutate condizioni del nostro tempo e di stabilire collegamenti con la situazio­ ne dell'uomo di oggi. La tacita premessa è che osservare con distacco le tradizioni bibliche come fenomeni storici è un atteggiamento troppo parziale; essi possiedono piuttosto un'attualità che va ben al di là del loro luogo di origine sto­ rico, che vuole tornare sempre a essere rivelata. L'ermeneu­ tica comprende l'esecuzione e la riflessione metodologica di tale trasposizione dei messaggi biblici nel presente. 155

L'ermeneutica esistenziale di Rudolf Bultmann ( 1 8841976), influenzata dalla filosofia di Heidegger, ha dominato a lungo dopo la seconda guerra mondiale, ma ha perso im­ portanza negli ultimi decenni. Parte dalla premessa che non si possa parlare di Dio a prescindere dalla propria esistenza. La teologia è da esercitarsi sotto forma di antropologia teo­ logica, il suo vero tema è l'esistenza dell'essere umano de­ terminata da Dio. Alla base dell'interpretazione esistenziale delle tradizioni bibliche sta l'idea che in esse si sono riper­ cosse le strutture esistenziali di fondo della vita umana, qua­ li felicità, cura o paura, e che tali strutture possono venire ricercate nei testi. Le possibilità esistenziali offerte dalla Bibbia vanno riconosciute e afferrate nella fede. Esse tutta­ via non sono qui date in modo evidente, bensì sono camuf­ fate sotto forma di idee mitologiche, che nascondono l'au­ tentico avvenimento di salvezza. Di tali miti fanno parte an­ che i miracoli. Il programma della demitizzazione persegue dunque lo scopo di superare la visione del mondo dell'anti­ chità, come ostacolo alla fede non più accettabile per l'uo­ mo moderno, portando alla luce il nucleo dei testi che vi si nasconde dietro. Ciò che conta è la possibilità della fede cri­ stiana nelle condizioni della wsione esistenziale moderna, influenzata dalle scienze naturali. Per amore della sincerità della fede non bisogna pretendere dall'essere umano che, nella religione, accetti un'immagine del mondo che nega in ogni altro aspetto della sua vita. I miracoli vengono conside­ rati sviluppi storici del messaggio di fede, nati dall'immagi­ ne mitica del mondo dell'antichità. Il messaggio di fede stesso è invece sempre valido, nella sua rilevanza profonda­ mente esistenziale. Le tradizioni bibliche tematizzano per­ ciò le stesse domande di fondo dell'essere umano, che toc­ cano anche il lettore moderno. Esiste un'uguaglianza di fon­ do tra l'esistenza di allora e di oggi. I miracoli in sé non rap156 1 Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

presentano materia di fede e non devono venir elevati al rango di fatti di salvezza. Bisogna piuttosto giungere all'esi­ genza del kérygma, al messaggio di fede nascosto nei mira­ coli dietro le concezioni mitologiche. Il suo nucleo è lo scandalo della croce. Esso mette sotto gli occhi all'essere u­ mano, che crede di poter strutturare la propria vita in base alla propria volontà e alle proprie forze, il suo bisogno di re­ denzione e ne mette radicalmente in discussione la sua vec­ chia esistenza. Fede significa rinuncia all'autoglorificazione umana davanti alla croce. I miracoli sono così immagini in­ terscambiabili di qualcosa di molto più grande. Credere ai miracoli non significa, dal punto di vista dell'ermeneutica e­ sistenziale, ritenerli veri, bensì credere in Dio come Colui che libera dalla morte, ed essere pronti all'incontro miraco­ loso con Lui, che dà una svolta totale all'esistenza. ll discepolo di Bultmann, Walter Schmithals, ha presen­ tato nel suo commento al vangelo di Marco un'efficace inter­ pretazione esistenzial-kerygmatica dei racconti di miracoli. Rivendica per il vangelo di Marco una stesura di base in for­ ma scritta, contestando allo stesso tempo categoricamente una tradizione orale o addirittura punti di aggancio storici dei racconti di miracoli. Essi sarebbero piuttosto l'opera di un geniale teologo che, in quanto redattore della stesura di base, avrebbe trasposto la professione di fede in Cristo della sua comunità, improntata alla teologia paolina, -in forma di racconti. La guarigione di sabato di Mc 3 , 1 -6, ad esempio, annuncerebbe la libertà dell'uomo dalla Legge in senso paolina; alla base dell'esorcismo di Mc 5 , 1 -20 ci sarebbe Rm 7 ,24: «Sono uno sventurato ! Chi mi libererà di questo cor­ po votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore», per cui l'indemoniato di Ge­ rasa appare come perfetto esempio delpeccatore disperato, abbandonato da Dio. Ciascuno dei racconti di miracoli 157

marciani viene considerato qui come una 'dogmatica in nu­ ce', dato che si presuppone uno sviluppo narrativo di asser­ zioni di fede paoline. I miracoli non sono dunque eventi del passato, bensì sviluppi storici del kérygma atemporale. Rac­ contano di come il vecchio modo di vivere dell'uomo per­ duto torni sempre, attraverso l'incontro con Cristo, a essere messo in discussione, a essere condotto all'autenticità dell'e­ sistenza e venga protetto nella fiducia incondizionata in Dio attraverso tutte le prove della vita. Anche se le premesse di Schmithals sono più che discutibili - non ci sono prove di una stesura scritta di base del vangelo di Marco e l'antichità della tradizione dei miracoli è difficile da contestare - egli apporta un importante contributo alla comprensione dei racconti di miracoli riferita al presente. I miracoli stessi val­ gono comunque come portatori interscambiabili di messag­ gi esistenziali e vengono degradati a involucro di afferma­ zioni teologiche, di cui si può fare a meno. L'ermeneutica esistenziale considera i miracoli come por­ tatori di un messaggio di fede che mette radicalmente in discussione l'interpretazione della vita dell'essere umano, rendendogli accessibile una nuova possibilità esistenziale. n mira colo in sé non rappresenta qui né un fatto di sal­ vezza né materia di fede, bensì è poesia devota e metafo­ ra di qualco sa di più grande. Con la demitizzazione si porta alla luce il kérygma contenuto nel miracolo.

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2. Teologia biblica

Uno degli approcci ermeneutici più recenti e più signifi­ cativi è il programma di una teologia biblica. Esso persegue lo scopo di delineare una teologia della Bibbia che includa Antico e Nuovo Testamento e allo stesso tempo li riassuma, quale era l'ovvia premessa dell'esegesi fino ali' avvento della scienza biblica dell'età moderna. Per effetto della critica storica, l'unità tra Antico e Nuovo Testamento andò in pez­ zi, dato che venne riconosciuta la dipendenza dal contesto storico individuale dei singoli libri della Bibbia e si svilup­ parono una teologia dell'Antico e una del Nuovo Testa­ mento che presero sempre più strade separate. n concetto della teologia biblica cerca di correggere tale evoluzione. La teologia del Nuovo Testamento in particolare, questa la richiesta programmatica, deve essere tracciata come una teologia che proviene dall'Antico Testamento e riconduce a 159

esso e concepita come settore di una teologia che prende in considerazione la Bibbia nel suo complesso, che allo stesso tempo avvia a una presa di posizione riguardo ai dogmi. L'interesse ermeneutico si rivolge quindi al collegare i testi biblici con l'esperienza di fede e di vita della chiesa. La teo­ logia biblica non dovrebbe esaurirsi nell'esame storico-cri­ tico dei testi, bensì essere aperta all'esigenza epifanica del vangelo, quale si afferma nello spazio ecclesiastico come compimento di una comune esistenza di fede. Nel quadro di tale concezione, i miracoli di Gesù vengo­ no inseriti all'interno di un ampio nesso della storia della salvezza, che abbraccia l'intera Bibbia, e analizzati sullo sfondo delle speranze messianiche di Israele. Rappresenta­ no una componente del cammino di Dio verso l'essere u­ mano, che inizia con la creazione, attraversa l'intera storia di Israele, il popolo eletto, giunge al suo culmine negli e­ venti relativi a Cristo e vuole infine condurre al futuro re­ gno di Dio. Per quanto riguarda la critica oggettiva alla tra­ dizione su Gesù, si richiede un rapporto di fedeltà, di cui l'esegeta sarebbe debitore ai suoi testi. Analizzando i rac­ conti di miracoli, in particolare per quanto riguarda lo sfondo della loro tradizione, si accorda assoluta priorità al­ l'Antico Testamento rispetto all'ambito ellenistico. Un ruo­ lo importante ha il rinviare al fatto che Gesù e tutti gli au­ tori significativi del Nuovo Testamento erano nati ebrei, co­ sa per cui sarebbe assodata una continuità della tradizione tra i due Testamenti e l'ebraismo antico sarebbe il quadro di riferimento decisivo per la comprensione del messaggio di fede neotestamentario. Il modo di procedere degli esegeti votati al programma della teologia biblica, o che per lo meno simpatizzano con esso, è caratterizzato dallo sforzo di rendere plausibile un ampio o addirittura completo radicamento dei racconti di 160 l Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

miracoli del Nuovo Testamento nella tradizione dell' Anti­ co. I miracoli di Gesù vengono inseriti nel contesto più am­ pio della storia della salvezza dell'Antico Testamento e inte­ si come prosecuzione del rapporto tra Dio e il suo popolo. In quanto compimento delle profezie di salvezza veterote­ stamentaria, sarebbero testimonianze di una auto-coscienza messianica da parte di Gesù e rifletterebbero l'esperienza che nel suo operato la giustizia portatrice di salvezza di Dio torna nuovamente in programma. La controparte è rappre­ sentata dalla scuola della storia delle religioni che aveva supposto un'impronta ellenistica per la maggior parte dei racconti di miracoli e vedeva il taumaturgo Gesù dipinto nei toni dell"uomo divino' (theios an/r) dell'ellenismo. Nel suo confronto critico con la tesi dell'uomo divino, Otto Betz richiama l'attenzione su una serie di riferimenti all'An­ tico Testamento in Mc 4 ,35 -4 1 e 5 , 1 -20. Ne trae la conclu­ sione che l'Antico Testamento e le sue tradizioni interpreta­ tive getterebbero molta più luce sui racconti di miracoli del Nuovo di quanto possa farlo l'ambito ellenistico. II suo di­ scepolo Wemer Grimm interpreta tutti i racconti di mira­ coli dei vangeli sullo sfondo della tradizione veterotesta­ mentaria, senza che sia visibile una vera presa in considera­ zione dei paralleli ellenistici. Di fronte agli asseriti rapporti, in molti casi ampiamente costruiti, tra i miracoli di Gesù e la più varia tradizione dell'Antico Testamento, egli non ve­ de alcuna necessità di eseguire un accurato inventario della tradizione miracolosa ellenistica, che ritiene irrilevante da questo punto di vista. Anche Richard Glockner suppone che i racconti di miracoli del Nuovo Testamento siano mol­ to più influenzati dalla religiosità dell'Antico Testamento di quanto si faccia sentire in essi una religiosità ellenistica. Per quattro resoconti di miracoli, cioè la tempesta placata in Mc 4,35-4 1 , la guarigione dell'ossesso in Mc 5 , 1 -20, la guarigio161

ne di sabato della donna curva in Le 13,10-1 7 e la guarigio­ ne di dieci lebbrosi in Le 17,1 1 - 19, richiama l'attenzione su una serie di punti di contatto con motivi dei Salmi. Al fine di un'interpretazione teologico-cristologica dei prodigi di Gesù, i racconti di miracoli riprendono regolarmente punti di vi· sta, immagini e motivi che, a partire dal Salterio, possono valere come patrimonio comune della pietà ebraica e paleocristiana. In questo modo i segni di regalità e potere di Gesù vengono inseriti nel contesto più ampio della storia della salvezza veterotestamen­ taria, in cui la rivelazione dell'onnipotenza di Dio esprime con­ temporaneamente la sua misericordia e la sua volontà di redenzio­ ne; in cui ogni proclamazione dei prodigi del Signore vuole essere allo stesso tempo una professione di fede supplice e adorante. Ge­ sù non agisce come un eroe, che dimostra in qualche modo la sua potenza. Nei suoi miracoli è possibile sperimentare che Dio, pie­ no di compassione, vede il bisogno dell'essere umano e ne ascolta il grido d'aiuto. La storia di Dio con il popolo di Israele viene proseguita e trova nuovi, concreti punti d'appoggio e contenuti'_

A tali osservazioni si lega la speranza di riavvicinare la tradizione neotestamentaria relativa ai miracoli nel suo complesso a un ambiente di formazione genuinamente bi­ blico, liberandola dal sospetto di essere il risultato della propaganda religiosa ellenistica e sostenendone l'affidabi­ lità. L'ermeneutica dei miracoli nel quadro della teologia bi­ blica pone quindi un legittimo contrappeso alla non equa derivazione del corpus relativo ai miracoli dalla tradizione ellenistica, inserisce Gesù e i suoi miracoli in un ambiente ebraico e aiuta a vederli come compimento delle promesse dell'Antico Testamento. Deve tuttavia accettare il rimpro1 R GLòCKNER, Neutestamentliche Wundergeschichten und das Lob der Wundertaten Gottes in den Psalmen, WSAMA.T 13, Mainz 1983,

161.

162 l Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

vero di sopravvalutare chiaramente l'Antico Testamento a spese dei paralleli greco-romani e di recepire quindi in ma­ niera inadeguata l'influsso della religiosità ellenistica sulla fede nei miracoli del Nuovo Testamento.

·

n programma della teologia biblica persegue lo scopo di delineare una teologia della Bibbia che comprenda Anti­ co e Nuovo Testamento e allo stesso tempo li riassuma. In tale processo i miracoli di Gesù vengono interpretati in modo mirato sullo sfondo della tradizione ebraica del­ l'Antico Testamento e inseriti in un ampio n �sso della storia della salvezza che abbraccia la Bibbia intera.

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3. Ermeneutica femminista dei miracoli La necessità di un'esegesi femminista emerge dal predo­ minio opprimente della biblistica androcentrica, che viene a ragione considerata bisognosa di integrazione e revisione. Si tratta essenzialmente di ricostruire l'importanza delle donne nel movimento di Gesù e nel cristianesimo primitivo, in gran parte dimenticata, rimossa nel processo di tradizione o minimizzata. L'esegesi femminista si pone inoltre come compito l'esame critico delle interpretazioni misogine della Bibbia, aspira a un'ermeneutica biblica autonoma con la pa­ rità dei sessi ed è interessata alla riscoperta o allo sviluppo di forme di spiritualità specificamente femminili. All'inter­ no della vastissima gamma dell'esegesi femminista si posso­ no distinguere, secondo Manfred Oeming, tre approcci di­ versamente radicali, cioè un'indagine storico-critica sulle fi­ gure femminili nella Bibbia, una 'ermeneutica del sospetto' che guarda con diffidenza alla tradizione dei testi biblici condizionata dai maschi e per finire una 'ermeneutica della condanna' che rompe con gran parte del testo biblico miso­ gino e condizionato da strutture di pensiero patriarcali. L'obiettivo dell'ermeneutica femminista dei miracoli si ri­ volge, secondo natura, a quella tradizione in cui le donne sono oggetto delle guarigioni. In questo processo non viene soltanto messa in evidenza la vicinanza di Gesù alle donne, ma lo sguardo viene puntato anche alla reintegrazione glo­ bale della donna fornita dal miracolo di guarigione, nella quale la fisicità femminile viene accettata e riportata allo stato originario della creazione. In singoli casi si ritiene an­ che di poter trarre conclusioni su un'impronta femminil­ matriarcale del pensiero religioso del guaritore taumaturgi­ co Gesù dai suoi incontri con le donne. 164 l Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

Dalla tradizione di Le 8 , 1 -3 , il cui valore è stato a lungo trascurato, si può dedurre che Gesù guarì dalle loro infer­ mità alcune donne benestanti, cioè Maria di Magdala, Gio­ vanna e Susanna, donando loro allo stesso tempo la libertà di agire attivamente e dando così un avvio emancipatorio alla parità tra i sessi. La prassi di Gesù di chiamare le don­ ne a seguirlo, e quindi anche al servizio della predicazione e delle guarigioni, rappresentava per la sensibilità dell'epoca un'infrazione di tutte le norme sociali. Ciò vale anche per la disponibilità delle donne a seguire la chiamata di Gesù e ad unirsi a un gruppo il cui contegno è improntato a un radi­ calismo itinerante. Mentre Maria Maddalena seguì Gesù fino a Gerusalem­ me, Giovanna, il cui marito Cusa era amministratore di E­ rode Antipa, è probabilmente da annoverare tra i simpatiz­ zanti stanziali sparsi in tutto il paese. Nel movimento intor­ no a Gesù le donne risanate nel fisico, come le discepole di cui vengono fatti i nomi in Le 8 , 1 -3 , avevano un ruolo note­ volmente maggiore di quanto una biblistica androcentrica sia stata a lungo disposta a concedere loro. Va lasciato però aperto se costituissero addirittura un «gruppo delle donne di Galilea>> con un'accentuata coscienza femminile e conce­ zioni religiose autonome (L. Schottroff). Nel racconto di Mc 5 ,25-34 Gesù non dona soltanto la guarigione, ma abolisce anche la stigmatizzazione sociale e cultuale della donna e la aiuta a ridiventare membro della società. L'emorroissa soffre di un'emorragia mestruale cro­ nica e questo da dodici anni. Nell'antichità le emorragie so­ no cariche di associazioni funeste. Neli' orizzonte delle pre­ scrizioni della Legge dell'Antico Testamento di Lv 15,1930, la donna si trova in uno stato di impurità permanente ed è quindi pari a una lebbrosa. Toccando di nascosto il mantello di Gesù infrange un tabù. Gesù stesso, dato che 165

attraverso il contatto diventa a sua volta impuro, avrebbe dovuto rimproverare la donna e sottoporsi alle abluzioni ri­ tuali prescritte in Lv 1 5 . Invece il comportamento dell'e­ morroissa viene reso pubblico in modo assolutamente posi­ tivo come espressione della sua fede. Non rimprovero o ri­ fiuto, bensì guarigione e incoraggiamento rappresentano la risposta di Gesù all'infrazione di una norma della Legge che stigmatizza la donna in modo inumano e la emargina dalla società. Nel resoconto del miracolo in Le 13,10-17 le donne pos­ sono ritrovare la loro storia del diventare tali. Se la persona bisognosa di guarigione a causa della paralisi è curva da di­ ciotto anni e non può rialzarsi in nessun modo, ciò si lascia interpretare come specifica esperienza femminile, che viene trascesa attraverso il miracolo. La guarigione simboleggia il cammino della donna per crescere al di' fuori del ruolo del­ la vittima curva e liberarsi dalle strutture di oppressione. Rialzarsi significa diventare autonoma e affermarsi contro tutte le difficoltà. Il capo della sinagoga che critica la guari­ gione può essere visto come rappresentante di quelle forze sociali e clericali che continuano a cercare di spingere la donna ai margini. Nel racconto del miracolo costoro vengo­ no rimessi al loro posto. Il miracolo normativa di Mc 7 ,24-30 merita particolare interesse in quanto rappresenta l'unica disputa del Nuovo Testamento in cui Gesù non domina con superiorità lo scambio di argomentazioni, ma deve ricredersi - e questo per opera di una donna. La frase di Gesù diretta contro l'inclusione dei pagani nella salvezza suscita l'obiezione del­ la donna siro-fenicia. Ella riprende il linguaggio metaforico della frase, lo rivolge in positivo e strappa così la guarigione della sua bambina a Gesù. Da parte della teologia femmini­ sta questo avvenimento viene interpretato nel senso di una 166 l Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

fondamentale apertura di Gesù verso la religiosità e l'etica femminili (C. Mulack) . n nazionalismo e l'orgoglio maschi­ le come pilastri portanti del patriarcato sarebbero stati tra­ smessi fin dalla culla a Gesù, in quanto figlio del suo tem­ po, e si rifletterebbero in Mc 7 ,24-30 nel rifiuto, in un pri­ mo momento, della guarigione. Nel corso della disputa che ne deriva egli si sarebbe lasciato convertire da una forma di pensiero patriarcale a una matriarcale, che eleva il bisogno dell'essere umano a criterio supremo. n successivo conte­ gno deciso di Gesù contro ogni forma di disprezzo dell'es­ sere umano avrebbe le sue radici, in quanto progresso di apprendimento, nell'incontro con la donna siro-fenicia. Benché ciò sia probabilmente esagerato, Mc 7 ,24-30 è un ulteriore importante esempio di quanto sia fondata la ri­ chiesta di una nuova analisi del ruolo portante delle donne nella tradizione su Gesù. L'ermeneutica femminista dei miracoli intende se ste'ssa come i�tanza critica contrapposta all'interpretazione bi­ blica androcentrica dominante e punta l'obiettivo su quelle tradizioni in cui le donne sono oggetto della guari. gione. In qu esto processo vengono prese in considerazio­ ne la vicinanza di Gesù alle donne, l'importante funzione delle discepole risanate nel movimento di Gesù e la rein­ tegrazione globale della fisicità femminile operata nel mi­ racolo, onorandole nella loro dimensione emancipatoria. . ·

BIBLIOGRAFIA MOLTMANN-WENDEL, E., Ein eigener Mensch werden, GTBS 1006, Giitersloh 1989' [trad. it., Le donne che Gesù incontrò, Querinia­ na, Brescia 1989] . 167

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4. Interpretazione storico-sociale dei racconti di miracoli

Per comprendere a fondo i racconti di miracoli del Nuo­ vo Testamento e il mondo di coloro che li hanno tramanda­ ti, è necessario anche tenere adeguatamente conto della realtà sociale che sta alle spalle dei testi o si riflette in essi. Il metodo sviluppato a questo scopo dalla storia sociale, che vede se stesso come arricchimento dell'esegesi storico­ critica, è caratterizzato dall'integrazione di questioni sociali, economiche e culturali. L'esegesi della storia sociale è quin­ di fondamentalmente orientata al passato, ma esamina an­ che il significato rivolto al presente dei racconti di miracoli come immagini di speranza dei piccoli. Ciò include un'er­ meneutica orientata all'azione, che spera di ottenere dall'a­ nalisi storico-sociale dei testi biblici impulsi per una strut­ turazione responsabile della nostra realtà. L'attenzione del­ l' analisi storico-sociale è stata finora rivolta prevalentemen­ te a una sociologia del movimento intorno a Gesù, alla struttura sociale delle comunità paoline e, più in generale, ai rapporti sociali nel mondo mediterraneo intorno all ' anno 168 l Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

zero. Anche da alcuni racconti di miracoli scelti si evidenzia come l'interpretazione storico-sociale porti alla luce le con­ dizioni di vita che stanno alle spalle dei testi. A proposito dell'emorroissa in Mc 5 ,25-34 si dice: «E a­ veva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando» (5 ,26) . Un'analisi storico-sociale di questa informazione mostra prima di tutto che la fede nei miracoli e il ricorso a taumaturghi carismatici rappresentano fondamentalmente un fenomeno delle classi più basse. Finché aveva avuto de­ naro a disposizione, l'emorroissa aveva cercato l'aiuto dei medici. Solo dopo aver perso così tutti i suoi averi si rivolge a Gesù. Con il t6pos del fallimento dei medici si dà voce al­ la convinzione che il taumaturgo carismatico, sempre biso­ gnoso di legittimazione, è superiore all'arte medica ricono­ sciuta e non persegue interessi economici. In effetti, all'epoca del Nuovo Testamento esisteva, in alcune parti dell'impero romano, un'assistenza comunale per i malati con me­ dici pubblici. L'arte medica accessibile ai meno privilegiati non e­ ra però né estesa dappertutto né legalmente istituzionalizzata, bensì si basava sulla disponibilità volontaria del medico, spesso li­ mitata nel tempo. Le fonti antiche sottolineano come fatto ecce­ zionale l'operato dei medici non volto al guadagno. Di regola, nel caso di interventi medici era consueto il pagamento anticipato, per cui il trattamento della malattia poteva fallire a causa delle scarse possibilità economiche del malato. Il saldo della fattura del medico conduceva di frequente alla rovina economica. Chi allora, come nel caso dell'emorroissa, non poteva più permettersi un me­ dico vero e proprio o aveva perso la fiducia nella medicina scienti­ fica, si rivolgeva o a luoghi di cura cultuali o ai taumaturghi cari­ smatici. Nessuno dei due però era gratuito. Per il culto di Ascle­ pio sono documentati sacrifici preliminari a pagamento, a cui si aggiungeva il saldo vero e proprio a scadenza annuale. Nel san­ tuario di Asclepio di Pergamo venivano anunessi solo coloro che, 169

con la nomina di garanti, assicuravano il successivo saldo della fattura. Anche i taumaturghi carismatici non offrivano gratuita· mente le loro pratiche prevalentemente magiche, bensì dipende­ vano forzatamente da una retribuzione per mantenersi. Con le sue guarigioni gratuite (Mt 10,8), il cristianesimo divergeva in questo punto in modo basilare dalle consuetudini dell'ambiente religioso. Il theologumenon di Gesù come medico che guarisce gratuitamen­ te, ampiamente attestato soprattutto negli Atti degli Apostoli apo­ crifi, dà voce a tale peculiarità. I taumaturghi carismatici cristiani, che si spostavano da una località all'altra, avevano diritto, nella tradizione del discorso della missione, al mantenimento da parte della comunità e potevano perciò rinunciare a farsi pagare per i loro miracoli. I Padri della chiesa non si stancano di sottolineare questa circostanza come imponante motivo della grande forza di attrazione del cristianesimo.

Mc 5 ,25-34 mostra in quale misura la malattia nell'anti­ chità rappresentasse soprattutto anche un problema econo­ mico e dove stesse la peculiarità della prassi cristiana a que­ sto proposito. Il racconto del miracolo trasmette la speran­ za di non essere abbandonati nel bisogno da Gesù, il medi­ co della gente povera che guarisce gratuitamente, fornendo così impulsi sempre validi per l'operato cristiano nel mon­ do. Per Mc 7,4-30 Gerd Theissen ha reso plausibile che nel rifiuto moralmente scandaloso della donna siro-fenicia da parte di Gesù si riflettono conflitti socio-culturali ed econo­ mici che si erano condensati fra ebrei e pagani nell'area di confine tra Tiro e la Galilea. L'episodio si svolge nella zona intorno a Tiro, in Fenicia, appartenente alla provincia ro­ mana della Siria. La donna siro-fenicia che chiede aiuto per la sua figlioletta viene caratterizzata attraverso l'ulteriore appellativo di 'greca' come indigena ellenizzata e quindi co­ me appartenente all'élite sociale. Un'analisi dei rapporti e­ conomici mostra che la ricca città di Tiro accaparrava rego­ larmente i cereali dell'entroterra galileo. Nel caso di crisi 170 l Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

negli approvvigionamenti la popolazione rurale galilea, più povera, aveva la peggio, dato che nella lotta per la divisione delle derrate alimentari doveva darsi per vinta alla forza d'acquisto cittadina e osservare passivamente l'esportazione a Tiro dei prodotti agrari locali. La frase di Gesù in Mc 7 ,2 7 , che fa scandalo e la cui metafora non è senz' altro chiara, potrebbe, secondo Theissen avere il significato ori­ ginario di «lasciate che prima si sfamino i poveri nell'entro­ terra ebraico. Non è bene infatti prendere il pane dei pove­ ri e gettarlo ai ricchi pagani delle città». La donna siro-feni­ cia rivolge in positivo questo tradizionale risentimento e­ braico nei confronti della popolazione urbana pagana e ot­ tiene la guarigione di sua figlia. L'approccio storico-sociale ai racconti di miracoli del Nuovo Testamento si rivela an­ che qui un arricchimento e può contribuire a una migliore comprensione del testo. Per quanto riguarda la collocazione sociale dei racconti di miracoli nel gruppo dei loro diffusori, non si può non vedere il chiaro vincolamento allo strato sociale. In origine i racconti di miracoli si collocano di preferenza nei ceti più bassi. Come storie di speranza dei piccoli contrastano sim­ bolicamente il bisogno, fanno vincere la fiducia sulla rasse­ gnazione e spronano a superare la negatività dell'esistenza nella vita quotidiana anche attraverso l'azione pratica. O­ biettando contro le condizioni reali, spingendo al supera­ mento del bisogno e pubblicizzando una prassi sociale al­ ternativa, i racconti di miracoli possono aprire opportunità di azione per la strutturazione e la modifica della nostra realtà di vita. Nel miracolo si mostra l'abbozzo di un mon­ do esistenziale alternativo, che invoca la sua realizzazione.

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Con l' àiuto dell'analisi storico-sociale, caratterizzata da un'integrazione di questioni sociologiche, economiche e culturali, è possibile fare luce sull a realtà di vita che sta dietro i racconti di miracoli del Nuovo Testamento. Si tratta di storie di speranza dei piccoli rivolte al presente, che donano fiducia ben al di là della loro collocazione storica e rivendicano il superamento del dolore.

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5. Interpretazione psicologica dei miracoli

I racconti di miracoli del Nuovo Testamento sono aperti all'analisi psicologica dei sentimenti, delle speranze e dei desideri profondi celati in essi. Ciò risulta sensato per pri­ ma cosa per chiarire storicamente la prassi taumaturgica di Gesù. Nei tentativi di un'adeguata comprensione del qua­ dro clinico e dei procedimenti terapeutici del Nuovo Testa­ mento, è sempre stato logico prendere in considerazione le 172 l Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

scoperte della psicologia e servirsene a scopo interpretativo. L'interesse conoscitivo dell'interpretazione psicologica della Bibbia è però anche di natura ermeneutica, dal momento che mira a collegare il testo biblico e la condizione dell'uo­ mo moderno. Le esperienze di base immagazzinate negli strati profondi dei racconti di miracoli vengono trasposte nella nostra vita e possono generare un'esperienza di sé. Gli importanti modelli interpretativi psicoanalitici dei miracoli di guarigione di Maria Kassel e Eugen Drewer­ mann devono molto al pensiero di Carl Gustav J ung. Que­ sti crede all'esistenza di una sfera profonda innata della psi­ che, che rappresenta una base, presente in ogni uomo, che trascende l'individuo e che pertanto viene chiamata incon­ scio collettivo. Nella sfera profonda dell'anima, secondo Jung, si sono impresse determinate immagini primordiali, gli archetipi, che si suddividono in elementi maschili dal­ l'impronta tendenzialmente razionale, definiti animus, e in elementi femminili dall'impronta tendenzialmente emotiva, definiti anima. Non solo una disarmonia tra animus e ani­ ma, ma soprattutto la cosiddetta ombra, la parte della per­ sonalità non accettata in sé dall'Io e pertanto rimossa, fa­ rebbero ammalare la psiche. La guarigione avviene in un processo graduale del divenire se stessi, definito individua­ zione. L'intenso ascolto dell'inconscio collettivo si dimo­ strerebbe quindi di valore inestimabile, dato che in esso sa­ rebbero celate le possibilità fondamentali del superamento della crisi, quali sono state apprese dall'essere umano nella preistoria. Al termine del processo di individuazione sta un lo completo, che ha integrato le sue parti della personalità timorosamente rifiutate e ha portato in un equilibrio armo­ nico i suoi opposti psichici. A partire da tali premesse, l'esegesi della psicologia del profondo è convinta che sotto la superficie dei racconti bi173

blici di miracoli si celi una struttura profonda segnata dal­ l'esperienza umana di base della vita sana, integrata. Così Maria Kassel concepisce Mc 5 , 1 -20 come racconto di un'in­ dividuazione in un determinato stadio. Nell'indemoniato di Gerasa il controllo delle energie sarebbe messo fuori uso dalla coscienza, esse si sarebbero rese indipendenti e agi­ rebbero in modo distruttivo. Dall'incontro con Gesù parti­ rebbe la scintilla iniziale di un processo di individuazione. La competenza terapeutica di Gesù non si fonderebbe qui su un comportamento appreso, bensì sull'aura della sua personalità completa, che avrebbe smosso le forze di inte­ grazione nel malato. Sulla spinta di un avvenimento sul piano oggettivo, attraverso l'in­ contro con Gesù, nella psiche disgregata dell'indemoniato di Ge­ rasa affiora sul piano soggettivo, nell'immagine di Gesù, l'uomo coeso, un archetipo di completezza che dona all'uomo quasi per­ duto la forza di diventare padrone delle potenze del proprio profondo - siede poi vestito, tranquillo e sano di mente (5 ,15); il conscio ha ripreso la sua funzione di controllo2•

Ciò viene tuttavia considerato solo uno stadio interme­ dio sulla via della guarigione. Il branco di maiali che si pre­ cipita in mare rappresenterebbe la sfera delle pulsioni e sa­ rebbe un simbolo condensato del fatto che la parte paurosa della personalità continuerebbe a essere scissa e rimossa ne­ gli strati più profondi dell'inconscio. In un processo di pro­ gressiva presa di coscienza l'indemoniato di Gerasa dovreb­ be portare in superficie anche questi elementi, accettarli co­ me ombra e integrarli nel proprio Io. Tale interpretazione del testo non rimane sul piano teorico astratto, ma mira a e-

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M. KAsSEL, Sei, der du werden sollst, Miinchen 1988', l 07 s.

17 4 l Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

sercitare gli approcci psicoanalitici alla tradizione biblica e a dissotterrare il tesoro di superamento salutare delle crisi nascosto in essi sotto la superficie. Attraverso il mezzo bi­ blico si verifica un impulso all'esperienza di sé e alla sco­ perta dell'identità, che mette in collegamento la dimensione profonda dei testi con la propria esperienza del profondo. n progetto più significativo di interpretazione psicologi­ ca dei miracoli si deve a Eugen Drewermann. Anch'egli u­ nisce aspetti storici ed ermeneutici, dipingendo da una par­ te il Gesù storico come uno sciamano e, dall'altra, metten­ do al centro dell'attenzione il potenziale terapeutico senza tempo insito nei racconti di miracoli. All'esegesi biblica sto­ rico-critica viene rimproverato un irrigidimento e un di­ stacco inappropriato dai testi. L'attenzione spetterebbe non alle condizioni storiche della genesi dei racconti di miraco­ li, bensì al loro lato umano, per avvicinarsi in esso di più a se stessi e agli altri, al di là di ogni confine di spazio e di tempo. All'approccio ai miracoli biblici scientifico-raziona­ le, ampiamente assolutizzato, Drewermann contrappone programmaticamente la richiesta di scoprire anche la di­ mensione profonda dei testi, influenzata da sentimenti e immagini, includendo come termine di paragone i fenome­ ni miracolosi che si verificano al di fuori dell'ambiente della cultura occidentale. I miracoli andrebbero visti come opere e fatti dei sentimenti e delle emozioni e non della ragione. Mentre la ricerca biblica storico-critica, come tarda figlia il­ legittima del razionalismo e del secolarismo, inciamperebbe in una gaffe dietro l'altra, un solo sguardo agli sciamani o stregoni delle culture primitive tribali potrebbe mostrare come vadano interpretate le guarigioni prodigiose della Bibbia e soprattutto quale potenziale di azione dalla vali­ dità senza tempo sarebbe insito in una forma genuina di re­ ligiosità. 175

Riprendendo il pensiero dei popoli primitivi, Drewer­ mann sviluppa un'immagine della malattia come espressio­ ne della disarmonia psichi ca, che vede riflessa nei testi bi­ blici e allo stesso tempo come specchio della situazione at­ tuale. Ben lontana dall'essere solo un avvenimento corpo­ reo, la malattia si basa per lui su una relazione disturbata con le forze del mondo invisibile, ultraterreno, dell'incon­ scio. Il corpo malato è lo specchio dell'anima che ha perso il suo equilibrio. Si ammala colui che ha perso il contatto con il mondo dei sogni, che ha smarrito la fiducia di crede­ re alla grandezza della propria natura e del proprio cammi­ no di vita e che si sente in colpa. Salute significa vivere al centro del mondo e in unione con ogni elemento della crea­ zione. A partire da tali premesse di pensiero tutti i quadri clinici della tradizione sui miracoli del Nuovo Testamento vengono dichiarati psicogeni. Il corpo reagirebbe con la lebbra, la febbre, la paralisi o la cecità alla malattia dell'ani­ ma. Se l'anima viene riportata in armonia con se stessa e l'ordine del cosmo, seguirebbe a ciò un risanamento com­ plessivo, che include anche il corpo. Tale guarigione, che si verifica negli strati dell'inconscio, avverrebbe oggi come al­ lora nell'incontro con Gesù, che emanerebbe un potere della fiducia capace di superare la malattia. Nel quadro di tale concezione complessiva Drewermann riesce in maniera stupefacente a far sì che i destinatari di oggi dei racconti di miracoli del Nuovo Testamento, con ciò che brucia loro nell'anima, si ritrovino nei testi e possano ottenere speranza di guarigione da essi. Gli uomini della nostra epoca soffrono quindi di una lacerazione dell'anima simile a quella che si verifica nel caso delle persone biso­ gnose d'aiuto nei resoconti di miracoli, anche se gli effetti sul fisico sono forse meno gravi, e possono fare anche loro l'esperienza della salvezza nell'incontro fiducioso con Gesù. 176 l Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

In Mc 2 , 1 - 12, ad esempio, verrebbe «riportata la guarigione di u­ na malattia che tutti conosciamo, perché tutti ne soffriamo in mi­ sura minore o maggiore. Si tratta certo di una forma piuttosto pe­ culiare di malattia. Viene vissuta come paralisi del corpo, ma la sua origine sta piuttosto nell'immobilità dell'animo. Viene perce­ pita come r!gidità del fisico, ma la sua origine sta in una profonda paura dell'anima dell'eventuale colpa nel futuro o nella profonda rassegnazione in seguito a errori già commessi nel passato»'.

In tale nuova immediatezza, che supera !"orrendo fossa­ to' tra testo e presente, sta la grande forza dell'interpreta­ zione psicoanalitica dei miracoli. I racconti biblici di mira­ coli vengono avvicinati come testi che trattano direttamente dei propri stati psichici e celano in sé immagini di speranza senza tempo. Se le persone si aprono a comunicare con la dimensione profonda dei testi biblici, possono avviarsi sa­ lutari processi di ritrovamento di se stessi. In questo modo, però, ignorando interamente la possibilità che la malattia, indipendentemente dalla psiche, possa essere anche un fe­ nomeno puramente fisico, nei resoconti di miracoli del Nuovo Testamento vengono lette storie di malattie in parte fantasiose, per metterle in scena orientate ai destinatari. L'interpretazione psicoanalitica dei miracoli fa breccia nella superficie di una storia biblica per trasportare alla luce le situazioni di conflitto psichiche e le immagini di speranza celate sul piano profondo che giace sotto di es­ sa. È in grado di mostrare, a partire dai racconti di mira­ coli del Nuovo Testamento, strade sempre percorribili di liberazione dalla paura, dalla lacerazione interiore e dalla 3 E.

DREWERMANN, Das Markusevangelium I, Olten 1990', 223 [trad.

it., Il vangelo di Marco, Queriniana, Brescia 1994] . 177

malattia psichi ca,. verso una personalità stabile, che vive in un'armonia complessiva e - gestisce così anche le sue parti d'ombra, valorizzando in tal modo l'effetto salutare del vangelo.

BmLIOGRAFIA BERG, H.K. , Ein Wort wie Feuer, Miinchen - Stuttgart 1 99 1 , 139- 168. DREWERMANN , E., Tie/enpsychologie und Exegese Il, Olten 1992', 43 309 [trad. it., Psicologia del profondo e esegesi 2. La verità delle o­ pere e delle parole, Queriniana, Brescia 1996, 4 1 -240] . DREWERMANN, E., Das Markusevangelium l-II, Olten 1 987 [trad. it. , Il vangelo di Marco, Queriniana, Brescia 1994 ] . DREWERMANN, E., Das Matthausevangelium I-III, Olten 1990'. FREY, J., Eugen Drewermann und die biblische Exegese, WUNT IV7 1 , Tiibingen 1995. KASSEL, M., Sez; der du werden sollst, Miinchen 19882• LODEMANN, G., Texte und Triiume, BenshH 7 1 , Gottingen 1992.

6. Ermeneutica dello straniamento L'ermeneutica dello straniamento, studiata e proposta soprattutto da Sigrid Berg e Horst Klaus Berg presuppone un'intensa conoscenza del testo biblico e mira a spezzare modelli di percezione consolidati tra testo e ascoltatore. Nelle tradizioni che risultano spente a causa dell'eccessiva famigliarità o che sono diventate estranee a molti deve esser alimentato un fuoco nuovo. Sullo sfondo sta la teoria dello straniamento, il cosiddetto 'effetto di straniamento' che Bertolt Brecht aveva sviluppato in modo programmatico mirando a un rinnovamento del teatro. 178 1 Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

L'effetto di straniamento consiste nel trasformare la cosa che dev'essere compresa, a cui va rivolta l'attenzione, da una cosa consueta, nota, immediatamente accessibile in una cosa particola­ re, vistosa, inaspettata. L'ovvio viene in un certo senso reso in­ comprensibile, ma ciò avviene soltanto per renderlo ancora più comprensibile. Affinché quanto è conosciuto venga riconosciuto, bisogna farlo uscire dalla sua scarsa appariscenza; bisogna rompe­ re con l'abitudine secondo la quale la cosa trattata non ha bisogno di spiegazioni. D'ora in poi, per quanto diffuso, semplice, popola­ re, viene marcato come qualcosa di inconsueto'.

Lo straniamento dei testi biblici può avvenire dal punto di vista letterario o visivo. Una delle tecniche più importan­ ti dello straniamento letterario concerne la modifica della forma linguistica, per cui ad esempio un racconto di mira­ coli viene riformulato sotto forma di poesia. Anche la tra­ sposizione di una tradizione biblica in un nuovo contesto e­ sistenziale storico o geografico o l'inserimento di nuovi per­ sonaggi ha come conseguenza Io straniamento. A ciò si ag­ giungono modifiche del contesto del passo biblico, per cui esso ottiene una nuova cornice o viene combinato con altri testi della Bibbia. Lo straniamento visivo è un campo a sé, per lo più ormai solo tenuemente collegato con il testo bi­ blico, e viene realizzato attraverso immagini, sculture, cari­ cature o fotomontaggi. L'ermeneutica dello straniamento è in grado di contri­ buire in modo decisivo al superamento del profondo abisso tra la situazione storica del testo e il presente dell'ascoltato­ re. Spinge al confronto con il testo e insuffla nuova vita alla tradizione logorata dal funesto effetto dell'abitudine e di­ ventata 'over/amiliar ' troppo familiare. Attraverso la resa -

' B. BRECHT, Gesammelte Werke, 15: Schri/ten zum Theater l , Frank­ furt a. M. 1973 , 355.

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straniata delle famigliari tradizioni bibliche si risvegliano stupore e curiosità, si mette in moto un processo di rifles­ sione sul proprio atteggiamento verso il testo e si suscitano obiezioni produttive. Così il Bartimeo di Rudolf Otto Wie­ ner spinge alla riflessione sul theologumenon della morte di croce di Gesù, diventato troppo ovvio, e sul significato di seguire Cristo nel dolore. Bartimeo

Io sono quello a cui Lui ha ridato la vista. Cosa ho visto? Sulla croce Lui, giustiziato, Lui, più impotente di quanto lo ero io, Lui, il compassionevole, torturato. lo chiedo: dovevo perdere la mia cecità, per vedere questo'?

Erich Fried prende come spunto per il suo straniamento di Mc 5 , 1 -2 0 il desiderio dell'ex indemoniato di Gerasa (in altri manoscritti biblici di Gadara) di seguire Gesù, da que­ sti non accolto. Dalla prospettiva del malato guarito viene descritta l'esperienza dell'apparente rifiuto. In contrasto con la popolare spiegazione che Gesù non vuole condurre a una nuova dipendenza l'uomo liberato dai demoni, viene proposta l'immagine di un taumaturgo freddo e dispotico, che spinge a una riflessione critica sulle convenzionali con­ cezioni di Cristo. ' In K.-J. KUSCHEL, Der andere ]esus, Ziirich 1983 , 388.

180 l Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

Il Gadareno guarito Quello che ha scacciato da me la legione dei miei demoni non vuole portarmi con sé perché i guardiani di porci lo cacciano («Falli da un'altra parte i tuoi miracoli, non a spese dei nostri maiali»). Quello che mi ha amato abbastanza per salvarmi non mi ama abbastanza per avermi vicino? Mai ho avuto abbastanza amore solo nelle vuote caverne del non amore in me poterono stabilirsi i diavoli (così come io mi rifugiavo nei sepolcri vuoti). «Dio è amore» dice lui ma lui chi ama? Ama solo i suoi miracoli e la gloria di cui partecipa? Ama l'umanità e non i singoli uomini? Ama solo il pensiero del suo amore? O gli uomini non contano niente per lui e odia solo i loro diavoli? Gli sono indifferente come i porci affogati e come i guardiani che dei porci vivono?

n suo amore forse non è di questo mondo? Ama solo suo Padre e il suo incarico? Vado ad annunciare i suoi miracoli come mi ha detto. Voglio amarlo lui che mi ha salvato. Ma com'è questo amore che mi lascia solo6?

6 In S. BERG H.K. BERG, Himmel auf Erden, BTV 1 1 , Miinchen Stuttgart 1989, 56s. -

181

-

Non meno provocatorio appare il confronto dell'imma­ gine di speranza dei racconti di miracoli del Nuovo Testa­ mento con la realtà talvolta tanto disperata. La moltiplica­ zione dei pani trasmette la fiducia nel fatto che vicino a Ge­ sù tutti vengono saziati. In vaste zone della terra ciò si di­ scosta da ogni realtà. Lothar Zenetti riprende questo con­ trasto e include la storia della tentazione, in cui Gesù nel deserto, davanti all'insistenza di Satana, si rifiuta di mettere in mostra il suo potere trasformando i sassi in pane (Mt 4,4). Lo straniamento letterario mette massicciamente in di­ scussione l'ovvietà con cui i miracoli di Gesù vengono con­ siderati immagini di speranza e allo stesso tempo i miracoli spettacolari vengono visti come illegittimi. Perlomeno na­ scosto si può udire l'appello a diventare attori della parola e mettersi al posto di Gesù, apparentemente assente. Lapide commemorativa nella zona del Sahel Qui non mangiarono in cinquemila. Nessuno con cinque pani e due pesci. Nessuno che benedisse e distribuì. Nessuno che si saziò. Nessuno che descrisse un miracolo. E neppure che consigliò di trasformare i sassi in pane: persino Satana rimase assente in questa giornata del tutto normale sotto il sole spietato del deserto del SaheF.

A fianco della riformulazione dei racconti di miracoli in una forma linguistica totalmente diversa, anche gli strania' In S. BERG - H.K. BERG, Stuttgart 1987, 21.

. . .

und alle wurden satt, BTV 7, Miinchen ­

182 l Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

menti visivi nel campo delle arti figurative aprono nuove possibilità di comprensione dei testi biblici. Bisogna qui di­ stinguere tra straniamento volontario e involontario. Gli straniamenti volontari nascono rifacendosi consapevolmen­ te a un testo biblico e perseguono lo scopo di traspome in­ terpretativarnente il contenuto in immagini e di illuminarlo da nuove prospettive. Chiari esempi sono offerti dalle raffi­ gurazioni dei miracoli di Gesù nell'arte medievale, quali so­ no stati raccolti da Wolfgang J aeger nel suo studio icono­ grafico sul tema delle guarigioni dei ciechi. Tra essi spicca­ no le opere della scuola di Reichenau e di Echtemach, per i quali si tratta di illustrazioni dell'operato miracoloso di Ge­ sù in evangeliari, lezionari e libri di preghiere. A fianco di essi ci sono raffigurazioni artistiche che mo­ strano involontari riferimenti a una tradizione biblica e possono ampliarne o approfondirne la comprensione. Que­ sto è, ad esempio, il caso delle opere Fiammiferaio I ( 1920) e Fiammiferaio ( 1 92 1 ) di Otto Dix, in relazione alla storia di Bartimeo. Entrambi i quadri fanno parte di una serie di lavori in cui Dix inizia a confrontarsi con le conseguenze della prima guerra mondiale. Le persone alle quali, al mo­ mento della mobilitazione, era stato fatto sperare il ringra­ ziamento della patria, siedono ora sulla strada come invali­ di di guerra. Sono emarginati dalla società e cercano di assi­ curarsi l'esistenza con la vendita di merci di scarsa impor­ tanza. Il fiammiferaio è caratterizzato come ex soldato dal suo berretto militare. In guerra non ha perduto solo la vi­ sta, ma anche braccia e gambe. È accoccolato sul selciato del marciapiede vicino al tombino e offre le sue merci. Paga il conto della guerra perduta e incarna l'esistenza disperata di migliaia di ambulanti nelle città tedesche del primo do­ poguerra, mentre la società 'bene' - un signore con i panta­ loni a strisce, una signora in gonna di pizzo, un altro signo1 83

re con i gambali - gli volge le spalle come in fuga. Gli è ri­ masto un cane come unico amico. L'immagine mette drasti­ camente in luce la solitudine del cieco. Come straniamento involontario di Mc 10,46-62 fa diventare il testo biblico una storia di compassione, in cui viene destata simpatia per il cieco e si invita all'attenzione affettuosa nei suoi confronti. L'ermeneutica dello straniamento vuole spezzare modelli di percezione consolidati tra testo e ascoltatore ed è in grado di contribuire al superamento del profondo abisso tra la situazione storica del testo e il presente dell'ascolta­ tore. Gli straniamenti letterari o visivi spingono al con­ fronto con il testo e insufflano nuova vita alla tradizione diventata 'over/amiliar', troppo familiare o estranea. A t­ traverso la resa straniata delle famigliari tradizioni bibli­ che si risvegliano stupore e curiosità, si mette in moto un processo di riflessione sul proprio atteggiamento verso il testo e si suscitano obiezioni produttive. BIBLIOGRAFIA BERG, H.K., Biblische Texte ver/remdet, Mi.inchen - Stuttgart 1986. BERG, H.K., Ein Wort wie Feuer, Mi.inchen - Stuttgart 1 99 1 , 3 66-

3 85. BERG, S. - BERG, H.K., Himmel au/ Erden. Wunder und Gleichnisse, BTV 1 1 , Mi.inchen - Stuttgart 1989. W. J AEGER, Die Heilung des Blinden in der Kunst, Sigmaringen 19792•

1 84 l Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

7.

Estetica della ricezione e esegesi alla luce della storia degli effetti

L'esegesi alla luce della Wirkungsgeschichte ('storia degli effetti') persegue l'inglobamento della tradizione di fede e la storia della ricezione nel processo di interpretazione del­ le Scritture. Ciò ha diverse connotazioni. Nella sua erme­ neutica filosofica, Hans-Georg Gadamer difende la causa dello sviluppo di una coscienza della storia degli effetti, che faccia entrare l'essere umano nel potere dell'importanza del passato che la anima e lasci fondere l'orizzonte del presente con quelli delle epoche passate. La concezione della teolo­ gia biblica pretende un'interpretazione dei testi biblici ri­ flettuta da un punto di vista della storia degli effetti alla lu­ ce della dottrina di fede della chiesa e in accordo critico con la tradizione cristiana che deriva da essa. La coscienza della necessità di un'interpretazione secondo la Wirkungs­ geschichte delle Scritture è stata tuttavia decisamente raffor­ zata dall'estetica della ricezione. L'estetica della ricezione, in inglese definita di solito 'rea­ der response critiàsm', è un metodo di critica letteraria sor­ to negli anni Sessanta, che negli ultimi vent'anni è entrato sempre più a far parte dell'esegesi biblica. Viene annovera­ ta tra le forme sincroniche dell'analisi del testo, che parto­ no dal testo di arrivo come un tutto organico e studiano il suo 'funzionamento', rinunciando invece a una lettura dia­ cronica, che cioè non sono interessate a una ricostruzione degli stadi letterari preparatori e agli elementi costitutivi della storia della tradizione. Il sorgere dell'estetica della ri­ cezione è il risultato di un mutamento dei paradigmi della critica letteraria, dal momento che una prospettiva di osser1 85

vazione incentrata sull'opera e sull'autore viene sostituita dal fatto che i lettori entrano nel campo visivo come metro fondamentale. A contare è l'interazione tra opera e colui che la recepisce. Il testo è una grandezza incompiuta, un'o­ pera d'arte aperta, che contiene segnali-guida e giunge al compimento tramite l'interprete. Lo si può concepire come una partitura, che viene eseguita per la prima volta dal let­ tore. Sotto l'effetto dell'estetica della ricezione, Bas van Ier­ sel e Hubert Frankemolle hanno presentato le loro esegesi rispettivamente del vangelo di Marco e di Matteo, in cui i te­ sti biblici vengono rigorosamente interpretati in base alla prospettiva dei loro primi lettori e in cui vengono ricavati i segnali-guida per il lettore provenienti dal testo. In Fran­ kemolle ciò si collega a una teoria pragmatica del testo, o­ rientata all'azione. L'intenzione perforrnativa dei racconti di miracoli del vangelo di Matteo sui primi destinatari stareb­ be nell'abbozzo di un mondo esistenziale alternativo che metterebbe in discussione modelli comportamentali e apri­ rebbe nuove possibilità di azione. Nella ricezione contereb­ be la prassi comunicativa di solidarietà con gli emarginati, rifacendosi al modello di Gesù. Se il significato si costituisce solo nell'atto della lettura, un testo consente una gamma di attribuzioni di senso molto diverse. L' estetica della ricezione insegna a comprendere che un testo biblico non presenta un significato obiettivo, dal valore atemporale, ma è caratterizzato da una fonda­ mentale apertura, dal momento che può venire interpretato in maniera molto diversa da lettori diversi in tempi e situa­ zioni diversi. In questo modo la Wirkungsgeschichte suscita­ ta dai testi biblici acquista valore dal momento che le tradi­ zioni bibliche vengono considerate alla luce della loro at­ tualizzazione. L'acquisizione attiva di un'opera avviene at­ traverso il tramite delle acquisizioni precedenti, tenendo 1 86 l Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

quindi conto della storia della ricezione. L'interpretazione della Bibbia in base alla storia degli effetti segue quindi le tracce che un testo biblico ha lasciato nel corso di quasi duemila anni nella storia della chiesa e della teologia, ma anche nella letteratura e nelle arti figurative. Si basa sull'i­ dea che ogni commento del corpus biblico, consapevolmen­ te o meno, è ancorato in una lunga tradizione, che influen­ za in modo decisivo l'orizzonte della propria interpretazio­ ne. Nessuno può affrancarsi dai commenti dei suoi prede­ cessori, non esiste esegesi priva di pregiudizi. Per questo è indispensabile prendere in considerazione la lunga storia dell'interpretazione di un testo biblico attraverso tutte le e­ poche e farla fruttare nei propri tentativi di analisi. Quando ciò avviene, si apre lo sguardo per un grande tesoro di e­ sperienze storiche fatte dalle persone delle epoche passate con i testi biblici. Allo stesso tempo una consapevolezza della storia degli effetti impedisce di far confluire senza ri­ flettere tradizioni interpretative teologicamente problemati­ che nella propria esegesi delle Scritture. Lo studio della storia degli effetti mostra che esistono molteplici possibilità diverse di interpretazione di una tra­ dizione biblica e tale apertura è già presente in misura con­ siderevole nel testo stesso. La percezione di tale moltepli­ cità avvia a essere consapevoli della provvisorietà della pro­ pria interpretazione e ad esercitare tolleranza nei confronti di altri modelli interpretativi. Lo sguardo alla storia degli effetti rivela una soggettività storicamente determinata di tutte le interpretazioni, che libera dal fissarsi su un'unica a­ nalisi del testo valida e contrasta l'influenza paternalistica della tradizione esegetica sull'interprete. D'altra parte ciò non significa però che il testo biblico sia un giocattolo iner­ me nelle mani dell'esegeta e che a ogni qualsivoglia analisi spetti la sua legittimazione. Quanto più le interpretazioni si 1 87

sono allontanate dall'intenzione originaria di un testo, tanto più criticamente ne va indagata la validità, a maggior ragio­ ne quando un'esegesi presenta tratti discutibili, quando ad esempio legittima la violenza o presenta note antisemite. La memoria storico-critica dell'intenzione espressiva di un te­ sto rappresenta perciò un importante correttivo della storia dell'esegesi e le mostra il suo vero volto. Funge da avvocato del testo nei confronti di interpretazioni arbitrarie o errate da parte dell'interprete. Nell'ambito della varietà della storia dell'esegesi, i rac­ conti di miracoli del Nuovo Testamento non rappresentano di certo un'eccezione. Gli esegeti si servono con grande li­ bertà dei racconti di miracoli tramandati, per renderli lin­ guaggio della propria fede, inserendo così spesso nuove i­ dee nei testi. Alcune caratteristiche si estendono come un filo conduttore per tutta la storia dell'esegesi. Domina ad e­ sempio la tendenza a far passare in secondo piano la stori­ cità del concreto evento miracoloso a vantaggio della spe­ culazione teologica o della moralizzazione. I singoli tratti dei racconti di miracoli vengono in gran parte interpretati allegoricamente. Nell'esegesi la guarigione fisica ha di solito un ruolo del tutto subordinato, dal momento che la malat­ tia viene intesa in senso figurato. In essa il malato rappre­ senta spesso la tipologia del fedele colpevole che si avvicina a Cristo in cerca di aiuto e viene da questi colmato di doni. Oltre a tali applicazioni individualistiche, la storia dell'ese­ gesi è caratterizzata in varia maniera dai tentativi di leggere in singole tradizioni sui miracoli concezioni ecclesiologiche o di sviluppare abbozzi della storia della salvezza.

188 l Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

L'estetica della ricezione vede il significato di un testo co­ me costituito dal lettore e volge lo sguardo alla Wirkungs­ geschichte ('storia degli effetti') con le sue diverse attribu­ zioni di significato. L'esegesi alla luce della storia degli ef­ fetti vuole prendere in considerazione la ricca storia del­ l'esegesi di un testo attraverso i secoli, indagame la legit­ timità e renderlo fecondo per la propria interpretazione. Per quanto riguarda i racconti di miracoli del Nuovo Te­ stamento si evidenzia che essi sono stati intesi in maniera allegorica nella stragrande maggioranza dei casi.

BIBLIOGRAFIA BEE-SCHROEDTER, H., Neutestamentliche Wundergeschichten im Spiegel vergangener und gegenwiirtiger Rezeptionen, SBB 39, Stuttgart 1998. BERG, H.K., Ein Wort wie Feuer, Munchen - Stuttgart 199 1 , 33 1 365 .

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1 89

Sintesi: Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli Concezione

Rappresentanti

Caratteristiche

Ermeneutica esistenzialista

R. Bultmann,

Teologia biblica

P. Stuhlmacher, O. Betz, W. Grirnm, R. Gli:ickner

I miracoli di Gesù, da interpretare sullo sfondo della tradizione dell'Antico Testamento, sono da considerare come parte della storia di Dio con gli esseri urnani che comprende la Bibbia intera e non vanno isolati dall'esperienza di fede nell'ambito della chiesa.

Ermeneutica femminista

E. MoltmannWendel, L. Schottroff, C. Mulack

Con la loro dimensione emancipatoria, i miracoli operati sulle donne aprono la visuale sulla reintegrazione complessiva della fisicità femminile e rimportante ruolo della donna nel movimento intorno a Gesù.

Punto di vista storico-sociale

G. Theissen

Viene illuminata la realtà di vita che sta alle spalle dei racconti di miracoli. Si tratta di racconti di speranza senza tempo dei piccoli, che somministrano conforto e rivendicano un mondo migliore.

Interpretazione psicologica

M. Kassel, E. Drewermann

I racconti di miracoli spalancano strade di liberazione dalla paura

G. Klein, W. Schmithals

Il miracolo è portatore di un messaggio di fede da estrarre attraverso la demitizzazione, che mette radicalmente in discussione la comprensione dell'esistenza dell'essere umano e gli apre nuove prospettive esistenziali.

190 l Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

e dalla lacerazione interiore, verso una personalità che vive in armonia globale e integra anche il suo lato d'ombra. Ermeneutica dello straniamento

S. Berg, H.K. Berg

Attraverso la resa straniata dei racconti di miracoli si desta euriosità, si mette in moto un processo di riflessione sul proprio atteggiamento nei confronti del testo e viene suscitata un' obiezione produttiva.

Estetica della ncez10ne, esegesi alla luce della storia degli effetti

H. Frankemi:ille, B. van Iersel, U. Luz, H. BeeSchroedter

Il significato di un testo viene costruito dai lettori. La ricca storia della ricezione va inclusa nell'interpretazione dei racconti di miracoli.

Bibliografia in lingua italiana ALT, F., Gesù: il primo uomo nuovo, SugarCo, Milano 1991. BERGER, K., Ermeneutica del NT, Queriniana, Brescia 200 1 . BULTMANN, R. , Nuovo Testamento e mitologia, Queriniana, Brescia 1990.

BUHRIG, M. - SCHOTTROFF, L. - WACKER, M. T., Riletture bibliche al femminile, Claudiana, Torino 1994. BUZZETII, C., Esegesi ed ermeneutica, in Dizionan'o Teologico Interdi­ sciplinare 2, Marietti, Torino 1 977, 1 1 0- 126. CANFORA, G. et al. , Esegesi ed ermeneutica (Atti XXI ABD, Paideia, Brescia 1972. DREWERMANN, E., Psicologia del profondo e esegesi 2. La verità delle opere e delle parole. Miracolo, visione, profezia, apocalisse, storia, parabola, Queriniana, Brescia 1996. DREWERMANN, E., Il vangelo di Marco, Queriniana, Brescia 1994. lsER, W., L'atto della lettura. Una teoria della risposta estetica, li Muli­ no, Bologna 1987. KASPER, W., Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia 1975, 1 15 - 1 3 1 . 191

l>. E che altri dicono: «È Gesù di Nazaret, che è venuto da Dio>>. E altri ancora: . E allora il mendicante si ricorda che lo ha già sentito dire spesso. E sente che arrivano da là dietro. Allora inizia a gridare: «Gesù, Messia, aiutami. Abbi pietà di me ! >>. li cieco ha notato qualcosa. 'Vede' qualcosa. Per questo gri­ da: «Gesù, aiutami, abbi pietà di me>>. Le molte persone che arrivano con Gesù non vogliono che lui gridi: «Taci, mendicante, sta zitto ! Gesù non ha tempo per te>>. Sgridano Bartimeo. Lui però grida, ancora più forte di prima: «Gesù, Messia, aiutami! Abbi pietà di mel»>. Allora Gesù lo sente. Si ferma. Dice: «Chiamatelo ! >>. Allora, di colpo, quelli che un atti­ mo prima imprecavano, lo chiamano: «Bartimeo, vieni, alzati, fatti coraggio. Rallegrati. Gesù ti chiama!». E allora il cieco Bartimeo balza in piedi, getta via il mantello e viene avanti a tastoni. Viene avanti di corsa brancolando. Viene da Gesù. Gesù lo guarda: «Che vuoi che io ti faccia?». Bartimeo alza le mani al cielo: «Caro Signore, rabbunz', vorrei vedere». Gesù gli di­ ce: «Bartimeo, tu vedi già. Hai già visto da tempo la cosa più im­ portante. Con il tuo - cuore. Hai 'visto' chi sono io, con il cuore. Hai visto che vengo da Dio. Tu credi in me. La tua fede ti ha sal­ vato. Non sei più 'cieco'. Mi hai 'visto'». Ed è così davvero: Barti­ meo lo sa: «Questo Gesù è il mio Signore». In Gesù 'vede' Dio. E va con Gesù - da quel giorno in poi. Gesù però va sulla strada da Gerico a Gerusalemme. E Gesù sa che cosa lo aspetta a Gerusa­ lemme: la croce'.

Il ductus del racconto biblico viene rispettato. L'adatta­ mento si muove in modo aderente al testo e si serve di frasi semplicissime. Parecchie volte interviene lo strumento della ripetizione intensificante. Un termine bisognoso di spiega­ zioni come 'Figlio di Davide' viene sostituito dal noto 'Mes-

' D. Steinwede, in G. URBACH (ed.), Biblische Geschichten Kindern er· zahlen, GTB 640, Giitersloh 1981', 50, 52.

207

sia', la sequela concretizzata come sequela nella passione. Steinwede individua come centro teologico il 'vedere' sim­ bolicamente Gesù come Messia di salvezza e lo sviluppa in modo tale che intende la guarigione di Bartimeo, consisten­ te in realtà nella restituzione della vista, in maniera pura­ mente figurata come fine della cecità del cuore. In questo modo si assolutizza una visione kerygmatica del miracolo come portatore di messaggi di fede, sottraendo spazio a un'interpretazione letterale. A fronte del fatto che il rac­ conto di Bartimeo non nasce dal mondo dei miti, ma risale all'operato storico di Gesù, questo impoverimento susciterà giustificate obiezioni tra i destinatari del racconto. Nel caso di Walter Neidhart, invece, domina il motto del lavoro di fantasia. La soggettività e la presa di posizione e­ motiva sono consapevolmente .previsti. Lo svolgimento del­ l' azione dell'originale biblico viene esteso con ampi inserti narrativi e arricchito di tratti secondari. Si inventano nuovi personaggi e viene data voce ai supposti sentimenti degli attori. Lo si può osservare bene nell'abbozzo narrativo di Neidhart a proposito di Mc 10,46-52, in contrapposizione a Steinwede. La lunga storia di sofferenza di Bartimeo, che come annodatore di tappeti perde la vista e il lavoro, viene dipinta in colori cangianti, così come i suoi stati d'animo, spiegando allo stesso tempo il significato di 'Figlio di DaVI'd e ' . Bartimeo, il figlio di Timeo, era apprendista da Mastro Mattia. Voleva diventare annodatore di tappeti. Il maestro era famoso per la sua abilità. Il tappeto variopinto nella sinagoga di Gerico, che copriva lo stipo con i rotoli della Legge, era stato fatto da lui. Mantenuto nelle tonalità rosso vino e azzurro, al suo centro splen­ deva un candelabro a sette bracci che rischiarava tutto l'ambiente. Il giovane Bartimeo amava il proprio lavoro e faceva progressi. Imparava quali colori si intonano l'un l'altro e come si devono 208 l Approcci orientati alla pratica

cambiare i fili e annodarli insieme, affinché il motivo voluto spic­ chi sullo sfondo. Nel terzo anno di apprendistato ebbe già il per­ messo di intraprendere un lavoro suo: il capo della sinagoga aveva ordinato per la sua nuova sala da pranzo un arazzo con la stella di Davide a sei punte. Sotto la stella doveva esserci, in lettere sacre, la parola 'Figlio di Davide'. Bartimeo iniziò il lavoro con zelo dal basso verso l'alto ed era già all'altezza dove preparava i fili per le lettere. , Il maestro gli fece prima disegnare sulla carta le lettere nelle dimensioni volute per il tappeto. Si rallegrò quando l'ap­ prendista tracciò sul foglio i segni in modo netto e preciso. «Sai anche che cosa significa: 'Figlio di Davide'?», chiese. «Sì, maestro, il rabbino ce lo ha spiegato spesso, quando abbiamo im­ parato a leggere con lui. n Figlio di Davide è il Re e Liberatore che Dio ci invierà». Mattia rispose: «Possa venire presto ! n giogo dei romani pesa duramente sulle nostre spalle e il nostro popolo geme e grida verso il Signore come gridava un tempo nella schia­ vitù d'Egitto>>. Poi il giovane chiese: «Perché il capo della sinago­ ga vuole avere questa parola sull'arazzo?». «Perché ogni giorno prega per la venuta del Figlio di Davide. Ha molto sofferto sotto i romani. Gli hanno ucciso un figlio». Nei giorni seguenti si poteva già vedere sull'arazzo incominciato come crescevano le lettere. Ma Bartimeo dovette interrompere il la­ voro. Gli era venuta un'infiammazione agli occhi. Erano arrossati e facevano male. Se guardava l'arazzo, tutto gli si confondeva davan­ ti. La nonna sapeva un rimedio. Conosceva un'erba medicinale, ne bolli un decotto e fece con esso degli impacchi sugli occhi al ragaz­ zo. Ma lui non migliorò. Quando apriva gli occhi, ogni raggio di sole gli faceva male. Portava sempre una benda intorno agli occhi. Era infelice di non poter più andare al lavoro. Mastro Mattia do­ vette portare a termine da solo l'arazzo con la stella di Davide. [ . . . ] Quando era solo, piangeva spesso e accusava Dio per avergli inviato questa sventura. Dubitava se ci fosse davvero un Dio giu­ sto, se lui, benché non avesse fatto nulla di male, era diventato cieco. I suoi giorni si trascinavano lentamente, perché non sapeva cosa fare. Di notte all'inizio sognava ancora di tappeti colorati e stelle splendenti. Con il tempo però anche i suoi sogni diventaro­ no nei toni del grigio. Solo ogni tanto affiorava in lui la domanda se il Figlio di Davide, quando sarebbe venuto, lo avrebbe liberato 209

dalla cecità. Allora tornava ad avere W1 barlwne di speranza. Ma il Figlio di Davide non arrivava e nell'anima di Bartirneo si faceva sempre più buio'.

Nell'adattamento del miracolo vero e proprio, l'intenzio­ ne di Neidhart sembra essere quella di presentare la guari­ gione come esperienza soggettiva di Bartimeo, tenendo in questo modo consapevolmente in sospeso la sua realtà, co­ sa più adeguata alla pluridimensionalità del testo che l'in­ terpretazione fin dall ' inizio simbolica di Steinwede. Agli a­ scoltatori viene lasciata in gran parte la decisione fino a che punto sono disposti a interpretare il racconto in modo mi­ racoloso. n processo fisico della guarigione viene relativiz­ zato attraverso una formulazione introdotta da 'come' e perde ancora di più rilevanza in quanto l'obiettivo si rivolge in modo mirato allo stato d'animo emotivo di Bartimeo. Non si racconta quello che hanno visto gli altri, ma ciò che ha vissuto Bartimeo. Allora gli succede come a qualcuno che dopo W1 lungo incubo a­ pre gli occhi e vede il giorno chiaro davanti a sé. Non riesce quasi a credere che il brutto sogno sia già passato. Vede Gesù davanti a sé e le molte persone intorno a lui. I loro volti lo scrutano attentamen­ te. Tutto risplende di colori variopinti, le vesti, la strada, le palme, le mura della città, il cielo azzurro. Bartimeo vede in modo chiaro e nitido come allora, quando ancora annodava tappeti da mastro Mattia. Dentro di sé sente W1 possente flusso di gioia santa7•

Nel caso di racconti di miracoli con un fondamento sto­ rico molto più fragile, cioè le risurrezioni e i miracoli sulla ' W. NEIDHARI', Erzà'hlbuch zur Bibe/ 2, Lahr 199Y, 143 - 145 . ' W. NEIDHART, op. cit. , 146. Cfr. le considerazioni di base sulla narra­ zione del processo miracoloso in W. NEIDHART H. EGGENSBERGER (edd.), Erziihlbuch zur Bibel 1, Lahr 1990', 94-103. -

2 1 0 l Approcci orientati alla pratica

natura, Neidhart offre ai lettori diversi modelli interpretati­ vi. Ciò libera dalla pressione autoritaria della tradizione bi­ blica a dovere considerare vero il miracolo, spostando lo sguardo sul kérygma. Possono venire inventati dei contem­ poranei di Gesù che spiegano l'avvenimento in modo razio­ nale o lo assegnano all'ambito della letterarietà, accoglien­ do in questo modo i dubbi dell'ascoltatore e favorendo la percezione del miracolo come testimonianza di fede. Nel­ l'adattamento del racconto di Giairo (Mc 5 ,2 1 -24.35-43 ) un contemporaneo fittizio di nome Tatiano viene messo a con­ fronto con opinioni tanto diverse sullo svolgersi dell'evento miracoloso che giunge infine alla conclusione: Per i cristiani, dunque, c'era qualcos'altro di importante in questa storia che la domanda su cosa sia successo allora in casa di Giairo. In essa sentivano la promessa di Dio che i loro figli vivranno an­ che dopo la morte8•

La narrazione biblica può servirsi, oltre che del libero a­ dattamento, anche di una cornice o di un contesto. Si in­ venta una situazione storica o contemporanea, si sente nar­ rare il racconto di un miracolo del Nuovo Testamento. Questa tecnica narrativa viene non per nulla applicata di preferenza ai miracoli sulla natura, dato che i testi biblici, attraverso la cornice, vengono staccati dal piano di semplici resoconti di fatti reali, trasmessi come testimonianze di fede e interpretati così in una dimensione più profonda. In que­ sto caso è importante che la situazione utilizzata come cor­ nice corrisponda al presunto messaggio di fede del raccon­ to del miracolo. Dietrich Steinwede, ad esempio, colloca il racconto della tempesta placata da Gesù nel contesto delle 8

W. NEIDHART - H. EGGENSBERGER, op. cit. , 247.

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persecuzioni dei cristiani da parte di Nerone. Attraverso questo 'setting' - ambientazione, il miracolo non appare co­ me resoconto di fatti reali, bensì prende la parola come te­ stimonianza esistenziale di fede, che riflette lo smarrimento dell'essere umano nel mare della paura e la speranza di ve­ nire salvati. Danno la caccia ai cristiani. Vengono trascinati nel circo. Sono sbranati dai leoni. Altri vengono crocifissi. Si cospargono altri di pece e si dà loro fuoco. Vengono bruciati - come fiaccole umane nella notte. 'E molti giacciono in prigione. Anche loro moriranno. Tremano. Hanno la morte davanti agli occhi. Hanno una paura terribile. Hanno l'acqua alla gola. È come un mare di paura. «Chi ci aiuterà?». È come se annegassero: «Aiutaci, siamo perduti !». Tutto ciò avvenne a Roma. Sotto l'imperatore Nerone. È l'anno 64. Nerone voleva veder bruciare Roma. Voleva cantare la città in fiamme. Pensava di essere un grande poeta. Aveva fatto appiccare fuoco dappertutto - di nascosto. TI popolo era pieno di rabbia. Si dovevano trovare dei colpevoli: i cristiani! È colpa dei cristiani! Questo era il grido che era risuonato per le strade. Poi iniziò la caccia. Ora giacciono in prigione, i cristiani. Molti sono già morti. Ma quelli che sono ancora vivi, si aggrappano alla vita. Pregano. Gridano: «Aiutaci, Signore! Aiutaci, siamo perduti !». Gridano la loro paura. Poi qualcuno inizia a parlare in una delle prigioni dell'impera­ tore. Guarda tranquillo gli altri, tutti quelli che gridano di paura. È cahnissimo: «Ero in Galilea», dice. «Allora! Sentii che cosa rac­ contavano di Gesù. Hanno raccontato di una tempesta, di una tempesta di vento sul lago di Genesaret. Sì, è andata così: i disce­ poli erano fuori in barca. Il mare alzava la voce. Le onde si avvici­ navano selvaggiamente. Le onde erano altissime. Afferravano la barca con forza selvaggia. I discepoli avevano paura. Le onde si ri­ versavano sulla barca. Era buio sull'abisso. I discepoli urlavano: 'Aiutaci, Signore ! Svegliati! Mfondiamo! '. Gesù, il Cristo, però, dormiva pacificamente. A poppa - calmissimo. Una paura morta· le afferrò i discepoli: 'Aiutaci ! Siamo perduti! '. Allora egli si alzò. Tese la mano. Sgridò il mare: 'Cahnati ! '. Allora si calmò, il mare 2 1 2 l Approcci orientati alla pratica

della paura. Allora egli disse loro: 'Coraggio. Sono qua io. Dio è qui. Non avete ancora fede?'. Allora si calmarono, i discepoli nel­ la barca. Allora ebbero la pace di Dio)). Così racconta quell'uomo a Roma. Allora quelli nella prigione dell'imperatore si calmano. Non tremano più, i cristiani. Pregano: «Aiutaci Signore ! Resta con noi quando affoghiamo. Dona a noi la pace))9•

L'efficacia della cornice dipende da quanto riesce a colle­ gare il piano storico allo stato d'animo di ascoltatori e a­ scoltatrici. Solo se tratta in maniera autentica di esperienze di fondo dell'essere umano, in modo tale che la tempesta placata sia una risposta attendibile alle paure del nostro tempo e che venga percepita come offerta fondatrice di speranza per venire a capo della vita, ha raggiunto il suo scopo di una attualizzazione del racconto di miracoli riferi­ ta all'esistenza. La narrazione biblica cattura ascoltatori e ascoltatrici di­ rettamente nell'evento miracoloso, scatena processi di i­ dentificazione ed esperienza di sé e apre prospettive esi­ stenziali, destando la speranza di un'esperienza di Dio nella propria vita paragonabile alla situazione biblica e donando forza per un nuovo inizio. Inoltre, con un adat­ tamento fondato sullo studio della Bibbia, si può già gui­ dare interpretativamente il primo impatto con il testo, smorzando la problematica questione sul contenuto sto­ rico dei racconti di miracoli e sviluppandone efficace­ mente il centro teologico.

9 D. STEINWEDE - K. Diisseldorf 1997, 284s.

LùDKE,

Religionsbuch Oikoumene. Werkbuch 4,

2 13

BIBLIOGRAFIA ADAM, G. - LACHMANN, R. (edd.), Methodisches Kompendium /iir den Religionsunterricht, Gottingen 1 998\ 137- 162 . BALDERMANN, 1 . , Ein/Uhrung in die biblische Didaktik, Darmstadt 1996, 9 1 - 1 18. GRETHLEIN, C., Methodischer Grundkurs /iir den Religionsuntem'cht, Leipzig 2000, 3 8-50. NEIDHART, W. - EGGENSBERGER, H. (edd.), Erziih!buch zur Bibel l , Lahr 19906• NEIDHART, W. (ed. ), Erziih lbuch zur Bibe/ 2 , Lahr 199Y, 130- 150, 188-223. STEINWEDE, D., Biblisches Erziihlen, Gottingen 1 98 1 . TSCHIRCH, R., Biblische Geschichten erziihlen, Stuttgart 1 997 . URBACH, G. (ed.), Biblische Geschichten Kindern erziihlen, GTB 640, Giitersloh 198F. WEGENAST, K., Religionsdidaktik Grundschule, Stuttgart 1983 , 96106.

4. Giochi di ruolo - interazione - bibliodramma

Chi, con l'esclusione di quanto può essere sperimentato con i sensi, rimane sul piano cognitivo e parla di guarigio­ ne, fiducia o superamento della paura senza prendere in considerazione il corpo, sarà difficilmente in grado di acce­ dere in tutta la sua profondità al potenziale di esperienze e di significati dei racconti di miracoli. I metodi provenienti dall'ambito del gioco di ruolo e del bibliodramma correg­ gono un restringimento di tipo intellettivo e aprono l'op­ portunità di un confronto guidato dai sentimenti e, non ul­ timo, anche legato al corpo, con i racconti di miracoli. In maniera giocosa, spontanea e intuitiva si mette in moto un 2 1 4 l Approcci orientati alla pratica

incontro con il testo biblico vicino all'esperienza di vita. In rapporto alla prassi della pedagogia della religione ciò com­ prende un notevole ampliamento delle possibilità interpre­ tative, dal momento che, oltre all'intelletto, entra in gioco anche il linguaggio del corpo e spronando le facoltà creati­ ve si contrasta una 'razionalizzazione' dell'apprendimento. L'assumere un ruolo nella recitazione offre l'opportunità di sperimentare nuove possibilità su se stessi, senza rimanere sempre legati a esse. Con lo scambio di ruoli emergono, at­ traverso il medium della recitazione, nuove prospettive, dal momento che ci si identifica sperimentalmente con perso­ naggi che si alternano. In giochi di ruolo chiusi sui racconti di miracoli del Nuovo Testamento, come quelli ideati da Helmut Multhaupt per Mc 10,46-52, Le 7 , 1-10 o Gv 5 , 1 -18, i partecipanti si mettono nei panni dei diversi personaggi, ad esempio il cieco Bartimeo o il centurione di Cafarnao, impa­ rando a immedesimarsi nella loro esistenza. Vengono così fa­ voriti processi di identificazione particolarmente intensi e la diretta partecipazione emotiva, in conseguenza dei quali le parole incoraggianti o esigenti di Dio nell'avvenimento bibli­ co diventano percettibili in modo nuovo nella propria vita. Ancora più profondo è l'incontro dell'io con la tradizio­ ne biblica nel bibliodramma, che può essere visto come un gioco di ruolo potenziato, arricchito da riferimenti alla vita e dalla riflessione, caratterizzato inoltre dalla forma aperta. Si tratta di un tipo di interpretazione della Bibbia interatti­ vo, riferito all'esperienza. Diversamente dall 'esegesi storico­ critica, il bibliodramma non guarda indietro con distacco al testo, ma si occupa di come la storia biblica viva ora nell'es­ sere umano, prendendo in prestito elementi dell'ermeneuti­ ca psicoanalitica. La Bibbia deve venire riscoperta come sorgente di rinnovamento risanante. La gamma di approcci del bibliodramma comprende il 215

bibliodramma incentrato sul testo, quello ispirato alla reci­ tazione pedagogica, quello pastorale, quello mimetico e quello psicodrammatico. Nonostante tutte le difficoltà di riportare queste diverse concezioni a un minimo comun de­ nominatore, il bibliodramma può essere definito un proces­ so interpretativo aperto, che consente a una persona, all 'in­ terno di una dinamica di gruppo, l'incontro totale con un testo biblico. n bibliodramma si compie quindi nel campo generato dai tre poli: testo, io e gruppo. Nell'ambito di un avvenimento di gruppo, sotto la guida di un bibliodramma­ tista, sulla strada per un'esegesi biblica totale, che includa anche il linguaggio corporeo, viene intrapreso il tentativo di mettere in relazione produttiva la tradizione biblica con la storia dell'esistenza e della fede individuale. n confronto di proprie esperienze, anche inconsce, con le esperienze altrui celate nel testo biblico produce movimento e apre nuove prospettive di vita. Si tratta qui tanto della presa di coscien­ za di riserve o blocchi verso il testo biblico, quanto della scoperta del potenziale di liberazione ad esso intrinseco. Se quindi l'incontro tra il testo biblico e l'io è qui al centro dell'evento del bibliodramma, una funzione di supporto e di sostegno spetta al gruppo, come ulteriore grandezza fon­ damentale. Esso è il luogo in cui avviene il confronto con il testo biblico attraverso la recitazione, si mettono in moto processi di interazione e l'esperienza così ottenuta viene rielaborata. Dal punto di vista dello svolgimento, un'artico­ lazione in tre fasi, cioè l' apertura al testo (riscaldamento, meditazione) , la messa in scena (fase creativa) e l'intensa ri­ flessione su quanto vissuto (feedback, rielaborazione e valu­ tazione) è tipica di quasi tutte le forme di bibliodramma. Nella prima e nell'ultima fase è consigliabile un rifacimento all'esegesi storico-critica, per proteggere il testo da proie­ zioni inadeguate e appropriazioni arbitrarie. 2 1 6 l Approcci orientati alla pratica

Il bibliodramma è quindi un metodo di esegesi comples­ sivo, che si svolge nel corpo con la testa, il cuore e tutte le sue membra e che mira al riconoscimento di se stessi nello specchio delle tradizioni bibliche e all'acquisizione di nuo­ ve prospettive di vita. A fronte di questa componente tera­ peutica, alle guarigioni miracolose della Bibbia spetta un peso particolare. Abbiamo bisogno di racconti di guarigione. Le antiche storie del­ la Bibbia possono guarire se ci apriamo ad esse. I loro temi e mo­ vimenti di fondo ci permettono di tirar fuori un sapere perduto o non ancora conscio. Ci fanno scoprire la sapienza del nostro cor­ po e la uniscono in modo terapeutico allo spirito dell;i! nostra ani­ ma. Ci insegnano a restare consapevolmente nei nostri temi esi­ stenziali con il corpo, la mente e lo spirito. Uniscono nel cuore i sentieri di consapevolezza a lungo separati del sentimento e del pensiero e ci mostrano la forza dei ritmi vitali. Ci plasmano all'in­ terno di opportunità risanatrici e ci incoraggiano a mettere in gio­ co le nostre doti, a dividere, comunicare, agire ad un tempo. E ci aprono alla percezione di quanto è divino e spirituale, che vuole instaurare con noi un'interazione risanatrice'0•

Dato che il bibliodramma è un processo di gruppo aper­ to, in cui si sviluppa una dinamica particolare nell'interazio­ ne tra persone e racconti della Bibbia, i bibliodrammi sul medesimo racconto di un miracolo prendono di regola un corso completamente diverso. I resoconti delle esperienze di Heidemarie Langer lo mostrano chiaramente. In un bi­ bliodramma su Le 5,17-26, la guarigione del paralitico, te­ nuto nel corso di una conferenza pastorale, la lettura del te­ sto è seguita da una prima discussione sui personaggi e la distribuzione dei ruoli, dalla quale si sviluppa la rappresen10

H . LANGER, Vielleicht sogar Wunder, Stuttgart 1991, 8.

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razione recitata di una disputa dotta tra farisei e dottori del­ la legge. A questo punto, durante la recitazione, esplode a­ pertamente un conflitto che covava da tempo su modelli di comunicazione consolidata all'interno del gruppo, su cui si riflette nel dibattito che segue. La bibliodrammatista propo­ ne uno spunto di riflessione ipotizzando la paralisi presente nel testo anche lì in sala. Nel testo biblico il gruppo si ritro­ va con ciò che lo paralizza, i conflitti che vengono continua­ mente nascosti sotto il tavolo e che ora vengono all a luce mettendo in scena lo spostamento del tavolo per fare le pu­ lizie. n giorno seguente si recita Le 5,17-26. n dibattito di valutazione verte quasi esclusivamente su Le 5 , 1 7 : «E la po­ tenza del Signore gli faceva operare guarigioni». Il gruppo aveva messo in scena la propria situazione e scoperto a sua volta che non il disperdersi in innumerevoli problematiche, bensì solo l'energia indirizzata alla meta conduce in avanti. Le paralisi si erano sciolte, il gruppo si muoveva. In un bi­ bliodramma completamente diverso sullo stesso racconto un gruppo di studenti insistette per due giorni esclusiva­ mente sul tema del portare e dell'essere portati. Nella messa in scena i portatori del paralitico fecero l'esperienza di esse­ re forze portanti, che insieme potevano operare qualcosa di cui una persona sola non è in grado. Coloro che si lasciano trasportare attraverso la stanza ottengono fisicamente un'in­ tuizione della forza elementare di Dio a partire dalla quale le persone si alzano e riescono a muoversi. Alla fine i parte­ cipanti concepiscono le parole: «Alzati, prendi il tuo lettuc­ cio e va' a casa tua» come un'esortazione per la loro vita in­ teriore a sviluppare una propria identità e a plasmare auto­ nomamente la propria esistenza. Il bibliodramma ha attiva­ to le forze di guarigione del racconto del miracolo. La realizzazione di un bibliodramma richiede senz' altro molto tempo e vive del fatto che le persone, sotto una gui2 1 8 l Approcci orientati alla pratica

da qualificata e in uno spazio protetto, si aprano con since­ rità e fiducia a se stessi, agli altri e al testo biblico. È ovvio che questa forma di bibliodramma non è trasferibile così com'è nella scuola e nell'insegnamento, con le loro ben di­ verse condizioni generali. La volontarietà illimitata e l'alto grado di motivazione ad essa collegato dei partecipanti a un seminario di bibliodrarnma, così come la riservatezza, non sono di norma presenti nella scuola. L'escalation di tensioni o dell'esplosione di conflitti latenti nell'ora di religione do­ vrebbe venire contenuta fin dall'inizio già solo perché po­ trebbero scatenarsi processi emotivi che un docente con in­ sufficiente esperienza di psicologia e dinamiche di gruppo non è in grado di controllare e di arrestare. Sussiste inoltre il pericolo di una strumentalizzazione degli elementi biblio­ drammatici, che si oppone alla natura del bibliodramma come processo di gruppo aperto, privo di un risultato fina­ le che sia possibile suscitare sempre o a cui si possa addirit­ tura assegnare un voto. Anche se in tal modo le condizioni istituzionali della scuola difficilmente consentono la realizzazione di un bi­ bliodramma con una dimensione profonda quale quella raggiunta in un seminario di più giorni, nell'ora di religione esso non andrebbe semplicemente ignorato o rifiutato cate­ goricamente in base a valutazioni pragmatico-strutturali. In forma semplificata, il bibliodramma si può utilizzare pro­ duttivamente anche nella scuola, dove la cornice temporale limitata a novanta minuti al massimo cela in sé l'opportu­ nità di una concentrazione sull'essenziale. Elementi del bi­ bliodramma hanno un senso nell'ora di religione perché mettono al centro dell'attenzione la realtà di vita degli allie­ vi, forniscono un accesso globale alla tradizione biblica e, con l'integrazione delle esperienze in essi acquisite nel pro­ prio mondo di vita, apportano un contributo decisivo al ri2 19

trovamento della propria identità. In ql,lanto processo d i gruppo, i cui risultati non si possono cogliere in maniera o­ biettiva e sfuggono così alla valutazione scolastica, il biblio­ dramma difficilmente si riesce a collegare a quelle forme dell'insegnamento della religione in cui è in primo piano la trasmissione e il controllo di sapere religioso. n lavoro sul bibliodramma va bene invece per ogni tipo di lezione di re­ ligione volta all'azione, integrabile con un orientamento te­ rapeutico e costitutivo dell'identità.

n gioco di ruolo e il bibliodramma consentono un confron­ to globale, anche in riferimento al corpo, con i racconti di miracoli. n bibliodramma in forma 'classica' non si può tra­ sporre così com'è nell 'ora di religione a scuola, con le sue condizioni istituzionali, ma, in forma semplificata, può es­ sere utilizzato produttivamente anche qui e riesce a fornire un importante contributo alla formazione dell'identità.

BIBLIOGRAFIA BERG, H.K., Ein Wort wie Feuer, Miinchen - Stuttgart 199 1 , 1 69195 . HEIDENREICH, H., Bibliodrama im Boom, in KatB/ 1 19 ( 1 994) 5 13 527.

KOLLMANN, R., Bibliodrama in Praxis und Theorie, in EvErz 48 ( 1 996) 20-4 1 . LANGER, H., Vielleicht sogar Wunder, Stuttgart 199 1 . LOHKEMPER- SOBIECH, G . , Bibliodrama im Religionsunterricht 1 -2 , Mainz 1998. MARTIN, G.M., Sachbuch Bibliodrama, Stuttgart 200F. MULTIIAUPT, H., Zachiius, komm vom Baum herunter.', Mainz 1994. PAULER, N. , Bibliodrama, SBTB 22, Stuttgart 1996.

220 l Approcci orientati alla pratica

5. Approcci della didattica dei simboli

Uno dei nuovi approcci più importanti del recente passa­ to nella discussione sull'insegnamento della religione è la didattica dei simboli, i cui rappresentati più significati sono Hubertus Halbfas e Peter Biehl. Il pedagogista della reli­ gione Hubertus Halbfas, che con la sua opera programma­ tica Das dritte Auge [Il terzo occhio] (1 982) e con la serie di libri scolastici con riferimenti alla pratica - Religionsunter­ richt in der Grundschule [L'insegnamento della religione nella scuola elementare] e Religionsunterricht in Sekundar­ schulen [L'insegnamento della religione nelle scuole secon­ darie] ha presentato il progetto di una concezione di gran­ de compattezza, può essere considerato il fondatore della didattica dei simboli. In un certo senso la sua concezione costituisce una variante pedagogica dell'ermeneutica psi­ coanalitica. Per superare un apprendimento orientato in maniera unilaterale al solo intelletto, si richiede lo sviluppo di un 'terzo occhio', che consenta una penetrazione 'meta­ scientifica', di tipo sensoriale - emotivo nella profondità del reale. Sullo sfondo si trova soprattutto l'approccio della psicologia del profondo junghiana, secondo la quale in uno strato profondo dell'anima umana sono immagazzinate al­ cune immagini primordiali (archetipi), che si dimostrano di valore inestimabile nella gestione dell'esistenza. A fronte della razionalizzazione della nostra cultura e della perdita di globalità, i simboli, dal valore eterno, costituirebbero un'offerta ampia e allo stesso tempo inesauribile, che va sfruttata, per la scoperta del significato della vita. A partire da queste premesse Halbfas sviluppa, staccandosi da un in­ segnamento della religione solo esplicativo o argomentati­ vo, un programma di educazione ai simboli, rivolto prima 221

di tutto alla scuola elementare, nel quale si mira a un ap­ prendimento emotivo della lingua archetipica dei simboli. Gli allievi devono venire sensibilizzati alla comunicazione con i simboli eternamente validi e resi capaci di una perce­ zione diretta in simboli. Fondamentale è l'esercizio. Esso avviene attraverso il contano co­ stante con i simboli, osservando, raccontando, giocando, agendo. Non è il confronto razionale quello decisivo, bensì una relazione emotiva, lo sviluppo dell'intuizione per il simbolo o - detto sim· bolicamente - il terzo occhio11•

Compito essenziale anche della didattica dei miracoli è quindi l'esercizio della comprensione simbolica, che spa­ lanca al bambino la pluridimensionalità dei racconti di mi­ racoli e vuole rendere conscio il riflettersi di esperienze di base nei testi biblici. Già in prima elementare, sulla base della guarigione di Bartimeo, il tema è la trasposizione dalla vista esteriore a quella interiore e la comunicazione della scoperta che non si vede bene che con il cuore. Nel se con­ do anno scolastico questa interpretazione metaforica dei miracoli viene approfondita nel contesto del simbolismo della luce e sviluppata su un piano più vasto per i racconti di guarigioni. Nel suo libro di religione per la quinta ele­ mentare e la prima media, Halbfas mette in relazione in modo mirato, concordemente con l'ermeneutica psicoanali­ tica di Eugen Drewermann, i racconti biblici di miracoli con quelle storie di guarigione che si situano in tutte le cul­ ture antiche come testimonianze di una guarigione globale. La posizione centrale delle immagini nella sua didattica dei simboli si riflette anche nel fatto che una funzione-chiave 11 H . HALBFAS, Das dritte Auge, Diissddorf 1 982, 1 82 .

222 l Approcci orientati alla pratica

spetta all'osservazione delle rappresentazioni di miracoli nelle arti figurative, quando si tratta di favorire un accesso emotivo più profondo ad essi. In termini decisamente diversi si colloca la concezione di Peter Biehl, basata sui simboli non cristiani. Anche secon­ do questo approccio i simboli rimandano a una realtà più profonda, non direttamente accessibile, rendendola allo stesso tempo presente. I simboli, però, per avere valore e­ nunciativo, devono corrispondere alle esperienze collettive di una comunità sociale e non sarebbero quindi eternamen­ te validi, bensì subordinati al mutamento sociale. Inoltre, si mostrerebbe un carattere ambivalente dei simboli. Spalan­ cando la dimensione profonda della realtà, potrebbero fare coraggio, ma anche generare paura. Su questa base Biehl delinea una simbologia critica, il cui obiettivo principale è concentrato sulla funzione di collegamento dei simboli. li fatto che i simboli creano una relazione tra le esperienze bi­ bliche e contemporanee viene sfruttato come una spinta ai processi di apprendimento. Domande come quelle sull'i­ dentità, sull' amore o sulla verità offrirebbero una chiave er­ meneutica con la quale i simboli del mondo esistenziale di oggi e quelli della tradizione cristiana potrebbero essere messi a confronto. In concreto si tratta di mettere in luce i simboli cristiani come simboli di contrasto, in cui le espe­ rienze quotidiane vengono infrante. Sulla base di ciò sta la convinzione che i simboli siano particolarmente adatti al consapevole approfondimento di esperienze esistenziali e che in essi sia insito un effetto di messa a fuoco, dal mo­ mento che concentrano in modo chiaro ciò che 'riguarda direttamente' un contesto di vita. A fronte dell'affinità tra linguaggio simbolico e linguaggio corporeo ci si propone un rapporto creativo, concreto, ad esempio bibliodramma­ tico o artistico con i simboli religiosi della tradizione biblica 223

e del mondo di oggi. Esso ha lo scopo di scatenare un di­ battito sull'interpretazione della realtà, attraverso la do­ manda su quali siano i simboli di cui ci possiamo fidare, a­ prendo l'orizzonte della percezione per la comprensione del vangelo. Nei racconti biblici di miracoli, il simbolo del­ la 'mano' è, secondo Biehl, particolarmente adatto a questo scopo. La mano è il simbolo per eccellenza dell'evoluzione umana, la sua attività attraversa la storia del mondo e quella dell'individuo. Si tratta però di un simbolo ambivalente, che può avere una connotazione positiva, ma anche essere percepito come emblema della costrizione e della violenza. Nei racconti di miracoli si incontra l'imposizione ritualizza­ ta delle mani, il prendere per mano o il toccare la parte del corpo malata con la mano come pratiche terapeutiche di Gesù. La mano che aiuta e protegge nella tradizione relati­ va ai miracoli può sensibilizzare gli adolescenti alla forza e­ spressiva delle loro mani e dimostrarsi utile nella ricerca della comprensione del proprio corpo. Allo stesso tempo è un simbolo biblico alternativo e opposto alla mano spesso violenta della realtà esistenziale di oggi. Nella sua opera totalmente orientata alla pratica Symbole in der Bibel entdecken [Scoprire i simboli della Bibbia] Ur­ sula Friichtel dimostra che i racconti di miracoli possono essere resi accessibili in un significato più profondo e fe­ condi come impulso per i processi di apprendimento anche attraverso altri simboli, ad esempio 'casa', 'piede' o 'nave'. Reclama tuttavia un posto d'eccezione inconfondibile per il tesoro di simboli della Bibbia all'interno del mondo simbo­ lico delle fiabe, dei miti e delle religioni e vede il proprio approccio come consapevole dichiarazione di guerra contro le concezioni simboliche correnti nella tradizione di Halb­ fas o Biehl.

224 l Approcci orientati alla pratica

La didattica dei simboli possiede varie sfaccettature. Da una parte si tratta dell'esercizio della comprensione me­ taforica che deve rivelare ai bambini lo strato profondo del miracolo nascosto sotto la superficie, spalancando u­ na via d'accesso metaforica. Dall'altra parte si persegue lo scopo di mettere in luce simboli centrali della tradizio­ ne relativa ai miracoli come simboli di contrasto, nei qua­ li l'esperienza quotidiana viene infranta dalle promesse del vangelo e si apporta un importante contributo alla formazione dell'identità.

BIBLIOGRAFIA LACHMANN, R. (edd.), Religionspiidagogisches Kompen­ dium, Gottingen 1997', 79-83 . BIEHL, P., Symbole geben zu lernen I-II, WdL 6.9, Neukirchen-Vluyn 199 1 - 1 993 '. BDTINER, G., Zwischen Halb/as und Biehl, in EvErz 46 ( 1 994) 56-65. FROCHTEL, U . , Mit der Bibel Symbole entdecken, Gottingen 1 994'. HALBFAS, H., Das dritte Auge, Diisseldorf 1982. MEYER-BLANCK, M., Vom Symbol zum Zeichen, Hannover 1 995 .

ADAM, G.

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6. Storie di fede, istruzioni di comportamento,

immagini di speranza L'incontro con la questione dei miracoli, si è dimostrato, è una componente irrinunciabile dell'insegnamento della religione nella scuola e non può avvenire senza rifarsi alla tradizione biblica. I racconti di miracoli del Nuovo Testa­ mento offrono, nella molteplicità delle loro possibilità in225

terpretative, diversi punti di partenza e prospettive didatti­ che_ Come scopo-guida globale deve essere in primo piano lo sforzo di aprire ai bambini un rapporto tra i miracoli bi­ blici e la propria situazione esistenziale, mettendo un freno a un'errata interpretazione storica dei testi. In questo qua­ dro i racconti di miracoli possono venire presentati nella le­ zione di religione a scuola mettendo l'accento sul loro a­ spetto di storie di fede, di istruzioni di comportamento o immagini di speranza. Questi tre sentieri ideali, che nella pratica si incrociano in alcuni punti, nascondono in sé op­ portunità e rischi diversi. L'approccio che avvicina in modo mirato ai bambini i racconti di miracoli come storie di fede (U. Becker, G. Ot­ to, S. Wibbing) li vede come portatori simbolici di enuncia­ ti biblici ed è in fin dei conti la variante pedagogica dell'er­ meneutica esistenziale dei miracoli, come è stata forgiata da Rudolf Bultmann. In origine si colloca nella concezione d i un insegnamento ermeneutico della religione, che si pone come compito l'esegesi storico-critica impegnata della tra­ dizione biblica e la sua analisi in riferimento alla vita. La Bibbia va resa culturalmente accessibile, il comprendere la tradizione è concepito come un'appropriazione esistenziale di essa. Le premesse cognitive per un'interpretazione figu­ rata dei miracoli devono essere fomite dall'età e dallo sta­ dio di sviluppo. Gli allievi devono imparare a comprendere la pluridimensionalità del linguaggio religioso e a ricono­ scere che i racconti di miracoli non vanno letti come reso­ conti di fatti reali, bensì come linguaggio metaforico dell'o­ perato di Dio. Nelle linee-guida per la quinta elementare/prima media questa meta di apprendimento potrebbe essere formulata come segue: «Gli allievi devono esprimere idee e giudizi sul problema dei mi226 l Approcci orientati alla pratica

racoli, riflettere su di esso e giungere a una comprensione adegua­ ta del problema, rendendosi conto che, con i racconti di miracoli, i cristiani vogliono esprimere enunciati di fede. Motivazione: l' ap­ parente contrasto tra l'atteggiamento di fondo critico-realistico degli allievi di questa fascia d'età e gli eventi miracolosi così come tra i racconti di miracoli di oggi e quelli della Bibbia desta un in­ teresse spontaneo negli alunni. La trattazione dei racconti di mira­ coli dd Nuovo Testamento può contribuire a comprendere me­ glio la fede cristiana. L'interpretazione dei racconti di miracoli co­ me enunciati di fede fa passare in secondo piano la questione del­ l' autenticità, impedisce un rifiuto del NT come 'libro di fiabe' e spalanca agli alunni vie d'accesso ad analisi contenutistiche»".

Si tratta dunque di comprendere la realtà della fede e­ spressa nel miracolo e di trasmetterla in una forma adegua­ ta alle capacità intellettive dei bambini. Ciò porta di regola a sviluppare efficacemente il nucleo teologico del racconto di un miracolo, mentre il miracolo stesso e singoli tratti narrativi si spostano in secondo piano. Nell'analisi di Mc 2 , 1 - 12, la guarigione del paralitico, ad esempio, la testimo­ nianza di fede del perdono e della guarigione è al centro dell'attenzione. La finalità didattica è respingere la doman­ da relativa al vero svolgersi degli avvenimenti, mettendo in­ vece chiaramente in evidenza il carattere simbolico del mi­ racolo come opera imprevedibile di Dio, che salva l'essere umano dalla colpa e dalla malattia. La paralisi viene intesa in senso figurato. Bisogna rendere comprensibile agli alun­ ni la situazione di colpa della loro esistenza agli occhi di Dio e avvicinare loro la fede che sorregge il racconto del miracolo. Nel caso della tempesta placata in Mc 4,35-4 1 la forza di testimonianza del potere nascosto di Dio viene svi-

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NIEDERSACHSISCHES KULTUSMINISTERIUM (ed.), Rahmenrichtfinien

fur die Orientierungsstu/e, Hannover 1978, 98.

227

luppata dal punto di vista dell'insegnamento della religione come enunciato kerygmatico centrale. La paura dei disce­ poli deve venire riconosciuta dai bambini come segno del rapporto incrinato dell'uomo con Dio, caratterizzato da u­ na carenza di fede in Lui, trasmettendo l'esperienza di fede dell'operato di salvezza del Signore. Per Mc 10,46-52 si of­ fre l'opportunità di illustrare, sulla base del destino di Bar­ timeo, il significato esistenziale della vera 'vista' e della fi­ ducia illimitata in Cristo. Bartimeo diventa per gli alunni l'esempio per eccellenza di come la cecità interiore possa venir superata nella fede e come ciò porti alla salvezza. Ciò va preceduto da una sensibilizzazione per le forme simboli­ che della cecità e per la visione 'a doppio fondo' . A molte varietà di didattica dei miracoli kerygmatica si può rimproverare un insufficiente orientamento agli alunni. Essa partecipa del rimprovero, mosso all'insegnamento er­ meneutico della religione, dell"esegetismo' e dello 'storici­ smo', che è troppo orientato ai testi del passato e, nono­ stante le sue pretese rivolte al presente, troppo poco alla realtà di vita dei destinatari e che presuppone inoltre con troppa naturalezza il rispecchiarsi di un'interpretazione esi­ stenziale sempre valida nella tradizione biblica. Non si ri­ flette a sufficienza su come mettere in relazione il messag­ gio di fede dei primi cristiani contenuto nei racconti di mi­ racoli con le domande completamente diverse dei bambini e dei ragazzi di oggi. Un'alternativa è rappresentata dal tentativo di trasmette­ re i racconti di miracoli del Nuovo Testamento come istru­ zioni di comportamento attuali ancora oggi, che mirano a una prassi di solidarietà e di comunicazione con gli emargi­ nati, nella sequela di Gesù. Le origini di questo modello di­ dattico sono da attribuirsi al campo dell'insegnamento del­ la religione orientato ai problemi, che provocò negli anni 228 l Approcci orientati alla pratica

Sessanta una 'svolta empirica', rivolgendo l'attenzione alla realtà di vita degli alunni. I contenuti della lezione di reli­ gione vengono ora suddivisi in campi tematici riferiti alla società e i testi biblici vengono impiegati solo per quel tan­ to che mostrano una relazione con i problemi del mondo quotidiano di oggi. Non tanto il nucleo teologico di un te­ sto, quanto piuttosto gli impulsi etici che ne scaturiscono si spostano al centro dell'attenzione. Deve venir corretta una limitazione della teologia kerygmatica, che sarebbe troppo rivolta alla realizzazione dell'esistenza del singolo e troppo poco alla vera strutturazione del mondo. li comportamento di Gesù con gli emarginati dalla società, quale appare nei miracoli, viene stilizzato a modello che desta la disponibi­ lità ad aiutare. I racconti di miracoli vengono considerati testimonianze di solidarietà con i bisognosi. Questa finalità etica si dimostra chiaramente ad esempio quando nei piani didattici si incontrano le guarigioni mira­ colose nell'ambito di unità come 'Vivere insieme' o 'Sani e disabili' . La guarigione dei dieci lebbrosi in Le 1 7 , 1 1 - 1 9 può diventare un appello a eliminare i pregiudizi nell'in­ contro con i cittadini stranieri; da un resoconto come quel­ lo in Gv 5 , 1 -9 si può ricavare il compito di iRcoraggie.re l'autonomia dei disabili, e dall'attenzione affettuosa di Ge­ sù nei confronti dell'indemoniato di Gerasa con tendenze autodistruttive (Mc 5 , 1 -20) può nascere l'esigenza· di inte­ grare nella società giovani tossicodipendenti o violenti. In primo piano c'è l'inconfondibile sforzo di sviluppare, a par­ tire dalla trattazione scolastica dei miracoli, prospettive di una condotta cristiana nella società caratterizzata dalla co­ scienza delle proprie responsabilità. I racconti di miracoli vengono presentati come storie di compassione che devono trasmettere ai bambini la competenza sociale di riconosce­ re, secondo l'esempio di Gesù, il valore di ogni essere urna229

no nella sua peculiarità e di donare attenzione affettuosa al­ le persone emarginate. Gli storpi, i ciechi o i lebbrosi della tradizione biblica rappresentano figure ai margini della no­ stra società, nella cui situazione gli alunni devono immede­ simarsi. Simulazioni sulla cecità, come quelle che compaio­ no praticamente in tutti gli abbozzi per l'insegnamento a proposito di Mc 10,46-52, danno un'impressione dei senti­ menti di Bartimeo e suscitano solidarietà con lui. Un effetto simile viene raggiunto con giochi di ruolo, in cui alcune persone si lasciano trasportare rimanendo immobili e otten­ gono così accesso alla condizione emotiva del paralitico di Mc 2 , 1 - 12. Si tratta tuttavia di un'identificazione passegge­ ra, con lo scopo di sviluppare la sensibilità per la condizio­ ne di persone svantaggiate o stigmatizzate e trasformarla in un comportamento responsabile. Anche un miracolo sulla natura come la moltiplicazione dei pani si può trasmettere nella prassi dell'insegnamento della religione come appello etico. Il racconto viene allora interpretato come 'storia di condivisione' con un'esortazione morale e nei progetti di­ dattici o nei libri di religione viene spesso direttamente col­ legata al progetto 'Pane per il mondo' . Negli adattamenti didattici dei racconti di miracoli come istruzioni di comportamento, il miracolo vero e proprio si sposta in secondo piano e appare interscambiabile. Essen­ ziale è l'esemplarità dell'attenzione 'miracolosa' di Gesù nei confronti degli emarginati, simile a quella che si incontra anche al di fuori della tradizione relativa ai miracoli, ad e­ sempio nei pasti comuni di Gesù con pubblicani e peccato­ ri. La diffusissima critica, secondo la quale si tratterebbe di una strumentalizzazione etica non appropriata dei racconti di miracoli, è solo in parte giustificata, dal momento che nel cristianesimo delle origini essi venivano interpretati senz'altro come istruzioni di comportamento. Il grosso ri230 l Approcci orientati alla pratica

schio di una lettura etica dei racconti di miracoli del Nuovo Testamento consiste piuttosto nel fatto che agli allievi si tra­ smette legge invece che vangelo e che questi potrebbero sentirsi schiacciati dal modello superiore di Gesù. Inchieste su bambini e ragazzi dimostrano che la richiesta morale vi­ sibile nei racconti di miracoli li spinge rapidamente alla ras­ segnazione e impedisce loro di vedere la dimensione libera­ toria e creatrice di speranza del miracolo. Una terza via è quella percorsa dalla concezione di awi­ cinare ai bambini i racconti di miracoli del Nuovo Testa­ mento come storie di speranza o di promessa, che aprono uno spiraglio nella porta che conduce fuori dal carcere del­ la disperazione. Questo approccio è strettamente collegato al nome di lngo Baldermann. Egli concepisce la Bibbia co­ me un libro di apprendimento, che conduce alla maggiore età spirituale e il cui grande tema è la speranza. Le forme linguistiche della Bibbia sono considerate qui come forme didattiche per eccellenza, che sarebbero tagliate su misura per le esperienze dei bambini di oggi. n compito della le­ zione di religione consisterebbe nel lasciare che questa di­ dattica particolare della tradizione biblica e i 'modelli in­ fantili' che in essa si riflettono agiscano più liberamente possibile. Si tratta di un approccio rivolto all'esistenza, che da una parte, rifiuta decisamente una strumentalizzazione unilaterale dei racconti di miracoli come esemplari racconti di compassione, dall'altra stabilisce un nesso molto più di­ retto tra la tradizione biblica e la realtà di vita dei bambini di quanto faccia la didattica kerygmatica. A quest'ultima si muove il rimprovero di favorire una 'pedagogia da museo' caratterizzata da un inadeguato accumulo di sapere. Il mes­ saggio teologico dei racconti di miracoli non sarebbe di nessun interesse sia per i bambini che per gli adolescenti.

231

Se li si esamina dal punto di vista del loro enunciato teologico, tutti i racconti di miracoli dicono in fondo la stessa cosa: Gesù di Nazaret è l'atteso Messia, colui che esaudisce le promesse dell'An­ tico Testamento. «E allora?», dicono gli allievi. Siamo di nuovo arrivati al museo, nella sezione dei vecchi termini teologici. E se o­ riento gli enunciati in modo ancora più aderente alla loro trama e dico: «Gesù Cristo domina la fame, la malattia, sì, persino le forze naturali!>>, questi enunciati non sono affatto più illuminanti, sono pure affermazioni, lontane dal vissuton.

Una spiegazione esegetica ed ermeneutica minuziosa dei miracoli nell'ora di religione - questa la tesi - li allontana talmente dalla realtà di vita dei destinatari che in seguito questo abisso non è più colmabile. Si tratterebbe invece di far prendere in considerazione ai bambini i miracoli come chiave e promessa per la loro vita. Non devono udire solo dell'attenzione affettuosa di Gesù nel passato, ma imparare a sperimentarla sul proprio corpo e attingerne coraggio. Solo in quanto storie della paura e della speranza del singo­ lo, in quanto storie di speranza, i racconti di miracoli sareb­ bero logici e necessari. In questo starebbe il segreto del rapporto con essi e così sarebbero stati intesi all'origine. Si mostra qui chiaramente l'influsso di Gerd Theissen, che ha ricavato il significato dei racconti di miracoli come azioni simboliche che superano i limiti e hanno una funzio­ ne di incoraggiamento. I racconti di miracoli annunciano, quindi, come si interrompa il ciclo della sofferenza e si su­ peri la disperazione. In quanto immagini di speranza ri­ splendono luminosi nell'esistenza dei bambini, segnata da molteplici angustie e costrizioni, stabilendo, con la loro e­ sperienza opposta di una vita intatta, un segnale di protesta 13 l. BALDERMANN, Ein/Uhrung in die biblische Didaktik, Darmstadt 1996, 76.

232 l Approcci orientati alla pratica

contro la realtà. Con questa visione di speranza attendibile e solida impediscono di scivolare nella disperazione e libe­ rano le energie necessarie per alzarsi e prendere in mano la propria vita. Per i primi cristiani i racconti di miracoli era­ no non da ultimo storie che donavano la fiducia nel fatto di venire rialzate a persone malate, disperate o prostrate. Que­ sto Sitz im Leben consente di instaurare un collegamento con la situazione degli allievi. Possono sentire da vicino e comprendere come le persone di allora abbiano fatto l'e­ sperienza di Gesù e in questo modo trasformare, per così dire, il miracolo nella propria storia. Ciò presuppone tuttavia un atto della massima identifi­ cazione, nel quale si liberano i personaggi biblici dal ruolo di figure da compatire o modelli di fede. Nella didattica dei miracoli di Baldmann ciò viene compiuto attraverso i Salmi di lamentazione, che, nella loro profondità emotiva, metto­ no a disposizione dei bambini un linguaggio autentico per le proprie esperienze esistenziali, che tuttavia protegge allo stesso tempo la loro sfera intima. Al paralitico di Mc 2 , 1-12 si mettono in bocca frasi come: «lo rifiuto ogni conforto» (Sal 76,3 ) o «Sono divenuto un rifiuto» (Sal 30,13 ) . Anche lo stato d'animo di Bartimeo viene illustrato da parole dei Salmi. Il suo personaggio in particolare riserva molteplici possibilità di identificazione. Quando nel testo biblico Bar­ timeo viene sgridato per farlo stare zitto, ciò va a coincidere con l'esperienza che i bambini fanno ogni giorno nella no­ stra società. Essi lasciano pronunciare a Bartimeo, smarrito e seduto sul ciglio della strada, parole di disperazione e di speranza che riflettono allo stesso tempo le loro paure e speranze. I bambini possono così riconoscere parti della lo­ ro persona in figure bibliche come il cieco Bartimeo o il pa­ ralitico di Cafarnao. Questa profonda via d'accesso emotiva può venire ulteriormente favorita unendola a metodi di re233

citazione, bibliodrammatici, meditativi o creativi. Sulla scia di tali processi diretti di identificazione i bambini si sento­ no chiamati personalmente in causa da frasi come: «figlio­ lo, ti sono rimessi i tuoi peccatit alzati» (Mc 2 ,5 . 1 1 ) o «Co­ raggio, alzati» (Mc 10,49) e le riferiscono alla propria esi­ stenza. Secondo il modello dei personaggi biblici insorgono contro le costrizioni e, dalla guarigione di costoro, ottengo­ no fiducia per la propria vita. Quando ciò avviene, i rac­ conti biblici di miracoli sono diventati ancora una volta sto­ rie di speranza dei piccoli, che superano ogni limite. Al ter­ mine dell'unità didattica ci può essere una danza, con la quale i bambini danno voce alla gioia delle persone risanate e contemporaneamente alla propria anche in forma fisica. Nella lezione di religione a scuola, i racconti di miracoli possono venire presentati mettendo l'accento sul loro a­ spetto di storie di fede, di istruzioni di comportamento o racconti di speranza. L'ultima di queste strade nasconde in sé i rischi minori e procura l'accesso esistenziale più intenso all a tradizione biblica. Con le loro immagini di speranza, i racconti di miracoli della Bibbia possono im­ pedire ai bambini di scivolare nella rassegnazione o nella disperazione e liberano le energie per rialzarsi e prendere la vita nelle proprie mani.

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234 l Approcci orientati alla pratica

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7. Miracoli nei

film su Gesù

La nostra società è influenzata in maniera mai vista in precedenza da media audiovisivi come il cinema, la televi­ sione, i video o il computer. Essi costituiscono una parte im­ portante del mondo in cui oggi viviamo. Su questo sfondo il tema 'miracoli nei film su Gesù' è significativo sotto due punti di vista. Da un lato, gli adattamenti audiovisivi dei racconti di miracoli fanno parte della 'storia degli effetti' del testo biblico. A fronte della crescente secolarizzazione della società e delle mutate abitudini di lettura, bisogna a­ spettarsi che il medium-film sia diventato nel frattempo l'u­ nica porta d'accesso al testo biblico e quindi ne influenzi decisamente la comprensione. Dall'altro lato, i media au235

diovisivi acquistano un peso sempre maggiore nell'insegna­ mento della religione, dal momento che colgono in maniera costruttiva il bisogno di intrattenimento e le abitudini visive dei loro destinatari e le sfruttano da un punto di vista di­ dattico. n medium-film apre vie d'accesso al testo biblico la cui estraneità culturale e il cui linguaggio arcaico crea diffi­ coltà a molti e offre l'opportunità di avvicinare le idee di base della tradizione biblica anche a persone lontane dalla chiesa. La percezione audiovisiva dei temi biblici offre co­ munque un notevole guadagno conoscitivo, in quanto apre modalità visive, esperienze e dimensioni della realtà nuove. Attraverso la forza delle immagini e dei suoni il medium­ film offre una via d'accesso globale alla tradizione biblica, libera il potenziale emotivo e razionale dello spettatore e fa­ vorisce particolarmente l'identificazione e l'empatia. I film con pretese artistiche mettono lo spettatore davanti a nuove prospettive. Da considerare in modo critico è il fatto che il film limita l'attività creativa della fantasia, fornendo imma­ gini già pronte. Il lavoro degli sceneggiatori, dei registi e dei produttori dei film su Gesù non va assolutamente sottovalutato nel suo significato e nel suo effetto contenutistico. Attraverso la selezione mirata, la disposizione cronologica e l'interpre­ tazione delle scene essi creano una rappresentazione auto­ noma, di regola pervasa da una riflessione teologica di vasta portata, della vita di Gesù. La reazione dei testimoni ocula­ ri dell'operato di Gesù messa in scena nel film acquista ca­ rattere esemplare per gli spettatori televisivi o cinematogra­ fici e suggerisce loro quali dovrebbero essere le loro reazio­ ni. Con l'adattamento visivo e il sottofondo musicale dei te­ sti biblici, il film dispone inoltre di possibilità espressive che la letteratura non possiede. Si può senza esagerare par­ lare di una 'teologia dei film su Gesù'. La rappresentazione 236 l Approcci orientati alla pratica

dei miracoli di Gesù non fa eccezione, anzi, in base a essa si può leggere bene l'intenzione dell'allestimento e la compe­ tenza teologica del regista, come ha mostrato Reinhold Zwick. Quattro classici del genere del film su Gesù lo illustrano chiaramente. Il vangelo secondo Matteo ( 1 964) di Pier Pao­ lo Pasolini e Il Messia ( 1 975) di Roberto Rossellini offrono una messa in scena poco spettacolare dei miracoli di Gesù. In Pasolini, che mette l'aspetto sociale del messaggio di Ge­ sù al centro dell'attenzione, incontriamo i miracoli come gesti di attenzione, volutamente semplici, verso persone bi­ sognose; essi non perseguono l'intento di spingere gli spet­ tatori alla fede. Solo il momento in cui Gesù cammina sulle acque viene rappresentato in modo realistico attraverso la sovraesposizione. La rappresentazione filmica del vero e proprio processo miracoloso altrimenti non si verifica, in quanto vengono utilizzate tecniche di inquadratura e con­ tro-inquadratura (postulante malato - Gesù - postulante guarito) o inquadrature prima e dopo (cesti vuoti - cesti pieni). L'accompagnamento musicale è sobrio, la reazione delle persone interessate dal miracolo o degli osservatori non coinvolti viene rappresentata in modo contenuto. L'e­ vento miracoloso rimane in ombra in misura ancora mag­ giore nel film di Rossellini, lasciando allo spettatore spazio per varie interpretazioni. Trucchi cinematografici o altri ef­ fetti sono del tutto esclusi. Entrambi i film sono scevri di pathos nella rappresentazione dei miracoli e non cedono al­ la tentazione di trasmettere un'immagine di Gesù con toni magici. Diversamente stanno le cose nel caso di Franco Zeffirelli, il cui Gesù di Nazaret ( 1 977) offre un adattamento cinema­ tografico dei miracoli come eventi grandiosi, che suscitano scalpore. I miracoli, accompagnati da una musica con con237

tinui crescendo, vengono rappresentati in stile realistico co­ me fatti realmente accaduti, gli interessati e i testimoni ocu­ lari si vedono colti da grande stupore e vengono incitati alla fede. Gesù appare come un mago che dispone di forze mi­ . steriose, le cui tecniche taumaturgiche lo collocano a tratti alla stregua di un prestigiatore di varietà. Analogamente, per lo meno la risurrezione di Lazzaro viene messa in scena da George Stevens in La più grande storia mai raccontata ( 1 963 ) come un miracolo spettacolare, che dovrebbe garan­ tire la divinità di Gesù. Se l'effetto grandioso dell'avveni­ mento non si dissolve comunque subito o se gli effetti spe­ ciali non suggeriscono fin dal principio miracoli solo simu­ lati, lo spettatore viene condotto da entrambi i registi a un fraintendimento storicizzante dei miracoli di Gesù e mas­ sicciamente spinto alla fede. C'è il rischio di un'oggettiva­ zione inadeguata dell'avvenimento biblico. Questi aspetti teologicamente problematici non rendono affatto prive di valore, dal punto di vista didattico, le rappresentazioni dei miracoli in film del genere, ma si prestano anzi molto bene come punti a cui riallacciarsi per sensibilizzare a una loro a­ deguata comprensione. Questo vale tra parentesi anche per una rappresentazione dei miracoli straniata in modo satiri­ co come quella che si trova nel Brian di Nazaret ( 1 979) di Monthy Python. Una trasposizione cinematografica della Bibbia irreprensibile dal punto di vista dogmatico è invece spesso sinonimo di noia. Nel rapporto pratico con il medium-film, il materiale ci­ nematografico con la tematica dei miracoli può essere pro­ duttivo in modo autonomo o assumere una funzione intro­ duttiva, servendo come 'riscaldamento' all'occuparsi diret­ tamente del testo biblico. È possibile anche l'approfondi­ mento visivo dei contenuti già assimilati. Il lavoro sul film e quello sulla Bibbia possono quindi giungere a una feconda 238 l Approcci orientati alla pratica

collaborazione. Nelle condizioni strutturali dell'insegna­ mento della religione a scuola, si presta meglio, a fronte dei tempi limitati, l'analisi di sequenze cinematografiche più brevi, mentre la catechesi consente anche la trattazione di interi film su Gesù. In entrambi i casi per elaborare e ap­ profondire quanto visto si adattano le seguenti fasi di lavo­ ro, la cui successione può in parte essere modificata. •

• •













Espressione spontanea delle impressioni, dei sentimenti e delle associazioni direttamente suscitati dal film o dalla sequenza. Risoluzione di difficoltà di comprensione. Osservazioni sulla rappresentazione, sulla trama, sulle inqua­ drature, sul taglio, sulla musica ecc. Percezione dell'estetica, del linguaggio delle immagini e dell'ef­ fetto emotivo di quanto visto. Spiegazione delle condizioni in cui il film è nato ( collocazione nel momento storico e nella storia del cinema; informazioni sul regista, sullo sceneggiatore, sul produttore). Analisi della rappresentazione dei miracoli, in particolare per quanto riguarda le loro implicazioni teologiche e cristologiche. Confronto della messa in scena cinematografica del miracolo con il suo originale biblico e con le concezioni teologiche dei miracoli. Confronto tra film (paragone tra sequenze relative ai miracoli contrastanti in diversi film su Gesù). Inclusione della storia della ricezione del film (critiche giornali­ stiche, risonanza pubblica, proteste).

Per un'analisi del film che richieda meno tempo le quat­ tro domande: «Che cosa ho percepito (visto, sentito) ? che cosa ho provato? quali idee/associazioni mi sono venute in mente? che conclusione traggo relativamente al nucleo, al problema centrale, al 'messaggio' del film?» sono adatte a 239

strutturare la massa di impressioni e a mettere in moto la discussione su quanto vistd4• A fronte della crescente influenza sulla nostra società dei media audiovisivi, il tema 'miracoli nel film su Gesù' ac­ quista un'importanza didattica sempre più grande. n me­ dium-film apre non da ultimo a persone lontane dalla chiesa un'importante via d'accesso alla tradizione biblica. Attraverso l'analisi ponderata in modo metodico delle scene di miracoli nel genere del film su Gesù e il loro confronto con l'originale biblico, è possibile portare il di­ scorso su aspetti elementari dell'ermeneutica dei miracoli del Nuovo Testamento e approfondirli.

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241

Indice

Prefazione

I.

Il.

III.

5

7 7 11

n concetto di miracolo l . Che cos'è un miracolo?

2. Il dibattito sui miracoli di Gesù Prospetto riassuntivo: La discussione sulla storicità dei miracoli di Gesù 3. Possibilità e limiti dei miracoli

18 20

Il contesto storico-religioso l . Santuari di Asclepio 2. 'Uomini divini' 3 . Taumaturghi ebrei 4. Papiri magici

29 29 35 44 54

La tradizione dei miracoli di Gesù

61 61

l . Regolarità nella storia della tradizione 2. La forma dei racconti di miracoli del Nuovo Testamento 3 . La funzione dei racconti di miracoli 243

66 69

IV.

Gesù come taumaturgo

l.

2. 3. 4. 5. v.

Liberazioni dal demonio Guarigioni Guarigioni di sabato Risurrezioni Miracoli sulla natura

75 75 87 93 99 107

Miracoli nel cristianesimo delle origini

1 15

Miracoli nella comunità e nella missione 2. I miracoli di Pietro e di Filippo 3 . Paolo come taumaturgo

1 15 120 124

l.

VI.

Critica dei miracoli negli evangelisti

l . Marco

2. Matteo 3 . Luca 4. Giovanni

VII.

13 1 13 1 137 144 148

Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli

l . Ermeneutica esistenziale 2 . Teologia biblica 3 . Ermeneutica femminista dei miracoli 4. Interpretazione storico-sociale dei racconti di miracoli 5 . Interpretazione psicologica dei miracoli 6. Ermeneutica dello straniamento 7. Estetica della ricezione e esegesi alla luce della storia degli effetti Sintesi: Nuove concezioni dell'ermeneutica dei miracoli 244 l Indice

155 155 159 164 168 172 178 1 85 1 90

VIII.

Approcci orientati alla pratica

l . Premesse di psicologia dello sviluppo 2. Problemi di fondo della didattica dei miracoli 3 . 'Narrazione biblica' e racconti di miracoli 4. Giochi di ruolo - interazione - bibliodramma 5. Approcci della didattica dei simboli 6. Storie di fede, istruzioni di comportamento, immagini di speranza 7. Miracoli nei film su Gesù

245

193 1 93 199 204 2 15 22 1 225 23 5