Principi di Biochimica
 9788808974563

Table of contents :
Prefazione......Page 1
Indice......Page 7
Capitolo 1......Page 18
Capitolo 2......Page 40
Capitolo 3......Page 62
Capitolo 4......Page 102
Capitolo 5......Page 119
Capitolo 6......Page 155
Capitolo 7......Page 209
Capitolo 8......Page 253
Capitolo 9......Page 278
Capitolo 10......Page 330
Capitolo 11......Page 360
Capitolo 12......Page 402
Capitolo 13......Page 445
Capitolo 14......Page 489
Capitolo 15......Page 527
Capitolo 16......Page 574
Capitolo 17......Page 610
Capitolo 18......Page 641
Capitolo 19......Page 687
Capitolo 20......Page 724
Capitolo 21......Page 782
Capitolo 22......Page 841
Appendice......Page 874
Indice Analitico......Page 879

Citation preview

P R E FA Z I O N E

La biochimica non può più essere considerata una materia specialistica, ma piuttosto parte del nucleo centrale delle conoscenze dei chimici e dei biologi attuali. Inoltre, la familiarità con i principi biochimici è diventata una componente sempre più preziosa nella formazione medica. Nel redigere questo testo, ci siamo chiesti: “Possiamo fornire agli studenti delle solide basi di biochimica, unite alla capacità di problem-solving per mettere in pratica ciò che hanno appreso?”. Abbiamo concluso che è più importante che mai andare incontro alle esigenze di un programma di studi di biochimica, connettere questa materia alle sue basi chimiche e analizzare i modi in cui la biochimica può dare conto della salute e delle malattie umane. Volevamo anche fornire agli studenti l’opportunità di sviluppare le capacità pratiche di cui avranno bisogno per affrontare le sfide scientifiche e cliniche del futuro. Questo volume, Principi di biochimica – estratto da Fondamenti di biochimica, quarta edizione condotta sulla quinta edizione americana – si focalizza sui principi di base sfruttando anche le nuove tecniche per favorire la comprensione. Poiché siamo convinti che gli studenti apprendano ponendosi continuamente delle domande, sono presenti delle serie di problemi al termine di ogni capitolo, domande all’interno del testo e risorse online per un’ulteriore valutazione. Ci siamo impegnati per fornire agli studenti un libro di testo che fosse completo, scritto in modo chiaro e pertinente.



mazioni nel contesto di ciò che hanno già incontrato in altri corsi di studio. CONCETTI DI BASE Lo stato stazionario Sebbene molte reazioni siano vicine all’equilibrio, un’intera via metabolica – e il metabolismo cellulare nel suo complesso – non raggiunge mai l’equilibrio. Questo perché i materiali e l’energia entrano ed escono continuamente dal sistema, che si trova in uno stato stazionario. Le vie metaboliche procedono, come se cercassero di raggiungere l’equilibrio (principio di Le Châtelier), ma non riescono mai a raggiungerlo, perché continuano ad arrivare nuovi reagenti, mentre i prodotti non si accumulano.

Impostazione grafica

La possibilità degli studenti di capire e interpretare al meglio i grafici biochimici, le illustrazioni e i processi svolge un ruolo molto importante nella loro comprensione sia dell’insieme sia dei dettagli della biochimica. Le figure sono intese ad aiutare gli studenti a utilizzare le immagini di concerto con il testo.

• Quesiti nelle figure. Per sottolineare ulteriormente l’importanza di interpretare varie immagini e diversi dati, abbiamo incluso delle domande alla fine delle didascalie delle figure per incoraggiare gli studenti ad affrontare con impegno il materiale e verificare la loro comprensione del processo appena illustrato.

La didattica

Abbiamo dato un’importanza significativa all’aspetto didattico, cercando di perfezionare e armonizzare sempre meglio il testo, per favorire l’apprendimento. In questa direzione abbiamo introdotto i seguenti elementi. • I concetti chiave all’inizio di ogni paragrafo per favorire l’identificazione dei concetti più importanti, fornendo così la traccia necessaria a una migliore individuazione degli argomenti. • Concetti di base Brevi affermazioni poste ai margini per riassumere alcuni dei concetti generali che sono alla base della biochimica moderna, come l’evoluzione, la relazione struttura/funzione delle macromolecole, la trasformazione materia/energia e l’omeostasi. Questi richiami aiutano gli studenti a sviluppare una conoscenza più ricca quando integrano nuove infor-

1,0 0,8 pH 7,2 YO

0,6

pH 7,4

2

pH 7,6 0,4 0,2 0

0

20

40

60 80 pO2 (torr)

100

120

140

Figura 7.11 L’effetto Bohr. L’affinità per l’O2 dell’emoglobina aumenta con l’aumentare del pH. La linea tratteggiata indica la pO2 nel muscolo in attiva respirazione. [Benesch, R.E. e Benesch, R. (1974). Adv. Protein Chem. 28, 212.]

L’effetto del pH sul legame con l’ossigeno è maggiore alle alte o alle basse concentrazioni di ossigeno?

IV

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• Immagini molecolari. Le immagini molecolari sono molto dettagliate, più chiare e più facili da interpretare; in molti casi sono il risultato dei più recenti affinamenti della tecnologia di visualizzazione delle molecole che hanno portato a modelli macromolecolari aventi una risoluzione maggiore o che hanno rivelato nuove caratteristiche dei meccanismi.

SCHEMA DI PROCESSO

Primo anticorpo

Immobilizzazione 1 del primo anticorpo su un supporto solido.

Supporto solido Proteina

Incubazione con un 2 campione contenente la proteina.

Siti di legame dell’insulina

Secondo anticorpo

Figura 13.4 Struttura ai raggi X dell’ectodominio del recettore

Enzima

dell’insulina. È rappresentato uno dei suoi protomeri αβ in modello a nastro con i suoi sei domini colorati secondo l’ordine dei colori dell’arcobaleno, con il dominio N-terminale in blu e il C-terminale in rosso. L’altro protomero è rappresentato con un‘immagine della sua superficie colorata nello stesso modo. La subunità β è composta da gran parte del dominio arancione e da tutto il dominio rosso. La proteina è rappresentata con la membrana plasmatica sotto e il suo doppio asse verticale. Nel recettore integro, una singola elica transmembrana connette ciascuna unità β al suo dominio PTK citoplasmatico C-terminale. [Basato sulla struttura ai raggi X di Michael Weiss, Case Western Reserve University, e Michael Lawrence, Walter and Eliza Hall Institute of Medical Research, Victoria, Australia, PDBid 3LOH].

Aggiunta di un secondo anticorpo legato 3 covalentemente a un enzima che si può dosare.

Lavaggio e dosaggio dell’attività dell’enzima. La quantità di substrato 4 convertito in prodotto indica la quantità di proteina presente. Prodotto rilevabile

• I punti di verifica, una cospicua dotazione di domande che compaiono alla fine di ciascun paragrafo, utili agli studenti per verificare la loro padronanza dei concetti più importanti del paragrafo che hanno appena studiato. Le risposte non sono state fornite per incoraggiare gli studenti a risfogliare il testo del capitolo, per consolidare l’apprendimento, un procedimento che rinforza la familiarità dello studente con la materia. • Frasi chiave scritte in corsivo per facilitare e rendere più veloce la loro identificazione visiva. • Figure che riassumono la visione d’insieme di molti processi metabolici. • Figure poste all’interno del testo che illustrano in modo dettagliato i meccanismi enzimatici. • Schemi di processo. Queste illustrazioni graficamente differenziate e subito individuabili mettono in risalto i processi biochimici importanti e integrano il testo descrittivo all’interno della figura, sfruttando un metodo di apprendimento più legato alle immagini. Seguendo il processo che viene illustrato

Substrato

Figura 5.3 Dosaggio con immunoassorbimento legato a

enzimi. (1) Su un solido inerte, come per esempio il polistirene, viene immobilizzato un anticorpo contro la proteina di interesse. (2) Sulla superficie rivestita di anticorpo è applicata la soluzione da dosare; l’anticorpo lega la proteina di interesse, mentre le altre molecole proteiche sono rimosse. (3) Il complesso proteinaanticorpo viene fatto reagire con un secondo anticorpo proteinaspecifico a cui è unito un enzima. (4) Il legame del secondo complesso anticorpo-enzima è misurato mediante il dosaggio dell’attività dell’enzima. La quantità di substrato convertito in prodotto indica la quantità di proteina presente. Come potreste dosare la proteina di interesse se il secondo anticorpo avesse legato a sé un gruppo fluorescente o un radioisotopo invece che un enzima?

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passo per passo, è molto più facile che gli studenti acquistino padronanza dei principi chiave invece di memorizzare semplicemente i dettagli senza seguire un criterio. • Codici di identificazione PDB, inseriti nelle didascalie delle figure, sono forniti per ogni struttura molecolare in modo che gli studenti possano scaricare dalla rete ed esplorare le strutture per conto loro. • Rassegna dei principi chimici che stanno alla base dei fenomeni biochimici, tra cui la termodinamica e gli equilibri, le cinetiche chimiche e le reazioni di ossidoriduzione. • Esempi di calcolo che presentano le modalità con cui gli studenti possono applicare le equazioni ai dati reali.







Ð ESEMPIO DI CALCOLO 10.1

Mostrate che ∆G < 0 quando gli ioni Ca2+ si spostano dal reticolo endoplasmatico (dove [Ca2+] = 1 mM) al citosol (in cui [Ca2+] = 0,1 μM). Ipotizzate che ∆Ψ sia 0. Il citosol rappresenta l’interno, mentre il reticolo endoplasmatico è l’esterno.

DG

RT ln

[Ca2 ]interno

[Ca2 ]esterno 10 7 RT ln 10 3 RT ( 9,2)

Quindi, ∆G è negativo.

• Schede per evidenziare gli argomenti principali, che introducono gli studenti in ambiti che vanno al di là della biochimica di base, per esempio trattazioni sull’acidificazione degli oceani (Scheda 2.1), sulla produzione di molecole complesse attraverso la sintesi di polichetidi (Scheda 20.3) e sul microbioma intestinale (Scheda 22.1). – La biochimica nella salute e nella malattia, schede che mettono in evidenza l’importanza della biochimica nella pratica clinica, focalizzandosi sui meccanismi molecolari delle malattie e sui loro trattamenti farmacologici. – Le prospettive della biochimica forniscono materiali di approfondimento che altrimenti avrebbero interrotto il filo del discorso seguito dal testo. Questi materiali si trovano in schede separate dal testo, in modo che gli studenti possano conoscere alcuni metodi sperimentali e applicazioni pratiche tipici della biochimica. – Le scoperte della biochimica offrono dei profili sulle esperienze di scienziati che hanno avuto un ruolo pionieristico in diversi campi, dando agli studenti un’idea delle personalità e delle sfi-

• •

V

de scientifiche che hanno edificato la biochimica moderna. Il simbolo caduceo evidenzia le discussioni presenti nel testo su argomenti pertinenti all’ambito medico, sanitario o farmacologico. Fra gli argomenti trattati vi sono le patologie più comuni quali il diabete e le malattie neurodegenerative, così come anche argomenti di patologia meno noti che rivelano aspetti caratteristici e molto interessanti della biochimica. Focus sull’evoluzione Un’icona che rappresenta un albero evolutivo indica i passaggi nel testo che chiariscono alcuni esempi evolutivi a livello biochimico. Riassunti dei capitoli organizzati secondo i titoli dei paragrafi principali, finalizzati ancora una volta a guidare gli studenti nella focalizzazione dei punti più importanti presenti all’interno di ciascun paragrafo. Termini chiave evidenziati in grassetto. Serie di problemi I problemi di fine capitolo sono di due tipi in modo che gli studenti e i docenti possano valutare meglio il maggiore o minore impegno. I Problemi consentono agli studenti di verificare la loro comprensione dei concetti e di applicarli in modo diretto alla soluzione del problema. Le Domande difficili richiedono competenze più avanzate e la capacità di collegare tra loro argomenti diversi. La maggior parte dei problemi è disposta in coppie che si rifanno agli stessi argomenti o ad argomenti tra loro molto simili. Le soluzioni complete ai problemi dispari sono disponibili online (online.universita.zanichelli. it/voet-principi).

Allo scopo di facilitare il processo di apprendimento degli studenti sono presentati anche:

• Esercizi di bioinformatica, progetti aggiornati, redatti da Paul Craig del Rochester Institute of Technology. Questi progetti introducono  al contenuto e all’uso di database relativi agli acidi nucleici, alle sequenze proteiche, alla struttura delle proteine, all’inibizione enzimatica e a diversi altri argomenti. Gli esercizi si riferiscono a dati reali, pongono domande specifiche e inducono gli studenti a ricavare informazioni dalle banche dati online e ad accedere agli strumenti informatici per analizzare queste informazioni. • Casi di studio (ideati da Kathleen Cornely, Providence College) per favorire la comprensione di concetti biochimici utilizzando un tipo di apprendimento basato su problematiche concrete. Ogni caso riporta infatti dati presenti in letteratura e pone domande per rispondere alle quali occorre da parte degli studenti l’applicazione dei principi appresi a situazioni completamente nuove, facendo anche ricorso ad argomenti trattati in capitoli differenti del volume. Infine, viene introdotto un Approfondimento, una tipologia di domande che amplia argomenti presentati e trat-

VI

PREFAZIONE © 978-88-08-42096-1

tati nel testo oppure che invita gli studenti a informarsi e a scoprire temi non trattati, arricchendo così il proprio bagaglio culturale.

• Bibliografie, alla fine di ogni capitolo, i cui riferimenti sono stati selezionati per la loro pertinenza e facilità di consultazione. • Glossario disponibile on line contenente oltre 1200 termini e relative definizioni (online.universita.zanichelli.it/voet-principi).



L’organizzazione

Il testo comincia con due capitoli introduttivi che trattano l’origine della vita, l’evoluzione, la termodinamica, le proprietà dell’acqua e la chimica degli acidi e delle basi. Nel Capitolo 3 vengono discussi i nucleotidi e gli acidi nucleici. Tale collocazione è dovuta al fatto che la comprensione delle strutture e delle funzioni di queste molecole facilita lo studio seguente dell’evoluzione delle proteine e del metabolismo. Sono quattro (dal 4 al 7) i capitoli che analizzano la chimica degli amminoacidi, i metodi per analizzare e sequenziare le proteine, la struttura delle proteine dalla secondaria fino alla quaternaria, il ripiegamento delle proteine, e le correlazioni tra struttura e funzione nell’emoglobina, nelle proteine muscolari e negli anticorpi. Il Capitolo 8 (I carboidrati), il Capitolo 9 (I lipidi e le membrane biologiche) e il Capitolo 10 (Il trasporto di membrana) completano la trattazione delle molecole fondamentali della vita. I tre capitoli seguenti prendono in esame le proteine in azione, prima introducendo gli studenti ai meccanismi enzimatici (Capitolo 11), per poi portarli alle discussioni sulle cinetiche enzimatiche, sugli effetti degli inibitori e sulla regolazione enzimatica (Capitolo 12). Questi temi vengono poi ripresi nel Capitolo 13 che descrive le componenti delle vie di trasduzione del segnale. Il metabolismo costituisce l’argomento principale dei nove capitoli successivi, iniziando con uno di introduzione (Capitolo 14) che offre un quadro d’insieme delle vie metaboliche, della termodinamica dei composti “ad alta energia” e della chimica redox. Le vie metaboliche fondamentali sono presentate in dettaglio (per esempio, la glicolisi, il metabolismo del glicogeno e il ciclo dell’acido citrico nei Capitoli 15, 16 e 17), in modo che gli studenti possano comprendere il modo in cui i singoli enzimi catalizzano le reazioni e lavora-

no di concerto per portare a termine funzioni biochimiche complesse. I successivi Capitoli 18 (Il trasporto di elettroni e la fosforilazione ossidativa) e 19 (La fotosintesi) completano una sequenza che pone l’accento sulle vie di produzione dell’energia. Non tutte le vie sono trattate in maniera approfondita, in particolare quelle connesse con i lipidi (Capitolo 20) e gli amminoacidi (Capitolo 21). Sono invece messe in evidenza le reazioni enzimatiche considerate chiave per i loro processi chimici o per la loro rilevanza nei meccanismi di regolazione. Questa parte del libro include altresì un capitolo sull’integrazione del metabolismo (Capitolo 22), con l’intento di chiarire la specializzazione degli organi e la regolazione metabolica che i mammiferi hanno raggiunto.



Risorse multimediali

Sul sito web online.universita.zanichelli.it/voet-principi sono disponibili numerose risorse multimediali per lo studente. Alcune risorse sono strettamente collegate alle figure o agli esercizi contenuti nel libro e sono in lingua inglese. • Casi di studio: descrivono dati presenti in letteratura e richiedono agli studenti di analizzarli applicando quanto studiato. • Esercizi di bioinformatica: invitano gli studenti a usare la grande varietà di informazioni e di software presenti in rete, evidenziando la connessione tra i concetti teorici e la biochimica applicata.

Le seguenti risorse sono invece state create appositamente per l’edizione italiana del testo. Alcune di queste sono protette e per accedervi è necessario registrarsi su my.zanichelli.it inserendo la chiave di attivazione stampata sul bollino SIAE nella prima pagina del libro.

• Test interattivi: in modalità allenamento, senza limiti di tempo e con la possibilità di rispondere nuovamente, e in modalità test, con limite di tempo, valutazione e pagella. • Tecniche biochimiche: brevi animazioni che illustrano le più importanti tecniche analitiche utilizzate in biochimica. • Videolezioni: filmati che spiegano come risolvere esercizi chiave, con brevi cenni ai relativi spunti teorici. • Animazioni 3D: illustrano alcuni importanti processi biochimici.

R I N G R A Z I A M E N T I Questo testo è il risultato della fatica di molte persone, parecchie delle quali meritano un ringraziamento speciale: prima di tutti la nostra editor, Joan Kalkut, che ci ha sempre perfettamente organizzato permettendoci di rispettare i tempi. Madelyn Lesure è responsabile della grafica e Tom Nery della copertina. Billy Ray è il responsabile della ricerca iconografica mentre Deborah Wenger, caporedattrice, ha dato una forma definitiva al manoscritto eliminando errori grammaticali e tipografici. Elizabeth Swain, la direttrice tecnica, ha seguito con grande capacità la produzione del volume. Kristine Ruff è il supervisore al marketing. Un ringraziamento speciale ad Aly Rentrop, AssociaAlabama Nagarajan Vasumathi, Jacksonville State University Arizona Cindy Browder, Northern Arizona University Wilson Francisco, Arizona State University Matthew Gage, Northern Arizona University Tony Hascall, Northern Arizona University Andrew Koppisch, Northern Arizona University Scott Lefler, Arizona State University Kevin Redding, Arizona State University Arkansas Kenneth Carter, University of Central Arkansas Sean Curtis, University of Arkansas-Fort Smith California Thomas Bertolini, University of Southern California Jay Brewster, Pepperdine University Rebecca Broyer, University of Southern California Paul Buonora, California State University Long Beach William Chan, Thomas J. Long School of Pharmacy Daniel Edwards, California State University Chico Steven Farmer, Sonoma State University Andreas Franz, University of the Pacific Blake Gillespie, California State University Channel Islands Christina Goode, California State University Tom Huxford, San Diego State University Pavan Kadandale, University of California Irvine Douglas McAbee, California State University Long Beach Stephanie Mel, University of California San Diego

te Development-Editor e ad Amanda Rillo, Editorial Program Assistant. Le coordinate atomiche di molte proteine e acidi nucleici di cui compaiono le illustrazioni in questo volume sono state ricavate dal Protein Data Bank (PDB) del Research Collaboratory for Structural Bioinformatics (RCSB). Le figure sono state disegnate utilizzando i seguenti programmi di grafica molecolare: PyMOL di Warren DeLano; RIBBONS di Mike Carson; GRASP di Anthony Nicholls, Kim Sharp e Barry Honig. Vorremmo ringraziare tutti i colleghi che hanno dedicato il loro tempo fornendo importanti commenti e osservazioni sulla quinta edizione. Fra i revisori ringraziamo:

Jianhua Ren, University of the Pacific Harold (Hal) Rogers, California State University Fullerton Lisa Shamansky, California State University San Bernardino Monika Sommerhalter, California State University East Bay John Spence, California State University Sacramento Daniel Wellman, Chapman University Liang Xue, University of the Pacific Colorado Johannes Rudolph, University of Colorado Les Sommerville, Fort Lewis College Connecticut Andrew Karatjas, Southern Connecticut State University JiongDong Pang, Southern Connecticut State University Florida Deguo Du, Florida Atlantic University Dmitry Kolpashchikov, University of Central Florida Harry Price, Stetson University Reza Razeghifard, Nova Southeastern University Evonne Rezler, Florida Atlantic University Vishwa Trivedi, Bethune Cookman University Solomon Weldegirma, University of South Florida Georgia Caroline Clower, Clayton State University David Goode, Mercer University Chalet Tan, Mercer University Christine Whitlock, Georgia Southern University Daniel Zuidema, Covenant College Hawaii Jon-Paul Bingham, University of Hawaii Idaho Todd Davis, Idaho State University Owen McDougal, Boise State University Rajesh Nagarajan, Boise State University

Joshua Pak, Idaho State University Illinois Marjorie Jones, Illinois State University Valerie Keller, University of Chicago Richard Nagorski, Illinois State University Gabriela Perez-Alvarado, Southern Illinois University Indiana Ann Kirchmaier, Purdue University Andrew Kusmierczyk, Indiana UniversityPurdue University Indianapolis Paul Morgan, Butler University Mohammad Qasim, Indiana UniversityPurdue University Fort Wayne Iowa Ned Bowden, University of Iowa Olga Rinco, Luther College Kentucky Mark Blankenbuehler, Morehead State University Diana McGill, Northern Kentucky University Stefan Paula, Northern Kentucky University Louisiana Marilyn Cox, Louisiana Tech University August Gallo, University of Louisiana at Lafayette Sean Hickey, University of New Orleans Neil McIntyre, Xavier University of Louisiana Kevin Smith, Louisiana State University Wu Xu, University of Louisiana at Lafayette Maryland Peggy Biser, Frostburg State University Edward Senkbeil, Salisbury University James Watson, University of Maryland Massachusetts Philip Le Quesne, Northeastern University Joseph Kuo-Hsiang Tang, Clark University Samuel Thomas, Tufts University Dean Tolan, Boston University

VIII

PREFAZIONE

Michigan Rupali Datta, Michigan Technological University Charles Hoogstraten, Michigan State University Lesley Putman, Northern Michigan University Scott Ratz, Alpena Community College Ronald Stamper, University of Michigan Minnesota Bynthia Anose, Bethel University Eric Fort, University of St. Thomas St. Paul David Mitchell, College of Saint BenedictSaint John’s University Ken Traxler, Bemidji State University Mississippi Robert Bateman, William Carey University Douglas Masterson, University of Southern Mississippi Gerald Rowland, Mississippi State University Missouri Ruth Birch, St. Louis University Michael Lewis, Saint Louis University Anthony Toste, Missouri State University Mary Vedamuthu, Missouri Baptist University Brent Znosko, Saint Louis University Nebraska Jodi Kreiling, University of Nebraska at Omaha Madhavan Soundararajan, University of Nebraska New Jersey Gerald Frenkel, Rutgers University Bruce Hietbrink, Richard Stockton College David Hunt, The College of New Jersey Subash Jonnalagadda, Rowan University Robert D. Rossi, Gloucester County College New Mexico Donald Bellew, University of New Mexico New York Scott Bello, Rensselaer Polytechnic Institute Mrinal Bhattacharjee, Long Island University Costel Darie, Clarkson University Brahmadeo Dewprashad, Borough of Manhattan Community College Barnabas Gikonyo, State University of New York at Geneseo Glen Hinckley, Farmingdale State College Swapan Jain, Bard College Joe LeFevre, State University of New YorkOswego Pan Li, State University of New York at Albany Ruel McKnight, State University of New York at Geneseo Galina Melman, Clarkson University Daniel Moriarty, Siena College Suzanne O’Handley, Rochester Institute of Technology Wendy Pogozelski, State University of New York at Geneseo Gloria Proni, City College of New YorkHunter College

RINGRAZIAMENTI © 978-88-08-42096-1

Wilma Saffran, City University of New York-Queens College David Vuletich, The College at Brockport, SUNY North Carolina Erik Alexanian, University of North Carolina-Chapel Hill Brad Chazotte, Campbell University College of Pharmacy & Health Sciences Jahangir Emrani, North Carolina Agricultural & Technical State University Harold Goldston, High Point University Brian Love, East Carolina University Jim Parise, Duke University Cornelia Tirla, University of North Carolina-Pembroke Wei You, University of North CarolinaChapel Hill North Dakota Bryan Schmidt, Minot State University Karla Wohlers, North Dakota State University Ohio Neil Ayres, University of Cincinnati E. J. Behrman, Ohio State University Venkat Gopalan, Ohio State University Benjamin Gung, Miami University Allan Pinhas, University of Cincinnati Lawrence Prochaska, Wright State University Joel Shulman, University of Cincinnati Oklahoma Joseph Ahlander, Northeastern State University Donna Nelson, University of OklahomaNorman Campus Oregon Patricia Flatt, Western Oregon University Angela Hoffman, University of Portland Pennsylvania Felicia Corsaro-Barbieri, Gwynedd Mercy College Lydia Daniels, University of Pittsburgh Tom Hagan, Elizabethtown College Joseph Kremer, Alvernia University Tami Mysliwiec, Penn State Berks Matthew Price, California University of Pennsylvania Joel Ressner, West Chester University of Pennsylvania Julian Snow, University of the Sciences Robert Stanley, Temple University Sandra Turchi, Millersville University Frank Wilkinson, Philadelphia University Rhode Island Kathleen Cornely, Providence College South Carolina Verne Biddle, Bob Jones University Carl Heltzel, Clemson University South Dakota Grigoriy Sereda, University of South Dakota Tennessee William Boadi, Tennessee State University Ramez Elgammal, University of Tennessee Knoxville

Scott Handy, Middle Tennessee State University Beng Ooi, Middle Tennessee State University Alisha Russell, Trevecca Nazarene University Aleksey Vasiliev, East Tennessee State University Texas Jeff Allison, Austin Community College Hays Campus Shawn Amorde, Austin Community College Rachell Booth, Texas State University-San Marcos Billy Britt, Texas Woman’s University Jennifer Irvin, Texas State University-San Marcos Douglas Root, University of North Texas Robert W. Shaw, Texas Tech University Utah Steven Wood, Brigham Young University Vermont Roger Sandwick, Middlebury College Virginia Kimberly Lane, Radford University Washington Kyle Craig, Walla Walla University West Virginia Derrick Kolling, Marshall University Robert Warburton, Shepherd University Wisconsin Richard Amasino, University of Wisconsin Elizabeth Glogowski, University of Wisconsin Eau Claire Nicholas Silvaggi, University of WisconsinMilwaukee Tehshik Yoon, University of WisconsinMadison

• Referenti internazionali Canada British Columbia Jeremy Wulff, University of Victoria Ontario France-Isabelle Auzanneau, University of Guelph Eric Gauthier, Laurentian University Masoud Jelokhani-Niaraki, Wilfrid Laurier University Paesi Bassi Peter-Leon Hagedoorn, Delft University of Technology Filippine Evangeline Amor, University of the Philippines Diliman Singapore Y. Adam Yuan, National University of Sciences Taiwan Shun-Fen Tzeng, National Cheng Kung University Thailandia Sunanta Ratanapo, Kasetsart University

I N D I C E

CAPITOLO 1

SCHEDA 2.1 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

Introduzione alla chimica della vita C

1

L’origine della vita

2

A

Le molecole biologiche si sono formate da sostanze inanimate

2

I sistemi complessi autoreplicanti si sono evoluti da molecole semplici

B

Le conseguenze dell’acidificazione degli oceani

36

I tamponi resistono alle variazioni di pH

38

SCHEDA 2.2 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA Il sistema tampone del sangue

41

RIASSUNTO

42

3

PROBLEMI

42

BIBLIOGRAFIA

44

2

L’architettura della cellula

5

A

Le cellule svolgono reazioni metaboliche

6

B

Esistono due tipi di cellule: quelle procariotiche e quelle eucariotiche

7

I dati molecolari rivelano l’esistenza di tre domini evolutivi di organismi

Nucleotidi, acidi nucleici e informazioni genetiche

9

1

I nucleotidi

2

Introduzione alla struttura degli acidi nucleici

49

A

Gli acidi nucleici sono polimeri di nucleotidi

49

C

CAPITOLO 3

SCHEDA 1.1 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA

Lynn Margulis e la teoria dell’endosimbiosi

10

Gli organismi continuano a evolversi

11

3

La termodinamica

11

A

La prima legge della termodinamica afferma che l’energia viene conservata

D

12

SCHEDA 1.2 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

Le convenzioni usate in biochimica

La seconda legge della termodinamica afferma che l’entropia tende ad aumentare

C

La variazione di energia libera determina la spontaneità di un processo

D

Le variazioni di energia libera possono essere calcolate in base ai valori delle concentrazioni all’equilibrio

16

La vita raggiunge l’omeostasi obbedendo alle leggi della termodinamica

19

RIASSUNTO

21

PROBLEMI

21

E

BIBLIOGRAFIA

Il DNA forma una doppia elica

50

C

L’RNA è un acido nucleico a singolo filamento

53

3

Uno sguardo alla funzione degli acidi nucleici

54

A

Le informazioni genetiche sono contenute nel DNA

54

B

La sintesi proteica è diretta dai geni

55

4

Il sequenziamento degli acidi nucleici

57

A

Le endonucleasi di restrizione tagliano il DNA a livello di sequenze specifiche

58

B

L’elettroforesi separa gli acidi nucleici in base alla loro dimensione

59

C

Il metodo tradizionale di sequenziamento del DNA utilizza la tecnica di terminazione della catena

60

D

Le tecnologie di sequenziamento di nuova generazione sono a elevato parallelismo

63

E

Sono stati sequenziati interi genomi

64

13 14

22

CAPITOLO 2

SCHEDA 3.1 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA

L’acqua 1

Le proprietà fisiche dell’acqua

24

A

L’acqua è una molecola polare

24

B

Le sostanze idrofiliche si sciolgono in acqua

27

C

L’effetto idrofobico causa l’aggregazione delle sostanze non polari in acqua

28

L’acqua si muove per osmosi, mentre i soluti si muovono per diffusione

31

2

Le proprietà chimiche dell’acqua

33

A

L’acqua si ionizza formando ioni H+ e OH–

34

B

Gli acidi e le basi alterano il pH

35

D

B

13

B

46

Francis Collins e il gene della fibrosi cistica

65

F

L’evoluzione è il risultato delle mutazioni nelle sequenze

67

5

La manipolazione del DNA

70

A

Il DNA clonato è una sua copia amplificata

70

B

Le librerie di DNA sono raccolte di DNA clonati

74

C

Il DNA è amplificato per mezzo della reazione a catena della polimerasi

76

SCHEDA 3.2 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

L’“impronta digitale” (fingerprinting) del DNA D

77

La tecnologia del DNA ricombinante ha moltissime applicazioni pratiche 77

X

INDICE © 978-88-08-42096-1

SCHEDA 3.3 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA Gli aspetti

80

RIASSUNTO

81

PROBLEMI

82

BIBLIOGRAFIA

84

CAPITOLO 4

Gli amminoacidi 1

La struttura degli amminoacidi

La spettrometria di massa determina la massa molecolare dei peptidi

122

Le ricostruzioni delle sequenze proteiche sono conservate nelle banche dati

125

4

L’evoluzione delle proteine

126

A

Le sequenze delle proteine rivelano l’esistenza di relazioni evolutive

127

B

Le proteine si evolvono per duplicazione dei geni o di segmenti genici

130

RIASSUNTO

133

PROBLEMI

134

BIBLIOGRAFIA

137

D

etici legati alla tecnologia del DNA ricombinante

E

85

SCHEDA 4.1 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA William C.

Rose e la scoperta della treonina

86

A

Gli amminoacidi possono essere ioni dipolari

89

B

I legami peptidici uniscono gli amminoacidi nelle proteine

89

C

Le catene laterali degli amminoacidi possono essere non polari, polari o cariche

89

D

I valori di pK dei gruppi ionizzabili dipendono dall’ambiente circostante

91

E

I nomi degli amminoacidi sono abbreviati

92

2

La stereochimica

93

SCHEDA 4.2 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

CAPITOLO 6

Le proteine: struttura tridimensionale 1

La struttura secondaria

139

A

Il gruppo peptidico planare limita le conformazioni di un polipeptide

139

SCHEDA 6.1 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA Linus Pauling B

e la biochimica strutturale

142

Le strutture secondarie più comuni sono l’α-elica e il foglietto β

143

Le proteine fibrose hanno strutture secondarie ripetitive

147

Il sistema RS

95

3

I derivati degli amminoacidi

97

A

Nelle proteine, le catene laterali possono essere modificate

97

SCHEDA 6.2 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA Le malattie associate al collageno

Alcuni amminoacidi sono biologicamente attivi

97

D

La maggior parte delle proteine contiene strutture non ripetitive

152

98

2

La struttura terziaria

153

RIASSUNTO

100

A

PROBLEMI

100

BIBLIOGRAFIA

101

Le strutture delle proteine vengono determinate tramite la cristallografia a raggi X, la risonanza magnetica nucleare (NMR) e la microscopia crioelettronica

153

La localizzazione delle catene laterali varia in base alla polarità

159

B

C

SCHEDA 4.3 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

La proteina con fluorescenza verde

B

CAPITOLO 5

Le proteine: struttura primaria

150

C

Le strutture terziarie contengono combinazioni di strutture secondarie

160 164

1

La diversità dei polipeptidi

102

D

La struttura è più conservata della sequenza

2

Purificazione e analisi delle proteine

104

E

A

La purificazione di una proteina richiede una strategia da seguire

105

La bioinformatica strutturale fornisce gli strumenti per immagazzinare, visualizzare e confrontare le informazioni sulla struttura di una proteina 165

B

La tecnica del salting out separa le proteine sfruttando la loro solubilità

3

Struttura quaternaria e simmetria

168

108

4

La stabilità delle proteine

169

La cromatografia si basa su interazioni con una fase mobile e una stazionaria

109

A

Le proteine sono stabilizzate da diverse forze

170

L’elettroforesi separa le molecole in base alla carica e alla dimensione

B

112

Le proteine possono andare incontro a denaturazione e rinaturazione

172

L’ultracentrifugazione separa le molecole in base alla massa

115

Il sequenziamento delle proteine

116

C D E

3

SCHEDA 5.1 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA Frederick

Sanger e il sequenziamento delle proteine

117

La prima tappa consiste nel separare le subunità

119

B

Le catene polipeptidiche vengono scisse

120

C

La degradazione di Edman rimuove il primo residuo amminoacidico di un peptide

121

A

SCHEDA 6.3 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

Le proteine termostabili

172

C

Le proteine sono strutture dinamiche

174

5

Il ripiegamento delle proteine

175

A

Le proteine seguono percorsi specifici per il ripiegamento

176

SCHEDA 6.4 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA Previsione

della struttura delle proteine e progettazione di proteine B

178

Gli chaperoni molecolari facilitano il ripiegamento delle proteine 178

INDICE © 978-88-08-42096-1

C

B

I polisaccaridi

243

A

Il lattosio e il saccarosio sono disaccaridi

243

184

RIASSUNTO

188

PROBLEMI

189

SCHEDA 8.1 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA L’intolleranza al lattosio

BIBLIOGRAFIA

191

B

Il legame dell’ossigeno alla mioglobina e all’emoglobina

193

La mioglobina è una proteina monomerica in grado di legare l’ossigeno

193

L’emoglobina è un tetramero che assume due conformazioni

197 197

SCHEDA 7.2 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA Max Perutz C D

e la struttura e la funzione dell’emoglobina

198

L’ossigeno si lega cooperativamente all’emoglobina

200

Le due conformazioni dell’emoglobina mostrano affinità differenti per l’ossigeno

I dolcificanti artificiali

244

L’amido e il glicogeno sono polisaccaridi di immagazzinamento

246

D

I glicosamminoglicani formano gel molto idratati

248

3

Le glicoproteine

251

A

I proteoglicani contengono glicosamminoglicani

251

B

Le pareti cellulari dei batteri sono costituite da peptidoglicani

252

SCHEDA 8.3 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA Gli antibiotici specifici per

i peptidoglicani

254

C

Molte proteine eucariotiche sono glicosilate

254

D

Gli oligosaccaridi possono determinare la struttura, la funzione e il riconoscimento delle proteine

256

RIASSUNTO

258

PROBLEMI

259

BIBLIOGRAFIA

260

202

SCHEDA 7.3 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA L’adattamento alle elevate altitudini

207

Le mutazioni possono alterare la struttura e la funzione dell’emoglobina

210

2

La contrazione muscolare

213

A

Il muscolo striato è costituito da filamenti spessi e sottili interdigitati tra loro

E

CAPITOLO 9

I lipidi e le membrane biologiche 1

La classificazione dei lipidi

261

213

A

Le proprietà degli acidi grassi dipendono dalle loro catene idrocarburiche

262

215

B

I triacilgliceroli contengono tre acidi grassi esterificati

264

C

I glicerofosfolipidi sono molecole anfifiliche

265

SCHEDA 9.1 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA Il tensioattivo polmonare (surfattante)

267

SCHEDA 7.4 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA Hugh Huxley

e il modello a scorrimento dei filamenti

244

C

SCHEDA 7.1 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA Altre

proteine di trasporto dell’ossigeno

La cellulosa e la chitina sono polisaccaridi strutturali

244

SCHEDA 8.2 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

La funzione delle proteine: la mioglobina e l’emoglobina, la contrazione muscolare e gli anticorpi

A

2

Diverse malattie sono causate da un errato ripiegamento delle proteine

CAPITOLO 7

1

XI

La contrazione del muscolo avviene quando le teste della miosina si spostano lungo i filamenti sottili

221

Nelle cellule non muscolari l’actina forma i microfilamenti

223

D

Gli sfingolipidi sono derivati di amminoalcoli

268

3

Gli anticorpi

225

E

Gli steroidi sono molecole a quattro anelli fusi

270

A

Gli anticorpi hanno regioni costanti e variabili

226

F

Altri lipidi svolgono molti ruoli metabolici

273

B

Gli anticorpi riconoscono una vasta gamma di antigeni

2

I doppi strati lipidici

276

A

La formazione di un doppio strato è guidata dall’effetto idrofobico

276

I doppi strati lipidici hanno proprietà simili a quelle dei fluidi

277

B

C

228

SCHEDA 7.5 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

Gli anticorpi monoclonali

229

RIASSUNTO

232

PROBLEMI

233

3

Le proteine di membrana

279

BIBLIOGRAFIA

235

A

Le proteine integrali di membrana interagiscono con le porzioni idrofobiche dei lipidi

279

B

SCHEDA 9.2 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA Richard

CAPITOLO 8

I carboidrati B

1

I monosaccaridi

236

A

I monosaccaridi sono aldosi o chetosi

236

B

I monosaccaridi possono avere configurazioni e conformazioni diverse

C

Gli zuccheri possono essere modificati e legati covalentemente

238 240

C

Henderson e la struttura della batteriorodopsina

282

Le proteine legate ai lipidi sono ancorate al doppio strato

285

Le proteine periferiche sono debolmente associate alla membrana

286

4

Struttura e organizzazione delle membrane 287

A

Il modello a mosaico fluido spiega la diffusione laterale

287

INDICE

XII

© 978-88-08-42096-1

Lo scheletro di membrana aiuta a definire la forma della cellula

288

I lipidi di membrana sono distribuiti in modo asimmetrico

292

La via di secrezione genera le proteine secrete e quelle transmembrana

295

E

Vescicole intracellulari trasportano le proteine

299

F

Le proteine mediano la fusione delle vescicole

304

B C D

SCHEDA 9.3 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA Le tossine tetanica e botulinica scindono

le SNARE in maniera specifica

305

RIASSUNTO

309

PROBLEMI

310

BIBLIOGRAFIA

312

CAPITOLO 10

Il trasporto di membrana

3

I meccanismi di catalisi

351

SCHEDA 11.1 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA A

Illustrazione dei meccanismi di reazione

352

La catalisi acido-base avviene per trasferimento protonico

352

SCHEDA 11.2 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

Gli effetti del pH sull’attività enzimatica

354

B

La catalisi covalente richiede un nucleofilo

354

C

Gli ioni metallici agiscono da catalizzatori

357

D

La catalisi è favorita dalla vicinanza e dall’orientamento

358

Gli enzimi catalizzano le reazioni legando preferenzialmente lo stato di transizione

360

4

Il lisozima

361

A

Il sito catalitico del lisozima è stato definito tramite la costruzione di modelli

362

B

Nella reazione del lisozima si forma un intermedio covalente

365

E

La termodinamica del trasporto

313

5

Le serina proteasi

369

2

Il trasporto mediato passivo

315

A

A

Gli ionofori trasportano gli ioni attraverso la membrana

I residui amminoacidici del sito attivo sono stati identificati per marcatura chimica

369

315

B

Le porine contengono barili β

316

SCHEDA 11.3 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA I veleni che colpiscono il sistema nervoso 370

C

I canali ionici sono altamente selettivi

317

D

Le acquaporine mediano il movimento dell’acqua attraverso la membrana

324

Le proteine di trasporto possono assumere due conformazioni

326

1

E

Le strutture ai raggi X forniscono informazioni sulla catalisi, sulla specificità di substrato e sull’evoluzione

371

C

Le serina proteasi utilizzano differenti meccanismi di catalisi

374

D

Gli zimogeni sono i precursori inattivi degli enzimi

379

B

SCHEDA 10.1 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

Le giunzioni comunicanti

326

SCHEDA 10.2 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

SCHEDA 11.4 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA La cascata di coagulazione del sangue

380

Le differenze tra trasporto mediato e non mediato

329

3

382

Il trasporto attivo

RIASSUNTO

330

La (Na+-K+) ATPasi trasporta gli ioni in direzioni opposte

PROBLEMI

382

A

BIBLIOGRAFIA

384

SCHEDA 10.3 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA L’azione dei glicosidi cardiaci

Ca2+

ATPasi pompa ioni

Ca2+

fuori dal citosol

331 333

CAPITOLO 12

333

Cinetica enzimatica, inibizione e regolazione

B

La

C

I trasportatori ABC sono i responsabili della resistenza ai farmaci

335

D

Il trasporto attivo può essere guidato dai gradienti ionici

337

RIASSUNTO

339

PROBLEMI

340

BIBLIOGRAFIA

342

1

La cinetica delle reazioni

385

A

Le equazioni della velocità descrivono la cinetica chimica

386

La cinetica enzimatica segue spesso l’equazione di Michaelis-Menten

388

B

SCHEDA 12.1 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA

J.B.S. Haldane e l’azione degli enzimi CAPITOLO 11

La catalisi enzimatica Le proprietà generali degli enzimi

344

A

Gli enzimi sono classificati in base al tipo di reazione che catalizzano

345

Gli enzimi agiscono su substrati specifici

345

C

Alcuni enzimi necessitano di cofattori

2

L’energia di attivazione e la coordinata di reazione

Cinetica e teoria dello stato di transizione

393

Dai dati cinetici è possibile calcolare i valori di Vmax e di KM

393

Le reazioni a due substrati seguono una delle diverse equazioni di velocità

396

2

L’inibizione enzimatica

398

A

Nell’inibizione competitiva l’inibitore si lega al sito attivo dell’enzima

398

SCHEDA 12.3 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA Gli inibitori enzimatici dell’HIV

401

C

1

B

390

SCHEDA 12.2 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

D

347 348

INDICE © 978-88-08-42096-1

B

Nell’inibizione incompetitiva l’inibitore si lega al complesso enzima-substrato

C

404

Nell’inibizione mista l’inibitore si lega sia all’enzima in forma libera sia al complesso enzima-substrato

406

3

Il controllo dell’attività enzimatica

407

A

Il controllo allosterico riguarda il legame a un sito diverso dal sito attivo

C

D

408

XIII

L’adenilato ciclasi sintetizza AMP ciclico per attivare la proteina chinasi A

456

Le fosfodiesterasi limitano l’attività del secondo messaggero

459

SCHEDA 13.4 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA I farmaci e le tossine che influenzano

le segnalazioni cellulari

460

4

La via del fosfoinositide

461

A

L’associazione del ligando al recettore determina 462 il rilascio dei secondi messaggeri IP3 e Ca2+

Il controllo per modificazione covalente avviene solitamente mediante fosforilazione delle proteine

412

B

4

La calmodulina è un modulatore attivato dal Ca2+

463

La progettazione di farmaci

416

C

A

La scoperta di nuovi farmaci utilizza una grande varietà di tecniche

Il DAG è un secondo messaggero liposolubile che attiva la proteina chinasi C

466

416

La biodisponibilità di un farmaco dipende dal suo assorbimento e trasporto nel corpo

Epilogo: i sistemi complessi hanno proprietà emergenti

467

418

RIASSUNTO

469

PROBLEMI

470

BIBLIOGRAFIA

471

B

B C D

D

Le sperimentazioni cliniche verificano l’efficacia e la sicurezza di un farmaco

419

I citocromi P450 sono spesso coinvolti nelle reazioni sfavorevoli causate dai farmaci

420

RIASSUNTO

423

CAPITOLO 14

PROBLEMI

424

Introduzione al metabolismo

BIBLIOGRAFIA

427

1

Una panoramica del metabolismo

473

A

La nutrizione: assunzione e utilizzazione degli alimenti

473

B

Le vitamine e i minerali facilitano le reazioni metaboliche

474

C

Le vie metaboliche sono costituite da serie di reazioni enzimatiche

475

CAPITOLO 13

La segnalazione biochimica 1

Gli ormoni

428

SCHEDA 13.1 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA

Rosalyn Yalow e il dosaggio radioimmunologico (radioimmunoassay o RIA) A B C

430

Gli ormoni delle isole pancreatiche controllano il metabolismo dei combustibili

430

L’adrenalina e la noradrenalina preparano l’organismo all’azione

431

Gli ormoni steroidei regolano una grande varietà di processi metabolici e sessuali

432

L’ormone della crescita si lega ai recettori presenti nei muscoli, nelle ossa e nelle cartilagini

433

2

I recettori con attività tirosina chinasica

435

A

I recettori con attività tirosina chinasica trasmettono segnali attraverso la membrana cellulare

D

SCHEDA 14.1 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA Gli stati

di ossidazione del carbonio

477

La termodinamica stabilisce la direzione e la capacità di regolazione delle vie metaboliche

479

E

Il flusso metabolico deve essere controllato

480

2

I composti “ad alta energia”

483

D

SCHEDA 14.2 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA A

486

435

Reazioni accoppiate guidano i processi endoergonici

486

recettore-ligando può essere quantificato

436

C

Le cascate delle chinasi trasferiscono segnali al nucleo

Altri composti fosforilati hanno elevati potenziali di trasferimento del gruppo fosforico

488

439

D

I tioesteri sono composti ad alta energia

492

443 445

Le proteina fosfatasi sono di diritto proteine di segnalazione

448

3

Le proteine G eterotrimeriche

451

A

I recettori associati alle proteine G contengono sette eliche transmembrana

453

B

484

ATP e DG

Alcuni recettori sono associati a tirosina chinasi non recettoriali

D

L’ATP ha un elevato potenziale di trasferimento del gruppo fosforico

B

SCHEDA 13.3 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA Gli oncogeni e il cancro C

483

SCHEDA 14.3 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

SCHEDA 13.2 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA Il legame B

Fritz Lipmann e i composti “ad alta energia”

Le proteine G eterotrimeriche si dissociano in seguito ad attivazione

454

3

Le reazioni di ossidoriduzione

493

A

NAD+ e FAD sono trasportatori di elettroni

493

B

L’equazione di Nernst descrive l’energetica delle reazioni di ossidoriduzione

494

La spontaneità di una reazione può essere determinata dalle differenze dei potenziali di riduzione

496

4

I metodi sperimentali di studio del metabolismo

499

A

I metaboliti marcati possono essere usati come traccianti

499

C

XIV B C

INDICE © 978-88-08-42096-1

Lo studio delle vie metaboliche spesso prevede l’uso di agenti perturbanti

C

501

La biologia dei sistemi è entrata a far parte dello studio del metabolismo

502

RIASSUNTO

506

PROBLEMI

507

BIBLIOGRAFIA

509

6

La via del pentosio fosfato

546

A

Nella fase 1 le reazioni ossidative producono NADPH

548

Nella fase 2 il ribulosio-5-fosfato viene isomerizzato o epimerizzato

549

Nella fase 3 avvengono le reazioni di scissione e di formazione di legame carbonio-carbonio

549

La via del pentosio fosfato deve essere regolata

551

B C D

CAPITOLO 15

SCHEDA 15.4 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA La carenza di glucosio-6-fosfato

Il catabolismo del glucosio SCHEDA 15.1 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA

1

511

Una panoramica della glicolisi

512

PROBLEMI

554

BIBLIOGRAFIA

556

Le reazioni della glicolisi

514

L’esochinasi utilizza la prima molecola di ATP

514

B

La fosfoglucosio isomerasi converte il glucosio-6-fosfato in fruttosio-6-fosfato

515

La fosfofruttochinasi utilizza la seconda molecola di ATP

517

L’aldolasi converte un composto a 6 atomi di carbonio in due molecole a 3 atomi di carbonio

517

E

F G H

CAPITOLO 16

La triosio fosfato isomerasi interconverte tra loro il diidrossiacetone fosfato e la gliceraldeide-3-fosfato

518

La gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi forma il primo intermedio “ad alta energia”

522

La fosfoglicerato chinasi produce la prima molecola di ATP

524

La fosfoglicerato mutasi interconverte il 3-fosfoglicerato e il 2-fosfoglicerato

J

3 A

B C

La demolizione del glicogeno

558

A

La glicogeno fosforilasi degrada il glicogeno a glucosio-1-fosfato

559

C

525

Cori e il metabolismo del glucosio

560

L’enzima deramificante del glicogeno agisce come una glucosiltransferasi

562

La fosfoglucomutasi interconverte glucosio-1-fosfato e glucosio-6-fosfato

563

SCHEDA 16.2 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA Le malattie da accumulo di glicogeno

564

2

La sintesi del glicogeno

566

A

La UDP-glucosio pirofosforilasi attiva le unità glucosidiche

566

La sintesi di 2,3-bisfosfoglicerato negli eritrociti e il suo effetto sulla capacità di trasportare l’ossigeno nel sangue

527

L’enolasi forma il secondo intermedio “ad alta energia”

B

La glicogeno sintasi allunga le catene di glicogeno 567

527

C

La piruvato chinasi produce la seconda molecola di ATP

L’enzima ramificante del glicogeno trasferisce segmenti di glicogeno di sette residui

528

SCHEDA 16.3 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

La fermentazione: il destino anaerobico del piruvato La fermentazione omolattica converte il piruvato in lattato

530

La fermentazione alcolica converte il piruvato in CO2 ed etanolo

532

La fermentazione è energeticamente favorita

535 535

4

La regolazione della glicolisi

536

A

La fosfofruttochinasi è il principale enzima che controlla il flusso della glicolisi nel muscolo

537

B

Il ciclo del substrato regola finemente il flusso

539

5

Il metabolismo di esosi diversi dal glucosio

541

Il fruttosio viene convertito in fruttosio-6-fosfato o gliceraldeide-3-fosfato

542

570

3

Il controllo del metabolismo del glicogeno

571

A

La glicogeno fosforilasi e la glicogeno sintasi sono sotto controllo allosterico

571

B

La glicogeno fosforilasi e la glicogeno sintasi sono sottoposte a controllo per modificazione covalente

571

Il metabolismo del glicogeno è soggetto a controllo ormonale

576

4

La gluconeogenesi

578

A

Il piruvato viene convertito in fosfoenolpiruvato in due tappe

579

Reazioni idrolitiche aggirano quelle irreversibili della glicolisi

583

La gluconeogenesi e la glicolisi sono regolate in modo indipendente

583

Le altre vie biosintetiche dei carboidrati

585

C

B C

Il galattosio viene convertito in glucosio-6-fosfato 544

569

L’ottimizzazione della struttura del glicogeno

531

La produzione glicolitica di ATP nel muscolo

B

1

B

SCHEDA 15.3 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

A

Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

SCHEDA 16.1 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA Carl e Gerty

SCHEDA 15.2 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

I

552 553

Otto Warburg e gli studi sul metabolismo

A

D

deidrogenasi

RIASSUNTO

2

C

Il mannosio viene convertito in fruttosio-6-fosfato 545

5

SCHEDA 16.4 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

La sintesi del lattosio

586

INDICE © 978-88-08-42096-1

RIASSUNTO

589

PROBLEMI

590

BIBLIOGRAFIA

592

CAPITOLO 17

I mitocondri contengono una membrana interna altamente ripiegata

626

Gli ioni e i metaboliti entrano nei mitocondri tramite sistemi di trasporto

627

2

Il trasporto degli elettroni

630

A

Il trasporto degli elettroni è un processo esoergonico

630

A B

Il ciclo dell’acido citrico 1

Una panoramica del ciclo dell’acido citrico

594

SCHEDA 17.1 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA Hans Krebs

e il ciclo dell’acido citrico

596

2

La sintesi dell’acetil-CoA

597

A

La piruvato deidrogenasi è un complesso multienzimatico

597

Il complesso della piruvato deidrogenasi catalizza cinque reazioni

599

B

XV

B

I trasportatori degli elettroni agiscono in sequenza 631

C

Il complesso I accetta elettroni dal NADH

634

D

Il complesso II contribuisce al trasferimento degli elettroni al coenzima Q

639

SCHEDA 18.1 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

I citocromi sono proteine con gruppi eme che trasportano elettroni

640

E

Il complesso III trasloca protoni tramite il ciclo Q

641

F

Il complesso IV riduce l’ossigeno ad acqua

645

SCHEDA 17.2 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA L’avvelenamento da arsenico

603

3

La fosforilazione ossidativa

648

3

Gli enzimi del ciclo dell’acido citrico

603

A

A

La citrato sintasi unisce un gruppo acetilico all’ossalacetato

La teoria chemiosmotica mette in relazione il trasporto degli elettroni con la sintesi dell’ATP

649

603

B

L’aconitasi interconverte reversibilmente citrato e isocitrato

605

C

L’isocitrato deidrogenasi NAD+-dipendente rilascia CO2

606

D

Il complesso dell’α-chetoglutarato deidrogenasi è simile al complesso della piruvato deidrogenasi

607

E

La succinil-CoA sintetasi produce GTP

607

F

La succinato deidrogenasi genera FADH2

609

G

La fumarasi produce il malato

610

H

La malato deidrogenasi rigenera l’ossalacetato

610

4

La regolazione del ciclo dell’acido citrico

610

A

Il complesso della piruvato deidrogenasi viene regolato per inibizione da prodotto e modificazione covalente

B

5 A B

613

Le reazioni correlate al ciclo dell’acido citrico

615

Altre vie usano gli intermedi del ciclo dell’acido citrico

615

Il trasporto di elettroni nei batteri e la fosforilazione ossidativa

651

B

L’ATP sintasi è alimentata dal flusso dei protoni

652

C

Il rapporto P/O correla la quantità di ATP sintetizzato al quantitativo di ossigeno ridotto

658

D

La fosforilazione ossidativa può essere disaccoppiata dal trasporto degli elettroni

659

SCHEDA 18.4 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

Il disaccoppiamento nel tessuto adiposo bruno produce calore

660

4

Il controllo del metabolismo ossidativo

661

A

La velocità della fosforilazione ossidativa dipende dalle concentrazioni di ATP e di NADH

661

B

Il metabolismo aerobico ha alcuni svantaggi

663

SCHEDA 18.5 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA La carenza di ossigeno nell’attacco

cardiaco e nell’ictus

664

RIASSUNTO

666

PROBLEMI

667

BIBLIOGRAFIA

669

CAPITOLO 19

L’evoluzione del ciclo dell’acido citrico

618

Il ciclo del gliossilato condivide alcune tappe con il ciclo dell’acido citrico

618

1

I cloroplasti

RIASSUNTO

621

A

PROBLEMI

622

Le reazioni alla luce avvengono nella membrana tilacoide

671

B

Le molecole di pigmento assorbono la luce

672

2

Le reazioni alla luce

675

A

L’energia luminosa viene trasformata in energia chimica

676

B

Il trasporto di elettroni nei batteri fotosintetici segue una via ciclica

677

C

Il trasporto di elettroni a due centri è una via lineare che produce O2 e NADPH

680

BIBLIOGRAFIA

623

CAPITOLO 18

Il trasporto di elettroni e la fosforilazione ossidativa 1

650

616

SCHEDA 17.3 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA C

Mitchell e la teoria chemiosmotica SCHEDA 18.3 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

612

Tre enzimi controllano la velocità del ciclo dell’acido citrico

Alcune reazioni riforniscono il ciclo dell’acido citrico di intermedi

SCHEDA 18.2 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA Peter

Il mitocondrio

626

La fotosintesi 671

XVI D

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Il gradiente protonico guida la sintesi di ATP per mezzo della fotofosforilazione

690

6

La sintesi di altri lipidi

745

A

I glicerofosfolipidi sono costruiti a partire da intermedi della sintesi del triacilglicerolo

745

B

Gli sfingolipidi sono costruiti a partire dal palmitil-CoA e dalla serina

749

SCHEDA 19.1 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

La segregazione del PSI e del PSII

691

3

Le reazioni al buio

693

A

Il ciclo di Calvin fissa il CO2

693

B

I prodotti del ciclo di Calvin sono convertiti in amido, saccarosio e cellulosa

697

C D

Il ciclo di Calvin è controllato indirettamente dalla luce

698

La fotorespirazione compete con la fotosintesi

700

RIASSUNTO

704

PROBLEMI

705

BIBLIOGRAFIA

706

SCHEDA 20.4 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA La degradazione degli sfingolipidi e le

malattie da accumulo di lipidi

750

C

Gli acidi grassi a 20 atomi di carbonio (C20) sono i precursori delle prostaglandine

751

7

Il metabolismo del colesterolo

752

A

Il colesterolo è sintetizzato a partire dall’acetil-CoA

753

B

L’HMG-CoA riduttasi controlla la velocità della sintesi del colesterolo

756

C

Un trasporto alterato del colesterolo porta all’aterosclerosi

759

RIASSUNTO

761

PROBLEMI

762

BIBLIOGRAFIA

764

CAPITOLO 20

Il metabolismo dei lipidi 1 A B

Digestione, assorbimento e trasporto dei lipidi

707

I triacilgliceroli vengono digeriti prima di essere assorbiti

708

I lipidi vengono trasportati sotto forma di lipoproteine

710

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi 1

La degradazione delle proteine

765

A

I lisosomi degradano molte proteine

766

B

L’ubiquitina marca le proteine che devono essere degradate

766

C

Il proteasoma svolge la struttura e idrolizza peptidi ubiquitinati

768

2

La deamminazione degli amminoacidi

771

Le transamminasi utilizzano il PLP per trasferire i gruppi amminici

772

Il glutammato può essere deamminato per via ossidativa

775

2

L’ossidazione degli acidi grassi

715

A

Gli acidi grassi vengono attivati mediante il legame al coenzima A

716

La carnitina trasporta i gruppi acilici attraverso la membrana mitocondriale

716

La β-ossidazione degrada gli acidi grassi ad acetil-CoA

718

A

L’ossidazione degli acidi grassi insaturi richiede ulteriori enzimi

721

B

L’ossidazione degli acidi grassi a catena dispari produce il propionil-CoA

723

3

Il ciclo dell’urea

776

A

Cinque enzimi portano avanti il ciclo dell’urea

776

B

Il ciclo dell’urea è regolato dalla disponibilità del substrato

779

4

La degradazione degli amminoacidi

780

725

A

La β-ossidazione perossisomiale si differenzia dalla β-ossidazione mitocondriale

Alanina, cisteina, glicina, serina e treonina sono degradate a piruvato

781

728

B

3

I corpi chetonici

Asparagina e aspartato sono degradati a ossalacetato

784

730

4

C

La biosintesi degli acidi grassi

731

Arginina, glutammato, glutammina, istidina e prolina sono degradate ad α-chetoglutarato

784

A

L’acetil-CoA mitocondriale deve essere trasportato nel citosol

732

Metionina, treonina, isoleucina e valina sono degradate a succinil-CoA

786

SCHEDA 21.1 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA L’omocisteina, un marcatore di malattie

789

B C D E

SCHEDA 20.1 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA

La carenza di vitamina B12

723

SCHEDA 20.2 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA

Dorothy Crowfoot Hodgkin e la struttura della vitamina B12 F

D

B

L’acetil-CoA carbossilasi produce malonil-CoA

733

C

L’acido grasso sintasi catalizza sette reazioni

734

SCHEDA 20.3 LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA La

sintesi dei polichetidi D E

5

E

Leucina e lisina sono degradate solo ad acetil-CoA e/o acetoacetato 791

F

Il triptofano è degradato ad alanina e acetoacetato 791 Fenilalanina e tirosina sono degradate a fumarato e acetoacetato

739

Gli acidi grassi possono essere allungati e desaturati

740

G

Gli acidi grassi vengono esterificati per formare i triacilgliceroli

741

La regolazione del metabolismo degli acidi grassi

SCHEDA 21.2 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA La fenilchetonuria e l’alcaptonuria

742

derivano da difetti nella degradazione della fenilalanina

793

794

INDICE © 978-88-08-42096-1

XVII

5

La biosintesi degli amminoacidi

795

E

A

Gli amminoacidi non essenziali vengono sintetizzati a partire da metaboliti comuni

797

F

Le piante e i microrganismi sintetizzano gli amminoacidi essenziali

801

2

Gli altri prodotti del metabolismo degli amminoacidi

Il controllo ormonale del metabolismo energetico

834

807

A

Il rilascio dell’insulina è stimolato dal glucosio

834

L’eme è sintetizzato a partire dalla glicina e dal succinil-CoA

B

807

Il glucagone e le catecolammine contrastano gli effetti dell’insulina

836

L’omeostasi metabolica: la regolazione del metabolismo energetico, dell’appetito e del peso corporeo

839

La proteina chinasi AMP-dipendente segnala i livelli di combustibile cellulare

839

Gli adipociti e altri tessuti coadiuvano la regolazione del metabolismo energetico e dell’appetito

841

La spesa energetica può essere controllata dalla termogenesi adattativa

843

B

6 A

SCHEDA 21.3 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA Le porfirie

3 809

Il rene filtra i prodotti di scarto e mantiene il pH del sangue

832

Il sangue trasporta i metaboliti nelle vie metaboliche di collegamento tra gli organi

832

Gli amminoacidi sono i precursori delle ammine fisiologicamente attive

811

C

L’ossido di azoto deriva dall’arginina

812

7

La fissazione dell’azoto

814

A

La nitrogenasi riduce l’N2 a NH3

814

B

L’azoto fissato viene assimilato nelle molecole biologiche

818

RIASSUNTO

820

4

I disturbi del metabolismo energetico

844

PROBLEMI

821

A

Il digiuno porta ad aggiustamenti metabolici

844

BIBLIOGRAFIA

823

B

Il diabete mellito è caratterizzato da elevati livelli ematici di glucosio

846

B

Il metabolismo energetico dei mammiferi: integrazione e regolazione

C

C

1

La specializzazione degli organi

825

A

Il cervello necessita di un costante rifornimento di glucosio

826

Il muscolo utilizza glucosio, acidi grassi e corpi chetonici

827

SCHEDA 22.1 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA Il microbioma intestinale

B

SCHEDA 22.2 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA

CAPITOLO 22

B

A

D

Frederick Banting, Charles Best e la scoperta dell’insulina

847

L’obesità solitamente è causata da un’eccessiva assunzione di alimenti

850

Il metabolismo del cancro

851

RIASSUNTO

854

PROBLEMI

854

BIBLIOGRAFIA

856

828

C

Il tessuto adiposo immagazzina e rilascia acidi grassi e ormoni

829

D

Il fegato è la centrale di smaltimento metabolico del corpo

830

APPENDICE

857

INDICE ANALITICO

862

I N D I C E

D E L L E

Dieta e nutrizione Acidi grassi essenziali, 740 Amminoacidi essenziali, 801 Carenza di tiamina, 534 Carenza di vitamina B12, 723 Carenza di vitamina D, 272 Digiuno, 844 Dolcificanti artificiali, 244 Fruttosio, 542 Grassi trans, 264 Intolleranza al lattosio, 244 Pellagra, 475 Riboflavina, 494 Scorbuto, 150 Treonina, 86 Farmaci e tossine Aspirina, 751 Avvelenamento acuto, 807 Avvelenamento da arsenico, 603 Avvelenamento da metanolo, 403 Bacitracina, 589 Eparina, 249 Farmaci anti-influenzali, 399 Farmaci enantiomerici, 96 Farmaci per trattare la malaria, 416 Glicosidi cardiaci, 333 Inibitori dell’acido grasso sintasi, 738 Inibitori della COX-2, 752 Inibitori enzimatici dell’HIV, 401 Interazioni farmaco-farmaco, 421 Penicillina e vancomicina, 254 Progettazione di farmaci, 417 Recettori adrenergici, 432 Resistenza ai farmaci, 335 Steroidi anabolizzanti, 433 Sulfamidici, 788 Terapia di reidratazione orale, 337 Tossine tetanica e botulinica, 305 Trattamenti per le forme di diabete, 849 Veleni che colpiscono il sistema nervoso, 370 Viagra, 461 Evoluzione e biochimica comparata Anemia falciforme e malaria, 211, 212 Chimica dei tioesteri, 492 Conservazione della struttura proteica, 164 Domini della vita, 9 Duplicazione genica, 131 Endosimbiosi, 10 Enzimi con barili α/β, 521 Evoluzione del ciclo dell’acido citrico, 618 Evoluzione del citocromo c, 127 Evoluzione dell’acido grasso sintasi, 734 Evoluzione della globina, 131 Evoluzione delle serina proteasi, 373

A P P L I CA Z I O N I Evoluzione prebiotica, 3 Evoluzione umana, 69 Metabolismo aerobico, 593 Metabolismo anaerobico, 473 Proteine di trasporto dell’ossigeno, 197 Resistenza ai farmaci dell’HIV, 402 Selezione naturale, 11 Sintesi delle vitamine, 475 Trasporto di elettroni nei batteri, 650 Salute e malattia Acidosi e alcalosi, 41 Adattamento alle elevate altitudini, 207 Adrenoleucodistrofia, 729 Alcaptonuria, 794 Anemia perniciosa, 723 Aterosclerosi, 759 Attacco cardiaco e ictus, 664 Cancro, 443 Carenza di glucosio-6-fosfato deidrogenasi, 552 Ciclo del gliossilato nei batteri patogeni, 621 Coagulazione del sangue, 380 Colera e pertosse, 460 Diabete, 846 Distrofia muscolare, 220 Enfisema polmonare, 378 Eritrociti con deficit enzimatici, 527 Fenilchetonuria, 794 Fibrosi cistica, 336 Galattosemia, 545 Gruppi sanguigni ABO, 258 Iperammonemia, 775 Ipercolesterolemia, 758 Itterizia, 811 Leptina e obesità, 842 Leucemia, 447 Lipoproteine, 710 Malattia delle urine a sciroppo d’acero, 791 Malattia di Gaucher, 751 Malattia di Tangier, 760 Malattia di Tay-Sachs, 750 Malattie associate al collageno, 150 Malattie autoimmuni, 231 Malattie causate da un errato ripiegamento delle proteine, 184 Malattie da accumulo di glicogeno, 564 Malattie da accumulo di lipidi, 750 Malattie genetiche, 68, 69 Malattie neurodegenerative, 665 Metabolismo muscolare del glucosio, 535 Microbioma intestinale, 828 Morbo di Addison, 271 Mucolipidosi (I-cell disease), 302 Obesità, 843 Omocisteina come marcatore di malattie, 789 Oncogeni e cancro, 443

INDICE DELLE APPLICAZIONI © 978-88-08-42096-1

Pancreatite acuta, 379 Patologie legate alla crescita, 433, 434 Peste bubbonica, 449 Porfirie, 809 Sferocitosi ereditaria, 291 Sindrome di Cushing, 272 Sindrome di morte improvvisa del lattante (morte in culla), 719 Sindrome di Zellweger, 729 Sindrome metabolica, 851 Sistema tampone del sangue, 41 Spina bifida e anencefalia, 789, 790 Tensioattivo polmonare (surfattante), 267 Termogenesi, 541 Tessuto adiposo bruno, 660 Varianti dell’emoglobina, 210

Tecniche di laboratorio e strumenti clinici Anticorpi monoclonali, 229 Bypass gastrico, 850 Dialisi, 32 Dosaggio radioimmunologico, 430 Fingerprinting del DNA, 77 Legame recettore-ligando, 436 Progettazione di proteine, 178 Proteina fluorescente verde, 98 Sequenziamento delle proteine, 117 Sintesi dei polichetidi, 739 Sperimentazioni cliniche, 419 Tecnologia del DNA ricombinante, aspetti etici, 80 Terapia genica, 80 Transamminasi, 775 Trapianti di organo, 451

XIX

C A P I T O L O

1

Introduzione alla chimica della vita La struttura di questa cellula di Paramecium e i processi che si verificano al suo interno possono essere spiegati in termini chimici. Tutte le cellule contengono tipi analoghi di macromolecole e tutte vanno incontro a reazioni chimiche simili per acquisire energia, crescere, comunicare e riprodursi. [M. I. Walker/Science Source Images.]

Da un punto di vista strettamente letterale la biochimica è lo studio della chimica della vita; sebbene si sovrapponga ad altre discipline, tra le quali la biologia cellulare, la genetica, l’immunologia, la microbiologia, la farmacologia e la fisiologia, essa si occupa sostanzialmente di un numero limitato di argomenti. 1. Quali sono le strutture chimiche e tridimensionali delle molecole biologiche? 2. Come interagiscono tra loro le molecole biologiche? 3. Attraverso quali vie la cellula sintetizza e degrada le molecole biologiche? 4. In che modo la cellula conserva e utilizza l’energia? 5. Quali sono i meccanismi che organizzano le molecole biologiche e coordinano le loro attività? 6. In che modo le informazioni genetiche sono conservate, trasmesse ed espresse?

Analogamente ad altre scienze moderne, la biochimica utilizza strumentazioni sofisticate per analizzare l’architettura e il funzionamento di sistemi spesso inaccessibili alle facoltà sensoriali dell’uomo. Oltre agli strumenti di cui il chimico dispone per separare, quantificare e analizzare i materiali di cui sono costituiti gli esseri viventi, i biochimici sfruttano gli aspetti eminentemente biologici della loro materia di studio esaminando le storie evolutive degli organismi, i sistemi metabolici e le singole molecole. Oltre alle implicazioni sulla salute umana, la biochimica svela il funzionamento del mondo naturale, consentendoci di comprendere e apprezzare l’unicità e i misteri di quella condizione che noi chiamiamo “vita”. In questo capitolo introduttivo rivedremo alcuni concetti di base della chimica e della biologia – tra cui le basi dell’evoluzione, i differenti tipi di cellule e i principi fondamentali della termodinamica – per inserire la biochimica in un contesto più ampio e al contempo introdurre alcuni dei temi che ricorrono più volte in questo libro.

2

CAPITOLO 1

Introduzione alla chimica della vita

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1 L’origine della vita CONCETTI CHIAVE

• Le molecole biologiche vengono costruite a partire da un numero limitato di elementi.

• I differenti tipi di biomolecole sono caratterizzati dalla presenza di specifici gruppi funzionali e legami chimici.

• Le molecole più complesse e i polimeri si sono formati, durante l’evoluzione chimica, dalla condensazione dei composti più semplici.

• Le molecole in grado di autoreplicarsi sono state sottoposte a selezione naturale. Alcune peculiarità biochimiche sono comuni a tutti gli esseri viventi: per esempio, il modo in cui le informazioni ereditarie sono codificate ed espresse e il meccanismo attraverso cui le molecole biologiche sono prodotte e degradate per scopi energetici. L’unitarietà genetica e biochimica di base condivisa dagli organismi moderni indica la loro comune discendenza da un unico progenitore ancestrale; sebbene sia impossibile descrivere esattamente in che modo la vita sia apparsa sulla Terra, studi paleontologici e di laboratorio hanno consentito di approfondire le nostre conoscenze circa la sua origine.

A Le molecole biologiche si sono formate da sostanze inanimate

TABELLA 1.1 Gli elementi più

abbondanti nel corpo umanoa Elemento

Peso secco (%)

C

61,7

N

11,0

O

9,3

H

5,7

Ca

5,0

P

3,3

K

1,3

S

1,0

Cl

0,7

Na

0,7

Mg

0,3

a

0

10 mm

20

Calcoli di Frieden, E. (1972). Sci. Am. 227(1), 54-55.

Figura 1.1 Microfossile di cellule

batteriche filamentose. Il fossile (mostrato insieme a un suo disegno illustrativo) proviene da una roccia dell’Australia occidentale risalente a circa 3,4 miliardi di anni fa. [Per gentile concessione di J. William Schopf, UCLA.]

La materia vivente è costituita da un numero relativamente piccolo di elementi (Tabella 1.1). Per esempio, gli elementi C, H, O, N, P, Ca ed S ammontano a circa il 97% del peso secco del corpo umano (circa il 70% del peso dell’organismo umano, così come quello della maggior parte degli organismi, è rappresentato da acqua); gli esseri viventi possono altresì contenere tracce di numerosi altri elementi, tra cui B, F, Al, Si, V, Cr, Mn, Fe, Co, Ni, Cu, Zn, As, Se, Br, Mo, Cd, I e W, anche se non tutti gli organismi utilizzano ciascuna di queste sostanze. Le prime testimonianze fossili della vita risalgono a circa 3,5 miliardi di anni fa (Figura 1.1), mentre l’era prebiotica precedente, che ebbe inizio con la formazione del nostro pianeta approssimativamente 4,6 miliardi di anni or sono, non ha lasciato tracce dirette. Gli scienziati sono però in grado di riprodurre sperimentalmente i tipi di reazioni chimiche che possono aver dato origine agli organismi viventi durante un lasso di tempo durato circa un miliardo di anni. L’atmosfera primitiva presente sulla Terra era verosimilmente costituita da piccoli e semplici composti quali H2O, N2, CO2, e da piccole quantità di CH4 e NH3. Negli anni ’20, Alexander Oparin e J. B. S. Haldane ipotizzarono, l’uno indipendentemente dall’altro, che le radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole o le scariche dei fulmini avessero favorito reazioni tra le molecole dell’atmosfera primordiale portarono alla formazione di composti organici (composti contenenti carbonio) non complessi. Tale processo fu riprodotto nel 1953 da Stanley Miller e Harold Urey, i quali sottoposero una miscela di H2O, CH4, NH3 e H2 a scariche elettriche per circa una settimana. La soluzione che si generò conteneva composti organici solubili in acqua, tra cui svariati amminoacidi (cioè i costituenti delle proteine) e altre sostanze rilevanti sotto il profilo biochimico. Le ipotesi a sostegno dell’esperimento di Miller-Urey, sostanzialmente la composizione della fase gassosa usata come materiale di partenza, sono state poste in discussione da alcuni scienziati, i quali hanno proposto che le prime molecole biologiche si siano generate in condizioni molto diverse, cioè al buio e in un ambiente acquoso. Le fonti idrotermali presenti sui fondali oceanici che emettono soluzioni di solfuri metallici a temperature che raggiungono i 400 ¡C

CAPITOLO 1

3

Introduzione alla chimica della vita

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Figura 1.2 Una fonte idrotermale. Tali formazioni localizzate sul fondo degli oceani sono

note come “black smokers” poiché i solfuri metallici disciolti nell’acqua surriscaldata che emettono precipitano a contatto con quella molto più fredda dell’oceano. [Per gentile concessione della Woods Hole Oceanographic Institution.]

(Figura 1.2) possono aver fornito le condizioni opportune per la formazione di amminoacidi e di altre piccole molecole organiche a partire da composti semplici presenti nell’acqua del mare. Indipendentemente dall’effettiva origine, le prime molecole organiche divennero i precursori di una straordinaria varietà di molecole biologiche, classificabili in base alla loro composizione e reattività chimica. A questo punto diventa importante prendere in esame i gruppi funzionali (le parti reattive) delle molecole e i tipi di legame (cioè i modi in cui i vari elementi o gruppi funzionali si uniscono) che, in ultima analisi, determinano l’attività biologica di tali molecole. Nella Tabella 1.2 sono riportati alcuni tra i più comuni gruppi funzionali e tipi di legame presenti nelle molecole biologiche.

B I sistemi complessi autoreplicanti si sono evoluti da molecole semplici

Nella prima fase dell’evoluzione chimica, le molecole organiche semplici si condensarono per formare strutture più complesse o si combinarono a livello delle reciproche estremità formando polimeri di unità ripetute. In una reazione di condensazione vengono perduti gli elementi della molecola di acqua; quindi la velocità di condensazione di composti semplici per dare luogo a un polimero stabile deve essere superiore a quella di idrolisi (la scissione mediante aggiunta degli elementi che compongono una molecola di acqua; Figura 1.3). Nell’ambiente prebiotico è possibile che minerali quali le argille potessero catalizzare reazioni di polimerizzazione e rimuovere i prodotti della reazione dall’acqua. Le dimensioni e la composizione delle macromolecole prebiotiche sarebbero state così limitate dalla disponibilità dei materiali molecolari di partenza, dall’efficienza con cui questi si sarebbero potuti unire e dalla loro resistenza alla degradazione. La Tabella 1.3 riporta alcuni tra i principali polimeri biologici e le unità costituenti (monomeri) da cui traggono origine. Ovviamente, la combinazione di monomeri differenti e dei loro diversi gruppi funzionali in una singola molecola di grandi dimensioni determina un aumento della versatilitˆ chimica di tale molecola, consentendole di portare a termine, sotto il profilo chimico, funzioni superiori rispetto a quanto non siano in grado di fare molecole più semplici. (Tale principio che concerne proprietà emergenti può essere espresso come “l’insieme supera la somma delle sue parti”.) Le diverse macromolecole con disposizioni complementari (appaiamento reciproco) dei loro gruppi funzionali possono associarsi l’una all’altra (Figura 1.4), dando luogo

Gruppo carbossilico

O

+NH 3

C

R

C

+

OH

Condensazione

H H

N

R9

Idrolisi

H2O

H2O O R

C

NH

R9

Figura 1.3 Reazione di un acido

carbossilico con un’ammina. Nel corso di una condensazione gli elementi che compongono l’acqua sono rilasciati, mentre nel processo inverso – l’idrolisi – l’acqua viene aggiunta al fine di scindere il legame amidico. Nei sistemi viventi le reazioni di condensazione non sono liberamente reversibili.

CONCETTI DI BASE Gruppi funzionali Le diverse classi di molecole biologiche sono caratterizzate da tipi differenti di gruppi funzionali e di legami chimici. Una biomolecola può contenere più gruppi funzionali.

Macromolecola

Gruppo amminico

O

OÐ Figura 1.4 Associazione tra

Macromolecola

molecole complementari. Il gruppo amminico, carico positivamente, interagisce per via elettrostatica con quello carbossilato a carica negativa.

4

CAPITOLO 1

Introduzione alla chimica della vita

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TABELLA 1.2 Gruppi funzionali e tipi di legame comunemente riscontrabili in biochimica

Nome del composto Ammina b

Strutturaa

Gruppo funzionale o tipo di legame

RNH2

o

RNH3

R2NH

o

R2NH2

R3N

o

R3NH

N

o

N

(gruppo amminico)

Alcol

ROH

OH

(gruppo ossidrilico)

Tiolo

RSH

SH

(gruppo solfidrilico)

Etere

ROR

O

O R

Aldeide

C

O H

C

O R

Chetone

C

Acido carbossilico

R

C

C

R O OH o R

C

O R

Estere

C

R

C

(gruppo carbonilico)

O O

C O

OH (gruppo carbossilico) o

C

O

(gruppo carbossilato)

O OR

C

O

Tioestere

(gruppo carbonilico)

O

O b

(legame etere)

O O

(legame estere) R

O SR

C

(gruppo acilico) c

C O

S

(legame tioestere) R

C

(gruppo acilico) c

O R

Amide

C

NH2

O R

C

O NHR

O

C

N

(gruppo amidico) R

C

N

o

S

S

(ponte disolfuro)

O

(gruppo fosforilico)

C

(gruppo acilico) c

O

Immina (base di Schiff)b

Disolfuro

R

C

NR 2

R

NH o R

NH2

R

NR o R

NHR

R

S

S

R

O b

R

Estere fosfato

O

P

O

R

O

P

P O

O

O

P OH

O O

P

Diestere fosfato

R

O

P O

O O

O

O b

(gruppo imminico)

OH

O

Estere difosfato

N

O

OH b

C

P

O

(gruppo fosfoanidridico)

OH O

O

R

O

P

O

(legame fosfodiesterico)

O

a

R rappresenta un qualsiasi gruppo contenente carbonio. In una molecola con più di un gruppo R, i gruppi possono essere uguali o differenti. b In condizioni fisiologiche questi gruppi sono ionizzati, quindi hanno una carica positiva o negativa. c Se unito a un atomo diverso dal carbonio. Coprite la colonna “Struttura” e disegnate la struttura di ciascuno dei composti elencati a sinistra. Fate poi la stessa cosa per ogni gruppo funzionale o legame riportato nella tabella.

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TABELLA 1.3 I principali polimeri di interesse biologico

e i monomeri che li compongono

Polimero

Polimero

Monomero

Proteina (polipeptide)

Amminoacido

Acido nucleico (polinucleotide)

Nucleotide

Polisaccaride (carboidrato complesso)

Monosaccaride (carboidrato semplice)

Figura 1.5 Replicazione tramite complementarità. In questo semplice

caso un polimero funge da stampo per la costruzione di una molecola complementare, la quale, in virtù della complementarità intramolecolare, è una copia esatta dell’originale.

Complementarità intramolecolare

Molecole complementari

Distinguete i legami covalenti dalle interazioni non covalenti in questo polimero.

a strutture molecolari ancora più complesse e contraddistinte da una gamma di possibilità funzionali ancora maggiore. L’accoppiamento specifico tra gruppi funzionali complementari consente a un membro di una coppia di determinare l’identità e l’orientamento dell’altro membro; tale complementarità fa sì che una macromolecola possa replicarsi, o copiare se stessa, dirigendo la produzione di una nuova molecola a partire da unità complementari più piccole. La replicazione di un polimero semplice dotato di complementarità intramolecolare è illustrata nella Figura 1.5; questo processo è fondamentale per la funzione del DNA, in cui la sequenza di basi su un filamento (per esempio, A-C-G-T) specifica in maniera assoluta la sequenza di basi sul filamento con cui il primo si appaia (T-G-C-A). Quando il DNA si replica, i due filamenti si separano dirigendo la sintesi di filamenti figli complementari; la complementarità costituisce anche il fondamento della trascrizione del DNA in RNA e della traduzione di quest’ultimo in proteine. Un momento cruciale nell’evoluzione chimica fu il passaggio dai sistemi costituiti da molecole generate in modo casuale ad altri in cui esse erano organizzate ed erano replicate in maniera specifica. Una volta che le macromolecole ebbero acquisito la capacità di autoreplicarsi, l’ambiente primordiale si arricchì di molecole capaci di sopravvivere e moltiplicarsi; i primi sistemi dotati di replicazione furono senza dubbio in qualche misura poco precisi, caratterizzati da progenie molecolari non perfettamente complementari ai composti parentali. Nel corso del tempo la selezione naturale, il processo competitivo per cui l’organismo più adatto ha un vantaggio riproduttivo, avrebbe poi favorito le molecole in grado di produrre copie più accurate di se stesse.

2 L’architettura della cellula CONCETTI CHIAVE

• La compartimentazione delle cellule favorisce l’efficienza dei processi attraverso il mantenimento di elevate concentrazioni di reagenti a livello locale.

• Le diverse vie metaboliche si sono evolute in modo da sintetizzare molecole e generare energia.

• Le cellule più semplici sono i procarioti. • Gli eucarioti sono caratterizzati dalla presenza di numerosi organelli delimitati da membrane, tra i quali anche il nucleo.

• L’albero filogenetico della vita comprende tre domini: batteri, archea ed eucarioti. • Si ha evoluzione quando la selezione naturale agisce su modificazioni che compaiono casualmente tra gli individui.

PUNTO DI VERIFICA

• Quali sono i quattro elementi presenti praticamente in tutte le molecole biologiche?

• Riassumete quali sono le fasi principali dell’evoluzione chimica.

• Esercitatevi scrivendo una semplice reazione di condensazione e una di idrolisi.

• Spiegate la motivazione secondo la quale la complementarità sarebbe stata necessaria per lo sviluppo delle molecole autoreplicanti.

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I tipi di sistemi descritti sino a questo punto avrebbero dovuto competere con tutti gli altri presenti sulla Terra primordiale per le risorse disponibili; un sistema isolato e protetto all’interno di una qualche forma di confine avrebbe avuto un vantaggio selettivo. Come questi confini siano comparsi o da che cosa abbiano tratto origine è ancora un argomento senza risposta. Una teoria sostiene che vescicole membranose (piccole sfere ricolme di fluidi) si sarebbero unite dapprima a sistemi in grado di autoreplicarsi per poi racchiuderli; tali vescicole si sarebbero trasformate nelle prime cellule.

A Le cellule svolgono reazioni metaboliche La compartimentazione comporta svariati vantaggi; oltre a conseguire un certo livello di protezione nei confronti degli eventi ambientali sfavorevoli, un sistema chiuso è in grado di mantenere concentrazioni locali elevate di componenti che altrimenti diffonderebbero all’esterno. Sostanze più concentrate possono reagire in maniera più rapida, aumentando l’efficienza della polimerizzazione e di altri tipi di reazioni chimiche. Un compartimento circondato da una membrana capace di proteggere il proprio contenuto può presentare una composizione piuttosto differente da ciò che lo circonda. Le cellule attuali contengono alte concentrazioni di ioni, di piccole molecole e di grandi aggregati molecolari che sono invece presenti solo in tracce all’esterno della cellula. Per esempio, una cellula del batterio Escherichia coli (E. coli) contiene milioni di copie di circa 3000-6000 molecole differenti (Figura 1.6), mentre una tipica cellula animale può contenerne 100 000 tipi diversi. Le prime cellule dipendevano dall’ambiente per quanto concerne l’approvvigionamento delle loro sostanze costitutive. Quando alcune delle componenti essenziali del brodo prebiotico cominciarono a scarseggiare, la selezione naturale favorì gli organismi che svilupparono vie metaboliche, meccanismi atti a sintetizzare i composti necessari a partire da precursori più semplici, ma più abbondanti. Le prime reazioni metaboliche possono aver fatto uso di catalizzatori metallici o a base di argilla cooptati dal circostante ambiente inorganico (un catalizzatore è una sostanza che accelera una reazione chimica, non subendo trasformazioni alla fine del processo). Di fatto, gli ioni metallici costituiscono ancora una parte essenziale di molte reazioni chimiche che avvengono nelle nostre cellule. Alcuni catalizzatori possono

Figura 1.6 Sezione trasversale

di una cellula di E. coli. Il citoplasma è reso compatto dalle macromolecole. A questo ingrandimento (~1 000 000×), i singoli atomi sono troppo piccoli per poter essere distinti gli uni dagli altri. Le strutture verdi visibili sulla destra comprendono i componenti della membrana interna ed esterna e una parte di un flagello. Le diverse proteine presenti all’interno della cellula sono mostrate in blu, mentre i ribosomi sono colorati in viola. Il DNA e le proteine che legano il DNA sono visibili sotto forma di strutture rispettivamente colorate in giallo e arancione. In una cellula vivente, lo spazio rimanente è riempito dall’acqua e da molecole più piccole. [David Goodsell (2009), D.S., The Machinery of Life (2a ed.), Springer. Riprodotto con permesso.]

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altresì aver tratto origine da molecole polimeriche che possedevano gli opportuni gruppi funzionali. In genere le reazioni di biosintesi richiedono energia; di conseguenza le prime reazioni cellulari avevano bisogno di una fonte energetica. Il definitivo esaurimento, nell’ambiente prebiotico, di sostanze preesistenti ricche di energia avrebbe favorito lo sviluppo di vie metaboliche per la sua produzione. Per esempio, la fotosintesi si è evoluta piuttosto precocemente per trarre vantaggio da una fonte di energia praticamente inesauribile: la luce del Sole. Tuttavia l’accumulo di O2 generato a partire da H2O mediante questo processo (ai nostri giorni l’atmosfera contiene il 21% di ossigeno molecolare) determinò un’ulteriore sfida per gli organismi adattati alla vita in un’atmosfera povera di questo elemento gassoso. Alla fine, i continui miglioramenti metabolici consentirono agli esseri viventi non solo di evitare i danni ossidativi, ma anche di impiegare l’O2 in un nuovo metabolismo, una forma di metabolismo energetico più efficiente rispetto a quello anaerobico. Le vestigia della vita primordiale sono ancora visibili nel metabolismo anaerobico di alcuni organismi moderni. Gli organismi primordiali che svilupparono strategie metaboliche volte a sintetizzare molecole biologiche, a conservare e utilizzare l’energia in maniera controllata e a replicarsi all’interno di un compartimento protettivo furono in grado di propagarsi in una gamma sempre più vasta di habitat. L’adattamento delle cellule a differenti condizioni esterne condusse, in definitiva, alla diversità di specie attualmente presenti; la specializzazione delle singole cellule ha reso possibile a gruppi di cellule differenziate di svolgere insieme certe funzioni negli organismi pluricellulari.

B Esistono due tipi di cellule: quelle procariotiche e quelle eucariotiche

Tutti gli organismi attuali si fondano sulla stessa unità morfologica, la cellula. Le cellule si dividono in due categorie: gli eucarioti (dal greco eu, “buono” o “vero”, e karyon, “nucleo” o “noce”), che possiedono un nucleo circondato da membrana che contiene il loro DNA, e i procarioti (dal greco pro, “prima”), che sono privi di nucleo. I procarioti, di cui fanno parte vari tipi di batteri, presentano strutture relativamente semplici e sono quasi esclusivamente unicellulari (sebbene possano formare filamenti o colonie di cellule indipendenti). Gli eucarioti, che possono essere pluricellulari o unicellulari, sono Spirillum di gran lunga più complessi dei procarioti. (I virus sono entità molto più semplici in confronto alle cellule e non sono classificati come Una spirocheta organismi viventi poiché sono privi dell’apparato metabolico necessario per riprodursi all’esterno dei loro ospiti cellulari.) Anabaena (un cianobatterio) I procarioti sono gli organismi più diffusi sul nostro pianeta, grazie al fatto che il loro metabolismo è altamente adattabile a una straordinaria gamma di habitat. Le loro dimensioni variano da 1 a 10 μm, mentre le loro forme sono di tre tipi (Figura 1.7): sferoidale (cocchi), a bastoncello (bacilli) ed elicoidale (spirilli). A eccezioEscherichia coli ne della membrana cellulare esterna che, nella gran parte dei casi, è circondata da una parete cellulare con funzione protettiva, quasi Un grosso Bacillus tutti i procarioti sono privi di membrane interne. Tuttavia il loro citoplasma (ossia il contenuto della cellula) non è assolutamente Staphylococcus omogeneo e le diverse funzioni metaboliche sono portate a termine in regioni differenti (Figura 1.6). Il procariote meglio caratterizzaRickettsia Tre specie di to è Escherichia coli, un batterio a forma di bastoncello e di dimenMycoplasma sioni pari a 2 μm per 1 μm che risiede nel colon dei mammiferi. 10 μm Le cellule eucariotiche hanno un diametro generalmente compreso tra 10 e 100 μm, di conseguenza il loro volume è da mille a un milione di volte maggiore rispetto a quello dei tipici procarioti; tuttavia Figura 1.7 Rappresentazione in scala la caratteristica peculiare di tali cellule non sono le dimensioni ma piuttosto la di alcune cellule procariotiche.

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Membrana nucleare Nucleolo Cromatina Reticolo endoplasmatico liscio

Reticolo endoplasmatico ruvido Nucleo

Vacuolo Centrioli

Ribosomi liberi

Mitocondrio

Ribosomi legati al RER

Membrana cellulare Lisosoma

Apparato di Golgi

Figura 1.8 Rappresentazione schematica di una tipica

cellula animale e fotografie al microscopio elettronico che mostrano alcuni organelli. Gli organelli circondati da membrana comprendono il nucleo, il reticolo endoplasmatico, i lisosomi, i perossisomi (non rappresentati), i mitocondri, i vacuoli e l’apparato di Golgi. Il nucleo contiene la cromatina (un complesso formato da DNA e proteine) e il nucleolo (la sede della sintesi dei ribosomi). A differenza di quello liscio, il reticolo endoplasmatico rugoso è costellato da ribosomi, mentre una coppia di centrioli aiuta a organizzare gli elementi del citoscheletro. Una tipica cellula vegetale si contraddistingue

per la presenza di una parete cellulare esterna e di cloroplasti nel citosol. [Reticolo endoplasmatico liscio © Dennis Kunkel Microscopy, Inc./Phototake; reticolo endoplasmatico rugoso © Pietro M. Motta & Tomonori Naguro/Photo Researchers, Inc.; Nucleo © Tektoff-RM, CNRI/Photo Researchers; mitocondrio © CNRI/Photo Researchers; apparato di Golgi © Secchi-Lecaque/ Roussel-UCLAF/CNRI/Photo Researchers; lisosoma © Biophoto Associates/Photo Researchers.] Coprendo le scritte della figura, ricordate il nome di tutte le parti della cellula eucariotica rappresentata.

presenza al loro interno di una moltitudine di organelli circondati da membrane (Figura 1.8). Oltre a un nucleo, gli eucarioti possiedono un reticolo endoplasmatico, che rappresenta la sede della sintesi di numerose componenti cellulari, alcune delle quali sono successivamente modificate nell’apparato di Golgi. In quasi tutti gli eucarioti la maggior parte delle reazioni del metabolismo aerobico avviene nei mitocondri, mentre le cellule fotosintetiche contengono i cloroplasti che convertono l’energia dei raggi solari in energia chimica. Altri organelli, come per esempio i lisosomi e i perossisomi, eseguono funzioni specializzate. I vacuoli sono invece ampiamente presenti nelle cellule vegetali e fungono solitamente da depositi. Il citosol, che equivale al citoplasma privato dei suoi organelli circondati da membrana, è organizzato per mezzo del citoscheletro, una diffusa rete di filamenti che conferisce inoltre alla cellula la sua forma tipica e la capacità di movimento. I vari organelli responsabili della compartimentazione delle cellule eucariotiche rappresentano un livello di complessità in gran parte assente in quelle procariotiche. Ciò nondimeno, i procarioti evidenziano per molti aspetti un’efficienza superiore rispetto agli eucarioti: i primi hanno sfruttato i vantaggi dovuti alla semplicità e alle dimensioni molto contenute, e l’elevata velocità di crescita permette loro di occupare nicchie ecologiche in cui possono avvenire anche drastiche fluttuazioni dei nutrienti a disposizione. La complessità degli eucarioti fa sì che tali organismi abbiano dimensioni maggiori e una crescita più lenta rispetto ai procarioti, ma conferisce loro un vantaggio competitivo in ambienti

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stabili con risorse limitate. È perciò errato ritenere i procarioti cellule evoluzionisticamente primitive rispetto agli eucarioti, bensì entrambi i tipi di organismi si sono adattati in maniera soddisfacente ai loro rispettivi stili di vita.

C I dati molecolari rivelano l’esistenza di tre domini evolutivi di organismi

La consuetudine di accorpare tutti i procarioti in una singola categoria sulla base della loro caratteristica comune, cioè la mancanza del nucleo, tende a nascondere invece la loro diversità metabolica e la loro storia evolutiva. La considerevole differenziazione morfologica tipica degli organismi eucariotici (basta osservare le diversità anatomiche tra un’ameba, una quercia e un essere umano) nasconde la loro fondamentale analogia esistente invece a livello cellulare. I tradizionali schemi tassonomici (la tassonomia è la disciplina scientifica che si prefigge di operare una classificazione degli esseri viventi), che si basano sulla morfologia macroscopica, si sono mostrati inadatti a descrivere le effettive relazioni tra gli organismi, come ci ha rivelato la loro storia evolutiva (la filogenesi). Rispetto agli schemi di classificazione biologica basati esclusivamente sulla morfologia degli individui adulti, quelli che traggono spunto dalle strategie riproduttive o di sviluppo rispecchiano in maniera più accurata la storia evolutiva. Le relazioni filogenetiche si deducono in modo migliore confrontando le molecole polimeriche, l’RNA, il DNA o le proteine, derivanti da organismi differenti. Per esempio, l’analisi dell’RNA portò Carl Woese a riunire tutti gli organismi in tre domini (Figura 1.9). Gli archea (noti anche come archeobatteri) sono un gruppo di procarioti correlati alla lontana agli altri procarioti (i batteri, talvolta definiti eubatteri) e agli eucarioti (eucaria). Gli archea comprendono alcuni organismi insoliti: i metanogeni (che producono CH4), gli alobatteri (che vivono in soluzioni saline concentrate) e determinati termofili (che risiedono nelle sorgenti molto calde). La disposizione delle ramificazioni nell’albero filogenetico del diagramma di Woese indica la divergenza dei vari tipi di organismi (ciascun punto di ramificazione rappresenta un progenitore comune). Lo schema a tre domini mostra altresì che gli animali, le piante e i funghi costituiscono solo una piccola parte di tutte le forme di vita. Questi alberi filogenetici integrano i dati ottenuti dai reperti fossili, che forniscono una testimonianza frammentaria della vita prima di circa 600 milioni di anni fa (la comparsa degli organismi pluricellulari risale approssimativamente a 700-900 milioni di anni or sono). È improbabile che gli eucarioti discendano da un procariote altamente sviluppato poiché le differenze tra eubatteri, archea ed eucarioti sono molto pro-

Batteri

Batteri verdi non solforici Gram-positivi

Archea

Eucaria Muffe del fango Animali Entamebe Funghi

Metanosarcini Metanobatteri Alofili Metanococchi

Flagellati

Batteri purpurei Cianobatteri

Piante Cigliati

Thermoproteus Pyrodicticum

Figura 1.9 Albero filogenetico

T. celer Tricomonadi Microsporidie

Flavobatteri Thermotoga

Diplomonadi

che illustra i tre domini in cui sono suddivisi gli esseri viventi. Le ramificazioni indicano la modalità di divergenza da un progenitore comune. Analogamente ai batteri, gli archea sono procarioti ma hanno alcune peculiarità degli eucarioti. [Wheelis, M.L., Kandler, O. e Woese, C.R. (1992) Proc. Natl. Acad. Sci., 89, 2931.]

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fonde. Sembra invece probabile che gli eucarioti si siano evoluti dall’associazione di cellule di archeobatteri e di eubatteri. Il materiale genetico eucariotico presenta caratteristiche che suggeriscono un’origine dagli archeobatteri. Inoltre, i mitocondri e i cloroplasti delle cellule eucariotiche attuali ricordano i batteri sia nelle loro dimensioni sia nella loro forma. I due tipi di organelli contengono un proprio materiale genetico e sono anche dotati di un meccanismo completo di sintesi proteica. Evidentemente, come è stato proposto da Lynn Margulis, i mitocondri e i cloroplasti si sono evoluti a partire da batteri aerobici allo stato libero che avevano instaurato relazioni simbiontiche (mutuamente benefiche) con le cellule eucariotiche primordiali (Scheda 1.1). Tale ipotesi è avvalorata dal riscontro che determinati eucarioti privi di mitocondri o di cloroplasti contengono in via permanente batteri simbiontici.

SCHEDA 1.1

LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA

Lynn Margulis e la teoria dellÕendosimbiosi Lynn Margulis (1938-2011)

Lynn Margulis è cresciuta nella città di Chicago e a sedici anni si è iscritta all’Università di Chicago con l’intenzione di diventare una scrittrice. Il suo interesse per la biologia è nato con la frequentazione di un corso obbligatorio di scienze durante il quale ebbe modo di leggere i trattati degli esperimenti di genetica che Gregor Mendel condusse utilizzando le piante di pisello come modello sperimentale. La dottoressa Margulis ha proseguito i suoi studi all’Università di Madison, Wisconsin, e all’Università di Berkeley, California, dove ha ottenuto il dottorato nel 1963. La sua profonda, particolare e accurata conoscenza delle strutture intracellulari l’ha spinta a ipotizzare che le cellule eucariotiche avessero avuto origine da una serie di eventi endosimbiontici, in cui fossero stati coinvolti molti organismi procariotici. Il termine endo (dal greco “all’interno”) si riferisce a una particolare condizione in cui una cellula si viene a trovare all’interno di un’altra. All’epoca (1967), però, quell’ipotesi è stata considerata quantomeno oltraggiosa, mentre molte altre idee della Margulis hanno cominciato invece a essere ampiamente accettate. L’endosimbiosi intesa come spiegazione dell’origine dei mitocondri era già stata proposta nel 1927 da Ivan Wallin, il quale aveva notato che mitocondri e batteri erano molto simili per dimensione, forma e colorazioni citologiche. L’ipotesi di Wallin fu considerata troppo fantasiosa e priva di veri fondamenti scientifici, e venne ignorata fino al momento in cui non fu nuovamente riconsiderata dalla Margulis. Dagli anni ’60 a oggi le conoscenze sui mitocondri e sui cloroplasti sono aumentate enormemente, e si è anche scoperto che contengono DNA e si replicano per divisione. La Margulis non focalizzò la sua attenzione sull’origine dei singoli organelli, ma al contrario cercò di fornire una spiegazione sull’origine dell’intera cellula eucariotica, che contiene anche i centrioli considerati un’altra possibile vestigia batterica. La pubblicazione del suo articolo intitolato “Sull’origine delle cellule mitotiche” fu inizialmente rifiutata da diverse riviste scientifiche prima di essere accettata dalla rivista Journal of Theoretical Biology. Il concetto che una cellula eucariotica complessa potesse svilupparsi da una sorta di consorzio di cellule procariotiche reciprocamente dipendenti le une dalle altre era incompatibile con il punto di vista allora prevalente, secondo il quale l’evoluzione avveniva attraverso serie di piccoli passaggi. La teoria evoluzionistica dell’epoca non lasciava spazio alla sensazionale fusione tra cellule, e del loro materiale genetico,

che la Margulis aveva proposto nella sua teoria. Tuttavia, l’ipotesi della Margulis prese ugualmente forza e dopo la pubblicazione del suo libro intitolato Symbiosis in Cell Evolution, nel 1981, venne accettata dalla maggior parte della comunità scientifica biologica. Due principi fondamentali su cui si basa la teoria della Margulis, cioè che i mitocondri sono i discendenti dei batteri capaci di utilizzare ossigeno e che i cloroplasti sono derivati da batteri fotosintetici, sono quasi universalmente accettati. Al contrario, l’idea secondo la quale il citoplasma eucariotico è la parte rimanente di una cellula archeobatterica è ancora messa in discussione. La dottoressa Margulis, al momento della scomparsa, era impegnata nella raccolta di prove a sostegno di una sua quarta ipotesi, quella secondo cui i ciliati, i flagellati e alcune strutture sensoriali quali le cellule fotosensibili dell’occhio sono i discendenti di batteri spirocheti a vita libera. L’indicazione originale della Margulis in cui affermava che gli organelli come i mitocondri possono essere isolati e mantenuti in coltura non ha ancora trovato riscontro. Esiste però una serie di prove inconfutabili che conferma il trasferimento di materiale genetico tra questi organelli e il nucleo, osservazioni a supporto anche della teoria dell’endosimbiosi della Margulis. Infatti, alcune teorie evolutive più recenti indicano tra i fattori necessari al cambiamento alcune piccole mutazioni casuali e lo scambio di materiale genetico tra gli organismi, proprio come ipotizzato in precedenza dalla Margulis. Probabilmente attraverso l’ampliamento del suo lavoro sull’endosimbiosi batterica, la Margulis ha potuto anche intuire che le interazioni tra organismi diversi e quelle tra organismi e ambiente circostante costituiscono un singolo sistema capace di autoregolarsi. Questa nozione fa parte dell’ipotesi, conosciuta come Gaia, formulata da James Lovelock, secondo la quale la Terra è considerata come una sola entità vivente (Gaia era la dea greca della Terra). Però la Margulis era in assoluto disaccordo con coloro che cercavano di costruire una moderna mitologia basata su Gaia, ribadendo l’importanza di utilizzare strumenti e ragionamenti scientifici per scoprire la verità. Per questo motivo anche il modo di pensare secondo cui gli esseri umani sono al centro della vita sulla Terra non era per lei accettabile. La Margulis sosteneva invece che la sopravvivenza degli esseri umani sulla Terra dipende dalla nostra relazione con il riciclaggio dei rifiuti, con la purificazione delle acque e con i batteri produttori di ossigeno, insieme ai quali ci siamo evoluti per miliardi di anni, alcune volte in modo endosimbiontico. Sagan, L., On the origin of mitosing cells, J. Theor. Biol. 14, 255-274 (1967).

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D Gli organismi continuano a evolversi La selezione naturale che guidò l’evoluzione prebiotica continua a indirizzare quella degli esseri viventi attuali. Richard Dawkins ha paragonato l’evoluzione a un orologiaio privo della vista che produce schemi complessi per caso; tuttavia tale similitudine non riesce a rendere conto del grande arco di tempo e della modalità a piccoli passi, per tentativi ed errori, da cui trassero origine gli organismi complessi. In conseguenza di danni chimici o di errori inerenti al processo di replicazione compaiono in modo casuale piccole mutazioni (alterazioni nel materiale genetico di un individuo); una mutazione che aumenti le possibilità di sopravvivenza dell’individuo determina un incremento della probabilità che tale mutazione venga trasmessa alla generazione successiva. Le mutazioni vantaggiose tendono a diffondersi con rapidità in una popolazione, mentre quelle dannose portano alla scomparsa degli organismi che le contengono. La teoria dell’evoluzione per selezione naturale, formulata per la prima volta da Charles Darwin intorno al 1860, è stata confermata mediante osservazioni sperimentali. È quindi utile evidenziare e ricordare alcuni rilevanti, ma spesso fraintesi, principi dell’evoluzione. 1. L’evoluzione non ha un obiettivo particolare. Essa procede grazie a mutamenti casuali che possono influire sulla capacità di un essere vivente di riprodursi nelle condizioni predominanti; quando queste ultime cambiano, un organismo ben adattato al suo ambiente può trovarsi meglio o peggio. 2. Le variazioni tra gli individui consentono agli organismi di adattarsi ad alterazioni inaspettate. Ciò rappresenta uno dei motivi per cui le popolazioni geneticamente omogenee (per esempio, una varietà di granoturco) sono molto suscettibili a un singolo stimolo (per esempio, una ruggine fungina). Nelle popolazioni più eterogenee è più probabile che esistano individui maggiormente capaci di resistere alle avversità e quindi di riprendersi. 3. Il passato determina il futuro. Nuove strutture e funzioni metaboliche si generano da elementi preesistenti. Per esempio, le ali degli insetti non sono comparse spontaneamente, ma sembra si siano sviluppate gradualmente da piccole strutture preposte allo scambio di calore. 4. L’evoluzione è un processo in corso, sebbene non proceda esclusivamente verso una maggiore complessità. Una visione antropocentrica pone l’essere umano al culmine di uno schema evolutivo, ma già un semplice sguardo alle diversità tra le forme viventi rivela che le specie più semplici non si sono estinte e non hanno smesso di evolversi.

3 La termodinamica CONCETTI CHIAVE

• L’energia deve essere conservata ma può assumere diverse forme. • Nella maggior parte dei sistemi biologici l’entalpia è equivalente al calore. • L’entropia, una misura del disordine di un sistema, tende ad aumentare. • La variazione di energia libera di un processo è determinata dal cambiamento di entalpia e di entropia.

• Un processo spontaneo avviene con un decremento di energia libera. • Il cambiamento di energia libera di una reazione può essere calcolato in base alla temperatura, alla concentrazione e alla stechiometria dei reagenti e dei prodotti.

• I biochimici definiscono come condizioni standard quelle di un sistema a 25 °C, a una pressione di 1 atm e a un pH di 7,0.

• Gli organismi sono sistemi aperti non all’equilibrio che scambiano costantemente materiale ed energia con ciò che li circonda mantenendo l’omeostasi.

• Gli enzimi aumentano la velocità con cui una reazione si avvicina all’equilibrio.

PUNTO DI VERIFICA

• Spiegate quali sono i vantaggi selettivi della compartimentazione e delle vie metaboliche.

• Discutete le differenze tra i procarioti e gli eucarioti.

• Elencate i principali organelli eucariotici e le loro funzioni.

• Spiegate come mai una tassonomia basata sulle sequenze molecolari sia più accurata di una basata sulla morfologia.

• Quali dei tre domini sono procariotici? Quale dominio è più simile agli eucarioti?

• Spiegate in che modo i cambiamenti individuali fanno sì che l’evoluzione avvenga.

• Perché un cambiamento evolutivo è vincolato dal suo passato ma impossibile da prevedere?

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Le normali attività degli esseri viventi, come il movimento, la crescita e la riproduzione, esigono un’immissione quasi costante di energia; persino a riposo una porzione considerevole del loro apparato biochimico è preposta all’acquisizione e all’utilizzazione dell’energia. Lo studio di quest’ultima e dei suoi effetti sulla materia rientra nell’ambito della termodinamica (dal greco thermón, “calore”, e dynamos, “potenza”). Anche se i sistemi viventi cercano di sfidare la termodinamica, la vita obbedisce in modo assoluto alle leggi di questa disciplina. La comprensione della termodinamica è importante non solo per descrivere in termini quantitativi un processo come una reazione biochimica, ma anche per poter stabilire anticipatamente se quel dato processo può realmente avvenire, cioè se il processo è spontaneo. Cominceremo rivedendo le leggi fondamentali della termodinamica, per poi focalizzare la nostra attenzione sull’energia libera e sul modo in cui essa è collegata alle reazioni chimiche. Infine, ci occuperemo del modo in cui i sistemi biologici gestiscono le leggi della termodinamica.

A La prima legge della termodinamica afferma che l’energia viene conservata

In termodinamica un sistema è definito come la porzione di universo di interesse, come per esempio la provetta in cui avviene una reazione, oppure un organismo; la parte rimanente dell’universo è definita come ambiente circostante. Il sistema possiede una certa quantità di energia (U). La prima legge della termodinamica stabilisce che l’energia è conservata e non può essere creata o distrutta. Quando un sistema va incontro a un cambiamento, una parte della sua energia può essere utilizzata per compiere un lavoro. La variazione energetica di un sistema è definita come la differenza tra il calore (q) che il sistema assorbe dall’ambiente circostante e il lavoro (w) svolto dal sistema sull’ambiente circostante. La lettera greca ∆ (delta) indica la variazione. ∆U = Ufinale – Uiniziale = q – w

[1.1]

Il calore è un riflesso del movimento casuale delle molecole, mentre il lavoro, definito come la forza moltiplicata per la distanza percorsa sotto la sua influenza, si associa al movimento organizzato. La forza può assumere numerose forme differenti, quali la forza gravitazionale esercitata da una massa su un’altra, la forza di espansione determinata da un gas, la forza tensionale esercitata da una molla o da una fibra muscolare, la forza elettrica di una carica su un’altra e le forze dissipative dell’attrito e della viscosità. Dato che l’energia può essere utilizzata per compiere diversi tipi di lavoro, a volte è più utile e corretto riferirsi all’energia come a qualcosa in grado di assumere diverse forme, come l’energia meccanica, l’energia elettrica e l’energia chimica, tutte forme di energia molto importanti nei sistemi biologici. La maggior parte dei processi biologici avviene a pressione costante e in queste condizioni il lavoro svolto dall’espansione di un gas (lavoro pressione-volume) è dato da P∆V. Diventa così utile definire una nuova entità termodinamica, l’entalpia (dal greco enthalpein, “riscaldare”), abbreviata in H: H = U + PV

[1.2]

Quando il sistema subisce un cambiamento a pressione costante, ∆H = ∆U + P∆V = qP – w + P∆V

[1.3]

dove qP è definito come calore a pressione costante. Dal momento che sappiamo già che in questo sistema w = P∆V ∆H = qP – P∆V + P∆V = qP

[1.4]

In altre parole, la variazione di entalpia è equivalente al calore. Inoltre, nella maggior parte delle reazioni biochimiche le variazioni di volume sono tra-

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scurabili (P∆V ≈ 0), e così anche le differenze tra i loro valori di ∆U e di ∆H. Di conseguenza, la variazione di energia nei vari sistemi di reazione equivale alla variazione di entalpia. L’entalpia, analogamente all’energia, al calore e al lavoro, è espressa in unità joule (alcune unità e costanti biochimiche di comune utilizzo e altre convenzioni sono riportate nella Scheda 1.2). La termodinamica si rivela utile al fine di stabilire la spontaneità di un dato processo. Un processo spontaneo avviene senza l’immissione di altra energia dall’esterno del sistema (la spontaneità termodinamica non ha nulla a che vedere con la velocità con cui un processo si verifica). La prima legge della termodinamica, tuttavia, non è in grado di per sé di determinare se un processo è spontaneo o meno. Prendiamo in considerazione due oggetti a temperature differenti in contatto tra loro: il calore passa spontaneamente da quello più caldo a quello più freddo e mai viceversa; questo trasferimento di calore obbedisce alla prima legge della termodinamica, dal momento che l’energia complessiva (la somma dell’energia dei due oggetti) non varia. Si rende quindi necessario un ulteriore criterio per definire la spontaneità.

SCHEDA 1.2

13

LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

Le convenzioni usate in biochimica Per le misurazioni termodinamiche e di altra natura la biochimica moderna fa uso delle unità del Sistema Internazionale (SI), che utilizza il metro (m), il kilogrammo (kg) e il secondo (s), nonché le loro unità derivate. La tabella che segue elenca le unità e le costanti biochimiche di comune utilizzo e un certo numero di fattori di conversione. Unità Energia, calore, lavoro Potenziale elettrico

joule (J) volt (V)

kg ∙ m2 ∙ s−2 o C ∙ V J ∙ C−1

Prefissi impiegati per le unità mega (M) 106 kilo (k) 103 milli (m) 10−3 micro (μ) 10−6

nano (n) pico (p) femto (f ) atto (a)

10−9 10−12 10−15 10−18

Conversioni angstrom (Å) caloria (cal) kelvin (K)

10−10 m 4,184 J gradi Celsius (°C) + 273,15

Costanti Numero di Avogadro (N) Coulomb (C) Faraday (ℱ) Costante dei gas (R) Costante di Boltzmann (kB) Costante di Planck (h)

6,0221 × 1023 molecole ∙ mol−1 6,241 × 1018 cariche elettroniche 96 485 C ∙ mol−1 o 96 485 J ∙ V−1 ∙ mol−1 8,3145 J ∙ K−1 ∙ mol−1 1,3807 × 10−23 J ∙ K−1 (R/N) 6,6261 × 10−34 J ∙ s

In tutto il libro le masse molecolari delle particelle sono espresse in unità dalton (D), definite come 1/12 della massa di un atomo di carbonio 12C (1000 D = 1 kilodalton, kD). I biochimici utilizzano anche il peso molecolare, quantità adimensionale definita come il rapporto tra la massa della particella e 1/12 della massa di un atomo di carbonio 12C, che viene indicata dal simbolo Mr (che sta per massa molecolare relativa).

B La seconda legge della termodinamica afferma che l’entropia tende ad aumentare

In base alla seconda legge della termodinamica i processi spontanei sono contraddistinti dalla conversione dell’ordine in disordine; in tale contesto, il disordine è definito come il numero di modi, W, energeticamente equivalenti di disporre i componenti di un sistema. Consideriamo un sistema costituito da due palloni di uguale volume, uno dei quali contiene molecole di un gas ideale (Figura 1.10); quando il rubinetto posto sul collegamento tra i due palloni è aperto, le molecole si distribuiscono in maniera casuale, ma equivalente, tra i due recipienti (ogni molecola di gas ha il 50% di probabilità di trovarsi nel pallone di sinistra, quindi ci sono 2N modi differenti di distribuire le molecole casualmente tra i due palloni, dove N è il numero di molecole di gas; si noti che anche nel caso in cui N sia piccolo, per esempio 100, 2N è un numero enorme). La distribuzione di un numero uguale di molecole di gas in ogni pallone non dipende da alcuna legge del movimento, ma dal fatto che le probabilità di tutte le altre distribuzioni sono estremamente basse. Pertanto la probabilità che tutte le molecole del sistema si spostino spontaneamente nel pallone di sinistra (la condizione iniziale in cui W = 1) è pari a zero, anche se l’energia e l’entalpia di questa distribuzione sono esattamente le stesse di quelle delle molecole suddivise uniformemente tra i due palloni. Allo stesso modo, l’energia meccanica (lavoro) di un nuotatore che si tuffa in una piscina riscalda l’acqua (aumenta il movimento casuale delle sue molecole), ma il processo inverso, cioè un nuotatore che viene espulso dall’acqua grazie al movimento

(a)

(b)

Figura 1.10 Illustrazione dell’entropia. In (a), un gas occupa la parte sinistra dell’apparato formato da due palloni di uguali dimensioni, per cui l’entropia è bassa. Quando il rubinetto di separazione viene aperto (b), l’entropia aumenta mentre le molecole di gas diffondono avanti e indietro tra i palloni, raggiungendo, alla fine, una distribuzione uniforme, metà in ciascun pallone.

Il calore totale di questo sistema cambia quando il rubinetto di separazione viene aperto?

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organizzato delle molecole di acqua che lo circondano, non è mai stato osservato, anche se questo processo non viola nessuna legge del moto. Dato che W è un numero molto grande e poco pratico da usare, il livello di casualità di un sistema è indicato dalla sua entropia (dal greco en, “in”, e tropé, “rotazione”), abbreviata con il simbolo S:

S = kB ln W

[1.5] −1

dove kB è la costante di Boltzmann. Le unità di S sono in J ∙ K (la temperatura assoluta, in gradi Kelvin, è un fattore da considerare, poiché l’entropia varia con la temperatura; per esempio, il disordine di un sistema aumenta all’aumentare della sua temperatura). La disposizione più probabile di un sistema è quella che rende massimo W e di conseguenza S. Se un processo spontaneo, come quello illustrato nella Figura 1.10, presenta variazioni complessive di energia e di entalpia (∆U e ∆H) pari a zero, la sua variazione di entropia (∆S) deve essere superiore a zero, cioè il numero di modi equivalenti per disporre il sistema nello stato finale deve essere superiore a quello dello stato iniziale. Inoltre, poiché ∆Ssistema + ∆Sambiente = ∆Suniverso > 0

[1.6]

tutti i processi aumentano l’entropia, cioè il disordine, dell’universo. Nei sistemi chimici e biologici è poco pratico, se non impossibile, determinare l’entropia di un sistema contando tutte le disposizioni equivalenti dei suoi componenti (W); tuttavia per l’entropia esiste un’espressione assolutamente equiparabile che si applica alle trasformazioni a temperatura costante tipiche dei sistemi biologici: per un processo spontaneo, ⌬S ⱖ

q T

[1.7]

Pertanto, in un processo la variazione di entropia può essere determinata per via sperimentale partendo da misurazioni di calore e temperatura.

C La variazione di energia libera determina la spontaneità di un processo

Non è possibile prevedere la spontaneità di un processo in base alla conoscenza della sola variazione di entropia di un sistema. Per esempio, 2 mol H2 e 1 mol O2, quando una scintilla le innesca, reagiscono (con reazione esplosiva) per formare 2 mol H2O; nelle molecole di acqua, i tre atomi che le compongono sono forzati a stare insieme e quindi presentano un ordine superiore rispetto alle tre molecole biatomiche libere da cui si sono formati. La reazione avviene quindi con un decremento dell’entropia del sistema. Qual è, allora, il criterio termodinamico che guida un processo spontaneo? Le equazioni 1.4 e 1.7 indicano che, a temperatura e pressione costanti: q P ⌬H ⫽ T T

[1.8]

∆H – T∆S ≤ 0

[1.9]

⌬S ⱖ

Pertanto,

Questo è l’effettivo criterio per la spontaneità, come lo formulò, nel 1878, J. Willard Gibbs, il quale definì l’energia libera di Gibbs (G, chiamata generalmente solo energia libera) come: G = H – TS

[1.10]

La variazione di energia libera per il processo è ∆G. Conseguentemente, a temperatura e pressione costanti, per i processi spontanei:

∆G = ∆H – T∆S < 0

[1.11]

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I processi in cui ∆G è negativo sono definiti esoergonici (dal greco ergon, “lavoro”), mentre quelli non spontanei, che presentano valori di ∆G positivi (∆G > 0), sono detti endoergonici e devono essere spinti da un rifornimento di energia libera. Se un processo è esoergonico, il suo inverso è endoergonico e viceversa. Il valore di ∆G per un processo indica così se il processo può avvenire spontaneamente nella direzione in cui è stato scritto (vedi l’Esempio di calcolo 1.1). I processi all’equilibrio, quelli in cui le reazioni diretta e inversa si bilanciano in modo esatto, sono caratterizzati da ∆G = 0. I processi che avvengono con ∆G ≈ 0, per cui il sistema in effetti resta in equilibrio durante la trasformazione, sono detti reversibili. I processi che invece hanno ∆G ≠ 0 sono detti irreversibili. Un processo irreversibile con ∆G < 0 è detto favorito, o che avviene spontaneamente, mentre un processo irreversibile con ∆G > 0 è detto sfavorito. Un processo accompagnato da un incremento di entalpia (∆H > 0), fenomeno che si oppone alla trasformazione durante il processo, può procedere spontaneamente se la variazione di entropia è sufficientemente positiva (∆S > 0; Tabella 1.4); al contrario, un processo che presenta una diminuzione di entropia (∆S < 0) può avvenire se la sua variazione di entalpia è sufficientemente negativa (∆H < 0). È importante rilevare che un valore di ∆G ampiamente negativo non garantisce che un processo, come una reazione chimica, possa procedere con una velocità misurabile; quest’ultima dipende dal meccanismo della reazione, che non è subordinato a ∆G (Paragrafo 11.2) L’energia libera, e anche l’energia, l’entalpia e l’entropia sono funzioni di stato e i loro valori dipendono unicamente dalle condizioni o proprietà del sistema e non dalla via percorsa per raggiungere lo stato finale. Quindi le misurazioni termodinamiche si possono condurre prendendo in considerazione soÐ ESEMPIO DI CALCOLO 1.1

L’entalpia e l’entropia degli stati iniziali e finali di un sistema di reazione sono riportate nella tabella. H (J ∙ mol–1)

S (J ∙ K−1 ∙ mol−1)

Stato iniziale (prima della reazione)

54 000

22

Stato finale (dopo la reazione)

60 000

43

a. Calcolate la variazione di entalpia e la variazione di entropia della reazione. b. Calcolate la variazione di energia libera della reazione a una temperatura di 4 °C. La reazione è spontanea? c. A 37 °C, la reazione è spontanea? a. ∆H = Hfinale – Hiniziale = 60 000 J ∙ mol−1 – 54 000 J ∙ mol−1 = 6000 J ∙ mol−1 ∆S = Sfinale – Siniziale = ∆S = 43 J ∙ K−1 ∙ mol−1 – 22 J ∙ K−1 mol−1 – 21 J ∙ K−1 ∙ mol−1 b. Per prima cosa convertite la temperatura dai gradi centigradi (°C) in gradi Kelvin (K): 4 + 273 = 277 K. Applicate poi l’equazione 1.11. ∆G = ∆H – T∆S ∆G = (6000 J ∙ mol−1) – (277 K)(21 J ∙ K−1 ∙ mol−1) = 6000 J ∙ mol−1 – 5820 J ∙ mol−1 = 180 J ∙ mol−1 Il valore di ∆G è maggiore di zero, quindi a 4 °C questa reazione è endoergonica e non avviene spontaneamente. c. Per prima cosa convertite la temperatura dai gradi centigradi (°C) in gradi Kelvin (K): 37 + 273 = 310 K. ∆G = ∆H – T∆S ∆G = (6000 J ∙ mol−1) – (310 K)(21 J ∙ K−1 ∙ mol−1) = 6000 J ∙ mol−1 – 6510 J ∙ mol−1 = – 510 J ∙ mol−1

Il valore di ∆G è minore di zero, quindi a 37 °C questa reazione è esoergonica e avviene spontaneamente.

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TABELLA 1.4 Variazione della spontaneità di una reazione (segno di ∆G) rispetto ai segni di ∆H e di ∆S

∆H

∆S

∆G = ∆H − T∆S



+

La reazione è favorita sia dalla variazione dell’entalpia (è esotermica) sia da quella dell’entropia. È spontanea (esoergonica) a tutte le temperature.





La reazione è favorita dalla variazione dell’entalpia, ma non da quella dell’entropia. È spontanea unicamente a temperature inferiori a T = ∆H/∆S.

+

+

La reazione è sfavorita dalla variazione dell’entalpia (è endotermica), ma favorita da quella dell’entropia. È spontanea unicamente a temperature superiori a T = ∆H/∆S.

+



La reazione è sfavorita sia dalla variazione dell’entalpia sia da quella dell’entropia. Non è spontanea (endoergonica) a tutte le temperature.

lo gli stati iniziale e finale del sistema e ignorando tutte le graduali variazioni di entalpia e di entropia che si verificano tra questi. Per esempio, in un organismo vivente (in vivo) è impossibile stabilire direttamente la variazione di energia per la reazione del glucosio con l’O2 a causa delle numerose altre trasformazioni chimiche concomitanti. Tuttavia, poiché ∆G dipende esclusivamente dagli stati iniziale e finale, si può analizzare la combustione del glucosio in un qualunque altro apparato adatto, facendo uso dei medesimi materiali di partenza (glucosio e O2) e prodotti finali (CO2 e H2O) che si ottengono in vivo. Un sistema può andare incontro a una trasformazione irreversibile ciclica che lo riporta al suo stato iniziale e quindi, per questo sistema, ∆G = 0. Tuttavia questa trasformazione deve essere accompagnata da un incremento di entropia (o disordine) dell’ambiente, per cui nel caso dell’universo ∆G < 0. Notate che il calore (q) e il lavoro (w) non sono funzioni di stato. Questo perché, come indica l’equazione 1.1, esse sono forme di energia intercambiabili, quindi queste quantità variano in base al percorso seguito nel cambiamento di stato del sistema. Non ha senso perciò parlare del contenuto di calore o del contenuto di lavoro di un sistema (come non avrebbe senso descrivere i soldi nel proprio conto in banca come se fossero composti da un numero prefissato di un certo tipo di monete e banconote).

D Le variazioni di energia libera possono essere calcolate in base ai valori delle concentrazioni all’equilibrio

L’entropia (cioè il disordine) di una sostanza aumenta con il suo volume; per esempio, un insieme di molecole di gas, nell’occupare tutto il volume a sua disposizione, rende massima la propria entropia (cioè assume una disposizione più disordinata). Analogamente, le molecole disciolte si distribuiscono in maniera uniforme in tutto il volume della soluzione che le contiene; perciò l’entropia è una funzione della concentrazione. Se l’entropia varia con la concentrazione, lo stesso deve avvenire per l’energia libera; pertanto la variazione di energia libera di una reazione chimica dipende dalla concentrazione sia delle sue sostanze che reagiscono tra loro (reagenti) sia di quelle generate dalla reazione (prodotti). Questo fenomeno riveste un significato rilevante, dato che molte reazioni biochimiche si svolgono nell’una o nell’altra direzione in base alle concentrazioni relative dei loro reagenti e prodotti. Le costanti di equilibrio sono correlate a ∆G.

È possibile misurare esclusivamente le variazioni di energia libera, entalpia ed entropia (∆G, ∆H e ∆S), non i loro valori assoluti (G, H ed S). Per confrontare queste variazioni fra sostanze differenti è perciò necessario esprimere i loro valori in relazione a uno stato standard (come per esempio indichiamo l’altitudine delle località geografiche rispetto al livello del mare, cui è assegnata in modo arbitrario altitudine zero). Descriveremo di seguito le convenzioni dello stato standard.

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La relazione tra concentrazione ed energia libera di una sostanza A è pari approssimativamente a: – – [1.12] G A = GA° + RT ln[A] – dove G A è l’energia libera molare parziale o potenziale chimico di A (la sbarÐ retta indica la quantità per mole), G A° è l’energia libera molare parziale di A nel suo stato standard, R è la costante dei gas e [A] è la concentrazione molare di A; pertanto, per la reazione generale

aA + bB 34 cC + dD la variazione di energia libera è – – – – ∆G = cGC + dGD – aGA – bGB

[1.13]

– – – – ∆G° = cGC° + dGD° – aGA° – bGB°

[1.14]

e poiché le energie libere sono additive e la loro variazione nel corso di una reazione è pari alla somma delle energie libere dei prodotti meno quelle dei reagenti. Sostituendo tali relazioni nell’equazione 1.12 si ottiene:

DG

DG °

C

c

Dd

[1.15] Aa Bb dove ∆G° è la variazione di energia libera della reazione quando tutti i suoi reagenti e prodotti sono nel loro stato standard (vedi più avanti). Di conseguenza, l’espressione inerente alla variazione di energia libera di una reazione è costituita da due parti: (1) un termine costante il cui valore dipende esclusivamente dal tipo di reazione che avviene e (2) un termine variabile legato alle concentrazioni dei reagenti e dei prodotti, alla stechiometria della reazione, nonché alla temperatura. In una reazione all’equilibrio non vi è uno scambio netto (le velocità delle reazioni diretta e inversa sono uguali), dal momento che la variazione di energia libera della reazione in una direzione è bilanciata in maniera esatta da quella di segno contrario; allora, ∆G = 0, cosicché l’equazione 1.15 diventa: RT ln

∆G° = −RT ln Keq

[1.16]

– ESEMPIO DI CALCOLO 1.2

La variazione di energia libera standard di una reazione A n B è pari a −15 kJ ∙ mol−1; qual è la costante di equilibrio di tale reazione?

Dal momento che il valore di ∆G° è nodove Keq è la costante di equilibrio della reazione: to, l’equazione 1.17 può essere usata per c d C eq D eq DG ° RT calcolare Keq; ipotizzate che la tempera[1.17] e Keq tura sia di 25 °C (298 K): A aeq B beq Keq = e−∆G°/RT Il deponente “eq” indica le concentrazioni all’equilibrio dei reagenti e dei pro= e−(−15000 J·mol )/(8,314 J·mol ·K )(298 K) dotti (in generale, la condizione di equilibrio è chiaramente indicata dal conte= e 6,05 sto della situazione, così le concentrazioni all’equilibrio sono solitamente espres= 426 se senza deponente). La costante di equilibrio di una reazione può quindi essere calcolata a partire dai valori di energia libera – ESEMPIO DI CALCOLO 1.3 standard e viceversa (vedi l’Esempio di calcoUtilizzando i dati riportati nell’Esempio di calcolo 1.2, calcolate quale sia la realo 1.2). La reale variazione di energia libera le variazione di energia libera per la reazione A n B a 37 °C nel caso in cui sia di una reazione può essere calcolata dalla va[A] = 10,0 mM e [B] = 0,100 mM. riazione dell’energia libera standard (∆G°) e dall’effettiva concentrazione dei reagenti e Usate l’equazione 1.15 e ricordate che le unità di misura per la concentrazione sono moli per litro. dei prodotti (vedi l’Esempio di calcolo 1.3). Le equazioni dalla 1.15 alla 1.17 indica3B4 DG DG ° RT ln no che quando in un processo i reagenti sono 3A4 presenti in eccesso rispetto alle loro concen−1 ∆G = – 15 000 J ∙ mol + (8314 J ∙ mol−1 K−1)(37 + 273 K) ln(0,0001/0,01) trazioni di equilibrio la reazione netta pro= – 15 000 J ∙ mol−1 – 11 900 J ∙ mol−1 cederà verso destra fino a quando l’eccesso = – 26 900 J ∙ mol−1 dei reagenti non sarà stato tutto convertito −1

−1

−1

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in prodotti e si sarà quindi raggiunto l’equilibrio. Al contrario, quando sono i prodotti a essere presenti in eccesso, la reazione netta procederà nella direzione opposta. Così, come affermato dal principio di Le Châtelier, qualsiasi deviazione dall’equilibrio stimola un processo che tende a riportare il sistema all’equilibrio. Nelle cellule parecchie reazioni metaboliche sono liberamente reversibili (∆G ≈ 0) e la direzione della reazione può invertirsi a seconda che vengano aggiunti reagenti alla cellula o che i prodotti siano rimossi dalla cellula stessa. Alcune reazioni metaboliche, però, sono irreversibili; esse procedono in una sola direzione (∆G 0. • La costante di equilibrio di un dato processo è correlata alla variazione di energia libera standard per tale processo. • Gli organismi viventi sono sistemi aperti che mantengono uno stato stazionario non all’equilibrio (omeostasi).

PROBLEMI 1. Quale dei gruppi funzionali della Tabella 1.3 conferisce alla

molecola una carica positiva? Quale invece conferisce una carica negativa? 2. Identificate i gruppi funzionali e i legami presenti all’interno dei circoletti nel composto seguente. O H N

C B

CH2CH2

CH2 CH2

N

C

C

C

O C

H

H

CH2

SH

2O

D

P

H2C

O

+

H2O

CO2

P

O

OH OPO322

COO2 HC H2C

OPO322 OH

2-Fosfoglicerato

e l’entalpia aumenta?

H

22O PO 3

E

2 NH3

8. Un processo può avvenire se l’entropia del sistema diminuisce

O

H

+

0,5 M NaCl

3-Fosfoglicerato

CH2 O

OH H

H

OH F

3. Quali reazioni sono generalmente caratterizzate da un incre-

mento dell’entropia: le reazioni di condensazione o di idrolisi? 4. Il batterio Thiomargarita namibiensis – di diametro circa 0,1-

0,3 mm – è visibile a occhio nudo. Qual è la sua dimensione rispetto alla dimensione di una tipica cellula procariotica? Qual è in confronto alla dimensione di una tipica cellula eucariotica? 5. In base ai dati sulle sequenze molecolari, a quale gruppo di procarioti sono più strettamente correlati gli eucarioti? 6. (a) Presenta un’entropia maggiore l’acqua allo stato liquido a 0 °C oppure il ghiaccio alla stessa temperatura? (b) Di quanto è diversa, se lo è, l’entropia del ghiaccio a −5 °C da quella a −50 °C? 7. Nei seguenti processi l’entropia aumenta o diminuisce? 2 NH3 (a) N2 + 3 H2 O

NH2

COO2 HC

O

A

C Urea

(d)

O

2O

(b) H2N

(c) 1 M NaCl

OH CH3

H

O

9. Indicate se le seguenti affermazioni sono vere o false.

(a) Si dice che una reazione è spontanea quando può procedere sia nella direzione in avanti sia nella direzione inversa. (b) Un processo spontaneo è sempre molto rapido. (c) Una reazione non spontanea procederà spontaneamente nella direzione inversa. (d) Un processo spontaneo può verificarsi con un’ampia diminuzione di entropia. 10. Considerate una reazione con ∆H = 15 kJ e ∆S = 50 J ∙ K−1. (a) A 10 °C e (b) a 80 °C la reazione è spontanea? 11. La variazione di entalpia a 298 K per la reazione A n B è pari a −7 kJ ∙ mol−1, mentre la variazione di entropia è di −25 J ∙ K−1 ∙ mol−1. La reazione è spontanea? Nel caso non lo fosse, per rendere la reazione spontanea bisognerebbe aumentare o diminuire la temperatura? 12. Quando la reazione A + B 34 C è all’equilibrio, le concentrazioni dei reagenti e dei prodotti sono le seguenti: [A] = 2 mM, [B] = 3 mM, [C] = 9 mM. Quanto vale la variazione di energia libera standard della reazione? 13. Calcolate ∆G°′ della reazione A + B 34 C + D a 25 °C, quando le concentrazioni all’equilibrio sono [A] = 10 μM, [B] = 15 μM, [C] = 3 μM e [D] = 5 μM. In condizioni standard, la reazione è esoergonica o endoergonica?

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14. Calcolate la costante di equilibrio della reazione

glucosio-1-fosfato + H2O n glucosio +

H2PO4−

a pH 7,0 e 25 °C (∆G°′ = −20,9 kJ ∙ mol−1). 15. La reazione di isomerizzazione

glucosio-1-fosfato (G1P) 34 glucosio-6-fosfato (G6P) ha un ∆G°′ di −7,1 kJ ∙ mol−1. Calcolate il rapporto all’equilibrio tra [G1P] e [G6P] a 25 °C. DOMANDE DIFFICILI 16. Perché la membrana cellulare non costituisce una barriera as-

soluta tra il citoplasma e l’ambiente esterno? 17. La maggior parte del volume della cellula di T. namibiensis (ve-

di Problema 4) è occupata da un grande vacuolo centrale. Perché gli scienziati sono rimasti sorpresi nello scoprire una cellula batterica che contiene un vacuolo? 18. Un batterio sferoidale di diametro pari a 1 μm contiene due molecole di una particolare proteina. Qual è la concentrazione molare della proteina? 19. Quante molecole di glucosio contiene la cellula del Problema 18 quando la concentrazione di glucosio al suo interno è 1,0 mM? 20. Per convertire il reagente A nel prodotto B, la variazione di entalpia è 7 kJ ∙ mol−1 e la variazione di entropia è 20 kJ ∙ K−1 ∙ mol−1. Sopra quale temperatura la reazione avviene spontaneamente?

21. La costante di equilibrio della reazione Q n R è 25.

(a) Se misceliamo 50 µM di Q con 50 µM di R, secondo quale via procederà la reazione? Procederà verso la maggiore produzione di Q o di R? (b) Calcolate le concentrazioni di equilibrio di Q ed R. 22. A 10 °C, la Keq per una reazione è 100. A 30 °C, Keq = 10. Durante la reazione l’entalpia aumenta o diminuisce? 23. Due reazioni biochimiche hanno la stessa Keq = 5 × 108 alla temperatura T1 = 298 K. Però, la reazione 1 ha ∆H° = −28 kJ ∙ mol−1, mentre la reazione 2 ha ∆H° = + 28 kJ ∙ mol−1. Le due reazioni utilizzano gli stessi reagenti. Un vostro collega ha ipotizzato che otterreste una resa migliore dai vostri reagenti se seguiste la via della reazione 2 piuttosto che procedere secondo la reazione 1 diminuendo la temperatura della reazione. Funzionerà davvero questa strategia? Di quanto bisognerebbe aumentare o diminuire la temperatura per cambiare il valore del rapporto K2/K1 da 1 a 10?

APPROFONDIMENTO Prendete in considerazione i metanogeni e i metanotrofi. Dove si incontrano tali organismi? Riassumete in che modo questi organismi ottengono energia e materia dall’ambiente che li circonda. Disegnate poi uno schema per illustrare l’indipendenza metabolica dei metanogeni e dei metanotrofi.

BIBLIOGRAFIA Origine ed evoluzione della vita Anet, F.A.L. (2004), The place of metabolism in the origin of life. Curr. Opin. Chem. Biol. 8, 654-659. [Discute diverse ipotesi proponendo che la vita si sia originata come un sistema in grado di autoreplicarsi o come un insieme di polimeri catalitici.] Bada J.L., e Lazcano, A. (2003), Prebiotic soup – revisiting the Miller experiment, Science 300, 745-756. McNichol, J. (2008), Primordial soup, fool’s gold, and spontaneous generation, Biochem. Mol. Biol. Ed. 36, 255-261. [Una breve introduzione sulla teoria, sulla storia, e sulla filosofia della ricerca dell’origine della vita.] Nisbet, E.G., e Sleep, N.H. (2001). The habitat and nature of early life. Nature 409, 1083-1091. [Illustra alcune ipotesi circa la Terra primordiale e l’origine della vita, compresa la possibilità che quest’ultima abbia avuto inizio presso le fonti idrotermali.]

Le cellule Reece, J.B., Urry, L.A., Cail, M.L., e Wasserman, S.A. (2014), Campbell Biology (10a ed.), Benjamin/Cummings. (Trad. it. Biologia, 2a ed. italiana condotta sulla 6a ed. americana, Zanichelli, Bologna 2004.) [Questo e altri esaurienti testi di biologia generale forniscono dettagli inerenti alle strutture dei procarioti e degli eucarioti.]

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La termodinamica Kuriyan, J., Konforti, B., e Wemmer, D. (2013), The Molecules of Life. Physical and Chemical Principles, Capitoli 6-10, Garland Science. Tinoco, I., Jr., Sauer, K., Wang, J.C., Puglisi, J.C., Harbison, G., e Rovnyak, D. (2014), Physical Chemistry. Principles and Applications in Biological Sciences (5a ed.), Capitoli 2-4, Prentice-Hall. [La maggior parte dei testi di chimica fisica tratta in modo abbastanza approfondito la termodinamica.] van Holde, K.E., Johnson, W.C., e Ho, P.S. (2006), Principles of Physical Biochemistry (2a ed.), Capitoli 2 e 3, Prentice-Hall.

C A P I T O L O

2

LÕacqua Sulla superficie di una foglia l’acqua forma delle minuscole sfere, a causa dalla coesione fra le molecole d’acqua, dovuta ai legami idrogeno tra di esse. Queste interazioni deboli hanno un ruolo centrale anche nelle strutture e nelle funzioni delle molecole biologiche. [Kuttelvaserova Stuchelova/Shutterstock.]

Qualsiasi studio che riguardi la chimica della vita deve comprendere un’analisi dell’acqua; le molecole biologiche e le reazioni a cui queste vanno incontro possono essere comprese meglio se sono analizzate nel contesto del loro ambiente acquoso. Gli organismi sono costituiti per la maggior parte da acqua (nel caso del corpo umano in una percentuale di circa il 70%); inoltre sul nostro “pianeta blu” ne siamo completamente circondati. Oltre alla sua abbondanza, ai fini della biochimica l’acqua riveste un ruolo centrale per i seguenti motivi.

1. Quasi tutte le molecole biologiche assumono la forma che è loro peculiare (e quindi la loro funzione) in risposta alle proprietà fisiche e chimiche dell’acqua circostante. 2. L’acqua è il mezzo in cui avviene la maggior parte delle reazioni biochimiche. I reagenti e i prodotti delle reazioni metaboliche, i nutrienti, come pure i prodotti di eliminazione, sono trasportati dall’acqua all’interno delle cellule o scambiati tra loro. 3. L’acqua partecipa attivamente a molti tipi di reazioni chimiche che sostengono la vita; i reagenti effettivi sono spesso le sue componenti ioniche, gli ioni H+ e OH−. La reattività di numerosi gruppi funzionali presenti sulle molecole biologiche è in funzione delle concentrazioni relative di ioni H+ e OH− nel mezzo circostante. Tutti gli esseri viventi hanno bisogno di acqua, dagli organismi marini che vi trascorrono tutta la loro esistenza, a quelli terrestri che devono preservare l’acqua contenuta al loro interno tramite la cute protettiva. Non sorprende quindi di trovare forme di vita ogni volta che vi sia presenza di acqua allo stato liquido, come nei camini idrotermali, che possono raggiungere temperature anche di 121 °C, o nelle spaccature e fenditure tra le rocce a centinaia di metri al di sotto della superficie terrestre. Gli organismi che sopravvivono alla disidratazione, come i semi o le spore, sono in grado di farlo solo perché assumono uno stato di dormienza. Un esame dell’acqua dal punto di vista biochimico richiede un’analisi delle sue proprietà fisiche, del suo potere come solvente, nonché del suo comportamento chimico, vale a dire della natura degli acidi e delle basi nello stato acquoso.

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L’acqua

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1 Le proprietà fisiche dell’acqua CONCETTI CHIAVE

• Le molecole d’acqua, che sono polari, possono formare legami idrogeno con altre molecole.

• Nel ghiaccio le molecole d’acqua sono mantenute in una disposizione cristallina da legami idrogeno, ma quando l’acqua è in forma liquida i legami idrogeno si rompono e si riformano molto velocemente, originando un reticolo irregolare.

• Le forze di attrazione che agiscono sulle molecole biologiche comprendono le interazioni ioniche, i legami idrogeno e le interazioni di van der Waals.

• Le sostanze ioniche e polari si possono sciogliere in acqua. • L’effetto idrofobico spiega l’esclusione di gruppi non polari come un modo di rendere massima l’entropia delle molecole d’acqua.

• Le sostanze anfifiliche formano micelle o doppi strati (bilayers) che nascondono i loro gruppi idrofobici e contemporaneamente espongono i loro gruppi idrofilici all’acqua.

• Le molecole si diffondono attraverso membrane che sono permeabili a esse dalle regioni in cui la loro concentrazione è più elevata alle zone in cui la loro concentrazione è minore.

• Nella dialisi i soluti diffondono attraverso una membrana semipermeabile dalle regioni a concentrazione più elevata alle zone in cui la concentrazione è minore. Sacca di van der Waals Raggio di van der Waals dell’H = 1,2 Å

Raggio di van der Waals dell’O = 1,4 Å Lunghezza del legame covalente O ÑH = 0,958 Å

O

La natura incolore, inodore e insapore dell’acqua rende meno evidente la sua fondamentale importanza per gli esseri viventi. Nonostante il suo aspetto colpisca poco i nostri sensi, questo composto è tutt’altro che inerte. Le sue proprietà fisiche, uniche tra le molecole di dimensioni analoghe, le conferiscono una efficienza senza eguali come solvente. Le limitazioni a questa sua proprietà determinano rilevanti implicazioni per le strutture e le funzioni delle molecole biologiche.

A L’acqua è una molecola polare H

104,5°

H

(a) Coppie di elettroni che non fanno parte del legame

(b)

O

H

Figura 2.1 Struttura della molecola

di acqua. (a) Il profilo ombreggiato rappresenta la sacca di van der Waals, l’effettivo “spazio” occupato dalla molecola. (b) Gli orbitali sp3 dell’atomo di ossigeno sono disposti nella direzione degli spigoli di un tetraedro; due di essi contengono coppie di elettroni che non formano legami. Identificate le regioni ricche di elettroni e quelle povere di elettroni nella molecola di acqua.

Una molecola di acqua è costituita da due atomi di idrogeno uniti da un atomo di ossigeno; la distanza del legame O−H è pari a 0,958 Å (1 Å = 10−10 m), mentre l’angolo formato dai tre atomi è di 104,5° (Figura 2.1). Gli atomi di idrogeno non sono disposti lungo una linea retta, poiché i quattro orbitali ibridi sp3 dell’atomo di ossigeno si estendono approssimativamente verso i vertici di un tetraedro; gli atomi di idrogeno occupano due vertici del tetraedro e le coppie elettroniche dell’ossigeno non utilizzate per legami sono situate in corriH spondenza degli altri due (in una molecola tetraedrica perfetta, come per esempio il metano, CH4, gli angoli di legame sono di 109,5°); la deviazione dell’angolo di legame dell’acqua dall’angolo esatto di un tetraedro è dovuta alla maggiore repulsione esistente tra le coppie di elettroni nei due orbitali isolati rispetto a quella tra le coppie di elettroni meno ravvicinate che formano i legami C−H. La geometria angolare della molecola di acqua ha implicazioni fondamentali per i sistemi viventi. L’acqua è una molecola polare: l’atomo di ossigeno con i suoi elettroni non condivisi ha una parziale carica negativa (δ−) pari a −0,66e, mentre a ciascuno degli atomi di idrogeno è associata una parziale carica positiva (δ+) pari a +0,33e, dove e è la carica dell’elettrone. Le attrazioni elettrostatiche tra i dipoli di molecole di acqua sono fondamentali per le proprietà dell’acqua stessa e per il suo ruoLe molecole di acqua formano legami idrogeno.

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Figura 2.2 Un legame idrogeno

H

O

H

O H H

tra due molecole d’acqua. Il legame idrogeno è rappresentato dalla linea punteggiata. La forza dell’interazione è massima quando il legame covalente O–H di una molecola è sulla linea retta che unisce il legame e la nuvola elettronica di un doppietto di elettroni dell’altra molecola.

lo di solvente biochimico. Le molecole di acqua adiacenti tendono a orientarsi in modo che il legame O−H di una molecola di acqua (l’estremità positiva) punti verso una delle coppie elettroniche dell’altra molecola (l’estremità negativa). La risultante associazione bidirezionale intermolecolare è nota come legame idrogeno (Figura 2.2). In genere è possibile rappresentare un legame idrogeno come D−H···A, dove D−H è un gruppo “donatore” debolmente acido, come per esempio O−H, N−H e A è un atomo “accettore” debolmente basico, con una coppia di elettroni non utilizzata come O o N. I legami idrogeno sono strutturalmente caratterizzati da una distanza H···A che deve essere almeno 0,5 Å più corta rispetto alla distanza di van der Waals (cioè la distanza minima tra due atomi non legati). Nell’acqua, per esempio, la distanza spaziale del legame idrogeno O···H è pari a circa 1,8 Å, rispetto a 2,6 Å della corrispondente distanza di van der Waals. I gruppi C−H, nella maggior parte dei casi, non formano legami idrogeno a causa della loro scarsa polarità (gli atomi C e H hanno elettronegatività quasi uguale). Una singola molecola di acqua contiene due atomi di idrogeno che possono essere “donati” e due coppie di elettroni non condivisi che possono invece agire da “accettori”. Ogni molecola è in grado di partecipare a un massimo di quattro legami idrogeno con altre molecole di acqua. Sebbene l’energia di un singolo legame idrogeno (∼20 kJ ∙ mol−1) sia relativamente bassa (per esempio, l’energia di un legame O−H covalente è pari a 460 kJ ∙ mol−1), l’altissimo numero di legami idrogeno presenti in un campione di acqua è alla base delle sue importanti proprietà. La struttura del ghiaccio offre un esempio della forza cumulativa di numerosi legami idrogeno. Studi di diffrazione dei raggi X e dei neutroni hanno consentito di stabilire che nel ghiaccio le molecole di acqua sono disposte in una struttura inusitatamente aperta. Ogni molecola di acqua nel ghiaccio è circondata da quattro molecole circostanti disposte a tetraedro e unite mediante legami idrogeno (Figura 2.3). In conseguenza della sua conformazione aperta, l’acqua è una delle pochissime sostanze che si espandono durante il congelamento (a 0 °C la densità dell’acqua allo stato liquido è di 1,00 g ∙ mL−1, mentre la densità del ghiaccio è pari a 0,92 g ∙ mL−1). L’espansione dell’acqua nel corso del congelamento ha conseguenze di estrema rilevanza per la vita sulla Terra. Supponiamo che l’acqua si possa contrarre durante il congelamento, cioè che la sua densità aumenti anziché diminuire. Come conseguenza di questa contrazione, il ghiaccio tenderebbe ad accumularsi sul fondo dei laghi e degli oceani invece che galleggiare sulla loro superficie. A parte un sottile strato di liquido superficiale generato dal riscaldamento del sole, anche quando la temperatura è elevata i mari rimarrebbero costantemente allo stato solido (a grandi profondità, persino nei mari tropicali, la temperatura dell’acqua si avvicina a 4 °C, la temperatura della sua densità massima). Pertanto il nostro pianeta sarebbe rimasto letteralmente congelato in una permanente età glaciale e forse la vita non avrebbe mai fatto la sua comparsa.

Il ghiaccio è un cristallo di molecole di acqua unite da legami idrogeno.

Figura 2.3 La struttura del ghiaccio.

Ciascuna molecola di acqua interagisce con altre quattro assumendo disposizioni tetraedriche. Gli atomi di ossigeno sono colorati mentre quelli di idrogeno sono bianchi e i legami idrogeno sono rappresentati da linee tratteggiate. [Da Pauling (1960), L., The Nature of the Chemical Bond, 3a ed. p. 465, Cornell University Press.] Espandete questo cristallo di ghiaccio disegnando altre molecole di acqua con i legami idrogeno appropriati.

CONCETTI DI BASE Comportamento molecolare Quando descriviamo le proprietà di una sostanza, come l’acqua o un’altra molecola, in realtà stiamo descrivendo il comportamento medio di una grande popolazione di molecole. La maggior parte dei metodi biochimici non è in grado di stabilire il comportamento di una singola molecola.

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La fusione del ghiaccio induce il collasso dell’orientamento strettamente tetraedrico delle molecole di acqua unite da legami idrogeno, sebbene questi ultimi permangano tra le sue molecole quando essa passa allo stato liquido. Di fatto l’acqua allo stato liquido mostra un contenuto in legami idrogeno solo di circa il 15% inferiore rispetto al ghiaccio. [L’entalpia di sublimazione dell’acqua (il ∆H necessario alla conversione di un solido in un gas) è di 47 kJ ∙ mol−1, di cui solo circa 6 kJ ∙ mol−1 sono attribuibili all’energia cinetica delle molecole di acqua in fase gassosa. Quindi, 6 kJ ∙ mol−1 dell’entalpia di fusione dell’acqua (il ∆H necessario per convertire un solido in un liquido) rappresentano (6 × 100)/(47 − 6) = 15% dell’energia necessaria per rompere tutti i legami idrogeno intermolecolari dell’acqua (le molecole di acqua in fase gassosa a 1 atm non hanno interazioni intermolecolari significative).] Inoltre, il punto di ebollizione dell’acqua (100 C°) è 264 °C più alto rispetto a quello del metano (−164 C°), una sostanza con massa molecolare molto simile a quella dell’acqua ma che non è in grado di formare legami idrogeno (sostanze che presentano associazioni intermolecolari simili e masse molecolari equivalenti dovrebbero avere punti di ebollizione vicini). Questo e altri fenomeni, come l’elevata tensione superficiale dell’acqua, dimostrano la straordinaria coesione interna dell’acqua allo stato liquido, che deriva dai suoi legami idrogeno intermolecolari.

Dal momento che ogni molecola di acqua allo stato liquido si riorienta circa una volta ogni 10−12 secondi, sono molto poche le tecniche sperimentali in grado di indagare l’istantanea disposizione di tali molecole. Considerazioni teoriche ed evidenze spettroscopiche indicano che, nell’acqua allo stato liquido, ciascuna molecola è unita mediante legami idrogeno alle quattro adiacenti più vicine, come accade nel ghiaccio; tuttavia questi legami idrogeno sono distorti e i reticoli di molecole interconnesse sono irregolari e di forme diverse. Per esempio, nell’acqua allo stato liquido di solito si osservano anelli di molecole unite da legami idrogeno composti da tre-sette membri (Figura 2.4), che si differenziano dagli anelli a sei membri caratteristici del ghiaccio (Figura 2.3). In più, questi reticoli si decompongono e si riformano ogni 2 × 10−11 secondi circa; perciò l’acqua allo stato liquido consiste di un reticolo tridimensionale (cluster), in rapida fluttuazione, di molecole unite da legami idrogeno. Dato che il ∆H di fusione e quello di sublimazione del ghiaccio sono entrambi quantità positive e che ∆G = ∆H − T∆S deve essere negativo perché il processo sia spontaneo (Paragrafo 1.3C), è l’incremento di ∆S a guidare il processo, cioè il disordine delle molecole di acqua allo stato gassoso. La struttura dell’acqua allo stato liquido è irregolare.

Figura 2.4 Anelli di molecole

d’acqua. Questi modelli contenenti tre, quattro o cinque molecole si fondano su previsioni teoriche e dati spettroscopici. [Liu, K., Cruzan, J. D., Saykally, R. J. (1996), Science 271, 929.]

I legami idrogeno e altre interazioni deboli nelle molecole biologiche. I biochimici si interessano non solo dei legami covalenti forti che definiscono la struttura chimica delle molecole, ma anche delle forze deboli che agiscono in condizioni fisiche relativamente blande. Le strutture della maggior parte delle molecole biologiche sono determinate dall’influenza collettiva esercitata da numerose interazioni singolarmente deboli. Le forze elettrostatiche deboli di cui si occupa la biochimica includono le interazioni ioniche, i legami idrogeno e le forze di van der Waals. L’energia di associazione di due cariche elettriche, q1 e q2, immerse in un mezzo con costante dielettrica D e separate da una distanza r, è data dalla legge di Coulomb:

U5

kq 1q 2 Dr

[2.1]

dove k = 9,0 × 109 J ∙ m ∙ C−2 è una costante di proporzionalità. La costante dielettrica varia con la polarità del mezzo; assume valore 1 (per definizione) nel vuoto, è in un intervallo da 1,5 a 3 per gli idrocarburi, è 78,5 nell’acqua allo stato liquido. In generale l’energia di associazione di due gruppi carichi (corrispon-

CAPITOLO 2

TABELLA 2.1 Energie di legame nelle biomolecole

Tipo di legame Covalente

Non covalente Interazioni ioniche Forze di van der Waals Legame idrogeno Interazione dipolo-dipolo

(a) Interazioni tra dipoli permanenti

Esempio

Energia di legame tipica (kJ · mol–1)

OOH C OH C OC

460 414 348



+

H3NO

O

H

O

C

O

C

δ+ δ–

C H

86



H

C



+

δ+ δ–

H3 C

C=O

δ+

δ–

9,3 (c) Forze di dispersione di London

H H

δ+ δ–

C=O

(b) Interazioni dipolo-dipolo indotto

20 O



+

C=O

+

OCOO

H

Forze di dispersione di London

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+



+

0,3

H

dente all’energia necessaria per separarli completamente nel mezzo di interesse) è inferiore all’energia di un legame covalente ma maggiore rispetto a quella di un legame idrogeno (Tabella 2.1). Le associazioni non covalenti tra molecole neutre, note complessivamente come forze di van der Waals, si instaurano a partire da interazioni elettrostatiche tra dipoli permanenti o indotti (il legame idrogeno rappresenta un tipo particolare di interazione dipolare). Le interazioni tra dipoli permanenti, come per esempio i gruppi carbonilici (Figura 2.5a), sono più deboli rispetto alle interazioni ioniche. Inoltre, la loro energia varia in base a r−3, quindi queste forze si riducono rapidamente con la distanza. Un dipolo permanente induce altresì un momento dipolare in un gruppo adiacente distorcendo elettrostaticamente la sua distribuzione elettronica (Figura 2.5b). Tali interazioni dipolo permanente-dipolo indotto sono comunemente molto più deboli rispetto a quelle dipolo-dipolo. In ogni istante le molecole non polari presentano un piccolo momento dipolare orientato in modo casuale che deriva dal rapido movimento fluttuante dei loro elettroni; tale momento dipolare transitorio può polarizzare gli elettroni in un gruppo adiacente (Figura 2.5c) e quindi i gruppi si attraggono reciprocamente. Queste interazioni, dette forze di dispersione di London, sono estremamente deboli e diminuiscono in maniera così rapida con la distanza (r−6) da risultare significative solo per i gruppi che si trovano in stretto contatto. Esse sono ugualmente importanti nel determinare le strutture delle molecole biologiche, le quali contengono al loro interno numerosi gruppi vicini tra loro (è importante notare che le forze di dispersione di London si instaurano tra tutti gli atomi, a differenza degli altri tipi di interazioni non covalenti, che avvengono solo tra atomi con differente elettronegatività).

B Le sostanze idrofiliche si sciolgono in acqua La solubilità dipende dalla capacità di un solvente di interagire con un soluto più fortemente di quanto non facciano tra loro le particelle di quest’ultimo. L’acqua viene detta anche “solvente universale”. Ovviamente questa affermazione non può essere presa alla lettera; è però vero che l’acqua ha la capacità di far sciogliere più tipi di sostanze e in quantità superiori rispetto a qualsiasi altro solvente. In particolare, il carattere polare dell’acqua la rende un solvente eccellente per i materiali polari e ionici, che per questo motivo sono definiti idrofilici (dal greco hydro, “acqua”, e philos, “amante di”). D’altro canto, le sostanze non polari sono praticamente insolubili in acqua (“l’olio e l’acqua non si miscelano”) e, di conseguenza, sono definite idrofobiche (dal greco phobos, “paura”). Le sostanze

CH3

δ+

δ–

H3 C

δ+

δ–

Figura 2.5 Interazioni dipolo-dipolo. La forza di ciascun dipolo è indicata dallo spessore della relativa freccia. (a) Interazione tra dipoli permanenti. (b) Interazione dipolo–dipolo indotto. (c) Forze di dispersione di London.

CONCETTI DI BASE Interazioni intermolecolari Nei sistemi biologici, i legami covalenti tengono insieme gli atomi per formare molecole, ma le interazioni non covalenti – come le interazioni ioniche, i legami idrogeno e altre interazioni di van der Waals – determinano come queste molecole possano “riconoscere” o interagire con altre molecole.

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H

H

δ+

δ+ O δ–

H

O δ–

H

Na+ δ– O

H

δ– O

δ+

H δ+

H

H

δ– O H δ+ H H

Cl–

δ+ δ– O H

H δ+ O H

δ–

Figura 2.6 Solvatazione degli

ioni. I dipoli delle molecole di acqua circostanti sono orientati secondo la carica dello ione. Qui è mostrato un solo strato di molecole di solvente. Questa figura non mostra il reale comportamento dell’acqua; le rapide fluttuazioni delle molecole di acqua in soluzione fanno sì che esse assumano un ordine solo parziale intorno agli ioni a cui sono associate.

non polari, tuttavia, sono solubili nei solventi non polari, per esempio CCl4 ed esano. Queste proprietà possono essere riassunte nella massima “il simile scioglie il suo simile”. Per quale motivo i sali quali NaCl si sciolgono in acqua? I solventi polari come l’acqua indeboliscono le forze di attrazione esistenti tra ioni con cariche opposte (per esempio, Na+ e Cl−) e possono quindi tenerli separati (nei solventi non polari gli ioni di carica opposta si attraggono reciprocamente in modo così forte da unirsi e formare un sale solido). Uno ione immerso in un solvente polare come l’acqua attrae le estremità dei dipoli del solvente dotate di cariche opposte alla sua (Figura 2.6) e così lo ione viene circondato da uno o più strati concentrici di molecole di solvente orientate, che essenzialmente disperdono la carica ionica su un volume molto più grande. Tali ioni sono detti solvatati oppure idratati (quando il solvente è l’acqua). Le molecole di acqua negli strati di idratazione che circondano uno ione si muovono più lentamente rispetto a quelle non coinvolte nella solvatazione dello ione. In una massa d’acqua il costo energetico della rottura di un legame idrogeno è basso, poiché è probabile che vi sia la contestuale formazione di un altro legame idrogeno. Il costo energetico è superiore per le molecole di acqua relativamente ordinate appartenenti allo strato di idratazione. L’energetica della solvatazione svolge una funzione anche nell’ambito delle reazioni chimiche, poiché, per potersi avvicinare a un altro gruppo, un reagente deve liberarsi delle sue molecole di acqua di idratazione (le molecole presenti negli strati di idratazione). I dipoli presenti nei legami di molecole polari non cariche le rendono solubili in acqua per gli stessi motivi indicati per le sostanze ioniche. Le solubilità delle sostanze polari e ioniche aumentano quando esse contengono gruppi funzionali, per esempio i gruppi ossidrilico (OH), carbonilico (CPO), carbossilato (COO−) o ammonio (NH+ 3 ), che possono formare legami idrogeno con l’acqua come illustrato nella Figura 2.7. Quindi le biomolecole solubili in acqua, come le proteine, gli acidi nucleici e i carboidrati, sono ricche di questi gruppi polari. Al contrario, le sostanze non polari, come il metano o altri idrocarburi, sono prive di gruppi donatori e accettori di legami idrogeno.

C L’effetto idrofobico causa l’aggregazione delle sostanze non polari in acqua Figura 2.7 Formazione di legami

Identificate i donatori e gli accettori dei legami idrogeno.

(a) R O

Quando una sostanza non polare viene aggiunta a una soluzione acquosa non si discioglie, ma piuttosto è esclusa dall’acqua. La tendenza dell’acqua a rendere minimi i propri contatti con le molecole idrofobiche • definita effetto idrofobico. Come vedremo, numerose molecole e aggregati molecolari di grandi dimensioni, come le proteine, gli acidi nucleici e le membrane cellulari, assumono almeno in parte la loro specifica conformazione in risposta all’effetto idrofobico.

(b)

H H

H

R

H

C

H

O. . .

R9 R

C

H



H

R

H

H

H

H... O

+

N

O

H

H

H

O

O

O

H

O

...

O

O

...

O

...

H

R

H

(d) H

H

...

O

H... O

H

...

...

H

(c) O

...

idrogeno con gruppi funzionali. L’acqua forma legami idrogeno con (a) gruppi ossidrilici, (b) gruppi chetonici, (c) ioni carbossilato e (d) ioni ammonio.

H

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TABELLA 2.2 Variazioni termodinamiche relative al trasferimento di idrocarburi dall’acqua a solventi non polari a 25 °C

𝚫H (kJ ∙ mol−1)

−T𝚫S (kJ ∙ mol−1)

𝚫G (kJ ∙ mol−1)

CH4 in H2O 34 CH4 in C6H6

11,7

−22,6

−10,9

CH4 in H2O 34 CH4 in CCl4

10,5

−22,6

−12,1

C2H6 in H2O 34 C2H6 in benzene

9,2

−25,1

−15,9

C2H4 in H2O 34 C2H4 in benzene

6,7

−18,8

−12,1

C2H2 in H2O 34 C2H2 in benzene

0,8

−8,8

−8,0

Benzene in H2O 34 benzene liquidoa

0,0

−17,2

−17,2

Toluene in H2O 34 toluene liquidoa

0,0

−20,0

−20,0

Processo

Dati misurati a 18 °C. Fonte: Kauzmann, W. (1959). Adv. Protein Chem. 14, 39.

a

Consideriamo la termodinamica del trasferimento di una molecola non polare da una soluzione acquosa a un solvente non polare. In tutti i casi la variazione di energia libera è negativa e quindi questi trasferimenti sono spontanei (Tabella 2.2). È interessante rilevare che tali processi di trasferimento sono endotermici (∆H positivo) o isotermici (∆H = 0); dal punto di vista dell’entalpia, è più o meno ugualmente favorevole per le molecole non polari disciogliersi in acqua o in solventi non polari. La variazione di entropia (espressa come −T∆S) è invece sempre ampia e negativa. È chiaro che il trasferimento di un idrocarburo da un mezzo acquoso a uno non polare è governato per via entropica (vale a dire la variazione di energia libera è dovuta precipuamente a un cambiamento di entropia). L’entropia, o “disordine”, è una misura della disposizione delle molecole in un sistema (Paragrafo 1.3B). Se l’entropia aumenta quando una molecola non polare abbandona una soluzione acquosa, deve diminuire nel momento in cui tale molecola passa nell’ambiente acquoso. Il decremento di entropia che si ha quando una molecola non polare è solvatata dall’acqua è stato osservato sperimentalmente, non è quindi una conclusione teorica. Le variazioni di entropia sono però troppo ampie per rispecchiare esclusivamente i mutamenti nelle conformazioni degli idrocarburi; pertanto le variazioni che si osservano nei valori di entropia devono trarre origine prevalentemente da una sorta di ordine che compare nell’acqua stessa. Qual è la natura di questo ordine? L’esteso reticolo di legami idrogeno delle molecole di acqua allo stato liquido viene interrotto in presenza di un gruppo non polare. Un gruppo non polare non è in grado né di accettare né di donare legami idrogeno, e così le molecole di acqua sulla superficie della cavità occupata dal gruppo non polare non possono formare legami idrogeno con altre molecole come avviene di solito. Per rendere massima la loro capacità di formare legami idrogeno, queste molecole di acqua superficiali si orientano formando un reticolo di legami idrogeno che racchiude la cavità (Figura 2.8). Questo orientamento genera un aumento nell’ordine delle strutture che l’acqua assume, dal momento che il numero di modi in cui le sue molecole possono formare legami idrogeno intorno alla superficie di un gruppo non polare è inferiore rispetto a quello di molecole di acqua in condizioni normali. Le molecole di acqua possono sempre formare lo stesso numero di legami idrogeno, ma per farlo devono rinunciare in parte alla loro libertà di rotazione e di traslazione. Purtroppo la continua fluttuazione dell’organizzazione strutturale dell’acqua allo stato liquido non ha ancora consentito di ottenere una descrizione dettagliata di questo processo di ordinamento. Un modello propone che l’acqua formi delle “gabbie” di legami idrogeno, analogamente a quanto si osserva nel caso del ghiaccio, intorno ai gruppi non polari, come mostrato nella Figura 2.8. Le

Soluto non polare

Figura 2.8 Orientamento di molecole

di acqua intorno a un soluto non polare. Al fine di rendere massimo il numero di legami idrogeno, le molecole di acqua formano una “gabbia” intorno al soluto; le linee tratteggiate rappresentano i legami idrogeno.

30 (a)

CAPITOLO 2

L’acqua

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(b)

Figura 2.9 Aggregazione di

molecole non polari in acqua. (a) L’idratazione di singole molecole non polari disperse (in marrone) determina una diminuzione dell’entropia del sistema poiché le molecole di acqua di idratazione (in blu) non sono altrettanto libere di interagire con altre molecole di acqua come fanno invece in assenza delle molecole non polari. (b) L’aggregazione delle molecole non polari fa aumentare l’entropia di sistema, dal momento che il numero di molecole di acqua necessarie per idratare i soluti aggregati è inferiore a quello di molecole di acqua necessarie per idratare le molecole di soluto disperso. Tale incremento di entropia spiega l’aggregazione spontanea delle sostanze non polari in acqua. Spiegate perché non è corretto descrivere l’aggregazione delle sostanze non polari come il risultato di “legami idrofobici”.

molecole di acqua formano gabbie tetraedriche, e la disposizione ordinata delle molecole di acqua si estende per svariati strati oltre il primo in contatto con il soluto non polare. La sfavorevole energia libera di idratazione di una sostanza non polare, determinata dall’aumento che essa produce dell’ordine delle molecole di acqua circostanti, ha come risultato finale l’esclusione della sostanza non polare dalla fase acquosa; ciò accade in quanto l’area di superficie di una cavità contenente un aggregato di molecole non polari è inferiore alla somma delle aree di superficie delle cavità che ciascuna di queste molecole occuperebbe singolarmente (Figura 2.9). In tal modo l’aggregazione dei gruppi non polari riduce al minimo l’area di superficie della cavità, rendendo quindi massima l’entropia dell’intero sistema; in un certo senso, è come se i gruppi non polari fossero “spinti fuori” dalla fase acquosa. Quasi tutte le molecole biologiche presentano segmenti polari (o carichi) e non polari, e sono quindi contemporaneamente idrofiliche e idrofobiche. Le molecole di questo tipo, come gli ioni degli acidi grassi (i saponi; Figura 2.10), sono dette anfifiliche o anfipatiche (dal greco anphi, “entrambi”, e pathos, “sofferenza”). In che modo le sostanze anfifiliche interagiscono con un solvente acquoso? L’acqua tende a idratare la porzione idrofilica di un composto anfipatico, ma tende anche a escludere la regione idrofobica; conseguentemente, le sostanze anfifiliche si aggregano in strutture sostanzialmente ordinate. Per esempio, le micelle sono globuli che possono arrivare a contenere numerose migliaia di molecole anfifiliche disposte in modo che i gruppi idrofilici siano sulla superficie del globulo e possano interagire con il solvente acquoso; i gruppi idrofobici sono invece ammassati al centro, lontano dal solvente (Figura 2.11a). Ovviamente il modello presentato nella Figura 2.11a è oltremodo semplificato, in quanto è geometricamente impossibile che tutti i gruppi idrofobici occupino il centro della micella. Le molecole anfipatiche tendono a raggrupparsi in un modo più disorganizzato, che porta ugualmente a nascondere quasi tutti i gruppi idrofobici, lasciando esposti quelli polari (Figura 2.12). In alternativa, le molecole anfifiliche possono disporsi in modo da formare foglietti o vescicole a doppio strato (bilayer) in cui i gruppi polari sono in contatto con la fase acquosa (Figura 2.11b). Sia nelle micelle sia nei doppi strati l’aggregato è stabilizzato dall’effetto idrofobico, cioè dalla tendenza dell’acqua a escludere i gruppi idrofobici. Sovente le conseguenze dell’effetto idrofobico sono denominate forze idrofobiche o “legami” idrofobici; tuttavia, il termine legame implica una relazione direzionale distinta tra due entità, mentre l’effetto idrofobico agisce indirettamente sui gruppi non polari ed è privo di direzionalità. Sebbene si sia tentati di attribuire un certo grado di attrazione reciproca a un insieme di gruppi non polari presenti in un ambiente acquoso, la loro esclusione è dettata in larga misura dall’entropia delle molecole di acqua circostanti, non da una determinata “forza idrofobica” tra di essi (le forze di dispersione di London tra i gruppi non polari sono relativamente deboli). I composti anfifilici formano micelle e doppi strati.

O CH3CH2CH2CH2CH2CH2CH2CH2CH2CH2CH2CH2CH2CH2CH2

C

O–

Palmitato (C15H31COO–) Figura 2.10 Anioni di acidi grassi (saponi). Il palmitato e l’oleato sono composti anfifilici; ciascuno presenta un gruppo carbossilato polare e una lunga catena idrocarburica non polare.

CH3CH2CH2CH2CH2CH2CH2CH2

H

H

C

C

O CH2CH2CH2CH2CH2CH2CH2

Oleato (C17H33COO–)

C

O–

CAPITOLO 2

L’acqua

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31

Figura 2.11 Struttura delle

(a) Micella

H2O

“Code” idrocarburiche

micelle e dei doppi strati. In soluzione acquosa le “teste” polari delle molecole anfipatiche sono idratate, mentre le “code” non polari si aggregano per esclusione dall’acqua. (a) Una micella è un aggregato sferoidale. (b) Un doppio strato è un aggregato planare esteso.

Gruppi polari o “teste” (b) Doppio strato o bilayer H2O

D L’acqua si muove per osmosi, mentre i soluti si muovono per diffusione Il fluido in cui sono immerse le cellule degli organismi pluricellulari e quello interno a ogni singola cellula contengono molte sostanze disciolte che vanno dai piccoli ioni inorganici ai grandi aggregati molecolari. Le concentrazioni di tali soluti influiscono sulle proprietà colligative dell’acqua, cioè su quelle proprietà fisiche che dipendono dalla concentrazione delle sostanze disciolte piuttosto che dalle loro peculiarità chimiche. Per esempio, i soluti provocano una diminuzione del punto di congelamento dell’acqua e un innalzamento del suo punto di ebollizione, rendendo più difficile la cristallizzazione delle molecole di acqua sotto forma di ghiaccio o il loro trasferimento dalla soluzione alla fase gassosa. Anche la pressione osmotica è una proprietà colligativa. Quando una soluzione è separata dall’acqua pura per mezzo di una membrana semipermeabile che consente il passaggio delle molecole di solvente, ma non di quelle dei soluti, l’acqua tende a passare nella soluzione per uniformare la propria concentrazione su entrambi i lati della membrana. L’osmosi è il movimento del solvente da una regione ad alta concentrazione (in questo caso, l’acqua pura) a una a concentrazione relativamente più bassa (acqua contenente soluto disciolto). La pressione osmotica di una soluzione è la pressione che si deve applicare alla soluzione per bilanciare il flusso di acqua attraverso la membrana in entrambe le direzioni (la pressione applicata spinge più acqua a passare dalla soluzione attraverso la membrana); essa è proporzionale alla concentrazione del soluto (Figura 2.13). Per una soluzione 1 M, la pressione osmotica è pari a 22,4 atm. Prendiamo in considerazione gli effetti della pressione osmotica sulle proprietà delle cellule viventi, che possono essere paragonate a sacchetti semipermeabili contenenti una soluzione acquosa. Al fine di ridurre al minimo l’ingresso di acqua per osmosi, che provocherebbe la rottura della membrana cellulare, la cui resistenza alla tensione è relativamente debole, molte cellule animali sono normalmente immerse in una soluzione a pressione osmotica uguale a quella della soluzione interna alla cellula (così il flusso netto di acqua è pari a zero). Un’altra strategia, impiegata da quasi tutte le cellule delle piante e da gran parte dei bat-

Figura 2.12 Modello di una micella. In questo modello spaziale generato al computer di una micella sono mostrate venti molecole di ottilglucoside (un detergente costituito da una catena a otto atomi di carbonio con una testa polare zuccherina). Gli atomi polari di O dei gruppi glucosidici sono in rosso e quelli di C in grigio; per chiarezza quelli di H sono stati omessi. Le simulazioni al computer indicano che tali micelle hanno strutture irregolari in rapida fluttuazione (diversamente dall’aggregato rappresentato nella Figura 2.11a, che è sfericamente simmetrico, una conformazione inattuabile dal punto di vista sterico). In ogni istante porzioni delle code idrofobiche sono esposte sulla superficie della micella. [Per gentile concessione di Michael Garavito e Shelagh Ferguson-Miller, Michigan State University.]

32

CAPITOLO 2

L’acqua

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(a)

(b)

(c)

Pressione

Soluzione concentrata Acqua Membrana permeabile all’acqua

Figura 2.13 La pressione osmotica. (a) Una membrana permeabile all’acqua separa dall’acqua pura una soluzione concentrata presente in un tubo. (b) Quando l’acqua passa per osmosi nella soluzione, l’altezza del liquido contenuto nel tubo aumenta. (c) La pressione che si oppone all’entrata dell’acqua è detta pressione osmotica (22,4 atm per una soluzione 1 M).

teri, consiste nel racchiudere la cellula con una parete cellulare rigida in grado di sostenere la pressione osmotica generata all’interno. Quando una soluzione acquosa è separata dall’acqua pura da una membrana permeabile all’acqua e ai soluti, questi ultimi possono passare dalla soluzione all’acqua e contemporaneamente l’acqua può entrare nella soluzione. Le molecole si spostano, o diffondono, in modo casuale sino a quando la concentrazione di soluto è uguale su entrambi i lati della membrana; a questo punto si stabilisce l’equilibrio e non si osserva alcun ulteriore flusso netto di acqua o di soluto (per esempio, le molecole continuano a spostarsi da una parte all’altra della membrana). È interessante notare che la tendenza dei soluti a diffondere da una zona a elevata concentrazione a una in cui la loro concentrazione è più bassa (come accade per esempio in risposta a un gradiente di concentrazione) è simile al flusso netto di molecole di gas da una regione ad alta pressione verso una a bassa pressione (Figura 1.10); entrambi i processi sono termodinamicamente favoriti perché comportano un aumento dell’entropia. La diffusione dei soluti è alla base della tecnica di laboratorio della dialisi, processo nel quale i soluti di dimensioni inferiori a quelle dei pori della membrana di dialisi passano liberamente tra il campione in dialisi e la soluzione sino al raggiungimento dell’equilibrio (Figura 2.14). Le sostanze più grandi non possono attraversare la membrana e rimangono nel compartimento di origine. La dialisi si rivela utile in particolare per separare molecole di grosse dimensioni, come per esempio proteine o acidi nucleici, da altre di grandezza inferiore. Dal momento che le piccole particelle solubili si spostano liberamente tra il campione e il mezzo circostante, la dialisi può essere ripetuta svariate volte allo scopo di sostituire il mezzo in cui è immerso il campione con un’altra soluzione. Gli individui che presentano danni renali sono mantenuti in vita grazie a procedure di dialisi in cui il sangue viene pompato attraverso un macchinario contenente una membrana semipermeabile. Mentre il sangue fluisce lungo una faccia della membrana, un fluido chiamato “dializzato” fluisce in direzione opposta sull’altra faccia della membrana. Questo procedimento, che sfrutta soluzioni in controcorrente tra loro, massimizza la differenza di concentrazione esistente tra le due soluzioni in modo che i materiali di scarto come l’urea e la creatinina (presenti nel sangue in elevate concentrazioni) possano efficacemente diffondere attraverso la membrana passando nel dia-

CAPITOLO 2

L’acqua

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(a) All’inizio della dialisi

(b) All’equilibrio

33

PUNTO DI VERIFICA

• Disegnate un diagramma raffigurante una molecola d’acqua e indicate quali sono le estremità con le cariche parziali positive e negative.

• Confrontate le strutture del ghiaccio e Membrana di dialisi Solvente

Soluzione concentrata

dell’acqua allo stato liquido in base al numero e alle geometrie dei legami idrogeno che le caratterizzano.

• Quale tra i gruppi funzionali elencati nella Tabella 1.2 potrebbe funzionare da donatore in un legame idrogeno? Quale invece potrebbe essere un accettore in un legame idrogeno?

• Descrivete la natura e la forza relativa dei legami covalenti, delle interazioni ioniche e delle interazioni di van der Waals (legami idrogeno, interazioni dipolodipolo e forze di dispersione di London).

Figura 2.14 La dialisi. (a) Una soluzione concentrata è separata da un grande volume di

• Qual è la relazione tra polarità e idrofobicità?

solvente da una membrana di dialisi (qui mostrata come un sacchetto allungato annodato a entrambe le estremità); solo le molecole di piccole dimensioni possono diffondere attraverso i pori della membrana. (b) All’equilibrio, le concentrazioni delle molecole piccole sono quasi equivalenti su entrambi i lati della membrana, mentre le macromolecole rimangono all’interno del sacchetto di dialisi.

• Spiegate perché le sostanze polari si

Disegnate delle frecce nella Parte (a) per indicare la direzione di diffusione delle molecole di acqua e dei piccoli soluti.

• Spiegate il motivo per cui le sostanze

sciolgono in acqua e perché ciò non accade per le sostanze non polari.

• Qual è il ruolo svolto dall’entropia nell’effetto idrofobico? anfifiliche, in acqua, formano delle micelle o dei doppi strati lipidici.

• In che cosa l’osmosi si differenzia dalla lizzato (dove la loro concentrazione è minore). In tal modo anche l’acqua in eccesso può essere eliminata poiché essa si sposta nel dializzato per osmosi. Il sangue “purificato” viene poi fatto rifluire nel paziente. Alcune problematiche della dialisi clinica sono rappresentate dalla difficoltà di trovare acqua ultrapura per preparare il dializzato e dall’esigenza di monitorare il bilanciamento idrico e salino del paziente per tempi molto lunghi.

2 Le proprietà chimiche dell’acqua CONCETTI CHIAVE

• Una molecola d’acqua si dissocia formando gli ioni H+ e OH– con una costante di dissociazione di 10–14.

• L’acidità di una soluzione viene espressa sotto forma di un valore di pH, dove pH = –log[H+].

• Un acido è un composto in grado di donare un protone. Una base è un composto in grado di accettare un protone.

• La costante di dissociazione varia in funzione della forza di un acido. • L’equazione di Henderson-Hasselbalch mette in relazione il pH di una soluzione di un acido debole alla pK e alle concentrazioni dell’acido e della sua base coniugata.

• Una curva di titolazione dimostra che se le concentrazioni di un acido e della sua base coniugata sono vicine la soluzione è tamponata nei confronti delle variazioni di pH che potrebbero avvenire nel momento in cui alla soluzione venisse aggiunto un acido o una base.

• Molte molecole biologiche contengono gruppi ionizzabili che le rendono sensibili alle variazioni di pH.

L’acqua non è solamente una componente passiva della cellula o dell’ambiente extracellulare; le sue proprietà fisiche definiscono la solubilità di altre sostanze. Analogamente, le sue proprietà chimiche determinano il comportamento di altre molecole in soluzione.

diffusione? Quale di questi due processi avviene durante la dialisi?

• Descrivete quali sono le difficoltà dal punto di vista osmotico che una cellula deve affrontare nel caso in cui venga immersa in acqua pura o in una soluzione a elevata concentrazione salina.

CAPITOLO 2

L’acqua

O+ Salti protonici

H O

H

H

...

O

H

H

H

. . .O

H

... O H

...

Disegnate uno schema simile per mostrare un salto di ioni ossidrilici (OH–).

H

H

H

O

H

H H

O ... H

...

Figura 2.15 I salti protonici. I salti protonici avvengono più rapidamente rispetto alla migrazione molecolare diretta. Questo processo è alla base delle elevate mobilità ioniche osservate per gli ioni idronio (e per quelli ossidrilici) nelle soluzioni acquose.

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...

34

H

O

H

A L’acqua si ionizza formando ioni H+ e OH− L’acqua è una molecola neutra che ha una tendenza molto bassa alla ionizzazione. Esprimiamo la reazione di ionizzazione come

H2O 34 H+ + OH− In realtà il protone libero (H+) non esiste in soluzione; esso è associato a una molecola di acqua, in forma di ione idronio, H3O+. L’unione di un protone con un gruppo di molecole di acqua dà origine a strutture che hanno formule H5O2+, H7O3+, e così via. Per ragioni di semplicità, tuttavia, frequentemente indicheremo questi ioni soltanto come H+. L’altro prodotto di ionizzazione dell’acqua è lo ione ossidrile (idrossido), OH−. Il protone di uno ione idronio può saltare rapidamente da una molecola di acqua a un’altra e così via (Figura 2.15); per tale motivo le mobilità degli ioni H+ e OH− in soluzione sono molto più alte di quelle di altri ioni, che devono muoversi diffondendo attraverso la massa dell’acqua e portando con sé anche le molecole di acqua di idratazione. I salti protonici spiegano perché le reazioni acido-base sono le reazioni più veloci tra quelle che avvengono in soluzione acquosa. La reazione di ionizzazione (dissociazione) dell’acqua è descritta da un’espressione di equilibrio in cui la concentrazione della sostanza reagente è al denominatore, mentre quelle dei prodotti dissociati sono al numeratore:

K 5

[H1][OH 2] [H 2 O ]

[2.2]

K è la costante di dissociazione (in tutto il testo, le parentesi quadre simboleggiano le concentrazioni molari delle sostanze indicate, che in molti casi differiscono solo in modo trascurabile dalle loro attività; Paragrafo 1.3D). Poiché la concentrazione dell’acqua indissociata ([H2O]) è molto più alta rispetto alle concentrazioni degli ioni con cui è in equilibrio, essa può essere ritenuta costante ([H2O] = 1000 g ∙ L−1∕18,015 g ∙ mol−1 = 55,5 M) e quindi può essere incorporata in K per generare un’espressione per la ionizzazione dell’acqua, Kw = [H+] [OH−]

[2.3]

Il valore di Kw, il prodotto ionico dell’acqua, è pari a 10−14 M2 a 25 °C. L’acqua pura deve contenere quantità equimolari di H+ e OH−; quindi [H+] = [OH−] = (Kw)1/2 = 10−7 M. Dal momento che [H+] e [OH−] sono correlate reciprocamente per mezzo dell’equazione 2.3, quando [H+] è superiore a 10−7 M, [OH−] deve essere inferiore a questo valore in misura corrispondente e viceversa. Le soluzioni con [H+] = 10−7 M sono dette

CAPITOLO 2

Neutralità

Acidità

Basicità

Figura 2.16 Relazione tra il pH e le concentrazioni di H+ e OH– in acqua. Poiché il prodotto di [H+] e [OH–] è una costante (10–14), [H+] e [OH–] sono in relazione reciproca. Le soluzioni con una quantità relativamente maggiore di H+ sono acide (pH < 7), mentre quelle in cui è prevalente la quantità relativa di OH– sono basiche (pH > 7); infine, le soluzioni in cui [H+] = [OH–] = 10–7 M sono neutre (pH = 7). Si noti la scala logaritmica per la concentrazione ionica.

1 Concentrazione ionica (M)

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L’acqua

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[H1]

[OH2]

1024

1028

10212

1

3

5

7 pH

9

11

13

neutre, quelle in cui [H+] > 10−7 M sono dette acide, mentre le soluzioni nelle quali [H+] < 10−7 M sono definite basiche. La maggior parte delle soluzioni fisiologiche presenta concentrazioni di ioni idrogeno che si avvicinano alla neutralità; per esempio, il sangue umano è di norma leggermente basico, con [H+] = 4,0 × 10−8 M. Per quasi tutte le soluzioni i valori di [H+] sono così bassi da risultare poco pratici da utilizzare; una entità più pratica, introdotta nel 1909 da Søren Sørenson, è nota come pH: 1 [2.4] [H1] Quanto maggiore è il pH, tanto inferiore è la concentrazione di H+ e viceversa (Figura 2.16). Il pH dell’acqua pura è 7,0, mentre le soluzioni acide presentano valori di pH inferiori a 7,0 e quelle basiche hanno valori di pH superiori a 7,0 (vedi l’Esempio di calcolo 2.1). Si noti che soluzioni che differiscono di una unità di pH variano, per quanto concerne il valore di [H+], di un fattore pari a 10. Nella Tabella 2.3 sono riportati i valori di pH di alcune sostanze comuni. pH 5 – log[H1] 5 log

B Gli acidi e le basi alterano il pH Gli ioni H+ e OH− derivati dall’acqua sono fondamentali per le reazioni biochimiche che incontreremo in seguito in questo libro. Le molecole biologiche, come le proteine e gli acidi nucleici, possiedono numerosi gruppi funzionali che agiscono da acidi o da basi, per esempio i gruppi carbossilici o quelli amminici. Queste molecole influenzano il pH del mezzo acquoso circostante e le loro strutture e reattività dipendono a loro volta dal pH dell’ambiente. La conoscenza della chimica delle reazioni acido-base è quindi essenziale per comprendere il contesto di molti processi biologici. Gli effetti dell’acidificazione dell’oceano sulla vita marina sono descritti nella Scheda 2.1.

Ð ESEMPIO DI CALCOLO 2.1

1,0 × 10−4 moli di H+ (in forma di HCl) sono aggiunte a 1 litro di acqua pura. Determinate il pH finale della soluzione.

Il pH dell’acqua pura è 7, così [H+] = 10−7 M. La concentrazione degli H+ aggiunti è 10−4 M, che supera di molto la [H+] già presente. Quindi la [H+] complessiva è pari a 1,0 × 10−4 M, in modo che il pH è uguale a –log[H+] = –log(1,0 × 10−4) = 4.

TABELLA 2.3 Valori di pH

di alcune sostanze comuni Sostanza

14

Ammoniaca per uso domestico

12

Acqua di mare Sangue

HA + H2O 34 H3O+ + A−

8 7,4

Latte

7

Saliva

6,6

Succo di pomodoro

4,4

Aceto Succo gastrico

Secondo una definizione formulata nel 1923 da Johannes Brønsted e Thomas Lowry, un acido è una sostanza in grado di donare un protone, mentre una base è una sostanza che può accettare un protone. In base alla definizione di Brønsted-Lowry, una reazione acido-base può essere scritta nel modo seguente:

Un acido può donare un protone.

pH

NaOH 1 M

HCl 1 M

3 1,5 0

36

CAPITOLO 2

L’acqua

SCHEDA 2.1

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LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

Le conseguenze dell’acidificazione degli oceani Il crescente aumento nell’atmosfera della concentrazione del biossido di carbonio prodotto dagli esseri umani, che sembra contribuire notevolmente ai cambiamenti climatici sotto forma di riscaldamento globale del pianeta, sta avendo effetti anche sulla chimica degli oceani terrestri. Il CO2 atmosferico si scioglie in acqua e la reazione tra queste due componenti produce acido carbonico, che si dissocia immediatamente formando protoni e bicarbonato:

organismi che devono adattarsi alle nuove condizioni. Diversi organismi marini, compresi molluschi, molti coralli e alcune varietà di plancton, utilizzano gli ioni carbonato per costruire le loro conchiglie protettive costituite da carbonato di calcio (CaCO3). Però gli ioni carbonato si possono combinare anche con gli H+ formando bicarbonato:

CO2 + H2O 34 H2CO3 34 H+ + HCO3−

Di conseguenza, l’aumento dell’acidità dell’oceano potrebbe far diminuire la disponibilità di ioni carbonato e quindi diminuire la velocità di crescita degli organismi che si costruiscono le conchiglie di carbonato di calcio. Alcuni esperimenti hanno infatti dimostrato che in condizioni acide la calcificazione è notevolmente ridotta in alcuni organismi marini quali i ricci di mare e i coralli. È inoltre possibile che l’acidificazione dell’oceano dissolva le barriere coralline attualmente esistenti costituite principalmente da carbonato, che rappresentano degli ecosistemi molto ricchi di specie marine e un anello fondamentale della catena alimentare marina.

La dissociazione di ioni idrogeno dall’acido carbonico originato dal CO2 porta a un abbassamento del valore del pH. Ora gli oceani terrestri sono leggermente basici e hanno un pH di circa 8,0. È stato stimato che nei prossimi 100 anni il pH dell’oceano potrebbe scendere fino a valori di circa 7,8. Sebbene gli oceani agiscano da “scarico” del CO2 aiutando a compensare l’aumento del CO2 atmosferico, l’aumento dell’acidità dell’ambiente marino rappresenta un enorme problema per gli

CO32− + H+ 34 HCO3−

CaCO3 + H+ 34 HCO3− + Ca2+ È interessante altresì notare che non tutti gli organismi che si costruiscono da soli le conchiglie rispondono allo stesso modo ai livelli elevati di CO2. Alcuni esperimenti condotti sui coccolitoforidi (o coccolitofori, organismi eucariotici costituiti da una singola cellula racchiusi in piastre di carbonato di calcio; vedi illustrazione) dimostrano che almeno in alcune condizioni l’aumentato CO2 porta all’incremento del bicarbonato, che contribuisce effettivamente all’aumento della calcificazione: Ca2+ + 2 HCO3− 8n CaCO3 + CO2 + H2O

[STEVE GSCHMEISSNER / Photolibrary.]

CONCETTI DI BASE Chimica degli acidi e delle basi Un acido può agire da acido (donatore di elettroni) solo se è presente una base (accettore di elettroni), e viceversa. L’acido deve avere una base coniugata, e la base deve avere un acido coniugato. Se nell’espressione dell’equilibrio sembra che manchi un reagente, considerate come reagente l’acqua o i suoi ioni coniugati, H3O+ o OH−.

I risultati ottenuti da questi esperimenti indicano che l’impatto sugli organismi marini dell’aumentato CO2 può non essere una semplice questione di decremento del pH, ma può essere invece una funzione più complessa dei quantitativi relativi di tutte le specie carboniche disciolte presenti, che comprendono CO2, HCO3− e CO32−.

Un acido (HA) reagisce con una base (H2O) per dare luogo alla base coniugata dell’acido (A−) e all’acido coniugato della base (H3O+). Lo ione acetato (CH3COO−) è quindi la base coniugata dell’acido acetico (CH3COOH), mentre lo ione ammonio (NH4+) è l’acido coniugato dell’ammoniaca (NH3). La reazione acido-base è sovente abbreviata in:

HA 34 H+ + A− in cui la partecipazione di H2O è implicita. Un’espressione alternativa per una sostanza basica B è: HB+ 34 H+ + B Per una reazione acido-base la costante di equilibrio è espressa come costante di dissociazione, con le concentrazioni dei “reagenti” al denominatore e quelle dei “prodotti” al numeratore: [H O1][ A2 ] K5 3 [2.5] [HA ][H2O] La forza di un acido è specificata dalla sua costante di dissociazione.

CAPITOLO 2

L’acqua

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Tuttavia, dato che nelle soluzioni acquose diluite il termine [H2O] = 55,5 M è essenzialmente costante, generalmente viene combinato con la costante di dissociazione, che quindi diventa: [H1][ A2 ] [2.6] K a 5 K [H 2 O ] 5 [HA ] Per ragioni di brevità, tuttavia, d’ora in avanti ometteremo il deponente “a”. Nella Tabella 2.4 sono elencate le costanti di dissociazione di alcuni acidi comuni. A volte può essere complesso usare le costanti di dissociazione; come nel caso dei valori di [H+], esse sono trasformate in valori di pK per mezzo della formula: pK = −log K

[2.7]

che è analoga all’equazione 2.4. Gli acidi possono essere classificati in base alle loro forze relative, cioè in base alla loro capacità di trasferire un protone all’acqua. Quelli elencati nella Tabella 2.4 sono noti come acidi deboli poiché sono solo parzialmente ionizzati in una soluzione acquosa (K < 1). Molti dei cosiddetti acidi minerali, come per esempio HClO4, HNO3 e HCl, sono acidi forti (K >> 1); dal momento che gli acidi forti trasferiscono rapidamente tutti i loro protoni all’acqua, l’acido più forte che può esistere in forma stabile nelle soluzioni acquose è H3O+ e, parimenti, nelle soluzioni acquose non può esistere una base più forte di OH−. Tutte le reazioni TABELLA 2.4 Costanti di dissociazione e valori di pK a 25 °C di alcuni acidi

K

Acido Acido ossalico

−2

5,37 × 10

pK 1,27 (pK1)

H3PO4

7,08 × 10−3

2,15 (pK1)

Acido formico

1,78 × 10−4

3,75

Acido succinico −

Ossalato Acido acetico −

−5

4,21 (pK1)

−5

4,27 (pK2)

−5

4,76

−6

5,64 (pK2)

−7

6,17 × 10 5,37 × 10

1,74 × 10

Succinato Acido 2-(N-morfolino)etansolfonico (MES)

2,29 × 10

8,13 × 10

6,09

H2CO3

4,47 × 10−7

6,35 (pK1)a

Piperazina-N,N ′-bis(acido 2-etansolfonico) (PIPES)

1,74 × 10−7

6,76

H2PO4−

−7

6,82 (pK2)

Acido 3-(N-morfolino)propansolfonico (MOPS)

−8

7,08 × 10

7,15

Acido N-2-idrossietilpiperazin-N′-2-etansolfonico (HEPES) Tris(idrossimetil)amminometano (Tris)

3,39 × 10−8

7,47

8,32 × 10−9

8,08

Acido borico

5,75 × 10−10 9,24 5,62 × 10−10 9,25

NH4+ Glicina (gruppo amminico) HCO3− Piperidina HPO42−

1,51 × 10

1,66 × 10−10 9,78 4,68 × 10−11 10,33 (pK2) 7,58 × 10−12 11,12 4,17 × 10−13 12,38 (pK3)

pK per la reazione complessiva CO2 + H2O 34 H2CO3 34 H+ + HCO3−; vedi la Scheda 2.2. Fonte: Dawson, R.M.C., Elliott, D.C., Elliott, W.H., Jones, K.M. (1986). Data for Biochemical Research, 3a ed., Oxford Science Publications, pp. 424-425; Good, N.E., Winget, G.D., Winter, W., Connolly, T.N., Izawa, S., Singh, R.M.M. (1966). Biochemistry 5, 467.

a

Quale delle sostanze elencate qui è l’acido più forte?

37

38

CAPITOLO 2

L’acqua

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acido-base che avvengono nei sistemi biologici coinvolgono H3O+ (e OH−) e acidi deboli (e le loro basi coniugate). Il pH di una soluzione è determinato dalle concentrazioni relative di acidi e basi.

La relazione tra il pH di una soluzione e le concentrazioni di un acido e della sua base coniugata sono facilmente derivabili. L’equazione 2.6 può essere trasformata in: [HA ] [2.8] [H1] 5K 2 [A ] Estraendo il logaritmo negativo di ciascun termine (e ponendo pH = −log[H+]; equazione 2.4), si ottiene: [ A2 ] [2.9] pH 5 – log K 1 log [HA ] Sostituendo −log K con pK (equazione 2.7), si ottiene: pH 5 pK 1 log

[ A2 ] [HA ]

[2.10]

Questa relazione è nota come equazione di Henderson-Hasselbalch. Quando le concentrazioni molari di un acido (HA) e della sua base coniugata (A–) sono uguali, log ([A–]/[HA]) = log 1 = 0, e il pH della soluzione è numericamente equivalente al pK dell’acido. L’equazione di Henderson-Hasselbalch è molto utile per il calcolo, per esempio, del pH di una soluzione contenenÐ ESEMPIO DI CALCOLO 2.2 te una quantità nota di un acido debole e della sua base coniugata Calcolate il pH di 2 L di soluzione contenente (vedi l’Esempio di calcolo 2.2). Poiché questa equazione non tiene 10 mL di acido acetico 5 M e 10 mL di acetato conto della ionizzazione dell’acqua stessa, non può essere usata per di sodio 1 M. ricavare il pH di soluzioni di acidi o basi forti. Per esempio, in una soluzione 1 M di un acido forte, [H+] = 1 M e pH = 0; in una soluPer prima cosa calcolate le concentrazioni dell’acido zione 1 M di una base forte, [OH−] = 1 M, così [H+] = [OH−]/Kw e della base coniugata, esprimendole tutte in unità = 1 × 10−14 M e pH = 14. di moli per litro. Acido acetico: (0,01 L)(5 M)/(2 L) = 0,025 M Acetato di sodio: (0,01 L)(1 M)/(2 L) = 0,005 M

C I tamponi resistono alle variazioni di pH

Aggiungendo un volume di 0,01 mL di HCl 1 M a 1 L di acqua pura, il pH di quest’ultima varia da 7 a 5, in quanto si ha un aumento pari a 100 volte nella [H+]. Un tale cambiamento di pH non potrebbe essere tollerato dalla maggior parte dei sistemi biologici, in quanto anche variazioni molto più piccole di questo parametro possono influire drapH = pK + log([acetato]/[acido acetico]) sticamente sulle strutture e funzioni delle molecole biologiche. ManpH = 4,76 + log(0,005/0,025) pH = 4,76 – 0,70 tenere il pH relativamente costante diventa così di importanza fondapH = 4,06 mentale per i sistemi viventi. Al fine di comprendere come sia possibile impedire variazioni di pH, prendiamo in considerazione la titolazione di un acido debole con una base forte. La Figura 2.17 illustra come variano i valori di pH di soluzioni di acido ace− tico, di H2PO4− e di ione ammonio (NH+ 4 ) in seguito all’aggiunta di OH . È possibile costruire curve di titolazione come queste partendo da osservazioni sperimentali oppure utilizzando l’equazione di Henderson-Hasselbalch, per calcolare i punti lungo la curva (vedi l’Esempio di calcolo 2.3). Quando OH− reagisce con HA, i prodotti sono A− e acqua: Si sostituiscono le concentrazioni dell’acido e della base coniugata nell’equazione di Henderson-Hasselbalch, quindi dalla Tabella 2.4 si ottiene il pK per l’acido acetico.

HA + OH− 34 A− + H2O

Si possono ora analizzare diversi aspetti delle tre curve di titolazione della Figura 2.17. 1. Le curve presentano andamenti simili, ma sono spostate in senso verticale lungo l’asse del pH.

CAPITOLO 2

L’acqua

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Punto intermedio (pH = pK ) [HA] 5 [A2]

Punto di partenza

14

[HA] > [A2]

Punto finale

[HA] < [A2]

13 12 11

39

Figura 2.17 Curve di titolazione per l’acido acetico, il fosfato e l’ammoniaca. Nel punto iniziale predomina la forma acida, ma via via che viene aggiunta una base forte (per esempio, NaOH) l’acido è convertito nella sua base coniugata. Nel punto intermedio della titolazione, nel quale pH = pK, le concentrazioni dell’acido e della base coniugata si equivalgono. Nel punto finale (punto di equivalenza) la base coniugata è prevalente e la quantità totale di OH– aggiunta coincide con l’ammontare di acido presente al punto di partenza. Le zone ombreggiate indicano gli intervalli di pH lungo i quali la soluzione corrispondente può agire da tampone.

Qual è il pK approssimato di ciascun acido?

10 1 NH 4

9 8 pH

2

H 2PO 4

7 6

1

NH 3 1

H

22 HPO 4

1H

2

H

OO CH 3C

5

Ð ESEMPIO DI CALCOLO 2.3

1

OO CH 3C

Calcolate il pH di 1 L di soluzione contenente acido formico 0,1 M e formiato di sodio 0,1 M prima e dopo l’aggiunta di 1 mL di NaOH 5 M. Di quanto varierebbe il pH se l’NaOH fosse aggiunto a 1 L di acqua pura?

1

1H

4 3 2 1 0 0

0,1

0,2

0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 Ioni H1 dissociati/molecola

0,8

0,9

1,0

2. Il pH nel punto intermedio (metà titolazione) di ciascuna curva è numericamente equivalente al pK dell’acido corrispondente; in questo punto, [HA] = [A−]. 3. La pendenza di ogni curva di titolazione è minore in prossimità del suo punto intermedio rispetto alle estremità; ciò indica che, quando [HA] è circa uguale a [A–], il pH della soluzione è relativamente insensibile all’aggiunta di una base forte o di un acido forte. Una tale soluzione, nota come soluzione tampone acido-base, si oppone alle variazioni di pH, poiché le piccole quantità di H+ o di OH− aggiunte reagiscono, rispettivamente, con A− o con HA, senza alterare di molto il valore di log([A−]/[HA]).

In base alla Tabella 2.4 il pK dell’acido formico è 3,75; dal momento che [formiato] = [acido formico], il termine log([A−]/[HA]) dell’equazione di Henderson-Hasselbalch è 0 e pH = pK = 3,75. L’aggiunta di 1 mL di NaOH non altera in misura significativa il volume della soluzione, così la [NaOH] è (0,001 L) (5 M)/(1 L) = 0,005 M. Poiché NaOH è una base forte, si dissocia completamente e [OH−] = [NaOH] = 0,005 M. Questi OH− reagiscono con l’acido formico per produrre formiato e H2O, conseguentemente la concentrazione di acido formico diminuisce, mentre quella di formiato aumenta di 0,005 M. La nuova concentrazione di acido formico è 0,1 M – 0,005 M = 0,095 M, mentre la nuova concentrazione di formiato è 0,1 M + 0,005 M = 0,105 M. Sostituendo tali valori nell’equazione di Henderson-Hasselbalch si ottiene pH = pK + log([formiato]/[acido formico]) pH = 3,75 + log(0,105/0,095) pH = 3,75 + 0,04 pH = 3,79

In assenza del sistema tampone dell’acido formico, [H+] e quindi pH possono essere calcolati direttamente a partire da Kw; poiché Kw = [H+][OH−] = 10−14, [H ] pH

10 14 [OH ] log[H ]

Le sostanze che possono perdere più di un protone, o che vanno incontro a più di una ionizzazione, come per esempio H3PO4 o H2CO3, sono definite acidi poliprotici; le loro curve di titolazione, come illustrato nella Figura 2.18 per H3PO4, sono più complesse rispetto a quelle degli acidi monoprotici come l’acido acetico. Un acido poliprotico presenta molteplici valori di pK, uno per ogni reazione di ionizzazione; H3PO4, per esempio, ha tre costanti di dissociazione poiché la carica ionica prodotta dalla dissociazione di un protone inibisce elettrostaticamente la dissociazione degli altri protoni, incrementando in tal modo i corrispondenti valori di pK. Una moleco-

10 14 2 (0,005) log (2 10

10 12

12

M

) 11,7

40

CAPITOLO 2

L’acqua

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Punto di partenza

Primo punto di equivalenza

Secondo punto di equivalenza

Terzo punto di equivalenza

Terzo punto intermedio 22 32 [ HPO4 ] 5 [ PO4 ]

14

12

10

Secondo punto intermedio [ H 2PO42 ] 5 [ HPO422]

8 pH 6

4

Primo punto intermedio [ H 3 PO4 ] 5 [ H 2 PO42 ]

2

0 0,5

Figura 2.18 Titolazione di un acido poliprotico. Il primo e il secondo punto di equivalenza per la titolazione di H3PO4 sono situati nelle regioni della curva a pendenza maggiore. Il pH nel punto intermedio di ogni fase fornisce il valore di pK della ionizzazione corrispondente.

Disegnate la curva di titolazione per l’acido succinico diprotico e contrassegnate i punti intermedi e di equivalenza.

1,5 1,0 2,0 Ioni H2 dissociati/molecole

2,5

3,0

la contenente più di un gruppo ionizzabile ha valori di pK distinti per ciascun gruppo. In una biomolecola che contiene numerosi gruppi ionizzabili con valori di pK diversi, i molti eventi di dissociazione possono portare a una curva di titolazione priva delle tipiche inflessioni. Nei fluidi biologici, intracellulari o extracellulari, il pH è fortemente tamponato; per esempio, nelle persone sane il pH del sangue è mantenuto a un valore pari a 7,4 ± 0,05 (Scheda 2.2). Gli ioni fosfato e bicarbonato, presenti in quasi tutti i fluidi biologici, sono importanti agenti tamponanti, in quanto i valori dei loro pK sono in questo intervallo (Tabella 2.4). Oltre a ciò, molte molecole biologiche, quali le proteine e alcuni lipidi, ma anche numerose piccole molecole organiche, contengono molteplici gruppi acido-base che possono funzionare da tamponi al pH fisiologico. Il concetto che le proprietà delle molecole biologiche variano con l’acidità della soluzione in cui sono disciolte non era riconosciuto appieno prima del XX secolo; numerosi tra i primi esperimenti di biochimica venivano intrapresi senza controllare l’acidità del campione, così i risultati sovente erano difficilmente riproducibili. Oggi le preparazioni biochimiche di norma sono tamponate, al fine di simulare le proprietà dei fluidi biologici naturali. Sono stati prodotti numerosi composti di sintesi da impiegare come tamponi, alcuni dei quali sono citati nella Tabella 2.4. La capacitˆ tamponante di questi acidi deboli (ossia la loro capacità di opporsi alle variazioni di pH in seguito all’aggiunta di un acido o di una base) è massima quando il pH è uguale al pK. Vale la pena di ricordare che un acido debole è nel suo intervallo tamponante utile quando ricade in un ambito compreso tra valori di mezza unità di pH in più o in meno rispetto al suo valore di pK (per esempio, le regioni a diverso colore nella Figura 2.17). Al di fuori di questo intervallo, quando il rapporto [A−]/[HA] > 10, il pH della soluzione varia rapidamente con l’aggiunta di una base forte. Analogamente, un tampone diventa inefficace

CAPITOLO 2

L’acqua

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SCHEDA 2.2

41

LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA

Il sistema tampone del sangue Il bicarbonato è il tampone più importante nel sangue umano; sono presenti anche altri agenti tamponanti, tra cui le proteine e gli acidi organici, ma a concentrazioni molto inferiori. La capacità tamponante del sangue dipende in primo luogo da due equilibri: (1) tra il CO2 disciolto nel sangue e l’acido carbonico che si forma dalla reazione CO2 + H2O 34 H2CO3 e (2) tra l’acido carbonico e il bicarbonato che si forma dalla dissociazione di H+ H2CO3 34 H+ + HCO3− Il pK complessivo per queste due reazioni sequenziali è 6,35. (L’ulteriore dissociazione di HCO3− a CO32−, pK = 10,33, non assume rilevanza a pH fisiologico.) Quando il pH del sangue diminuisce a causa della produzione di H+ da parte del metabolismo, l’equilibrio bicarbonato-acido carbonico si sposta verso un aumento di acido carbonico; allo stesso tempo l’acido carbonico perde acqua per trasformarsi in CO2, che viene in seguito eliminato in forma gassosa dai polmoni tramite l’espirazione. Di contro, quando il pH del sangue aumenta, si forma una quantità relativamente maggiore di HCO3−; la respirazione è regolata in modo da reintrodurre nel sangue grandi quantità di CO2 attraverso i polmoni per essere riconvertito in

acido carbonico; in tale maniera è possibile mantenere una concentrazione quasi costante di ioni idrogeno. Anche i reni svolgono una funzione nell’equilibrio acido-base, dato che operano l’escrezione di HCO3− e NH4+. Alterazioni a carico del sistema tampone del sangue possono condurre a condizioni note rispettivamente come acidosi, nella quale il pH può abbassarsi sino a 7,1, o come alcalosi, in cui il pH può arrivare fino a 7,6; entrambe, in casi estremi, possono essere fatali. Per esempio, le malattie polmonari ostruttive, che impediscono un’efficiente espirazione del CO2, possono essere causa di acidosi respiratoria, mentre l’iperventilazione accelera la perdita di biossido di carbonio, determinando alcalosi respiratoria. Un’eccessiva produzione di acidi organici a partire da precursori della dieta o dovuta a repentine impennate nei livelli dell’acido lattico durante l’attività fisica, o al diabete non controllato (Paragrafo 22.4B), può portare ad acidosi. Il modo migliore per ridurre gli squilibri acido-base consiste nel correggere il problema fisiologico di base. Nel breve periodo l’acidosi è comunemente trattata somministrando per via endovenosa NaHCO3. Invece l’alcalosi è più difficile da curare: la sua forma metabolica risponde talvolta a KCl o a NaCl (il Cl− aggiuntivo aiuta a rendere minima la secrezione di H+ da parte dei reni), mentre quella respiratoria può essere lenita inalando un’atmosfera ricca di CO2.

quando, in seguito all’aggiunta di un acido forte, il suo pH supera il valore di pK di più di una unità. In laboratorio il pH desiderato della soluzione tamponata determina quale composto tamponante deve essere utilizzato; di regola la forma acida della sostanza e uno dei suoi sali solubili sono disciolti in un rapporto quasi equimolare necessario a ottenere il pH desiderato. Con l’ausilio di un pH-metro, il pH della soluzione risultante viene regolato mediante aggiunta di piccole quantità di un acido o di una base forte (vedi l’Esempio di calcolo 2.4).

PUNTO DI VERIFICA

• Quali sono i prodotti della ionizzazione dell’acqua? In che modo le loro concentrazioni sono correlate?

• Quale sarà il pH di un campione di acqua Ð ESEMPIO DI CALCOLO 2.4

nei casi in cui KW sia pari a 10–10 o 10–20?

Quanti millilitri di una soluzione 2,0 M di acido borico devono essere aggiunti a 600 mL di una soluzione 10 mM di sodio borato per ottenere un pH di 9,45?

• Descrivete in che modo è possibile

Riarrangiate l’equazione di Henderson-Hasselbalch estraendo il termine [A−][HA] :

• Fornite una definizione di acido e base. • Qual è la relazione esistente tra la forza

pH log

pK [A ] [HA]

[A ] [HA]

log pH log (pH

[A ]

di un acido e il suo valore di pK?

[HA]

• Spiegate perché è più complicato calcolare il pH di una soluzione di un acido o di una base debole, piuttosto che di una soluzione di un acido o di una base forte.

pK pK)

• Cercate di disegnare una curva di titolazione e di contrassegnare le sue parti sia per un acido monoprotico sia per un acido poliprotico.

Sostituite il valore noto di pK (dalla Tabella 2.4) e il pH voluto:

[A ] [HA]

10(9,45

9,24)

100,21 L−1)

calcolare il pH partendo dai valori della concentrazione degli ioni H+ o OH–.

• Che cosa deve includere una soluzione

1,62 (A−).

La soluzione di partenza contiene (0,6 L)(0,01 mol ∙ = 0,006 mol di borato La quantità di acido borico necessaria è 0,006 mol1,62 = 0,0037 mol. Poiché la soluzione di acido borico è 2,0 M, il volume da aggiungere è (0,0037 mol) (2,0 mol ∙ L−1) = 0,0019 L, cioè 1,9 mL.

tampone per resistere alle variazioni di pH in seguito all’aggiunta di un acido o di una base?

• Perché è importantissimo mantenere molecole biologiche in una soluzione tampone?

CAPITOLO 2

42

L’acqua

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RIASSUNTO 1 Le proprietà fisiche dell’acqua

2 Le proprietà chimiche dell’acqua

• L’acqua è essenziale per tutti gli organismi viventi. • Le molecole di acqua possono formare legami idrogeno con altre molecole in quanto possiedono due atomi di H che possono funzionare da donatori e due coppie di elettroni non condivisi che possono fungere da accettori. • L’acqua allo stato liquido è un reticolo irregolare di molecole di tale composto, ciascuna delle quali forma sino a quattro legami idrogeno con altre molecole di acqua circostanti. • Le sostanze idrofiliche, come per esempio gli ioni e le molecole polari, si sciolgono facilmente in acqua. • L’effetto idrofobico è la tendenza dell’acqua a rendere minimi i contatti con le sostanze non polari. • Le molecole di acqua si spostano per osmosi da regioni ad alta concentrazione verso altre in cui la concentrazione è bassa; i soluti si muovono per diffusione da regioni ad alta concentrazione verso altre a bassa concentrazione.

• L’acqua si ionizza a H+ (che rappresenta lo ione idronio, H3O+) e OH–. • Nelle soluzioni la concentrazione di H+ è espressa come valore di pH; nelle soluzioni neutre il pH è 7, nelle soluzioni acide il pH è inferiore a 7 e in quelle basiche il pH è superiore a 7. • Gli acidi possono donare protoni e le basi possono accettarli. La forza di un acido è espressa dal suo valore di pK; più forte è un acido, più basso è il suo pK. • L’equazione di Henderson-Hasselbalch pone in relazione il pH di una soluzione con il pK e le concentrazioni di un acido e della sua base coniugata. • Le soluzioni tampone si oppongono alle variazioni di pH in un ambito pari al valore di pK più o meno mezza unità di pH.

PROBLEMI 1. Identificate nelle seguenti molecole i potenziali donatori e ac-

cettori di legami idrogeno: (a)

(b)

O

H

N1

6

2

H2N

3

N

5

7

4

9

N3

8

N H

N

NH2

O

2

4 1

(c)

COO–

H

C

5

CH2

OH

NH+3

6

N H

2. Valutate la solubilità in acqua dei seguenti composti:

(a) H3C

CH2

O

CH3

O

(b) H3C

(d) H3C

O

(c) H2N

C

C

NH2

CH2

CH3

NH2 O

(e) H3C

CH2

CH

6. Dove si ripartirebbero le seguenti sostanze se poste in acqua

contenente micelle di acido palmitico? (a) H3C−(CH2)11−COO−, (b) H3C−(CH2)11−CH3. 7. Descrivete ciò che accade quando un sacchetto da dialisi contenente acqua pura viene immerso in un recipiente con acqua di mare; che cosa accadrebbe se la membrana di dialisi fosse permeabile all’acqua ma non ai soluti? 8. La concentrazione salina all’interno di un globulo rosso è di circa 150 mM. La cellula viene posta in un becker contenente una soluzione la cui concentrazione salina è pari a 500 mM. (a) Assumendo che la membrana cellulare sia permeabile all’acqua e non agli ioni, descrivete che cosa accadrà alla cellula in termini di osmosi. (b) Se la membrana cellulare fosse invece permeabile agli ioni, in quale direzione dovrebbero diffondere i soluti: verso l’interno o verso l’esterno della cellula? 9. Disegnate le strutture delle basi coniugate dei seguenti acidi: (a) COO– CH

3. Approssimativamente quante molecole di H2O ci sono in un

cucchiaio di acqua, assumendo che contenga circa 18 mL?

4. Una cellula di E. coli contiene circa 2,6 × 108 ioni, che costi-

tuiscono circa l’1% della massa della cellula, e ogni ione ha una massa molecolare media di 40 g. a) Quale è la massa approssimativa della cellula? b) La stessa cellula contiene circa 2 × 108 molecole di carboidrati, che hanno una massa molecolare media di 150 g ∙ mol−1. Approssimativamente quale percentuale della massa della cellula è composta da carboidrati? c) La massa molecolare del DNA di E. coli è circa 5,6 × 109 g ∙ mol−1 e costituisce circa lo 0,6% della massa cellulare. Quante molecole di DNA sono presenti nella cellula? 5. Dove si ripartirebbero le seguenti sostanze se poste in acqua contenente micelle di acido palmitico? (a) +H3N−CH2−COO−, (b) +H3N−(CH2)11−COO−.

COOH

(b) H

C

H

NH+3

HC COOH

10. Disegnate le strutture delle basi coniugate dei seguenti acidi: COO–

(a) H

C

H

NH+3

COO–

(b) H

C

CH2

COOH

NH+3

11. Indicate quali sono le specie ioniche di ammoniaca che predo-

minano a pH 4, 8 e 11. 12. Indicate quali sono le specie ioniche di acido fosforico che pre-

dominano a pH 4, 8 e 11 13. Calcolate il pH di una soluzione di 200 mL di acqua pura a

cui sono stati aggiunti 50 mL di HCl 1 mM.

CAPITOLO 2

L’acqua

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14. Calcolate il pH di 1 L di soluzione contenente (a) 10 mL di

NaOH 5 M, (b) 10 mL di glicina 100 mM e 20 mL di HCl 5 M, (c) 10 mL di acido acetico 2 M e 5 g di acetato di sodio (peso formula 82 g ∙ mol−1). 15. Viene preparata una soluzione miscelando 50 mL di K2HPO4 2,0 M e 25 mL di KH2PO4 2,0 M. Essa è diluita sino a un volume finale pari a 200 mL. Qual è il pH della soluzione finale? 16. Qual è il pK dall’acido debole HA se una soluzione contenente HA 0,1 M e A− 0,2 M presenta un pH = 6,5? 17. (a) In ogni istante, quante molecole di acqua si trovano nello stato ionizzato in 1 L di acqua pura a pH 7,0? (b) Esprimete questo numero come percentuale delle molecole di acqua totali. 18. (a) A pH 5 ha più potere tamponante l’acido fosforico o l’acido succinico? (b) A pH 9 l’ammoniaca o la piperidina? (c) A pH 7,5 l’HEPES o il Tris? DOMANDE DIFFICILI 19. Usate la legge di Coulomb (equazione 2.1) per spiegare perché

un cristallo di NaCl rimane intatto nel benzene (C6H6) mentre si dissocia in ioni nell’acqua. 20. Ricavate la variazione di energia libera standard per la dissociazione dell’HEPES. 21. Alcuni gruppi COH possono formare legami idrogeno deboli. Perché un gruppo simile dovrebbe essere più incline a formare legami idrogeno quando C è vicino a N? 22. Spiegate perché l’acqua forma goccioline quasi sferiche sulla superficie di un’automobile appena lucidata con la cera. Per quale motivo l’acqua non si dispone in aggregati sferici su un parabrezza pulito? 23. Molti alimenti vengono refrigerati per impedire che si guastino e inibire o rallentare la crescita microbica. Spiegate come mai il miele, che è costituito per circa l’82% del suo peso da carboidrati, è resistente alla crescita dei microrganismi microbici anche a temperatura ambiente. 24. Il vostro campione è costituito da una proteina contenuta in una soluzione del volume di 5 mL la cui concentrazione salina di NaCl è pari a 0,5 M. Trasferite il campione proteina/sale all’interno di un tubo da dialisi (come mostrato nella Figura 2.14) e trasferite poi il tubo in un becker più grande contenente acqua distillata. Se il vostro obiettivo è quello di rimuovere dal campione il maggior quantitativo di NaCl possibile, che cosa sarebbe più efficace: (1) porre il tubo da dialisi in 4 L di acqua distillata per 12 h, o (2) porre il tubo da dialisi in 1 L di acqua distillata per 6 h e successivamente in un altro becker contenente 1 L di acqua distillata per altre 6 h? 25. I pazienti che soffrono di danni renali sviluppano frequentemente anche acidosi metaboliche. Se questi pazienti fossero sottoposti a dialisi, il dializzato conterrebbe bicarbonato di sodio in concentrazioni superiori a quelle presenti nel torrente circolatorio. Spiegate come mai questo fenomeno porterebbe dei benefici al paziente. 26. In alcuni organismi, la finalità dei reni è anche quella di eliminare l’ammoniaca dal torrente circolatorio. Basandovi sul valore di pK dell’ammoniaca, sapreste dire qual è la forma ionica di ammoniaca predominante nel sangue? Questa molecola sarebbe in grado di diffondere liberamente attraverso il doppio strato costituito dalla membrana lipidica idrofobica di una cellula renale? Spiegate perché. 27. Il marmo è composto soprattutto da carbonato di calcio (CaCO3). Salsa di pomodoro rovesciata su una lastra di mar-

43

mo ne corrode la superficie. Spiegate che cosa avviene da un punto di vista chimico. 28. I batteri Burkholderia in rapida crescita producono normalmente ammoniaca come prodotto di scarto. L’accumulo di ammoniaca uccide i batteri mutanti che sono incapaci di produrre anche acido ossalico. Spiegate come mai invece le cellule normali di Burkholderia evitano la morte. 29. Quanti grammi di succinato sodico (massa molecolare 140 g ∙ mol−1) e di succinato disodico (massa molecolare 162 g ∙ mol−1) devono essere aggiunti a 1 L di acqua per avere una soluzione con pH 6,0 e una concentrazione totale di soluti di 50 mM? 30. Calcolate il volume di una soluzione di NaOH 5 M che si deve aggiungere a 100 mL di una soluzione 100 mM di acido fosforico per portare il pH da 4 a 9. 31. Nel procedimento di purificazione di una proteina avete bisogno di disporre di un tampone a pH 7,5 mantenuto alla temperatura di 4 °C. Avete scelto il Tris, la cui pK è 8,08 e il ∆H° = 50 kJ ∙ mol−1. Preparate con attenzione un tampone Tris 0,01 M a pH 7,5 a 25 °C e poi conservatelo nella camera fredda per equilibrarlo con la temperatura di purificazione della vostra proteina. Quando misurate il pH del tampone una volta che ha raggiunto la temperatura di 4 °C trovate che il pH è aumentato fino al valore di 8,1. Qual è la spiegazione di questo aumento di pH? Come potreste evitare questo tipo di inconvenienti? 32. La glicina idrocloruro (Cl−H3N+CH2COOH) è un acido diprotico che contiene un gruppo acido carbossilico e un gruppo amminico ed è per questo chiamata amminoacido. Questo composto è spesso utilizzato nella preparazione dei tamponi per uso biochimico. (a) Qual è il protone che si dissocia a bassi valori di pH, il protone del gruppo dell’acido carbossilico o del gruppo amminico? (b) Scrivete le equazioni chimiche che descrivono la dissociazione del primo e del secondo protone di Cl−H3N+CH2COOH. (c) Una soluzione contenente 0,01 M Cl−H3N+CH2COOH e 0,02 M della sua specie monodissociata ha un pH di 2,65. Qual è il valore di pK di questa dissociazione? (d) In analogia con quanto riportato nella Figura 2.18, disegnate la curva di titolazione di questo acido diprotico.

CASO DI STUDIO Caso 1 Overdose acuta di aspirina: correlazione con il sistema tampone del sangue Concetto chiave: il sistema tampone acido carbonico-bicarbonato risponde a un’overdose di aspirina. Prerequisiti: Capitolo 2 • Conoscenza dei principi di acidi e basi, compresi pK ed equazione di Henderson-Hasselbalch. • Il sistema tampone del sangue acido carbonico-bicarbonato.

APPROFONDIMENTO Paragonate le strategie utilizzate per l’eliminazione dell’azoto di scarto (sotto forma di ammoniaca) e del biossido di carbonio in diversi organismi quali: (a) i mammiferi terrestri; (b) i pesci che vivono in acqua dolce; (c) i pesci che vivono in acqua salata. Assicuratevi di tenere in considerazione gli effetti osmotici e l’equilibrio acido-base.

44

CAPITOLO 2

L’acqua

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BIBLIOGRAFIA Finney, J.L. (2004), Water? What’s so special abouti it? Philos. Trans. RR. Soc. London B Biol. Sci. 29, 1145-1163. [Comprende una dissertazione sulla struttura delle molecole d’acqua, dei legami idrogeno, della struttura del ghiaccio e dell’acqua in forma liquida. Inoltre viene preso in considerazione anche il modo in cui queste strutture si relazionano con le funzioni biologiche.] Gerstein, M., e Levitt, M. (1998). Simulating water and the molecules of life. Sci. Am. 279(11), 101-105. (Trad. it.: “Simulare molecole biologiche in acqua”, Le Scienze, Milano, gennaio 1998.) [Descrive la struttura dell’acqua e le sue modalità di interazione con altre molecole.] Good, N.E., Winget, G.D., Winter, W., Connolly, T.N., Izawa, S., e Singh, R.M.M. (1966). Hydrogen ion buffers for biological research. Biochemistry 5, 467-477. [Classico lavoro riguardante i tamponi usati in laboratorio.] Halperin, M.L., Goldstein, M.B., e Kamel, K. (2010). Fluid, Electrolyte, and Acid-Base Physiology: A Problem-Based Approach (4a ed.),

Saunders-Elsevier. [Comprende ampie serie di problemi con le spiegazioni delle conoscenze di base e gli effetti clinici dei disordini acido-base.] Jeffrey, G. A., e Sanger, W. (1994). Hydrogen Bonding in Biological Structures. Springer, capp. 1, 2 e 21. [Passa in rassegna la chimica dei legami idrogeno e la sua rilevanza in riferimento alle molecole di piccole dimensioni e alle macromolecole.] Lynden-Bell, R.M., Morris, S.C., Barrow, J.D., Finney, J.L., e Harper, C.L., Jr. (2010), Water and Life. The Unique Properties of H2O, CRC Press. Segel, I. H. (1976). Biochemical Calculations. Wiley, 2a ed., cap. 1. [Discussione di livello intermedio riguardante gli equilibri acido-base, corredata di problemi risolti.] Tanford, C. (1980). The Hydrophobic Effect: Formation of Micelles and Biological Membranes. Wiley-Interscience, 2a ed., capp. 5 e 6. [Discute le strutture dell’acqua e delle micelle.]

C A P I T O L O

3

Nucleotidi, acidi nucleici e informazioni genetiche Nonostante le notevoli differenze nello stile di vita e nell’aspetto macroscopico, è sorprendente la somiglianza che gli esseri vi278 venti presentano a livello molecolare. Le 1031 strutture e le attività metaboliche di tutte le cellule si fondano su una gamma comune 303 Riso 1441 di molecole, tra le quali vi sono gli ammi39 049 766 447 25 489 304 noacidi, i carboidrati, i lipidi e i nucleotidi, 2980 insieme alle loro forme polimeriche. Ogni 276 234 tipo di composto ha una sua caratteristica 208 88 332 struttura chimica unita a una capacità di in212 68 8443 teragire con altre molecole e a una funzio95 414 ne fisiologica altrettanto specifiche. Diamo 587 59 38 inizio alla nostra rassegna sulle biomoleco1635 85 348 le con una discussione concernente i nu136 37 cleotidi e i loro polimeri, gli acidi nucleici. 293 Orzo fl-cDNA 179 839 234 I nucleotidi sono coinvolti in quasi tutti 23 585 17 345 gli aspetti della vita cellulare; essi partecipano alle reazioni di ossidoriduzione, al traAe. tauschii 812 sferimento di energia, alle vie di segnalazio32 660 Sorgo 23 705 ne intracellulare e alle reazioni di biosinte34 496 si. I loro polimeri, gli acidi nucleici DNA e 26 722 RNA, sono direttamente coinvolti nei processi di immagazzinamento e decodificazioLe regioni sovrapposte rappresentano ne delle informazioni genetiche. I nucleotidi e gli acidi nucleici svolgono nelle famiglie di geni condivise da cinque cellule funzioni strutturali e catalitiche; nessun’altra classe di molecole prende differenti specie di grano. Identificando parte a una serie così varia di funzioni essenziali per la vita. i geni presenti in un campione di DNA, È sempre più evidente che la comparsa dei nucleotidi abbia consentito l’ei ricercatori possono concentrarsi sulle caratteristiche genetiche che hanno voluzione di organismi che erano in grado di prelevare e immagazzinare energia uno scopo comune o che forniscono dall’ambiente circostante e di produrre copie di se stessi. Sebbene le proprietà funzioni specifiche a un organismo. chimiche e biologiche delle prime forme di vita possano solo essere ipotizzate, è [Jizeng Jia et al., Nature, 496, 91-95 un fatto incontrovertibile che la vita come la conosciamo dipende dalla chimi(4 Aprile 2013), doi:10.10138/ nature/2028.] ca dei nucleotidi e degli acidi nucleici. In questo capitolo esamineremo le strutture dei nucleotidi e degli acidi nucleici DNA e RNA; prenderemo inoltre in considerazione le modalità mediante cui la chimica di tali molecole consente loro di conservare le informazioni biologiche sotto forma di sequenze nucleotidiche. Queste informazioni sono poi trasferite per mezzo della trascrizione da un segmento di DNA a uno di RNA, che a sua volta viene in seguito tradotto per dare origine a proteine. Dal momento che la struttura e la funzione di una cellula dipendono in ultima analisi dalla sua costituzione genetica, discuteremo come le sequenze genomiche forniscono informazioni circa l’evoluzione, il metabolismo e le malattie. Infine, analizBrachypodium 26 552 22 405

CAPITOLO 3

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Nucleotidi, acidi nucleici e informazioni genetiche

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zeremo alcune delle tecniche impiegate per manipolare il DNA in laboratorio. Nei capitoli successivi studieremo in maggior dettaglio in che modo i nucleotidi e gli acidi nucleici partecipano ai processi metabolici. Nel Capitolo 24 sono riportate altre informazioni sulla struttura degli acidi nucleici, sulle interazioni del DNA con le proteine e sul modo in cui il DNA è impacchettato all’interno delle cellule, necessarie a introdurre i numerosi capitoli in cui viene discusso il ruolo degli acidi nucleici nell’immagazzinamento e nell’espressione delle informazioni genetiche.

1 I nucleotidi CONCETTI CHIAVE

• Le basi azotate dei nucleotidi comprendono due tipi di purine e tre tipi di pirimidine. • Un nucleotide è costituito da una base azotata, da uno zucchero ribosio o deossiribosio e da uno o più gruppi fosforici.

• Il DNA contiene i deossiribonucleotidi adenina, guanina, citosina e timina, mentre l’RNA contiene i ribonucleotidi adenina, guanina, citosina e uracile.

I nucleotidi sono molecole ubiquitarie, dotate di una considerevole diversità strutturale. Sono otto i tipi comuni di nucleotidi, ciascuno composto da una base azotata unita a uno zucchero al quale è legato almeno un gruppo fosforico. Le basi dei nucleotidi sono molecole planari, aromatiche, eterocicliche e sono derivati strutturali della purina o della pirimidina (sebbene non siano sintetizzate in vivo a partire dall’uno o dall’altro di tali composti organici). 6

N1 2

N

5 3

7

4

9

8

N3 2

N

N

4 5 1

6

N

H Purina (a) –2

O3PO

Base

59

CH2 O H

49 H H 19 39 29

OH

H OH

59-Ribonucleotide (b) HO

59

Base

CH2 O 49 H H 19 39 29 H H –2 O3PO H

39-Deossinucleotide

Figura 3.1 Strutture chimiche di

nucleotidi. (a) Un 5‘-ribonucleotide e (b) un 3’-deossinucleotide. La base purinica o pirimidinica è unita al C1’ del pentosio, a cui è anche attaccato almeno un gruppo fosforico (in rosso). Un nucleoside è formato da una base unita a un pentosio. Confronta la carica netta di un nucleoside e di un nucleotide.

Pirimidina

Le purine più diffuse sono l’adenina (A) e la guanina (G), mentre le principali pirimidine sono la citosina (C), l’uracile (U) e la timina (T). Le purine formano legami con uno zucchero a cinque atomi di carbonio (un pentosio) attraverso i loro atomi N9, mentre le pirimidine utilizzano per questo legame il loro atomo N1 (Tabella 3.1). Nei ribonucleotidi lo zucchero a cinque atomi di carbonio è il ribosio, mentre nei deossiribonucleotidi (o solamente deossinucleotidi) lo zucchero è il 2′-deossiribosio (cioè il carbonio in posizione 2′ è privo del gruppo ossidrilico). HO

59

CH2 O H

OH

49H H 19 39 29

OH Ribosio

H OH

HO

59

CH2 O H

49H H 19 39 29

OH H

OH H Deossiribosio

Si noti che i numeri con il suffisso “primo” si riferiscono agli atomi di carbonio del pentosio, mentre quelli che ne sono privi si riferiscono agli atomi della base azotata. In un ribonucleotide o in un deossiribonucleotide, uno o più gruppi fosforici sono uniti all’atomo C3′ oppure all’atomo C5′ del pentosio generando rispettivamente un 3′-nucleotide oppure un 5′-nucleotide (Figura 3.1). Quando il gruppo fosforico è assente, il composto è detto nucleoside; di conseguenza, un 5′-nucleotide può essere pure chiamato nucleoside-5′-fosfato. I nucleotidi più comuni contengono da uno a tre gruppi fosforici in posizione C5′ e sono definiti nucleosidi monofosfato, difosfato e trifosfato.

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TABELLA 3.1 Nomi e abbreviazioni delle basi, dei nucleosidi e dei nucleotidi presenti negli acidi nucleici

Formula della base

Base (X = H)

Nucleoside (X = ribosioa )

Nucleotideb (X = ribosio fosfatoa )

Adenina

Adenosina

Acido adenilico

Ade

Ado

Adenosina monofosfato

A

A

AMP

Guanina

Guanosina

Acido guanilico

Gua

Guo

Guanosina monofosfato

G

G

GMP

Citosina

Citidina

Acido citidilico

Cyt

Cyd

Citidina monofosfato

C

C

CMP

Uracile

Uridina

Acido uridilico

Ura

Urd

Uridina monofosfato

U

U

UMP

Timina

Deossitimidina

Acido deossitimidilico

Thy

dThd

Deossitimidina monofosfato

T

dT

dTMP

NH2 N

N

N

N

X O H

N

N

N

N

H2N

X NH2 N N

O

X O H

N N

O

X O H O

CH3

N N dX

a La presenza di una unità di 2´-deossiribosio al posto del ribosio, come si osserva nel DNA, è indicata dai prefissi “deossi” o “d”. Per esempio, il deossinucleoside dell’adenina è la deossiadenosina o dA; tuttavia, per i residui contenenti timina, che si riscontrano solo di rado nell’RNA, il prefisso è ridondante e può essere omesso. La presenza di una unità di ribosio può essere indicata in maniera esplicita dal prefisso “ribo”. b La posizione del gruppo fosforico in un nucleotide può essere specificata esplicitamente come, per esempio, nel caso del 3´-AMP e del 5´-GMP.

Indicate il nome di ogni base e del suo corrispondente nucleoside senza guardare la tabella.

Nella Tabella 3.1 sono elencati le strutture, i nomi e le abbreviazioni delle basi, dei nucleosidi e dei nucleotidi più diffusi. I ribonucleotidi sono componenti dell’RNA (acido ribonucleico), mentre i deossinucleotidi sono componenti del DNA (acido deossiribonucleico). Le basi adenina, guanina e citosina si ritrovano nei ribonucleotidi e nei deossinucleotidi (rappresentano sei degli otto nucleotidi presenti in questi polimeri); l’uracile invece è prevalentemente in forma di ribonucleotide e la timina in quella di deossinucleotide. I nucleotidi liberi sono anioni e nelle cellule si associano solitamente al Mg2+. In qualsiasi cellula la maggior parte dei nucleotidi è presente in forme polimeriche come il DNA o l’RNA, le cui funzioni primarie sono l’immagazzinamento o il trasferimento I nucleotidi partecipano alle reazioni metaboliche.

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delle informazioni genetiche. Tuttavia i nucleotidi liberi e i derivati dei nucleotidi svolgono una vasta gamma di compiti metabolici che non sono legati alla gestione delle informazioni genetiche. Il nucleotide meglio conosciuto è l’adenosina trifosfato (ATP), che contiene adenina, ribosio e un gruppo trifosforico; esso è spesso ritenuto erroneamente una forma di accumulo dell’energia, anche se è più appropriato definirlo un vettore energetico o agente di trasferimento dell’energia. Il processo della fotosintesi o la scissione di carburanti metabolici, come i carboidrati e gli acidi grassi, conduce alla formazione di ATP a partire da adenosina difosfato (ADP): Adenosina NH2

NH2 N

N O HPO24–

+

HO

P

O O

O–

P

N

N O

O –O

CH2 O

O–

H

O

P

O

P

O–

H

H

O O

P

O–

comunemente riscontrabili negli acidi nucleici.

• Esercitatevi disegnando le strutture dell’adenina, dell’adenosina e dell’adenilato.

• Descrivete le differenze chimiche esistenti tra un ribonucleoside trifosfato e un deossiribonucleoside monofosfato.

+

CH2 O H

H2O

H H

OH OH Adenosina trifosfato (ATP)

Adenosina difosfato (ADP)

• Identificate le purine e le pirimidine

O

H

H

N

N

O–

OH OH

PUNTO DI VERIFICA

N

N

L’ATP diffonde in tutta la cellula per fornire l’energia necessaria per il lavoro cellulare, come le reazioni di biosintesi, il trasporto di ioni e il movimento cellulare. L’energia chimica potenziale dell’ATP è resa disponibile quando questa molecola trasferisce uno (o due) dei suoi tre gruppi fosforici a un’altra molecola. Questo processo è sostanzialmente l’inverso della reazione precedente, cioè la scissione dell’ATP ad ADP. (Come vedremo nei capitoli successivi, nella cellula l’interconversione tra ATP e ADP non è liberamente reversibile e i gruppi fosforici liberi solo di rado sono rilasciati direttamente dall’ATP.) Il coinvolgimento dell’ATP nelle ordinarie attività cellulari è illustrato dai calcoli che indicano che, pur essendo la concentrazione di ATP cellulare relativamente modesta (circa 5 mM), in media un essere umano utilizza ogni giorno una quantità di ATP equivalente al suo peso corporeo. I derivati dei nucleotidi prendono parte a un’ampia serie di processi metabolici; per esempio, nelle piante la sintesi di amido procede grazie ad aggiunte successive di unità di glucosio donate dall’ADP-glucosio (Figura 3.2). Altri derivati dei nucleotidi, come vedremo nei prossimi capitoli, contengono gruppi che partecipano a reazioni di ossidoriduzione; il gruppo sostituente può essere una piccola molecola, per esempio il glucosio (Figura 3.2) o anche un altro nucleotide unito al primo nucleotide attraverso un ponte mono- o difosforico.

Glucosio

Figura 3.2 L’ADP-glucosio.

ADP

NH2

H

CH2OH O H OH H

H O

HO H

OH

N

N O P O–

O O

P

N

N O

CH2 O

O–

H H HO

H H OH

In questo derivato nucleotidico il glucosio (in blu) è unito all’adenosina (in nero) per mezzo di un gruppo pirofosforico (in rosso). Indicate i legami che si formano come risultato delle reazioni di condensazione.

CAPITOLO 3

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2 Introduzione alla struttura degli acidi nucleici CONCETTI CHIAVE

• Nel DNA e nell’RNA i residui nucleotidici sono collegati dai legami fosfodiesterici. • Nella doppia elica del DNA due filamenti antiparalleli di polinucleotidi si avvolgono uno intorno all’altro interagendo tra loro tramite i legami idrogeno che si formano tra le basi dei filamenti opposti.

• Le molecole di RNA sono normalmente a catena singola, ma possono formare appaiamenti intramolecolari tra le basi.

I nucleotidi possono essere uniti l’uno all’altro per formare i polimeri che ci sono familiari con i nomi di RNA e di DNA. In questo paragrafo descriveremo alcune delle caratteristiche generali di questi due acidi nucleici; ulteriori informazioni sulla struttura degli acidi nucleici sono riportate nel Capitolo 24.

A Gli acidi nucleici sono polimeri di nucleotidi Gli acidi nucleici sono catene di nucleotidi in cui i gruppi fosforici uniscono le posizioni 3′ e 5′ di unità di ribosio adiacenti (Figura 3.3). Poiché i gruppi fosforici di questi polinucleotidi sono acidi, gli acidi nucleici a pH fisiologico sono quindi polianioni. Il legame tra i singoli nucleotidi è detto legame fosfodie(a)

(b)

NH2 Estremitˆ 59

N1 2

–O –O

P

O

O

59

6

3

N

5

7

4

9

A

8

29

N

N

H

H 39

p 29

H

59

O

59

O

H

5

29

39 p

H 39

6

1

H 29

19

OH

39 p

29

OH

39

OH

p

P

59

59

59

OH

4

2 59

O

O

49

H

H

H

39

5

1

29

19

H

OH

O 6

HN 1 2

O –

O

P O

C

6

N

CH2 O

O

Figura 3.3 Struttura chimica di un acido

NH2

H

O –O

59

U (T)

N3

39

OH

N

CH2 O 49

(CH3)

4

2

O

29

G

O

OH

O P

OH

C

19

H

HN 3

–O

U

39

CH2 O 49

A

3

H2N O

N

5

7

4

9

8

N

N 59

CH2 O 49

H

H 39

HO

H 29

19

H

OH

Estremità 39

G

nucleico. (a) È mostrato il tetraribonucleotide adenilil-3’,5’-uridilil-3’,5’-citidilil-3’,5’-guanilato. Gli atomi dello zucchero sono indicati con il segno “primo” per distinguerli da quelli delle basi. Per convenzione, una sequenza polinucleotidica è scritta con l’estremità 5’ a sinistra e quella 3’ a destra; di conseguenza, leggendo da sinistra verso destra, il legame fosfodiesterico unisce residui di ribosio adiacenti in direzione 5’ n 3’ . La sequenza qui illustrata può essere abbreviata in pApUpCpG oppure solo in pAUCG (la “p” a sinistra del simbolo di un nucleoside indica un gruppo 5’ fosforico). Il corrispondente deossitetranucleotide, in cui i gruppi 2’ -OH sono sostituiti da H e l’uracile (U) è rimpiazzato da timina (T), è abbreviato in d(pApTpCpG) o in d(pATCG). (b) Rappresentazione schematica di pAUCG; una linea verticale denota un residuo di ribosio, la base attaccata è indicata da una singola lettera, mentre una linea diagonale con al centro una “p”, che non è obbligatorio inserire, rappresenta un legame fosfodiesterico. I numeri degli atomi del residuo di ribosio possono essere omessi. La rappresentazione equivalente di d(pATCG) si differenzia unicamente per l’assenza del gruppo 2’ -OH e per la sostituzione di U con T.

CAPITOLO 3

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Nucleotidi, acidi nucleici e informazioni genetiche

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sterico, in quanto il gruppo fosforico è contemporaneamente esterificato a due unità di ribosio; ogni nucleotide incorporato nel polinucleotide è detto residuo nucleotidico. Il residuo terminale il cui C5′ non è unito a un altro nucleotide è definito estremità 5′, mentre quello il cui C3′ non è legato a un altro nucleotide è chiamato estremità 3′. La sequenza di residui nucleotidici in un acido nucleico per convenzione è scritta, da sinistra verso destra, partendo dall’estremità 5′ verso quella 3′. Le proprietà di un polimero quale un acido nucleico possono variare considerevolmente rispetto a quelle delle singole unità, o monomeri, prima della polimerizzazione. Dal momento che le dimensioni del polimero aumentano da dimero, a trimero, a tetramero e così via sino a oligomero (dal greco oligos, “poco”), proprietà fisiche come la carica e la solubilità possono mutare considerevolmente. Inoltre, un polimero costituito da residui non identici presenta una peculiarità che i monomeri separati non possiedono: la sequenza dei residui del polimero è un modo per conservare informazioni. Le regole di Chargaff descrivono la composizione in basi del DNA. Anche se sem-

bra che non esistano regole che governano la composizione in nucleotidi delle tipiche molecole di RNA, il DNA presenta un uguale numero di residui di adenina e di timina (A = T) e anche il numero dei residui di guanina corrisponde a quello dei residui di citosina (G = C). Queste relazioni, note come regole di Chargaff, furono scoperte negli anni ’40 da Erwin Chargaff, il quale ideò i primi metodi quantitativi affidabili per analizzare la composizione del DNA. La composizione in basi del DNA varia da un essere vivente all’altro, passando da circa il 25 al 75% in moli di G + C in specie batteriche differenti. Tuttavia essa è più o meno costante nelle specie correlate; per esempio, nei mammiferi il contenuto in G + C è compreso tra il 39 e il 46%. Il significato delle regole di Chargaff non fu subito colto, ma ora sappiamo che la loro base strutturale dipende dalla natura a doppio filamento del DNA. Figura 3.4 Forme tautomeriche

delle basi. Sono mostrate alcune possibili forme tautomeriche (a) della timina e (b) della guanina. La citosina e l’adenina possono subire spostamenti protonici analoghi. Disegnate i tautomeri di adenina e citosina.

(a)

O H

CH3

N O

N

H

R Timina (forma chetonica o lattamica) (b)

O H

N

N

H H 2N

N

N R

Guanina (forma chetonica o lattamica)

B Il DNA forma una doppia elica La determinazione, nel 1953, della struttura del DNA da parte di James Watson e Francis Crick è considerata la scoperta che ha portato alla nascita della moderna biologia molecolare. La struttura di Watson e Crick dell’acido deossiribonucleico non solo fornì un modello di quella che si ritiene la molecola fondamentale della vita, ma indicò anche il meccanismo molecolare dell’ereditarietà. Le conclusioni a cui giunsero i due scienziati, reputate una delle conquiste intellettuali più imH O portanti della scienza, si basavano in parte su due evidenze sperimentali, oltre che sulle reCH3 N gole di Chargaff: le corrette forme tautomeriche delle basi e le indicazioni che il DNA H O N è una molecola di forma elicoidale (spirale). Le basi puriniche e pirimidiniche degli R acidi nucleici possono assumere forme tautoTimina (forma enolica o lattimica) meriche differenti (i tautomeri sono isomeri facilmente interconvertibili che differiscono H unicamente per le posizioni degli atomi di O idrogeno; Figura 3.4). Indagini ai raggi X efN fettuate mediante risonanza magnetica nuN H cleare (NMR) e spettroscopia consentirono N di stabilire chiaramente che le basi degli acidi H 2N N nucleici si trovano in misura preponderanR te nelle forme tautomeriche chetoniche illuGuanina strate nella Figura 3.3. Nel 1953 queste in(forma enolica o lattimica)

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Nucleotidi, acidi nucleici e informazioni genetiche

formazioni non erano tuttavia ancora completamente disponibili; le forme tautomeriche dominanti delle basi furono fornite da Jerry Donohue, un collega di Watson e Crick che condivideva con loro l’ufficio, esperto di strutture ai raggi X delle piccole molecole organiche. La prova che il DNA è una molecola con una struttura elicoidale si ebbe con l’immagine della diffrazione dei raggi X di una fibra di DNA ottenuta da Rosalind Franklin (Figura 3.5). Questa immagine consentì a Crick, che aveva una preparazione cristallografica, di dedurre che (a) il DNA è una molecola elicoidale e (b) che le sue basi aromatiche planari si impilano l’una sull’altra formando un’organizzazione parallela all’asse della fibra. Le limitate informazioni strutturali, unitamente alle regole di Chargaff, fornirono solo alcuni indizi sulla struttura del DNA: il modello di Watson e Crick derivò, in larga misura, dalla loro immaginazione e da studi supportati dalla costruzione di modelli molecolari. Dopo la pubblicazione, la struttura proposta per il DNA fu rapidamente e universalmente accettata sia per la sua fondamentale semplicità, sia per la palese rilevanza sotto il profilo biologico. Indagini successive hanno confermato la generale correttezza di tale struttura, sebbene essa abbia subito alcune modifiche nei dettagli. Le caratteristiche principali del modello di Watson e Crick sono le seguenti (Figura 3.6). 1. Due catene polinucleotidiche si avvolgono intorno a un asse comune per dar luogo a una doppia elica. 2. I due filamenti di DNA sono antiparalleli (ossia hanno direzionalità opposte); ciascun filamento forma un’elica destrorsa (la differenza tra elica destrorsa e sinistrorsa è mostrata nella Figura 3.7). 3. Le basi occupano la parte centrale dell’elica, mentre le catene zucchero-fosfato si snodano nella parte periferica, rendendo in tal modo minime le repulsioni tra i gruppi fosforici carichi negativamente. La superficie della doppia elica contiene due scanalature di differente ampiezza: la scanalatura maggiore e la scanalatura minore. 4. Ogni base forma legami idrogeno con un’altra del filamento opposto, dando luogo a una coppia di basi planare. La struttura proposta da Watson e Crick può avere esclusivamente due tipi di coppie di basi: ciascun residuo di adenina deve appaiarsi con uno di timina e viceversa, mentre ogni residuo di guanina deve unirsi a uno di citosina e viceversa (Figura 3.8). Queste interazioni mediante legami idrogeno, un fenomeno conosciuto come appaiamento delle basi complementari, determinano un’associazione specifica delle due catene della doppia elica. La struttura di Watson e Crick può accogliere qualsiasi sequenza di basi su un filamento polinucleotidico se quello opposto presenta una sequenza di basi complementari; ciò dà immediatamente ragione delle regole di Chargaff. Questa osservazione indica che ogni filamento di DNA può fungere da stampo per la sintesi di quello complementare e, di conseguenza, che le informazioni ereditarie sono codificate nella sequenza di basi presenti sull’uno o sull’altro filamento. La maggior parte delle molecole di DNA ha dimensioni molto grandi. La dimen-

sione estremamente grande delle molecole di DNA è perfettamente adatta al loro ruolo di depositarie delle informazioni genetiche nella cellula. Ovviamente il genoma di un organismo, il suo contenuto in DNA, può essere ripartito tra vari cromosomi (dal greco chróma, “colore”, e sóma, “corpo”), ciascuno dei quali contiene una molecola di DNA distinta. Si noti che numerosi organismi sono diploidi, ossia contengono due serie equivalenti di cromosomi, ciascuna proveniente da un organismo parentale. Il loro contenuto in DNA specifico (aploide) è pari alla metà di quello totale; per esempio, l’uomo è un organismo diploide che ha 46 cromosomi in ogni cellula, quindi il numero aploide è 23.

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Figura 3.5 Immagine della

diffrazione dei raggi X di una fibra di DNA orientata in senso verticale. Questa immagine, determinata da Rosalind Franklin, fornì la prova fondamentale per la comprensione della struttura proposta da Watson e Crick. L’andamento centrale a forma di X indica un’elica, mentre i contorni ad arco, di colore nero, nella parte superiore e in quella inferiore del profilo di diffrazione rivelano la spaziatura delle basi impilate (3,4 Å). [Per gentile concessione di Maurice Wilkins, King’s College, Londra.]

CONCETTI DI BASE Interazioni non covalenti La sequenza di nucleotidi in una catena polinucleotidica è determinata da legami covalenti, ma i legami idrogeno, che sono molto più deboli, permettono a una catena di interagire con l’altra mediante appaiamento delle basi.

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Figura 3.6 Struttura tridimensionale

del DNA. La ripetizione dell’elica si fonda sulla struttura del dodecamero autocomplementare d(CGCGAATTCGCG) determinata da Richard Dickerson e Horace Drew. In questo modello a sfere e bastoncini la vista è perpendicolare all’asse dell’elica. Gli scheletri di zuccherofosfato (in blu, con contorni a nastro verdi) si avvolgono intorno alla parte periferica della molecola, mentre le basi (in rosso) formano coppie unite da legami idrogeno che occupano la porzione centrale; gli atomi di H sono stati omessi per semplicità. I due filamenti corrono in direzioni opposte. [Illustrazione, Irving Geis, immagine della Irving Geis Collection/Howard Hughes Medical lnstitute. I diritti sono proprietà dell’HHMI. Riproduzione soggetta ad autorizzazione.]

Scanalatura maggiore

Scanalatura minore

Figura 3.7 Rappresentazioni che

illustrano un’elica destrorsa e una sinistrorsa. In entrambi i casi le dita sono ripiegate nella direzione di avvolgimento delle eliche, mentre i pollici puntano verso la direzione di avanzamento dell’elica. Si noti che, se le eliche vengono capovolte, la disposizione delle mani rimane immutata.

Sinistrorsa

Destrorsa

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Data la loro notevole lunghezza, le molecole di DNA sono descritte in termini di numero di coppie di basi (bp) o di migliaia di coppie di basi (kilobasi, o kb). Le molecole di DNA presenti in natura hanno lunghezze variabili da circa 5 kb nei piccoli virus contenenti acido deossiribonucleico fino a oltre 250 000 kb nei cromosomi umani di maggiori dimensioni. Sebbene le molecole di DNA siano estese e relativamente rigide, presentano un certo grado di flessibilità. Vedremo in seguito che la doppia elica del DNA forma avvolgimenti e anse quando viene condensata dentro una cellula. A seconda della sequenza dei nucleotidi, il DNA può anche adottare conformazioni elicoidali leggermente differenti. Infine, in presenza di altre componenti cellulari, il DNA può ripiegarsi in modo netto oppure i due filamenti possono svolgersi parzialmente (analizzeremo in maggior dettaglio la struttura del DNA nel Capitolo 24).

H N Adenina

N

N

H

O

N

H

N

CH3 Timina N

N O H N Guanina

N

C L’RNA è un acido nucleico a singolo filamento Il DNA a singolo filamento è molto raro, essendo presente in prevalenza come materiale ereditario in determinati virus; l’RNA è invece quasi sempre sotto forma di filamenti singoli, che producono di solito strutture compatte piuttosto che lunghe catene libere (l’RNA a doppio filamento costituisce il materiale ereditario di alcuni agenti virali). Un filamento di RNA, identico a uno di DNA eccetto che per la presenza dei gruppi 2′-OH e dell’uracile che sostituisce la timina, si può appaiare a un filamento complementare di RNA o di DNA. In questa struttura A si appaia a U (oppure a T nel DNA), mentre G si unisce a C. Frequentemente l’appaiamento delle basi avviene all’interno di una stessa molecola, dando origine a strutture a stelo e ansa (o forcine; Figura 3.9) o, quando le anse interagiscono una con l’altra, a conformazioni più complesse. Le complicate strutture che le molecole di RNA a singolo filamento possono potenzialmente assumere forniscono un’ulteriore prova del fatto che l’RNA può svolgere altre funzioni oltre a quella di immagazzinamento e trasmissione delle informazioni genetiche. Numerosi studi hanno riscontrato che determinate molecole di RNA sono in grado di unirsi in modo specifico a piccole molecole organiche, catalizzando reazioni in cui sono coinvolte le molecole legate. Queste osservazioni avvalorano in maniera sostanziale le teorie che sostengono che molti dei processi essenziali per la vita ebbero inizio grazie alla versatilitˆ chimica di piccoli polinucleotidi (un’ipotesi nota come “mondo a RNA”). Analizzeremo ulteriormente la struttura e la funzione dell’RNA nel Paragrafo 24.2C.

O

H

N

N

H

N

Citosina N

N N

H

O

H

Figura 3.8 Appaiamento delle basi

complementari nel DNA. L’adenina di un filamento si appaia con la timina presente sull’altro filamento, formando specifici legami idrogeno (linee tratteggiate). La guanina si appaia con la citosina allo stesso modo. Due catene polinucleotidiche si associano mediante appaiamento delle basi per dare origine a una molecola di DNA a doppio filamento. Indicate quale dovrebbe essere la sequenza 5′n 3′ complementare all’acido nucleico mostrato nella Figura 3.3a.

PUNTO DI VERIFICA

• Utilizzando come guida la Figura 3.3a, disegnate la struttura completa di un nucleoside trifosfato prima e dopo la sua incorporazione all’interno di una catena polinucleotidica. Disegnate la struttura che esso dovrebbe assumere se il legame fosfodiesterico neoformato dovesse essere idrolizzato.

• Spiegate le basi strutturali delle regole di Chargaff.

• Utilizzando un modello computerizzato

Figura 3.9 Formazione di una struttura

a stelo e ansa. L’appaiamento delle basi in sequenze complementari di un filamento di RNA consente al polinucleotide di ripiegarsi su se stesso formando una struttura a forcina.

della molecola di DNA (come quello riportato nell’Esercizio interattivo 1), identificate ognuna delle seguenti caratteristiche strutturali: le estremità 3’ e 5’ di ogni filamento, gli atomi che costituiscono lo scheletro zuccherofosfato, le scanalature principali e secondarie, le basi all’interno delle diverse coppie di basi e gli atomi che partecipano ai legami idrogeno presenti nelle coppie di basi A ∙ T e C ∙ G.

• Elencate le differenze strutturali esistenti tra il DNA e l’RNA.

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3 Uno sguardo alla funzione degli acidi nucleici CONCETTI CHIAVE

• Il DNA contiene l’informazione genetica nella sua sequenza di nucleotidi. • La sequenza dei nucleotidi del DNA viene trascritta nella sequenza dei nucleotidi dell’RNA messaggero che viene a sua volta tradotta in una proteina, cioè in una sequenza di amminoacidi.

Il DNA trasporta le informazioni genetiche in tutte le cellule e in numerosi virus; eppure per arrivare alla scoperta del ruolo biologico dell’acido deossiribonucleico dovette trascorrere un lasso di tempo di oltre 75 anni dalla formulazione delle leggi sull’ereditarietà da parte di Gregor Mendel. A tutt’oggi molti dettagli inerenti alle modalità di espressione delle informazioni genetiche e della loro trasmissione alle generazioni future sono ancora da chiarire. Il lavoro di Mendel sui piselli odorosi portò a stabilire che una singola pianta contiene una coppia di fattori (che ora noi chiamiamo geni), ciascuno ereditato da un genitore. La teoria di Mendel sull’ereditarietà, pubblicata nel 1866, fu quasi universalmente ignorata dai suoi contemporanei, le cui conoscenze di anatomia e di fisiologia non permettevano di comprenderla. Più tardi venne ipotizzato che i geni facessero parte dei cromosomi, accelerando così in maniera straordinaria le ricerche in campo genetico.

A Le informazioni genetiche sono contenute nel DNA Fino agli anni ’40 si riteneva che i geni fossero costituiti da proteine, in quanto queste erano le uniche entità biochimiche che, a quel tempo, sembravano dotate di una complessità tale da renderle agenti dell’ereditarietà. Si presumeva che gli acidi nucleici, isolati per la prima volta nel 1869 da Friedrich Miescher, presentassero sequenze di nucleotidi ripetute in maniera monotona e che per questo non fossero coinvolti nella trasmissione delle informazioni genetiche. Furono gli sforzi compiuti da Oswald Avery, Colin MacLeod e Maclyn McCarty a dimostrare che nel DNA sono conservate le informazioni genetiche. I loro esperimenti, completati nel 1944, provarono che l’acido deossiribonucleico, e non le proteine, estratto da un ceppo virulento (patogeno) del batterio Diplococcus pneumoniae, era la sostanza che trasformava (cioè alterava in via permanente) un ceppo non patogeno di questo organismo in uno virulento (Figura 3.10). All’inizio la scoperta di Avery fu accolta con scetticismo, ma influenzò profondamente Erwin Chargaff, le cui regole (Paragrafo 3.2A) condussero in seguito alla formulazione di modelli della struttura e funzione del DNA. La natura a doppio filamento, o duplex, del DNA agevola la sua replicazione; quando una cellula si divide, ogni filamento di DNA funge da stampo per

Figura 3.10 Pneumococchi trasformati. Le colonie grandi sono costituite da pneumococchi virulenti che derivano dalla trasformazione di batteri non patogeni (le colonie di dimensioni inferiori) con DNA estratto dal ceppo virulento; ora sappiamo che tale DNA conteneva un gene difettoso nel ceppo non patogeno. [Avery, O.T., MacLeod, C.M., McCarty, M. (1944). J. Exp. Med. 79, 153. Copyright © 1944 Rockefeller University Press.]

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Figura 3.11 La replicazione del DNA. Ciascun filamento di DNA parentale (in blu) funge da stampo per la sintesi di un filamento figlio complementare (in rosso). Quindi le due molecole a doppio filamento prodotte sono identiche.

Vecchio

Quali tipi di legami e interazioni si formano durante la replicazione del DNA?

la produzione di un filamento complementare (Figura 3.11). Di conseguenza, ogni cellula della progenie contiene una molecola completa di DNA (oppure una serie di molecole, negli organismi il cui genoma contiene più di un cromosoma). Ogni molecola di DNA è costituita da un filamento parentale e da uno appena prodotto (figlio); questi nuovi filamenti sono sintetizzati mediante la polimerizzazione graduale di nucleotidi che si appaiano in maniera specifica con le basi dei filamenti parentali. Il meccanismo della replicazione, sebbene semplice in linea di principio, nella cellula è straordinariamente complesso, poiché è necessario un gran numero di fattori cellulari per poter procedere in modo fedele ed efficiente, come avremo modo di osservare nel Capitolo 25.

B La sintesi proteica è diretta dai geni

. .TVecchio T. . .A A. . .T

A.

G G. . . C G . . .C T. . .A C. . . G T A.

. .T . .C C. . . G A. . .T

G.

T T. G C

C. C.

. .G . .G

trascrizione

RNA

traduzione

proteina

Nello schema riportato in questa illustrazione le frecce mostrano quando l’informazione viene trasferita attraverso la replicazione per produrre nuove molecole di DNA, quando il DNA viene trascritto in RNA e quando l’RNA viene tradotto in una proteina. Proprio come i filamenti di DNA figli sono sintetizzati a partire da deossinucleosidi trifosfato liberi le cui basi si appaiano con quelle del filamento di DNA parentale, i filamenti di RNA sono prodotti da ribonucleosidi trifosfato che si appaiano con le basi complementari del filamento di DNA di un gene (la trascrizione è trattata più dettagliatamente nel Capitolo 26). L’RNA che corrisponde a un gene che codifica proteine (denominato RNA messaggero, o mRNA) si associa a un ribosoma, un organello composto in gran parte da

C.

C. . .G

Nuovo Nuovo

Fu necessario un certo periodo di tempo per rispondere alla domanT. . .A da sul modo in cui le sequenze di nucleotidi controllano le caratteriA. . .T stiche degli esseri viventi. Nel corso di esperimenti condotti intorno T. . .A al 1940 con la muffa Neurospora crassa, George Beadle ed Edward T. . .A Tatum riscontrarono che esiste una relazione specifica tra i geni e gli G enzimi, cioè formularono la teoria un gene-un enzima. I due ricercatori dimostrarono che, per poter crescere, certe varietà mutanti di A. . .T .A . . T Neurospora generate mediante irradiazione con i raggi X richiedeva. . . T A no sostanze nutritive addizionali. La progenie delle cellule dannegNuovo giate dalle radiazioni era probabilmente priva degli specifici enzimi Vecchio necessari per sintetizzare tali nutrienti. L’anello di congiunzione tra il DNA e gli enzimi (i quali sono per lo più molecole di natura proteica) è l’RNA. Il DNA di un gene è trascritto per generare una molecola di RNA, complementare al DNA; in seguito la sequenza di RNA è tradotta nella corrispondente successione di amminoacidi per dare luogo a una proteina (Figura 3.12). Tali passaggi di informazioni biologiche sono riassunti nel cosiddetto dogma centrale della biologia molecolare, formulato da Crick nel 1958.

DNA

C

A

G

replicazione

. .A

. .G

T G

G T. . .A A. . .T T. . .A T. . .A G A. . .T . T . .A . T . .A

Nuovo

Vecchio

CAPITOLO 3

Nucleotidi, acidi nucleici e informazioni genetiche

Figura 3.12 La trascrizione e la traduzione. Un filamento di DNA dirige la sintesi dell’RNA messaggero (mRNA); la sequenza di basi dell’RNA trascritto è complementare a quella del filamento di DNA. Il messaggio viene tradotto quando molecole di RNA di trasporto (tRNA) si uniscono all’mRNA mediante appaiamento di basi complementari tra sequenze di tre nucleotidi note come codoni. Ogni tRNA trasporta uno specifico amminoacido, e gli amminoacidi sono uniti covalentemente per formare una proteina. La sequenza di basi del DNA specifica quella di amminoacidi della proteina.

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A T

DNA

G C

A T

G C

G C

T A

G C

C G

T A



5ʹ Trascrizione Codone

Codone

Codone

5ʹ mRNA



A U

G C

A U

G C

G C

U A

G C

C G

U A

tRNA

Gly

Arg

Cosa può accadere se una mutazione modifica uno dei nucleotidi del DNA?

Ala

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Traduzione

Proteina

Arginina

Glicina

Alanina

RNA (RNA ribosomiale, o rRNA). Sul ribosoma, ogni tripletta di nucleotidi dell’mRNA si appaia a una sequenza di tre nucleotidi complementari in una piccola molecola di RNA chiamata RNA di trasporto, o RNA transfer, o tRNA (Figura 3.13). Ogni molecola di tRNA lega uno specifico amminoacido. Il ribosoma catalizza il legame tra gli amminoacidi, che costituiscono le unità monomeriche delle proteine (la sintesi proteica è descritta in modo approfondito nel Capitolo 27). Gli amminoacidi sono aggiunti alla catena proteica in fase di allungamento secondo l’ordine con cui le molecole di tRNA si associano temporaneamente all’mRNA. Dal momento che la se-

NH3+

Catena proteica crescente RNA transfer

Figura 3.13 La traduzione. Le molecole di tRNA caricate con gli amminoacidi si legano a sequenze complementari composte da tre nucleotidi (i codoni) presenti sull’mRNA. Il ribosoma agevola l’allineamento del tRNA e dell’mRNA, catalizzando l’unione degli amminoacidi per produrre una catena proteica. Quando viene aggiunto un nuovo amminoacido, il tRNA precedente è espulso e il ribosoma procede lungo l’mRNA.

5ʹ mRNA

OH

NH3+

NH3+

Residuo amminoacidico

3ʹ Ribosoma Direzione del movimento del ribosoma lungo la molecola di mRNA

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Nucleotidi, acidi nucleici e informazioni genetiche

quenza nucleotidica dell’mRNA rispecchia a sua volta quella contenuta nel gene, il DNA dirige la sintesi delle proteine. Quindi variazioni a carico del materiale genetico di un organismo (mutazioni) possono manifestarsi come proteine con strutture e funzioni alterate. Servendosi delle tecniche descritte nei paragrafi seguenti e in altre parti di questo libro, i ricercatori sono in grado di compilare un catalogo delle informazioni codificate all’interno di una molecola di DNA di un organismo. Lo studio della dimensione, dell’organizzazione e del contenuto genico del genoma è conosciuto con il nome di genomica. Per analogia, la trascrittomica si riferisce allo studio dell’espressione genica, mentre il gruppo di molecole di mRNA sintetizzate in particolari circostanze da una cellula viene chiamato trascrittosoma. Infine, la proteomica è lo studio delle proteine (il proteoma), vale a dire del risultato finale dei processi di trascrizione e traduzione. Anche se il genoma di un organismo rimane essenzialmente immutato per tutta la durata della sua vita, il trascrittosoma e il proteoma dello stesso organismo possono invece variare notevolmente a seconda del tessuto, delle fasi dello sviluppo e delle condizioni ambientali.

4 Il sequenziamento degli acidi nucleici CONCETTI CHIAVE

• In laboratorio, gli acidi nucleici possono essere tagliati a livello di sequenze ben precise utilizzando gli enzimi di restrizione.

• I frammenti di acido nucleico si possono separare a seconda della loro dimensione utilizzando l’elettroforesi.

• Nel metodo della terminazione della catena, la DNA polimerasi genera frammenti di DNA interrotti a caso. L’identificazione del nucleotide che termina la catena di ogni frammento permette di risalire alla sequenza del DNA di origine.

• Il genoma umano contiene approssimativamente 21 000 geni, corrispondenti a circa l’1,2% dei suoi tre miliardi di nucleotidi.

• Le differenze esistenti tra le sequenze rivelano i cambiamenti evolutivi. La maggior parte di ciò che sappiamo circa la struttura e la funzione delle proteine deriva da informazioni ottenute non dalle molecole proteiche stesse ma, per via indiretta, dai loro geni. L’essere in grado di determinare la sequenza di nucleotidi degli acidi nucleici ha reso possibile dedurre le sequenze amminoacidiche delle proteine da essi codificate e, in una certa misura, le strutture e le funzioni di tali proteine. Il sequenziamento degli acidi nucleici ha rivelato anche informazioni sulla regolazione dei geni. Alcune parti dei geni che in realtà non sono trascritte in RNA possono ugualmente influenzare la frequenza con cui un gene è trascritto e tradotto, cioè la sua velocità di espressione; inoltre, gli sforzi tesi a chiarire le sequenze di regioni finora non mappate del DNA hanno consentito di scoprire nuovi geni e nuovi elementi di regolazione. Se è nota la sua sequenza, un acido nucleico può essere duplicato, modificato ed espresso, permettendo di studiare proteine che altrimenti non si potrebbero ottenere in quantità utili. In questo paragrafo descriveremo le modalità di sequenziamento degli acidi nucleici e le informazioni che si possono ottenere dalle loro sequenze. Nel paragrafo successivo discuteremo come vengono manipolate le sequenze degli acidi nucleici purificati. La strategia complessiva usata per sequenziare un qualsiasi polimero composto da unità non identiche prevede tre fasi. 1. Scissione del polimero in frammenti specifici di dimensioni sufficientemente piccole da poter essere sequenziati in modo completo. 2. Determinazione della sequenza dei residui presenti in ciascun frammento. 3. Ordinamento dei frammenti del polimero originale mediante l’allineamento dei frammenti che contengono sequenze sovrapposte.

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CONCETTI DI BASE Il dogma centrale Sebbene il nucleo della cellula sia spesso considerato una sorta di centro di controllo, esso non trasmette informazioni al resto della cellula. Invece, come ci ricorda il dogma centrale, l’informazione genetica presente nel DNA è relativamente inerte e viene semplicemente copiata, mediante replicazione o trascrizione. PUNTO DI VERIFICA

• Spiegate perché la natura a doppio filamento del DNA è importante per copiare e trasmettere l’informazione genetica nel momento in cui una cellula si divide.

• Riassumete le fasi del dogma centrale. Qual è il ruolo dell’RNA in ciascuna fase?

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CAPITOLO 3

Nucleotidi, acidi nucleici e informazioni genetiche

GC A C UUGA Fosfodiesterasi di veleno di serpente GC A C UUGA GC A C UUG GC A C UU GCACU GCAC GCA G C + Mononucleotidi

Figura 3.14 Determinazione della sequenza di un oligonucleotide mediante enzimi non specifici. L’oligonucleotide viene digerito parzialmente con fosfodiesterasi di veleno di serpente, che rompe i legami fosfodiesterici tra i residui nucleotidici a partire dall’estremità 3’ dell’oligonucleotide. Si genera una miscela di frammenti di tutte le lunghezze, che in seguito vengono separati. Confrontando la composizione in basi di una coppia di segmenti che differiscono di un solo nucleotide è possibile stabilire l’identità del nucleotide 3’-terminale del tratto più lungo. L’analisi di ogni coppia di frammenti svela la sequenza dell’oligonucleotide originale.

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Durante i primi tentativi volti a sequenziare l’RNA si sfruttavano enzimi non specifici allo scopo di produrre frammenti relativamente brevi, la cui composizione in nucleotidi veniva quindi determinata mediante digestione parziale con un enzima che rimuoveva selettivamente i nucleotidi da un’estremità o dall’altra (Figura 3.14). Il sequenziamento dell’acido ribonucleico con questa procedura richiedeva molto tempo. Infatti, Robert Holley, utilizzando questa metodica, impiegò sette anni per ottenere la sequenza di una molecola di tRNA costituita da 76 residui. Dopo il 1975 furono compiuti straordinari progressi nella tecnologia del sequenziamento degli acidi nucleici, resi possibili dalla scoperta di enzimi in grado di scindere il DNA a livello di siti specifici, nonché dallo sviluppo di tecniche di sequenziamento del DNA molto più rapide. Dato che la maggior parte delle sequenze specifiche di DNA è di norma presente in singola copia, la maggior parte dei metodi di sequenziamento trae enormi vantaggi dall’amplificazione di segmenti di DNA tramite il clonaggio o copiandoli (Paragrafo 3.5).

A Le endonucleasi di restrizione tagliano il DNA a livello di sequenze specifiche

Molti batteri hanno la possibilità di resistere alle infezioni causate dai batteriofagi (virus specifici per i procarioti) grazie a un sistema di modificazione e restrizione. Il batterio modifica determinati nucleotidi presenti in specifiche sequenze del proprio DNA mediante aggiunta di un gruppo metilico (−CH3) nel corso di una reazione catalizzata da una metilasi di modificazione. Una endonucleasi di restrizione, che riconosce la stessa sequenza nucleotidica individuata dalla metilasi, taglia qualunque DNA che non è stato modificato su almeno uno dei suoi due filamenti (una endonucleasi scinde legami interni al filamento polinucleotidico di un acido nucleico, mentre una esoTABELLA 3.2 Siti di riconoscimento e di taglio di alcuni nucleasi rimuove uno dei residui terminali dell’acido enzimi di restrizione nucleico). Questo sistema distrugge il DNA esogeno Sequenza (fagico) contenente un sito di riconoscimento che non Enzima di riconoscimentoa Microrganismo è stato modificato tramite metilazione. Il DNA ospite AluI AGgCT Arthrobacter luteus è sempre metilato almeno per metà e quindi, anche se g il filamento figlio non è metilato subito dopo essere BamHI G GATCC Bacillus amyloliquefaciens H stato sintetizzato, quello parentale, a cui quest’ultimo BglII AgGATCT Bacillus globigii è appaiato, è già modificato (e pertanto protegge enEcoRI GgAATTC Escherichia coli RY13 trambe le catene di DNA dal taglio da parte dell’engCC(TA)GG EcoRII Escherichia coli R245 zima di restrizione). EcoRV GATgATC Escherichia coli J62 pLG74 Le endonucleasi di restrizione di tipo II hanno una g particolare utilità in laboratorio: sono enzimi che taHaeII RGCGC Y Haemophilus aegyptius gliano il DNA all’interno della sequenza di 4-8 basi HaeIII GGgCC Haemophilus aegyptius riconosciuta dalla loro corrispondente metilasi di moHindIII AgAGCTT Haemophilus influenzae Rd dificazione. (Le endonucleasi di restrizione di tipo I e HpaII CgCGG Haemophilus parainfluenzae di tipo III scindono il DNA in corrispondenza di siti MspI CgCGG Moraxella species diversi dalle loro sequenze di riconoscimento.) Sono stati caratterizzati più di 11 000 enzimi di restrizione PstI CTGCAgG Providencia stuartii 164 di tipo II, con oltre 270 differenti sequenze di ricoPvuII CAGgCTG Proteus vulgaris noscimento. Nella Tabella 3.2 sono elencati alcuni deSalI GgTCGAC Streptomyces albus G gli enzimi di restrizione più utilizzati. La prima letteTaqI TgCGA Thermus aquaticus ra del nome di questi enzimi deriva dal genere, menXhoI CgTCGAG Xanthomonas holcicola tre la seconda e la terza derivano dalla specie batteria La sequenza di riconoscimento è abbreviata; è indicato un solo ca da cui sono stati ottenuti; seguono poi il sierotipo filamento, scritto nella direzione da 5′ a 3′. Il sito di taglio è o l’indicazione del ceppo del batterio, se ne esistono, rappresentato dalla freccia (g). R e Y indicano, rispettivamente, un e un numero romano se il procariote contiene più di nucleotide purinico e uno pirimidinico. un tipo di enzima di restrizione. Per esempio, EcoRI Fonte: Roberts, R. J., Macelis, D. REBASE (la banca dati degli enzimi di restrizione), http://rebase.neb.com. è prodotto dal ceppo RY13 di E. coli.

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Nucleotidi, acidi nucleici e informazioni genetiche

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È interessante notare che gran parte delle endonucleasi di restrizione di tipo II riconosce e taglia sequenze di DNA palindromiche. Un palindromo è una parola o un’espressione che può essere letta in un senso o nell’altro; in lingua inglese due esempi sono “refer” e “Madam, I’m Adam”. In un segmento di DNA palindromico, la sequenza di nucleotidi è la stessa su ciascun filamento e si dice che tale tratto presenta una simmetria doppia (Figura 3.15). Quasi tutti gli enzimi di restrizione tagliano le due catene di DNA a livello di posizioni sfalsate, dando origine a frammenti provvisti di estensioni complementari a singolo filamento. I frammenti di restrizione che presentano questo tipo di estremità coesive possono associarsi, mediante appaiamento delle basi, ad altri frammenti di restrizione prodotti dallo stesso enzima di restrizione; al contrario, determinate endonucleasi di restrizione scindono i due filamenti di DNA in corrispondenza dell’asse di simmetria, generando frammenti di restrizione con estremità nette (piatte) in cui tutte le basi sono appaiate.

(a) EcoRI

59

39

G . . . C

A A T T . . . . . . . . . . . . T T A A

C . . . G

39

T . . .

C . . .

39

A

G 59

59

Sito di taglio

(b)

EcoRV

59

G . . . C

B L’elettroforesi separa gli acidi nucleici in base alla loro dimensione Il trattamento di una molecola di DNA con una endonucleasi di restrizione produce una serie di frammenti specifici che è possibile separare in base alle loro dimensioni. La metodica che viene usata comunemente per questo scopo è l’elettroforesi su gel. In linea di principio, una molecola carica si sposta in un campo elettrico con una velocità proporzionale alla sua densità di carica complessiva, alla sua dimensione e alla sua forma. Per le molecole che presentano una composizione relativamente omogenea (come per esempio gli acidi nucleici), la forma e la densità di carica sono costanti, e la velocità di migrazione dipende principalmente dalle dimensioni. L’elettroforesi è condotta in una matrice gelatinosa, costituita di solito da agarosio (polimeri di carboidrati che formano un reticolo a maglie poco compatte) o da poliacrilamide (un polimero di sintesi più rigido con legami trasversali). Di norma il gel è mantenuto in posizione da due lastre di vetro (Figura 3.16) o è collocato all’interno di uno stretto tubo capillare (Paragrafo 5.2D). Le molecole da separare sono applicate a un’estremità del gel e migrano attraverso i pori della matrice sotto l’influenza del campo elettrico. Le molecole più piccole si spostano con maggiore rapidità attraverso il gel e quindi, in un dato tempo, migrano più lontano dal punto di origine. Alla fine dell’elettroforesi le molecole che sono state separate possono essere visualizzate nel gel grazie a una tecnica opportuna, come l’aggiunta di un colorante che si lega saldamente al DNA, una marcatura di tipo radioattivo, oppure

Catodo

Campione Pozzetti per i campioni

Ð Tampone

Lastra di vetro Gel

+ Anodo Tampone

39

A . . . T

T . . . A

A . . . T

Doppio asse di simmetria Figura 3.15 I siti di restrizione. Le

sequenze di riconoscimento per le endonucleasi di restrizione di tipo II sono palindromi, cioè sequenze che presentano un doppio asse di simmetria. (a) Sito di riconoscimento per EcoRI, che genera frammenti di DNA con estremità coesive. (b) Sito di riconoscimento per EcoRV, che produce frammenti con estremità piatte.

Figura 3.16 Apparato per elettroforesi su gel. I campioni sono applicati in pozzetti situati nella parte superiore del gel e sottoposti a elettroforesi in corsie parallele. Le molecole cariche negativamente come il DNA migrano attraverso la matrice del gel verso l’anodo in risposta al campo elettrico applicato. Poiché le molecole di dimensioni più piccole si spostano più velocemente, il contenuto di ogni corsia è separato in base alle rispettive dimensioni. Dopo l’elettroforesi è possibile visualizzare i campioni mediante colorazione o fluorescenza.

Che cosa accadrebbe se il campione contenesse molecole cariche positivamente?

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Figura 3.17 Elettroferogramma di prodotti digeriti per restrizione. Il plasmide pAgK84 è stato digerito con (A) BamHI, (B) PstI, (C) BglII, (D) HaeIII, (E) HincII, (F) SacI, (G) XbaI e (H) HpaI. La corsia I contiene il batteriofago λ digerito con HindIII come standard, poiché i frammenti prodotti da questo enzima hanno dimensioni note. I frammenti di restrizione in ogni corsia sono visualizzati mediante fluorescenza su uno sfondo nero. [Slota, J.E., Farrad, S.F. (1982). Plasmid 8, 180. Copyright © 1982 by Academic Press.]

la fluorescenza. In base alle dimensioni del gel e alla metodica di visualizzazione impiegata, con l’elettroforesi su gel è possibile separare campioni contenenti meno di un nanogrammo di materiale e rilevarli. Si possono far correre svariati campioni contemporaneamente; per esempio, i frammenti ottenuti digerendo del DNA con differenti endonucleasi di restrizione possono essere visualizzati l’uno di fianco all’altro (Figura 3.17) e le dimensioni dei vari frammenti possono essere determinate confrontando le mobilità elettroforetiche con quelle di molecole di DNA a lunghezza nota.

C Il metodo tradizionale di sequenziamento del DNA utilizza la tecnica di terminazione della catena In questo paragrafo discuteremo la procedura più utilizzata, fino a pochi anni fa, per sequenziare il DNA, ossia il metodo di sequenziamento mediante terminazione della catena, ideato da Frederick Sanger. La prima tappa consiste nella preparazione di polinucleotidi a filamento singolo; le catene di DNA complementare possono essere separate con il calore, che rompe i legami idrogeno tra le basi. In seguito vengono generati frammenti di polinucleotidi che terminano in posizioni corrispondenti a ciascuno dei quattro nucleotidi; infine questi frammenti sono separati e rilevati.

Questa metodica, nota anche come metodo dei dideossi, utilizza un enzima di E. coli per sintetizzare copie complementari del DNA a singolo filamento da sequenziare. L’enzima è una parte della DNA polimerasi I, uno degli enzimi coinvolti nella replicazione del DNA dei batteri (Paragrafo 25.2A); impiegando il filamento di DNA singolo come stampo, la DNA polimerasi I unisce i quattro deossinucleosidi trifosfato (dNTP), dATP, dCTP, dGTP e dTTP, in una catena polinucleotidica complementare che poi si allunga in direzione 5′ n 3′ (Figura 3.18). La DNA polimerasi copia un filamento stampo.

Stampo

39 p

p

p

p

p

... 59

p

...

p

p

...

p

p

p

p

p

p

...

...

T

C

A

A

A

T

C

DNA polimerasi I

T

C

A

G

T

G ...

...

G

G

...

T

...

G

...

A

...

C ...

...

G

T

C

A

C

A

A

T T

PPi OH p ... 59

p

p

+

OH ppp

OH + ecc.

+

OH p

ppp

p

p

p

+

OH

+ ecc.

ppp

... Primer

39

dCTP

dTTP

Figura 3.18 Funzionamento della DNA polimerasi I. Usando un singolo filamento di DNA come stampo, l’enzima allunga il primer mediante aggiunta sequenziale di nucleotidi complementari; i nucleotidi in entrata si appaiano con le basi del filamento stampo e vengono uniti al filamento polinucleotidico in fase di allungamento nella direzione 5’ n 3’. La reazione catalizzata

dalla polimerasi richiede un gruppo 3’-OH libero sul filamento in crescita; a ogni aggiunta di nucleotidi viene rilasciato pirofosfato (P2O74–; PPi). Elencate i substrati e i prodotti della reazione della DNA polimerasi.

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La DNA polimerasi I può aggiungere deossinucleotidi in successione unicamente all’estremità 3′ di un polinucleotide che è appaiato con il filamento stampo; la replicazione inizia in presenza di un breve polinucleotide (un primer) complementare all’estremità 3′ del DNA stampo, che diventa quindi l’estremità 5′ del nuovo filamento. Se il DNA da sequenziare è un frammento di restrizione, come avviene solitamente, inizia e termina con un sito di restrizione. Il primer può perciò essere una breve sequenza di DNA che possiede la sequenza di tale sito di restrizione. Nella tecnica di sequenziamento mediante terminazione della catena (Figura 3.19), il DNA da sequenziare è incubato con la DNA polimerasi I, un primer opportuno e i quattro dNTP che fungono da substrati (i reagenti nelle reazioni enzimatiche) per la reazione di polimerizzazione. Il componente fondamentale della miscela di reazione è una piccola quantità di un 2′,3′-dideossinucleoside trifosfato (ddNTP), La sintesi del DNA termina dopo basi specifiche.

Base P

P

P

OCH2 O H

H

H

H

H

H

29,39-dideossinucleoside trifosfato

che è privo del gruppo 3′-OH presente nei deossinucleotidi. Quando l’analogo dideossi è incorporato all’interno del polinucleotide in crescita al posto del corrispondente nucleotide normale, l’allungamento della catena si interrompe poiché l’aggiunta del nucleotide successivo richiede un gruppo 3′-OH libero. Usando una piccola quantità di ddNTP, si genera una serie di catene troncate, ciascuna delle quali finisce con l’analogo dideossi in una delle posizioni oc39 Stampo: Primer o innesco: 59

59

CCGGTAGCAACT GG 39

DNA polimerasi

dATP + dCTP + dGTP + dTTP + ddATP + ddCTP + ddGTP + ddTTP GGCCATCGTTGA GGCCATCGTTG GGCCATCGTT GGCCATCGT GGCCATCG GGCCATC GGCCAT GGCCA GGCC GGC

Migrazione del DNA

Laser

Segmenti di DNA marcati con colorante

I segmenti di DNA marcati con un colorante vengono sottoposti a elettroforesi in un capillare contenente un gel

Rivelatore

Figura 3.19 Il metodo di sequenziamento del DNA mediante terminazione della catena (o dei dideossi). Le miscele di reazione comprendono il DNA a singolo filamento da sequenziare (lo stampo), un primer, i quattro deossinucleosidi trifosfato (rappresentati come dATP, ecc.) e uno dei quattro dideossinucleosidi trifosfato (ddATP, ecc.). L’estensione del primer, grazie all’azione della DNA polimerasi, genera tratti di DNA che terminano quando viene aggiunto un dideossinucleotide. Il risultato è la produzione di un insieme di frammenti di DNA che differiscono gli uni dagli altri per un solo nucleotide. L’elettroforesi su gel nel tubo capillare separa poi i vari frammenti in base alla loro dimensione. Nel momento in cui ogni polinucleotide passa all’interno del rivelatore, il suo nucleotide 3’-terminale viene identificato a seconda della propria emissione fluorescente quando è stimolato dalla luce laser incidente.

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AG T T C T AG AG C G GC C GCC AC CG CGGTGGNAG C T C C AGC T T T T G T T CCC T T T A GT G A GGG TT AA T T T C G A G C T T G G CGT A A T C A T G G T C A T AG C T G T T T C 0 110 120 130 140 150 160 170 180 190

CC T G T G T G A A AT T G T T A T C C G CT C A C A A T T CC A C A C A A C A T A C G A G C C G G A A G C A T A A A G T G T A A A G C C T G G G G T G C C T A A T G A G T G A G C T 200 210 220 230 240 250 260 270 280 2

Figura 3.20 Dati di sequenziamento

del DNA. Ognuna delle quattro curve colorate rappresenta il profilo elettroforetico dei frammenti contenenti uno dei dideossinucleotidi: il verde, il rosso, il nero e il blu corrispondono ai frammenti che terminano rispettivamente con ddATP, ddTTP, ddGTP e ddCTP. La base 3’-terminale di ogni oligonucleotide è identificata per mezzo della fluorescenza della sua banda di gel ed è indicata da una singola lettera (A, T, G o C); questa porzione di lettura corrisponde ai nucleotidi da 100 a 290 del frammento di DNA che viene sequenziato. [Per gentile concessione di Mark Adams, The Institute for Genomic Research, Rockville, Maryland.]

Figura 3.21 L’ordine dei frammenti

sequenziati nel loro DNA di origine è determinato dall’abbinamento delle sequenze di frammenti sovrapposti. Quindi, l’estremità 3’ del frammento 1 è identica all’estremità 5’ del frammento 2, la cui estremità 3’ è identica all’estremità 5’ del frammento 3 e così via.

cupate dalla base corrispondente. Ogni ddNTP è caratterizzato da un’“etichetta” fluorescente diversa, in modo che i prodotti della reazione della polimerasi possano essere facilmente individuati. L’elettroforesi su gel separa i segmenti di DNA neosintetizzati che differiscono tra loro per un solo nucleotide. In tal modo la sequenza del filamento replicato può essere letta direttamente sul gel. Si tenga però in considerazione che la sequenza ottenuta grazie al metodo di terminazione della catena è complementare al filamento di DNA che si sta sequenziando. Gli strumenti di sequenziamento più avanzati che utilizzano il metodo di terminazione della catena identificano ogni segmento di DNA nel momento in cui esso fuoriesce dal tubo capillare in cui ha luogo l’elettroforesi. Così facendo, i dati ottenuti si presentano come una serie di picchi (Figura 3.20). Poiché sia la preparazione del campione sia l’analisi dei dati sono ormai completamente automatizzate, si possono ottenere sequenze di DNA (chiamate “letture”, reads) lunghe fino a 1000 nucleotidi partendo da una sola miscela di reazione iniziale prima che errori cumulativi riducano l’identificazione della base a livelli inaccettabili. In quasi tutti i sistemi più avanzati il gel di separazione è contenuto in una serie di tubi capillari, il cui numero può arrivare a 384; quindi questi apparati sono in grado di sequenziare simultaneamente fino a 384 segmenti di DNA. Le numerose letture che sono state sequenziate devono essere disposte in un ordine corretto per formare il filamento molto più lungo di DNA da cui sono state originate. Ciò si ottiene mediante la sovrapposizione delle letture di sequenze, come è indicato schematicamente nella Figura 3.21. I gruppi di frammenti di DNA sovrapposti sono generati tagliando il DNA separatamente con almeno due endonucleasi di restrizione che hanno sequenze bersaglio differenti. In alternativa, i frammenti possono essere generati sottoponendo una soluzione del DNA a doppio filamento a onde sonore ad alta frequenza, un processo chiamato sonicazione, che rompe meccanicamente il DNA in corrispondenza di siti casuali. Anche per cromosomi relativamente piccoli (il genoma di E. coli ha 4600 kb; un cromosoma umano medio ha 125 000 kb), l’ordinamento delle letture è un processo computazionale molto impegnativo. Inoltre, il metodo di terminazione della catena ha un tasso di errore di circa lo 0,1% (che porterebbe a circa 125 000 errori in un cromosoma di 125 000 kb). Per ridurre al minimo questi errori, il DNA deve essere sequenziato indipendentemente molte volte, normalmente ripetendo il processo almeno dieci volte.

DNA intatto

59–ACTCGGAGTAACGCTATGAAGCATTCGCATTTGTCGAGTCT–39 ACTCGGAGTAACG Frammento 1 TAACGCTATGAAGCATT Frammento 2 AGCATTCGCATTTG Frammento 3 ATTCGCATTTGTCGAGTCT Frammento 4

CAPITOLO 3 © 978-88-08-42096-1

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D Le tecnologie di sequenziamento di nuova generazione sono a elevato parallelismo L’importanza delle informazioni contenute nella sequenza del DNA, in particolare l’enorme quantità di dati ottenuta sequenziando genomi interi, ha favorito lo sviluppo di tecnologie di sequenziamento di nuova generazione, che rappresentano un buon compromesso tra costi, velocità e accuratezza. Come il metodo di terminazione della catena, molti dei metodi più nuovi sfruttano la capacità del filamento di DNA di dirigere la sintesi di una sua copia complementare (una procedura nota come sequenziamento per sintesi). In aggiunta, questi metodi possono determinare simultaneamente da centinaia di migliaia a miliardi di letture diverse; cioè portano avanti reazioni di sequenziamento a elevato parallelismo. Di seguito sono descritte due delle diverse tecnologie di sequenziamento oggi in uso. Nel pirosequenziamento (che utilizza una strumentazione prodotta da 454 Life Science, Inc, e conosciuta quindi anche come sequenziamento 454) i frammenti di DNA da sequenziare vengono immobilizzati sulla superficie di microscopiche sferette di plastica in condizioni di diluizione tale che non più di una singola molecola di DNA sia attaccata a una singola sferetta. Il DNA di ciascuna sferetta è poi replicato (amplificato) molte volte mediante una variante del processo descritto nel Paragrafo 3.5C, e le sferette si depositano nei pozzetti di una piastra in fibra ottica che può contenere una sola sferetta per pozzetto. Ai campioni vengono poi aggiunti un primer e la DNA polimerasi, dopodiché viene introdotto un dNTP substrato. Se la DNA polimerasi aggiunge quel determinato nucleotide al nuovo filamento di DNA, viene rilasciato pirofosfato (PPi) innescando una reazione chimica che coinvolge l’enzima delle lucciole luciferasi, che a sua volta produce un lampo di luce. Le soluzioni contenenti ognuno dei quattro dNTP vengono successivamente aggiunte allo stampo di DNA immobilizzato e un rivelatore registra se si ha produzione di luce in presenza di quel particolare dNTP. Ripetendo molte volte questo processo è possibile dedurre la sequenza di nucleotidi complementare al filamento stampo. Il pirosequenziamento è in grado di effettuare accuratamente letture fino a 700 nucleotidi, quindi più corte delle sequenze rivelate dal metodo di sequenziamento mediante terminazione della catena. Ogni piastra in fibra ottica contiene numerosi pozzetti, quindi possono essere sequenziati simultaneamente circa un milione di filamenti stampo. Di conseguenza, il sistema del pirosequenziamento è circa 1000 volte più veloce dei più avanzati metodi di sequenziamento mediante terminazione della catena. Il metodo di sequenziamento Illumina (che usa una strumentazione prodotta da Illumina, Inc.) è un altro sisema di sequenziamento per sintesi, in cui numerosi segmenti di DNA sono attaccati su un vetrino e amplificati sul posto per formare gruppi di milioni di molecole di DNA identiche. Per determinare le loro sequenze, viene aggiunta al vetrino una soluzione contenente i quattro dNTP, ognuno legato a un gruppo fluorescente diverso e bloccato chimicamente in posizione 39, in modo che a ogni filamento primer venga aggiunto dalla DNA polimerasi un solo nucleotide. I dNTP che non hanno reagito vengono rimossi mediante lavaggio, i gruppi fluorescenti che sono legati ai filamenti primer vengono eccitati da un laser e identificati in base al loro colore di fluorescenza da una fotocamera digitale (Figura 3.22). I gruppi fluorescenti bloccati in posizione 39 sono poi rimossi chimicamente e viene ripetuto il ciclo di sintesi e identificazione. Il sistema Illumina può determinare accuratamente sequenze da 30 a 300 nucleotidi, molto più corte di quelle dei metodi di terminazione della catena e di pirosequenziamento, ma può determinare fino a 3 miliardi di letture per volta. Molte altre tecnologie di sequenziamento del DNA ad alta efficienza sono già in uso o in via di sviluppo. Forse i metodi più interessanti sono quelli in cui

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Figura 3.22 Diagramma schematico

di sei cicli successivi con lo strumento di sequenziamento Illumina. I derivati di ciascun differente nucleotide (C, A, T e G) emettono ognuno una fluorescenza di colore diverso. [Ristampato con autorizzazione da Macmillan Publishers Ltd: Nature Review Genetics, Vol 11, Num 1, 31-46, Copyright (2009)]

Ciclo 1

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Ciclo 2

Ciclo 3

C

A

T

G

Ciclo 4

Ciclo 5

Ciclo 6

In alto: CATCGT In basso: TCAGCT

un singolo filamento di DNA viene fatto passare tramite elettroforesi attraverso dei nanopori (pori delle dimensioni di una molecola) di una membrana, e la sua sequenza è rivelata dalle piccole variazioni delle proprietà elettriche dei pori quando vengono attraversati dalle diverse basi. Questa tecnica a singola molecola, se condotta in modo sufficientemente affidabile, potrebbe rivelare la sequenza di un filamento di DNA in pochi secondi o minuti (invece delle ore o giorni necessari con i metodi precedenti). Inoltre, non richiederebbe di amplificare il DNA prima del sequenziamento, eliminerebbe la necessità di enzimi e reagenti costosi, e le sue lunghe letture ridurrebbero molto gli sforzi computazionali necessari per assemblare le varie sequenze nei cromosomi. Tutti i risultati ottenuti con i progetti di sequenziamento, siano essi di grande o di piccola entità, vengono conservati in banche dati accessibili in Internet, come GenBank (vedi i Progetti bioinformatici 1). A metà del 2015 erano stati raccolti oltre 450 milioni di sequenze contenenti circa 1,2 trilioni di nucleotidi, e questi numeri raddoppiano circa ogni 18 mesi. Il sequenziamento degli acidi nucleici è divenuto un procedimento di routine, in quanto la determinazione diretta della sequenza amminoacidica di una proteina (Paragrafo 5.3) richiede molto più tempo rispetto alla deduzione della sequenza in basi del suo gene. Il sequenziamento degli acidi nucleici è quindi fondamentale per lo studio dei geni i cui prodotti non sono ancora stati identificati; se è possibile sequenziare il gene, la probabile funzione del prodotto proteico da esso codificato può essere dedotta confrontando la sequenza di basi con quelle di geni i cui prodotti sono già stati caratterizzati (vedi la Scheda 3.1). Le sequenze nucleotidiche sono conservate nei database.

E Sono stati sequenziati interi genomi Con le nuove tecniche di sequenziamento su larga scala è stato possibile realizzare il sogno di sequenziare interi genomi. Il principale ostacolo tecnico per ottenere queste informazioni non è rappresentato dal sequenziamento del DNA stesso, ma piuttosto dal disporre le decine di migliaia di segmenti sequenziati nel corretto ordine sul cromosoma. A tal fine era necessario lo sviluppo di protocolli di sequenziamento automatizzato e di sofisticati algoritmi matematici informatici. La prima sequenza genomica completa determinata, quella del batterio Haemophilus influenzae, fu riportata nel 1995 da Craig Venter, mentre intorno alla metà del 2015 sono state rese note le sequenze complessive dei genomi di oltre 33 000 procarioti (e molte di più erano quelle in corso di determinazione) e le sequenze di oltre 2200 eucarioti, compresi uomo, animali, piante, funghi, patogeni umani e organismi utilizzati in laboratorio (Tabella 3.3). Sono stati sequenziati anche i genomi di diversi organismi estinti, incluso l’uomo di Neanderthal, il nostro parente più stretto, e del mammut dal pelo lungo.

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SCHEDA 3.1

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LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA

Francis Collins e il gene della fibrosi cistica Francis S. Collins (1950-) Intorno alla metà del XX secolo erano state comprese le basi molecolari di svariate patologie umane. Per esempio, si sapeva che l’anemia falciforme (Paragrafo 7.1E) era provocata da una forma anormale della proteina emoglobina e, alla fine, ricerche condotte sull’emoglobina falciforme svelarono il difetto genetico di base, una mutazione nel gene di tale proteina. Si ritenne perciò possibile ricondurre altre malattie a geni alterati. Per numerose affezioni genetiche, persino quelle con sintomi ben caratterizzati, non era stata però ancora identificata alcuna molecola proteica anormale. Uno di tali esempi era la fibrosi cistica, contraddistinta in primo luogo dalla secrezione di muco denso che ostruisce le via aeree e crea un ambiente ideale per la crescita dei batteri. La fibrosi cistica rappresenta una malattia ereditaria piuttosto comune nelle etnie dell’Europa settentrionale (colpisce circa un neonato su 2500) e conduce al decesso prima del raggiungimento dell’età adulta a causa di danni irreversibili a livello polmonare. Si presumeva che l’identificazione del difetto molecolare avrebbe portato a una migliore comprensione della malattia e alla possibilità di attuare terapie più efficaci. A questo punto entra in gioco Francis Collins, il quale iniziò la propria carriera vincendo un dottorato in chimica fisica, ma poi si iscrisse alla facoltà di medicina e fu uno degli artefici della rivoluzione della biologia molecolare. In qualità di medico-scienziato, egli sviluppò metodiche atte ad analizzare lunghi tratti di DNA allo scopo di allocare direttamente specifici geni, compreso quello che, quando è mutato, causa la fibrosi cistica. Analizzando l’acido deossiribonucleico di individui affetti dalla malattia (i quali presentavano due copie del gene difettoso) e di loro familiari che erano portatori asintomatici (cioè con una copia del gene normale e una difettosa), Collins e i suoi collaboratori identificarono la

posizione del gene responsabile della fibrosi cistica sul braccio lungo del cromosoma 7. Il gruppo di ricercatori circoscrisse gradualmente un segmento di DNA che sembra essere presente in un certo numero di specie di mammifero, il che indica che tale frammento contiene un gene essenziale. Il gene per la fibrosi cistica fu infine identificato nel 1989: Collins aveva dimostrato che era possibile identificare un difetto genetico in assenza di altre informazioni molecolari. Una volta individuato il gene, fu relativamente semplice dedurre la probabile struttura e funzione della proteina da esso codificata: un canale di membrana per gli ioni cloruro. Quando funziona normalmente, la proteina agevola la regolazione della composizione ionica e della viscosità delle secrezioni extracellulari. La scoperta del gene per la fibrosi cistica rese altresì possibile elaborare dei test rivolti all’identificazione dei portatori, in modo che questi potessero avvalersi della consulenza genetica. Nel corso di tutto il suo lavoro sul gene della fibrosi cistica e anche durante successive ricerche mirate alla scoperta dei geni che determinano la neurofibromatosi e la corea di Huntington, Collins si è sempre preoccupato delle implicazioni etiche connesse con la nuova scienza della genetica molecolare, ritenendo fondamentale l’obbligo della riservatezza sulle informazioni genetiche, pur riconoscendo contestualmente il potenziale utilizzo terapeutico di tali dati. Durante la sua permanenza alla carica di direttore del Progetto genoma umano, Collins si è impegnato a rendere liberamente e prontamente accessibili i risultati, ritenendo che ne debbano usufruire sia i ricercatori sia le persone che potrebbero trarre beneficio da terapie innovative fondate sulla genetica molecolare. Attualmente è direttore del National Institute of Health (NIH). Riordan, J.R., Rommens, J. M., Kerem, B.-S., Alon, N., Rozmahel, R., Grzelczak, Z., Zielenski, J., Lok, S., Plavsic, N., Chou, J.-L., Drumm, M.L., Iannuzzi, M.C., Collins, F.S., Tsui, L.-C. (1989). Identification of the cystic fibrosis gene: Cloning and characterization of complementary DNA, Science, 245, 1066-1073.

Nel sequenziamento metagenomico, le sequenze di DNA di diversi organismi vengono analizzate come se fossero un unico gruppo di dati. Questo tipo di approccio viene solitamente utilizzato per caratterizzare comunità microbiche molto complesse, come quelle presenti nell’ambiente marino, nel terreno, e nell’apparato digerente degli animali. Molte delle specie di queste comunità non possono essere coltivate e sequenziate singolarmente (si stima che solo l’1% circa dei microrganismi esistenti sia stato coltivato in laboratorio). I dati provenienti dalle sequenze metagenomiche indicano il numero di geni totali e forniscono una stima sulle capacità metaboliche collettive della comunità. Con l’analisi metagenomica dei microrganismi che colonizzano l’intestino umano sono stati identificati, per esempio, oltre tre milioni di geni, che rappresentano circa 1000 specie batteriche. Il cosiddetto microbioma, che di norma è composto da circa 100 trilioni di cellule (molte di più di quelle che costituiscono l’intero corpo umano) favorisce la digestione in quanto scompone alcuni carboidrati che l’uomo altrimenti non sarebbe in grado di digerire, fornisce alcune vitamine, e promuove lo sviluppo del sistema immunitario. Nonostante la maggior parte degli individui abbia in comune un totale di circa 60 tipi di microrganismi intestinali, sembra che le differenze siano legate in modo significativo ad alcune variabili metaboliche come la massa corporea. Microbiomi intestinali atipici sono anche associati ad alcune malattie, come le malattie infiammatorie intestinali.

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TABELLA 3.3 Alcuni dei genomi sequenziati

Organismo Mycoplasma genitalium (parassita umano)

Dimensioni del genoma (kb)

Numero di cromosomi

580

1

Rickettsia prowazekii (presunta relazione con i mitocondri)

1112

1

Haemophilus influenzae (patogeno umano)

1830

1

Escherichia coli (simbionte umano)

4639

1

Saccharomyces cerevisiae (lievito per panificazione)

12 070

16

Plasmodium falciparum (protozoo responsabile della malaria)

23 000

14

Caenorhabditis elegans (nematode)

97 000

6

Arabidopsis thaliana (pianta dicotiledone)

119 200

5

Drosophila melanogaster (moscerino della frutta)

180 000

4

Oryza sativa (riso)

389 000

12

Danio rerio (pesce zebra)

1 700 000

25

Gallus gallus (pollo)

1 200 000

40

Mus musculus (topo)

2 500 000

20

Homo sapiens

3 038 000

23

Qual è la relazione, se esiste, tra la dimensione del genoma e il numero dei cromosomi?

Il genoma umano contiene un numero relativamente piccolo di geni. La deter-

minazione della sequenza del genoma umano, composto da circa tre miliardi di nucleotidi, è stata un’impresa titanica, che ha coinvolto centinaia di scienziati suddivisi in due gruppi di lavoro, uno guidato da Venter e l’altro da Francis Collins (Scheda 3.1), Eric Lander e John Sulston ed è costata 300 milioni di dollari. Dopo tredici anni di intensi sforzi, all’inizio del 2001 è stata ottenuta una “prima bozza” della sequenza del genoma umano, mentre quella “definitiva”, che copriva circa il 99% dell’intero genoma, è stata resa nota nel 2004. Questo straordinario risultato può rivoluzionare il modo di considerare e mettere in pratica la biochimica e la medicina, anche se potranno servire ancora molti anni per comprendere appieno il significato di queste scoperte. Si possono ugualmente trarre alcune importanti considerazioni, come quelle indicate di seguito.

1. 2. 3. 4.

Circa la metà del genoma umano è costituita da vari tipi di sequenze ripetute. Fino all’80% del genoma può essere trascritto in RNA. Solo l’1,2% del genoma codifica proteine. Il genoma umano sembra contenere circa 21 000 geni che codificano proteine, conosciuti anche come schemi di lettura aperti (ORF, open reading frame), invece dei 35 000-140 000 che erano stati in precedenza previsti. Tale numero è in accordo con i circa 6000 ORF del lievito, i circa 13 000 ORF

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della Drosophila, i circa 19 000 ORF del C. elegans e i circa 26 000 ORF dell’Arabidopsis (si tenga però presente che questi valori numerici quasi certamente cambieranno quando avremo migliorato la nostra capacità, al momento imperfetta, di riconoscere gli ORF). 5. Solo una piccola frazione delle proteine umane è tipica dei vertebrati; la maggior parte è presente in molte altre forme di vita, se non in tutte. 6. Due genomi umani scelti a caso differiscono, in media, per un solo nucleotide su 1000; due persone qualsiasi hanno quindi una probabilità superiore al 99,9% di avere identità genetica.

È poco probabile che la superiore complessità degli esseri umani (vertebrati) rispetto agli invertebrati sia dovuta al numero relativamente più alto di ORF codificati dai vertebrati. Le proteine stesse dei vertebrati sono invece più complesse rispetto a quelle degli invertebrati, cioè le proteine dei vertebrati possiedono in genere più domini (moduli) rispetto a quelle degli invertebrati. Questi moduli sono molto spesso espressi selettivamente attraverso splicing alternativo del gene (un processo in cui un dato trascritto genico può essere elaborato in molteplici modi, così da produrre proteine differenti quando viene tradotto; Paragrafo 26.3B). Infatti, numerosi geni dei vertebrati codificano proteine diverse, anche se simili.

F L’evoluzione è il risultato delle mutazioni nelle sequenze Una delle ricadute più rilevanti della tecnologia del sequenziamento degli acidi nucleici riguarda le informazioni che essa rende disponibili circa i meccanismi dell’evoluzione. Le proprietà chimiche e fisiche del DNA, come per esempio la sua forma tridimensionale regolare e il processo della replicazione, possono dare l’impressione che i dati genetici siano relativamente statici. In realtà il DNA è una molecola dinamica, soggetta a mutamenti che alterano le informazioni genetiche. Per esempio, l’errato appaiamento delle basi nel corso della replicazione introduce nei filamenti figli errori noti come mutazioni puntiformi. Le mutazioni possono anche insorgere nel DNA per effetto di agenti chimici o di radiazioni. Alterazioni più estese delle informazioni genetiche sono causate da difetti nella ricombinazione (lo scambio di DNA tra cromosomi) e dalla trasposizione di geni internamente a un cromosoma o tra cromosomi e, in determinati casi, da un organismo all’altro. Tutti questi cambiamenti apportati all’acido deossiribonucleico costituiscono la base della selezione naturale. Quando un gene mutato è trascritto e l’RNA messaggero è successivamente tradotto, la proteina che ne risulta può possedere nuove proprietà che conferiscono un certo vantaggio all’individuo. Dato che si trasmette da una generazione alla successiva, un cambiamento benefico entra a far parte della normale costituzione genetica della specie; ovviamente, con l’evoluzione di quella specie si verificano molte variazioni, e non tutte semplici o graduali. Le relazioni filogenetiche possono essere rilevate confrontando le sequenze di geni analoghi in organismi diversi: il numero di differenze nucleotidiche tra geni corrispondenti in due specie fornisce un’indicazione approssimativa del loro grado di divergenza nell’arco del processo evolutivo. La suddivisione dei procarioti in archea e batteri (Paragrafo 1.2C) in base alle sequenze di rRNA presenti in tutti gli organismi è un risultato di queste analisi. Il sequenziamento degli acidi nucleici rivela inoltre che specie differenti per fenotipo (per caratteristiche fisiche) mostrano nondimeno spiccate analogie a livello molecolare. Per esempio, l’uomo ha in comune con lo scimpanzé circa il 99% del suo DNA; studi condotti sul granoturco (o mais) e sul suo presunto progenitore, il teosinto, indicano che tali piante differiscono unicamente per alcuni geni che dirigono lo sviluppo dei chicchi (quelli di teosinto sono racchiusi in un rivestimento non commestibile, Figura 3.23).

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Figura 3.23 Il mais e il teosinto. Nonostante le considerevoli differenze di fenotipo, dal momento che il mais (in basso) possiede centinaia di chicchi che si possono mangiare, mentre il teosinto (in alto) ne ha solo pochi e non commestibili, le due piante si differenziano solo per un basso numero di geni. Si ritiene che il progenitore del mais fosse una forma mutante del teosinto in cui i chicchi erano più esposti. [(In alto) Per gentile concessione di John Doebley, University of Winsconsin; (in basso) Marek Mnich/Stockphoto.]

Piccole mutazioni nel DNA sono responsabili di salti evolutivi piuttosto considerevoli; ciò forse non sorprende più di tanto se si tiene conto della natura delle informazioni genetiche. Una mutazione in un segmento genico che non codifica proteine potrebbe interferire con il legame di fattori cellulari che influenzano la sequenza temporale del processo di trascrizione, mentre una mutazione in un gene che codifica un RNA potrebbe ostacolare il legame di fattori che influenzano l’efficienza della traduzione. Un riordinamento scarsamente rilevante di geni potrebbe interrompere un certo processo evolutivo, portando alla comparsa di una nuova specie. Nonostante l’elevata probabilità che la gran parte dei mutamenti improvvisi possa condurre a una diminuzione delle capacità individuali o all’impossibilità di riprodursi, i risultati di queste alterazioni repentine nelle informazioni genetiche si possono riscontrare nei reperti fossili. Queste discontinuità, determinate verosimilmente da rapidi cambiamenti genetici, hanno dato in passato sostegno alle tesi avverse alla teoria di Charles Darwin sull’evoluzione mediante selezione naturale. Le variazioni delle sequenze possono essere collegate a patologie umane.

A oggi circa 5000 mutazioni sono state collegate a diverse forme di patologie, note come malattie monogenetiche, quali la fibrosi cistica (vedi la Scheda 3.1); si tratta comunque di malattie abbastanza rare. La maggior parte delle patologie ha origine da interazioni tra diversi geni e da fattori ambientali. Gli scienziati sperano però che la genomica possa portare a una migliore comprensione di come l’informazione genetica influisca sulla salute e sulla suscettibilità ad ammalarsi. Hanno avuto particolare successo due aree di studio: gli screening dei neonati per le malattie genetiche curabili e l’identificazione di individui adulti portatori di una malattia genetica recessiva, cioè di coloro che hanno un fenotipo normale ma sono portatori di una copia del gene difettoso che può essere trasmesso ai figli. Sono attualmente disponibili diversi test clinici per identificare alcune centinaia di questi singoli difetti genici (Tabella 3.4). Alcuni risultati preliminari indicano che man mano che cresce il numero di genitori che divengono consapevoli del loro stato di portatori sani, nascono meno bambini malati. Le tecnologie di sequenziamento di nuova generazione hanno reso possibile sequenziare un genoma umano completo in pochi giorni al costo di circa 1000 dollari, somme che ci si aspetta possano ridursi notevolmente nei prossimi anni. In ogni caso, le sequenze di 50-300 nucleotidi generate dal sistema di sequenziamento Illumina sono troppo corte per poter essere messe in ordine in modo preciso all’interno dei cromosomi. Piuttosto, confrontando queste sequenze relativamente corte con un genoma umano di sequenza nota, un processo chiamato risequenziamento, si possono determinare facilmente le differenze di sequenza fra i cromosomi di individui diversi. Questo ha reso possibile sequenzia-

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TABELLA 3.4 Alcune malattie genetiche diagnosticabili con test di screening

Patologia

Sintomi

Atassia telangiectasia

Perdita del controllo motorio, immunodeficienza, accresciuto rischio di insorgenza del cancro

Beta talassemia

Grave anemia, crescita rallentata

Galattosemia

Disabilità mentale, danni agli organi

Malattia di Niemann-Pick

Perdita delle abilità motorie e intellettuali, accumulo di lipidi

Malattia di Tay-Sachs

Perdita delle abilità motorie e intellettuali, morte intorno ai 3 anni

Malattia di Usher

Sordità e perdita progressiva della vista

Cancro al seno, all’ovaio, alla prostata

Proliferazione incontrollata delle cellule tumorali

re completamente, entro la metà del 2015, decine di migliaia di genomi umani, e questo numero sta crescendo rapidamente. Molte delle differenze tra i vari genomi umani sono dovute a polimorfismi di singolo nucleotide (SNPs, pronunciato “snips”, in cui la sequenza di DNA differisce fra gli individui per una singola posizione nucleotidica). Tuttavia, si verificano anche inserzioni e delezioni di singoli nucleotidi o di brevi sequenze di DNA. Sono stati catalogati circa 10 milioni di SNP. Grazie a studi condotti su migliaia di soggetti normali o con alcune complesse patologie, come il cancro e il diabete di tipo 2, i ricercatori sono riusciti a identificare molti SNP associati all’aumento del rischio di incidenza di tali condizioni patologiche. La sfida futura consiste nel fatto che ogni variante genetica associata a una patologia solitamente accresce il fattore di rischio per quella malattia solo in una percentuale limitata di persone, quindi la probabilità individuale di sviluppare una particolare patologia sembra essere più simile a una funzione complicata ricca di variabili. Inoltre, è stata identificata solo una piccola percentuale dei fattori di rischio (si stima circa il 5-20%) . Quindi, nonostante molte aziende offrano servizi di sequenziamento genomico individuale, fino al momento in cui l’informazione genetica potrà realmente essere tradotta in un’effettiva prevenzione delle malattie il riscontro pratico della “genomica personale” è abbastanza limitato. Oltre ad avere ampliato enormemente la nostra conoscenza della biologia umana e dei processi patologici, il confronto di numerose sequenze genomiche umane ha fornito dati senza precedenti sull’evoluzione degli essere umani e sulle loro migrazioni. Per esempio, i neandertaliani erano una sottospecie di ominidi che viveva in Europa e nel Medio Oriente e si sono estinti circa 40 000 anni fa. I frammenti di DNA ricavati dalle loro ossa hanno permesso a Svante Pääbo di determinare la sequenza del loro genoma. Si è scoperto che i genomi degli attuali europei e asiatici, ma non degli africani, hanno circa l’1-4% di DNA uguale a quello dell’uomo di Neanderthal, che geneticamente equivale grosso modo ad avere un bis-bis-bis-nonno neandertaliano. Sembra che gli attuali esseri umani siano migrati dall’Africa verso il Medio Oriente per popolare il resto del mondo (i resti fossili indicano che i neandertaliani hanno occupato l’Europa e il Medio Oriente almeno 230 000 anni fa, mentre gli esseri umani attuali sono migrati dall’Africa circa 100 000 anni fa). Nel 2010, le analisi genomiche di un osso di dito di 41 000 anni trovato nella grotta di Denisova in Siberia hanno rivelato l’esistenza di una seconda sottospecie di ominidi estinti, che sono stati chiamati Denisoviani. Anche questi ominidi si sono incrociati con gli attuali esseri umani, sebbene, curiosamente, solo con gli antenati delle popolazioni che attualmente occupano le isole del Sudest asiatico e l’Oceania.

PUNTO DI VERIFICA

• Spiegate come fanno gli enzimi di restrizione a generare sia estremità adesive sia estremità tronche.

• Perché i frammenti più piccoli di DNA migrano più lontano durante le corse elettroforetiche?

• Elencate tutti i componenti della miscela di reazione utilizzata per il metodo di sequenziamento del DNA dei dideossi e indicate le loro funzioni.

• Descrivete la metodologia alla base delle tecnologie di sequenziamento di nuova generazione.

• Riassumete le informazioni conosciute sulla dimensione e sul contenuto genico del genoma umano.

• Spiegate perché l’evoluzione è il risultato delle mutazioni a carico del DNA.

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5 La manipolazione del DNA CONCETTI CHIAVE

• I segmenti di DNA possono essere clonati o riprodotti in un organismo ospite. • Una libreria di DNA è una raccolta di porzioni clonate di DNA che può essere sottoposta a screening alla ricerca di un singolo gene.

• La reazione a catena della polimerasi amplifica un segmento di DNA sintetizzando ripetutamente filamenti complementari.

• La tecnologia del DNA ricombinante può essere utilizzata per manipolare geni per l’espressione di proteine o per la produzione di organismi transgenici.

Le tecniche per manipolare il DNA in vitro e in vivo (cioè in provetta o nei sistemi viventi), congiuntamente a quelle di sequenziamento degli acidi nucleici, hanno consentito di ottenere progressi straordinari in biochimica, biologia cellulare e genetica. In molti casi questa tecnologia del DNA ricombinante ha reso possibile purificare specifiche sequenze di DNA e prepararle in quantità sufficienti per un’indagine accurata. Prendiamo in considerazione il problema dell’isolamento di un frammento lungo 1000 bp del DNA cromosomico di E. coli. Dieci litri di una coltura cellulare con una densità batterica di circa 1010 cellule ∙ mL−1 contengono solo 0,1 mg circa del DNA di interesse. È praticamente impossibile separare questo frammento dal resto dell’acido deossiribonucleico facendo uso di metodiche di separazione classiche (Paragrafi 5.2 e 24.3). La tecnologia del DNA ricombinante, detta anche clonaggio molecolare o ingegneria genetica, permette di isolare, amplificare e modificare sequenze specifiche di DNA.

A Il DNA clonato è una copia amplificata L’approccio illustrato di seguito viene usato per ottenere e amplificare un segmento di DNA.

1. Viene generato un segmento di DNA delle dimensioni opportune mediante digestione con enzimi di restrizione e successiva PCR (Paragrafo 3.5C) o sintesi chimica. 2. Il frammento è incorporato all’interno di un’altra molecola di DNA nota come vettore, che contiene le sequenze necessarie per dirigere la replicazione del DNA. 3. Il vettore, unitamente al DNA di interesse, è introdotto nelle cellule, dove viene replicato. 4. Le cellule contenenti il DNA desiderato sono identificate o selezionate. Il clonaggio si riferisce alla produzione di un elevato numero di organismi identici, derivati da un unico progenitore. Il termine clone indica un insieme di cellule contenenti il vettore che porta il DNA di interesse oppure lo stesso DNA. In un organismo ospite adatto, per esempio E. coli o il lievito, è possibile produrre grandi quantità del DNA di interesse. Il DNA clonato può essere purificato e sequenziato (Paragrafo 3.4); in alternativa, se un gene clonato è fiancheggiato dalle sequenze di regolazione posizionate in maniera corretta per la sintesi di RNA e di proteine, l’ospite è in grado di produrre anche grandi quantità dell’RNA e delle proteine specificati dal gene. Pertanto il clonaggio fornisce il materiale (acidi nucleici e proteine) per intraprendere nuovi studi e rende disponibile un sistema per indagare l’espressione genica in condizioni controllate. Come vettori di clonaggio si usano i plasmidi, una gamma di piccole molecole di DNA circolare a replicazione autonoma, con una lunghezza compresa tra 1 e 200 kb, contenute nei batteri o nelle cellule di lievito. I plasmidi possono essere considerati parassiti molecolaI vettori di clonaggio trasportano DNA esogeno.

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NdeI, HgiEII ri, ma in molti casi sono utili all’ospite, in quanto mettono a dispoNarI sizione dell’organismo o della cellula nuove funzioni, come EcoO109 AatII BglI la resistenza agli antibiotici, di cui esso è privo. SspI MstI Alcuni tipi di plasmidi sono presenti in una celPvuI lula in un numero molto limitato di copie e si rePvuII 0 lacZ Sito di clonaggio plicano quando viene duplicato anche il croXmnI multiplo mosoma batterico. Tuttavia, quelli utilizzati (o polilinker) ampR per il clonaggio sono presenti in centinaia ScaI di copie per cellula e possono essere indotlacI ti alla replicazione sino a che la cellula non PvuII PvuI pUC18 conterrà 2-3 migliaia di copie (circa la metà AvaII 2000 (2,69 kb) del DNA totale della cellula). I plasmidi costruiti per fini di laboratorio sono relativaMstI Af lIII mente piccoli, si replicano facilmente, conAvaII tengono geni che specificano la resistenza nei 1000 BglI confronti di uno o più antibiotici e un certo numero di siti per endonucleasi di restrizione, localizzati in posizioni opportune, all’interno dei quali è possibile inserire DNA esogeno. I vettori plaHgiEII smidici possono essere impiegati per clonare segmenti di DNA di dimensioni che non superano le 10 kb circa. Il plasmide di E. coli denominato pUC18 (Figura 3.24) è un vettore di clonaggio Figura 3.24 Il plasmide pUC18. rappresentativo (“pUC” significa plasmid-Universal Cloning, plasmide di Come mostrato nel disegno, questo plasmide circolare contiene molteplici clonaggio universale). siti di restrizione, compresa la sequenza Il batteriofago λ (Figura 3.25) rappresenta un vettore di clonaggio alternati- di un sito di clonaggio multiplo (o vo in grado di ospitare inserti di DNA fino a 16 kb. La parte centrale del geno- polilinker) contenente 13 siti di ma fagico (circa un terzo di 48,5 kb totali) non è necessaria per l’infezione e può restrizione che non si osservano in altri punti del plasmide. I tre geni che quindi essere sostituita con DNA esogeno di dimensioni analoghe. Il ricombi- quest’ultimo esprime sono: ampR, che nante (o chimera; dal nome del mostro mitologico con testa di leone, corpo di conferisce resistenza all’antibiotico capra e coda di serpente) così prodotto viene racchiuso all’interno di particelle ampicillina; lacZ, che codifica l’enzima fagiche e può essere inserito nelle cellule ospiti. Un vantaggio insito nell’utilizzo 𝛃-galattosidasi; e lacI, che codifica un fattore preposto al controllo della dei vettori fagici consiste nel fatto che il DNA ricombinante è prodotto facil- trascrizione di lacZ (come descritto nel mente in grandi quantità e in forma purificata. I baculovirus, che infettano le Paragrafo 28.2A). cellule degli insetti, sono impiegati in maniera analoga per il clonaggio in colQuali enzimi di restrizione ture di cellule di insetti. potreste usare per inserire un gene I segmenti di DNA di dimensioni molto maggiori (fino a molte centinaia senza influenzare la resistenza di migliaia di coppie di basi) possono essere clonati in grandi vettori noti come all’ampicillina della cellula ospite? cromosomi artificiali batterici (BAC) o cromosomi artificiali di lievito (YAC). Questi ultimi sono molecole di DNA lineare che contengono tutte le strutture cromosomiche richieste per la normale replicazione e segregazione durante la divisione cellulare di lievito. I BAC che si replicano in E. coli derivano da plasmidi circolari che di norma duplicano lunghe regioni di DNA e sono presenti approssimativamente in una sola copia per cellula (proprietà simili a quelle dei cromosomi veri).

La ligasi unisce due segmenti di DNA. Un segmento di DNA da clonare è ottenuto di solito mediante l’azione di endonucleasi di restrizione. Gran parte di questi enzimi taglia il DNA generando estremità coesive (Paragrafo 3.4A). Come Janet Mertz e Ron Davis dimostrarono per la prima volta nel 1972, un frammento di restrizione può essere inserito in un taglio prodotto in un vettore di clonaggio per mezzo dello stesso enzima di restrizione (Figura 3.26). Le estremità compleFigura 3.25 Il batteriofago 𝛌. Nel corso dell’infezione, il DNA del fago contenuto nella “testa” della particella fagica (il capside) penetra nella cellula batterica, dove viene replicato circa 100 volte e impacchettato per dare origine alla progenie fagica. [Per gentile concessione di Michael Wurtz, Universitët Basel, Svizzera, Science Source Images.]

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mentari dei due DNA si appaiano e lo scheletro zucchero-fosfato è legato covalentemente dall’enzima DNA ligasi. (Una ligasi sintetizzata da un batteriofago è in grado di unire anche frammenti di restrizione a estremità piatte.) Un considerevole vantaggio che si ha dall’impiego di un enzima di restrizione per costruire una molecola di DNA ricombinante è che l’inserto di DNA può in seguito essere asportato in maniera precisa dal vettore clonato tagliandolo con lo stesso enzima di restrizione. La selezione identifica la presenza di un DNA clonato. L’espressione di un plasmide chimerico in una cellula batterica ospite fu dimostrata per la prima volta nel 1973 da Herbert Boyer e Stanley Cohen. Un ospite batterico è in grado di captare un plasmide quando il vettore si stabilisce in via permanente nel batterio ospite (trasformazione) con un’efficienza pari solo allo 0,1% circa. Tuttavia una sola cellula trasformata può moltiplicarsi senza limite, producendo grandi quantità di DNA ricombinante. Le cellule batteriche sono piastrate su un mezzo di crescita semisolido a una densità sufficientemente bassa da poter osservare le singole colonie che traggono origine da una singola cellula. È essenziale selezionare esclusivamente quegli organismi ospiti che sono stati trasformati e che contengono un vettore costruito nella maniera voluta. Nel caso della trasformazione plasmidica è possibile operare la selezione attraverso l’impiego di antibiotici e/o di sostanze cromogeniche (che generano colore). Per esempio, il gene lacZ contenuto nel plasmide pUC18 (vedi la Figura 3.24) codifica l’enzima β-galattosidasi che scinde il composto incolore X-gal generando un prodotto di colore blu: Cl HOCH 2 O

HO H OH

Br

O

N H

H

H

H H

OH

5-Bromo-4-cloro-3-indolil-b-D-galattoside (X-gal) (incolore)

β-galattosidasi

H 2O

HOCH 2

Cl O

HO H OH

H H

Br

1

H

H

HO

OH

OH

b-D-Galattosio

N H 5-Bromo-4-cloro-3-idrossindolo (blu)

Le cellule di E. coli trasformate da un plasmide pUC18 non modificato formano colonie blu, ma se il plasmide contiene un inserto di DNA esogeno nella regione del suo sito di clonaggio multiplo le colonie sono incolori poiché il frammento interrompe la sequenza che codifica la proteina del gene lacZ e non viene sintetizzata β-galattosidasi funzionale. Anche i batteri che non hanno captato alcun plasmide sono incolori a causa dell’assenza di β-galattosidasi, ma queste cellule possono essere eliminate aggiungendo l’antibiotico ampicillina al terreno di crescita (il plasmide comprende il gene ampR, che conferisce resistenza a questo antibiotico). Di conseguenza, solo le cellule trasformate con successo formano colonie incolori in presenza di ampicillina. I geni come ampR sono noti come marcatori di selezione.

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SCHEMA DI PROCESSO

Il vettore di clonaggio e il DNA esogeno sono tagliati con la medesima endonucleasi di restrizione.

Le estremità coesive del vettore e dei frammenti del DNA esogeno si appaiano e vengono unite covalentemente dalla DNA ligasi.

1

2

DNA esogeno

Vettore di clonaggio

Il risultato è un DNA chimerico contenente una porzione del DNA esogeno, inserito all’interno del vettore.

Estremità coesive

DNA chimerico

I vettori derivati da batteriofagi λ geneticamente ingegnerizzati contengono siti di restrizione che fiancheggiano la parte centrale superflua del genoma del fago. Questo segmento può essere sostituito con DNA esogeno, ma il DNA chimerico viene racchiuso nelle particelle fagiche solo se ha una lunghezza compresa tra il 75 e il 105% di quella totale del genoma (48,5 kb) del fago λ (Figura 3.27). Di conseguenza, i vettori del fago λ che non sono stati in grado di acquisire inserti di DNA esogeno non possono propagarsi poiché sono troppo corti per formare particelle fagiche infettive. La produzione di particelle fagiche infettive non consente la formazione di colonie batteriche ma genera una placca, una regione di cellule batteriche lisate, visibili su una piastra di coltura contenente un “tappeto” di batteri ospiti. Il DNA ricombinante, ora amplificato molte volte, può essere recuperato dalle particelle fagiche presenti nella placca.

Figura 3.26 Costruzione di una molecola di DNA ricombinante.

Questo metodo funzionerebbe usando un enzima di restrizione che produce frammenti con estremità piatte?

SCHEMA DI PROCESSO

Non necessario per l’infezione litica

48,5 kb

Fago λ infettivo contenente il frammento di DNA esogeno.

Taglio per mezzo di un enzima di restrizione e separazione dei frammenti. 1

DNA del fago λ ~36 kb

2

3 Impacchettamento in vitro.

DNA chimerico

Figura 3.27 Clonaggio mediante il batteriofago 𝛌.

La rimozione di una porzione non essenziale del genoma del fago consente l’inserimento di un segmento di DNA

Il rimanente DNA del fago λ contiene i geni in grado di causare l’infezione ma ha dimensioni troppo ridotte per essere impacchettato. +

Frammento di DNA esogeno da ~15 kb

Appaiamento e ligazione.

esogeno, che può essere impacchettato all’interno di una particella fagica infettiva unicamente se esso è di dimensioni opportune.

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B Le librerie di DNA sono raccolte di DNA clonati Per poter clonare un particolare frammento di DNA, questo deve essere dapprima ottenuto in forma relativamente pura. Si può valutare la difficoltà a cui si va incontro considerando che, per esempio, un segmento di DNA umano da 1 kb rappresenta solo lo 0,00003% del genoma della nostra specie, composto da 3 miliardi di coppie di basi. Ovviamente il riconoscimento di un particolare frammento di DNA esige un certo grado di conoscenza della sua sequenza nucleotidica o del suo prodotto proteico; in pratica, è più difficile identificare e quindi clonare un particolare segmento di DNA da un organismo, di quanto non sia clonare tutto il DNA dell’essere vivente che potrebbe contenere il DNA di interesse, e poi risalire ai cloni contenenti la sequenza desiderata. Una libreria genomica racchiude tutto il DNA di un organismo. La serie clonata

Ð ESEMPIO DI CALCOLO 3.1

Quanti cloni dovranno essere ottenuti dalla Drosophila per essere sicuri al 99% che essi includano un particolare frammento di 10 kb?

Servitevi dell’equazione 3.2 e della dimensione del genoma della Drosophila riportata nella Tabella 3.3. In questo caso, f = 10 kb/180 000 kb = 5,56 × 10−5. N = log(1 − P)/log(1 − f ) = log(1 − 0,99)/log(1 − 5,56 × 10−5) = −2/(−2,413 × 10−5) = 83 000

di tutti i frammenti di DNA derivanti da un particolare organismo è nota come libreria genomica. Queste particolari raccolte vengono generate per mezzo di una procedura conosciuta come clonaggio shotgun, nel quale il DNA cromosomico di un determinato essere vivente è isolato, tagliato in frammenti di dimensioni che si possono clonare e inserito all’interno di un vettore di clonaggio. Di solito il DNA è frammentato solo parzialmente da una digestione per restrizione e quindi la libreria genomica può includere alcuni geni di tale organismo ancora intatti, compresi quelli che contengono siti di restrizione. Il DNA in soluzione può anche essere tagliato in frammenti di dimensioni casuali mediante sonicazione (Paragrafo 3.4C). Date le dimensioni considerevoli del genoma rispetto ai singoli geni, la metodica di clonaggio shotgun è soggetta alle leggi della probabilità. Il numero di frammenti generati in modo casuale, che devono essere clonati al fine di garantire un’elevata probabilità che una sequenza desiderata sia rappresentata almeno una volta nella libreria genomica, si calcola così: la probabilità P che una serie di cloni N contenga un frammento che costituisce una frazione f, in coppie di basi, del genoma del dato organismo è P = 1 − (1 − f )N

[3.1]

N = log(1 − P)/log(1 − f )

[3.2]

Di conseguenza, Pertanto, per un valore di P = 0,99 per frammenti lunghi in media 10 kb, N è uguale a 2116 per il cromosoma da 4600 kb di E. coli (vedi l’Esempio di calcolo 3.1). L’impiego di librerie genomiche basate su BAC o YAC, con i loro frammenti di lunghezza estesa, riduce perciò notevolmente gli sforzi necessari per ottenere un dato segmento genico a partire da un genoma ampio. Dopo aver identificato un clone, derivato da BAC o YAC, contenente il DNA desiderato (vedi più avanti), il suo lungo inserto di acido deossiribonucleico può essere ulteriormente frammentato e clonato di nuovo (subclonato) al fine di isolare il DNA di interesse. Un genere diverso di libreria di DNA contiene unicamente le sequenze espresse partendo da un particolare tipo cellulare. Questa libreria di cDNA viene costruita isolando tutti gli mRNA della cellula e quindi copiandoli in DNA, sfruttando un tipo specializzato di DNA polimerasi nota come trascrittasi inversa, poiché questa sintetizza DNA da stampi di RNA (Scheda 25.2). Le molecole di DNA complementare (cDNA) sono successivamente inserite all’interno di vettori di clonaggio per generare una libreria di cDNA. Una libreria di cDNA può anche essere utilizzata per costruire un DNA microarray (o DNA chip), in cui ogni diverso cDNA è immobilizzato in una posizione specifica su un vetrino. Un DNA chip Una libreria di cDNA contiene le sequenze espresse.

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Nucleotidi, acidi nucleici e informazioni genetiche

può essere utilizzato per identificare la presenza di mRNA in un campione biologico (se presente, l’mRNA si lega al cDNA complementare; Paragrafo 14.4C). Il DNA che corrisponde all’insieme completo di mRNA di una cellula è conosciuto come esoma (il trascrittoma, invece, corrisponde a tutte le molecole di RNA di una cellula). L’esoma umano rappresenta solo l’1% circa del suo genoma (circa 30 000 kb), ma contiene circa l’85% delle mutazioni che causano malattie. Di conseguenza, sono state sequenziate diverse centinaia di migliaia di esomi umani, principalmente con l’obiettivo di caratterizzare le malattie genetiche. Una volta ottenuto il numero richiesto di cloni, la libreria genomica deve essere analizzata per accertare la presenza del gene desiderato. Questa operazione può essere effettuata grazie a un processo noto come ibridazione di colonie o ibridazione in situ (dal latino in situ, “in posizione”; Figura 3.28). Le colonie di lievito, quelle batteriche o le placche fagiche clonate che devono essere analizzate sono trasferite, mediante piastratura per replica, da una piastra madre a un filtro di nitrocellulosa (la piastratura per replica si usa inoltre per trasferire colonie su piastre contenenti un terreno di crescita differente). In seguito il filtro è trattato con NaOH, che lisa le cellule o i fagi e separa il DNA in filamenti singoli, i quali hanno una tendenza a legarsi alla nitrocellulosa. Il filtro viene quindi asciugato per fissare in posizione il DNA e viene incubato con una sonda marcata, un corto frammento di DNA o di RNA la cui sequenza è complementare a una porzione del DNA di interesse. Dopo aver eliminato mediante lavaggio la sua quota non legata, la presenza della sonda sulla nitrocellulosa è rilevata mediante una tecnica appropriata al marcatore impiegato (per esempio, l’esposizione a una pellicola per raggi X nel caso di una sonda radioattiva, processo noto come autoradiografia, oppure l’illuminazione con una luce a lunghezza d’onda appropriata se la sonda è fluorescente). Solo le colonie o placche contenenti il gene desiderato si legano alla sonda e sono quindi rilevate dalla macchina della sonda. I cloni corrispondenti possono essere poi recuperati dalla piastra madre; impiegando tale metodica, una libreria genomica umana composta di circa un milione di cloni può essere prontamente sottoposta a screening per valutare la presenza di un particolare segmento di DNA. La scelta di una determinata sonda per un gene a sequenza ignota richiede un certo grado di perizia. Si può utilizzare il corrispondente mRNA come una sonda se quest’ultimo è prodotto in quantità sufficienti da poter essere isolato. In alternativa, se si conosce la sequenza amminoacidica della proteina codificata dal gene, la sonda può essere composta da una miscela di oligonucleotidi sintetici complementari a un segmento della sequenza di basi del gene dedotta da quella della proteina. Numerosi geni correlati a malattie sono stati isolati facendo uso di sonde specifiche per marcatori vicini, come per esempio le sequenze di DNA ripetuto, di cui già si conosceva la correlazione con i geni di una data patologia.

SCHEMA DI PROCESSO Supporto Velluto Colonie cresciute sulla piastra madre

Il velluto viene 1 premuto, fatto aderire alla piastra madre e trasferito su un filtro di nitrocellulosa.

In una libreria può essere ricercato il gene di interesse.

Figura 3.28 Ibridazione di colonie (o in situ). Le colonie sono trasferite da una piastra di coltura madre mediante piastratura per replica e i cloni contenenti il DNA di interesse sono identificati grazie alla capacità di legarsi a una sonda specifica; a questo punto il legame è rilevato sovrapponendo al filtro essiccato una pellicola per raggi X. Dal momento che le colonie presenti sulla piastra madre e sul filtro hanno la medesima distribuzione spaziale, è possibile recuperare agevolmente quelle positive.

Filtro di nitrocellulosa

DNA a singolo filamento legato al filtro

2

Il trattamento con NaOH lisa le cellule e separa il DNA nei suoi singoli filamenti.

Appaiamento della sonda 3 marcata, lavaggio ed essiccamento. Sonda marcata

Sonda marcata

DNA di interesse DNA

Autoradiografia e 4 raffronto con la piastra madre. Pellicola per autoradiografia

Le macchie scure rappresentano le colonie contenenti il DNA desiderato.

CAPITOLO 3

76

Nucleotidi, acidi nucleici e informazioni genetiche SCHEMA DI PROCESSO

CICLO 1 DNA duplex bersaglio da cui si parte 3ʹ 5ʹ 5ʹ 3ʹ

Primer (inneschi)





5ʹ 3ʹ

5ʹ 2

Estensione da parte della DNA polimerasi.

5ʹ 3ʹ Filamenti di lunghezza variabile







3ʹ 5ʹ

3ʹ CICLO 2

Primer

Separazione 3 dei frammenti al calore, raffreddamento e appaiamento degli inneschi.







5ʹ 5ʹ

3ʹ 5ʹ





5ʹ 3ʹ

5ʹ dNTP

Figura 3.29 La reazione a catena della polimerasi (PCR). Il numero di filamenti a “lunghezza determinata” raddoppia con ciascun ciclo dopo il secondo. Scegliendo primer specifici per ogni estremità di un gene, è possibile amplificarlo oltre un milione di volte.

Perché per la PCR si utilizza una polimerasi termostabile?

Separazione 1 dei frammenti al calore, raffreddamento e appaiamento dei primer.



dNTP

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4

Estensione da parte della DNA polimerasi.

5ʹ 3ʹ

5ʹ 5ʹ



3ʹ 5ʹ



Filamenti di lunghezza determinata 5ʹ 3ʹ



3ʹ 3ʹ 5ʹ

5ʹ 3ʹ Il ciclo si ripete

C Il DNA è amplificato per mezzo della reazione a catena della polimerasi Sebbene le tecniche di clonaggio molecolare siano indispensabili per la moderna ricerca biochimica, la reazione a catena della polimerasi (PCR) rappresenta sovente una metodica più veloce e comoda per amplificare uno specifico DNA, con la quale si possono amplificare segmenti lunghi sino a 6 kb. La PCR, ideata da Kary Mullis nel 1985, prevede che un campione di DNA sia separato nei filamenti singoli e incubato con DNA polimerasi, dNTP e due oligonucleotidi primer le cui sequenze fiancheggiano il frammento di DNA di interesse; i primer guidano la DNA polimerasi nella sintesi di filamenti complementari del DNA bersaglio (Figura 3.29). Molti cicli di tale processo, ciascuno dei quali raddoppia la quantità del DNA bersaglio, amplificano in modo geometrico l’acido deossiribonucleico partendo persino da un gene in singola copia. Durante ogni ciclo i due filamenti del DNA duplex sono separati per mezzo del calore, poi la miscela di reazione viene raffreddata per permettere ai primer di appaiarsi ai frammenti a essi complementari sul DNA. Successivamente, la DNA polimerasi dirige la sintesi dei filamenti complementari. L’impiego di una DNA polimerasi stabile al calore, come per esempio la Taq polimerasi isolata da Thermus aquaticus, un batterio che vive a 75 °C, consente di non dover aggiungere nuovo enzima a ogni ciclo di riscaldamento (il calore inattiva gran parte degli enzimi). Quindi, in presenza di quantità sufficienti di primer e di dNTP, la PCR è portata avanti variando semplicemente la temperatura in maniera ciclica. Venti cicli di PCR portano a un incremento della quantità della sequenza bersaglio pari a milioni di volte (∼220) con specificità elevata. La reazione a catena della polimerasi è in grado di amplificare un DNA bersaglio presente in singola copia in un campione di 105 cellule. Questo metodo può essere usato senza che il DNA debba essere prima purificato, e l’acido deossiribonucleico amplificato può essere in seguito sequenziato o clonato. L’amplificazione tramite PCR si è trasformata in uno strumento indispensabile: in clinica è impiegata per diagnosticare malattie infettive e rilevare eventi patologici rari, quali per esempio mutazioni che portano allo sviluppo di tumori. In medicina legale il DNA ottenuto da un singolo capello o spermatozoo può essere amplificato mediante PCR per identificarne il donatore (Scheda 3.2). La tradizionale analisi dei gruppi sanguigni ABO richiede una goccia di sangue delle dimensioni di una monetina, mentre per la PCR bastano campioni di fluido biologico grandi come una capocchia di spillo. I tribunali ora considerano le sequenze di DNA come un mezzo atto a identificare le persone in modo inoppugnabile, proprio come nel caso delle impronte digitali, poiché la possibilità che due individui abbiano in comune sequenze di DNA estese è pari di norma a una su un milione o più. In alcune circostanze la PCR ha consentito di cambiare in modo sensazionale il verdetto, determinando il rilascio di persone ritenute in prima istanza colpevoli; alcuni condannati sono stati infatti scarcerati sulla base dei risultati della reazione a catena della polimerasi, che ha consentito di dimostrare la loro innocenza persino molti anni dopo la raccolta delle prove sulla scena del delitto.

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SCHEDA 3.2

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LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

L’“impronta digitale” (fingerprinting) del DNA

Fluorescenza

Unità ripetuta I test forensi sfruttano i cambiamenti o polimorfismi delle Primer sequenze esistenti tra gli individui. AATG AATG AATG AATG AATG AATG AATG AATG TTAC TTAC TTAC TTAC TTAC TTAC TTAC TTAC Molti dei polimorfismi genetici Primer non hanno conseguenze funzionali poiché avvengono in regioni del Primer DNA che contengono diverse AATG AATG AATG AATG AATG AATG AATG AATG AATG ripetizioni ma che non codificano TTAC TTAC TTAC TTAC TTAC TTAC TTAC TTAC TTAC Primer geni. I polimorfismi possono essere utilizzati per tracciare e unità ripetute che va da 13 a 23. La traccia inferiore (in identificare un gene anche se sono situati vicino a un gene rosso) corrisponde al campione che è stato sottoposto al che è coinvolto in una determinata patologia. I moderni test. Questo contiene due alleli: il primo con 16 ripetizioni metodi di fingerprinting del DNA sfruttano queste sequenze e il secondo con 18 ripetizioni. Si possono analizzare ripetitive e non codificanti del DNA presenti nei campioni simultaneamente diversi siti STR tramite l’utilizzo di primer precedentemente amplificati dalla PCR. appropriati e marcando gli stessi con target fluorescenti a Le sequenze di DNA ripetute in coppia sono presenti colorazione differente. nel genoma umano e comprendono le sequenze note Le probabilità che due individui abbiano il fingerprinting come microsatelliti o STR (short tandem repeats sequences) del DNA corrispondente dipende dal numero dei siti STR costituite da quantitativi variabili di segmenti ripetuti di analizzati e dal numero di alleli di ogni sito. Per esempio, se coppie di basi che solitamente vanno da due a sette. I siti una coppia di alleli è presente in un sito con una frequenza STR più conosciuti e utilizzati nell’uso forense contengono del 10% (1/10) all’interno di una popolazione e una coppia ripetizioni tetranucleotidiche. Il numero di ripetizioni a di alleli presente in un secondo sito ha una frequenza livello di ciascun sito del DNA cambia tra i vari individui, del 5% (1/20), la probabilità che le impronte digitali del anche tra membri della stessa famiglia. Ogni diverso numero DNA appartenente a due individui differenti possano di ripetizioni dello stesso sito è chiamato allele e ciascun corrispondere a entrambi i siti è pari a 1 su 200 (1/10 individuo può avere due alleli ricevuti ognuno da uno dei × 1/20), pari cioè alla moltiplicazione delle probabilità due genitori (vedi la figura in alto). di verificarsi che ha ogni singolo evento. Esaminando Dato che la PCR costituisce il primo passo per il processo invece molteplici siti STR, la probabilità di ottenere di analisi del fingerprinting del DNA, è sufficiente avere impronte digitali del DNA tra loro corrispondenti diventa a disposizione per tale procedura una quantità di DNA notevolmente bassa. anche molto bassa, basta che sia pari a circa 1 ng. La regione del DNA contenente l’STR viene amplificata con la PCR utilizzando dei primer complementari a una sola sequenza (non ripetuta) situata attorno alle regioni ripetute. I prodotti amplificati vengono poi separati per elettroforesi e identificati grazie alla presenza sui primer di un bersaglio fluorescente. Un allele STR è sufficientemente piccolo (∼500 bp) da permettere di identificare frammenti di DNA che si differenziano per una ripetizione di quattro basi. La 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 designazione di un allele per ogni sito STR corrisponde generalmente al numero di volte in cui è presente un’unità ripetuta. I siti STR che sono stati scelti e selezionati specificamente per l’utilizzo in ambito forense hanno solitamente da 7 a 30 alleli. Nell’esempio riportato nella figura sulla destra, la traccia superiore (in blu) mostra la fluorescenza dell’elettroferogramma (tracciato elettroforetico) degli 16 18 standard di riferimento costituiti da un set di possibili Dimensione alleli, ciascuno dei quali è identificato da un numero di

D La tecnologia del DNA ricombinante ha moltissime applicazioni pratiche La capacità di manipolare le sequenze di DNA consente di alterare ed esprimere i geni con l’intento di ottenere proteine dotate di migliori proprietà funzionali o di correggere difetti genetici. La produzione di grandi quantità di proteine poco rappresentate nelle cellule o addirittura nuove è un procedimento relativamente agevole solo per quelle di tipo batterico: un gene clonato deve essere inserito all’interno di un vettore di espressione, un plasmide che contiene seI geni clonati possono essere espressi.

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quenze di controllo della trascrizione e della traduzione posizionate in maniera opportuna. La produzione di una proteina di interesse può arrivare al 30% del contenuto complessivo di molecole proteiche dell’ospite, e tali organismi geneticamente ingegnerizzati sono definiti sovraproduttori. Le cellule procariotiche sequestrano di frequente notevoli quantità di proteine prive di utilità e persino tossiche (per il batterio) in forma di inclusioni insolubili; talvolta ciò semplifica il compito di purificare la proteina. I procarioti sono in grado di sintetizzare proteine eucariotiche solo se il DNA ricombinante che contiene la sequenza di basi che codifica la proteina comprende anche le sequenze di controllo trascrizionale e traduzionale del batterio. La sintesi di proteine eucariotiche nei procarioti presenta anche problemi di altra natura. Per esempio, numerosi geni eucariotici sono di grandi dimensioni e contengono sequenze di nucleotidi (gli introni) che sono trascritte ed eliminate prima della traduzione (Paragrafo 26.3A). I batteri sono però privi dei meccanismi preposti all’eliminazione degli introni e inoltre molte proteine degli eucarioti vanno incontro a modificazioni post-traduzionali, come l’aggiunta di carboidrati o altre reazioni. Questi problemi possono essere superati impiegando vettori di espressione che si propagano in ospiti eucariotici, come per esempio il lievito, oppure colture di cellule di insetti o animali. La Tabella 3.5 elenca alcune proteine ricombinanti prodotte per essere impiegate in medicina o in agricoltura. In numerosi casi, per motivi etici o pratici non è possibile purificare direttamente tali molecole proteiche dai tessuti umani o animali, ma i sistemi di espressione permettono di preparare in maniera efficiente e su larga scala le proteine, pur mantenendo minimo il rischio di contaminazione da parte di virus o di altri agenti patogeni presenti nei campioni di tessuto. La mutagenesi sito-diretta altera la sequenza nucleotidica di un gene. Dopo aver isolato un gene, è possibile modificarne la sequenza nucleotidica al fine di alterare quella amminoacidica della proteina codificata. La mutagenesi sito-diretta, una tecnica introdotta da Michael Smith, simula un processo naturale dell’evoluzione e consente di prevedere il ruolo strutturale e funzionale di particolari amminoacidi contenuti in una proteina da studiare in laboratorio. Allo scopo di alterare specificamente i geni attraverso la mutagenesi sito-diretta sono necessari oligonucleotidi sintetici; per dirigere la replicazione del gene si usa un oligonucleotide la cui sequenza è identica a una porzione del gene di interesse, a eccezione dei cambiamenti di basi desiderati. Se le coppie di basi appaiate in maniera errata non sono in numero elevato, l’oligonucleotide si ibrida con la corrispondente sequenza originale (o wildtype, quella presente in natura). L’estensione dell’oligonucleotide, denominato primer, da parte della DNA polimerasi introduce l’alterazione desiderata nel gene (Figura 3.30). Il gene modificato può poi essere inserito all’interno TABELLA 3.5 Alcune proteine prodotte mediante ingegneria genetica

Proteina

Utilizzo

Insulina umana

Trattamento del diabete

Ormone della crescita umano

Trattamento di determinati disordini endocrini

Eritropoietina

Stimolazione della produzione di globuli rossi

Fattori di stimolazione delle colonie

Produzione e attivazione di globuli bianchi

Fattori di coagulazione IX e X

Trattamento dei disordini a carico della coagulazione del sangue (emofilia)

Attivatore tissutale del plasminogeno

Lisi dei coaguli di sangue in casi di attacco cardiaco e di ictus

Ormone della crescita bovino

Produzione di latte nelle mucche

Antigene di superficie dell’epatite B

Vaccinazione contro l’epatite B

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di un vettore opportuno. Si possono usare primer mutagenizzati per produrre geni alterati mediante PCR. Gli organismi transgenici contengono geni esogeni. Per molti scopi è preferibile

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SCHEMA DI PROCESSO Primer oligonucleotidico sintetizzato chimicamente Gene

3′ T C G C A G T C G T C A T G T 5′ + AGC T T CAGAGGT ACA 5′ 3′

ottenere un organismo “su misura” piut- da mutare tosto che solo una proteina, vero obiettivo dell’ingegneria genetica. Gli organismi Un oligonucleotide sintetizzato per via pluricellulari che esprimono un gene prochimica che incorpora le sostituzioni di 1 veniente da un altro essere vivente sono detbasi desiderate si appaia al DNA che Oligonucleotidi contenenti codifica il gene da mutare. ti transgenici, mentre il gene esogeno traappaiamenti errati piantato è denominato transgene. Primer C GT Se si vuole che l’alterazione diventi percontenente 3′ T C G A G T C C A T G T 5′ manente, vale a dire ereditabile, un tranappaiamenti A G C T T C A G A G G TACA errati sgene deve integrarsi stabilmente nelle cel5′ 3′ lule germinali di tale organismo. Nel caso dei topi, ciò si ottiene tramite microiniezione del DNA clonato che codifica le alteraLa DNA polimerasi estende il zioni che si vogliono trasferire in un uovo dNTP 2 primer contenente appaiamenti fecondato che viene poi impiantato nell’uerrati generando il gene mutato. tero di una madre sostitutiva. Un esempio ben noto di topo transgenico contiene co3′ 5′ C GT T CG AGT C CATGT pie aggiuntive di un gene per l’ormone delAGC T T CAGAGGT ACA la crescita (Figura 3.31). Gene 5′ 3′ Sono stati sviluppati anche animali da modificato fattoria transgenici; in molti casi i geni di tali animali sono stati modificati per consentire loro di crescere più velocemente con meno cibo o di essere resistenti a particolari malattie. Alcuni animali da fattoria transgenici sono stati ingegnerizzati in Figura 3.30 La mutagenesi sitomodo da secernere nel loro latte proteine di utilità clinica (un processo chia- diretta. Il gene da mutare può essere all’interno di un appropriato mato “pharming”); la raccolta di una tale sostanza dal latte è molto più vantag- inserito vettore di clonaggio ed essere giosa sotto il profilo economico rispetto alla produzione della stessa sostanza in amplificato, espresso o utilizzato per colture batteriche. generare un organismo mutante. Uno degli organismi transgenici di maggior successo è il granoturco (o mais), che è stato modificato geneticamente perché possa sintetizzare una proteina tossica per gli insetti che si nutrono di piante (ma che è innocua per i vertebrati). La tossina è prodotta dal microbo del suolo Bacillus thuringensis, e il suo gene è stato clonato nel granoturco allo scopo di conferirgli protezione nei confronti della piralide del granoturco (Ostrinia nubilalis), un insetto nocivo che trascorre gran parte del ciclo vitale all’interno della pianta del mais, dove è per lo più inaccessibile agli insetticidi chimici. L’impiego di “mais Bt”, che viene attualmente coltivato in maniera diffusa negli Stati Uniti, ha ridotto enormemente l’esigenza di tali sostanze tossiche. Le piante transgeniche sono state ingegnerizzate anche al fine di migliorare la nutrizione umana. Per esempio, i ricercatori hanno sviluppato una varietà di riso contenente geni esogeni che codificano gli enzimi necessari alla sintesi del 𝛃-carotene (un pigmento arancione precursore della vitamina A) e un gene della proteina ferritina, responsabile dell’immagazzinamento del ferro. Il riso geneticamente modificato, chiamato “golden rice”, o riso dorato (Figura 3.32), Figura 3.31 Topi transgenici. Il grosso topo a sinistra è il prodotto di un uovo fecondato

e microiniettato con DNA contenente il gene di ratto per l’ormone della crescita; il suo peso è quasi doppio rispetto all’altro esemplare normale, appartenente alla stessa figliata. [Per gentile concessione di Ralph Brinster, University of Pennsylvania.]

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CAPITOLO 3

Nucleotidi, acidi nucleici e informazioni genetiche

Figura 3.32 Il riso dorato. I chicchi chiari a sinistra sono di tipo normale, mentre quelli a destra sono stati ingegnerizzati in modo da immagazzinare una quantità di ferro sino a tre volte maggiore e sintetizzare β-carotene, che conferisce loro un colore giallastro. [Per gentile concessione di Ingo Potrykus.]

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dovrebbe aiutare a colmare le carenze di vitamina A (che affliggono circa 400 milioni di persone) e quelle di ferro (secondo una stima, il 30% della popolazione mondiale è soggetta a una carenza di questo elemento). Altre piante transgeniche sono le fragole resistenti al freddo, i pomodori a maturazione lenta e gli alberi che danno frutti a maturazione accelerata, piante da raccolto resistenti alla siccità, all’elevata salinità, ai virus patogeni, o agli erbicidi (in modo che gli erbicidi possano essere utilizzati per eliminare le erbe infestanti senza danneggiare il raccolto, e piante che producono grandi quantità di biocarburanti. Attualmente, soprattutto in Europa, vi è nell’opinione pubblica il diffuso sospetto che i cibi geneticamente modificati (“GM”) possano essere in qualche modo dannosi; tuttavia approfondite ricerche, e anche le esperienze raccolte dai consumatori, non sono state in grado di evidenziare alcun effetto dannoso in relazione a tali alimenti (Scheda 3.3). Gli organismi transgenici hanno consentito di approfondire straordinariamente la nostra comprensione sull’espressione genica. Gli animali ingegnerizzati in modo da contenere un gene difettoso o privi di un intero gene (un cosiddetto knockout genico) sono spesso ottimi modelli sperimentali per le malattie umane. Con il termine terapia genica si intende il trasferimento di nuovo materiale genetico nelle cellule di un individuo, con l’obiettivo di conseguire un effetto terapeutico. Sebbene i potenziali benefici di questa tecnologia ancora allo stadio iniziale siano enormi, dal punto di vista pratico gli ostacoli da superare sono numerosi. Per esempio, i vettori retrovirali (virus contenenti RNA) impiegati solitamente per l’introduzione diretta di geni nell’uomo possono provocare una risposta immunitaria con esito fatale. I difetti genetici possono essere corretti.

SCHEDA 3.3

LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

Gli aspetti etici legati alla tecnologia del DNA ricombinante Nei primi anni ’70, quando si iniziava a discutere di ingegneria genetica, poco si conosceva circa la sicurezza degli esperimenti proposti. Dopo accesi dibattiti, in seguito ai quali ci si accordò per una moratoria su tali investigazioni, furono stilate delle norme che regolamentano le ricerche sul DNA ricombinante. Esse proibiscono ovviamente la conduzione di esperimenti pericolosi (per esempio, l’introduzione del gene della tossina della difterite in E. coli, che trasformerebbe questo simbionte umano in un patogeno mortale). Altre precauzioni sono tese a limitare il rischio di rilascio accidentale nell’ambiente di organismi potenzialmente dannosi. Per esempio, numerosi vettori devono essere clonati in organismi ospiti con particolari esigenze di sostanze nutrienti, in modo che questi organismi abbiano una bassa probabilità di sopravvivenza al di fuori del laboratorio. L’evidente valore della tecnologia del DNA ricombinante ha ridimensionato le argomentazioni di quasi tutti i suoi primi detrattori. Senza clonaggio non sarebbe stato certamente possibile studiare determinati patogeni, come per esempio il virus responsabile dell’AIDS. Il fatto che sino a oggi non si siano verificate catastrofi genetiche provocate dalla tecnologia ricombinante non ci tutela dall’eventualità che in futuro gli organismi ricombinanti possano avere effetti nocivi sull’ambiente. Le metodiche impiegate dall’ingegneria genetica ricalcano quelle di cui si avvale la natura, cioè le mutazioni e la selezione, e quindi gli organismi naturali e quelli prodotti dall’uomo mostrano un’analogia di base. In ogni caso, già da migliaia di anni l’uomo effettua incroci su

piante e animali, e spesso per gli stessi motivi che sono alla base degli esperimenti con il DNA ricombinante. Ma vi sono pure altre considerazioni etiche che si pongono man mano che diventano disponibili nuove tecniche di ingegneria genetica. L’ormone umano della crescita prodotto nei batteri viene ora prescritto di routine per aumentare la statura di bambini che sono molto al di sotto della media; tuttavia, è lecito consentire agli atleti di utilizzare questa proteina, come già qualcuno sembra aver fatto, per aumentare massa muscolare e forza? Pochi metterebbero in discussione l’impiego della terapia genica, qualora venisse sviluppata, allo scopo di curare malattie genetiche come l’anemia falciforme (Paragrafo 7.1E) e la sindrome di Lesch-Nyhan (Paragrafo 23.1D). Ma se fosse invece possibile alterare caratteri complessi (vale a dire multigenici), quali le prestazioni di un atleta e l’intelligenza, quali cambiamenti sarebbero ritenuti desiderabili e chi deciderebbe se attuarli? Si dovrebbe sfruttare la terapia genica unicamente al fine di correggere i difetti di un individuo o si dovrebbe impiegarla anche per alterare i geni contenuti nelle cellule germinali di una persona in modo che le generazioni successive non debbano ereditare tale condizione? Qualora diventasse facile determinare la costituzione genetica di un individuo, sarebbe giusto fare uso di tali informazioni con l’obiettivo di esaminare chi intende iscriversi all’università o fa domanda per un impiego, oppure vuole stipulare una polizza sulla salute? Queste problematiche hanno condotto alla nascita di una nuova disciplina filosofica che si prefigge di affrontarle, la bioetica.

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Nucleotidi, acidi nucleici e informazioni genetiche

Il primo successo documentato della terapia genica è stato il caso di bambini affetti da una forma di immunodeficienza combinata grave (SCID, severe combined immunodeficiency disease) nota come SCID-X1, che in assenza di trattamento, richiederebbe il loro isolamento in un ambiente sterile per prevenire infezioni che altrimenti porterebbero al decesso. La SCID-X1 è causata da un difetto nel gene che codifica il recettore 𝛄c delle citochine, la cui azione è essenziale per il corretto funzionamento del sistema immunitario. Sono state prelevate cellule del midollo osseo (i precursori dei globuli bianchi) da pazienti colpiti da SCID-X1, che sono state incubate con un vettore contenente un gene normale per il recettore γc delle citochine; le cellule sono poi state reintrodotte nell’organismo. Queste cellule transgeniche hanno ripristinato la funzionalità del sistema immunitario. Tuttavia, dato che il vettore virale si integra a caso all’interno del genoma, la posizione del gene trasferito può influenzare l’espressione di altri geni, causando lo sviluppo del cancro. Almeno due di quei bambini hanno sviluppato una leucemia (un tipo di cancro dei globuli bianchi del sangue) in seguito alla terapia genica a cui erano stati sottoposti per curare la SCID-X1. Molte altre malattie ereditarie sono state trattate con successo con tecniche simili, compresa l’amaurosi congenita di Leber, una forma rara di cecità, l’adrenoleucodistrofia collegata al cromosoma X, in cui un difetto a carico di una proteina di trasporto di membrana causa danni al sistema nervoso centrale, la 𝛃-talassemia, un tipo di anemia molto grave, e la sindrome di Wiskott-Aldrich, una sindrome da immunodeficienza. In modo analogo, si è visto che stimolare le cellule del sistema immunitario di un soggetto affetto da cancro ad attaccare le cellule cancerose è una strategia molto promettente per l’eliminazione di alcuni tipi di tumori che non rispondono alle terapie standard.

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PUNTO DI VERIFICA

• Riassumete le fasi necessarie per amplificare un dato segmento di DNA sia in vivo sia in vitro.

• Confrontate le proprietà dei vettori di

clonaggio pUC18, del batteriofago λ e dei BAC.

• Descrivete le attività degli enzimi necessari alla costruzione di una molecola di DNA ricombinante.

• Spiegate i motivi per cui un vettore di clonaggio solitamente comprende un marcatore selezionabile.

• Che cos’è una libreria di DNA e come può essere consultata per un particolare gene?

• Quali sono i vantaggi della PCR rispetto al clonaggio tradizionale?

• Quali sono le problematiche che si incontrano nell’espressione di un gene eucariotico in una cellula ospite procariotica?

• Spiegate in che modo la mutagenesi sito-diretta può essere usata per produrre una proteina mutata nelle cellule batteriche.

• Qual è la differenza tra manipolare un gene per la terapia genica o per produrre un organismo transgenico?

RIASSUNTO 1 I nucleotidi • I nucleotidi sono costituiti da una base purinica o da una pirimidinica unita a un ribosio al quale è legato almeno un gruppo fosforico. L’RNA è formato da ribonucleotidi, mentre il DNA da deossinucleotidi (che contengono 2′-deossiribosio).

2 Introduzione alla struttura degli acidi nucleici • Nel DNA, due catene antiparallele di nucleotidi uniti da legami fosfodiesterici si avvolgono l’una sull’altra formando una doppia elica; le basi appartenenti a filamenti opposti si appaiano nel modo seguente: A con T e G con C. • Gli acidi nucleici a singolo filamento, come per esempio l’RNA, possono adottare strutture a stelo e ansa.

3 Uno sguardo alla funzione degli acidi nucleici • Il DNA contiene le informazioni genetiche nella propria sequenza di nucleotidi; quando viene replicato da una DNA polimerasi, ogni filamento funge da stampo per la sintesi di un filamento complementare. • In base al dogma centrale della biologia molecolare, un filamento del DNA di un gene è trascritto in mRNA. L’RNA è poi tradotto in proteine per mezzo dell’aggiunta ordinata di amminoacidi legati a molecole di tRNA che accoppiano le proprie basi con l’mRNA a livello del ribosoma.

4 Il sequenziamento degli acidi nucleici • Le endonucleasi di restrizione riconoscono determinate sequenze di DNA che sono poi tagliate in maniera specifica. • L’elettroforesi su gel viene utilizzata per separare e determinare le dimensioni dei frammenti di DNA.

• Nel metodo di sequenziamento del DNA per terminazione della catena, la sequenza di nucleotidi di un filamento di DNA viene determinata mediante sintesi enzimatica di polinucleotidi complementari che terminano con un analogo dideossi di ciascuno dei quattro nucleotidi. I frammenti polinucleotidici di dimensioni crescenti sono separati mediante elettroforesi per risalire alla sequenza originale. • I metodi di sequenziamento di nuova generazione, come il pirosequenziamento e il sequenziamento Illumina, sono sostanzialmente confrontabili e molto più veloci rispetto ai metodi di terminazione della catena, a discapito tuttavia della lunghezza e dell’accuratezza delle letture. • Le mutazioni e altri cambiamenti nel DNA sono alla base dell’evoluzione degli esseri viventi.

5 La manipolazione del DNA • Nel clonaggio molecolare un frammento di DNA esogeno viene inserito all’interno di un vettore per essere amplificato in una cellula ospite; è poi possibile identificare le cellule trasformate usando marcatori di selezione. • Le librerie genomiche contengono tutto il DNA di un essere vivente. I cloni che hanno particolari sequenze di DNA sono identificati attraverso procedure di screening. • La reazione a catena della polimerasi amplifica sequenze selezionate di DNA. • Le metodiche del DNA ricombinante sono impiegate allo scopo di produrre proteine originali o mutagenizzate in modo selettivo in cellule o in organismi interi.

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Nucleotidi, acidi nucleici e informazioni genetiche

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PROBLEMI 12. Quanti amminoacidi differenti potrebbero in teoria essere co-

1. Qual è il nome del seguente nucleotide? O H

O –O

H2N

O

P

O

P

O–

N

N

O

N

N

H2C

O

O–

H

H

H

H HO

OH

2. Qual è il nome al seguente nucleotide? NH2 N

N

H H

N

H2 C O

O H

O H P

–O

N

O

H

dificati da acidi nucleici contenenti quattro nucleotidi diversi (a) se un amminoacido fosse codificato da ciascun nucleotide; (b) se un amminoacido fosse codificato da sequenze consecutive di due nucleotidi; (c) se un amminoacido fosse codificato da sequenze consecutive di tre nucleotidi; (d) se un amminoacido fosse codificato da sequenze consecutive di quattro nucleotidi? 13. Il genoma umano contiene migliaia di sequenze note come piccoli schemi di lettura aperti (ORF, open reading frame), alcuni dei quali codificano proteine di circa 30 amminoacidi. Qual è il numero minimo di nucleotidi necessari per codificare una proteina del genere? 14. In media, di quanti nucleotidi differiscono i genomi di due Homo sapiens? 15. La sequenza di riconoscimento dell’enzima di restrizione TaqI è TgCGA; indicate i prodotti della reazione di TaqI con la sequenza di DNA illustrata. 5′-ACGTCGAATC-3′ 3′-TGCAGCTTAG-5′ 16. Usando i dati della Tabella 3.2, identificate gli enzimi di re-

H

OH

3. In molti organismi, il DNA viene modificato dalle metilazio-

ni. Disegnate la struttura della 5-metilcitosina, una base che si riscontra con elevata frequenza nel DNA inattivo. 4. Quando si tratta la citosina con il bisolfito, il gruppo amminico viene rimpiazzato da un gruppo carbonilico. Identificate la base che viene prodotta. 5. Le chinasi sono enzimi che trasferiscono un gruppo fosforico da un nucleoside trifosfato. Quale delle seguenti è una vera reazione catalizzata da una chinasi?

(a) ATP + GDP n ADP + GTP (b) ATP + GMP n AMP + GTP 6. Le chinasi sono enzimi che trasferiscono un gruppo fosfori-

co da un nucleoside trifosfato. Quale delle seguenti è una vera reazione catalizzata da una chinasi? (a) ADP + CMP n AMP + CDP (b) AMP + ATP n 2 ADP 7. Un organismo diploide contenente un genoma aploide da

45 000 kb contiene il 21% di residui G. Calcolate il numero di residui A, C, G e T presenti nel DNA di ogni cellula di tale organismo. 8. Un tratto di DNA lungo 20 bp contiene 7 residui di guanina; quanti sono i residui di adenina presenti nello stesso segmento? Quanti di uracile? 9. Spiegate perché i filamenti di una molecola di DNA vengono separati più facilmente a pH > 11. 10. Spiegate perché un aumento della concentrazione di NaCl determina un incremento della temperatura di fusione dei due filamenti di DNA. 11. Un enzima del virus dell’immunodeficienza umana (l’HIV, responsabile dell’insorgere dell’AIDS) è in grado di sintetizzare DNA partendo da uno stampo di RNA. Spiegate in che modo l’attività di questo enzima va contro il dogma centrale di Crick.

strizione che (a) generano estremità piatte; (b) riconoscono e tagliano la medesima sequenza (definita isoschizomero); (c) producono estremità coesive identiche. 17. Il genoma dell’alga verde Ostreococcus tauri (circa 13 Mb) contiene approssimativamente 8000 geni. Confrontate la densità genica di questo eucariote con quella dell’E. coli (circa 4300 geni) e dell’A. thaliana (circa 25 500 geni). 18. Descrivete com’è possibile selezionare cloni ricombinanti se un DNA esogeno viene inserito all’interno del sito di clonaggio multiplo di pUC18 e in seguito introdotto in cellule di E. coli. 19. Fate riferimento al disegno schematico di pUC18 (Figura 3.24) per determinare quali enzimi di restrizione potreste usare per inserire un gene che interferisca con la produzione di β-galattosidasi da parte della cellula ospite. 20. Fate riferimento al disegno schematico di pUC18 (Figura 3.24) per determinare quali enzimi di restrizione potreste usare per inserire un gene che non interferisca con la resistenza all’ampicillina o con la produzione di β-galattosidasi da parte della cellula ospite. 21. Per quale motivo, per un dato organismo, una libreria genomica è di dimensioni maggiori rispetto a una di cDNA? 22. Perché le librerie di cDNA derivate da tipi cellulari differenti nell’ambito del medesimo essere vivente differiscono tra loro? DOMANDE DIFFICILI 23. Alcune molecole di RNA sono modificate covalentemente

per metilazione sulla posizione N6 dei residui di adenina. Disegnate la struttura del nucleoside modificato. 24. Il nucleoside modificato descritto nella Domanda 23 sarebbe in grado di partecipare all’appaiamento fra basi standard di Watson e Crick? 25. Disegnate le forme tautomeriche dell’adenina 26. Disegnate le forme tautomeriche della citosina. 27. Il valore di pK per N1 dell’adenina è 3,64, mentre il valore di pK per N1 della guanina è 9,50. Spiegate questa differenza.

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28. Utilizzate la risposta alla Domanda 27 per determinare i va-

lori relativi di pK di N3 nella citosina e nell’uracile. 29. L’ipoxantina, derivato dell’adenina, può appaiarsi con l’adenina; mostrate le strutture di queste coppie di basi. O H

N

N N

N H

Ipoxantina

30. L’ipoxantina può appaiarsi anche con la citosina. Disegnate la

struttura di questa coppia di basi. 31. Descrivete l’esito di una procedura di sequenziamento di ter-

minazione della catena in cui (a) viene aggiunta una quantità troppo bassa di ddNTP, (b) ne viene aggiunta una quantità troppo elevata. 32. Descrivete l’esito di una procedura di sequenziamento di terminazione della catena in cui (a) sono presenti quantità troppo basse di pri- Macchia di sangue mer, (b) sono presenti quantità troppo alte di primer. 33. Calcolate il numero di cloni richiesti per ottenere, con una probabilità pari a 0,99, uno specifico frammento di 5 kb da C. elegans (Tabella 3.3). 34. State tentando di clonare un frammento di DNA murino di 250 kb in un cromosoma ar- Sospettato 1 tificiale di lievito. Ottenete 5000 cloni di dimensioni equivalenti che rappresentano l’intero genoma del topo. Qual è la probabilità che il frammento di DNA di interesse sia stato clonato? 35. Riportate il possibile risultato di un esperimenSospettato 2 to di PCR in cui (a) uno dei primer è inavvertitamente omesso dalla miscela di reazione; (b) uno dei primer è complementare a diversi siti presenti nel campione di DNA di partenza. 36. Riportate il possibile risultato di un esperimento di PCR in cui (a) vi è un’interruzione in un Sospettato 3 singolo filamento del DNA bersaglio, in una sequenza che è presente in una sola copia nel campione di partenza; (b) vi è un’interruzione in entrambi i filamenti del DNA bersaglio, in una sequenza che è presente in singola copia nel campione di partenza. 37. Scrivete le sequenze dei due primer da 12 reSospettato 4 sidui ciascuno che potrebbero essere impiegati per amplificare mediante PCR il seguente frammento di DNA:

condotta utilizzando primer fluorescenti associati a tre loci STR: D3S1358, vWA e FGA. Nell’illustrazione in basso sono mostrati gli elettroferogrammi risultanti. I numeri riportati sotto ogni picco rappresentano l’allele (riquadro superiore) e l’altezza del picco in unità di fluorescenza relativa (riquadro inferiore). (a) Dal momento che ogni individuo possiede due copie di ogni cromosoma e quindi anche due alleli di ogni gene, che cosa significa l’identificazione di un solo allele in alcuni loci? (b) Da quale tra i sospettati è possibile che provenga il sangue ritrovato? (c) Il sospettato potrebbe essere identificato come colpevole anche utilizzando uno solo dei tre loci STR? (d) Quali conclusioni potete trarre sul quantitativo di DNA ottenuto dal sospettato 1 paragonato a quello estratto dal sospettato 4?

ATAGGCATAGGCCCATATGGCATAAG GCTTTATAATATGCGATAGGCGCTGGTCAG 38. Sono state analizzate tramite PCR una mac-

chia di sangue proveniente dalla scena di un crimine e campioni di sangue prelevati da quattro individui sospetti. L’analisi è stata

83

[Da Thompson, W.C., Ford, S., Doom, T., Raymer, M., e Krane, D.E., Evaluating forensic DNA evidence: Essential elements of a competent defence review, The Champion 27, 16-25 (2003). Ristampata con l’autorizzazione di National Association of Criminal Defense Lawyers.]

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Nucleotidi, acidi nucleici e informazioni genetiche

BIOINFORMATICA Progetto 1 Database per lo stoccaggio e la ricerca delle sequenze del genoma 1. Ricerca dei database. Localizzate i database per le sequenze genomiche ed esplorate il significato dei termini a essi correlati. 2. Istituto per la ricerca genomica. Analizzate il genoma procariotico e trovate indicazioni per il genoma eucariotico. 3. Analizzando una sequenza di DNA. Data una certa sequenza di DNA, identificatene lo schema di lettura aperto (open reading frame) e traducetelo in una sequenza proteica.

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4. Omologia di sequenza. Fate una ricerca BLAST per trovare gli omologhi di una sequenza proteica. 5. Plasmidi e clonaggio. Calcolate le dimensioni dei frammenti prodotti dall’azione di diversi enzimi di restrizione sui plasmidi.

APPROFONDIMENTO Prendete in considerazione una delle malattie genetiche elencate nella Tabella 3.4. Quale gene è coinvolto? Qual è la normale funzione della proteina codificata dal gene e in che modo il difetto del gene provoca i caratteristici sintomi? Come potrebbe essere trattata questa patologia utilizzando la terapia genica?

BIBLIOGRAFIA Struttura e funzione del DNA Bloomfield, V.A., Crothers, D.M., e Tinoco, I., Jr. (2000). Nucleic Acids. Structures, Properties, and Functions. University Science Books. Dickerson, R.E. (1992). DNA structure from A to Z. Methods Enzymol. 211, 67-111. [Descrive le varie forme cristallografiche del DNA.] Thieffry, D. (1998). Forty years under the central dogma. Trends Biochem. Sci. 23, 312-316. [Illustra come si è sviluppata dall’inizio l’idea che gli acidi nucleici sono i depositari delle informazioni biologiche.] Watson, J.D., e Crick, F.H.C. (1953). Molecular structure of nucleic acids. Nature 171, 737-738; e Genetical implications of the structure of deoxyribonucleic acid. Nature 171, 964-967. [I primi articoli ritenuti universalmente le pietre miliari della moderna biologia molecolare.]

Il sequenziamento del DNA Brown, S.M. (a cura di) (2013). Next-Generation DNA Sequencing Informatics, Cold Spring Harbor Laboratory Press. Galperin, M.Y., Rigden, D.J., e Fernández-Suárez, X.M., The 2015 Nucleic Acids Research database issue and online molecular biology database collection, Nucleic Acids Res. 43, Database issue D1–D8 (2015). [Questo articolo aggiornato annualmente descrive 1537 database che coprono vari aspetti della biologia molecolare, della biochimica e della genetica. Ulteriori articoli nella stessa pubblicazione forniscono più informazioni sui singoli database. Disponibile gratuitamente su http://nar.oxfordjournals.org ] International Human Genome Sequencing Consortium (2001). Initial sequencing and analysis of the human genome. Nature 409, 860-921; e Venter, J.C. et al. (2001). The sequence of the human genome. Science 291, 1304-1351. [Questi e altri articoli

pubblicati sugli stessi numeri di Nature e di Science descrivono i dati che costituiscono il primo abbozzo della sequenza del genoma umano e discutono in che modo si possono impiegare queste informazioni ai fini della comprensione delle funzioni biologiche, dell’evoluzione e della salute dell’uomo.] International Human Genome Sequencing Consortium, Finishing the euchromatic sequence of the human genome (2004). Nature 431, 931-945. [Descrive la versione “terminata“ della sequenza del genoma umano.]” Lander, E.S. (2011). Initial impact of the sequencing of the human genome, Nature 470, 187-197. Mardis, E.R. (2013). Next-generation sequencing platforms, Annu. Rev. Analyt. Chem. 6, 287-303.

La tecnologia del DNA ricombinante Ausubel, F.M., Brent, R., Kingston, R.E., Moore, D.D., Seidman, J.G., Smith, J.A., e Struhl, K. (2002). Short Protocols in Molecular Biology (5a ed.), Wiley. [Una serie in due volumi.] Pingoud, A., Fuxreiter, M., Pingoud, V., e Wende, W. (2005). Type II restriction endonucleases: structure and mechanism, Cell. Mol. Life Sci. 62, 685-707. [Comprende una rassegna dei vari tipi di enzimi di restrizione.] Green, M.R. e Sambrook, J. (2012). Molecular Cloning. A Laboratory Manual (4a ed.), Cold Spring Harbor Laboratory. [Una “bibbia” in tre volumi di protocolli di laboratorio accompagnati dalle spiegazioni dei concetti di base.] Watson, J.D., Meyers, R.M., Caudy, A.A., e Witkowski, J.A. (2007). Recombinant DNA. Genes and Genomes – A Short Course (3a ed.), Freeman. (Trad. it.: DNA ricombinante, Zanichelli, Bologna 2008) [Un’esposizione del metodo, dei risultati e dei punti principali della tecnologia del DNA ricombinante e della ricerca.]

C A P I T O L O

4

Gli amminoacidi

Lo Staphilococcus epidermidis, che cresce sulla pelle umana, lega l’acido glutammico per formare lunghe catene. Queste aiutano a proteggere i batteri dalle variazioni nella concentrazione di sali che si verificano normalmente sulla superficie cutanea. [Eye of Science/Science Source Images.]

Quando, all’inizio del XIX secolo, gli scienziati rivolsero per la prima volta la loro attenzione alla nutrizione, in breve tempo scoprirono che i prodotti naturali contenenti azoto erano essenziali per la sopravvivenza degli animali. Nel 1839 il chimico svedese Jacob Berzelius coniò, per questa classe di composti, il termine proteina (dal greco pr—teios, “che occupa la prima posizione”). A quel tempo i chimici che si occupavano di fisiologia non si resero conto che le proteine erano in realtà formate da costituenti più piccoli, gli amminoacidi, sebbene alcuni di questi composti fossero stati isolati nel 1830. Ancora per molti anni si continuò a ritenere che le sostanze di origine vegetale, comprese le molecole proteiche, fossero incorporate tutte intere nei tessuti animali. Questo equivoco venne chiarito quando si fece luce sul processo della digestione. Fu dimostrato che le proteine ingerite sono frammentate in composti di dimensioni più piccole contenenti amminoacidi e gli scienziati si concentrarono sulle qualità nutrizionali di tali sostanze (Scheda 4.1). I moderni studi sulle proteine e gli amminoacidi devono molto agli esperimenti condotti durante il XIX secolo e l’inizio del XX. Ora sappiamo che gli amminoacidi contenenti azoto sono essenziali per la vita e che sono le unità costitutive delle proteine. La funzione centrale degli amminoacidi in biochimica forse non è sorprendente: svariati di essi sono tra i composti organici che si ritiene siano comparsi in una fase precoce della storia del nostro pianeta (Paragrafo 1.1A) e, trattandosi di molecole antiche e ubiquitarie, vennero cooptati dall’evoluzione per numerosi scopi nei sistemi viventi. Apriamo il capitolo discutendo le strutture e le proprietà chimiche degli amminoacidi comuni, compresa la loro stereochimica, per concluderlo con una breve trattazione delle strutture e funzioni di alcuni composti correlati.

1 La struttura degli amminoacidi CONCETTI CHIAVE

• I 20 amminoacidi standard condividono una struttura comune ma differiscono a livello della loro catena laterale.

• All’interno di una catena polipeptidica, i legami tra gli amminoacidi sono costituiti dai legami peptidici.

• Alcune catene laterali degli amminoacidi contengono gruppi ionizzabili i cui valori di pK possono variare.

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CAPITOLO 4

Gli amminoacidi

SCHEDA 4.1

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LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA

William C. Rose e la scoperta della treonina William C. Rose (1887-1985)

L’identificazione dei costituenti amminoacidici delle proteine fu una sfida che trasse origine dagli studi sulla nutrizione animale. All’inizio del XX secolo i chimici-fisici (il termine biochimico non era ancora in uso) riconobbero che non tutti gli alimenti fornivano una nutrizione adeguata. Per esempio, i ratti nutriti con la proteina di mais zeina come loro unica fonte di azoto non crescevano, a meno che alla loro dieta non fossero aggiunti gli amminoacidi triptofano e lisina. A quel tempo la conoscenza del metabolismo si limitava in gran parte a informazioni raccolte qua e là da ricerche in cui l’assunzione di particolari cibi in soggetti sperimentali (compresi gli esseri umani) era posta in relazione con l’escrezione urinaria di vari composti. I risultati di tali indagini erano a favore dell’idea che le sostanze potevano essere trasformate in altre anche se, chiaramente, i nutrienti non erano del tutto intercambiabili. Presso la University of Illinois, William C. Rose concentrò le proprie ricerche su studi nutrizionali tesi a decifrare le relazioni metaboliche tra le sostanze contenenti azoto. Tra l’altro, i suoi studi sulla crescita e la nutrizione dei ratti aiutarono a evidenziare che le purine e le pirimidine derivavano dagli amminoacidi, ma che questi composti non potevano rimpiazzare gli amminoacidi forniti dalla dieta. Al fine di esaminare le esigenze alimentari relative ai singoli amminoacidi, lo scienziato sottopose a idrolisi determinate proteine con l’intento di ottenerne gli amminoacidi costituenti e poi rimuoverne selettivamente alcuni. Nel corso di uno dei suoi primi esperimenti, Rose tolse l’arginina e l’istidina da un idrolisato della proteina del latte caseina. I ratti nutriti con questa preparazione perdevano peso, a meno che al cibo non fosse aggiunta nuovamente istidina; il reinserimento dell’arginina non compensava la richiesta di istidina. Tali conclusioni indussero Rose a indagare le esigenze per quanto concerneva tutti gli altri amminoacidi; impiegando approcci sperimentali analoghi, egli dimostrò

che la cisteina, l’istidina e il triptofano non potevano essere sostituiti con altri amminoacidi. Egli passò dalle preparazioni a base di proteine idrolizzate all’impiego di miscele di amminoacidi puri. Fu possibile purificare 13 tra 19 di quelli noti, mentre gli altri sei furono sintetizzati. I ratti alimentati con questi 19 amminoacidi come loro unica fonte di azoto perdevano peso. Anche se una possibile spiegazione era che le quantità di amminoacidi puri somministrate non erano ottimali, lo scienziato arrivò ugualmente a concludere che doveva esistere un altro amminoacido essenziale, contenuto nelle proteine presenti in natura e nei loro idrolisati, ma non nelle miscele amminoacidiche da lui preparate. Dopo molti anni di sforzi Rose ottenne e identificò l’amminoacido mancante. In un lavoro pubblicato nel 1935 egli dimostrò che, aggiungendo questo amminoacido agli altri 19, era possibile sostenere lo sviluppo dei roditori; fu così che venne scoperto il ventesimo e ultimo amminoacido, la treonina. Esperimenti che si protrassero nell’arco dei successivi 20 anni rivelarono che 10 dei 20 amminoacidi trovati nelle proteine sono essenziali sotto il profilo nutrizionale, tanto che la rimozione di uno di questi amminoacidi determina una mancata crescita e infine la morte degli animali studiati. Gli altri 10 amminoacidi furono ritenuti “non essenziali”, in quanto gli animali erano in grado di sintetizzarne quantità sufficienti. Nei successivi lavori Rose verificò le esigenze amminoacidiche dell’uomo, utilizzando per questi esperimenti un gruppo di studenti. La conoscenza di quali amminoacidi fossero necessari, e in quali quantità, allo scopo di mantenere un corretto stato di salute, rese possibile valutare il potenziale valore nutritivo di differenti tipi di proteine alimentari. Queste conclusioni furono di grande aiuto nelle formulazioni usate per l’alimentazione endovenosa. McCoy, R.H., Meyer, C.E., Rose, W.C. (1935). Feeding experiments with mixtures of highly purified amino acids. VIII. Isolation and identification of a new essential amino acid. J. Biol. Chem. 112, 283-302. [Gratuitamente disponibile su http://www.jbc.org.]

Le analisi di una vasta serie di molecole proteiche provenienti da quasi tutte le fonti disponibili hanno evidenziato che tutte le proteine sono composte di 20 amminoacidi standard. Non tutte le proteine note contengono tutti e 20 i tipi di amminoacidi, anche se la maggioranza ne contiene molti, praticamente tutti. Gli amminoacidi comuni sono noti come 𝛂-amminoacidi, poiché possiedono un gruppo amminico primario (−NH2) in qualità di sostituente dell’atomo di carbonio α, cioè l’atomo di carbonio adiacente al gruppo carbossilico (−COOH, Figura 4.1). L’unica eccezione è rappresentata dalla prolina, che presenta un gruppo amminico secondario (−NH−), ma per ragioni di uniformità considereremo anche questo composto un α-amminoacido. I 20 amminoacidi convenzionali differiscono per quanto concerne la struttura della catena laterale (gruppo R); i loro nomi e strutture chimiche complete sono elencati nella Tabella 4.1. R H2N

Ca COOH H

Figura 4.1 Struttura generale di un 𝛂-amminoacido. I 20 amminoacidi standard si

differenziano per i gruppi R. Identificate i gruppi funzionali in questa struttura

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Gli amminoacidi

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TABELLA 4.1 Strutture covalenti e abbreviazioni degli amminoacidi standard delle proteine, della loro fre-

quenza e dei valori di pK dei loro gruppi ionizzabili Nome, simbolo a tre lettere e simbolo Formula a una lettera di strutturaa

Massa del residuo (D)b

Frequenza media nelle proteine (%)c

pK1 𝛂-COOHd

pK2 𝛂-NH3+d

57,0

7,1

2,35

9,78

71,1

8,2

2,35

9,87

99,1

6,9

2,29

9,74

113,2

9,7

2,33

9,74

113,2

6,0

2,32

9,76

131,2

2,4

2,13

9,28

H2 COO⫺ C3 CH 2 4 C2 5 ⫹1 CH 2 N H H2

97,1

4,7

1,95

10,64

COO⫺

147,2

3,9

2,20

9,31

186,2

1,1

2,46

9,41

Amminoacidi con catene laterali non polari Glicina COO⫺ Gly H C H G

pKR catena lateraled

NH⫹ 3

Alanina Ala A

COO⫺ H

C

CH3

NH⫹ 3

Valina Val V Leucina Leu L

COO⫺ CH

3

H

C

CH

CH3 NH⫹ 3 COO⫺ H

C

CH3

CH2 CH CH3

NH⫹ 3

Isoleucina Ile I Metionina Met M

H

COO⫺

CH3

C

C* CH2

NH⫹ 3

H

CH3

COO⫺ H

C

CH2

CH2

S

CH3

NH⫹ 3

Prolina Pro P

Fenilalanina Phe F

H

C

CH2

NH⫹ 3

Triptofano Trp W

COO⫺ H

C

CH2

NH⫹ 3

4 5

3 2

1

N H

6 7

a Le forme ioniche illustrate sono quelle prevalenti a pH 7,0 (ad eccezione di quella dell’istidinaf ), sebbene la massa del residuo sia data per il composto neutro. Gli atomi di Cα, come quelli contrassegnati con un asterisco, sono centri chirali le cui configurazioni sono indicate secondo le formule di proiezione di Fischer (Paragrafo 4.2). Per gli eterocicli si usa il sistema di numerazione convenzionale dei composti organici. b Le masse molecolari dei residui sono date per le specie neutre. Per ottenere le masse molecolari degli amminoacidi corrispondenti bisogna aggiungere 18,0 D, la massa molecolare dell’acqua, a quelle dei residui. Per le masse molecolari delle catene laterali bisogna sottrarre 56,0 D da quelle dei residui, vale a dire la massa di un gruppo peptidico. c La composizione media amminoacidica è disponibile all’interno della banca dati molto completa SWISS-PROT (http://www.expasy.ch/ sprot/relnotes/relstat.html), Release 2013_13. Le singole proteine possono manifestare variazioni anche ampie rispetto a queste quantità. d Dati provenienti da Dawson, R. M. C., Elliott, D. C., Elliott, W. H., Jones, K. M. (1986). Data for Biochemical Research, III ed. Oxford Science Publications, pp. 1-31.

(segue)

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Gli amminoacidi

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TABELLA 4.1 (continua) Strutture covalenti e abbreviazioni degli amminoacidi standard delle proteine, della

loro frequenza e dei valori di pK dei loro gruppi ionizzabili Nome, simbolo a tre lettere e simbolo a una lettera Amminoacidi Serina Ser S

Formula di strutturaa con catene laterali polari non cariche COO⫺ H

C

CH2

Massa del residuo (D)b

Frequenza media nelle proteine (%)c

pK1 𝛂-COOHd

pK2 𝛂-NH3+d

87,1

6,6

2,19

9,21

101,1

5,3

2,09

9,10

114,1

4,1

2,14

8,72

128,1

3,9

2,17

9,13

163,2

2,9

2,20

9,21

10,46 (fenolica)

103,1

1,4

1,92

10,70

8,37 (sulfidrilica)

128,2

5,9

2,16

9,06

10,54 (ε-NH3+)

156,2

5,5

1,82

8,99

12,48 (guanidinica)

137,1

2,3

1,80

9,33

6,04 (imidazolica)

115,1

5,4

1,99

9,90

3,90 (β-COOH)

129,1

6,8

2,10

9,47

4,07 (γ-COOH)

pKR catena lateraled

OH

NH⫹ 3 COO⫺ H

Treonina Thr T

H

C

C* CH3

NH⫹ 3

OH

COO⫺

Asparaginae Asn N

H

C

CH2

O C

NH⫹ 3

Glutammina Gln Q

NH2

COO⫺

e

H

C

CH2

O CH2

C

NH⫹ 3

Tirosina Tyr Y

NH2

COO⫺ H

C

CH2

OH

NH⫹ 3

Cisteina Cys C

COO⫺ H

C

CH2

SH

NH⫹ 3

Amminoacidi con catene laterali polari cariche Lisina COO⫺ Lys H C CH2 CH2 CH2 CH2 NH⫹ 3 K NH⫹ 3

Arginina Arg R

COO⫺ H

C

CH2

NH2 CH2

CH2

Istidinaf His H

COO2 H

C

CH2

NH1 3

Acido asparticoe Asp D Acido glutammicoe Glu E

5 1

C

CH2

NH⫹ 3

4 3

N H

COO⫺ H

NH1

C

CH2

NH⫹ 3

C

2

O C O⫺

COO⫺ H

NH

NH+2

NH⫹ 3

O CH2

C O⫺

e Per l’asparagina o l’acido aspartico, i simboli a una e a tre lettere sono Asx e B, mentre per la glutammina o l’acido glutammico sono Glx e Z. Il simbolo a una lettera di un amminoacido indeterminato o “non standard” è X. f Le forme non protonata neutra e protonata dell’istidina sono presenti a pH 7,0, dato che il suo pK è prossimo a 7,0. R

CAPITOLO 4

R

A Gli amminoacidi possono essere ioni dipolari I gruppi amminici e carbossilici degli amminoacidi possono andare incontro a ionizzazione. I valori di pK dei gruppi carbossilici (indicati con pK1 nella Tabella 4.1) sono raggruppati in un breve intervallo intorno a 2,2, mentre i valori di pK dei gruppi α-amminici (pK2) sono prossimi a 9,4. A pH fisiologico (∼7,4), i gruppi amminici sono protonati e quelli carbossilici sono nella forma di base coniugata deprotonata (carbossilato) (Figura 4.2). Perciò un amminoacido può fungere sia da acido sia da base. La Tabella 4.1 elenca anche i valori di pK dei gruppi ionizzabili (pKR) presenti in sette catene laterali. Le molecole quali gli amminoacidi, che portano gruppi carichi con polarità opposta, sono note come ioni dipolari o zwitterioni. Gli amminoacidi, come gli altri composti ionici, mostrano una solubilità maggiore nei solventi polari rispetto a quelli non polari. Come vedremo, le proprietà ioniche delle catene laterali influenzano le caratteristiche chimiche e fisiche degli amminoacidi liberi e di quelli contenuti nelle proteine.

B I legami peptidici uniscono gli amminoacidi nelle proteine

89

Gli amminoacidi

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+ H3N

Gli amminoacidi possono polimerizzare per dare luogo a catene lineari; questo processo avviene per mezzo di reazioni di condensazione (la formazione di un legame con l’eliminazione di una molecola di acqua), come illustrato nella Figura 4.3. Il risultante legame CO−NH, un legame amidico, è detto legame peptidico. I polimeri contenenti due, tre, alcune (da 3 a 10) o numerose unità amminoacidiche sono chiamati rispettivamente dipeptidi, tripeptidi, oligopeptidi e polipeptidi; questi composti sono spesso chiamati semplicemente “peptidi”. Dopo essere stati incorporati in un peptide, i singoli amminoacidi (le unità monomeriche) sono denominati residui amminoacidici. I polipeptidi sono polimeri lineari e quindi non presentano ramificazioni. In questa struttura ogni residuo amminoacidico partecipa a due legami peptidici ed è unito ai residui a esso adiacenti secondo un orientamento testa-coda. Ciascun residuo presente alle due estremità del polipeptide partecipa a un solo legame peptidico; il residuo con il gruppo α-amminico libero (per convenzione, quello scritto a sinistra, come illustrato nella Figura 4.3) è definito ammino-terminale o N-terminale, mentre quello con il gruppo α-carbossilico libero (posto all’estremità destra) è chiamato carbossi-terminale o C-terminale. Le proteine sono molecole contenenti una o più catene polipeptidiche. Come avremo modo di osservare nei capitoli successivi, le variazioni nella lunghezza e nella sequenza amminoacidica dei polipeptidi contribuiscono alla diversità di forma e di funzione biologica delle molecole proteiche.

C Le catene laterali degli amminoacidi possono essere non polari, polari o cariche Il modo più semplice per classificare i 20 amminoacidi standard utilizza le polarità delle loro catene laterali. In base a questa classificazione, vi sono tre tipi principali di amminoacidi: (1) quelli con gruppi R non polari, (2) gli amminoacidi con gruppi R polari non carichi e (3) quelli con gruppi R polari carichi. Le catene laterali non polari degli amminoacidi hanno forme e dimensioni diverse.

Gli amminoacidi riuniti in questo gruppo sono nove. Le strutture tridimensionali di alcuni di questi amminoacidi sono mostrate nella Figura 4.4. La glicina è l’amminoacido con la catena laterale più piccola, in quanto è costituita da un solo atomo di H, mentre l’alanina, la valina, la leucina e l’isoleucina presenta-

⫹ H3N

C

COO⫺

H Figura 4.2 Un amminoacido

dipolare. A pH fisiologico, il gruppo amminico è protonato mentre il gruppo carbossilico acido è deprotonato.

R1 C H

O

+

C

H

H + N

R2

H

H

O–

C

O C O–

H2O + H3N

R1

O

C

C

H

R2 N

C

H

H

O C O–

Figura 4.3 Condensazione di due

amminoacidi. La formazione di un legame CO–NH con l’eliminazione di una molecola di acqua produce un dipeptide; il legame peptidico è mostrato in rosso. Il residuo con un gruppo amminico libero è l’N-terminale del peptide, mentre quello con un gruppo carbossilico libero è il C-terminale. Disegnate un tripeptide risultante dalla condensazione di un terzo amminoacido.

CONCETTI DI BASE Visualizzazione molecolare Le rappresentazioni bidimensionali degli amminoacidi e di piccole molecole indicano la disposizione dei legami tra gli atomi. Tuttavia, poiché i legami covalenti fra C, N, P e S sono spesso diretti verso i vertici di un tetraedro, le molecole che contengono questi atomi occupano tre dimensioni, e se gli elettroni di ciascun atomo – quelli nelle coppie di legame e quelli nelle coppie non condivise – sono rappresentati come una nuvola attorno al nucleo di ogni atomo, la molecola può essere mostrata come un oggetto solido. Le formule strutturali, i modelli a sfere e bastoncini e i modelli spaziali possono quindi evidenziare differenti aspetti della stessa struttura molecolare.

90

CAPITOLO 4

Gli amminoacidi

Alanina

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Isoleucina

Figura 4.4 Rappresentazione di alcuni amminoacidi con

catene laterali non polari. Gli amminoacidi sono rappresentati in forma di modelli a sfere e bastoncini inclusi in strutture spaziali

CONCETTI DI BASE Gruppi funzionali e comportamento molecolare Oltre ai gruppi amminico e carbossilico che caratterizzano tutti gli amminoacidi, alcuni amminoacidi hanno delle catene laterali con gruppi acido-base. La protonazione o deprotonazione di questi gruppi funzionali determina se la catena laterale abbia una carica ionica. Di conseguenza, le catene laterali possono partecipare alle reazioni chimiche come acidi e basi, e i loro stati di ionizzazione determinano altri aspetti del comportamento molecolare, compresa la solubilità in acqua e la capacità di interagire elettrostaticamente con altri gruppi carichi o polari.

Fenilalanina

trasparenti. Tutti i modelli sono disegnati nella stessa scala; gli atomi di C sono in colore verde, di H in bianco, di N in blu e di O in rosso.

no catene laterali composte da idrocarburi alifatici con dimensioni variabili da un gruppo metilico, nel caso dell’alanina, a gruppi butilici isomerici, per la leucina e l’isoleucina. La metionina possiede nella catena laterale un gruppo tioetere che ricorda un radicale n-butilico in molte delle sue proprietà fisiche (C e S presentano elettronegatività quasi equivalenti, e S è di dimensioni analoghe a quelle di un gruppo metilenico). La prolina è caratterizzata da una catena laterale pirrolidinica ciclica, invece la fenilalanina (con la sua porzione fenilica) e il triptofano (con il suo gruppo indolico) contengono gruppi laterali aromatici caratterizzati da grande volume e mancanza di polarità. Le catene laterali polari non cariche possiedono gruppi ossidrilici, amidici o tiolici. Gli amminoacidi classificati in questo gruppo sono sei (Tabella 4.1 e Figura 4.5). La serina e la treonina hanno catene laterali di grandezza differente con un gruppo ossidrilico; l’asparagina e la glutammina hanno catene laterali amidiche di varie dimensioni, la tirosina presenta un gruppo fenolico (e, analogamente alla fenilalanina e al triptofano, è aromatica), mentre la cisteina è l’unico tra i 20 amminoacidi a possedere un gruppo tiolico in grado di formare un legame (ponte) disolfuro con un’altra cisteina mediante ossidazione dei due gruppi tiolici (Figura 4.6).

Cinque amminoacidi possiedono catene laterali cariche (Tabella 4.1 e Figura 4.7). A valori fisiologici di pH, le catene laterali degli amminoacidi basici sono cariche positivamente. La lisina presenta una catena laterale costituita da butilammina, mentre l’arginina ha un gruppo guanidinico; come mostrato nella Tabella 4.1, l’istidina contiene un gruppo imidazolico. Si noti che solo l’istidina, il cui pKR è pari a 6,04, si ioLe catene laterali polari cariche sono positive o negative.

Figura 4.5 Modelli di alcuni

amminoacidi con catene laterali polari non cariche. Gli atomi sono rappresentati e colorati come nella Figura 4.4. Si noti la presenza di atomi elettronegativi sulle catene laterali.

Serina

Glutammina

CAPITOLO 4

Gli amminoacidi

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Figura 4.6 Residui di cisteina H

C

O

C

CH2

NH

+

SH

HS

CH2

NH 1 2

Residuo di cisteina

H

O2

O

C

CH2

NH

H

C

O

Residuo di cisteina

H2O

C

C

uniti da legami (ponti) disolfuro. Il legame disolfuro si forma in seguito a ossidazione dei due gruppi tiolici.

NH S

S

CH2

C

H

C

O

nizza a un pH vicino al pH fisiologico. Di conseguenza, nelle proteine questo residuo può essere sia nella forma neutra sia nella forma cationica. Di fatto, la protonazione-deprotonazione delle catene laterali dell’istidina è una caratteristica comune a numerosi meccanismi di reazioni enzimatiche. Le catene laterali degli amminoacidi acidi, acido aspartico e acido glutammico, sono cariche negativamente a un pH superiore a 3; nello stato ionizzato, tali amminoacidi sono chiamati sovente aspartato e glutammato. L’asparagina e la glutammina sono, rispettivamente, le amidi dell’acido aspartico e dell’acido glutammico. La suddivisione dei 20 amminoacidi nei tre diversi gruppi è in qualche misura arbitraria. Per esempio, la glicina e l’alanina, i due amminoacidi più piccoli, e il triptofano, con il suo anello eterociclico, potrebbero essere parimenti classificati come amminoacidi polari non carichi; analogamente, la tirosina e la cisteina, con le loro catene laterali ionizzabili, potrebbero essere considerate amminoacidi polari carichi, in particolare a valori di pH elevati. In effetti, la catena laterale deprotonata della cisteina (che contiene l’anione tiolato, S–) è presente in una serie di enzimi e partecipa attivamente al loro meccanismo di reazione. L’inserimento di un particolare amminoacido in un gruppo o in un altro rispecchia non solo le proprietà dell’amminoacido isolato, ma pure il suo comportamento quando entra a far parte di un polipeptide. La struttura della maggior parte dei polipeptidi dipende da una tendenza delle catene laterali polari e ioniche all’idratazione e di quelle non polari ad associarsi l’una all’altra piuttosto che all’acqua. Questa proprietà dei polipeptidi è dovuta all’effetto idrofobico (Paragrafo 2.1C). Come vedremo, le proprietà chimiche e fisiche delle catene laterali degli amminoacidi determinano anche la reattività chimica del polipeptide. È importante conoscere le strutture dei 20 amminoacidi stardard per apprezzare in che modo questi variano per polarità, acidità, aromaticità, dimensioni, flessibilità conformazionale, capacità di formare legami crociati o legami idrogeno e reattività nei confronti di altri gruppi.

D I valori di pK dei gruppi ionizzabili dipendono dall’ambiente circostante Gli α-amminoacidi possiedono due o, per quelli con catene laterali ionizzabili, tre gruppi acido-base. A valori di pH molto bassi, questi gruppi sono completamente protonati, mentre a valori di pH molto alti questi gruppi sono deprotonati. A valori intermedi di pH, i gruppi acidi tendono a essere deprotonati mentre i gruppi basici tendono a essere protonati. Quindi, per l’amminoacido glicina, al di sotto del valore di pH 2,35 (corrispondente al valore di pK del suo gruppo carbossilico acido), predomina la forma cationica +H3NCH2COOH. Al di

Aspartato

Lisina Figura 4.7 Alcuni amminoacidi con

catene laterali polari cariche. Gli atomi sono rappresentati e colorati come nella Figura 4.4.

92

CAPITOLO 4

Gli amminoacidi

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sopra del valore di pH 2,35, l’acido carbossilico è per lo più ionizzato mentre il gruppo amminico è ancora almeno in parte protonato (+H3NCH2COO−). Al di sopra del valore di pH 9,78 (corrispondente al valore di pK del gruppo amminico), la forma predominante è quella anionica H2NCH2COO−. Si noti che, in soluzione acquosa, la forma neutra non ionizzata (H2NCH2COOH) è presente in quantità trascurabili. Il pH a cui una molecola non porta carica elettrica netta è detto punto isoelettrico, pI. Per gli α-amminoacidi, 1 [4.1] (pKi pK j ) 2 dove Ki e Kj sono le costanti di dissociazione delle due reazioni di ionizzazione che avvengono a carico delle specie neutre. Per gli acidi monoamminici e monocarbossilici, come per esempio la glicina, Ki e Kj rappresentano K1 e K2. Per gli amminoacidi carichi aspartato e glutammato, Ki e Kj sono K1 e KR, mentre per arginina, istidina e lisina, Ki e Kj sono KR e K2 (vedi l’Esempio di calcolo 4.1). I residui amminoacidici che fanno parte di una catena polipeptidica non hanno gruppi α-amminici e α-carbossilici liberi in grado di ionizzarsi, in quanto questi gruppi sono impegnati nei legami peptidici (Figura 4.3). I valori di pK di tutti i gruppi ionizzabili, inclusi quelli N- e C-terminali, possono discostarsi dai valori di pK elencati nella Tabella 4.1, definiti per gli amminoacidi liberi. Per esempio, i valori di pK dei gruppi α-carbossilici nelle proteine non ripiegate variano da 3,5 a 4,0. Negli amminoacidi liberi, i valori di pK sono molto più bassi poiché il gruppo amminico carico positivamente stabilizza elettrostaticamente il gruppo COO− rendendo, di fatto, più semplice al gruppo carbossilico la perdita del protone. Analogamente, i valori di pK dei gruppi α-amminici sono compresi tra 7,5 e 8,5. Negli amminoacidi liberi i valori di pK diventano più elevati a causa della tendenza a sequestrare elettroni del gruppo carbossilico vicino, che rende quindi più difficile al gruppo amminico la deprotonazione. La struttura tridimensionale ripiegata di una catena polipeptidica può portare catene laterali polari e le estremità N- e C-terminali a stretto contatto; le interazioni elettrostatiche risultanti tra questi gruppi possono alterarne i valori di pK anche di svariate unità di pH rispetto ai valori dei corrispondenti amminoacidi liberi. Per questo motivo, il pI di un polipeptide, che è una funzione dei valori di pK dei suoi molti gruppi ionizzabili, non è facilmente prevedibile ed è solitamente determinato sperimentalmente. pI

Ð ESEMPIO DI CALCOLO 4.1

Calcolate il punto isoelettrico dell’acido aspartico. Nella forma neutra, il gruppo α-carbossilico è deprotonato e il gruppo α-amminico è protonato. La protonazione del gruppo α-carbossilico o la deprotonazione del gruppo β-carbossilico dovrebbero entrambe generare specie cariche. Quindi, i valori delle pK di questi gruppi (1,99 e 3,90; vedi la Tabella 4.1) possono essere utilizzati nell’equazione 4.1: pI = (pKi + pKj)/2 = (1,99 + 3,90)/2 = 2,94

E I nomi degli amminoacidi sono abbreviati Le abbreviazioni a tre lettere fornite nella Tabella 4.1 per i 20 amminoacidi standard sono ampiamente utilizzate nella letteratura biochimica; la maggior parte di esse deriva dalle prime tre lettere del nome dell’amminoacido corrispondente e si pronuncia così come è scritta. Glx indica Glu o Gln; analogamente, Asx denota Asp o Asn. Tale ambiguità di simboli deriva dall’esperienza di laboratorio: Asn e Gln, nelle condizioni acide o basiche spesso impiegate per recuperarle dalle proteine, sono facilmente idrolizzate ad Asp e Glu. Senza fare uso di precauzioni particolari, è impossibile stabilire se un Glu identificato in queste condizioni fosse originariamente Glu o Gln; lo stesso vale per Asp e Asn. Nella Tabella 4.1 sono riportati anche i simboli a una lettera degli amminoacidi; questo sistema più sintetico è usato sovente quando si raffrontano le sequenze amminoacidiche di più proteine analoghe. Si noti che di solito il simbolo a una lettera equivale alla prima lettera del nome dell’amminoacido; tuttavia, per quei residui che hanno la prima lettera uguale, questa regola vale solo per quello più abbondante. Nei polipeptidi i residui amminoacidici sono denominati eliminando il suffisso, in genere -ina, nel nome dell’amminoacido e sostituendolo con -ile. Le

CAPITOLO 4

Gli amminoacidi

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O

H NH

H

Cα C

O

Cα C

NH

H 2Cβ

H 2Cβ

H 2Cγ

H 2Cγ

Figura 4.8 Nomenclatura degli

COO–

H 2Cδ

amminoacidi con lettere greche. Agli atomi di carbonio sono assegnate in sequenza le lettere dell’alfabeto greco, a iniziare da quello adiacente al gruppo carbonilico.

H 2Cε +

NH3 Lys

93

Glu

catene polipeptidiche sono descritte iniziando dall’N-terminale e proseguendo in direzione del C-terminale. L’amminoacido situato all’estremità carbossilica mantiene il suo nome originale; pertanto, il composto OH

COO– CH3 + H3N

C

C

H

O

Ala

H

CH2

N

C

C

H

O

Tyr

H

CH2

N

C

C

H

O

Asp

H

H

N

C

COO–

H Gly

è la alaniltirosilaspartilglicina. È ovvio che dare un nome a catene polipeptidiche composte da un numero abbastanza cospicuo di residui è estremamente scomodo; il tetrapeptide usato come esempio può essere anche scritto Ala-Tyr-Asp-Gly, usando il codice a tre lettere, oppure AYDG avvalendosi dei simboli a una lettera. I vari atomi delle catene amminoacidiche laterali sono spesso indicati in sequenza impiegando lettere dell’alfabeto greco, a partire dall’atomo di carbonio adiacente al gruppo carbonilico del peptide. Come mostrato nella Figura 4.8, si dice che il residuo di Lys possiede un gruppo ε-amminico, mentre Glu ha un gruppo γ-carbossilico. Purtroppo tale sistema di classificazione si rivela ambiguo per numerosi amminoacidi; di conseguenza, ci si avvale pure degli schemi di numerazione convenzionali per le molecole organiche (indicati nella Tabella 4.1 per le catene laterali eterocicliche).

2 La stereochimica CONCETTI CHIAVE

• Gli amminoacidi, come molti altri composti biologici, sono molecole chirali la cui configurazione può essere rappresentata con le proiezioni di Fischer.

• Gli amminoacidi, nelle proteine, hanno tutti la configurazione stereochimica l. Con l’eccezione della glicina, tutti gli amminoacidi presenti nei polipeptidi naturali sono otticamente attivi, vale a dire che ruotano il piano della luce polarizzata. La direzione e l’angolo di rotazione possono essere misurati usando uno strumento noto come polarimetro (Figura 4.9). Le molecole otticamente attive sono asimmetriche, cioè non sono sovrapponibili alla loro immagine speculare, come la mano sinistra non si può sovrapporre alla sua immagine speculare, la mano destra. Questa situazione è caratteristica delle sostanze contenenti atomi di carbonio tetraedrico che possiedono quattro

PUNTO DI VERIFICA

• Disegnate un amminoacido generico e identificate il carbonio α e i suoi sostituenti.

• Disegnate le strutture dei 20 amminoacidi standard e attribuitegli le corrette denominazioni abbreviate a una e tre lettere.

• Disegnate il tripeptide Cys-Gly-Asn. Identificatene i legami peptidici e le estremità N- e C-terminali. Determinatene poi la carica netta a pH neutro.

• Classificate i 20 amminoacidi standard a seconda della polarità, della struttura, del tipo di gruppo funzionale e delle proprietà acido-base.

• Perché i valori di pK dei gruppi ionizzabili sono diversi negli amminoacidi liberi rispetto a quelli dei residui amminoacidici nei polipeptidi?

CAPITOLO 4

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Gli amminoacidi

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+

Analizzatore (può ruotare)





+90°

Scala graduata (fissa)

–90° 180°

Tubo polarimetrico Polarizzatore fisso Sorgente di luce

La sostanza otticamente attiva presente nella soluzione del tubo determina una rotazione del piano della luce polarizzata

Figura 4.9 Rappresentazione

schematica di un polarimetro. Tale dispositivo è impiegato per misurare la rotazione ottica.

Cl H

C

F Br

Cl F

Il piano di polarizzazione della luce emergente non è equivalente a quello della luce polarizzata incidente

C

H

Br

Piano dello specchio Figura 4.10 I due enantiomeri del fluoroclorobromometano. I quattro sostituenti sono disposti secondo un tetraedro intorno all’atomo di carbonio centrale. Una linea tratteggiata indica che il sostituente giace sotto il piano del foglio di carta, mentre una linea a forma di cuneo indica che esso è situato sopra tale piano; infine, una linea continua sottile mostra che il sostituente giace sul piano del foglio. Il piano dello specchio, che mette in relazione gli enantiomeri, è rappresentato dalla linea tratteggiata verticale in rosso.

sostituenti differenti. Per esempio, le due molecole rappresentate nella Figura 4.10 non sono sovrapponibili dal momento che sono immagini speculari; i loro atomi centrali sono noti come centri asimmetrici o centri chirali e presentano la proprietà della chiralità (dal greco cheirós, “mano”). Gli atomi di Cα degli amminoacidi (eccettuata la glicina) sono centri asimmetrici. La glicina possiede due atomi di H uniti al suo atomo di Cα, è quindi sovrapponibile alla propria immagine speculare e non è otticamente attiva. Molte molecole biologiche contengono uno o più centri chirali.

Le molecole che sono immagini speculari non sovrapponibili l’una dell’altra sono note come enantiomeri. Le molecole enantiomeriche risultano indistinguibili dal punto di vista fisico e chimico con la maggior parte delle tecniche disponibili; solo quando sono analizzate asimmetricamente, per esempio mediante rotazione del piano della luce polarizzata o per mezzo di reagenti contenenti anch’essi centri chirali, è possibile distinguerle o manipolarle in modo differenziale. Sembra che non esista una relazione chiara tra la struttura di una molecola e l’angolo o la direzione di rotazione del piano della luce polarizzata. Per esempio, la leucina isolata dalle proteine ruota la luce polarizzata di 10,4° verso sinistra, mentre l’arginina la ruota di 12,5° verso destra (gli enantiomeri di questi composti ruotano la luce polarizzata di un uguale angolo, ma in direzioni opposte). Non è dunque possibile prevedere la rotazione ottica partendo dalla struttura di una molecola o derivare la configurazione assoluta (la disposizione spaziale) di gruppi chimici intorno a un centro chirale basandosi su misurazioni di rotazione ottica. I centri chirali danno origine agli enantiomeri.

La convenzione di Fischer descrive la configurazione dei centri asimmetrici.

Per descrivere le forme differenti delle molecole chirali, i biochimici utilizzano in genere la convenzione di Fischer. Con questo sistema la configurazione dei gruppi intorno a un centro asimmetrico è confrontata con quella della gliceraldeide, una molecola che contiene un centro chiralico. Nel 1891 Emil Fischer propose che gli isomeri spaziali, o stereoisomeri, della gliceraldeide fossero designati d-gliceraldeide e l-gliceraldeide (Figura 4.11). Il prefisso l (si noti l’impiego della lettera in maiuscoletto) significa rotazione della luce polarizzata verso sinistra (dal greco levo, “sinistra”), mentre d indica rotazione verso destra (dal greco dextro, “destro”) da parte delle due forme della gliceraldeide. Lo scienziato assegnò i prefissi alle strutture illustrate nella Figura 4.11 senza sapere effettivamente se quella a sinistra e quella a destra fossero, rispettivamente, levogira o

CAPITOLO 4

Figura 4.11 La convenzione di Fischer. Gli enantiomeri della gliceraldeide sono illustrati

Formule geometriche

come formule geometriche (in alto) e come proiezioni di Fischer (in basso). In una proiezione di Fischer le linee orizzontali rappresentano legami che si estendono sopra il piano della pagina, mentre quelle verticali indicano legami che si estendono al di sotto di esso (in alcune proiezioni di Fischer l’atomo di carbonio chirale centrale non è mostrato esplicitamente).

CHO

CHO HO

C

H

H

CH2OH

Disegnate la proiezione di Fisher dei due enantiomeri dell’alanina o, in alternativa, utilizzate un kit per la costruzione dei modelli molecolari per dimostrare che i due isomeri sono immagini speculari non sovrapponibili.

Proiezione di Fischer

HO

destrogira; solo nel 1949 furono compiuti esperimenti che confermarono che la scelta di Fischer era stata realmente corretta. Egli propose altresì un modo abbreviato per riferirsi alle configurazioni molecolari, noto come proiezioni di Fischer, anch’esse riportate nella Figura 4.11. Secondo questa convenzione, i legami orizzontali si estendono sopra il piano del foglio, mentre quelli verticali si estendono sotto il piano del foglio. La configurazione dei gruppi che circondano un qualsiasi centro chirale può essere posta in relazione a quella della gliceraldeide convertendo chimicamente questi gruppi in quelli della gliceraldeide; per gli α-amminoacidi, i gruppi amminico, carbossilico, R e H intorno all’atomo di Cα corrispondono, rispettivamente, ai gruppi ossidrilico, aldeidico, CH2OH e H della gliceraldeide. COO–

CHO C

H

CH2OH L-Gliceraldeide

+ H3N

C

H

R L-a-Amminoacido

Perciò si dice che la l-gliceraldeide e gli l-α-amminoacidi possiedono la medesima configurazione relativa. Ogni amminoacido derivato dalle proteine è nella configurazione stereochimica l; ciò significa che tutti mostrano la stessa configurazione relativa intorno ai loro atomi di Cα. Ovviamente, indicare un amminoacido con l o d non ne sottolinea la capacità di ruotare il piano della luce polarizzata; numerosi l-amminoacidi sono destrogiri. Il sistema di Fischer presenta alcuni inconvenienti, in particolare per le molecole dotate di più centri asimmetrici; ciascuno di questi può avere due configurazioni possibili, così una molecola con n centri chirali possiederà 2n possibili differenti stereoisomeri. La treonina e l’isoleucina, per esempio, hanno ciascuna due atomi di carbonio chirali, e quindi ognuna possiede quattro stereoisomeri, o due coppie di enantiomeri. [Gli enantiomeri (immagini speculari) delle forme l sono le forme d.] Per la maggior parte degli scopi, il sistema di Fischer fornisce una descrizione adeguata delle molecole biologiche; talvolta però i biochimici fanno uso di una nomenclatura più accurata (Scheda 4.2).

SCHEDA 4.2

OH

C

CH2OH

CHO

CHO

HO

95

Gli amminoacidi

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C

H

H

CH2OH

C

OH

CH2OH

Piano dello specchio L-Gliceraldeide

D-Gliceraldeide

LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

Il sistema RS

Nel 1956 Robert Cahn, Christopher Ingold e Vladimir Prelog idearono un sistema atto a descrivere in modo inequivocabile le configurazioni delle molecole con più di un centro asimmetrico. Nel sistema di Cahn-IngoldPrelog o RS, i quattro gruppi che circondano un centro chirale sono classificati secondo uno schema di priorità specifico quantunque arbitrario: si considerano per primi gli atomi con numero atomico superiore rispetto a quelli con numero atomico più basso (per esempio, −OH viene prima di −CH3). Se però i primi sostituenti atomici sono uguali, allora la priorità è assegnata in base all’atomo successivo esterno rispetto al centro chirale (per esempio, −CH2OH precede −CH3). L’ordine di priorità relativo ad alcuni gruppi funzionali comuni è SH > OH > NH2 > COOH > CHO > CH2OH > C6H5 > CH3 > H Ai gruppi con priorità decrescente sono assegnate le lettere W, X, Y, Z, in modo che il loro ordine di assegnazione di priorità sia W > X > Y > Z. Al fine di stabilire la configurazione del centro chirale, si osserva il centro di asimmetria a partire dal gruppo Z (a priorità più bassa); se l’ordine dei gruppi W n X n Y è in senso orario, la configurazione è denominata R (dal latino rectus, “destro”), mentre se è in senso antiorario è definita S (dal latino sinistrus, “sinistro”). La l-gliceraldeide è (S)-gliceraldeide perché i tre gruppi a priorità più alta sono disposti in senso antiorario quando l’atomo di H (linee tratteggiate) è posizionato dietro l’atomo di C chirale (circoletto a linea continua). CHO(X)

CHO HO

C

H

CH2OH L-Gliceraldeide

q

H (Z)

OH (W)

CH2OH (Y) (S)-Gliceraldeide

Tutti gli l-amminoacidi presenti nelle proteine sono (S)-amminoacidi a eccezione della cisteina, che è (R)-cisteina dato che lo zolfo della sua catena laterale ne aumenta la priorità. Altri composti strettamente correlati che hanno la medesima designazione secondo la convenzione dl di Fischer possono mostrare rappresentazioni differenti con il sistema RS. Quest’ultimo si rivela utile in particolare per descrivere le chiralità di composti dotati di centri asimmetrici multipli; di conseguenza, la l-treonina può essere chiamata pure (2S,3R)-treonina.

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CAPITOLO 4

Gli amminoacidi

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Consideriamo l’ordinaria sintesi chimica di una molecola chirale, che genera una miscela racemica (che contiene quantità equivalenti di ciascun enantiomero); al fine di ottenere un prodotto con asimmetria netta, è necessario fare uso di un processo chirale. Una delle caratteristiche più sorprendenti della vita è la produzione di molecole otticamente attive; i processi biosintetici danno luogo quasi invariabilmente a stereoisomeri puri. Il fatto che i residui amminoacidici delle proteine siano tutti in configurazione l costituisce solo un esempio di tale fenomeno; inoltre, dal momento che la gran parte delle molecole biologiche è di tipo chirale, una data molecola, presente in una singola forma enantiomerica, si legherà a un unico enantiomero di un altro composto o reagirà esclusivamente con questo. Per esempio, una molecola proteica costituita da residui di l-amminoacidi che reagisce con un particolare l-amminoacido, non lo fa prontamente con la sua forma d. Una proteina composta solo dai residui di d-amminoacidi reagisce prontamente solo con il corrispondente d-amminoacido. I residui d-amminoacidici fanno parte di alcuni polipeptidi batterici relativamente piccoli ( 0, allora è la trasformazione inversa che ‡ cat

CAPITOLO 11

La catalisi enzimatica

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X‡ Non catalizzata

G

‡ ∆∆Gcat (riduzione del ∆G‡ da parte del catalizzatore)

351

Figura 11.7 Effetto di un catalizzatore sul diagramma dello stato di transizione di una reazione. Qui ∆∆G‡cat = ∆G‡(non cat) – ∆G‡(cat).

Il catalizzatore influenza il ∆Greazione?

Catalizzata A+B A+B

P+Q

P+Q

Coordinata di reazione

avviene spontaneamente. Un enzima non può alterare ∆Greazione, ma è in grado di diminuire il valore di ∆G‡ in modo da consentire alla reazione di raggiungere l’equilibrio (dove le velocità delle reazioni diretta e inversa si equivalgono) con rapidità maggiore di quanto non avviene in assenza di catalizzatore. L’effettiva velocità con cui i reagenti sono convertiti nei prodotti è sottoposta ai principi della cinetica chimica (Paragrafo 12.1).

3 I meccanismi di catalisi CONCETTI CHIAVE

• Le catene laterali degli amminoacidi che sono in grado di donare o accettare protoni possono prendere parte alle reazioni chimiche come catalizzatori acidi o basici.

• I gruppi nucleofilici possono catalizzare le reazioni tramite la formazione di legami covalenti transitori con il substrato.

• Nella catalisi da ioni metallici, le proprietà elettroniche tipiche dello ione metallico favoriscono la reazione.

• Gli enzimi accelerano le reazioni avvicinando i gruppi reagenti e orientandoli correttamente.

• La stabilizzazione dello stato di transizione può diminuire significativamente l’energia di attivazione di una reazione.

Gli enzimi incrementano enormemente la velocità delle loro reazioni utilizzando gli stessi meccanismi di catalisi impiegati dai catalizzatori chimici. Gli enzimi sono stati semplicemente meglio “modellati” nel corso dell’evoluzione. Come gli altri catalizzatori, gli enzimi riducono l’energia libera dello stato di transizione (∆G‡), cioè stabilizzano lo stato di transizione della reazione catalizzata. I catalizzatori sono così efficaci per la loro specificità di legame del substrato, combinata con la disposizione dei loro gruppi catalitici. Come vedremo in seguito, la distinzione tra gruppi di legame al substrato e gruppi catalitici è in qualche misura arbitraria. I tipi di meccanismi di catalisi impiegati dagli enzimi sono stati classificati come:

1. 2. 3. 4. 5.

catalisi acido-base catalisi covalente catalisi da metalli effetti di vicinanza e orientamento legame preferenziale del complesso dello stato di transizione

In questo paragrafo prenderemo in considerazione, uno per volta, ognuno di questi cinque meccanismi enzimatici. È possibile comprendere meglio i meccanismi della catalisi enzimatica analizzando le corrispondenti reazioni di

PUNTO DI VERIFICA

• Disegnate e identificate le varie parti dei diagrammi di transizione di stato di una reazione con e senza il catalizzatore.

• Qual è la correlazione tra ∆G e ∆G‡?

352

CAPITOLO 11

La catalisi enzimatica

SCHEDA 11.1

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LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

Illustrazione dei meccanismi di reazione Per comprendere i meccanismi di reazione talvolta è sufficiente disegnare le strutture dei reagenti e dei prodotti, ma spesso è necessario conoscere come vengono riposizionati gli elettroni e come vengono scissi e poi riformati i legami covalenti. I biochimici utilizzano la convenzione delle frecce curve per descrivere i riordinamenti delle coppie elettroniche che si osservano durante una reazione. Anche se in biochimica avvengono reazioni in cui è interessato un singolo elettrone, noi ci focalizzeremo sulle reazioni più comuni, cioè su quelle in cui sono coinvolte coppie di elettroni. Il movimento di una coppia di elettroni (che può essere o una coppia di elettroni non condivisi oppure una coppia che forma un legame covalente) è indicato simbolicamente per mezzo di una freccia curva che parte dalla coppia elettronica per puntare verso il gruppo o atomo povero di elettroni che attrae la coppia. Per esempio, la scissione di un legame è rappresentata nel modo seguente: X

X+

Y

Y–

+

mentre la formazione di un legame si indica:

+ SY –

X+

X

Y

Un esempio di una reazione molto più complessa che richiede l’utilizzo di molte frecce curve è rappresentato dalla formazione di una immina (base di Schiff), una reazione tra un’ammina e un’aldeide o un chetone che riveste rilevanza biochimica considerevole: H R

NS H

Ammina

H

R9 C

O

R0 Aldeide o chetone

R

Nella prima tappa della reazione, la coppia di elettroni non condivisi dell’azoto amminico va ad attaccare il carbonio carbonilico povero di elettroni. Contemporaneamente, una coppia elettronica si trasferisce dal suo doppio legame C=O all’atomo di ossigeno. Durante la seconda tappa di tautomerizzazione (che consiste nello spostamento di un atomo di idrogeno) la coppia di elettroni non condivisi sull’atomo di azoto attacca l’atomo di carbonio povero di elettroni con l’eliminazione di uno ione idrossido. L’acquisizione di un minimo di familiarità con le elettronegatività relative degli atomi O > N >> C ≈ H può essere utile nel predire i movimenti degli elettroni, in quanto gli elettroni – sia quelli dei legami covalenti sia quelli delle coppie isolate – tendono a muoversi dagli atomi meno elettronegativi verso gli atomi più elettronegativi. Disegnare le coppie isolate di elettroni come puntini può aiutare a identificare gli atomi ricchi di elettroni e quelli poveri di elettroni. Inoltre, in ogni momento si applicano al sistema le regole delle reazioni chimiche; per esempio, un atomo di carbonio non presenta mai cinque legami, così come non si osservano mai due legami che coinvolgono un atomo di idrogeno.

H

R9

N+

C

H

R0



O

tautomerizzazione

R

N

O

R9 C

H OH

R0

Carbinolammina intermedia

R

+ N

R9

+

C

OH



R0

Immina (base di Schiff)

composti modello in assenza di enzimi. Entrambi i tipi di trasformazioni chimiche possono essere descritti facendo uso delle convenzioni riportate nella Scheda 11.1.

A La catalisi acido-base avviene per trasferimento protonico La catalisi acida generale è un processo in cui il trasferimento di protoni da un acido abbassa l’energia libera dello stato di transizione di una reazione. Per esempio, una reazione di tautomerizzazione cheto-enolica non catalizzata procede piuttosto lentamente a causa dell’elevata energia libera del suo stato di transizione, che presenta struttura simile a un carbanione (Figura 11.8a; lo stato di transizione è disegnato in parentesi quadre per indicarne l’instabilità). La donazione di un protone all’atomo di ossigeno (Figura 11.8b), tuttavia, riduce il carattere di carbanione dello stato di transizione, accelerando in tal modo la reazione. Una reazione può essere altresì stimolata mediante catalisi basica generale se la sua velocità viene aumentata mediante rimozione di protoni da parte di una base (per esempio, Figura 11.8c). Alcune reazioni possono essere soggette a entrambi i processi contemporaneamente; si tratta delle reazioni con catalisi acido-base concertata. Molti tipi di reazioni biochimiche possono andare incontro a catalisi acida e/o basica. Le catene laterali dei residui amminoacidici di Asp, Glu, His, Cys, Tyr e Lys presentano valori di pK che rientrano, o che si avvicinano, ai valori

CAPITOLO 11

La catalisi enzimatica

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Stato di transizione

R (a)

C

R O

H

R

(c)



O

+

H

A

C

O

H

H δ+

R

R

H

+ ..

B

H

O

H

R δ–

δ+

H

δ–

A

C

δ–

O

O

CH2

R

CH 2

CH2

C

δ+

CH2

C



– CH δ2

H

C

R

C

CH2

(b)

Forma enolica

H+

+

A– H2O

CH2 H

A

+

OH –

R δ–

C

O

– CH δ2

H

δ+

δ+

B

Figura 11.8 Meccanismi di tautomerizzazione cheto-enolica. (a) Non catalizzata. (b) Mediata dalla catalisi acida generale. (c) Mediata dalla catalisi basica generale. L’acido è indicato

C H+

O

H

CH2

+

H

H+

B+

B

+ ..

Forma chetonica

353

schematicamente con H–A, la base con O B , mentre δ indica una carica parziale, negativa o positiva.

di pH fisiologici (Tabella 4.1), il che consente loro di agire da catalizzatori acidi e/o basici. La capacità degli enzimi di disporre svariati gruppi catalitici intorno ai loro substrati rende la catalisi acido-base concertata un meccanismo enzimatico comune. L’attività catalitica di tali enzimi è sensibile al pH, dato che quest’ultimo influenza lo stato di protonazione delle catene laterali a livello del sito attivo (Scheda 11.2). La RNasi A è un catalizzatore acido-base. La ribonucleasi A (RNasi A) di pan-

creas bovino costituisce un esempio di catalisi acido-base enzimatica. Questo enzima digestivo (Figura 11.9) è secreto dal pancreas nell’intestino tenue, dove determina l’idrolisi dell’RNA nei suoi nucleotidi liberi. L’isolamento di nucleotidi 2′,3′-ciclici durante la digestione di RNA con RNasi A indica che la reazione idrolitica procede con la formazione di questi nucleotidi intermedi (Figura 11.10), mentre la dipendenza dal pH della velocità della reazione della RNasi A suggerisce il coinvolgimento di due residui ionizzabili con valori di pK intorno a 5,4 e a 6,4. Questi dati, unitamente a indagini di derivatizzazione chimica e a studi ai raggi X, hanno permesso di stabilire che la RNasi A possiede due residui essenziali di His, His 12 e His 119, che agiscono all’unisono come catalizzatori generali acido-base. La reazione catalizzata dall’RNasi è un processo in due tappe (Figura 11.10). 1. His 12 si comporta da base generale e sottrae un protone da un gruppo 2′OH dell’RNA, promuovendone così l’attacco nucleofilico sull’atomo di fosforo adiacente. L’His 119 svolge la funzione di acido generale e favorisce la scissione del legame protonando il gruppo uscente. 2. Dopo l’allontanamento del gruppo uscente, l’acqua entra nel sito attivo e l’intermedio 2′,3′-ciclico viene idrolizzato attraverso un meccanismo che è essenzialmente l’inverso della prima tappa. Quindi l’His 12 ora agisce da acido generale e l’His 119 da base generale per generare l’RNA idrolizzato e l’enzima nel suo stato originale.

354

CAPITOLO 11

La catalisi enzimatica

SCHEDA 11.2

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LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

Gli effetti del pH sullÕattivitˆ enzimatica

Velocitˆ

La maggior parte degli enzimi è attiva solo in un ristretto intervallo di pH, di solito tra 5 e 9. Questo dipende dall’effetto del pH su una combinazione di fattori: (1) il legame del substrato all’enzima, (2) gli stati di ionizzazione dei residui amminoacidici coinvolti nell’attività catalitica dell’enzima, (3) la ionizzazione del substrato e (4) la modificazione della struttura della proteina (che di solito è significativa a valori estremi di pH). Le curve di numerose reazioni enzimatiche hanno un andamento a campana dipendente dal pH. Per esempio, la dipendenza dal pH della velocità della reazione catalizzata dalla fumarasi (Paragrafo 17.3G) genera la curva mostrata nella figura seguente:

0

5

6

7 pH

8

9

[Figura adattata da Tanford, C. (1961). Physical Chemistry of Macromolecules. Wiley, p. 647.]

Questi andamenti riflettono la ionizzazione di determinati residui amminoacidici che devono trovarsi in uno specifico stato di ionizzazione ai fini dell’attività enzimatica. I valori osservati di pK (i punti di flesso della curva) forniscono sovente indizi preziosi per identificare i residui amminoacidici essenziali all’attività enzimatica. Per esempio, un pK osservato di ∼4 indica che un residuo di Asp o di Glu è essenziale per l’enzima; analogamente, un pK di ∼6 o di ∼10 suggerisce la partecipazione, rispettivamente, di un residuo di His o di uno di Lys. Tuttavia il pK di un dato gruppo acido-base può variare anche di diverse unità di pH rispetto al suo valore, a seconda del microambiente in cui si trova (per esempio, un residuo di Asp in un ambiente non polare oppure in vicinanza di un altro residuo di Asp attrae i protoni più fortemente e dunque presenta un pK più elevato). Gli effetti del pH sulla velocità di una reazione enzimatica possono rispecchiare anche la denaturazione dell’enzima oltre che la protonazione o deprotonazione di specifici residui catalitici. La sostituzione di un particolare residuo mediante mutagenesi sito-diretta o i confronti di varianti enzimatiche generate dall’evoluzione costituiscono un approccio molto più affidabile allo scopo di identificare i residui necessari per il legame del substrato o la catalisi. Oltre al pH, la catalisi enzimatica può essere influenzata anche da altri fattori ambientali quali temperatura e concentrazione salina. Il risultato di queste perturbazioni è visibile in una curva di attività a campana, proprio come accade variando il valore di pH della soluzione in cui avviene la reazione. Le condizioni ottimali (corrispondenti al picco della curva di attività) spesso corrispondono alle condizioni ambientali a cui solitamente è esposta una cellula o un organismo, indicando che l’evoluzione ha messo a punto gli enzimi per renderli massimamente efficienti.

Figura 11.9 Struttura ai raggi X della RNasi S di pancreas bovino. Un analogo non idrolizzabile del substrato, il dinucleotide fosfonato UpcA (in rosso), è legato nel sito attivo. La RNasi S è una forma cataliticamente attiva della RNasi A, in cui il legame peptidico tra i residui 20 e 21 è stato idrolizzato. [Illustrazione, Irving Geis/Irving Geis Collection/Howard Hughes Medical Institute. Riproduzione soggetta ad autorizzazione.]

B La catalisi covalente richiede un nucleofilo La catalisi covalente aumenta la velocità di reazione attraverso la formazione temporanea di un legame covalente tra il catalizzatore e il substrato. Di solito questo legame si forma mediante la reazione di un gruppo nucleofilico presente sul catalizzatore con un gruppo elettrofilico del substrato; in qualche caso il proceso viene detto anche catalisi nucleofilica. La decarbossilazione dell’acetoacetato, catalizzata chimicamente dalle ammine primarie, è un esempio di questo pro-

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355

La catalisi enzimatica

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SCHEMA DI PROCESSO

–O

RNA 59

O

P

CH2 O

49

O

H

H

H 29

39

H

H

H

–O

N +

1

NH

N

P

O

O

H2O

H

H

O

OH

P

CH2 O H

Base

H

H

O

O H

–O

Base

HO

O

CH2 O H

...

–O

H

O

OH

P

N+

NH

O H

H

Base

H

H

P O

H

O

N H

O –O

His 12

CH2 O

O

P O

His 119

19

H

O

O –O

Base

Nucleotide 29,39-ciclico

S

O

...

...

Per promuovere l’attacco nucleofilico e la scissione del legame, l’His 12 agisce da base generale e l’His 119 da acido generale.

N

H

N H

O

...

O

...

Per promuovere l’idrolisi, l’His 12 2 agisce da acido generale e l’His 119 da base generale.

O –O

P

O

O

CH2 O H –O

Base

H

H

O

O

P

O

O

H

H H

SN

H N+ Figura 11.10 Meccanismo della RNasi A. L’idrolisi dell’RNA catalizzata dalla RNasi A di pancreas bovino è un processo bifasico con la formazione di un intermedio nucleotidico 2’,3’-ciclico.

N H

Assegnate un valore di pK (5,4 o 6,4) a ciascun residuo di His.

cesso (Figura 11.11). Nella prima fase di questa reazione, l’ammina, un nucleofilo, attacca il gruppo carbonilico dell’acetoacetato per dare origine a una base di Schiff (un legame amminico; la stessa reazione mostrata nella Scheda 11.1): H

H N

O

+

C

O

N

O

H

SB

H

A

C

OH

H + N

C

+

Base di Schiff (immina)

OH –

NH

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La catalisi enzimatica

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Figura 11.11 Decarbossilazione dell’acetoacetato. Il meccanismo della reazione non catalizzata è mostrato in alto, mentre quello catalizzato da ammine primarie è in basso.

O CH3

C

O CH2

CO2

+ H

–O

C

CH3

C

CH2

O CH3

C

CH3

O– Acetoacetato RNH2

OH⫺

R CH3

Acetone

Enolato

⫹ N C

RNH2

H O CH2

R

CO2

..

Aggiungete delle frecce curve per descrivere i movimenti degli elettroni nei passaggi rappresentati dalle frecce verticali.

H

N

C

CH3

C

H+

CH2

OH⫺ R

CH3

⫹ N C

H CH3

O– Base di Schiff (immina)

L’atomo di azoto protonato dell’intermedio covalente agisce come una “trappola” per gli elettroni (Figura 11.11, in basso) allo scopo di ridurre il carattere di enolato ad alta energia dello stato di transizione. La formazione e la decomposizione della base di Schiff avvengono in maniera piuttosto rapida e quindi questa non è la tappa che limita la velocità di questa reazione. La catalisi covalente può essere suddivisa in tre fasi. 1. La reazione nucleofilica tra il catalizzatore e il substrato con formazione di un legame covalente. 2. La sottrazione di elettroni dal centro di reazione da parte del catalizzatore che diventa un elettrofilo. 3. La liberazione del catalizzatore nel corso di una reazione che è essenzialmente l’inverso della fase 1.

Figura 11.12 Gruppi nucleofilici ed elettrofilici di rilevanza biologica. (a) Gruppi nucleofilici come quelli ossidrilici, sulfidrilici, amminici e imidazolici sono nucleofili nelle loro forme basiche. (b) I gruppi elettrofilici contengono un atomo povero di elettroni (in rosso).

La nucleofilicità di una sostanza è in stretta correlazione con la sua basicità. In effetti, il meccanismo della catalisi nucleofilica ricorda quello della catalisi basica, eccetto che non viene rimosso un protone dal substrato, ma si ha un attacco nucleofilico su quest’ultimo da parte del catalizzatore con formazione di un legame covalente. I nucleofili rilevanti sotto il profilo biologico sono carichi negativamente oppure contengono coppie elettroniche non condivise che formano facilmente legami covalenti con gruppi poveri di elettroni (Figura 11.12a). Al contrario, gli elettrofili sono composti da gruppi carichi positivamente, con

Identificate le catene laterali degli amminoacidi che includono i nucleofili e gli elettrofili riportati nella figura.

(b) Elettrofili

(a) Nucleofili

H1

ROH Q O

Forma nucleofila 2 RO QS O

1

H1 Gruppo ossidrilico

RSH Q O

2 RS QS O

1

H1 Gruppo sulfidrilico

1

RNH 3

RNH O 2

HN

NH

1

H

1

H1 Gruppo imidazolico

Gruppo amminico

n1

Ioni metallici

R C

O

Atomo di carbonio carbonilico

C

1 NH

Immina cationica (base di Schiff)

R9

R

R 1

1

M

Protoni

HN

NS

R

R9

CAPITOLO 11

La catalisi enzimatica

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strati elettronici di valenza incompleti o contenenti un atomo elettronegativo (Figura 11.12b). Un aspetto importante della catalisi covalente risiede nel fatto che quanto maggiore è la stabilità del legame covalente formatosi, tanto minore è la facilità con cui esso tende a rompersi nelle fasi conclusive della reazione. Un catalizzatore covalente soddisfacente deve quindi combinare le proprietà apparentemente contrastanti di una elevata nucleofilicità con la capacità di formare un buon gruppo uscente, cioè di invertire facilmente la fase di formazione del legame covalente. Gruppi a elevata polarizzabilità (con elettroni altamente mobili), come per esempio l’imidazolo e il gruppo tiolico, hanno queste caratteristiche e pertanto sono eccellenti catalizzatori covalenti. Nelle proteine i gruppi funzionali che agiscono in questo modo comprendono il gruppo ε-amminico non protonato della Lys, il gruppo imidazolico della His, il gruppo tiolico della Cys, il gruppo carbossilico dell’Asp e il gruppo ossidrilico della Ser. Anche alcuni coenzimi, come la tiamina pirofosfato (Paragrafo 15.3B) e il piridossalfosfato (Paragrafo 21.2A), agiscono in associazione con i propri apoenzimi in qualità di catalizzatori covalenti. L’ampia gamma di intermedi di reazione enzima-substrato uniti per via covalente che sono stati fino a ora isolati dai ricercatori dimostra che gli enzimi fanno comunemente uso di meccanismi a catalisi covalente.

C Gli ioni metallici agiscono da catalizzatori Quasi un terzo di tutti gli enzimi noti richiede la presenza di ioni metallici per svolgere la propria attività catalitica. Questo gruppo di enzimi comprende i metalloenzimi, contenenti in qualità di cofattori ioni metallici legati saldamente; nei casi più diffusi gli ioni metallici derivano da elementi di transizione come per esempio Fe2+, Fe3+, Cu2+, Mn2+ o Co2+. Questi ioni metallici cataliticamente essenziali si differenziano da Na+, K+ o Ca2+, che negli enzimi frequentemente hanno invece ruoli strutturali. Ioni come Mg2+ e Zn2+ possono svolgere funzioni strutturali o catalitiche. Gli ioni metallici prendono parte al processo di catalisi secondo tre modalità principali. 1. Legano i substrati per orientarli correttamente ai fini della reazione. 2. Mediano reazioni di ossidazione-riduzione attraverso modificazioni reversibili del loro stato di ossidazione. 3. Stabilizzano o schermano cariche di segno opposto.

In numerose reazioni catalizzate dagli ioni metallici, questi agiscono in modo analogo a un protone, neutralizzando una carica negativa. Gli ioni metallici sono molto spesso catalizzatori molto più efficaci dei protoni, in quanto possono essere presenti in concentrazioni elevate a pH neutro (a cui la [H+] = 10−7 M) e possedere cariche superiori a +1. Inoltre, la carica di uno ione metallico rende le molecole d’acqua a esso legate più acide rispetto all’H2O libera, per cui queste diventano una fonte di ioni OH− nucleofilici, persino a pH neutro. Un esempio di tale fenomeno si osserva nel meccanismo catalitico dell’anidrasi carbonica (Scheda 2.2), un enzima ad ampia diffusione che catalizza la reazione + CO2 + H2O 34 HCO− 3 +H

L’anidrasi carbonica contiene uno ione Zn2+ essenziale, che in base alla struttura ai raggi X della proteina è situato nella porzione inferiore del sito attivo profondo 15 Å, dove è tetraedricamente coordinato da tre catene laterali di His, rimaste invariate nel corso dell’evoluzione (Figura 11.13a). Lo ione Zn2+ polarizza una molecola di acqua (non mostrata nella Figura 11.13a). Questa molecola di H2O polarizzata dallo ione Zn2+ si ionizza formando uno ione OH− che, a

357

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CAPITOLO 11

La catalisi enzimatica

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(a)

(b) Im Im

Zn

2+

Im

O

Q

O–+ C O

H

Im Im

O

Zn2+

O

Im

H

C – O H2O

Im Im

Zn2+ Im

O O–

+

H+

+

O

H

C – O

H

Im = imidazolo

Figura 11.13 Ruolo dello ione Zn2+ nell’anidrasi carbonica umana. (a) Sito attivo dell’enzima umano. La catena polipeptidica è disegnata in forma di nastro (in oro) con le sue catene laterali mostrate con strutture a bastoncini e colorate secondo il tipo di atomo (con C in verde, N in blu e O in rosso). Lo ione Zn2+ (sfera azzurra) è legato alle catene laterali di tre residui di His e a uno ione HCO3–, che è rappresentato a sfere e bastoncini. Lo ione HCO3– stabilisce anche contatti di van der Waals (superficie ombreggiata) e legami idrogeno (linee grigie tratteggiate) con un residuo di Thr e uno di Glu. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da K.K. Kannan, Bhabha Atomic Research Center, Bombay, India. PDBid 1HCB.] (b) Reazione catalizzata dall’anidrasi carbonica. Im rappresenta il gruppo imidazolico dell’His.

sua volta, effettua un attacco nucleofilico su una molecola di CO2 convertendola in HCO− 3 (Figura 11.13b). Il protone prodotto nella reazione viene trasferito sulla superficie dell’enzima mediante una catalisi basica agevolata da un quarto residuo di His (His 64). Il sito catalitico dell’enzima viene quindi rigenerato grazie al legame e alla ionizzazione di un’altra molecola di H2O in corrispondenza dello ione Zn2+.

D La catalisi è favorita dalla vicinanza e dall’orientamento Sebbene gli enzimi sfruttino meccanismi catalitici simili a quelli delle reazioni organiche modello, la loro efficienza di catalisi è molto superiore. Questa efficienza catalitica dipende dalle specifiche condizioni fisiche in cui si trova il sito catalitico dell’enzima in cui avviene la corrispondente reazione chimica. Tra queste condizioni favorevoli vi sono la vicinanza e l’orientamento: una reazione avviene solo quando i reagenti entrano in contatto tra loro secondo una relazione spaziale corretta. Consideriamo la reazione bimolecolare che coinvolge l’imidazolo e il p-nitrofenilacetato. O

O CH3

C

O

NO2

_ O

+

C

CH3

NO2

N + p-Nitrofenilacetato

N O

p-Nitrofenolato

NH N-Acetilimidazolio

NH Imidazolo

Il progredire della reazione può essere monitorato valutando la comparsa dello ione p-nitrofenolato, di colore giallo intenso; la reazione correlata intramolecolare O

O

C

NO2

O

C

+

N+

N NH

NH

–O

NO2

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La catalisi enzimatica

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359

si verifica con velocità circa 24 volte superiore. Di conseguenza, quando il catalizzatore imidazolo è legato covalentemente al reagente, la sua efficacia è 24 volte maggiore rispetto a quando si trova libero in soluzione. Questo aumento della velocità si deve a effetti di prossimità e di orientamento. Semplicemente legando i loro substrati, gli enzimi accelerano le reazioni che catalizzano in quattro modi.

1. Gli enzimi portano i substrati in contatto con i loro gruppi catalitici oppure tra di loro nelle reazioni che coinvolgono più di un substrato. Calcoli basati su sistemi modello indicano che la vicinanza dei gruppi reagenti può da sola aumentare la velocità di reazione fino a circa 5 volte. 2. Gli enzimi si legano ai loro substrati nell’orientamento corretto per la reazione. Le molecole non presentano reattività equivalente in tutte le direzioni, ma reagiscono con rapidità maggiore se sono disposte con un orientamento corretto. Per esempio, in una reazione SN2 (sostituzione nucleofilica bimolecolare), il modo migliore per il nucleofilo in entrata di attaccare il proprio bersaglio è nella direzione opposta a quella del legame del gruppo uscente (Figura 11.14). Se il contatto degli atomi che reagiscono devia anche di soli 10° rispetto a questa direzione ottimale, essi si mostrano significativamente meno reattivi. È stato stimato che un corretto orientamento dei substrati può determinare un aumento delle velocità di reazione di un fattore superiore a circa 100. Gli enzimi, come vedremo, allineano i propri substrati e gruppi catalitici in modo da rendere massima la reattività. 3. I gruppi carichi possono essere di ausilio nello stabilizzare lo stato di transizione della reazione, un fenomeno noto come catalisi elettrostatica. La distribuzione di carica intorno ai siti attivi degli enzimi può altresì guidare i substrati polari verso il loro sito di legame. 4. Gli enzimi “bloccano” i movimenti traslazionali e rotazionali dei loro substrati e dei gruppi catalitici. Si tratta di un aspetto determinante della catalisi poiché, nello stato di transizione, i gruppi reattivi hanno una mobilità molto limitata. Esperimenti condotti con composti modello indicano che questo effetto è in grado di promuovere incrementi della velocità superiori a circa 107. Portare i substrati e i gruppi catalitici in contatto con un orientamento corretto che favorisca la reazione comporta un aumento del loro ordine e quindi una diminuzione considerevole dell’entropia. L’energia libera richiesta per superare questa perdita di entropia proviene dall’energia di legame dei substrati all’enzima e contribuisce alla diminuzione del ∆∆G‡. Bisogna però considerare che gli enzimi sono molecole dinamiche che possono assumere una vasta gamma di confor-

Figura 11.14 Geometria di una reazione SN2. (1) Il nucleofilo che compie l’attacco, Y–, deve avvicinarsi all’atomo di C coordinato in modo tetraedrico e quindi con ibridazione sp3 nella direzione opposta a quella del suo legame con il gruppo uscente, X, un processo definito attacco dal retro. Nello stato di transizione della reazione, l’atomo di C assume una coordinazione a doppia piramide triangolare e dunque lo stato di ibridazione è sp2-p, con l’orbitale p (in blu) che dà origine a legami parziali con X e Y. I tre orbitali sp2 formano legami con gli altri tre sostituenti dell’atomo di C (R, R’ e R”), che si sono trasferiti di posizione finendo nel piano perpendicolare all’asse X–C–Y (frecce curve). Qualsiasi deviazione da tale geometria ottimale aumenterebbe l’energia libera dello stato di transizione, ∆G‡, abbassando conseguentemente la velocità della reazione. (2) Lo stato di transizione si separa nei prodotti in cui gli R, R’ e R’’ hanno invertito le loro posizioni intorno all’atomo di C, il quale recupera il suo stato di ibridazione sp3, mentre viene rilasciato X–.

à



X



X–

1

C R

2 R

R0

C

R0

R C

R9

R0 R9

Yδ Y–



Ibridazione sp2-p a livello del carbonio

Y

R9

360

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La catalisi enzimatica

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mazioni prima e dopo aver legato i loro substrati. Questa flessibilità è infatti cruciale affinché un enzima possa interagire in modo produttivo con i suoi substrati, con gli stati di transizione e con i prodotti durante l’intero corso di una reazione.

E Gli enzimi catalizzano le reazioni legando preferenzialmente lo stato di transizione L’aumento delle velocità che gli enzimi riescono a produrre risulta spesso maggiore rispetto a quanto i meccanismi di catalisi sinora discussi possano ragionevolmente giustificare. Non abbiamo ancora analizzato però uno degli aspetti della catalisi enzimatica maggiormente rilevanti: un enzima può legare lo stato di transizione della reazione che catalizza con affinità superiore a quella dei substrati o dei prodotti. Quando lo si considera insieme ai meccanismi catalitici descritti precedentemente, il legame preferenziale dello stato di transizione dà ragione delle velocità osservate per le reazioni catalizzate dagli enzimi. Il concetto originale di legame dello stato di transizione presumeva che gli enzimi forzassero meccanicamente i loro substrati a raggiungere la geometria dello stato di transizione, attraverso siti di legame nei quali i substrati non distorti non si adattavano in maniera corretta. Tale tensione favorisce numerose reazioni organiche. Per esempio, la velocità della reazione a sinistra è 315 volte più veloce quando R è CH3 anziché H, per effetto della maggiore repulsione sterica tra i gruppi CH3 e quelli reattivi. Il reagente distorto è più simile allo stato di transizione della reazione rispetto al corrispondente reagente non sottoposto a tensione. Pertanto, come Linus Pauling suggerì per la prima volta e Richard Wolfenden e Gustav Lienhard approfondirono in seguito, gli enzimi che si legano di preferenza alla struttura dello stato di transizione ne incrementano la concentrazione, determinando con ciò un aumento proporzionale della velocità di reazione. Quanto più saldamente un enzima si unisce allo stato di transizione della propria reazione rispetto al substrato, tanto maggiore è la velocità della reazione catalizzata rispetto a quella della reazione non catalizzata. La catalisi dipende anche dal legame preferenziale e quindi dalla stabilizzazione dello stato di transizione (Figura 11.15). In altre parole, la differenza di energia libera tra un complesso enzima-substrato (ES) e un complesso enzima-stato di transizione (ES‡) è inferiore alla differenza tra l’energia libera tra S e S‡ in una reazione non catalizzata. Come abbiamo osservato nel Paragrafo 11.2, l’aumento della velocità di una ‡ ‡ reazione catalizzata è dato da e∆∆G cat/RT; dove ∆∆G cat indica la differenza tra i ‡ ‡ valori di ∆G per la reazione non catalizzata (∆G N) e catalizzata (∆G E‡ ). Per tale motivo, un aumento della velocità pari a 106 richiede che un enzima si unisca allo stato di transizione con un’affinità 106 volte maggiore rispetto al substrato; ciò corrisponde a una stabilizzazione di 34,2 kJ ∙ mol−1 a 25 °C, equivalente approssimativamente all’energia libera di due legami idrogeno. Il legame di uno stato di transizione all’enzima con due legami idrogeno che non si possono formare quando il substrato si lega inizialmente all’enzima dovrebbe portare a un incremento della velocità pari a circa 106 solo sulla base di questo effetto. Di solito un enzima può legare substrati poco reattivi con velocità di reazione basse, e anche substrati molto reattivi con velo-

R CH2OH COOH R

R

Tensione sterica

H

H C

+

O

H2O

C R

O

S‡ ∆GN‡ ES‡ G

∆G‡E E+S ES EP Coordinata di reazione

E+P

Figura 11.15 Effetto del legame preferenziale dello stato di transizione. Il diagramma della coordinata di reazione di un’ipotetica reazione a singolo substrato catalizzata da un enzima è in blu, mentre quello corrispondente alla reazione non catalizzata è in rosso. ∆G‡N è l’energia libera di attivazione della reazione non enzimatica e ∆G‡E è l’energia libera di attivazione di quella catalizzata da un enzima. I picchi più piccoli nel diagramma della coordinata di reazione catalizzata da un enzima sono dovuti al legame del substrato e al rilascio del prodotto.

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cità di reazione elevate. Non è detto però che un substrato “reattivo” si unisca all’enzima con affinità elevata; ciò in effetti può accadere solo dopo la sua conversione nello stato di transizione. Il modello a chiave e serratura di Fischer si adatta meglio al legame dello stato di transizione che al legame del substrato. La stabilizzazione dello stato di transizione, almeno per qualche enzima, contribuisce in piccola parte all’aumento della velocità di una reazione. In molti di questi casi, come spiegato da Thomas Bruice, l’enzima promuove la reazione stabilizzando la così detta conformazione di attacco ravvicinato, una tappa della coordinata di reazione in cui i reagenti sono correttamente orientati e si trovano in contatto tra loro tramite interazioni di van der Waals ma non hanno ancora raggiunto lo stato di transizione. Tutto ciò suggerisce che gli enzimi si siano evoluti per poter utilizzare diverse strategie, inclusa la stabilizzazione dello stato di transizione o di qualcosa che sia riconducibile a esso, al fine di accelerare le reazioni chimiche. Gli analoghi dello stato di transizione sono inibitori enzimatici. Se un enzima le-

ga preferibilmente lo stato di transizione del suo substrato, allora ci si può attendere che gli analoghi dello stato di transizione, molecole geometricamente ed elettronicamente simili allo stato di transizione ma resistenti alla catalisi, siano potenti inibitori dell’enzima. Per esempio, si presume che la reazione catalizzata dalla prolina racemasi di Clostridium sticklandii avvenga attraverso la formazione di uno stato di transizione planare: COO

_ H

C N

H

H L-Prolina

+

C

_

H COO

_

H

+

C

N

N

H

H

Stato di transizione planare

COO

_

D-Prolina

La prolina racemasi è inibita dagli analoghi planari della prolina, pirrolo-2-carbossilato e ∆-1-pirrolina-2-carbossilato, (a destra) i quali si legano entrambi all’enzima con un’affinità 160 volte maggiore rispetto alla prolina. È probabile quindi che questi composti siano analoghi dello stato di transizione nella reazione della prolina racemasi. Sono state identificate centinaia di analoghi degli stati di transizione di vari enzimi; taluni sono antibiotici presenti in natura, mentre altri sono stati progettati per studiare il meccanismo di particolari enzimi o per ottenere specifici inibitori enzimatici da utilizzare per scopi terapeutici o in agricoltura. Quindi, la teoria secondo cui gli enzimi legano gli stati di transizione con affinità maggiore rispetto ai substrati rappresenta ora la base razionale per la progettazione di farmaci che utilizzino le conoscenze sugli specifici meccanismi di reazione degli enzimi (Paragrafo 12.4).

4 Il lisozima CONCETTI CHIAVE

• La costruzione di modelli indica che il legame al lisozima distorce un residuo di zucchero del substrato.

• I residui di Asp e Glu del sito attivo del lisozima promuovono l’idrolisi del substrato servendosi di meccanismi di catalisi acido-base e di catalisi covalente, e stabilizzando uno stato di transizione con uno ione ossonio.

Nella parte rimanente del capitolo analizzeremo i meccanismi catalitici ben caratterizzati di alcuni enzimi. Avremo modo di rilevare anche come le molecole enzimatiche utilizzino i principi della catalisi descritti nel paragrafo precedente.

_

COO N H

Pirrolo-2-carbossilato

+ N

COO

_

H ⌬-1-Pirrolina-2-carbossilato

PUNTO DI VERIFICA

• Descrivete come agiscono i gruppi funzionali delle proteine quali catalizzatori acido-base. Come è possibile per una singola catena laterale di un amminoacido comportarsi sia da acido che da base?

• Spiegate in che modo i nucleofili fungono da catalizzatori covalenti. Quali sono gli amminoacidi adatti a fare ciò?

• Elencate i modi in cui gli ioni metallici prendono parte alla catalisi.

• Quali sono i ruoli della prossimità e dell’orientamento nella catalisi enzimatica?

• Perché è improbabile che i catalizzatori non enzimatici agiscano stabilizzando lo stato di transizione?

CAPITOLO 11

362

La catalisi enzimatica

...

H 1

H 3

H

O 1

Punto di idrolisi CH2OH del lisozima O H H O H H

CH2OH O H H OH

H

H

H O

CH2OH O H H

H

O H

...

O

6CH2OH O H 5 H 4 H OH

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2

NH

C

CH3

NH

O

O

C

CH3

NH

O

O

– CH3CHCOO NAG

Figura 11.16 Il sito di idrolisi del lisozima. L’enzima scinde un legame β(1n4) nella catena polisaccaridica delle pareti cellulari batteriche, che ha un’alternanza di unità NAG–NAM.

NAM

C

NAG

H

CH3

NH

O

C

CH3

O

CH3CHCOO– NAM

Il lisozima è un enzima in grado di distruggere le pareti delle cellule batteriche. La sua azione si esplica mediante idrolisi dei legami β(1n4) glicosidici che uniscono l’acido N-acetilmuramico (NAM o MurNAc) alla N-acetilglucosammina (NAG o GlcNAc) nei peptidoglicani della parete cellulare (Figura 11.16 e Paragrafo 8.3B). L’enzima allo stesso modo idrolizza i legami β(1n4) tra le unità di un poli(NAG) (chitina, Paragrafo 8.2B), un componente della parete cellulare della maggior parte dei funghi e il costituente principale dell’esoscheletro degli insetti e dei crostacei. Il lisozima è ampiamente presente nelle cellule e nelle secrezioni dei vertebrati, dove svolge verosimilmente la funzione di agente battericida o agevola l’eliminazione dei batteri dopo che questi sono stati uccisi per altre vie. Il lisozima di albume d’uovo di gallina (HEW) costituisce la forma più ampiamente studiata di lisozima (in parte perché ogni uovo di gallina contiene ∼5 g di lisozima) ed è uno degli enzimi il cui meccanismo di reazione è stato meglio compreso. Si tratta di una proteina piuttosto piccola (14,3 kD) costituita da un’unica catena polipeptidica di 129 residui amminoacidici e unita internamente da legami trasversali formati da quattro ponti disolfuro. Il lisozima catalizza l’idrolisi del proprio substrato a una velocità ∼108 volte superiore a quella della reazione non catalizzata.

A Il sito catalitico del lisozima è stato definito tramite la costruzione di modelli CONCETTI DI BASE Catalisi Un enzima non agisce a distanza abbassando magicamente l’energia di attivazione di una reazione chimica. Anche senza formare un legame covalente, un enzima deve interagire da vicino con i suoi substrati. Questo contatto stretto permette all’enzima di generare un percorso a più bassa energia di attivazione – e quindi più veloce – dai reagenti ai prodotti rispetto al processo senza catalisi.

La struttura ai raggi X del lisozima di bianco d’uovo (Figura 11.17), chiarita da David Phillips nel 1965 (esso rappresenta il primo enzima di cui fu determinata la struttura), mostra che la molecola proteica è di forma approssimativamente ellissoidale, con dimensioni 30 × 30 × 45 Å. La sua peculiarità più rilevante è un’ampia fessura, il sito di legame del substrato, che attraversa una faccia della molecola. Per identificare il meccanismo d’azione di un enzima bisogna prima conoscere la struttura del suo complesso enzima-substrato. Anche se i residui all’interno del sito attivo sono stati identificati tramite mezzi chimici e fisici, per comprendere il funzionamento dell’enzima deve essere nota la loro disposizione tridimensionale rispetto al substrato. Tuttavia un enzima lega i suoi substrati solo in maniera transitoria prima che la catalisi abbia inizio e vengano rilasciati i prodotti. Di conseguenza, gran parte delle informazioni strutturali di cui disponiamo circa i complessi tra enzimi e substrati provengono da indagini ai raggi X, condotte su molecole enzimatiche unite ad analoghi di substrati, i quali rimangono legati stabilmente all’enzima per tutto il tempo richiesto per misurare le intensità di diffrazione dei raggi X del cristallo di una proteina, ma non reagiscono o reagiscono molto lentamente. Nell’analisi strutturale ai raggi X di Phillips il lisozima era legato al trisaccaride (NAG)3, che l’enzima idrolizza solo lentamente. Tuttavia, il lisozima catalizza in modo efficiente l’idrolisi di substrati contenenti almeno sei uni-

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tà monosaccaridiche e così Phillips si avvalse di modelli di lunghezza diversa per studiare in che modo un substrato di maggiori dimensioni poteva legarsi all’enzima. La fessura del sito attivo del lisozima è lunga abbastanza da poter ospitare un oligosaccaride formato da sei residui (indicati con le lettere da A a F nella Figura 11.17). Tuttavia il quarto (D) sembrava non essere in grado di unirsi all’enzima poiché i suoi atomi C6 e O6 erano troppo vicini alle catene laterali della proteina e del residuo C. Tale interferenza sterica poteva essere eliminata deformando l’anello glucidico in modo da convertirlo dalla sua normale conformazione a sedia a quella a mezza sedia (Figura 11.18). Questa distorsione sposta il gruppo C6 dalla sua consueta posizione equatoriale a una assiale, dove esso non instaura più alcun contatto stretto e può formare un legame idrogeno con il gruppo carbonilico di Gln 57 dello scheletro e con il gruppo NH di Val 109. Gli altri residui glucidici sembrano unirsi all’enzima senza distorsione e con un certo numero di legami idrogeno e contatti di van der Waals favorevoli. Alcuni dei legami idrogeno con cui i sei residui saccaridici del substrato si legano all’enzima sono rappresentati schematicamente nella Figura 11.19. Nel substrato naturale di quest’ultimo, ogni due residui vi è un NAM; la costruzione di modelli ha indicato che una catena laterale lattilica (di acido lattico) non può essere ospitata nei sottositi di legame per i residui C o E, quindi i residui di NAM devono legarsi in corrispondenza delle posizioni B, D e F, come mostrato nella Figura 11.19. Inoltre, dal momento che il lisozima idrolizza (NAG)6 tra i residui D ed E, l’enzima deve scindere il le-

C4

O5

C5

C5

C4

O5

C3

C2 C1 Conformazione a sedia

C3

C2

Conformazione a mezza sedia

C1

363

Figura 11.17 Struttura ai raggi X del lisozima di HEW in complesso con il (NAG)6. La proteina è rappresentata come immagine della superficie trasparente. La sua catena polipeptidica è mostrata in forma di nastro ed è colorata secondo l’ordine dei colori nell’arcobaleno dal suo N-terminale in blu al suo C-terminale in rosso. Il (NAG)6, mostrato come modello strutturale con gli anelli glucosidici indicati con le lettere da A (l’estremità non riducente) a F (l’estremità riducente), si lega in una fessura profonda sulla superficie dell’enzima. Gli anelli A, B e C (colorati a seconda del tipo di atomo con C in verde, N in blu e O in rosso) sono osservabili nella struttura ai raggi X del complesso di (NAG)3 con il lisozima. Le posizioni degli anelli D, E ed F (con gli atomi di C in azzurro) sono state dedotte da studi di costruzione di modelli. Le catene laterali dei residui catalitici del sito attivo del lisozima, Glu 35 e Asp 52, disegnati in modello spaziale (con gli atomi di C in giallo), catalizzano l’idrolisi dei legami glicosidici tra gli anelli D ed E. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da David Phillips, Oxford University, PDBid 1HEW.]

A parte i residui di Asp e Glu del sito attivo, quali residui vi aspettereste di trovare nella tasca di legame al substrato del lisozima?

Figura 11.18 Conformazioni a sedia e a mezza sedia. Di norma gli anelli degli esosi assumono la conformazione a sedia. Tuttavia il legame del lisozima determina una distorsione dell’anello D in quella a mezza sedia, in cui gli atomi C1, C2, C5 e O5 sono coplanari.

Aggiungete i sostituenti appropriati a ciascun carbonio per formare NAG e NAM.

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Figura 11.19 Interazioni del lisozima con il suo substrato. Vista all’interno della fessura di legame; i margini più pronunciati degli anelli saccaridici sono rivolti verso l’esterno dell’enzima e quelli più sottili sono rivolti verso la parte bassa della fessura. [Adattamento da una figura di Irving Geis.]

OH CH2OH

HO O

A NAG –O

C H3C

O

N

C

Asp 101

O

H O R

H

O

O

CH2 B

H

NAM O

N

C H3C

O

O H

Trp 62

O

CH2 N

H

N

O

H

NAG

C

H

N

O Asn 59 N

O

H C

R Anello D in conformazione O a mezza sedia

O

Val 109

CH2O D C

NAM H O O O – C

C

H

O

Gln 57

Asp 52 O Punto di taglio del lisozima

N H

NH2

O

C

C O

H

NH2

O

E NAG

C

C

Glu 35

CH2OH O

O

O

N

O

H3C

Asn 44

Ala 107

C

CH3

O

H

H

Gln 57

Trp 63

O

N

H3C

H Glu C 35

O

O R

H

C

C

Asn 37

O

O

CH2 O

F C

H3C

Phe 34

O

NAM O

O

N H O H

H 2N

H2N + H2N

NH Arg 114

game glucidico del suo substrato naturale tra il residuo NAM nel subsito D e il residuo NAG nel subsito E. Il legame tagliato dal lisozima fu identificato effettuando l’idrolisi catalizzata dal lisozima di (NAG)3 in H218O. Il legame scisso avrebbe potuto essere localizzato sia tra l’atomo C1 e l’ossigeno O1 o tra l’ O1 e il C4 del successivo anello

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glucidico. Il prodotto della reazione di idrolisi aveva un atomo 18O legato all’atomo C1 della nuova estremità riducente, dimostrando così che la scissione del legame si verifica tra C1 e l’ossigeno O1: H

O D

H

C1

O1

NAc

C 4

CH2OH H OH

E

lisozima H218O

H

O D

CH2OH

18

H

H

OH C

+

H

C

H OH

E

HO

NAc

H

Oltre a ciò, questa reazione avviene mantenendo la configurazione, così che il prodotto, l’anello D, rimane nella forma anomerica β.

B Nella reazione del lisozima si forma un intermedio covalente La reazione catalizzata dal lisozima, l’idrolisi di un glicoside, è la conversione di un acetale in emiacetale. L’idrolisi non enzimatica di un acetale è una reazione catalizzata da acidi e implica la protonazione di un atomo di ossigeno reagente, seguita dalla scissione del suo legame C−O (Figura 11.20). Ciò comporta la formazione transitoria di un carbocatione stabilizzato per risonanza, definito ione ossonio. Per raggiungere la stabilizzazione per risonanza, i gruppi R e R′ di tale ione devono essere coplanari con i suoi atomi di C, O e H. Allo ione ossonio viene in seguito aggiunta acqua per generare l’emiacetale e riformare il catalizzatore acido. Un enzima che media l’idrolisi dell’acetale deve quindi reperire un potenziale catalizzatore acido oltre a un gruppo in grado di stabilizzare lo stato di transizione con lo ione ossonio. Glu 35 e Asp 52 sono residui catalitici del lisozima. Gli unici gruppi funzionali situati nelle immediate vicinanze del centro reattivo del lisozima e che hanno le necessarie proprietà catalitiche sono le catene laterali di Glu 35 e Asp 52. Esse, disposte ai lati del legame glicosidico che deve essere scisso (Figura 11.17), si vengono a trovare in ambienti completamente differenti. Il residuo di Asp 52 è circondato da residui polari conservati con cui forma un complesso reticolo tenuto insieme da legami idrogeno. Il gruppo carbossilico di questo amminoacido dovrebbe così avere un valore di pK normale, cioè non dovrebbe essere protonato e dovrebbe quindi essere carico negativamente OR9 OR9 in un ambito di pH compreso tra 3 e 8, nel quale il lisozima pre+ + H C O senta attività catalitica. Pertanto Asp 52 può svolgere la funzione H C O R0 + H di stabilizzare elettrostaticamente lo ione ossonio. Al contrario, il R H R gruppo carbossilico di Glu 35 è affondato in una tasca prevalenteAcetale mente non polare dove rimane protonato a valori di pH insolitamente alti per i gruppi carbossilici (il suo valore di pK, determinato R9 R9 con metodi NMR, è di circa 6,2). Questo residuo può quindi agi+ O O re da catalizzatore acido. Utilizzando reagenti capaci di modificare C C+ le proteine o la mutagenesi sito-diretta (per esempio, variando Asp H R H R 52 in Asn e Glu 35 in Gln) si è stabilito che questi residui sono esCarbocatione (ione ossonio) senziali per la catalisi. stabilizzato per risonanza H2O

H+

Figura 11.20 Meccanismo di idrolisi non enzimatica catalizzata da acidi

di un acetale a emiacetale. La reazione implica la protonazione di uno degli atomi di ossigeno dell’acetale cui segue la scissione del suo legame COO per dare origine a un alcol (R’’OH) e a un carbocatione (ione ossonio) stabilizzato per risonanza. L’aggiunta di acqua allo ione ossonio forma l’emiacetale e rigenera il catalizzatore H+. Si noti che gli atomi di C, O, H, R ed R’ dello ione ossonio giacciono tutti nello stesso piano. Scrivete l’equazione di questa reazione.

OR9 H

C

OH

R Emiacetale

R0

R0OH

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Il meccanismo catalitico del lisozima avviene nel modo seguente (Figura 11.21).

1. La reazione incomincia quando il lisozima si associa alla parete di una cellula batterica, legandosi a una unità esasaccaridica. Ciò determina una distorsione del residuo D verso la conformazione a mezza sedia. SCHEMA DI PROCESSO

CH2 H O

C

CH2

Glu35

CH2 CH2 Glu35

O

H O HOCH2 O H D H OR9 H

Polisaccaride substrato

O–

1 Legame

O

C

CH2

H

C

O HOCH2 H O

H

H

R O–

Asp52

C

H OR9 H

CH2 Asp52

OH

5

Catalisi basica generale

H

Catalisi acida 2 generale

HO

H

CH2 C



O

O H OR9 H

CH2

Glu35

H



HOCH2 O

H

H

C O

H

R

CH2 CH2 Glu35

O H

HOCH2

H

O E H OH H H

R

H

R

HOCH2 O

H

H

O

HOCH2 H

O E H OH H

O

R CH2 Asp52 CH2 CH2 –

O

C

O

HOCH2

O H OR9 H

H C+ H

H R Ione ossonio (stato di transizione)

O

C

O–

Glu35

H OR9 H H

C

O+ C H

R

O

CH2 Asp52

O

HOCH2

Legame 4 dell’acqua

H H2O

O H OR9 H H

H O

R

3

Catalisi covalente

O CH2 Asp52 Intermedio covalente

Figura 11.21 Meccanismo di reazione del lisozima. Glu 35 svolge la funzione di catalizzatore acido, mentre Asp 52 di catalizzatore covalente; sono mostrati solo gli anelli D ed E del substrato. R rappresenta il gruppo N-acetilico in C2 ed R’ indica il gruppo CH3CHCOO– in C3. Lo stato di transizione con uno ione ossonio stabilizzato per risonanza, richiede che C1, C2, C5 e O5

siano coplanari (ombreggiatura), generando una conformazione a mezza sedia. Nella tappa 5 si forma uno ione ossonio nello stato di transizione non illustrato. Disegnate la struttura dello stato di transizione di questa reazione.

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2. Glu 35 trasferisce il suo protone all’atomo O1 che funge da ponte tra l’anello D e l’anello E, facilitando così il taglio del legame C1OO1 (catalisi acida generale). Questa tappa converte l’anello D nello stato di transizione con lo ione ossonio stabilizzato per risonanza, la cui formazione è agevolata dalla distorsione della conformazione a mezza sedia dell’anello D (catalisi da legame preferenziale dello stato di transizione). Lo ione ossonio carico positivamente viene stabilizzato dalla vicinanza del gruppo carbossilico carico negativamente del residuo di Asp 52 (catalisi elettrostatica). L’anello E così prodotto viene rilasciato. 3. Il gruppo carbossilico deprotonato di Asp 52 a questo punto attacca nucleofilicamente il C1 povero di elettroni dell’anello D per formare un intermedio covalente glicosil-enzima (catalisi covalente). 4. Una molecola di acqua rimpiazza l’anello E che è stato prodotto nel sito attivo dell’enzima. 5. L’idrolisi del legame covalente mediata da Glu 35 (catalisi basica generale), che coinvolge un altro ione ossonio nello stato di transizione, rigenera i gruppi del sito attivo. L’enzima rilascia quindi il prodotto, l’anello D, portando a compimento la reazione catalitica.

Il meccanismo di doppia sostituzione rappresentato nella Figura 11.21 consente alla molecola di acqua in entrata di unirsi al residuo D sullo stesso lato a cui era legato il residuo E che essa va a sostituire. Di conseguenza viene mantenuta la configurazione del residuo D. Una reazione a singola sostituzione, in cui l’acqua rimuove direttamente il gruppo uscente, invertirebbe la configurazione a livello di C1 dell’anello D tra il substrato e il prodotto, evenienza che non si osserva. Le evidenze sperimentali supportano il ruolo della distorsione nel meccanismo del lisozima. Molti degli studi inerenti alla struttura e ai meccanismi del lisozima

La spettrometria di massa e la cristallografia ai raggi X confermano la catalisi covalente. L’esistenza di un intermedio di reazione covalente, ma transitorio, era

molto difficile da verificare e quindi da dimostrare. La durata di uno ione ossonio glucosilico nell’acqua è pari a circa 10−12 secondi. Per rilevare sperimentalmente questo intermedio a vita molto breve è necessario rendere la sua velocità di produzione significativamente superiore rispetto a quella di degradazione. Per ottenere ciò, Stephen Withers ha tratto vantaggio da tre fenomeni. In primo

H

CH2OH O H OH

O

H

O

NHCOCH3 H (NAG)3 Analogo d-lattone di (NAG)4

...

si sono focalizzati sul ruolo catalitico della tensione. Per esempio, la struttura ai raggi X del lisozima legato a NAM-NAG-NAM indica che questo trisaccaride si associa, in accordo con quanto previsto, ai sottositi B, C e D del lisozima, con il residuo NAM nel sottosito D distorto nella conformazione a mezza sedia. Questa struttura distorta è stabilizzata da un forte legame idrogeno tra l’O6 dell’anello D e l’NH di Val 109 dello scheletro (come previsto dal modello, Figura 11.19). Infatti, sostituendo la Val 109 con Pro, che è priva del gruppo NH necessario per instaurare il legame idrogeno, l’enzima diventa inattivo. Come abbiamo già visto nel Paragrafo 11.3E, un enzima che catalizza una reazione mediante il legame preferenziale dello stato di transizione presenta un’affinità di legame più elevata per un inibitore che abbia la geometria dello stato di transizione (un analogo dello stato di transizione) rispetto a quanto non faccia nei confronti del proprio substrato. L’analogo δ-lattone del (NAG)4 (Figura 11.22), che si lega saldamente al lisozima, è un analogo dello stato di transizione di quest’ultimo in quanto l’anello lattonico di tale composto si trova nella conformazione a mezza sedia che ricorda, dal punto di vista geometrico, lo stato di transizione con lo ione ossonio proposto per l’anello D del substrato. Gli studi ai raggi X confermano che il trisaccaride inibitore si lega al lisozima in modo che il lattone occupi il sottosito D nella conformazione a mezza sedia.

O

H

CH2OH O H

C+

H

OR

H

H

NHCOCH3

Figura 11.22 Inibizione del lisozima da un analogo dello stato di transizione. L’analogo δ-lattone di (NAG)4 (in alto) è simile allo stato di transizione della reazione del lisozima (in basso). Si noti che gli atomi C1, C2, C5 e O5 appartenenti a ciascuna struttura sono coplanari (come indicato dall’ombreggiatura), compatibilmente con la conformazione a mezza sedia dell’anello dell’esosio.

CAPITOLO 11

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H HO

La catalisi enzimatica

CH2OH O H OH H H

H O H

NHCOCH3

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CH2OH O H OH H H

F H

F

NAG2FGlcF

PUNTO DI VERIFICA

• Utilizzando il lisozima come esempio, dite che cosa può rivelare la struttura di un enzima relativamente al suo meccanismo catalitico.

• Perché ci si aspettava che uno ione ossonio fosse coinvolto nella reazione del lisozima?

• Descrivete le prove sperimentali che supportano il fatto che la catalisi del lisozima avviene per catalisi acidobase, catalisi covalente e tramite stabilizzazione dello stato di transizione.

Figura 11.23 Posizione dell’anello D durante la catalisi operata da lisozima. La posizione degli anelli C e D del substrato, nonché di Asp 52 catalitico, è illustrata in strutture ai raggi X sovrapposte del complesso covalente tra il lisozima E35Q e il substrato modificato NAG2FGlcF (C in verde, N in blu, O in rosso e F in magenta) e del complesso non covalente tra lisozima e substrato NAM–NAG–NAM (C in giallo, N in blu e O in rosso). Si noti che il legame covalente tra Asp 52 e C1 dell’anello D si forma quando l’anello D del complesso non covalente si rilassa dalla propria conformazione distorta a mezza sedia in una conformazione a sedia non distorta. Anche la catena laterale di Asp 52 subisce una rotazione di 45° intorno all’asse formato dal suo legame Cα–Cβ. [Basata su strutture ai raggi X di David Vocadlo e Stephen Withers, University of British Columbia, Vancouver, Canada, e di Michael James, University of Alberta, Edmonton, Canada. PDBid 1H6M.]

luogo, se, come ipotizzato, la reazione passa attraverso uno stato di transizione rappresentato dallo ione ossonio, tutte le tappe che portano alla sua formazione dovrebbero essere rallentate dall’effetto elettron-attrattore di un atomo di F (fluoro, un elemento molto elettronegativo) sostituito a livello di C2 dell’anello D. In secondo luogo, la mutazione di Glu 35 a Gln (E35Q) rimuove l’acido-base generale che catalizza la reazione, rallentando ulteriormente tutte le tappe che coinvolgono la formazione dello stato di transizione con lo ione ossonio. Infine, l’aggiunta di un altro atomo di F al C1 dell’anello D rende più rapida la formazione dell’intermedio, poiché questo F è un buon gruppo uscente, senza che vi sia l’esigenza della catalisi acida generale. L’insieme di queste tre modificazioni dovrebbe determinare un incremento nella formazione dell’intermedio covalente proposto rispetto alla sua eliminazione e portare quindi a un suo accumulo. Withers ha quindi incubato il lisozima di bianco d’uovo contenente E35Q con NAG-β(1n4)-2-deossi-2-fluoro-β-d-glucopiranosil fluoruro (NAG2FGlcF, a sinistra). La spettrometria di massa con ionizzazione elettrospray (ESI-MS; Paragrafo 5.3D) di questa miscela di reazione ha rivelato un picco netto a 14 683 D, che è compatibile con la formazione dell’intermedio covalente [il lisozima ha una massa molecolare di 14 314 D e quella del gruppo del NAG-β(1n4)2-deossi-2-fluoro-β-d-glucopiranosil fluoruro è di 369 D]. La struttura ai raggi X di questo complesso covalente, rivela in maniera inequivocabile il legame covalente atteso lungo circa 1,4 Å tra l’atomo C1 dell’anello D e un atomo di O carbossilico della catena laterale del residuo di Asp 52. Questo anello D adotta una conformazione a sedia non distorta, indicando con ciò che si tratta di un intermedio di reazione piuttosto che di un’approssimazione dello stato di transizione. La sovrapposizione di tale complesso covalente con quella del complesso illustrato in precedenza di NAM-NAG-NAM con la forma normale del lisozima di bianco d’uovo chiarisce la modalità di formazione di questo legame covalente (Figura 11.23). L’accorciamento della distanza di 3,2 Å tra C1 dell’anello D e l’O di Asp 52 nel complesso di NAM-NAG-NAM sino a 1,4 Å nel complesso covalente avviene quando l’anello D si rilassa dalla conformazione a mezza sedia a quella a sedia e la catena laterale di Asp 52 ruota approssimativamente di 45° intorno al proprio legame CαOCβ.

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5 Le serina proteasi CONCETTI CHIAVE

• I residui cataliticamente attivi di Ser, His e Asp delle serina proteasi sono stati identificati per marcatura chimica e analisi strutturale.

• La tasca di legame determina la specificità del substrato delle diverse serina proteasi. • Le serina proteasi catalizzano l’idrolisi del legame peptidico per effetti di vicinanza e orientamento, catalisi acido-base, catalisi covalente, catalisi elettrostatica e stabilizzazione dello stato di transizione.

• Gli zimogeni sono i precursori inattivi degli enzimi. Il prossimo esempio di meccanismo enzimatico è quello utilizzato da un gruppo piuttosto ampio di enzimi proteolitici, noti con il nome di serina proteasi, così chiamati poiché hanno tutti lo stesso tipo di processo catalitico che coinvolge un residuo di Ser particolarmente reattivo. Le serina proteasi sono enzimi digestivi presenti nei procarioti e negli eucarioti, ma fanno parte di questa classe di proteine anche enzimi più specializzati che prendono parte ai processi di sviluppo, di coagulazione del sangue, di infiammazione e a numerosi altri. In questo paragrafo ci concentreremo su alcune delle serina proteasi meglio caratterizzate: chimotripsina, tripsina ed elastasi.

A I residui amminoacidici del sito attivo sono stati identificati per marcatura chimica

CH(CH3)2 O

La chimotripsina, la tripsina e l’elastasi sono enzimi digestivi sintetizzati (Ser attiva) CH2OH + F P O O dal pancreas e secreti nel duodeno (l’ansa superiore dell’intestino tenue). I tre enzimi catalizzano l’idrolisi di legami peptidici (amidici), ma con specificità CH(CH3)2 differenti per le catene laterali che fiancheggiano il legame peptidico suscettibile Diisopropilfosfo(che deve essere tagliato). La chimotripsina è specifica per un gruppo voluminoso fluoridato (DIPF) e idrofobico che deve precedere il legame da scindere; la tripsina richiede invece una catena laterale carica positivamente, mentre l’elastasi è specifica di una catena laterale piccola e neutra (Tabella 5.4). Nel complesso, i tre enzimi formano un potente “sistema proteolitico” che porta avanti il processo della digestione. CH(CH3)2 I gruppi cataliticamente rilevanti della chimotripsina sono stati identificati O mediante studi di marcatura chimica. L’identificazione della catena laterale di un residuo di Ser nel sito attivo della serina proteasi può essere ef- (Ser attiva) CH2 O P O + HF fettuata usando il reagente diisopropilfosfofluoridato (DIPF, a destra), O un composto che inattiva in modo irreversibile l’enzima. Gli altri residui di Ser, CH(CH3)2 compresi quelli contenuti nella stessa proteina, non reagiscono con il DIPF; la maggiore reattività della Ser 195 della chimotripsina nei confronti del DIPF diDIPÐEnzima mostra che il residuo di Ser è parte del sito attivo dell’enzima. Tale specificità conferisce al DIPF e ai composti a esso correlati un’estrema tossicità (Scheda 11.3). Un secondo residuo cataliticamente importante è l’His 57, scoperto mediante marcatura per affinità. In questa tecnica, un analogo del substrato contenente un gruppo reattivo si lega specificamente al sito attivo dell’enzima, dove reagisce formando un legame covalente stabile con un gruppo circostante suscettibile (questi analoghi reattivi dei substrati sono stati soprannominati i “cavalli di + NH3 Troia” della biochimica). Il gruppo o i gruppi marcati per affinità possono essere in seguito isolati e identificati. CH2 La chimotripsina lega specificamente il tosil-l-fenilalanina clorometilCH2 chetone (TPCK), a causa della sua somiglianza strutturale con un residuo di CH2 Phe (uno dei residui preferiti dalla chimotripsina come substrato). Il gruppo clorometilchetonico del TPCK, inserito nel sito attivo, è un CH2 O O forte agente alchilante, ma reagisce unicamente con l’His 57 (Figura CH3 S NH CH C CH2Cl 11.24), inattivando in tal modo l’enzima. La tripsina, che preferisce i O residui basici, è inattivata in modo simile dal tosil-l-lisina cloromeTosilL -lisina clorometilchetone tilchetone (a destra).

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CAPITOLO 11

La catalisi enzimatica

SCHEDA 11.3

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LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA

I veleni che colpiscono il sistema nervoso L’uso di DIPF (diisopropilfosfofluoridato) per inattivare gli enzimi ebbe inizio con la scoperta che i composti organofosforici, come per esempio il DIPF, sono potenti veleni per il sistema nervoso. La neurotossicità di DIPF è dovuta alla sua capacità di inattivare l’acetilcolina esterasi, un enzima che catalizza l’idrolisi dell’acetilcolina:

O

O 2N

CH2

CH2

O

+

H2O

CH3

CH2

CH3

CH2

O

Colina

OH

O

CH2CH3

+

_

O

CH3

CH

P

S

O

CH3

S

CH2

C

Malathion

O CH2

S

C

O O

acetilcolina esterasi

CH2

P

O CH3

C

Acetilcolina

+ (CH3)3N

CH2CH3

Parathion

O + (CH3)3N

O

C

CH3

+

H

+

O

L’attività esterasica dell’acetilcolina esterasi, come quella della chimotripsina (Paragrafo 11.1B), richiede un residuo di Ser reattivo. L’acetilcolina è un neurotrasmettitore, cioè trasmette gli impulsi nervosi attraverso determinati tipi di sinapsi (Paragrafo 9.4). Di solito l’acetilcolina esterasi contenuta nella sinapsi degrada l’acetilcolina in modo che la durata dell’impulso nervoso sia solo di circa un millisecondo. L’inattivazione di questo enzima impedisce l’idrolisi del neurotrasmettitore e il recettore dell’acetilcolina, che è un canale Na+-K+, rimane aperto per un tempo superiore al normale, interferendo in tal modo con la regolare sequenza degli impulsi nervosi. Il DIPF è così tossico per l’uomo (il decesso soggiunge per l’impossibilità di respirare) da essere stato utilizzato come gas nervino. Composti correlati quali il parathion e il malathion,

trovano impiego come insetticidi poiché sono molto più tossici per gli insetti che per i mammiferi. Le neurotossine come il DIPF e il sarin (che divenne tristemente famoso perché fu rilasciato nel corso di un attacco terroristico nella metropolitana di Tokyo nel 1995) O

O

CH(CH3)2

P

F

CH3 Sarin

sono inattivati dall’enzima paraossonasi, il quale è presente in due isoforme (una con Arg in posizione 192 e l’altra con Gln) che mostrano attività differenti. Le persone esprimono livelli molto variabili dell’enzima. Questi fattori possono spiegare le ampie differenze osservate nella sensibilità degli individui nei confronti dei veleni che colpiscono il sistema nervoso.

Chimotripsina H

CH2 N

Chimotripsina N

O

HCl

CH2 N

His 57

+ N CH2 C O CH3

S

CH2 O NH

CH

C

O

R CH2Cl

O Tosil-L-fenilalanina clorometilchetone (TPCK)

Figura 11.24 Reazione di TPCK con His 57 della chimotripsina.

La reazione di TPCK con His avverrebbe più o meno facilmente a pH più bassi?

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B Le strutture ai raggi X forniscono informazioni sulla catalisi, sulla specificità di substrato e sull’evoluzione

La chimotripsina, la tripsina e l’elastasi presentano considerevoli omologie: le strutture primarie di questi enzimi, formati da circa 240 residui, sono identiche approssimativamente per il 40% (per raffronto, le catene α e β dell’emoglobina umana mostrano il 44% di identità di sequenza). Inoltre tutti questi enzimi possiedono una Ser reattiva e una His cataliticamente essenziale. Non è stato quindi sorprendente che le loro strutture ai raggi X avessero un altrettanto stretto grado di omologia. La struttura della chimotripsina bovina fu chiarita nel 1967 da David Blow; a ciò fece seguito la determinazione di quelle della tripsina bovina (Figura 11.25) da parte di Robert Stroud e Richard Dickerson e dell’elastasi suina ottenuta da David Shotton e Herman Watson. Queste molecole proteiche sono ripiegate in due domini, che presentano entrambi ampie regioni in foglietti β antiparalleli che formano una struttura simile a un barile, ma contengono pochi motivi elicoidali. Per poter confrontare le strutture di questi tre enzimi, useremo la stessa numerazione per i loro residui, cioè seguiremo il sistema utilizzato per il chimotripsinogeno bovino, il precursore, costituito da 245 residui, della chimotripsina (Paragrafo 11.5D). In tutte e tre le strutture i residui di His 57 e Ser 195 cataliticamente essenziali sono localizzati nel sito dell’enzima che lega il substrato (al centro della Figura 11.25). Le strutture ai raggi X mostrano inoltre che il residuo di Asp 102, conservato in tutte le serina proteasi, è immerso in una tasca adiacente inaccessibile al solvente. Questi tre residui invarianti danno origine a una serie di legami idrogeno e sono chiamati triade catalitica (Figure 11.25 e 11.26).

Sito che lega il substrato (tasca di specificità)

L2

L1

Figura 11.25 Struttura ai raggi X della tripsina bovina legata covalentemente al suo inibitore leupeptina. La proteina è ricostruita al computer con la “superficie molecolare” trasparente e la catena polipeptidica in forma di vermicello colorato secondo l’ordine dei colori dell’arcobaleno dall’N-terminale (in blu) al C-terminale (in rosso). Le catene laterali della triade catalitica Ser 195, His 57 e Asp 102 sono rappresentate secondo il modello a sfere e bastoncini e colorate a seconda del tipo di atomo, con C in verde, N in blu e O in rosso. I legami idrogeno sono rappresentati da linee nere tratteggiate. La leupeptina (acetil-Leu-Leu-Arg in cui il gruppo carbossilico terminale è sostituito con un OCHO) è disegnata secondo il modello a bastoncini, con C in azzurro, N in blu e O in rosso e con la sua catena laterale dell’Arg che occupa la tasca di specificità dell’enzima (rete viola). L1 ed L2 sono anse di superficie che attraversano la barriera della tasca di specificità. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Daniel Koshland, Jr., University of California, Berkeley. PDBid 2AGI.]

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CAPITOLO 11

La catalisi enzimatica

Figura 11.26 I residui del sito attivo della chimotripsina. La rappresentazione è approssimativamente nella stessa direzione della Figura 11.25. I residui amminoacidici sono disegnati secondo il modello a sfere e bastoncini con C in verde, N in blu e O in rosso. La triade catalitica è formata da Ser 195, His 57 e Asp 102. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Daniel Koshland, Jr., University of California, Berkeley. PDBid 2AGI.]

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Triade catalitica

Aggiungete gli atomi di H appropriati per completare la struttura.

Le specificità di substrato non sono state completamente spiegate. Le strut-

ture ai raggi X delle tre proteasi suggeriscono le basi molecolari per le differenti specificità di substrato (Figura 11.27).

Legame suscettibile

Phe

Gly 216 Gly 226 Ser 189 Chimotripsina Legame suscettibile

Lys

Gly 226

Gly 216

+ –

Asp 189 Tripsina Legame suscettibile

1. Nella chimotripsina, la voluminosa catena laterale aromatica del residuo preferito di Phe, Trp o Tyr che fornisce il gruppo carbonilico nel legame peptidico suscettibile si inserisce in una tasca idrofobica simile a una fenditura situata vicino ai gruppi catalitici. 2. Nella tripsina il residuo corrispondente alla Ser 189 della chimotripsina, che giace nella porzione inferiore della tasca di legame, è il residuo anionico Asp. Le catene laterali cationiche dei residui preferiti della tripsina, Arg e Lys, possono quindi formare coppie ioniche con questo residuo di Asp. La parte rimanente della tasca di specificità della chimotripsina è conservata nella tripsina, in modo che essa può ospitare le voluminose catene laterali di Arg e Lys (Figura 11.25). 3. L’elastasi deve il suo nome al fatto che idrolizza rapidamente la proteina elastina (una delle componenti principali del tessuto connettivo); è quasi indigeribile da altre proteasi e ricca di Ala, Gly e Val. La tasca di legame dell’elastasi è in gran parte occlusa dalle catene laterali dei residui di Val e Thr che rimpiazzano quelli di Gly che rivestono le tasche di specificità della chimotripsina e della tripsina. Di conseguenza l’elastasi, il cui sito di legame del substrato è in pratica una semplice depressione, taglia in maniera specifica i legami peptidici dopo piccoli residui neutri, in particolare Ala. Al contrario, la chimotripsina e la tripsina idrolizzano molto lentamente i legami peptidici formati da questi residui con piccole catene laterali, in quanto queste piccole strutture non possono essere immobilizzate in misura sufficiente sulla superficie dell’enzima. Nonostante quanto è stato detto, se l’Asp 189 della tripsina viene mutato in Ser tramite mutagenesi sito-diretta (Paragrafo 3.5D) la sua specificità non diventa equivalente a quella della chimotripsina, ma si ottiene piuttosto una proteasi non specifica. La sostituzione di ulteriori residui nella tasca di specificità della tripsina con quelli della chimotripsina non riesce a indurre in maniera significativa un’attività catalitica chimotripsinica. La tripsina viene convertita in un enzima simile alla chimotripsina con una ragionevole efficienza catalitica quando le due anse superficiali L1 (residui 185-188) e L2 (residui 221-225) che unisco-

Ala Thr 216 Val 226

Elastasi

Figura 11.27 Tasche di specificità di tre serina proteasi. Sono mostrate le catene laterali dei residui che determinano le dimensioni e la natura della tasca di specificità insieme a un substrato tipico di ciascun enzima. La chimotripsina mostra una preferenza per la scissione di legami peptidici che seguono grandi catene laterali idrofobiche; invece la tripsina preferisce Lys o Arg e l’elastasi preferisce Ala, Gly o Val. [Da un disegno in Branden, C., Tooze, J. (1999). Introduction to Protein Structure, 2a ed. Garland Publishing, p. 213.]

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no le pareti della tasca di specificità sono sostituite da quelle della chimotripsina. Tali anse, che sono conservate in ogni enzima, servono in apparenza non per il legame del substrato di per sé, ma al fine di posizionare correttamente il legame suscettibile. Questi risultati pongono in luce un importante ammonimento per gli ingegneri genetici: gli enzimi sono così squisitamente adeguati alle loro funzioni che sovente rispondono in maniera inaspettata a tentativi grossolani di mutagenizzarli. Le serina proteasi mostrano relazioni evolutive divergenti e convergenti.

Abbiamo avuto modo di osservare che le omologie di sequenza e di struttura tra le proteine rivelano i loro rapporti evolutivi (Paragrafi 5.4 e 6.2D). Le considerevoli somiglianze tra la chimotripsina, la tripsina e l’elastasi indicano che queste molecole proteiche ebbero origine da duplicazioni di un gene ancestrale della serina proteasi, cui fece seguito un’evoluzione divergente degli enzimi risultanti. In effetti, vi è una stretta somiglianza conformazionale tra questi enzimi pancreatici e alcune proteasi batteriche; ciò denota che il gene primordiale della tripsina comparve prima della separazione tra procarioti ed eucarioti. Esistono numerose serina proteasi che non hanno relazioni strutturali, né tra loro né con la chimotripsina. Ugualmente anche queste proteine contengono triadi catalitiche in corrispondenza dei loro siti attivi le cui strutture ricordano molto quella della chimotripsina. Tra questi enzimi vi sono la subtilisina, una endopeptidasi isolata originariamente da Bacillus subtilis, e la serina carbossipeptidasi II di germe di grano, una esopeptidasi. Dal momento che, nelle sequenze amminoacidiche di queste serina proteasi, l’ordine dei corrispondenti residui del sito attivo è piuttosto diverso (Figura 11.28), sembra altamente improbabile che esse si siano potute evolvere a partire da un progenitore proteico comune. Questi enzimi costituiscono un esempio di evoluzione convergente: la natura sembra aver scoperto svariate volte e in modo indipendente il medesimo meccanismo catalitico. Subtilisina NH+3

Chimotripsina

Serina carbossipeptidasi II NH+3

NH+3

Asp 32 His 64 His 57

Ser 125 Leu 126 Gly 127

Ser 146

Asp 102

Asp 338 Ser 195 Ser 221

His 397

Ser 214 Trp 215 Gly 216

COO–

COO–

COO–

Figura 11.28 Rappresentazione schematica che mostra le posizioni dei residui appartenenti al sito attivo di tre serina proteasi non correlate. Nella subtilisina, chimotripsina e serina carbossipeptidasi II, ogni triade catalitica è formata da residui di Ser, His e Asp. I gruppi peptidici di Ser 214, Trp 215 e Gly 216 della chimotripsina, e delle loro controparti presenti nella subtilisina, partecipano al legame del substrato. [Robertus, J.D., Alden, R.A., Birktoft, J.J., Kraut, J., Powers, J.C. e Wilcox, P.E. (1972). Biochemistry 11, 2449.]

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C Le serina proteasi utilizzano differenti meccanismi di catalisi Figura 11.29 Meccanismo di catalisi

Il meccanismo di catalisi proposto per questi enzimi si basa su rilevanti dati chimici e strutturali. Considereremo principalmente quello della chimotripsina (Figura 11.29), anche se si può applicare a tutte le serina proteasi e a determinati altri enzimi idrolitici.

delle serina proteasi. Riassumete i ruoli dei residui Asp102, His 57 e Ser 195 in questo meccanismo di reazione.

SCHEMA DI PROCESSO

His 57

Asp 102 CH2

.O

...

H2C

C –

H

....

Ser 195

N1

O

3

.. H

O

R9 Polipeptide substrato

CH2

.O

...

H2C

C –

H

O

3

N+

H

.

....

H

Ser 195

N1 3

CH2

N O H

....

O

CH2

.O

...

C –

H

Ser 195

N1

O

3

CH2

N

3 H2O

O

H

R9NH2

R

R9

Nuovo N-terminale della catena polipeptidica tagliata

C

N

O

H

Intermedio acil-enzima

CH2 H

Ser 195

N N+

CH2

His 57

Asp 102 H2C

CH2

.O

...

C –

O

Ser 195

H N

CH2

N

5

H

Enzima attivo

O

H

Demolizione dell’intermedio tetraedrico tramite catalisi acida generale e formazione del prodotto carbossilico della reazione e dell’enzima attivo.

....

.

C –

H2C

4

Asp 102 H2C

O

H

His 57

Asp 102

C

His 57 O ...

Perdita del prodotto amminico e sua sostituzione da parte di una molecola di acqua.

R O

Formazione dell’intermedio tetraedrico mediante catalisi basica generale e attacco nucleofilico.

O–

Scissione dell’intermedio tetraedrico in acil-enzima 2 mediante catalisi acida generale.

CH2

O

C

H

O

His 57 C –

R N

Intermedio tetraedrico

C

....

H2C

O

R9

Complesso enzima-substrato

O ...

CH2 H

Attacco nucleofilico R

N

Asp 102

Ser 195

N1

1

CH2

N

His 57

Asp 102

....

Formazione dell’intermedio tetraedrico mediante catalisi basica generale e attacco nucleofilico.

+

R O

Intermedio tetraedrico

H

O

R

C O–

Nuovo C-terminale della catena polipeptidica tagliata

O

H

C O

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1. Dopo che la chimotripsina ha legato un substrato, la Ser 195 attacca nucleofilicamente il gruppo carbonilico del peptide suscettibile, formando lo stato di transizione della reazione (catalisi covalente), che per ragioni storiche, è chiamato anche intermedio tetraedrico. Studi ai raggi X indicano che la Ser 195 si trova in posizione ideale per effettuare questo tipo di attacco nucleofilico (effetti di prossimità e orientamento). L’attacco nucleofilico comporta il trasferimento di un protone all’anello imidazolico di His 57, formando così uno ione imidazolio (catalisi basica generale). Tale processo è agevolato dall’effetto polarizzante dello ione carbossilico deprotonato e non solvatato di Asp 102, che è unito tramite legame idrogeno a His 57 (catalisi elettrostatica). L’esistenza dell’intermedio tetraedrico è ben definita, sebbene transitoria. Vedremo che gran parte del potere catalitico della chimotripsina si deve al suo legame preferenziale dello stato di transizione che porta a questo intermedio (catalisi da stato di transizione). 2. L’intermedio tetraedrico si decompone in un intermedio acil-enzima favorito dalla donazione di un protone dall’atomo N3 dell’His 57 (catalisi acida generale) facilitata dall’effetto polarizzante dell’Asp 102 sulla stessa His 57 (catalisi elettrostatica). 3. Il gruppo amminico uscente (R′NH2, la nuova porzione N-terminale della catena polipeptidica scissa) è rilasciato dall’enzima e sostituito da una molecola di acqua. 4. L’intermedio acil-enzima, che è altamente suscettibile alla scissione per idrolisi, reagisce con la molecola di acqua percorrendo in senso inverso la tappa 2 e formando un secondo intermedio tetraedrico 5. L’inverso della tappa 1 forma il prodotto carbossilato (la nuova porzione C-terminale della catena polipeptidica scissa) rigenerando così l’enzima attivo. Nel corso di questo processo l’acqua è il nucleofilo che compie l’attacco e Ser 195 è il gruppo uscente. Le serina proteasi legano preferenzialmente lo stato di transizione. Approfon-

diti raffronti condotti sulle strutture ai raggi X di diversi complessi serina proteasi-inibitore hanno consentito di chiarire ulteriormente le basi strutturali della catalisi in questi enzimi (Figura 11.30). 1. La distorsione conformazionale che si osserva con la generazione dell’intermedio tetraedrico (la conversione di un atomo di C trigonale con ibridazione sp2 nella sua forma tetraedrica con ibridazione sp3) determina lo spostamento in profondità dell’ossigeno carbonilico ora anionico del legame suscettibile all’interno del sito attivo in modo da occupare una posizione precedentemente vuota definita buco dellÕossianione.

(a)

Ser 195 His 57

N H O C

Gly 193

Cα Cβ

HN

N R¢

Gly 193 O NH ...–O C

Asp 102

...

NH

... O–

O O

C R

N H

...

R

.

C

His 57

N H

O H

O

NH

Aggiungete il gruppo DIP per dimostrare che agisce come analogo dello stato di transizione.

Ser 195

....

Gly 193

Figura 11.30 Stabilizzazione dello stato di transizione nelle serina proteasi. (a) Quando il substrato si lega all’enzima, il carbonio carbonilico trigonale del legame peptidico suscettibile non può legarsi al buco dell’ossianione per limitazioni conformazionali (in alto a sinistra). (b) Nell’intermedio tetraedrico l’ossigeno carbonilico ora carico del peptide (l’ossianione) penetra nel buco dell’ossianione e forma legami idrogeno con i gruppi NH della Gly 193 e della Ser 195 dello scheletro covalente. La successiva distorsione conformazionale consente al gruppo NH della del residuo che precede il legame peptidico suscettibile di dare origine a un legame idrogeno con Gly 193, che altrimenti non si formerebbe. I siti attivi delle serina proteasi legano preferibilmente lo stato di transizione (l’intermedio tetraedrico). [Robertus, J.D., Kraut, J., Alden, R.A. e Birktoft, J.J. (1972). Biochemistry 11, 4302.]

(b)

Buco dell’ossianione

N H

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O C

Gly 193

Cα Cβ

–O C HN ... H N + N..H.. R¢

Asp 102

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2. In questa posizione l’ossigeno anionico forma due legami idrogeno con l’enzima, che non possono formarsi quando il gruppo carbonilico si trova nella propria disposizione trigonale consueta. Joseph Kraut fu il primo a riscontrare che i due donatori di legami idrogeno che fanno parte dell’enzima occupano posizioni corrispondenti nella chimotripsina e nella subtilisina. Il ricercatore propose l’esistenza del buco dell’ossianione basandosi sulla premessa che l’evoluzione convergente aveva reso funzionalmente identici i siti attivi di questi enzimi non correlati. 3. Inoltre, la distorsione tetraedrica consente la formazione di un legame idrogeno altrimenti impossibile tra l’enzima e il gruppo NH dello scheletro appartenente al residuo che precede il legame peptidico suscettibile.

Questo legame preferenziale dello stato di transizione (o dell’intermedio tetraedrico) rispetto al complesso enzima-substrato oppure all’intermedio acil-enzima è responsabile di gran parte dell’attività catalitica delle serina proteasi. Pertanto, mutando qualcuno o tutti i residui contenuti nella triade catalitica della chimotripsina, si ottengono molecole enzimatiche che aumentano ancora la velocità di proteolisi di circa 5 × 104 volte rispetto alla reazione non catalizzata (in confronto a un incremento di velocità di circa 1010 dell’enzima nativo). Analogamente, il motivo per il quale il DIPF è un inibitore così efficace delle serina proteasi sta nel fatto che il suo gruppo fosforico tetraedrico fa diventare questo composto un analogo dello stato di transizione. I legami idrogeno a bassa barriera possono stabilizzare lo stato di transizione.

Lo stato di transizione della reazione della chimotripsina è reso stabile non solo attraverso la formazione di ulteriori legami idrogeno nel buco dell’ossianione, ma forse anche dall’instaurarsi di un legame idrogeno insolitamente forte. I trasferimenti di protoni tra gruppi che formano legami idrogeno (D−H···A) avvengono a velocità fisiologicamente ragionevoli solo quando il pK del donatore di protoni non supera di 2-3 unità di pH quello della forma protonata dell’accettore di protoni. Quando i pK dei gruppi donatore (D) e accettore (A) di legami idrogeno sono quasi uguali, non si osserva più una distinzione tra questi: l’atomo di idrogeno viene condiviso in misura più o meno equivalente tra di loro (D···H···A). Questi legami idrogeno a bassa barriera sono di solito corti e forti. I loro valori di energia libera, misurati in fase gassosa, arrivano a –40/–80 kJ ∙ mol−1 (rispetto ai –12/–30 kJ ∙ mol−1 dei legami idrogeno normali) e presentano una lunghezza del legame D···A minore di 2,55 Å per O−H···O e minore di 2,65 Å per N−H···O (invece dei 2,8-3,1 Å dei legami idrogeno normali). È poco probabile che questi legami idrogeno a bassa barriera siano presenti in una soluzione acquosa diluita, poiché le molecole di acqua, che sono eccellenti donatori e accettori di legami idrogeno, competono in maniera efficace con D−H e A per i siti riservati a questi legami. Essi si possono formare nei siti attivi, privi di acqua, degli enzimi. In effetti, evidenze sperimentali indicano che, nella triade catalitica delle serina proteasi, i pK delle forme protonate di His e Asp all’incirca si equivalgono e che il legame idrogeno tra His e Asp mostra una distanza N···O insolitamente breve, pari a 2,62 Å, con l’atomo di H centrato approssimativamente tra quelli di N e di O. Tali conclusioni sono coerenti con la formazione di un legame idrogeno a bassa barriera nello stato di transizione. La “strategia” utilizzata dall’enzima consiste quindi nel convertire un legame idrogeno debole del complesso iniziale enzima-substrato in un legame dello stesso tipo, ma forte, nello stato di transizione, rendendo così più facile il trasferimento di protoni dalla Ser 195 alla altrimenti scarsamente basica His57 (Figura 11.29, passaggio 1). La differenza di energia libera esistente tra i legami idrogeno normali e quelli a bassa barriera viene utilizzata per legare preferenzialmente lo stato di transizione.

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Sebbene molte ricerche abbiano rivelato l’esistenza di legami idrogeno insolitamente corti nei siti attivi degli enzimi, è di gran lunga più difficile dimostrare per via sperimentale quanto questi legami siano forti, come è previsto per quelli a bassa barriera. Di fatto, numerosi studi riguardanti la lunghezza di legami idrogeno stranamente corti in composti organici modello in soluzioni non acquose indicano che questi legami idrogeno non sono insolitamente forti. Di conseguenza è sorto un ampio dibattito sul loro significato catalitico. Tuttavia, se gli enzimi non generano questi legami idrogeno particolari, rimane da chiarire come mai la base coniugata di un gruppo acido (per esempio, Asp 102) estrae in modo parziale un protone da un gruppo molto più basico (per esempio, His 57), una peculiarità riscontrata in numerosi meccanismi enzimatici. L’intermedio tetraedrico è simile al complesso della tripsina con il suo inibitore naturale. Forse le prove strutturali più convincenti sull’esistenza dell’intermedio

tetraedrico sono state fornite da Robert Huber con un’indagine ai raggi X del complesso della tripsina con il suo inibitore naturale, una proteina detta inibitore della tripsina di pancreas bovino (BPTI, bovine pancreatic trypsine inhibitor). Il BPTI, una molecola costituita da 58 residui, si lega alla regione del sito attivo della tripsina per dare luogo a un complesso con un’interfaccia altamente condensata e con un intreccio di legami crociati costituiti da ponti idrogeno. Questa interazione impedisce alla tripsina attivata prematuramente nel pancreas di digerire tale organo (Paragrafo 11.5D). La costante di associazione del complesso è di 1013 M−1, una tra le più elevate di tutte le interazioni proteina-proteina note. L’alta affinità tra proteasi e inibitore sottolinea la rilevanza fisiologica del BPTI. La regione di inibitore in contatto con il sito attivo della tripsina è simile al substrato legato. Una specifica catena laterale di Lys del BPTI occupa la tasca di specificità della tripsina (Figura 11.31a), mentre il legame peptidico Lys-Ala dell’inibitore è posizionato come se fosse il legame peptidico suscettibile (Figura 11.31b). Il fatto più significativo circa il complesso BPTI-tripsina è che la sua conformazione è posizionata molto avanti nella coordinata di reazione, verso l’intermedio tetraedrico: l’ossigeno della catena laterale della Ser 195 della tripsina, il residuo di Ser attivo, si trova in contatto più stretto rispetto a quello di van der Waals (2,6 Å) con il carbonio carbonilico, in configurazione piramidale, del peptide “suscettibile” del BPTI. La reazione idrolitica non è in grado di procedere oltre questo punto per la rigidità del complesso, così compatto da non consentire al gruppo uscente di allontanarsi dal sito di reazione e all’acqua di entrare. Gli inibitori delle proteasi si riscontrano con frequenza in natura, dove svolgono funzioni di protezione e di regolazione. Per esempio, determinate piante rilasciano inibitori delle proteasi in risposta alle punture degli insetti, (a)

(b) Ser 195 O

H Ala 16I

O

Ca C

Ca Lys 15I

N H

Figura 11.31 Il complesso tripsinaBPTI. (a) La struttura ai raggi X mostra una sezione generata al computer del complesso che rivela la modalità di legame della tripsina (in rosso) al BPTI (in verde). La sporgenza verde che si estende all’interno della cavità vicino al centro della figura rappresenta la catena laterale della Lys 15 dell’inibitore che occupa la tasca di specificità della tripsina. Si noti lo stretto adattamento complementare delle due molecole proteiche. [Per gentile concessione di Michael Connolly, New York University.] (b) La Ser 195 della tripsina si trova in contatto più stretto rispetto a quello di van der Waals con il carbonio carbonilico del legame peptidico suscettibile del BPTI (quello tra la Lys 151 e Ala 161), che è distorto in senso piramidale verso la Ser 195. La normale reazione proteolitica sembra arrestarsi in un certo punto della coordinata di reazione che precede l’intermedio tetraedrico.

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causando in tal modo la morte per fame dell’animale che le ha attaccate poiché ne inattivano gli enzimi digestivi. Gli inibitori delle proteasi rappresentano circa il 10% delle proteine del plasma sanguigno. Per esempio, l’inibitore della proteasi a1, che viene secreto dal fegato, inibisce l’elastasi dei leucociti (queste cellule sono un tipo di globuli bianchi; si presume che l’azione di questa elastasi prenda parte al processo infiammatorio). Varianti patologiche dell’inibitore della proteasi α1 ad attività ridotta si associano a enfisema polmonare, una malattia degenerativa a carico del polmone dovuta a idrolisi delle fibre elastiche in esso contenute. I fumatori vanno anche incontro a una riduzione dell’attività dell’inibitore della proteasi α1 dal momento che il fumo ossida un suo residuo essenziale di Met. Dal momento che l’intermedio tetraedrico ricorda lo stato di transizione della reazione della serina proteasi, si ritiene che esso abbia una vita breve e che sia instabile. È stata ottenuta una serie di strutture ai raggi X dell’elastasi di pancreas suino con un substrato peptidico che ha evidenziato il progredire della reazione dallo stadio di intermedio acil-enzima fino al rilascio del prodotto. Anche questa seconda fase della reazione di proteolisi contempla un intermedio tetraedrico (Figura 11.29). Questo complesso acil-enzima è stabile a pH 5,0 e ha la struttura prevista, con il residuo C-terminale di Ile del substrato unito covalentemente mediante un legame estere alla Ser 195 (Figura 11.32a). In questa prima fase dell’intermedio acil-enzima di una serina proteasi, il gruppo acilico è completamente planare, senza alcuna distorsione verso una geometria tetraedrica. Una molecola di acqua è disposta nei pressi del legame estere dell’intermedio impegnata in un legame idrogeno con l’His 57 e sembra pronta ad attaccare nucleofilicamente il legame estere. A pH 5,0 l’His 57 è protonata e agisce da donatore di legami idrogeno per l’acqua (a questo pH non può comportarsi da catalizzatore basico). L’intermedio tetraedrico è stato osservato direttamente.

(a)

Figura 11.32 Struttura dell’intermedio acil-enzima e di quello tetraedrico. L’elastasi di pancreas suino è stata incubata con un substrato eptapeptidico (YPFVEPI, sequenza scritta facendo uso del codice a una lettera). Sono visibili solo i residui da 4 a 7. I residui della proteasi sono specificati per mezzo del codice a tre lettere, mentre gli atomi sono colorati in base al tipo, con C dell’elastasi in verde, C del substrato in azzurro, N in blu, O in rosso e S in giallo. (a) A pH 5,0 un legame covalente (in rosso) unisce l’atomo di O della Ser 195 con l’atomo di C (I7) C-terminale del substrato. Una molecola d’acqua (sfera in arancione) sembra sul punto di compiere un attacco nucleofilico sull’atomo di C

(b)

carbonilico dell’acil-enzima. Le linee tratteggiate rappresentano legami idrogeno rilevanti sotto il profilo catalitico, mentre la linea punteggiata indica la traiettoria che la molecola di acqua verosimilmente segue durante l’attacco nucleofilico sull’atomo di C carbonilico del gruppo acilico. (b) Quando il complesso è portato a pH 9,0 e quindi rapidamente congelato, la molecola di acqua diventa un sostituente ossidrilico (in arancione) per l’atomo di C carbonilico, generando in tal modo l’intermedio tetraedrico che ricorda lo stato di transizione. [Basata su strutture ai raggi X determinate da Christopher Schofield e Janos Hadju, University of Oxford, GB. PDBid: (a) 1HAX, (b) 1HAZ.]

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Per determinare la tappa seguente della reazione, un cristallo di acil-enzima è stato immerso in una soluzione a pH 9,0 (si ricordi che i cristalli delle proteine contengono grandi zone occupate dal solvente e che quindi i protoni e altre piccole sostanze possono diffondere all’interno e all’esterno del sito attivo dell’enzima cristallizzato, Paragrafo 6.2A). La risultante deprotonazione dell’His 57 innesca la reazione idrolitica (tappa 4 della Figura 11.29). Dopo 1-2 minuti i cristalli sono stati congelati in azoto liquido per bloccare la reazione in modo da poter determinare la struttura ai raggi X del complesso dell’enzima. In questo modo è stato possibile intrappolare e osservare l’intermedio tetraedrico (Figura 11.32b). Durante la sua formazione, la struttura del buco dell’ossianione non viene alterata in alcun modo, ma il substrato peptidico si sposta internamente alla sua tasca di legame per distorcersi verso una geometria tetraedrica. L’intermedio tetraedrico presenta la conformazione prevista simile a quella degli inibitori analoghi dello stato di transizione. Però esso non si unisce al gruppo amidico del buco dell’ossianione (Figura 11.30) così saldamente da non potere in seguito dissociarsi.

D Gli zimogeni sono i precursori inattivi degli enzimi Gli enzimi proteolitici sono solitamente biosintetizzati come precursori inattivi di dimensioni più grandi e noti come zimogeni (in generale, i precursori degli enzimi sono conosciuti anche con il nome di proenzimi). Nel caso degli enzimi digestivi il motivo della loro produzione in forma inattiva è evidente: se fossero prodotti in forma attiva, digerirebbero i tessuti di origine. In effetti la pancreatite acuta, un disturbo doloroso e talvolta fatale che può essere provocato da un trauma subito dal pancreas, si contraddistingue per l’attivazione prematura degli enzimi digestivi sintetizzati da quest’organo. Il tripsinogeno, lo zimogeno della tripsina, si attiva quando viene secreto dal pancreas nel duodeno. La enteropeptidasi, una serina proteasi la cui secrezione dalla mucosa duodenale è sotto controllo ormonale, taglia l’esapeptide N-terminale del tripsinogeno scindendo specificamente il suo legame peptidico Lys 15− Ile 16 (Figura 11.33). Dal momento che questo taglio attivante avviene in corrispondenza di un sito riconosciuto anche dalla tripsina (si ricordi che la tripsina taglia dopo i residui di Arg e di Lys), anche una piccola quantità di tripsina prodotta dalla enteropeptidasi catalizza l’attivazione di altro tripsinogeno, generando altra tripsina e così via. Di conseguenza, si dice che l’attivazione del tripsinogeno è autocatalitica. Il chimotripsinogeno è poi attivato mediante proteolisi catalizzata dalla tripsina del suo legame peptidico Arg 15−Ile 16. La proelastasi, lo zimogeno dell’elastasi, è attivato per rottura di un singolo legame peptidico da parte della tripsina, eliminando un breve peptide

+ H3N

10

Val

(Asp)4

15

16

Lys

Ile

...

Val

Tripsinogeno enteropeptidasi o tripsina + H3N

Val

(Asp)4

Lys

+

Ile

Val

...

Tripsina Figura 11.33 Attivazione del tripsinogeno a tripsina. L’eliminazione per via proteolitica dell’esapeptide N-terminale è catalizzata dalla enteropeptidasi o dalla tripsina. Usando il sistema di numerazione impiegato per i residui del chimotripsinogeno, il terminale amminico del tripsinogeno diventa il residuo 10 e l’N-terminale della tripsina diventa il residuo 16.

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N-terminale. La tripsina induce pure attivazione delle procarbossipeptidasi A e B e della profosfolipasi A2 pancreatiche (Paragrafo 9.1C). La natura autocatalitica dell’attivazione del tripsinogeno e il fatto che la tripsina attivi altri enzimi idrolitici rendono essenziale che il tripsinogeno non sia attivato nel pancreas. Abbiamo visto che il legame praticamente irreversibile di inibitori della tripsina, come per esempio il BPTI, alla tripsina, costituisce un meccanismo di difesa nei confronti di un’attivazione inopportuna del tripsinogeno. L’attivazione sequenziale dei proenzimi rappresenta un sistema rapido per formare quantità di enzimi attivi in risposta a segnali fisiologici diversi. Per esempio, le serina proteasi responsabili della coagulazione del sangue sono sintetizzate in forma di zimogeni dal fegato e rimangono tali in circolazione fino a quando non sono attivate da una lesione a un vaso sanguigno (Scheda 11.4).

SCHEDA 11.4

LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA

La cascata di coagulazione del sangue Quando un vaso sanguigno viene danneggiato, l’aggregazione delle piastrine (piccole cellule del sangue prive di nucleo) determina la formazione di un coagulo e di un reticolo insolubile di fibrina che intrappola altre cellule del sangue.

[Andrew Syred/Photo Researchers.]

La fibrina è prodotta a partire dalla proteina circolante solubile fibrinogeno attraverso l’azione della serina proteasi trombina, l’ultima di una serie di enzimi di coagulazione attivati in maniera sequenziale mediante proteolisi dei rispettivi zimogeni. Il processo complessivo (pagina seguente) è noto con il nome di cascata della coagulazione, sebbene evidenze sperimentali dimostrino che la via non è strettamente lineare, come l’analogia con una cascata potrebbe far pensare. Ai vari componenti della cascata della coagulazione, che includono enzimi e cofattori proteici non enzimatici, sono assegnati numeri romani, prevalentemente per ragioni storiche che non ne riflettono l’ordine di azione in vivo. Il suffisso «a» indica un fattore attivo. I domini catalitici delle proteasi coinvolte nella coagulazione sono simili a quello della tripsina per sequenza e meccanismo, anche se molto più specifici per i loro substrati. Altri domini mediano le interazioni con i cofattori e agevolano l’ancoraggio delle proteine alla membrana delle piastrine, che serve da “supporto” per numerose reazioni coinvolte nella coagulazione. La coagulazione prende avvio quando una proteina di membrana (fattore tissutale) esposta al flusso ematico in seguito a un danno a un tessuto forma un complesso con

il fattore VII o VIIa circolante (il fattore VIIa è generato a partire dal fattore VII mediante bassissime quantità di altre proteasi attive nella coagulazione, incluso il fattore VIIa stesso). Il complesso fattore tissutale-VIIa converte proteoliticamente lo zimogeno fattore X in fattore Xa, il quale converte poi la protrombina in trombina, che dà successivamente origine alla fibrina a partire dal fibrinogeno. Le tappe della coagulazione che dipendono dal fattore tissutale sono note nel loro insieme come via estrinseca poiché la fonte di fattore tissutale è extravascolare. Questa via è rapidamente attenuata grazie all’azione di una proteina che inibisce il fattore VII, una volta che è stato generato il fattore Xa. Un’attivazione sostenuta della trombina richiede l’attività della via intrinseca (così definita poiché tutte le sue componenti sono presenti in circolo). Essa è stimolata dal complesso fattore tissutale-VIIa, che converte il fattore IX nella sua forma attiva, il fattore IXa. La risultante trombina attiva un certo numero di componenti della via intrinseca, compreso il fattore XI, una proteasi che attiva il fattore IX, allo scopo di innescare la coagulazione in assenza di fattore tissutale o fattore VIIa. La trombina attiva anche i fattori V e VIII, che sono cofattori e non proteasi; il fattore Va promuove l’attivazione della protrombina da parte del fattore Xa a una velocità 20 000 volte più elevata, mentre il fattore VIIIa induce l’attivazione del fattore X, da parte del fattore IXa, con un effetto analogo. Pertanto la trombina promuove la propria attivazione attraverso un meccanismo di retroazione che amplifica i passaggi precedenti della cascata. Anche il fattore XIII è attivato dalla trombina; il fattore XIIIa, che non è una serina proteasi, determina la formazione per via chimica di legami trasversali tra le molecole di fibrina attraverso la costituzione di legami peptidici tra le catene laterali del glutammato e della lisina, generando una robusta rete di fibrina. La via intrinseca della coagulazione può essere indotta dall’esposizione a superfici cariche negativamente, come per esempio il vetro. Di conseguenza, quando il sangue viene raccolto in una provetta di vetro pulita, esso si coagula. In assenza di fattore tissutale, un coagulo di fibrina può non comparire per svariati minuti, ma quando questo è presente si osserva la formazione di coaguli nel giro di alcuni secondi. Ciò indica che una rapida coagulazione del sangue in vivo richiede sia il fattore tissutale sia le proteine coinvolte nella via intrinseca. Ulteriori evidenze a sostegno dell’importanza della via estrinseca stanno nel fatto che individui carenti di fattore VII tendono ad andare incontro a gravi emorragie. ^ (segue)

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SCHEDA 11.4 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA (continua)

Un sanguinamento anomalo costituisce altresì il risultato di difetti congeniti a carico del fattore VIII (emofilia a) o del fattore IX (emofilia b). Nella cascata della coagulazione l’attivazione sequenziale degli zimogeni conduce a un grande incremento dell’attività trombinica, dal momento che bassissime quantità dei fattori VIIa, IXa e Xa possono attivare grandi quantità dei rispettivi substrati. Le potenzialità dell’amplificazione, nella cascata della coagulazione, si riflettono nelle concentrazioni plasmatiche delle proteine coinvolte in tale processo (vedi la tabella che segue). In ultima analisi la trombina, forse senza che ciò desti sorpresa, attiva meccanismi che interrompono la formazione dei coaguli, limitando

VIA ESTRINSECA Lesione vascolare VIA INTRINSECA Fattore tessutale Fattore XI

Fattore XIa

Fattore IX

Fattore VIIa– Fattore tessutale

Fattore IXa

Fattore VII– Fattore tessutale Fattore IX

VIIIa VIII Fattore X

Fattore Xa

Fattore X

Va V

Protrombina

Trombina Fattore XIII

Concentrazioni plasmatiche inerenti ad alcuni fattori della coagulazione nellÕuomo Fattore

Fibrinogeno

Concentrazione (𝛍M)a

XI

0,06

IX

0,09

VII

0,01

X

0,18

Protrombina

1,39

Fibrinogeno

8,82

a

Concentrazioni calcolate da dati contenuti in High, K.A. e Roberts, H.R. (a cura di) (1995). Molecular Basis of Thrombosis and Hemostasis. Marcel Dekker.

Fibrina Fattore XIIIa Fibrina che forma legami trasversali

[Figura adattata da Davie, E.W. (1995). Thromb. Haemost. 74, 2.]

così la durata del processo della coagulazione e quindi l’ampiezza del coagulo. Tale controllo della coagulazione assume estrema rilevanza fisiologica poiché la formazione di un solo coagulo di sangue nel momento sbagliato della vita di una persona può comportare conseguenze drammatiche.

Dal momento che gli zimogeni della tripsina, della chimotripsina e dell’elastasi contengono tutti i loro residui catalitici, perché non sono enzimaticamente attivi? Confrontando la struttura ai raggi X del tripsinogeno con quella della tripsina si è osservato che il residuo di Ile 16 N-terminale liberato dall’azione dell’enteropeptidasi si sposta dalla superficie della proteina verso una posizione interna, dove il suo gruppo amminico cationico libero forma una coppia ionica con il residuo invariante anionico di Asp 194 situato nei pressi della triade catalitica (Figura 11.26). In assenza di tale variazione conformazionale, l’enzima non può legare in maniera corretta il substrato o stabilizzare l’intermedio tetraedrico poiché la formazione della sua tasca di specificità e del buco dell’ossianione avviene in modo non corretto. Questa circostanza fornisce ulteriori evidenze strutturali a favore del ruolo del legame preferenziale dello stato di transizione nel meccanismo di catalisi delle serina proteasi. Poiché le loro triadi catalitiche sono intatte dal punto di vista strutturale, gli zimogeni delle serina proteasi mostrano in realtà bassi livelli di attività enzimatica, un’osservazione effettuata solo dopo che i confronti strutturali di cui abbiamo parlato avevano suggerito questa ipotesi. Gli zimogeni hanno siti attivi distorti.

PUNTO DI VERIFICA

• Come si possono identificare i residui amminoacidici in un sito attivo?

• Riassumete i ruoli che hanno i residui che costituiscono il sito attivo delle serina proteasi.

• Quali sono i meccanismi catalitici che contribuiscono maggiormente all’aumento della velocità?

• Spiegate la funzione del buco dell’ossianione.

• Qual è il ruolo svolto dai legami idrogeno a bassa energia nella catalisi delle serina proteasi?

• Che cosa rivela l’inibitore della tripsina bovina circa il meccanismo catalitico della tripsina?

• Quali sono i vantaggi nel sintetizzare le proteasi sotto forma di zimogeni?

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RIASSUNTO 1 Le proprietà generali degli enzimi • Gli enzimi, che sono quasi tutti di natura proteica, sono ripartiti in sei classi per quanto riguarda il meccanismo d’azione. • Gli enzimi accelerano le reazioni di un fattore che può arrivare sino a 1015. • La specificità di substrato di un enzima dipende dalle caratteristiche geometriche ed elettroniche del suo sito attivo. • Alcuni enzimi catalizzano le reazioni con l’aiuto di cofattori rappresentati da ioni metallici o di coenzimi organici che svolgono la funzione di cosubstrati capaci di legarsi irreversibilmente o di gruppi prostetici associati in via permanente. Numerosi coenzimi derivano da vitamine.

2 L’energia di attivazione e la coordinata

• Un meccanismo particolarmente importante della catalisi mediata da enzimi è il legame preferenziale dello stato di transizione della reazione catalizzata.

4 Il lisozima • Nel meccanismo di catalisi del lisozima il residuo di Glu 35 nella sua forma protonata agisce da catalizzatore acido per rompere il legame peptidico suscettibile del substrato polisaccaridico tra i suoi anelli D ed E. Il residuo di Asp 52 nel suo stato anionico genera invece un legame covalente con C1 dell’anello D. • La reazione è agevolata dalla distorsione del residuo D nella conformazione planare a mezza sedia che ricorda lo ione ossonio, ossia lo stato di transizione ossianionico della reazione.

5 Le serina proteasi

di reazione • Gli enzimi catalizzano le reazioni diminuendo l’energia libera di attivazione, ∆G‡, che è l’energia libera richiesta per raggiungere lo stato di transizione, ossia il punto a più alta energia libera nella reazione.

3 I meccanismi di catalisi • Gli enzimi sfruttano i medesimi meccanismi catalitici impiegati dai catalizzatori chimici, comprese la catalisi acida generale e basica generale, la catalisi covalente e la catalisi da metalli. • La disposizione dei gruppi funzionali in un sito attivo di un enzima consente la catalisi da prossimità e orientamento, come anche la catalisi elettrostatica.

• Le serina proteasi contengono una triade catalitica Ser–His–Asp nelle vicinanze di una tasca di legame che determina la specificità per il substrato dell’enzima. • Nelle serina proteasi la catalisi avviene attraverso catalisi acido-base, catalisi covalente, effetti di prossimità e orientamento, catalisi elettrostatica e legame preferenziale dello stato di transizione nel buco dell’ossianione. • La sintesi delle proteasi pancreatiche in forma di zimogeni inattivi protegge tale organo dall’autodigestione. Gli zimogeni vengono attivati attraverso specifici tagli proteolitici.

PROBLEMI 4. Quale tipo di enzima (Tabella 11.2) catalizza le seguenti rea-

1. Scegliete la descrizione più appropriata di enzima.

(a) Consente a una reazione chimica di avvenire in maniera estremamente rapida. (b) Determina un aumento della velocità di una reazione chimica rispetto alla velocità della reazione non catalizzata. (c) Rende una reazione favorevole sotto il profilo termodinamico. 2. Quale relazione si osserva tra la velocità di una reazione catalizzata da un enzima e quella della corrispondente reazione non sottoposta a catalisi? Gli enzimi incrementano la velocità delle reazioni non catalizzate lente della stessa entità con cui aumentano quelle delle reazioni non catalizzate veloci? 3. Quale tipo di enzima (Tabella 11.2) catalizza le seguenti reazioni? _ COO

(a) H

_ COO

CH3

C

H3C

(b)

_ COO C CH3

O

_

COO C

O

+

NADH

CH3 _ COO HO

(b)

H+

C

_ COO

CH3

+

O

C

O

+

NAD+

C

O

(CH2)2

C

_ O

+

H

C

(CH2)2

NH+ 3

+

ATP

_ COO O

H

C CH3

H

+

H+

+

NH+ 3

NH+ 3

NH+ 3

(a)

H

H

C

zioni?

NH+ 4

O

+

C NH2

ADP

+

Pi

CAPITOLO 11

La catalisi enzimatica

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5. Sul diagramma di energia libera in funzione della coordinata

di reazione che segue, contrassegnate l’intermedio (o gli intermedi), e lo stato di transizione oppure gli stati di transizione se ve ne fossero più di uno. La reazione è favorevole dal punto di vista termodinamico?

G

Coordinata di reazione

6. Disegnate un diagramma dello stato di transizione relativo (a)

Velocitˆ

a una reazione non enzimatica e alla corrispondente reazione catalizzata da enzima in cui (b) S si lega all’enzima debolmente e (c) S vi si lega molto saldamente. Raffrontate il valore di ∆G‡ per ciascun caso. Per quale motivo un legame saldo di S non è vantaggioso? 7. Di quanto, approssimativamente, la nucleasi di stafilococco (Tabella 11.1) diminuisce l’energia libera di attivazione (∆G‡) della sua reazione (l’idrolisi di un legame fosfodiesterico) a 25 °C? 8. Calcolate l’aumento di velocità che si dovrebbe avere utilizzando un enzima che forma un legame idrogeno a bassa barriera con il suo stato di transizione a 25 °C. 9. Spiegate perché l’attività di un enzima varia con la temperatura come mostrato nella figura.

20 40 Temperatura (8C)

10. Il meccanismo di catalisi covalente di una molecola enzimati-

ca dipende da un unico residuo di Cys presente nel sito attivo e il cui pK è pari a 8. Una mutazione in un residuo circostante altera il microambiente e il valore di pK della Cys aumenta fino a 10. La mutazione causa un incremento o un abbassamento della velocità della reazione? Circostanziate le vostre affermazioni. 11. Studi condotti a valori di pH differenti evidenziano che un enzima presenta due residui importanti sul piano catalitico i cui pK sono ∼4 e ∼10. Esperimenti di modificazione chimica indicano che un residuo di Glu e uno di Lys sono essenziali per l’attività catalitica. Fate corrispondere questi ultimi ai relativi pK e spiegate se è verosimile che essi agiscano in qualità di catalizzatori acido-base.

383

12. Spiegate come mai la RNasi A non è in grado di catalizzare l’i-

drolisi del DNA. 13. L’ureasi, il primo enzima a essere stato cristallizzato, è inibito

dalla presenza degli ioni Hg, Cd o Co. Che cosa vi suggerisce questa informazione sul meccanismo catalitico dell’ureasi? 14. Wolfenden ha affermato che non ha senso operare una distinzione tra i “siti di legame” e i “siti catalitici” degli enzimi. Spiegate come mai. 15. Chiarite perché il lisozima scinde il substrato artificiale (NAG)4 circa 4000 volte più lentamente rispetto a (NAG)6. 16. Vi aspettereste che il lisozima idrolizzi la cellulosa? Perché sì o perché no? 17. Disegnate un inibitore dell’elastasi contenente clorometilchetone. 18. Prevedete l’effetto della mutazione di Asp 102 della tripsina in Asn (a) sul legame del substrato e (b) sulla catalisi. 19. Disegnate schematicamente le interazioni mediante legami idrogeno della triade catalitica His–Lys–Ser nel corso della catalisi in un ipotetico enzima idrolitico. 20. Il confronto delle geometrie dei siti attivi della chimotripsina e della subtilisina, ipotizzando che le loro analogie assumano significato catalitico, ha condotto a comprendere più in profondità il meccanismo d’azione di entrambi gli enzimi. Discutete la validità di questa strategia. DOMANDE DIFFICILI 21. Utilizzando come punto di partenza la reazione mostrata

nella Scheda 11.1 (l’attacco di un’ammina sul gruppo carbonilico di un chetone), disegnate le frecce curve che rappresentano la reazione di catalisi basica (quando è presente il gruppo –B:). 22. Utilizzando come punto di partenza la reazione mostrata nella Scheda 11.1 (l’attacco di un’ammina sul gruppo carbonilico di un chetone), disegnate le frecce curve per rappresentare la reazione di catalisi acida (quando è presente il gruppo –A–H). 23. Qual è la caratteristica dell’RNA che gli permetterebbe di funzionare come un ribozima? Perché non ci sono, in natura, molecole di DNA che si comportano come enzimi? 24. Indicate un analogo dello stato di transizione della prolina racemasi che differisca da quelli discussi nel testo. Motivate la vostra scelta. 25. I residui di Asp 101 e Arg 114 del lisozima sono necessari per una catalisi efficiente, sebbene essi siano situati a una certa distanza dal sito attivo formato da Glu 35 e Asp 52. La sostituzione di Ala al posto di Asp 101 o di Arg 114 non altera in misura significativa la struttura terziaria dell’enzima, ma ne riduce considerevolmente l’attività catalitica. Spiegate per quale ragione. 26. Prevedete che effetto avrà sull’attività del lisozima la mutazione di Glu 35 a Asp e la mutazione di Asp 52 a Glu. 27. In determinate condizioni è favorita, sotto il profilo termodinamico, la formazione di un legame peptidico piuttosto che la sua idrolisi. Ci si potrebbe attendere che la chimotripsina catalizzi la formazione di tale legame? 28. Per quale motivo la mancanza di una stretta specificità di substrato evidenziata dalla chimotripsina è vantaggiosa in vivo? Perché ciò costituirebbe un inconveniente per determinate altre proteasi? 29. Il tofu, un prodotto della soia ad alto contenuto di proteine, è preparato in modo da rimuovere l’inibitore della tripsina presente in questa specie vegetale. Spiegate il motivo, oppure i motivi, alla base di questo trattamento.

384

CAPITOLO 11

La catalisi enzimatica

30. Molti degli enzimi idrolitici delle cellule sono localizzati nei li-

sosomi dove il pH è circa 5. Quale sarà il pH ottimale di questi enzimi e perché ciò può proteggere il resto della cellula dal potenziale distruttivo di questi enzimi nel caso in cui, accidentalmente, questo organello si rompesse? 31. Un difetto genetico nel fattore IX della coagulazione è causa dell’emofilia b, una malattia contraddistinta da una tendenza a un’abbondante emorragia in seguito a un trauma molto limitato. Un difetto genetico nel fattore XI della coagulazione non presenta però sintomi clinici. Spiegate tale discrepanza in termini di diverso meccanismo di attivazione delle proteasi della coagulazione mostrate nella Scheda 11.4. 32. Gli emofiliaci a cui manca il fattore IX sono spesso sottoposti a infusioni di fattore VIII per ristabilire la normale attività di coagulazione del sangue. Spiegate perché.

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amminoacidici di Asn e Gln e vengono proposti i possibili meccanismi di queste reazioni. Prerequisiti: Capitoli 5 e 11 • Metodologie analitiche delle proteine, in particolare l’isoelettrofocusing. • Meccanismi enzimatici, in particolare quelli delle proteasi papaina e chimotripsina.

APPROFONDIMENTO Le cellule eucariotiche contengono una classe di proteasi conosciuta con il nome di caspasi. Quali sono i residui catalitici che danno il nome a queste proteasi? Qual è il ruolo di questi residui nella catalisi e in che modo il meccanismo di azione catalitica delle caspasi è paragonabile a quello delle serina proteasi? In che modo vengono attivate le caspasi e qual è il risultato della loro attività all’interno della cellula?

CASO DI STUDIO Caso 11 La deamminazione non enzimatica dei residui di asparagina e glutammina nelle proteine Concetto chiave: vengono esaminati i fattori che influenzano la deamminazione idrolitica nelle proteine dei residui

BIBLIOGRAFIA Generale Benkovic, S.J. e Hammes-Schiffer, S. (2003). A perspective on enzyme catalysis, Science 301, 1196-1202. [Include la storia di alcune delle teorie formulate e degli esperimenti condotti sulla catalisi.] Bruice, T.C. e Benkovic, S.J. (2000). Chemical basis for enzyme catalysis, Biochemistry 39, 6267-6274. Gerlt, J.A. (1994). Protein engineering to study enzyme catalytic mechanisms, Curr. Opin. Struct. Biol. 4, 593-600. [Descrive in che modo è possibile acquisire informazioni dalla mutagenesi e dall’analisi strutturale degli enzimi.] Hackney, D.D. (1990). Binding energy and catalysis, in Sigman, D.S. e Boyer, P.D. (a cura di), The Enzymes (3a ed.), Vol. 19, pp. 1-36, Academic Press. Kraut, J. (1988). How do enzymes work? Science 242, 533-540. [Rassegna breve e molto scorrevole che tratta la teoria dello stato di transizione e le relative applicazioni.] Schramm, V.L. (2005). Enzymatic transition states and transition state analogues, Curr. Opin. Struct. Biol. 15, 604-613. Tipton, K.F. (1993). The naming of parts, Trends Biochem. Sci. 18, 113-115. [Trattazione dei vantaggi insiti in un sistema di nomenclatura coerente degli enzimi e delle difficoltà incontrate nel formularne uno.]

Il lisozima Kirby, A.J. (2001). The lysozyme mechanism sorted – after 50 years, Nature Struct. Biol. 8, 737-739. [Breve riassunto delle evidenze teoriche e sperimentali a favore di un intermedio covalente nel meccanismo del lisozima.] McKenzie, H.A. e White, F.H., Jr. (1991). Lysozyme and α-lactalbumin: Structure, function and interrelationships, Adv. Protein Chem. 41, 173-315. Strynadka, N.C.J. e James, M.N.G. (1991). Lysozyme revisited: crystallographic evidence for distortion of an N-acetylmuramic acid residue bound in site D, J. Mol. Biol. 220, 401-424.

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C A P I T O L O

1 2

Cinetica enzimatica, inibizione e regolazione

L’atorvastatina (in commercio come Lipitor®) è uno dei farmaci più comunemente prescritti. Essa agisce andandosi a legare all’HMG-CoA reduttasi; l’inibizione dell’attività dell’enzima da parte di questo composto può essere quantificata mediante la cinetica enzimatica. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da John Deisenhofer, University of Texas Medical Center, PDBid 1HWK.]

I primi enzimologi, che spesso lavoravano con preparazioni grezze di lievito o di cellule epatiche, non potevano fare molto di più che osservare la conversione dei substrati nei prodotti catalizzata da enzimi non ancora purificati; per questo motivo, la determinazione delle velocità di tali reazioni si rivelò un validissimo strumento per la caratterizzazione dell’attività enzimatica. L’applicazione di semplici modelli matematici all’attività enzimatica in condizioni variabili e in presenza di substrati o di inibitori tra loro in competizione ha consentito di identificare le probabili funzioni fisiologiche e i meccanismi di regolazione di diversi enzimi. Lo studio delle velocità delle reazioni enzimatiche, o cinetica enzimatica, non è oggi meno importante di quanto non lo fosse all’inizio del XX secolo. In molti casi la velocità di una reazione e il modo in cui essa varia in risposta a condizioni differenti rivelano il percorso seguito dai reagenti, fornendo quindi delle indicazioni sul meccanismo della reazione. I dati cinetici, unitamente a informazioni dettagliate sulla struttura di un enzima e sui meccanismi catalitici, sono le fonti più rilevanti di informazioni riguardo alla funzione biologica dell’enzima e possono suggerire vie per modificarlo a scopo terapeutico. Inizieremo le nostre considerazioni sulla cinetica enzimatica riesaminando la cinetica chimica, poi dedurremo le equazioni fondamentali della cinetica enzimatica e descriveremo gli effetti degli inibitori sugli enzimi. Prenderemo in considerazione anche un esempio di regolazione enzimatica per porre in evidenza diversi aspetti della funzione di un enzima. Infine descriveremo alcune applicazioni pratiche dell’inibizione degli enzimi, come lo sviluppo di inibitori enzimatici da impiegare come farmaci.

1 La cinetica delle reazioni CONCETTI CHIAVE

• Le semplici equazioni della velocità descrivono il progredire delle reazioni di primo e di secondo ordine.

• L’equazione di Michaelis-Menten mette in correlazione la velocità iniziale di una reazione con la velocità massima della reazione e la costante di Michaelis per un particolare enzima e un dato substrato.

• L’efficienza catalitica complessiva di un enzima è espressa come Kcat/KM. • Il grafico di Lineweaver-Burk può essere utilizzato per presentare i dati cinetici e per calcolare i valori di KM e Vmax.

• Le reazioni a due substrati possono avvenire con un meccanismo sequenziale, ordinato o casuale, oppure a ping- pong.

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CAPITOLO 12

Cinetica enzimatica, inibizione e regolazione

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Le misurazioni cinetiche delle reazioni catalizzate dagli enzimi sono tra le tecniche più importanti per illustrare i meccanismi catalitici degli enzimi. La cinetica enzimatica è una branca della cinetica chimica, pertanto iniziamo questo capitolo passando in rassegna i principi che regolano appunto la cinetica chimica.

A Le equazioni della velocità descrivono la cinetica chimica Una reazione con la stechiometria complessiva AnP dove A rappresenta i reagenti e P indica i prodotti, può in realtà avvenire attraverso una sequenza di reazioni elementari (processi molecolari semplici), come per esempio A n I1 n I2 n P In questo caso I1 e I2 stanno a indicare gli intermedi della reazione. Ogni reazione elementare può essere caratterizzata sulla base del numero di specie reagenti e delle velocità con cui queste interagiscono. Le descrizioni di ciascuna reazione elementare costituiscono complessivamente la definizione meccanicistica dell’intero processo di reazione. Anche una reazione complessa catalizzata da enzimi può essere analizzata in termini delle reazioni elementari che la compongono. L’ordine di reazione indica il numero di molecole che partecipano a una reazione elementare. A temperatura costante, la velocità di una reazione elementare

è proporzionale alla frequenza con cui le molecole dei reagenti entrano in contatto. La costante di proporzionalità è nota come costante di velocità ed è rappresentata con la lettera k. Per la reazione elementare A n P, la velocità istantanea di comparsa del prodotto e di scomparsa del reagente, denominata velocità (v) della reazione, è

v

Ð ESEMPIO DI CALCOLO 12.1

Determinate la velocità della reazione elementare X + Y n Z quando il campione contiene 3 μM di X e 5 μM di Y, e k per la reazione è pari a 400 M−1 ∙ s−1.

Utilizzate l’equazione 12.3 e assicuratevi che tutte le unità siano coerenti: v

k [X][Y] (400 M 1 ⭈ s 1 )(3 ␮M )(5 ␮M ) (400 M 1 ⭈ s 1 )(3 10 6 M ) (5 10 6 M ) 9 6 10 M ⭈ s 1 6 nM ⭈ s 1

d [P]

d [A ]

dt

dt

k [A ]

[12.1]

In altre parole, in ogni momento la velocità di reazione è proporzionale alla concentrazione del reagente A. Questo è un esempio di reazione di primo ordine. Dal momento che la velocità ha come unità la molarità al secondo (M ∙ s−1), la costante di velocità di primo ordine deve avere come unità il reciproco dei secondi (s−1). L’ordine di reazione di una trasformazione chimica elementare corrisponde alla molecolaritˆ della reazione, che rappresenta il numero di molecole che devono simultaneamente collidere per generare un prodotto. Di conseguenza, una reazione elementare di primo ordine è una reazione unimolecolare. Consideriamo la reazione elementare 2A n P. Questa reazione bimolecolare è di secondo ordine e la sua velocità istantanea è descritta da d [A]

v

k [A ]2

dt

[12.2]

In questo caso la velocità di reazione è proporzionale al quadrato della concentrazione di A, e la costante k di velocità di secondo ordine ha come unità M−1 ∙ s−1. Anche la reazione bimolecolare A + B n P è di secondo ordine, con una velocità istantanea descritta da

v

d [A]

d [B ]

dt

dt

k [A ][B ]

[12.3]

In questa circostanza si dice che la reazione è di primo ordine rispetto ad [A], oppure rispetto a [B] (vedi l’Esempio di calcolo 12.1). Le reazioni unimolecolari e bimolecolari sono comuni, invece le reazioni trimolecolari sono rare, in

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quanto la collisione simultanea di tre molecole è un evento che accade più difficilmente. Non si conoscono reazioni di quarto ordine o superiore. L’equazione della velocità descrive il progredire di una reazione in funzione del tempo. Un’equazione della velocitˆ può essere ricavata dalle equazioni che de-

scrivono la velocità istantanea di reazione. Di conseguenza, un’equazione della velocità di primo ordine si ottiene riordinando l’equazione 12.1 d [A] [12.4] d ln [A] k dt [A] e integrandola da [A]0, la concentrazione iniziale di A, ad [A], la concentrazione di A al tempo t: [A]

t

d ln[A]

k

[A]o

dt

[12.5]

0

Alla fine si ottiene ln[A]

ln[A]o

kt

[12.6]

oppure, ricavando l’antilog da entrambi i termini, [A] = [A]0 e−kt

[12.7]

L’equazione 12.6 è un’equazione lineare del tipo y = mx + b e può essere posta in grafico come illustrato nella Figura 12.1. Perciò, se una reazione è di primo ordine, un grafico di ln[A] in funzione del tempo t sarà una linea retta la cui pendenza è −k (il negativo della costante di velocità di primo ordine), mentre l’intercetta sull’asse delle ordinate ln[A] rappresenta ln[A]0. Una delle caratteristiche di una reazione di primo ordine è che il tempo impiegato da metà del reagente inizialmente presente per trasformarsi, il tempo di dimezzamento o emivita (t1/2), è una costante ed è perciò indipendente dal valore della concentrazione iniziale del reagente. Ciò è facilmente dimostrabile sostituendo la relazione [A] = [A]0/2 quando t = t1/2 nell’equazione 12.6 e riordinando: [A]o 2

ln

kt1 2

[A]o

[12.8]

Quindi t1 2

ln2 k

0,693 k

[12.9]

Le sostanze per loro natura instabili, come per esempio i nuclei radioattivi, si decompongono mediante reazioni di primo ordine (vedi l’Esempio di calcolo 12.2). In una reazione di secondo ordine con un solo tipo di reagente, 2A n P, la variazione di [A] con il tempo è piuttosto diversa da quanto si osserva in una reazione di primo ordine. Riordinando l’equazione 12.2 e integrandola per gli stessi limiti usati per la reazione di primo ordine si ottiene [A]

in modo che

[A]o

1 [A]

d [A] 2

[A]

1 [A]o

t

k

dt

[12.10]

0

kt

[12.11]

L’equazione 12.11 è lineare in quanto le variabili 1/[A] e t sono direttamente proporzionali. Per una reazione di secondo ordine, il tempo di dimezzamento è da-

ln[A]o Pendenza = – k

ln[A]

0

Tempo

Figura 12.1 Grafico relativo a

un’equazione della velocità di primo ordine. La pendenza della linea retta ottenuta quando ln[A] è posto in grafico in funzione del tempo consente di ottenere la costante di velocità k.

Ð ESEMPIO DI CALCOLO 12.2

Il decadimento di un ipotetico radioisotopo ha una costante di velocità pari a 0,01 s−1. Quanto tempo è richiesto perché decada la metà di un campione da 1 g dell’isotopo? Le unità della costante di velocità sono indicative di un processo di primo ordine. Pertanto l’emivita è indipendente dalla concentrazione. L’emivita dell’isotopo (ossia la metà del tempo richiesto per il suo decadimento) è data dall’equazione 12.9: 0,693 ln 2 t1 2 69,3 s k 0,01 s 1

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to da t1/2 = 1/k[A]0 e quindi, al contrario di una reazione di primo ordine, esso dipende dalla concentrazione iniziale del reagente. Le equazioni 12.6 e 12.11 possono essere usate per distinguere una reazione di primo ordine da una di secondo ordine, ponendo in grafico ln[A] in funzione di t e 1/[A] in funzione di t e osservando quale è lineare. Per determinare sperimentalmente la costante di velocità di una reazione di secondo ordine A + B n P, sovente è opportuno aumentare la concentrazione di un reagente rispetto all’altro, per esempio, [B] >> [A]. In queste condizioni [B] non muta in modo significativo durante la reazione. La velocità di reazione dipende pertanto solo da [A], la concentrazione del reagente presente in quantità limitante. Perciò la reazione sembra essere di primo ordine rispetto ad A ed è quindi detta pseudoreazione di primo ordine. La reazione è di primo ordine rispetto a B quando [A] >> [B].

B La cinetica enzimatica segue spesso l’equazione di Michaelis-Menten

Gli enzimi catalizzano una varietà straordinaria di reazioni utilizzando combinazioni differenti di cinque meccanismi catalitici di base (Paragrafo 11.3). Alcuni agiscono su una singola molecola di substrato, mentre altri operano su due o più molecole, il cui ordine di legame può essere vincolante o meno. Determinati enzimi formano complessi intermedi con i propri substrati mediante legami covalenti, altri invece utilizzano approcci diversi. Eppure per tutti gli enzimi è possibile quantificare la velocità di reazione e l’efficienza complessiva. Lo studio della cinetica enzimatica ebbe inizio nel 1902, quando Adrian Brown analizzò la velocità di idrolisi del saccarosio da parte dell’enzima di lievito 𝛃-fruttofuranosidasi: Saccarosio + H2O n glucosio + fruttosio

Egli scoprì che, quando la concentrazione di saccarosio è molto maggiore rispetto a quella dell’enzima, la velocità di reazione diventa indipendente dalla concentrazione del saccarosio: la velocità è di ordine zero rispetto al saccarosio. Lo scienziato propose pertanto che la reazione complessiva fosse composta da due reazioni elementari, in cui il substrato prima si lega all’enzima e in seguito si decompone nei prodotti, rigenerando l’enzima libero: E

k1

k2

S 34 ES 88n P k

E

[12.12]

1

E, S, ES e P in questi equilibri indicano rispettivamente l’enzima, il substrato, il complesso enzima-substrato e i prodotti. Secondo questo modello, quando la concentrazione di substrato diventa sufficientemente alta da convertire completamente l’enzima nella forma ES, la seconda tappa della reazione diventa quella che determina la velocità della reazione che non può essere modificata da ulteriori aumenti della concentrazione del substrato. Ognuna delle reazioni elementari che costituiscono la reazione enzimatica complessiva (gli equilibri mostrati sopra) è caratterizzata da una costante di velocità: k1 e k−1 sono le costanti di velocità della reazione nella direzione in avanti (formazione del complesso ES) e nella direzione inversa (dissociazione di ES); k2 è invece la costante di velocità per la decomposizione di ES in P ed E libero (la seconda reazione). In questo caso, per ragioni di semplicità matematica, assumiamo che la seconda reazione sia irreversibile, cioè che P non sia riconvertito in S. L’equazione di Michaelis-Menten assume che ES sia in uno stato stazionario.

L’equazione di Michaelis-Menten descrive la velocità della reazione enzima-

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tica rappresentata dall’equazione 12.12 in funzione della concentrazione di substrato. In questo schema cinetico la formazione del prodotto da ES è un processo di primo ordine. Di conseguenza, la velocità di formazione del prodotto può essere espressa come il prodotto tra la costante di velocità della reazione che genera il prodotto e la concentrazione del suo intermedio immediatamente precedente. L’espressione generale riferita alla velocità della reazione 12.12 è quindi d [P] k2 [ES] v [12.13] dt La velocità complessiva di produzione di ES è data dalla differenza tra le velocità delle reazioni elementari che portano alla sua formazione e quelle che ne determinano la scomparsa: d [ES] [12.14] k1 [E][S] k21 [ES] k2 [ES] dt Tuttavia questa equazione non può essere integrata senza effettuare alcune assunzioni semplificatrici.

1. Assunzione dell’equilibrio. Nel 1913 Leonor Michaelis e Maud Menten, basandosi sul lavoro condotto da Victor Henri, ipotizzarono che k−1 >> k2, così che la prima tappa della reazione può raggiungere l’equilibrio:

[E ][S] k 21 [12.15] k1 [ES] Qui KS è la costante di dissociazione della prima tappa della reazione enzimatica; diventa ora possibile integrare l’equazione 12.14. Sebbene questa ipotesi non sia sempre corretta, a riconoscimento della rilevanza di questi studi pionieristici, il complesso enzima-substrato, ES, è noto come complesso di Michaelis. 2. Assunzione dello stato stazionario. La Figura 12.2 illustra le variazioni delle concentrazioni dei vari composti e intermedi che prendono parte alla reazione 12.12 nella condizione fisiologica più comune, cioè che il substrato sia in grande eccesso rispetto all’enzima ([S] >> [E]). Ad eccezione dello stadio iniziale della reazione, che avviene normalmente nei pochi millisecondi neKS

Concentrazione

[S0]

[S]

[P]

[E] T = [E] + [ES] d[ES] _____ =0 dt [E] T

[ES] [E] Tempo

Figura 12.2 Curve di progressione di una semplice reazione catalizzata da un enzima. Ad eccezione della fase iniziale della reazione (prima del riquadro ombreggiato), la pendenza delle curve per [E] ed [ES] è essenzialmente pari a zero, purché [S] >> [E] (all’interno del riquadro ombreggiato). [Da Segel, I.H. (1993). Enzyme Kinetics, Wiley, p. 27.]

Descrivete cosa succede all’estremità sinistra e all’estremità destra, cioè prima e dopo lo stato stazionario.

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CAPITOLO 12

Cinetica enzimatica, inibizione e regolazione

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cessari a miscelare E ed S, [ES] rimane approssimativamente costante sino a esaurimento quasi totale del substrato. Quindi la velocità di sintesi di ES deve essere equivalente a quella del suo consumo durante quasi tutto il tempo in cui la reazione procede. ES è quindi in uno stato stazionario e il valore di [ES] può essere considerato costante nel tempo: d [ES] 0 [12.16] dt L’ipotesi dello stato stazionario, una condizione più generale rispetto a quella dell’equilibrio, fu proposta per la prima volta nel 1925 da George E. Briggs e John B.S. Haldane (Scheda 12.1). È importante notare che una reazione che raggiunge uno stato stazionario non è all’equilibrio: [S] e [P] variano rapidamente durante l’intervallo in cui [ES] e [E] sono essenzialmente costanti. Per poter essere utili, le espressioni cinetiche delle reazioni complessive devono essere formulate in termini di quantità misurabili per via sperimentale. In generale, le quantità [ES] ed [E] non sono facilmente determinabili, mentre la concentrazione totale dell’enzima

[E]T = [E] + [ES]

[12.17]

è direttamente valutabile. È possibile poi ricavare l’equazione della velocità della reazione enzimatica complessiva in funzione di [S] e [E]. Dapprima l’equazione 12.14 è combinata con l’ipotesi dello stato stazionario (equazione 12.16), dando

k1[E][S] = k−1[ES] + k2[ES]

SCHEDA 12.1

[12.18]

LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA

J.B.S. Haldane e lÕazione degli enzimi J.B.S. Haldane (1892-1964)

John Burdon Sanderson Haldane, figlio di un noto fisiologo, è stato scienziato e scrittore, i cui contributi principali riguardano l’applicazione della matematica a settori della biologia come la genetica e la cinetica enzimatica. Come scienziato, e anche come filosofo, egli era a conoscenza degli sviluppi della teoria della relatività e della meccanica quantistica, ed era influenzato da una filosofia pratica in base alla quale il mondo naturale obbedisce alle leggi della logica e dell’aritmetica. Quando pubblicò il volume Enzymes nel 1930, l’idea che queste molecole fossero proteine piuttosto che piccoli catalizzatori circondati da un “colloide” amorfo di natura proteica era ancora oggetto di dibattito. Tuttavia, persino in assenza di informazioni strutturali, ricercatori quali Leonor Michaelis e Maud Menten avevano già applicato i principi della termodinamica per ricavare alcune equazioni fondamentali legate alla cinetica enzimatica. Essi, nel 1913, avanzarono l’ipotesi che, nel corso di una reazione, un enzima e il suo substrato si trovino in equilibrio con un complesso formato dai due. Nel 1925 Haldane obiettò che ciò non era vero in senso stretto, dal momento che una certa quota di complesso enzima-substrato non si dissocia in enzima libero e substrato, ma piuttosto procede per dare origine al prodotto. Quando l’enzima e il substrato sono miscelati insieme, la concentrazione del complesso aumenta, per stabilizzarsi però dopo un certo tempo poiché il complesso è costantemente formato e scisso per generare prodotto. Questo principio, la cosiddetta ipotesi dello stato stazionario, è alla base delle moderne teorie dell’attività enzimatica.

Anche senza sapere di cosa fossero costituiti gli enzimi, Haldane mostrò uno straordinario livello di conoscenza della materia cui si era applicato proponendo che una molecola enzimatica possa catalizzare una reazione legando i propri substrati in una struttura distorta o fuori equilibrio. Questa idea rappresenta un passo in avanti rispetto alla precedente proposta di Emil Fischer della “chiave e serratura” (in seguito elaborata ulteriormente da Linus Pauling). Il concetto di Haldane della distorsione fu apprezzato compiutamente solo intorno al 1970, dopo che erano state esaminate le strutture ai raggi X di svariati enzimi, compresi il lisozima e la chimotripsina (Capitolo 11). Oltre alle ricerche come enzimologo, Haldane fece luce sul ruolo dei geni nell’ambito dell’ereditarietà e formulò delle stime matematiche sulle velocità di mutazione molti anni prima che si giungesse a svelare la natura dei geni e la struttura del DNA. Comunque, oltre a essere un teorico, Haldane fu anche uno sperimentatore; spesso portò a termine sperimentazioni poco piacevoli o persino pericolose su se stesso. Ingerì per esempio del bicarbonato di sodio e cloruro di ammonio per indagare il loro effetto sulla frequenza respiratoria. Oltre al laboratorio, Haldane era rinomato per i suoi sforzi rivolti a diffondere la scienza tra il pubblico. In Daedalus, or, Science and the Future, tracciò un quadro dello stato in cui versavano vari settori della scienza intorno al 1924, ipotizzando gli sviluppi futuri. Si ritiene che il suo pensiero e la sua figura abbiano ispirato varie trame e personaggi nei romanzi di fantascienza. Briggs, G.E. e Haldane, J.B.S. (1925). A note on the kinetics of enzyme action. Biochem. J. 19, 339.

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Cinetica enzimatica, inibizione e regolazione

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Lasciando [E] = [E]T – [ES] e riordinando si ottiene ([E]T [ES ])[ S] k 1 k2 [ES] k1

[12.19]

La costante di Michaelis, KM, è definita come KM

k

1

k2

k1

[12.20]

così l’equazione 12.19 può essere riordinata per dare KM [ES] = ([E]T − [ES]) [S]

[12.21]

Risolvendo per [ES], [ES]

[E]T [S] KM

[S ]

[12.22]

L’espressione della velocità iniziale (v0) della reazione, cioè la velocità (equazione 12.13) a t = 0, in tal modo diventa d [P] k2 [E ]T [S] vo k2 [ES] [12.23] dt t 0 KM [S]

[E]T e [S] sono entrambe quantità misurabili sperimentalmente. Al fine di soddisfare le condizioni dell’ipotesi dello stato stazionario, la concentrazione del substrato deve essere molto superiore rispetto a quella dell’enzima, per consentire a ciascuna molecola di enzima di essere continuamente legata a una molecola di substrato, in modo che [ES] sia costante anche se viene generato il prodotto. L’impiego della velocità iniziale (operativamente è la velocità della reazione misurata prima che più del 10% circa del substrato sia stato convertito in prodotto) riduce al minimo le complicazioni create per esempio dalla reversibilità della reazione, dall’inibizione dell’enzima da parte dei prodotti, nonché dalla progressiva inattivazione dell’enzima. Questi sono alcuni dei motivi per cui, nell’equazione 12.12, è possibile assumere che la velocità della reazione nella direzione inversa sia pari a zero. La velocità massima, Vmax, di una reazione si osserva a concentrazioni di substrato elevate, cioè quando l’enzima è saturato ed è completamente nella forma ES: Vmax = k2 [E]T Quindi, combinando le equazioni 12.23 e 12.24, otteniamo Vmax [S ] vo KM [S ]

[12.24]

[12.25]

Questa, l’equazione di Michaelis-Menten, è l’espressione fondamentale della cinetica enzimatica. Essa descrive un’iperbole rettangolare come quella illustrata nel grafico della Figura 12.3. La curva di saturazione per il legame dell’ossigeno alla mioglobina (equazione 7.6) ha la medesima forma algebrica. La costante di Michaelis ha una definizione operativa semplice. Alla concentra-

zione di substrato dove [S] = KM, l’equazione 12.25 diventa v0 = Vmax/2; quindi KM corrisponde numericamente alla concentrazione di substrato a cui la velocità di reazione è pari a metà della Vmax. Di conseguenza, se la KM di un enzima è bassa, esso raggiunge la massima efficienza di catalisi a basse concentrazioni di substrato. Ricordate che quando [S] > KM, l’enzima è saturo (vo = Vmax). La KM è specifica per ogni complesso enzima-substrato: substrati differenti che reagiscono con un determinato enzima presentano valori di KM diversi. Allo stesso modo, enzimi diversi che agiscono sullo stesso substrato non han-

391

CAPITOLO 12

392

Cinetica enzimatica, inibizione e regolazione

Vmax vo Vmax 2

0

0

KM

2KM

3KM [S]

Figura 12.3 Grafico della velocità iniziale v0 di una semplice reazione enzimatica in funzione della concentrazione di substrato [S]. I punti sono messi in grafico secondo intervalli di concentrazione di substrato pari a 0,5 KM tra valori compresi tra 0,5 e 5 KM.

Confrontate la curva mostrata in questa figura con la curva di saturazione della mioglobina con ossigeno (Figura 7.4).

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no valori di KM uguali. La grandezza della KM varia in base all’identità dell’enzima e alla natura del substrato (Tabella 12.1) e dipende anche dalla temperatura e dal pH. La costante di Michaelis (equazione 12.20) può essere espressa come k 1 k2 k2 [12.26] KS KM k1 k1 k1 Dal momento che KS è la costante di dissociazione del complesso di Michaelis (equazione 12.15), a una KS minore corrisponde una maggiore affinità dell’enzima per il suo substrato. Perciò KM è anche una misura 4KM 5KM dell’affinità dell’enzima per il substrato, a condizione che il rapporto k2/k1 sia basso rispetto a KS (k2 < k−1), in modo che la reazione ES n P proceda più lentamente di quella in cui ES si trasforma di nuovo in E + S. kcat/KM è una misura dell’efficienza della catalisi. Possiamo definire la costante

catalitica, kcat, di un enzima come Vmax [12.27] [E ]T Questa entità è conosciuta anche come numero di turnover di un enzima, poiché equivale al numero di processi di reazione (turnover) che ogni sito attivo catalizza per unità di tempo. I numeri di turnover relativi ad alcuni enzimi sono forniti nella Tabella 12.1. Si noti che queste quantità variano di oltre otto ordini di grandezza. L’equazione 12.24 indica che, per un sistema semplice come per esempio la reazione tipo Michaelis-Menten (equazione 12.12), kcat = k2. Per gli enzimi contraddistinti da meccanismi più complessi (per esempio, substrati multipli o molti intermedi di reazione), kcat può dipendere da molte costanti di reazione. Mentre kcat è una costante, Vmax dipende dalla concentrazione dell’enzima presente nel sistema sperimentale e infatti aumenta con l’aumentare di [E]T. Quando [S] 10 g). In quantità terapeutiche, il 95% del composto presente è enzimaticamente glucuronidato o solfatato a livello del gruppo OOH nei corrispondenti coniugati, che sono prontamente escreti. Il rimanente 5% è convertito, grazie all’azione del citocromo P450 (CYP2E1), in acetimidochinone (Figura 12.21), che viene poi coniugato con il glutatione (Paragrafo 4.3B). Tuttavia, quando l’acetaminofene è assunto in grandi quantità, le vie di glucuronidazione e solfatazione si saturano e quindi la trasformazione mediata dal citocromo P450 assume rilevanza crescente. Se il glutatione nel fegato viene consumato più velocemente di quanto non sia prodotto, l’acetimidochinone, un composto reattivo, si coniuga invece con i gruppi sulfidrilici delle proteine cellulari, producendo un livello di epatotossicità spesso fatale. In effetti, il sovradosaggio di acetaminofene è la causa principale di insufficienza epatica negli Stati Uniti: circa 450 persone ogni anno muoiono per questo motivo. Alcuni farmaci possono essere usati per inibire un citocromo P450 che degrada un altro farmaco, aumentando in questo modo la biodisponibilità di quest’ultimo. Per esempio, il ritonavir (Scheda 12.3), che era stato sviluppato originariamente come inibitore della proteasi dell’HIV, ma oggi utilizzato raramente per questo scopo, viene invece somministrato a basse dosi per inibire specificamente CYP3A4; ciò ha permesso la cosomministrazione di basse do-

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Cinetica enzimatica, inibizione e regolazione

si di altri inibitori della proteasi dell’HIV, come il darunavir (Scheda 12.3), che viene degradato da CYP3A4. Questo ha aumentato in modo significativo l’efficienza degli altri inibitori della proteasi dell’HIV e ridotto considerevolmente i loro effetti collaterali. Molti dei citocromi P450 presenti nell’uomo sono insolitamente polimorfici, cioè nella popolazione umana esistono svariati alleli (varianti) comuni dei geni che codificano ciascuno di questi enzimi. Per numerosi citocromi P450 sono stati caratterizzati gli alleli che provocano una diminuzione, un aumento o un’alterazione qualitativa delle velocità con cui i farmaci sono metabolizzati. La distribuzione di tali forme alleliche differisce in maniera marcata tra i gruppi etnici e quindi ha avuto probabilmente origine allo scopo di permettere a ciascun gruppo di contrastare le tossine contenute nel proprio particolare regime alimentare. Il polimorfismo in un dato citocromo P450 porta a differenze tra gli individui per quanto concerne la velocità con cui essi metabolizzano determinate sostanze medicinali. Per esempio, in casi di attività assente o diminuita di una variante di citocromo P450, dosi altrimenti convenzionali di un farmaco che l’enzima di norma metabolizza possono far sì che la sua biodisponibilità raggiunga livelli tossici. Se un particolare enzima P450 presenta un potenziamento dell’attività (solitamente perché il gene che lo codifica è stato duplicato una o più volte), si dovrebbero somministrare dosi superiori al normale di un farmaco che l’enzima metabolizza per conseguire l’effetto terapeutico desiderato. Tuttavia, se il farmaco viene metabolizzato in un prodotto tossico, ciò può portare a una condizione pericolosa. Numerose varianti note di P450 hanno specificità di substrato alterate e quindi producono metaboliti insoliti, i quali possono determinare effetti collaterali nocivi. L’esperienza ha ampiamente dimostrato che non esiste alcun farmaco che sia del tutto privo di pericolositˆ. Tuttavia, man mano che vengono caratterizzati gli enzimi e le varianti che partecipano al metabolismo dei farmaci e che vengono sviluppati metodi rapidi e poco costosi di genotipizzazione, sta divenendo possibile adattare il trattamento farmacologico alla costituzione genetica di un dato individuo piuttosto che alla popolazione nel suo complesso. Tale settore di studio in rapido sviluppo è definito farmacogenomica.

423

PUNTO DI VERIFICA

• Confrontate la progettazione basata sulla struttura e quella fondata sulla chimica combinatoria come strumenti per sviluppare molecole candidate a diventare farmaci.

• Elencate i fattori che influenzano la biodisponibilità di un farmaco.

• Riassumete gli obiettivi delle sperimentazioni cliniche dalla fase I alla fase III.

• In che modo il citocromo P450 partecipa al metabolismo dei farmaci?

• Indicate in che modo i farmaci ben tollerati dalla maggioranza della popolazione causano reazioni avverse in alcuni individui.

RIASSUNTO 1 La cinetica delle reazioni • Le reazioni chimiche elementari possono essere di primo, secondo e, in casi rari, di terzo ordine. In ciascuna circostanza l’andamento della reazione in funzione del tempo è descritto dall’equazione della velocità. • L’equazione di Michaelis-Menten descrive la relazione tra velocità iniziale della reazione e concentrazione di substrato in condizioni di stato stazionario. • La KM è la concentrazione di substrato nella quale la velocità di reazione è pari a metà di quella massima. Il valore di kcat/KM è una misura dell’efficienza di catalisi di un enzima. • È possibile determinare KM e Vmax con il grafico dei doppi reciproci. • Le reazioni a due substrati (bisubstrato) sono classificate come sequenziali (a singolo spostamento) oppure a ping-pong (a doppio spostamento). Una reazione sequenziale può procedere grazie a un meccanismo ordinato o casuale.

2 L’inibizione enzimatica • Gli inibitori reversibili riducono l’attività di un enzima legandosi al sito di legame per il substrato (inibizione competitiva), al complesso enzima-substrato (inibizione incompetitiva) oppure

all’enzima e al complesso formato da enzima e substrato (inibizione mista).

3 Il controllo dell’attività enzimatica • L’attività enzimatica può essere regolata per mezzo di effettori allosterici. • L’attività della ATCasi è aumentata dall’ATP e diminuita dal CTP, che alterano la conformazione dei siti catalitici stabilizzando rispettivamente gli stati R e T dell’enzima. • L’attività di un enzima può essere controllata per modificazione covalente. • L’attività enzimatica della glicogeno fosforilasi è controllata per fosforilazione/defosforilazione e per azione dei suoi effettori allosterici.

4 La progettazione di farmaci • È possibile sviluppare un inibitore enzimatico da usare come farmaco attraverso metodi combinatori o basati sulla struttura. In seguito esso deve essere valutato nel corso di sperimentazioni cliniche per quanto riguarda la sicurezza e l’efficacia. • Le reazioni dannose ai farmaci e le interazioni farmaco-farmaco sono spesso mediate da un citocromo P450.

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Cinetica enzimatica, inibizione e regolazione

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PROBLEMI 1. Si consideri la reazione non enzimatica elementare A n B.

8. Spiegate come mai di solito è più semplice calcolare la velo-

Quando la concentrazione di A è 20 mM, la velocità di reazione misurata è 5 μM di B prodotto al minuto. (a) Calcolate la costante di velocità per questa reazione. (b) Quale molecolarità presenta la reazione? L’ipotetica reazione elementare 2A n B + C presenta una costante di velocità pari a 10−6 M−1 ∙ s−1. Qual è la velocità di reazione quando la concentrazione di A è di 10 mM? Se, a t = 0, vi sono 10 μmol di isotopo radioattivo 32P (emivita 14 giorni), quanto ne rimarrà dopo (a) 7 giorni, (b) 14 giorni, (c) 21 giorni e (d) 70 giorni? Calcolate la vita media, in anni, della reazione 2X n Y se la concentrazione di partenza di X è pari a 6 µM e la costante di velocità è 3,6 × 10−3 M−1 ∙ s−1. Per i dati di una reazione mostrati sotto, determinate se si tratta di una reazione di primo o di secondo ordine e calcolate la costante di velocità.

cità di reazione di un enzima partendo dalla velocità di comparsa di un prodotto piuttosto che da quella di scomparsa di un substrato. 9. A quale concentrazione di S (espressa come multiplo di KM) v0 = 0,95 Vmax? 10. Identificate gli enzimi, riportati nella Tabella 12.1, la cui efficienza di catalisi è prossima al limite controllato dalla diffusione. 11. Calcolate KM e Vmax dai seguenti dati:

2.

3.

4.

5.

[S] (μM)

v0 (mM−1 ∙ s)

0,1

0,34

0,2

0,53

0,4

0,74

0,8

0,91

1,6

1,04

Tempo (s)

Reagente (mM)

0

6,2

1

3,1

2

2,1

3

1,6

4

1,3

1/[S] (mM−1)

1/v0 (mM−1 ∙ s)

5

1,1

0,5

2,4

6. Per i dati della reazione mostrati sotto, determinate se si trat-

1,0

2,6

ta di una reazione di primo o di secondo ordine e calcolate la costante di velocità.

1,5

2,9

2,0

3,1

1/[S] (mM−1)

1/v0 (mM ∙ s−1)

12. Spiegate per quale motivo nessuna delle due seguenti serie di

dati ottenuti da un grafico di Lineweaver-Burk è ideale per determinare la KM di una reazione catalizzata da un enzima che segue la cinetica di Michaelis-Menten.

Serie A

Tempo (s)

Reagente (mM)

0

5,4

1

4,6

8

5,9

2

3,9

10

6,8

3

3,2

12

7,8

4

2,7

14

8,7

5

2,3

13. La KM della reazione della chimotripsina con N-acetilvalina eti-

7. Per una data reazione enzimatica, disegnate le curve che mo-

strano le opportune relazioni tra le variabili in ciascun grafico qui sotto.

[P]

[ES]

Tempo

Tempo

vo

[E] T

Serie B

lestere è 8,8 × 10−2 M, mentre quella relativa alla reazione della chimotripsina con N-acetiltirosina etilestere è 6,6 × 10−4 M. (a) Quale substrato mostra la più alta affinità apparente per l’enzima? (b) Quale substrato presenta verosimilmente un valore più elevato di Vmax? 14. L’enzima A catalizza la reazione S n P e presenta una KM di 50 μM e una Vmax pari a 100 nM ∙ s−1. L’enzima B catalizza la reazione S n Q e mostra una KM di 5 mM e una Vmax pari a 120 nM ∙ s−1. Quando si aggiungono 100 μM di S a una miscela contenente quantità equivalenti degli enzimi A e B, dopo un minuto quale prodotto di reazione sarà più abbondante: P o Q? 15. In una reazione a due substrati una piccola quantità del primo prodotto P è marcata con un isotopo (P*) e viene aggiunta all’enzima e al primo substrato A; non è presente alcuna quantità di B o Q. Se la reazione segue un meccanismo a ping-pong, A (= POX) conterrà il tracciante isotopico (A*)? 16. In una reazione a due substrati una piccola quantità del primo prodotto P è marcata con un isotopo (P*) e viene aggiunta all’enzima e al primo substrato A; non è presente alcuna quan-

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Cinetica enzimatica, inibizione e regolazione

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tità di B o Q. Se la reazione segue un meccanismo sequenziale, A (= POX) conterrà il tracciante isotopico (A*)? 17. In che modo il diisopropilfosfofluoridato (DIPF; Paragrafo 11.5A) incide sulla KM e sulla Vmax apparenti di un campione di chimotripsina? 18. La molecola A è substrato dell’enzima X. Quale sarà più probabilmente un inibitore competitivo dell’enzima X: la molecola B o la molecola C? Spiegatene i motivi. O H3C

425

cosa c’è di sbagliato in questa situazione sperimentale e come sarebbe possibile correggerla? 26. L’enzima X e l’enzima Y catalizzano la stessa reazione e le loro curve di v0 in funzione di [S] sono mostrate in basso. Quale dei due è più efficiente a bassa [S]? Quale invece lo è ad alta [S]?

O COO–

C

H3C

A

C

CH3

Enzima X

B O

H3C

C

NO2

O

vo

Enzima Y

C 19. Determinate il tipo di inibizione di una reazione enzimati-

ca partendo dai seguenti dati ottenuti in presenza e in assenza dell’inibitore. [S] (mM)

v0 (mM ∙ min−1)

v0 con I presente (mM ∙ min−1)

1

1,3

0,8

2

2,0

1,2

4

2,8

1,7

8

3,6

2,2

12

4,0

2,4

20. Stimate KI per un inibitore competitivo quando [I] = 5 mM

dà un valore apparente di KM che è tre volte quello della KM della reazione non inibita. DOMANDE DIFFICILI 21. Per poter calcolare la KM di un enzima, è necessario che le mi-

surazioni della velocità di reazione siano espresse in unità di concentrazione nel tempo (per esempio, M ∙ s−1)? 22. È obbligatorio conoscere [E]T per poter determinare (a) KM, (b) Vmax, (c) kcat? 23. Si sta tentando di stabilire la KM di un certo enzima. A causa di un contrattempo in laboratorio, si dispone di dati per soli due punti:

Concentrazione di substrato (mM)

Velocità della reazione (μM ∙ s−1)

1

5

100

50

Utilizzate tali informazioni per calcolare un valore approssimativo di KM; è probabile che esso rappresenti una sovrastima oppure una sottostima di quello reale? Fornite una spiegazione. 24. State tentando di determinare la KM misurando la velocità di reazione a differenti concentrazioni di substrato, ma senza rendersi conto che quest’ultimo tende a precipitare nelle condizioni sperimentali scelte. In che modo ciò influisce sulla misurazione della KM? 25. State costruendo una curva di velocità rispetto alla [substrato] nel caso di un enzima la cui KM si presume sia 2 μM. La concentrazione della molecola enzimatica è pari a 200 nM, mentre quelle relative ai substrati variano da 0,1 μM a 10 μM. Che

[S] 27. Sulla base di alcune misurazioni preliminari si sospetta che

un campione di enzima contenga un inibitore enzimatico irreversibile. Si decide di diluire il campione di 100 volte e misurare nuovamente l’attività enzimatica. Cosa evidenzierebbero i risultati se l’inibitore contenuto nel campione fosse irreversibile? 28. Per lo stesso enzima riportato come esempio nel Problema 27, cosa otterreste dai vostri risultati se fosse presente un inibitore reversibile? 29. Per una reazione catalizzata da enzima, la presenza di un inibitore reversibile alla concentrazione di 5 nM porta a un valore di Vmax pari all’80% di quello osservato in assenza dell’inibitore, mentre il valore della KM rimane inalterato. (a) Quale tipo di inibizione è probabile si manifesti? (b) Quale quota delle molecole di enzima si è legata all’inibitore? (c) Calcolate la costante di inibizione. 30. La sfingosina-1-fosfato (SPP) è importante per la sopravvivenza della cellula. La sintesi di SPP a partire da sfingosina e ATP è catalizzata dall’enzima sfingosina chinasi. La comprensione della cinetica della reazione della sfingosina chinasi può rivelarsi importante ai fini dello sviluppo di farmaci per il trattamento del cancro. La velocità della reazione che coinvolge la sfingosina chinasi è stata misurata in presenza e in assenza di treo-sfingosina, uno stereoisomero della sfingosina che inibisce l’enzima; i risultati sono mostrati qui sotto.

[Sfingosina] (μM)

v0 (mg ∙ min−1) (assenza di inibitore)

v0 (mg ∙ min−1) (con treo-sfingosina)

2,5

32,3

8,5

3,5

40

11,5

5

50,8

14,6

10

72

25,4

20

87,7

43,9

50

115,4

70,8

426

CAPITOLO 12

Cinetica enzimatica, inibizione e regolazione

Costruite un grafico di Lineweaver-Burk per rispondere alle seguenti domande. (a) Quali sono i valori di KM e Vmax in assenza e in presenza dell’inibitore? (b) Che tipo di inibitore è la treo-sfingosina? Motivate la vostra risposta. 31. L’etanolo nel corpo viene ossidato ad acetaldeide (CH3CHO) dall’alcol deidrogenasi epatica (LADH). Anche altri alcol sono ossidati dalla LADH. Per esempio, il metanolo (CH3OH) che è lievemente intossicante, viene ossidato dalla LADH e forma un prodotto abbastanza tossico, la formaldeide (CH2O). Gli effetti tossici dell’ingestione di metanolo (un componente di molti solventi presenti in commercio) possono essere ridotti somministrando etanolo. L’etanolo agisce come un inibitore competitivo del metanolo, rimuovendolo dalla LADH. Ciò fornisce il tempo sufficiente al metanolo per essere escreto dai reni in maniera innocua. Se un individuo ha ingerito 100 ml di metanolo (una dose letale), quanto whisky (con il 50% in volume di etanolo) deve bere per ridurre l’attività della sua LADH verso il metanolo fino al 5% del suo valore originale? Il corpo umano adulto contiene circa 40 litri di fluidi acquosi nei quali gli alcol ingeriti sono mescolati rapidamente e uniformemente. Le densità di etanolo e metanolo sono entrambe di 0,79 g ∙ cm–3. Assumete che i valori di KM della LADH per l’etanolo e il metanolo siano rispettivamente di 1,0 × 10–3 M e 1,0 × 10–2 M e che per l’etanolo KI = KM. 32. Perché si pensa che gli inibitori incompetitivi e misti siano più efficaci in vivo rispetto agli inibitori competitivi?

BIOINFORMATICA Progetto 6 Inibitori enzimatici e progettazione razionale dei farmaci 1. Diidrofolato riduttasi. Esaminate la struttura di un enzima con un inibitore legato a esso. 2. Proteasi dell’HIV. Confrontate le strutture dei complessi contenenti la proteasi dell’HIV e un inibitore. 3. Farmacogenomica e polimorfismo a singolo nucleotide. Utilizzate le banche dati online per trovare informazioni sul polimorfismo del citocromo P450. Progetto 7 Classificazioni EC e allineamenti dei siti catalitici con PyMOL. 1. La classificazione Enzyme Commission e IUPAC degli enzimi. Scoprite le basi sistematiche della classificazione degli enzimi fornita dalla stessa organizzazione (IUPAC) che definisce la nomenclatura sistematica delle molecole organiche. 2. Esplorazione dell’atlante dei siti catalitici (Catalytic Site Atlas). L’atlante dei siti catalitici è una banca dati dei siti attivi degli enzmi. Imparerete a trovare i siti attivi degli enzimi che avete studiato. 3. Allineamento del sito attivo in PyMOL usando il plug-in ProMOL. La combinazione dell’interfaccia di grafica molecolare di PyMOL con il plug-in ProMOL di PyMOL vi permetterà di studiare l’allineamento dei siti catalitici di molti enzimi differenti.

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CASI DI STUDIO Caso 7 Una proteina di immagazzinamento contenuta nei semi della Brassica nigra (senape nera) è un inibitore delle serina proteasi. Concetto chiave: la purificazione di una nuova proteina di immagazzinamento permette l’analisi e la determinazione della struttura secondaria e terziaria della proteina. Prerequisiti: Capitoli 5, 11 e 12 • Tecniche di purificazione delle proteine, in particolare filtrazione su gel e dialisi. • Sequenziamento delle proteine tramite la degradazione di Edman e la sovrapposizione dei peptidi. • Struttura e meccanismo catalitico delle serina proteasi. • Inibizione reversibile degli enzimi. Caso 12 Produzione di metanolo nella maturazione dei frutti. Concetto chiave: il collegamento tra la produzione del metanolo durante la maturazione dei frutti e l’attività della pectina metilesterasi, l’enzima responsabile della produzione del metanolo, viene studiato nei pomodori wild-type e transgenici. Prerequisiti: Capitolo 12 • Cinetica e inibizione enzimatica. Caso 13 Inibizione dell’alcool deidrogenasi. Concetto chiave: si prende in esame l’inibizione dell’alcool deidrogenasi ad opera della formammide. Prerequisiti: Capitolo 12 • Principi di cinetica enzimatica. • Identificazione dell’inibizione utilizzando il grafico di Lineweaver-Burk. Caso 15 Mutagenesi sito-diretta della creatina chinasi. Concetto chiave: la mutagenesi sito-diretta viene utilizzata per creare enzimi mutanti di creatina chinasi in modo tale da poter comprendere il ruolo di un singolo residuo reattivo di cisteina nel legame e nella catalisi. Prerequisiti: Capitoli 4, 6, 11 e 12 • Struttura degli amminoacidi. • Architettura delle proteine. • Cinetica e inibizione enzimatica. • Meccanismi enzimatici di base. Caso 19 Purificazione della sfingosina chinasi da rene di ratto. Concetto chiave: l’obiettivo di questo studio è l’analisi della purificazione e della cinetica di un enzima che produce un prodotto importante per la sopravvivenza della cellula. Prerequisiti: Capitoli 5 e 12 • Tecniche di purificazione delle proteine e metodi analitici delle proteine. • Cinetica enzimatica di base.

APPROFONDIMENTO Che tipo di inibitore è il warfarin (mostrato nella Figura 12.20) e quale enzima inibisce? Qual è l’obiettivo fisiologico della terapia che utilizza il warfarin? Perché i diversi individui hanno differenti risposte alla dose standard di warfarin? Perché le informazioni sul genotipo di un paziente possono essere di aiuto al medico nella scelta della dose efficace?

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Cinetica enzimatica, inibizione e regolazione

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BIBLIOGRAFIA La cinetica

La progettazione di farmaci

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C A P I T O L O

1 3

La segnalazione biochimica

La vanillina, un aroma estratto dai baccelli della vaniglia e da altre piante, si lega ai recettori presenti sui neuroni olfattivi e innesca una serie di eventi intracellulari, compresa l’attivazione della proteina G eterotrimerica e la produzione di un secondo messaggero, che generano infine un segnale elettrico diretto al cervello. [Martin Harvey/Getty Images.]

Gli organismi viventi coordinano le loro attività a ogni livello della loro organizzazione strutturale mediante complessi sistemi di segnalazione. I segnali intracellulari sono mediati da messaggeri chimici chiamati ormoni e negli animali superiori da impulsi elettrochimici trasmessi per via neuronale. Le comunicazioni intracellulari sono mantenute dalla sintesi o dall’alterazione di una grande varietà di sostanze che sono spesso componenti integrali del processo che controllano. Per esempio, le vie metaboliche, come abbiamo visto nel Paragrafo 12.3, sono regolate dal controllo retroattivo (feedback) degli enzimi allosterici esercitato dai metaboliti di quelle stesse vie o dalla modificazione covalente degli enzimi. In questo capitolo prenderemo in considerazione la natura dei segnali chimici e il modo in cui questi segnali vengono trasmessi. In genere, ogni via di segnalazione consiste di una proteina recettore che lega in modo specifico un ormone o un altro tipo di ligando, di un meccanismo per la trasmissione all’interno della cellula del messaggio dell’avvenuto legame del ligando e di una serie di risposte intracellulari che possono coinvolgere la sintesi di un secondo messaggero e/o cambiamenti chimici catalizzati da chinasi e fosfatasi. Queste vie coinvolgono spesso cascate enzimatiche, che amplificano notevolmente il segnale originario. Cominciamo discutendo le funzioni di alcuni sistemi ormonali umani più rappresentativi. Tratteremo quindi le tre vie principali attraverso le quali vengono convertiti (trasdotti) i segnali extracellulari in segnali intracellulari. Queste vie possono coinvolgere recettori tirosina chinasici (1), utilizzare proteine G eterotrimeriche (2) e innescare cascate di fosfoinositidi (3). La trasmissione neuronale è discussa nel Paragrafo 10.2C.

1 Gli ormoni CONCETTI CHIAVE

• Gli ormoni endocrini regolano una grande varietà di processi fisiologici. • Gli ormoni pancreatici insulina e glucagone controllano il metabolismo energetico. • Le catecolammine prodotte dalla midollare del surrene si legano ai recettori α- e β-adrenergici presenti nelle cellule bersaglio.

• Gli ormoni steroidei regolano il metabolismo dei combustibili, il bilanciamento idrosalino, nonché la differenziazione e la funzione sessuale.

• L’ormone della crescita esercita i suoi effetti inducendo la dimerizzazione del suo recettore.

Negli animali superiori, le ghiandole endocrine (Figura 13.1) sintetizzano ormoni endocrini che sono rilasciati nel circolo sanguigno in seguito a stimoli ester-

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Figura 13.1 Le ghiandole principali del sistema endocrino umano. Anche altri tessuti, come l’intestino, secernono ormoni endocrini.

ni. Questi ormoni vengono quindi trasportati alle loro cellule bersaglio (Figura 13.2) in cui provocano una risposta. Nell’essere umano il sistema endocrino secerne una grande varietà di ormoni che consentono all’organismo di:

1. mantenere l’omeostasi (cioè uno stato stazionario; per esempio, l’insulina e il glucagone mantengono i livelli di glucosio nel sangue entro limiti molto rigidi, sia dopo un pasto sia durante il digiuno); 2. rispondere a una grande varietà di stimoli esterni (come la preparazione alla condizione “combatti o fuggi” indotta dall’adrenalina e dalla noradrenalina); 3. seguire vari programmi ciclici e di sviluppo (per esempio, gli ormoni sessuali regolano il differenziamento sessuale e la maturazione delle gonadi, il ciclo mestruale e la gravidanza).

Ipotalamo Ghiandola pituitaria (ipofisi) Paratiroide Tiroide

Ghiandole surrenali Pancreas Rene Ovaie

Nonostante esistano importanti eccezioni a questa generalizzazione, molti ormoni sono polipeptidi, polimeri di amminoacidi o steroidi. A ogni modo, solo le cellule dotate dello specifico recettore per un dato ormone risponderanno alla sua presenza anche se tutte le cellule del corpo sono esposte all’ormone. I messaggi ormonali sono quindi indirizzati in modo abbastanza specifico. Discuteremo di ormoni specifici e delle loro funzioni in molti altri capitoli; in questo paragrafo ci occuperemo delle attività degli ormoni prodotti da alcune delle più rappresentative ghiandole endocrine. Queste ghiandole non sono solo una serie di organi secretori indipendenti, ma formano una rete di controllo molto complessa e altamente interdipendente. Infatti, la secrezione di molti ormoni è sotto il controllo retroattivo esercitato dalla secrezione di altri ormoni a cui risponde la ghiandola originaria che secerne l’ormone. Le concentrazioni degli ormoni circolanti sono solitamente misurate utilizzando il dosaggio radioimmunologico sviluppato e messo a punto da Rosalyn Yalow (Scheda 13.1).

Cellule endocrine

Molecole ormonali

Torrente circolatorio

Recettore

Cellule bersaglio

Figura 13.2 Segnalazione endocrina. Gli ormoni prodotti dalle cellule endocrine

raggiungono le cellule bersaglio attraverso il sistema circolatorio. Solo le cellule che espongono i recettori appropriati possono rispondere agli ormoni.

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Testicoli

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SCHEDA 13.1

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LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA

Rosalyn Yalow e il dosaggio radioimmunologico (radioimmunoassay o RIA) Rosalyn Yalow (1921-2011)

Rosalyn Sussman Yalow nacque il 19 luglio 1921 a New York. I suoi genitori non avevano avuto un’educazione di livello superiore, ma i loro due figli riuscirono a studiare all’università. Mentre Rosalyn frequentava l’Hunter College, l’università femminile del sistema universitario della città di New York (ora City University di New York), Eve Curie aveva appena pubblicato la biografia di sua madre, Madame Marie Curie, un libro che ogni aspirante scienziato donna doveva assolutamente leggere. All’epoca l’obiettivo di Rosalyn era quello di intraprendere la carriera di fisico. Nonostante i consigli dei suoi familiari, che la incoraggiavano a diventare un’insegnante di scuola elementare, lei non si arrese. Nel 1941, dopo essersi laureata, la Yalow ricevette un’offerta di lavoro come assistente di un insegnante di fisica alla University of Illinois a Champaign-Urbana (Illinois). Al primo consiglio di facoltà del College of Engineering scoprì che era l’unica donna tra i 400 membri che componevano la facoltà. Il decano della facoltà si complimentò con lei e le disse che dal 1917 era la prima volta che una donna raggiungeva questo traguardo. L’arruolamento di giovani uomini nelle forze armate, ancor prima che gli Stati Uniti entrassero ufficialmente nella seconda guerra mondiale, aveva reso possibile il suo ingresso all’università. Il primo giorno incontrò Aaron Yalow, che stava anche lui cominciando gli studi all’Università dell’Illinois e che, nel 1943, divenne suo marito. Nel gennaio 1945 la Yalow ricevette il Ph. D. (dottorato di ricerca) in fisica nucleare e ritornò a New York come assistente ingegnere presso il Federal Telecommunications Laboratory, in cui era l’unica donna ingegnere. Nel 1946 ritornò all’Hunter College per insegnare fisica in un programma preingegneristico, rivolto non alle donne ma ai veterani che facevano ritorno a casa. In quel periodo sviluppò un interesse verso le applicazioni mediche dei radioisotopi. Nel dicembre 1947 aderì alla Bronx Veterans Administration (VA) come consulente part-time. Anche se era insegnante a tempo pieno all’Hunter, la Yalow fornì e sviluppò il Servizio Radioisotopi dell’ospedale della VA e, insieme ad altri fisici, iniziò diversi progetti di ricerca. Nel gennaio 1950, la Yalow scelse di lasciare l’insegnamento e di dedicarsi alla VA a tempo pieno. Nella primavera dello

stesso anno il dottor Solomon A. Berson entrò a far parte del Servizio Radioisotopi e iniziò una collaborazione che durò 22 anni e che terminò solo quando lui morì nel 1972. Nei loro studi, la Yalow e Berson si concentrarono sulle applicazioni degli isotopi ai problemi clinici quali i dosaggi ormonali. All’epoca l’insulina era l’ormone in forma altamente purificata più facilmente disponibile. Nello studio della reazione dell’insulina con gli anticorpi, la Yalow e Berson si resero conto che avevano uno strumento potenzialmente in grado di misurare la concentrazione dell’insulina presente in una miscela complessa come il sangue. A partire dal 1959 svilupparono un metodo pratico per quantificare l’insulina presente nel plasma umano, il dosaggio radioimmunologico (radioimmunoassay, RIA). Il RIA è attualmente utilizzato per misurare centinaia di sostanze di interesse biologico. Le concentrazioni seriche dell’insulina e di altri ormoni sono estremamente basse – generalmente rientrano in un intervallo compreso tra 10−12 e 10−7 M – e dovevano quindi essere misurate utilizzando metodi indiretti. Nei RIA, la concentrazione sconosciuta di un ormone H viene determinata misurando la frazione di una quantità nota di ormone H marcato con un radioisotopo (H*) che si lega a una quantità fissa di anticorpo anti-H in presenza di H. Questa reazione di competizione viene facilmente calibrata costruendo una curva standard che indica quanto H* si lega all’anticorpo in funzione di [H]. L’elevata affinità di legame e la specificità degli anticorpi per i loro ligandi conferiscono ai RIA il vantaggio di avere alta specificità e sensibilità. Nel 1977 l’ospedale della Yalow fu affiliato alla Mount Sinai School of Medicine, e la Yalow ricevette il titolo di Distinguished Service Professor. È stata membro della National Academy of Science e ha ricevuto numerosi premi e onoreficenze, compreso il premio Nobel in Fisiologia o Medicina nel 1977 (Berson è morto prima della consegna del premio Nobel e non ha potuto quindi condividerlo). Nel 1988 ha ricevuto anche la National Medal of Science. “L’eccitazione dell’apprendimento è ciò che separa la gioventù dalla vecchiaia”, ha detto Rosalyn Yalow. “Fino a che stai imparando non sei vecchio”.* Per la maggior parte tratto dall’autobiografia di Rosalyn Yalow, Les Prix Nobel. The Nobel Prizes 1977, Wilhelm Odelberg (a cura di), Nobel Foundation, 1978. *Tratto da O, The Oprah Magazine, gennaio 1, 2005.

A Gli ormoni delle isole pancreatiche controllano il metabolismo dei combustibili Il pancreas è una grande ghiandola esocrina preposta alla produzione di enzimi digestivi come la tripsina, l’RNasi A, l’α-amilasi e la fosfolipasi A2. Queste proteine sono secrete nel duodeno tramite il dotto pancreatico. Circa l’1-2% del tessuto pancreatico è tuttavia costituito da gruppi sparsi di cellule, le cosiddette isole (o isolotti) di Langerhans, che comprendono una ghiandola endocrina che funziona nel mantenimento dell’omeostasi energetica. Le isole pancreatiche contengono tre tipi di cellule, ciascuno dei quali secerne un ormone polipeptidico caratteristico.

1. Le cellule α secernono glucagone (29 residui). 2. Le cellule β secernono insulina (51 residui; Figura 5.1). 3. Le cellule δ secernono somatostatina (14 residui).

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L’insulina, che viene secreta in risposta a un elevato contenuto di glucosio nel sangue, agisce principalmente stimolando i muscoli, il fegato e le cellule del tessuto adiposo a immagazzinare glucosio perché possa essere utilizzato successivamente per la sintesi di glicogeno, proteine e grassi (Paragrafo 22.2). Il glucagone, che viene secreto in risposta a bassi livelli di glucosio ematico, ha essenzialmente l’effetto opposto: stimola il fegato a rilasciare glucosio tramite la demolizione del glicogeno (glicogenolisi; Paragrafo 16.1) e la sintesi di glucosio a partire da precursori non saccaridici (gluconeogenesi; Paragrafo 16.4). Il glucagone stimola anche il tessuto adiposo a rilasciare gli acidi grassi tramite la lipolisi. La somatostatina, che viene secreta anche dall’ipotalamo, inibisce il rilascio di insulina e glucagone dalle loro cellule insulari. Gli ormoni polipeptidici, come altre proteine destinate alla secrezione, sono sintetizzati dai ribosomi sotto forma di pro-ormoni, precursori inattivi che vengono poi rielaborati nel reticolo endoplasmatico rugoso e nell’apparato di Golgi per produrre gli ormoni maturi, e in seguito accumulati nei granuli secretori in attesa del segnale che ne stimoli il rilascio per esocitosi (Paragrafi 9.4D-F). Gli stimoli fisiologici più potenti che portano al rilascio di insulina o di glucagone sono rispettivamente un elevato e un basso livello di glucosio ematico. In tal modo le cellule insulari agiscono da sensori primari di glucosio dell’organismo. Il rilascio degli ormoni è però influenzato anche dal sistema nervoso autonomo (involontario) e da ormoni secreti dal tratto gastrointestinale.

B L’adrenalina e la noradrenalina preparano l’organismo all’azione Le ghiandole surrenali sono costituite da due diversi tipi di tessuto: la midollare (la parte centrale), che in effetti è un prolungamento del sistema nervoso, e la corticale (lo strato più esterno), la parte più tipicamente ghiandolare. In questo paragrafo prenderemo in considerazione solamente gli ormoni secreti dalla parte midollare delle ghiandole surrenali, mentre gli ormoni secreti dalla parte corticale, quelli di tipo steroideo, verranno esaminati nel paragrafo seguente. La midollare del surrene sintetizza due catecolammine (ammine contenenti derivati del catecolo, il 1,2-diidrossibenzene) attive come ormoni: la noradrenalina e il suo derivato metilico adrenalina (a destra). Questi ormoni vengono sintetizzati partendo dalla tirosina, come descritto nel Paragrafo 21.6B, e raccolti in granuli, in attesa di essere rilasciati per esocitosi sotto il controllo del sistema nervoso simpatico. Gli effetti biologici delle catecolammine sono mediati da due classi di recettori presenti sulla membrana plasmatica delle cellule bersaglio, i recettori 𝛂- e 𝛃-adrenergici (noti anche come adrenorecettori). Queste glicoproteine transmembrana sono state originariamente identificate sulla base di cambiamenti nelle loro risposte a certi agonisti (sostanze che si legano a un recettore in modo da provocarne una risposta) e a certi antagonisti (sostanze che si legano a un recettore ma che non ne inducono una risposta, bloccando quindi l’azione dell’agonista). I recettori β- ma non gli α-adrenergici, per esempio, vengono stimolati dall’isoproterenolo ma vengono bloccati dal propanololo, mentre i recettori αma non i β-adrenergici vengono bloccati dalla fentolammina.

HO CH

HO

CH2

+ NH2

OH R5H R 5 CH3

Noradrenalina (norepinefrina) Adrenalina (epinefrina)

H3C

OH

HO HO

CH

CH2

+ NH2

OH Isoproterenolo

CH3

O

CH2

CH

CH2

CH

+ NH2

+ NH

CH3

N CH2 N H

CH CH3

CH3

OH Propanololo

Fentolammina

R

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Nei mammiferi i recettori α- e β-adrenergici sono espressi in tessuti diversi e generalmente rispondono alle catecolammine in modo differente e spesso in senso contrario. Per esempio, i recettori β-adrenergici nel fegato stimolano la glicogenolisi e la gluconeogenesi (Paragrafi 16.1 e 16.4), nel muscolo scheletrico la glicogenolisi, nel tessuto adiposo la lipolisi. La stimolazione di questo tipo di recettore porta anche al rilassamento della muscolatura liscia (involontaria) dei bronchi e dei vasi sanguigni che riforniscono il muscolo scheletrico (volontario) e aumenta l’attività contrattile del cuore. Al contrario, i recettori α-adrenergici stimolano la contrazione della muscolatura liscia dei vasi sanguigni che riforniscono gli organi e i distretti periferici quali la pelle e i reni, mentre inducono rilassamento della muscolatura liscia del tratto gastrointestinale e favoriscono l’aggregazione piastrinica. La maggior parte di questi effetti diversi tende a un unico scopo: la mobilizzazione delle riserve energetiche e il loro rapido trasporto nelle sedi in cui sono necessarie per preparare il corpo a entrare velocemente in azione. La distribuzione tissutale dei recettori α- e β-adrenergici e la variabilità delle loro risposte ai differenti agonisti e antagonisti hanno conseguenze terapeutiche molto importanti. Per esempio, il propanololo viene utilizzato per trattare la pressione sanguigna elevata e per prevenire gli attacchi cardiaci, mentre gli effetti broncodilatatori dell’adrenalina la rendono clinicamente utile nel trattamento dell’asma, una patologia respiratoria causata dalla contrazione inappropriata della muscolatura liscia dei bronchi.

C Gli ormoni steroidei regolano una grande varietà di processi metabolici e sessuali La corticale surrenale produce almeno 50 diversi steroidi adrenocorticali, che sono stati classificati a seconda delle risposte fisiologiche che possono indurre (Paragrafo 9.1E). 1. I glucocorticoidi influenzano il metabolismo dei carboidrati, delle proteine e dei lipidi secondo modalità quasi opposte a quelle dell’insulina e influenzano una grande varietà di altre funzioni vitali, comprese le reazioni infiammatorie e la capacità di far fronte allo stress. 2. I mineralcorticoidi servono soprattutto a regolare l’escrezione di sali e di acqua da parte dei reni. 3. Gli androgeni e gli estrogeni influenzano lo sviluppo e la funzionalità sessuale. Sono prodotti in quantità elevate dalle gonadi.

I glucocorticoidi, il più comune dei quali è il cortisolo (conosciuto anche come idrocortisone), e i mineralcorticoidi, il più noto dei quali è l’aldosterone, sono tutti composti C21 (Figura 9.11). Gli steroidi, essendo insolubili in acqua, vengono trasportati nel sangue uniti alla glicoproteina transcortina e, in misura minore, all’albumina. Gli steroidi passano spontaneamente attraverso le membrane delle loro cellule bersaglio e raggiungono il citosol, dove si legano a specifici recettori steroidei. I complessi steroide-recettore migrano poi nel nucleo della cellula, dove agiscono come fattori di trascrizione per indurre, o in taluni casi reprimere, la trascrizione di geni specifici (Paragrafo 28.3B). In questo modo i glucocorticoidi e i mineralcorticoidi influenzano l’espressione di molti enzimi metabolici nei rispettivi tessuti bersaglio. Gli ormoni tiroidei, anch’essi non polari, hanno un meccanismo simile. Tuttavia, come vedremo nei paragrafi seguenti, altri ormoni che non sono liposolubili si devono legare a recettori presenti sulla superficie esterna della membrana plasmatica per poter innescare all’interno delle cellule complesse cascate di eventi che andranno a influenzare la trascrizione e altri processi cellulari.

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Gli steroidi prodotti dalle gonadi mediano lo sviluppo e la funzionalità sessuale.

Le gonadi (rappresentate dai testicoli nei maschi e dalle ovaie nelle femmine), oltre a produrre sperma e uova, secernono ormoni steroidei (androgeni ed estrogeni) che regolano il differenziamento sessuale, l’espressione delle caratteristiche sessuali secondarie e le tipologie di comportamento sessuale. Sebbene testicoli e ovaie possano sintetizzare sia ormoni androgeni sia estrogeni, i testicoli secernono principalmente androgeni, che sono pertanto conosciuti come ormoni sessuali maschili, mentre le ovaie producono per lo più estrogeni, che sono conseguentemente conosciuti come ormoni sessuali femminili. Gli androgeni, il principale dei quali è il testosterone (Figura 9.11), sono privi del sostituente C2 sull’atomo C17, presente invece nei glucocorticoidi, e sono quindi composti a 19 atomi di carbonio (C19). Gli estrogeni, di cui fa parte il 𝛃-estradiolo (Figura 9.11), sono simili agli androgeni ma sono composti C18. È interessante notare che il testosterone è un intermedio della biosintesi degli estrogeni. Un’altra classe di steroidi ovarici, i composti C21 chiamati progestine, aiutano a regolare il ciclo mestruale e la gravidanza. Gli androgeni hanno un ruolo chiave nel differenziamento sessuale. Se le gonadi di un embrione maschile di mammifero vengono rimosse chirurgicamente, quell’individuo si svilupperà con fenotipo femminile. Evidentemente i mammiferi sono programmati per svilupparsi come femmine a meno che non vengano sottoposti durante il loro stadio embrionale all’influenza degli ormoni testicolari. Infatti, gli individui geneticamente maschi con recettori citosolici per gli androgeni non funzionanti o addirittura assenti sono fenotipicamente femminili, sviluppano cioè una condizione nota come femminilizzazione testicolare. Curiosamente, nonostante siano fondamentali per la maturazione e la funzionalità sessuale femminile, gli estrogeni sembrano non avere alcun ruolo, a livello embrionale, nello sviluppo sessuale femminile. Gli androgeni che favoriscono la crescita muscolare sono noti come steroidi anabolizzanti. Molte persone, nel tentativo di incrementare le loro prestazioni atletiche o semplicemente per ragioni estetiche, hanno assunto steroidi anabolizzanti sia di origine naturale sia di sintesi. Dato che queste sostanze e i loro prodotti metabolici interagiscono con i vari recettori steroidei, il loro utilizzo può causare effetti collaterali negativi, come patologie cardiovascolari, lo sviluppo del tessuto mammario nei maschi, la mascolinizzazione nelle femmine e l’infertilità temporanea in entrambi i sessi; negli adolescenti può provocare un rallentamento della crescita dovuto all’aumentata velocità di maturazione delle ossa e a un precoce e/o esagerato sviluppo sessuale. Di conseguenza, gli steroidi anabolizzanti sono stati classificati tra le sostanze da tenere sotto controllo. Ne è stato vietato l’uso negli sport agonistici, per evitare che chi li assume possa avere un vantaggio non lecito nei confronti degli altri.

D L’ormone della crescita si lega ai recettori presenti nei muscoli, nelle ossa e nelle cartilagini L’ormone della crescita (GH) è un polipeptide di 19 residui prodotto dal lobo anteriore della ghiandola pituitaria (ipofisi). Il suo legame ai recettori stimola direttamente la crescita e il metabolismo delle cellule dei muscoli, delle ossa e delle cartilagini. Il GH agisce anche indirettamente stimolando il fegato a produrre altri fattori di crescita. La produzione eccessiva di ormone della crescita, solitamente dovuta a tumori ipofisari, dà luogo a una crescita eccessiva. Se questa condizione ha inizio mentre lo scheletro è ancora in fase di accrescimento, cioè prima che le sue placche di crescita si siano ossificate, la crescita eccessiva rispetta ugualmente le caratteristiche proporzioni del corpo e si ha il fenomeno del gigantismo. Inoltre, dato che l’eccesso di GH inibisce la produzione di

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testosterone necessaria all’ossificazione delle placche di crescita, questi “giganti” continuano a crescere durante tutto il corso delle loro brevi vite. Se, però, lo scheletro ha già raggiunto il suo stato di maturazione e quindi si è già ossificato, il GH stimola solamente la crescita dei tessuti molli, portando allo sviluppo di mani e piedi molto grandi e di lineamenti facciali molto più pronunciati e ispessiti, condizione nota come acromegalia. Il problema opposto, cioè la carenza di GH, porta a crescita insufficiente (dwarfismo), che può essere trattata farmacologicamente prima che lo scheletro raggiunga la sua maturazione definitiva mediante iniezioni regolari di GH umano (hGH; il GH animale è inefficace sull’uomo). Poiché l’hGH, inizialmente, era reperibile solamente se prelevato dalla ghiandola pituitaria dei cadaveri, le quantità erano molto scarse. Ora, però, l’hGH può essere sintetizzato in quantità praticamente illimitata utilizzando la tecnica del DNA ricombinante (Paragrafo 3.5D). L’hGH viene infatti assunto anche da coloro che vogliono incrementare le loro prestazioni atletiche, nonostante manchino le prove inconfutabili che l’hGH funzioni anche in tal senso. Però, a causa dei suoi effetti collaterali che comprendono pressione sanguigna elevata, dolore ai muscoli e alle giunzioni articolari e acromegalia, ma anche per eliminare ingiusti vantaggi per gli atleti che utilizzano questo trattamento, l’hGH è stato proibito al di fuori della terapia medica. CONCETTI DI BASE Il legame del ligando Un ormone si lega al suo recettore con alta affinità e alta specificità (in modo molto simile a un substrato che si lega al sito attivo di un enzima), ma le interazioni di legame sono non covalenti e quindi reversibili. Di conseguenza, la cellula risponde all’ormone solo per il tempo in cui l’ormone rimane associato al suo recettore.

Figura 13.3 Struttura ai raggi X dell’ormone della crescita umano (hGH) unito a due molecole del dominio extracellulare (hGHbp) del suo recettore. La proteina è mostrata sotto forma di struttura a nastro: l’hGH è color porpora e le due molecole di hGHbp, che legano una molecola di hGH, sono colorate secondo l’ordine dei colori dell’arcobaleno dal suo N-terminale (in blu) al suo C-terminale (in rosso). Le linee rosse punteggiate indicano il modo in cui si ipotizza che le catene di hGHbp penetrino la membrana (in grigio-azzurro). [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Abraham de Vos e Anthony Kossiakoff, Genentech Inc., South San Francisco, California. PDBid 3HHR.].

Il recettore del GH dimerizza in seguito al legame dellÕormone. Il recettore del GH, una proteina di 620 residui, è un membro di una grande famiglia di proteine strutturalmente correlate. Questi recettori sono costituiti da un dominio N-terminale extracellulare a cui si lega il ligando, da un singolo segmento transmembrana che è quasi certamente un’elica e da un dominio citoplasmatico C-terminale che non ha omologie all’interno della superfamiglia ma che in molti casi funziona come una tirosina chinasi (Paragrafo 13.2A). La struttura ai raggi X dell’hGH unito al dominio extracellulare della sua proteina di legame (hGHbp) rivela che il complesso è costituito da due molecole di hGHbp legate a una singola molecola di hGH (Figura 13.3). L’hGH, come molti altri fattori di crescita proteici, è costituito in larga misura da fasci di quattro eliche. Ogni molecola di hGHbp è formata da due domini strutturalmente omologhi, ognuno dei quali forma un sandwich topologicamente identico, con due foglietti β antiparalleli di tre e quattro filamenti che ricordano il ripiegamento delle immunoglobuline (Paragrafo 7.3B).

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Le due molecole di hGHbp si legano all’hGH con simmetria all’incirca doppia nei confronti di un asse che è quasi perpendicolare agli assi delle eliche del fascio a quattro eliche dell’hGH e presumibilmente anche al piano della membrana cellulare a cui è ancorato l’intero recettore dell’hGH (Figura 13.3). I domini C-terminali delle due molecole hGHbp sono praticamente paralleli e in contatto uno con l’altro. È interessante notare che le due molecole hGHbp, per legarsi ai siti localizzati dalla parte opposta del fascio di quattro eliche dell’hGH, utilizzano sostanzialmente gli stessi residui, nonostante questi siti non abbiano similitudini strutturali. L’interazione del ligando col dominio extracellulare del recettore induce cambiamenti conformazionali nelle porzioni intracellulari della proteina, la prima fase della trasduzione del segnale. Sebbene i primi modelli dell’azione dell’ormone della crescita proponessero che l’interazione con il ligando inducesse la dimerizzazione delle catene polipeptidiche del recettore, recentemente è stato dimostrato che in assenza dell’ormone anche i recettori di hGH possono formare dei dimeri tramite interazioni relativamente deboli tra i loro segmenti transmembrana. Il legame dell’hGH ai due domini extracellulari identici del recettore induce dei riarrangiamenti strutturali, inclusa la rotazione e l’allontanamento (a forbice) dei domini intracellulari, che si posizionano in modo da interagire con le proteine effettrici citosoliche. Numerosi altri fattori di crescita proteici esercitano i loro effetti tramite recettori simili.

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PUNTO DI VERIFICA

• Spiegate perché solamente alcune cellule rispondono agli ormoni, anche se tutte le cellule del corpo sono esposte agli ormoni.

• Elencate alcuni ormoni prodotti dal pancreas, dalla midollare del surrene e dalla corticale del surrene. Che tipi di molecole sono questi ormoni?

• Riassumete schematizzandoli gli effetti biologici dell’insulina, del glucagone, dell’adrenalina, degli androgeni, degli estrogeni e dell’ormone della crescita.

• In che modo i recettori rispondono ai loro agonisti e antagonisti?

• Perché alcuni recettori ormonali sono proteine intracellulari?

• Indicate alcuni rischi legati all’utilizzo non medico degli steroidi e dell’ormone della crescita.

• Qual è il significato della dimerizzazione del recettore del GH?

2 I recettori con attività tirosina chinasica CONCETTI CHIAVE

• La dimerizzazione e l’autofosforilazione permettono al recettore tirosina chinasi di acquisire un’attività tirosina chinasica.

• Le proteine adattatore contenenti i domini SH2 e SH3 collegano il recettore tirosina chinasi con le proteine G e con ulteriori chinasi, generando una cascata enzimatica.

• Alcuni recettori agiscono mediante tirosina chinasi non recettoriali associate al recettore stesso.

• Le proteina fosfatasi partecipano alle vie di segnalazione rimuovendo i gruppi fosforici dai recettori e dalle proteine bersaglio.

Nel Paragrafo 12.3B abbiamo visto che le attività di molti enzimi sono controllate dalle modificazioni covalenti, rappresentate principalmente dalla fosforilazione di residui di Ser e di Thr. Un processo simile pone le basi di uno dei principali sistemi di segnalazione intracellulare, la fosforilazione dipendente dall’ATP delle catene laterali della Tyr da parte delle proteine con attività tirosina chinasica (PTK; a destra). I residui fosfo-Tyr mediano interazioni proteina-proteina coinvolte in numerose funzioni cellulari. Di conseguenza, le PTK hanno un ruolo fondamentale nella trasduzione del segnale, nella regolazione delle principali vie metaboliche, nel controllo del ciclo cellulare, nonché nella crescita e nel differenziamento cellulare. In questa sezione prendiamo in esame le proteine che partecipano a questo sistema di segnalazione e le modalità con cui le loro attività trasmettono segnali all’interno della cellula.

A I recettori con attività tirosina chinasica trasmettono segnali attraverso la membrana cellulare

La prima tappa in tutte le vie di segnalazione biochimica è rappresentata dal legame di un agonista con il suo recettore. Nella Scheda 13.2 viene descritto il modo in cui è possibile quantificare le interazioni ligando-recettore. L’insulina e molti altri ormoni proteici noti come fattori di crescita si legano a re-

Proteina

CH2

OH ATP ADP O

Proteina

CH2

O P O2

O2

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SCHEDA 13.2

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LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

Il legame recettore-ligando può essere quantificato I recettori, come le altre proteine, legano i loro ligandi secondo la legge di azione di massa:

F (quindi di [R ∙ L] e di [L]) rispettivamente misurando la radioattività presente sul filtro e quella rimasta in soluzione. Il lavaggio del filtro per rimuovere la parte residua di ligando libero non porta a errori significativi poiché la velocità di dissociazione del ligando è generalmente molto bassa (da minuti a ore). Una volta determinati i parametri di legame del ligando con il recettore, si possono determinare anche le costanti di dissociazione di altri ligandi per lo stesso sito di legame del ligando utilizzando approcci di legame competitivi. Il modello che descrive il legame competitivo è analogo a quello dell’inibizione competitiva di un enzima che segue la cinetica di Michaelis-Menten (Paragrafo 12.2A):

R + L 34 R ∙ L in cui R ed L rappresentano rispettivamente il recettore e il ligando; la costante di dissociazione è espressa da: [R ][L ] ([R ]T [R ? L ])[ L ] [13.1] KL [R ? L ] [R ? L ] dove la concentrazione totale del recettore, [R]T, è uguale a [R] + [R ∙ L]. L’equazione 13.1 può essere rielaborata in modo da ottenere un’equazione simile a quella della cinetica enzimatica di Michaelis-Menten (Paragrafo 12.1B): [R ? L ] [L ] Y [13.2] [R ]T KL [L ] dove Y è uguale alla saturazione frazionale dei siti di legame del ligando. L’equazione 13.2 rappresenta una curva iperbolica (Figura 1a) in cui KL potrebbe essere definito come la concentrazione di ligando a cui il recettore è occupato dal ligando per la metà della sua capacità massima di legame. Sebbene KL e [R]T possano, in linea di principio, essere determinati dal grafico iperbolico come quello riportato nella Figura 1a, è molto più conveniente utilizzare una forma lineare dell’equazione. L’equazione 13.1 può essere riformulata come ([R ]T [R ? L ] [R ? L ]) [13.3] [L ] KL Ora, in linea con la nomenclatura solitamente utilizzata per il legame al recettore, definiamo [R ∙ L] come B (per ligando legato), [L] come F (per ligando libero) e [R]T come Bmax. L’equazione 13.3 diventa quindi (B max B) B [13.4] F KL Il grafico del rapporto B/F in funzione di B, noto come grafico di Scatchard (dal suo ideatore George Scatchard) o Scatchard plot, determina una linea retta la cui pendenza è −1/KL e la cui intercetta sull’asse B è Bmax (Figura 1b). B ed F possono essere determinati utilizzando un metodo di valutazione noto come dosaggio del legame al filtro. La maggior parte dei recettori è costituita da proteine insolubili legate alla membrana e può essere quindi separata dai ligandi liberi e solubili per filtrazione (i recettori solubilizzati possono essere separati dal ligando libero per filtrazione attraverso la nitrocellulosa sfruttando la proprietà della nitrocellulosa di legare le proteine anche se in modo non specifico). Quindi, utilizzando ligandi marcati radioattivamente, si possono determinare i valori di B e di (a)

KL R + L + I

R·L

KI R·I + L

Nessun legame

dove I è il ligando competitivo, la cui costante di dissociazione dal recettore è espressa come: [R ][I] KI [R ? I] Quindi, per analogia con l’equazione che descrive l’inibizione competitiva: [R ]T [l] [R ? L ] [I] KL 1 [L ] KI

[13.5]

[13.6]

Le affinità relative di un ligando e di un inibitore possono quindi essere determinate dividendo l’equazione 13.6 in presenza di inibitore con la stessa equazione formulata in assenza di inibitore: KL

[R ? L ]I [R ? L ]0

KL 1

[L ] [I]

[13.7]

[L ] KI Se il rapporto è pari a 0,5 (equivalente a un’inibizione del 50%), ci si riferisce alla concentrazione del competitore come [I50]. Risolvendo quindi l’equazione 13.7 rispetto a KI al 50% di inibizione si ha: [I50 ]

KI 1

[L ]

[13.8]

KL

(b)

1,0

Bmax KL

[R • L] [R]T

Pendenza = –

0,5 B F

Bmax

KL [L]

B

1 KL Figura 1 Il legame del ligando con il

recettore. (a) Grafico iperbolico. (b) Grafico di Scatchard. In questo caso, B = [R ∙ L], F = [L] e Bmax = [R]T.

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cettori i cui domini C-terminali hanno attività tirosina chinasica. Questi recettori con attività tirosina chinasica (RTK) contengono di norma un unico segmento transmembrana, e nello stato privo di ligando sono monomerici. In base a queste caratteristiche strutturali è improbabile che l’interazione tra un ligando e un dominio extracellulare possa indurre un cambiamento conformazionale in un dominio intracellulare (questo tipo di cambiamento appare più probabile in recettori con segmenti multipli transmembrana). In effetti un meccanismo plausibile per l’attivazione dei recettori con attività tirosina chinasica sembra essere il processo di dimerizzazione del recettore indotto dal ligando, che porta alla formazione di omodimeri o eterodimeri. In alternativa, dimeri recettoriali preesistenti possono andare incontro a un riposizionamento a forbice dei loro segmenti transmembrana, come nel caso del recettore per l’ormone della crescita (Figura 13.3), sebbene non abbia attività tirosina chinasica. Il recettore dell’insulina è un dimero anche quando è privo di ligando. In questo caso, l’aggiunta del ligando al recettore dimerico induce effettivamente un cambiamento conformazionale nel recettore che attiva la sua azione tirosina chinasica. L’autofosforilazione induce l’attività tirosina chinasica dei recettori. Quando

un recettore con attività tirosina chinasica dimerizza o cambia la sua conformazione dopo il legame del ligando, i suoi domini citoplasmatici tirosina chinasici (PTK) si avvicinano tra loro in modo da fosforilarsi a vicenda a livello di specifici residui di Tyr. Questa autofosforilazione attiva la tirosina chinasi, che a sua volta può fosforilare altri substrati proteici. Vediamo come avviene questo processo nel caso del recettore dell’insulina. Il recettore dell’insulina è un dimero di protomeri αβ. Ogni protomero è sintetizzato come un singolo precursore di 1382 residui, che viene poi processato proteoliticamente producendo una subunità α di 731 residui, interamente extracellulare, e una subunità β di 620 residui, che è composta da un dominio PTK sul lato citoplasmatico, collegato al dominio extracellulare tramite una singola elica transmembrana. Le subunità α e β all’interno di ogni protomero sono legate mediante un ponte disolfuro, come le due subunità α del recettore. La struttura ai raggi X della porzione extracellulare del recettore dell’insulina, il suo ectodominio (dal greco ektos, esterno) (Figura 13.4) mostra che ciascuno dei suoi protomeri αβ assume una conformazione piegata per formare un dimero a forma di “V”. Le posizioni dei due siti di legame per l’insulina del recettore dimerico, dedotte da vari dati sperimentali, sono troppo lontane perché una singola molecola di insulina possa legare entrambi i siti (come avviene per il legame dell’ormone della crescita umano ai suoi recettori; Figura 13.3). Questo suggerisce che il legame dell’insulina induca un cambiamento conformazionale nell’ectodominio del recettore dell’insulina che avvicina molto i due bracci della V, portando in questo modo i loro domini PTK citoplasmatici abbastanza vicini da potersi fosforilare l’un l’altro. La struttura ai raggi X del dominio PTK di 306 residui della subunità β (Figura 13.5a) rivela una proteina divisa in due lobi da una tasca molto profonda; il suo dominio N-terminale consiste di un foglietto β a cinque filamenti e di un’α-elica, mentre il dominio C-terminale più grande è principalmente ad α-elica. La struttura, come vedremo più volte, è tipica di una grande famiglia di proteina chinasi, enzimi che fosforilano i gruppi OH dei residui di Tyr e/o i residui di Ser e Thr. Il genoma umano codifica infatti 90 PTK e 388 proteina chinasi Ser/Thr; questi geni rappresentano più del 2% del genoma umano e nel loro insieme hanno una capacità fosforilante sufficiente per circa un terzo delle proteine presenti nelle cellule umane. Queste proteine hanno ruoli chiave nelle vie di segnalazione attraverso cui ormoni, fattori di crescita, neurotrasmettitori e tossine influenzano le funzioni delle loro cellule bersaglio.

Siti di legame dell’insulina

Figura 13.4 Struttura ai raggi X

dell’ectodominio del recettore dell’insulina. È rappresentato uno dei suoi protomeri αβ in modello a nastro con i suoi sei domini colorati secondo l’ordine dei colori dell’arcobaleno, con il dominio N-terminale in blu e il C-terminale in rosso. L’altro protomero è rappresentato con un‘immagine della sua superficie colorata nello stesso modo. La subunità β è composta da gran parte del dominio arancione e da tutto il dominio rosso. La proteina è rappresentata con la membrana plasmatica sotto e il suo doppio asse verticale. Nel recettore integro, una singola elica transmembrana connette ciascuna unità β al suo dominio PTK citoplasmatico C-terminale. [Basato sulla struttura ai raggi X di Michael Weiss, Case Western Reserve University, e Michael Lawrence, Walter and Eliza Hall Institute of Medical Research, Victoria, Australia, PDBid 3LOH].

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(a) Figura 13.5 Struttura ai raggi X del dominio tirosina chinasico del recettore dell’insulina. (a) Il dominio tirosina chinasico è presentato secondo l’orientamento “standard” della proteina chinasi, con il dominio N-terminale in colore rosa, il dominio C-terminale in azzurro e la sua ansa di attivazione in azzurro più chiaro. Le sue tre catene laterali Tyr fosforilate sono indicate nel modello spaziale, con C in verde, N in blu, O in rosso e P in giallo. L’analogo dell’ATP AMPPNP è indicato nel modello spaziale. I sei residui del polipeptide substrato sono mostrati in arancione e il suo residuo fosforilabile di Tyr è indicato in porpora. (b) Le strutture polipeptidiche fondamentali delle forme fosforilate e non fosforilate del dominio del recettore dell’insulina

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(b)

con attività tirosina chinasica sono sovrapposte ai loro lobi C-terminali. La proteina fosforilata è in verde, con l’ansa di attivazione in blu, e la proteina non fosforilata è in giallo, con l’ansa di attivazione in rosso. La freccia azzurra e il segmento nero indicano la rotazione necessaria per allineare i due lobi N-terminali. [La Parte (a), basata su una struttura ai raggi X, e la Parte (b) sono state riprodotte per gentile concessione di Stevan Hubbard, New York University Medical School. PDBid 1IR3 e 1IRK.] Spiegate perché la fosforilazione può far sì che l’ansa rossa della proteina nella Parte (b) modifichi la sua conformazione.

Nella struttura ai raggi X del dominio PTK del recettore dell’insulina (Figura 13.5a), l’analogo non idrolizzabile dell’ATP adenosina-5′-(𝛃,𝛄-immido)trifosfato (AMPPNP o ADPNP, a sinistra) si lega alla tasca presente tra i domini della proteina e il suo gruppo fosforico O O O in posizione γ è in contrapposizione al gruppo OH del residuo berA saglio di Tyr di un substrato peptidico, anch’esso legato alla protei–O P NH P O P CH 2 O na. Tre dei residui di Tyr della PTK localizzati nel dominio C-termiO– O– O– H H nale, nella cosiddetta “ansa di attivazione”, sono fosforilati. Nel suo H H stato non fosforilato, l’ansa di 18 residui si estende attraverso il sito OH OH attivo e impedisce il legame dell’ATP e dei substrati proteici. QuanAdenosina-59-(b,g-immido)trifosfato do i tre residui di Tyr sono fosforilati, l’ansa di attivazione cambia la (AMPPNP) sua conformazione, non occlude più il sito attivo (Figura 13.5b) e diventa parte del sito di riconoscimento del substrato. Infatti, l’attività tirosina chinasica del recettore dell’insulina aumenta con l’aumentare del grado di fosforilazione in corrispondenza delle tre catene laterali di Tyr su cui avviene l’autofosforilazione. I cambiamenti conformazionali nella PTK indotti dalla fosforilazione e dal legame del ligando sono mostrati nella Figura 13.5b. Dopo il legame del ligando e la fosforilazione, il lobo N-terminale della PTK subisce una rotazione di quasi 21° rispetto al lobo C-terminale. Si presume che questa drastica modifica-

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zione conformazionale serva a posizionare i residui essenziali per il legame con il substrato e per l’attività catalitica. Quasi tutte le PTK fino a oggi note hanno da uno a tre residui di Tyr autofosforilabili nella loro ansa di attivazione che può assumere conformazioni molto simili in tutte le PTK fosforilate. Inoltre, molte PTK attivate fosforilano anche il recettore opposto a livello dei residui di Tyr citoplasmatici situati al di fuori del dominio della PTK. La specificità della proteina PTK per residui di Tyr e non di Ser o Thr è spiegabile in base all’osservazione che solo le catene laterali di Tyr sono abbastanza lunghe da raggiungere il sito attivo.

B Le cascate delle chinasi trasferiscono segnali al nucleo Alcuni RTK autofosforilati fosforilano direttamente le loro proteine bersaglio finali, mentre altri non sembrano in grado di farlo. Quindi, in che modo vengono attivate queste proteine bersaglio? Vedremo che ciò avviene tramite un diverso e complicato insieme di vie di segnalazione tra loro interconnesse, che coinvolge cascate di proteine associate.

I substrati principali del recettore dell’insulina con attività tirosina chinasica sono noti come IRS-1 e IRS-2 (substrati 1 e 2 del recettore dell’insulina). Quando sono fosforilate, queste proteine possono interagire con un altro gruppo di proteine che contengono uno o due moduli conservati di ∼100 residui, detti domini di omologia Src 2 (SH2), simili alla sequenza di un dominio della proteina nota come Src (pronuncia: “sarc”). I domini SH2 legano i residui di fosfo-Tyr con elevata affinità, ma non legano quelli di fosfo-Ser e fosfo-Thr, molto più abbondanti. Questa specificità ha una semplice spiegazione. Le strutture ai raggi X rivelano che la fosfo-Tyr interagisce con un residuo di Arg sul fondo di una profonda tasca (Figura 13.6): le catene laterali di Ser e Thr sono troppo corte per interagire con questo residuo. Le proteine contenenti SH2 che interagiscono con gli IRS e con altre proteine fosforilate hanno varie funzioni: alcune sono chinasi, altre sono fosfatasi, altre ancora, che legano il GTP, sono note come proteine G (le proteine G hanno un ruolo fondamentale anche nelle vie di segnalazione non dipendenti dai recettori con attività tirosina chinasica, come descritto nel Paragrafo 13.3). Di conseguenza, il legame dell’ormone con il suo RTK è in grado di indurre diverse risposte intracellulari. I domini SH2 si legano ai residui fosfo-Tyr.

I recettori ad attività tirosina chinasica (RTK) attivano indirettamente la proteina G Ras. L’analisi genetica a li-

vello molecolare della segnalazione in organismi distanti dal punto di vista evolutivo ha rivelato l’esistenza di una via notevolmente conservata che regola funzioni essenziali come la crescita e il differenziamento cellulare. Infatti, il legame dei fattori di crescita con il loro recettore con attività tirosina chinasica (RTK) attiva una proteina G monomerica detta Ras, il prototipo di una superfamiglia di proteine G monomeriche che, nell’uomo, è composta da 150 membri. La proteina Ras è ancorata alla superficie interna della membrana plasmatica mediante una coda prenilica (Paragrafo 9.3B). La Ras attivata innesca a sua volta una cascata chinasica, che trasmette il segnale all’apparato di trascrizione nel nucleo. Il legame di un fattore di crescita con il suo recettore dotato di attività tirosina chinasica determina la sua autofosforilazione; l’RTK fosforilato interagisce con una proteina contenente SH2 (Figura 13.7, in alto a sinistra).

Figura 13.6 Struttura ai raggi X del dominio SH2 di Src unito a un peptide bersaglio. La proteina è rappresentata sotto forma di struttura a nastro, colorata secondo l’ordine dei colori dell’arcobaleno dal suo N-terminale (in blu) al suo C-terminale (in rosso) ed è immersa nella rappresentazione schematica semitrasparente della sua superficie molecolare. Al dominio SH2 è legato un polipeptide di 11 residui contenente il tetrapeptide bersaglio fosfo-Tyr-Glu-Glu-Ile (pYEEI) della proteina, disegnato con modello spaziale: il suo scheletro carbonioso (C) è in azzurro, gli atomi di carbonio delle catene laterali sono in verde, gli atomi di N in blu, di O in rosso e di P in arancione. La catena laterale dell’Arg 32 di SH2, che interagisce con il gruppo fosforico del residuo fosfo-Tyr (pTyr) del peptide, è mostrata con il modello a bastoncini. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da John Kuriyan, The Rockefeller University, PDBid 1SPS.]

Disegnate le strutture di fosfo-Thr e di fosfo-Ser e confrontatele con quelle di fosfo-Tyr.

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Molte proteine che contengono domini SH2 hanno anche uno o più domini SH3, non correlati, con un numero di residui tra 50 e 75. I domini SH3 legano sequenze ricche di Pro (da 9 o 10 residui; Figura 13.8) e sono presenti anche in alcune proteine prive di domini SH2. Nella cascata di segnalazione mostrata nella Figura 13.7, una proteina di mammifero di 217 residui nota come Grb2 SCHEMA DI PROCESSO Ambiente extracellulare

Fattore di crescita proteico

1

RTK

Membrana plasmatica

Citosol

Dominio SH2

2 P

Y

Y

Ras Dominio (inattiva) SH3 GDP Grb2/ Sem-5

P 3

11

GAP

5

Sos

Ras (attiva) GTP

Sos

Altri effettori (GAP)

6

4 Altri effettori

Altri effettori

Raf 7

Altri effettori

P

MEK

Cascata chinasica

8 Altri effettori

P

MAPK Altre chinasi

9

P Fos 10

P Myc

Nucleo

P Jun

Espressione genica

DNA Jun P

Figura 13.7 La cascata di trasmissione del segnale mediata da Ras. Il legame dell’RTK al corrispondente fattore di crescita (1) induce l’autofosforilazione del dominio citosolico di RTK (2). Grb2/Sem-5 si lega al risultante segmento peptidico contenente fosfo-Tyr mediante il suo dominio SH2 (3), e nello stesso tempo si lega a segmenti ricchi di Pro presenti sulla proteina Sos tramite i suoi due domini SH3 (4). Questo processo induce Sos a scambiare il GDP legato a Ras con GTP (5), attivando quindi Ras, che si lega a Raf (6). In seguito, attraverso una “cascata di chinasi”, Raf, una Ser/Thr chinasi, fosforila MEK (7), che a sua volta fosforila

MAPK (8), che quindi migra nel nucleo (9), dove fosforila fattori di trascrizione come Fos, Jun e Myc (10), regolando in tal modo l’espressione genica. Ras è inattivato dall’idrolisi di GTP (11), un processo accelerato dalle proteine che attivano la GTPasi (GAP). La cascata chinasica ritorna poi al suo stato di riposo mediante l’azione di proteina fosfatasi (Paragrafo 13.2 D) [Egan, S.E. e Weinberg, R.A. (1993). Nature 365, 782.] Indicate le tappe in cui si ha amplificazione del segnale.

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Figura 13.8 Struttura ai raggi X del dominio SH3 della proteina Abl associata al suo polipeptide bersaglio di 10 residui, ricco di Pro (APTMPPPLPP). La proteina è rappresentata dall’immagine della sua superficie (in azzurro). Il peptide è raffigurato con una struttura a bastoncino, con il C della Pro in color porpora, l’altro C in verde, l’N in blu, l’O in rosso e l’S in giallo. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Andrea Musacchio, European Molecular Biology Laboratory, Heidelberg, Germania. PDBid 1ABO].

(Sem-5 nel verme nematode Caenorhabditis elegans) è costituita quasi interamente da un dominio SH2 affiancato da due domini SH3 (Figura 13.9). La proteina Grb2/Sem-5 unisce il recettore con attività tirosina chinasica autofosforilato (tramite il suo dominio SH2) alla proteina Sos (tramite il suo dominio SH3). La Ras inattiva ha una molecola di GDP legato nel suo sito di legame del nucleotide. Il complesso Grb2-Sos attiva Ras inducendola a rilasciare il GDP legato e a sostituirlo con una molecola di GTP. Solo il complesso Ras ∙ GTP è in grado di trasmettere il segnale che induce la crescita cellulare innescato dall’RTK. La proteina Ras lega saldamente sia il GDP sia il GTP e quindi per scambiare i due nucleotidi deve interagire con Sos. È per questo motivo che Sos è conosciuta anche come un fattore di scambio dei nucleotidi guaninici (GEF). Come vedremo, la maggior parte delle proteine G ha il suo corrispondente GEF. La struttura ai raggi X di Grb2 (Figura 13.9) suggerisce che il suo dominio SH2 sia collegato in modo flessibile ai suoi due domini SH3. In che modo il legame di questo adattatore flessibile (una regione di collegamento che non ha alcuna attività enzimatica) con un recettore dotato di attività tirosina chinasica fosforilato causa l’attivazione di Ras indotta da Sos? L’interazione tra Grb2 e Sos è così salda da far sì che queste due proteine siano praticamente sempre associate all’interno della cellula. Quindi, quando Grb2 si lega all’RTK fosforilato porta anche Sos sulla superficie interna della membrana plasmatica, dove l’accresciuta concentrazione locale di Sos lo induce a legarsi più prontamente a Ras ancorata alla membrana, agendo quindi come un fattore GEF. Le GAP accelerano le attività GTPasiche delle proteine G. Ras è un enzima (una

GTPasi) che catalizza l’idrolisi a GDP + Pi del GTP a esso legato, limitando quindi l’entità della risposta cellulare al fattore di crescita. Ras idrolizza però due o tre molecole di GTP al minuto, rivelandosi troppo lenta per un’efficace trasduzione del segnale. Inoltre, per un segnale che deve essere molto più che un interruttore da usare una sola volta, bisogna prevedere un meccanismo in grado di spegnerlo ma anche di accenderlo. Queste considerazioni hanno portato alla scoperta di una proteina di 120 kD chiamata RasGAP (GAP) che attiva la GTPasi; quando GAP si lega al complesso Ras ∙ GTP accelera la velocità di idrolisi del GTP di un fattore pari a 105. La maggior parte delle proteine G ha anche una sua corrispondente GAP.

Figura 13.9 Struttura ai raggi X di

Grb2. Il suo dominio SH2 (in verde) è legato ai domini SH3 che lo affiancano (in azzurro e in arancione) da regioni di collegamento di quattro residui apparentemente non strutturati e quindi flessibili. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Arnaud Ducruix, Université de Paris-Sud, Gif sur Yvette Cedex, Francia. PDBid 1GRI.]

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Acqua nucleofilica

Ansa a forma di dito

Figura 13.10 Struttura ai raggi X del complesso GAP334 ∙ Ras ∙ GDP ∙ AlF3. Le regioni dei siti attivi delle proteine sono mostrate sotto forma di strutture a nastro in cui Ras è in azzurro, con i suoi 12 residui di Gly in color porpora e GAP334 in giallo, con la sua ansa a forma di dito in rosso. Il GDP, l’AlF3 e le catene laterali del Gln 61 di Ras e dell’Arg 789 di GAP334 sono raffigurate in forma di bastoncini, con gli atomi di C in verde, di N in blu, di O in rosso, di F in giallo-verde, di P in arancione e di Al in rosa. La molecola d’acqua è rappresentata da una sfera rossa, i legami idrogeno sono indicati con linee tratteggiate. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Alfred Wittinghofer, Max-Planck-Institut für Molekulare Physiologie, Dortmund, Germania. PDBid 1WQ1.]

Il meccanismo con cui RasGAP incrementa l’attività GTPasica di Ras è stato rivelato dalla struttura ai raggi X del dominio di 334 residui di RasGAP (GAP334) capace di attivare la GTPasi, legato a Ras unita al GDP e ad AlF3 (Figura 13.10). Il GAP334 interagisce con Ras su una superficie di contatto molto ampia. L’AlF3, che ha geometria trigonale planare, si lega a Ras nella posizione solitamente occupata dal gruppo fosforico in posizione γ del GTP, con l’atomo di Al opposto a una molecola d’acqua che probabilmente dovrebbe essere quella che porta l’attacco nucleofilico nella reazione catalizzata dalla GTPasi. Dal momento che i legami Al-F e P-O hanno lunghezze simili, l’insieme GDP-AlF3-H2O assomiglia allo stato di transizione della reazione GTPasica in cui AlF3 imita il gruppo planare PO3. Il dominio GAP334 si lega a Ras tramite un’ansa a forma di dito inserita nel sito attivo di Ras; in questo modo un residuo di Arg dell’ansa interagisce sia con il fosfato in posizione γ del GDP sia con l’AlF3. Nel complesso Ras ∙ GTP, la catena laterale di questo residuo di Arg si viene a trovare in una posizione ottimale per stabilizzare la carica negativa che si sviluppa nello stato di transizione della reazione della GTPasi. Infatti, le proteine G cataliticamente più efficienti contengono un residuo di Arg che occupa una posizione praticamente identica. La via di segnalazione è completata da una cascata di chinasi. La via di segna-

lazione a valle di Ras è costituita da una cascata lineare di proteina chinasi (Figura 13.7, a destra). La proteina Raf, una Ser/Thr chinasi attivata da una diretta interazione con Ras ∙ GTP, fosforila e attiva una proteina conosciuta come MEK o MAP chinasi chinasi. La MEK attivata fosforila a sua volta una famiglia di proteine note con vari nomi: proteina chinasi attivate da agenti mitogeni (MAPK) oppure chinasi regolate da segnali extracellulari (ERK). Per essere completamente attiva, la MAPK deve essere fosforilata in corrispondenza di residui di Thr e di Tyr nella sequenza Thr-Glu-Tyr. La MEK (il cui nome deriva da MAP kinase/ERK kinase-activating kinase, chinasi che attiva la MAP chinasi e la ERK chinasi) catalizza entrambe le fosforilazioni; è quindi una Ser/Thr chinasi, ma anche una Tyr chinasi. Le MAP chinasi attivate si spostano dal citosol al nucleo, dove fosforilano varie proteine, tra cui Fos, Jun e Myc. Queste proteine sono fattori di trascrizione (proteine che inducono la trascrizione dei loro geni bersaglio; Paragrafo 28.3B). Nella loro forma attivata stimolano vari geni a produrre gli effetti indotti dalla presenza extracellulare del fattore di crescita che ha dato inizio alla cascata di trasduzione del segnale. Quando l’insulina attiva la via di segnalazione mediata da Ras, il risultato è un aumento della sintesi proteica che favorisce la crescita e il differenziamento cellulare, una risposta coerente con le funzioni dell’insulina come segnale di riserve energetiche abbondanti. Le varianti proteiche codificate dagli oncogeni interferiscono con queste vie di segnalazione, inducendo una crescita cellulare incontrollata (Scheda 13.3).

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SCHEDA 13.3

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LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA

Gli oncogeni e il cancro La crescita e il differenziamento delle cellule in un organismo sono di norma rigorosamente controllati. Quindi, con poche eccezioni (per esempio, le cellule del sangue e i follicoli piliferi), le cellule di un adulto sono in gran parte quiescenti. Per varie ragioni, tuttavia, una cellula può essere indotta a proliferare in modo incontrollato, originando un tumore. I tumori maligni (cancri) crescono in modo invasivo e sono quasi sempre una minaccia per la vita; negli Stati Uniti sono responsabili del 20% dei casi di morte. Tra le numerose cause che possono far insorgere un cancro vi sono virus che trasportano oncogeni (dal greco ònkos, “massa” o “tumore”). Per esempio, il virus del sarcoma di Rous (RSV), che induce la formazione di sarcomi (forme tumorali del tessuto connettivo) nei polli, contiene quattro geni: tre di questi sono indispensabili per la replicazione del virus, mentre il quarto, v-src (v sta per “virale”, src per “sarcoma”), un oncogene, determina la formazione del tumore. Qual è l’origine di v-src, e come agisce? Studi di ibridazione effettuati da Michael Bishop e Harold Varmus nel 1976 hanno condotto alla straordinaria scoperta che le cellule di pollo non infettate contengono un gene, c-src (c sta per “cellulare”), omologo a v-src e altamente conservato in un’ampia varietà di organismi eucariotici: questo induce a ritenere che si tratti di un gene cellulare essenziale. A quanto pare v-src è stato acquisito in origine dalle cellule a partire da un antenato di RSV non cancerogeno. Sia v-src sia c-src codificano una tirosina chinasi di 60 kD, ma mentre l’attività di c-src è rigorosamente controllata, quella di v-src non subisce questo controllo e quindi la sua presenza mantiene la cellula ospite nello stato proliferativo. Poiché le cellule non sono uccise da un’infezione di RSV, si presume che questo fattore provochi un aumento della velocità di replicazione del virus. Altri oncogeni sono stati collegati in modo simile a processi che regolano la crescita cellulare. Per esempio, l’oncogene v-erbB codifica una versione tronca del recettore per il fattore di crescita epidermico, che ha perduto il dominio di legame per il fattore di crescita epidermico (EGF) ma ha mantenuto il suo segmento transmembrana e il suo dominio con attività tirosina chinasica. In assenza di un segnale extracellulare, questa chinasi fosforila le sue proteine bersaglio, favorendo quindi una proliferazione cellulare incontrollata. L’oncogene v-ras codifica una proteina di 21 kD,

v-Ras, simile alla proteina Ras cellulare ma in grado di idrolizzare il GTP molto più lentamente. Il ridotto effetto frenante esercitato dall’idrolisi del GTP sulla velocità di fosforilazione delle proteine porta a un aumento dell’attivazione delle chinasi che si trovano a valle rispetto a Ras (Figura 13.7). Anche i fattori di trascrizione che rispondono ai segnali mediati da Ras (per esempio, Fos e Jun) sono codificati da proto-oncogeni, analoghi cellulari normali degli oncogeni. I geni virali v-fos e v-jun codificano proteine che sono quasi identiche alle loro controparti cellulari e simulano gli effetti di queste ultime nelle cellule ospiti, ma in modo incontrollato. Gli oncogeni non sono necessariamente di origine virale: in realtà pochi tumori umani sono causati da virus, ma piuttosto da proto-oncogeni che per mutazione si sono trasformati in oncogeni. Per esempio, una mutazione nel gene c-ras, che trasforma Gly 12 in Val nella proteina Ras, riduce l’attività GTPasica di Ras senza influenzare la sua capacità di stimolare la fosforilazione proteica. Questo prolunga il tempo in cui Ras è nello stato attivato e induce quindi una proliferazione cellulare incontrollata. In effetti, gli oncogeni più comunemente coinvolti nei tumori umani sono versioni “oncogeniche” di c-ras, presenti in circa il 30% dei tumori umani. Finora sono stati identificati più di 350 oncogeni cellulari e virali. Gli effetti devastanti dei prodotti degli oncogeni derivano dalle differenze rispetto alle corrispondenti proteine normali: possono avere diverse velocità di sintesi e/o di degradazione, possono avere funzioni cellulari modificate, oppure sfuggire ai controlli dei meccanismi regolatori cellulari. Tuttavia, perché una cellula normale possa subire una trasformazione maligna (cioè diventare una cellula cancerosa), devono determinarsi vari eventi oncogenici indipendenti (in media cinque). Questo aspetto riflette la complessità della rete di segnalazione cellulare (le cellule rispondono a numerosi ormoni, fattori di crescita e fattori di trascrizione, secondo schemi parzialmente sovrapposti) e spiega perché l’incidenza del cancro aumenta con l’età. Eppure, a livello cellulare, la trasformazione maligna costituisce un evento estremamente raro, dato che le mutazioni oncogeniche sono poco frequenti e le cellule posseggono meccanismi di difesa altamente efficaci che le salvaguardano dal cancro.

Immagine a falsi colori basata su una radiografia ai raggi X della sezione trasversale dell’addome di un paziente con cancro del fegato. Il fegato è la grande massa di colore rossastro che occupa quasi tutto l’addome; le zone più chiare visibili nel fegato sono i focolai cancerosi. Una vertebra (in verde scuro) è visibile nella parte bassa della regione centrale dell’immagine. [Salisbury/Photo Researchers.]

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Il vantaggio di avere a disposizione una “cascata di chinasi” consiste nella possibilità di amplificare molte volte un limitato segnale all’interno della cellula. La fosforilazione di più proteine bersaglio permette inoltre di attivare contemporaneamente numerosi processi cellulari. In tal modo, come vedremo (Paragrafo 22.2), la segnalazione dell’insulina media i cambiamenti del trasporto delle vescicole, l’attivazione enzimatica e l’espressione genica. Le proteine di sostegno organizzano e posizionano le proteina chinasi. Le

cellule eucariotiche contengono numerose e diverse cascate di segnalazione MAPK, ognuna delle quali è composta da un insieme caratteristico di chinasi, che nei mammiferi comprende almeno 14 MAP chinasi, 7 MAP chinasi chinasi (MKK; per esempio la MEK) e 14 MAP chinasi chinasi chinasi (MKKK, per esempio la Raf, Figura 13.11). Sebbene ogni MAPK sia attivata da una specifica MKK, una data MKK può essere attivata da più di una MKKK. Inoltre, diverse vie possono essere attivate da un singolo tipo di recettore. In che modo quindi una cellula impedisce la comunicazione incrociata (crosstalk) tra le vie di segnalazione strettamente correlate? Un sistema è l’utilizzo di proteine di sostegno che legano alcune o tutte le proteina chinasi di una particolare cascata di segnalazione, in modo da assicurare che le proteina chinasi di una determinata via interagiscano solamente tra loro. Inoltre, le proteine di sostegno possono orientare correttamente e attivare allostericamente le chinasi a loro associate, possono dirigerle verso specifiche localizzazioni cellulari, e in alcuni casi sono soggette esse stesse a regolazione mediante fosforilazione. La prima proteina di sostegno è stata scoperta attraverso l’analisi genetica della cascata della MAP chinasi nel lievito. È stato possibile dimostrare che questa proteina, la Ste5p, lega i componenti MKKK, MKK e MAPK della via e che, in vivo, la mancanza della proteina di sostegno porta all’inattivazione della via. I mammiferi hanno una proteina di sostegno con funzione simile, anche se non correlata come sequenza, chiamata KSR (kinase suppressor of Ras, o chinasi soppressore di Ras). Evidentemente, le interazioni tra le componenti chinasiStimolo extracellulare:

Fattore di crescita

Stress, fattore di crescita, fattore di differenziamento

MKKK

Raf-1, A-Raf, B-Raf, Mos

MKK

MEK1, MEK2

MAPK

ERK1, ERK2

Stress

MEKK1-3, Tpl-2 ?

MEKK4, DLK

MKK5

MKK4, MKK7

MKK3, MKK6

ERK3, ERK5 ERK4

JNK1, JNK2, JNK3

p38α, p38β, p38γ, p38δ

c-Jun, ATF-2, Elk-1, p53, DPC4, NFAT4

Chinasi MAPKAP, ATF-2, Elk-1, Chop, Max, MEF2C

?

TAK1, ASK1, MLK3

PAK

? Fattori di trascrizione e altre chinasi:

p90

rsk, S6 chinasi, Sos,

fosfolipasi A2, recettore EGF, Elk-1, Ets1, Sap1a, c-Myc, Tal, STATS

MEF2C

c-Jun Risposta cellulare:

Crescita, differenziamento

Crescita, differenziamento, Produzione di citochine, sopravvivenza, apoptosi apoptosi

Figura 13.11 Cascata della MAP chinasi nelle cellule di mammifero. Ogni cascata della MAP chinasi è costituita da una MKKK, una MKK e una MAPK. Ognuno dei vari stimoli esterni può attivare una o più MKKK, che a sua volta può attivare una o più MKK. Però le MKK sono relativamente specifiche per le loro MAPK bersaglio. Le MAPK attivate fosforilano specifici fattori di trascrizione, che vengono poi trasferiti nel nucleo insieme a specifiche chinasi. I fattori di trascrizione e le chinasi così attivati inducono risposte cellulari quali crescita, differenziamento e apoptosi (morte cellulare programmata; Paragrafo 28.4C). [Da Garrington, T.P. e Johnson, G.L. (1999). Curr. Opin. Cell Biol. 11, 212.]

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che successive in questa cascata MAP chinasica sono di per sé insufficienti alla trasmissione del segnale.

C Alcuni recettori sono associati a tirosina chinasi non recettoriali Molti recettori per i fattori di crescita presenti sulla superficie cellulare non rispondono al legame dei ligandi con l’autofosforilazione. Tra questi vi sono i recettori dell’ormone della crescita (Figura 13.3), delle citochine (fattori di crescita proteici che regolano il differenziamento, la proliferazione e le attività di numerosi tipi di cellule, principalmente delle cellule del sangue), degli interferoni (fattori di crescita proteici che stimolano le difese antivirali) e dei recettori delle cellule T (che controllano la proliferazione delle cellule del sistema immunitario conosciute anche come linfociti T; Paragrafo 7.3). Il legame del ligando induce questi recettori associati alle tirosina chinasi a dimerizzare (e, in alcuni casi, a trimerizzare), spesso con tipi diversi di subunità, in modo da attivare delle tirosina chinasi non recettoriali (NRTK) a essi associati. La struttura di Src rivela il suo meccanismo autoinibitorio. Molti NRTK appartengono alla famiglia delle Src,

SH3

PTK (lobo N-terminale)

che comprende almeno nove membri, tra cui Src, Fyn e Elica C Lck. Molte di queste proteine di circa 530 residui, anN Y416 corate tramite miristilazione alla membrana, hanno un dominio SH2 o uno SH3, mentre tutte hanno il dominio PTK. Quindi, una chinasi correlata a Src può essere attivata da un recettore PTK autofosforilato. Sebbene SH2 le chinasi correlate a Src siano ognuna associata a diversi recettori, esse fosforilano in pratica lo stesso gruppo di proteine bersaglio. Questa complessa rete di interazioni spiega perché ligandi differenti spesso attivano le stesse pY527 vie di segnalazione. Partendo dall’N-terminale verso il C-terminale, la PTK (lobo C-terminale) struttura di Src consiste di un dominio N-terminale miC ristilato “unico”, diverso in ogni membro della famiglia Src, di un dominio SH3, di un dominio SH2, di un dominio PTK e di una bre- Figura 13.12 Struttura ai raggi X del ve coda C-terminale. La fosforilazione della Tyr 416 nell’ansa di attivazione del complesso Src ∙ AMPPNP con la Tyr 527 fosforilata. La proteina, a cui manca dominio PTK attiva Src, mentre la fosforilazione della Tyr 527 nella coda C-ter- il dominio N-terminale ancorato alla minale la inattiva. In vivo, Src è fosforilata sulla Tyr 416 oppure sulla Tyr 527, membrana, è orientata per far sì che ma non su entrambe. La defosforilazione della Tyr 527 o il legame di ligandi il suo dominio PTK sia visto in modo esterni al dominio SH2 o al dominio SH3 attiva Src, e questa situazione viene “standard” (confrontare con la Figura Il dominio SH3 è in arancione, poi mantenuta dall’autofosforilazione della Tyr 416. Se la Tyr 527 è fosforilata 13.5a). il dominio SH2 è in color porpora, la ma non sono disponibili fosfopeptidi attivatori, i domini SH2 e SH3 funzio- regione di collegamento che unisce nano deattivando il suo dominio PTK. In questo modo Src viene autoinibita. il dominio SH2 al dominio PTK è in La struttura ai raggi X di Src ∙ AMPPNP, priva del dominio N-terminale e verde, con i residui da 249 a 253 che con la Tyr 527 fosforilata, ha rivelato le basi strutturali dell’autoinibizione di Src interagiscono con il dominio SH3, in giallo. Il lobo N-terminale del dominio (Figura 13.12). Come precedenti studi biochimici hanno già dimostrato, il domi- PTK è in rosa, il lobo C-terminale della nio SH2 lega la fosfo-Tyr 527, presente nella sequenza amminoacidica pYNPG proteina è in azzurro, con l’ansa di e non nella sequenza pYEEI, entrambe sequenze caratteristiche dei peptidi ber- attivazione in blu chiaro, mentre la saglio a elevata affinità di Src-SH2. Nonostante che il segmento pYNP si leghi coda C-terminale è rossa. L’AMPPNP è rappresentato con modello spaziale a SH2 come il segmento pYEE mostrato nella Figura 13.6, nella struttura ai e l’Y416 (non fosforilato) e il pY527 raggi X i residui successivi risultano scarsamente ordinati e, inoltre, la tasca di (fosforilato) sono mostrati in forma di SH2 in cui si lega la catena laterale del residuo di Ile di pYEEI non è occupata. bastoncini, in cui tutti gli atomi di C sono In apparenza sembra che il segmento del peptide contenente la fosfo-Tyr 527 in verde, di N sono in blu, di O sono in rosso e di P sono in giallo. [Basata su una si leghi al dominio di Src con affinità ridotta rispetto ai suoi peptidi bersaglio. struttura ai raggi X di Stephen Harrison Il dominio SH3 di Src si lega alla regione di collegamento che unisce il do- e Michael Eck, Harvard Medical School. minio SH2 al lobo N-terminale del dominio PTK. I residui da 249 a 253 della PDBid 2SRC.]

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Figura 13.13 Rappresentazione schematica del processo di attivazione di Src. Nella sua forma autoinibita (a sinistra), il dominio SH2 (in color porpora) della proteina si lega alla fosfo-Tyr 527 e il dominio SH3 (in arancione) si lega a un segmento interno (in giallo) contenente Pro. Il Glu 310 forma un ponte salino con l’Arg 409, l’ansa di attivazione parzialmente a elica (in blu) blocca il sito attivo e la Tyr 416 rimane nascosta. Nella forma attiva (a destra) i domini SH2 ed SH3 si legano all’attivatore di Src, la Tyr 527 è stata defosforilata, l’ansa di attivazione ha subito un cambiamento conformazionale tale per cui espone la Tyr 416 alla fosforilazione, il Glu 310 forma un ponte salino con la Lys 295 e la fosfo-Tyr 416 forma un ponte salino con l’Arg 409. Lo schema di colorazione e la vista della proteina corrispondono a quelli della Figura 13.12. [Da Young, M.A., Gonfaloni, F., Superti-Furga, G., Roux, B. e Kuriyan, J. (2001). Cell 105, 115.]

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regione di collegamento si legano al dominio SH3 più o meno allo stesso modo dei peptidi bersaglio ricchi di Pro di SH3 (Figura 13.8). Tuttavia, l’unica Pro presente in questo segmento è il residuo in posizione 250. La catena laterale polare della Gln 253, che occupa la posizione della seconda Pro nella normale sequenza bersaglio Pro-X-X-Pro di SH3, non entra nella tasca di legame idrofobica che questa seconda Pro dovrebbe occupare (Figura 13.8) e quindi a questo punto la posizione del peptide è deviata rispetto a quella dei peptidi bersaglio ricchi di Pro. In apparenza sembra che anche questa interazione sia più debole di quelle con i peptidi bersaglio di SH3 della Src. Dato che i domini SH2 e SH3 di Src legano il dominio PTK dalla parte opposta al suo sito di attivazione, come viene inibita l’attività PTK? I due lobi del dominio PTK di Src sono, per la maggior parte, molto simili ai loro corrispettivi presenti nei domini PTK delle proteina chinasi fosforilate e quindi attivate (vedi come esempio la Figura 13.5a). L’elica C di Src, l’unica elica presente nel lobo N-terminale della PTK, viene però spiazzata dall’interfaccia tra i lobi N- e C-terminali, posizione che solitamente occupa in altre proteina chinasi attivate (vedi come esempio la Figura 13.5a). L’elica C contiene il residuo conservato Glu 310 (seguendo la numerazione di Src), che in altre proteina chinasi attivate si proietta nella tasca catalitica, dove forma un ponte salino con la Lys 295, un importante ligando dei gruppi fosforici in posizione α e β del substrato ATP. Nella Src inattiva, il residuo di Glu 310 forma un ponte salino alternativo con l’Arg 409, mentre la Lys 295 interagisce con l’Asp 404. Nella Lck attivata, l’Arg 409 forma un ponte salino con la fosfo-Tyr 416. Le precedenti osservazioni strutturali suggeriscono che l’attivazione della Src avvenga nel modo seguente (Figura 13.13). 1. La defosforilazione della Tyr 527 e/o il legame dei domini SH2 e/o SH3 con i loro peptidi bersaglio (per i quali SH2 ed SH3 hanno maggiore affinità di quella che hanno per i loro siti di legame interni di Src) rilascia questi domini dalle posizioni in cui sono legati alla PTK mostrate nella Figura 13.12, diminuendo le costrizioni conformazionali sul dominio PTK. Tutto ciò permette alla tasca del sito attivo di PTK di aprirsi, distruggendo quindi la struttura parzialmente a elica della sua ansa di attivazione (che occupa una posizione

Forma autoinibita

Forma attiva

PXXP

Attivatore di Src N

Dominio PTK (lobo N-terminale)

SH3 Lys 295

ATP Lys 295

N

P

Glu 310

SH2

αC

αC

SH3

Arg 409 P

Regione di collegamento SH2-SH3

P

P

Glu 310 Arg 409

P

P

Tyr 416 P P

SH2 Tyr 527 P

Tyr 416

Tyr 527 C Dominio PTK (lobo C-terminale)

Substrato C

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di blocco nella tasca del sito attivo; Figura 13.12) ed esponendo la Tyr 416 all’autofosforilazione. 2. La fosfo-Tyr 416 così prodotta forma un ponte salino con l’Arg 409 che, stericamente, richiede la riorganizzazione strutturale dell’ansa di attivazione nella sua conformazione attiva non bloccante. La rottura conseguente del ponte salino tra Glu 310 e Arg 409 libera l’elica C e le permette di assumere il suo orientamento attivo, che a sua volta permette a Glu 310 di formare il suo ponte salino con Lys 295, molto importante dal punto di vista catalitico, attivando quindi l’attività della Src. Le PTK sono bersagli delle terapie anticancro. La caratteristica principale

della leucemia mieloide cronica (LMC) è la traslocazione cromosomica specifica in cui il gene Abl, che codifica l’NRTK Abl, si fonde con il gene Bcr, che codifica la proteina Ser/Thr chinasi Bcr. Questa traslocazione dà origine al cosiddetto cromosoma Filadelfia. La parte Abl della risultante proteina di fusione Bcr-Abl è costitutivamente attivata (cioè è priva di regolazione), probabilmente perché la sua porzione Bcr oligomerizza. Le cellule staminali emopoietiche (da cui discendono tutte le cellule del sangue) portatrici del cromosoma Filadelfia sono quindi innescate per sviluppare la LMC (la malignità richiede infatti diverse alterazioni genetiche indipendenti; Scheda 13.3). Senza un trapianto di midollo osseo (procedura comunque ad alto rischio e per di più non alla portata di tutti gli individui a causa della mancanza di donatori compatibili) la LMC ha un esito indubbiamente fatale, con un’aspettativa di vita media di circa sei anni dalla diagnosi. Ci si aspetta che un inibitore di Abl possa impedire la proliferazione delle cellule LMC e persino ucciderle. Per essere un efficace agente anti-LMC, questa sostanza non deve inibire altre proteina chinasi, per non creare effetti collaterali molto seri. I derivati della 2-fenilamminopirimidina si legano ad Abl con affinità e specificità eccezionalmente elevate. Uno di questi derivati, l’imatinib (il cui nome commerciale è Gleevec), N N

N

H

H

N

N

H3 C

N C

N CH3

O

Gleevec (imatinib)

sviluppato da Brian Druker e Nicholas Lydon, ha causato la remissione dei sintomi in oltre il 90% dei pazienti con LMC senza la contemporanea comparsa di effetti collaterali importanti. Questi risultati senza precedenti si sono potuti avere, in parte, perché il Gleevec non si lega ad altre proteina chinasi. L’Abl è simile a Src ma è privo del sito di fosforilazione regolatorio nella regione C-terminale tipico di Src (la Tyr 527; Figure 13.12 e 13.13). La struttura ai raggi X del dominio PTK di Abl unita a una forma tronca di Gleevec (determinata da John Kuriyan; Figura 13.14) rivela che il farmaco si lega nel sito di legame dell’ATP di Abl. Abl assume così una conformazione inattiva, in cui la sua ansa di attivazione, che non è fosforilata, è nella forma autoinibita. Il Gleevec è stato il primo di diversi derivati della 2-fenilamminopirimidina che inibiscono diverse proteina chinasi a essere approvato dall’americana FDA (Food and Drug Administration) per l’utilizzo clinico contro certi tipi di cancro. Inoltre, tra gli agenti anticancro vi sono anche alcuni anticorpi monoclonali (Scheda 7.5) che si legano a specifici PTK oppure a loro ligandi (per esempio il trastuzumab, il cui nome commerciale è Herceptin, che è efficace contro i tipi di

Figura 13.14 Struttura ai raggi X del dominio PTK di Abl associato a una forma tronca di Gleevec. La proteina è vista da destra rispetto alla visione “standard” della proteina chinasi (per esempio vedi le Figure 13.5a e 13.12), con il suo lobo N-terminale in violetto, il suo lobo C-terminale in azzurro e la sua ansa di attivazione in blu chiaro. La forma tronca di Gleevec, che occupa il sito di legame dell’ATP della PTK, è mostrata in forma tridimensionale, con gli atomi di C in verde, di N in blu e di O in rosso. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da John Kuriyan, The Rockefeller University. PDBid 1FPU.]

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cancro della mammella che esprimono in quantità molto più elevate della norma l’RTK chiamato HER2). Queste terapie che tendono a colpire recettori ci fanno sperare che sia possibile controllare, se non addirittura curare, il cancro agendo in modo specifico sulle proteine aberranti che causano i vari tipi di tumore. Al contrario, la maggior parte degli agenti chemoterapici che viene attualmente utilizzata uccide in modo indiscriminato le cellule in rapida crescita e proliferazione, e quindi tende generalmente ad avere effetti collaterali molto debilitanti.

D Le proteina fosfatasi sono di diritto proteine di segnalazione Una volta che il sistema ha inviato il suo messaggio, i segnali intracellulari devono essere “spenti” affinché lo stesso sistema possa trasmettere i messaggi che riceverà successivamente. Nel caso delle proteina chinasi, le loro attività sono bilanciate dalle attività di proteina fosfatasi che idrolizzano i gruppi fosforici attaccati alle catene laterali dei residui di Ser, Thr o Tyr e quindi limitano gli effetti del segnale attivato dalla chinasi. Anche se gran parte dell’attenzione è stata rivolta alle proteina chinasi, le cellule di mammifero esprimono circa 500 fosfatasi (un numero all’incirca pari a quello delle chinasi), con specificità di substrato paragonabile a quella delle chinasi. Le proteina tirosina fosfatasi sono proteine multidominio. Gli enzimi che de-

fosforilano i residui di Tyr, detti proteina tirosina fosfatasi (PTP), non sono semplicemente enzimi espressi costitutivamente (housekeeping), ma rappresentano una categoria di trasduttori di segnale. Questi enzimi, 107 dei quali sono codificati dal genoma umano, sono membri di quattro famiglie. Ciascuna tirosina fosfatasi possiede almeno un dominio conservato di circa 240 residui, contenente la sequenza di “riconoscimento (firma)” costituita da 11 residui [(I/V)HCXAGXGR(S/T)G] detta motivo CX5R, nella quale sono contenuti i due residui catalitici essenziali dell’enzima, Cys e Arg. Durante la reazione di idrolisi, il gruppo fosforico è trasferito dal residuo tirosilico della proteina substrato al residuo essenziale di Cys dell’enzima, formando un intermedio con legame covalente Cys-fosfato che in seguito viene idrolizzato. Alcune proteina tirosina fosfatasi hanno una struttura simile a quella del recettore con attività tirosina chinasica; hanno cioè un dominio extracellulare, una singola elica transmembrana e un dominio citoplasmatico costituito da un dominio catalitico PTP, seguito in molti casi da un secondo dominio PTP con scarsa (o nessuna) attività catalitica. Questi domini PTP inattivi sono tuttavia molto conservati; questo induce a ritenere che abbiano una funzione importante ancora sconosciuta. Le analisi biochimiche e strutturali indicano che la dimerizzazione indotta dal ligando di una PTP simile a un recettore riduce la sua attività catalitica, probabilmente mediante un blocco dei siti attivi. Un secondo gruppo di PTP, le PTP intracellulari, contiene solo un dominio tirosina fosfatasico, affiancato da regioni con domini SH2, che partecipano a interazioni proteina-proteina. La PTP nota come SHP-2, espressa in tutte le cellule di mammifero, si lega a vari recettori fosforilati (cioè attivati da ligando) con attività tirosina chinasica. La struttura ai raggi X della SHP-2 priva dell’estremità C-terminale ha rivelato la presenza di due domini SH2, seguiti da un dominio tirosina fosfatasico (Figura 13.15). Il dominio SH2 N-terminale (N-SH2) funziona da autoinibitore tramite inserzione di un’ansa proteica (contrassegnata come D′E nella Figura 13.15) nella fessura catalitica profonda 9 Å della PTP. Quando N-SH2 riconosce e lega un gruppo di fosfo-Tyr su una proteina substrato, la sua conformazione cambia, liberando il sito catalitico PTP: in questo modo la fosfatasi può idrolizzare un altro gruppo fosfo-Tyr sulla proteina bersaglio (i recettori con attività tirosina chinasica attivati hanno di norma molti residui di Tyr fosforilati).

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Figura 13.15 Struttura ai raggi X della proteina tirosina fosfatasi SHP-2. In questo disegno il dominio N-SH2 della proteina è in colore dorato, l’ansa D’E è in rosso, il dominio C-SH2 in verde e il dominio PTP in celeste, con il motivo CX5R di 11 residui in blu. La catena laterale del residuo di Cys, essenziale per l’attività catalitica è mostrata con una struttura a sfere e bastoncini, con C in verde ed S in giallo. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Michael Eck e Steven Shoelson, Harvard Medical School. PDBid 2SHP.]

La fessura che costituisce il sito attivo delle proteina tirosina fosfatasi intracellulari come SHP-2 è troppo profonda per legarsi alle catene laterali fosforilate Ser/Thr. Tuttavia le tasche che costituiscono i siti attivi di un terzo gruppo di PTP, dette proteina tirosina fosfatasi a doppia specificità, sono relativamente poco profonde e possono legare residui di fosfo-Tyr e di fosfo-Ser/Thr. La virulenza della peste bubbonica richiede una PTP. I batteri sono privi di

PTK e quindi non producono residui di fosfo-Tyr. Le PTP sono invece espresse nei batteri del genere Yersinia, più precisamente Yersinia pestis, il patogeno che causa la peste bubbonica (la “morte nera” trasmessa dalle pulci che a partire dal VI secolo ha sterminato 200 milioni di persone; negli anni 13471350 un terzo della popolazione europea morì a causa di questo flagello). La PTP di Y. pestis (YopH), necessaria per la virulenza del batterio, è cataliticamente molto più attiva di tutte le altre PTP note. Quando il batterio inietta la proteina YopH in una cellula, le proteine cellulari contenenti residui di fosfo-Tyr sono drasticamente defosforilate. Anche se YopH e le PTP dei mammiferi hanno solo il 15% di omologia di sequenza, esse presentano un gruppo di residui invarianti e hanno anche strutture ai raggi X simili. Ciò suggerisce che un batterio Yersinia ancestrale abbia ricevuto una PTP da un eucariote. Le proteina Ser/Thr fosfatasi partecipano a molti processi regolatori. Le pro-

teina Ser/Thr fosfatasi delle cellule dei mammiferi appartengono a due famiglie proteiche: la famiglia PPP e la famiglia PPM. Le famiglie PPP e PPM non hanno alcuna relazione tra loro o con le proteina tirosina fosfatasi. L’esame delle strutture ai raggi X ha rivelato che i centri catalitici delle PPP contengono ciascuno uno ione Fe2+ (o possibilmente Fe3+) e uno ione Zn2+ (o possibilmente Mn2+), mentre i centri catalitici delle PPM contengono ciascuno due ioni Mn2+. Questi centri contenenti due ioni metallici attivano in modo nucleofilico le molecole d’acqua per defosforilare i substrati in un’unica tappa di reazione. Il membro della famiglia delle PPP chiamato fosfoproteina fosfatasi 1 (PP1), come vedremo, ha un ruolo molto importante nella regolazione del metabolismo del glicogeno (Paragrafo 16.3B). Il membro delle PPP conosciuto come PP2A partecipa a una grande varietà di processi regolatori, tra cui quelli che governano il metabolismo, la replicazione del DNA, la trascrizione e lo sviluppo. La PP2A è un eterodimero costituito da una subunità di sostegno (A) che si lega sia alla subunità catalitica (C), sia alla subunità regola-

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(a)

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(b)

Figura 13.16 Struttura ai raggi X della proteina fosfatasi PP2A. (a) Struttura di una subunità di sostegno (A) isolata. Le ripetizioni delle sequenze HEAT, che sono qui raffigurate in colori diversi, consistono ciascuna di due eliche antiparallele unite da una corta regione di collegamento. Queste regioni tengono distanziate le eliche corrispondenti, che si dispongono in modo quasi parallelo e danno origine a una superelica (un’elica costituita da eliche) con avvolgimento destrorso lunga circa 100 Å e a forma di uncino. [Per gentile concessione di Bostjan Kobe, St Vincent’s Institute of Medical Research, Fitzroy, Victoria, Australia.] (b) Struttura di un eterodimero della PP2A, con la subunità di sostegno orientata approssimativamente come nella Parte (a). Qui le subunità di sostegno (A, 589 residui) e regolatoria (B, 449 residui) sono a forma di vermicello e ognuna di esse è colorata secondo l’ordine dei colori dell’arcobaleno dal loro N-terminale (in blu) al loro C-terminale (in rosso). Inoltre, la subunità A è immersa nella sua superficie molecolare semitrasparente. La subunità catalitica (C, 309 residui) è rappresentata sotto forma di struttura a nastro (in color porpora). Si noti la stretta somiglianza strutturale delle subunità A e B. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Yigong Shi, Princeton University. PDBid 2NPP.]

toria (B). La subunità A, costituita da 15 ripetizioni imperfette di una sequenza di 39 residui detta HEAT (perché si ritrova nelle proteine chiamate Huntingtine, EF3, subunità A di PP2A e TOR1), ha una conformazione particolare in cui le ripetizioni HEAT sono collegate in modo da disporsi in una struttura solenoidale a forma di ferro di cavallo (Figura 13.16a). La struttura ai raggi X di un oloenzima (enzima completo, Figura 13.16b) PP2A rivela inaspettatamente che, nonostante l’assenza di somiglianza di sequenza, la sua subunità regolatoria è formata da otto coppie di ripetizioni simili alle HEAT disposte in modo analogo a quelle della subunità A. La subunità C si lega alla superficie concava lungo una dorsale costituita da catene laterali idrofobiche conservate che si estende attraverso le ripetizioni HEAT dalla 11 alla 15. La subunità regolatoria interagisce con le ripetizioni HEAT dalla 2 alla 8 della subunità A in modo molto simile e si lega anche alla subunità C tramite una struttura che si estende attraverso le ripetizio-

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ni (dalla 2 alla 8) simili alle HEAT. La porzione convessa e altamente acida della subunità regolatoria (parte inferiore della Figura 13.16b) viene quindi lasciata libera, il che suggerisce che questa sia la parte della proteina che interagisce con le proteine substrato. Le subunità di sostegno e catalitica di PP2A hanno entrambe due isoforme, mentre la subunità regolatoria ne ha 16. Tutto ciò porta a un’enorme varietà di combinazioni possibili negli enzimi, che sono trasferiti alle fosfoproteine bersaglio differenti in siti subcellulari distinti durante fasi diverse dello sviluppo. Questa complessità è la causa maggiore della nostra limitata comprensione di come le PP2A svolgano le loro funzioni cellulari, anche se queste proteine rappresentano solamente dallo 0,3 all’1% delle proteine cellulari totali. La famiglia PPP delle fosfatasi comprende inoltre la calcineurina (detta anche PP2B), una Ser/Thr fosfatasi attivata dal Ca2+. La calcineurina ha un ruolo fondamentale nella proliferazione delle cellule T ed è inibita dall’azione di farmaci come la ciclosporina A, impiegata per “spegnere” le funzioni del sistema immunitario dopo i trapianti di organo.

PUNTO DI VERIFICA

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• In che modo il recettore con attività tirosina chinasica si autofosforila?

• Spiegate in che modo l’ansa di attivazione governa l’accesso del substrato al sito attivo di una proteina tirosina chinasica.

• Riassumete i ruoli dei domini SH2 ed SH3, di Ras, del GTP e delle proteina chinasi nella trasmissione di un segnale da un recettore con attività tirosina chinasica (RTK) a un fattore di trascrizione.

• Qual è la funzione di GEF e di GAP nella trasduzione del segnale?

• Spiegate come funziona una cascata delle chinasi. Perché è vantaggiosa nella segnalazione ormonale?

• Qual è la funzione delle proteine di sostegno?

• Descrivete come i domini SH2 ed SH3

3 Le proteine G eterotrimeriche CONCETTI CHIAVE

• I recettori associati alle proteine G contengono sette eliche transmembrana e vanno incontro a cambiamenti conformazionali in seguito al legame di un ormone.

• Il legame di un agonista a un recettore associato a una proteina G induce la subunità α della proteina G eterotrimerica associata a scambiare il GDP con il GTP e a dissociarsi dalle subunità β e γ.

• L’adenilato ciclasi viene attivata per produrre AMP ciclico, che a sua volta attiva la proteina chinasi A.

• L’attività di segnalazione viene limitata attraverso l’azione della fosfodiesterasi che agisce sull’AMP ciclico e sul GMP ciclico.

La seconda classe principale di vie di trasduzione del segnale su cui ci soffermiamo comprende le proteine G eterotrimeriche. Queste proteine sono membri della superfamiglia di GTPasi regolatorie conosciute collettivamente come proteine G: come abbiamo già visto, esse prendono il nome dalla loro capacità di legare i nucleotidi guaninici GTP e GDP e di idrolizzare GTP a GDP + Pi. Le proteine G monomeriche sono essenziali per una grande varietà di processi, compresa la trasduzione del segnale (per esempio la Ras; Paragrafo 13.2B), il traffico intracellulare delle vescicole (Paragrafo 9.4E), la crescita dei microfilamenti di actina (Paragrafo 7.2C), la traduzione (come fattori accessori dei ribosomi; Paragrafo 27.4) e il trasferimento delle proteine alla sede finale (come componenti della particella di riconoscimento del segnale, o SRP, e del recettore dell’SRP; Paragrafo 9.4D). Le proteine G hanno motivi strutturali comuni capaci di legare i nucleotidi guaninici e di catalizzare l’idrolisi del GTP. Molte proteine G eterotrimeriche partecipano al sistema della trasduzione del segnale che consiste di tre componenti principali (Figura 13.17). 1. Recettori associati alla proteina G (GPCR), proteine transmembrana che legano i loro agonisti (per esempio un ormone) sulla porzione extracellulare; ciò induce un cambiamento conformazionale che si trasmette alla porzione citoplasmatica. 2. Proteine G eterotrimeriche, proteine ancorate alla faccia citoplasmatica della membrana plasmatica che vengono attivate da un GPCR in seguito al legame con il loro agonista. 3. Adenilato ciclasi (AC), un enzima transmembrana che viene attivato (o in alcuni casi inibito) dalle proteine G eterotrimeriche.

e la fosforilazione di residui di Tyr influenzano l’attività dei recettori con attività tirosina chinasica.

• Spiegate perché le cellule contengono numerose proteina fosfatasi e proteina chinasi.

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SCHEMA DI PROCESSO Il legame dell’ormone al suo recettore stimola GDP una proteina G 1 eterotrimerica GTP inattiva a scambiare il GDP legato con il GTP.

Ambiente extracellulare

Ormone

La proteina G si dissocia dall’adenilato ciclasi inattivandola. 4

Adenilato ciclasi GDP Recettore Citosol

Proteina G

GDP

GTP

GTP

Pi

3 La proteina G catalizza l’idrolisi del GTP a essa legato.

2 Il complesso proteina G ? GTP si dissocia dal recettore e attiva l’adenilato ciclasi in modo che produca il secondo messaggero cAMP.

ATP cAMP + PPi Risposta cellulare

Figura 13.17 Visione globale del processo di segnalazione dipendente dalla proteina G eterotrimerica. In questa via di segnalazione abbondantemente utilizzata, il legame dell’ormone al suo recettore stimola una proteina G eterotrimerica inattiva a scambiare il GDP che ha legato a sé con il GTP, innescando un processo che attiva l’adenilato ciclasi affinché produca il secondo messaggero cAMP.

Spiegate perché questa via è irreversibile.

L’AC attivata catalizza la sintesi di adenosina-3′,5′-monofosfato ciclico (3′,5′AMP ciclico o cAMP) a partire dall’ATP. NH2 NH2 N

N

H

N

N

H H O –O

P O–

O O

P O–

O O

P

O

H2C

O–

H

PPi

O H OH

O H

O H P

H HO

N

N

H2 C

adenilato ciclasi

O

H

ATP

N

N

H

O

H H OH

–O 39,59-AMP ciclico (cAMP)

A sua volta il cAMP si lega a una grande varietà di proteine e attiva molti processi cellulari. Quindi, come dimostrò per primo Earl Sutherland, il cAMP è un secondo messaggero, cioè trasmette all’interno della cellula il segnale prodotto dal ligando extracellulare. Quali sono i meccanismi mediante i quali il legame di un agonista con il recettore extracellulare induce l’attivazione dell’adenilato ciclasi e la sintesi di

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cAMP nel citosol? Nel rispondere a questa domanda vedremo che questo sistema di segnalazione ha una complessità sorprendente, che gli conferisce un’immensa capacità sia di amplificazione del segnale sia di flessibilità regolatoria.

A I recettori associati alle proteine G contengono sette eliche transmembrana I GPCR formano una delle più grandi famiglie di proteine fino a ora conosciute (più di 800 specie negli esseri umani, corrispondenti al 4% dei circa 21 000 geni). Questa famiglia comprende recettori per i nucleotidi, per i nucleosidi, per il Ca2+, per le catecolammine (Paragrafo 13.1B) e per altre ammine biogene (per esempio istamina e serotonina; Paragrafo 21.6B), per i vari eicosanoidi (Paragrafo 9.1F) e per una grande varietà di altri peptidi e ormoni proteici. Inoltre, i recettori associati alle proteine G svolgono funzioni sensoriali essenziali. Tra essi troviamo infatti i recettori olfattivi (odorato) e gustativi (gusto); si ritiene che nell’uomo ne esistano circa 460 tipi diversi. Troviamo anche le diverse proteine sensibili alla luce presenti nella retina, note col nome di rodopsine. L’importanza di questi recettori è evidente anche dal fatto che circa il 30% dei farmaci utilizzati oggi in terapia ha come bersaglio specifici GPCR. I recettori associati alle proteine G, la cui caratterizzazione fu iniziata da Robert Lefkowitz e Brian Kobilka, sono tutti proteine integrali di membrana, con sette α-eliche transmembrana la cui dimensione è uniforme e quasi generalmente compresa tra i 20 e i 27 residui, una lunghezza sufficiente ad attraversare completamente un doppio strato lipidico. I loro segmenti N- e C-terminali, che si trovano rispettivamente all’esterno e all’interno della cellula, mentre le anse che collegano le diverse eliche (tre all’esterno e tre all’interno), però, variano considerevolmente in lunghezza. Queste sono le regioni della proteina che partecipano al legame dei ligandi (sul versante extracellulare) e delle proteine G eterotrimeriche (sul versante citoplasmatico). Molti recettori associati alle proteine G sono modificati a livello post-traduzionale mediante N-glicosilazione e/o palmitoilazione di un residuo di Cys. In tal modo questi recettori sono anche delle glicoproteine legate a lipidi (Paragrafo 9.3B). La Figura 13.18 mostra la struttura del recettore associato alle proteine G b2-adrenergico (β2AR) legato a un agonista ad alta affinità chiamato BI167107 (un analogo dell’adrenalina; a destra). Il sito di legame del ligando è costituito da una porzione del nucleo a elica della proteina e dalle anse extracellulari. Al di là di questa localizzazione generica, nei vari recettori associati alle proteine G ci sono poche somiglianze nella struttura dei loro siti di legame. Questa caratteristica è in linea con l’osservazione secondo cui ogni recettore è specifico solamente per uno o pochi ligandi.

CH3

O HN HO

CH2

O CH

H3C

C

CH2

NH2+

CH3

OH BI167107

Extracellulare

Citosol

Figura 13.18 Struttura ai raggi X del recettore 𝛃2-adrenergico umano in complesso con BI167107. La struttura è vista parallelamente al piano della membrana con la sua posizione approssimativa indicata nella figura. La proteina è rappresentata con la superficie semitrasparente e la catena polipeptidica sotto forma di struttura a nastro colorata nell’ordine dei colori dell’arcobaleno dal suo N-terminale (in blu) al suo C-terminale (in rosso). Si noti il fascio delle sette eliche transmembrana quasi parallele tra loro. Il BI167107, che si lega in una cavità tra le sette eliche transmembrana del recettore aperta verso il lato extracellulare della membrana, è rappresentato in modello spaziale con C in porpora, N in blu, e O in rosso. [Basata sulla struttura ai raggi X determinata da Brian Kobilka, Stanford University. PDBid 4LDE.]

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I recettori associati alle proteine G si comportano in modo simile alle proteine allosteriche come l’emoglobina (Paragrafo 7.1). Il recettore, alternandosi tra due conformazioni discrete, una con e una senza l’agonista legato, può trasmettere un segnale all’interno della cellula. Nel caso dei recettori GPCR, questo cambiamento conformazionale viene propagato attraverso le eliche transmembrana del recettore alla porzione citoplasmatica, permettendo così il legame della proteina G eterotrimerica corrispondente. In molti casi, questo aumenta anche l’affinità del recettore associato alle proteine G per il suo agonista. Questo modello di azione del recettore è simile a quello delle proteine di trasporto di membrana (per esempio, vedi la Figura 10.13). Infatti, alcuni recettori legati alla membrana sono canali ionici che passano da una conformazione chiusa a una aperta in risposta al legame di un ligando.

B Le proteine G eterotrimeriche si dissociano in seguito ad attivazione Le proteine G eterotrimeriche, come indica il loro nome, sono costituite da subunità α, β e γ (rispettivamente di 45, 37 e 9 kD). Le strutture ai raggi X di proteine G eterotrimeriche intere sono state determinate in modo indipendente da Alfred Gilman e da Stephan Sprang (Figura 13.19) e da Heidi Hamm e Paul Sigler. La subunità α più grande, detta Gα, è costituita da due domini uniti da due polipeptidi di connessione (Figura 13.19a): (1) un dominio GTPasico altamente conservato, strutturalmente simile a quelli presenti nelle proteine G monomeriche come la Ras, conosciuto come dominio Ras-simile (o tipo Ras); (2) un dominio a elica tipico delle proteine G etero-

(a)

(b)

Extracellulare

␤2AR

Citosol





Dominio Ras-simile

Dominio a elica a

Figura 13.19 Struttura ai raggi X di una proteina G

eterotrimerica. (a) Il dominio Ras-simile della subunità Gα è colorato in rosa, con i segmenti noti come regioni di scambio I, II e III rispettivamente in verde, blu e rosso e il suo dominio elicoidale in arancione chiaro. Una molecola di GDP legata è indicata in modello spaziale con C in verde, N in blu, O in rosso e P in giallo. Il segmento N-terminale della subunità Gβ è in azzurro e ciascuna catena del suo foglietto β (elica β) ha un colore diverso. La subunità Gγ è in color oro. [Basata su una struttura ai raggi X di Alfred Gilman e Stephan Sprang, University of Texas Southwestern Medical Center. PDBid 1GP2]. (b) Struttura ai raggi X di una proteina G eterotrimerica senza nucleotide legato, in



complesso con il recettore β2-adrenergico (β2AR) che lega BI167107. Il complesso β2AR-BI167107 è rappresentato e colorato come nella Figura 13.18. La proteina G eterotrimerica è visualizzata come se fosse vista dall’alto della Parte (a) e colorata nello stesso modo, eccetto per i suoi domini di scambio che sono in rosa. La subunità Gβ (più in basso a sinistra) è orientata in modo da esporre chiaramente la sua elica β. La posizione approssimativa della membrana plasmatica è indicata dalle linee orizzontali. Si noti che il β2AR si lega, quasi esclusivamente, al dominio Ras-simile della subunità α. [Basata su una struttura ai raggi X di Brian Kobilka, Stanford University, PDBid 3SN6].

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trimeriche. Il dominio tipo Ras contiene, in una fessura molto profonda, il sito di legame del nucleotide guaninico ed è ancorato alla membrana tramite un gruppo miristilico o palmitilico, oppure entrambi, legati con legame covalente alla sua estremità N-terminale. La subunità Gβ, che è ancorata alla membrana tramite una prenilazione della sua estremità C-terminale, è costituita da un dominio a elica N-terminale seguito da un dominio C-terminale comprendente sette foglietti β antiparalleli a 4 filamenti disposti come le pale di un’elica e per questo chiamato elica 𝛃 (Figura 13.19b). La subunità Gγ è formata principalmente da due segmenti elicoidali uniti da un segmento polipeptidico (Figura 13.19b) ed è strettamente associata alla subunità Gβ lungo la sua intera estensione tramite interazioni idrofobiche. La subunità Gγ si lega alla subunità Gβ con un’affinità così elevata che la loro dissociazione può avvenire solo in condizioni denaturanti. Di conseguenza, da questo punto in poi ci riferiremo al loro complesso come Gβγ. Nello stato inattivo, una proteina G eterotrimerica mantiene la propria struttura oligomonomerica in cui la subunità Gα è legata al GDP. Tuttavia, il legame di questo complesso Gα ∙ GDP-Gβγ al rispettivo recettore GPCR unito a un agonista induce la subunità Gα a scambiare il GDP a cui è legata con il GTP. Il complesso ligando-GPCR (per esempio Figura 13.19b) funziona come fattore di scambio del nucleotide guaninico (GEF) della subunità Gα. Quando il GTP è legato a Gα, il gruppo fosforico γ del GTP favorisce le modificazioni conformazionali nelle tre parti di Gα dette regioni di scambio (switch regions) (Figura 13.19a), che provocano la dissociazione di Gα da Gβγ. Questo avviene perché il legame del gruppo fosforico γ del GTP e il legame di Gβγ a Gα si escludono a vicenda: i legami idrogeno con le catene laterali delle regioni di scambio I e II impediscono infatti a questi segmenti di interagire con le anse e i “ripiegamenti” alla base dell’elica β di Gβγ. Le regioni di scambio I e II hanno corrispettivi analoghi in altre proteine G di cui è nota la struttura. Una comparazione tra le strutture ai raggi X del complesso Gα ∙ GDP-Gβγ e della sola Gβγ indica che la struttura di quest’ultima non cambia quando si associa a Gα ∙ GDP. Tuttavia, sia Gα sia Gβγ sono attive nel processo di trasduzione del segnale; esse interagiscono con altri componenti cellulari, come illustreremo in seguito. L’effetto di attivazione delle proteine G è di breve durata, perché Gα è anche una GTPasi, cioè un enzima che catalizza l’idrolisi dello stesso GTP a cui è legato in GDP + Pi, anche se a una velocità relativamente bassa (2-3 min−1). L’idrolisi del GTP determina una riassociazione della proteina G eterotrimerica sotto forma di complesso inattivo Gα ∙ GDP-Gβγ, impedendo che avvengano risposte non controllate quando un ligando si lega a una GPCR. Le proteine G eterotrimeriche attivano altre proteine. Una cellula umana può

contenere numerosi tipi di proteine G eterotrimeriche, poiché esistono 21 tipi di subunità α, 6 tipi di subunità β e 12 tipi di subunità γ. Questa eterozigosi probabilmente permette ai vari tipi cellulari di rispondere in modo diverso a stimoli differenti. Uno dei bersagli principali del sistema delle proteine G è l’enzima adenilato ciclasi (AC; descritto più nel dettaglio nel paragrafo successivo). Per esempio, quando un complesso Gα ∙ GTP si dissocia da Gβγ, può legarsi con elevata affinità all’adenilato ciclasi (AC), attivando l’enzima. Questa proteina Gα è nota come proteina G stimolatrice, o Gsα. Altre proteine Gα, note come proteine G inibitorie, Giα, inibiscono l’attività dell’adenilato ciclasi. Le proteine eterotrimeriche Gs e Gi differiscono per le loro subunità α, ma possono in realtà contenere le stesse subunità β e γ. Altri tipi di proteine G eterotrimeriche, che agiscono tramite le loro unità Gα e Gβγ, stimolano l’apertura di canali ionici, partecipano al sistema di segnalazione del fosfoinositide (Paragrafo13.4), attivano fosfodiesterasi e proteina chinasi.

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CONCETTI DI BASE In che modo le cellule usano ATP e GTP L’attivazione e la successiva inattivazione di una proteina G costano alla cellula l’energia libera della reazione GTP n GDP + Pi. In modo simile, l’attivazione di una proteina bersaglio che viene fosforilata da una chinasi e poi defosforilata da una fosfatasi costa alla cellula l’energia libera della reazione ATP n ADP + Pi. Quindi, l’energia libera dei nucleosidi trifosfato permette alla cellula di fare qualcosa che altrimenti non sarebbe in grado di fare in risposta alla segnalazione ormonale.

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La segnalazione biochimica

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Poiché un’unica interazione agonista-recettore può attivare più di una proteina G, questo tappa della via di trasduzione del segnale serve ad amplificare il segnale extracellulare iniziale. Tipi diversi di complessi ligando-recettore possono attivare la stessa proteina G, quindi differenti segnali extracellulari determinano la stessa risposta cellulare.

C L’adenilato ciclasi sintetizza AMP ciclico per attivare la proteina chinasi A I mammiferi hanno nove diverse isoforme di adenilato ciclasi, ciascuna delle quali è espressa in modo tessuto-specifico e differisce nelle sue proprietà regolatorie. Queste glicoproteine transmembrana di circa 120 kD sono costituite da un piccolo dominio N-terminale (N), seguito da due ripetizioni di una unità costituita da un dominio transmembrana (M) seguito da due domini citoplasmatici consecutivi (C), che formano quindi la sequenza NM1C1aC1bM2C2aC2b (Figura 13.20). C1a e C2a, domini identici al 40%, si associano per formare il nucleo catalitico dell’enzima, mentre C1b, C1a e C2a legano proteine regolatorie. Per esempio, Gsα si lega a C2a attivando l’adenilato ciclasi, mentre Giα si lega a C1a e inibisce l’enzima. Altri regolatori dell’attività dell’adenilato ciclasi sono il Ca2+ e alcune Ser/Thr proteina chinasi. Chiaramente le cellule possono modulare i loro livelli di cAMP in risposta a una grande varietà di stimoli. La struttura dell’adenilato ciclasi intatta non è nota, ma studi strutturali ai raggi X dei domini catalitici indicano che Gsα ∙ GTP si lega al complesso C1a ∙ C2a tramite la sua regione di scambio II. Il legame modifica l’orientamento dei domini C1a e C2a in modo da disporre i loro residui catalitici nella posizione migliore per trasformare in modo efficiente l’ATP in cAMP. Quando Gsα idrolizza il GTP legato, la regione di scambio II modifica il proprio orientamento in modo da non potersi più legare a C2a, e l’adenilato ciclasi ritorna nella conformazione inattiva. La proteina chinasi A viene attivata dal legame di quattro molecole di cAMP.

Il cAMP è un secondo messaggero polare e liberamente diffusibile nel ci toplasma. Nelle cellule eucariotiche il suo bersaglio principale è costituito dalla proteina chinasi A (PKA, conosciuta anche come proteina chinasi cAMP-dipendente o cAPK), un enzima che fosforila i residui di Ser o Thr di numerose proteine cellulari. Queste proteine contengono tutte una se-

Ambiente extracellulare Membrana plasmatica

Figura 13.20 Rappresentazione schematica di una tipica adenilato ciclasi di mammifero. Si suppone che i domini M1 e M2 contengano ciascuno 6 eliche transmembrana. Le regioni C1a e C2a formano il nucleo catalitico pseudosimmetrico dell’enzima. Nella figura sono indicati anche i domini con i quali, secondo quanto finora noto, interagiscono varie proteine regolatorie. [Da Tesmer, J. J.G. e Sprang, S.R. (1998). Curr. Opin. Struct. Biol. 8, 713.]

Citosol

M1

M2

N C1b C

Ca2+, Ca2+ • CaM, PKA

C2b 2+

2Mg

Gsα, PKC, Gβγ

ATP

cAMP + PPi

Giα

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quenza consenso di riconoscimento per le chinasi, Arg-Arg-X-Ser/Thr-Y, dove Ser/Thr è il sito di fosforilazione, X è qualsiasi piccolo residuo e Y è un grande residuo idrofobico. In assenza di cAMP, la PKA è un tetramero inattivo costituito da due subunità regolatorie (R) e due subunità catalitiche (C), R2C2. I mammiferi hanno tre isoforme della subunità C e quattro della subunità R. Il cAMP si lega alla subunità regolatoria e causa la dissociazione dei monomeri catalitici attivi:

R2C2 + 4 cAMP 34 2C + R2 (cAMP)4 (inattivo) (attivo) Quindi, la concentrazione intracellulare di cAMP determina la quantità di PKA nella forma attiva e di conseguenza la velocità di fosforilazione dei suoi substrati. La Figura 13.21 mostra la struttura ai raggi X della subunità C di 350 residui della PKA di topo, determinata da Susan Taylor e Janusz Sowadski, legata all’ATP e a un inibitore peptidico di 20 residui. La struttura della subunità C è molto simile a quella di altre chinasi (per esempio vedi le Figure 13.5a e 13.12). Nella struttura della PKA, la profonda fessura tra i lobi è occupata dall’ATP e da un segmento del peptide inibitorio simile alla sequenza consenso di 5 residui per la fosforilazione, tranne che per il fatto che la Ser/Thr fosforilata è sostituita da Ala. La subunità C della PKA deve essere fosforilata in corrispondenza del residuo di Thr 197, che fa parte della sua ansa di attivazione, per raggiungere il massimo di attività. Il gruppo fosforico sulla Thr 197 interagisce con l’Arg 165, un residuo catalitico conservato adiacente all’Asp 166, la base catalitica che attiva il gruppo ossidrilico del bersaglio Ser/Thr della proteina substrato per la fosforilazione. In tal modo, il gruppo fosforico della Thr 197 della PKA agisce orientando i residui nel sito attivo della chinasi. La subunità R della proteina chinasi A inibisce competitivamente la sua subunità C. La subunità R ha una struttura ben definita, contenente due domini omologhi RA e RB che legano il cAMP e un segmento autoinibitorio. Nella struttura ai raggi X del complesso inattivo R2C2 (Figura 13.22), il segmento autoinibitorio è simile al substrato della subunità C e si lega nel sito attivo della subunità C (come il peptide inibitorio della Figura 13.21), in modo da impedire il legame del substrato. Quando il cAMP è presente a una concentrazione sufficiente, ciascuna subunità R lega in modo cooperativo due cAMP. Quando nel dominio RB non è presente il cAMP, questo dominio nasconde il dominio RA, impedendogli di legare il cAMP. Il legame del cAMP al dominio RB induce però un profondo cambiamento conformazionale che permette al dominio RA di legare il cAMP e che a sua volta rilascia le subunità C in forma attiva dal complesso.

Figura 13.21 Struttura ai raggi X della subunità catalitica (C) della proteina chinasi A (PKA) di topo in complesso con ATP e con un inibitore polipeptidico. La proteina, mostrata nella figura nella sua vista “standard”, forma un complesso con l’ATP e con un segmento di 20 residui di un inibitore naturale dell’enzima. Il dominio N-terminale è colorato in rosa, il dominio C-terminale in azzurro e l’”ansa di attivazione” contenente la Thr 197 è in blu. L’inibitore polipeptidico è in arancione e la sua pseudosequenza bersaglio, Arg-Arg-Asn-Ala-Ile, è in porpora (Ala che sostituisce Ser o Thr di un vero substrato è in bianco). Il substrato ATP e il gruppo fosforico della fosfo-Thr 197 sono indicati mediante modello spaziale; le catene laterali dei residui cataliticamente fondamentali, Arg 165, Asp 166 e Thr 197, sono rappresentate in forma di bastoncini, con gli atomi colorati in modo diverso (C in verde, N in blu, O in rosso e P in giallo). Si noti che la pseudosequenza dell’inibitore è vicina al gruppo fosforico γ dell’ATP, il gruppo che l’enzima trasferisce a Ser o Thr nella sequenza bersaglio. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Susan Taylor e Janusz Sowadski, University of California, San Diego. PDBid 1ATP.]

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Figura 13.22 Struttura ai raggi X dell’eterotetramero inattivo R2C2 della proteina chinasi A di topo (PKA). La struttura, mostrata in modello a nastro, è rappresentata lungo il suo doppio asse verticale con le sue subunità catalitiche (C) in alto a sinistra e in basso a destra e le sue subunità regolatorie (R) in alto a destra e in basso a sinistra. La subunità C in alto a sinistra è colorata come nella Figura 13.21 e vista approssimativamente dall’alto, e quella in basso a destra è in giallo. I domini RA e RB della subunità R in alto a destra sono colorati rispettivamente in arancione chiaro e verde chiaro, la subunità R in basso a sinistra è verde, e i segmenti autoinibitori di entrambe le subunità R sono in rosso. Le subunità R e C in basso sono immerse nelle loro immagini della superficie semitrasparente dello stesso colore. I gruppi fosforici sulla Ser 139 e Thr 197 delle subunità C sono rappresentati in modelli spaziali con O in rosso e P in giallo. Si noti che il segmento autoinibitorio di ciascuna subunità R è inserito orizzontalmente nel sito attivo della subunità C adiacente, bloccando in questo modo il legame del substrato. [Basata sulla struttura ai raggi X di Susan Taylor, University of California, San Diego. PDBid 3TNP.]

I bersagli della PKA comprendono enzimi coinvolti nel metabolismo del glicogeno. Per esempio, quando l’adrenalina si lega al recettore β-adrenergico di una cellula muscolare, l’attivazione in successione di una proteina G eterotrimerica, dell’adenilato ciclasi e della PKA determina l’attivazione della glicogeno fosforilasi, rendendo il glucosio-6-fosfato disponibile per la glicolisi, innescando così una risposta “combatti o fuggi” (Paragrafo 16.3). Ciascuna tappa di una via di trasduzione del segnale può essere regolata, quindi la natura e l’ampiezza della risposta cellulare riflettono in ultima analisi la presenza e il grado di attivazione o inibizione di tutti i componenti precedenti della via. Per esempio, la via di segnalazione dell’adenilato ciclasi può essere limitata o invertita tramite attivazione mediante legame di un ligando di un recettore associato a una proteina G inibitoria. L’attività del secondo messaggero cAMP può essere attenuata dall’azione di una fosfodiesterasi che idrolizza cAMP ad AMP (vedi più avanti). Inoltre, alcune reazioni catalizzate dalla PKA sono invertite da proteina fosfatasi che defosforilano le proteine contenenti residui fosfo-Ser e fosfo-Thr (proteine Ser/Thr fosfatasi; Paragrafo13.2D). Alcune caratteristiche della via di segnalazione dell’adenilato ciclasi sono illustrate nella Figura 13.23. Molti farmaci e tossine esercitano i loro effetti modificando i componenti del sistema dell’adenilato ciclasi (Scheda 13.4).

Una caratteristica peculiare dei sistemi di segnalazione biologica è la loro capacità di adattarsi a stimoli a lungo termine riducendo la loro risposta, un processo noto come desensibilizzazione. Questi sistemi di segnalazione rispondono quindi a variazioni nei livelli di stimolazione piuttosto che ai loro valori assoluti. Per esempio, nel caso del recettore β-adrenergico, il suo legame a un agonista come l’adrenalina porta, come abbiamo visto, all’attivazione della PKA attraverso gli intermedi Gsα, adenilato ciclasi e cAMP. La PKA attivata fosforila (tra le altre proteine) la proteina chinasi del recettore chinasi b-adrenergico [b-ARK; conosciuta anche come GPCR chinasi 2 (GRK2)], che, a sua volta, fosforila numerosi residui di Ser e Thr sulla parte C-terminale del complesso ormone-recettore, ma non del recettore libero. Il recettore fosforilato lega diverse proteine note come b-arrestine, bloccando stericamente la formazione del complesso recettore-proteina Gs e portando così a desensibilizzazione. Il complesso recettore- β-arrestina recluta anche diversi membri del macchinario di endocitosi dipendente da clatrina (Paragrafo 9.4E), favorendo l’internalizzazione del recettore in vescicole intracellulari, e diminuendo in questo modo I recettori sono soggetti a desensibilizzazione.

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SCHEMA DI PROCESSO Ambiente extracellulare

Segnale esterno inibitorio

Segnale esterno stimolatorio

7

1

Adenilato ciclasi

Rs γ sα GDP

β

β

3

GDP G

6

γ

γ

γ

sα GTP

+

4

2 GTP

Ri

H H2O

iα + GTP

10 4ATP

β

9

Citosol



β

Membrana plasmatica

GDP

11

Gsα • GDP + Pi

H 2O

Tossina colerica

Giα • GDP + Pi

8

GTP G

GDP

Tossina della pertosse

4PPi 5

ATP 15 4AMP

12 4cAMP + R2C2 PKA

cAMP fosfodiesterasi

R2 • cAMP4 + 2C

4H2O

ADP

Proteina (inattiva) 13

Pi 14

Proteina– P (attiva)

Fosfoproteina fosfatasi H2O

Risposta cellulare

Figura 13.23 Il sistema di trasmissione del segnale dell’adenilato ciclasi. Il legame dell’ormone a un recettore stimolatorio Rs (1) induce il legame con la proteina G eterotrimerica Gs, che a sua volta stimola la subunità Gsα (2) a scambiare il GDP legato con un GTP. Il complesso Gsα ∙ GTP poi si dissocia da Gβγ (3) e (4) stimola l’adenilato ciclasi (AC) a convertire l’ATP in cAMP (5). Questa stimolazione continua finché Gsα non catalizza l’idrolisi del GTP legato a GDP (6). Il legame dell’ormone al recettore inibitorio Ri (7) innesca una catena di eventi più o meno identica (8-11), se si eccettua il fatto che la presenza del complesso Giα ∙ GTP inibisce l’attività dell’adenilato ciclasi (10). Il cAMP attiva la proteina chinasi A (PKA; rappresentata da R2C2) legandosi al

dimero regolatorio e formando il complesso R2 ∙ cAMP4; a questo punto la subunità catalitica C si dissocia dal dimero regolatorio (12). La fosforilazione di varie proteine cellulari (13) catalizzata dalla chinasi determina la loro attivazione. La figura indica i siti d’azione di alcune tossine. La segnalazione viene limitata dall’azione di fosfatasi (14) e fosfodiesterasi dipendenti dal cAMp (15). Le tossine come quella colerica e della pertosse agiscono bloccando l’idrolisi del GTP sia da parte di Gsα∙ GTP (6) sia da parte di Gia ∙ GTP (8), incrementando la loro attività. Confrontate gli effetti esercitati dalla tossina colerica e dalla tossina della pertosse sulla risposta cellulare.

la sua disponibilità sulla superficie cellulare. Il recettore internalizzato viene lentamente defosforilato e ritorna sulla superficie cellulare, ripristinando la sensibilità iniziale della cellula all’adrenalina.

D Le fosfodiesterasi limitano l’attività del secondo messaggero In ogni sistema di segnalazione basato su messaggeri chimici, la molecola di segnale deve essere eliminata se si vuole controllare l’ampiezza e la durata del segnale e impedire interferenze con la ricezione dei segnali successivi. Nel caso del

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SCHEDA 13.4

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LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA

I farmaci e le tossine che influenzano le segnalazioni cellulari Alcuni processi elaborati come il sistema di trasmissione del segnale dell’adenilato ciclasi possono essere “sabotati” da vari agenti. Per esempio, i derivati metilati delle purine, la caffeina (contenuta nel caffè e nel tè), la teofillina (contenuta nel tè e usata per la cura dell’asma) e la teobromina (contenuta nel cioccolato), O X

R N

N

O

N

N CH3

R = CH3 R=H R = CH3

X = CH3 X = CH3 X=H

Caffeina (1,3,7-trimetilxantina) Teofillina (1,3-dimetilxantina) Teobromina (1,7-dimetilxantina)

sono stimolanti perché sono antagonisti dei recettori adenosinici, che inibiscono le proteine G: l’antagonismo ha come effetto un aumento della concentrazione intracellulare di cAMP. Alcune tossine batteriche hanno tuttavia un effetto letale, poiché interferiscono con le funzioni delle proteine G eterotrimeriche. La tossina rilasciata da Vibrio cholerae (il batterio che causa il colera) determina una perdita enorme di fluidi sotto forma di diarrea, che supera il litro all’ora. Le vittime muoiono per disidratazione, a meno che l’acqua e i sali perduti non siano rapidamente ripristinati. La tossina del colera, una proteina di 87 kD la cui composizione in subunità è AB5, si lega al ganglioside

GM1 (Figura 9.9) che si trova sulla superficie delle cellule intestinali, mediante le sue subunità B. Questo fattore permette alla tossina di entrare nella cellula, probabilmente attraverso un processo di endocitosi mediata da un recettore, durante il quale è rilasciato un frammento proteolitico di circa 195 residui della sua subunità A. Questo frammento catalizza il trasferimento di una unità ADP-ribosio dal NAD+ alla catena laterale di uno specifico residuo Arg di Gsa. Il complesso ADP-Gsa ribosilato ∙ GTP può attivare l’adenilato ciclasi, ma non è in grado di idrolizzare il GTP legato (Figura 13.23). Di conseguenza, l’adenilato ciclasi è bloccata nel suo stato attivo e i livelli intracellulari di cAMP aumentano di circa 100 volte. Le cellule intestinali, che normalmente rispondono a piccoli aumenti della concentrazione di cAMP secernendo fluido digestivo (una soluzione ricca di sali di HCO3−), riversano all’esterno enormi quantità di questo fluido in risposta alle elevate concentrazioni di cAMP. Altre tossine batteriche agiscono in modo simile. Alcuni ceppi di E. coli causano una diarrea simile a quella del colera, ma meno grave, tramite la produzione di un’enterotossina instabile al calore, una proteina molto simile alla tossina colerica (le loro subunità A e B sono identiche per oltre l’80%) e con lo stesso meccanismo d’azione. La tossina della pertosse (secreta da Bordetella pertussis, il batterio che causa la pertosse, o “tosse convulsa”, una patologia che è responsabile in tutto il mondo della morte di circa 400 000 bambini all’anno) è una proteina AB5, omologa alla tossina colerica, che catalizza l’aggiunta di un gruppo ADP-ribosilico a uno specifico residuo di Cys situato su Gia. La Gia modificata non può scambiare il suo GDP legato con il GTP, e quindi non è in grado di inibire l’adenilato ciclasi (Figura 13.23). O

Gsa

C NH2

(CH2)3 +

Arg

NH

N H

NH+2

C

tossina del colera

NH2 O +

Nicotinamide Gsa (CH2)3

+

C

NH

NH2 O Adenosina

O

O

P

O

P



+

O

N

CH2 O

O +

NAD

Adenosina

O

P

H H

H

H OH OH

O

C NH+2

O O





O

O

P

O

NH

CH2 O



O

H H

H

H OH OH

ADP-Gsa ribosilato

cAMP, questo secondo messaggero viene idrolizzato ad AMP da enzimi noti come cAMP-fosfodiesterasi (cAMP-PDE). La superfamiglia delle PDE, che comprende sia le cAMP-PDE sia le cGMP-PDE (il cGMP è l’analogo guaninico del cAMP), nei mammiferi è codificata da almeno 20 geni differenti raggruppati in 12 famiglie (da PDE1 a PDE12). Inoltre, molti degli mRNA trascritti da questi geni hanno

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siti di inizio alternativi e siti di splicing alternativo (Paragrafo 26.3B). In tal modo i mammiferi arrivano a esprimere 50 diverse isoforme di PDE. Questi enzimi sono distinguibili a CH3 CH2 livello funzionale sulla base delle loro specificità di substrato (specifiche per il cAMP o per il cGMP o per entrambi), delle proprietà cinetiche e delle loro risposte (o mancanza di risposte) a diversi attivatori e inibitori (vedi più avanti), ma O anche sulla base delle loro distribuzioni tissutali e cellulari, nonché delle localizzazioni intracellulari. Le fosfodiesterasi hanno strutture molecolari caratteristiche, con un dominio catalitico conservato di circa 270 residui localizzato in prossimità del loro C-terminale e domini regolatori o motivi ampiamente divergenti nelle loro porzioni N-terminali. Alcune PDE sono ancorate alla membrana, mentre altre sono citosoliche. L’attività delle fosfodiesterasi, come ci si può aspettare, è controllata in modo molto elaborato. A seconda dell’isoforma, una fosfodiesterasi può essere attivata da una o più varietà di agenti, compresi lo ione Ca2+, la fosforilazione da parte della PKA e della proteina chinasi stimolata dall’insulina. Le PDE fosforilate vengono poi defosforilate da numerose proteina fosfatasi. Le fosfodiesterasi forniscono così un mezzo per creare dialoghi molecolari incrociati tra vie di segnalazione che utilizzano i sistemi di segnalazione basati sul cAMP e quelle che riconoscono altri tipi di segnali. Le PDE sono inibite da una grande varietà di farmaci che hanno effetto su un’altrettanto vasta gamma di patologie quali asma, infarto cardiaco congestizio, depressione, disfunzioni erettili, infiammazione e degenerazione della retina. Il sildenafil (il cui nome commerciale è Viagra, in alto a destra), un composto utilizzato per trattare la disfunzione erettile, inibisce in modo specifico la PDE5 (fosfodiesterasi 5), che idrolizza solo il cGMP. La stimolazione sessuale causa, nei maschi, il rilascio di ossido nitrico (NO) da parte dei nervi del pene. L’NO, a sua volta, attiva la guanilato ciclasi a produrre cGMP dal GTP. Il cGMP induce il rilassamento della muscolatura liscia vascolare nei vasi del pene, facendo accrescere così l’afflusso di sangue. Tutto ciò porta infine all’erezione. Il cGMP così prodotto viene poi idrolizzato dalla PDE5. Il sildenafil costituisce quindi un efficace trattamento per gli uomini che producono quantità insufficienti di NO e quindi di cGMP per poter raggiungere un’erezione soddisfacente.

4 La via del fosfoinositide CONCETTI CHIAVE

• La trasduzione del segnale attraverso la via del fosfoinositide genera il secondo messaggero inositolo trifosfato, che causa il rilascio di Ca2+, e il diacilglicerolo. Quest’ultimo attiva la proteina chinasi C.

• In presenza di Ca2+, la calmodulina si associa e attiva le sue proteine bersaglio. • Il legame ai lipidi attiva la PKC. • Un ormone può attivare molte vie di trasduzione del segnale, scatenando una varietà di risposte intracellulari.

Una discussione sulle vie di trasduzione del segnale sarebbe incompleta se non considerassimo la via del fosfoinositide, che media gli effetti di un’ampia gamma di ormoni. Questa via di segnalazione richiede un GCPR, una proteina G eterotrimerica, una specifica chinasi e un glicerofosfolipide fosforilato, un componente poco rappresentato dello strato interno della membrana plasmatica. In questa via sono prodotti tre secondi messaggeri: l’inositolo-1,4,5-trisfosfato (IP3), il Ca2+ e l’1,2-diacilglicerolo (DAG).

O

CH3 N

HN

O

N N

S

461

CH2

CH2

CH3

O

N

N CH3 Sildenafil (Viagra)

PUNTO DI VERIFICA

• Riassumete le tappe della trasduzione del segnale da un GPCR alla fosforilazione di proteine bersaglio da parte della PKA.

• Spiegate perché un GPCR può essere considerato una proteina allosterica.

• Descrivete in che modo le proteine G vengono attivate e inattivate. Quali proteine agiscono come un GEF?

• Qual è la funzione di un secondo messaggero come il cAMP?

• Come è regolata l’attività della PKA? • In che modo l’attività della PKA ha effetto sulla cellula?

• Perché il sistema di segnalazione dell’adenilato ciclasi comprende le fosfodiesterasi?

• Quali altri fattori limitano o terminano la segnalazione attraverso i GPCR?

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A L’associazione del ligando al recettore determina il rilascio dei secondi messaggeri IP3 e Ca2+ L’associazione dell’agonista al recettore, come per esempio il legame dell’adrenalina al recettore α1-adrenergico, attiva una proteina G eterotrimerica, Gq, la cui subunità α ancorata alla membrana e unita al GTP diffonde lateralmente lungo la membrana plasmatica per attivare l’enzima fosfolipasi C (PLC; Figura 13.24, in alto a sinistra). La PLC attivata catalizza l’idrolisi del fosfatidilinositolo-4,5-bisfosfato (PIP2) a livello del suo legame glicerofosforico (Paragrafo 9.1C), producendo inositolo-1,4,5-trisfosfato (IP3) e 1,2-diacilglicerolo (DAG; Figura 13.25). La PLC, che nei mammiferi è costituita da un gruppo di 13 isozimi, alcuni dei quali sono varianti derivate da forme di splicing, necessita della presenza del Ca2+ per esplicare l’attività enzimatica. La PLC ha un bordo idrofobico costituito da tre anse proteiche che si ritiene penetri nella regione non polare della membrana durante SCHEMA DI PROCESSO Ambiente extracellulare Segnale esterno 1

Membrana plasmatica 3

PIP2

R γ qα GDP

DAG

γ β

β 2

qα GTP

+

Fosfolipasi C (PLC)

DAG 6

PS

Proteina chinasi C (PKC)

8 GTP

H2O

GDP

Proteina (inattiva)

7

Proteina– P (attiva)

GD GDP + Pi ATP

Risposta cellulare

ADP ADP

Pi

IP2

9

H2O ATP

inositolo polifosfato 5-fosfatasi

IP3

CaM 4

Ca2+ 5

Ca2+ – CaM chinasi

Proteina (inattiva)

IP3

Membrana del RE Citosol

Canale di trasporto del Ca2+

Ca2+

Lume del reticolo endoplasmatico

controllato dall’IP3

Figura 13.24 Il sistema di segnalazione del fosfoinositide. L’associazione di un ligando a un recettore R sulla superficie cellulare (1) attiva la fosfolipasi C (PLC) tramite la proteina G eterotrimerica Gq (2). La fosfolipasi C attivata catalizza l’idrolisi del PIP2 a IP3 e DAG (3). L’IP3 idrosolubile stimola il rilascio di Ca2+ dal reticolo endoplasmatico (4), che a sua volta attiva numerosi processi cellulari attraverso la calmodulina (CaM; 5). Il DAG non polare resta associato alla membrana, in cui attiva la proteina chinasi C (PKC; 6) per fosforilare e quindi regolare le attività di

numerose proteine cellulari (7). L’attivazione della PKC richiede anche la presenza del lipide di membrana fosfatidilserina (PS) e del Ca2+. La segnalazione del fosfoinositide viene limitata dall’idrolisi del GTP su qα (8) e dalla inositolo polifosfato 5-fosfatasi, che agisce sull’IP3 (9) formando IP2. Quali componenti del sistema di segnalazione sono legati alla membrana e quali invece sono solubili?

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OR1

OR2

CH2

CH

OR1

OR2

CH2

CH

CH2 OH

CH2

Diacilglicerolo (DAG)

O O

P

HO H

H HO H OH H H

+

fosfolipasi C

O

O–

2– OPO3

H

OPO2– 3

Fosfatidilinositolo-4,5bisfosfato (PIP2)

H2O

–2

O3PO

HO H

H

H HO OH H H

OPO2– 3 H

OPO2– 3

Inositolo-1,4,5trisfosfato (IP3)

la catalisi. Questo spiegherebbe perché l’enzima può catalizzare l’idrolisi del PIP2 e contemporaneamente permettere che il prodotto di reazione, il DAG, resti associato alla membrana. La molecola carica IP3 è un secondo messaggero idrosolubile. L’idrolisi del PIP2

mette in moto gli eventi sia citoplasmatici sia legati alla membrana. Mentre il DAG agisce come secondo messaggero nella membrana (Paragrafo 13.4C), l’IP3 diffonde attraverso il citoplasma fino a raggiungere il reticolo endoplasmatico (RE), dove si lega e induce l’apertura di un canale di trasporto del Ca2+ (un esempio di recettore che è anche un canale ionico), permettendo così l’efflusso di Ca2+ dal RE. Tutto ciò causa l’aumento della concentrazione citosolica del Ca2+, che passa da circa 0,1 µM a 10 µM. L’aumento di Ca2+ a sua volta innesca diversi processi intracellulari, come la mobilizzazione del glucosio e la contrazione muscolare, attraverso l’intermediazione della proteina che lega il Ca2+ chiamata calmodulina (vedi più avanti) e altre simili. Il RE contiene, immerse nella sua membrana, delle Ca2+-ATPasi che pompano attivamente Ca2+ dal citosol indietro nel RE (Paragrafo 10.3B). In assenza di IP3, la concentrazione citosolica di Ca2+ ritorna rapidamente ai suoi livelli basali.

B La calmodulina è un modulatore attivato dal Ca2+ La calmodulina (CaM) è una proteina eucariotica ubiquitaria che lega il Ca2+ e che partecipa a numerosi processi regolatori cellulari. In alcuni casi la CaM agisce come proteina monomerica presente in soluzione in forma libera, mentre in altri è una subunità di una proteina più grande. La struttura ai raggi X di questa proteina altamente conservata di 148 amminoacidi ha una forma peculiare, simile a un manubrio, in cui due domini globulari strutturalmente simili sono collegati da una struttura ad α-elica di sette giri (Figura 13.26). Si noti la somiglianza strutturale tra la CaM e la subunità che lega il Ca2+ TnC della proteina muscolare troponina (Figura 7.31).

Figura 13.26 Struttura ai raggi X della calmodulina di testicolo di ratto. Questa proteina monomerica di 148 residui, colorata secondo l’ordine dei colori dell’arcobaleno dal suo N-terminale (in blu) al suo C-terminale (in rosso), contiene due domini globulari molto simili tra loro, separati da una struttura ad α-elica di sette giri. I due ioni Ca2+ legati a ogni dominio sono rappresentati da sfere bianche. Le catene laterali che legano gli ioni Ca2+ sono raffigurate a forma di bastoncino e sono colorate a seconda del tipo di atomi (gli atomi di C sono in verde, di N in blu e di O in rosso). [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Charles Bugg, University of Alabama, Birmingham. PDBid 3CLN.]

463

Figura 13.25 La reazione catalizzata dalla fosfolipasi C (PLC). La fosfolipasi C scinde il PIP2 formando diacilglicerolo (DAG) e inositolo-1,4,5-trisfosfato (IP3), entrambi secondi messaggeri. (I prefissi bis e tris indicano rispettivamente due e tre gruppi fosforici legati separatamente all’inositolo; nei di- e trifosfati i gruppi fosforici sono legati uno dopo l’altro.)

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Figura 13.27 La mano EF. I siti di legame per il Ca2+ in molte proteine che agiscono da sensori per il livello del calcio sono costituiti da motivi elica-ansa-elica, detti “mano EF”. [Kretsinger, R. H. (1976). Annu. Rev. Biochem. 45, 241.] Elica E

Ca2+ Elica F

Ognuno dei due domini globulari della CaM contiene due siti di legame ad alta affinità per il Ca2+. Lo ione Ca2+ in ciascuno dei due siti è coordinato ottaedricamente con gli atomi di ossigeno dello scheletro covalente della proteina e delle catene laterali degli amminoacidi, ma anche di una molecola di acqua associata alla proteina. Ciascuno di questi siti di legame per il Ca2+ è costituito da un motivo strutturale elica-ansa-elica, quasi sovrapponibile, conosciuto come mano EF (EF hand; Figura 13.27), che forma i siti di legame per il Ca2+ anche in numerose altre proteine di cui è nota la struttura. La CaM-Ca2+ attiva le sue proteine bersaglio attraverso un meccanismo intrasterico. Il legame del Ca2+ a uno dei due domini della CaM induce nel domi-

Mano EF

nio una modificazione conformazionale che porta all’esposizione di una superficie idrofobica ricca di Met, normalmente “sepolta” all’interno della proteina. Questa zona, a sua volta, si lega con elevata affinità ai domini che legano la CaM di molte altre proteina chinasi regolate dal Ca2+. Questi domini che legano la CaM hanno scarse omologie di sequenza tra loro, ma tutti contengono α-eliche anfifiliche basiche. Nonostante la CaM sembri all’apparenza una proteina con una struttura piuttosto semplice (Figura 13.26), vari studi indicano che entrambi i suoi domini globulari si legano a una singola elica bersaglio. Questo è stato confermato dalla struttura ottenuta tramite NMR (Figura 13.28) dei complessi formati da (Ca2+)4-CaM e da un polipeptide bersaglio, un segmento della chinasi del-

(a)

(b)

Figura 13.28 Struttura determinata mediante l’ NMR della calmodulina unita a un polipeptide bersaglio. Il dominio N-terminale della CaM (del moscerino della frutta Drosophila melanogaster) è in blu, il dominio C-terminale è in rosso, il polipeptide bersaglio di 26 residui tratto dalla chinasi della catena leggera della miosina (MLCK) di muscolo scheletrico di coniglio è in verde, e gli ioni Ca2+ sono rappresentati da sfere azzurre. (a) Immagine del complesso con l’estremità N-terminale del polipeptide bersaglio a destra. (b) Immagine perpendicolare del complesso, vista dal lato destro della struttura mostrata

in (a). In entrambe le immagini lo pseudo-doppio asse di simmetria che collega i domini N- e C-terminale della CaM è approssimativamente verticale. Si noti che il segmento che unisce i due domini è srotolato e curvato [l’ansa inferiore è nella Parte (b)] per far sì che la CaM formi una proteina globulare in grado di racchiudere il polipeptide bersaglio con struttura a elica all’interno di un tunnel idrofobico (in modo simile a due mani che tengono una corda). [Basata su una struttura determinata mediante NMR da Marius Clore, Angela Gronenborn e Ad Bax, National Institutes of Health. PDBid 2BBM.]

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la catena leggera della miosina (MLCK) di muscolo scheletrico. Questo enzima, un omologo della subunità C della PKA, fosforila e quindi attiva le catene leggere della proteina muscolare miosina (Paragrafo 7.2A). Si è così rilevato che l’α-elica centrale della CaM si comporta come una fune flessibile, piuttosto che come uno spaziatore rigido, caratteristica che probabilmente aumenta la gamma delle sequenze polipeptidiche a cui la CaM si può legare. I risultati sperimentali dimostrano che entrambi i domini globulari della CaM sono necessari per l’azione della calmodulina sulle sue proteine bersaglio: i domini separati mediante digestione proteolitica con tripsina si legano ai loro peptidi bersaglio, ma non sono in grado di attivare l’enzima. In che modo la Ca2+-CaM attiva le sue proteine bersaglio? La MLCK contiene un segmento C-terminale la cui sequenza assomiglia a quella del polipeptide bersaglio della MLCK sulla catena leggera della miosina, ma manca del sito di fosforilazione. Il modello della MLCK, basato su una struttura ai raggi X della subunità C della PKA che presenta un 30% di omologia, suggerisce che questo segmento di MLCK agisca da autoinibitore legandosi nel sito attivo della chinasi. Infatti, la rimozione del peptide autoinibitore della MLCK tramite proteolisi controllata attiva in modo permanente l’enzima. Il segmento di legame della Ca2+-CaM della MLCK si sovrappone al peptide autoinibitorio. Pertanto, il legame della Ca2+-CaM al suo segmento peptidico estrae il peptide autoinibitore dal sito attivo della MLCK, attivando quindi lÕenzima (Figura 13.29).

SCHEMA DI PROCESSO Proteina chinasi che si lega alla CaM

Dominio catalitico

Inattiva

Dominio regolatorio Sito di legame della CaM

La Ca2+-CaM si lega al suo sito di legame sul dominio regolatorio di una proteina chinasi in modo da estrarlo dal sito attivo, attivando così l’enzima.

Ca2+– CaM

1 Attiva

Sito attivo

Il sito attivo esposto della proteina chinasi lega una proteina substrato.

2

Proteina substrato

ATP Le proteine substrato vengono fosforilate, inducendo una 3 risposta cellulare.

ADP P

Risposta cellulare

Figura 13.29 Rappresentazione schematica dell’attivazione

Ca2+-CaM dipendente delle proteina chinasi. Le chinasi autoinibite hanno una sequenza “pseudosubstrato” (in rosa) in corrispondenza dell’N- o del C-terminale che si lega all’interno o vicino al sito attivo dell’enzima (in ocra), inibendo la sua funzione. Il segmento autoinibitorio si trova molto vicino

o si sovrappone alla sequenza di legame della Ca2+-CaM. Conseguentemente, la Ca2+-CaM (in verde) si lega alla sequenza in modo da estrarla dal sito attivo dell’enzima, attivando così l’enzima stesso a legare e fosforilare altre proteine (in viola), inducendo una risposta cellulare. [Da Crivici, A. e Ikura, M. (1995). Annu. Rev. Biophys. Struct. 24, 88.]

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Altre proteine bersaglio della Ca2+-CaM vengono presumibilmente attivate nello stesso modo. Infatti, la struttura ai raggi X di diverse proteina chinasi omologhe supporta questo processo detto meccanismo intrasterico. Mentre i dettagli del legame della sequenza autoinibitoria sono diversi per ciascuna proteina chinasi, il processo di autoinibizione e di attivazione da parte di Ca2+CaM è lo stesso. La subunità R della PKA, come abbiamo già visto (Paragrafo 13.3C), contiene una sequenza autoinibitoria simile in posizione adiacente ai suoi due doppi domini di legame del cAMP. In questo caso, però, il peptide autoinibitorio viene espulso allostericamente dal sito attivo della subunità C tramite il legame del cAMP alla subunità R (che è priva di un sito di legame della Ca2+-CaM).

C Il DAG è un secondo messaggero liposolubile che attiva la proteina chinasi C Il secondo prodotto della reazione catalizzata dalla fosfolipasi C, il diacilglicerolo (DAG), è un secondo messaggero liposolubile; esso rimane inserito nella membrana plasmatica, dove attiva la proteina chinasi C (PKC) associata alla membrana e va a fosforilare varie proteine cellulari, modulandone quindi l’attività (Figura 13.24, a destra). Si conoscono numerosi isozimi della PKC, diversi per espressione tissutale, localizzazione intracellulare e richiesta di diacilglicerolo per l’attivazione. In condizioni di non stimolazione, la PKC è una proteina citosolica fosforilata. Il diacilglicerolo aumenta l’affinità della PKC per la membrana e aiuta a stabilizzarne la conformazione attiva. Le attività catalitiche della PKC e della PKA sono simili: entrambe le chinasi fosforilano infatti residui di Ser e di Thr. La struttura ai raggi X del segmento della PKC legato al DAG mostra che il motivo a 50 residui è per la maggior parte tenuto insieme da due ioni Zn2+, ciascuno dei quali è legato in una struttura tetraedrica da una catena laterale His e tre Cys (Figura 13.30). Un analogo del DAG, il forbolo-13-acetato, O

HO H3C

18

H3C

2 3

O

1

10

11 9

OH

4

OH

5

12

H

O 13 14

15

C CH3 CH3 17

CH3 16

8 7

6

CH2OH

Forbolo-13-acetato

si lega in una stretta fessura tra due lunghe anse non polari. Pochissime proteine solubili hanno una regione non polare continua così lunga: questo suggerisce che questa parte della PKC si inserisca nella membrana. La completa attivazione della PKC richiede fosfatidilserina (che è presente solo nello strato citoplasmatico della membrana plasmatica, Figura 9.32) e, in alcuni casi, Ca2+ (presumibilmente reso disponibile dall’azione del secondo messaggero IP3). Come altri sistemi di segnalazione, il sistema del fosfoinositide è limitato dalla distruzioFigura 13.30 Struttura ai raggi X di una parte della proteina chinasi C unita al forbolo13-acetato. La proteina lega con una struttura tetraedrica due ioni Zn2+ (sfere celesti) mediante catene laterali di His e di Cys (rappresentate in forma di sfere e bastoncini). Il forbolo-13-acetato (in alto), la cui struttura assomiglia molto a quella del ligando naturale diacilglicerolo, si lega tra due anse proteiche non polari. Gli atomi sono colorati nel modo seguente: C in verde, N in blu e O in rosso. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da James Hurley, NIH. PDBid 1PTR.]

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ne dei suoi secondi messaggeri, per esempio tramite l’azione dell’inositolo polifosfato 5-fosfatasi (Figura 13.24, in basso a sinistra). La PLC agisce su diversi fosfolipidi, rilasciando secondi messaggeri differenti.

I fosfolipidi contenenti colina idrolizzati dalla fosfolipasi C producono diacilgliceroli differenti da quelli rilasciati dal PIP2 e con effetti diversi sulla PKC. La sfingosina, un altro lipide che funziona come secondo messaggero e che è rilasciato dagli sfingolipidi, inibisce la PKC. In alcune cellule la via di segnalazione del fosfoinositide produce un diacilglicerolo, prevalentemente 1-stearil-2-arachidonil-glicerolo. Questa molecola è ulteriormente degradata ad arachidonato, precursore degli eicosanoidi attivi biologicamente (le prostaglandine e i trombossani; Figura 9.12), e quindi la via del fosfoinositide produce fino a quattro secondi messaggeri differenti. In altre cellule l’IP3 e il diacilglicerolo sono rapidamente riciclati per riformare PIP2 nello strato interno della membrana. Alcuni recettori con attività tirosina chinasica attivano una forma di fosfolipasi C che contiene due domini SH2. Questo è un esempio di cross talk tra diverse vie di trasduzione del segnale.

D Epilogo: i sistemi complessi hanno proprietà emergenti I sistemi complessi sono, per definizione, difficili da comprendere e provare. Tra gli esempi più familiari di questi sistemi vi sono il sistema meteorologico della Terra, le economie delle grandi nazioni, i sistemi ecologici di ambienti anche di modeste dimensioni e il cervello umano. I sistemi di trasduzione dei segnali biologici, come vi sarete ampiamente resi conto durante la lettura di questo capitolo, sono dei sistemi complessi. Quindi, un segnale ormonale viene trasdotto di norma attraverso diverse vie di segnalazione intracellulare, ciascuna costituita da numerosi componenti, molti dei quali interagiscono con i componenti di altre vie di segnalazione. Per esempio, il sistema di segnalazione dell’insulina (Figura 13.31), sebbene non sia stato ancora pienamente definito, è chiaramente molto complesso. Una volta legata l’insulina, il recettore dell’ormone si autofosforila a livello di diversi residui di Tyr (Paragrafo 13.2A), dopodiché fosforila le Tyr di proteine bersaglio, attivando così diverse vie di segnalazione che controllano una vasta gamma di effetti.

1. La fosforilazione della proteina adattatore Shc, che genera un sito di legame per il dominio SH2 di Grb2, porta alla stimolazione di una cascata di MAP chinasi (Paragrafo 13.2B) che va a influenzare la crescita e il differenziamento cellulare. 2. La fosforilazione di Gab-1 (Grb2-associated binder-1, proteina di legame associata a GRB-2) attiva in modo simile la cascata di MAP chinasi. 3. La fosforilazione delle proteine substrato del recettore dell’insulina (proteine IRS; Paragrafo 13.2A) determina l’attivazione degli enzimi, come per esempio la fosfoinositide 3-chinasi (PI3K). Questi enzimi aggiungono un gruppo fosforico al gruppo 3′-OH di un fosfatidilinositolo, spesso il 4,5-bisfosfato mostrato nella Figura 13.25. Il lipide fosforilato in posizione 3 attiva la proteina chinasi fosfoinositide-dipendente-1 (PDK1), che a sua volta dà inizio a una cascata che porta alla sintesi del glicogeno (Paragrafo 16.3C) e alla traslocazione di GLUT4 sulla superficie delle cellule che rispondono all’insulina (Paragrafo 22.2), oltre ad avere effetti sulla crescita e sul differenziamento cellulare. 4. La fosforilazione del complesso APS/Cbl (APS sta per proteina adattatore contenente domini omologhi alle plekstrine e domini SH2; Cbl è una proteina di collegamento che lega SH2 ed SH3 prodotta da un proto-oncogene) porta alla stimolazione di TC10 (una proteina G monomerica) e alla regolazione PI3K-indipendente del trasporto del glucosio, in cui si ha la partecipazione delle zattere lipidiche (Paragrafo 9.4C).

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Insulina

Membrana plasmatica Raf1

Ras

1 Shc

Sos Grb2

pY

4 APS/Cbl

pY 2 Gab-1

SHP-2

IR

pY

pY

CAP pY

TC10

pY

3 Proteine IRS

pY

C3G

CrkII

pY PI3K

SHP-2

MEK

Zattere lipidiche

pY pY Fyn PDK1

MAPK

mTOR

PKB/Akt PKCζ PKCλ

Jun

Myc Fos

p90rsk

Chinasi S6

GSK3β

AS160

S6

DNA/RNA/sintesi proteica

Sintesi del glicogeno

Crescita e differenziamento cellulare Figura 13.31 La trasduzione del segnale dell’insulina. Il legame dell’insulina al suo recettore (IR) induce la fosforilazione di residui di tirosina (pY) che attiva la MAPK attraverso l’attivazione preventiva di Shc (1) e Gab-1 (2). La cascata chinasica indotta da MAPK regola l’espressione di geni coinvolti nella crescita e nel differenziamento cellulare. La fosforilazione delle proteine IRS (3) attiva la cascata enzimatica innescata da PI3K che porta a cambiamenti dello stato di fosforilazione di alcuni enzimi, stimolando la sintesi del glicogeno e altre vie metaboliche. La cascata PI3K partecipa inoltre al controllo del traffico vescicolare, determinando la traslocazione del trasportatore del glucosio GLUT4 in direzione della superficie cellulare e aumentando quindi la velocità di trasporto del glucosio all’interno della cellula. Un controllo sul trasporto del glucosio è esercitato anche dal sistema APS/CbI (4), in un modo indipendente dalla PI3K e che coinvolge

Trasporto del glucosio Metabolismo

invece le “zattere lipidiche” (Paragrafo 9.4C). Altri simboli: Myc, Fos e Jun (fattori di trascrizione), SHP-2 (una proteina SH2 contenente la proteina tirosina fosfatasi o PTP), CAP (una proteina associata a CbI), C3G (un fattore di scambio di nucleotidi guaninici, o GEF), CrkII (una proteina che funziona come adattatore, e che contiene SH2/SH3), PDK1 (una proteina chinasi-1 dipendente dal fosfoinositide), PKB (proteina chinasi B, detta anche Akt), GSK3𝛃 (glicogeno sintasi chinasi-3β, che viene inibita dalla fosforilazione a opera di PKB), mTOR (mammalian target of rapamycin, proteina bersaglio della rapamicina espressa nei mammiferi), una proteina chinasi collegata a PI3K; la rapamicina è un agente immunosoppressore, S6 (una subunità proteica della subunità più piccola dei ribosomi eucariotici, la cui fosforilazione stimola la traduzione), e PKCζ e PKCλ (isoforme atipiche della proteina chinasi C). [Da Zick, Y. (2001). Trends Cell Biol. 11, 437.]

Attivando vie multiple, un ormone come l’insulina è quindi in grado di scatenare una varietà di effetti fisiologici che non sarebbero possibili in un sistema regolatorio del tipo “un ormone-un bersaglio”. La comprensione di un sistema complesso richiede un approccio di tipo integrato. L’approccio predominante nella scienza è di tipo riduttivo: il tentativo

di comprendere un sistema attraverso lo studio dei suoi componenti. I chimici e i biochimici spiegano così le proprietà di una molecola in base alle proprietà

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degli atomi che la compongono, i biologi cellulari spiegano la natura delle cellule in base alle proprietà delle macromolecole che le compongono e i biologi spiegano le caratteristiche degli organismi multicellulari utilizzando le proprietà delle cellule che li compongono. I sistemi complessi posseggono però proprietà emergenti che non sono facilmente prevedibili in base all’analisi delle parti che li compongono (per esempio, l’intero è più grande della somma delle sue parti). Infatti, la vita stessa è una proprietà emergente che deriva dalle numerose reazioni chimiche che avvengono all’interno di una cellula. Per chiarire le proprietà emergenti di un sistema complesso è necessario un approccio di tipo integrativo. Per i sistemi di trasduzione del segnale, questo tipo di approccio dovrebbe essere in grado di determinare in che modo ciascuno dei componenti di ogni via di segnalazione in una cellula interagisce con tutti gli altri componenti nelle condizioni che ognuno di questi componenti sperimenta all’interno del suo ambiente circostante. Le tecniche attualmente esistenti per poter fare ciò sono, a dir poco, approssimative. Inoltre, questi sistemi non sono affatto statici, ma variano nel tempo in risposta a programmi cellulari e dell’organismo. Di conseguenza, i mezzi per la comprensione delle prestazioni olistiche dei sistemi di trasduzione del segnale cellulare sono solo alle prime fasi di sviluppo. È verosimile che questo tipo di comprensione abbia importanti conseguenze e risvolti biomedici, dal momento che molte patologie, tra cui il cancro, il diabete e molte malattie neurologiche, sono causate da malfunzionamento dei sistemi di trasduzione del segnale.

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PUNTO DI VERIFICA

• Descrivete il modo in cui il legame del ligando a un recettore porta alla produzione di IP3 e DAG e al rilascio di Ca2+.

• Quali componenti del sistema di segnalazione del fosfoinositide sono solubili e quali, invece, sono associati alla membrana?

• In che modo la calmodulina attiva le proteine bersaglio?

• Spiegate perché l’attività della PKC richiede componenti di membrana.

• Descrivete i meccanismi che limitano la segnalazione attraverso la via del fosfoinositide.

• Confrontate le Figure 13.7, 13.23 e 13.24. Che cos’hanno in comune tutte queste vie? In che cosa, invece, si differenziano?

• In che modo i sistemi di segnalazione biologica suggeriscono l’idea che l’intero sia più grande della somma delle sue parti?

RIASSUNTO 1 Gli ormoni

3 Le proteine G eterotrimeriche

• Gli ormoni prodotti dalle ghiandole endocrine e da altri tessuti regolano diversi processi fisiologici. Gli ormoni polipeptidici insulina e glucagone controllano il metabolismo dei combustibili. Le risposte del tipo “combatti o fuggi” sono governate dal legame dell’adrenalina e della noradrenalina ai recettori α- e β-adrenergici; gli ormoni steroidei regolano lo sviluppo e la funzione sessuale; l’ormone della crescita stimola direttamente e indirettamente la crescita. • I segnali ormonali interagiscono con i tessuti bersaglio legandosi ai recettori che trasducono il segnale all’interno della cellula.

• I recettori associati alle proteine G (GPCR) sono caratterizzati da una struttura con sette eliche transmembrana. Dopo il legame con l’agonista, questi recettori subiscono un cambiamento conformazionale che attiva una proteina G eterotrimerica. • La proteina G scambia il GDP con il GTP e si dissocia. Le unità Gα e Gβγ possono attivare o inibire bersagli come l’adenilato ciclasi, che produce il cAMP, l’attivatore della proteina chinasi A (PKA). • L’attività di segnalazione viene limitata dalla distruzione del secondo messaggero.

2 I recettori con attività tirosina chinasica

• Nella via del fosfoinositide il recettore dell’ormone è associato alla proteina G, la cui attivazione determina a sua volta la fosfolipasi C. Questo enzima catalizza l’idrolisi del fosfatidilinositolo-4,5-bisfosfato, producendo due secondi messaggeri. • L’inositolo-1,4,5-trisfosfato (IP3), un secondo messaggero solubile, apre i canali del Ca2+, causando un aumento della concentrazione intracellulare di Ca2+, che a sua volta attiva le proteina chinasi tramite il legame del complesso Ca2+-calmodulina. Il secondo messaggero lipidico diacilglicerolo (DAG) attiva la proteina chinasi C (PKC). • Le vie di segnalazione sono sistemi complessi in cui un singolo segnale extracellulare può innescare eventi intracellulari multipli, alcuni dei quali possono anche essere attivati da altre vie di segnalazione.

• Dopo il legame con il ligando, i recettori con attività tirosina chinasica, come il recettore per l’insulina, subiscono un’autofosforilazione che li induce a fosforilare le loro proteine bersaglio, in alcuni casi innescando una serie di eventi chinasici a catena. • Una via di segnalazione che promuove la crescita coinvolge la proteina G monomerica Ras e porta a un’alterata espressione genica. • Per le interazioni proteina-proteina nelle vie di segnalazione possono essere necessari i domini SH2 ed SH3. • Le proteina chinasi hanno una struttura comune che spesso comprende l’attivazione mediante il dislocamento di un segmento autoinibitorio. • Gli effetti delle proteina chinasi sono invertiti dall’attività delle proteina fosfatasi.

4 La via del fosfoinositide

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PROBLEMI 1. L’ormone pancreatico somatostatina ha bisogno di un re-

12. Il trastuzumab (o Herceptin; Paragrafo 7.3) è un anticorpo che

cettore sulla superficie o nel citosol di una sua cellula bersaglio? 2. L’acido retinoico (un derivato della vitamina A, Paragrafo 9.1F) è un ormone che media la funzione del sistema immunitario. L’acido retinoico ha bisogno di un recettore sulla superficie di una sua cellula bersaglio? 3. Quali cambiamenti biochimici sono necessari per convertire la tirosina in (a) noradrenalina e (b) adrenalina? 4. Nella figura è mostrato lo steroide metandrostenolone. (a) In che cosa si differenzia dal testosterone dal punto di vista strutturale? (b) Perché questo farmaco potrebbe essere somministrato ai pazienti ustionati?

si lega al dominio extracellulare del recettore HER2 del fattore di crescita. Spiegate perché il trastuzumab potrebbe costituire un trattamento efficace per quei tipi di tumore che esprimono elevati livelli di HER2. 13. In che modo la presenza di GTPγS, un analogo del GTP scarsamente idrolizzabile (in cui un atomo di O del gruppo fosforico terminale è sostituito da un atomo di S), influenza la produzione di cAMP da parte dell’adenilato ciclasi? 14. Il Mycobacterium tubercolosis è un batterio intracellulare che causa la tubercolosi. Il genoma di M. tubercolosis comprende 17 geni che codificano l’adenilato ciclasi, mentre i batteri a vita libera di solito hanno solo un gene che codifica l’adenilato ciclasi. Perché potrebbe essere vantaggioso per M. tubercolosis avere un’elevata attività dell’adenilato ciclasi? 15. Una delle tossine prodotte dal Bacillus antracis (la causa dell’antrace) è conosciuta come EF, acronimo di fattore edema (un edema è la produzione anormale di fluido extracellulare). EF, che penetra nelle cellule ospiti dei mammiferi, è una adenilato ciclasi attivata dalla calmodulina. Spiegate come questa tossina causa l’edema. 16. Un’altra tossina del B. antracis è il fattore letale LF. Questa tossina è una proteasi che degrada i membri della famiglia delle MAPK chinasi in modo che questi non si possano legare ai loro bersagli MAPK più a valle nella via di segnalazione nelle cellule della linea bianca del sangue. Spiegate come LF inibisce l’attivazione del sistema immunitario durante l’infezione da B. antracis. 17. Il diacilglicerolo è un substrato per l’enzima diacilglicerolo chinasi. Qual è il prodotto di questa reazione? 18. Spiegate perché l’attivazione della diacilglicerolo chinasi dovrebbe limitare la segnalazione che passa per la via del fosfatidilinositide. 19. Lo ione litio, che viene utilizzato per trattare il disturbo bipolare (patologia nella quale i normali stati dell’umore, tristezza e felicità, si presentano ciclicamente amplificati e alternati a periodi di normalità, N.d.T.), interferisce con la via di segnalazione del fosfoinositide inibendo enzimi quali l’inositolo monofosfatasi e l’inositolo polifosfato 1-fosfatasi. Prevedete l’effetto del Li+ sull’apporto di inositolo intracellulare, un precursore del fosfatidilinositolo e del PIP2. 20. La proteina SHP-2 partecipa alla segnalazione dell’insulina attraverso la sua indiretta attivazione da parte del recettore dell’insulina (Figura 13.31), un recettore con attività tirosina chinasica. La SHP-2 è in realtà una proteina con attività tirosina fosfatasica. È un paradosso? Spiegate la vostra risposta.

H3C

H3C OH

H3C

O 5. Calcolate l’affinità di legame di un ligando per il suo recettore

utilizzando i dati riportati nella tabella seguente: [Ligando] (µM)

Saturazione frazionale, Y

1

0,20

2

0,36

4

0,54

6

0,62

8

0,70

6. Calcolate l’affinità di legame di un ligando per il suo recettore

utilizzando i dati riportati nella tabella seguente: [Ligando libero] (mM)

[Ligando legato] (mM)

0,6

2

1,5

4

3,0

6

6,0

8

15,0

10

7. Alcuni sistemi batterici di segnalazione coinvolgono china-

si che trasferiscono un gruppo fosforico alla catena laterale di una His. Disegnate la catena laterale di fosfo-His. 8. Perché un composto che assomiglia all’ADP potrebbe essere utilizzato come un inibitore della proteina chinasi? 9. Spiegate come mai una proteina tirosina fosfatasi dovrebbe comprendere un dominio SH2 oltre al suo dominio fosfatasico. 10. Un fattore di crescita che agisce tramite un recettore con attività tirosina chinasica stimola la divisione cellulare. Formulate una previsione su quale potrebbe essere l’effetto di una proteina virale che inibisce la corrispondente proteina tirosina fosfatasi. 11. I retrovirus portatori di oncogeni infettano le cellule dei loro animali ospiti ma solitamente non trasformano queste cellule in cancerose. Questi retrovirus trasformano invece facilmente le cellule immortalizzate derivate dallo stesso organismo. Spiegate.

DOMANDE DIFFICILI 21. L’ormone A si lega al suo recettore con una KL di 5 µM. In

presenza di una concentrazione pari a 2,5 µM del composto B e di 2,0 µM dell’ormone A, 1,0 µM di ormone A non si lega. Calcolate l’affinità di legame di B per il recettore dell’ormone A. 22. Il propanololo si lega ai recettori β-adrenergici con una KI pari a 8,9 × 10−9 M. Quale concentrazione di propanololo dovrebbe essere necessaria per raggiungere una riduzione del 50% del legame dell’agonista del recettore isoproterenolo, se la concentrazione dell’agonista è 10 nM e la sua costante di dissociazione per il recettore è 4,8 × 10−8 M? 23. Un substrato del recettore dell’insulina (IRS) contiene il dominio cosiddetto di omologia plekstrinica (PH) che si lega al

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gruppo inositolico presente sulle teste dei lipidi di membrana, un dominio di legame della fosfotirosina (PTB) diverso dal dominio SH2, e da sei a otto residui di Tyr che possono essere fosforilati. Spiegate come ognuna di queste caratteristiche contribuisca alla trasduzione del segnale. 24. Cercate di prevedere l’effetto che una mutazione Sos avrebbe sulla crescita cellulare nel caso in cui la mutazione facesse diminuire l’affinità di Sos per Ras. 25. Le seguenti alterazioni di Src potrebbero essere cancerogene? Spiegate le vostre risposte. (a) Delezione o inattivazione del dominio SH3. (b) Mutazione della Tyr 416 in Phe. 26. Le seguenti alterazioni di Src potrebbero essere cancerogene? Spiegate le vostre risposte. (a) Mutazione della Tyr 527 in Phe. (b) Sostituzione dei residui di Src da 249 a 253 con la sequenza APTMP. 27. Spiegate perché le mutazioni del residuo di Arg in Gsα che viene ADP-ribosilata dalla tossina colerica sono mutazioni oncogeniche. 28. Perché la tossina colerica non causa il cancro? 29. La fosfatidiletanolammina e il PIP2, che contengono residui acilici identici, possono essere idrolizzati con uguale efficienza da una determinata fosfolipasi C. I prodotti di idrolisi che si formano dai due lipidi avranno lo stesso effetto sulla proteina chinasi C? Spiegate la vostra risposta. 30. Come fa la tossina della pertosse a inibire la fosfolipasi C? 31. I globuli bianchi del sangue noti come linfociti T rispondono agli antigeni che si legano in modo specifico al recettore delle cellule T, composto da una proteina transmembrana αβ di legame all’antigene e da un gruppo di proteine di

La segnalazione biochimica

471

segnale transmembrana note come CD3, che sono bersaglio degli NRTK. I domini citoplasmatici delle proteine CD3 sono carichi positivamente e, in assenza di antigene, interagiscono con la superficie intracellulare della membrana plasmatica, in modo da immergere diversi dei loro residui di Tyr nel doppio strato fosfolipidico. Il legame dell’antigene al recettore delle cellule T porta a un afflusso localizzato di ioni Ca2+. (a) Spiegate in che modo un’alta concentrazione di Ca2+ può promuovere la fosforilazione e l’attivazione delle proteine CD3. (b) Questo fenomeno renderebbe i linfociti T più o meno responsivi all’antigene? 32. La diagnosi di alcuni linfomi (tumori delle cellule del sangue) comprende le analisi citogenetiche per la ricerca di anomalie cromosomiche nelle cellule del paziente. I cromosomi sono visibili al microscopio ottico solo durante la divisione cellulare. Le cellule rimosse dal midollo osseo di un paziente possono essere trattate con forbolo miristato acetato (PMA) prima dell’analisi al microscopio. Quale è lo scopo del PMA?

APPROFONDIMENTO Il senso dell’olfatto o odorato, che consiste nella capacità di identificare le molecole odorose, è mediato nella sua azione dai recettori associati alle proteine G. Il numero di questi recettori presenti nel naso degli esseri umani è sufficiente ad assicurare la captazione di tutti i tipi di odori? Che cosa accade nella cellula in seguito al legame del ligando a uno di questi recettori? Come viene trasmessa al cervello la presenza di una molecola odorosa da parte di una cellula olfattiva?

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C A P I T O L O

1 4

Introduzione al metabolismo Gli approcci moderni nella comprensione del metabolismo includono l’uso della teoria della rete per studiare l’importanza funzionale dell’interazione fra i componenti cellulari, come le proteine di lievito mostrate qui. [Hawoong Jeong, University Of Notre Dame / Science Source Images.]

La comprensione della composizione chimica e della struttura tridimensionale delle molecole biologiche non è sufficiente per capire come queste ultime si organizzino per costituire organismi, o come possano funzionare per mantenere le condizioni indispensabili per la vita. È quindi necessario esaminare le reazioni tramite le quali le molecole biologiche sono costruite e demolite. È inoltre necessario considerare i processi attraverso i quali l’energia libera è utilizzata per costruire nuovo materiale biologico e per effettuare il lavoro cellulare, e come l’energia libera sia resa disponibile attraverso processi a carico di composti organici o non organici. Il metabolismo, l’insieme delle reazioni con cui gli esseri viventi ricavano e utilizzano energia libera per svolgere le loro numerose funzioni, è tradizionalmente diviso in due parti.

1. Il catabolismo, o degradazione, in cui i nutrienti e i costituenti cellulari sono degradati per riutilizzarne i componenti e/o per rendere l’energia disponibile. 2. L’anabolismo, o biosintesi, in cui le molecole biologiche sono sintetizzate a partire da componenti più semplici.

In generale le reazioni cataboliche attuano l’ossidazione esoergonica delle molecole nutrienti. L’energia libera rilasciata in queste reazioni è usata per effettuare processi endoergonici, come le reazioni anaboliche, lo svolgimento di un lavoro meccanico o il trasporto attivo di molecole contro gradienti di concentrazione. I processi esoergonici ed endoergonici sono spesso sincronizzati tra loro (accoppiati) tramite la sintesi intermedia di un composto “ad alta energia” come l’ATP. Questo semplice principio è alla base di molte reazioni chimiche presentate nei capitoli seguenti. In questo capitolo analizzeremo le caratteristiche generali delle reazioni metaboliche e il ruolo dell’ATP e di altri composti come trasportatori di energia. Inoltre, poiché molte trasformazioni metaboliche sono reazioni di ossidazione-riduzione, ripasseremo la termodinamica di questi processi ed esamineremo infine alcuni metodi di studio delle reazioni metaboliche.

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1 Una panoramica del metabolismo CONCETTI CHIAVE

• Organismi diversi utilizzano differenti strategie per catturare l’energia libera dall’ambiente che li circonda e possono essere classificati a seconda della loro richiesta di ossigeno.

• La nutrizione dei mammiferi comprende l’assunzione di macronutrienti (proteine, carboidrati e lipidi) e di micronutrienti (vitamine e minerali).

• Una via metabolica è una serie di reazioni catalizzate da enzimi che spesso è localizzata in uno specifico compartimento della cellula.

• Il flusso del materiale attraverso una via metabolica varia in funzione delle attività degli enzimi che catalizzano le reazioni irreversibili.

• Gli enzimi che controllano il flusso delle vie metaboliche sono regolati con meccanismi di tipo allosterico, modificazioni covalenti, cicli del substrato e variazioni dell’espressione genica.

In ogni cellula vivente avviene una varietà straordinaria di reazioni chimiche. Tuttavia i principi che controllano il metabolismo sono gli stessi in tutti gli organismi: questo è il risultato della loro comune origine da un punto di vista evolutivo e dei limiti imposti dalle leggi della termodinamica. Molte reazioni metaboliche fondamentali sono infatti comuni a tutti gli organismi, con alcune varianti dovute principalmente a differenze nella fonte di energia libera che le sostiene.

A La nutrizione: assunzione e utilizzazione degli alimenti La nutrizione, intesa come l’assunzione e l’utilizzazione degli alimenti, influenza la salute, lo sviluppo e le prestazioni dell’organismo. Il cibo fornisce l’energia che alimenta i processi vitali e le materie prime per costruire e riparare i tessuti corporei. Le esigenze nutrizionali di un organismo riflettono la fonte di energia necessaria per il suo metabolismo. Per esempio, alcuni procarioti sono autotrofi (dal greco autós, “stesso”, e trophòs, “nutrimento”): sono quindi in grado di sintetizzare tutti i loro costituenti cellulari a partire da molecole semplici come H2O, CO2, NH3 e H2S. Vi sono due possibili fonti di energia libera per questo processo. I chemiolitotrofi (dal greco lithos, “pietra”) ottengono la loro energia mediante l’ossidazione di composti inorganici come NH3, H2S o addirittura Fe2+: 2 NH3 4 O2 → 2 HNO3 2 H2O H2S 2 O2 → H2SO4 4 FeCO3 O2 6 H2O → 4 Fe(OH)3 4 CO2 I fotoautotrofi ottengono energia mediante la fotosintesi, un processo nel quale l’energia luminosa permette il trasferimento degli elettroni da donatori inorganici a CO2, per produrre carboidrati (CH2O)n, che vengono in seguito ossidati per rilasciare energia libera. Gli eterotrofi (dal greco héteros, “altro”) ottengono energia libera dall’ossidazione di composti organici (carboidrati, lipidi e proteine): in ultima analisi dipendono quindi dagli autotrofi o dai fototrofi per ottenere queste sostanze. È possibile classificare ulteriormente gli organismi in base alla natura dell’agente ossidante usato per la demolizione delle sostanze nutrienti. Gli aerobi obbligati (tra cui gli animali) devono utilizzare O2, mentre gli anaerobi impiegano agenti ossidanti come i solfati o i nitrati. Gli anaerobi facoltativi, come E. coli, sono in grado di crescere in presenza o in assenza di O2. Al contrario, gli anaerobi obbligati sono avvelenati dalla presenza di O2. Si ritiene che il loro metabolismo sia simile a quello delle prime forme di vita, che si sono originate più di 3,5 miliardi di anni fa quando l’atmosfera terrestre era priva di O2. In questo testo la trattazione del metabolismo riguarda principalmente i processi aerobici. Gli animali sono eterotrofi aerobi obbligati, la cui nutrizione dipende dall’assunzione bilanciata di macronutrienti quali proteine, carboidrati e lipidi. Queste

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Introduzione al metabolismo

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TABELLA 14.1 Caratteristiche delle vitamine comuni

Vitamina

Coenzima prodotto

Reazione mediata

Malattia da carenza nell’uomo

Biotina

Biocitina

Carbossilazione

a

Pantotenato (acido pantotenico; B5)

Coenzima A

Trasferimento di gruppi acilici

a

Idrosolubile

Cobalamina (B12)

Coenzimi cobalaminici

Alchilazione

Anemia perniciosa

Riboflavina (B2)

Coenzimi flavinici

Ossidazione-riduzione

a



Acido lipoico

Trasferimento di gruppi acilici

a

Nicotinamide (niacina; B3) Coenzimi nicotinamidici

Ossidazione-riduzione

Pellagra

Piridossina (B6)

Piridossalfosfato

Trasferimento di gruppi amminici

a

Acido folico (B9)

Tetraidrofolato

Trasferimento di gruppi monocarboniosi

Anemia megaloblastica

Tiamina (B1)

Tiamina pirofosfato

Trasferimento di aldeidi

Beriberi

Acido ascorbico (C)

Ascorbato

Ossidrilazione

Scorbuto

Liposolubile Vitamina A

a

Vista

Cecità notturna

Vitamina D

Assorbimento del

Vitamina E

Antiossidante

a

Vitamina K

Coagulazione sanguigna

Emorragia

Ca2+

Rachitismo

Assenza di nome specifico; nell’essere umano la carenza è rara o non si osserva.

macromolecole vengono demolite dall’apparato digestivo nei loro componenti: amminoacidi, monosaccaridi, acidi grassi e glicerolo. Questi rappresentano, infatti, i principali nutrienti coinvolti nel metabolismo cellulare e vengono successivamente trasportati ai tessuti dal sistema circolatorio. L’utilizzazione metabolica di queste sostanze, gli acidi grassi e il glicerolo, richiede l’apporto di O2 e acqua ma anche di micronutrienti costituiti da vitamine e minerali.

B Le vitamine e i minerali facilitano le reazioni metaboliche

TABELLA 14.2 I principali

minerali essenziali e gli elementi presenti in tracce (oligoelementi) Minerali principali

Elementi in tracce (oligoelementi)

Sodio

Ferro

Potassio

Rame

Cloro

Zinco

Calcio

Selenio

Fosforo

Iodio

Magnesio

Cromo

Zolfo

Fluoro

Quali degli elementi elencati qui si trovano come componenti legati covalentemente nelle molecole biologiche?

Le vitamine sono molecole organiche che un organismo animale non è in grado di sintetizzare e deve, quindi, ottenere dalla dieta. Le vitamine possono essere suddivise in due gruppi, le vitamine idrosolubili e le vitamine liposolubili. Nella Tabella 14.1 sono elencate molte vitamine comuni e i tipi di reazioni o processi a cui prendono parte (considereremo le strutture di queste sostanze e i loro meccanismi di reazione in altri paragrafi). Nella Tabella 14.2 sono elencati i minerali essenziali e gli elementi presenti in tracce (oligoelementi) necessari al metabolismo. Questi prendono parte ai processi metabolici in molti modi. Lo ione Mg2+, per esempio, è coinvolto pressoché in tutte le reazioni a cui partecipa l’ATP e altri nucleotidi, comprese la sintesi del DNA, dell’RNA e delle proteine. Lo ione Zn2+ è un cofattore di molti enzimi, inclusa l’anidrasi carbonica (Paragrafo 11.3C). Lo ione Ca2+, oltre a essere il principale componente minerale delle ossa e dei denti, partecipa ai processi di trasduzione del segnale (Paragrafo 13.4). Molte vitamine idrosolubili sono convertite in coenzimi. Numerosi coen-

zimi (Paragrafo11.1C) sono stati scoperti come fattori di crescita per microrganismi o come sostanze in grado di curare malattie dovute a carenze nutrizionali nell’essere umano e/o negli animali. Per esempio, il componente del NAD+ nicotinamide, oppure il suo analogo di acido carbossilico acido nicoti-

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nico (niacina; Figura 14.1), cura nell’uomo la malattia dovuta a carenza alimentare, nota con il nome di pellagra. La pellagra (da pelle + agra, o aspra), caratterizzata da dermatite, diarrea e demenza, era endemica nelle zone rurali del sud degli Stati Uniti all’inizio del XX secolo. Molti animali, fra cui l’uomo, possono sintetizzare la nicotinamide a partire dall’amminoacido triptofano. Tuttavia, la dieta ricca di mais (granturco), predominante nelle zone rurali del sud, conteneva poca nicotinamide già disponibile, o triptofano da cui sintetizzarla. (Il mais in realtà contiene quantità significative di niacina, ma in una forma che richiede un trattamento con una base perché possa essere assorbita dall’intestino. Gli Indiani del Messico, che coltivavano la pianta di granturco ma non soffrivano di pellagra, di norma mettevano a bagno la farina di mais in acqua di calce – una soluzione diluita di Ca(OH)2 – prima di usarla per fare il loro piatto tipico, le tortillas.) L’integrazione nella dieta di nicotinamide o niacina ha eliminato quasi del tutto la pellagra nel mondo sviluppato. Le vitamine idrosolubili nella dieta umana sono tutte precursori di coenzimi; quelle liposolubili, eccetto la vitamina K (Paragrafo 9.1F), in genere non fanno parte dei coenzimi, sebbene anch’esse siano necessarie in bassissime quantità nel regime alimentare di molti animali superiori. I progenitori remoti della nostra specie erano probabilmente capaci di sintetizzare le varie vitamine, proprio come fanno numerose piante e microrganismi attuali. Poiché le vitamine sono normalmente disponibili nella dieta degli animali superiori, i quali si cibano di altri organismi, o sono prodotte dai batteri che abitualmente risiedono nel loro sistema digestivo, è probabile che una volta divenuto superfluo, l’apparato cellulare preposto alla loro sintesi sia stato perso nel corso dell’evoluzione. Per esempio, la vitamina C (acido ascorbico) è necessaria unicamente nell’alimentazione dell’uomo, delle api e dei porcellini d’india (Paragrafo 6.1C e Scheda 6.2). Questi animali sono privi di un enzima chiave per la biosintesi dell’acido ascorbico, a quanto pare una perdita evolutiva recente.

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O C

NH2

N Nicotinamide (niacinamide) O C

OH

N Acido nicotinico (niacina) Figura 14.1 Strutture della

nicotinamide e dell’acido nicotinico. Queste vitamine costituiscono i componenti attivi dei coenzimi nicotinamidici NAD+ e NADP+ nelle reazioni ossidoriduttive (confrontare con la Figura 11.4).

C Le vie metaboliche sono costituite da serie di reazioni enzimatiche Le vie metaboliche sono una serie di reazioni enzimatiche in sequenza da cui si originano prodotti specifici. I reagenti, gli intermedi e i prodotti di queste vie sono detti metaboliti. Le reazioni metaboliche conosciute sono oltre 4000, ognuna delle quali è catalizzata da un enzima distinto. In una data cellula i diversi tipi di enzimi e di metaboliti variano a seconda dell’identità dell’organismo, del tipo cellulare, dello stato nutrizionale e dello stadio di sviluppo. Molte vie metaboliche sono ramificate e interconnesse, quindi evidenziarne una sola, isolandola da una rete che ne comprende migliaia, è un’operazione in un certo senso arbitraria, anche se basata sulla tradizione e sulla logica chimica. In genere le vie degradative e biosintetiche sono in relazione tra loro nel modo descritto qui di seguito (Figura 14.2). Nelle vie degradative i nutrienti principali, detti metaboliti complessi, sono demoliti tramite processi esoergonici in prodotti più semplici. L’energia libera rilasciata in questo processo degradativo è conservata tramite la sintesi di ATP a partiDegradazione re da ADP + Pi, oppure tramite la riduzione del coenzima NADP+ (Figura 11.4) a NADPH. L’ATP e il NADPH rappresentano le principali fonti di energia libera per le reazioni biosintetiche. Più avanti in questo capitolo esamineremo in maggiore dettaglio le proprietà dell’ATP e del NADPH. Una sorprendente caratteristica del metabolismo degradativo sta nel fatto che le vie cataboliche di un numero elevato di sostanze (carboidrati, lipidi e proteine) convergono in pochi in-

Figura 14.2 Ruoli dell’ATP e del

NADP+ nel metabolismo. L’ATP e il NADPH sintetizzati tramite la degradazione dei metaboliti complessi rappresentano la fonte di energia libera per le reazioni di biosintesi e per altre reazioni.

Metaboliti complessi ADP

+ HPO2Ð 4

NADP+

Biosintesi

NADPH ATP Prodotti semplici

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CAPITOLO 14

Introduzione al metabolismo

Figura 14.3 Una panoramica sul

catabolismo. I metaboliti complessi come i carboidrati, le proteine e i lipidi sono degradati prima nelle loro unità monomeriche, principalmente glucosio, amminoacidi, acidi grassi e glicerolo, e quindi trasformati nell’intermedio comune acetilCoA. Il gruppo acetilico è ossidato a CO2 nel ciclo dell’acido citrico con la contemporanea riduzione del NAD+ e del FAD a NADH e FADH2. La riossidazione del NADH e del FADH2 ad opera dell’O2 durante la fosforilazione ossidativa produce H2O e ATP.

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Proteine

Carboidrati

Lipidi

Amminoacidi

Glucosio

Acidi grassi e Glicerolo

ADP

ATP Glicolisi

NAD+

NADH

Piruvato CO2

Identificate i tre principali prodotti di scarto del catabolismo.

Acetil-CoA

Ciclo dell’acido citrico

NAD+ FAD

NADH FADH2

NH3 CO2 NAD+

NADH

Fosforilazione ossidativa

FAD

FADH2 O2

ADP ATP

H2O

termedi comuni; in molti casi si tratta di una unità di acetile a due atomi di carbonio legata al coenzima A, l’acetil-coenzima A (acetil-CoA; Paragrafo 14.2D). Questi intermedi sono in seguito metabolizzati in una via ossidativa centrale. Nella Figura 14.3 sono raccolte le vie di degradazione di varie sostanze nutrienti prima convertite nelle loro unità monomeriche e infine in acetil-CoA. Questo processo è seguito dall’ossidazione degli atomi di carbonio del gruppo acetilico a CO2 tramite il ciclo dell’acido citrico (Capitolo 17). Quando una sostanza è ossidata (cioè perde elettroni), un’altra deve essere ridotta (cioè acquista elettroni; Scheda 14.1). Il ciclo dell’acido citrico produce quindi i coenzimi ridotti NADH e FADH2 (Paragrafo 14.3A), che trasferiscono i loro elettroni all’O2 per produrre H2O nei processi di trasporto degli elettroni e della fosforilazione ossidativa (Capitolo 18). Nelle vie biosintetiche avviene il processo opposto. Un numero relativamente basso di metaboliti serve da materiale di partenza per costruire una grande varietà di prodotti. Nei prossimi capitoli esamineremo in dettaglio numerose vie cataboliche e anaboliche. Gli enzimi catalizzano le reazioni delle vie metaboliche. Tranne alcune eccezio-

ni, l’interconversione dei metaboliti nelle vie degradative e biosintetiche è catalizzata da enzimi. In assenza di enzimi, le reazioni avverrebbero troppo lentamente per permettere la vita. La specificità degli enzimi garantisce inoltre l’efficienza delle reazioni metaboliche, impedendo la formazione di prodotti inutili o tossici. Gli enzimi forniscono soprattutto un meccanismo per sincronizzare (accoppiare) una reazione chimica endoergonica (che non avverrebbe spontaneamente) con una reazione energeticamente favorevole, come discusso in seguito.

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Introduzione al metabolismo

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SCHEDA 14.1

LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

Gli stati di ossidazione del carbonio Gli atomi di carbonio nelle molecole biologiche possono assumere diversi stati di ossidazione, a seconda dell’atomo (o atomi) a cui sono legati. Per esempio, un atomo di carbonio legato ad atomi di idrogeno meno elettronegativi è maggiormente ridotto rispetto a un atomo di carbonio legato ad atomi di ossigeno fortemente elettronegativi. Il modo più semplice per determinare il numero di ossidazione (e quindi lo stato ossidativo) di un particolare atomo di carbonio è di esaminare ciascuno dei suoi legami e assegnare gli elettroni all’atomo più elettronegativo. In un legame C−O entrambi gli elettroni “appartengono” a O; in un legame C−H entrambi gli elettroni “appartengono” a C; e in un legame C−C ciascun atomo di carbonio “possiede” un elettrone. Il numero di ossidazione di un atomo è il numero di elettroni di valenza sull’atomo libero (4 per il carbonio) meno il numero degli elettroni spaiati e già assegnati. Per esempio, il numero di ossidazione del carbonio nel CO2 è 4 − (0 + 0) = + 4, e il numero di ossidazione del carbonio in CH4 è 4 − (0 + 8) = −4. Ricordate sempre, però, che i numeri di ossidazione sono solo strumenti di calcolo; le cariche atomiche effettive sono in realtà molto vicine alla neutralità. I composti nella tabella sono elencati in ordine di stato ossidativo dell’atomo di carbonio indicato in rosso. In generale, i composti maggiormente ossidati hanno meno elettroni per atomo di C e sono più ricchi di ossigeno, mentre i composti maggiormente ridotti hanno più elettroni per atomo di C e sono più ricchi di idrogeno. Si noti, tuttavia, che non tutti gli eventi di riduzione (acquisto di elettroni) o di ossidazione (perdita di elettroni) sono associati al legame con l’ossigeno. Per esempio, quando un alcano è trasformato in un alchene, la formazione di un doppio legame carbonio-carbonio comporta la perdita di elettroni: si tratta quindi di una reazione di ossidazione, sebbene non sia coinvolto alcun atomo di ossigeno. Conoscere il numero di ossidazione di un atomo di carbonio non è sempre indispensabile, ma aiuta a stabilire se lo stato di ossidazione di un determinato atomo aumenta o diminuisce durante una reazione chimica.

Composto

Formula

Biossido di carbonio

O

C

Acido acetico

H3C

Monossido di carbonio

SC

Acido formico

H

O

4 (il più 4 ossidato) O

C

OH

OS

3 2

O

C

Numero di ossidazione

OH

2

O

Acetone

H3C

C

CH3

2

H

1

O

Acetaldeide

H3C

C O

Formaldeide

H

Acetilene

HC

H

0

CH

1

C

H

Etanolo

H3C

OH

C

1

H

Etene (etilene)

H2C

H

C

H

2

H

Etano

H3C

H

C

3

H H

Metano

H

C H

Vedremo esempi di reazioni catalizzate da tutte e sei le classi di enzimi presentati nel Paragrafo 11.1A. Queste reazioni sono di quattro tipi principali: ossidazioni e riduzioni (catalizzate da ossidoriduttasi), reazioni di trasferimento di gruppi chimici (catalizzate da transferasi e idrolasi), eliminazioni, isomerizzazioni e ridistribuzioni molecolari (catalizzate da isomerasi e mutasi) e reazioni che costruiscono o distruggono legami carbonio-carbonio (catalizzate da idrolasi, liasi e ligasi). Le vie metaboliche hanno luogo in precise localizzazioni cellulari. La comparti-

mentazione del citoplasma degli eucarioti consente a diverse vie metaboliche di agire in localizzazioni diverse. Per esempio, la fosforilazione ossidativa avviene nei mitocondri, mentre la glicolisi (una via di degradazione dei carboidrati) e la biosintesi degli acidi grassi avvengono nel citosol. Nella Figura 14.4 sono riportate le principali funzioni metaboliche degli organelli degli eucarioti. I processi

H

4 (il meno 4 ossidato)

477

478

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Citosol Glicolisi, via del pentosio fosfato, biosintesi degli acidi grassi, molte reazioni della gluconeogenesi.

Reticolo endoplasmatico ruvido Sintesi di proteine legate alla membrana e di proteine secretorie.

Reticolo endoplasmatico liscio Biosintesi dei lipidi e degli steroidi. Mitocondrio Ciclo dell’acido citrico, fosforilazione ossidativa, ossidazione degli acidi grassi, scissione degli amminoacidi.

Apparato di Golgi Modificazione post-traduzionale di proteine di membrana e proteine secretorie; formazione della membrana plasmatica e di vescicole secretorie.

Nucleo Replicazione del DNA e trascrizione, elaborazione dell’RNA.

Perossisomi (gliossisomi nelle piante) Reazioni ossidative catalizzate da amminoacido ossidasi e catalasi; reazioni del ciclo del gliossilato nelle piante. Lisosomi Digestione enzimatica di componenti cellulari e di materiale ingerito.

Figura 14.4 Funzioni metaboliche degli organelli negli eucarioti. I processi degradativi e

biosintetici possono avvenire in compartimenti specializzati della cellula, oppure possono coinvolgere più compartimenti. Senza guardare la figura riassumete le funzioni principali di ogni compartimento cellulare. Identificate poi quali sono i compartimenti dove hanno luogo i processi degradativi e quali quelli in cui avvengono quelli sintetici.

metabolici dei procarioti, che sono privi di organelli, possono essere confinati in aree particolari del citosol. La sintesi di metaboliti in specifici compartimenti delimitati da membrane nelle cellule eucariotiche richiede meccanismi di trasporto per queste sostanze da un compartimento all’altro. Di conseguenza, le proteine di trasporto (Capitolo 10) sono componenti essenziali di molti processi metabolici. Per esempio, è necessaria una proteina di trasporto per trasferire l’ATP sintetizzato nei mitocondri nel citosol, dove è consumato in maggiore quantità (Paragrafo 18.1B). Negli organismi pluricellulari la compartimentazione raggiunge un gradino più elevato a livello di tessuti e organi. Il fegato dei mammiferi, per esempio, è il principale responsabile della sintesi di glucosio a partire da precursori non glucidici (gluconeogenesi; Paragrafo 16.4), in modo da mantenere nel circolo sanguigno un livello di glucosio relativamente costante; il tessuto adiposo è invece specializzato nel costruire riserve di triacilgliceroli. L’interdipendenza tra le funzioni metaboliche dei vari organi è l’argomento del Capitolo 22. Una prova molto interessante della specializzazione dei tessuti e dei compartimenti subcellulari è l’esistenza degli isozimi, enzimi che catalizzano la stessa reazione ma codificati da geni diversi, che presentano quindi proprietà cinetiche o regolatorie differenti. Per esempio, abbiamo visto che i mammiferi esprimono tre isoforme dell’enzima glicogeno fosforilasi nel muscolo, nel sistema nervoso centrale e nel fegato (Paragrafo 12.3B). Analogamente, nei vertebrati sono presenti due forme omologhe dell’enzima lattato dei-

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drogenasi (LDH): il tipo M, predominante nei tessuti soggetti a condizioni anaerobiche, come il muscolo scheletrico e il fegato, e il tipo H, prevalente nei tessuti soggetti a condizioni aerobiche, come il muscolo cardiaco. La lattato deidrogenasi catalizza l’interconversione del piruvato, un prodotto della glicolisi, in lattato (Paragrafo 15.3A). L’isoenzima di tipo M sembra avere un ruolo principalmente nella riduzione del piruvato a lattato utilizzando NADH, mentre l’enzima di tipo H sembra più adatto a catalizzare la reazione inversa. L’esistenza degli isozimi permette di eseguire test diagnostici per alcune malattie. Per esempio, un attacco di cuore causa la morte delle cellule del muscolo cardiaco, che di conseguenza si rompono e rilasciano LDH di tipo H nel flusso sanguigno. Un esame del sangue che riveli la presenza di LDH di tipo H consente di diagnosticare un attacco di cuore.

D La termodinamica stabilisce la direzione e la capacità di regolazione delle vie metaboliche Il fatto di conoscere la localizzazione, i substrati e i prodotti di una via metabolica non rivela però come funziona la via nel quadro generale dei processi biochimici intercorrelati. È necessario anche valutare con quale velocità i prodotti finali sono generati e come la via è regolata in base alle richieste variabili della cellula. È possibile ottenere informazioni sui prodotti di una via metabolica e sulle sue possibili regolazioni dalla termodinamica di ciascun tappa catalizzata da un enzima. Ricordiamo dal Paragrafo 1.3D che la variazione di energia libera (∆G) di un processo biochimico, come nella reazione A + B 34 C + D

dipende dalla variazione di energia libera standard (∆G°′) e dalla concentrazione dei reagenti e dei prodotti (equazione 1.15): ⌬G

⌬G °⬘

RT ln

[C][D ] [A ][B ]

[14.1]

All’equilibrio ∆G = 0, e l’equazione diventa ∆G°′ = −RT ln Keq

[14.2]

Quindi il valore di ∆G°′ può essere calcolato dalla costante di Ð ESEMPIO DI CALCOLO 14.1 equilibrio e viceversa (vedi l’Esempio di calcolo 14.1). Utilizzando le informazioni fornite nella Tabella 14.3 (vedi sezione 14.2A), calcolate la costante di equilibrio per l’idrolisi Quando i reagenti sono presenti a concentrazioni vicine a del glucosio-1-fosfato a una temperatura di 37 °C. quelle dell’equilibrio, [C]eq[D]eq/[A]eq[B]eq ≈ Keq e ∆G ≈ 0. Questo è il caso di molte reazioni metaboliche, dette reazioIl ∆G°′ per la reazione ni vicine all’equilibrio. Poiché i loro valori di ∆G sono vicini a 0, è possibile invertire facilmente la direzione della reazioGlucosio-1-fosfato + H2O n glucosio + Pi ne, modificando il rapporto tra prodotti e reagenti. Quanè di −20,9 kJ ∙ mol−1. All’equilibrio, ∆G = 0 e l’equaziodo i reagenti sono in eccesso rispetto alle loro concentrazione 14.1 diventa ni all’equilibrio, la reazione netta procede in una direzione ∆G°′ = −RT ln K (reazione diretta), fino a quando l’eccesso dei reagenti non è che è l’equazione 14.2. Quindi, stato convertito in prodotti ed è stato raggiunto l’equilibrio. Viceversa, quando i prodotti sono in eccesso, la reazione netK = e−∆G°′/RT ta procede in direzione opposta (reazione inversa), in modo K = e−(−20 900 J ∙ mol )/(8,3145 J ∙ K ∙ mol ) (310 K) da convertire i prodotti in reagenti fino a quando non si ragK = 3,3 × 103 giunge di nuovo il rapporto delle concentrazioni tipico della reazione in equilibrio. Gli enzimi che catalizzano reazioni vicine all’equilibrio tendono ad agire velocemente per ripristinare le concentrazioni all’equilibrio, e le velocità nette di queste reazioni sono regolate in modo efficace dalle concentrazioni relative dei substrati e dei prodotti. −1

−1

−1

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CONCETTI DI BASE Il principio di Le Châtelier Si ricordi dal Capitolo 1 che l’aggiunta o la rimozione di componenti da una reazione all’equilibrio fa sì che la reazione proceda in una direzione o nell’altra finché non viene raggiunto un nuovo equilibrio.

CONCETTI DI BASE Variazione di energia libera Si può pensare alla variazione di energia libera (∆G) di una reazione come a una spinta o a una forza che porta i reagenti verso l’equilibrio. Più è grande la variazione di energia libera, più la reazione è lontana dall’equilibrio e più forte è la tendenza della reazione a procedere. All’equilibrio, ovviamente, i reagenti e i prodotti non subiscono variazioni nette e ∆G = 0.

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Altre reazioni metaboliche hanno luogo in condizioni lontane dall’equilibrio: sono quindi reazioni irreversibili. Questo avviene perché un enzima che catalizza una reazione di questo tipo ha un’attività catalitica insufficiente per consentire alla reazione di raggiungere l’equilibrio (cioè la velocità della reazione catalizzata dall’enzima è troppo bassa) in condizioni fisiologiche. Si accumulano quindi reagenti in ampio eccesso rispetto alla loro concentrazione all’equilibrio, determinando un ∆G vr, il flusso è essenzialmente uguale alla velocità della reazione diretta (J ≈ vf ). Nella via metabolica completa il flusso è stabilito dalla reazione che determina la velocità della via. Per definizione, questa è la reazione più lenta di tutta la via e spesso si tratta della reazione in cui avviene il primo evento “di controllo” del percorso metabolico. In alcune vie il controllo del flusso è distribuito su vari enzimi, ciascuno dei quali contribuisce a determinare la velocità globale del flusso di metaboliti lungo la via. Poiché la reazione che determina la velocità totale della via metabolica è relativamente lenta rispetto alle altre reazioni della stessa via, il suo prodotto è rimosso dalle tappe seguenti della via, prima che possa raggiungere l’equilibrio con i reagenti. Quindi, la tappa che limita la velocità di una via metabolica funziona in una condizione lontana dall’equilibrio e possiede una elevata variazione negativa di energia libera. In modo simile, una diga crea una differenza nei livelli dell’acqua tra il suo lato a monte e quello a valle, determinando una notevole differenza negativa di energia libera a causa del dislivello di pressione idrostatica. La diga può rilasciare acqua per generare elettricità, variandone il flusso a seconda della necessità di energia elettrica. Le reazioni che funzionano in vicinanza dell’equilibrio rispondono rapidamente a cambiamenti di concentrazioni del substrato. Per esempio, se un aumento improvviso della concentrazione di un reagente avviene in una reazione vicina all’equilibrio, l’enzima che la catalizza potrebbe aumentare la velocità totale della reazione in modo da raggiungere rapidamente una nuova situazione di equilibrio. Quindi tutte le reazioni vicine all’equilibrio, in serie e collocate a valle della tappa che determina la velocità della via metabolica, hanno lo stesso flusso. Analogamente, anche il flusso dell’acqua di un fiume è lo stesso lungo tutti i punti del percorso a valle di una diga. Da un punto di vista pratico è spesso possibile individuare i punti di controllo del flusso in una via metabolica identificando le reazioni che hanno notevoli variazioni negative di energia libera. La relativa insensibilità delle velocità di queste reazioni non all’equilibrio nei confronti di variazioni nelle concentrazioni dei loro substrati permette che si stabilisca un flusso di metaboliti in stato stazionario nella via metabolica. Naturalmente, il flusso lungo una via deve variare in risposta alle necessità dell’organismo, in modo da raggiungere un nuovo stato stazionario. I cambiamenti di velocità nelle reazioni che determinano la velocità possono quindi modificare il flusso di materiale lungo l’intera via, spesso per valori pari a un ordine di grandezza o più. Le cellule usano vari meccanismi per controllare il flusso nelle tappe che determinano la velocità di una via metabolica. 1. Il controllo allosterico. Molti enzimi sono regolati in modo allosterico (Paragrafo 12.3A) da effettori che sono spesso substrati, prodotti o coenzimi della via, ma non necessariamente dell’enzima in oggetto. Per esempio, nella re-

481

CONCETTI DI BASE Lo stato stazionario Sebbene molte reazioni siano vicine all’equilibrio, un’intera via metabolica – e il metabolismo cellulare nel suo complesso – non raggiunge mai l’equilibrio. Questo perché i materiali e l’energia entrano ed escono continuamente dal sistema, che si trova in uno stato stazionario. Le vie metaboliche procedono, come se cercassero di raggiungere l’equilibrio (principio di Le Châtelier), ma non riescono mai a raggiungerlo, perché continuano ad arrivare nuovi reagenti, mentre i prodotti non si accumulano.

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golazione retroattiva negativa, il prodotto di una via inibisce una delle prime tappe della via:

A

B

C

P

Quindi, come abbiamo visto, il CTP, un prodotto della biosintesi delle pirimidine, inibisce l’ATCasi, che catalizza la reazione che limita la velocità di questa via metabolica (Figura 12.11). 2. La modificazione covalente. Molti enzimi che controllano i flussi nelle vie metaboliche sono caratterizzati da specifici siti che possono essere fosforilati e defosforilati (Paragrafo 12.3B) tramite enzimi o essere modificati attraverso altri tipi di modificazioni covalenti. I processi di modificazione di tipo enzimatico, che sono a loro volta soggetti a controllo da parte di segnali esterni quali gli ormoni (Paragrafo 13.1), alterano notevolmente le attività degli enzimi modificati. Questo meccanismo di segnalazione coinvolto nel controllo del flusso è discusso nel Capitolo 13. 3. I cicli del substrato. Se vf e vr rappresentano la velocità di due reazioni opposte non all’equilibrio, catalizzate da enzimi diversi, esse possono essere modificate in modo indipendente. A

B

PUNTO DI VERIFICA

• Descrivete le differenze tra autotrofi ed eterotrofi.

r

Ä

• Utilizzate i termini obbligato, facoltativo, aerobico, anaerobico, autotrofo ed eterotrofo per descrivere il metabolismo degli esseri umani, delle querce, dell’E. coli e del Methanococcus jannaschii (un organismo che vive nei sedimenti anossici delle acque profonde).

• Elencate quali sono le categorie di macronutrienti e di micronutrienti necessari al metabolismo dei mammiferi e fornite un esempio di ciascuna categoria.

• Qual è la correlazione tra coenzimi e vitamine?

• Spiegate qual è il ruolo dell’ATP e del NADPH nelle reazioni anaboliche e cataboliche (degradative).

• Perché gli enzimi sono necessari per fare procedere le vie metaboliche?

• Perché tessuti differenti potrebbero esprimere diversi isozimi?

• In che modo sono correlate le variazioni di energia libera alle costanti di equilibrio?

• Spiegate qual è il significato metabolico delle reazioni che avvengono vicino all’equilibrio e qual è, invece, il significato di quelle che avvengono lontano dalle condizioni di equilibrio.

• Discutete i meccanismi tramite i quali possa essere controllato il flusso attraverso una via metabolica. Quali sono i meccanismi in grado di alterare rapidamente il flusso?

C

D

Per esempio, il flusso (vf – vr) può essere aumentato non soltanto incrementando la velocità della reazione diretta, ma anche rallentando quella della reazione inversa. Il flusso lungo questo ciclo del substrato, come vedremo nel Paragrafo 15.4, è più sensibile alle concentrazioni di effettori allosterici rispetto al flusso attraverso una singola reazione non all’equilibrio e non accoppiata a una reazione inversa. 4. Il controllo genetico. Le concentrazioni degli enzimi, e quindi le loro attività, possono essere modificate dalla sintesi proteica, in risposta alle necessità metaboliche. I processi della trascrizione di un gene in RNA messaggero e poi la traduzione dell’RNA in una catena polipeptidica forniscono numerosi punti di regolazione. I meccanismi di controllo genetico delle concentrazioni enzimatiche costituiscono l’argomento principale della Parte V di questo testo.

I meccanismi di regolazione da 1 a 3 rispondono rapidamente (nell’arco di secondi o minuti) agli stimoli esterni e sono quindi classificati come meccanismi di controllo “a breve termine”. Il meccanismo 4 risponde più lentamente ai cambiamenti di condizioni (nell’arco di ore o di giorni negli organismi superiori) ed è quindi considerato un meccanismo di controllo “a lungo termine”. Il controllo della maggior parte delle vie metaboliche richiede varie reazioni non all’equilibrio. Di conseguenza, il flusso di materiali attraverso una via che fornisce intermedi utili per un organismo può dipendere da numerosi effettori la cui importanza relativa riflette le richieste metaboliche globali dell’organismo in un dato momento. Una via metabolica è quindi parte di un processo di domanda-offerta.

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2 I composti “ad alta energia” CONCETTI CHIAVE

• Gli organismi catturano l’energia libera rilasciata dalla degradazione delle sostanze nutrienti sotto forma di composti “ad alta energia” quali l’ATP, la cui demolizione viene utilizzata per alimentare le reazioni endoergoniche.

• L’“alta energia” dell’ATP è correlata all’ampia variazione negativa in energia libera dovuta all’idrolisi dei suoi gruppi fosfoanidridici.

• L’idrolisi dell’ATP può essere accoppiata a una reazione endoergonica in modo che la reazione complessiva sia favorevole.

• I gruppi fosforici vengono trasferiti dai composti a elevato potenziale di trasferimento del gruppo fosforico a quelli che hanno bassi potenziali di trasferimento del gruppo fosforico.

• Il legame tioestere nell’acetil-Coa è un legame “ad alta energia”. La completa ossidazione di un combustibile metabolico come il glucosio C6H12O6 + 6 O2 n 6 CO2 + 6 H2O libera una notevole quantità di energia (∆G°′ = −2850 kJ ∙ mol−1). La completa ossidazione del palmitato, un acido grasso tipico, C16H32O2 + 23 O2 n 16 CO2 + 16 H2O è ancora più esoergonica (∆G°′ = −9781 kJ ∙ mol−1). Il metabolismo ossidativo procede a tappe, quindi l’energia liberata può essere accumulata in una forma utilizzabile in corrispondenza di ciascuna reazione esoergonica del processo totale. Questi “pacchetti” di energia sono conservati per la sintesi di pochi tipi di intermedi “ad alta energia”, la cui conseguente demolizione esoergonica fornisce l’energia necessaria per processi endoergonici. Questi intermedi costituiscono quindi una sorta di “moneta” con la quale le reazioni che producono energia libera, come l’ossidazione del glucosio o l’ossidazione degli acidi grassi, “pagano” i processi che consumano energia libera nei sistemi biologici (Scheda 14.2). La cellula usa varie forme di “moneta” energetica, tra cui i composti fosforilati come quelli del nucleotide ATP (la “moneta” energetica principale della cellula), composti contenenti legami tioestere, e coenzimi ridotti come il NADH. Ciascuno di questi rappresenta una fonte di energia libera che la cellula può usare in vari modi, tra i quali la stessa sintesi di ATP. Esamineremo in primo luogo l’ATP e in seguito le proprietà di altre forme di “moneta” energetica.

SCHEDA 14.2

CONCETTI DI BASE Trasformazione di energia L’energia non può essere creata né distrutta, ma può essere trasformata. Le reazioni metaboliche che avvengono nella cellula convertono una forma di energia in un’altra. Molto spesso è coinvolta l’energia dei legami chimici, ma le cellule possono avere a che fare anche con energia termica, energia luminosa, energia meccanica, energia elettrica, energia dei gradienti di concentrazione, e cosi via.

LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA

Fritz Lipmann e i composti “ad alta energia” Fritz Albert Lipmann (1899-1986)

Tra i numerosi scienziati che fuggirono dall’Europa verso gli Stati Uniti negli anni ’30 vi era Fritz Lipmann, un fisico tedesco che in seguito diventò biochimico. Durante la prima parte del XX secolo gli scienziati si erano interessati prevalentemente alle strutture e alla composizione delle molecole biologiche: non si conosceva quasi nulla sulla loro biosintesi. Il contributo di Lipmann a questo campo ha riguardato soprattutto la comprensione dei fosfati “ad alta energia” e degli altri composti “attivi”. Lipmann iniziò la sua carriera di ricercatore studiando la fosfocreatina, un composto che può fornire energia alla contrazione muscolare. Come altri suoi contemporanei, Lipmann era molto incuriosito dall’assenza di un legame evidente tra i composti fosforilati e l’attività metabolica conosciuta di un muscolo in fase di contrazione che

trasforma il glucosio in lattato. Un primo collegamento era stato scoperto da Otto Warburg (Scheda 15.1), che aveva dimostrato che uno dei passaggi della glicolisi era accompagnato dall’incorporazione di fosfato inorganico. Il composto acilico risultante (1,3-bisfosfoglicerato) poteva reagire con ADP formando ATP. Lipmann si chiese se altri composti fosforilati si comportassero nello stesso modo. Poiché la purificazione di questi composti labili (cioè facilmente degradabili) da cellule intere era difficilmente realizzabile, Lipmann li sintetizzò egli stesso, dimostrando che gli estratti cellulari usavano acetil fosfato sintetico per produrre ATP. Lipmann proseguì i suoi studi, avanzando l’ipotesi che le cellule contenessero due classi di composti fosforilati, che denominò “poveri di energia” e “ricchi di energia”: con questi termini intendeva composti con bassa e alta energia libera negativa di idrolisi (e scelse il simbolo ∼, usato ancora oggi, per indicare un legame “ricco di energia”). Lipmann descrisse una sorta di “corrente di fosfato” nella quale la fotosintesi ^ (segue)

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SCHEDA 14.2 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA (continua)

carbonio a un’altra molecola (acetilazione) richiedeva acetato, ATP e un fattore stabile al calore presente negli estratti di fegato di piccione che usava come sistema sperimentale. Lo scienziato isolò questo fattore e ne determinò la struttura; lo chiamò coenzima A. Per questa scoperta fondamentale Lipmann ricevette nel 1953 il premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia. Anche quando comparvero sullo scenario biochimico i tioesteri “ad alta energia” (come l’acetil-CoA), Lipmann rimase fedele alla sua ipotesi riguardante i fosfati “ad alta energia”. Per esempio, si rese conto che il carbamil fosfato (H2N−COO−P32−) poteva funzionare come donatore di un gruppo carbamilico “attivo” nelle reazioni biosintetiche. Egli inoltre contribuì all’identificazione di composti poco conosciuti, le anidridi miste tra fosfato e solfato, come i solfati “attivi” che funzionano come donatori di gruppi solfato.

o la demolizione delle molecole nutritive produceva fosfati “ricchi di energia” che portano alla sintesi di ATP. L’ATP, a sua volta, può fornire energia per eseguire lavoro meccanico, come quello della contrazione muscolare, oppure fare avanzare reazioni biosintetiche. Fino a quel momento (1941), i biochimici che studiavano i processi biosintetici dovevano limitarsi a lavorare con animali o frammenti di tessuti relativamente intatti. Le intuizioni di Lipmann nei confronti del ruolo dell’ATP liberarono i ricercatori dall’uso di sistemi sperimentali faticosi, costosi e i cui risultati erano scarsamente riproducibili: i biochimici potevano semplicemente aggiungere ATP alle loro preparazioni sperimentali acellulari per ricostruire in laboratorio il processo biosintetico. Lipmann fu inoltre molto incuriosito dalla scoperta che un gruppo a due atomi di carbonio, che chiamò “acetato attivo”, funzionava come precursore per la sintesi degli acidi grassi e degli steroidi. Si trattava dello stesso composto chiamato “acetil fosfato”? In realtà non lo era, sebbene Lipmann fosse riuscito a dimostrare che l’aggiunta di una unità a due atomi di

Kleinkauf, H., von Döhren, H. e Jaenicke, L., (a cura di). (1988). The Roots of Modern Biochemistry. Fritz Lipmann’s Squiggle and its Consequences, Walter de Gruyter.

A L’ATP ha un elevato potenziale di trasferimento del gruppo fosforico L’intermedio “ad alta energia” adenosina trifosfato (ATP; Figura 14.5) è presente in tutte le forme di vita conosciute. L’ATP è costituito da una unità di adenosina (adenina + ribosio) alla quale sono legati in modo sequenziale tre gruppi fosforici (−PO2− 3 ) tramite un legame fosfoestere seguito da due legami fosfoanidridici. L’importanza biologica dell’ATP risiede nella grande quantità di energia libera che accompagna la scissione dei suoi legami fosfoanidridici. Questo processo avviene quando un gruppo fosforico è trasferito a un altro composto, liberando ADP, oppure quando è trasferito un gruppo nucleotidico (AMP), liberando pirofosfato (P2O4− 7 ; PPi). Quando l’accettore è l’acqua, il processo è detto idrolisi:

ATP + H2O 34 ADP + Pi ATP + H2O 34 AMP + PPi La maggior parte delle reazioni biologiche di trasferimento di un gruppo richiede accettori diversi dall’acqua. Tuttavia la conoscenza dell’energia libera di idrolisi

NH2

legame fosfoestere

–O Figura 14.5 Struttura dell’ATP che

illustra i suoi rapporti con ADP, AMP e adenosina. I gruppi fosforici, iniziando dall’AMP, sono indicati rispettivamente come fosfato α, β e γ. Si noti la differenza tra legami fosfoestere e legami fosfoanidridici. Descrivete i prodotti di idrolisi di ciascuno dei legami indicati.

P



O

O

P



O

O

P

N

N

legami fosfoanidridici O– O– O–

N

N O

CH2 O

O

H H HO

H H OH

Adenosina AMP ADP ATP

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Introduzione al metabolismo

di alcuni composti fosforici permette di calcolare l’energia libera di trasferimento dei gruppi fosforici agli altri accettori determinando la differenza in energia libera di idrolisi tra il gruppo fosforico donatore e quello accettore. I valori di ∆G°′ di idrolisi di alcuni composti fosforilati di grande importanza biologica sono riportati nella Tabella 14.3. La negatività di questi valori è un indice del loro elevato potenziale di trasferimento del gruppo fosforico; essi quantificano la tendenza dei composti fosforilati a trasferire i loro gruppi fosforici all’acqua. Si noti che l’ATP ha un potenziale di trasferimento del gruppo fosforico di valore intermedio. In condizioni standard, i composti che nella Tabella 14.3 si trovano in posizione superiore all’ATP possono trasferire spontaneamente un gruppo fosforico all’ADP per formare ATP, che a sua volta può trasferire spontaneamente un gruppo fosforico ad altri gruppi per formare i composti che nella tabella si trovano in posizione sottostante all’ATP. Si noti inoltre che una variazione favorevole di energia libera per una data reazione non indica quanto rapidamente la reazione avvenga. Nonostante i loro elevati potenziali di trasferimento di gruppi fosforici, l’ATP e i composti fosforici correlati sono stabili da un punto di vista cinetico e non reagiscono in modo significativo se non interviene un apposito enzima.

TABELLA 14.3 Energie libere

I legami la cui idrolisi avviene con valori di ∆G °′ molto negativi (di solito inferiori a −25 kJ ∙ mol−1) sono detti legami “ad alta energia”, o legami “ricchi di energia”, e sono spesso indicati con il simbolo (∼). L’ATP può quindi essere rappresentato come AR−P∼P∼P, dove A, R e P simbolizzano rispettivamente i gruppi adenilico, ribosilico e fosforico. Tuttavia, in base alle caratteristiche elettroniche, il legame fosfoestere che unisce il gruppo adenosilico al gruppo fosforico α dell’ATP non sembra tanto diverso dai cosiddetti legami “ad alta energia” che uniscono tra loro i gruppi fosforici α e β e i due gruppi fosforici β e γ. Nessuno di questi legami presenta infatti proprietà particolari, per cui il termine “legame ad alta energia” è in un certo senso improprio: in ogni caso non deve essere confuso con il termine “energia di legame”, definita come l’energia necessaria per rompere (non per idrolizzare) un legame covalente. E allora perché le reazioni di trasferimento del gruppo fosforico dell’ATP sono tanto esoergoniche? A quanto pare le caratteristiche di legame “ad alta energia” dei legami fosfoanidridici, come quelli dell’ATP, sono dovute ad alcuni particolari fattori (Figura 14.6).

Fonte: la maggior parte dei dati proviene da Jencks, W.P. (1976). In Handbook of Biochemistry and Molecular Biology, a cura di G.D. Fasman, 3a ed. CRC Press, Physical and Chemical Data, Vol. I, pp. 296-304.

Qual è la natura dell’“energia” nei composti “ad alta energia”?

1. La stabilità di risonanza del legame fosfoanidridico è minore di quella dei suoi prodotti di idrolisi. Questo avviene perché i due gruppi fortemente elettronegativi della fosfoanidride devono competere per il doppietto elettronico non condiviso dell’atomo di ossigeno che fa da ponte tra i due gruppi fosforici, mentre questa competizione è assente nei prodotti di idrolisi. In altre parole, le necessità elettroniche dei gruppi fosforici sono meno soddisfatte nel legame fosfoanidridico che nei suoi prodotti di idrolisi. 2. Maggiore importanza ha probabilmente l’effetto destabilizzante causato dalla repulsione elettrostatica tra i gruppi chimicamente carichi di una fosfoanidride rispetto a quelli dei suoi prodotti di idrolisi. All’interno di valori fisiologici di pH, la molecola dell’ATP ha da tre a quattro cariche negative, le cui reciproche repulsioni elettrostatiche sono parzialmente mitigate dall’idrolisi dell’ATP. 3. Un altro fattore destabilizzante di difficile valutazione è la minore energia di solvatazione di una fosfoanidride rispetto a quella dei suoi prodotti di idrolisi. Secondo alcune stime, questo fattore fornirebbe la forza termodinamica di maggiore rilevanza per l’idrolisi delle fosfoanidridi. Naturalmente, per qualsiasi reazione, compreso il trasferimento di un gruppo fosforico da un composto “ad alta energia”, la variazione di energia libera dipende in parte dalla concentrazione dei reagenti e dei prodotti (equazione 14.1). Inol-

standard di idrolisi del gruppo fosforico in alcuni composti di interesse biologico ∆G°′ (kJ · mol−1)

Composto Fosfoenolpiruvato

–61,9

1,3-Bisfosfoglicerato ATP (n AMP + PPi)

–49,4 –45,6

Acetil fosfato

–43,1

Fosfocreatina ATP (n ADP + Pi)

–43,1 –30,5

Glucosio-1-fosfato

–20,9

PPi

–19,2

Fruttosio-6-fosfato

–13,8

Glucosio-6-fosfato

–13,8

Glicerolo-3-fosfato

–9,2

O O

P –O

o

.. O .. o

O P

O

O– H2O

O O

P

.. O ..

H

+

H

–O

.. O ..

O P

O

O–

Figura 14.6 Risonanza e

stabilizzazione elettrostatica in una fosfoanidride e nei suoi prodotti di idrolisi. La competizione tra le forme di risonanza (frecce curve che partono dall’O centrale) e le repulsioni carica– carica (linea rossa a zig zag) tra i gruppi fosforici diminuiscono la stabilità del legame fosfoanidridico rispetto ai suoi prodotti di idrolisi.

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CAPITOLO 14

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SCHEDA 14.3

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LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

ATP e DG

Le condizioni standard che si riflettono nel valore di ∆G°′ non si verificano mai negli organismi viventi. Altri composti presenti in elevate concentrazioni e in grado di interagire potenzialmente con i substrati e i prodotti di una reazione metabolica possono influenzare in modo determinante i valori di ∆G. Nelle cellule, per esempio, gli ioni Mg2+ neutralizzano parzialmente le cariche negative presenti sui gruppi fosforici dell’ATP e dei suoi prodotti di idrolisi, diminuendo quindi la repulsione elettrostatica che rende l’idrolisi dell’ATP un processo fortemente esoergonico. In modo simile, i cambiamenti nei valori di pH modificano il carattere ionico dei composti fosforilati, modificando quindi anche la loro energia libera. In una data cellula la concentrazione di molti ioni, coenzimi e metaboliti varia, spesso anche di alcuni ordini di grandezza, in funzione sia della localizzazione sia del tempo. Le concentrazioni intracellulari di ATP sono mantenute entro una gamma piuttosto ristretta, di solito tra 2 e 10 mM, ma le concentrazioni di ADP e di Pi variano maggiormente. Considerate una tipica cellula con [ATP] = 3,0 mM, [ADP] = 0,8 mM e [Pi] = 4,0 mM. Utilizzando l’equazione

14.1, l’effettiva energia libera di idrolisi dell’ATP a 37 °C è calcolata come segue: ⌬G

⌬G°⬘

RT ln

30,5 kJ ? mol ln

(0,8

10

[ADP ][P i ] [ATP] 1 3

(3,0 30,5 kJ ? mol 1 48,1 kJ ? mol 1

(8,3145 J ? K M)(4,0

10

3

1

? mol 1)(310 K)

M)

3

10 M) 17,6 kJ ? mol

1

Questo valore è ancora più alto di quello dell’energia libera standard di idrolisi dell’ATP. Tuttavia, a causa delle difficoltà di misurare con accuratezza concentrazioni di particolari specie chimiche all’interno di una cellula o di un organello, per la maggior parte delle reazioni in vivo i valori di ∆G sono poco più che stime approssimative. Per motivi di coerenza, in questo testo useremo quasi sempre i valori di ∆G°′.

tre, poiché l’ATP e i suoi prodotti di idrolisi sono ioni, il ∆G dipende anche dal pH e dalla forza ionica (Scheda 14.3).

B Reazioni accoppiate guidano i processi endoergonici Le reazioni esoergoniche dei composti “ad alta energia” possono essere accoppiate a processi endoergonici, per indurne il completamento. La spiegazione termodinamica che rende conto dell’accoppiamento di un processo esoergonico con uno endoergonico è basata sulla possibilità di sommare l’energia libera di processi accoppiati. Consideriamo la seguente via a due tappe:

(1) A + B 34 C + D (2) D + E 34 F + G

CONCETTI DI BASE Risonanza Il termine risonanza si riferisce alla delocalizzazione degli elettroni in una struttura chimica. I composti sono stabilizzati per risonanza, che può essere valutata grosso modo in base al numero di modi differenti in cui si può disegnare la struttura.

∆G1 ∆G2

Se ∆G1 ≥ 0, la reazione 1 non potrà avvenire spontaneamente, ma se ∆G2 è tanto esoergonico che ∆G1 + ∆G2 < 0, allora, anche se nella reazione 1 la concentrazione di D all’equilibrio sarà molto piccola, essa sarà in ogni caso maggiore di quella della reazione 2. Poiché la reazione 2 trasforma D nei prodotti, la reazione 1 agirà in modo diretto per ripristinare la concentrazione all’equilibrio di D. La reazione 2, fortemente esoergonica, “guida” quindi (o meglio “trascina”) la reazione 1, endoergonica: si dice che le due reazioni sono accoppiate tramite il loro intermedio comune D. È possibile dedurre che le due reazioni accoppiate procedono spontaneamente sommando le reazioni 1 e 2 per ottenere la reazione totale dove ∆G3 = ∆G1 + ∆G2 < 0. Finché è esoergonica, la via metabolica totale sarà spostata verso destra, in direzione della reazione diretta.

(1 + 2) A + B + E 34 C + F + G

∆G3

Per illustrare questo concetto consideriamo due esempi di reazioni con trasferimento del gruppo fosforico. La tappa iniziale nel metabolismo del glucosio è la sua conversione in glucosio-6-fosfato (Paragrafo 15.2A). La reazione diretta del glucosio con il Pi è tuttavia termodinamicamente sfavorevole (∆G°′ = + 13,8 kJ∙ mol−1; Figura 14.7a). Nelle cellule, tuttavia, questa reazione è accoppiata alla scissione esoergonica dell’ATP (per l’idrolisi dell’ATP, ∆G°′= −30,5 kJ ∙ mol−1), quindi la reazione totale è termodinamicamente fa-

CAPITOLO 14

Introduzione al metabolismo

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G°9 (kJ · mol–1)

(a) Semireazione endoergonica 1

Pi

Semireazione esoergonica 2

ATP

+

H2O

ADP

+

Pi

–30,5

Reazione totale accoppiata

ATP

+

glucosio

ADP

+

glucosio-6-P

–16,7

+

glucosio

glucosio-6-P

+

H2O

+13,8

G°9 (kJ · mol–1)

(b) Semireazione esoergonica 1

487

COO– CH2

O

+

C

H2O

CH3

C

COO–

+

Pi

– 61,9

OPO32– Fosfoenolpiruvato Semireazione endoergonica 2 Reazione totale accoppiata

ADP

Piruvato

+

Pi

ATP

COO– CH2

H2O

+30,5

O

+

C

+

ADP

CH3

C

COO–

+

ATP

–31,4

OPO32–

vorevole (∆G°′ = +13,8 −30,5 = −16,7 kJ ∙ mol−1). L’ATP può essere ripristinato in modo simile (∆G°′= +30,5 kJ ∙ mol−1), accoppiando la sua sintesi a partire da ADP e Pi alla scissione ancora più esoergonica del fosfoenolpiruvato (∆G°′ = −61,9 kJ ∙ mol−1; Figura 14.7b e Paragrafo 15.2J). È da notare che in realtà le semireazioni mostrate nella Figura 14.7 non avvengono nel sito attivo di un enzima così come sono scritte. L’enzima esochinasi, durante la formazione del glucosio-6-fosfato (Figura 14.7a), non catalizza l’idrolisi di ATP, ma il trasferimento di un gruppo fosforico dall’ATP direttamente al glucosio. Allo stesso modo la piruvato chinasi, l’enzima che catalizza la reazione mostrata nella Figura 14.7b, non aggiunge un gruppo fosforico libero all’ADP, ma trasferisce un gruppo fosforico dal fosfoenolpiruvato all’ADP, formando ATP. L’idrolisi dei legami fosfoanidridici guida alcuni processi biochimici. L’energia

libera dei legami fosfoanidridici presenti nei composti “ad alta energia” come l’ATP può essere impiegata per fare avvenire reazioni anche quando i gruppi fosforici non sono trasferiti a un altro composto organico. Per esempio, l’idrolisi dell’ATP (cioè il trasferimento del gruppo fosforico direttamente all’H2O) fornisce l’energia libera necessaria per il funzionamento degli chaperoni molecolari (Paragrafo 6.5B), per la contrazione muscolare (Paragrafo 7.2B) e per il trasporto attivo attraverso la membrana (Paragrafo 10.3). In questi processi le proteine subiscono modificazioni conformazionali in risposta al legame dell’ATP. L’idrolisi esoergonica dell’ATP e il rilascio di ADP e Pi rende irreversibili questi cambiamenti conformazionali, determinando quindi l’avanzamento del processo di reazione. L’idrolisi del GTP funziona allo stesso modo per guidare alcune reazioni dei processi di trasduzione del segnale (Paragrafo 13.3B) e di sintesi proteica (Paragrafo 27.4). In assenza di un enzima appropriato, i legami fosfoanidridici sono stabili, cioè si idrolizzano molto lentamente, nonostante la grande quantità di energia libera che essi conservano e rilasciano. Questo è dovuto al fatto che le reazioni di idrolisi sono caratterizzate da valori insolitamente alti di energia libera di

Figura 14.7 Alcune reazioni

accoppiate che richiedono ATP. (a) Fosforilazione del glucosio con la formazione di glucosio-6-fosfato e ADP. (b) Fosforilazione dell’ADP partendo da fosfoenolpiruvato per formare ATP e piruvato. Ogni reazione è stata idealmente divisa in una tappa di fosforilazione (semireazione 1) e in una tappa di idrolisi dell’ATP (semireazione 2). Entrambe le semireazioni procedono nella direzione che rende esoergonica la reazione totale (∆G < 0). In teoria, il trasferimento di un gruppo fosforico dal fosfoenolpiruvato al glucosio sarebbe spontaneo? E il trasferimento di un gruppo fosforico dal glucosio-6-fosfato al piruvato sarebbe spontaneo?

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attivazione (∆G‡; Paragrafo 11.2). Di conseguenza, l’idrolisi dell’ATP è favorita da un punto di vista termodinamico ma sfavorita da un punto di vista cinetico. Per esempio, consideriamo la reazione del glucosio con l’ATP che forma glucosio-6-fosfato (Figura 14.7a). Il ∆G‡ per il trasferimento non enzimatico di un gruppo fosforico dall’ATP al glucosio è maggiore di quello per l’idrolisi dell’ATP, quindi la reazione di idrolisi predomina (anche se nessuna delle due reazioni avviene a una velocità significativa dal punto di vista biologico). Tuttavia, in presenza dell’enzima esochinasi (Paragrafo 15.2A) il glucosio-6-fosfato si forma molto più velocemente di quanto l’ATP sia idrolizzato. Questo avviene perché l’attività catalitica dell’enzima riduce l’energia di attivazione per il trasferimento del gruppo fosforico dall’ATP al glucosio a un valore inferiore rispetto a quello dell’energia di attivazione necessaria per l’idrolisi dell’ATP. Questo esempio sottolinea il fatto che anche una reazione favorita dal punto di vista termodinamico (∆G < 0) può non avvenire in un sistema vivente se non è disponibile un enzima specifico in grado di catalizzare la reazione (cioè di abbassare il valore di ∆G‡ per aumentare la velocità di formazione dei prodotti; Scheda 12.2). La pirofosfatasi inorganica catalizza l’ulteriore scissione dei legami fosfoanidridici. Anche se molte reazioni che richiedono ATP producono ADP e Pi (scis-

Figura 14.8 Scissione pirofosforica

nella sintesi di un amminoacil-tRNA. (1) Nella prima tappa della reazione l’amminoacido è adenilato dall’ATP. (2) Nella seconda tappa una molecola di tRNA sostituisce l’unità di AMP, formando un amminoacil-tRNA. (3) L’idrolisi esoergonica del pirofosfato (∆G°’ = –19,2 kJ ∙ mol−1) guida la reazione in avanti. Scrivete la reazione complessiva di questo processo.

sione ortofosforica), altre producono AMP e PPi (scissione pirofosforica). In questi ultimi casi il PPi viene rapidamente idrolizzato a 2Pi dalla pirofosfatasi inorganica (∆G°′= −19,2 kJ ∙ mol−1), in modo che la scissione pirofosforica dell’ATP consumi in ultima istanza due legami fosfoanidridici “ad alta energia”. Un esempio di questo tipo di reazione è l’unione degli amminoacidi alle molecole di tRNA per la sintesi proteica (Figura 14.8 e Paragrafo 27.2B). Le due tappe di questa reazione sono facilmente reversibili perché l’energia libera di idrolisi dei legami che si formano è simile a quella dell’idrolisi dell’ATP. La reazione totale è portata a completamento dall’idrolisi irreversibile del PPi. Anche la biosintesi degli acidi nucleici a partire dai nucleosidi trifosfato rilascia PPi (Paragrafi 25.1 e 26.1). Le variazioni standard di energia libera di queste reazioni sono intorno a 0, quindi una successiva idrolisi di PPi è essenziale anche per la sintesi degli acidi nucleici.

C Altri composti fosforilati hanno elevati potenziali di trasferimento del gruppo fosforico Oltre all’ATP, altri composti “ad alta energia” sono indispensabili per il metabolismo energetico, anche perché aiutano a mantenere un livello relativamente costante di ATP all’interno delle cellule. L’ATP è continuamente idrolizzato e rigenerato. In effetti alcune prove sperimentali indicano che l’emivita metabolica di una molecola di ATP varia da secondi a minuti, in base al tRNA AMP

H R

C

C

NH3+

O–

Amminoacido

O

H

O

+

AMP , P , P

1

R

C ,AMP

C

+

NH3

P ,P PPi

pirofosfatasi inorganica

3 H2O

R

O

C

C

tRNA

NH + 3

Amminoacil-adenilato

ATP

2

H

2Pi

Amminoacil-tRNA

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ΔG⬘ di idrolisi (kJ ? mol–1)

tipo di cellula e alla sua attività metabolica. Per esempio, le cellule cerebrali hanno una “scorta” di ATP sufficiente solo per pochi secondi (e questo spiega in parte il rapido deterioramento del tessuto cerebrale in condizioni di carenza di ossigeno). Una persona, in condizioni di riposo, consuma e rigenera ATP a una velocità di circa 3 mol (1,5 kg) all’ora e circa dieci volte di più durante un’attività faticosa. Proprio come l’ATP favorisce le reazioni endoergoniche trami–60 te il processo esoergonico del trasferimento del gruppo fosforico e dell’idrolisi del legame fosfoanidridico, l’ATP può essere rigenerato accoppiando la sua formazione a un processo metabolico maggiormente –50 esoergonico. Come indica la Tabella 14.3, nella gerarchia termodinamica degli agenti in grado di trasferire gruppi fosforici l’ATP occupa –40 una posizione intermedia. L’ATP può quindi essere formato a partire dall’ADP tramite il trasferimento diretto di un gruppo fosforico –30 da un composto “ad alta energia” (per esempio, il fosfoenolpiruvato; Figura 14.7b e Paragrafo 15.2J). Questa reazione è nota con il nome di fosforilazione a livello del substrato. Altri meccanismi produco–20 no ATP in modo indiretto, utilizzando l’energia fornita da gradienti di concentrazione protonica transmembrana. Nel metabolismo –10 ossidativo questo processo è detto fosforilazione ossidativa (Paragrafo 18.3), mentre nella fotosintesi è chiamato fotofosforilazione (Paragrafo 19.2D). 0 Il flusso di energia dai composti fosforilati “ad alta energia” verso l’ATP e dall’ATP verso i composti fosforilati “a bassa energia” è riassunto nella Figura 14.9. Queste reazioni sono catalizzate da enzimi detti chinasi, che trasferiscono i gruppi fosforici dall’ATP ad altri composti o da composti fosforilati all’ADP. Questi processi saranno ripresi in esame nella trattazione del metabolismo dei carboidrati nei Capitoli 15 e 16. I composti che presentano potenziali di trasferimento di gruppi fosforici più elevati di quelli dell’ATP risultano ancora più stabili. Per esempio, l’idrolisi degli acil fosfati (anidridi miste fosforico-carbossiliche), come l’acetil fosfato e l’1,3-bisfosfoglicerato, O CH3

C,

OPO23–

–2

O3POCH2

OH

O

CH

C,

OPO23–

1,3-Bisfosfoglicerato

Acetil fosfato

è guidata dalla stessa risonanza competitiva e dagli effetti di solvatazione differenziale che influenzano l’idrolisi delle fosfoanidridi (Figura 14.6). Questi effetti sono maggiormente pronunciati negli acil fosfati che nelle fosfoanidridi, come indica la Tabella 14.3. Al contrario, composti come il glucosio-6-fosfato e il glicerolo-3-fosfato, CH2OPO23– H HO

H

O

OH

H

H

OH

H OH

a-D-Glucosio-6-fosfato

CH2OH HO

C

H

CH2OPO23– L-Glicerolo-3-fosfato

che nella Tabella 14.3 si trovano al di sotto dell’ATP, non hanno alcuna significativa differenza di stabilizzazione per risonanza o di separazione di carica rispetto ai loro prodotti di idrolisi. Le loro energie libere di idrolisi sono molto inferiori a quelle dei composti “ad alta energia” che li precedono. Gli elevati potenziali di trasferimento del gruppo fosforico delle fosfoguanidine, come la fosfocreatina e la fosfoarginina, sono prevalentemente dovuti

489

Fosfoenolpiruvato 1,3-Bisfosfoglicerato ~P ~P

Fosfocreatina

~P Composti fosforilati “ad alta energia” ATP

P P

Composti fosforilati “a bassa energia” Glucosio-6-fosfato Glicerolo-3-fosfato

Figura 14.9 Posizione dell’ATP

rispetto a composti fosforilati “ad alta energia” e “a bassa energia”. I gruppi fosforici passano da donatori “ad alta energia”, mediante il sistema ATP-ADP, ad accettori “a bassa energia”.

490

CAPITOLO 14

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alla risonanza competitiva del gruppo guanidinico, che è ancora più elevata di quella del gruppo fosforico delle fosfoanidridi: + H2N

o

o

O

C

NH O

P

N

X

O–

O–

R R = CH2

CO–2 ; X = CH3

Fosfocreatina

CO–2 ; X = H

Fosfoarginina

NH+3 R = CH2

CH2

CH2

CH

Di conseguenza, la fosfocreatina può trasferire il suo gruppo fosforico all’ADP e formare ATP. La fosfocreatina rappresenta una riserva “ad alta energia” per la formazione di ATP. Le cellule muscolari e nervose, che hanno un elevato ricambio di ATP, di-

pendono dalle fosfoguanidine per rigenerare rapidamente l’ATP. Nei vertebrati la fosfocreatina è sintetizzata per fosforilazione reversibile della creatina da parte dell’ATP, catalizzata dalla creatina chinasi:

ATP creatina 34 fosfocreatina + ADP ∆G°9= + 12,6 kJ ∙ mol−1

Si noti che in condizioni standard questa reazione è endoergonica: tuttavia le concentrazioni intracellulari dei suoi reagenti e dei suoi prodotti sono tali che la reazione agisce in una condizione vicina all’equilibrio (∆G ≈ 0). Di conseguenza, quando la cellula è in condizione di riposo e la concentrazione di ATP ([ATP]) è relativamente alta, la reazione procede verso la sintesi netta di fosfocreatina, mentre quando vi è un’intensa attività metabolica e la [ATP] è bassa, l’equilibrio si sposta in modo da ottenere una sintesi netta di ATP a partire da fosfocreatina e ADP. La fosfocreatina quindi agisce come un “tampone” dell’ATP nelle cellule che contengono la creatina chinasi. Un muscolo scheletrico di vertebrato in condizioni di riposo ha una quantità di fosfocreatina sufficiente a soddisfare le richieste di energia libera per pochi minuti (ma solo per pochi secondi se è in condizioni di massimo sforzo). Nei muscoli di alcuni invertebrati, come gli astici, la stessa funzione è svolta dalla fosfoarginina. Queste fosfoguanidine sono dette fosfageni. I nucleosidi trifosfato si possono interconvertire liberamente. Molti

processi biosintetici, come la sintesi delle proteine e degli acidi nucleici, richiedono nucleosidi trifosfato diversi dall’ATP. Per esempio, la sintesi dell’RNA necessita, oltre che di ATP, dei ribonucleotidi CTP, GTP e UTP, mentre la sintesi del DNA richiede dCTP, dGTP, dTTP e dATP (Paragrafo 3.1). Tutti questi nucleosidi trifosfato (NTP) sono sintetizzati dall’ATP e dal corrispondente nucleoside difosfato (NDP) in una reazione catalizzata dall’enzima non specifico nucleoside difosfato chinasi:

ATP + NDP 34 ADP + NTP

I valori di ∆G °′ per queste reazioni sono vicini a 0, come ci si aspetterebbe dalle somiglianze di struttura tra i vari NTP. Queste reazioni sono indotte dalla carenza di NTP causata dal loro utilizzo esoergonico in reazioni successive. Altre chinasi trasformano in modo reversibile i nucleosidi monofosfato nelle rispettive forme difosfato, a spese dell’ATP. Una di queste reazioni di trasferimento del gruppo fosforico è catalizzata dall’adenilato chinasi: AMP + ATP 34 2 ADP

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Questo enzima è presente in tutti i tessuti e serve per mantenere in equilibrio le concentrazioni dei tre nucleotidi. Quando si accumula AMP, questo viene convertito in ADP, che può essere utilizzato per sintetizzare ATP mediante la fosforilazione a livello di substrato, la fosforilazione ossidativa o la fotofosforilazione. La reazione inversa aiuta a ristabilire i livelli cellulari di ATP, poiché il rapido consumo di ATP provoca un aumento nei livelli di ADP. La struttura ai raggi X dell’adenilato chinasi, determinata da Georg Schulz, rivela che, nella reazione catalizzata da questo enzima, due domini di circa 30 residui amminoacidici dell’enzima si richiudono intorno ai substrati (Figura 14.10), legandoli quindi saldamente e impedendo all’acqua di entrare nel sito attivo (l’ingresso dell’acqua indurrebbe l’idrolisi del gruppo fosforico e non il suo trasferimento). Il movimento di uno di questi due domini dipende dalla presenza di quattro residui la cui carica non si modifica. Sembra che le interazioni tra questi gruppi e il substrato legato all’enzima inneschino riordinamenti nelle vicinanze del sito che lega il substrato (Figura 14.10b). Una volta terminata la reazione dell’adenilato chinasi, il prodotto saldamente legato deve essere rapidamente rilasciato, in modo da mantenere l’efficienza catalitica dell’enzima. Tuttavia, poiché nella reazione la variazione di energia libera è vicina allo zero (il numero netto di legami fosfoanidridici rimane invariato), è necessaria un’altra fonte di energia libera perché avvenga il rilascio immediato del prodotto. Il confronto tra le strutture ai raggi X dell’adenilato chinasi priva del ligando e dell’adenilato chinasi unita a un composto artificiale, Ap5A, che imita i due substrati (AMP e ATP uniti da un quinto gruppo fosforico), mostra come l’enzima riesca a evitare la “trappola cinetica” di un legame troppo saldo tra substrati e prodotti: nel momento in cui lega il substrato, una regione della proteina lontana dal sito attivo aumenta la mobilità della sua catena, consumando parte dell’energia libera prodotta dal legame del substrato. Questa regione si “risolidifica” quando il sito di legame per il substrato si apre e i prodotti sono rilasciati. Si ritiene che questo meccanismo agisca come un “contrappeso energetico”, aiutando l’adenilato chinasi a mantenere elevata la sua velocità di reazione.

(b)

(a)

491

Figura 14.10 Modificazioni conformazionali nell’adenilato chinasi di E. coli indotte dal legame con il substrato. (a) L’enzima privo del ligando (substrato). (b) L’enzima legato all’analogo del doppio substrato; Ap5A. Ap5A è rappresentato sotto forma di bastoncini con C in verde, N in blu, O in rosso e P in giallo. I domini della proteina colorati in azzurro e in blu subiscono notevoli modificazioni conformazionali in seguito al legame con il substrato, mentre il resto della proteina (in porpora), il cui orientamento è lo stesso in (a) e (b), mantiene in gran parte la sua conformazione. [Basata su una struttura ai raggi X di Georg Schulz, Institut für Organische Chemie und Biochemie, Friburgo, Germania. PDBid (a) 4AKE e (b) 1AKE].

492

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D I tioesteri sono composti ad alta energia L’ubiquità dei composti fosforilati nel metabolismo è coerente con la loro precoce comparsa nel corso dell’evoluzione. Tuttavia il fosfato è (ed era) scarsamente presente nel mondo abiotico: questo induce a ritenere che altri tipi di molecole fossero usati come composti ricchi di energia prima che nelle vie metaboliche cominciassero a essere utilizzati i composti fosforilati. Un probabile candidato a composto primitivo “ad alta energia” è il tioestere: a suo favore depone il fatto che si tratta di un componente delle principali vie metaboliche di tutti gli organismi conosciuti. È interessante notare che il legame tioestere è coinvolto nella fosforilazione a livello di substrato, un processo che genera ATP indipendente dalla fosforilazione ossidativa e che probabilmente si è originato prima di questo processo. Il legame tioestere compare nelle attuali vie metaboliche come intermedio di reazione (coinvolgendo un residuo di Cys nel sito attivo di un enzima) e sotto forma di acetil-CoA (Figura 14.11), il prodotto comune del catabolismo di carboidrati, acidi grassi e amminoacidi. Il coenzima A (CoASH, o CoA) è costituito da un gruppo β-mercaptoetilamminico legato con un legame amidico alla vitamina acido pantotenico che, a sua volta, è attaccata a una unità 3′-fosfoadenosinica mediante un ponte pirofosforico. Il gruppo acetilico dell’acetil-CoA è legato come tioestere alla parte sulfidrilica della β-mercaptoetilammina. Il CoA agisce quindi come trasportatore di gruppi acetilici e di altri gruppi acilici (la lettera A in CoA sta per “acetilazione”). I tioesteri sono presenti anche sotto forma di catene aciliche legate a un residuo di fosfopanteteina, unito a sua volta al grup-

Gruppo acetilico O S, C Residuo di -mercaptoetilammina

CH3

CH2 CH2 NH C

O

CH2

Adenosina-39fosfato

CH2 NH Residuo di acido pantotenico

NH2

C

O

HO

C

H

H3C

C

CH3

O

O

P

CH2

N

N

O–

O O

P

N

N O

CH2

O–

H

O

H OH

P

O–

H –O

O

H

O Acetil-coenzima A (acetil-CoA) Figura 14.11 Struttura chimica dell’acetil-CoA. Il legame tioestere è stato indicato con il simbolo ~, per evidenziare il fatto che si tratta di un legame “ad alta energia”. Nel CoA il gruppo acetilico è sostituito dall’idrogeno.

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po OH di una serina di una proteina (Paragrafo 20.4C), invece che all’AMP, come nel CoA. L’acetil-CoA è un composto “ad alta energia”. Il ∆G°′ per l’idrolisi del suo legame tioestere è di −31,5 kJ ∙ mol−1, valore che rende la reazione leggermente più esoergonica (1 kJ ∙ mol−1) dell’idrolisi dell’ATP. L’idrolisi dei tioesteri è più esoergonica di quella dei normali esteri perché il tioestere è meno stabilizzato dalla risonanza. Questa destabilizzazione è causata dall’elevato raggio atomico di S, che riduce la sovrapposizione elettronica tra C e S, rispetto a quella tra C e O. La formazione di un legame tioestere in un intermedio metabolico conserva una parte dell’energia libera ricavata dall’ossidazione di un carburante metabolico. Questa energia libera può essere utilizzata per promuovere un processo esoergonico. Nel ciclo dell’acido citrico, per esempio, la rottura di un tioestere (succinil-CoA) rilascia una quantità di energia sufficiente per sintetizzare GTP a partire da GDP e Pi (Paragrafo 17.3E).

Introduzione al metabolismo

493

PUNTO DI VERIFICA

• Che tipo di molecole vengono utilizzate dalle cellule come moneta di scambio energetico?

• Perché l’ATP è un composto ad “alta energia”?

• Descrivete come un processo esoergonico può favorire un processo endoergonico.

• Perché l’attività della pirofosfatasi inorganica è metabolicamente indispensabile?

• Spiegate in che modo l’ATP cellulare viene rifornito dai fosfageni.

• Quali sono i ruoli della nucleoside difosfato chinasi e dell’adenilato chinasi?

• Perché il legame tioestere è un legame ad “alta energia”?

3 Le reazioni di ossidoriduzione CONCETTI CHIAVE

• I trasportatori di elettroni NAD+ e FAD accettano elettroni dai metaboliti ridotti e li trasferiscono ad altri composti.

• L’equazione di Nernst descrive la termodinamica delle reazioni di ossidoriduzione. • Il potenziale di riduzione rappresenta la tendenza che ha un composto ossidato ad accettare elettroni (a ridursi). La variazione del potenziale di riduzione di una reazione rappresenta la tendenza di un dato composto ossidato ad accettare elettroni da un dato composto ridotto.

• L’energia libera e il potenziale di riduzione sono inversamente proporzionali: più è elevato il potenziale di riduzione, più negativa è l’energia libera e più favorevole è la reazione.

Quando i carburanti metabolici sono ossidati a CO2, gli elettroni sono trasferiti a trasportatori molecolari che, negli organismi aerobici, li trasferiscono infine all’ossigeno molecolare. Il processo di trasporto degli elettroni determina la formazione di un gradiente di concentrazione protonica transmembrana che guida la sintesi di ATP (fosforilazione ossidativa; Paragrafo 18.3). Persino gli anaerobi obbligati, che non effettuano la fosforilazione ossidativa, si affidano all’ossidazione di substrati per indurre la sintesi di ATP. In effetti le reazioni di ossidazione-riduzione (dette anche reazioni redox) forniscono agli esseri viventi la maggior parte dell’energia libera di cui hanno bisogno. In questo paragrafo esamineremo le basi termodinamiche della conservazione dell’energia libera durante l’ossidazione dei substrati.

A

NAD+

e FAD sono trasportatori di elettroni

I due più comuni trasportatori di elettroni sono i coenzimi nucleotidici nicotinamide adenina dinucleotide (NAD+) e flavina adenina dinucleotide (FAD). La porzione nicotinamidica del NAD+ (e del suo analogo fosforilato NADP+; Figura 11.4) è il sito in cui avviene la riduzione reversibiH O le, la quale si verifica sotto forma di trasferimento di uno − ione idruro (H ; un protone con due elettroni), come inC dicato nella Figura 14.12. L’accettore terminale degli eletNH2 troni negli organismi aerobici, l’O2, può ricevere soltan+ to elettroni non appaiati (dato che ciascuno dei suoi due N orbitali molecolari a minor energia disponibili è già occuR pato da un elettrone): gli elettroni devono cioè essere traNAD+ sferiti all’O2 uno alla volta. Gli elettroni che sono rimossi

Figura 14.12 Riduzione del NAD+

a NADH. R rappresenta la porzione ribosio-pirofosforil-adenosina del coenzima. Solo l’anello nicotinamidico è interessato alla riduzione, rappresentata nella figura come trasferimento di uno ione idruro.

H

H

O C

+

NH2

H: N R NADH

CAPITOLO 14

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Figura 14.13 Flavina adenina dinucleotide (FAD). L’adenosina (in rosso) è legata alla riboflavina (in nero) tramite un gruppo pirofosforico (in verde). La parte riboflavinica del FAD è nota anche come vitamina B2.

NH2 N

N Riboflavina O CH2

Individuate la base, il ribosio e i gruppi fosforici di questo nucleotide. Ribitolo

P

O

HO

C

H

HO

C

H

HO

C

H

O O

O–

P O–

OCH2 O H

N

H3C

N

H

H

H OH OH

Adenosina

CH2 H3C

N

N

N

O NH

O FAD R H3C

8a 8

7a 7

H3C

9

6

9a 5a

N

10 5

N 10a

1

4a 4

N

O 2 3

N

H

O Flavina adenina dinucleotide (FAD) (forma ossidata o chinonica) H• R H3C

N

H3C

N

N

O N



H

O

H

FADH (forma radicalica o semichinonica) H•

H3C H3C

R

H

N

N

H

B L’equazione di Nernst descrive l’energetica delle reazioni di ossidoriduzione O N

N

dai metaboliti in coppie (per esempio, i due elettroni necessari per la riduzione del NAD+) devono essere trasferiti ad altri trasportatori che possono andare incontro a reazioni redox in cui sono coinvolti due elettroni, ma anche un singolo elettrone. Uno di questi coenzimi è il FAD (Figura 14.13). Il sistema ad anelli coniugati del FAD può accettare uno o due elettroni, producendo un radicale stabile (semichinone) FADH·, o la forma totalmente ridotta (idrochinone) FADH2 (Figura 14.14). Il cambiamento dello stato elettronico del sistema ad anelli indotto dalla riduzione è evidenziato dal riquadro e dagli atomi in colore verde (nel FADH2). Le funzioni metaboliche del NAD+ e del FAD richiedono che la loro riduzione sia reversibile, in modo da poter accettare elettroni, passarli ad altri trasportatori e infine venire rigenerati per partecipare ad altri cicli di ossidazione e di riduzione. Gli esseri umani non sono in grado di sintetizzare la componente flavinica del FAD: devono quindi introdurla con la dieta, per esempio sotto forma di riboflavina (vitamina B2; Figura 14.13). La carenza di riboflavina è tuttavia piuttosto rara nell’uomo, in parte a causa del forte legame tra i gruppi prostetici flavinici e i loro apoenzimi. I sintomi della carenza di riboflavina, generalmente associati a malnutrizione o a diete squilibrate, comprendono infiammazioni della lingua, lesioni ai lati della bocca e dermatiti.

H

O

FADH2 (forma ridotta o idrochinonica) Figura 14.14 Riduzione del FAD

a FADH2. R rappresenta la parte ribitolo-pirofosforil-adenosina del coenzima. Il sistema ad anelli coniugati del FAD subisce due riduzioni sequenziali a un elettrone per volta, oppure un trasferimento di due elettroni che permette di “saltare” lo stato semichinonico.

Le reazioni di ossidazione-riduzione somigliano ad altri tipi di reazioni che trasferiscono gruppi, tranne per il fatto che i “gruppi” trasferiti sono elettroni, che vengono trasferiti da un donatore di elettroni (agente riducente, o riducente) a un accettore di elettroni (agente ossidante, o ossidante). Per esempio, nella reazione

Fe3+ + Cu+ 34 Fe2+ + Cu2+ Cu+, il riducente, è ossidato a Cu2+, mentre Fe3+, l’ossidante, è ridotto a Fe2+. Le reazioni redox possono essere suddivise in due semireazioni, come Fe3+ + e− 34 Fe2+ (riduzione) Cu+ 34 Cu2+ + e− (ossidazione) la cui somma è la reazione totale precedente. Queste particolari semireazioni avvengono durante l’ossidazione della citocromo c ossidasi nel mitocondrio (Paragrafo 18.2F). Si noti che, affinché sia possibile il trasferimento degli elettroni,

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Figura 14.15 Una cella elettrochimica. La semicella che subisce l’ossidazione (in questo caso Cu+ n Cu2+ + e−) trasferisce gli elettroni liberati attraverso il filo metallico alla semicella che subisce la riduzione (in questo caso e− + Fe3+ n Fe2+). La condizione di neutralità elettrica delle due semicelle viene mantenuta dal trasferimento di ioni attraverso il ponte salino, che contiene un elettrolita.

e– Voltmetro Ponte salino

Pt

le due semireazioni devono avvenire simultaneamente. Gli elettroni sono in realtà l’intermedio comune delle due semireazioni. Una semireazione è costituita da un donatore di e– + Fe3+ Fe2+ elettroni e dall’accettore di elettroni a esso coniugato; nella semireazione ossidativa precedentemente riportata, Cu+ è il donatore di elettroni e Cu2+ è l’accettore coniugato. I due composti costituiscono insieme una coppia ossidoriduttiva, o coppia redox coniugata, analoga alla coppia coniugata acido-base (HA e A−; Paragrafo 2.2B). Un’importante differenza tra le coppie redox e le coppie acido-base è il fatto che le due semireazioni di una reazione redox, ognuna costituita da una coppia redox coniugata, possono essere fisicamente separate in modo da formare una cella elettrochimica (Figura 14.15). In questo tipo di apparecchio ciascuna delle due semireazioni avviene in una semicella separata, e gli elettroni passano da una semicella all’altra sotto forma di corrente elettrica lungo il filo metallico che collega i due elettrodi. Per completare il circuito elettrico è necessario allestire un ponte salino che fornisca una via per la migrazione degli ioni, mantenendo così la neutralità elettrica. È particolarmente semplice determinare l’energia libera di una reazione di ossidazione-riduzione, poiché basta misurare la differenza di potenziale che si stabilisce tra le due semicelle. Considerate la reazione generale Anoss+ + Brid 34 Arid + Bnoss+ in cui n elettroni per mole di reagenti sono trasferiti dal riducente (Brid) all’ossidante (Anoss+). L’energia libera di questa reazione è espressa da

⌬G

⌬G°⬘

RT ln

[Arid ][Bnoss ] [Anoss ][Brid ]

[14.4]

In condizioni reversibili, ∆G = −w′ = −wel

[14.5]

dove w′ è il lavoro a pressione e volume costanti. In questo caso w′ è equivalente a wel, il lavoro elettrico richiesto per trasferire n moli di elettroni attraverso una differenza di potenziale elettrico, ∆ℰ [dove l’unità di misura di ℰ è il volt (V), il numero di joule (J) di lavoro necessario per trasferire 1 coulomb (C) di carica]. Secondo le leggi dell’elettrostatica si ha

wel = n∆ℰ

[14.6]

dove , il faraday o costante di Faraday, è la carica elettrica di 1 mol di elettroni (1  = 96 485 C ∙ V−1 ∙ mol−1 = 96 485 J ∙ V−1 ∙ mol−1), e n è il numero di moli di elettroni trasferite per ogni mole di reagente che si trasforma. Così, sostituendo l’equazione 14.6 nell’equazione 14.5, si ottiene: ∆G = −n∆ℰ

[14.7]

Combinando le equazioni 14.4 e 14.7 e operando analoghe sostituzioni per ∆G°, si ottiene l’equazione di Nernst: DᏱ

DᏱ°

[Arid ][Bnoss ] RT ln nᏲ [Anoss ][Brid ]

e–

[14.8]

Pt

Cu+

Cu2+ + e–

CONCETTI DI BASE Reazioni di ossidoriduzione Perché una sostanza si riduca (acquisti elettroni), un’altra sostanza deve ossidarsi (perdere elettroni). In altre parole, ogni reazione di ossidoriduzione deve avere un accettore e un donatore di elettroni sia tra i reagenti, sia tra i prodotti. Nelle reazioni di ossidoriduzione, gli elettroni rimangono associati alle molecole; gli elettroni liberi non possono fluttuare dentro la cellula.

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formulata per la prima volta nel 1881 da Walther Nernst. In questa equazione ℰ è il potenziale di riduzione, la tendenza di una sostanza a subire una riduzione (acquistare elettroni). ∆ℰ, la forza elettromotrice (emf), può essere descritta come la “pressione di elettroni” esercitata da una cella elettrochimica. Il valore ℰ°, che indica il potenziale di riduzione quando tutti i componenti sono nelle condizioni standard, è detto potenziale di riduzione standard. Se le condizioni standard si riferiscono a condizioni standard biochimiche (Paragrafo 1.3D), allora ℰ° è sostituito da ℰ°′. È interessante notare che, per valori di ∆ℰ positivi, nell’equazione 14.7 si hanno valori di ∆G negativi. In altre parole, un valore positivo di ∆ ℰ indica una reazione spontanea, che è in grado di compiere un lavoro chimico.

C La spontaneità di una reazione può essere determinata dalle differenze dei potenziali di riduzione L’equazione 14.7 mostra che la variazione di energia libera di una reazione redox può essere determinata misurando direttamente la sua variazione di potenziale di riduzione con un voltmetro (Figura 14.15). Queste misurazioni rendono possibile la determinazione dell’ordine di trasferimento spontaneo degli elettroni fra una serie di trasportatori di elettroni come quelli che effettuano la fosforilazione ossidativa nelle cellule. Qualsiasi reazione redox può essere divisa nelle due semireazioni che la compongono:

Anoss+ + n e− 34 Arid Bnoss+ + n e− 34 Brid dove, per convenzione, entrambe le semireazioni sono scritte in forma di riduzione. A ciascuna di queste semireazioni è possibile assegnare un potenziale di riduzione standard, rispettivamente ℰA e ℰB, e in base all’equazione di Nernst si ha: [Arid ] RT [14.9] ln ᏱA Ᏹ°⬘ A nᏲ [Anoss ]

[Brid ] RT [14.10] ln nᏲ [Bnoss ] Considerando la reazione redox complessiva che comprende le due semireazioni, la differenza di potenziale di riduzione, ∆ ℰ°′, è definita come ᏱB

Ᏹ°⬘ B

∆ ℰ°′ = ∆ ℰ°′(accettore di e–) – ∆ ℰ°′(donatore di e–)

[14.11]

Così, quando la reazione procede con A come accettore di elettroni e B come donatore di elettroni, ∆ ℰ°′ = ℰA°′ − ℰ°′, B e ∆ ℰ = ℰA − ℰB. I potenziali di riduzione standard sono usati per confrontare le affinità per gli elettroni. I potenziali di riduzione, come i valori di energia libera, devono esse-

re definiti in rapporto a standard di riferimento arbitrari, in questo caso la semireazione dell’idrogeno

2 H+ + 2 e− 34 H2 (g) nella quale H+ è in equilibrio con H2 (g) e in contatto con un elettrodo di Pt. A questa semicella è stato assegnato arbitrariamente un potenziale di riduzione standard ℰ° di 0 V (1 V = 1 J ∙ C−1) a pH 0, 25 °C e a 1 atm. Per convenzione biochimica, lo stato standard ha un valore di pH pari a 7,0 e la semireazione dell’idrogeno ha un potenziale di riduzione standard ℰ°′ di −0,421 V. Quando ∆ ℰ è positivo, ∆G è negativo (equazione 14.7), quindi il processo avviene spontaneamente. Combinando due semireazioni, in condizioni stan-

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dard, la direzione spontanea della reazione richiede che avvenga la riduzione della coppia redox ad opera di un potenziale di riduzione standard maggiormente positivo. In altre parole, più è positivo il potenziale di riduzione standard, maggiore è l’affinità per gli elettroni della forma ossidata della coppia redox, cioè maggiore è la tendenza della forma ossidata ad accettare elettroni e quindi a ridursi. Le semireazioni biochimiche sono fisiologicamente importanti. La Tabella 14.4

elenca i potenziali di riduzione standard biochimici (ℰ°′) di alcune semireazioni biologicamente importanti. La forma ossidata di una coppia redox con un potenziale di riduzione standard largamente positivo è caratterizzata da un’elevata affinità per gli elettroni ed è un forte accettore di elettroni (agente ossidante), mentre il riducente coniugato è un debole donatore di elettroni (agente riducente). Per esempio, l’O2 è il più forte agente ossidante tra quelli riportati nella Tabella 14.4, mentre H2O, che mantiene saldamente legati i propri elettroni, è l’agente riducente più debole tra quelli elencati. Il contrario vale nel caso delle semireazioni con potenziali di riduzione standard fortemente negativi.

TABELLA 14.4 Potenziali di riduzione standard di alcune semireazioni

importanti da un punto di vista biochimico ℰ°′ (V)

Semireazione 1 2

+



O2 + 2 H + 2 e 34 H2O −

NO

+

+ 2 H + 2 e 34

3

−0,815

NO− 2



+ H2O



−0,42

Citocromo a3 (Fe ) + e 34 citocromo a3 (Fe )

−0,385

O2 + 2 H+ + 2 e− 34 H2O2

−0,295

3+

2+

Citocromo a (Fe3+) + e− 34 citocromo a (Fe2+) −

Citocromo c (Fe ) + e 34 citocromo c (Fe ) 3+

2+



Citocromo c1 (Fe ) + e 34 citocromo c1 (Fe ) 3+

2+



Citocromo b (Fe ) + e 34 citocromo b (Fe ) (mitocondriale) 3+

2+

+



−0,29 −0,235 −0,22 −0,077

Ubichinone + 2 H + 2 e 34 ubichinolo

−0,045

Fumarato− + 2 H+ + 2 e− 34 succinato−

−0,031

+



FAD + 2 H + 2 e 34 FADH2 (nelle flavoproteine) −

+





Ossalacetato + 2 H + 2 e 34 malato −

Piruvato + 2

H+

+2

e−

+

34

lattato−



Acetaldeide + 2 H + 2 e 34 etanolo +

e−

FAD + 2 H + 2

34 FADH2 (coenzima libero)

S + 2 H+ + 2 e− 34 H2S +

Acido lipoico + 2 H + 2 +

+

34 acido diidrolipoico



NADP +

H+

+2

e−

Acetoacetato + 2

H+

+2 −

H+

Acetato + 3

+2

H+

−0,197 −0,219 −0,29

34 NADPH

−0,320

+

−0,340



+2

e−

34

SO32−+

34

β-idrossibutirrato−

H+ + e− 34 21 H2 SO42−

−0,185

−0,315

Cistina disolfuro + 2 H + 2 e 34 2 cisteina −

−0,166

−0,23

e−

NAD + H + 2 e 34 NADH +

−0,040

−0,346 −0,421

e−

+2

e−

H2O

34 acetaldeide + H2O

−0,515 −0,581

Fonte: prevalentemente da Loach, P.A. (1976). In Handbook of Biochemistry and Molecular Biology, a cura di G.D. Fasman, 3a ed. CRC Press, Physical and Chemical Data, Vol. I, pp. 123-130. Gli elettroni si muovono più facilmente dall’ubichinone all’acetaldeide o dall’etanolo all’ubichinone?

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Poiché si spostano spontaneamente da bassi ad alti potenziali di riduzione, in condizioni standard gli elettroni sono trasferiti dai prodotti ridotti di qualsiasi semireazione della Tabella 14.4 ai reagenti ossidati di qualsiasi semireazione soprastante (vedi l’Esempio di calcolo 14.2). Tuttavia questa reazione può avvenire a una velocità talmente bassa da non essere misurabile in assenza di un appropriato enzima. Si noti che gli ioni Fe3+ dei vari citocromi elencati nella Tabella 14.4 hanno potenziali di riduzione significativamente diversi. Questo indica che la componente proteica degli enzimi redox ha un ruolo attivo nelle reazioni di trasferimento degli elettroni, regolando i potenziali di riduzione dei centri redox legati a essa. Le reazioni di trasferimento degli elettroni hanno una grande importanza biologica. Per esempio, nella catena di trasporto degli elettroni (Paragrafo 18.2) gli elettroni sono trasferiti dal NADH a una serie di accettori con potenziali di riduzione crescenti (compreso il FAD e altri tra quelli elencati nella Tabella 14.4) fino all’O2. L’ATP è prodotto a partire da ADP e Pi tramite l’accoppiamento di questa cascata di energia libera con la sintesi del nucleotide. Il NADH agisce quindi come un coenzima di trasferimento degli elettroni ad alta energia. Infatti l’ossidazione di una molecola di NADH a NAD+ fornisce una quantità di energia libera sufficiente a sintetizzare tre molecole di ATP. Il NAD+ è un accettore di elettroni in molte ossidazioni esoergoniche di metaboliti. Comportandosi come donatore di elettroni nella sintesi di ATP, questo coenzima riveste un ruolo ciclico come trasportatore di energia libera, in modo analogo a quanto avviene con l’ATP (Figura 14.9). Ð ESEMPIO DI CALCOLO 14.2

Calcolate il ∆G°′ per l’ossidazione del NADH da parte del FAD. Combinando le opportune semireazioni si ottiene NADH + FAD + H+ 34 NAD+ + FADH2

Calcolate poi la forza elettromotrice (∆ℰ°′) in base ai potenziali standard di riduzione dati nella Tabella 14,4, usando uno dei seguenti metodi. Metodo 1 Secondo l’equazione 14.11, ∆ℰ°′ = ℰ°′(accettore di e–) − ℰ°′(donatore di e–) Poiché il FAD (ℰ°′ = −0,219 V) è l’accettore di elettroni, e il NADH (ℰ°′ = −0,315 V) è il donatore di elettroni, ∆ℰ°′ = (−0,219 V) − (−0,315 V) = +0,096 V

PUNTO DI VERIFICA

• Quali sono i ruoli metabolici del NAD+ e del FAD?

• Spiegate perché il NADH e il FADH2 sono un tipo di moneta di scambio energetico intracellulare.

• Spiegate i termini dell’equazione di Nernst.

• Quando due semireazioni si combinano, come è possibile prevedere quale composto verrà ossidato e quale invece verrà ridotto?

• In che modo il ∆ℰ è correlato al ∆G?

Metodo 2 Scrivete la reazione netta come somma delle due appropriate semireazioni. Per il FAD, la semireazione è la stessa riduttiva della Tabella 14.4, e il suo valore ℰ°′ è −0,219 V. Per il NADH, che subisce un’ossidazione e non una riduzione, la semireazione è l’inverso di quella data nella Tabella 14.4, e il suo valore ℰ°′ è +0,315 V, l’inverso del potenziale di riduzione dato nella tabella. Le due semireazioni sono sommate per ottenere la reazione totale di ossidoriduzione, e anche i valori di ℰ°′ si sommano:

FAD 2 H 2 e n FADH2 NADH n NAD H 2e NADH FAD H n NADH

FADH2

%°⬘ %°⬘ ⌬%°⬘

0,219 V 0,315 V 0,096 V

Usate poi l’equazione 14.7 per calcolare ∆G°′. Poiché due moli di elettroni sono trasferite per ogni mole di NADH ossidato a NAD+, n = 2.

⌬G °⬘ ⌬G°⬘

nᏲ⌬Ᏹ°⬘ (2)(96 485 J ? V

1

? mol

1

)(0,096 V)

18,5 kJ ? mol

1

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4 I metodi sperimentali di studio del metabolismo CONCETTI CHIAVE

• Le vie metaboliche vengono spesso studiate seguendo il destino dei metaboliti marcati con radionuclidi o con isotopi identificabili mediante NMR.

• Le tappe di una via metabolica possono essere identificate esaminando in che modo gli inibitori metabolici e/o i difetti genetici portano all’accumulo di intermedi delle vie stesse.

• Per determinare l’espressione genetica di enzimi metabolici si utilizzano le tecniche del DNA microarray e della proteomica.

• L’attività metabolica di una cellula determina il suo metaboloma. Una via metabolica può essere esaminata a vari livelli. 1. In base alla sequenza di reazioni attraverso le quali uno specifico nutriente è convertito nei prodotti finali e al bilancio energetico di queste conversioni. 2. In base ai meccanismi mediante i quali ciascun intermedio è convertito nel metabolita che segue. Per questo tipo di analisi è necessario isolare e caratterizzare gli enzimi specifici che catalizzano ciascuna reazione. 3. In base ai meccanismi di controllo che regolano il flusso dei metaboliti lungo la via. Questi meccanismi comprendono le correlazioni tra i vari organi che regolano l’attività metabolica in funzione delle necessità dell’intero organismo.

Fornire chiarimenti di una via metabolica a tutti questi livelli è un processo complesso, che richiede il contributo di varie discipline. Le principali vie metaboliche sono note a grandi linee da alcune decine di anni, anche se in molti casi i meccanismi enzimatici di alcune tappe delle vie restano oscuri. Non sono inoltre ancora interamente conosciuti i meccanismi di regolazione dell’attività di una via metabolica nelle diverse condizioni fisiologiche. Queste aree di ricerca sono di grande interesse perché possono fornire informazioni utili per il miglioramento della salute dell’uomo e per curare le malattie dovute a disfunzioni metaboliche. La comprensione delle alterazioni metaboliche che avvengono nel cancro costituisce un’area di ricerca particolarmente attiva. Inoltre, i metabolismi dei microrganismi promettono risultati molto interessanti per la produzione di nuovi materiali biologici e processi enzimatici utili per ottenere materiali industriali, cibo e farmaci in modo non dannoso per l’ambiente. I primi studi metabolici utilizzavano organismi interi: spesso lieviti, ma anche mammiferi. Per esempio, nel 1921 Frederick Banting e Charles Best individuarono il ruolo del pancreas nel diabete, asportando chirurgicamente l’organo dai cani e osservando che gli animali operati sviluppavano la malattia (Scheda 22.2). Da allora le tecniche per studiare i processi metabolici sono diventate più raffinate: da preparazioni provenienti dall’organo intero e dal trattamento di sottili fettine di tessuto si è giunti a utilizzare cellule in coltura e organelli isolati. Gli approcci più recenti si basano sull’identificazione dei geni, dei loro prodotti proteici e dei metaboliti che si formano come risultato delle loro attività.

A I metaboliti marcati possono essere usati come traccianti Una via metabolica nella quale un composto è convertito in un altro può essere seguita tramite la marcatura specifica di un metabolita. Franz Knoop mise a punto questa tecnica nel 1904 per studiare l’ossidazione degli acidi grassi. Egli nutrì alcuni cani con acidi grassi marcati chimicamente con gruppi fenilici e isolò dalle loro urine i prodotti finali contenenti i gruppi fenilici. Dalle differenze riscontrate nei prodotti, che cambiavano a seconda se l’acido grasso di partenza

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TABELLA 14.5 Alcuni marcatori fluorescenti usati in biochimica

Massimo di eccitazione (nm)a

Massimo di emissione (nm)

Amminocumarina

350

455

Fluoresceina

495

519

Cy3

550

570

Ficoeritrina

565

578

Texas Red (sulforodamina)

589

615

Cy5

650

670

Fluoroforo

a

Un fluoroforo (gruppo fluorescente), viene eccitato assorbendo una lunghezza d’onda della luce ed emette luce di una lunghezza d’onda maggiore (a minore energia).

marcato con il gruppo fenilico conteneva un numero di atomi di carbonio pari o dispari, Knoop dedusse che gli acidi grassi erano degradati in unità costituite da due atomi di carbonio (Paragrafo 20.2). I biochimici moderni usano un approccio simile, introducendo spesso composti marcati con un gruppo fluorescente che può essere seguito all’interno del campione del tessuto o anche in una singola cellula (Tabella 14.5). La marcatura chimica ha però lo svantaggio che le proprietà TABELLA 14.6 Alcuni isotopi radioattivi chimiche dei metaboliti marcati sono diverse da quelle dei meutilizzati negli studi biochimici taboliti normali: questo problema è stato risolto marcando le Emivita Tipo molecole con isotopi. È possibile identificare il destino di un me(tempo di di radiazione tabolita che ha un atomo marcato con un isotopo seguendo il suo Radionuclide dimezzamento) emessaa avanzamento lungo la via metabolica di interesse. L’avvento del3H 12,31 anni β le tecniche di marcatura isotopica negli anni ’40 ha rivoluzio14C nato lo studio del metabolismo. La Tabella 14.6 riporta alcuni 5715 anni β degli isotopi radioattivi (radionuclidi) più comunemente uti18 + F 110 minuti β lizzati negli studi biochimici, insieme alle loro emivite e al ti22Na 2,60 anni β+, γ po di radioattività emessa per decadimento spontaneo del loro 32 P 14,28 giorni β nucleo atomico. I composti radioattivi possono essere identi35S ficati sfruttando la loro capacità di impressionare una lastra fo87,2 giorni β tografica. In alternativa, si può misurare la luce emessa da un 45 Ca 162,7 giorni β composto fluorescente quando questo è eccitato dalle particel60 Co 5,271 anni β, γ le β e dai raggi γ emessi dal radioisotopo. 125 I 59,4 giorni γ Uno dei primi progressi verso la comprensione del metabo131 I 8,02 giorni β, γ lismo, derivato dall’uso di traccianti isotopici, è avvenuto nel 1945 con la dimostrazione di David Shemin e David Rittena Le particelle β sono elettroni, le particelle β+ sono berg che gli atomi di azoto del gruppo eme (Figura 7.2) deripositroni, i raggi γ sono fotoni. Fonte: Holden, N.E. (2009-2010) Handbook of Chemistry vano dalla glicina e non dall’ammoniaca, dall’acido glutamand Physics (90a ed.), in Lide, D.R. (a cura di), da pp. mico, dalla prolina o dalla leucina (Paragrafo 21.6A). I due ri11-57 a 266, CRC Press. cercatori lo hanno dimostrato somministrando ad alcuni ratti sostanze nutrienti marcate con 15N, isolando il gruppo eme dal loro sangue e analizzando il suo contenuto di 15N. Soltanto quando ai ratti veniva somministrata [15N]glicina il gruppo eme conteneva 15N. Questa tecnica è stata usata anche per dimostrare che tutti gli atomi di carbonio del colesterolo derivano dall’acetil-CoA, sfruttando in questo caso l’isotopo radioattivo 14C (Paragrafo 20.7A). Gli isotopi radioattivi sono diventati quasi indispensabili per stabilire le origini di metaboliti complessi. Anche le tecniche di scansione dell’intero corpo, usate spesso per individuare i siti di crescita tumorale, usano dei composti radioattivi, come il 2-deossi-2-[18F]-fluoro-d-glucosio, che vengono assimilati dalle cellule. Un altro metodo per determinare il destino dei metaboliti marcati usa la risonanza magnetica nucleare (NMR), che evidenzia specifici isotopi, tra cui 1H, 13C, 15N e 31P, sfruttando i loro caratteristici spin nucleari. Poiché lo spettro

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Glucosio e glicogeno

(a)

C2–C5 C

C6

C

Figura 14.16 Conversione di [1-13C] glucosio in glicogeno osservata in vivo mediante analisi locale NMR con 13C. (a) Spettro NMR del 13C che evidenzia l’abbondanza naturale dell’isotopo nel fegato di un ratto vivo. Si noti la risonanza corrispondente al C1 del glicogeno. (b) Spettro NMR del 13C del fegato dello stesso ratto, circa 5 minuti dopo iniezione intravenosa di 100 mg di [1-13C]glucosio (arricchito al 90%). Le risonanze dell’atomo C1 in entrambi gli anomeri α e β del glucosio sono chiaramente distinguibili l’una dall’altra e dalla risonanza del C1 del glicogeno. (c) Spettro NMR del 13C del fegato dello stesso ratto, circa 30 minuti dopo iniezione di [1-13C]glucosio. Le risonanze del C1 di entrambi gli anomeri α e β del glucosio sono molto ridotte, mentre la risonanza del C1 del glicogeno risulta aumentata. [Da Reo, N.V., Siegfried, B.A. e Acherman, J.J.H. (1984). J. Biol. Chem. 259, 13665.]

CH2

Colina N(CH3)3

C1 Glicogeno

RCOOR⬘

C1–β (b)

C1–α

Glucosio

(c)

180

120

ppm

60

501

0

NMR di un particolare nucleo si modifica al variare dell’ambiente immediatamente circostante, è possibile identificare i picchi corrispondenti a specifici atomi anche in miscele relativamente complesse. Lo sviluppo di magneti abbastanza grandi da adattarsi a esseri umani e ad animali e in grado di localizzare gli spettri in organi specifici ha consentito di studiare le vie metaboliche in modo non invasivo tramite NMR. Per esempio, l’NMR effettuata con 31P può essere utile per studiare il metabolismo energetico del muscolo, misurando con precisione i livelli di composti fosforilati come ATP, ADP e fosfocreatina. La marcatura isotopica con 13C (presente in natura solo per l’1,10%) di specifici atomi di alcuni metaboliti consente di seguire il procedere metabolico degli atomi marcati analizzando lo spettro del 13C con NMR. La Figura 14.16 illustra lo spettro NMR in vivo del 13C in un fegato di ratto, prima e dopo l’iniezione di d-[1-13C]glucosio. È possibile vedere il 13C entrare nel fegato e in seguito essere incorporato nel glicogeno (la forma di riserva del glucosio; Paragrafo 16.2).

B Lo studio delle vie metaboliche spesso prevede l’uso di agenti perturbanti

Molte tecniche usate per identificare gli intermedi e gli enzimi coinvolti nelle vie metaboliche si basano sull’utilizzo di sistemi di perturbazione della via metabolica, osservando come questo intervento esterno influenza l’attività delle varie reazioni nel loro complesso. Uno dei modi per perturbare una via è quello di aggiungere specifiche sostanze, gli inibitori metabolici, che bloccano la via a livello di una delle reazioni, causando quindi un accumulo degli intermedi che precedono il punto di blocco. Questo metodo sperimentale è stato usato per chiarire il meccanismo di conversione del glucosio in etanolo da parte della glicolisi nel lievito (Paragrafo 15.2). In modo simile, mediante l’aggiunta di sostanze che bloccano in vari punti il trasferimento degli elettroni, è stato possibile individuare la sequenza delle molecole trasportatrici nella catena mitocondriale di trasporto degli elettroni (Paragrafo 18.2B).

CAPITOLO 14

502

Introduzione al metabolismo

Difetti genetici possono causare un accumulo di intermedi metabolici. Alla de-

H CH2

C

COO–

NH+ 3 Fenilalanina

H CH2

HO

C

COO–

NH+ 3 Tirosina

O CH2

HO

C

COO–

p-Idrossifenilpiruvato

HO CH2

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COO–

OH Omogentisato

mancante nell’alcaptonuria

terminazione delle vie metaboliche ha contribuito anche la scoperta da parte di Archibald Garrod, agli inizi del XX secolo, che le malattie genetiche umane sono la conseguenza della carenza di specifici enzimi. Per esempio, dopo l’ingestione di fenilalanina o di tirosina gli individui affetti dalla condizione ereditaria non patologica conosciuta come alcaptonuria, a differenza degli individui normali, eliminano nelle urine acido omogentisico (Scheda 21.2). Questo avviene perché il fegato degli alcaptonurici è privo dell’enzima che catalizza la reazione di degradazione dell’acido omogentisico (Figura 14.17). La manipolazione genetica modifica i processi metabolici. I primi studi sul me-

tabolismo hanno portato alla straordinaria scoperta che le più importanti vie metaboliche sono pressoché identiche nella maggior parte degli organismi. Questa uniformità metabolica ha notevolmente facilitato lo studio delle reazioni metaboliche. Così, anche se una mutazione che inattiva o cancella un enzima nella via metabolica di interesse non è presente negli organismi superiori, essa può essere prodotta facilmente mediante mutageni (agenti chimici che inducono modificazioni genetiche; Paragrafo 25.4A), raggi X o, più recentemente, mediante tecniche di ingegneria genetica (Paragrafo 3.5). I mutanti desiderati che non sono in grado di sintetizzare il prodotto finale della via metabolica possono essere identificati per il fatto che la loro crescita richiede l’aggiunta di quel prodotto al mezzo di coltura. Organismi superiori ingegnerizzati privi di particolari geni (per esempio, negli esperimenti di “knockout” genico; Paragrafo 3.5D) sono particolarmente utili nei casi in cui l’assenza di un singolo prodotto genico ha come conseguenza un deficit metabolico non letale. Le tecniche di ingegneria genetica sono progredite al punto da “inattivare” selettivamente un unico gene in un particolare tessuto. Questo tipo di approccio è necessario nei casi in cui un prodotto genico è indispensabile per lo sviluppo e quindi non può essere completamente eliminato. Nel metodo opposto vi sono tecniche di produzione di animali transgenici che rendono possibile l’espressione di geni in tessuti nei quali non erano originariamente presenti.

C La biologia dei sistemi è entrata a far parte dello studio del metabolismo

H2O + CO2 Figura 14.17 Via di degradazione della fenilalanina. I soggetti affetti da alcaptonuria sono privi dell’enzima che scinde l’omogentisato; quindi questo intermedio si accumula ed è escreto nelle urine.

Che tipo di modificazione chimica avviene in ogni tappa mostrata qui?

Tradizionalmente il metabolismo è stato studiato con ricerche guidate da ipotesi formulate in precedenza: isolamento di enzimi e metaboliti e ricostruzione di una via metabolica in base a ipotesi sperimentalmente verificabili. Avendo ora a disposizione le sequenze complete del genoma, sta emergendo un nuovo approccio allo studio del metabolismo chiamato biologia dei sistemi che sfrutta anche nuove tecniche veloci e sensibili per l’analisi di grandi numeri di trascritti genici, proteine e metaboliti, e nuovi strumenti matematici e computazionali. Attraverso questa nuova metodologia vengono analizzate e integrate enormi quantità di informazioni in banche dati accessibili che permettono di caratterizzare le proprietà e la dinamica di intere reti biologiche. Il risultato è stato il progresso della nostra conoscenza sulla via che conduce dal genotipo al fenotipo. Oltre al dogma centrale della biologia (Paragrafo 3.3B), secondo il quale un gene costituito da DNA è trascritto in mRNA che a sua volta viene tradotto in una singola proteina che andrà a influenzare il metabolismo, possiamo analizzare questi livelli di espressione genica più nel dettaglio. Per esempio possiamo valutare il genoma, il trascrittoma (l’intera raccolta di RNA trascritto da una cellula), il proteoma (il gruppo completo di proteine sintetizzate da una cellula in risposta a variazioni delle condizioni) e il metaboloma (l’insieme degli intermedi metabolici della cellula) così come le loro interrelazioni (Figura 14.18). Per evidenziare la sistematica incorporazione delle informazioni preesistenti sui

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meccanismi di reazione e sulle vie meGenoma Genotipo taboliche, è stato persino coniato un DNA nuovo termine, il biblioma (dal greTrascrittoma co biblion, “libro”). Nelle banche dati mRNA accessibili via Internet sono catalogate decine di vie metaboliche in cui sono Proteoma elencate anche le strutture e i nomi Enzima degli intermedi e degli enzimi che ne catalizzano le interconversioni, insieSubstrati Metaboloma me alle correlazioni tra sequenze geniche e strutture tridimensionali delMetaboliti Fenotipo le proteine (vedi Bioinformatica, Progetto 8). Due esempi di questo tipo di banche dati sono l’Enciclopedia-Banca Dati dei Geni, dei Genomi e delle Vie Figura 14.18 La correlazione tra metaboliche di Kyoto [Kyoto Enciclopedia of Genes and Genomes (KEGG) il genotipo e il fenotipo. La via che connette l’informazione genetica Pathway Database], disponibile nel sito www.genome.jp/kegg/metabolism.html (genotipo) con la funzione metabolica e la BRaunschweig ENzyme DAtabase (BRENDA), disponibile nel sito www. (fenotipo) è costituita da diverse tappe. brenda-enzymes.org/. Nei paragrafi seguenti discuteremo alcune delle tecnolo- Porzioni del genoma vengono trascritte per formare il trascrittoma, che dirige gie emergenti utilizzate nella biologia dei sistemi. La genomica esamina tutte le sequenza di DNA di un organismo. Le

capacità metaboliche totali di un organismo sono codificate nel suo genoma (tutti i suoi geni). In teoria dovrebbe essere possibile la ricostruzione delle attività metaboliche di una cellula a partire dalle sue sequenze di DNA. Attualmente questo può essere fatto solo in generale. Per esempio, il sequenziamento del genoma di Vibrio cholerae, il batterio che causa il colera, rivela un ampio repertorio di geni che codificano proteine di trasporto ed enzimi per il catabolismo di una vasta gamma di sostanze nutrienti. Questi risultati sono coerenti con il complicato ciclo biologico di V. cholerae, che può condurre una vita libera, o in associazione con lo zooplancton, oppure da parassita nel tratto gastrointestinale umano (dove causa il colera). Naturalmente un semplice catalogo dei geni di un organismo non rivela come essi funzionino. Per esempio, alcuni geni sono espressi in modo continuo ad alti livelli, mentre altri sono espressi raramente, in pratica solo quando l’organismo incontra un particolare metabolita. I DNA microarray permettono di creare un quadro accurato dell’espressione genica. La costruzione di un quadro accurato dell’espressione genica è l’obiettivo

della trascrittomica, lo studio del trascrittoma di una cellula. L’identificazione e la quantificazione di tutti gli RNA trascritti di un determinato tipo cellulare rivelano quali geni siano attivi e quali no. Le cellule trascrivono migliaia di geni alla volta e quindi questo studio richiede l’utilizzo di nuove tecniche, compresa la tecnologia del DNA microarray. Si ottiene un DNA microarray o chip a DNA depositando numerosi (fino a molte centinaia di migliaia) frammenti diversi di DNA di geni noti in una disposizione (array) precisa su un supporto solido, come per esempio una superficie di vetro opportunamente rivestita. Questi DNA sono spesso cloni amplificati mediante PCR di cDNA derivati da mRNA (la PCR è discussa nel Paragrafo 3.5C), oppure le loro controparti sintetizzate tramite tecnologie robotizzate. Gli mRNA estratti da cellule, tessuti o altre fonti biologiche cresciuti in diverse condizioni, vengono quindi marcati con coloranti fluorescenti (un colore differente per ciascuna condizione di crescita) e incubati con le molecole di DNA sul DNA microarray per ottenere ibridazione. Il cDNA non ibridato è quindi asportato tramite lavaggi. La risultante intensità e il tipo (colore) della fluorescenza in ciascun punto del DNA microarray indicano quindi quanto cDNA (e di conseguenza quanto mRNA) si è lega-

la sintesi del proteoma, le cui varie attività sono responsabili della sintesi e della degradazione dei componenti del metaboloma.

Che tecniche usereste per quantificare o identificare le molecole a ogni livello?

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to a una particolare sequenza di DNA complementare in ogni condizione di crescita. La Figura 14.19 mostra un chip a DNA che indica i cambiamenti avvenuti nell’espressione genica in un lievito cresciuto in presenza di glucosio, a cui poi è stato tolto il rifornimento di glucosio. Così è stato possibile mettere in relazione le differenze nell’espressione di particolari geni con i processi di sviluppo o i modelli di crescita. Per esemSCHEMA DI PROCESSO (a)

Figura 14.19 I chip a DNA (DNA microarray). (a) Rappresentazione schematica di un esperimento che mostra le differenze nell’espressione genica dei lieviti cresciuti in presenza e in assenza di glucosio. (1) Le cellule di lievito sono cresciute in terreno di coltura contenente glucosio e in terreno di coltura privo di glucosio. (2) Viene isolato l’mRNA di ciascuna popolazione di lievito. (3) La trascrittasi inversa copia l’mRNA in cDNA incorporando un colorante fluorescente rosso nel cDNA ottenuto dalle cellule cresciute in presenza di glucosio e un colorante fluorescente verde nel cDNA ottenuto dalle cellule cresciute in condizioni di digiuno dopo l’eliminazione del glucosio. (4) I cDNA ottenuti vengono mescolati. (5) I cDNA marcati ibridano con i segmenti di DNA immobilizzati sul chip di geni e vengono identificati i cDNA legati a esso che emettono fluorescenza rossa e verde. (b) Una disposizione (array) di circa 6000 geni contenente la maggior parte dei geni del lievito di birra, uno per ciascuna posizione (spot). Le macchie rosse e verdi rivelano i geni che sono attivati dal punto di vista trascrizionale rispettivamente in presenza o in assenza di glucosio, mentre le macchie gialle (rosso più verde) indicano i geni la cui espressione non è influenzata dal livello di glucosio. (c) Un apparato per eseguire un DNA microarray. In tal modo viene protetto il chip a DNA in esso contenuto e si assicura, al contempo, la presenza di una camera di ibridazione sempre nelle migliori condizioni. La lettura del risultato richiede l’ausilio di strumenti speciali per la misurazione della fluorescenza. [Per gentile concessione di Affymetrix, Inc., Santa Clara, California.]

Cellule di lievito cresciute in terreno di coltura contenente 1 1 glucosio oppure in terreno di coltura privo di glucosio. Lievito + glucosio

Lievito – glucosio 2

Isolamento dell’mRNA.

2

mRNA Colorante fluorescente rosso (CY3)

mRNA Trascrizione inversa e marcatura 3 3 con coloranti fluorescenti differenti.

cDNA rosso (CY3)

Miscelazione.

Colorante fluorescente verde (CY5)

cDNA verde (CY5)

4

cDNA CY3 + cDNA CY5

Ibridazione dei cDNA con 5 chip a DNA e scansione con laser rossi e verdi.

(b)

(c)

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Figura 14.20 Attività trascrizionali relative dei geni in un tipo di tumore, il carcinoma epatocellulare (HCC), determinata usando DNA microarray. I dati sono presentati sotto forma di una matrice in cui ciascuna colonna rappresenta uno dei 156 campioni di tessuto [82 tumori HCC (il più comune tumore umano del fegato, tra le prime cinque cause di morte per tumori al mondo) e 74 tessuti epatici non tumorali]. Ciascuna fila rappresenta uno dei 3180 geni (quelli tra i circa 17 400 geni del microarray che presentano le maggiori variazioni nell’attività trascrizionale tra i diversi campioni di tessuto). I dati sono disposti in modo da raggruppare i geni e i campioni di tessuto sulla base della somiglianza del profilo di espressione. Il colore di ciascuna cella indica il livello di espressione del gene corrispondente in quel tessuto, rispetto ai livelli di espressione media in tutti i campioni di tessuto: il rosso brillante, il nero e il verde brillante indicano livelli di espressione di 4, 1 e 1/4 del valore della media per quel gene (come indicato nella scala sottostante). Il dendrogramma nella parte alta della matrice indica le similarità degli schemi di espressione nei diversi campioni di tessuto. [Da Chen, X., et al, Mol. Biol. Cell 13, 1929 (2002), Fig. 1. Per gentile concessione di David Botstein e Patrick Brown, Stanford University School of Medicine.]

HCC

Fegato senza tumore

pio, i DNA microarray sono stati usati per costruire un profilo di espressione genica nelle cellule tumorali, poiché tipi diversi di tumori sintetizzano tipi di proteine diverse in quantità altrettanto diverse (Figura 14.20). Queste informazioni sono molto utili per scegliere il migliore trattamento per i vari tipi di cancro. In modo simile, si possono analizzare i profili di espressione genica dei globuli bianchi del sangue, che si ottengono facilmente, per dimostrare se un paziente soffre di un’infezione batterica oppure virale; questa informazione può evitare la somministrazione non necessaria di antibiotici quando l’infezione è virale. La proteomica studia tutte le proteine della cellula. Sfortunata-

mente, la correlazione tra la quantità di un determinato mRNA e la quantità del suo prodotto proteico è imperfetta. I vari mRNA 0,25 sono infatti trascritti e degradati a velocità diverse. Inoltre molte proteine subiscono modificazioni post-traduzionali e risentono di altri tipi di modificazione che a volte avvengono in modi molto diversi tra loro (per esempio fosforilazione o glicosilazione). Di conseguenza, il numero di proteine in una cellula supera di gran lunga il numero delle molecole del loro mRNA. Un modo più affidabile della trascrittomica per valutare l’espressione genica è lo studio del proteoma di una cellula. Questo approccio proteomico richiede in primo luogo la separazione delle proteine, di solito tramite elettroforesi bidimensionale (2D) su gel, una tecnica che separa le proteine in base al punto isoelettrico in una dimensione e in base alla massa nella seconda dimensione, perpendicolare alla prima (Paragrafo 5.2D). Le singole proteine vengono quindi identificate utilizzando una spettrometria di massa in tandem per ottenere informazioni sulla sequenza amminoacidica (Paragrafo 5.3D). Queste vengono successivamente messe a confronto con le sequenze delle proteine note contenute nelle banche dati. Dato che da una singola proteina si ottengono molti peptidi, questa tecnica permette di ottenere una massa di dati ridondante e non ambigua, che consente un’identificazione certa di una determinata proteina grazie al confronto con le sequenze delle banche dati. In tal modo si possono catalogare tutte le proteine contenute in una cellula o in un tessuto in determinate condizioni. Possiamo confrontare tutte le proteine sintetizzate da una cellula in due diverse condizioni come si fa con l’mRNA? La risposta è sì. Lo si può fare utilizzando reagenti marcati con isotopi tra loro differenti che possono essere sia presenti nel terreno di coltura (per esempio amminoacidi marcati con deuterio) sia

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0,5

1

2

4

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CAPITOLO 14

Introduzione al metabolismo

PUNTO DI VERIFICA

• In che modo i composti marcati con radioisotopi vengono utilizzati per studiare il metabolismo?

• Quali dei radioisotopi elencati nella Tabella 14.6 potrebbero essere usati per marcare in modo specifico una proteina? Quali invece potrebbero essere usati per marcare specificamente un acido nucleico?

• Spiegate in che modo l’accumulo di un metabolita, quando un enzima è bloccato, può consentire di identificare le tappe di una via metabolica.

• Descrivete in che modo possano essere utilizzate le informazioni sul genoma di un organismo per stabilire e manipolare le sue attività metaboliche.

• Qual è la differenza tra ricerca basata sull’ipotesi e ricerca basata sulla scoperta?

• Descrivete il “dogma centrale” nell’era dell “-omica”.

• Riassumete le correlazioni esistenti tra il metaboloma, il proteoma, il trascrittoma e il genoma di un organismo.

• Perché l’analisi trascrittomica e proteomica potrebbero rivelare informazioni differenti sull’attività metabolica di un particolare tessuto?

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aggiunti all’estratto cellulare. Le proteine sono poi purificate e analizzate mediante la spettrometria di massa in tandem. Una speranza per il futuro è che si possa, confrontando tra loro i campioni provenienti da soggetti sani e malati per una determinata patologia, identificare la presenza di marcatori patologici precedentemente non rilevabili, in modo da permettere la diagnosi precoce di diverse malattie. La metabolomica analizza tutti i metaboliti di una cellula. Per descrivere lo sta-

to funzionale di una cellula (il suo fenotipo) abbiamo bisogno, oltre al genoma, al trascrittoma e al proteoma della cellula in questione, di una descrizione quantitativa di tutti i metaboliti in essa contenuti in determinate condizioni, cioè del suo metaboloma. Una cellula o un tessuto contengono però migliaia di metaboliti aventi un’enorme varietà di proprietà che rendono molto difficoltoso il compito di identificare e quantificare tutte queste sostanze. È necessario quindi servirsi di molti strumenti analitici diversi. Di conseguenza, questa enorme impresa viene suddivisa in diverse fasi. Per esempio, la lipidomica è una sottosezione della metabolomica mirata alla caratterizzazione di tutti i lipidi presenti in una cellula in determinate condizioni, compreso il modo con cui questi lipidi influenzano la struttura della membrana, le vie di segnalazione cellulari, l’espressione genica, le interazioni cellula-cellula e così via. Per esempio, è stato usato un gruppo di 10 metaboliti lipidici presenti nel sangue per prevedere lo sviluppo dei deficit cognitivi nel morbo di Alzheimer. Un’altra applicazione della metabolomica è il confronto fra vari tipi di cancro. Sebbene tutte le cellule contengano gli stessi metaboliti “centrali”, le loro modalità di utilizzo seguono vie differenti che possono essere sfruttate per inibire la crescita tumorale.

RIASSUNTO 1 Una panoramica del metabolismo • L’energia libera rilasciata dalle reazioni cataboliche di ossidazione è utilizzata per guidare le reazioni anaboliche. • La nutrizione è l’assunzione e l’utilizzazione degli alimenti per fornire energia libera e materie prime. • Gli organismi eterotrofi ottengono l’energia libera di cui hanno bisogno da composti sintetizzati da organismi chemiolitotrofi o fotoautotrofi. • Gli alimenti contengono proteine, carboidrati, grassi, acqua, vitamine e minerali. • Le vie metaboliche sono sequenze di reazioni catalizzate da enzimi che avvengono in diverse localizzazioni cellulari. • Le reazioni che si svolgono in condizioni vicine all’equilibrio sono reversibili, mentre quelle che agiscono lontano dall’equilibrio rappresentano tappe regolatorie e rendono irreversibili le vie metaboliche. • Il flusso lungo una via metabolica è controllato tramite regolazione dell’attività di enzimi che catalizzano i passaggi che limitano la velocità della via.

2 I composti “ad alta energia” • L’energia libera del composto “ad alta energia” ATP è resa disponibile dalla scissione di uno o di entrambi i legami fosfoanidridici. • Una reazione esoergonica come l’idrolisi dell’ATP o del PPi può essere accoppiata a una reazione endoergonica, per renderla più favorevole. • La fosforilazione a livello di substrato è la sintesi di ATP a partire da ADP tramite il trasferimento di un gruppo fosforico proveniente da un altro composto.

• Il prodotto comune del catabolismo di carboidrati, lipidi e proteine, l’acetil-CoA, è un tioestere “ad alta energia”.

3 Le reazioni di ossidoriduzione

• I coenzimi NAD+ e FAD sono ridotti in modo reversibile durante l’ossidazione dei metaboliti. • L’equazione di Nernst mette in relazione la forza elettromotrice di una reazione redox con i potenziali di riduzione standard e le concentrazioni dei donatori e degli accettori di elettroni. • Gli elettroni si spostano spontaneamente dal composto che ha il potenziale di riduzione più negativo verso il composto con il potenziale di riduzione più positivo.

4 I metodi sperimentali di studio

del metabolismo • Lo studio delle vie metaboliche tenta di determinare l’ordine delle trasformazioni metaboliche, i loro meccanismi enzimatici, la loro regolazione e le loro correlazioni con i processi metabolici che si svolgono in altri tessuti. • Le vie metaboliche possono essere studiate mediante l’uso di traccianti isotopici, inibitori enzimatici, mutazioni naturali e indotte con tecniche di ingegneria genetica, oppure con DNA microarray e tecniche proteomiche. • La biologia dei sistemi si prefigge l’obiettivo di descrivere quantitativamente le proprietà e le dinamiche delle reti biologiche come se fossero un tutt’uno, tramite l’integrazione delle informazioni provenienti dalla genomica, dalla trascrittomica, dalla proteomica e dalla metabolomica.

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PROBLEMI 1. Spiegate perché un organismo eterotrofo necessita di vitamine

mentre uno autotrofo no. 2. I metanogeni sono procarioti che producono metano secondo l’equazione netta 4H2 + CO2 n CH4 + 2H2O Alcuni batteri consumano metano secondo l’equazione netta CH4 + SO42− n HCO3− + HS− + H2O (a) Classificate i due tipi di batteri come autotrofi o eterotrofi. (b) Spiegate perché i due tipi di batteri vengono spesso trovati in associazione l’uno con l’altro. 3. Un ceppo di batteri isolato da un lago alcalino contenente elevate concentrazioni di arsenico è in grado di incorporare atomi di As nelle molecole biologiche. Quale classe di molecole può contenere As nella sua struttura? 4. Spiegate come mai il cadmio e il mercurio sono tossici per la maggior parte degli organismi. 5. Disponete i seguenti composti in ordine di stato ossidativo crescente.

CH

CH2OH

2OOC

CH2

A

COO2

B O

H3C

CH2

CH3

C

H3C

CH

CH2

H3C

D

C

COO2

E

6. Il reagente indicato nelle reazioni parziali mostrate di seguito

andrà incontro a ossidazione o a riduzione? (a) COO2 CH2 C

COO2 CH2

O

CH

OH

COO2

COO2

(b) COO2

COO2

CH2 CH

ATP + CoA + RCOO− 34 RCO−CoA + AMP + PPi ha un ∆G°′ = +4,6 kJ ∙ mol−1. Da dove proviene l’energia termodinamica che fa avvenire questa reazione? 14. La reazione catalizzata dalla malato deidrogenasi,

malato + NAD+ n ossalacetato + NADH + H+

OH H3C

(c) Di solito è un punto di controllo in una via metabolica. (d) Opera molto lentamente in vivo. 9. Usate i dati della Tabella 2.4 per stimare la carica netta di una molecola di ATP in vivo. 10. Quasi tutti gli enzimi che richiedono come cofattore la nicotinamide usano o NAD+/NADH o NADP/NADPH (Figura 11.3), ma non entrambi. Confrontate la carica netta di ciascun cofattore. 11. Supponendo una conservazione dell’energia di efficienza pari al 100%, quante moli di ATP possono essere sintetizzate in condizioni standard dalla completa ossidazione di 1 mol di glucosio? 12. Supponendo una conservazione dell’energia di efficienza pari al 100%, quante moli di ATP possono essere sintetizzate in condizioni standard dalla completa ossidazione di 1 mol di palmitato? 13. La reazione che porta all’“attivazione” di un acido grasso (RCOO−),

CH OH

COO2

CH COO2

7. La citrato sintasi catalizza la reazione

Ossalacetato + acetil-CoA n citrato + HS-CoA La variazione di energia libera della reazione è −31,5 kJ mol−1. (a) Calcolate la costante di equilibrio per questa reazione a 37 °C. (b) Vi aspettereste che questa reazione serva come punto di controllo per la via a cui appartiene (ciclo dell’acido citrico)? 8. Scegliete la definizione migliore per una reazione vicina all’equilibrio. (a) Opera sempre con una variazione favorevole di energia libera. (b) Ha una variazione di energia libera vicina a 0.

ha un valore di ∆G°′ di +29,7 kJ ∙ mol−1. (a) Questa reazione avverrà spontaneamente nelle cellule? (b) In che modo la reazione catalizzata dalla citrato sintasi (descritta nel Problema 7) promuove, nelle cellule, la reazione catalizzata dalla malato deidrogenasi? Qual è la variazione totale di energia libera per le due reazioni? 15. Elencate le seguenti sostanze in base al loro potere riducente decrescente: (a) acetacetato, (b) citocromo b (Fe3+), (c) NAD+, (d) SO42− ed (e) piruvato. 16. È più probabile che la forma ridotta del citocromo c ceda i suoi elettroni al citocromo a o al citocromo b ossidati? 17. In condizioni standard, le seguenti reazioni procederanno spontaneamente nel senso in cui sono state scritte? Fumarato + NADH + H+ 34 succinato + NAD+ 18. In condizioni standard, le seguenti reazioni procederanno

spontaneamente nel senso in cui sono state scritte? Cito a (Fe2+) + cito b (Fe3+) 34 cito a (Fe3+) + cito b (Fe2+) 19. I chip di geni contenenti frammenti di DNA batterico potreb-

bero essere utili per monitorare l’espressione genica in una cellula di mammifero? 20. Perché i chip a DNA contengono spesso frammenti derivati dal cDNA piuttosto che frammenti di DNA genomico? 21. Studiando l’attività cellulare i biochimici possono quantificare le sequenze di RNA convertendole in sequenze di DNA amplificabili mediante PCR (Paragrafo 3.5C) e possono quantificare le proteine mediante ingegneria genetica dei geni corrispondenti, aggiungendo una proteina fluorescente verde (Scheda 4.3). Spiegate perché i metaboliti non possono essere valutati usando questi stessi approcci. 22. I ricercatori hanno notato che pazienti differenti rispondono in modo diverso alle statine, farmaci che abbassano il colesterolo. Hanno cercato di collegare gli effetti collaterali dei farmaci a variazioni genetiche come i polimorfismi di singoli nucleo-

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CAPITOLO 14

Introduzione al metabolismo

tidi (SNP; Paragrafo 3.4E). Quale altra informazione dovrebbero raccogliere i ricercatori per identificare i geni che hanno un ruolo nella risposta di un paziente al farmaco statina? DOMANDE DIFFICILI 23. La variazione standard di energia libera della reazione meta−1

bolica A n B è di 7,5 kJ ∙ mol . (a) Calcolate la costante di equilibrio della reazione a 25 °C. (b) Calcolate ∆G a 37 °C quando la concentrazione di A è 0,5 mM e la concentrazione di B è 0,1 mM. La reazione è spontanea in queste condizioni? (c) Come potrebbe procedere la reazione nella cellula? 24. Le cellule portano avanti reazioni anaboliche e cataboliche con molti enzimi che prendono parte a entrambi i tipi di vie metaboliche. (a) Spiegate perché questi enzimi catalizzano reazioni vicine all’equilibrio. (b) Spiegate perché vie opposte cataboliche e anaboliche devono avere enzimi diversi in almeno una delle loro tappe. 25. La quantità di energia libera per l’idrolisi dell’ATP aumenta o diminuisce se il pH aumenta da 5 a 6? 26. Il ∆G°′ per la rimozione idrolitica di un gruppo fosforico dall’ATP è circa due volte maggiore del ∆G°′ per la rimozione idrolitica di un gruppo fosforico dall’AMP (−14 kJ mol−1). Spiegate questa discrepanza. 27. Determinate se la reazione della creatina chinasi procederà nella direzione di sintesi di ATP o di fosfocreatina se la temperatura è di 25 °C, [ATP] = 4 mM, [ADP] = 0,15 mM, [fosfocreatina] = 2,5 mM e [creatina] = 1 mM. 28. Se nella cellula [ATP] = 5 mM, [ADP] = 0,5 mM, e [Pi] = 1,0 mM, calcolate la concentrazione di AMP a pH 7 e a 25 °C nella condizione in cui la reazione dell’adenilato chinasi è all’equilibrio. 29. Alcune proteine contengono tioesteri interni, che si formano quando la catena laterale di una Cys reagisce per condensazione con la catena laterale di una Gln distante pochi residui. Disegnate questa struttura. 30. Il tioestere descritto nel Problema 29 reagisce facilmente con composti con formula ROH o RNH2. Disegnate l’estere e l’amide risultanti. 31. In una miscela di NAD+, NADH, ubichinone e ubichinolo quale composto verrà ossidato? Quale verrà ridotto? 32. Gli organismi aerobici trasferiscono elettroni dalle molecole ridotte dei nutrienti all’O2 formando H2O. Alcuni organismi anaerobici utilizzano il nitrato (NO− 3 ) come accettore di elettroni provenienti dalle molecole ridotte dei combustibili. Utilizzando le informazioni elencate nella Tabella 14.4 spiegate perché gli organismi aerobici possono estrarre più energia da una molecola di combustibile rispetto a un organismo anaerobico che utilizza il nitrato. 33. Scrivete un’equazione bilanciata per l’ossidazione dell’ubichinolo da parte del citocromo c. Calcolate il valore di ∆G°′ e di ∆ℰ°′ per questa reazione. 34. In condizioni standard, l’ossidazione del FADH2 libero da parte dell’ubichinone è abbastanza esoergonica da promuovere la sintesi di ATP? 35. Un’ipotetica via metabolica a tre tappe forma gli intermedi W, X, Y e Z e utilizza gli enzimi A, B e C. Determinate l’ordine dei passaggi enzimatici nella via metabolica, tenendo conto delle seguenti informazioni. 1. Il composto Q, un inibitore metabolico dell’enzima B, causa l’accumulo del metabolita Z. 2. Un mutante dell’enzima C necessita di Y per crescere. 3. Un inibitore dell’enzima A causa l’accumulo di W, Y e Z.

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4. Il composto P, un inibitore metabolico dell’enzima C, causa l’accumulo di W e Z. 36. Una determinata via metabolica può essere schematizzata come Y

X

A

B

Z

C

D

dove A, B, C e D sono gli intermedi, e X, Y e Z gli enzimi che catalizzano le reazioni. Le variazioni fisiologiche di energia libera per le reazioni sono

X –0,2 kJ ∙ mol−1 Y –12,3 kJ ∙ mol−1 Z –1,2 kJ ∙ mol−1 (a) Quale reazione è probabile che rappresenti un punto principale di regolazione della via? (b) Se la vostra risposta alla parte (a) della domanda era giusta, in presenza di un inibitore che blocchi l’attività dell’enzima Z, è possibile che le concentrazioni di A, B, C e D aumentino, diminuiscano o non ne siano influenzate?

BIOINFORMATICA Progetto 8 Enzimi metabolici, microarray e proteomica 1. Enzimi metabolici. Utilizzate le banche dati KEGG e Enzyme Structure per ottenere informazioni sulla diidrofolato riduttasi. 2. Microarray. Imparate qualcosa di più sulla tecnologia dei microarray e sul suo utilizzo nello studio delle malattie. 3. Proteomica. Rivedete alcune metodiche e le loro limitazioni. 4. Insegnare e imparare alcune risorse per la proteomica. 5. Elettroforesi bidimensionale su gel. Ottenete dati sulla diidrofolato riduttasi dalla Swiss-2D PAGE. Progetto 9 Banche dati e strumenti della metabolomica 1. La società metabolomica. Imparate qualcosa sui marcatori biologici. In che modo essi vengono identificati, analiticamente seguiti e utilizzati per accertare uno stato patologico. 2. La banca dati del metaboloma umano. Osservate come viene seguito un metabolita umano (come l’UDP-glucosio) utilizzando la NMR e la spettrometria di massa e seguite i collegamenti alle molte vie metaboliche che utilizzano l’UDP-glucosio. 3. Il progetto PubChem. Esplorate una della banche dati più innovative all’NCBI che contiene composti, sostanze e informazioni dei dosaggi biologici sui metaboliti rappresentati da piccole molecole.

CASO DI STUDIO Caso 16 Regolazione allosterica dell’ATCasi Concetto chiave: un enzima coinvolto nella sintesi dei nucleotidi è soggetto a regolazione da parte di diverse combinazioni di nucleotidi. Prerequisiti: Capitoli 7, 12 e 14 • Proprietà degli enzimi allosterici • Meccansimi di base compresa la regolazione delle vie metaboliche

APPROFONDIMENTO Accedete alla banca dati del metaboloma umano (Human Metabolome Database, HMDB, http:// www. Hmdb.ca/) e cercate informazioni sull’acido urico. In quale via metabolica l’acido urico è un intermedio? Questa via metabolica è diversa tra le varie specie? Quali sono i composti precursori dell’acido urico? In quali composti può essere convertito l’acido urico? Qual è la normale concentrazione di acido urico nei fluidi corporei? In che modo le patologie influiscono sui livelli di acido urico?

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Introduzione al metabolismo

509

BIBLIOGRAFIA Aebersold, R. (2003). Quantitative proteome analysis: Methods and applications, J. Infect. Dis. 182 (supplement 2), S315-S320. Alberty, R.A. (2000). Calculating apparent equilibrium constants of enzyme-catalyzed reactions at pH 7, Biochem. Ed. 28, 12-17. Campbell, A.M. e Heyer, L.J. (2007). Discovering Genomics, Proteomics and Bioinformatics (2a ed.), Pearson Benjamin Cummings, New York. [Un’introduzione interattiva su queste discipline.] Choi, S. (a cura di) (2007). Introduction to Systems Biology, Humana Press. DeBerardinis, R.J. e Thompson, C.B. (2012). Cellular metabolism and disease: What do metabolic outliers teach us?, Cell 148, 11321144. Duarte, N.C., Becker, S.A., Jamshidi, N., Thiele, I., Mo, M.L., Vo, T.D., Srivas, R., e Palsson, B. Ø. (2007). Global reconstruction of the human metabolic network based on genomic and bibliomic data, Proc. Natl. Acad. Sci, 104, 1777-1782. Go, V.L.W., Nguyen, C.T.H., Harris, D.M., e Lee, W.-N.P. (2005). Nutrient-gene interaction: Metabolic genotype-phenotype relationship, J. Nutr. 135, 2016s-3020s. Hanson, R.W. (1989). The role of ATP in metabolism, Biochem. Ed. 17, 86-92. [Spiega in maniera eccellente perché l’ATP è un trasduttore piuttosto che un immagazzinatore di energia.] Kim, M.-S. et al. (2014). A draft map of the human proteome, Nature 509, 575-581, e Wilhelm, M. et al. (2014), Mass-spectrometry-based draft of the human proteome, Nature 509, 582-587.

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C A P I T O L O

1 5

Il catabolismo del glucosio Il protozoo Tripanosoma brucei (in viola) che causa, nell’uomo, la tripanosomiasi o malattia del sonno africana, mentre viaggia nel torrente circolatorio dell’ospite ricava la propria energia quasi esclusivamente dalla glicolisi. Sebbene sia un eucariota, questo parassita è sufficientemente diverso dal suo ospite e i suoi enzimi glicolitici sono strutturalmente diversi dai corrispondenti enzimi dei mammiferi. Essi sono quindi un bersaglio molto interessante per la progettazione mirata di farmaci che non colpiscano gli enzimi umani. [© Eye of Science/Photo Researchers, Inc.]

Il glucosio costituisce, per molte cellule, la fonte principale di energia metabolica. La fermentazione (degradazione anaerobica) del glucosio a etanolo e CO2 da parte del lievito è stata sfruttata per secoli nella produzione del pane, del vino e della birra. La ricerca scientifica sui processi chimici di questa via catabolica è iniziata tuttavia solo alla metà del XIX secolo, con gli esperimenti di Louis Pasteur e di altri scienziati. Sarebbe trascorso quasi un secolo prima che questa via metabolica fosse completamente chiarita. In questo intervallo di tempo sono state evidenziate alcune importanti caratteristiche della fermentazione. 1. Nel 1897, Eduard Buchner dimostrò che un estratto cellulare di lievito poteva fermentare il glucosio. Questa scoperta confutava la convinzione allora ampiamente diffusa che la fermentazione, così come ogni altro processo biologico, fosse mediata da una sorta di “forza vitale” intrinseca nella materia vivente, e di conseguenza portava la fermentazione nell’area di studio della chimica. 2. Nel 1905 Arthur Harden e William Young scoprirono che il fosfato è necessario per la fermentazione del glucosio. Scoprirono anche che un estratto cellulare di lievito può essere separato, mediante dialisi, in due frazioni, entrambe necessarie per la fermentazione: una frazione non dializzabile, labile ad alte temperature, che chiamarono zimasi, e una frazione dializzabile, stabile al calore, che chiamarono cozimasi. Fu infine dimostrato da altri che la zimasi è una miscela di enzimi, e che la cozimasi è una miscela di coenzimi, come NAD+, ATP e ADP, nonché ioni metallici. 3. Alcuni reagenti, come l’acido iodoacetico e lo ione fluoruro, inibiscono la formazione dei prodotti della via metabolica, causando l’accumulo degli intermedi di questa via. Sostanze diverse causano l’accumulo di intermedi differenti, rivelando quindi la sequenza di interconversioni molecolari.

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4. Studi sulla degradazione del glucosio in vari organismi hanno indicato che, a parte alcune eccezioni, il processo avviene nello stesso modo in tutti gli organismi. I tentativi di molti ricercatori giunsero a una conclusione nel 1940, quando fu descritta per intero la via di degradazione del glucosio. Questa via, detta glicolisi (dal greco glykus, “dolce”, e lysis, “soluzione”), è anche chiamata via di Embden-Meyerhof-Parnas per ricordare il contributo dato da Gustav Embden, Otto Meyerhof e Jacob Parnas al suo chiarimento. La scoperta della glicolisi ha avuto luogo in un momento in cui erano in atto altre importanti ricerche in ambito metabolico (Scheda 15.1). La glicolisi, che è probabilmente la via metabolica meglio conosciuta, è una sequenza di 10 reazioni enzimatiche in cui una molecola di glucosio è convertita in due molecole del composto a tre atomi di carbonio piruvato, con la concomitante produzione di due molecole di ATP. La glicolisi riveste un ruolo chiave nel metabolismo energetico perché fornisce una parte significativa dell’energia libera usata dalla maggior parte degli organismi e perché prepara il glucosio e altri composti per una ulteriore degradazione ossidativa. È quindi opportuno iniziare la trattazione delle vie metaboliche specifiche prendendo in esame la glicolisi. Analizzeremo la sequenza di reazioni che portano alla degradazione del glucosio e alcuni importanti meccanismi enzimatici; esamineremo quindi le caratteristiche che influenzano il flusso glicolitico e il destino finale dei suoi prodotti. Discuteremo infine il catabolismo di altri esosi e la via del pentosio fosfato, una via metabolica alternativa per il catabolismo del glucosio in grado di fornire intermedi biosintetici.

SCHEDA 15.1

LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA

Otto Warburg e gli studi sul metabolismo Otto Warburg (1883-1970)

Uno dei maggiori scienziati in campo biochimico, sia per il contributo diretto che ha dato, sia per l’influenza che ha esercitato su generazioni di giovani ricercatori, è stato il biochimico tedesco Otto Warburg. La sua lunga carriera si è svolta in un periodo in cui gli studi su organismi in toto e in estratti tissutali hanno aperto la strada alle spiegazioni molecolari delle strutture e delle funzioni biologiche. Come altri scienziati appartenenti alla sua generazione, Warburg ottenne un dottorato in chimica in giovanissima età e proseguì gli studi nel campo della medicina, anche se trascorse il resto della sua carriera dedicandosi alla ricerca scientifica e non al capezzale dei pazienti. Si interessò particolarmente a tre campi correlati alla chimica dell’ossigeno e del biossido di carbonio: la respirazione, la fotosintesi e il cancro. Uno dei primi successi di Warburg fu lo sviluppo di una tecnica di studio delle reazioni metaboliche in fette sottili di tessuti animali. Il metodo diede risultati molto più attendibili della tecnica precedente di taglio o sminuzzamento dei tessuti (queste manipolazioni tendono a rilasciare enzimi lisosomiali che degradano gli enzimi e le altre macromolecole). Warburg perfezionò inoltre la manometria, cioè la misura della pressione del gas, come tecnica per analizzare il consumo e la produzione di O2 e CO2 nei tessuti viventi. Warburg ricevette il premio Nobel nel 1931 per la sua scoperta del ruolo catalitico delle porfirine contenenti ferro (gruppi eme) nelle ossidazioni biologiche (in particolare per la reazione effettuata dal complesso enzimatico oggi noto come citocromo c ossidasi; Paragrafo 18.2F). Warburg identificò inoltre la nicotinamide come parte attiva di alcuni enzimi. Nel 1944

gli fu offerto un secondo premio Nobel per il suo lavoro sugli enzimi, ma non poté accettarlo a causa del decreto di Hitler che imponeva ai tedeschi di non accettare premi Nobel. In effetti, l’apparente condiscendenza di Warburg nei confronti del regime nazista provocò l’ira di alcuni suoi colleghi di altri paesi e potrebbe avere contribuito alla scarsa accettazione di alcune delle sue teorie scientifiche più controverse. In ogni caso, Warburg non era noto per la sua amabilità e cordialità: non creò mai una “scuola” e aveva la tendenza a reclutare assistenti ricercatori più giovani che dopo qualche anno avrebbero cambiato posto. Ciò nonostante, molti non si scoraggiarono e vinsero anche loro dei premi Nobel. Oltre alle tecniche da lui sviluppate, che furono in seguito impiegate su larga scala, e a numerose intuizioni sull’attività degli enzimi, Warburg formulò alcune teorie molto importanti sulla crescita delle cellule cancerose. Egli dimostrò che le cellule cancerose potevano vivere e svilupparsi anche in assenza di ossigeno. Inoltre, giunse a formulare l’ipotesi che l’anaerobiosi scatenasse lo sviluppo del cancro e respinse l’ipotesi che i virus lo potessero provocare, un principio già dimostrato a quel tempo negli animali, ma non nell’uomo. Agli occhi di molti Warburg era colpevole di avere equiparato l’assenza di prove alle prove dell’assenza, per quanto riguardava il cancro causato da virus. Tuttavia le osservazioni di Warburg sul metabolismo delle cellule cancerose, caratterizzato generalmente da una elevata velocità della glicolisi, erano corrette. Ancora oggi le peculiarità del metabolismo tumorale offrono opportunità per lo sviluppo della chemioterapia. La dedizione di Warburg alle sue ricerche sul cancro e in altri campi è testimoniata dal fatto che continuò a lavorare nel suo laboratorio fino a pochi giorni prima della morte, avvenuta a 87 anni. Warburg, O. (1956). On the origin of cancer cells. Science 123, 309-314.

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1 Una panoramica della glicolisi CONCETTI CHIAVE

• La glicolisi comporta la degradazione del glucosio a piruvato utilizzando, al contempo, l’energia rilasciata dal processo per sintetizzare ATP a partire da ADP + Pi.

• La sequenza di 10 reazioni della glicolisi è suddivisa in due fasi: un investimento iniziale di energia a cui fa seguito un recupero di energia.

Prima di iniziare l’esame dettagliato della glicolisi, fermiamoci a considerare come la via si inserisca complessivamente nell’intero metabolismo animale. Il glucosio che entra nel sangue di norma deriva dalla degradazione di polisaccaridi (per esempio, glicogeno epatico, oppure amido o glicogeno provenienti dalla dieta) o dalla sua sintesi a partire da precursori non saccaridici (gluconeogenesi; Paragrafo 16.4). Il glucosio entra poi nella maggior parte delle cellule tramite un trasportatore specifico che lo trasferisce dall’esterno della cellula nel citosol (Paragrafo 10.2E). Gli enzimi della glicolisi si trovano nel citosol, dove sono liberi o debolmente associati tra loro o ad altre strutture cellulari. La glicolisi trasforma il glucosio in due unità C3 (piruvato). L’energia libera rilasciata durante il processo è impiegata per sintetizzare ATP partendo da ADP e Pi. La glicolisi è quindi una via metabolica in cui sono presenti reazioni accoppiate di fosforilazione (Paragrafo 14.2B). Le 10 reazioni della glicolisi sono schematizzate nella Figura 15.1. Si noti che l’ATP è utilizzato nelle prime reazioni della glicolisi per sintetizzare composti fosforilati (reazioni 1 e 3), ma nelle reazioni successive ne è risintetizzato il doppio (reazioni 7 e 10). La glicolisi può quindi essere divisa in due fasi.

Fase I Investimento energetico (reazioni 1-5). In questa fase preparatoria l’esosio glucosio è fosforilato e scisso in due molecole del triosio gliceraldeide-3-fosfato. Il processo consuma 2 molecole di ATP. Fase II Recupero energetico (reazioni 6-10). Le due molecole di gliceraldeide-3-fosfato sono trasformate in piruvato, con la concomitante produzione di 4 molecole di ATP. La glicolisi porta quindi a un “guadagno” netto di 2 ATP per ogni molecola di glucosio: la fase I consuma 2 ATP, mentre la fase II produce 4 ATP.

I gruppi fosforici che sono inizialmente trasferiti dall’ATP all’esosio non producono immediatamente composti “ad alta energia”. Le reazioni enzimatiche successive convertono poi questi prodotti “a bassa energia” in composti con alti potenziali di trasferimento del gruppo fosforico, che sono ora in grado di fosforilare l’ADP e formare ATP. La reazione complessiva è Glucosio + 2 NAD+ + 2 ADP + 2 Pi n 2 piruvato + 2 NADH + 2 ATP + 2 H2O + 4 H+

PUNTO DI VERIFICA

Quindi, il NADH prodotto durante il processo deve essere continuamente riossidato per consentire un adeguato rifornimento alla glicolisi del suo principale agente ossidante, il NAD+. Nel Paragrafo 15.3 esamineremo in che modo gli organismi sono in grado di ossidare il NADH in condizioni aerobiche oppure anaerobiche.

• Che cosa accade nelle due fasi della glicolisi?

• Quante molecole di ATP vengono investite e quante recuperate da ogni molecola di glucosio che entra nella via glicolitica?

• Confrontate gli stati di ossidazione del glucosio e del piruvato. Spiegate perché la glicolisi genera NADH.

Figura 15.1 La glicolisi. (Pagina a fianco) Nella fase I (Reazioni 1-5), una molecola di glucosio è trasformata in due molecole di gliceraldeide-3-fosfato (GAP) in una serie di reazioni in cui si ha il consumo di 2 ATP. Nella fase II della glicolisi (Reazioni 6-10), le due molecole di gliceraldeide-3-fosfato sono trasformate in due molecole di piruvato, producendo 4 ATP e 2 NADH.

Senza guardare il testo, scrivete l’equazione complessiva della glicolisi.

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CH2

HO H

Glucosio

6 5

H OH

Mg2+ 1

3

2

H

OH

esochinasi (HK) –2O P 3

ADP

O

6 5

H Glucosio-6-fosfato (G6P)

CH2 O

H OH

4

H

fosfoglucosio isomerasi (PGI)

2

Fruttosio-6-fosfato (F6P) ATP Mg2+ 3 fosfofruttochinasi (PFK) ADP

ATP

3

O

2

OH

CH2

5

H

CH2 H

H

DHAP

GAP

GAP

aldolasi DHAP

+

O

CH2

3(6)

GAP

+ 2 Pi

1,3-BPG

1,3-BPG 2 ADP

3PG

3PG

t triosio fosfato isomerasi (TIM) + gliceraldeideNAD 5

Pi +

3-fosfato 6 deidrogenasi NADH (GAPDH) + H+ 1,3-Bisfosfoglicerato (1,3-BPG) ADP fosfoglicerato 7 chinasi (PGK) ATP Mg2+ 3-Fosfoglicerato (3PG) fosfoglicerato mutasi (PGM) 8

GAP

H 1(4)

2PG

FBP

H

H

C

CH2

+

OH

2 1(3)

O

H

– 2O P 3

O 3

O

PO23–

CH2

CH2

DHAP

C 2

O

1,3-BPG

C O

OH

O–

C

PO23–

1

H

3PG

C

H

O

–2O P 3

O

O–

CH2

C

2-Fosfoglicerato (2PG)

GAP + DHAP

H OH

– 2O P 3

O

3(1)

C

O

HO 2PG

2

OH

OH

2(5)

PO23–

3

HO –2O P 3

O

1

HO

4

4

CH2

O

6 5

F6P

OH

3

HO O

2

HO

4

–2O P 3

OH

1

H

H

CH2

O

6

Fruttosio-1,6-bisfosfato (FBP)

FBP

OH H

–2O P 3

G6P

1

H

HO

F6P

Glucosio

1

H

HO

ATP

G6P

O

H OH

4

Glucosio

ATP

2 NAD+

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2PG

C

H

O

–2O P 3

O

O–

CH2

C

9 enolasi Mg2+

H2O PEP

PEP 2 ADP

Fosfoenolpiruvato (PEP)

10

Mg2+, K+ piruvato chinasi (PK) O–

O Pyr

Pyr

PEP O

ADP ATP

C

Piruvato

CH3

C

Piruvato

C O

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2 Le reazioni della glicolisi CONCETTI CHIAVE

• Le 10 tappe della glicolisi possono essere descritte in base ai loro substrati, prodotti e meccanismi enzimatici.

• Gli enzimi glicolitici catalizzano le reazioni di fosforilazione, di isomerizzazione, di scissione di legami carbonio-carbonio e di deidratazione.

• L’ATP viene consumato nelle tappe 1 e 3, ma viene rigenerato nelle tappe 7 e 10; la resa netta è di 2 molecole di ATP prodotte per ogni molecola di glucosio.

• Nella tappa 6 vengono prodotte 2 molecole di NADH per ogni molecola di glucosio. In questo paragrafo esamineremo in maggiore dettaglio le reazioni della glicolisi, descrivendo le proprietà di ogni singolo enzima e il suo meccanismo d’azione. Durante lo studio di ogni enzima glicolitico si incontreranno molti meccanismi catalitici descritti nel Paragrafo 11.3.

A L’esochinasi utilizza la prima molecola di ATP Nella reazione 1 della glicolisi si ha il trasferimento di un gruppo fosforico dall’ATP al glucosio con la formazione di glucosio-6-fosfato (G6P) in una reazione catalizzata dall’esochinasi. H

CH2OH O H OH H

H

H

esochinasi 2+ Mg

+

ATP HO

OH

HO H

CH2OPO23– O H H OH H OH H

OH

+

ADP

+

+ H

OH

Glucosio-6-fosfato (G6P)

Glucosio

Una chinasi è un enzima che trasferisce gruppi fosforici dall’ATP a un metabolita (Paragrafo 14.2C). Il metabolita che accetta il gruppo fosforico è indicato nel prefisso del nome della chinasi. L’esochinasi è un enzima ubiquitario e relativamente aspecifico che catalizza la fosforilazione di esosi come il d-glucosio, il d-mannosio e il d-fruttosio. Le cellule epatiche contengono l’isozima glucochinasi, che catalizza la stessa reazione ma che è principalmente coinvolto nel mantenimento dei livelli ematici di glucosio (Paragrafo 22.1D). Il secondo substrato dell’esochinasi e di altre chinasi è un complesso Mg2+−ATP; l’ATP libero è infatti un potente inibitore competitivo dell’esochinasi. Anche se non è esplicitamente menzionata, la partecipazione di Mg2+ è essenziale per l’attività della chinasi. Gli ioni Mg2+ schermano le cariche negative degli atomi di ossigeno dei gruppi fosforici α e β, oppure β e γ dell’ATP, rendendo l’atomo di fosforo γ più accessibile all’attacco nucleofilico del gruppo C6-OH del glucosio. Mg2+ .–. . . . . –

O– Adenosina

O

P O

O O

P O

O

O

P

H O O O– H

CH2 O H OH

O

H

HO

OH H

ATP

H

OH

Glucosio

Il confronto tra la struttura ai raggi X dell’esochinasi di lievito e quella del complesso esochinasi-glucosio indica che il legame della molecola di glucosio induce una notevole modificazione conformazionale nellÕenzima

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(b)

(a)

(Figura 15.2). I due lobi che formano la fessura del suo sito attivo si avvicinano l’uno all’altro di 8 Å, in modo da inglobare il glucosio, come due mascelle che si stanno richiudendo. Il movimento posiziona l’ATP molto vicino al gruppo −C6H2OH del glucosio ed esclude l’acqua dal sito attivo (catalisi per vicinanza; Paragrafo 11.3D). Se i gruppi reattivi e catalitici sono nella posizione adatta per effettuare la reazione mentre l’enzima è nella conformazione con il sito attivo aperto (Figura 15.2a), l’idrolisi di ATP – cioè il trasferimento del gruppo fosforico all’acqua, che in queste condizioni diventa termodinamicamente favorito (Figura 14.7a) – è quasi certamente la reazione dominante. Chiaramente la modificazione conformazionale dell’esochinasi indotta dal legame del substrato determina la sua specificità. Inoltre, la polarità del sito attivo è ridotta dall’esclusione dell’acqua, facilitando così la reazione nucleofilica. Altre chinasi hanno la stessa struttura con una fessura profonda, come quella dell’esochinasi, e subiscono modificazioni conformazionali in seguito al legame dei loro substrati. Esempi di questo adattamento indotto dal substrato sono anche la proteina chinasi A (Figura 13.21) e l’adenilato chinasi (Figura 14.10).

B La fosfoglucosio isomerasi converte il glucosio-6-fosfato in fruttosio-6-fosfato

La reazione 2 della glicolisi è la conversione del G6P in fruttosio-6-fosfato (F6P) per mezzo della fosfoglucosio isomerasi (PGI). 6

–2

O3POCH2 H

O

4

H OH

H

HO

3

H

6

–2

5

2

H 1

OH

OH

Glucosio-6-fosfato (G6P)

fosfoglucosio isomerasi (PGI)

O3POCH2

1

O 5

H

H HO 4

HO

3

CH2OH 2

OH

H

Fruttosio-6-fosfato (F6P)

Questa reazione è l’isomerizzazione di un aldosio in un chetosio. Poiché il G6P e l’F6P sono di solito presenti in forma ciclica, la reazione richiede l’apertura dell’anello, seguita dall’isomerizzazione e dalla successiva richiusura dell’anello (le interconversioni tra le forme cicliche e lineari degli esosi sono illustrate nella Figura 8.3).

Figura 15.2 Modificazioni conformazionali nell’esochinasi di lievito indotte dal legame con il substrato. L’enzima è raffigurato con la superficie molecolare trasparente e lo scheletro sotto forma di struttura a nastro viola o verde. (a) Modello spaziale dell’esochinasi in forma libera, in cui appare evidente la forma bilobata dell’enzima. (b) Modello spaziale dell’esochinasi legata al glucosio rappresentato con modello spaziale e con gli atomi di C in verde e di O in rosso. Nel complesso enzima-substrato i due domini (lobi), ruotando di 17°, si sono avvicinati tra loro circondando il substrato. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Igor Polikarpov, Instituto de Fisica de São Carlos, Brasile. PDBid: 1IG8 e 3B8A.]

516

CAPITOLO 15

Il catabolismo del glucosio

© 978-88-08-42096-1

Un meccanismo proposto per la reazione della PGI coinvolge una generale catalisi acido-base (Figura 15.3). Tappa 1 Si lega il substrato. Tappa 2 Un gruppo acido dell’enzima, probabilmente il gruppo ε-amminico di un residuo di Lys, catalizza l’apertura dell’anello. Tappa 3 Una base, che si ritiene sia il gruppo imidazolico di un’His, asporta il protone acidico dal C2, formando un intermedio cis-enediolato (il protone è reso acidico per la sua vicinanza al gruppo carbonilico). Tappa 4 Il protone è ricollocato sul C1 tramite una reazione di trasferimento protonico. I protoni asportati dalle basi si scambiano velocemente con i protoni del solvente. Irwin Rose ha confermato questa tappa, dimostrando che il 2-[3H]G6P è occasionalmente convertito in 1-[3H]F6P mediante trasferimento intramolecolare di protoni prima che 3H abbia avuto la possibilità di essere rilasciato nell’ambiente. Tappa 5 L’anello si richiude per formare il prodotto, che è rilasciato in seguito, formando enzima libero e completando quindi il ciclo catalitico. SCHEMA DI PROCESSO Apertura dell’anello favorita dalla catalisi acida

B+ 6

–2O POCH 3 2

H O

5

H 4

HO

2

H OH

H+ H O

2

H

H

1

H*

3

B

OH

H

–2O POCH 3 2

H

O H OH

H* C

H

O

O

HO

H B9

Catalisi basica 3

B9

H

Glucosio-6-fosfato (G6P)

B

H

1 Legame del substrato

G6P

O H OH

C

O H

B+ H –2O POCH O 3 2

OH

O– H*

6 Rilascio del prodotto H

H

H

HO

F6P

H

Scambio di un H+ con l’ambiente circostante

H

–2O POCH 3 2

C

H OH

H* HO OH H

B9

Chiusura dell’anello favorita dalla catalisi basica 5

H

H+

Intermedio cis-enediolato

B –2O POCH 3 2

H O

H OH

HO

H H*

H

O

B9+

OH

4 Catalisi acida

B9

Fruttosio-6-fosfato (F6P)

Figura 15.3 Il meccanismo di reazione della fosfoglucosio isomerasi. Si ritiene che i residui catalitici del sito attivo, BH+ e B’, siano rispettivamente Lys e Glu.

Quali tappe subirebbero un rallentamento in seguito a una variazione di pH?

CAPITOLO 15

Il catabolismo del glucosio

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C La fosfofruttochinasi utilizza la seconda molecola di ATP Nella reazione 3 della glicolisi la fosfofruttochinasi (PFK) fosforila F6P per ottenere fruttosio-1,6-bisfosfato (FBP o F1,6P). 6

–2

O3POCH2 5

H

1

O

H HO 4

HO

3

fosfofruttochinasi (PFK) Mg2+

CH2OH

+

2

6

–2

O3POCH2

ATP

5

OH

CH2OPO23–

H HO

H

H

1

O

4

HO

3

(Il prodotto è detto bisfosfato e non difosfato perché i due gruppi fosforici sono legati in posizioni diverse nella molecola e non attaccati direttamente l’uno all’altro.) La reazione della PFK è simile a quella dell’esochinasi. L’enzima catalizza l’attacco nucleofilico del gruppo C1-OH dell’F6P sull’atomo di fosforo γ elettrofilico del complesso Mg2+−ATP. La fosfofruttochinasi riveste un ruolo centrale nel controllo della glicolisi perché catalizza una delle reazioni che controllano la velocità dell’intera via metabolica. In molti organismi l’attività della PFK è aumentata in modo allosterico da molti effettori, compresi ATP e citrato. Le proprietà regolatorie della PFK verranno esaminate nel Paragrafo 15.4A.

D L’aldolasi converte un composto a 6 atomi di carbonio in due molecole a 3 atomi di carbonio L’aldolasi catalizza la reazione 4 della glicolisi, la scissione dell’FBP in due triosi gliceraldeide-3-fosfato (GAP) e diidrossiacetone fosfato (DHAP). CH2OPO23– 3

C HO

HO

C

3

H

C 4 OH

H

C

5

OH

CH2OPO23– 6

Fruttosio1,6-bisfosfato (FBP)

CH2

Diidrossiacetone fosfato (DHAP)

O H

O

2

1

CH2OPO23– 1 2

OH

H

Fruttosio-1,6-bisfosfato (FBP)

Fruttosio-6-fosfato (F6P)

C

2

aldolasi

+ H

O C1

H

C

2

OH

CH2OPO23– 3

Gliceraldeide3-fosfato (GAP)

Si noti che a questo punto della via metabolica il sistema di numerazione degli atomi di carbonio cambia. Gli atomi 1, 2 e 3 del glucosio diventano gli atomi 3, 2 e 1 del DHAP, invertendo così l’ordine. Gli atomi 4, 5 e 6 diventano gli atomi 1, 2 e 3 della GAP. Questa reazione è una scissione aldolica (l’inverso della condensazione aldolica), il cui meccanismo catalitico non enzimatico che utilizza una base è indicato nella Figura 15.4. L’intermedio enolato è stabilizzato per risonanza, a causa dell’elettronegatività dell’atomo di ossigeno del gruppo carbonilico. Si noti che la scissione aldolica tra il C3 e il C4 dell’FBP necessita di un gruppo carbonili-

+

ADP

+

H+

517

CAPITOLO 15

518

Il catabolismo del glucosio

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SCHEMA DI PROCESSO R C

O

HOH

C

CH2 H

C R9

R

R OH–

O

C –

CH 2 OH

1 Catalisi basica

H

O–

C

2 Scissione del legame

R9

R O

C

CH2

H2O

OH–

C

CH2 Enolato

+ H

R O–

O

O

CH3 Prodotto 2

3 Protonazione

C R9 Prodotto 1

Figura 15.4 Il meccanismo della scissione aldolica catalizzata da una base. La condensazione aldolica avviene tramite il meccanismo inverso.

Identificate l’aldeide e l’alcol nell’aldolo.

co in posizione C2 e di un gruppo ossidrilico in posizione C4. È quindi chiara la “logica” della reazione 2 nella via glicolitica, cioè l’isomerizzazione del G6P a F6P. La scissione aldolica del G6P porterebbe alla formazione di prodotti con un numero di atomi di carbonio diversi, mentre la scissione aldolica dell’FBP produce due composti C3, convertibili l’uno nell’altro, che possono quindi entrare in una via di degradazione comune. La scissione aldolica è catalizzata mediante la stabilizzazione del suo intermedio enolato tramite una maggiore delocalizzazione degli elettroni. Negli animali e nelle piante la reazione avviene nelle seguenti tappe (Figura 15.5). Tappa 1 Il substrato FBP si lega all’enzima. Tappa 2 Reazione del gruppo carbonilico dell’FBP con il gruppo ε-amminico della Lys presente nel sito attivo per formare un catione imminico, cioè una base di Schiff protonata. Tappa 3 Il legame C3−C4 viene scisso formando un’enammina intermedia e rilasciando GAP. Lo ione imminico è un atomo più elettronegativo dell’atomo di ossigeno del gruppo carbonilico originale. La catalisi avviene quindi perché l’intermedio enamminico (Figura 15.5, tappa 3) è più stabile del corrispondente intermedio enolato della reazione di scissione aldolica catalizzata da una base (Figura 15.4, tappa 2). Tappa 4 La protonazione e tautomerizzazione dell’enammina forma il catione imminico a partire dalla base di Schiff. Tappa 5 L’idrolisi del catione imminico con conseguente rilascio di DHAP rigenera l’enzima libero.

E La triosio fosfato isomerasi interconverte tra loro il diidrossiacetone fosfato e la gliceraldeide-3-fosfato

Solo uno dei prodotti della reazione di scissione aldolica, la GAP, prosegue lungo la via glicolitica (Figura 15.1). Il DHAP e la GAP sono tuttavia isomeri chetosio-aldosio (come l’F6P e il G6P). Questi composti sono interconvertiti tramite una reazione di isomerizzazione con un intermedio enediolo (o enediolato). La triosio fosfato isomerasi (TIM) catalizza questo processo nella reazione 5 della glicolisi, l’ultima reazione della fase I di investimento energetico: H H

O C C

2

H

C

1

H

OH

H

OH

CH 2OPO32–

3

Gliceraldeide3-fosfato (un aldosio)

C

OH

CH 2OPO32– Intermedio enediolo

1

2 3

C

OH

C

O

CH 2OPO32–

Diidrossiacetone fosfato (un chetosio)

CAPITOLO 15

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SCHEMA DI PROCESSO

CH2OPO23– C

(CH2)4

NH2

O

Lys 229

CH2OH Diidrossiacetone fosfato (prodotto 2)

– O

C

O

CH2 Asp 33

Fruttosio-1,6-bisfosfato

H2O 5 Idrolisi della base di Schiff

Enzima libero

Legame con 1 il substrato

CH2OPO23– + C NH (CH2)4 HO

C

CH2OPO23– C

O

HO

C

H

H

C

O

H

C

OH

H

H – O

C

O

(CH2)4

H. . . – O

C

CH2OPO23–

CH2

Complesso enzima-prodotto con base protonata di Schiff

4

..

H 2N

CH2

Complesso enzima-substrato

Formazione della base 2 di Schiff protonata

Tautomerizzazione e protonazione

H2O

CH2OPO23– C C ...

HO

NH ..

(CH2)4

Scissione aldolica 3

HR

H O

C

O

CH2

H

O C

H

C

CH2OPO23– + C NH (CH2)4 HO

C

H

H

C

O

H

C

OH

H. . . – O

CH2OPO23–

C

O

CH2

OH

CH2OPO23– Intermedio enamminico

Gliceraldeide3-fosfato (prodotto 1)

Complesso enzima-substrato con base protonata di Schiff

Figura 15.5 Il meccanismo enzimatico dell’aldolasi. Per i dettagli delle reazioni vedi il testo.

O

519

520

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Il catabolismo del glucosio

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Il meccanismo della reazione è stato verificato usando analoghi dello stato di transizione come il fosfoglicoidrossammato e il 2-fosfoglicolato, composti stabili la cui geometria è simile a quella degli intermedi enediolo o enediolato proposti: OH

OH O–

N

H

O–

C

O–

O

C

C

C

CH 2OPO32–

CH 2OPO32–

CH 2OPO32–

Fosfoglicoidrossammato

Intermedio enediolato proposto

2-Fosfoglicolato

Gli enzimi catalizzano le reazioni legando i substrati nello stato di transizione più saldamente del substrato in condizioni basali (Paragrafo 11.3E), e infatti il fosfoglicoidrossammato e il 2-fosfoglicolato si legano 155 e 100 volte più saldamente alla TIM rispetto a GAP o DHAP.

Alcune considerazioni sul meccanismo di reazione suggeriscono che la trasformazione della GAP nell’intermedio enediolo sia catalizzata da una base generale, che sottrae un protone dal C2 della GAP, e da un acido generale, che protona il suo atomo di ossigeno del gruppo carbonilico. Studi ai raggi X indicano che la catena laterale del Glu 165 si trova in una posizione corretta per sottrarre il protone C2 dalla GAP (Figura 15.6). Infatti la sostituzione per mutagenesi del Glu 165 con Asp, che, come evidenziato ai raggi X, provoca un allontanamento del gruppo carbossilico di soltanto 1 Å circa dal substrato rispetto all’enzima naturale, riduce l’attività catalitica della TIM di 1000 volte. Analogamente, altri studi ai raggi X indicano che l’His 95 forma un legame idrogeno con la GAP ed è quindi posizionata correttamente per protonare l’ossigeno carbonilico della GAP. Si ritiene che la catena laterale carica positivamente della Lys 12 stabilizzi elettrostaticamente lo stato di transizione carico negativamente della reazione. Nella conversione dell’intermedio enediolo in DHAP, il Glu 165 agisce come un acido generale per protonare il C1, e l’His 95 agisce come una base generale per sottrarre il protone dal gruppo OH, riportando questi gruppi catalitici nella loro condizione protonata iniziale. Glu 165 e His 95 si comportano come acidi e basi generali.

Un’ansa flessibile si chiude sul sito attivo. Il confronto tra la struttura ai raggi X della TIM (Figura 6.30c) e del complesso enzima-2-fosfoglicolato rivela che quando il substrato si lega alla TIM, un’ansa conservata di 10 residui si chiude sopra il sito attivo come un coperchio incernierato, in un movimento che comporta uno spostamento maggiore di 7 Å della catena principale (Figura 15.6). Un segmento di questa ansa, lungo quattro residui, forma un legame idrogeno con il gruppo fosforico del substrato. La rimozione mediante

Figura 15.6 Modello a nastro della TIM di lievito legata al suo analogo dello stato di transizione, il 2-fosfoglicolato. Il modello mostra una sola subunità di questo enzima omodimerico, vista approssimativamente lungo l’asse della sua struttura a barile α/β. L’ansa flessibile dell’enzima è in azzurro, e le catene laterali dei residui catalitici di Lys, His e Glu sono rispettivamente colorate in viola, porpora e rosso. Il 2-fosfoglicolato è rappresentato in modello spaziale in cui gli atomi sono colorati: (C, verde; O, rosso; P, arancione). [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Gregory Petsko, Brandeis University. PDBid 2YPI.]

Spiegate perché la parte azzurra del polipeptide deve essere flessibile.

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521

Il catabolismo del glucosio

mutagenesi di questi quattro residui non modifica significativamente la struttura della proteina, quindi il legame del substrato non è sostanzialmente danneggiato: tuttavia l’efficienza catalitica dell’enzima mutato si riduce di 105 volte e l’enzima lega solo debolmente il fosfoglicoidrossammato. Evidentemente la chiusura dell’ansa stabilizza in modo preferenziale lo stato di transizione enediolico della reazione. La chiusura del coperchio nella reazione della TIM fornisce inoltre un chiaro esempio del cosiddetto controllo stereoelettrico che gli enzimi possono esercitare su una reazione. In soluzione, l’intermedio enediolo si degrada immediatamente con l’eliminazione del fosfato in posizione C3 e la formazione del composto tossico metilgliossale (a destra). Sulla superficie dell’enzima, però, la reazione è impedita perché il gruppo fosforico è mantenuto dal segmento flessibile in una posizione che non favorisce la sua eliminazione. Nell’enzima mutato, privo del segmento flessibile, l’enediolo può staccarsi: circa l’85% dell’intermedio enediolo è rilasciato in soluzione, dove si decompone rapidamente in metilgliossale e Pi. La chiusura del segmento assicura quindi che il substrato sia efficientemente trasformato nel prodotto.

O H

C C

O

H3C Metilgliossale

Gli enzimi con barili 𝛂/𝛃 possono derivare da un’evoluzione divergente.

La TIM è stata la prima proteina in cui è stata identificata una struttura a barile α/β (conosciuta anche come barile TIM), un cilindro con otto filamenti β paralleli e circondati da otto α-eliche parallele (Figura 6.30c). Da allora, questo peculiare motivo strutturale è stato trovato in molte altre proteine, quasi tutte funzionanti come enzimi (compresi gli enzimi glicolitici aldolasi, enolasi e piruvato chinasi). È interessante notare che i siti attivi di tutti gli enzimi finora noti con struttura a barile α/β si trovano in corrispondenza dell’apertura del barile, dal lato che contiene le estremità C-terminali dei filamenti β, anche se non esiste ancora alcuna chiara spiegazione per questa caratteristica. È stata avanzata l’ipotesi che queste proteine si siano evolute tutte da un antenato comune (evoluzione divergente), anche se poche presentano significative similitudini di sequenza tra loro. È stato suggerito che un barile α/β sia una struttura particolarmente stabile, che la natura ha scoperto in modo indipendente in più occasioni (evoluzione convergente).

Glucosio ATP

fosforilazione

G6P

P

isomerizzazione

Jeremy Knowles ha dimostrato che la TIM ha raggiunto la perfezione catalitica. Con ciò si intende che la velocità della reazione bimolecolare tra l’enzima e il substrato è controllata dalla diffusione, cioè la formazione del prodotto avviene alla stessa velocità alla quale enzima e substrato possono collidere in soluzione. Qualsiasi aumento nell’efficienza catalitica della TIM non avrebbe quindi alcun effetto sulla velocità di reazione. La GAP e il DHAP sono interconvertiti in maniera così efficiente che le concentrazioni di questi due metaboliti si mantengono entro i valori caratteristici della reazione all’equilibrio: K = [GAP]/[DHAP] = 4,73 × 10−2. All’equilibrio, [DHAP] >> [GAP], ma nelle condizioni di stato stazionario di una cellula la GAP è consumata nelle reazioni successive della via glicolitica. Poiché la GAP è allontanata in questo modo dall’ambiente di reazione, una maggiore quantità di DHAP è trasformata in GAP per mantenere il rapporto di equilibrio. In effetti il DHAP entra come la GAP nella seconda fase della glicolisi e così una singola via provvede al metabolismo di entrambi i prodotti della reazione dell’aldolasi. La triosio fosfato isomerasi è un enzima cataliticamente perfetto.

A questo punto della via glicolitica una molecola di glucosio è stata trasformata in due molecole di GAP. Queste reazioni rappresentano la prima fase della glicolisi (Figura 15.7). Si noti che sono stati consumati 2 ATP per produrre gli intermedi fosforilati. Questo Esaminiamo la parte di glicolisi illustrata finora.

F6P

P fosforilazione

ATP

P

FBP

P scissione

P

GAP

DHAP

P

Figura 15.7 Rappresentazione

schematica della prima fase della glicolisi. In questa serie di cinque reazioni, un esosio è fosforilato, isomerizzato, di nuovo fosforilato e infine scisso in due triosio fosfati interconvertibili. Il processo consuma due molecole di ATP. Senza guardare il testo, indicate il nome dell’enzima che catalizza ogni tappa.

CAPITOLO 15

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Il catabolismo del glucosio

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investimento energetico non è stato ancora compensato, ma con un po’ di abilità chimica la GAP “a bassa energia” può essere trasformata in composti “ad alta energia” le cui energie libere di idrolisi possono essere associate (accoppiate) alla sintesi di ATP nella seconda fase della glicolisi.

F La gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi forma il primo intermedio “ad alta energia” La reazione 6 della glicolisi riguarda l’ossidazione e la fosforilazione della GAP ad opera di NAD+ e di Pi, catalizzate dalla gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi (GAPDH; Figura 6.31). H

O

gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi (GAPDH)

1C

H

NAD+

+

OH

2C

OPO23–

O

+

1C

H

Pi

CH2OPO23–

+

OH

2C

NADH

+

H+

CH2OPO23–

3

3

1,3-Bisfosfoglicerato (1,3-BPG)

Gliceraldeide3-fosfato (GAP)

Questo è il primo esempio della maestria chimica precedentemente menzionata. In questa reazione l’ossidazione dell’aldeide, una reazione esoergonica, promuove la sintesi dell’acil fosfato “ad alta energia” 1,3-bisfosfoglicerato (1,3-BPG). Ricordiamo che gli acil fosfati sono composti che presentano un alto potenziale di trasferimento del gruppo fosforico (Paragrafo 14.2C). Esperimenti enzimatici fondamentali hanno contribuito a chiarire il meccanismo di reazione della GAPDH.

1. La GAPDH è inattivata dall’alchilazione causata dall’aggiunta di quantità stechiometriche di iodoacetato. La presenza di carbossimetilcisteina nell’idrolizzato dell’enzima alchilato (Figura 15.8a) induce a ritenere che la GAPDH contenga nel suo sito attivo il gruppo sulfidrilico di un residuo di Cys.

(a)

HI SH

ICH2COO–

+

Enzima

CH2

GAPDH

Sito attivo Iodoacetato Cys

NH+ 3 CH2

Enzima

S

CH2COO–

CH2

CH

S

CH2COO–

idrolisi della COO– proteina Carbossimetilcisteina

+

Altri amminoacidi

(b) 3H

O C H

OPO23–

O

Figura 15.8 Reazioni usate sperimentalmente per chiarire il meccanismo d’azione della GAPDH. (a) Reazione dello iodoacetato con un residuo di Cys nel sito attivo dell’enzima. (b) Trasferimento quantitativo di trizio dal substrato al NAD+. (c) Scambio di 32P dal fosfato all’acetil fosfato, catalizzato dall’enzima.

C

+

OH

C

NAD+

+

Pi

GAPDH

H

CH2OPO23–

C

+

OH

NAD3H

CH2OPO23–

[1-3H]GAP

1,3-Bisfosfoglicerato (1,3-BPG)

(c) O–

O HO

32

P

O–

O–

+

O

O C

P O–

CH3 Acetil fosfato

O–

O O

GAPDH

HO

P O–

O–

+

O

O C CH3

32

P

O–

O

CAPITOLO 15

Il catabolismo del glucosio

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523

2. La GAPDH trasferisce in modo quantitativo 3H dal C1 della GAP al NAD+ (Figura 15.8b); la reazione avviene con il trasferimento diretto di uno ione idruro. 3. La GAPDH catalizza lo scambio di 32P tra Pi e l’analogo del prodotto acetil fosfato (Figura 15.8c). Queste reazioni di scambio dell’isotopo indicano la presenza di un intermedio acil-enzima; questo significa che il gruppo acetilico forma un complesso covalente con l’enzima, simile all’intermedio acil-enzima nel meccanismo di reazione della serina proteasi (Paragrafo 11.5C).

David Trentham ha proposto un meccanismo d’azione per la GAPDH basato su queste informazioni e su risultati di studi cinetici (Figura 15.9). Tappa 1 La GAP si lega all’enzima. Tappa 2 Il gruppo sulfidrilico essenziale, agendo come un nucleofilo, attacca l’aldeide formando un tioemiacetale. Tappa 3 Il tioemiacetale viene ossidato ad acil tioestere mediante il trasferimento diretto di uno ione idruro al NAD+. Questo intermedio, che è stato isolato, ha una elevata energia di idrolisi. Quindi l’energia ottenuta dall’ossidazione dell’aldeide non è dissipata, ma conservata grazie alla sintesi del tioestere e alla riduzione del NAD+ a NADH. Tappa 4 Il Pi si lega al complesso enzima-tioestere-NADH.

Figura 15.9 Il meccanismo enzimatico della GAPDH. Per i dettagli delle reazioni vedi il testo.

SCHEMA DI PROCESSO

...

NAD+

Intermedio tioemiacetale

H Reazione con il gruppo sulfidrilico del sito attivo

S

C

O–

3 Deidrogenazione (ossidazione)

2 H

R + B

...

...

NAD+ H

O C

S H

NADH O Complesso enzima-substrato

R

R

..

H

B

Legame 1 del substrato

Intermedio acil-tioestere

C

S

+ B

Pi GAP

...

...

NAD+

Rilascio del prodotto e scambio NADH/NAD+ 5

NADH O

O NAD+ NADH

S H

.. B

C

S H OPO23–

O C R

1,3-Bisfosfoglicerato (1,3-BPG)

R + B

–O

P O–

OH

4 Legame del fosfato

524

CAPITOLO 15

Il catabolismo del glucosio

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Tappa 5 L’intermedio tioestere subisce un attacco nucleofilico da parte del Pi, formando l’anidride mista “ad alta energia” 1,3-BPG (un acil fosfato), che in seguito si distacca dall’enzima. Il NADH è sostituito da una molecola di NAD+ e viene così ripristinato l’enzima attivo.

G La fosfoglicerato chinasi produce la prima molecola di ATP La reazione 7 della via glicolitica forma ATP e 3-fosfoglicerato (3PG) tramite una reazione catalizzata dalla fosfoglicerato chinasi (PGK). –O

OPO23–

O

fosfoglicerato chinasi (PGK)

C 1 H

C

2

OH

+

CH2OPO23–

3

1,3-Bisfosfoglicerato (1,3-BPG)

ADP

Mg2+

O C

1

H

C

2

OH

+

ATP

CH2OPO23–

3

3-Fosfoglicerato (3PG)

(Si noti che questo enzima è detto “chinasi” perché la reazione inversa è il trasferimento di un gruppo fosforico dall’ATP al 3PG.) La PGK (Figura 15.10) è caratterizzata da un’evidente forma bilobata. Il sito di legame del Mg2+-ADP si trova su un dominio lontano 10 Å circa dal sito di legame dell’1,3-BPG, situato sull’altro dominio. Misure fisiche suggeriscono che, a causa del legame con il substrato, i due domini della PGK si avvicinino tra loro per permettere ai due substrati di reagire in un ambiente privo di acqua, come avviene per l’esochinasi (Paragrafo 15.2A). In effetti la forma della PGK è molto simile a quella dell’esochinasi (Figura 15.2), anche se le strutture di queste due proteine non presentano nessuna altra relazione. Come descritto nel Paragrafo 14.2B, una reazione leggermente sfavorita può essere accoppiata a una reazione notevolmente favorita, in modo che entrambe le reazioni procedano verso la formazione dei prodotti. Nel caso della sesta e settima reazione della glicolisi, l’1,3-BPG è l’intermedio comune il cui consumo nella reaLe reazioni catalizzate dalla GAPDH e dalla PGK sono accoppiate.

Figura 15.10 Struttura ai raggi X della fosfoglicerato chinasi (PGK) di lievito in complesso con il 3PG e l’ATP. L’enzima è raffigurato evidenziando la sua superficie molecolare trasparente e con lo scheletro in forma di modello a nastro. Il dominio N-terminale è colorato in giallo mentre il dominio C-terminale è in viola. Il 3PG e il Mg2+ATP sono riportati in modello spaziale e colorati a seconda del tipo di atomi (ATP: C in verde; 3PG: C in azzurro, N in blu, O in rosso e P in arancione; il Mg2+ è in verde). Si noti la somiglianza strutturale tra la PGK e l’esochinasi (Figura 15.2). [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Herman Watson, University of Bristol, GB. PDBid 3PGK.]

CAPITOLO 15

Il catabolismo del glucosio

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zione della PGK “trascina” in avanti la reazione della GAPDH. L’energetica della reazione complessiva delle due reazioni è GAP Pi NAD → 1,3-BPG NADH ⌬G °⬘ 6,7 kJ ⭈ mol 1 1,3-BPG ADP → 3PG ATP ⌬G °⬘ 18,8 kJ ⭈ mol 1 ADP → 3PG NADH ATP GAP Pi NAD ⌬G°⬘ 12,1 kJ ⭈ mol 1

Anche se la reazione della GAPDH è endoergonica, la natura fortemente esoergonica del trasferimento del gruppo fosforico dall’1,3-BPG all’ADP rende favorevole la sintesi complessiva di NADH e ATP a partire da GAP, Pi, NAD+ e ADP. Questa produzione di ATP che non implica l’utilizzo di O2 è un esempio di fosforilazione a livello del substrato. La successiva ossidazione da parte dell’O2 del NADH prodotto in questa reazione genera altre molecole di ATP tramite la fosforilazione ossidativa, come vedremo nel Paragrafo 18.3.

H La fosfoglicerato mutasi interconverte il 3-fosfoglicerato e il 2-fosfoglicerato Nella reazione 8 della glicolisi il 3PG è convertito in 2-fosfoglicerato (2PG) dall’enzima fosfoglicerato mutasi (PGM). O–

O

O–

O

C1

fosfoglicerato mutasi (PGM)

H

C2

OH

H

C3

OPO23–

H

C1 H

C2

OPO23–

H

C3

OH

H

3-Fosfoglicerato (3PG)

2-Fosfoglicerato (2PG)

Una mutasi catalizza il trasferimento di un gruppo funzionale da una posizione a un’altra sulla stessa molecola. Questa reazione, più o meno neutrale dal punto di vista energetico, è necessaria per la reazione successiva della glicolisi, che genera un composto fosforilato “ad alta energia”. La reazione catalizzata dalla fosfoglicerato mutasi non è un semplice trasferimento intramolecolare di un gruppo fosforico. Infatti, l’enzima attivo ha un gruppo fosforico nel sito attivo, attaccato all’His 8. N Enzima

CH2 N PO23Ð

Residuo di fosfo-His

Il gruppo fosforico viene prima trasferito al substrato, dove forma un composto bisfosforilato. Questo intermedio rifosforila in seguito l’enzima per ottenere il prodotto e rigenerare il fosfoenzima attivo. La struttura ai raggi X dell’enzima rivela la vicinanza tra l’His 8 e il substrato (Figura 15.11).

Figura 15.11 La regione del sito attivo della fosfoglicerato mutasi di lievito (forma defosforilata). Il substrato 3PG, mostrato in modello a sfere e bastoncini con C in verde, O in rosso e P in arancione, si lega a una tasca ionica le cui catene laterali sono riportate in modello a sfere e bastoncini con C in verde, N in blu e O in rosso. L’His 8, nell’enzima attivo, è in forma fosforilata. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Jennifer Littlechild, University of Exeter, GB. PDBid 1QHF.]

Identificate i gruppi ionici nella tasca di legame al substrato.

525

CAPITOLO 15

526

Il catabolismo del glucosio

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SCHEMA DI PROCESSO

O

2PG –O Rilascio del prodotto 4

3PG P

His 1 Legame del substrato

O–

Fosfoenzima O–

O H H

C C

OPO2– 3

–O

P

O

C His

H

O–

OH

H

C

OH

C

OPO2– 3

–O

P

His

O–

H

H Complesso 2PG•fosfoenzima

Complesso 3PG•fosfoenzima O–

O Fosforilazione dellÕenzima

O–

O O

C

C

3 H

C

OPO2– 3

H

C

OPO2– 3

His

2 Fosforilazione del substrato

H Complesso 2,3-BPG•enzima

Figura 15.12 Ipotesi sul meccanismo di reazione della fosfoglicerato mutasi. La forma attiva dell’enzima contiene nel sito attivo un residuo di His fosforilato. Per i dettagli delle reazioni vedi il testo.

La catalisi della fosfoglicerato mutasi avviene attraverso le seguenti fasi (Figura 15.12).

Tappa 1 Il 3PG si lega al fosfoenzima, nel quale His 8 è fosforilata. Tappa 2 Il gruppo fosforico dell’enzima è trasferito al substrato, generando un intermedio formato dal complesso 2,3-bisfosfoglicerato-enzima. Tappa 3 Il gruppo fosforico in posizione 3 dell’intermedio viene trasferito all’enzima. Tappa 4 Il rilascio del prodotto 2PG rigenera il fosfoenzima libero pronto per un altro ciclo. Il gruppo fosforico del 3PG finisce quindi sul C2 della successiva molecola di 3PG che subisce la reazione. Talvolta il 2,3-bisfosfoglicerato (2,3-BPG) che si forma nella tappa 2 della reazione si dissocia dall’enzima defosforilato, lasciandolo in forma inattiva. È quindi necessario che siano sempre disponibili piccole quantità di 2,3-BPG per rigenerare il fosfoenzima attivo mediante la reazione inversa. Il 2,3-BPG si lega inoltre in modo specifico alla deossiemoglobina, diminuendone l’affinità per l’ossigeno (Paragrafo 7.1D). Di conseguenza, gli eritrociti richiedono concentrazioni di 2,3-BPG molto più elevate (5 mM) rispetto alle minime quantità necessarie per innescare la reazione della fosfoglicerato mutasi (Scheda 15.2).

CAPITOLO 15

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SCHEDA 15.2

527

LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

La sintesi di 2,3-bisfosfoglicerato negli eritrociti e il suo effetto sulla capacità di trasportare l’ossigeno nel sangue Il legame specifico del 2,3-bisfosfoglicerato (2,3-BPG) alla deossiemoglobina diminuisce l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno (Paragrafo 7.1D). Gli eritrociti sintetizzano e degradano il 2,3-BPG tramite una deviazione della via glicolitica.

100 90

Saturazione dellÕossigeno (%)

Gliceraldeide-3-fosfato GAPDH bisfosfoglicerato O mutasi 1,3-Bisfosfoglicerato ADP Pi

PGK

ATP

H

2

O C C

OPO322

CH2OPO322 3-Fosfoglicerato PGM

2,3-bisfosfoglicerato fosfatasi

In carenza di esochinasi

80

2,3-Bisfosfoglicerato (2,3-BPG)

70 60 Eritrociti normali

50 40 30

In carenza di piruvato chinasi

20 10

2-Fosfoglicerato

La bisfosfoglicerato mutasi catalizza il trasferimento di un gruppo fosforico dal C1 al C2 dell’1,3-BPG. Il 2,3-BPG è poi idrolizzato a 3BPG dalla 2,3-bisfosfoglicerato fosfatasi. Il 3PG prosegue poi nella via glicolitica. La quantità di 2,3-BPG disponibile regola l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno. Di conseguenza, i difetti ereditari della glicolisi eritrocitaria modificano la capacità del sangue di trasportare l’ossigeno, come indicato nella curva di saturazione dell’ossigeno dell’emoglobina. Per esempio, negli eritrociti con deficit di esochinasi le concentrazioni di tutti gli intermedi glicolitici sono basse (a causa della bassa velocità della reazione catalizzata dall’esochinasi, la prima della glicolisi): quindi anche la concentrazione di 2,3-BPG diminuisce, mentre l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno risulta aumentata (curva

0 0

10

O–

H

C2 OPO23–

H

C3 OH H

2-Fosfoglicerato (2PG)

O–

O C enolasi

C H

OPO23–

40 p O2 (torr)

50

60

[Da Delivoria-Papadopoulos, M., Oski, F.A. e Gottlieb, A.J. (1969). Oxygen-saturation curves, Science 165, 601.]

Nella reazione 9 della glicolisi il 2PG è deidratato a fosfoenolpiruvato (PEP), in una reazione catalizzata dall’enolasi. C1

30

verde). Viceversa, la carenza di piruvato chinasi (che catalizza la reazione finale della glicolisi; Figura 15.1) provoca una diminuzione dell’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno (curva blu), a causa di un aumento nella concentrazione di 2,3-BPG dovuto a questo blocco. Quindi, anche se gli eritrociti, privi di nucleo e di altri organelli, sono caratterizzati da un metabolismo ridotto al minimo, questo metabolismo è fisiologicamente significativo.

I L’enolasi forma il secondo intermedio “ad alta energia”

O

20

+

H2O

C H

Fosfoenolpiruvato (PEP)

L’enzima forma un complesso con un catione bivalente come il Mg2+ prima del legame con il substrato. Gli ioni fluoruro inibiscono la glicolisi bloccando l’attività dell’enolasi (lo ione F− è uno degli inibitori metabolici utilizzati in passato per chiarire la via glicolitica). In presenza di Pi gli ioni F− bloccano il legame del substrato all’enolasi, formando un complesso con Mg2+ che si lega al sito attivo dell’enzima. Si accumula quindi il substrato dell’enolasi, il 2PG, e a causa dell’attività della PGM si accumula anche 3PG.

CAPITOLO 15

528

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J La piruvato chinasi produce la seconda molecola di ATP Nella reazione 10 della glicolisi, la reazione finale, la piruvato chinasi (PK) associa (accoppia) l’energia libera della scissione del PEP alla sintesi di ATP durante la formazione di piruvato. O–

O

OPO23–

C

O–

O

C

+

ADP

+

C

piruvato chinasi (PK)

H+

C

+

O

ATP

CH3

CH2 Fosfoenolpiruvato (PEP)

Piruvato

La reazione della PK, che richiede cationi monovalenti (K+) e bivalenti (Mg2+), avviene secondo il seguente meccanismo (Figura 15.13). Tappa 1 Un atomo di ossigeno del gruppo fosforico β dell’ADP conduce un attacco nucleofilico sull’atomo di fosforo del PEP, liberando di conseguenza enolpiruvato e formando ATP. Tappa 2 L’enolpiruvato si trasforma mediante tautomerizzazione in piruvato.

La reazione della PK è fortemente esoergonica e fornisce una quantità di energia libera più che sufficiente per promuovere la sintesi di ATP (un altro esempio di fosforilazione a livello di substrato). A questo punto appare chiara la “logica” della reazione dell’enolasi. L’energia libera standard di idrolisi del 2PG è solo di −16 kJ ∙ mol−1, insufficiente per determinare la sintesi di ATP partendo da ADP e Pi (∆G°′ = 30,5 kJ ∙ mol−1). La deidratazione del 2PG induce tuttavia la formazione di un composto “ad alta energia” in grado di promuovere questa sintesi. L’alto potenziale di trasferimento del gruppo fosforico del PEP è una conseguenza del notevole rilascio di energia libera durante la trasformazione del prodotto enolpiruvato nel suo tautomero in forma chetonica. Si consideri l’idrolisi del PEP come una reazione in due tappe (Figura 15.14): la seconda tappa, la tautomerizzazione dell’enolpiruvato a piruvato, libera una quantità di energia molto maggiore rispetto al passaggio di trasferimento del gruppo fosforico. L’investimento di energia nella prima fase della glicolisi (il consumo di 2 ATP) è ripagato due volte nella seconda fase, perché due unità C3 fosforilate sono trasformate in due molecole di piruvato con la sintesi accoppiata di 4 ATP. Questo processo è schematizzato nella Figura 15.15. La reazione complessiva della glicolisi, come abbiamo visto, è La valutazione della fase II della glicolisi.

Glucosio 2 NAD+ + 2 ADP + 2 Pi n 2 piruvato + 2 NADH + 2 ATP + 2 H2O + 4 H+ SCHEMA DI PROCESSO O–

Mg2+ –

O

O C

K+

O

C

P O

CH2

Fosfoenolpiruvato (PEP)

Mg2+ –



O +



O

O P

O O

O

P O

ADP

Mg2+

ATP



O



O–

O C

Adenosina

1 Formazione di ATP

K+

O

H+



O

C

O C

CH2

2 Enolpiruvato Tautomerizzazione

Figura 15.13 Il meccanismo della reazione catalizzata dalla piruvato chinasi. Per i dettagli delle reazioni vedi il testo.

O

C CH3

Piruvato

CAPITOLO 15

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Idrolisi DG°9 = –16 kJ • mol–1

COO– C

COO–

O,

PO23–

+

C

H2O

C H

O

+

H

HPO24–

C H

H

H

529

Figura 15.14 Idrolisi del PEP. La reazione è divisa in due tappe: idrolisi e tautomerizzazione. Il valore complessivo di ∆G°’ è molto maggiore di quello richiesto per fornire ∆G°’ per la sintesi di ATP a partire da ADP e Pi.

Fosfoenolpiruvato COO–

COO– Tautomerizzazione DG°9 = – 46 kJ • mol–1

C

O

H H

C

H

C

O

C

H

H H

Piruvato (forma enolica)

COO– Reazione complessiva – DG°9 = –61,9 kJ • mol–1 C O,PO23 C H

Piruvato (forma chetonica)

COO–

+

H2O H

C

O

C

H

+

HPO24–

H H

Consideriamo ognuno dei tre prodotti della glicolisi. 1. ATP L’investimento iniziale di 2 ATP per ogni molecola di glucosio nella fase I e la conseguente sintesi di 4 ATP mediante fosforilazione a livello del substrato (due molecole per ogni GAP che procede lungo la fase II della glicolisi) determinano una resa netta di 2 ATP per molecola di glucosio. In alcuni tessuti e organismi per i quali il glucosio è il principale combustibile metabolico, l’ATP prodotto dalla glicolisi soddisfa la maggior parte delle esigenze energetiche della cellula. P 2. NADH Durante il suo catabolismo tramite la glicolisi, il glucosio è + ossidato parzialmente, in modo da ridurre due molecole di NAD+ NAD a due di NADH. Come descritto nel Paragrafo 14.3C, i coenzimi ridotti come il NADH rappresentano una fonte di energia libera che può essere recuperata tramite una loro successiva ossidazione. P In condizioni di aerobiosi gli elettroni passano dai coenzimi ridotADP ti, attraverso una serie di trasportatori di elettroni, all’agente ossidante finale, l’O2, in un processo noto come catena di trasporto di elettroni (Paragrafo 18.2). L’energia libera prodotta durante il trasporto di elettroni promuove la sintesi di ATP partendo da ADP e Pi (un processo detto fosforilazione ossidativa; Paragrafo 18.3). Negli organismi aerobici questa sequenza di eventi serve inoltre per rigenerare NAD+ ossidato, che può quindi partecipare ad altri cicli catalitici della GAPDH. In condizioni di anaerobiosi NADH deve essere riossidato con altri mezzi, in modo da mantenere alla via glicolitica un adeguato rifornimento di NAD+ (Paragrafo 15.3).

Figura 15.15 Rappresentazione schematica della fase II della glicolisi. In questa serie di cinque reazioni la GAP subisce una fosforilazione e una ossidazione seguita da riordinamenti molecolari, in modo che entrambi i gruppi fosforici abbiano sufficiente energia libera da essere trasferiti all’ADP e produrre ATP. Per ogni molecola di glucosio che entra nella fase I della glicolisi, due molecole di GAP sono poi trasformate in piruvato.

Senza guardare il testo, indicate il nome dell’enzima che catalizza ogni tappa.

GAP

P

NADH P

1,3-BPG

ATP 3PG

produzione di un composto “ad alta energia”

fosforilazione a livello del substrato

P

riordinamento

2PG

P produzione di un composto “ad alta energia”

PEP

P

ADP ATP Piruvato

fosforilazione a livello del substrato

530

CAPITOLO 15

Il catabolismo del glucosio

PUNTO DI VERIFICA

• Scrivete le reazioni della glicolisi, comprensive di formule di struttura degli intermedi e dei nomi degli enzimi che catalizzano le diverse reazioni.

• Riassumete le tipologie dei meccanismi catalitici coinvolti. I cofattori sono richiesti da qualche enzima della via glicolitica?

• Spiegate la logica chimica della conversione del glucosio a fruttosio prima della scissione dello zucchero in due molecole operata dall’aldolasi.

• Perché si ritiene che la triosio fosfato isomerasi sia cataliticamente perfetta?

• In cosa si differenzia la fosforilazione catalizzata dalle chinasi da quella catalizzata dalla GAPDH?

• Quali sono i composti ad elevato potenziale di trasferimento del gruppo fosforico che vengono sintetizzati durante la glicolisi?

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3. Piruvato Le due molecole di piruvato prodotte mediante l’ossidazione parziale di una molecola di glucosio sono ancora relativamente ridotte. In condizioni aerobiche la completa ossidazione degli atomi di carbonio del piruvato a CO2 è eseguita dal ciclo dell’acido citrico (Capitolo 17). L’energia rilasciata in quel processo favorisce la sintesi di una quantità di ATP molto maggiore di quella generata dall’ossidazione parziale del glucosio effettuata dalla sola via glicolitica. Nel metabolismo anaerobico il piruvato è in parte metabolizzato per rigenerare NAD+, come vedremo nel paragrafo successivo.

3 La fermentazione: il destino anaerobico del piruvato CONCETTI CHIAVE

• Il NADH, un substrato della reazione catalizzata dalla GAPDH, deve essere riossidato per consentire alla glicolisi di proseguire.

• Nel muscolo il piruvato viene ridotto a lattato per riossidare il NAD+. • I lieviti decarbossilano il piruvato producendo CO2 ed etanolo in un processo che richiede TPP come cofattore.

• Spiegate la logica chimica nel deidratare il 2-fosfoglicerato prima del trasferimento del suo gruppo fosforico.

• Spiegate in che modo l’accoppiamento chimico delle reazioni endoergoniche a quelle esergoniche viene utilizzato per produrre ATP durante la glicolisi.

• Quali prodotti della glicolisi sono molecole ridotte che la cellula può ossidare per trarne energia libera?

I tre comuni destini metabolici del piruvato prodotto dalla glicolisi sono illustrati nella Figura 15.16. 1. In condizioni aerobiche il piruvato è completamente ossidato a CO2 e H2O tramite il ciclo dell’acido citrico e la catena di trasporto degli elettroni. 2. In condizioni anaerobiche il piruvato deve essere trasformato in un prodotto finale ridotto, per riossidare il NADH prodotto dalla reazione della GAPDH. Questo accade in due modi: (a) nel muscolo, in condizioni anaerobiche il piruvato è ridotto a lattato per rigenerare il NAD+, in un processo noto come fermentazione omolattica (una fermentazione è un processo biologico di reazione che avviene in condizioni anaerobiche); (b) nel lievito il piruvato è decarbossilato a CO2 e acetaldeide, che è in seguito ridotta dal NADH, ottenendo NAD+ ed etanolo. Questo processo è noto come fermentazione alcolica.

Nella glicolisi aerobica il NADH si comporta quindi come un composto “ad alta energia”, mentre nella glicolisi anaerobica la sua energia libera di ossidazione è dissipata sotto forma di calore.

Glucosio NAD+ glicolisi NADH Piruvato Figura 15.16 Destino metabolico del piruvato. In condizioni aerobiche (a sinistra) gli atomi di carbonio del piruvato sono ossidati a CO2 nel ciclo dell’acido citrico e gli elettroni sono infine trasferiti all’O2, producendo H2O nel processo della fosforilazione ossidativa. Nel muscolo, in condizioni anaerobiche il piruvato è trasformato reversibilmente in lattato (al centro), mentre nel lievito è convertito in CO2 ed etanolo (a destra).

NAD+

fosforilazione ossidativa

NADH NADH

NADH

ciclo dell’acido citrico

fermentazione alcolica

fermentazione omolattica

NAD+

NAD+

CO2

H2O

Lattato

CO2

Etanolo

CAPITOLO 15

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A La fermentazione omolattica converte il piruvato in lattato Nel muscolo, particolarmente durante un’intensa attività fisica, quando la domanda di ATP è elevata e il rifornimento di ossigeno è scarso, l’ATP è ottenuto principalmente tramite la glicolisi anaerobica, che lo produce velocemente, invece che dalla fosforilazione ossidativa, che è un processo più lento. In queste condizioni l’enzima lattato deidrogenasi (LDH) catalizza l’ossidazione di NADH a partire dal piruvato, producendo NAD+ e lattato. O–

O

HS O

HR

C 1

C

4

C 2

+

O

5 6

CH3

NH2

3 1

+

H+

H

C 1 HO

2

H

NH2

+ + N

3

R

R Piruvato

NADH

NAD+

L-Lattato

Questa reazione è spesso classificata come reazione 11 della glicolisi. La reazione della lattato deidrogenasi è liberamente reversibile, quindi le concentrazioni di piruvato e di lattato sono rapidamente portate all’equilibrio. Nel meccanismo di reazione proposto per la riduzione del piruvato da parte dell’LDH, uno ione idruro è trasferito in modo stereospecifico dal C4 del NADH al C2 del piruvato, con il contemporaneo trasferimento di un protone dall’unità imidazolica dell’His 195. R

.

N.

C

H

C

O

NADH

O

+ C

.

NH2 Arg 109 C + NH2

..

O. . .H

O Piruvato

...

... H2N

C –

H2N

..

CH3

H H2N

O C

C 2 CH3

N

3

O–

O lattato deidrogenasi (LDH)

+ N

CH2

His 195

H+

CH3 H NAD+

NH2

NH2

C

OH

NH C O

O–

L-Lattato

Arg 171

L’His 195 e l’Arg 171 interagiscono elettrostaticamente con il il piruvato (o il lattato, nella reazione inversa) per orientarlo all’interno del sito attivo dell’enzima. Il processo complessivo della glicolisi anaerobica può essere così rappresentato: Glucosio 2 ADP + 2 Pi n 2 lattato + 2 ATP + 2 H2O + 2 H+ Il lattato rappresenta una sorta di “prodotto finale” nel metabolismo anaerobico del glucosio: può essere trasportato fuori dalla cellula o riconvertito in piruvato. Quasi tutto il lattato prodotto nel muscolo scheletrico è trasportato dal sangue al fegato, dove è usato per sintetizzare glucosio (Paragrafo 22.1F). Al contrario di quanto si crede comunemente, nel muscolo non è il semplice accumulo di lattato a provocare l’affaticamento e il dolore muscolare, ma è l’accumulo di acido prodotto durante la glicolisi (i muscoli possono continuare a eseguire il loro carico di lavoro anche in presenza di alte concentrazioni di lattato, se il pH è mantenuto costante).

531

532

CAPITOLO 15

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B La fermentazione alcolica converte il piruvato in CO2 ed etanolo Nel lievito, in condizioni anaerobiche il NAD+ per la glicolisi è rigenerato mediante un processo che è stato sfruttato da migliaia di anni: la conversione del piruvato in etanolo e CO2. L’etanolo è ovviamente l’ingrediente attivo dei vini e dei liquori; il CO2 prodotto da questa reazione è l’agente che fa lievitare il pane. Il lievito (Figura 15.17) produce etanolo e CO2 mediante due reazioni consecutive (Figura 15.18).

Figura 15.17 Fotografia al microscopio elettronico di alcune cellule di lievito. [Biophoto Associates Photo Researchers.]

1. La decarbossilazione del piruvato, che forma acetaldeide e CO2, catalizzata dalla piruvato decarbossilasi (un enzima non espresso negli animali). 2. La riduzione dell’acetaldeide a etanolo da parte del NADH, catalizzata dall’enzima alcol deidrogenasi (Paragrafo 11.1C); si rigenera così il NAD+ necessario per la reazione glicolitica della GAPDH. La piruvato decarbossilasi contiene il coenzima tiamina pirofosfato (TPP; detto anche tiamina difosfato, ThDP): La TPP è il cofattore della piruvato decarbossilasi.

O

CH3

N 19

69 59

29 39

H3C

N

+ 4 N3

CH2

CH2 2

C

49

S

H

NH2

Anello amminopirimidinico

CH2

O

P

5 1

O–

O O

P

O–

O–

protone acido

Anello tiazolico

Tiamina pirofosfato (TPP)

La TPP, sintetizzata a partire dalla tiamina (vitamina B1) si lega saldamente ma in modo non covalente alla piruvato decarbossilasi (Figura 15.19). L’enzima usa TPP in quanto la decarbossilazione non catalizzata di un α-chetoacido come il piruvato richiede la comparsa di una carica negativa sull’atomo di carbonio carbonilico nello stato di transizione, determinando una situazione instabile: O –O

Figura 15.18 Le due reazioni della fermentazione alcolica.

O

CO2

O 1

CH3

C

C O–

Piruvato

piruvato decarbossilasi

O

C

O

C

+

C

–C

R

R

O O

Lo stato di transizione può essere stabilizzato tramite delocalizzazione della carica negativa: questo è possibile mediante una opportuna “trappola per elettroni”. I residui amminoacidici delle proteine non sono molto adatti a questo compito, ma la TTP ha la struttura adeguata per comportarsi come “trappola per elettroni”. Il gruppo funzionale cataliticamente attivo della TPP è lÕanello tiazolico. L’atomo di H del C2 di questo gruppo è relativamente acido, a causa della vicinanza dell’atomo di azoto quaternario carico positivamente, che stabilizza in modo elettrostatico il carbanione che si forma quando si dissocia il pro+ NADH NAD OH O tone. Questo carbanione dipola2 re (detto anche ylid) è la forma CH3 C CH3 C H alcol attiva del coenzima. La piruvato H H deidrogenasi decarbossilasi agisce come segue (Figura 15.20). Acetaldeide Etanolo

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533

Figura 15.19 Legame della TPP all’enzima piruvato decarbossilasi di Saccharomyces uvarum (lievito di birra). La TPP e la catena laterale del Glu 51 sono mostrate in modello a bastoncini in cui C è in verde, N in blu, O in rosso, S in giallo e P in arancione. La TPP si lega in una cavità situata tra le due subunità del dimero (in azzurro e in viola), dove forma un legame idrogeno con il Glu 51. [Basata su una struttura ai raggi X di William Furey e Martin Sax, Veterans Administration Medical Center and University of Pittsburgh. PDBid 1PYD.]

Quali altre catene laterali vi aspettate di trovare nel sito di legame alla TPP dell’enzima?

Tappa 1 La forma ylid della TPP, un nucleofilo, attacca il carbonio carbonilico del piruvato. Tappa 2 Il CO2 si allontana generando un addotto carbanionico, stabilizzato per risonanza, in cui l’anello tiazolico del coenzima si comporta da “trappola per elettroni”. Tappa 3 Il carbanione viene protonato. Tappa 4 La forma ylid della TPP viene eliminata con formazione di acetaldeide e rigenerazione dell’enzima attivo. Questo meccanismo è stato confermato dall’isolamento dell’intermedio idrossietiltiamina pirofosfato. SCHEMA DI PROCESSO R

O O–

C O



C

CH3

S

R9

C

CH3 Piruvato

R

+ N

+ N

CH3

S

R9

C

H H+

TPP (forma ylid)

TPP

O H

H+

H+

+

C

CH3 Acetaldeide

H

R

O H

C

Attacco nucleofilico 1 da parte della forma ylid

4 Rilascio del prodotto

+ N

CH3

S

R9

C

C

CH3

R O–

O HO

+ N

CH3

S

R9

C

C CH3

Idrossietilammina pirofosfato Eliminazione 2 del CO2

Protonazione 3 del carbanione

H+

CO2 R

R HO –C H3C

+ N

CH3

S

R9

HO C

C H3C

N ..

CH3

S

R9

C

Carbanione stabilizzato per risonanza

Figura 15.20 Il meccanismo di reazione della piruvato decarbossilasi.

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CAPITOLO 15

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La carenza di tiamina provoca la malattia detta “beriberi” e la sindrome di Wernicke-Korsakoff. La capacità dell’anello tiazolico della TPP di attacca-

re i gruppi carbonilici e di agire da trappola per elettroni rende questo coenzima il più utilizzato nelle reazioni di decarbossilazione degli α-chetoacidi. Di conseguenza, la tiamina (vitamina B1), che non è sintetizzata né si accumula in quantità significative nei tessuti della maggior parte dei vertebrati, deve essere introdotta con la dieta. Negli esseri umani la carenza di tiamina provoca una malattia a esito letale nota come beriberi (parola in lingua cingalese che significa “debolezza”) caratterizzata da disturbi neurologici associati a dolori, paralisi e atrofia (indebolimento progressivo) degli arti, e/o a edema (accumulo di liquido nei tessuti e nelle cavità del corpo). Il beriberi era particolarmente diffuso tra la fine del XVIII e il XIX secolo nelle aree dell’Asia, dove vi era un alto consumo di riso, dopo l’introduzione di mulini meccanici a vapore che pulivano i chicchi di riso asportandone gli strati superficiali più ruvidi, ma contenenti tiamina (le precedenti tecniche di pulitura meccanica del riso erano meno efficienti, quindi lasciavano nei chicchi una sufficiente quantità di tiamina). Durante la procedura di lavorazione del riso detta “parboiling” (sbollentatura), prima della sbramatura, usata comunemente in India, la parte centrale del chicco di riso assorbe i nutrienti dagli strati esterni, diminuendo quindi l’incidenza del beriberi. Quando si scoprì che la causa del beriberi era la carenza di tiamina, vennero stabilite procedure di arricchimento vitaminico delle farine, in modo tale che oggi la malattia non è più un problema, salvo nelle regioni in cui sono in corso gravi carestie. Il beriberi si sviluppa tuttavia molto spesso negli alcolisti cronici, che tendono a bere invece che mangiare, perché l’etanolo inibisce l’assorbimento di tiamina nel tratto gastrointestinale. Un’altra manifestazione della carenza di tiamina è la sindrome di Wernicke-Korsakoff, una condizione rischiosa per la vita caratterizzata da demenza (confusione e grave perdita della memoria), atassia (posizione e andatura instabile) e anomalie all’occhio dovute all’atropia di diverse regioni del cervello. La riduzione dell’acetaldeide e la rigenerazione del NAD+. L’alcol

deidrogenasi del lievito (YADH), è un enzima tetramerico che trasforma l’acetaldeide in etanolo. Ogni subunità della YADH contiene uno ione Zn2+ che polarizza il gruppo carbonilico dell’acetaldeide per stabilizzare la carica negativa che si forma nello stato di transizione della reazione. R

N .. H+ H

H2N

C

C

H

H O

NADH

C CH3

H

H

...

O

Acetaldeide

S-Cys

... N-His

Zn2+

NAD+

H3C

OH

Etanolo

S-Cys

Questo facilita il trasferimento stereospecifico di un atomo di H dal NADH all’acetaldeide. L’alcol deidrogenasi presente nel fegato dei mammiferi (LADH) metabolizza gli alcoli prodotti dal metabolismo anaerobico della flora batterica intestinale e quelli di provenienza esterna (la direzione della reazione catalizzata dall’alcol deidrogenasi varia a seconda delle concentrazioni di etanolo e acetaldeide). La LADH dei mammiferi è un dimero con una sequenza amminoacidica significativamente simile alla sequenza della YADH, anche se le subunità LADH contengono ciascuna un secondo ione Zn2+, che probabilmente ha un ruolo strutturale.

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C La fermentazione è energeticamente favorita La termodinamica ci permette di suddividere il processo della fermentazione nelle sue varie parti e di valutare la variazione di energia libera in ognuna di esse. In questo modo è possibile calcolare con quale efficienza l’energia libera ricavata dalla degradazione del glucosio è utilizzata per la sintesi dell’ATP. Per la fermentazione omolattica, Glucosio n 2 lattato + 2 H+

∆G°′ = −196 kJ ∙ mol−1

Per la fermentazione alcolica, Glucosio n 2 CO2 + 2 etanolo

∆G°′ = −235 kJ ∙ mol−1

Ognuno di questi due processi è accoppiato alla formazione netta di 2 ATP, che richiede un ∆G°′ = +61 kJ ∙ mol−1 del glucosio consumato. Dividendo il ∆G°′ di formazione di ATP per il ∆G°′ di formazione del lattato, si ottiene un’“efficienza” del 31% per la fermentazione omolattica, cioè il 31% dell’energia libera rilasciata in condizioni biochimiche standard durante questo processo è “catturata” sotto forma di ATP. Il resto è dissipato come calore, rendendo quindi il processo irreversibile. In modo analogo, la fermentazione alcolica in condizioni biochimiche standard ha una efficienza del 26%. In condizioni fisiologiche, in cui le concentrazioni dei reagenti e dei prodotti differiscono da quelle delle condizioni standard, queste reazioni hanno un’efficienza che supera il 50%. La fermentazione anaerobica utilizza il glucosio in modo del tutto inefficiente rispetto alla fosforilazione ossidativa: la fermentazione produce 2 ATP per ogni molecola di glucosio, mentre la fosforilazione ossidativa può produrre fino a 32 ATP per molecola di glucosio (Paragrafo 18.3C). Questo giustifica l’osservazione di Pasteur che il lievito consuma molto più glucosio quando cresce in condizioni anaerobiche rispetto a quando cresce in condizioni aerobiche (effetto Pasteur). Tuttavia la velocità di produzione dell’ATP nella glicolisi anaerobica può essere fino a 100 volte superiore rispetto a quella della fosforilazione ossidativa. Di conseguenza, tessuti come il muscolo, in cui il consumo di ATP può essere molto rapido, sono in grado di rigenerare questo nucleotide quasi totalmente tramite la glicolisi anaerobica. (In realtà la fermentazione omolattica non “spreca” glucosio, perché in condizioni di aerobiosi il lattato è ritrasformato in glucosio nel fegato; Paragrafo 22.1F). Alcuni muscoli sono specializzati per la rapida produzione di ATP mediante la glicolisi (Scheda 15.3).

SCHEDA 15.3

PUNTO DI VERIFICA

• Descrivete i tre possibili destini del piruvato.

• Confrontate la fermentazione omolattica e la fermentazione alcolica in termini di prodotti e di cofattori richiesti.

• Qual è il ruolo del cofattore TPP nella reazione di decarbossilazione?

• Confrontate la resa e la velocità di formazione dell’ATP nella degradazione aerobica e anaerobica del glucosio.

LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

La produzione glicolitica di ATP nel muscolo Il muscolo scheletrico è costituito sia da fibre a contrazione lenta (Tipo I) sia da fibre a contrazione veloce (Tipo II). Le fibre a contrazione veloce, così chiamate perché sono predominanti nei muscoli capaci di attività brevi e intense, sono quasi prive di mitocondri (nei quali avviene la fosforilazione ossidativa): devono quindi ottenere quasi tutto l’ATP di cui necessitano dalla glicolisi anaerobica, che sono in grado di compiere con grande efficienza. Al contrario, i muscoli che si devono contrarre più lentamente e per tempi più lunghi sono costituiti in prevalenza da fibre a contrazione lenta, ricche di mitocondri, e ottengono la maggior parte dell’ATP dalla fosforilazione ossidativa. In passato le fibre a contrazione veloce e quelle a contrazione lenta erano dette, rispettivamente, “fibre bianche” e “fibre rosse”, perché il muscolo, normalmente caratterizzato da un colore pallido, quando è ricco di mitocondri assume il colore rosso caratteristico dei citocromi che contengono il gruppo eme. Tuttavia il colore delle fibre è solo un indicatore imperfetto della fisiologia muscolare.

Fibre muscolari a contrazione lenta

Fibre muscolari a contrazione veloce

[Foto per gentile concessione di J.D. MacDougall, McMaster University, Canada.] ^ (segue)

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SCHEDA 15.3 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA (continua)

In un esempio molto noto, i muscoli del volo degli uccelli migratori come le anatre e le oche, che necessitano di un continuo apporto di energia, sono ricchi di fibre a contrazione lenta. La carne del petto di questi uccelli ha quindi un colore scuro, mentre i muscoli del volo di volatili meno abili, come galline e tacchini, che sono usati solo per voli molto brevi (spesso semplicemente per sfuggire

a un pericolo), sono costituiti in prevalenza da fibre a contrazione veloce, che fanno assumere alla carne una colorazione chiara. Negli esseri umani i muscoli dei velocisti sono ricchi di fibre a contrazione veloce, mentre quelli dei fondisti sono caratterizzati da una maggior quantità di fibre lente (anche se i muscoli, in entrambi i casi, hanno lo stesso colore).

4 La regolazione della glicolisi CONCETTI CHIAVE

• Gli enzimi che funzionano con grandi variazioni negative di energia libera fungono da punti di controllo del flusso.

• La fosfofruttochinasi, il principale punto di regolazione della glicolisi nel muscolo, è inibita allostericamente dall’ATP e attivata dall’AMP e dall’ADP.

• Il ciclo del substrato permette alla velocità della glicolisi di rispondere velocemente ai cambiamenti richiesti.

In condizioni di stato stazionario la glicolisi è continuamente attiva nella maggior parte dei tessuti, anche se il flusso glicolitico deve variare in base alle necessità dell’organismo. La spiegazione dei meccanismi di controllo di una determinata via metabolica, come la glicolisi, di solito prevede tre tappe. 1. Identificazione della tappa o delle tappe che limitano la velocità della via, misurando in vivo il ∆G di ogni reazione. Gli enzimi che operano in condizioni lontane dall’equilibrio sono potenziali punti di controllo (Paragrafo14.1D). 2. Identificazione in vitro degli effettori allosterici degli enzimi che catalizzano le reazioni che limitano la velocità della via metabolica. I meccanismi d’azione di questi composti sono determinati in base ai loro effetti sulla cinetica degli enzimi considerati. 3. Misurazione in vivo dei livelli dei possibili regolatori enzimatici in differenti condizioni fisiologiche, per stabilire se queste variazioni di concentrazione sono compatibili con il meccanismo di controllo proposto. Esaminiamo adesso la termodinamica della glicolisi nel tessuto muscolare, con particolare riguardo alla comprensione dei suoi meccanismi di controllo (si ricordi che la glicolisi è controllata in maniera diversa nei vari tessuti). La Tabella 15.1 elenca le variazioni standard di energia libera (∆G°′) e le variazioni reali TABELLA 15.1 Valori di ∆G°’ e ∆G per le reazioni della glicolisi

nel muscolo cardiacoa

a

∆G°′ (kJ ∙ mol−1)

∆G (kJ ∙ mol−1)

Reazione

Enzima

1

Esochinasi

−20,9

−27,2

2

PGI

+2,2

−1,4

3

PFK

−17,2

−25,9

4

Aldolasi

+22,8

−5,9

5

TIM

+7,9

∼0

6+7

GAPDH + PGK

−16,7

−1,1

8

PGM

+4,7

−0,6

9

Enolasi

10

PK

−3,2

−2,4

−23,0

−13,9

Valori calcolati dai dati di Newsholme, E.A. e Start, C. (1973). Regulation in Metabolism. Wiley, p. 97

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di energia libera in condizioni fisiologiche (∆G) associate a ciascuGlucosio na reazione della glicolisi. È importante considerare che le variazioni di energia libera delle reazioni metaboliche in condizioni standard 1 possono essere notevolmente diverse dai valori riscontrabili in vivo. Solo tre reazioni, cioè quelle catalizzate dall’esochinasi, dalla fosfo- G fruttochinasi e dalla piruvato chinasi, avvengono con notevoli variazioni negative di energia libera nel muscolo cardiaco in condizioni fisiologiche (Figura 15.21). Queste reazioni della glicolisi, che avvengono in condizioni lontane dall’equilibrio, rappresentano plausibili candidati per il controllo del flusso metabolico della via. Le altre reazioni glicolitiche funzionano in condizioni vicine all’equilibrio: le loro reazioni dirette e inverse sono molto più rapide dell’effettiva velocità di flusso attraverso la via. Di conseguenza, queste reazioni all’equilibrio sono molto sensibili alle variazioni di concentrazione degli intermedi della via e quindi si adattano velocemente alle variazioni di flusso generate in corrispondenza della reazione o delle reazioni che determinano la velocità della via metabolica.

A La fosfofruttochinasi è il principale enzima che controlla il flusso della glicolisi nel muscolo

Studi in vitro sull’esochinasi, sulla fosfofruttochinasi e sulla piruvato chinasi indicano che l’attività di ciascuno di questi enzimi è controllata da numerosi composti. Tuttavia, quando la fonte di G6P per la glicolisi è il glicogeno e non il glucosio, come spesso accade nel muscolo scheletrico, la reazione dell’esochinasi non è indispensabile (il glicogeno viene demolito liberando G6P. Paragrafo 16.1). La piruvato chinasi catalizza l’ultima reazione della glicolisi ed è quindi improbabile che sia il principale punto di regolazione del flusso attraverso l’intera via. Evidentemente la PFK, un enzima regolato in modo complesso che funziona in condizioni lontane dall’equilibrio, costituisce nel muscolo il principale punto di controllo della glicolisi nella maggior parte delle condizioni metaboliche. La PFK (Figura 15.22) è un enzima tetramerico che può assumere due stati conformazionali, R e T, in equilibrio tra loro. L’ATP si comporta sia da substrato sia da inibitore allosterico della PFK. Altri composti, tra cui ADP, AMP e il fruttosio-2,6-bisfosfato (F2,6P), contrastano gli effetti inibitori dell’ATP e sono quindi considerati attivatori dell’enzima. Ogni subunità della PFK ha due siti di legame per l’ATP: uno è il sito del substrato e l’altro è il sito che lega l’inibitore. Il sito del substrato lega l’ATP con uguale efficienza in entrambe le conformazioni, mentre il sito inibitorio lega l’ATP quasi esclusivamente nello stato conformazionale T. L’altro substrato della PFK, l’F6P, si lega di preferenza allo stato R dell’enzima. Di con-

2 3 6&7

4

8

9

5 10 Piruvato Figura 15.21 Variazioni di energia libera nella glicolisi. Questo schema “a cascata” illustra le variazioni reali di energia libera delle reazioni glicolitiche nel muscolo cardiaco (Tabella 15.1). Le reazioni 1, 3 e 10 sono irreversibili. Le altre reazioni agiscono in condizioni vicine all’equilibrio e possono regolare il flusso in entrambe le direzioni.

Spiegate perché nel diagramma ogni reazione è rappresentata da uno scalino più basso.

CONCETTI DI BASE Flusso metabolico La via glicolitica può essere considerata una sorta di tubo, con un ingresso per le molecole di glucosio e un’uscita per le molecole di piruvato. I punti di controllo della via sono come valvole unidirezionali che impediscono il riflusso e limitano la quantità di materiale che passa all’interno. Tra questi punti di controllo, gli intermedi possono muoversi in entrambe le direzioni. Il tubo non è mai vuoto perché il piruvato viene utilizzato continuamente e c’è sempre altro glucosio disponibile. Inoltre, gli intermedi possono entrare o uscire dalla via in qualunque punto. Anche la cellula più semplice contiene molte copie di ciascun enzima glicolitico, che agisce su un gruppo di milioni di molecole substrato, quindi è al loro comportamento collettivo a cui ci si riferisce quando si parla di flusso lungo la via metabolica.

Figura 15.22 Struttura ai raggi X della PFK di E. coli. Sono rappresentate

sotto forma di struttura a nastro due subunità dell’enzima tetramerico (le altre due subunità, omesse per chiarezza, sono correlate a quelle mostrate da una doppia simmetria rotazionale intorno all’asse verticale). Ciascuna subunità lega i suoi prodotti: l’FBP (vicino al centro di ogni subunità), il Mg2+-ADP (in basso a destra e in alto a sinistra), insieme all’attivatore Mg2+-ADP (in alto a destra e in basso a sinistra, nella parte posteriore), mostrati con un modello spaziale con gli atomi colorati a seconda del tipo: nell’ADP C è in verde, nell’FBP C è in azzurro, N in blu, O in rosso, P in arancione e Mg in viola. Si noti la stretta vicinanza del gruppo β-fosfato del prodotto ADP al gruppo fosforico in posizione 1 dell’FBP, che è il gruppo che la PFK trasferisce dall’ATP all’F6P. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Philip Evans, Cambridge University. PDBid 1PFK.]

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seguenza, ad alte concentrazioni l’ATP agisce come inibitore allosterico della PFK legandosi allo stato T, spostando l’equilibrio T 34 R in direzione di T e quindi diminuendo l’affinità della PFK per l’F6P (questo effetto è simile all’azione del 2,3-BPG, 1 mM ATP che induce nell’emoglobina una diminuzione di affinità per l’O2; + 0,1 mM AMP Paragrafo 7.1D). Nel grafico della velocità in funzione della concentrazione del substrato [F6P], elevate concentrazioni di ATP spostano la 1 mM ATP curva verso destra, rendendola più sigmoidale e più cooperativa (Figura 15.23). Per esempio, quando la [F6P] = 0,5 mM (linea tratteggiata nella Figura 15.23), l’enzima raggiunge quasi 0 1,0 2,0 il massimo di attività, ma in presenza di 1 mM ATP l’attività [Fruttosio-6-fosfato] mM cala drasticamente fino al 15% dell’attività originale, una diFigura 15.23 Attività della PFK in minuzione di circa 7 volte. (In realtà il più potente effettore allosterico della funzione della concentrazione di F6P. PFK è l’F2,6P, che sarà descritto nel Paragrafo 16.4C.) Attivitˆ della fosfofruttochinasi

Assenza di inibitori (bassa [ATP])

Le diverse condizioni sono le seguenti: curva viola, assenza di inibitori o attivatori; curva verde, ATP 1 mM; e curva rossa, ATP 1 mM + AMP 0,1 mM. [Dati di Mansour, T.E. e Ahlfors, C.E. (1968). J. Biol. Chem. 243, 2523-2533.] A che concentrazioni del substrato l’enzima può regolare meglio il flusso glicolitico?

L’allosterismo nella fosfofruttochinasi coinvolge catene laterali di Arg e di Glu.

Philip Evans ha determinato le strutture ai raggi X della PFK di alcuni organismi nello stato R e nello stato T. Lo stato R della PFK è stabilizzato dal legame con il suo substrato F6P. Nello stato R della PFK di Bacillus stearothermophilus la catena laterale dell’Arg 162 forma una coppia ionica con il gruppo fosforico di una molecola di F6P legata al sito attivo di un’altra subunità (Figura 15.24). Tuttavia l’Arg 162 si trova all’estremità di un giro di elica che si srotola nella transizione

67

1559 155

60

ADP9

71 Glu 161 150

F6P9 – –

+

159

Glu 1619 – Arg 162 PGC

Arg 1629 + 216 211

1659 Figura 15.24 Cambiamenti allosterici nella PFK di Bacillus stearothermophilus. Segmenti dell’enzima nello stato T (in blu) sono sovrapposti a segmenti dell’enzima nello stato R (in rosa) che subiscono estesi riordinamenti conformazionali durante la transizione allosterica TnR (indicati dalle frecce). Le posizioni dei residui nello stato R sono indicate dal segno ’. Si noti che nello stato R tra Arg 162’ e F6P’ si forma un’interazione ionica attrattiva, mentre nello stato T il F6P’ è respinto dal Glu 161. Nella figura sono inoltre visibili i legami con alcuni ligandi: l’inibitore non fisiologico 2-fosfoglicolato (PGC; un analogo del PEP) legato allo stato T, e il substrato cooperativo F6P e l’attivatore ADP associati allo stato R. [Schirmer, T. ed Evans, P.R. (1990). Nature 343, 142. PDBid 4PFK e 6PFK.]

204

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dallo stato R allo stato T. La catena laterale carica positivamente dell’Arg 162 si sposta ed è sostituita dalla catena laterale carica negativamente del Glu 161. Di conseguenza, il gruppo fosforico dell’F6P, provvisto di due cariche negative, subisce una forte diminuzione dell’affinità per lo stato T dell’enzima. Il processo di srotolamento di questo giro d’elica, obbligatorio per la transizione R n T, è impedito dal legame dell’attivatore ADP al sito effettore dell’enzima. Probabilmente l’ATP si può legare a questo sito solo quando il giro dell’elica è nella conformazione srotolata (cioè nello stato T). L’AMP permette di superare l’effetto inibitorio dell’ATP sull’attività della PFK.

La regolazione allosterica diretta della PFK da parte dell’ATP potrebbe apparire a un esame superficiale come il punto di controllo del flusso glicolitico. Infatti, quando la [ATP] è elevata a causa di una bassa domanda metabolica, la PFK è inibita e il flusso attraverso la glicolisi è basso. Quando la [ATP] è bassa, il flusso attraverso la via è elevato e quindi si sintetizza ATP per aumentare il suo livello. Alcune considerazioni a proposito delle variazioni fisiologiche nella concentrazione dell’ATP indicano tuttavia che la situazione deve essere più complessa. Il flusso metabolico attraverso la via glicolitica può variare anche di 100 volte e più, a seconda della richiesta metabolica di ATP. Però, misurando la [ATP] in vivo, in varie condizioni di attività metabolica, è stato riscontrato che la [ATP] varia di meno del 10% tra condizioni di riposo e di attività intensa. Eppure, finora non è stato osservato alcun meccanismo allosterico in grado di provocare un cambiamento di 100 volte nel flusso di una reazione non all’equilibrio tramite una modifica di appena il 10% nelle concentrazioni dell’effettore; devono quindi esistere altri meccanismi responsabili del controllo del flusso metabolico della glicolisi. L’inibizione della PFK da parte dell’ATP è impedita sia dall’AMP sia dall’ADP, a causa del legame preferenziale dell’AMP allo stato R della PFK. Se a una soluzione di PFK contenente ATP 1 mM e F6P 0,5 mM viene aggiunto AMP 0,1 mM, l’attività della PFK passa dal 15 al 50% della sua attività massima, un incremento di circa 3 volte (Figura 15.23). Passando da una condizione di riposo a una condizione di intensa attività, la [ATP] diminuisce solo del 10% perché la diminuzione reale della concentrazione di ATP è compensata dall’azione di due enzimi: la creatina chinasi e l’adenilato chinasi (Paragrafo 14.2C). L’adenilato chinasi catalizza la reazione [ATP][AMP] 2 ADP 34 ATP AMP K 0,44 [ADP]2 che equilibra rapidamente l’ADP risultante dall’idrolisi dell’ATP durante la contrazione muscolare, con l’ATP e l’AMP. Nel muscolo la [ATP] è circa 50 volte maggiore della [AMP] e circa 10 volte più elevata della [ADP]. Di conseguenza, una variazione nella [ATP], per esempio, da 1 a 0,9 mM, cioè una diminuzione del 10%, può determinare un aumento del 100% della [ADP] (da 0,1 a 0,2 mM) grazie all’azione dell’adenilato chinasi e a un aumento superiore al 400% della [AMP] (da 0,02 a ∼0,1 mM). Quindi un segnale metabolico che consiste in una diminuzione della [ATP] troppo piccola per rimuovere l’inibizione della PFK è notevolmente amplificato dalla reazione dell’adenilato chinasi, che aumenta la [AMP] di un valore tale da produrre un incremento molto più elevato dell’attività della PFK.

B Il ciclo del substrato regola finemente il flusso Anche un meccanismo allosterico finemente regolato come quello della PFK può spiegare solo una parte delle variazioni del flusso glicolitico che possono superare anche le 100 volte. Un ulteriore controllo può essere determinato dal ciclo del substrato. In base a quanto discusso nel Paragrafo 14.1D, soltanto le

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reazioni vicine all’equilibrio possono subire notevoli cambiamenti di flusso. In una reazione vicina all’equilibrio, la differenza fra vf, la velocità della reazione diretta, e vr, la velocità della reazione inversa, è circa uguale 0 e quindi una piccola variazione nella vf avrà come conseguenza una grande variazione in vf − vr. Tuttavia questo non è il caso della reazione della PFK, perché per questa reazione non all’equilibrio vr risulta trascurabile. Tuttavia è possibile imporre condizioni simili all’equilibrio in una reazione non all’equilibrio se un secondo enzima (o serie di enzimi) catalizza la rigenerazione del suo substrato a partire dal suo prodotto, in un modo vantaggioso dal punto di vista termodinamico. Questo può essere schematizzato come segue Ä

A

B r

Poiché due diversi enzimi catalizzano la reazione diretta (f) e inversa (r), vf e vr possono variare in modo indipendente l’uno dall’altro e vr non è più trascurabile rispetto a vf. Si noti che il processo diretto (per esempio, la formazione di FBP a partire dall’F6P) e quello inverso (per esempio, la scissione di FBP a F6P) devono essere catalizzati da enzimi diversi, poiché le leggi della termodinamica sarebbero altrimenti violate (in altre parole, per una singola reazione non è possibile che la reazione diretta e quella inversa siano simultaneamente vantaggiose). In condizioni fisiologiche, la reazione catalizzata dalla PFK: F6P + ATP n FBP + ADP è fortemente esoergonica (∆G = −25,9 kJ ∙ mol−1). Quindi, la reazione inversa ha una velocità trascurabile se paragonata a quella della reazione diretta. La fruttosio-1,6-bisfosfatasi (FBPasi), tuttavia, che è presente in molti tessuti di mammifero (e che rappresenta un enzima essenziale nella gluconeogenesi; Paragrafo 16.4B), catalizza l’idrolisi esoergonica dell’FBP (∆G = −8,6 kJ ∙ mol−1):

FBP + H2O n F6P + Pi Si noti che le reazioni combinate catalizzate da PFK e dalla FBPasi determinano l’idrolisi netta di una molecola di ATP: ATP + H2O 34 ADP + Pi Questo insieme di reazioni opposte genera un ciclo (Paragrafo 14.1E) noto come ciclo del substrato, in quanto un substrato è ciclicamente trasformato in un intermedio e poi nuovamente in substrato. Quando questo gruppo di reazioni fu scoperto, fu denominato ciclo futile perché il suo risultato netto sembrava un consumo inutile di ATP. Eric Newsholme ha proposto che i cicli del substrato non siano per nulla “futili”, ma abbiano invece una funzione regolatoria. Gli effetti combinati degli effettori allosterici sulle reazioni opposte di un ciclo del substrato possono produrre un effetto molto più elevato sul flusso della via (vf − vr) di quello che si può ottenere tramite la regolazione allosterica di un unico enzima. Per esempio, l’effettore allosterico F2,6P attiva la reazione PFK mentre inibisce la reazione della FBPasi (questo meccanismo regolatorio è importante per bilanciare la glicolisi e la gluconeogenesi nelle cellule del fegato; Paragrafo 16.4C). Il ciclo del substrato non aumenta il flusso massimo attraverso una via metabolica: al contrario, funziona causando la diminuzione del flusso minimo. In un certo senso è come se il substrato fosse inserito in un “circuito d’attesa”. Nell’esempio della PFK/FBPasi (Figura 15.25), il ciclo del substrato sembra rappresentare il “costo” energetico che un muscolo deve pagare per poter passare rapi-

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(a)

(b)

G6P

G6P

F6P

F6P

Pi

ATP

Pi

ATP

H2O

ADP

H2O

ADP

FBP

FBP

GAP + DHAP

GAP + DHAP

541

Figura 15.25 Ciclo del substrato nella regolazione della PFK. (a) Nel muscolo a riposo entrambi gli enzimi del ciclo del substrato F6P/FBP sono attivi e il flusso glicolitico è basso. (b) Nel muscolo in contrazione aumenta l’attività della PFK e diminuisce l’attività della FBPasi. Questo provoca un notevole aumento del flusso attraverso la reazione della PFK e, di conseguenza, un elevato flusso glicolitico.

damente dallo stato di riposo (dove vf − vr ha un valore piccolo), in cui il ciclo del substrato è massimo, a uno stato di attività elevata e continua (in cui vf − vr ha un valore elevato). La velocità del ciclo del substrato stesso può essere sotto controllo ormonale o nervoso, in modo da aumentare la sensibilità del sistema metabolico quando si deve effettuare in breve tempo una attività elevata (come nella reazione fisiologica “combatti o fuggi”). Il ciclo del substrato e altri meccanismi che controllano l’attività della PFK in vivo sono parte di sistemi più estesi che regolano tutte le attività metaboliche della cellula. Poiché la PFK è l’enzima che controlla la glicolisi, un tempo si riteneva che un aumento dei suoi livelli di espressione tramite ingegneria genetica avrebbe potuto aumentare il flusso della glicolisi. Tuttavia questo non avviene, in quanto l’attivitˆ della PFK, qualunque sia la sua concentrazione, è sempre controllata da fattori che riflettono la richiesta cellulare generale per i prodotti forniti dalla glicolisi e da tutte le altre vie metaboliche.

Si ritiene che molti animali, compresi gli esseri umani adulti, generino nel fegato e nel muscolo la maggior parte del proprio calore corporeo, particolarmente quando il clima è freddo, tramite il ciclo del substrato, un processo conosciuto con il nome di termogenesi non associata a brividi (anche le contrazioni muscolari dette “brividi” o altri movimenti producono calore). Il ciclo del substrato è controllato da ormoni tiroidei (che stimolano il metabolismo nella maggior parte dei tessuti), come indicato, per esempio, dall’osservazione che i ratti privi di ghiandola tiroidea funzionante non sopravvivono a una temperatura di 5 °C. Gli individui cronicamente obesi tendono ad avere velocità metaboliche inferiori al normale, fattore dovuto probabilmente, in parte, a una minore velocità della termogenesi non associata a brividi. Questi individui tendono quindi a essere sensibili al freddo. In effetti, mentre gli individui normali esposti al freddo aumentano la velocità di attivazione degli ormoni tiroidei, gli animali geneticamente obesi e i soggetti umani obesi non sono in grado di farlo. Il ciclo del substrato è correlato a termogenesi e obesità.

5 Il metabolismo di esosi diversi dal glucosio CONCETTI CHIAVE

• Gli esosi fruttosio, galattosio e mannosio vengono convertiti in intermedi glicolitici per un ulteriore metabolismo.

Oltre al glucosio, anche gli esosi fruttosio, galattosio e mannosio sono importanti carburanti metabolici. Dopo la digestione, questi monosaccaridi entrano nel circolo sanguigno, che li trasporta ai vari tessuti. Il fruttosio, il galattosio e il mannosio sono trasformati in intermedi della glicolisi, che sono in seguito metabolizzati nella via glicolitica (Figura 15.26).

PUNTO DI VERIFICA

• Quali enzimi glicolitici sono potenziali punti di controllo del flusso della via?

• Descrivete i meccanismi che controllano l’attività della fosfofruttochinasi.

• Perché l’ATP da solo non è un efficace regolatore allosterico dell’attività enzimatica?

• Qual è il vantaggio metabolico del ciclo del substrato? Qual è il suo costo?

542

CAPITOLO 15

Il catabolismo del glucosio

Glucosio

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Figura 15.26 Ingresso di altri esosi nella glicolisi. Il fruttosio (nel muscolo) e il mannosio

sono trasformati in F6P; nel fegato, il fruttosio è trasformato in GAP e il galattosio in G6P.

A Il fruttosio viene convertito in fruttosio-6-fosfato Galattosio

G6P

Mannosio Fruttosio (muscolo)

Fruttosio (fegato)

F6P

GAP

Piruvato

o gliceraldeide-3-fosfato

Il fruttosio è il principale carburante energetico nelle diete che contengono grandi quantità di frutta o di saccarosio (un disaccaride costituito da fruttosio e glucosio; Paragrafo 8.2A). Vi sono due vie per il metabolismo del fruttosio: una nel muscolo e l’altra nel fegato. Questa dicotomia è dovuta al fatto che in questi due tessuti sono presenti enzimi diversi. Nel muscolo il metabolismo del fruttosio è molto simile a quello del glucosio. L’esochinasi (Paragrafo 15.2A), che trasforma il glucosio in G6P, fosforila anche il fruttosio, formando F6P (Figura 15.27, a sinistra). Basta quindi un solo passaggio di reazione per permettere l’ingresso del fruttosio nella glicolisi. Il fegato contiene una esochinasi detta glucochinasi, caratterizzata da una bassa affinità per gli esosi, compreso il fruttosio (Paragrafo 22.1D). Il metabolismo del fruttosio nel fegato deve quindi essere diverso da quello del muscolo. Infatti il fegato trasforma il fruttosio in intermedi glicolitici tramite una via metabolica in cui sono presenti sette enzimi (Figura 15.27, a destra). 1. La fosfofruttochinasi catalizza la fosforilazione in C1 del fruttosio da parte dell’ATP, formando fruttosio-1-fosfato. Né l’esochinasi né la PFK sono in grado di fosforilare il fruttosio-1-fosfato a livello del C6 per formare l’intermedio glicolitico FBP. 2. L’aldolasi (Paragrafo 15.2D) ha varie forme isoenzimatiche. Nel muscolo è presente l’aldolasi di tipo A, specifica per l’FBP. Il fegato, tuttavia, contiene l’aldolasi di tipo B, che può avere come substrato anche il fruttosio-1-fosfato (l’aldolasi di tipo B è detta talvolta fruttosio-1-fosfato aldolasi). Nel fegato il fruttosio-1-fosfato subisce quindi una scissione aldolica: Fruttosio-1-fosfato 34 diidrossiacetone fosfato + gliceraldeide 3. La diretta fosforilazione della gliceraldeide da parte dell’ATP tramite l’attività della gliceraldeide chinasi forma l’intermedio glicolitico GAP. 4. In alternativa, la gliceraldeide è trasformata nell’intermedio glicolitico DHAP attraverso una via che inizia con la sua riduzione NADH-dipendente a glicerolo, una tappa catalizzata dall’alcol deidrogenasi. 5. La glicerolo chinasi catalizza la fosforilazione ATP-dipendente del glicerolo producendo glicerolo-3-fosfato. 6. L’ossidazione NAD+-dipendente, catalizzata dalla glicerolo fosfato deidrogenasi, converte il glicerolo-3-fosfato in DHAP. 7. Il DHAP è poi ritrasformato in GAP dalla triosio fosfato isomerasi. Le due vie che portano dalla gliceraldeide alla GAP hanno lo stesso costo netto: entrambe consumano ATP e, sebbene il NADH sia ossidato nella reazione 4, viene nuovamente ridotto nella reazione 6. La via più lunga, però, produce glicerolo-3-fosfato, che (insieme con DHAP) può fornire lo scheletro del glicerolo per la sintesi di glicerofosfolipidi e triacilgliceroli (Paragrafo 20.6A).

Negli Stati Uniti il consumo di fruttosio è aumentato almeno 10 volte negli ultimi 25 anni, in gran parte a causa dell’uso di melassa di mais, ad alto contenuto di fruttosio, come dolcificante nelle bibite e in altri cibi. Il fruttosio ha un gusto più dolce del saccarosio (Scheda 8.2) ed è meno costoso. Un possibile rischio dell’eccessiva assunzione di fruttosio è dato dal fatto che il catabolismo del fruttosio nel fegato “salta” la tappa Un eccesso di fruttosio è pericoloso?

CAPITOLO 15

543

Il catabolismo del glucosio

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Figura 15.27 Il metabolismo del fruttosio. Nel muscolo (a sinistra), la conversione del fruttosio nell’intermedio glicolitico F6P richiede l’attività di un solo enzima, l’esochinasi. Nel fegato (a destra), per trasformare il fruttosio in intermedi glicolitici, sono necessari sette enzimi.

CH2OH

HOCH2 O H

HO OH

H

Scrivete l’equazione di conversione del fruttosio a GAP nel fegato.

HO H Fruttosio Muscolo

ATP 1

ATP esochinasi

ADP

fruttochinasi

HOCH2

CH2OPO23– O

–2O POCH 3 2

CH2OH

OH

OH

HO H Fruttosio-6fosfato

C

O

HO

C

H

H

C

OH

H

C

OH

Fruttosio-1-fosfato (catena aperta) fruttosio-1-fosfato aldolasi

ATP

ADP 3

Glicolisi

H

CH2OH

HO H Fruttosio-1fosfato

HO

H

HO

H

O H

H

Fegato

CH2OPO23–

ADP

H

C

O

H

C

OH

H

C

O

H

C

OH

CH2OH

gliceraldeide chinasi Gliceraldeide

CH2OH

NAD+

NADH

H

4

C

OH

CH2OH

alcol deidrogenasi

Glicerolo ATP

CH2OPO23– Gliceraldeide-3fosfato

2

glicerolo chinasi

+ 7 triosio fosfato isomerasi

5 ADP

CH2OH C

glicerolo fosfato deidrogenasi

O

CH2OPO23– Diidrossiacetone fosfato

della glicolisi catalizzata dalla PFK e quindi elude il principale punto di controllo metabolico. Questo potrebbe alterare il metabolismo delle sostanze nutrienti, dirigendo il flusso glicolitico verso la sintesi dei lipidi in assenza di richiesta di produzione di ATP. Questa ipotesi suggerisce un collegamento tra l’aumento del consumo di fruttosio e l’incidenza dell’obesità negli Stati Uniti. All’estremo opposto vi sono individui con intolleranza al fruttosio, dovuta alla carenza dell’aldolasi di tipo B. In assenza di aldolasi può accumularsi fruttosio-1-fosfato fino a depauperare le riserve di Pi del fegato. In queste condizioni la [ATP] diminuisce drasticamente, e questo causa danni al fegato. Inoltre l’aumento di concentrazione di fruttosio-1-fosfato inibisce sia la glicogeno fosforilasi (un enzima essenziale nella demolizione del glicogeno a glucosio; Paragrafo 16.1A) sia la fruttosio-1,6-bisfosfatasi (un enzima fondamentale nella gluconeogenesi; Paragrafo 16.4B), causando quindi una grave ipoglicemia (un basso livello di glucosio nel sangue), che può arrivare al punto di costituire un pericolo mortale. Tuttavia l’intolleranza al fruttosio è autolimitante: gli individui affetti da intolleranza al fruttosio sviluppano rapidamente una forte avversione per tutti i cibi di sapore dolce.

CH2OH

6 NADH

NAD+

H

C

OH

CH2OPO23– Glicerolo-3fosfato

CAPITOLO 15

544

Il catabolismo del glucosio

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B Il galattosio viene convertito in glucosio-6-fosfato Il galattosio è ottenuto dall’idrolisi del lattosio (un disaccaride costituito da galattosio e glucosio; Paragrafo 8.2A) contenuto nel latte e nei prodotti caseari. Il galattosio e il glucosio sono epimeri e differiscono solo nella configurazione del C4. CH2OH O H OH H

H

H

HO

OH

HO H

CH2OH O H OH H

H OH

H

OH

H

OH

a-D-Galattosio

a-D-Glucosio

Anche se l’esochinasi fosforila il glucosio, il fruttosio e il mannosio, questo enzima non riconosce il galattosio. Perché il galattosio possa entrare nella glicolisi è quindi necessaria una reazione di epimerizzazione. La reazione si verifica dopo l’unione del galattosio all’uridina difosfato (il ruolo degli UDP-zuccheri e di altri nucleotidil-zuccheri sarà esaminato in maggiore dettaglio nel Paragrafo 16.5). L’intera via metabolica che trasforma il galattosio in un intermedio glicolitico comprende quattro reazioni (Figura 15.28).

Figura 15.28 Il metabolismo del galattosio. Quattro enzimi partecipano alla conversione del galattosio nell’intermedio glicolitico G6P.

HO

CH2OH O H OH H

H

H

ATP

ADP

HO

1 OH galattochinasi

H

1. Il galattosio è fosforilato in C1 dall’ATP in una reazione catalizzata dalla galattochinasi. 2. L’enzima galattosio-1-fosfato uridilil transferasi trasferisce il gruppo uridililico dell’UDP-glucosio al galattosio-1-fosfato, formando glucosio-1-fosfato (G1P) e UDP-galattosio mediante la scissione reversibile del legame pirofosforico dell’UDP-glucosio.

H

H

H OPO32–

H

OH

Galattosio

CH2OH O H OH H

HO

P

O

O–

OH

P

O

Uridina

O–

galattosio-1-fosfato uridilil transferasi

CH2OH

UDP–galattosio3 4-epimerasi NAD+

CH2OH

O

H

H

2–

HO

O

HO

OPO3 H

O

O

UDP–glucosio 2

H OH

H O

H

OH

Galattosio-1-fosfato

H

CH2OH O H OH H

OH

Glucosio-1-fosfato (G1P)

H OH H

H O

O

H O

H OH UDP–galattosio

P O–

O

P

O

Uridina

O–

UDP–glucosio 4

fosfoglucomutasi

galattosio-1-fosfato uridilil transferasi

2–

H HO

CH2OPO3 O H H OH H OH H

OH

Glucosio-6-fosfato (G6P)

Glicolisi

CAPITOLO 15

Il catabolismo del glucosio

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545

3. L’enzima UDP-galattosio-4-epimerasi trasforma l’UDP-galattosio in UDP-glucosio. A questo enzima è associata una molecola di NAD+: questo suggerisce che la reazione implichi in successione l’ossidazione e la riduzione dell’atomo C4 dell’esosio. HO

CH2OH O H OH H

O O

H H

CH2OH O H OH H

H UDP

OH

H O

NAD+

NADH

OH

H

H UDP NADH

UDP–Galattosio

NAD+

CH2OH O H OH H

H O

HO H

OH

UDP–Glucosio

4. Il G1P è trasformato nell’intermedio glicolitico G6P tramite l’attività della fosfoglucomutasi (Paragrafo 16.1C). Gli individui che soffrono di galattosemia non possono metabolizzare il galattosio. La galattosemia è una malattia genetica caratterizzata dall’in-

capacità di convertire il galattosio in glucosio. I suoi sintomi comprendono un ritardo nella crescita e mentale e, in alcuni casi, morte per danni epatici. La maggior parte dei casi di galattosemia è causata dalla carenza dell’enzima che catalizza la reazione 2 di interconversione, la galattosio-1-fosfato uridilil transferasi. La formazione di UDP-galattosio a partire da galattosio-1-fosfato è quindi impedita, con il conseguente accumulo di prodotti collaterali tossici. Per esempio, l’aumentata concentrazione ematica di galattosio provoca un aumento della concentrazione di questo glucide nel cristallino oculare, dove è ridotto a galattitolo. CH2OH H

C

OH

HO

C

H

HO

C

H

H

C

OH

CH2OH Galattitolo

La presenza di questo polialcol nel cristallino provoca infine la cataratta (l’opacizzazione del cristallino). La galattosemia si cura seguendo una dieta priva di galattosio che permette di eliminare tutti i sintomi della patologia, ad eccezione del ritardo mentale. Le unità galattosidiche essenziali per la sintesi delle glicoproteine (Paragrafo 8.3C) e dei glicolipidi (Paragrafo 9.1D) possono essere sintetizzate a partire dal glucosio tramite inversione della reazione dell’epimerasi. Queste vie biosintetiche non richiedono quindi l’apporto dietetico di galattosio.

C Il mannosio viene convertito in fruttosio-6-fosfato Il mannosio, un prodotto di digestione dei polisaccaridi e delle glicoproteine, è l’epimero in C2 del glucosio. H

CH2OH O H OH H

H OH

HO H

OH

a-D-Glucosio

H

CH2OH O H OH HO

H OH

HO H

H

a-D-Mannosio

UDP

CAPITOLO 15

546

Il catabolismo del glucosio

H

CH2OH O H OH HO

HO

ATP H OH

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ADP H

1 esochinasi

H H Mannosio

HO

2– CH2OPO3 O H H OH HO OH

2

–2O POCH 3 2 O H HO

fosfomannosio isomerasi

H H Mannosio-6-fosfato

CH2OH

H

OH

HO H Fruttosio-6-fosfato (F6P)

Figura 15.29 Il metabolismo del mannosio. Per convertire il mannosio nell’intermedio glicolitico F6P sono necessari due enzimi.

PUNTO DI VERIFICA

• Descrivete in che modo il fruttosio, il galattosio e il mannosio entrano nella via glicolitica.

• Quali sono gli enzimi glicolitici che vengono usati da queste vie metaboliche affluenti?

Il mannosio entra nella via glicolitica dopo essere stato trasformato in F6P attraverso due reazioni (Figura 15.29). 1. L’esochinasi riconosce il mannosio e lo trasforma in mannosio-6-fosfato. 2. In seguito l’enzima fosfomannosio isomerasi trasforma questo aldosio nell’intermedio glicolitico F6P, in una reazione il cui meccanismo è simile a quello della fosfoglucosio isomerasi (Paragrafo 15.2B).

6 La via del pentosio fosfato CONCETTI CHIAVE

• La via del pentosio fosfato è costituita da tre fasi in cui viene prodotto NADPH, vengono isomerizzati i pentosi e vengono recuperati gli intermedi glicolitici.

• Questa via fornisce NADPH per le biosintesi riduttive e ribosio-5-fosfato per le biosintesi dei nucleotidi nella quantità che la cellula richiede.

L’ATP è la “moneta energetica” della cellula; la sua scissione esoergonica è accoppiata ad altre funzioni cellulari altrimenti endoergoniche. Le cellule hanno una seconda moneta energetica: il potere riducente. Molte reazioni endoergoniche, in particolare la biosintesi riduttiva degli acidi grassi (Paragrafo 20.4) e del colesterolo (Paragrafo 20.7A), necessitano oltre che di ATP anche di NADPH. Nonostante la loro stretta somiglianza chimica, NADH e NADPH non sono metabolicamente interscambiabili. Quindi le cellule catturano l’energia libera derivante dall’ossidazione dei metaboliti sotto forma di NADH per sintetizzare ATP (fosforilazione ossidativa), mentre per le biosintesi riduttive le cellule catturano l’energia libera sotto forma di NADPH. Questa distinzione è possibile perché le deidrogenasi coinvolte nel metabolismo ossidativo e riduttivo sono altamente specifiche nei confronti dei loro rispettivi coenzimi. Infatti le cellule normalmente mantengono il rapporto [NAD+]/[NADH] intorno a valori prossimi a 1000, per favorire l’ossidazione metabolica, e contemporaneamente mantengono il rapporto [NADP+]/[NADPH] a valori vicini a 0,01, favorendo le biosintesi riduttive. Il NADPH è generato dall’ossidazione del glucosio-6-fosfato mediante una via metabolica alternativa alla glicolisi: la via del pentosio fosfato (chiamata anche shunt dell’esosio monofosfato; Figura 15.30). Nei tessuti maggiormente coinvolti nella biosintesi lipidica (fegato, ghiandola mammaria, tessuto adiposo e corteccia surrenale) gli enzimi della via del pentosio fosfato sono presenti in grande quantità. Infatti nel fegato circa il 30% dell’ossidazione del glucosio avviene tramite la via del pentosio fosfato e non tramite la glicolisi. La reazione complessiva della via del pentosio fosfato è

3 G6P + 6 NADP + 3 H2O 34 6 NADPH + 6 H+ + 3 CO2 + 2 F6P + GAP La via metabolica può essere tuttavia suddivisa in tre fasi.

CAPITOLO 15

O–

O C

NADPH + H+ H HO

CH2OPO2– 3 NADP+ O OH 1 H OH H glucosioH 6-fosfato H OH deidrogenasi

H

CH2OPO2– 3 O H OH H H

H+

H2O 2

C

OH

HO

C

H

H

C

OH

6-fosfogluconolattonasi

OH

C

H

H

H C C

H

OH

+

O

HO

C

H

H

C

OH

H

C

OH

H

C

OH

CH2OPO2– 3

O

OH

6-fosfogluconato deidrogenasi

H

C

OH

H

C

OH

CH2OPO2– 3 Ribulosio-5fosfato (Ru5P)

O C

H

6 transchetolasi

C

OH

4 ribulosio-5-fosfato isomerasi

H

C

OH

H

C

OH

CH2OPO2– 3 Ribosio-5fosfato (R5P)

CH2OPO2– 3 Sedoeptulosio-7fosfato (S7P)

Gliceraldeide3-fosfato (GAP)

C

3

6-Fosfogluconato

CH2OH

CH2OH

NADP+

CH2OPO2– 3

6-Fosfogluconod-lattone

C

NADPH + CO2

H

O

HO

Glucosio-6fosfato (G6P)

O

547

Il catabolismo del glucosio

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CH2OH C

O

5

HO

C

H

H

C

OH

ribulosio-5-fosfato epimerasi

7 transaldolasi

CH2OPO2– 3 Xilulosio-5fosfato (Xu5P)

CH2OH C

O

HO

C

H

H

C

OH

H

C

OH

CH2OPO2– 3 Fruttosio-6fosfato (F6P)

CH2OH O C

+

C

O

HO

C

H

H

H

C

OH

8

H

C

OH

H

C

OH

transchetolasi

H

C

OH

CH2OPO2– 3 Eritrosio-4fosfato (E4P)

Figura 15.30 La via del pentosio fosfato. Il numero di linee che compongono ogni freccia indica il numero di molecole che reagiscono in un ciclo di questa via metabolica, convertendo 3 molecole di G6P in 3 CO2, 2 F6P e 1 GAP. Per chiarezza, a partire dalla reazione 3 in poi i glucidi sono indicati nella loro forma lineare. Lo scheletro degli atomi di carbonio dell’R5P e gli atomi che derivano da questa molecola sono indicati in rosso, e quelli

CH2OPO2– 3 Fruttosio-6fosfato (F6P)

H C

+

H

C

OH

CH2OPO2– 3 Gliceraldeide-3fosfato (GAP)

provenienti dallo Xu5P sono in verde. Le unità C2 trasferite dalla transchetolasi sono ombreggiate in verde, e le unità C3 trasferite dalla transaldolasi sono ombreggiate in azzurro. Le frecce a due punte indicano le reazioni reversibili. Quanti tipi di reazioni differenti avvengono in questa via metabolica?

Fase 1 Reazioni ossidative (Figura 15.30, reazioni 1-3), che portano alla formazione di NADPH e ribulosio-5-fosfato (Ru5P):

3 G6P + 6 NADP+ + 3 H2O n 6 NADPH + 6 H+ + 3 CO2 + 3 Ru5P

Fase 2 Reazioni di isomerizzazione e di epimerizzazione (Figura 15.30, reazioni 4 e 5), che trasformano due molecole di Ru5P in ribosio-5-fosfato (R5P) o in xilulosio-5-fosfato (Xu5P). 3 Ru5P 34 R5P + 2 Xu5P

O

548

CAPITOLO 15

Il catabolismo del glucosio

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Fase 3 Una serie di reazioni di scissione e formazione di legami C−C (Figura 15.30, reazioni 6-8) che trasformano due molecole di Xu5P e una molecola di R5P in due molecole di F6P e in una molecola di GAP.

Le reazioni delle fasi 2 e 3 sono facilmente reversibili, quindi i prodotti della via metabolica variano a seconda delle necessità della cellula. In questo paragrafo analizzeremo le tre fasi della via del pentosio fosfato e i suoi meccanismi di controllo.

A Nella fase 1 le reazioni ossidative producono NADPH Il G6P è considerato il punto di partenza della via del pentosio fosfato. Questo metabolita può provenire dalla reazione dell’esochinasi con il glucosio (reazione 1 della glicolisi; Paragrafo 15.2A) oppure dalla degradazione del glicogeno (che produce direttamente G6P; Paragrafo 16.1). Solo le prime tre reazioni della via del pentosio fosfato sono coinvolte nella produzione di NADPH (Figura 15.30). 1. La glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD) catalizza il trasferimento netto di uno ione idruro dal C1 del G6P al NADP+, formando 6-fosfoglucono-𝛅-lattone. H+ NADP+

CH2OPO23 – O

H H OH

O

H

H

HO

H glucosio-6-fosfato deidrogenasi

H H

+ NADPH

H

O–

H

C

OH

O– C

O C NH2

+

HO

C

H

H

C

OH

+ N

H

C

OH

R

CH2OPO23– 6-Fosfogluconato

6-Fosfogluconod-lattone

O H

OH

Il G6P, un emiacetale ciclico con l’atomo di C1 nello stato di ossidazione aldeidico, è in seguito ossidato a un estere ciclico (lattone). L’enzima è specifico per il NADP+ ed è fortemente inibito dal NADPH. 2. La 6-fosfogluconolattonasi aumenta la velocità di idrolisi del 6-fosfoglucono-δ-lattone a 6-fosfogluconato (la reazione non enzimatica avviene già a notevole velocità). 3. La 6-fosfogluconato deidrogenasi catalizza la decarbossilazione ossidativa del 6-fosfogluconato, un β-idrossiacido, a Ru5P e CO2 (Figura 15.31). Si ritiene che questa reazione proceda attraverso la formazione di un β-chetoacido intermedio. Il gruppo chetonico probabilmente facilita la decarbossilazione agendo come “trappola per elettroni”.

Figura 15.31 La reazione della 6-fosfogluconato deidrogenasi. L’ossidazione del gruppo OH porta alla formazione di un β-chetoacido facilmente decarbossilabile (anche se l’intermedio proposto non è stato ancora isolato).

C

O

HO

OH G6P

O

CH2OPO23 – O H OH H

6-fosfogluconato deidrogenasi

H

C

OH

C

O

NADPH + H+

H

C

OH

H

C

OH

CH2OPO23– NADP+

b-Chetoacido intermedio

+ H

CO2

CH2OH C

O

H

C

OH

H

C

OH

CH2OPO23– Ru5P

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La formazione di Ru5P completa la fase ossidativa della via del pentosio fosfato. In questa prima fase vengono sintetizzate due molecole di NADPH per ogni molecola di G6P che entra nella via.

B Nella fase 2 il ribulosio-5-fosfato viene isomerizzato o epimerizzato Il Ru5p è trasformato in R5P dall’enzima ribulosio-5-fosfato isomerasi (Figura 15.30, reazione 4) oppure in Xu5P dall’enzima ribulosio-5-fosfato epimerasi (Figura 15.30, reazione 5). Si ritiene che queste reazioni di isomerizzazione e di epimerizzazione, come la reazione catalizzata dalla triosio fosfato isomerasi (Paragrafo 15.2E), avvengano con la formazione di intermedi enediolati. Le quantità relative di R5P e Xu5P prodotte a partire dal Ru5P dipendono dalle necessità della cellula. Per esempio, l’R5P è un precursore essenziale nella biosintesi dei nucleotidi (Capitolo 23). Di conseguenza, la produzione di R5P è relativamente elevata (mediante un aumento dell’attività dell’intera via del pentosio fosfato) nelle cellule in rapida divisione, dove la velocità di sintesi del DNA è aumentata. Se la via è utilizzata solo per produrre NADPH, lo Xu5P e l’R5P sono prodotti in un rapporto di 2:1, per essere convertiti in intermedi glicolitici nella terza fase della via del pentosio fosfato, come verrà descritto in seguito.

C Nella fase 3 avvengono le reazioni di scissione e di formazione di legame carbonio-carbonio

In che modo uno zucchero a cinque atomi di carbonio può essere trasformato in uno zucchero a sei atomi di carbonio come l’F6P? Il riordinamento degli atomi di carbonio nella terza fase della via del pentosio fosfato è più facile da seguire se si considera la stechiometria della via metabolica. Per ogni tre molecole di G6P che entrano nella via, si producono tre molecole di Ru5P nella fase 1, che a loro volta sono trasformate in una molecola di R5P e due di Xu5P (Figura 15.30, reazioni 4 e 5). La trasformazione di questi tre zuccheri a 5 atomi di carbonio in due a 6 atomi di carbonio e uno a 3 atomi di carbonio è una specie di “giochetto di prestigio” catalizzato da due enzimi, la transaldolasi e la transchetolasi. Questi enzimi hanno meccanismi d’azione che comportano la formazione di carbanioni stabilizzati e la loro aggiunta a nuclei elettrofilici di aldeidi. La transchetolasi catalizza il trasferimento di unità C2. La transchelotasi, che

ha come cofattore la tiamina pirofosfato (TPP; Paragrafo 15.3B), catalizza il trasferimento di una unità C2 dallo Xu5P all’R5P, con la formazione di GAP e sedoeptulosio-7-fosfato (S7P; Figura 15.30, reazione 6). L’intermedio della reazione è un addotto covalente tra lo Xu5P e la TPP (Figura 15.32). La struttura ai raggi X dell’enzima dimerico mostra che la TPP si lega in una profonda fessura posizionata tra le due subunità, in modo che residui amminoacidici appartenenti a entrambe le subunità partecipino al suo legame, come avviene per la piruvato decarbossilasi (un altro enzima TPP-dipendente; Figura 15.19). Le strutture dei due enzimi sono infatti così simili che è probabile si siano originate per divergenza da un comune enzima ancestrale. La transaldolasi catalizza il trasferimento di unità C3. La transaldolasi catalizza il trasferimento di una unità C3 dal S7P alla GAP, formando eritrosio-4-fosfato (E4P) e F6P (Figura 15.30, reazione 7). La reazione avviene mediante una scissione aldolica (Paragrafo 15.2D), che inizia con la formazione di una base di Schiff tra un gruppo ε-amminico di un residuo di Lys essenziale e il gruppo carbonilico del S7P (Figura 15.33).

Il catabolismo del glucosio

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CAPITOLO 15

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Il catabolismo del glucosio

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SCHEMA DI PROCESSO O

N

CH2 CH2 O P O P O

+ N

S •

E

– N

H3C

H3C

R9



H3C CH2

O

O– CH2OH

+

C

O

HO

3

C

H

H

4

C

OH

Tiamina pirofosfato (TPP), forma ylid

CH2OPO2– 3

5

Xu5P

E

S •

N

+

H

1

2

NH2

+

R

O–

HO

C

CH2OH

O

C

H

H

C

OH

H 1 La TPP nella forma ylid attacca e lega il gruppo carbonilico dello Xu5P.

CH2OPO2– 3 H+ + O

La scissione del legame C2-C3 porta alla formazione di GAP e di un 2 carbanione dell’unità C2 stabilizzato per risonanza.

H C C

H

OH

CH2OPO2– 3 GAP

H3C La TPP è eliminata, generando S7P e rigenerando TPP ? E. CH 2OH C

H3C

R9

+

R

S •

N

4

E

O

C

CH 2OH

HO

C

H

H

C

OH

OH

H

C

OH

OH

H

C

OH

H

O

HO

C

H

H

C

OH

H

C

H

C

TPP •

E

CH 2O PO2– 3

Il carbanione in C2 attacca il carbonio aldeidico dell’R5P. 3

R

R9

+

S•

N

HO

C –

H3C

E

R

R9 S •

N

E

C CH2OH

HO

CH2OH

2-(1,2-Diidrossietil)TPP O

H C

H+

+

CH 2O PO2– 3

H

C

OH

H

C

OH

H

C

OH

CH2OPO2– 3

S7P

R5P

Figura 15.32 Il meccanismo della transchetolasi. La transchetolasi (rappresentata da E) usa il coenzima TPP per stabilizzare il carbanione che si forma dalla scissione del legame C2–C3 dello Xu5P. La reazione avviene in quattro tappe.

Una seconda reazione transchetolasica produce una molecola di gliceraldeide-3-fosfato e una seconda molecola di fruttosio-6-fosfato. In una seconda

reazione transchetolasica, una unità C2 è trasferita da una seconda molecola di Xu5P all’E4P per dare origine alla GAP e a un’altra molecola di F6P (Figura 15.30, reazione 8). Nella terza tappa della via del pentosio fosfato si ha quindi la trasformazione di due molecole di Xu5P e una di R5P in due molecole di F6P e una molecola di GAP. Riassumendo, in questa via viene scissa una serie di legami carbonio-carbonio, ma poiché se ne formano altrettanti, tre zuccheri C5 sono convertiti in due C6 e un C3. Nella tabella riassuntiva mostrata qui di seguito, il numero riportato a sinistra di ciascuna reazione corrisponde a quello riportato nella Figura 15.30. (6)

C5

+

C5

C7

+

C3

(7)

C7

+

C3

C6

+

C4

(8)

C5

+

C4

C6

+

C3

2 C6

+

C3

(Totale)

3 C5

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Il catabolismo del glucosio

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SCHEMA DI PROCESSO CH2OH

CH2OH

E

:

1

Lys(CH2)4

NH2 HO H H H

E

C

O

C

H

C

OH

2 3 4

OH

C

OH

6

CH2

7

Lys(CH2)4 OH–

C

5

+

O

NH

C

HO

C

H

H

C

O

H

C

OH

H

C

OH

1 Formazione della base di Schiff PO23–

H

CH2OPO23–

S7P Scissione dell’aldolo 2

O

H C H

C

OH

H

C

OH

CH2OPO23– E4P

: Lys(CH2)4

NH2

CH2OH

+

C

O

HO

C

H

H

C

OH

H

C

OH

CH2OPO23–

E

CH2OH

CH2OH

E

+

Lys(CH2)4

NH

+

Lys(CH2)4

Idrolisi della base di Schiff 4

OH–

NH

C

HO

C

H

H

C

OH

H

C

OH

Aggiunta del carbanione al carbonile

F6P

transaldolasi contiene un residuo essenziale di Lys che facilita la reazione di scissione aldolica secondo il seguente meccanismo: (1) il gruppo ε-amminico della Lys forma una base di Schiff con il gruppo carbonilico del S7P; (2) un carbanione C3 stabilizzato da una base di Schiff si forma in una reazione di scissione aldolica

C –

Lys(CH2)4

NH

C C

H HO Carbanione stabilizzato dalla risonanza

H

C H

H+ +

E

C

O

H

3

CH2OPO23–

Figura 15.33 Il meccanismo della transaldolasi. La

HO

CH2OH :

E

C

OH

CH2OPO23– GAP

tra C3 e C4 che elimina E4P; (3) il carbanione stabilizzato dalla risonanza legato all’enzima si addiziona al C carbonilico della GAP, formando F6P legato all’enzima mediante una base di Schiff; (4) la base di Schiff si idrolizza, rigenerando enzima attivo e rilasciando F6P.

D La via del pentosio fosfato deve essere regolata I principali prodotti della via del pentosio fosfato sono R5P e NADPH. Le reazioni della transaldolasi e della transchetolasi convertono l’eccesso di R5P in intermedi della glicolisi quando le richieste metaboliche di NADPH superano quelle di R5P necessario per la biosintesi nucleotidica. La GAP e l’F6P risultanti possono essere consumati nella glicolisi e nella fosforilazione ossidativa, oppure riciclati nella gluconeogenesi (Paragrafo 16.4) per dare origine a G6P. Quando la richiesta di R5P supera quella di NADPH, l’F6P e la GAP possono essere prelevati dalla glicolisi per essere impiegati nella sintesi di R5P, tramite inversione delle reazioni della transaldolasi e della transchetolasi. Le relazioni che intercorrono tra la glicolisi e la via del pentosio fosfato sono schematizzate nella Figura 15.34. Il flusso attraverso la via del pentosio fosfato e quindi la velocità di sintesi di NADPH sono controllati dalla velocità della reazione catalizzata dalla glucosio-6-fosfato deidrogenasi (Figura 15.30, reazione 1). L’attività di questo enzima che catalizza la prima reazione limitante (∆G = −17,6 kJ ∙ mol−1 nel fegato) è regolata dalla concentrazione di NADP+ (cioè la regolazione è data dalla disponibilità di substrato). Quando la cellula consuma NADPH, la concentrazione di NADP+ aumenta, incrementando la velocità di reazione della G6PD e stimolando di

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Figura 15.34 Relazioni tra la glicolisi e la via del pentosio fosfato. La via del pentosio fosfato, che inizia con il G6P prodotto nella fase 2 della glicolisi, genera NADPH, necessario per le reazioni riduttive, e R5P, necessario per la sintesi di nucleotidi. L’eccesso di R5P è trasformato in intermedi glicolitici tramite una sequenza di reazioni reversibili che possono produrre, se necessario, ulteriore R5P.

Glucosio CO2

NADPH via del pentosio fosfato

G6P Ru5P

glicolisi

Quali parti delle vie saranno più attive in una cellula appena prima e appena dopo la divisione cellulare?

R5P

Xu5P

Nucleotidi

F6P

GAP NADH ATP Piruvato

PUNTO DI VERIFICA

• Scrivete l’equazione complessiva della via del pentosio fosfato.

• Riassumete le reazioni di ciascuna fase della via.

• Confrontate le reazioni catalizzate dalla transchetolasi e dalla transaldolasi in termini di substrati, prodotti, meccanismi e richiesta di cofattori.

• In che modo cambia il flusso attraverso la via del pentosio fosfato in risposta alla richiesta di NADH o di ribosio-5-fosfato?

SCHEDA 15.4

conseguenza la generazione di NADPH. In alcuni tessuti la quantità di enzima sintetizzato sembra essere sotto il controllo ormonale. La carenza di G6PD è il più comune deficit enzimatico clinicamente importante della via del pentosio fosfato (Scheda 15.4). La sindrome di Wernicke-Korsakoff (Paragrafo 15.3B) è causata dalla ridotta attività della transchetolasi. Di conseguenza, gli individui con una forma mutante di transchetolasi che lega TPP con un 10% dell’affinità normale sono soggetti alla sindrome di Wernicke-Korsakoff anche con diete moderatamente povere di tiamina.

LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA

La carenza di glucosio-6-fosfato deidrogenasi Oltre che per le biosintesi, il NADPH è necessario anche per alcuni processi riduttivi. Per esempio, gli eritrociti richiedono ingenti scorte di glutatione (GSH) ridotto, un tripeptide contenente Cys (Paragrafo 4.3B). O

O

+

H3N CH CH2 CH2 C NH CH C NH CH2 COO– COO–

CH2 SH

Glutatione (GSH) (g-L-glutamil-L-cisteinilglicina)

Negli eritrociti la principale funzione del GSH è quella di eliminare, mediante un processo di riduzione, l’H2O2 e gli idroperossidi organici, metaboliti reattivi dell’ossigeno che possono danneggiare in modo irreversibile l’emoglobina e scindere i legami C–C nelle code fosfolipidiche delle membrane cellulari. L’accumulo incontrollato di perossidi causa la lisi prematura della cellula. I perossidi sono eliminati

tramite la reazione con il glutatione, catalizzata dalla glutatione perossidasi. 2 GSH 1 R

O

O

H

glutatione perossidasi

GSSG 1 ROH 1 H2O

Idroperossido organico

Il GSSG indica il glutatione ossidato (due molecole di GSH legate insieme da un ponte disolfuro che si forma tra i gruppi sulfidrilici). Il GSH ridotto è in seguito rigenerato dalla riduzione del GSSG da parte del NADPH in una reazione catalizzata dalla glutatione riduttasi. 1

GSSG 1 NADPH + H

glutatione riduttasi

2 GSH 1 NADP1

È quindi di vitale importanza per l’integrità degli eritrociti avere a disposizione un rifornimento continuo di NADPH. Gli eritrociti degli individui privi dell’enzima glucosio-6^ (segue)

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553

SCHEDA 15.4 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA (continua)

fosfato deidrogenasi (G6PD) sono particolarmente sensibili ai danni ossidativi, anche in assenza di sintomi clinici. La carenza di questo enzima, comune nelle popolazioni africane e in quelle mediterranee, è stata evidenziata grazie a ricerche effettuate sull’anemia emolitica (talvolta fatale), che è indotta in questi individui dall’assunzione di farmaci come il composto antimalarico primachina CH3 NH

CH

CH2

CH2

CH2

NH2

N

H3CO Primachina

o dopo l’ingestione di fave (Vicia faba), un vegetale di largo consumo nei paesi del Medio Oriente. La primachina stimola la formazione di perossidi, aumentando quindi la domanda di NADPH fino a un livello troppo elevato per le cellule mutate. Alcuni glucosidi tossici presenti nelle fave in piccole quantità hanno lo stesso effetto e causano una condizione conosciuta con il nome di favismo. La ragione principale per cui l’attività enzimatica nelle cellule malate è bassa è l’aumento della velocità di degradazione dell’enzima mutato. Questo spiega perché i pazienti affetti da una lieve forma di carenza di G6PD reagiscano alla primachina con un’anemia emolitica, ma guariscano in una settimana, anche se il trattamento con primachina continua. Gli eritrociti maturi sono privi di nucleo e del macchinario deputato alla sintesi proteica e quindi non possono sintetizzare nuove molecole enzimatiche per sostituire quelle degradate (in modo simile, non possono sintetizzare nuovi componenti di membrana, fatto che spiega la loro elevata sensibilità ai danni alle membrane). I trattamenti iniziali con primachina causano la lisi dei globuli rossi più vecchi, la cui G6PD mutata è stata in gran parte degradata. I prodotti della lisi stimolano il rilascio di cellule giovani che contengono una maggiore quantità di enzima e sono quindi più adatte a compensare lo stress provocato dalla primachina.

Si ritiene che oltre 400 milioni di persone presentino carenza di G6PD: questo significa che si tratta della più comune carenza enzimatica umana. Sono state rilevate circa 400 varianti G6PD e almeno 140 di queste sono state caratterizzate a livello molecolare. La G6PD è attiva all’equilibrio dimero-tetramero. Molti dei siti di mutazione negli individui affetti dalla forma più grave di carenza di G6DP sono in corrispondenza dell’interfaccia dimerica, causando lo spostamento dell’equilibrio verso il monomero inattivo e instabile. L’alta prevalenza di individui carenti di G6PD nelle aree malariche di tutto il mondo suggerisce che questa mutazione conferisca resistenza al parassita che causa la malaria, Plasmodium falciparum. Infatti gli eritrociti carenti di G6PD sembrano ospiti meno adatti al plasmodio rispetto alle cellule normali. Così, come per la malattia genetica anemia falciforme (Paragrafo 7.1E), la carenza di G6PD conferisce un vantaggio selettivo agli individui che vivono nei luoghi in cui la malaria è endemica. La carenza di G6PD colpisce principalmente gli eritrociti, nei quali la mancanza di un nucleo impedisce la sostituzione dell’enzima mutato, che è instabile. Tuttavia l’importanza del NADPH in cellule diverse dagli eritrociti è stata dimostrata sviluppando sperimentalmente linee di topi in cui è stato inattivato il gene per la G6PD. Tutte le cellule di questi animali sono estremamente sensibili allo stress ossidativo, anche se contengono altri meccanismi in grado di eliminare le specie reattive dell’ossigeno.

Fotografia al microscopio elettronico di eritrociti del sangue che contengono il Plasmodium falciparum (il protozoo parassita che provoca la malaria) qui visibile sotto forma di corpi gialli (chiamati schizonti) che generano le cellule rosse e piccole (chiamate merozoiti). [© Dr. Gopal Murte/Photo Researchers.]

RIASSUNTO 1 Una panoramica della glicolisi • La glicolisi è una sequenza di 10 reazioni enzimatiche in cui una molecola di glucosio è trasformata in due molecole di piruvato, con la produzione netta di 2 ATP e la riduzione di 2 NAD+ a 2 NADH.

2 Le reazioni della glicolisi • Nella prima fase della glicolisi il glucosio è fosforilato dall’esochinasi, isomerizzato dalla fosfoglucosio isomerasi (PGI), fosforilato dalla fosfofruttochinasi (PFK) e scisso dall’aldolasi, per ottenere i triosi gliceraldeide-3-fosfato (GAP) e diidrossiacetone fosfato

(DHAP), che sono interconvertiti grazie alla triosio fosfato isomerasi (TIM). Queste reazioni consumano 2 ATP per ogni molecola di glucosio. • Nella seconda fase della glicolisi la GAP è fosforilata in modo ossidativo dalla gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi (GAPDH), defosforilata dalla fosfoglicerato chinasi (PGK) per produrre ATP, isomerizzata dalla fosfoglicerato mutasi (PGM), deidratata dall’enolasi e defosforilata dalla piruvato chinasi per produrre una seconda molecola di ATP e piruvato. In questa fase si producono 4 ATP per ogni molecola di glucosio, con una resa netta di 2 ATP.

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3 La fermentazione: il destino anaerobico

del piruvato • In condizioni anaerobiche il piruvato è ridotto per rigenerare il NAD+ necessario per la glicolisi. Nella fermentazione omolattica il piruvato è ridotto reversibilmente a lattato. • Nella fermentazione alcolica il piruvato è decarbossilato mediante un meccanismo dipendente dalla tiamina pirofosfato (TPP), e l’acetaldeide che si ottiene è ridotta a etanolo.

• Le reazioni opposte nel ciclo del substrato del fruttosio-6-fosfato (F6P)/fruttosio-1,6-bisfosfato (FBP) permettono notevoli variazioni nel flusso della glicolisi.

5 Il metabolismo di esosi diversi dal glucosio • Il fruttosio, il galattosio e il mannosio sono convertiti enzimaticamente in intermedi glicolitici destinati al catabolismo.

6 La via del pentosio fosfato

4 La regolazione della glicolisi • Le reazioni glicolitiche catalizzate dall’esochinasi, dalla fosfofruttochinasi e dalla piruvato chinasi sono irreversibili. • La fosfofruttochinasi è il principale punto di controllo del flusso della glicolisi. L’inibizione di questo enzima allosterico da parte dell’ATP è impedita dall’AMP e dall’ADP, le cui concentrazioni si modificano in modo più drastico rispetto a quelle dell’ATP.

• Nella via del pentosio fosfato il glucosio-6-fosfato (G6P) è ossidato e decarbossilato per produrre due molecole di NADPH, CO2 e ribulosio-5-fosfato (Ru5P). • A seconda delle necessità della cellula, il ribulosio-5-fosfato può essere isomerizzato a ribosio-5-fosfato (R5P) per la sintesi dei nucleotidi o trasformato, mediante il ribosio-5-fosfato e lo xilulosio-5-fosfato (Xu5P), in fruttosio-6-fosfato e gliceraldeide-3-fosfato, che possono entrare di nuovo nella glicolisi.

PROBLEMI 1. Quale delle 10 reazioni della glicolisi sono (a) fosforilazioni,

(b) isomerizzazioni, (c) reazioni di ossidoriduzione, (d) deidratazioni, (e) scissione di legami carbonio-carbonio? 2. Quando il microrganismo patogeno Salmonella typhimurium infetta le cellule di mammifero, la proteasi caspasi 1 delle cellule ospiti non è più in grado di scindere e quindi di attivare alcune proteine di segnale che innescano la risposta immunitaria. Tra gli obiettivi della caspasi 1 vi sono anche l’aldolasi e l’enolasi. Quale dovrebbe essere l’effetto di tutto ciò sulla cellula infettata e perché questo potrebbe essere vantaggioso per l’organismo? 3. La reazione reversibile mostrata sotto fa parte del ciclo di Calvin, una via metabolica propria degli organismi fotosintetici. A quale reazione glicolitica assomiglia questa reazione e che tipo di enzima la catalizza? CH2OPO23 – H CH2OPO23 – C

O

CH2OH

+

C

C

O

HO

C

H

O

H

C

OH

H

C

OH

H

C

OH

H

C

OH

CH2OPO23 –

H

C

OH

CH2OPO23 – 4. La tappa 4 della via del pentosio fosfato converte il ribulo-

5.

6.

7.

8.

sio-5-fosfato in ribosio-5-fosfato. A quale reazione glicolitica assomiglia questa reazione e che tipo di enzima la catalizza? La reazione dell’aldolasi può procedere all’inverso catalizzando una condensazione aldolica. Se l’enzima non fosse stereospecifico, quanti prodotti diversi si potrebbero ottenere? L’aldolasi batterica non forma una base di Schiff con il substrato, ma possiede invece un catione bivalente Zn2+ nel sito attivo. In che modo questo ione facilita la reazione dell’aldolasi? Identificate l’intermedio nella reazione catalizzata dalla fosfoglucomutasi. Il composto che avete identificato nel Problema 7 è un regolatore metabolico. Quale effetto potrebbe avere (a) sull’esochinasi e (b) sulla PFK?

9. Negli animali la reazione piruvato n lattato è reversibile ma,

nel lievito, la reazione di fermentazione piruvato n etanolo è irreversibile. Spiegate perché. 10. Le semireazioni, con i relativi potenziali di riduzione, della reazione catalizzata dall’enzima lattato deidrogenasi sono Piruvato + 2 H+ + 2 e− n lattato ℰ°′ = −0,185 V NAD+ + 2 H+ + 2 e− n NADH + H+ ℰ°′ = −0,315 V Calcolate il ∆G a pH 7,0 per la reazione nelle seguenti condizioni: (a) [lattato]/[piruvato] = 1 e [NAD+]/[NADH] = 1 (b) [lattato]/[piruvato] = 160 e [NAD+]/[NADH] = 160 (c) [lattato]/[piruvato] = 1000 e [NAD+]/[NADH] = 1000 (d) Discutete gli effetti dei rapporti di concentrazione indicati nelle parti (a)-(c) sulla direzione di ciascuna reazione. 11. Perché è possibile che i valori di ∆G siano diversi dai valori di ∆G°′ nella Tabella 15.1? 12. Se una reazione ha un valore di ∆G°′ di almeno –30,5 kJ ∙ mol−1, sufficiente per promuovere la sintesi di ATP (∆G°′ = 30,5 kJ ∙ mol−1), può ancora catalizzare la sintesi di ATP in vivo se ∆G ha un valore di solo –10 kJ ∙ mol−1? Spiegate perché. 13. Anche se non è il principale punto di controllo del flusso della glicolisi, la piruvato chinasi è soggetta a regolazione allosterica. Qual è l’importanza metabolica della regolazione del flusso tramite la reazione della piruvato chinasi? 14. Quale vantaggio ottiene una cellula dall’attivazione della piruvato chinasi da fruttosio-1,6-bisfosfato? 15. Le cellule tumorali, che tendono a crescere velocemente, esprimono tipicamente elevati livelli di enzimi glicolitici. Spiegate quale è il vantaggio per queste cellule nell’avere un elevato flusso glicolitico. 16. L’isoenzima della piruvato chinasi presente nelle cellule cancerose ha una bassa attività in confronto a quella degli isoenzimi presenti in altri tessuti. Come si riflette questa proprietà nelle cellule e in che modo promuove la crescita tumorale? 17. Confrontate la resa in ATP di tre molecole di glucosio che entrano nella glicolisi e sono trasformate in piruvato con quella di tre molecole di glucosio che entrano nella via del pentosio fosfato in modo tale che i loro scheletri carboniosi ritornano alla glicolisi sotto forma di due F6P e di una GAP e sono metabolizzati a piruvato.

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18. Se il G6P è marcato in posizione C2, dove apparirà la marca-

31. (a) Descrivete il modo in cui il glicerolo entra nella via glico-

tura nei prodotti della via del pentosio fosfato? 19. Scrivete la struttura dell’intermedio enediolato nella reazione catalizzata dalla ribulosio-5-fosfato isomerasi (Ru5P n R5P). 20. Scrivete la struttura dell’intermedio enediolato nella reazione catalizzata dalla ribulosio-5-fosfato epimerasi (Ru5P n Xu5P). 21. Qual è la lunghezza dei prodotti della reazione della transchetolasi, quando i due substrati sono entrambi aldosi a 5 atomi di carbonio? 22. Quali sono i prodotti della reazione catalizzata dalla transchetolasi quando i substrati sono un aldosio a 5 atomi di carbonio e un chetosio a 6 atomi di carbonio? Ha importanza quale dei due substrati si lega per primo?

litica. (b) Qual è la resa in ATP della conversione del glicerolo in piruvato? 32. Alcuni organismi possono convertire anaerobicamente il glicerolo in piruvato. La fermentazione alcolica o omolattica potrebbe rigenerare abbastanza NAD+ da sostenere questa via? 33. Spiegate perché alcuni tessuti continuano a produrre CO2 in presenza di alte concentrazioni di ione fluoruro, che inibisce la glicolisi. 34. Alcuni batteri catabolizzano glucosio tramite la via di Entner-Doudoroff, una variante della glicolisi in cui il glucosio-6-fosfato è trasformato in 6-fosfogluconato (come nella via del pentosio fosfato) e poi in 2-cheto-3-deossi-6-fosfogluconato (KDPG). – COO

DOMANDE DIFFICILI 23. L’arseniato (AsO43−), un analogo strutturale del fosfato, può

agire come substrato in qualsiasi reazione che usi un fosfato come substrato. Gli esteri dell’arseniato, a differenza degli esteri del fosfato, sono cineticamente e termodinamicamente instabili e si idrolizzano quasi immediatamente. Scrivete un’equazione complessiva bilanciata per la conversione del glucosio a piruvato in presenza di ATP, ADP, NAD+ e di (a) fosfato o (b) arseniato. (c) Perché l’arseniato è un veleno? 24. L’enzima fosfoglucomutasi interconverte il glucosio-1-fosfato in glucosio-6-fosfato. Per quale motivo questo enzima può contenere una catena laterale come quella della serina nel suo sito attivo? 25. Mescolate 0,2 g di lievito, 0,2 g di saccarosio e 10 mL di acqua, ponete la miscela in un palloncino sgonfio e poi legate l’apertura del palloncino. (a) Spiegate cosa dovreste osservare nelle ore successive. (b) Cosa avviene aggiungendo iodoacetato alla miscela? (c) E se la miscela contenesse lattosio invece che saccarosio? 26. Le cellule nervose hanno bisogno di una fonte di energia libera per trasportare le vescicole che contengono neurotrasmettitori lungo l’assone, dove i mitocondri sono scarsi. Spiegate perché è necessario che la gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi sia localizzata sulla superficie di alcune vescicole di trasporto. 27. Il ∆G°′ per la reazione dell’aldolasi è 22,8 kJ ∙ mol−1. Nella cellula a 37 °C, [DHAP]/[GAP] = 5,5. Calcolate in condizioni di equilibrio il valore del rapporto [FBP]/[GAP], quando la [GAP] = 10−4 M. 28. È stato osservato il comportamento catalitico della fosfofruttochinasi 1 (PFK-1) di fegato e di cervello in presenza di AMP, fosfato e fruttosio-2,6-bisfosfato. Nella seguente tabella sono elencate le concentrazioni di ogni effettore richieste per raggiungere il 50% della velocità massima. Confrontate la risposta dei due isoenzimi ai tre effettori e discutete le possibili implicazioni delle loro diverse risposte. Isozima PFK-1 Fegato Cervello

Fosfato 200 μM 350 μM

AMP 10 μM 75 μM

F2,6P 0,05 μM 4,5 μM

29. Considerate la via metabolica per catabolizzare il galattosio.

Quali sono i potenziali punti di controllo di quella via? 30. Il lievito assume e metabolizza il galattosio utilizzando la via

schematizzata nella Figura 15.28. Il galattosio-1-fosfato, un intermedio di quella via, inibisce la fosfoglucomutasi. Questa caratteristica può, secondo voi, giustificare e spiegare il fatto che nel lievito il catabolismo del galattosio è più lento del catabolismo del glucosio?

C

O

H

C

H

H

C

OH

H

C

OH

CH2OPO23 – KDPG

Successivamente, un’aldolasi agisce sul KDPG. (a) Disegnate le strutture dei prodotti della reazione dell’aldolasi sul KDPG. (b) Descrivete come questi prodotti di reazione siano ulteriormente metabolizzati dagli enzimi della glicolisi. (c) Qual è la resa in ATP quando il glucosio è metabolizzato a piruvato tramite la via di Entner-Doudoroff? In che modo è paragonabile alla resa in ATP ottenuta dalla glicolisi? 35. Una via metabolica proposta per la biosintesi dell’acido ascorbico (vitamina C) nelle piante utilizza le seguenti reazioni: D-glucosio-6-fosfato

1

2

→ D-fruttosio-6-fosfato →

D-mannosio-6-fosfato

3

4

→ D-mannosio-1-fosfato →

5

6

GDP–D-mannosio → GDP–L-galattosio → L-galattosio-1-fosfato

7

8

→ L-galattosio →

L-galattono-1,4-lattone

9

→ L-acido ascorbico

Fate corrispondere a ognuno degli enzimi seguenti una delle tappe della via. (a) galattosio deidrogenasi (b) GDP-mannosio-3,5-epimerasi (c) fosfoglucosio isomerasi (d) fosfomannosio isomerasi (e) fosfomannosio mutasi 36. Per gli enzimi elencati da (a) a (e) nel Problema 35, identificate le controparti più vicine a loro tra quelle riportate nel Capitolo 15.

CASI DI STUDIO Caso 18 Purificazione della fosfofruttochinasi 1-C Concetto chiave: viene presentata la purificazione dell’isozima C della PFK-1 e si esaminano le proprietà cinetiche dell’enzima purificato. Prerequisiti: Capitoli 5, 12 e 15 • Tecniche di purificazione delle proteine • Cinetica e inibizione enzimatica • La via glicolitica

556

CAPITOLO 15

Il catabolismo del glucosio

Caso 20 La gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi NAD+dipendente di Thermoproteus tenax Concetto chiave: gli enzimi glicolitici di T. tenax sono regolati in modo inusuale. Prerequisiti: Capitoli 7, 12 e 15 • La via glicolitica • Cinetica e inibizione enzimatica • La natura cooperativa degli enzimi regolati

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APPROFONDIMENTO Le pareti delle cellule delle piante, che contengono grandi quantitativi di cellulosa, sono una fonte di glucosio che può essere convertito in etanolo dalla fermentazione microbica. Tracciate le vie metaboliche coinvolte nella conversione della cellulosa in etanolo. Quali sono le tappe del processo che devono essere ottimizzate affinché la produzione di biocarburanti a partire dalla cellulosa divenga economicamente conveniente? Perché gli organismi geneticamente modificati sono parte di questi tentativi?

BIBLIOGRAFIA Bernstein, B.E., Michels, P.A.M., e Hol, W.G.J. (1997). Synergistic effects of substrate-induced conformational changes in phosphoglycerate activation, Nature 385, 275-278. Dalby, A., Dauter, Z., e Littlechild, J.A. (1999). Crystal structure of human muscle aldolase complexed with fructose 1,6-bisphosphate: Mechanistic implications, Protein Sci. 8, 291-297. Depre, C., Rider, M.H., e Hue, L. (1998). Mechanisms of control of heart glycolysis, Eur. J. Biochem. 258, 277-290. [Tratta di come il controllo della glicolisi nel muscolo cardiaco sia suddiviso tra molti enzimi, trasportatori e altre vie.] Frank, R.A., Leeper, F.J., e Luisi, B.F. (2007). Structure, mechanism and catalytic duality of thiamine-dependent enzymes, Cell. Mol. Life Sci. 64, 892-905. Frey, P.A. (1996). The Leloir pathway: a mechanistic imperative for three enzymes to change the stereochemical configuration of a single carbon in galactose, FASEB J. 10, 461-470. Gefflaut, T., Blonski, C., Perie, J., e Wilson, M. (1995). Class I aldolases: substrate specificity, mechanism, inhibitors and structural aspects, Prog. Biophys. Molec. Biol. 63, 301-340.

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C A P I T O L O

1 6

Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

Le particelle di glicogeno, composte da numerosi grossi polimeri ramificati di residui di glucosio, sono le macchiette viola in questa fotografia al microscopio elettronico di fegato di salamandra. In tutti gli animali il glicogeno è una forma di deposito di energia metabolica, e viene sintetizzato e demolito in base alle necessità dell’organismo. [Don W. Fawcett / Getty Images.]

Il glicogeno (negli animali, nei funghi e nei batteri) e l’amido (nelle piante) hanno il compito di immagazzinare il glucosio in modo da renderlo disponibile per un successivo uso metabolico. Negli animali è necessario un rifornimento continuo di glucosio per tessuti come il cervello e i globuli rossi, che dipendono quasi esclusivamente dal glucosio come fonte di energia (altri tessuti ricavano energia ossidando anche gli acidi grassi; Paragrafi 20.2 e 21.4). La mobilizzazione del glucosio dai depositi di glicogeno, che si trovano principalmente nel fegato, consente il rifornimento di glucosio (∼5 mM nel sangue) a tutti i tessuti. Quando il glucosio è abbondante, come per esempio immediatamente dopo un pasto, la sintesi di glicogeno aumenta. Tuttavia, la quantità di glicogeno immagazzinata nel fegato è appena sufficiente per rifornire di glucosio il cervello per circa mezza giornata. In condizioni di digiuno, la maggior parte delle richieste di glucosio viene soddisfatta in tutto l’organismo dalla gluconeogenesi (letteralmente “sintesi di nuovo glucosio”), a partire da precursori non glucidici come gli amminoacidi. Ovviamente, la regolazione della sintesi, dell’accumulo, della mobilizzazione e della degradazione del glucosio tramite la glicolisi (Paragrafo 15.2) o la via del pentosio fosfato (Paragrafo 15.6) è complessa e sensibile alle necessità energetiche dell’organismo, sia immediate che a lungo termine. L’importanza del glicogeno come deposito di glucosio è chiaramente dimostrata dagli effetti della carenza degli enzimi che rilasciano il glucosio immagazzinato nelle cellule. La malattia di McArdle, per esempio, è una condizione ereditaria nella quale il sintomo principale è costituito da dolorosi crampi muscolari dopo uno sforzo fisico. I muscoli degli individui malati sono privi dell’enzima necessario per la degradazione del glicogeno in glucosio libero. Anche se è sintetizzato normalmente, il glicogeno non è in grado di fornire carburante metabolico per la glicolisi in risposta all’aumento della richiesta di ATP. La Figura 16.1 riassume gli utilizzi metabolici del glucosio. Il glucosio-6-fosfato (G6P), che si trova in una posizione chiave della ramificazione, deriva dal glucosio libero attraverso l’azione dell’esochinasi (Paragrafo 15.2A), oppure è prodotto dalla degradazione del glicogeno o dalla gluconeogenesi. Il G6P può avere vari destini metabolici: può essere usato per sintetizzare glicogeno; può essere catabolizzato tramite la glicolisi e produrre ATP e atomi di carbonio (sotto forma di acetil-CoA), che sono ulteriormente ossidati nel ciclo dell’acido citrico; può inoltre entrare nella via del pentosio fosfato per generare NADPH e/o ribosio-5-fosfato. Nel fegato e nel rene il G6P può essere trasformato in glucosio ed essere trasportato agli altri tessuti mediante il sistema circolatorio.

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CAPITOLO 16

Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

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Glicogeno

scissione del glicogeno

sintesi del glicogeno via del pentosio fosfato

Glucosio

Glucosio-6-fosfato

glicolisi

Ribosio-5-fosfato

gluconeogenesi

Piruvato

Amminoacidi

Lattato

Figura 16.1 Schema generale del metabolismo del glucosio. Il glucosio-6fosfato (G6P) è prodotto dalla fosforilazione del glucosio libero, dalla degradazione del glicogeno e dalla gluconeogenesi. È anche un precursore nella sintesi del glicogeno e nella via del pentosio fosfato. Il fegato può idrolizzare il G6P a glucosio. Il glucosio è metabolizzato per glicolisi a piruvato, che a sua volta può essere scisso per formare acetil-CoA, che è a sua volta ossidato nel ciclo dell’acido citrico. Il lattato e gli amminoacidi, che sono trasformati reversibilmente in piruvato, sono precursori della gluconeogenesi.

Senza guardare la figura, indicate da dove viene prodotto il glucosio-6-fosfato e quali sono i suoi destini.

Acetil-CoA

I processi opposti di sintesi e di degradazione del glicogeno, della glicolisi e della gluconeogenesi, sono regolati reciprocamente; cioè, quando uno è molCiclo dell’acido citrico to attivo, l’altro è praticamente bloccato. In questo capitolo esamineremo le tappe enzimatiche del metabolismo del glicogeno e della gluconeogenesi, prestando particolare attenzione ai meccanismi regolatori che assicurano un efficiente controllo delle opposte vie metaboliche.

1 La demolizione del glicogeno CONCETTI CHIAVE

• Il glicogeno, la forma di immagazzinamento del glucosio, è un polimero ramificato. • La mobilizzazione del glucosio nel fegato coinvolge una serie di reazioni che dal glicogeno porta a glucosio-1-fosfato, a glucosio-6-fosfato e infine a glucosio.

Il glicogeno è un polimero costituito da molecole di d-glucosio unite tra loro da legami a(1n4), con ramificazioni determinate da legami a(1n6) che si formano ogni 8-14 residui (Figura 16.2a,b e Paragrafo 8.2C). Il glicogeno si presenta sotto forma di granuli intracellulari di molecole sferoidali, con un diametro di 100-400 Å, ognuna delle quali contiene fino a 120 000 unità di glucosio (Figura 16.2c). I granuli sono particolarmente rappresentati nelle cellule che utilizzano maggiormente il glicogeno: il muscolo (fino all’1-2% del peso è costituito da glicogeno) e le cellule epatiche (fino al 10% del peso; Figura 8.11). I granuli di glicogeno contengono inoltre gli enzimi che catalizzano la sintesi del glicogeno e anche quelli della degradazione, insieme a molte proteine che regolano questi processi. Le unità di glucosio sono mobilizzate mediante la loro rimozione sequenziale dalle estremità non riducenti del glicogeno (le estremità prive di un gruppo C1–OH). Anche se il glicogeno ha un’unica estremità riducente, ogni ramificazione termina con una estremità non riducente. Il glicogeno ha una struttura molto ramificata, che consente una rapida mobilizzazione del glucosio attraverso il rilascio simultaneo di unità di glucosio in corrispondenza di ogni ramificazione. La demolizione del glicogeno, detta glicogenolisi, richiede tre enzimi. 1. La glicogeno fosforilasi (o semplicemente fosforilasi) catalizza la fosforolisi del glicogeno (cioè la scissione di un legame con l’introduzione di un gruppo fosforico) per ottenere glucosio-1-fosfato (G1P).

Glicogeno 34 Glicogeno 1 G1P (n residui) (n – 1 residui)

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Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

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(a) CH2OH H HO

O H OH

CH2OH H

H

H

O H OH

CH2OH H

H

O H

H

O H OH

H

H

OH

H Legame α(1

6)

O

OH

H

OH

Estremità riducente

O Estremità non riducenti

H

HO

CH2OH

CH2OH

O

O

H OH

H

H

H

H OH

OH

H

H

H

O H

CH2

CH2OH O

H OH

H

H

O H

OH

H

O H OH

O H

OH

H

H

H

O H OH

H

H

OH

O H

Punto di ramificazione (b)

CH2OH

OH Legame α(1 4)

H OH

(c)

Estremità non riducente

Estremità riducente

Punto di ramificazione

Questo enzima rilascia un’unità di glucosio solo se si trova ad almeno cinque unità di distanza da un punto di ramificazione. 2. L’enzima deramificante del glicogeno rimuove le ramificazioni del glicogeno, rendendo quindi altre unità glucosidiche accessibili all’attacco da parte della glicogeno fosforilasi. 3. La fosfoglucomutasi trasforma il G1P in G6P, che ha vari destini metabolici (Figura 16.1).

Alcune delle caratteristiche più importanti del metabolismo del glicogeno furono scoperte con le ricerche di Carl e Gerty Cori e dei loro collaboratori (Scheda 16.1).

A La glicogeno fosforilasi degrada il glicogeno a glucosio-1-fosfato

La glicogeno fosforilasi, un dimero costituito da due subunità identiche di 842 residui (97 kD), catalizza la reazione che controlla la velocità della demolizione del glicogeno. L’enzima è regolato sia da interazioni allosteriche sia da modificazioni covalenti (fosforilazione e defosforilazione). Gli inibitori allosterici della fosforilasi (ATP, G6P e glucosio) e il suo attivatore allosterico (AMP) interagiscono in modi diversi con le forme enzimatiche fosforilate e defosforilate, determinando un processo di regolazione molto sensibile. La struttura della glicogeno fosforilasi così come la sua regolazione operata dalla fosforilazione sono trattate nel Paragrafo 12.3B.

Figura 16.2 La struttura del glicogeno. (a) Formula molecolare. Nella molecola reale vi sono circa 12 residui per ogni catena. (b) Rappresentazione schematica della struttura ramificata del glicogeno. Si noti che la molecola ha numerose estremità non riducenti, ma soltanto un’estremità riducente. In vivo, l’estremità riducente è legata covalentemente alla proteina glicogenina. (c) Fotografia al microscopio elettronico di un granulo di glicogeno di muscolo scheletrico di ratto. Ogni granulo (indicato con α) è costituito da alcune molecole di glicogeno di forma sferica (β) a cui sono associate proteine. [Da Calder, P.C. (1991). Int. J. Biochem. 23, 1339. Copyright Elsevier Science. Riproduzione autorizzata.]

CAPITOLO 16

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Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

SCHEDA 16.1

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LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA

Carl e Gerty Cori e il metabolismo del glucosio Carl F. Cori (1896-1984) Gerty T. Cori (1896-1957)

Una collaborazione lunga una vita iniziò con il matrimonio di Carl e Gerty Cori nel 1920. Pur iniziando la loro vita professionale in Austria, nel 1922 i Cori decisero di fuggire dalle difficoltà economiche e sociali in Europa e si stabilirono a Buffalo, New York. In seguito si trasferirono alla Washington University School of Medicine di St. Louis, dove Carl divenne direttore del dipartimento di Farmacologia e successivamente del dipartimento di Biochimica. Nonostante il loro ruolo paritario come colleghi nell’attività di ricerca, Gerty rimase ufficialmente un ricercatore associato. La ricerca dei Cori si concentrò principalmente sul metabolismo del glucosio. Una delle loro prime scoperte fu la connessione tra il metabolismo del glucosio nel muscolo e il metabolismo del glicogeno nel fegato. Il “ciclo di Cori” (Paragrafo 22.1F) descrive come il lattato prodotto dalla glicolisi nel muscolo attivo è trasportato nel fegato, dove è usato per sintetizzare glucosio, che è a sua volta accumulato come glicogeno fino al momento in cui serve. Dopo avere descritto il movimento del glucosio attraverso gli organi nell’animale in toto, i Cori rivolsero la loro attenzione al destino metabolico del glucosio, in particolare agli intermedi e agli enzimi del suo metabolismo. Nel 1936, usando un preparato di muscolo di rana sminuzzato, i Cori scoprirono che il glucosio si presentava sotto forma di un estere fosfato (detto “estere di Cori”, ora noto come glucosio-1-fosfato). I Cori attribuirono la presenza dell’estere all’attività di una fosforilasi (glicogeno fosforilasi). Si trattava di una scoperta importantissima, perché l’enzima usava fosfato, e non acqua, per staccare i residui di glucosio

H

O– –O

P

O C

O

OH

H2C

O + N

CH3

H Piridossal-59-fosfato (PLP)

dalle estremità delle catene di glicogeno. In modo ancora più interessante, l’enzima poteva funzionare all’inverso, allungando un polimero di glicogeno mediante l’aggiunta di residui di glucosio (a partire dal glucosio-1-fosfato). Per la prima volta divenne possibile sintetizzare in vitro una molecola biologica di grandi dimensioni. Negli anni ’40 i Cori svelarono molti segreti della glicogeno fosforilasi. Per esempio, scoprirono che l’enzima esisteva in due forme, una che richiede l’attivatore AMP e l’altra che è attiva in assenza di un attivatore allosterico. Anche se non compresero subito che la differenza tra le due forme era dovuta alla presenza di un fosfato legato covalentemente, il loro lavoro stabilì le basi per le ricerche successive sulla regolazione enzimatica tramite la fosforilazione e la defosforilazione. Carl e Gerty Cori descrissero inoltre la fosfoglucomutasi, l’enzima che trasforma il glucosio-1-fosfato in glucosio6-fosfato. Con il tempo, il laboratorio dei Cori divenne un polo di attrazione per gli scienziati interessati alla purificazione e caratterizzazione di altri enzimi del metabolismo del glucosio. Forse a causa della loro esperienza nei confronti della discriminazione e, particolarmente per Gerty, della mancanza di pari opportunità, il laboratorio dei Cori accolse volentieri gruppi di scienziati molto diversi da quelli che abitualmente frequentavano i laboratori a quel tempo. I Cori ricevettero nel 1947 il premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia. Alcuni tra i loro collaboratori più giovani, come Arthur Kornberg (vedi Scheda 25.1), Severo Ochoa, Luis Leloir, Earl Sutherland, Christian de Duve e Edwin G. Krebs, ricevettero a loro volta il premio Nobel, testimoniando l’etica professionale, le ampie vedute in campo scientifico e medico e le rigorose abitudini di lavoro che avevano appreso da Carl e Gerty Cori. Cori, G.T., Colowick, S.P. e Cori, C.F. (1939). The activity of the phosphorylating enzyme in muscle extracts, J. Biol. Chem. 127, 771-782. Kornberg, A. Remembering our teachers, J. Biol. Chem. Reflections, www.jbc.org.

Una fessura profonda circa 30 Å sulla superficie del monomero della fosforilasi collega il sito di legame del glicogeno al sito attivo. La fessura può contenere al suo interno quattro o cinque residui glucosidici di una catena, ma è troppo piccola per accogliere oligosaccaridi ramificati; questa organizzazione strutturale spiega perché la fosforilasi non è in grado di staccare residui glicosilici più vicini di 5 unità a un punto di ramificazione. Probabilmente il sito di legame del glicogeno determina un aumento dell’efficienza catalitica della fosforilasi, perché permette all’enzima di eseguire la fosforolisi di numerosi residui di glucosio sulla stessa particella di glicogeno senza doversi associare e dissociare completamente dopo ogni ciclo catalitico. La fosforilasi contiene il cofattore piridossal-59-fosfato (PLP, a sinistra) necessario per la sua attività. Questo gruppo prostetico, un derivato della vitamina B6, è legato covalentemente all’enzima mediante una base di Schiff (immina) formata tra il suo gruppo aldeidico e il gruppo ε-amminico della Lys 680. Il PLP si trova anche in molti enzimi che intervengono nel metabolismo degli amminoacidi, dove il sistema ad anello sostituito del PLP ha una funzione catalitica per delocalizzare elettroni (Paragrafi 21.2A e 21.4A). Nella fosforilasi, tuttavia, soltanto il gruppo fosforico partecipa alla catalisi, comportandosi come catalizzatore generale acido-basico. La fosforolisi del glicogeno procede secondo un meccanismo casuale (Paragrafo 12.1D), che richiede la formazione di un complesso ternario enzima ? Pi ? glicogeno. Durante la scissione del legame

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Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

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C1–O1 si forma uno ione ossonio intermedio, come nella reazione catalizzata dal lisozima (Paragrafo 11.4B). Il meccanismo di reazione è schematizzato nella Figura 16.3, che mostra il ruolo del gruppo fosforico del PLP come catalizzatore generale acido-basico della reazione. Le differenze strutturali tra la conformazione attiva (R) e quella inattiva (T) della fosforilasi (Figura 12.16) si adattano abbastanza bene al modello allosterico simmetrico (Paragrafo 7.1D). L’enzima nello stato T è caratterizzato da un sito attivo La glicogeno fosforilasi va incontro a modificazioni conformazionali.

SCHEMA DI PROCESSO H O

O

–O

P O–

O PL

O

H + Glicogeno

P O–

O

BH+ Formazione di un 1 complesso ternario E • Pi • glicogeno.

E Estremità non riducente

Legame α(1 CH2OH HO HO

O

OH H

O–

O

CH2OH O HO

Glicogeno (n unità glucosidiche)

OH O

O

O

O P

PL

OH O

O– H

O

CH2OH O HO

P O

O–

Reazione del Pi con lo ione ossonio, con mantenimento generale della configurazione in C1 e formazione di 3 α-D-glucosio-1-fosfato. Il glicogeno, che presenta un residuo in meno rispetto a prima, rientra nel ciclo in corrispondenza della fase 1.

4)

Legame al fosfato in configurazione α



La formazione dello ione ossonio intermedio, 2 ombreggiato in rosso, dal residuo glicosilico terminale unito con un legame α coinvolge la catalisi acida da parte di Pi facilitata dal trasferimento protonico dal PLP. Lo ione ossonio ha una conformazione a mezza sedia.

BH+

HO

O

O

OH O

P

O–

O– Ione ossonio intermedio a mezza sedia

α-D-Glucosio-1-fosfato

CH2OH + O

E HO

HO

OH O–

–O P

Figura 16.3 Il meccanismo di reazione

della glicogeno fosforilasi. Il PL è il gruppo piridossale legato all’enzima; BH+ è la catena laterale di un amminoacido carico positivamente, probabilmente quella della Lys 568, necessaria per mantenere la neutralità elettrica del PLP. La reazione avviene attraverso la formazione dello ione ossonio intermedio, ombreggiato, e coinvolge la catalisi acida da parte di Pi facilitata dal trasferimento protonico dal PLP.

CH2OH HO

O

O

H O–

O P O PL

O– BH+

E

CH2OH HO HO

Glicogeno (n – 1 unità glucosidiche)

O OH O

CH2OH O HO

OH O



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Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

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scarsamente accessibile e quindi con una bassa affinità per i suoi substrati, mentre l’enzima nello stato R ha un sito catalitico accessibile e ha quindi un’alta affinità di legame per il fosfato. L’AMP favorisce la modificazione conformazionale della fosforilasi da T (inattivo) a R (attivo), legandosi allo stato R dell’enzima in corrispondenza del sito per l’effettore allosterico. Questo cambiamento conformazionale si riflette nel fatto che il substrato ha una maggiore accessibilità al sito attivo grazie alla disorganizzazione dei residui 282-286 di un’ansa che, altrimenti, bloccherebbe il sito attivo. Il cambiamento conformazionale provoca anche la rotazione della catena laterale della Arg 569, che si trova nel sito attivo vicino al PLP e al sito di legame per Pi, in modo da aumentare l’affinità di legame dell’enzima per il suo substrato anionico Pi (Figura 12.16). L’ATP si lega al sito per l’effettore allosterico solo quando la fosforilasi è nello stato T, inibendo la modificazione conformazionale da T a R. Questo avviene perché i gruppi fosforici b e g dell’ATP ostacolano il corretto allineamento del gruppo fosforico a e del ribosio necessario perché l’AMP possa indurre la modificazione conformazionale. Il processo di fosforilazione e di defosforilazione può modificare l’attività enzimatica secondo una modalità che ricorda la regolazione allosterica. Il gruppo fosforico ha una doppia carica negativa (una proprietà non condivisa dai residui amminoacidici presenti in natura), e il suo legame covalente alla Ser 14 induce notevoli modificazioni conformazionali nella struttura terziaria e quaternaria della proteina in quanto il segmento N-terminale si sposta per consentire alla serina fosforilata di formare una coppia ionica con due residui cationici di Arg. La presenza del gruppo fosforico sulla Ser 14 induce modificazioni conformazionali simili a quelle causate dal legame dell’AMP, spostando quindi l’equilibrio T 34 R dell’enzima a favore dello stato R. Questo spiega perché la fosforilasi b (l’enzima non fosforilato) richiede AMP per la sua attività e la forma a (l’enzima fosforilato) è attiva senza AMP. La regolazione dell’attività della fosforilasi sarà nuovamente discussa quando tratteremo i meccanismi che bilanciano la sintesi e la degradazione del glicogeno (Paragrafo 16.3).

B L’enzima deramificante del glicogeno agisce come una glucosiltransferasi

Il processo di fosforolisi procede lungo una ramificazione del glicogeno finché non arriva a una distanza di quattro o cinque residui glicosidici dal punto di ramificazione a(1n6), generando una “struttura limite”. L’enzima deramificante del glicogeno agisce come una a(1n4) transglicosilasi (glicosiltransferasi), trasferendo una unità trisaccaridica a(1n4) da una ramificazione limite del glicogeno all’estremità non riducente di un’altra ramificazione (Figura 16.4). Questa reazione forma un nuovo legame a(1n4) con tre nuove unità glicosiliche disponibili per la fosforolisi catalizzata dalla fosforilasi. Il legame a(1n6) che unisce alla catena principale il restante residuo glucosidico è rimosso per idrolisi (non fosforolisi) dallo stesso enzima deramificante, producendo glucosio libero e glicogeno deramificato. Circa il 10% dei residui del glicogeno (quelli che si trovano nei punti di ramificazione) è convertito in glucosio e non in G1P. L’enzima deramificante ha siti attivi separati per l’attività transferasica e per l’attività a(1n6) glicosidasica. La presenza di due attività catalitiche indipendenti sullo stesso enzima rende più efficiente il processo di deramificazione. La velocità massima della reazione della glicogeno fosforilasi è molto più elevata di quella dell’enzima deramificante del glicogeno. Di conseguenza, le sequenze lineari più esterne del glicogeno, che costituiscono quasi la metà dei suoi residui, sono degradate nel muscolo in pochi secondi, in condizioni di elevata richiesta metabolica. La degradazione del glicogeno, una volta superata questa

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Figura 16.4 Le reazioni catalizzate dall’enzima deramificante. L’enzima trasferisce i tre residui terminali del glucosio uniti da legami α(1n4) da una “ramificazione limite” del glicogeno all’estremità non riducente di un’altra ramificazione. Il legame α(1n6) del residuo che rimane a livello del punto di ramificazione è idrolizzato tramite un’altra attività dell’enzima deramificante, producendo glucosio libero. La catena di glicogeno appena allungata è degradata dalla glicogeno fosforilasi.

Ramificazione limite O

O

HO O

O

O O

O

O O

O

O

O

...

O

O

O

O

O

O

O

O

Catene esterne del glicogeno (dopo attivitˆ della fosforilasi)

HO

enzima deramificante del glicogeno

HO

Elencate il numero e il tipo dei monosaccaridi prodotti dalla completa degradazione delle molecole qui mostrate.

Disponibile per idrolisi

O

O

O O O

O

O

O

O

O

O

O

... O

O

O

O

O

O

O O HO

Disponibile per ulteriore fosforolisi

fase, necessita dell’enzima deramificante e quindi avviene più lentamente. Questo fattore spiega in parte perché il muscolo può effettuare uno sforzo massimo solo per pochi secondi.

C La fosfoglucomutasi interconverte glucosio-1-fosfato e glucosio-6-fosfato

La fosforilasi rimuove le unità glucosidiche dal glicogeno sotto forma di G1P, che viene trasformato a sua volta in G6P dalla fosfoglucomutasi. La reazione della fosfoglucomutasi è simile a quella catalizzata dalla fosfoglicerato mutasi (Paragrafo 15.2H). Un gruppo fosforico è trasferito dal fosfoenzima attivo al G1P, con formazione di glucosio-1,6-bisfosfato (G1,6P), che successivamente rifosforila l’enzima, producendo G6P (Figura 16.5; questa reazione, che avviene in condizioni vicine all’equilibrio, può avvenire anche in direzione inversa). Un’importante differenza tra questo enzima e la fosfoglicerato mutasi è che nel-

Figura 16.5 Il meccanismo d’azione della fosfoglucomutasi.

Spiegate perché questa reazione è reversibile.

SCHEMA DI PROCESSO Enzima

Enzima

Enzima Fosforilazione dell’enzima da parte del gruppo fosforico presente al C1 del substrato.

Ser

Ser O CH2

O

O–

P O

Fosforilazione del substrato sul C6-OH.



1

6

HOCH 2 O

H H OH

H

HO OH

Glucosio-1-fosfato (G1P)

O

H

H 2–

2

6

–2 O3POCH2 H OH

1

OPO3 H

CH2 OH

H

H

O CH2

2–

OH

Glucosio-1,6-bisfosfato (G1,6P)

O–

P

6

–2O POCH 3 2 O

H

OPO3

O

– O

H OH

1

HO H

Ser

H

HO

H 1

OH H

OH

Glucosio-6-fosfato (G6P)

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la fosfoglucomutasi il gruppo fosforico è legato covalentemente al gruppo ossidrilico di una serina, e non all’azoto imidazolico di una istidina. La glucosio-6-fosfatasi produce glucosio libero nel fegato. Il G6P prodotto dal-

la demolizione del glicogeno può continuare lungo la via glicolitica o lungo la via del pentosio fosfato (si noti che il glucosio è già fosforilato, quindi si “salta” la reazione di fosforilazione catalizzata dall’esochinasi che consuma ATP). Nel fegato il G6P è reso disponibile anche per essere usato dagli altri tessuti. Poiché non può attraversare la membrana cellulare, il G6P è prima idrolizzato dall’enzima glucosio-6-fosfatasi (G6Pasi): G6P 1 H2O n glucosio 1 Pi

SCHEDA 16.2

LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA

Le malattie da accumulo di glicogeno Le malattie da accumulo di glicogeno sono patologie ereditarie che influenzano il metabolismo del glicogeno, producendo un glicogeno anormale per quantità o per qualità. Lo studio dei difetti genetici che causano queste malattie ha contribuito a chiarire le complessità del metabolismo del glicogeno (per esempio, la malattia di McArdle), mentre la caratterizzazione biochimica delle vie metaboliche modificate da una malattia genetica consente spesso di mettere a punto strategie utili per il suo trattamento. La tabella presente in questa scheda elenca le carenze enzimatiche associate a ciascun tipo di malattia da accumulo di glicogeno. Le malattie da accumulo di glicogeno colpiscono prevalentemente il fegato, causando epatomegalia (ingrossamento del fegato) e ipoglicemia (bassi livelli di glucosio ematico), mentre le forme patologiche che interessano i muscoli causano crampi muscolari e debolezza. Entrambi i tipi di malattia possono causare anche disturbi renali e cardiovascolari.

dove idrolizza il maltosio (un disaccaride del glucosio) e altri oligosaccaridi lineari, agendo inoltre sulle ramificazioni più esterne del glicogeno per liberare glucosio. Di solito questa via alternativa del metabolismo del glicogeno non è importante dal punto di vista quantitativo e il suo significato fisiologico è tuttora sconosciuto.

Tipo I: carenza di glucosio-6-fosfatasi (malattia di von Gierke)

Tipo IV: carenza di amilo-(1,4n1,6)-transglicosilasi (enzima ramificante; malattia di Andersen) La malattia

La glucosio-6-fosfatasi catalizza la reazione finale che porta al rilascio di glucosio dal fegato nel circolo sanguigno. La carenza di questo enzima provoca un aumento della [G6P] intracellulare, che causa un aumento dell’accumulo di glicogeno nel fegato e nei reni (ricordate che il G6P attiva la glicogeno sintasi) e l’incapacità di aumentare la concentrazione ematica di glucosio in risposta agli ormoni glucagone o adrenalina. I sintomi caratteristici della patologia dell’accumulo di glicogeno di tipo I comprendono una grave epatomegalia, ipoglicemia e un generale ritardo nella crescita. Il trattamento della malattia comprende l’inibizione farmacologica dell’assunzione di glucosio da parte del fegato (in modo da aumentare la concentrazione di glucosio nel sangue), un’alimentazione intragastrica continua durante la notte (sempre per aumentare la concentrazione ematica del glucosio), la trasposizione chirurgica della vena porta, che normalmente alimenta il fegato direttamente a partire dall’intestino (in modo da consentire al sangue ricco di glucosio di raggiungere i tessuti periferici prima di arrivare al fegato), e il trapianto di fegato. Tipo II: carenza di a-1,4 glucosidasi (malattia di Pompe) La

carenza di a-1,4-glucosidasi è la malattia più grave causata dall’accumulo di glicogeno. Questa patologia determina un elevato accumulo di glicogeno con struttura normale all’interno dei lisosomi di tutte le cellule e causa la morte per arresto cardiorespiratorio, di solito entro il primo anno di vita. La a-1,4-glucosidasi non è un enzima che partecipa al metabolismo principale del glicogeno: si trova nei lisosomi,

Tipo III: carenza di amilo-1,6-glucosidasi (enzima deramificante; malattia di Cori) Nella malattia di Cori,

sia nel fegato sia nel muscolo si accumula un glicogeno a struttura anormale, con catene laterali molto corte, perché, in mancanza dell’enzima deramificante, il glicogeno non può essere ulteriormente degradato. L’ipoglicemia che ne consegue non è grave quanto la malattia di von Gierke (tipo I) e può essere trattata con pasti frequenti e con una dieta ricca di proteine (per compensare la perdita di amminoacidi usati per la gluconeogenesi). Per ragioni sconosciute i sintomi della malattia di Cori spesso scompaiono alla pubertà.

di Andersen è una delle più gravi patologie da accumulo di glicogeno; i pazienti colpiti raramente sopravvivono oltre i 4 anni di vita a causa di disfunzioni epatiche. Le concentrazioni di glicogeno nel fegato sono normali, ma la molecola contiene lunghe catene non ramificate che ne riducono notevolmente la solubilità. Il glicogeno anormale porta a rigonfiamento del tessuto e formazione di tessuto cicatriziale (cirrosi) e alla fine a insufficienza epatica. Tipo V: carenza di fosforilasi muscolare (malattia di McArdle)

I sintomi della malattia di McArdle, cioè crampi muscolari dolorosi dopo esercizio fisico, di solito non compaiono fino al raggiungimento dell’età adulta: è possibile impedirli evitando pesanti sforzi fisici. Questa condizione patologica influenza il metabolismo del glicogeno nel muscolo ma non nel fegato, che contiene quantità normali di un diverso isoenzima della fosforilasi. Tipo VI: carenza di fosforilasi epatica (malattia di Hers)

I pazienti con carenza di fosforilasi epatica presentano sintomi simili a quelli affetti da forme lievi della malattia da accumulo di glicogeno di tipo I. In questo caso l’ipoglicemia è causata dall’incapacità della glicogeno fosforilasi epatica di rispondere alle richieste di glucosio circolante. Tipo VII: carenza di fosfofruttochinasi nel muscolo (malattia di Tarui) Il risultato di una carenza dell’enzima glicolitico

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Sebbene il G6P sia prodotto nel citosol, la G6Pasi si trova nella membrana del reticolo endoplasmatico (RE). Prima di essere idrolizzato, il G6P deve quindi essere importato nell’RE tramite una G6P translocasi. Il risultante glucosio e Pi sono riportati nel citosol da specifiDI VERIFICA che proteine di trasporto. Un difetto di uno qualsiasi PUNTO • Elencate le fonti metaboliche e i destini del G6P. dei componenti di questo sistema di idrolisi del G6P • Descrivete la struttura di una molecola di glicogeno. Qual è il provoca la malattia da accumulo di glicogeno di tipo vantaggio di una struttura così ramificata? I (Scheda 16.2). Il glucosio esce dalla cellula del fega• Elencate quali sono i tre enzimi coinvolti nella degradazione del to tramite uno specifico trasportatore, detto GLUT2, glicogeno e descrivete i tipi di reazioni che catalizzano. ed è trasportato dal sangue ad altri tessuti. Il muscolo • Elencate quali sono gli attivatori e gli inibitori della glicogeno fosforilasi. In che modo la fosforilazione influenza la sua attività e gli altri tessuti sono privi di G6Pasi e quindi trattencatalitica? gono il loro G6P.

PFK nel muscolo è un accumulo anormale dei metaboliti glicolitici G6P e F6P. Le elevate concentrazioni di G6P stimolano l’attività della glicogeno sintasi e della UDPglucosio pirofosforilasi (il G6P è in equilibrio con il G1P, un substrato della UDP-glucosio pirofosforilasi) e causano un accumulo di glicogeno nel muscolo. Altri sintomi sono simili a quelli della carenza di fosforilasi muscolare, poiché la mancanza di PFK non permette alla glicolisi di soddisfare le richieste di ATP da parte del muscolo in contrazione. Tipo VIII: carenza di fosforilasi chinasi legata al cromosoma X

Alcuni individui che presentano i sintomi della malattia da accumulo di glicogeno di tipo VI hanno fosforilasi normali ma una fosforilasi chinasi difettosa: sono quindi incapaci di trasformare la fosforilasi b in fosforilasi a. La subunità a della fosforilasi chinasi è codificata da un gene localizzato sul cromosoma X; quindi la malattia di tipo VIII è legata al cromosoma X: per cui, a differenza delle altre malattie del metabolismo del glicogeno, non è una malattia autosomica recessiva.

Tipo IX: carenza di fosforilasi chinasi La carenza di fosforilasi chinasi, una malattia autosomica recessiva, è causata da una mutazione in uno dei geni che codificano le subunità b, g e d della fosforilasi chinasi. Poiché tessuti diversi contengono diversi isozimi della fosforilasi chinasi, i sintomi e la gravità della malattia variano a seconda degli organi interessati. Per diagnosticare questa particolare patologia da accumulo di glicogeno, le tecniche in grado di identificare danni genetici risultano più affidabili dell’analisi dei sintomi clinici. Tipo 0: carenza di glicogeno sintasi epatica La carenza di

glicogeno sintasi epatica è l’unica patologia da accumulo di glicogeno nella quale vi è carenza e non eccesso di glicogeno. Negli individui affetti dalla malattia di tipo 0 l’attività della glicogeno sintasi epatica è estremamente bassa; questi pazienti presentano iperglicemia dopo i pasti e ipoglicemia nelle altre condizioni. Poiché tuttavia alcuni individui sono asintomatici, è probabile che esistano varie forme di questa patologia autosomica recessiva.

Malattie ereditarie del metabolismo del glicogeno Tipo

Carenza enzimatica

I

Tessuto

Nome comune

Struttura del glicogeno

Glucosio-6-fosfatasi

Fegato

Malattia di von Gierke

Normale

II

a-1,4-Glucosidasi

Tutti i lisosomi

Malattia di Pompe

Normale

III

Amilo-1,6-glucosidasi (enzima deramificante)

Tutti gli organi

Malattia di Cori

Catene esterne mancanti o molto corte

IV

Amilo-(1,4n1,6)transglicosilasi (enzima ramificante)

Fegato, probabilmente tutti gli organi

Malattia di Andersen

Catene molto lunghe e non ramificate

V

Glicogeno fosforilasi

Muscolo

Malattia di McArdle

Normale

VI

Glicogeno fosforilasi

Fegato

Malattia di Hers

Normale

VII

Fosfofruttochinasi

Muscolo

Malattia di Tarui

Normale

VIII

Fosforilasi chinasi

Fegato

Carenza di fosforilasi chinasi legata al cromosoma X

Normale

IX

Fosforilasi chinasi

Tutti gli organi

Glicogenosi da deficit di fosforilasi chinasi

Normale

0

Glicogeno sintasi

Fegato

Glicogenosi da deficit di glicogeno sintasi

Normale, minore quantità

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2 La sintesi del glicogeno CONCETTI CHIAVE

• La sintesi del glicogeno nel fegato coinvolge una serie di reazioni che da glucosio porta a glucosio-6-fosfato, a UDP-glucosio e infine a glicogeno.

• L’UDP-glucosio è una molecola attivata. • Il glicogeno viene allungato a partire da un innesco prodotto dalla proteina glicogenina sulla proteina stessa.

Glicogeno enzima deramificante

Pi

glicogeno fosforilasi G1P fosfoglucomutasi G6P Figura 16.6 Vie opposte di sintesi e di degradazione del glicogeno. Il processo esoergonico della demolizione del glicogeno è invertito da un processo che usa UTP per produrre l’intermedio UDP-glucosio.

Il DG°9 per la reazione della glicogeno fosforilasi è 13,1 kJ ? mol21, ma in condizioni fisiologiche la demolizione del glicogeno è un processo esoergonico (DG°9 5 da 25 fino a 28 kJ ? mol21). La sintesi del glicogeno a partire da G1P è quindi termodinamicamente sfavorevole e non richiede immissione di energia libera. La sintesi e la demolizione del glicogeno devono avvenire attraverso vie separate. Questa strategia metabolica ricorrente, cioè che le vie biosintetiche e degradative siano diverse, è particolarmente importante quando entrambe le vie devono operare in condizioni fisioloenzima ramificante giche simili. Questa situazione è termodiUDP namicamente impossibile se una via metaglicogeno sintasi bolica è semplicemente l’inverso dell’altra. Non è stata tuttavia la termodinamica UDP–glucosio che ha portato alla scoperta che la via di pirofosfatasi sintesi e la via di degradazione del glicoinorganica geno sono separate, ma è stata la malattia PPi 2 Pi di McArdle. Agli individui affetti da queUDP–glucosio pirofosforilasi sta malattia manca l’attività della glicogeno fosforilasi muscolare, quindi i pazienti UTP affetti non sono in grado di demolire il glicogeno, anche se i loro muscoli contengono molecole di glicogeno normali e in quantità moderatamente elevate. Evidentemente la glicogeno fosforilasi non è necessaria per la sintesi del glicogeno. In questo paragrafo descriveremo tre enzimi che partecipano alla sintesi del glicogeno: la UDP-glucosio pirofosforilasi, la glicogeno sintasi e l’enzima ramificante del glicogeno. Le reazioni opposte della sintesi e della demolizione del glicogeno sono riassunte nella Figura 16.6.

A La UDP-glucosio pirofosforilasi attiva le unità glucosidiche Poiché in condizioni fisiologiche la trasformazione diretta del G1P in glucosio e Pi è termodinamicamente sfavorevole (DG positivo), la biosintesi del glicogeno richiede una reazione esoergonica. Come Luis Leloir scoprì nel 1957, il risultato è ottenuto combinando il G1P con l’uridina trifosfato (UTP), in una reazione catalizzata dall’UDP-glucosio pirofosforilasi (Figura 16.7). Il prodotto di questa reazione, il glucosio uridina difosfato (UDP-glucosio o UDPG), è un composto “attivato” che può donare una unità glucosidica alla catena di glicogeno in fase di crescita. La stessa formazione di UDPG ha un DG°9 vicino allo 0 (è una reazione di scambio fosfoanidridico), ma la successiva idrolisi esoergonica del PPi da parte dell’onnipresente enzima pirofosfatasi inorganica rende la reazione complessiva esoergonica:

DG °9 (kJ ? mol G1P H2 O

UTP 3 4 UDPG PPi → 2Pi

PPi

0 19,2

Totale G1P

UTP → UDPG

2Pi

19,2

1

)

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SCHEMA DI PROCESSO O

Figura 16.7 La reazione catalizzata dalla UDP-glucosio pirofosforilasi. Questa è una reazione di scambio fosfoanidridico. La reazione è portata a compimento dall’idrolisi del PPi.

N

Identificate i legami “ad alta energia” che vengono scissi e quelli che invece vengono formati.

HN O –O

P

O γ

O

P

–O

HO

CH2OH

O β

P

O

–O

α

OH2C

–O

O O

H H HO

O

H H OH

UTP O

HO

OH

O

G1P

O–

P O–

pirofosfatasi inorganica PPi

Attacco sull’atomo 1 di fosforo a dell’UTP.

2 Idrolisi del PPi.

2 Pi

O

HO

CH2OH

HN

O O

HO

OH

O

O

P

O

O–

P O–

OH2C

O O

H H HO

N H H OH

UDP–Glucosio (UDPG)

Questo è un esempio della comune strategia biosintetica di scindere un nucleoside trifosfato per formare PPi. L’energia libera derivata dall’idrolisi del PPi può essere usata per portare a compimento una reazione altrimenti sfavorevole (Paragrafo 14.2B); l’eliminazione quasi totale del PPi da parte della reazione fortemente esoergonica (irreversibile) della pirofosfatasi impedisce la reazione che produce PPi.

B La glicogeno sintasi allunga le catene di glicogeno Nella fase successiva della sintesi del glicogeno, la reazione della glicogeno sintasi trasferisce l’unità glicosilica dell’UDPG al gruppo OH del C4 di una delle estremità non riducenti del glicogeno, formando un legame a(1n4) glucosidico. Il DG°9 per la reazione della glicogeno sintasi UDPG 1 glicogeno n UDP 1 glicogeno (n residui) (n 1 1 residui) è di –13,4 kJ ? mol21, rendendo la reazione complessiva spontanea nelle stesse condizioni in cui è spontanea la demolizione del glicogeno da parte della fosforilasi. Tuttavia la sintesi del glicogeno ha un proprio costo energetico. Combinando le prime due reazioni della sintesi del glicogeno si ottiene Glicogeno (n residui)

1

567

G1P 1 UTP n glicogeno 1 UDP 1 2 Pi (n 1 1 residui)

Quindi, una molecola di UTP è scissa a UDP per ogni residuo di glucosio incorporato nel glicogeno. L’UTP consumato è ripristinato attraverso la reazione di tra-

568

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sferimento di un gruppo fosforico mediata dalla nucleoside difosfato chinasi (Paragrafo 14.2C):

UDP 1 ATP 34 UTP 1 ADP CH2OH

HO

HO

quindi, il consumo di UTP è energicamente equivalente al consumo di ATP. Il trasferimento di una unità glucosidica dall’UDPG a una catena di glicogeno richiede la formazione di uno ione ossonio glucosidico con eliminazione di UDP, un ottimo gruppo uscente (Figura 16.8). L’enzima è inibito dall’1,5-gluconolattone (a sinistra), un analogo che imita la geometria di struttura a mezza sedia dello ione ossonio. Lo stesso analogo inibisce sia la glicogeno fosforilasi (Paragrafo 16.1A) sia il lisozima (Paragrafo 11.4), che hanno meccanismi di reazione simili. Nell’uomo la glicogeno sintasi muscolare è un omotetramero con subunità di 737 residui (l’isoenzima del fegato ha subunità di 703 residui). Come la glicogeno fosforilasi, la glicogeno sintasi ha due forme enzimatiche interconvertibili tra loro; in questo caso, però, la forma b fosforilata è meno attiva, e la forma a originaria (defosforilata) è più attiva. (Si noti che per gli enzimi soggetti a modificazioni covalenti, “a” indica la forma più attiva e “b” la forma meno attiva.) La glicogeno sintasi è sottoposta a controllo allosterico; è inibita fortemente da concentrazioni fisiologiche di ATP, ADP e Pi. Di conseguenza l’enzima fosforilato è quasi totalmente inattivo in vivo. L’enzima defosforilato può essere attivato dal G6P, e così l’attività della glicogeno sintasi nella cellula varia a seconda della [G6P] e della quantità di enzima che si trova nella forma defosforilata. I dettagli riguardanti il meccanismo dell’interconversione tra la forma fosforilata e la forma defosforilata della glicogeno sintasi sono complessi e, contrariamente a quelli della glicogeno fosforilasi, non sono ancora completamente chiariti (per esempio, la glicogeno sintasi ha siti di fosforilazione multipli). I meccanismi di regolazione della glicogeno sintasi verranno esaminati più avanti nel Paragrafo 16.3B.

O

O

OH

1,5-Gluconolattone

Figura 16.8 La reazione catalizzata dalla glicogeno sintasi. La reazione coinvolge la formazione di uno ione ossonio glucosidico intermedio. O

HO

CH2OH

HN

O O

HO

OH

O

Ione ossonio intermedio HO

CH2OH

O HO

CH2OH

OH

CH2OH

HO

P

OH2C

O–

OH

O

O

CH2OH

O

CH2OH

HO

H H HO

N H

UDP–glucosio

H OH

Glicogeno (n residui)

O

HO OH

O O

UDP

O

HO

HO

O

O–

+ O

HO

P

O

OH

O

H+

O OH

O

CH2OH

CH2OH

O

HO

OH

O

...

O

...

O

HO

OH

O

CH2OH

O

Glicogeno (n + 1 residui) HO

OH

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La glicogeno sintasi non può semplicemente collegare tra loro due residui di glucosio: può soltanto allungare una catena di glucano a(1n4), già esistente. In che modo, allora, inizia la sintesi del glicogeno? Nella prima fase del processo, una proteina di 349 residui, detta glicogenina, agendo come una glicosiltransferasi, attacca un residuo di glucosio donato dall’UDPG al gruppo OH del suo residuo Tyr 194. Successivamente, la glicogenina aggiunge altre unità glucosio donate dall’UDPG formando una catena oligosaccaridica lunga fino a otto residui glucidici, che diventa il “primer” del glicogeno. Solo a questo punto la glicogeno sintasi può entrare in azione ed estendere il primer. L’analisi dei granuli di glicogeno suggerisce che ogni molecola di glicogeno è associata con una sola molecola di glicogenina e una sola molecola di glicogeno sintasi. La glicogenina innesca la sintesi del glicogeno.

C L’enzima ramificante del glicogeno trasferisce segmenti di glicogeno di sette residui

La glicogeno sintasi genera solo legami a(1n4), producendo esclusivamente a-amilosio. Le ramificazioni caratteristiche del glicogeno sono dovute all’azione di un altro enzima, l’amilo-(1,4n1,6)-transglicosilasi (enzima ramificante), diverso dall’enzima deramificante (Paragrafo 16.1B). La ramificazione si origina in seguito al trasferimento di un segmento di 7 residui dall’estremità di una catena al gruppo OH del C6 di un residuo di glucosio situato sulla stessa o su un’altra catena di glicogeno (Figura 16.9). Ogni segmento trasferito deve derivare da una catena costituita da almeno 11 residui, e il nuovo punto di ramificazione deve avere una distanza di almeno 4 residui dagli altri punti di ramificazione. La presenza delle ramificazioni nel glicogeno è stata ottimizzata dall’evoluzione per avere un’efficiente conservazione e mobilizzazione del glucosio (Scheda 16.3).

O

O

13 HO

• Perché le vie biosintetiche e di degradazione opposte devono differire almeno in un enzima?

• Elencate i tre enzimi coinvolti nella sintesi del glicogeno e descrivete i tipi di reazioni che catalizzano.

• Qual è la fonte di energia per la sintesi del glicogeno?

• Descrivete la funzione della glicogenina.

Figura 16.9 La ramificazione del glicogeno. Le ramificazioni si formano dal trasferimento di un segmento terminale di 7 residui da una catena lineare di glucano [solo legami α(1n4)] al gruppo OH del C6 di un residuo di glucosio localizzato sulla stessa o su un’altra catena.

O

12 O

PUNTO DI VERIFICA

O

11

O

10

O

O 9

O

O 8

O

7

O

O 6

O

O O

5

O

4

O

Catena di glicogeno terminale lineare (solo legami α1 4)

O O

3

O

O

2

O

O

O

1

O

O

O

HO

O O

O

O

O

O

O

O

O

O

O

O O

O

O O

O

O

O O

O

O O

O

enzima ramificante O

O 13 HO

O O

5

O

O

12

O

O

6

HO

O

O

4

O

O

11

10

O

O

O O

9

O

8

3

O O

O

7

2

O

O O

1

O

O O

HO

O O

O O

O O

O O

O O

O O

O

O

O O

O

O

O

O O

O O

O O

O

570

CAPITOLO 16

Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

SCHEDA 16.3

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LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

L’ottimizzazione della struttura del glicogeno La funzione del glicogeno nelle cellule animali è quella di accumulare il glucosio, carburante metabolico, e rilasciarlo rapidamente quando è necessario. Il glucosio deve essere accumulato sotto forma di polimero, perché il glucosio libero, in quanto tale, non potrebbe essere accumulato senza un considerevole aumento della pressione osmotica intracellulare (Paragrafo 2.1D). Si ritiene che la concentrazione totale di residui di glucosio accumulati sotto forma di glicogeno in una cellula del fegato sia circa 0,4 M, mentre la concentrazione di glicogeno sia solo circa 10 nM. Questa enorme differenza attenua lo stress osmotico. Per effettuare il suo compito biologico, il polimero glicogeno deve accumulare la maggiore quantità possibile di glucosio nel minimo volume possibile, contemporaneamente aumentando al massimo sia la quantità di glucosio disponibile per il rilascio da parte della glicogeno fosforilasi, sia il numero di estremità non riducenti (per incrementare al massimo la velocità di mobilizzazione dei residui di glucosio). Tutti questi criteri devono essere soddisfatti ottimizzando due sole variabili: il grado di ramificazione e la lunghezza della catena. In una molecola di glicogeno, raffigurata di seguito in modo schematico,

2 ramificazioni per catena

3 ramificazioni per catena

L’analisi matematica dell’altra variabile, cioè la lunghezza della catena, rivela che il valore teorico ottimale è 13, il che corrisponde alla lunghezza effettiva delle catene di glicogeno all’interno delle cellule (da 8 a 14 residui). Consideriamo le due molecole semplificate di glicogeno illustrate di seguito, che contengono lo stesso numero di residui (cioè hanno la stessa lunghezza totale dei segmenti lineari) e lo stesso modello di ramificazione:

G

le catene del polimero, che iniziano con la catena più interna, attaccata alla glicogenina (G), hanno due ramificazioni (le catene più esterne ne sono prive). L’intera molecola è di forma approssimativamente sferica ed è organizzata in piani, o livelli: si ritiene che ve ne siano 12 nel glicogeno maturo (la figura ne mostra solo 4). Con due ramificazioni per ogni catena, il numero di catene in un dato piano è il doppio di quello del piano precedente, e il piano più esterno contiene circa la metà dei residui totali di glucosio (indipendentemente dal numero dei piani). Se il grado di ramificazione aumenta, per esempio, fino a tre per ogni catena, la proporzione di residui nel piano più esterno aumenta, ma aumenta anche la densità dei residui di glucosio: questo limita notevolmente la dimensione massima raggiungibile da una particella di glicogeno, e quindi il numero di residui che può ospitare. Di conseguenza, il glicogeno ha solo due ramificazioni per catena.

La molecola con le catene più corte è in grado di “compattare” meglio una quantità maggiore di residui di glucosio in un dato volume e possiede un numero maggiore di punti di attacco per la fosforilasi, ma solo la metà della quantità di glucosio può essere liberata prima che sia necessario effettuare una deramificazione (la deramificazione è un processo enzimatico molto più lento della fosforolisi). Nell’altra molecola, meno densa, le catene più lunghe aumentano il numero di residui che potrebbe essere continuamente liberato per fosforolisi; vi sono tuttavia meno punti di attacco. Il valore di 13 residui a quanto pare è un compromesso per riuscire a mobilizzare la massima quantità possibile di glucosio nel tempo più breve. L’amilopectina (Paragrafo. 8.2C), chimicamente simile al glicogeno, è una molecola molto più grande e con catene più lunghe; l’amilosio è tuttavia privo di ramificazioni. Evidentemente l’amido, al contrario del glicogeno, non è progettato per una mobilizzazione rapida del carburante metabolico.

[Figure adattate da Meléndez-Hevia, E., Waddell, T.G. e Shelton, E.D. (1993). Biochem. J. 295, 477-483.]

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Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

3 Il controllo del metabolismo del glicogeno CONCETTI CHIAVE

• I processi tra loro opposti di demolizione e di sintesi del glicogeno sono regolati reciprocamente da interazioni allosteriche e modificazioni covalenti di enzimi chiave.

• Il metabolismo del glicogeno è controllato dagli ormoni insulina, glucagone e adrenalina.

Se la sintesi e la demolizione del glicogeno avvenissero simultaneamente, il risultato sarebbe un’inutile idrolisi di UTP. Il metabolismo del glicogeno deve quindi essere controllato in funzione delle necessità cellulari. La regolazione del metabolismo del glicogeno comporta sia un controllo allosterico sia un controllo ormonale, tramite modificazione covalente degli enzimi regolatori della via metabolica.

A La glicogeno fosforilasi e la glicogeno sintasi sono sotto controllo allosterico

Come osservato nei Paragrafi 14.1E e 15.4B, il flusso netto, J, dei reagenti attraverso il passaggio di una via metabolica è la differenza tra le velocità della reazione diretta e di quella inversa, vf e vr. Tuttavia il flusso varia enormemente in funzione della concentrazione del substrato quando la reazione si avvicina alla condizione di equilibrio (vf ≈ vr). Il flusso attraverso una reazione che si trova in condizioni vicine all’equilibrio è quindi quasi incontrollabile. Una precisa regolazione del flusso di una via metabolica è possibile quando a un enzima che funziona in condizioni lontane dall’equilibrio è opposto un altro enzima controllato separatamente. Allora vf e vr variano in modo indipendente e vr può essere maggiore o minore di vf, permettendo di modulare la velocità e la direzione della reazione. Questa situazione si può riscontrare nel metabolismo del glicogeno, tramite le reazioni opposte catalizzate dalla glicogeno fosforilasi e dalla glicogeno sintasi. Sia la glicogeno fosforilasi sia la glicogeno sintasi sono sotto controllo allosterico da parte di effettori, tra cui ATP, G6P e AMP. La glicogeno fosforilasi muscolare è attivata dall’AMP e inibita dall’ATP e dal G6P. La glicogeno sintasi, invece, è attivata dal G6P. Questo suggerisce che quando vi è un’elevata richiesta di ATP (bassa [ATP], bassa [G6P] e alta [AMP]), la glicogeno fosforilasi è stimolata e la glicogeno sintasi è inibita, quindi è favorita la demolizione del glicogeno. Viceversa, quando [ATP] e [G6P] sono elevate, è favorita la sintesi di glicogeno. In vivo, questo schema allosterico è sovrapposto a un ulteriore sistema di controllo basato su una modificazione covalente. Per esempio, la fosforilasi a è attiva anche senza la stimolazione dell’AMP (Paragrafo 16.1A), e la glicogeno sintasi è essenzialmente inattiva (Paragrafo 16.2B), a meno che non sia defosforilata e sia presente G6P. Quindi la modificazione covalente (fosforilazione e defosforilazione) della glicogeno fosforilasi e della glicogeno sintasi fornisce un sistema di controllo più sofisticato che modula la capacità di risposta di questi enzimi nei confronti dei rispettivi effettori allosterici.

B La glicogeno fosforilasi e la glicogeno sintasi sono

sottoposte a controllo per modificazione covalente

L’interconversione delle forme a e b della glicogeno sintasi e della glicogeno fosforilasi è realizzata tramite un processo di fosforilazione e di defosforilazione (Paragrafo 12.3B) catalizzato da enzimi e sotto controllo ormonale (Paragrafo 13.2). I sistemi enzimatici interconvertibili per via enzimatica possono quindi rispondere a un numero più elevato di effettori rispetto ai semplici sistemi allosterici. Inoltre, numerose chinasi e fosfatasi correlate tra loro attraverso un meccanismo a cascata hanno un enorme potenziale di amplificazione del segnale e flessibilità nella risposta a differenti situazioni metaboliche. Si noti che la corre-

571

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Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

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lazione tra il processo di fosforilazione e l’attività enzimatica è diversa a seconda dell’enzima coinvolto. Per esempio, la glicogeno fosforilasi è attivata dalla fosforilazione (b n a), mentre la glicogeno sintasi è inattivata dalla fosforilazione (a n b). Viceversa, la defosforilazione inattiva la glicogeno fosforilasi e attiva la glicogeno sintasi. La cascata che governa l’interconversione enzimatica della glicogeno fosforilasi coinvolge tre enzimi (Figura 16.10).

La glicogeno fosforilasi è attivata dalla fosforilazione.

1. La fosforilasi chinasi, che fosforila specificamente la Ser 14 della glicogeno fosforilasi b. 2. La proteina chinasi A (PKA; Paragrafo 13.3C), che fosforila e quindi attiva la fosforilasi chinasi. 3. La fosfoproteina fosfatasi-1 (PP1; Paragrafo 13.2D) che defosforila e quindi inattiva sia la glicogeno fosforilasi a sia la fosforilasi chinasi. La fosforilasi b è sensibile agli effettori allosterici, ma la fosforilasi a lo è molto meno, come abbiamo già visto nel Paragrafo 12.3B (Figura 12.17). Nella cellula a riposo le concentrazioni di ATP e di G6P sono abbastanza elevate da inibire la fosforilasi b. Il livello di attività della fosforilasi è quindi determinato prevalentemente dalla quantità di enzima presente nella forma di fosforilasi a. La quantità di enzima fosforilato presente nello stato stazionario dipende dalle attività relative della fosforilasi chinasi, della PKA e della PP1. Ricordatevi che la PKA è attivata dal cAMP, un secondo messaggero prodotto dall’adenilato ciclasi in seguito all’attivazione stimolata da un ormone della proteina G eterotrimerica (Paragrafo 16.3C). Esamineremo ora i fattori che regolano le attività della fosforilasi chinasi e della PP1, prima di tornare a esaminare la regolazione dell’attività della glicogeno sintasi. La fosforilasi chinasi è attivata dalla fosforilazione e dal Ca2+. La fosforilasi chi-

nasi è una proteina di 1300 kD caratterizzata da quattro subunità diverse, dette

proteina chinasi A

ATP

ADP P

fosforilasi chinasi (meno attiva)

fosforilasi chinasi (più attiva) ATP

Pi

P

H2O

Figura 16.10 Il sistema enzimatico

di interconversione della glicogeno fosforilasi. La conversione della fosforilasi b (la forma meno attiva) in fosforilasi a (la forma più attiva) avviene mediante una fosforilazione catalizzata dalla fosforilasi chinasi, anch’essa attivata dalla fosforilazione da parte della proteina chinasi A (PKA). Sia la glicogeno fosforilasi a sia la glicogeno chinasi sono defosforilate dalla fosfoproteina fosfatasi-1.

ADP

glicogeno fosforilasi b (meno attiva)

Pi fosfoproteina fosfatasi-1

glicogeno fosforilasi a (più attiva)

H2O

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Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

a, b, g e d. La subunità g contiene il sito catalitico e le altre tre subunità svolgono una funzione regolatoria. La fosforilasi chinasi è attivata in massima parte dagli ioni Ca21 e dalla fosforilazione delle sue subunità a e b da parte della PKA. La subunità g della fosforilasi chinasi contiene un dominio di 386 residui a funzione chinasica, identico per il 36% alla sequenza della subunità C della PKA (Figura 13.21) e con una struttura simile (Figura 16.11). La subunità g non è soggetta a fosforilazione, come avviene anche per altre proteina chinasi, perché il residuo di Ser, Thr o Tyr che è fosforilato per attivare le altre chinasi è sostituito nella subunità g da un residuo di Glu. La carica negativa del residuo di Glu si comporta come quella del gruppo fosforico, interagendo con un residuo di Arg conservato che si trova in prossimità del sito attivo. Tuttavia il raggiungimento del massimo di attività catalitica della subunità g è impedito da un segmento autoinibitorio C-terminale, che si lega nel sito attivo della chinasi, bloccandolo in un modo simile a quello della subunità C della proteina chinasi A in cui l’accesso al sito sito attivo è impedito dalla subunità R. Anche un segmento inibitorio della subunità b può bloccare l’attività della subunità g. L’autoinibizione della fosforilasi chinasi è eliminata dalla fosforilazione di entrambe le subunità a e b (catalizzata dalla PKA). Questo presumibilmente determina lo spostamento laterale del segmento inibitorio b (non è chiaro il modo in cui la fosforilazione della subunità a regoli il comportamento dell’enzima). Tuttavia per una completa attivazione della subunità g è necessario anche il legame di Ca21 alla subunità d, nota anche come calmodulina (CaM; Paragrafo 13.4B; la CaM funziona sia come una proteina libera sia come una subunità di altre proteine). Concentrazioni di Ca21 anche dell’ordine di 1027 M attivano la fosforilasi chinasi, inducendo un cambiamento conformazionale nella CaM che favorisce il suo legame al segmeno autoinibitorio della subunità g e la rimozione del segmento dal suo sito catalitico (Figura 13.29). La conversione della glicogeno fosforilasi b in glicogeno fosforilasi a ad opera della fosforilasi chinasi aumenta la velocità di demolizione del glicogeno. Il significato fisiologico dell’attivazione della chinasi da parte del Ca21 sta nel fatto che la contrazione muscolare è un processo attivato da un aumento transitorio dei livelli citosolici del Ca21 (Paragrafo 7.2B) e in questo modo la velocità di demolizione del glicogeno è legata alla velocità di contrazione del muscolo. Questo è un fattore cruciale, perché la demolizione del glicogeno fornisce il carburante metabolico per la glicolisi in modo da sintetizzate l’ATP necessario per la contrazione muscolare. Poiché il rilascio di Ca21 avviene in risposta a impulsi nervosi, mentre la fosforilazione della fosforilasi chinasi è regolata dalla presenza di alcuni ormoni, i due segnali agiscono sinergicamente nelle cellule muscolari per stimolare la glicogenolisi. La fosfoproteina fosfatasi-1 è inibita dall’inibitore-1 della fosfoproteina fosfatasi. I livelli di attività di molti enzimi fosforilabili sono mantenuti in

uno stato stazionario mediante un equilibrio tra la velocità della reazione di fosforilazione, catalizzata dalla corrispondente chinasi, e la velocita della reazione opposta di defosforilazione idrolitica, catalizzata da una fosfatasi. La fosfoproteina fosfatasi-1 (PP1) rimuove i gruppi fosforici dalla glicogeno fosforilasi a, dalle subunità a e b della fosforilasi chinasi (Figura 16.10), e da altre proteine coinvolte nel metabolismo del glicogeno (vedi più avanti). La PP1 è controllata in modo diverso nel muscolo e nel fegato. Nel muscolo la subunità catalitica della fosfoproteina fosfatasi-1 (detta PP1c) è attiva solo quando è legata al glicogeno tramite la sua subunità GM, che lega il gli-

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Figura 16.11 Struttura ai raggi X della subunità 𝛄 della fosforilasi chinasi di coniglio, unita all’ATP e a un eptapeptide analogo del substrato naturale dell’enzima. Il dominio N-terminale è in rosa, il dominio C-terminale in azzurro, l’ansa di attivazione in blu, e l’eptapeptide in arancione, con il residuo che subisce la fosforilazione (Ser) in bianco. L’ATP è raffigurato con il modello spaziale e le catene laterali dei residui cataliticamente fondamentali, Arg 148, Asp 149 e Glu 182, sono mostrate con il modello a bastoncini, con i tipi di atomi colorati ciascuno in modo diverso (C in verde, N in blu, O in rosso e P in giallo). [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Louise Johnson, Oxford University, Oxford, GB. PDBid 2PHK.]

Confrontate questa struttura con le strutture della subunità C della proteina chinasi A (Figura 13.21) e del dominio tirosina chinasico del recettore dell’insulina (Figura13.5).

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Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi Insulina

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Proteina chinasi stimolata dall’insulina ADP

P1

ATP Glicogeno Subunità GM PP1c (più attiva)

Adrenalina

Diminuzione della fosforilazione, che aumenta la sintesi del glicogeno

ATP

Glicogeno Subunità GM PP1c (meno attiva)

Proteina chinasi A (PKA)

ADP

P1 Glicogeno Subunità GM ATP ADP

Figura 16.12 Regolazione della fosfoproteina fosfatasi-1 nel muscolo. Nel metabolismo del glicogeno, gli effetti antagonistici dell’insulina e dell’adrenalina si esercitano tramite la loro influenza sulla subunità catalitica della fosfoproteina fosfatasi-1, PP1c, tramite la sua subunità GM legata al glicogeno. I cerchi verdi e le frecce tratteggiate indicano attivazione.

L’effetto dell’insulina è coerente con il suo ruolo come segnale di abbondanza di nutrienti?

P2

+

PP1c

(inattiva)

Aumento della fosforilazione, che aumenta la demolizione del glicogeno

cogeno. L’attività della PP1c e la sua affinità per la subunità GM sono regolate dalla fosforilazione della subunità GM in due siti separati (Figura 16.12). La fosforilazione del sito 1 da parte di una proteina chinasi stimolata dall’insulina (un omologo della PKA e della subunità g della fosforilasi chinasi) attiva la PP1c, mentre la fosforilazione del sito 2 da parte della PKA (che può fosforilare anche il sito 1) causa il rilascio della PP1c nel citoplasma; in questa localizzazione la PP1c non può defosforilare gli enzimi legati al glicogeno e coinvolti nel suo metabolismo. Nel citosol, la fosfoproteina fosfatasi-1 è inoltre inibita dal legame alla proteina inibitore 1 della fosfoproteina fosfatasi. Quest’ultima proteina è un altro esempio di controllo mediante modificazione covalente: anch’essa è attivata dalla PKA e disattivata dalla fosfoproteina fosfatasi-1 (Figura 16.13, in basso a sinistra). Quindi, la concentrazione di cAMP controlla la frazione di enzima presente in forma fosforilata, non solo aumentando la sua velocità di fosforilazione, ma diminuendo anche la sua velocità di defosforilazione. Nel caso della glicogeno fosforilasi, un aumento di [cAMP] non solo causa un aumento della velocità di attivazione dell’enzima, ma anche una diminuzione della sua velocità di disattivazione. Anche nel fegato la PP1 è legata al glicogeno, ma tramite una subunità che lega il glicogeno detta GL. Al contrario di GM, GL non è soggetta al controllo mediante fosforilazione. L’attività del complesso PP1 ? GL è controllata dal suo legame alla glicogeno fosforilasi a. Sia la forma T sia la forma R della fosforilasi a si legano fortemente alla PP1, ma solo nello stato T il gruppo fosforico della Ser 14 è accessibile all’idrolisi (nello stato R il gruppo fosforico della Ser 14 è “sepolto” in corrispondenza dell’interfaccia del dimero; Figura 12.16). Di conseguenza, quando la fosforilasi a è nella forma R attiva, è in grado di sequestrare efficacemente la fosfoproteina fosfatasi-1. Tuttavia, quando la fosforilasi a si converte nello stato T (vedi più avanti), la PP1 idrolizza il gruppo fosforico della Ser 14, che diventa accessibile, con la conseguente conversione della fosforilasi a in fosforilasi b, che ha bassa affinità per il complesso PP1 · GL. Un effetto della defosforilazione della fosforilasi a è quindi quello di rimuovere l’inibizione della PP1. Poiché le cellule del fegato contengono una concentrazione di glicogeno fosforilasi 10 volte maggiore rispetto a quella della PP1, la fosfatasi non è

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Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

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R2C2 proteina chinasi A (inattiva)

2C proteina chinasi A + R2(cAMP)4 (attiva)

cAMP

ATP

SISTEMA DI FOSFORILAZIONE

P P

ADP

(α β γ δ)4 fosforilasi chinasi b

(α β γ δ)4 fosforilasi chinasi a Pi

575

altre chinasi

H2O

ATP

P

ADP

glicogeno fosforilasi b

glicogeno fosforilasi a Pi

H2O

ATP

ADP

glicogeno sintasi a

P glicogeno sintasi b

Pi

H2O

P inibitore-1 della fosfoproteina fosfatasi a

fosfoproteina fosfatasi-1 (attiva)

fosfoproteina fosfatasi-1 (inattiva)

ATP

ADP

inibitore-1 della fosfoproteina fosfatasi b

P inibitore-1 della fosfoproteina fosfatasi a

Pi

H2O

SISTEMA DI DEFOSFORILAZIONE

rilasciata fino a quando più del 90% circa della glicogeno fosforilasi è nella forma b. Solo allora la PP1 può defosforilare le altre sue proteine bersaglio, tra cui la glicogeno sintasi. Il glucosio è un inibitore allosterico della fosforilasi a (Figura 12.17). Di conseguenza, quando la concentrazione di glucosio è alta, la fosforilasi a si trasforma nella forma T, determinando la sua defosforilazione, ma anche quella della glicogeno sintasi. Il glucosio è un importante regolatore del metabolismo del glicogeno nel fegato. La glicogeno sintasi è regolata in modo molto elaborato. La fosforilasi chinasi,

che attiva la glicogeno fosforilasi, fosforila e quindi inattiva anche la glicogeno sintasi. Altre otto proteina chinasi, fra le quali la PKA, la fosforilasi chinasi e la glicogeno sintasi chinasi 3b (GSK3b; Figura 13.31) sono in grado di disattivare almeno in parte la glicogeno sintasi umana del muscolo, attraverso la fosforilazione di uno o più dei nove residui di Ser presenti su ciascuna delle subunità della sintasi (Figura 16.13). Non è ancora stato chiarito il motivo di questa regolazione così elaborata della glicogeno sintasi. L’equilibrio tra sintesi e degradazione netta di glicogeno, e la velocità di questi due processi, dipendono dalle attività relative della glicogeno sintasi e della glicogeno fosforilasi. La velocità di fosforilazione e di defosforilazione di questi enzimi controlla in gran parte la sintesi e la degradazione del glicogeno. I due processi sono correlati dalla PKA e dalla fosforilasi chinasi che, tramite una rea-

Figura 16.13 I principali sistemi di fosforilazione e di defosforilazione che regolano il metabolismo del glicogeno nel muscolo. Gli enzimi attivati sono indicati dai riquadri in verde, mentre quelli disattivati sono indicati dai riquadri in rosso. Le frecce tratteggiate indicano una facilitazione nella reazione di fosforilazione o di defosforilazione.

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zione di fosforilazione, attivano la fosforilasi e contemporaneamente inattivano la glicogeno sintasi (Figura 16.13). I due processi sono inoltre collegati tramite la PP1, che nel fegato è inibita dalla fosforilasi a ed è quindi incapace di attivare (defosforilare) la glicogeno sintasi, a meno che prima non inattivi (mediante defosforilazione) la fosforilasi a. Naturalmente il controllo da parte degli effettori allosterici si sovrappone al controllo mediato dalla modificazione covalente; per esempio, la disponibilità del substrato G6P (che attiva la glicogeno sintasi) influenza anche la velocità di incorporazione dei residui di glucosio nel glicogeno. Le carenze ereditarie di enzimi coinvolti nel metabolismo del glicogeno possono compromettere il delicato controllo di questa via metabolica e causare varie patologie (Scheda 16.2).

C Il metabolismo del glicogeno è soggetto a controllo ormonale

Nel fegato il metabolismo del glicogeno è controllato prevalentemente dagli ormoni polipeptidici insulina (Figura 5.1) e glucagone che agiscono l’uno in senso opposto all’altro. Il glucagone, + H3N

His

Ser

Gln

Gly

Thr

Phe

Thr

Ser

Asp

Tyr

10

Ser

Lys

Tyr

Leu

Asp

Ser

Arg

Arg

Ala

Gln

20

Asp

Phe

Val

Gln

Trp

Leu

Met

Asn

Thr

COO– 29

Glucagone

come l’insulina, è sintetizzato dal pancreas in base alla concentrazione di glucosio presente nel sangue. Nei muscoli e in altri tessuti il controllo è esercitato dall’insulina e dagli ormoni adrenergici adrenalina e noradrenalina (Paragrafo 13.1B). Questi ormoni influenzano il metabolismo nei loro tessuti bersaglio, stimolando la modificazione covalente (fosforilazione) degli enzimi regolatori. Il processo avviene mediante il loro legame a recettori transmembrana che si trovano sulla superficie delle cellule. Tipi cellulari diversi hanno un corredo di recettori differenti e quindi rispondono a una diversa serie di ormoni. Le risposte a questi ormoni determinano il rilascio all’interno della cellula di molecole conosciute generalmente come secondi messaggeri, i mediatori intracellulari del messaggio ormonale pervenuto dall’esterno. Recettori diversi favoriscono la formazione di secondi messaggeri diversi. Il cAMP, identificato da Earl Sutherland negli anni ’50, è stato il primo tra i secondi messaggeri a essere scoperto. Il Ca21, rilasciato nel citosol dai depositi intracellulari, è un altro secondo messaggero. I recettori e i secondi messaggeri sono stati trattati in maggiore dettaglio nel Capitolo 13. Quando una stimolazione ormonale determina un aumento intracellulare della concentrazione di cAMP, aumenta l’attività della PKA, con conseguente aumento della velocità di fosforilazione di molte proteine e la contemporanea diminuzione della loro velocità di defosforilazione. A causa della natura a cascata del sistema regolatorio schematizzato nella Figura 16.13, una piccola variazione di [cAMP] determina un notevole cambiamento nella quantità di enzimi fosforilati. Quando un’alta percentuale degli enzimi del metabolismo del glicogeno è in forma fosforilata, il flusso metabolico avviene nella direzione della degradazione del glicogeno, poiché la glicogeno fosforilasi è attiva e la glicogeno sintasi è inattiva. Quando la [cAMP] diminuisce, decresce la velocità di fosforilazione e aumenta la quantità di enzimi in forma defosforilata. L’attivazione della glicogeno sintasi e l’inibizione della glicogeno fosforilasi che conseguono invertono la direzione del flusso verso la sintesi netta di glicogeno. Nelle cellule epatiche il legame del glucagone al suo recettore favorisce un aumento intracellulare di cAMP e causa la mobilizzazione del glucosio dai depositi di glicogeno (Figura 16.14). Il glucagone è rilasciato dal pancreas quando

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Pancreas Cellula del fegato (epatocita)

Glucagone Recettore β-adrenergico

Cellula muscolare (miocita)

Ghiandole surrenali Adrenalina Adrenalina

Degradazione del glicogeno

Recettore β-adrenergico

cAMP

β

Recettore α-adrenergico

Recettore del glucagone

β α

cAMP

Glucosio Ca2+

Sintesi del glicogeno Glicolisi

Degradazione del glicogeno

Recettore dell’insulina

Insulina

Trasportatore del glucosio GLUT4

Pancreas Glucosio

Sintesi del glicogeno

Insulina

Glucosio

Recettore dell’insulina Trasportatore del glucosio GLUT2

la concentrazione di glucosio circolante scende a meno di ∼5 mM, come durante l’attività fisica o alcune ore dopo la digestione di un pasto. Il glucagone è quindi di fondamentale importanza per la funzione epatica di rifornire di glucosio i tessuti che dipendono principalmente dalla glicolisi per soddisfare le loro necessità energetiche. Le cellule muscolari non rispondono al glucagone perché sono prive dello specifico recettore. L’adrenalina e la noradrenalina, spesso dette ormoni “combatti o fuggi”, sono rilasciate nel sangue dalle ghiandole surrenali in risposta a situazioni di stress. Vi sono due tipi di recettori per questi ormoni: il recettore b-adrenergico, legato al sistema dell’adenilato ciclasi, e il recettore a-adrenergico, il cui secondo messaggero causa un aumento nella [Ca21] intracellulare (Paragrafo 13.4A). Le cellule muscolari, che hanno recettori b-adrenergici (Figura 16.14), rispondono all’adrenalina demolendo il glicogeno per la glicolisi, producendo pertanto ATP che consente ai muscoli di fronteggiare lo stress che ha causato il rilascio di adrenalina. Le cellule del fegato rispondono all’adrenalina in modo diretto e indiretto. L’adrenalina favorisce il rilascio di glucagone dal pancreas, e il legame di questo ormone al suo recettore sulle cellule epatiche stimola la demolizione del glicogeno, come descritto in precedenza. L’adrenalina si lega direttamente anche a entrambi i recettori a- e b-adrenergici sulla superficie delle cellule del fegato (Figura 16.14). Il legame al recettore b-adrenergico causa un aumento intracellulare di [cAMP], che porta alla demolizione del glicogeno. Il legame dell’adrenalina al recettore a-adrenergico stimola un aumento della [Ca21] intracellulare, rinforzando la risposta cellulare al cAMP (ricordate che la fosforilasi chinasi, che attiva la glicogeno fosforilasi e inattiva la glicogeno sintasi, è completamente attiva solo quando è fosforilata e in presenza di un aumento di [Ca21]). Inoltre, la glicogeno sintasi è inattivata mediante un processo di fosforilazione catalizzato da alcune proteine chinasi Ca21-dipendenti. L’insulina e l’adrenalina sono ormoni antagonisti. L’insulina è rilasciata dal pan-

creas in risposta ad alti livelli di glucosio circolante (per esempio, immediatamente dopo un pasto). La stimolazione ormonale dell’insulina aumenta la velocità di trasporto del glucosio nei numerosi tipi cellulari che possiedono sulla loro superficie sia i recettori per l’insulina sia i trasportatori del glucosio sensibili all’insulina chiamati GLUT4 (per esempio, le cellule muscolari e adipose, ma non le cellule del fegato e del cervello). Inoltre la [cAMP] diminuisce, indirizzando il me-

Figura 16.14 Controllo ormonale del metabolismo del glicogeno. Il legame dell’adrenalina ai recettori b-adrenergici delle cellule del fegato e del muscolo causa un aumento intracellulare di [cAMP], che promuove la degradazione del glicogeno a G6P, necessaria per la glicolisi (nel muscolo), oppure a glucosio libero, destinato all’esportazione fuori dalla cellula (nel fegato). Il fegato risponde in modo simile al glucagone. Il legame dell’adrenalina ai recettori a-adrenergici che si trovano sulle cellule del fegato causa un aumento della [Ca2+] citosolica, che favorisce la degradazione del glicogeno. Quando il glucosio circolante è abbondante, l’insulina stimola l’assorbimento di glucosio e la sintesi del glicogeno nelle cellule muscolari. Il fegato risponde direttamente all’aumento di concentrazione del glucosio, incrementando la sintesi del glicogeno.

Spiegate come mai un determinato ormone evochi risposte differenti in tessuti diversi.

CAPITOLO 16

578

Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

PUNTO DI VERIFICA

• Riassumete gli effetti dell’AMP e del G6P sulla glicogeno fosforilasi e sulla glicogeno sintasi.

• Riassumete gli effetti della fosforilazione e della defosforilazione sulla glicogeno fosforilasi e sulla glicogeno sintasi.

• Perché un sistema di fosforilazione/ defosforilazione permette una regolazione più fine di un processo metabolico rispetto ad un semplice sistema allosterico?

• Disegnate un grafico simile a quello mostrato nella Figura 16.13, che illustri come una chinasi e una fosfatasi possono regolare le attività di due enzimi che catalizzano processi opposti.

• In che cosa si differenzia la regolazione del metabolismo del glicogeno nel fegato e nel muscolo?

• Riassumete gli effetti dell’insulina, del glucagone e dell’adrenalina sul metabolismo del glicogeno.

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tabolismo del glicogeno verso la sintesi (Figura 16.14). Il meccanismo d’azione dell’insulina è molto complesso (Paragrafi 13.4D e 22.2), ma uno dei suoi enzimi bersaglio sembra proprio la PP1. Come evidenziato nella Figura 16.12, nel muscolo l’insulina attiva la proteina chinasi stimolata dall’insulina, che fosforila il sito 1 della subunità GM della PP1 che lega il glicogeno, in modo da attivare questa proteina e quindi defosforilare gli enzimi del metabolismo del glicogeno. La conservazione del glucosio sotto forma di glicogeno è quindi favorita tramite l’inibizione della degradazione del glicogeno e la stimolazione della sua sintesi. Nel fegato, l’insulina stimola la sintesi di glicogeno inibendo la glicogeno sintasi chinasi 3b (GSK3b; Figura 13.31). La diminuzione della fosforilazione della glicogeno sintasi aumenta la sua l’attività. Inoltre, sembra probabile che lo stesso glucosio possa essere un messaggero a cui risponde il sistema del metabolismo del glicogeno. Il glucosio inibisce la fosforilasi a legandosi allo stato inattivo T dell’enzima e quindi spostando l’equilibrio T 34 R verso lo stato T (Figura 12.17). Questa modificazione conformazionale espone il gruppo fosforico della Ser 14 alla defosforilazione. Un aumento nella concentrazione del glucosio favorisce quindi l’inattivazione della glicogeno fosforilasi a mediante la sua trasformazione in fosforilasi b. In questo modo, quando il glucosio è abbondante, il fegato può accumulare l’eccesso di monosaccaride sotto forma di glicogeno.

• Quali sono gli effetti intracellulari del cAMP e del Ca2+?

4 La gluconeogenesi CONCETTI CHIAVE

• Il fegato e il rene possono sintetizzare glucosio a partire da lattato, piruvato e amminoacidi.

• La gluconeogenesi è in larga parte l’inverso della glicolisi, in cui la reazione catalizzata dalla piruvato chinasi viene aggirata dalle reazioni catalizzate dalla piruvato carbossilasi e dalla fosfoenolpiruvato carbossichinasi, mentre le reazioni della fosfofruttochinasi e dell‘esochinasi sono aggirate da reazioni fosfatasiche.

• La glicolisi e la gluconeogenesi sono reciprocamente regolate tramite effetti allosterici, fosforilazioni e cambiamenti della velocità di sintesi degli enzimi.

O

O C –O

CH2

C

Ossalacetato

O C – O

Quando le fonti di glucosio non sono disponibili e quando il fegato ha esaurito la sua riserva di glicogeno, il glucosio è sintetizzato da precursori non saccaridici mediante la gluconeogenesi. In effetti la gluconeogenesi fornisce una quantità rilevante del glucosio prodotto negli esseri umani in condizioni di digiuno, persino a poche ore dall’ultimo pasto. La gluconeogenesi avviene nel fegato e, in misura minore, nel rene. I precursori non saccaridici che possono essere trasformati in glucosio comprendono i prodotti glicolitici lattato e piruvato, gli intermedi del ciclo dell’acido citrico e gli scheletri carboniosi della maggior parte degli amminoacidi. Tuttavia, per prima cosa, queste sostanze devono essere tutte trasformate nel composto a quattro atomi di carbonio ossalacetato (a sinistra), che è un intermedio del ciclo dell’acido citrico (Paragrafo 17.1). Gli unici amminoacidi che negli animali non possono essere trasformati in ossalacetato sono la leucina e la lisina, perché la loro demolizione porta alla formazione solo di acetil-CoA (Paragrafo 21.4E) e negli animali non vi è alcuna via metabolica per la conversione di acetil-CoA in ossalacetato. Analogamente, negli animali gli acidi grassi non possono servire da precursori per il glucosio in quanto la maggior parte degli acidi grassi è degradata completamente ad acetil-CoA (Paragrafo 20.2). In compenso, però, la degradazione degli acidi grassi genera l’ATP che viene utilizzato nella gluconeogenesi. Per praticità, considereremo la gluconeogenesi come la via mediante la quale il piruvato è convertito in glucosio. La maggior parte delle reazioni della gluconeogenesi sono reazioni glicolitiche che procedono in direzione inversa (Figura 16.15). Tuttavia gli enzimi glicolitici esochinasi, fosfofruttochinasi e piruva-

CAPITOLO 16

Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

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Glucosio Pi glucosio-6fosfatasi H2O

ATP esochinasi ADP Glucosio-6-fosfato fosfoglucosio isomerasi

ATP fosfofruttochinasi ADP

Fruttosio-1,6-bisfosfato aldolasi triosio fosfato isomerasi

Diidrossiacetone fosfato Pi

+ NAD+

NADH + H+

Gliceraldeide-3fosfato

NAD+ + Pi gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi NADH + H+

1,3-Bisfosfoglicerato ADP

ADP fosfoglicerato chinasi ATP ATP 3-Fosfoglicerato fosfoglicerato mutasi 2-Fosfoglicerato enolasi CO2 + GDP

Fosfoenolpiruvato

PEPCK ADP

GTP Ossalacetato Pi + ADP piruvato carbossilasi

Figura 16.15 Confronto tra la glicolisi e la gluconeogenesi. Le frecce rosse indicano le reazioni catalizzate da diversi enzimi nella gluconeogenesi. Le altre sette reazioni della gluconeogenesi sono catalizzate da enzimi glicolitici che operano in condizioni vicine all’equilibrio.

Identificate le tappe irreversibili della glicolisi e della gluconeogenesi.

Fruttosio-6-fosfato Pi fruttosio bisfosfatasi H2O

579

piruvato chinasi ATP Piruvato

ATP + CO2

to chinasi catalizzano reazioni con notevoli variazioni di energia libera. Queste reazioni devono essere sostituite nella gluconeogenesi da reazioni che rendano la sintesi del glucosio termodinamicamente favorevole.

A Il piruvato viene convertito in fosfoenolpiruvato in due tappe

Inizieremo l’esame delle reazioni caratteristiche della gluconeogenesi considerando la conversione del piruvato in fosfoenolpiruvato (PEP). Poiché questa tappa è l’inverso della reazione altamente esoergonica catalizzata dalla piruvato chinasi (Paragrafo 15.2J), è necessario l’impiego di energia libera. Il processo è reso possibile dalla conversione del piruvato in ossalacetato. L’ossalacetato è un intermedio “ad alta energia” perché la sua decarbossilazione esoergonica fornisce l’energia libera necessaria per la sintesi del PEP. Il processo richiede due enzimi (Figura 16.16).

CAPITOLO 16

580

Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

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PO23– O CH3

O

C

– O

C

Piruvato

O

piruvato carbossilasi

–O

1 HCO3– + ATP

ADP + Pi

C

O CH2

O

C

PEPCK

O–

C

Ossalacetato

CH2

2 GDP + CO2

GTP

O

O

C

C

O–

Fosfoenolpiruvato (PEP)

Figura 16.16 La conversione del piruvato in fosfoenolpiruvato (PEP). Questo processo richiede (1) piruvato carbossilasi per trasformare il piruvato in ossalacetato e (2) PEP carbossichinasi (PEPCK) per trasformare l’ossalacetato in PEP.

1. La piruvato carbossilasi catalizza la formazione ATP-dipendente di ossalacetato, a partire da piruvato e HCO2 3. 2. La PEP carbossichinasi (PEPCK) trasforma l’ossalacetato in PEP, mediante una reazione che utilizza GTP come donatore di un gruppo fosforico.

Qual è il costo, in equivalenti di ATP, dell’aggiunta di un gruppo a un atomo di carbonio e della sua rimozione?

to carbossilasi è una proteina tetramerica costituita da subunità identiche di circa 1160 residui: ogni subunità ha il gruppo prostetico costituito da biotina. La biotina (Figura 16.17a) è un trasportatore di CO2, legando un carbossile a livello del suo gruppo ureidico (Figura 16.17b). La biotina è legata in modo covalente a un residuo di Lys dell’enzima; questo complesso è detto residuo di biocitina (oppure biotinil-lisina) (Figura 16.17b). Il sistema ad anello della biotina si trova quindi all’estremità di un braccio flessibile lungo 14 Å. La biotina, che è stata identificata per la prima volta nel 1935 come fattore di crescita per il lievito, è un nutriente essenziale per gli esseri umani: la sua carenza nella dieta è tuttavia rara perché la biotina è presente in molti cibi ed è sintetizzata dai batteri intestinali. La reazione della piruvato carbossilasi avviene in due fasi (Figura 16.18).

Figura 16.17 Biotina ed enzima carbossibiotinilato. (a) La biotina è costituita da un anello imidazolico fuso con legame cis a un anello tetraidrotiofenico che possiede una catena laterale di valerato. Le posizioni 1, 2 e 3 costituiscono un gruppo ureidico. (b) La biotina è attaccata covalentemente alle carbossilasi mediante un legame amidico tra il gruppo carbossilico della sua catena laterale di valerato e il gruppo ε-amminico della catena laterale di una Lys dell’enzima. L’enzima carbossibiotinilato si forma quando l’N1 del gruppo ureidico della biotina viene carbossilato.

La piruvato carbossilasi contiene biotina come gruppo prostetico. La piruva-

Fase I La scissione dell’ATP in ADP agisce in modo da deidratare il bicarbonato tramite la formazione di un intermedio carbossifosfato “ad alta energia”. La reazione della risultante molecola di CO2 con la biotina è esoergonica. Il gruppo carbossilico legato alla biotina è quindi “attivato” rispetto allo ione bicarbonato e può essere trasferito a un’altra molecola senza richiedere altra energia libera. Fase II Il gruppo carbossilico attivato è trasferito dalla carbossibiotina al piruvato, in una reazione in tre tappe che forma ossalacetato.

Queste due fasi della reazione complessiva avvengono in due diversi sottositi dello stesso enzima; il braccio flessibile di biocitina, lungo 14 Å, trasporta l’anello biotinico da un sito all’altro. L’ossalacetato è un precursore della gluconeogenesi ma anche un intermedio nel ciclo dell’acido citrico (Paragrafo 17.3). Quando si accumula l’acetil-CoA, il substrato del ciclo dell’acido citrico, questo composto attiva allostericamente la piruvato carbossilasi, aumentando così la quantità di ossalacetato che può partecipare al ciclo dell’acido citrico. Quando l’attività del ciclo dell’acido citrico è bassa, l’ossalacetato entra nella via gluconeogenica.

(a)

(b) O

O O

C HN1 H

2

C

H2C 6

C 4 5

C

3 NH

C

S Biotina

N

NH

–O

H

O

H CH2

CH2

CH2

CH2

COO–

Catena laterale di valerato

(CH2)4 S

C

O NH

(CH2)4

C CH NH

Enzima carbossibiotinilato Residuo di Lys

CAPITOLO 16

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Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

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SCHEMA DI PROCESSO Fase I

Adenosina P

O

P

O

O–

O

O–

O–

P

O

ADP

–O

O

+

HO

C

O–

ATP

O C

O–

1 L’ATP e il bicarbonato formano il carbossifosfato.

OH

O

P

O



..

O

O

Carbossifosfato Enzima biotinilato

Pi

2 Produzione di CO2. O O–

O

O C

N

NH

C

O

O S

(CH2)4

O

C

NH

(CH2)4

E

+

.. HN

O

3 Carbossilazione della biotina per mezzo di CO2.

Enzima carbossibiotinilato

NH

(CH2)4

S

C

(CH2)4

NH

E

Enzima biotinilato

Fase II –

OOC

O

O C



Piruvato

OOC

O

O

O

O– C

N

C

NH 4 Si produce CO2 a livello del sito attivo mediante l’eliminazione dell’enzima biotinilato.

O Enzima carbossibiotinilato

Piruvato enolato

N

NH 5 Il piruvato dona un protone al gruppo biotinilato generando il piruvato in forma enolica.

O

La PEP carbossichinasi catalizza la reazione di formazione del PEP. La PEPCK,

un enzima monomerico contenente circa 610 residui, catalizza la decarbossilazione/fosforilazione GTP-dipendente dell’ossalacetato, formando PEP e GDP (Figura 16.19). Si noti che il CO2 che carbossila il piruvato per ottenere ossalacetato viene eliminato durante la formazione di PEP. La reazione favorevole di decarbossilazione determina la formazione di un enolo che in seguito è fosforilato dal GTP. L’ossalacetato può quindi essere considerato come una forma di piruvato “attivato”, con CO2 e biotina che ne facilitano l’attivazione a spese dell’ATP.

OOC

O

C

C

CH 2

CH 2

O C



O–

OOC

O–

H +

NH



CH 2

H

+

HN

C

CH 2

Enzima biotinilato

+

O

C

6 L’enolato conduce un attacco nucleofilico sul CO2.

O

O– Ossalacetato

Figura 16.18 Il meccanismo di reazione a due fasi della piruvato carbossilasi. [Da Knowles, J.R. (1989). Annu. Rev. Biochem. 58, 217.]

PO23– O

O C

CH 2

C

+

C O–

–O

O

O

O –O

P O–

O

P O–

O O

P

O O

Guanosina

PEPCK

CH 2

C

O C O–

O– GDP

Ossalacetato

GTP

+ CO2

Figura 16.19 Il meccanismo di reazione della PEPCK. La decarbossilazione dell’ossalacetato (un β-chetoacido) forma un

Fosfoenolpiruvato (PEP)

anione enolato, stabilizzato per risonanza, il cui atomo di ossigeno attacca il gruppo fosforico γ del GTP, producendo PEP e GDP.

582

CAPITOLO 16

Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

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La gluconeogenesi richiede un passaggio di metaboliti tra mitocondri e citosol.

La formazione di ossalacetato a partire dal piruvato o dagli intermedi del ciclo dell’acido citrico avviene solo nel mitocondrio, mentre gli enzimi che convertono il PEP in glucosio appartengono al citosol. La localizzazione cellulare della PEPCK è variabile: in alcune specie è mitocondriale, in altre è citosolica, in altre ancora (compreso l’uomo) l’enzima è equamente distribuito tra i due compartimenti. Perché possa avvenire la gluconeogenesi, l’ossalacetato deve lasciare i mitocondri per essere trasformato in PEP, oppure il PEP formato in questi organelli deve passare nel citosol. Il PEP è trasportato attraverso la membrana mitocondriale tramite specifiche proteine trasportatrici di membrana. Non esiste tuttavia un simile sistema di trasporto per l’ossalacetato. Nelle specie in cui la PEPCK è citosolica, l’ossalacetato deve essere prima trasformato in aspartato (Figura 16.20, via 1) o in malato (Figura 16.20, via 2), per i quali esiste un sistema di trasporto mitocondriale. La differenza tra queste due vie riguarda il trasporto degli equivalenti riducenti del NADH (nel trasporto degli equivalenti riducenti, gli elettroni, ma non il trasportatore degli elettroni, attraversano la membrana). La via della malato deidrogenasi (via 2) trasferisce equivalenti riducenti dal mitocondrio al citosol, poiché utilizza NADH mitocondriale e produce NADH citosolico. La via dell’aspartato amminotransferasi (via 1) non coinvolge il NADH. Il NADH citosolico è necessario per la gluconeogenesi, quindi, nella maggior parte delle condizioni, la via del malato è una necessità. Tuttavia, quando il precursore della gluconeogenesi è il lattato, la sua ossidazione a piruvato genera NADH citosolico, e quindi è possibile usare entrambi i sistemi di trasporto. Tutte le reazioni riportate nella Figura 16.20 sono reversibili, quindi, in condizioni appropriate, il sistema na-

Citosol

COO– HO

C

H

Membrana mitocondriale interna

Mitocondrio

COO– C

HO

CH2

CH2

COO–

Malato

NAD+ malato deidrogenasi NADH + H+

COO–

Malato

NAD+ malato deidrogenasi

Via 2

NADH + H+ COO–

COO– C

Figura 16.20 Il trasporto del PEP e dell’ossalacetato dal mitocondrio al citosol. Il PEP è trasportato direttamente tra questi compartimenti. L’ossalacetato, invece, deve prima essere trasformato in aspartato tramite l’azione dell’aspartato amminotransferasi (via 1) o in malato dalla malato deidrogenasi (via 2). La via 2 richiede l’ossidazione mitocondriale del NADH, seguita dalla riduzione del NAD+ citosolico, e quindi trasferisce anche gli equivalenti riducenti del NADH dal mitocondrio al citosol.

Spiegate perché il malato e l’aspartato sono considerati entrambi precursori gluconeogenici.

O

Ossalacetato

Ossalacetato

C

O

CH2

CH2

COO–

COO–

Amminoacido aspartato amminotransferasi α-Cheto acido COO– + H3N

H

C

Amminoacido aspartato amminotransferasi

Via 1

Aspartato

Aspartato

H

α-Cheto acido COO– + H3N

C

H

CH2

CH2

COO–

COO–

Gluconeogenesi

PEP

PEP

CAPITOLO 16

Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

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vetta malato-aspartato è in grado di trasportare anche gli equivalenti riducenti del NADH nei mitocondri per la fosforilazione ossidativa (Paragrafo 18.1B). Il fegato ha una variante della via 1 in cui l’aspartato che entra nel citosol è deamminato tramite il ciclo dell’urea e in seguito trasformato in ossalacetato tramite una serie di reazioni (Paragrafo 21.3A).

B Reazioni idrolitiche aggirano quelle irreversibili della glicolisi La via che porta dal PEP al fruttosio-1,6-bisfosfato (FBP) è catalizzata dagli enzimi della glicolisi che funzionano in direzione inversa. Tuttavia le reazioni glicolitiche catalizzate dalla fosfofruttochinasi (PFK) e dall’esochinasi sono endoergoniche nella direzione della gluconeogenesi e quindi devono essere catalizzate da enzimi gluconeogenici diversi. L’FBP è idrolizzato dalla fruttosio-1,6-bisfosfatasi (FBPasi). Il fruttosio-6-fosfato (F6P) risultante è isomerizzato a G6P, che è in seguito idrolizzato dalla glucosio-6-fosfatasi, lo stesso enzima che trasforma in glucosio il G6P che deriva dal glicogeno (Paragrafo 16.1C) e che è presente solo nel fegato e nel rene. Si noti che queste due reazioni idrolitiche rilasciano Pi e non invertono le reazioni ATP n ADP che avvengono a questo punto nella via glicolitica. Il costo energetico netto per la trasformazione di due molecole di piruvato in una di glucosio tramite la gluconeogenesi è di sei equivalenti di ATP: due per ciascuna delle reazioni catalizzate dalla piruvato carbossilasi, dalla PEPCK e dalla fosfoglicerato chinasi (Figura 16.5). Poiché la resa energetica per trasformare una molecola di glucosio in due molecole di piruvato attraverso la via glicolitica è di due ATP (Paragrafo 15.1), il costo energetico del ciclo futile in cui il glucosio è convertito in piruvato e quindi risintetizzato è di quattro equivalenti di ATP. Queste perdite di energia libera costituiscono il prezzo termodinamico da pagare per mantenere una regolazione indipendente delle due opposte vie metaboliche. Anche se il glucosio è considerato il punto finale della via gluconeogenica, è possibile dirottare altrove gli intermedi della via, per esempio tramite le reazioni della transchetolasi e della transaldolasi nella via del pentosio fosfato (Paragrafo 15.6C) per produrre ribosio-5-fosfato. Il G6P prodotto dalla gluconeogenesi può anche non essere idrolizzato a glucosio, ma essere trasformato invece in G1P per essere incorporato nel glicogeno.

CONCETTI DI BASE Come le cellule usano l’ATP Quando per un processo endoergonico è richiesto l’ATP (o un altro nucleoside trifosfato), esso non si comporta come uno spettatore, ma prende parte alla reazione. La partecipazione dell’ATP comporta la rottura netta di uno o più dei suoi legami fosfoanidridici. Se la reazione avvenisse in modo isolato, l’energia libera verrebbe dispersa sotto forma di calore. Ma nelle cellule, la reazione esoergonica della rottura del legame è accoppiata a una reazione endoergonica, in molti casi attraverso il trasferimento di un gruppo fosforico dal nucleotide a un altro composto. Come abbiamo visto, la reazione dell’ATP è il prezzo che la cellula paga per far avvenire una reazione altrimenti sfavorita.

Glucosio glucosio-6fosfato

–5,1

–32,9

esochinasi

G6P

F6P FBPasi

–8,6

–24,5

PFK

FBP

C La gluconeogenesi e la glicolisi sono regolate in modo indipendente

PEP

Le due vie opposte della gluconeogenesi e della glicolisi, come la sintesi e la degradazione del glicogeno, in vivo non procedono contemporaneamente, ma sono regolate reciprocamente per soddisfare le necessità dell’organismo. Vi sono tre cicli del substrato e quindi tre punti di controllo potenziali per la regolazione del flusso glicolitico nei confronti del flusso della gluconeogenesi (Figura 16.21). Il fruttosio-2,6-bisfosfato attiva la fosfofruttochinasi e inibisce la fruttosio-1,6-bisfosfatasi. Il flusso netto attraverso il ciclo del substrato creato dalle

reazioni opposte della PFK e della FBPasi (descritto nel Paragrafo 15.4B) è determinato dalla concentrazione di fruttosio-2,6-bisfosfato (F2,6P). –2

O3P

O

OH2C

O

PO2– 3

H HO H

CH2OH HO

H

b-D-Fruttosio-2,6-bisfosfato (F2,6P)

piruvato carbossilasi + PEPCK

–22,6 –26,4

piruvato chinasi

Piruvato Figura 16.21 Cicli del substrato presenti nel metabolismo del glucosio. Le interconversioni di glucosio e G6P, F6P e FBP, PEP e piruvato sono catalizzate, nelle due direzioni, diretta e inversa, da enzimi differenti, in modo che entrambe le reazioni siano esoergoniche (i valori di DG per queste reazioni sono riportati in kJ · mol–1 e sono riferiti al fegato). [Valori di DG’ da Newsholme, E.A. e Leech, A.R. (1983). Biochemistry for the Medical Sciences, p. 448, Wiley.]

Scrivete la reazione complessiva per ognuno dei tre cicli di substrati.

584

CAPITOLO 16

Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi ATP –2

O3P

O

H2C

O

PFK-2 del fegato (defosfoenzima)

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ADP –2 O3P

OH

H HO CH2OH H HO H

AMPPNP

F6P

Pi

O

O

PO23–

b-D-Fruttosio-2,6-bisfosfato (F2,6P) Pi

Succinato

H2C

H HO CH2OH H HO H

b-D-Fruttosio-6-fosfato (F6P)

Figura 16.22 Formazione e degradazione del b-d-fruttosio-2,6-bisfosfato (F2,6P). Le attività enzimatiche della fosfofruttochinasi-2 (PFK-2) e della fruttosio bisfosfatasi-2 (FBPasi-2) avvengono su domini diversi della stessa molecola proteica. La fosforilazione dell’enzima epatico inattiva la PFK-2 e contemporaneamente attiva la FBPasi-2.

O

FBPasi-2 del fegato H2O (fosfoenzima)

L’F2,6P, che non è un intermedio della glicolisi, è un attivatore allosterico estremamente potente della PFK e un inibitore della FBPasi. Nella cellula la concentrazione di F2,6P dipende dall’equilibrio tra le velocità della sua reazione di sintesi e della sua reazione di degradazione, catalizzate rispettivamente dalla fosfofruttochinasi-2 (PFK-2) e dalla fruttosio bisfosfatasi-2 (FBPasi-2) (Figura 16.22). Queste attività enzimatiche sono localizzate su domini diversi della stessa proteina omodimerica, con peso molecolare di circa 100 kD (Figura 16.23). Questo enzima bifunzionale è regolato da diversi effettori allosterici e da un processo di fosforilazione e defosforilazione catalizzato dalla PKA e dalla fosfoproteina fosfatasi. Quindi l’equilibrio che si crea tra glicolisi e gluconeogenesi è sotto controllo ormonale. Per esempio, quando la [glucosio] è bassa, il glucagone stimola la produzione di cAMP nelle cellule epatiche. Il cAMP attiva la PKA, che fosforila l’enzima bifunzionale in corrispondenza di uno specifico residuo di Ser, che inattiva la PFK-2 e attiva invece la FBPasi-2. Il risultato netto è la diminuzione della [F2,6P], che sposta l’equilibrio tra le reazioni della PFK e della FBPasi verso l’idrolisi di FBP e quindi verso un aumento del flusso gluconeogenico (Figura 16.24). Il concomitante aumento della velocità della gluconeogenesi e della demolizione del glicogeno consente al fegato di rilasciare glucosio nel circolo ematico. Viceversa, quando la [glucosio] è alta, i livelli di cAMP diminuiscono, e l’aumento di [F2,6P] che ne deriva stimola la glicolisi. Nel muscolo, che non è un tessuto gluconeogenico, il sistema di controllo di F2,6P funziona in modo molto diverso rispetto a quello del fegato, a causa della presenza di diversi isoenzimi di PFK-2/FBPasi-2. Per esempio, gli ormoni che stimolano la demolizione del glicogeno nel muscolo cardiaco portano alla fosforilazione di un sito presente sull’enzima bifunzionale, che attiva, invece di inibire, la PFK-2. L’aumento della concentrazione di F2,6P stimola la glicolisi, in modo da coordinare la demolizione del glicogeno e la glicolisi. L’isoenzima del muscolo scheletrico è completamente privo di qualsiasi sito di fosforilazione e quindi non è soggetto ad Figura 16.23 Struttura ai raggi X della PFK-2/FBPasi-2 di testicolo di ratto. Il dominio N-terminale della PFK-2 è in blu e il dominio C-terminale della FBPasi-2 è in giallo-verde. I composti legati Mg2+-AMPPNP, succinato, F6P e P sono mostrati in modello spaziale colorato secondo il tipo di atomo (il C di AMPPNP in verde, il C del succinato in magenta, il C del F6P in turchese, N in blu, O in rosso, Mg2+ in verde chiaro, e P in arancione). Il Pi, che occupa il sito di legame del gruppo fosforico in 2 del F2,6P, si trova di fronte alla His 256 del sito (in magenta) a cui dovrebbe essere trasferito nella reazione catalitica. Il succinato occupa la presunta tasca di legame per F6P del dominio PFK-2. [Basata sulla struttura ai raggi X di Kosaku Uyeda e Charles Hasemann, University of Texas Southwestern Medical Center. PDBid 2BIF.]

CAPITOLO 16

Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

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alcun controllo cAMP-dipendente. Invece, il rapporto tra l’attività della sua PKF-2 rispetto a quella della FBPasi-2 aumenta per via allosterica ad alte [F6P], il che indica la necessità di un aumento della velocità della glicolisi. Altri effettori allosterici influenzano il flusso gluconeogenico. L’acetil-CoA

attiva la piruvato carbossilasi (Paragrafo 16.4A), ma non esistono effettori allosterici noti per la PEPCK, che insieme alla piruvato carbossilasi inverte la reazione della piruvato chinasi. Tuttavia, nel fegato la piruvato chinasi è inibita allostericamente dall’alanina, uno dei principali precursori gluconeogenici. L’alanina è trasformata in piruvato mediante il trasferimento del suo gruppo amminico a un a-chetoacido con la produzione di un nuovo amminoacido e dell’a-chetoacido piruvato, α-Chetoacido

H H3C

C

COO–

585

Bassa [glucosio] nel sangue

Aumento di secrezione di glucagone

Aumento di [cAMP]

Aumento di fosforilazione degli enzimi

Attivazione di FBPasi-2 e inattivazione di PFK-2

Diminuzione di [F2,6P]

Amminoacido

O H3C

C

COO–

Inibizione di PFK e attivazione di FBPasi

+ NH3

Aumento della gluconeogenesi Alanina

Piruvato

un processo detto transamminazione (discusso nel Paragrafo 21.2A). La piruvato chinasi epatica è inattivata anche dalla fosforilazione, con un ulteriore aumento del flusso gluconeogenico. Poiché la fosforilazione attiva anche la glicogeno fosforilasi, le vie metaboliche della gluconeogenesi e della demolizione del glicogeno sono entrambe indirizzate verso la sintesi di G6P, il quale è convertito in glucosio per essere esportato fuori dal fegato. Anche l’attività dell’esochinasi (o della glucochinasi, l’isoenzima epatico) è sottoposta a controllo, come vedremo nel Paragrafo 22.1D. L’attività della glucosio-6-fosfatasi è controllata anch’essa ma è un processo complesso e non ancora del tutto chiaro. La regolazione a lungo termine del metabolismo del glucosio avviene non solo tramite gli effettori allosterici, ma anche tramite variazioni a lungo termine delle quantità di enzimi sintetizzati. Gli ormoni del pancreas e delle ghiandole surrenali influenzano la velocità di trascrizione e la stabilità delle molecole di mRNA che codificano molte proteine regolatorie che intervengono nel metabolismo del glucosio. Per esempio, l’insulina inibisce la trascrizione del gene della PEPCK, mentre alte concentrazioni intracellulari di cAMP stimolano la trascrizione dei geni per la PEPCK, la FBPasi e la glucosio-6-fosfatasi, e reprimono la trascrizione dei geni per la glucochinasi, la PFK e l’enzima bifunzionale PFK-2/FBPasi-2.

Figura 16.24 Sequenza degli eventi metabolici che collegano basse concentrazioni di glucosio ematico alla gluconeogenesi nel fegato.

Confrontate questa via con l’effetto del glucagone sul metabolismo del glicogeno epatico (vedi Figura 16.14). Qual è il risultato di ciascuna via?

PUNTO DI VERIFICA

• Quali sono i substrati della

gluconeogenesi? Qual è il ruolo degli acidi grassi nella gluconeogenesi?

• Descrivete le reazioni della gluconeogenesi. Quali di queste non sono condivise dalla glicolisi?

• Perché il sistema navetta malatoaspartato è importante per la gluconeogenesi?

• Qual è il costo netto di energia per sintetizzare una molecola di glucosio a partire da due molecole di piruvato?

• Quali sono i potenziali punti di controllo

5 Le altre vie biosintetiche dei carboidrati CONCETTI CHIAVE

• La formazione dei legami glicosidici nei carboidrati richiede l’energia di molecole di zuccheri nucleotidici attivati.

• Gli oligosaccaridi con legami di tipo O sono sintetizzati per aggiunta sequenziale di zuccheri a una proteina.

• Gli oligosaccaridi con legami di tipo N sono prima prodotti su un trasportatore di dolicolo.

A causa della sua massa e del suo complesso macchinario metabolico, il fegato è il principale responsabile del mantenimento di un livello costante di glucosio nel circolo sanguigno. Il glucosio prodotto dalla gluconeogenesi o dalla demolizione del glicogeno è rilasciato dal fegato per essere usato dagli altri tessuti come fonte energetica. Naturalmente il glucosio può avere altri utilizzi nel fegato e altrove, per esempio nella sintesi del lattosio (Scheda 16.4).

della gluconeogenesi?

• Descrivete il ruolo svolto dal fruttosio2,6-bisfosfato nel regolare la gluconeogenesi e la glicolisi.

CAPITOLO 16

586

Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

SCHEDA 16.4

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LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

La sintesi del lattosio Allo stesso modo del saccarosio nelle piante, il lattosio è un disaccaride sintetizzato come carburante metabolico per un utilizzo successivo, in questo caso dopo la digestione in mammiferi di età molto giovane. Il lattosio, o zucchero del latte, è prodotto nella ghiandola mammaria dalla lattosio sintasi. In questa reazione il donatore dell’unità saccaridica è l’UDP-galattosio, che si forma dall’epimerizzazione dell’UDP-glucosio (Figura 15.28). Lo zucchero accettore è il glucosio: CH2OH O H HO H OH H H O H OH

+ UDP

UDP–galattosio

CH2OH O H H H OH H OH HO H OH Glucosio

CH2OH O H OH H

H

H O H

H

OH

CH2OH O H H OH H OH H OH

Lattosio 4)-glucosio] [b-galattosil-(1

1. La galattosiltransferasi, la subunità catalitica, è presente in molti tessuti, dove catalizza la reazione che da UDPgalattosio e N-acetilglucosammina forma N-acetillattosammina, un costituente di molti oligosaccaridi complessi. HO

CH2OH O H OH H

H

H O H

H

OH

CH2OH O H H OH H OH NHCCH3 H O

N -Acetil-lattosammina

2. L’a-lattalbumina, una proteina della ghiandola mammaria priva di attività catalitica, modifica la specificità della galattosiltransferasi in modo che l’enzima usi come accettore il glucosio invece dell’N-acetilglucosammina, formando lattosio al posto di N-acetil-lattosammina.

lattosio sintasi

HO

Quindi entrambe le unità saccaridiche del lattosio derivano in ultima analisi dal glucosio. La lattosio sintasi è costituita da due subunità.

+

UDP

La sintesi dell’a-lattalbumina, la cui sequenza è per circa il 37% identica a quella del lisozima (che partecipa anch’esso a reazioni che coinvolgono gli zuccheri), è innescata da modificazioni ormonali al momento del parto (alla nascita del bambino), promuovendo quindi la sintesi di lattosio necessaria per la produzione di latte.

Gli zuccheri nucleotidici favoriscono la formazione di legami glucosidici.

Il glucosio e altri monosaccaridi (principalmente il mannosio, l’N-acetilglucosammina, il fucosio, il galattosio, l’acido N-acetilneuramminico e l’N-acetilgalattosammina) sono presenti nelle glicoproteine e nei glicolipidi. La formazione dei legami glicosidici, che uniscono gli zuccheri l’uno all’altro e ad altre molecole, richiede in condizioni fisiologiche l’impiego di energia libera (DG °95 16 kJ ? mol21). Questa energia libera, come osservato per la sintesi del glicogeno (Paragrafo 16.2A), è acquisita mediante la sintesi di uno zucchero nucleotidico a partire da un nucleoside trifosfato e da un monosaccaride, rilasciando quindi PPi, la cui idrolisi esoergonica favorisce la reazione. Il nucleoside difosfato unito all’atomo di carbonio anomerico dello zucchero è un ottimo gruppo uscente e quindi facilita la formazione di un legame glicosidico con un secondo zucchero, in una reazione catalizzata da una glicosiltransferasi (Figura 16.25). Nei mammiferi la maggior parte dei gruppi glucosidici è donata da UDP-zuccheri, ma il fucosio e il mannosio sono trasportati dal GDP, mentre l’acido sialico dal CMP. Nelle piante l’amido è costruito a partire da unità di glucosio donate dall’ADP-glucosio, e la sintesi della cellulosa si basa sull’ADP-glucosio o sul CDP-glucosio. Gli oligosaccaridi uniti da legami O sono formati da modificazioni post-traduzionali della proteina. Gli zuccheri nucleotidici sono i donatori nella sintesi di

oligosaccaridi con legami O e nella maturazione degli oligosaccaridi con legami N delle glicoproteine (Paragrafo 8.3C). Gli oligosaccaridi con legami O sono sintetizzati nell’apparato di Golgi mediante l’aggiunta, una dopo l’altra, di unità monosaccaridiche a una catena polipeptidica completata (Figura 16.26).

CAPITOLO 16

587

Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

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O

H O

19

Base

O

O

glicosiltransferasi P

O

O

O–

P

O

+

CH2 O

O–

H H

H

H OH OH

ROH Zucchero accettore

O

R Nucleoside difosfato

+

19

H Oligosaccaride

Nucleoside difosfato

Zucchero donatore

Zucchero nucleotidico Figura 16.25 Ruolo degli zuccheri nucleotidici. Questi composti sono donatori di gruppi glicosidici nelle reazioni biosintetiche degli oligosaccaridi catalizzate dalle glicosiltransferasi.

Quale è il costo energetico per la sintesi dello zucchero nucleotidico? Ser

La sintesi inizia con il trasferimento, catalizzato dalla GalNAc transferasi, di N-acetil galattosammina (GalNAc) dall’UDP-GalNAc a un residuo di Ser o di Thr della catena polipeptidica. Si ritiene che la posizione del sito di glicosilazione sia determinata dalla struttura secondaria o terziaria del polipeptide. La glicosilazione continua con l’aggiunta, uno dopo l’altro, di zuccheri come il galattosio, l’acido sialico, l’N-acetilglucosammina e il fucosio. In ciascun caso, il residuo saccaridico è trasferito dal suo nucleoside difosfato da una corrispondente glicosiltransferasi.

UDP

GalNAc transferasi

Ser

a

GalNAc

UDP

Gli oligosaccaridi uniti con legami N sono costruiti su trasportatori di dolicolo.

Ser

CH2

C

CH

CH2

n

CH2

Unità isoprenica

CH

Ser

CH2

O

O–

SA

GalNAc

Gal

SA GDP

Fuc

GDP

Ser

P

Gal

a 2,6

GalNAc

Gal

a 1,2

SA

O CH2

b 1,3

CMP

con legami O. Questa via mostra le tappe proposte per la costruzione di una catena oligosaccaridica nella mucina della ghiandola sottomascellare di cane. SA = acido sialico.

H

GalNAc

CMP

Figura 16.26 Sintesi di una catena oligosaccaridica con unità glicosidiche unite

CH3

Gal

UDP

La sintesi degli oligosaccaridi con legami N è più complessa di quella degli oligosaccaridi con legami O. Nelle fasi iniziali della sintesi degli oligosaccaridi con legami N, i residui saccaridici sono aggiunti in successione a un trasportatore lipidico, il dolicolo pirofosfato (Figura 16.27). Il dolicolo è un poliisoprenoide a catena lunga, contenente da 17 a 21 unità isopreniche negli animali, e da 14 a 24 unità nei funghi e nelle piante. Il dolicolo àncora la catena oligosaccaridica in formazione alla membrana del reticolo endoplasmatico, dove si svolgono le reazioni iniziali di glicosilazione. Sebbene gli zuccheri nucleotidici siano i più comuni donatori monosaccaridici nelle reazioni glicosiltransferasiche, alcuni residui di mannosio e di glucosio sono trasferiti alle catene di dolicolo-PP-oligosaccaridi in formazione dai loro corrispondenti derivati dolicolo-P. Il dolicolo fosfato “attiva” un residuo saccaridico per il successivo trasferimento, proprio come un nucleoside difosfato.

CH3

GalNAc

UDP

O O

P

O

carboidrato

O–

Unità isoprenica a satura Dolicolo

Figura 16.27 Glicoside dolicolo pirofosfato. I precursori glucidici dei glicosidi uniti con legami N sono sintetizzati come

oligosaccaridi attaccati al dolicolo, un poliisoprenolo a catena lunga (n = 14-24), in cui l’unità isoprenica α è in forma satura.

Fuc

588

CAPITOLO 16

Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

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SCHEMA DI PROCESSO

3 UDP 11

PP

P

Th

PP

P

mRNA

PP

4 GDP

Ribosoma

PP

7 P

8

Citosol

r

3 UDP

P

4 GDP

A s n - X-Se

9 10

4

r/

Polipeptide nascente

P

5 P

PP

6

12 Lume del reticolo endoplasmatico Pi PP

P

Membrana del RE 13

P = Dolicolo fosfato

PP

= Mannosio

PP

3 = Glucosio = N-Acetilglucosammina

2

5 GDP

5 GDP

Figura 16.28 La via di sintesi del dolicolo-PP-oligosaccaride. (1) Aggiunta di N-acetilglucosammina-1-P e di una seconda N-acetilglucosammina al dolicolo-P. (2) Aggiunta di cinque residui di mannosio provenienti da GDP-mannosio, in reazioni catalizzate da cinque diverse mannosiltransferasi. (3) Traslocazione attraverso la membrana di dolicolo-PP(N-acetilglucosammina)2(mannosio)5 nel lume del reticolo endoplasmatico (RE). (4) Sintesi citosolica di dolicolo-P-mannosio a partire da GDP–mannosio e dolicolo-P. (5) Traslocazione attraverso la membrana nel lume dell’RE del dolicolo-P-mannosio. (6) Aggiunta di quattro residui di mannosio provenienti dal dolicolo-P-mannosio, in reazioni catalizzate da quattro diverse mannosiltransferasi. (7) Sintesi citosolica di dolicolo-P-glucosio a partire da UDPG e dolicolo-P. (8) Traslocazione attraverso la

1

Dolicolo

CDP CTP

1 UDP 1 UMP 2 UDP

membrana nel lume dell’RE del dolicolo-P-glucosio. (9) Aggiunta di tre residui glucosidici da parte del dolicolo-P-glucosio. (10) Trasferimento dell’oligosaccaride dal dolicolo-PP alla catena polipeptidica, a livello di un residuo di Asn, nella sequenza Asn-X-Ser/Thr, con il rilascio di dolicolo-PP. (11) Traslocazione del dolicolo-PP sulla superficie citoplasmatica della membrana dell’RE. (12) ldrolisi del dolicolo-PP a dolicolo-P. (13) Il dolicolo-P può essere prodotto anche dalla fosforilazione del dolicolo da parte del CTP. [Modificata da Abeijon, C. e Hirschberg, C.B. (1992). Trends Biochem. Sci. 17, 34.] Identificate le reazioni catalizzate da una traslocasi e quelle catalizzate da una transferasi.

La costruzione di un oligosaccaride unito con legami N inizia, come descritto nel Paragrafo 8.3C, dalla sintesi di un oligosaccaride costituito da (N-acetilglucosammina)2(mannosio)9(glucosio)3. L’oligosaccaride si forma su una molecola di dolicolo che funziona da trasportatore, seguendo un processo in 12 tappe catalizzato da una serie di specifiche glicosiltransferasi (Figura 16.28). Si noti che alcune di queste reazioni avvengono sulla superficie del lume del reticolo endoplasmatico, mentre altre avvengono sulla sua superficie citoplasmatica. Così, in quattro occasioni (reazioni 3, 5, 8 e 11 nella Figura 16.28), il dolicolo e il gruppo idrofilico a esso attaccato sono traslocati, tramite meccanismi sconosciuti, attraverso la membrana del reticolo endoplasmatico. Nelle tappe finali di questo processo l’oligosaccaride è trasferito sul residuo di Asn all’interno della sequenza Asn-X-Ser/Thr (dove X

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Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

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589

CH3 H3C

CH2 CH

O N

+

H3N

CH

C

CH S

C

Leu

CH2

Ile

D-Glu

Ile

Lys

D-Orn

Ile

D-Phe

His

D-Asp

Asn

C

O

(CH2)4 Cys

NH Bacitracina

Figura 16.29 La struttura chimica della bacitracina. Questo dodecapeptide ha quattro residui di d-amminoacidi e due insoliti legami intracatena. “Orn” indica l’amminoacido non standard ornitina (Figura 21.9).

è un residuo qualsiasi, a eccezione della Pro, e solo raramente è un residuo di Asp, Glu, Leu o Trp) appartenente alla catena polipeptidica in formazione. Il dolicolo pirofosfato prodotto dal trasferimento è idrolizzato a dolicolo fosfato e Pi, un processo simile alla scissione pirofosfatasica del PPi a 2 Pi. In seguito si ha una ulteriore modificazione dell’oligosaccaride, come descritto nel Paragrafo 8.3C, prima nel reticolo endoplasmatico, poi nell’apparato di Golgi (Figura 8.19), dove alcuni residui monosaccaridici sono rimossi da specifiche glicosilasi e altri sono aggiunti da specifiche glicosiltransferasi, che richiedono zuccheri nucleotidici. La bacitracina interferisce con la defosforilazione del dolicolo pirofosfato. Alcuni composti sono in grado di bloccare l’attività di specifi-

ci enzimi glicosilanti: tra questi composti vi è la bacitracina (Figura 16.29), un polipeptide ciclico ampiamente usato come antibiotico. La bacitracina forma un complesso con il dolicolo pirofosfato e inibisce la sua defosforilazione (Figura 16.28, reazione 12) a dolicolo-P, impedendo così la sintesi delle glicoproteine da oligosaccaridi legati al dolicolo. La bacitracina è clinicamente utile perché inibisce la sintesi della parete nei batteri (che coinvolge anche oligosaccaridi legati al dolicolo), ma non ha effetti sulle cellule animali perché non può attraversare la membrana cellulare (la sintesi della parete cellulare batterica è un processo extracellulare).

PUNTO DI VERIFICA

• Elencate alcune delle vie sintetiche che utilizzano gli zuccheri nucleotidici.

• Spiegate la reazione di trasferimento del gruppo nella formazione del legame glicosidico descrivendo l’attacco nucleofilico, l’atomo che viene attaccato e il gruppo che si allontana.

• Confrontate la sintesi degli oligosaccaridi con legame di tipo O e di tipo N.

• Spiegate perché un lipide come il dolicolo è coinvolto nella sintesi delle glicoproteine.

• Descrivete i tipi di reazioni enzimatiche che avvengono durante la sintesi degli oligosaccaridi con legami di tipo N.

RIASSUNTO 1 La demolizione del glicogeno • La demolizione del glicogeno richiede tre enzimi. La glicogeno fosforilasi trasforma le unità glucosidiche posizionate alle estremità non riducenti del glicogeno in glucosio-1-fosfato (G1P). • L’enzima deramificante trasferisce un trisaccaride con legami a(1n4) a un’estremità non riducente e idrolizza il legame a(1n6). • La fosfoglucomutasi trasforma il G1P in glucosio-6-fosfato (G6P). Nel fegato il G6P è idrolizzato dalla glucosio-6-fosfatasi a glucosio per essere esportato ai vari tessuti.

2 La sintesi del glicogeno • La sintesi del glicogeno utilizza una diversa via metabolica nella quale il G1P è attivato mediante reazione con UTP, formando UDP-glucosio.

• La glicogeno sintasi aggiunge unità glucosidiche alle estremità non riducenti di una molecola di glicogeno in fase di crescita, ancorata alla glicogenina. • L’enzima ramificante rimuove un segmento di sette residui uniti con legami a(1n4) e lo riattacca mediante un legame a(1n6), dando origine a una catena ramificata.

3 Il controllo del metabolismo del glicogeno • Il metabolismo del glicogeno è controllato in parte da effettori allosterici come l’AMP, l’ATP e il G6P. La modificazione covalente della glicogeno fosforilasi e della glicogeno sintasi sposta i loro equilibri T 34 R, modificando la loro sensibilità nei confronti degli effettori allosterici. • Il rapporto tra fosforilasi a (più attiva) e fosforilasi b (meno attiva) dipende dall’attività della fosforilasi chinasi, che è regolata

590

CAPITOLO 16

Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

dall’attività della proteina chinasi A (PKA), un enzima cAMP-dipendente, e dall’attività della fosfoproteina fosfatasi-1 (PP1). La glicogeno fosforilasi è attivata dalla fosforilazione, mentre la glicogeno sintasi è attivata dalla defosforilazione. • Ormoni come il glucagone, l’adrenalina e l’insulina controllano il metabolismo del glicogeno. I segnali ormonali che generano cAMP come secondo messaggero o che aumentano la concentrazione intracellulare di Ca21, che si lega alla subunità della calmodulina sulla fosforilasi chinasi, favoriscono la degradazione del glicogeno. L’insulina stimola la sintesi del glicogeno in parte attivando la fosfoproteina fosfatasi-1.

4 La gluconeogenesi • I composti che possono essere trasformati in ossalacetato possono essere in seguito trasformati in glucosio. La conversione del piruvato in glucosio mediante il processo della gluconeogenesi utilizza enzimi che aggirano i tre passaggi esoergonici

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della glicolisi. La piruvato carbossilasi e la PEP carbossichinasi (PEPCK) permettono di “saltare” la reazione della piruvato chinasi, la fruttosio-1,6-bisfosfatasi (FBPasi) “salta” la fosfofruttochinasi, e la glucosio-6-fosfatasi “salta” l’esochinasi. • La gluconeogenesi è regolata da variazioni nella sintesi degli enzimi e da effettori allosterici, compreso il fruttosio-2,6-bisfosfato (F2,6P), che inibisce l’FBPasi e attiva la fosfofruttochinasi (PFK), e la cui sintesi dipende dallo stato di fosforilazione dell’enzima bifunzionale fosfofruttochinasi-2/fruttosio bisfosfatasi-2 (PFK-2/FBPasi-2).

5 Le altre vie biosintetiche dei carboidrati • La formazione di legami glicosidici richiede zuccheri nucleotidici. • Gli oligosaccaridi con legami di tipo O sono sintetizzati per aggiunta di unità monosaccaridiche a una proteina. • Gli oligosaccaridi con legami di tipo N sono assemblati su un trasportatore di dolicolo e poi trasferiti a una proteina.

PROBLEMI 1. Spiegate come mai la reazione catalizzata dalla glicogeno fo-

2.

3.

4.

5.

6.

7.

8.

9.

sforilasi (DG°9 5 3,1 kJ ? mol21) è esoergonica nella cellula. Il glucosio si lega alla glicogeno fosforilasi e inibisce competitivamente l’enzima. Qual è il vantaggio fisiologico di questo processo? La fosfoglucochinasi catalizza la fosforilazione del gruppo C6-OH del G1P. Perché questo enzima è importante per il normale funzionamento della fosfoglucomutasi? La glucosio-6-fosfatasi si trova all’interno del reticolo endoplasmatico. Descrivete i probabili sintomi causati da una carenza del trasporto di G6P attraverso la membrana del reticolo endoplasmatico. Gli individui affetti dalla malattia di McArdle spesso vivono l’esperienza di un “secondo soffio cardiaco”, conseguenza degli aggiustamenti cardiovascolari che consentono al glucosio di essere mobilizzato dal glicogeno epatico per rifornire di carburante la contrazione muscolare. Spiegate perché nel muscolo la quantità di ATP che deriva dal glucosio circolante è minore della quantità di ATP che si potrebbe ottenere mobilizzando la stessa quantità di glucosio dal glicogeno muscolare. Un campione di glicogeno proveniente da un paziente affetto da una patologia epatica è incubato con Pi, in presenza di glicogeno fosforilasi e di enzima deramificante, entrambi normali. In questa miscela di reazione il rapporto tra G1P e glucosio è 100. Qual è l’attività enzimatica probabilmente più carente in questo paziente? Calcoli basati sul volume di un residuo di glucosio e sulla struttura ramificata del glicogeno cellulare indicano che una molecola di glicogeno potrebbe avere fino a 28 livelli di ramificazione, prima di diventare troppo densa. Quali sono i vantaggi di una molecola con questa struttura e perché non è presente in vivo? Gli individui che consumano un pasto con un rapporto tra amilosio e amilopectina elevato mostrano un aumento di glucosio ematico minore dei soggetti il cui pasto aveva un rapporto tra amilosio e amilopectina basso. Spiegate perché. Molti diabetici non rispondono alla somministrazione di insulina a causa della mancanza dei recettori per l’insulina nelle

loro cellule. In che modo questo fattore influenza (a) i livelli di glucosio circolante immediatamente dopo un pasto e (b) la velocità di sintesi del glicogeno nel muscolo? 10. Perché dal punto di vista metabolico è possibile che lo stesso ormone stimoli la glicogenolisi e contemporaneamente inibisca la glicolisi nel fegato, mentre nel muscolo stimola sia la glicogenolisi sia la glicolisi? 11. Il confronto tra il DNA di lupo e quello di cane rivela che i cani hanno da 4 a 30 geni per l’amilasi, mentre i lupi ne hanno solo 2. Perché i geni aggiuntivi dell’amilasi potrebbero avere avuto un ruolo nella domesticazione dei lupi (gli antenati degli attuali cani) quando gli uomini hanno cominciato a coltivare la terra circa 10 000 anni fa? 12. Alcuni archeobatteri producono un enzima con due siti attivi: uno catalizza la defosforilazione del fruttosio-1,6-bisfosfato, e uno catalizza la condensazione del diidrossiacetone fosfato e della gliceraldeide 3-fosfato. Spiegate i vantaggi di combinare queste attività catalitiche in un solo enzima bifunzionale. 13. Scrivete l’equazione bilanciata per la conversione sequenziale del glucosio in piruvato e del piruvato in glucosio. 14. Scrivete l’equazione bilanciata per il catabolismo di sei molecole di G6P tramite la via del pentosio fosfato, seguita dalla ritrasformazione del ribulosio-5-fosfato in G6P tramite la gluconeogenesi. 15. Indicate la resa energetica, o costo, in equivalenti di ATP, dei seguenti processi: (a) glicogeno (3 residui) n 6 piruvato (b) 3 glucosio n 6 piruvato (c) 6 piruvato n 3 glucosio 16. Nel ciclo di Cori il lattato prodotto dalla glicolisi nel muscolo viene trasferito al fegato e trasformato in glucosio. (a) Elencate gli enzimi coinvolti nella via lattato n glucosio. (b) Qual è il guadagno o la perdita netta di ATP in un giro completo del ciclo di Cori (glucosio n lattato n glucosio)? 17. Quale potrebbe essere l’effetto sui livelli ematici di glucosio di una carenza di fruttosio-1,6-bisfosfatasi (a) prima e (b) dopo 24 ore di digiuno?

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Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

591

18. Spiegate perché un individuo con una carenza di frutto-

28. Spiegate perché dal punto di vista metabolico è possibile che

sio-1,6-bisfosfatasi dovrebbe avere livelli elevati di piruvato in circolo. 19. La crescita di nuovi vasi sanguigni, chiamata angiogenesi, può essere innescata dall’anossia (mancanza di ossigeno) e comporta la rapida proliferazione di cellule endoteliali, che formano i vasi sanguigni. Queste cellule mostrano livelli estremamente alti dell’enzima PFK-2. Spiegate i vantaggi dell’attività di PFK-2 in queste cellule. 20. Nelle cellule endoteliali angiogeniche, il piruvato è convertito in lattato (producendo 2 ATP per molecola di glucosio) invece che essere ossidato completamente (generando 32 ATP tramite la fosforilazione ossidativa). Spiegate perché le cellule angiogeniche producono ATP in modo anaerobico. 21. Le cellule che rivestono l’intestino dei mammiferi producono glicoproteine con oligosaccaridi con legami O. Alcune delle glicoproteine restano ancorate alla superficie cellulare e alcune vengono rilasciate nello spazio intestinale. In un animale sano, numerose specie microbiche (il microbioma) popolano l’intestino. Questi organismi producono fucosidasi, un enzima che idrolizza i legami glicosidici che coinvolgono il fucosio. (a) Perché questo enzima è utile ai microrganismi? (b) I batteri patogeni di norma non hanno fucosidasi. In che modo questo aiuta a impedire la crescita di patogeni nell’intestino, in particolare durante una malattia quando l’individuo che li ospita smette di mangiare? 22. In topi privi di germi intestinali, gli oligosaccaridi con legami O alle glicoproteine intestinali tendono a perdere un residuo di fucosio terminale (vedi Figura 16.26). (a) Quale enzima non viene prodotto in quantità normali in questi topi? (b) Quali monosaccaridi si trovano più spesso alle estremità degli oligosaccaridi con legami O in questi animali?

l’acetil-CoA, che non è un substrato della gluconeogenesi, attivi la piruvato carbossilasi. 29. Vi aspettereste che il regolatore allosterico AMP faccia aumentare o diminuire l’attività della fruttosio-1,6-bisfosfatasi? 30. Nelle piante l’amido sintasi contiene un solo sito attivo a cui si lega l’ADP-glucosio. La cellulosa sintasi può invece contenere due siti attivi che legano UDP-glucosio. Data la differenza strutturale esistente tra l’amido e la cellulosa, spiegate come mai due siti di legame del substrato dovrebbero favorire la sintesi efficiente della cellulosa. [Suggerimento: vedi la Figura 8.9)] 31. Riempite gli spazi nelle reazioni dello schema seguente, che rappresenta la sintesi di saccarosio nelle piante.

DOMANDE DIFFICILI 23. Una molecola di glucosio proveniente dalla dieta può essere

Caso 22 Riassorbimento del lattato mediato da un trasportatore negli epatociti di ratto Concetto chiave: vengono determinate le caratteristiche strutturali della proteina di trasporto del lattato negli epatociti. Prerequisiti: Capitoli 10, 15 e 16 • Proteine di trasporto • Principali vie metaboliche dei carboidrati fra le quali la glicolisi e la gluconeogenesi

ossidata tramite la glicolisi e il ciclo dell’acido citrico, e formare un massimo di 32 molecole di ATP. Calcolate la frazione di questa energia perduta quando il glucosio è conservato sotto forma di glicogeno prima di essere catabolizzato. 24. L’energia libera di idrolisi di un legame a(1n4) glicosidico è di 215,5 kJ ? mol21, mentre quella che si libera per l’idrolisi di un legame a(1n6) glicosidico è di 27,1 kJ ? mol21. Usate questi valori per spiegare perché il processo di deramificazione del glicogeno coinvolge tre reazioni [la scissione e riformazione di legami a(1n4), e l’idrolisi di legami a(1n6)], mentre la formazione di ramificazioni nel glicogeno richiede soltanto due reazioni [scissione di legami a(1n4) e formazione di legami a(1n6)]. 25. (a) Quale amminoacido che non sia l’alanina può essere convertito per transamminazione in un precursore gluconeogenico? (b) Calcolate il costo, in equivalenti di ATP, della conversione di due molecole di questo amminoacido in una molecola di glucosio. 26. Le vie del metabolismo dei carboidrati descritte nei Capitoli 15 e 16 comprendono due reazioni che prevedono il trasferimento di gruppi a un atomo di carbonio. (a) Quali sono gli enzimi e le vie in cui avvengono queste reazioni? (b) Quali cofattori sono necessari per queste reazioni di trasferimento? 27. Le vie descritte in questo capitolo includono tappe che comportano la rottura di un nucleoside trifosfato. Quali di queste reazioni sono un trasferimento di gruppi fosforici?

UDP–glucosio + UDP

H2O Pi Saccarosio 32. La Vmax della glicogeno fosforilasi del muscolo è molto più

alta di quella dell’enzima epatico. Discutete il significato funzionale di questa differenza. 33. Una particella matura di glicogeno di norma ha 12 livelli di ramificazioni con 2 rami per livello e 13 residui per ogni ramificazione. Quanti residui di glucosio ci sono in una particella del genere?

CASI DI STUDIO

Caso 26 Il ruolo degli specifici residui amminoacidici dell’ormone peptidico glucagone nel legame al recettore e nella trasduzione del segnale Concetto chiave: vengono identificate le catene laterali degli amminoacidi importanti nel legame del glucagone e nella trasduzione del suo segnale. Prerequisiti: Capitoli 4, 13 e 16 • Struttura degli amminoacidi • Trasduzione del segnale mediante proteine G

APPROFONDIMENTO Usate la banca dati Online MAN dell’Ereditarietà Mendeliana (OMIM, Online Mendelian Inheritance in Man, http://www.ncbi.nlm.nih.gov/omim) per analizzare una delle malattie da accumulo di glicogeno descritte nella Scheda 16.2. A quale età si presenta, mediamente, questa malattia? Quali sono i suoi sintomi clinici? Come viene fatta la diagnosi? Come viene trattata la malattia? Ci sono delle varianti della malattia e quali sono le basi genetiche di queste varianti?

592

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Il metabolismo del glicogeno e la gluconeogenesi

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C A P I T O L O

1 7

Il ciclo dellÕacido citrico L’attività metabolica di questi semi in germinazione è finalizzata a generare energia e a portare avanti le reazioni biosintetiche necessarie per la crescita. Tra le vie metaboliche maggiormente attive in questi, ma anche nella maggior parte degli organismi, vi è il ciclo dell’acido citrico, che consiste in una serie di reazioni che partecipano sia a processi catabolici sia a processi anabolici. [© Michel P. Gadomski/Photo Researchers, Inc.]

Nei due capitoli precedenti abbiamo esaminato il catabolismo del glucosio e la sua biosintesi, il suo accumulo e la sua mobilizzazione. Sebbene il glucosio sia una fonte di energia per quasi tutti i tipi di cellule, non è l’unico carburante metabolico e la glicolisi non è l’unica via catabolica in grado di produrre energia. Le cellule che si affidano esclusivamente alla glicolisi per soddisfare le proprie richieste energetiche in realtà sprecano la maggior parte della potenziale energia chimica dei carboidrati. Quando il glucosio è trasformato in lattato o in etanolo, la cellula elimina un prodotto ancora relativamente ridotto. Se il prodotto finale della glicolisi è invece ulteriormente ossidato, la cellula può recuperare una quantità considerevole di energia. L’ossidazione di un composto organico richiede un 22 31 accettore di elettroni, come NO2 o O2, 3 , SO4 , Fe tutti impiegati come ossidanti in vari organismi. Negli organismi aerobici gli elettroni prodotti dal metabolismo ossidativo sono trasferiti all’O2. L’ossidazione dei carburanti metabolici è effettuata dal ciclo dell’acido citrico, una sequenza di reazioni che si è evoluta poco tempo dopo l’innalzamento significativo del livello di ossigeno nell’atmosfera, circa 3 miliardi di anni fa. Mentre gli atomi di carbonio in forma ridotta dei combustibili metabolici sono ossidati a CO2, gli elettroni sono trasferiti ai trasportatori di elettroni che sono in seguito riossidati dall’O2. In questo capitolo esamineremo le reazioni di ossidazione del ciclo dell’acido citrico stesso, mentre nel capitolo seguente esamineremo il destino degli elettroni e il modo in cui la loro energia è usata per favorire la sintesi di ATP. Talvolta conviene considerare il ciclo dell’acido citrico come un’appendice della glicolisi. Il piruvato derivato dal glucosio può essere scisso in CO2 e in un frammento a due atomi di carbonio che entra nel ciclo come acetil-CoA per essere definitivamente ossidato (Figura 17.1). Tuttavia non è corretto pensare al ciclo dell’acido citrico come a una semplice continuazione del catabolismo dei carboidrati. Questa è in effetti la via centrale per il recupero di energia da numerosi combustibili metabolici, tra cui i carboidrati, gli acidi grassi e gli amminoacidi, che sono demoliti ad acetil-CoA per una successiva ossidazione. In determinate condizioni la funzione principale del ciclo dell’acido citrico è

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Il ciclo dell’acido citrico

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di recuperare energia dagli acidi grassi. Vedremo inoltre come il ciclo dell’acido citrico fornisca reagenti per numerose vie biosintetiche. Iniziamo il capitolo con una panoramica del ciclo dell’acido citrico: in seguito esamineremo come l’acetil-CoA, il suo composto di partenza, si formi a partire dal piruvato. Dopo avere discusso le reazioni catalizzate da ciascuno degli enzimi del ciclo, analizzeremo la regolazione di questi enzimi. Esamineremo infine i collegamenti tra gli intermedi del ciclo dell’acido citrico e altri processi metabolici.

1 Una panoramica del ciclo dell’acido citrico CONCETTO CHIAVE

• Il ciclo dell’acido citrico è un processo catalitico a molte tappe che converte i gruppi acetilici derivati dai carboidrati, dagli acidi grassi e dagli amminoacidi in CO2, producendo NADH, FADH2 e GTP.

Glicogeno

Glucosio

glicolisi

Piruvato

CO2

Amminoacidi

Acetil-CoA

Ciclo dell’acido citrico

2 CO2 Figura 17.1 Schema generale del metabolismo ossidativo dei carburanti metabolici. I gruppi acetilici derivati dai carboidrati, dagli amminoacidi e dagli acidi grassi entrano nel ciclo dell’acido citrico, dove sono ossidati a CO2.

Il ciclo dell’acido citrico (Figura 17.2) è costituito da una serie di otto reazioni che ossida il gruppo acetilico dell’acetil-CoA a due molecole di CO2, e conserva l’energia libera rilasciata in composti ridotti come il NADH e il FADH2. Il ciclo prende il nome dal prodotto della sua prima reazione, il citrato. Un giro completo del ciclo produce due molecole di CO2, tre molecole di NADH, una molecola di FADH2 e un composto “ad alta energia” (GTP o ATP). Il ciclo dell’acido citrico fu proposto per la prima volta negli anni ’30, quando Hans Krebs, proseguendo il lavoro di altri gruppi di ricerca, presentò uno schema ciclico di reazione per l’interconversione di alcuni composti contenenti due o tre gruppi carAcidi grassi bossilici (cioè acidi di- e tricarbossilici). A quel tempo molti intermedi del ciclo dell’acido citrico erano già stati identificati nel mondo vegetale: il citrato negli agrumi; l’aconitato nell’aconito o napello (Aconitum sp.), una ranuncolacea; il succinato nell’ambra (dal latino succinum), o resina fossile; il fumarato dalla fumaria (Fumaria sp.), una papaveracea, e il malato dalle mele (Malus sp.). Due altri intermedi, l’a-chetoglutarato e l’ossalacetato, sono noti con i loro nomi chimici perché sono stati sintetizzati prima di essere identificati negli organismi viventi. Krebs fu il primo a dimostrare che il metabolismo di questi composti è legato all’ossidazione dei carburanti metabolici. La scoperta del ciclo dell’acido citrico, nel 1937, è uno dei più grandi successi raggiunti dalla chimica metabolica (Scheda 17.1). Sebbene gli enzimi e gli intermedi del ciclo dell’acido citrico siano ora ben conosciuti, molti ricercatori continuano a studiare i meccanismi molecolari degli enzimi coinvolti e la loro regolazione per ottenere le prestazioni ottimali nelle condizioni metaboliche variabili dei diversi organismi. Prima di esaminare in dettaglio ciascuna reazione, dobbiamo sottolineare alcune caratteristiche generali del ciclo dell’acido citrico. 1. La via ciclica, detta anche ciclo di Krebs o ciclo degli acidi tricarbossilici (TCA), ossida i gruppi acetilici provenienti da varie fonti, e non solo dal piruvato. Poiché esegue l’ossidazione della maggior parte dei carboidrati, acidi grassi e amminoacidi, il ciclo dell’acido citrico è spesso considerato il “fulcro” del metabolismo cellulare. 2. La reazione complessiva del ciclo dell’acido citrico è

3 NAD1 1 FAD 1 GDP 1 Pi acetil-CoA n 3 NADH 1 FADH2 1 GTP 1 CoA 1 2 CO2

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O Piruvato

CH3

COO–

C

NAD+

CoASH +

piruvato deidrogenasi CO2 +

NADH O

Acetil-CoA COO– C

CH3

C

O

COO–

CoASH

CH2 citrato sintasi

*COO– Ossalacetato 2

HO

NADH

COO– C

NAD+

H

8

CoA

H2O

CH2

1/

S

HO

CH2

1

+ H+

COO–

C

*COO– Citrato

malato deidrogenasi

2 COO–

aconitasi i

CH2 COO– L-Malato 1/2

fumarasi

CH2

7

H

C

COO–

HO

C

H

*COO– Isocitrato

H2O

1/2

Ciclo dell’acido citrico

COO–

3

isocitrato deidrogenasi

NAD+

NADH

+ H+

CH HC 1/2

COO–

Fumarato

COO–

6 FADH2

succinato t deidrogenasi

CH2

4

FAD 1/2

COO– CH2

α-chetoglutarato l deidrogenasi CoASH *CO2

5 succinil-CoA sintetasi CoASH

COO–

CH2 1/2

CO2

CH2

Succinato

C GTP GTP

+

Pi

C

O

*COO– α-Chetoglutarato NAD+

CH2

COO–

CH2

O

NADH

+ H+

S CoA Succinil-CoA

Figura 17.2 Le reazioni del ciclo dell’acido citrico. (a) I reagenti e i prodotti di questo ciclo catalitico sono indicati nei riquadri. La reazione piruvato n acetil-CoA (in alto) fornisce al ciclo il substrato tramite il catabolismo dei carboidrati, ma non è considerata parte del ciclo. L’atomo di carbonio C4 dell’ossalacetato, marcato con un isotopo (*), ricompare come C1 dell’α-chetoglutarato ed è liberato come CO2 nella reazione 4.

L’atomo C1 dell’acetil-CoA, marcato con un isotopo (‡), diviene l’atomo C5 dell’α-chetoglutarato e la marcatura si suddivide ugualmente tra C1 e C4 del succinato (1/2 ‡). Senza guardare il testo scrivete la reazione complessiva del ciclo dell’acido citrico.

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CAPITOLO 17

Il ciclo dell’acido citrico

SCHEDA 17.1

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LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA

Hans Krebs e il ciclo dellÕacido citrico Hans Krebs (1900-1981)

Hans Krebs lavorò nel laboratorio di Otto Warburg dal 1926 al 1930 e in seguito dichiarò di avere imparato molto più da Warburg (vedi la Scheda 15.1) che da qualsiasi altro docente. Krebs applicò la tecnica del taglio dei tessuti a fette sottili, sviluppata da Warburg, allo studio delle reazioni biosintetiche (Warburg stesso era interessato soprattutto allo studio delle reazioni ossidative e di degradazione). Nel corso degli anni, oltre alle vie ossidative, Krebs intraprese altre ricerche sulle vie biosintetiche dell’urea, dell’acido urico e delle purine. Nel 1933 fu costretto a lasciare la Germania, dove era nato, e a trasferirsi in Inghilterra, ma a differenza di molti altri scienziati tedeschi costretti all’emigrazione, riuscì a portare con sé la maggior parte delle sue attrezzature di laboratorio. In Inghilterra Krebs continuò a lavorare su una serie di reazioni metaboliche che chiamò “ciclo dell’acido citrico”. Il ciclo non fu scoperto con un’intuizione improvvisa, ma mediante una lunga serie di precisi esperimenti, dal 1932 al 1937. Krebs iniziò a interessarsi alla fase di “combustione” del carburante metabolico, cioè a quello che avviene dopo la fermentazione del glucosio a lattato. Fino al 1930 il meccanismo di ossidazione del glucosio e la sua relazione alla respirazione cellulare (consumo di ossigeno) rappresentavano un mistero. Krebs capì che la stechiometria del processo generale (glucosio 1 6 O2 n 6 CO2 1 6 H2O) richiede una via con molti passaggi. Si rese inoltre conto che altri ricercatori avevano esaminato la capacità del tessuto muscolare di ossidare rapidamente vari dicarbossilati (a-chetoglutarato, succinato e malato) e un tricarbossilato (citrato), ma nessuna di queste sostanze sembrava avere alcuna immediata relazione con i cibi. Nel 1935 Albert Szent-Györgyi scoprì che la respirazione cellulare era enormemente accelerata da piccole quantità di succinato, fumarato o ossalacetato. L’aggiunta di uno qualsiasi di questi composti stimolava il consumo di O2 e la produzione di CO2 a valori molto superiori a quelli attesi per la loro ossidazione. In altre parole, i composti agivano cataliticamente stimolando la combustione di altri composti nella cellula. Quasi nello stesso momento, Carl Martius e Franz Knoop dimostrarono che il citrato si poteva trasformare in a-chetoglutarato. Ben presto Krebs ricostruì l’intera sequenza di reazioni di conversione del citrato a ossalacetato: citrato n aconitato n isocitrato n a-chetoglutarato n succinato n fumarato n malato n ossalacetato. Per continuare a funzionare, tuttavia, la

sequenza di reazioni catalitiche deve ritornare ripetutamente al punto di partenza, cioè è necessario rigenerare il composto iniziale. E ancora non si riusciva a trovare alcun ovvio legame con il metabolismo del glucosio! Krebs riteneva che il citrato e gli altri intermedi fossero coinvolti nella combustione del glucosio perché sembrava che si consumassero (“bruciassero”) alla stessa velocità dei cibi, ed erano le uniche sostanze che si comportavano così. Inoltre, alcuni lavori precedenti avevano dimostrato che il malonato, un composto a tre atomi di carbonio, non solo bloccava la trasformazione del succinato in fumarato, ma bloccava ogni tipo di combustione nelle cellule viventi. Nel 1937 Martius e Knoop fornirono a Krebs un’informazione fondamentale: l’ossalacetato e il piruvato potevano essere trasformati in citrato in presenza di perossido di idrogeno. Krebs ora aveva in mano l’“anello mancante”: il piruvato era un prodotto del metabolismo del glucosio, e la sua reazione con l’ossalacetato per formare citrato chiudeva la serie lineare di reazioni, formando un ciclo. L’idea di una via metabolica circolare non era nuova per Krebs: nel 1932 lui stesso e Kurt Henseleit avevano chiarito il ciclo dell’urea in quattro passaggi (Paragrafo 21.3). Krebs dimostrò in breve che la reazione del piruvato con l’ossalacetato, per formare citrato, avveniva nei tessuti vivi e che le velocità della sintesi e della demolizione del citrato erano sufficientemente elevate da spiegare l’osservazione sulla combustione metabolica in numerosi tipi di tessuto. È interessante notare che il lavoro iniziale scritto da Krebs sul ciclo dell’acido citrico fu rifiutato da Nature, una delle più importanti riviste scientifiche, e fu poi accettato per la pubblicazione da una rivista meno prestigiosa, Enzymologia. Nel suo articolo, Krebs delineò le tappe principali della via, anche se alcuni dettagli vennero in seguito modificati. Per esempio, il meccanismo di formazione del citrato (che coinvolge l’acetil-CoA e non il piruvato) e la partecipazione del succinil-CoA nel ciclo non furono immediatamente compresi. Il coenzima A fu scoperto nel 1945, e solo nel 1951 si dimostrò che l’acetil-CoA era l’intermedio che si fondeva per condensazione con l’ossalacetato per produrre citrato. Il lavoro di Krebs e di altri studiosi stabilì che il ciclo dell’acido citrico aveva un ruolo fondamentale nell’ossidazione degli amminoacidi e degli acidi grassi. Infatti la via produce quasi i due terzi dell’energia derivata dai combustibili metabolici. Krebs riconobbe inoltre il ruolo del ciclo dell’acido citrico nel fornire precursori per le reazioni di sintesi. Krebs, H.A. e Johnson, W.A. (1937). The role of citric acid in intermediate metabolism in animal tissues, Enzymologia 4, 148-156.

L’ossalacetato consumato nella prima tappa del ciclo dell’acido citrico si rigenera nell’ultima reazione. Quindi il ciclo dell’acido citrico agisce come un catalizzatore a molte tappe che può ossidare un numero illimitato di gruppi acetilici. 3. Negli eucarioti tutti gli enzimi del ciclo dell’acido citrico si trovano nel mitocondrio, quindi tutti i substrati, compresi il NAD1 e il GDP, devono essere prodotti nei mitocondri o trasportati dai mitocondri nel citosol. In modo simile, tutti i prodotti del ciclo dell’acido citrico devono essere generati nei mitocondri o trasportati nei mitocondri dal citosol. 4. Gli atomi di carbonio delle due molecole di CO2 prodotte in un giro del ciclo non sono i due atomi di carbonio del gruppo acetilico che hanno inizia-

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to il ciclo (Figura 17.2). Gli atomi di carbonio dell’acetile sono perduti nei giri successivi del ciclo. Tuttavia il risultato netto di ciascun giro del ciclo è l’ossidazione di un gruppo acetilico a 2 CO2. 5. Gli intermedi del ciclo dell’acido citrico sono precursori della biosintesi di altri composti (per esempio, l’ossalacetato per la gluconeogenesi; Paragrafo 16.4). 6. L’ossidazione di un gruppo acetilico a 2 CO2 richiede il trasferimento di quattro coppie di elettroni. La riduzione di 3 NAD1 a 3 NADH richiede tre coppie di elettroni; la riduzione del FAD a FADH2 utilizza infine la quarta coppia. La maggior parte dell’energia libera di ossidazione del gruppo acetilico è conservata in questi coenzimi ridotti. L’energia è inoltre recuperata sotto forma di GTP (o ATP). Nel Paragrafo 18.3C vedremo come si possono formare 10 ATP quando le quattro coppie di elettroni sono infine trasferite all’O2.

2 La sintesi dell’acetil-CoA CONCETTI CHIAVE

• La piruvato deidrogenasi è un complesso multienzimatico che catalizza una reazione in cinque fasi in cui il piruvato rilascia CO2 e il rimanente gruppo acetilico viene legato al coenzima A.

• La sequenza di reazione richiede i cofattori TPP, lipoamide, coenzima A, FAD e NAD+.

I gruppi acetilici entrano nel ciclo dell’acido citrico come parte del composto “ad alta energia” acetil-CoA (ricordate che i tioesteri hanno elevata energia libera di idrolisi; Paragrafo 14.2D). Sebbene l’acetil-CoA derivi anche dagli acidi grassi (Paragrafo 20.2) e da alcuni amminoacidi (Paragrafo 21.4), concentreremo la nostra attenzione sulla produzione di acetil-CoA dal piruvato derivato dai carboidrati. Come osservato nel Paragrafo 15.3, in condizioni anaerobiche il prodotto finale della glicolisi è il lattato o l’etanolo. Tuttavia, in condizioni aerobiche, il NADH prodotto dalla glicolisi è riossidato mediante il trasferimento dei suoi elettroni ai mitocondri, e quindi il prodotto finale è il piruvato. Una proteina di trasporto importa il piruvato insieme all’H1 (si tratta quindi di un simporto piruvato-H1) nel mitocondrio per un’ulteriore ossidazione.

A La piruvato deidrogenasi è un complesso multienzimatico I complessi multienzimatici sono gruppi di enzimi associati mediante legami non covalenti, che catalizzano due o più reazioni successive lungo una via metabolica. Quasi tutti gli organismi contengono complessi multienzimatici; essi rappresentano un incremento dell’efficienza catalitica generato durante l’evoluzione e offrono i seguenti vantaggi.

1. Le velocità delle reazioni enzimatiche sono limitate dalla frequenza con cui gli enzimi collidono con i loro substrati (Paragrafo 11.3D). Quando una serie di reazioni avviene all’interno di un complesso multienzimatico, la distanza che i substrati devono attraversare per diffusione tra i siti attivi è ridotta al minimo, aumentando quindi la velocità di reazione. 2. In una via metabolica, l’esistenza di un percorso obbligato per gli intermedi metabolici tra enzimi successivi riduce la possibilità che gli intermedi reagiscano con altre molecole, riducendo quindi al minimo le reazioni collaterali. 3. Le reazioni catalizzate da un complesso multienzimatico possono essere controllate in modo coordinato.

Il ciclo dell’acido citrico

597

PUNTO DI VERIFICA

• Spiegate perché il ciclo dell’acido citrico è considerato il “fulcro” del metabolismo cellulare.

• Quali sono i substrati e i prodotti della reazione netta corrispondente a un giro del ciclo dell’acido citrico?

598

CAPITOLO 17

Il ciclo dell’acido citrico

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Figura 17.3 Fotografie al microscopio elettronico del complesso multienzimatico della piruvato deidrogenasi di E. coli. (a) Il complesso in forma nativa. (b) La diidrolipoil transacetilasi (E2) che forma la regione centrale del complesso. [Per gentile concessione di Lester Reed, University of Texas, Austin.]

(a)

(b)

L’acetil-CoA si forma dal piruvato tramite una decarbossilazione ossidativa operata da un complesso multienzimatico, detto complesso della piruvato deidrogenasi. Questo complesso contiene più copie di tre enzimi: la piruvato deidrogenasi (E1), la diidrolipoil transacetilasi (E2) e la diidrolipoil deidrogenasi (E3). Il complesso della piruvato deidrogenasi di E. coli è una particella di circa 4600 kD con un diametro di circa 300 Å (Figura 17.3a). La parte centrale della particella è costituita da 24 proteine E2 disposte a forma di cubo (Figura 17.3b e Figura 17.4a), circondato da 24 proteine E1 e 12 proteine E3 (Figura 17.4b,c). Nei mammiferi, nei lieviti e in alcuni batteri il complesso della piruvato deidrogenasi è ancora più grande e complicato, sebbene catalizzi le stesse reazioni, con enzimi omologhi e meccanismi molto simili. In questi complessi di circa 10 000 kD, i complessi multienzimatici più grandi tra quelli conosciuti, la regione centrale E2 è costituita da 60 subunità disposte con una simmetria dodecaedrica [Figura 17.5, un dodecaedro è un poliedro regolare a simmetria I (Figura 6.34c), con 20 vertici e 12 facce pentagonali] ed è circondata da un guscio costituito da circa 45 eterotetrameri E1 di tipo a2b2 e da circa 9 omodimeri E3. E1 e E3 si legano in modo competitivo a siti reciprocamente esclusivi su E2 su cui sono situati con distribuzione casuale. I complessi dei mammiferi, inoltre, contengono circa 12 copie della proteina che lega E3, che facilita il legame di E3 alla regione centrale E2 e diverse copie di una chinasi e di una fosfatasi che servono alla regolazione del complesso (Paragrafo 17.4A).

(a)

(b)

(c)

Figura 17.4 Organizzazione strutturale del complesso multienzimatico della piruvato deidrogenasi di E. coli. (a) La regione centrale costituita dalla diidrolipoil transacetilasi (E2). Le 24 copie di E2 (sfere verdi) si associano come trimeri agli angoli di un cubo. (b) Le 24 copie di piruvato deidrogenasi (E1) (sfere arancioni) formano dimeri che si associano alla regione centrale E2 (cubo ombreggiato) lungo i 12 lati del cubo. Le 12 copie di diidrolipoil deidrogenasi (E3) (sfere viola) formano dimeri che si attaccano alle sei facce del cubo E2. (c) Le Parti (a) e (b), combinate tra loro, formano l’intero complesso, costituito da 60 subunità.

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Il ciclo dell’acido citrico

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599

Figura 17.5 Modello del complesso multienzimatico della piruvato deidrogenasi del Bacillus stearothermophilus. La rappresentazione schematica mostra uno spaccato di circa 500 Å di un complesso, ricostruito su immagini ottenute al microscopio crioelettronico, costituito da una regione centrale contenente 60 subunità E2 (in grigio-verde) circondata da un guscio esterno di 60 subunità E1 (in viola) separate da un anello cavo di circa 90 Å di ampiezza. Tre subunità E2 sono mostrate nella loro lunghezza, colorate in rosso, verde e giallo per indicarne i domini catalitici (immersi nella regione centrale E2), i domini periferici di legame della subunità (immersi nel guscio E3) che legano le subunità E1 (ed E3) e i domini lipoilici uniti a polipeptidi flessibili di collegamento (Paragrafo 17.2B). Il dominio lipoilico in rosso è qui rappresentato mentre si avvicina a un sito attivo di E1 (puntino bianco), mentre i domini lipoilici in verde e giallo occupano posizioni intermedie nella regione anulare tra il nucleo E2 e il guscio E1. In un normale complesso della piruvato deidrogenasi, le subunità E3 dovrebbero assumere la posizione di alcune delle subunità E1. Infatti, un complesso costituito da 60 subunità E3 e 60 subunità E2 è simile al complesso E1-E2. [Per gentile concessione di Jacqueline Milne, National Institutes of Health, Bethesda, MD.]

B Il complesso della piruvato deidrogenasi catalizza cinque reazioni

Il complesso della piruvato deidrogenasi catalizza cinque reazioni in sequenza con la seguente stechiometria complessiva Piruvato 1 CoA 1 NAD1 n acetil-CoA 1 CO2 1 NADH Sono necessari cinque diversi coenzimi: tiamina pirofosfato (TPP; Paragrafo 15.3B), lipoamide, coenzima A (Figura 14.11), FAD (Figura 14.13) e NAD1 (Figura 11.4). I coenzimi e le loro funzioni sono elencati nella Tabella 17.1. La sequenza di reazioni catalizzate dal complesso della piruvato deidrogenasi è la seguente (Figura 17.6).

1. La piruvato deidrogenasi (E1), un enzima che richiede il coenzima TPP, decarbossila il piruvato, formando un intermedio idrossietil-TPP: H3C

R9 H3C

R

N+

S • E1

H+

C–

CO2 R

N+

H

+ C

C

O

O

S • E1 C

TPP • E1

–O

R9

CH3

O

C

CH3

IdrossietilTPP • E1

Piruvato

TABELLA 17.1 I coenzimi e i gruppi prostetici della piruvato deidrogenasi

Cofattore

Posizione

Funzione

Tiamina pirofosfato (TPP) Legato a E1

Decarbossila il piruvato, producendo un idrossietil-TPP carbanione

Acido lipoico

Legato covalentemente a un residuo di Lys di E2 (lipoamide)

Accetta l’idrossietil carbanione dal TPP sotto forma di gruppo acetilico

Coenzima A (CoA)

Substrato per E2

Accetta il gruppo acetilico dalla lipoamide

Flavina adenina dinucleotide (FAD)

Legato a E3

Ridotto dalla lipoamide

Nicotinamide adenina dinucleotide (NAD1)

Substrato per E3

Ridotto dal FADH2

600

CAPITOLO 17

Il ciclo dell’acido citrico

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Figura 17.6 Le cinque reazioni del complesso multienzimatico della piruvato deidrogenasi. La piruvato deidrogenasi (E1) contiene TPP e catalizza le reazioni 1 e 2. La diidrolipoil transacetilasi (E2) contiene lipoamide e catalizza la reazione 3. La diidrolipoil deidrogenasi (E3) contiene FAD e un gruppo disolfuro redox e catalizza le reazioni 4 e 5.

NAD+

FAD SH

Quale reazione avviene in ognuna delle cinque fasi?

5

SH

NADH S

OH CH3

CO2

C–

TPP

1 O CH3

C

O

piruvato deidrogenasi (E1)

4 S

R Lipoamide 2

diidrolipoil transacetilasi (E2)

C

S HS HS R 3

O O–

TPP

CH3

Piruvato

H+

FAD

S

Idrossietil-TPP

+

diidrolipoil deidrogenasi (E3)

C

O CH3 C S CoA Acetil-CoA

S HS

CoA

R Acetil-diidrolipoamide

Questa reazione è identica a quella catalizzata dalla piruvato decarbossilasi di lievito (Figura 15.20). Ricordiamo (Paragrafo 15.3B) che la capacità dell’anello tiazolico TTP di legarsi a gruppi carbonilici e funzionare come “trappola” per gli elettroni lo rende il coenzima più utilizzato nelle reazioni di decarbossilazione degli a-chetoacidi. 2. Diversamente dalla piruvato decarbossilasi, la piruvato deidrogenasi non converte l’idrossietil-TPP intermedio in acetaldeide e TPP. Il gruppo idrossietile viene invece trasferito all’enzima successivo, la diidrolipoil transacetilasi (E2), che contiene un gruppo lipoamidico. La lipoamide è costituita da acido lipoico, collegato tramite un legame amidico al gruppo ε-amminico di un residuo di Lys (Figura 17.7). Il centro di reazione della lipoamide è un disolfuro ciclico che può essere ridotto reversibilmente, producendo diidroAcido lipoico S

CH2

S

CH

Lys

CH2 CH2

O CH2

CH2

CH2

C

NH NH

(CH2)4

CH C

O

Lipoamide 2 H⫹ ⫹ 2 e⫺

HS

CH2

HS

CH

CH2 Figura 17.7 Interconversione di

lipoamide e diidrolipoamide. La lipoamide è costituita da acido lipoico, legato covalentemente al gruppo ε-amminico di un residuo di Lys tramite un legame amidico.

CH2

O CH2

CH2

CH2

C

NH NH

(CH2)4

CH C

Diidrolipoamide

O

CAPITOLO 17

Il ciclo dell’acido citrico

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lipoamide. Il gruppo idrossietile derivato dal piruvato attacca la lipoamide disolfuro, eliminando TPP e rigenerando così l’E1 attivo. Il carbanione idrossietile è quindi ossidato a gruppo acetilico, mentre il ponte disolfuro della lipoamide viene ridotto: H3C H3C

R9

H3C

R9

R9

N+

R

S • E1 C

N+

R

H+

S • E1

R

N+

C H

O

H+

S • E1

TPP • E1

C

C

CH3

H

O

C

S

S

S

HS

+

CH3 O

CH3 C S

E2

E2

HS E2 Acetildiidrolipoamide-E2

Lipoamide-E2

3. E2 catalizza quindi una reazione di transesterificazione nella quale il gruppo acetilico è trasferito al CoA, producendo acetil-CoA e diidrolipoamide-E2: O S

CoA

CH3

C

Acetil-CoA O C CoA

SH

CH3

+

S

HS

HS

HS

E2 Acetildiidrolipoamide-E2

E2 Diidrolipoamide-E2

4. L’acetil-CoA si è formato, ma il gruppo lipoamidico di E2 deve essere rigenerato. La diidrolipoil deidrogenasi (E3) riossida la diidrolipoamide per completare il ciclo catalitico di E2. L’E3 ossidato contiene un gruppo disolfuro CysOCys e una molecola di FAD strettamente legata. L’ossidazione della diidrolipoamide è una reazione di interscambio di disolfuri: HS

FAD S

S

FAD

+

+

SH HS

S

E2

E3 (ossidato)

S

SH

E2

E3 (ridotto)

5. Infine l’E3 ridotto è riossidato. I gruppi sulfidrilici sono riossidati tramite un meccanismo in cui il FAD incanala gli elettroni dai due gruppi sulfidrilici al NAD1, producendo NADH: FAD

FADH2

SH

S

SH

S

NAD+ NADH + H+

FAD S S E3 (ossidato)

Reazione 4

601

602

CAPITOLO 17

Il ciclo dell’acido citrico

Figura 17.8 Sito attivo della diidrolipoamide deidrogenasi (E3). In questa struttura ai raggi X dell’enzima di Pseudomonas putida, le parti dei cofattori NAD+ e FAD impegnate nella ossidoriduzione, le catene laterali di Cys 43 e Cys 48 che formano il legame disolfuro e la catena laterale di Tyr 181 sono indicate con un modello a sfere e bastoncini in cui C è in verde nel FAD e azzurro nel NAD+, la catena laterale della proteina è in porpora, N è in blu, O è in rosso, P è in arancione e S è in giallo. Si noti che la catena laterale di Tyr 181 si interpone tra gli anelli flavinici e quelli della nicotinamide. Le porzioni delle due subunità della proteina omodimerica sono riportate sotto forma di struttura a nastro e sono colorate in viola e in color bronzo. [Basata su strutture ai raggi X determinate da Wim Hol, University of Washington. PDBid 1LVL.]

Confrontate i potenziali di riduzione di NAD+, FAD e cisteina disolfuro (Tabella 14.4). Cosa ci dicono questi valori sul flusso di elettroni tra i tre gruppi?

PUNTO DI VERIFICA

• Riassumete i vantaggi forniti dai complessi multienzimatici.

• Scrivete la reazione complessiva catalizzata dal complesso della piruvato deidrogenasi.

• Descrivete le cinque reazioni catalizzate dal complesso multienzimatico della piruvato deidrogenasi.

• Quali cofattori sono necessari? Quali di questi sono rappresentati da gruppi prostetici?

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La struttura ai raggi X della diidrolipoil deidrogenasi, insieme ad alcune informazioni sul suo meccanismo d’azione, indica che la reazione catalizzata dalla diidrolipoil deidrogenasi (E3) è più complessa di quanto non suggeriscano le reazioni 4 e 5 della Figura 17.6. Il legame disolfuro ossido-riduttivamente attivo dell’enzima si forma tra la Cys 43 e la Cys 48, che a loro volta sono situate in un tratto altamente conservato della catena polipeptidica dell’enzima. Il legame disolfuro collega gli avvolgimenti successivi di un segmento distorto di un’a-elica (in un’a-elica non distorta gli atomi di Ca della Cys 43 e Cys 48 sarebbero troppo lontani tra loro per permettere la formazione di un legame disolfuro). Il gruppo flavinico dell’enzima è quasi completamente “sepolto” nella proteina: questo impedisce alla soluzione circostante di interferire con il trasferimento degli elettroni. L’anello nicotinamidico del NAD1 si lega sul lato della flavina opposto al gruppo disolfuro. In assenza di NAD1, la catena laterale fenolica della Tyr 181 copre la “tasca” che lega la nicotinamide, impedendo quindi alla flavina di entrare in contatto con la soluzione (Figura 17.8). La catena laterale della Tyr sembra spostarsi di lato per permettere all’anello nicotinamidico di legarsi vicino all’anello flavinico. Nelle proteine i gruppi prostetici FAD hanno potenziali di riduzione di circa 0 V (Tabella 14.4): questo fa sì che il FAD2 sia impossibilitato a donare elettroni al NAD1 (%°9 5 –0,315 V). Le prove sperimentali indicano che nella diidrolipoil deidrogenasi il gruppo FAD non si riduce mai totalmente nella forma di FADH2. A causa del posizionamento preciso degli anelli flavinici e nicotinamidici, gli elettroni sono rapidamente trasferiti dal disolfuro dell’enzima, tramite il FAD, al NAD1; l’anione flavinico ridotto (FADH2) ha così vita molto breve. Quindi il FAD sembra funzionare più come un “condotto” e non come una fonte o un punto di raccolta degli elettroni. Gli intermedi sono trasferiti da un “braccio oscillante”. In che modo gli inter-

medi di reazione sono incanalati tra E2 (il nucleo del complesso della piruvato deidrogenasi) e le proteine E1 ed E3 poste all’esterno? La spiegazione è il gruppo lipoamidico di E2. Il residuo di acido lipoico e la catena laterale del residuo di lisina a cui è attaccato hanno nell’insieme una lunghezza di circa 14 Å. Questo braccio di lipoil-lisina S S (a sinistra) è legato al resto della proteina E2 da un CH CH2 segmento molto flessibile ricco di Pro e Ala lungo C CH2 H2 più di 140 Å che consente al gruppo disolfuro di oscillare tra il sito attivo di E1 (dove raccoglie un CH2 gruppo idrossietilico), il sito attivo di E2 (dove il CH2 gruppo idrossietilico è trasferito al CoA per formaCH2 re acetil-CoA), e infine al sito attivo di E3 (dove il 14 • O C disolfuro ridotto è riossidato). A causa della flessibilità e dell’estensione di questa struttura organizNH zata, una proteina E1 è in grado di acetilare numeCH2 rose proteine E2, e una proteina E3 può riossidaCH2 re diversi gruppi diidrolipoamidici. I bracci di liCH2 poil-lisina probabilmente sporgono nella parte inCH2 terna cava della regione centrale E2 (Figura 17.5) e girano su se stessi in modo da “visitare” i siti attivi CH C N di E1, E2 e E3. L’intero complesso della piruvato H deidrogenasi può essere inattivato tramite reazione O del gruppo lipoamidico con alcuni composti conBraccio di lipoil-lisina tenenti arsenico (Scheda 17.2). (completamente esteso)

CAPITOLO 17

Il ciclo dell’acido citrico

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SCHEDA 17.2

603

LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA

L’avvelenamento da arsenico La tossicità dell’arsenico è nota sin da tempi remoti. I composti di As(III), come l’arsenito (AsO332) e gli arsenicali organici, sono tossici perché si legano a composti sulfidrilici (tra cui la lipoamide), formando addotti bidentati: OH –

O

As

HS

S –

+ OH

O

As

HS

+ 2 H2O S

R Arsenito

R

Diidrolipoamide S

HS R9

As

O +

R9

As

HS Arsenicale organico

+ H2O S

R

R

L’inattivazione degli enzimi contenenti lipoamide, particolarmente i complessi della piruvato deidrogenasi e dell’a-chetoglutarato deidrogenasi, blocca la respirazione. Tuttavia gli arsenicali organici sono più tossici per i microrganismi che per l’uomo, a quanto pare a causa della diversa sensibilità dei loro enzimi nei confronti di questi composti. Questa differenza di tossicità è la base per l’uso degli arsenicali organici, praticato agli inizi del XX secolo, come terapia per la sifilide (una malattia batterica) e la tripanosomiasi (una malattia parassitaria provocata da un protozoo). Questi composti furono in effetti i primi antibiotici, anche se, prevedibilmente, causarono gravi effetti collaterali. L’avvelenamento da arsenico fu spesso sospettato nei casi di morti premature. Si ritenne a lungo che Napoleone Bonaparte fosse morto a causa di un avvelenamento da arsenico durante il suo esilio nell’isola di Sant’Elena, un sospetto fortemente avvalorato dalla recente scoperta che

una ciocca dei suoi capelli conteneva una concentrazione elevata di arsenico. Ma si trattava di avvelenamento o di inquinamento ambientale? A quel tempo si usavano coloranti contenenti arsenico nella carta da parati, e inoltre si è scoperto che nei climi umidi alcuni funghi trasformano l’arsenico in un composto volatile. Alcuni campioni conservati della carta da parati della stanza di Napoleone contenevano infatti arsenico. È Napoleone Bonaparte. ©Heritage probabile quindi che Images/Corbis l’avvelenamento da arsenico subito da Napoleone non sia stato intenzionale. Anche Charles Darwin è probabilmente stato una vittima inconsapevole dell’avvelenamento cronico da arsenico. Negli anni che seguirono il suo epico viaggio sul Beagle, Darwin fu perseguitato da eczemi, vertigini, mal di testa, gotta e nausea, tutti sintomi dell’avvelenamento da arsenico. La soluzione di Fowler, un “tonico” comunemente usato nel XIX secolo, conteneva 10 mg per mL di arsenito. Molte persone, tra cui forse Darwin stesso, hanno assunto abitualmente Charles Darwin. [© Photo questa “medicina” per anni. Researchers.]

3 Gli enzimi del ciclo dell’acido citrico CONCETTI CHIAVE

• Gli otto enzimi del ciclo dell’acido citrico catalizzano le reazioni di condensazione, isomerizzazione, ossido-riduzione, fosforilazione e idratazione.

• Due reazioni producono CO2, una reazione produce GTP e quattro reazioni generano i coenzimi ridotti NADH e FADH2.

In questo paragrafo prenderemo in esame gli otto enzimi del ciclo dell’acido citrico. Il chiarimento dei meccanismi di funzionamento di ciascuno di questi enzimi è il risultato di un’enorme quantità di lavoro sperimentale. Restano tuttavia alcune domande sui dettagli del funzionamento degli enzimi e sulle loro proprietà regolatorie.

A La citrato sintasi unisce un gruppo acetilico all’ossalacetato La citrato sintasi catalizza la condensazione dell’acetil-CoA e dell’ossalacetato. Questa reazione iniziale del ciclo dell’acido citrico è il punto in cui gli atomi di carbonio (provenienti da carboidrati, acidi grassi e amminoacidi) “entrano nel-

604

CAPITOLO 17

Il ciclo dell’acido citrico

(a)

Figura 17.9 Modificazioni conformazionali della citrato sintasi. (a) La conformazione aperta. (b) La conformazione chiusa, che lega il substrato. In entrambe le forme, la proteina omodimerica è mostrata lungo il suo asse bidimensionale ed è rappresentata con la sua superficie molecolare trasparente. Le catene polipeptidiche sono disegnate a vermicello e colorate secondo l’ordine dei colori nell’arcobaleno dall’Nterminale (in blu) al C-terminale (in rosso). Il prodotto della reazione, il citrato, che è legato a entrambe le forme enzimatiche, e il coenzima A, che è anch’esso legato alla forma chiusa, sono mostrati con modello spaziale con il C del citrato in azzurro e in verde nel CoA, l’N in blu, l’O in rosso e P in arancione. L’esteso cambiamento conformazionale tra le forme aperta e chiusa comporta rotazioni di 18° dei domini più piccoli (più in alto a sinistra e più in basso a destra) rispetto ai domini più grandi che danno luogo a movimenti relativi interatomici fino a 15 Å. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da James Remington e Robert Huber, Max-Planck-Institut für Biochemie, Martinsried, Germania. PDBid 1CTS e 2CTS.]

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(b)

la fornace” sotto forma di acetil-CoA. La reazione della citrato sintasi procede con un meccanismo cinetico in ordine sequenziale, nel quale l’ossalacetato si lega prima dell’acetil-CoA. Alcuni studi ai raggi X indicano che l’enzima libero (un omodimero) è in forma “aperta”, con due domini che formano una fessura contenente il sito di legame del substrato (Figura 17.9a). Quando si lega il substrato (l’ossalacetato), il dominio più piccolo subisce una considerevole rotazione pari a 18°, che chiude la fessura (Figura 17.9b). L’esistenza delle forme “aperta” e “chiusa” spiega il comportamento cinetico ordinato e sequenziale. La modificazione conformazionale genera il sito di legame per l’acetil-CoA e blocca il sito di legame dell’ossalacetato, in modo che il solvente non possa raggiungere il substrato legato. Abbiamo già visto avvenire modificazioni conformazionali simili nell’adenilato chinasi (Figura 14.10) e nell’esochinasi (Figura 15.2), per impedire l’idrolisi dell’ATP. Nel meccanismo di reazione proposto da James Remington, tre catene laterali ionizzabili della citrato sintasi partecipano alla catalisi (Figura 17.10). 1. La forma enolica dell’acetil-CoA è prodotta nella tappa limitante della reazione, quando l’Asp 375 (una base) rimuove un protone dal gruppo metilico. L’His 274 forma un legame idrogeno con l’ossigeno del gruppo enolico. 2. Nella seconda tappa si forma il citril-CoA mediante un meccanismo catalitico acido-base concertato, in cui l’acetil-CoA nella forma enolica (un nucleofilo) attacca l’ossalacetato. L’His 320 (un acido) dona un protone al gruppo carbonilico dell’ossalacetato. L’intermedio citril-CoA resta legato all’enzima. La citrato sintasi è uno dei pochi enzimi che possono formare direttamente un legame carbonio-carbonio senza l’assistenza di uno ione metallico come cofattore. 3. Il citril-CoA è idrolizzato a citrato e CoA. Questa idrolisi produce la forza termodinamica che guida la reazione (DG°9 5 231,5 kJ ? mol21). Vedremo più avanti perché questa reazione richiede un dispendio di energia libera così elevato da apparire un inutile spreco.

CAPITOLO 17

605

Il ciclo dell’acido citrico

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SCHEMA DI PROCESSO

–OOC

His 320

His 320

H

H –OOC

O

C

CH2

COO–

C

O

CH2

N N

COO– H

Ossalacetato + N His 274

N H O H2C H

SCoA Acetil-CoA :O– C

Asp 375

–OOC

C –OOC O H2C 2 1 N L’acetil-CoA La tappa che His Citril-CoA limita la N 274 enolato conduce .. un attacco velocità di nucleofilico sul reazione è la H Idrolisi del carbonio formazione 3 –O citril-CoA. carbonilico dell’acetil-CoA dell’ossalacetato enolato, producendo stabilizzato H2C SCoA citril-CoA. da un legame H O –OOC idrogeno con l’His 274. C Asp 375 C –OOC H C O 2

O

e isocitrato

L’aconitasi catalizza l’isomerizzazione reversibile del citrato in isocitrato, con cis-aconitato come intermedio: COO–

COO–

COO–

CH2

CH2

CH2

C

OH

O

CH2

C

SCoA

H O C

H2O

Asp 375

O CoASH OH CH2

COO–

Citrato

B L’aconitasi interconverte reversibilmente citrato

HO

His 274

COO–

H2O

C

COO–

CH2

CH

COO–

COO–

Citrato

cis-Aconitato

H2O

H

C

COO–

HO

C

H

COO– Isocitrato

La reazione inizia con una deidratazione in cui sono rimossi un protone e un gruppo OH. Poiché ha due gruppi sostituenti carbossimetilici uguali sul suo atomo di C centrale, il citrato è considerato una molecola prochiralica e non chiralica. Quindi, anche se in teoria si potrebbe eliminare acqua a partire da entrambi i bracci carbossimetilici, l’aconitasi la rimuove solo dal braccio inferiore del citrato (pro-R) (cioè in modo che il prodotto abbia la configurazione R; Scheda 4.2). L’aconitasi contiene un centro ferro-zolfo [4Fe-4S] (una struttura contenente quattro atomi di ferro e quattro di zolfo, Paragrafo 18.2C), che presumibilmente coordina il gruppo OH del citrato per facilitarne l’eliminazione. I centri ferro-zolfo partecipano normalmente ai processi redox: l’aconitasi è un’eccezione molto interessante. Nella seconda fase della reazione dell’aconitasi il doppio legame del cis-aconitato viene reidratato per formare isocitrato. Sebbene l’aggiunta di acqua al doppio legame del cis-aconitato possa in teoria formare quattro diversi stereoisomeri, l’aconitasi catalizza un’aggiunta stereospecifica di OH2 e H1 per produrre solo uno stereoisomero dell’isocitrato. La capacità da parte di un enzima di distinguere tra i gruppi pro-R e pro-S non è stata oggetto di studio fino al 1948, quando Alexander Ogston mostrò come l’aconitasi riuscisse a distinguere tra i

Figura 17.10 Il meccanismo di reazione della citrato sintasi. L’His 274 e l’His 320, entrambe in forma neutra, e l’Asp 375 sono coinvolti come catalizzatori generici acido-base. [Tratta prevalentemente da Remington, J.S. (1992). Curr. Opin. Struct. Biol. 2, 732.]

L’attività della citrato sintasi sarebbe più sensibile a un limitato aumento o a una diminuzione del pH?

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Il ciclo dell’acido citrico

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due gruppi OCH2COO2 del citrato quando questo composto è legato all’enzima (Paragrafo 11.1B).

La Natura è opportunistica, in quanto spesso una proteina ha più di un solo utilizzo, un fenomeno definito moonlighting, o “lavoro a nero” (dalla pratica di svolgere un secondo lavoro, spesso di notte, quando splende la luna). L’aconitasi è una di queste proteine multifunzionali. Le cellule hanno bisogno di una quantità bilanciata di ferro. Se è troppo poco, le numerose proteine contenenti ferro possono perdere la loro funzione, se è troppo è tossico, in particolar modo per fegato, cuore e pancreas, e può causare una condizione rischiosa per la vita, chiamata emocromatosi. Il ferro assunto con l’alimentazione, trasportato nel sangue da una proteina chiamata transferrina, entra nelle cellule tramite endocitosi mediata dal recettore della transferrina (Paragrafo 20.1B), e ogni eccesso di ferro è raccolto dalla proteina ferritina. Quando una cellula ha poco ferro, la sua aconitasi viene inattivata tramite la perdita dei suoi gruppi ferro-zolfo [4Fe-4S]. La proteina risultante, che va incontro a estesi cambiamenti conformazionali per diventare la cosiddetta proteina regolatrice del ferro 1 (iron regulatory protein-1, IRP1), si lega a specifiche sequenze dell’mRNA che codificano il recettore della transferrina e la ferritina. Ciò inibisce la degradazione dell’mRNA del recettore della transferrina, portando a un aumento del tasso di sintesi del recettore della transferrina, e allo stesso tempo blocca la traduzione dell’mRNA della ferritina. La velocità di assunzione del ferro da parte della cellula aumenta, mentre diminuisce la quota di ferro legata alla ferritina. L’aconitasi agisce da sensore del ferro.

C L’isocitrato deidrogenasi NAD+-dipendente rilascia CO2

Figura 17.11 Il meccanismo di reazione dell’isocitrato deidrogenasi. L’ossalosuccinato è indicato tra parentesi quadre perché non si dissocia dall’enzima.

L’isocitrato deidrogenasi catalizza la decarbossilazione ossidativa dell’isocitrato ad a-chetoglutarato (conosciuto anche come 2-ossoglutarato). Questa reazione produce la prima molecola di CO2 e di NADH del ciclo dell’acido citrico. Si noti che questa molecola di CO2 all’inizio del ciclo dell’acido citrico è un componente dell’ossalacetato, non dell’acetil-CoA (Figura 17.2). (I tessuti dei mammiferi contengono anche un isozima dell’isocitrato deidrogenasi che usa NADP1 come cofattore.) L’isocitrato deidrogenasi NAD1-dipendente, che richiede come cofattori anche Mn21 o Mg21, catalizza l’ossidazione di un alcol secondario (isocitrato) a chetone (ossalosuccinato), seguito dalla decarbossilazione del gruppo carbossilico b a chetone (Figura 17.11). Il cofattore Mn21 aiuta a polarizzare il gruppo carbonilico appena formato. Il meccanismo di reazione dell’isocitrato deidrogenasi è simile a quello della fosfogluconato deidrogenasi nella via del pentosio fosfato (Paragrafo 15.6A). L’ossalosuccinato, intermedio della reazione dell’isocitrato deidrogenasi, esiste solo in forma transitoria: è stato quindi difficile confermarne l’esistenza. Tuttavia una reazione enzimatica può essere rallentata modificando per mutazione i residui cataliticamente importanti, in questo caso Tyr 160 e Lys 230, creando

COO– CH2 H HO

C C C

O

COO– O

C H

NAD+

CH2

H+ + NADH H

O–

O–

Isocitrato

COO–

C C C

O

O C O

CO2

CH2 H

– .O

.. 2+ Mn ...

O–

Ossalosuccinato

C C C

O

COO– CH2

H+ H

O–. . . 2+ .Mn . . O–

C

H

C

O

C O

O–

a-Chetoglutarato

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Il ciclo dell’acido citrico

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“restringimenti” cinetici, in modo da indurre un accumulo degli intermedi di reazione. In accordo con questa ipotesi, cristalli dell’isocitrato deidrogenasi mutata sono stati esposti al substrato isocitrato e immediatamente visualizzati tramite cristallografia ai raggi X, con tecniche di misurazione di intensità rapide che richiedono raggi X molto intensi prodotti da un sincrotrone. Questi studi hanno rivelato la presenza dell’intermedio ossalosuccinato nel sito attivo dell’enzima.

D Il complesso dell’a-chetoglutarato deidrogenasi è simile al complesso della piruvato deidrogenasi Il complesso dell’a-chetoglutarato deidrogenasi catalizza la decarbossilazione ossidativa di un a-chetoacido (a-chetoglutarato). Questa reazione produce la seconda molecola di CO2 e di NADH del ciclo dell’acido citrico: COO– CH2

COO– CoASH

CO2

CH2 C

CH2 CH2

O

COO–

NAD+

+ NADH + H

a-Chetoglutarato

C

O

S

CoA

Succinil-CoA

Ancora una volta, questa molecola di CO2 è entrata nel ciclo dell’acido citrico come componente dell’ossalacetato e non dell’acetil-CoA (Figura 17.2). Quindi, sebbene ciascun giro di ciclo dell’acido citrico ossidi due atomi di C a CO2, gli atomi di C dei gruppi acetilici che entrano nel ciclo sono ossidati a CO2 solo ai giri successivi del ciclo. La reazione del complesso dell’a-chetoglutarato deidrogenasi è chimicamente simile alla reazione catalizzata dal complesso multienzimatico della piruvato deidrogenasi. Anche il complesso dell’a-chetoglutarato deidrogenasi è un sistema multienzimatico contenente l’a-chetoglutarato deidrogenasi (E1), la diidrolipoil trans-succinilasi (E2), e la diidrolipoil deidrogenasi (E3). Questo enzima E3 è identico all’E3 del complesso della piruvato deidrogenasi. (Un terzo membro della famiglia dei complessi multienzimatici 2-chetoacido deidrogenasi è la deidrogenasi degli a-chetoacidi a catena ramificata, che partecipa alla degradazione di isoleucina, leucina e valina; Paragrafo 21.4). Le reazioni catalizzate dal complesso dell’a-chetoglutarato deidrogenasi avvengono con meccanismi identici a quelli del complesso della piruvato deidrogenasi. Anche in questo caso, il prodotto è il succinil-CoA, un tioestere “ad alta energia”.

E La succinil-CoA sintetasi produce GTP La succinil-CoA sintetasi (detta anche succinato tiochinasi) accoppia la scissione del succinil-CoA, un composto “ad alta energia”, alla sintesi di un nucleoside trifosfato “ad alta energia” (entrambi i nomi dell’enzima si riferiscono alla reazione inversa). Nei mammiferi questa molecola di GTP è di solito sintetizzata a partire da GDP 1 Pi, mentre gli enzimi delle piante e dei batteri usano di solito ADP 1 Pi per formare ATP. Queste reazioni sono tuttavia equivalenti dal punto di vista energetico, poiché l’ATP e il GTP sono rapidamente interconvertiti tramite l’azione della nucleoside difosfato chinasi (Paragrafo 14.2C): GTP 1 ADP 34 GDP 1 ATP DG °9 5 0 In che modo la succinil-CoA sintetasi accoppia la scissione esoergonica del succinil-CoA (DG°9 5 232,6 kJ ? mol21) alla formazione endoergonica di un nucleoside trifosfato (DG°9 5 30,5 kJ ? mol21) a partire dal corrispondente nucleoside difosfato e Pi? È stato possibile rispondere a questa domanda tramite

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Il ciclo dell’acido citrico

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un esperimento con ADP marcato con isotopi. In assenza di succinil-CoA, l’enzima estratto dalla pianta di spinaci catalizza il trasferimento del gruppo fosforico g dall’ATP al [14C]ADP, producendo [14C]ATP. Questa reazione di scambio di isotopi suggerisce la partecipazione di un intermedio fosforil-enzima nella sequenza di reazione Passaggio 1 A

A

P

P ATP

+

P

+

P P ADP

Passaggio 2 E

E P Fosforilenzima

A

P P ADP*

A

P P ATP*

+

E

P

+

P

E

Questa informazione ha permesso di isolare un fosforil-enzima cineticamente attivo, in cui il gruppo fosforico è legato covalentemente alla posizione N3 di un residuo di His. La Figura 17.12 mostra un meccanismo in tre tappe per la reazione della succinil-CoA sintetasi.

1. Il succinil-CoA reagisce con Pi, formando succinil-fosfato e CoA libero. 2. Il gruppo fosforico è quindi trasferito dal succinil-fosfato a un residuo His dell’enzima, liberando succinato. 3. Il gruppo fosforico dell’enzima è trasferito al GDP, formando GTP.

Figura 17.12 La reazione catalizzata dalla succinil-CoA sintetasi.

Si noti che in ciascuna di queste tappe l’energia del succinil-CoA è conservata tramite la formazione di composti “ad alta energia”: prima il succinil-fosfato, poi un residuo 3-fosfo-His, e infine GTP. Il processo ricorda il passaggio di mano in mano di una “patata bollente”. La reazione catalizzata dalla succinil-CoA sinteta-

Illustrate con uno schema questo processo a più tappe usando la convenzione di Cleland (Paragrafo 12.1D).

SCHEMA DI PROCESSO COO– OH –O

P

COO–

CH2

+

O

CH2 1 Formazione del succinil-fosfato, un acil fosfato “ ad alta energia”.

CH2

O–

C CoAS

Pi

O

Succinil-CoA

COO–

E

+

N ..

–2O P 3

2 Formazione di fosforil-His, un intermedio “ad alta energia”.

O

Enzima-His

O– G

O

P

E

O– O

O GDP

P O–

O

+

COO–

E

CH2

N

C O

O

O Succinilfosfato

H+

CH2

H+

N PO23–

PO23–

N ..

+

G

O

P

C O

Succinato

O–

H

CH2 –O

3-Fosfo-His

N 3 Trasferimento del gruppo fosforico al GDP e formazione di GTP.

+

N

E

N

CoASH

C

–2O P 3

CH2

H

N

+

CH2

O– O

O

P O

GTP

O– O

P O–

O

CAPITOLO 17

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Il ciclo dell’acido citrico

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si è un altro esempio di fosforilazione a livello del substrato (sintesi di ATP che non dipende direttamente dalla presenza di ossigeno). A questo punto del ciclo dell’acido citrico, un equivalente di acetile è stato completamente ossidato a due molecole di CO2 e sono state prodotte due molecole di NADH e una molecola di GTP (equivalente a un ATP). Per completare il ciclo, il succinato deve essere trasformato di nuovo in ossalacetato. Questo processo è eseguito dalle ultime tre reazioni.

F La succinato deidrogenasi genera FADH2 La succinato deidrogenasi catalizza la deidrogenazione stereospecifica del succinato a fumarato. COO– H

C

H

H

C

H

COO–

H

+

E

C

FAD –OOC

COO– Succinato

+

C

E

FADH2

H

Fumarato

L’enzima è fortemente inibito dal malonato (a destra), un analogo strutturale del succinato e un esempio classico di inibizione competitiva. Quando Krebs stava formulando la sua teoria del ciclo dell’acido citrico, l’inibizione della respirazione cellulare da parte del malonato è stata uno degli indizi per capire che il succinato aveva un ruolo catalitico nell’ossidazione dei substrati e non era semplicemente un altro substrato (Scheda 17.1). La succinato deidrogenasi contiene un gruppo prostetico FAD legato covalentemente all’enzima tramite un residuo di His (Figura 17.13); nella maggior parte degli altri enzimi contenenti FAD, questo è legato strettamente ma non covalentemente. In generale, il FAD funziona da un punto di vista biochimico per ossidare gli alcani (come il succinato) ad alcheni (come il fumarato), mentre il NAD1 partecipa all’ossidazione maggiormente esoergonica degli alcoli ad aldeidi e chetoni (per esempio, nella reazione catalizzata dalla isocitrato deidrogenasi). La deidrogenazione del succinato produce FADH2, che deve essere riossidato prima che la succinato deidrogenasi inizi un altro ciclo catalitico. La riossidazione del FADH2 avviene quando i suoi elettroni sono trasferiti alla catena di trasporto degli elettroni, che esamineremo nel Paragrafo 18.2. La succinato deidrogenasi è il solo enzima del ciclo dell’acido citrico legato alla membrana (gli altri si trovano nel compartimento interno del mitocondrio, la matrice; Paragrafo 18.1A): la sua localizzazione è necessaria a incanalare gli elettroni direttamente nel sistema di trasporto degli elettroni della membrana mitocondriale. CH 2

His N

E

HO

C

H

CH2

HO

C

H

HO

C

H

N

CH2

H2C

N

H3C

N

R

N

N H O

FAD

O Figura 17.13 L’attacco covalente del FAD a un residuo di His della succinato deidrogenasi. R rappresenta il residuo di ADP.

COO COO CH2 COO

_

_

Malonato

_

CH2 CH2 COO

_

Succinato

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Il ciclo dell’acido citrico

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G La fumarasi produce malato La fumarasi (fumarato idratasi) catalizza l’idratazione del doppio legame del fumarato per formare malato. La reazione di idratazione procede attraverso uno stato di transizione rappresentato da un carbanione. L’aggiunta di OH2 avviene prima dell’aggiunta di H1: COO–

H C –OOC

OH –

H

C

–OOC

H

Fumarato

C– C

COO–

H+

H

OH

H

–OOC

H

Stato di transizione: carbanione

COO– C C

OH H

Malato

H La malato deidrogenasi rigenera l’ossalacetato La malato deidrogenasi catalizza la reazione finale del ciclo dell’acido citrico, la rigenerazione dell’ossalacetato. Il gruppo ossidrilico del malato è ossidato in una reazione NAD1-dipendente: H

O

H

C C

– OOC

C

O–

OH H

Malato

PUNTO DI VERIFICA

• Disegnate le strutture degli otto intermedi del ciclo dell’acido citrico ed elencate gli enzimi che catalizzano le loro interconversioni.

• Quali sono le tappe del ciclo dell’acido citrico che rilasciano CO2 come prodotto della reazione? Quali sono le tappe che producono NADH o FADH2? Quali sono le tappe che producono GTP?

• Scrivete le equazioni nette dell’ossidazione del piruvato, del gruppo acetilico dell’acetil-CoA e del glucosio a CO2 e H2O.

+

H

NAD+ –

O

H

C C

O–

+

NADH

+

H+

C OOC

O

Ossalacetato

Il trasferimento di uno ione idruro al NAD1 avviene tramite lo stesso meccanismo usato per il trasferimento dello ione idruro nella lattato deidrogenasi e nell’alcol deidrogenasi (Paragrafo 15.3). Il confronto delle strutture cristallografiche ai raggi X dei domini che legano il NAD1 indica che questi tre enzimi sono notevolmente simili tra loro, in accordo con l’ipotesi che tutti i domini che legano il NAD1 si siano evoluti da un antenato comune. Il valore di DG°9 della reazione della malato deidrogenasi è 129,7 kJ · mol21; quindi la concentrazione dell’ossalacetato all’equilibrio (e in condizioni cellulari) è molto bassa rispetto a quella del malato. Ricordiamo, tuttavia, che la reazione catalizzata dalla citrato sintasi, la prima reazione del ciclo dell’acido citrico, è fortemente esoergonica (DG°9 5 231,5 kJ · mol21) a causa della scissione del legame tioestere del citril-CoA. Ora possiamo comprendere la necessità di un processo apparentemente tanto dispendioso da un punto di vista energetico: il processo rende la formazione di citrato esoergonica anche alle basse concentrazioni di ossalacetato presenti nelle cellule, mantenendo quindi in funzione il ciclo dell’acido citrico.

4 La regolazione del ciclo dell’acido citrico CONCETTI CHIAVE

• Il fabbisogno di energia regola il ciclo dell’acido citrico agendo a livello della tappa catalizzata dalla piruvato deidrogenasi e delle tre tappe che controllano la velocità del ciclo.

• I meccanismi di controllo dipendono dalla disponibilità dei substrati, dall’inibizione da parte dei prodotti, dalle modificazioni covalenti e dagli effetti allosterici.

La capacità del ciclo dell’acido citrico di produrre energia per le necessità della cellula è strettamente regolata. La disponibilità di substrati, le richieste di intermedi del ciclo dell’acido citrico come precursori biosintetici e la domanda

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di ATP influenzano tutte l’attività del ciclo. Vi sono alcune prove del fatto che gli enzimi del ciclo dell’acido citrico sono fisicamente associati, il che potrebbe contribuire alla loro regolazione coordinata. Prima di esaminare i vari meccanismi per regolare il ciclo dell’acido citrico, consideriamo in breve la capacità del ciclo di produrre energia. L’ossidazione di un gruppo acetilico a due molecole di CO2 è un processo che coinvolge quattro coppie di elettroni (ma ricordate che gli atomi di carbonio ossidati non sono quelli del gruppo acetilico in entrata). Per ogni molecola di acetil-CoA che entra nel ciclo, tre molecole di NAD1 sono ridotte a NADH, coinvolgendo quindi tre delle quattro coppie di elettroni, e una molecola di FAD è ridotta a FADH2, coinvolgendo la quarta coppia di elettroni. In più si produce una molecola di GTP (o ATP, Figura 17.14). Gli elettroni trasportati dal NADH e dal FADH2 sono inviati alla catena di trasporto degli elettroni, che culmina nella riduzione di O2 a H2O. L’energia di trasporto degli elettroni è conservata nella sintesi di ATP tramite la fosforilazione ossidativa (Paragrafo 18.3). Per ogni NADH che trasferisce i suoi elettroni sono prodotti circa 2,5 ATP a partire da ADP e Pi. Per ogni FADH2 sono prodotti circa 1,5 ATP. Quindi un giro del ciclo dell’acido citrico produce alla fine 10 ATP. Vedremo nel Paragrafo 18.3C perché questi valori sono solo approssimati. Quando il glucosio è trasformato in due molecole di piruvato mediante la glicolisi, si producono due molecole di ATP e si riducono due molecole di NAD1 (Paragrafo 15.1). Quando trasferiscono i loro elettroni alla catena di trasporto, le molecole di NADH rendono approssimativamente cinque molecole di ATP. Quando le due molecole di piruvato sono trasformate in due molecole di acetil-CoA tramite il complesso della piruvato deidrogenasi, anche le due molecole di NADH prodotte nel processo rendono circa cinque molecole di ATP. Due giri del ciclo dell’acido citrico (uno per ciascun gruppo acetilico) producono circa 20 molecole di ATP. Quindi una molecola di glucosio può in teoria pro-

Acetil-CoA

NADH

Ossalacetato

Citrato

Malato

Isocitrato

NADH α-Chetoglutarato

Fumarato

FADH2

CO2

NADH Succinato

Succinil-CoA

CO2

GTP

Figura 17.14 I prodotti del ciclo dell’acido citrico. Per ogni due atomi di carbonio che vengono ossidati a CO2, gli elettroni vengono recuperati sotto forma di tre molecole di NADH e una molecola di FADH2. Viene prodotta anche una molecola di GTP (o ATP).

Identificate il numero degli atomi di carbonio in ciascun intermedio del ciclo.

611

CONCETTI DI BASE Il flusso metabolico Nelle cellule, il ciclo dell’acido citrico procede continuamente, come un processo catalitico a più tappe e a velocità variabile, convertendo i gruppi acetile a due carboni in 2 molecole di CO2 e trasformando l’energia dei gruppi acetile nell’energia libera dell’ATP e nei cofattori ridotti. Le cellule possono controllare sia il flusso sia la capacità complessiva del ciclo, più o meno come un’autostrada dove il limite di velocità e il numero di veicoli possono essere aumentati o diminuiti.

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durre circa 32 molecole di ATP in condizioni aerobiche, quando è in funzione il ciclo dell’acido citrico. Al contrario, solo due molecole di ATP sono prodotte per ciascuna molecola di glucosio in condizioni anaerobiche. Glucosio

2 NADH

5 ATP 2 ATP

2 Piruvato

2 NADH

5 ATP

6 NADH

15 ATP

2 FADH2

3 ATP

2 GTP

2 ATP

2 Acetil-CoA

A Il complesso della piruvato deidrogenasi viene regolato per inibizione da prodotto e modificazione covalente Data la grande quantità di ATP che può essere prodotta dal catabolismo dei carboidrati tramite il ciclo dell’acido citrico, non è sorprendente che l’ingresso di unità acetiliche derivate da fonti glucidiche sia finemente regolato. La decarbossilazione del piruvato tramite il complesso della piruvato deidrogenasi è irreversibile, e poiché non vi sono altre vie nei mammiferi per la sintesi dell’acetil-CoA dal piruvato, è fondamentale che la reazione sia controllata in modo preciso. Si usano due sistemi di regolazione.

Figura 17.15 Modificazione covalente della piruvato deidrogenasi degli eucarioti. E1 è inattivato dalla fosforilazione specifica di uno dei suoi residui di Ser in una reazione catalizzata dalla piruvato deidrogenasi chinasi. Questo gruppo fosforico è idrolizzato dalla piruvato deidrogenasi fosfatasi, che riattiva quindi E1.

Quando la necessità di ATP della cellula è bassa è più attiva la chinasi o la fosfatasi? Pi

E1– OH (attivo)

piruvato deidrogenasi fosfatasi H2O

E1–OPO 32– (inattivo)

1. L’inibizione da prodotto da parte del NADH e dell’acetil-CoA. Questi composti competono con NAD1 e CoA per i siti di legame ai rispettivi enzimi. Inoltre inducono le reazioni reversibili della transacetilasi (E2) e della diidrolipoil deidrogenasi (E3) a procedere nella direzione inversa (Figura 17.6). Gli elevati rapporti [NADH]/[NAD1] e [acetil-CoA]/ [CoA] mantengono quindi E2 nella forma acetilata, che non è in grado di accettare il gruppo idrossietilico dal TTP su E1. Ciò mantiene il TTP nella subunità E1 nella forma legata all’idrossietile, rallentando la velocità della decarbossilazione del piruvato. 2. La modificazione covalente tramite fosforilazione/defosforilazione di E1. Negli eucarioti, anche i prodotti della reazione della piruvato deidrogenasi, NADH e acetil-CoA, attivano la piruvato deidrogenasi chinasi associata al complesso dell’enzima. La risultante fosforilazione di uno specifico residuo Ser della deidrogenasi inattiva il complesso della piruvato deidrogenasi (Figura 17.15). L’insulina, l’ormone che segnala abbondanza di carburante metabolico, annulla l’inattivazione, attivando a sua volta la piruvato deidrogenasi fosfatasi, che rimuove i gruppi fosforici ATP dalla piruvato deidrogenasi. Ricordiamo che l’insulina innepiruvato sca anche la sintesi di glicogeno, attivando la fosfoproteina deidrogenasi fosfatasi (Paragrafo 16.3B). Quindi, in risposta all’aumento chinasi della [glucosio] nel sangue, l’insulina favorisce la sintesi di ADP acetil-CoA e di glicogeno.

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Il ciclo dell’acido citrico

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Altri regolatori del sistema della piruvato deidrogenasi comprendono il piruvato e l’ADP, che inibisce la piruvato deidrogenasi chinasi, e il Ca21, che inibisce la piruvato deidrogenasi chinasi e attiva la piruvato deidrogenasi fosfatasi. A differenza del sistema di controllo del metabolismo del glucosio (Paragrafo 16.3B), l’attività della piruvato deidrogenasi non è influenzata da cAMP.

B Tre enzimi controllano la velocità del ciclo dell’acido citrico Per capire in che modo è controllata una via metabolica dobbiamo identificare gli enzimi che catalizzano le tappe che limitano la velocità, gli effettori in vitro degli enzimi e le concentrazioni in vivo di queste sostanze. Un ipotetico meccanismo di controllo del flusso deve funzionare entro i limiti delle concentrazioni fisiologiche degli effettori. Identificare le tappe che limitano la velocità di una reazione nel ciclo dell’acido citrico è più difficile di quanto non lo sia per la glicolisi, perché la maggior parte dei metaboliti del ciclo è presente sia nei mitocondri sia nel citosol e non conosciamo la loro distribuzione in questi due compartimenti (ricordate che per identificare le reazioni che controllano la velocità in una via metabolica occorre determinare il valore di DG di ciascuna delle sue reazioni a partire dalle concentrazioni dei suoi substrati e prodotti). Assumeremo quindi che i compartimenti siano in equilibrio e useremo le concentrazioni totali cellulari di queste sostanze per stimare le loro concentrazioni mitocondriali. La Tabella 17.2 fornisce le variazioni standard di energia libera degli otto enzimi del ciclo dell’acido citrico e le variazioni fisiologiche di energia libera per le reazioni nel muscolo cardiaco o nel tessuto epatico. Possiamo notare che tre degli enzimi probabilmente funzionano in condizioni fisiologiche, ma lontane dall’equilibrio (DG negativo): citrato sintasi, isocitrato deidrogenasi NAD1-dipendente e a-chetoglutarato deidrogenasi. Questi sono quindi gli enzimi che controllano la velocità del ciclo. Nel muscolo cardiaco, in cui il ciclo dell’acido citrico è attivo, il flusso dei metaboliti è proporzionale alla velocità del consumo di ossigeno cellulare. A causa del consumo di ossigeno, la riossidazione del NADH e la produzione di ATP sono strettamente collegate (Paragrafo 18.3); il ciclo dell’acido citrico deve essere regolato tramite meccanismi di controllo retroattivo che coordinano la produzione di NADH con il dispendio energetico. A differenza degli enzimi che limitano la velocità della glicolisi e del metabolismo del glicogeno, che regolano il flusso tramite sistemi elaborati di controllo allosterico, cicli del substrato e modificazioni covalenti, gli enzimi regolatori del ciclo dell’acido citrico sembrano controllare il flusso principalmente mediante tre semplici meccanismi: (1) disponibilità di substrato; (2) inibizione da prodotto, e (3) inibizione competitiva retroattiva tramite intermedi prodotti in tappe succesTABELLA 17.2 Variazioni standard di energia libera (∆G°’) e variazioni di

energia libera fisiologica (∆G) delle reazioni del ciclo dell’acido citrico Reazione

Enzima

DG°9 DG (kJ ? mol–1) (kJ ? mol–1)

1

Citrato sintasi

–31,5

Negativo

2

Aconitasi

,5

,0

3

Isocitrato deidrogenasi

–21

Negativo

4

Complesso multienzimatico dell’a-chetoglutarato deidrogenasi

–33

Negativo

5

Succinil-CoA sintetasi

6

Succinato deidrogenasi

7

Fumarasi

8

Malato deidrogenasi

–2,1 16

,0 ,0

–3,4

,0

129,7

,0

613

CAPITOLO 17

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Piruvato Ca2+

Acetil-CoA

Ossalacetato

Citrato

Malato

Fumarato

Isocitrato

NADH

Ca2+, ADP Succinato

GTP

Succinil-CoA

sive del ciclo. Alcuni dei principali meccanismi di regolazione sono schematizzati nella Figura 17.16. Non vi è un singolo punto di controllo del flusso nel ciclo dell’acido citrico, ma piuttosto il controllo è distribuito tra numerosi enzimi. Probabilmente i regolatori di maggiore importanza del ciclo dell’acido citrico sono i suoi substrati, l’acetil-CoA e l’ossalacetato, e il suo prodotto, il NADH. Sia l’acetil-CoA sia l’ossalacetato sono presenti nei mitocondri a concentrazioni che non saturano la citrato sintasi. Il flusso metabolico attraverso l’enzima varia quindi in funzione della concentrazione del substrato ed è controllato dalla sua disponibilità. Abbiamo già visto che la produzione di acetil-CoA a partire dal piruvato è regolata dall’attività della piruvato deidrogenasi. La concentrazione dell’ossalacetato, in equilibrio con quella del malato, fluttua in base al rapporto [NADH]/[NAD1], secondo l’espressione dell’equilibrio

α-Chetoglutarato

ATP

Ca2+

Figura 17.16 Regolazione del ciclo dell’acido citrico. Questo schema del ciclo dell’acido citrico, che comprende la reazione della piruvato deidrogenasi, indica i punti di inibizione (ottagoni rossi) e gli intermedi delle vie metaboliche che funzionano come inibitori (frecce rosse tratteggiate). ADP e Ca2+ (cerchi verdi) agiscono da inibitori.

Identificate gli enzimi che sono regolati mediante inibizione retroattiva e da prodotto.

K5

[ossalacetato][NADH] [malato][NAD1]

Se, per esempio, il carico di lavoro del muscolo e la velocità di respirazione aumentano, la [NADH] mitocondriale diminuisce. L’aumento conseguente di [ossalacetato] stimola l’attività della citrato sintasi, che controlla la velocità di formazione del citrato. L’aconitasi funziona in condizioni vicine all’equilibrio: la velocità di consumo del citrato dipende quindi dall’attività dell’isocitrato deidrogenasi NAD1-dipendente, che in vitro è notevolmente inibita dal suo stesso prodotto, il NADH. Anche la citrato sintasi è inibita dal NADH, ma è meno sensibile alle variazioni di [NADH] rispetto all’isocitrato deidrogenasi. Altri esempi di inibizione da prodotto nel ciclo dell’acido citrico sono l’inibizione della citrato sintasi ad opera del citrato (il citrato compete con l’ossalacetato) e l’inibizione del complesso dell’a-chetoglutarato deidrogenasi da parte del NADH e del succinil-CoA. Il succinil-CoA compete anche con l’acetil-CoA nella reazione della citrato sintasi (inibizione competitiva). Questo sistema integrato di inibizioni regola in modo coordinato il ciclo dell’acido citrico e mantiene la concentrazione dei suoi intermedi entro limiti ben definiti.

Studi in vitro sugli enzimi del ciclo dell’acido citrico hanno permesso di identificare alcuni attivatori e inibitori allosterici. L’ADP è un attivatore allosterico dell’isocitrato deidrogenasi, mentre l’ATP è un inibitore dello stesso enzima. Oltre alle altre numerose funzioni cellulari, il Ca21 regola anche il ciclo dell’acido citrico in vari punti: attiva la piruvato deidrogenasi fosfatasi (Figura 17.15), che a sua volta attiva il complesso della piruvato deidrogenasi per produrre acetil-CoA; attiva inoltre l’isocitrato deidrogenasi e l’a-chetoglutarato deidrogenasi (Figura 17.16). Infine il Ca21, il segnale di attivazione della contrazione muscolare, attiva anche la produzione di ATP, cioè il suo rifornimento di energia. Altri meccanismi di regolazione.

Gli enzimi dell’acido citrico sono organizzati in un metabolone. Si può raggiun-

gere un’elevata efficienza organizzando gli enzimi di una via metabolica che catalizzano tappe sequenziali in modo che interagiscano incanalando gli intermedi fra di loro. In effetti, questo è quello che succede per il complesso multienzimatico della piruvato deidrogenasi (Paragrafo 17.2A). Tra i vantaggi di questa

CAPITOLO 17

Il ciclo dell’acido citrico

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organizzazione, detta metabolone, vi sono la protezione degli intermedi labili (reattivi) e l’aumento delle loro concentrazioni locali per una catalisi più efficiente. Sono stati progettati molti esperimenti per ottenere evidenze su queste interazioni nelle principali vie metaboliche, comprese la glicolisi e il ciclo dell’acido citrico. Poiché gli intermedi del ciclo dell’acido citrico devono essere disponibili per essere utilizzati anche in altre vie metaboliche, qualunque complesso che si formi tra gli enzimi del ciclo dell’acido citrico è debole e incapace di resistere alle manipolazioni di laboratorio necessarie per isolarlo, in particolare alla diluizione dalla soluzione di proteine altamente concentrata della matrice mitocondriale (la struttura del mitocondrio è illustrata nel Paragrafo 18.1A). Sono state ugualmente ottenute prove significative che almeno alcuni degli enzimi del ciclo dell’acido citrico si aggregano in complessi sovramolecolari – cioè in un metabolone – associati alla membrana mitocondriale interna sul lato rivolto verso la matrice, dove è ancorata la succinato deidrogenasi.

5 Le reazioni correlate al ciclo dell’acido citrico CONCETTI CHIAVE

• Il ciclo dell’acido citrico fornisce i metaboliti per la gluconeogenesi, la sintesi degli acidi grassi e la sintesi degli amminoacidi.

• Gli intermedi del ciclo dell’acido citrico possono essere riforniti da altre vie metaboliche.

• Alcuni organismi utilizzano il ciclo del gliossilato, una variante del ciclo dell’acido citrico, per la conversione netta dell’acetil-CoA in ossalacetato.

615

PUNTO DI VERIFICA

• Quante molecole di ATP si possono generare dal glucosio se il ciclo dell’acido citrico è attivo?

• Quali sono le tappe del ciclo dell’acido citrico che regolano il flusso attraverso il ciclo?

• Descrivete il ruolo dell’ADP, del Ca2+, dell’acetil-CoA e del NADH nella regolazione della piruvato deidrogenasi e del ciclo dell’acido citrico.

Figura 17.17 Funzioni anfiboliche del ciclo dell’acido citrico. Lo schema indica le posizioni nelle quali gli intermedi del ciclo sono prelevati mediante reazioni cataplerotiche per l’impiego in vie anaboliche (frecce rosse) e i punti in cui le reazioni anaplerotiche forniscono gli intermedi del ciclo (frecce verdi). Le reazioni che coinvolgono la transamminazione e la deamminazione di amminoacidi sono reversibili, quindi la direzione della reazione varia a seconda delle esigenze metaboliche.

A prima vista, una determinata via metabolica può apparire catabolica, con rilascio e conservazione di energia libera, oppure anabolica, con richiesta di energia libera per il suo funzionamento. Il ciclo dell’acido citrico è naturalmente una Quali reazioni predominano via catabolica, in quanto coinvolge processi di degradazione ed è uno dei prin- quando aumenta la richiesta di ATP cipali sistemi per la conservazione dell’energia nella maggior parte degli organi- della cellula? smi. Affinché il ciclo possa mantenere i processi degradativi è sufficiente che i suoi intermedi Piruvato CO2 siano presenti in quantità catalitiche. Tuttavia numerose vie biosintetiche usano gli intermedi del ciclo dell’acido citrico come materiale di partenza per reazioni anaboliche. Il ciclo dell’aAcidi Amminoacidi Acetil-CoA cido citrico è quindi anfibolico (anabolico e cagrassi tabolico). In questo paragrafo esamineremo alcune delle reazioni che forniscono intermedi al Glucosio Ossalacetato Colesterolo ciclo o che li sottraggono: esamineremo inoltre la via del gliossilato, una variante del ciclo Aspartato Citrato Malato Fenilalanina dell’acido citrico che riguarda solo le piante e Tirosina che trasforma l’acetil-CoA in ossalacetato. Alcune reazioni che fanno uso o forniscono interFumarato Isocitrato medi del ciclo dell’acido citrico sono riportate nella Figura 17.17. Succinato

A Altre vie usano gli intermedi del ciclo dell’acido citrico Le reazioni che usano e quindi prelevano intermedi dal ciclo dell’acido citrico sono dette reazioni cataplerotiche (o “di svuotamento”, da greco catà, “giù”, e plerotikòs, “riempire”). Queste reazioni servono non solo alla sintesi di importanti prodotti, ma anche a evitare un inutile

Succinil-CoA

α-Chetoglutarato

Porfirine Amminoacidi Isoleucina Metionina Valina

Acidi grassi a catena con numero dispari di atomi di carbonio

616

CAPITOLO 17

Il ciclo dell’acido citrico

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e forse dannoso accumulo di intermedi del ciclo dell’acido citrico nel mitocondrio, per esempio quando la velocità di degradazione degli amminoacidi a intermedi del ciclo è elevata. Le reazioni cataplerotiche avvengono nelle seguenti vie metaboliche. 1. La biosintesi del glucosio (gluconeogenesi) utilizza ossalacetato (Paragrafo 16.4). Poiché la gluconeogenesi avviene nel citosol, l’ossalacetato deve essere trasformato in malato o aspartato per essere trasportato attraverso la membrana mitocondriale interna (Figura 16.20). Poiché il ciclo dell’acido citrico è una via ciclica, uno qualsiasi dei suoi intermedi può essere trasformato in ossalacetato e usato per la gluconeogenesi. 2. La biosintesi degli acidi grassi è un processo che avviene nel citosol che richiede acetil-CoA. L’acetil-CoA è prodotto nei mitocondri, ma non può attraversare la membrana mitocondriale. L’acetil-CoA citosolico è quindi prodotto dalla scissione del citrato, che può attraversare la membrana mitocondriale, in una reazione catalizzata dalla ATP-citrato liasi (Paragrafo 20.4A). Questa reazione usa l’energia libera dell’ATP per “scindere” quanto costruito nella reazione della citrato sintasi: ATP 1 citrato 1 CoA n ADP 1 Pi 1 ossalacetato 1 acetil-CoA 3. La biosintesi degli amminoacidi usa come materiali di partenza a-chetoglutarato e ossalacetato. Per esempio, l’a-chetoglutarato è trasformato in glutammato tramite amminazione riduttiva, catalizzata da una glutammato deidrogenasi che richiede NADH o NADPH: COO–

COO–

CH2

CH2

+

CH2 C

NADH

+

H+

+

+

NH4

O

+

CH2 H

NAD+

+

H2O

NH3+

C

COO–

COO–

a-Chetoglutarato

Glutammato

L’ossalacetato subisce una transamminazione con alanina, producendo aspartato e piruvato (Paragrafo 21.2A): COO–

COO– C

O

CH2

+

+ H3N

C CH3

COO– Ossalacetato

H

COO– + H 3N

C

H

COO–

+

C

CH2

O

CH3

COO– Alanina

Aspartato

Piruvato

B Alcune reazioni riforniscono il ciclo dell’acido citrico di intermedi Negli organismi aerobici il ciclo dell’acido citrico è la principale fonte di energia libera; quindi le sue funzioni cataboliche non possono essere interrotte: gli intermedi del ciclo che sono stati prelevati devono essere rimpiazzati. Le reazioni che riforniscono il ciclo sono dette reazioni anaplerotiche (o “di riempimento”, dal greco anà, “su”, e plerotikòs, “riempire”). La più importante tra queste reazioni è quella catalizzata dalla piruvato carbossilasi, che produce ossalacetato a partire dal piruvato: Piruvato 1 CO2 1 ATP 1 H2O n ossalacetato 1 ADP 1 Pi

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Il ciclo dell’acido citrico

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(Questa è anche una delle prime reazioni della gluconeogenesi; Paragrafo 16.4A.) Tramite il suo attivatore, l’acetil-CoA, la piruvato carbossilasi “percepisce” la necessità di una maggiore quantità di intermedi del ciclo dell’acido citrico. Qualsiasi diminuzione della velocità del ciclo causata da una quantità insufficiente di ossalacetato o di altri intermedi provoca un aumento di concentrazione dell’acetil-CoA che attiva la piruvato decarbossilasi rifornendo il ciclo di ossalacetato. Le reazioni del ciclo dell’acido citrico trasformano l’ossalacetato in citrato, a-chetoglutarato, succinil-CoA e così via, finché tutti gli intermedi sono riportati alle concentrazioni adeguate. Un aumento di concentrazione degli intermedi del ciclo dell’acido citrico favorisce un aumento dell’ingresso dei gruppi acetilici nel ciclo. Per esempio, in condizioni di intenso sforzo muscolare il flusso attraverso il ciclo può aumentare fino a 60-100 volte. Tuttavia non tutto l’aumento è dovuto alle più elevate concentrazioni di intermedi del ciclo (che aumentano solo di circa 4 volte), perché, come descritto nel Paragrafo 17.4B, altri meccanismi regolatori favoriscono il flusso attraverso le reazioni limitanti del ciclo. Durante l’esercizio fisico una parte del piruvato prodotto dall’aumento del flusso glicolitico è deviata verso la sintesi di ossalacetato catalizzata dalla piruvato decarbossilasi. Il piruvato può inoltre ricevere un gruppo amminico dal glutammato (una reazione di transamminazione) per produrre alanina (la controparte amminoacidica del piruvato) e l’intermedio a-chetoglutarato del ciclo dell’acido citrico (la controparte chetonica del glutammato). Entrambi i meccanismi aiutano il ciclo dell’acido citrico a ossidare in modo efficiente i gruppi acetilici, prodotti dal piruvato attraverso le reazioni del complesso della piruvato deidrogenasi. Tutte queste reazioni sono schematicamente riassunte nell’illustrazione in basso. Il risultato finale è un aumento della produzione di ATP per rifornire di energia la contrazione muscolare. glicolisi

Piruvato

CO2 CO2

Piruvato deidrogenasi

Piruvato carbossilasi

Acetil-CoA Transamminasi

Ossalacetato

Glutammato

α-Chetoglutarato

Alanina

Altri metaboliti che alimentano il ciclo dell’acido citrico sono il succinil-CoA, un prodotto della degradazione degli acidi grassi con catena a numero dispari di atomi di carbonio (Paragrafo 20.2E), alcuni amminoacidi (Paragrafo 21.4) e l’a-chetoglutarato e l’ossalacetato, che si formano dalla transamminazione reversibile di alcuni amminoacidi, come indicato in precedenza. I collegamenti tra il ciclo dell’acido citrico e altre vie metaboliche forniscono inoltre informazioni sulla sua evoluzione (Scheda 17.3).

617

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CAPITOLO 17

Il ciclo dell’acido citrico

SCHEDA 17.3

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LE PROSPETTIVE DELLA BIOCHIMICA

L’evoluzione del ciclo dell’acido citrico Il ciclo dell’acido citrico è onnipresente negli organismi aerobici e riveste un ruolo fondamentale nel metabolismo energetico di queste cellule. Tuttavia è improbabile che un ciclo catalitico in otto tappe, come il ciclo dell’acido citrico, si sia evoluto tutto insieme rapidamente: è probabile invece che si sia evoluto da un gruppo di reazioni catalitiche più semplici. Alcuni indizi sulla sua origine si ottengono esaminando il metabolismo delle cellule simili alle prime forme di vita apparse sulla Terra. Questi organismi si originarono circa 3 miliardi di anni fa, prima che nell’atmosfera si accumulassero quantità significative di ossigeno. Queste cellule probabilmente usavano zolfo come agente ossidante finale, riducendolo a H2S. Le loro controparti attuali sono autotrofi anaerobici che ottengono energia libera da vie indipendenti da quelle che ossidano i composti contenenti carbonio. Questi organismi non usano quindi il ciclo dell’acido citrico per produrre cofattori ridotti che in seguito sono ossidati

dall’ossigeno molecolare. Tuttavia tutti gli organismi devono sintetizzare le piccole molecole da cui possono costruire proteine, acidi nucleici, carboidrati lipidi e così via. Il compito di delineare le capacità metaboliche di un organismo è stato facilitato dalla bioinformatica. Confrontando tra loro le sequenze dei genomi dei procarioti e assegnando funzioni ai vari geni omologhi, è possibile ricostruire le vie metaboliche centrali degli organismi. Questo metodo ha dato buoni frutti perché molti geni “di mantenimento delle funzioni” (housekeeping genes), che codificano enzimi che producono energia libera e “mattoncini” con cui costruire molecole indispensabili alla cellula, sono notevolmente conservati tra specie diverse e quindi è relativamente facile riconoscerli. L’analisi genomica rivela che in molti procarioti il ciclo dell’acido citrico è assente, ma hanno i geni per alcuni degli enzimi del ciclo. Le ultime quattro reazioni del ciclo, che portano dal succinato all’ossacetato, sembrano essere quelle maggiormente conservate. Questa parte della via rappresenta un meccanismo per accettare elettroni liberati durante la fermentazione degli zuccheri. Per esempio, l’inverso della via potrebbe rigenerare NAD1 dal NADH prodotto dalla reazione della gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi della glicolisi. NADH

Ossalacetato

NAD+ Malato

Fumarato

Methanococcus jannaschii, un organismo privo del ciclo dell’acido citrico. [Per gentile concessione di Boonyaratanakornkit, B., Clark, D.S. e Vrdoljak, G., University of California, Berkeley.]

NADH NAD+ Succinato

C Il ciclo del gliossilato condivide alcune tappe con il ciclo dell’acido citrico Le piante, i funghi e i batteri (ma non gli animali) possiedono enzimi in grado di effettuare la trasformazione di acetil-CoA in ossalacetato, che può essere usato per la gluconeogenesi. Nelle piante questi enzimi costituiscono la via del gliossilato (Figura 17.18), che funziona in due compartimenti cellulari: il mitocondrio e il gliossisoma, un organello vegetale delimitato da membrana, che non è altro che un tipo specializzato di perossisoma. Gli enzimi della via del gliossilato sono in gran parte gli stessi del ciclo dell’acido citrico. Il ciclo del gliossilato comprende cinque reazioni (Figura 17.18). Reazioni 1 e 2 L’ossalacetato contenuto nei gliossisomi è condensato con l’acetil-CoA per formare citrato, che è in seguito isomerizzato a isocitrato come avviene nel ciclo dell’acido citrico. Poiché i gliossisomi non contengono aconitasi, la reazione 2 probabilmente avviene nel citosol. Reazione 3 L’isocitrato liasi dei gliossisomi scinde l’isocitrato a succinato e gliossilato (da cui il nome del ciclo).

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Il ciclo dell’acido citrico

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Il succinato risultante potrebbe quindi essere impiegato come materiale di partenza per la biosintesi di altri composti. Molti archeobatteri hanno una piruvato:ferredossina ossidoriduttasi che trasforma il piruvato in acetil-CoA (senza però produrre NADH). In una cellula primitiva i risultanti gruppi acetilici potrebbero essersi uniti all’ossalacetato mediante una reazione di condensazione (per azione di una citrato sintasi), dando infine origine a una sequenza ossidativa di reazioni che somigliano ai primi passaggi dell’attuale ciclo dell’acido citrico.

619

È interessante notare che una forma primitiva del ciclo dell’acido citrico che funzionava in direzione inversa (in senso opposto alle lancette dell’orologio) avrebbe potuto fornire una via per la fissazione di CO2 (cioè per inserire CO2 in molecole biologiche). Glucosio

CO2

Fosfoenolpiruvato

Acetil-CoA Ossalacetato

Piruvato CO2

Citrato

Acetil-CoA

Isocitrato NAD+

Ossalacetato

Citrato

CO2

NADH α-Chetoglutarato

L’a-chetoglutarato prodotto in questo modo potrebbe essere trasformato in glutammato e in altri amminoacidi. I rami riducenti e ossidanti del ciclo dell’acido citrico finora illustrati funzionano nei batteri attuali come le cellule di E. coli quando crescono in anaerobiosi, suggerendo che vie simili potrebbero aver soddisfatto le richieste metaboliche delle cellule primitive. L’evoluzione di un ciclo completo dell’acido citrico, in cui i due rami sono collegati tra loro ed entrambi procedono in direzione ossidativa (nel senso delle lancette dell’orologio), avrebbe richiesto un enzima come l’a-chetoglutarato:ferredossina riduttasi (un omologo della piruvato:ferredossina ossidoriduttasi) per collegare tra loro l’a-chetoglutarato e il succinato.

CO2 Succinato

α-Chetoglutarato

CO2

I geni che codificano enzimi che catalizzano i passaggi di questa via sono stati identificati in numerosi batteri autotrofi attuali. Questa via riduttiva, che esiste in alcune specie molto antiche di archeobatteri, probabilmente è antecedente alle vie di fissazione di CO2 usate da alcuni batteri fotosintetici e nei cloroplasti delle piante (Paragrafo 19.3A).

Reazione 4 La malato sintasi, un enzima dei gliossisomi, condensa il gliossilato con una seconda molecola di acetil-CoA, formando malato. Reazione 5 La malato deidrogenasi dei gliossisomi catalizza l’ossidazione del malato a ossalacetato, con riduzione del NAD1. Il ciclo del gliossilato converte quindi due molecole di acetil-CoA in una di succinato, ma non produce quattro molecole di CO2, come avverrebbe nel ciclo dell’acido citrico. Il succinato prodotto nella reazione 3 è trasportato nel mitocondrio, dove entra nel ciclo dell’acido citrico ed è trasformato in malato, che a sua volta ha due destini opposti: (1) può essere trasformato in ossalacetato nel mitocondrio, continuando il ciclo e quindi rendendo il ciclo del gliossilato un processo anaplerotico (Paragrafo 17.5B), oppure (2) può essere trasportato nel citosol, dove è trasformato in ossalacetato per entrare nella gluconeogenesi. La reazione generale del ciclo del gliossilato può essere quindi considerata come la formazione di ossalacetato a partire da due molecole di acetil-CoA:

2 Acetil-CoA 1 2 NAD1 1 FAD n ossalacetato 1 2 CoA 1 2 NADH 1 FADH2 1 2 H1

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aconitasi Gliossisoma

Citosol

COO– – OOC

CH2

CoA

2

CH2

C

COO



OH

Citrato

CH3

C

COO

1

O

citrato sintasi

SCoA

– OOC

CH2



CH

CH

COO



Trasporto al mitocondrio Mitocondrio

OH

Acetil-CoA

Isocitrato

– OOC

O –

OOC

COO

CH2

C



isocitrato liasi

Ossalacetato H+

+

NADH

5 NAD

malato deidrogenasi

OOC

–OOC

CH

CH2

COO

CH2 O

malato sintasi



CH2

COO–

H

C

COO



FADH2 COO–

C H

H2O

fumarasi OH – OOC

O CH3

FAD

Fumarato

+

4 CoA

H C

–OOC

Gliossilato

Malato

CH

CH2

– COO

Malato SCoA

C

Acetil-CoA

Ciclo dell’acido citrico

Trasporto al citosol

NADH

O

Gluconeogenesi

– COO

CH2

succinato deidrogenasi

3

Succinato

+ OH



CH2

Succinato

– OOC

C

CH2

COO

Ossalacetato

Figura 17.18 Il ciclo del gliossilato. Il ciclo produce nel gliossisoma una trasformazione netta di due molecole di acetil-CoA in succinato, che può essere trasformato in malato nel mitocondrio e destinato alla gluconeogenesi. L’isocitrato liasi e la malato sintasi, enzimi esclusivi dei gliossisomi, presenti solo nelle piante, sono indicati in riquadri. (1) La citrato sintasi dei gliossisomi catalizza la condensazione dell’ossalacetato con acetil-CoA, formando citrato. (2) L’aconitasi del citosol catalizza la trasformazione del citrato a isocitrato. (3) L’isocitrato liasi catalizza la scissione dell’isocitrato a succinato e gliossilato. (4) La malato sintasi catalizza la condensazione del gliossilato

+ H+

NAD

+

OH –



malato deidrogenasi

OOC

CH

CH2

COO



Malato

con acetil-CoA, formando malato. (5) La malato deidrogenasi dei gliossisomi catalizza l’ossidazione del malato a ossalacetato, completando il ciclo. Il succinato è trasportato nel mitocondrio, dove è trasformato in malato tramite il ciclo dell’acido citrico. Il malato, trasportato nel citosol, è ossidato dalla malato deidrogenasi a ossalacetato, che può essere usato nella gluconeogenesi. In alternativa, il malato può continuare nel ciclo dell’acido citrico, rendendo anaplerotico il ciclo del gliossilato. Quali tappe del ciclo dell’acido citrico vengono evitate nel ciclo del gliossilato?

L’isocitrato liasi e la malato sintasi non sono presenti negli animali. Nelle piante, questi enzimi permettono ai semi in fase di germinazione di trasformare i triacilgliceroli presenti come materiale di riserva in acetil-CoA, che in seguito è trasformato in glucosio. Per molto tempo si è ritenuto che questa trasformazione fosse indispensabile per la germinazione, ma recentemente è stato scoperto un mutante di Arabidopsis thaliana (una brassicacea) privo di isocitrato liasi, quindi incapace di trasformare i lipidi in carboidrati, i cui semi tuttavia germinavano ugualmente. Il processo di germinazione si arrestava solo quando la pianta mutante era esposta a condizioni di illuminazione scarsa. Sembra quindi che l’importanza del ciclo del gliossilato nella germinazione dei semi risieda

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Il ciclo dell’acido citrico

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nelle sue funzioni anaplerotiche, cioè nel rifornimento di unità a 4 atomi di carbonio al ciclo dell’acido citrico, permettendogli quindi di ossidare l’acetil-CoA derivato dai triacilgliceroli. Gli organismi privi della via del gliossilato non sono in grado di effettuare la sintesi netta di glucosio a partire da acetil-CoA. Questo è il motivo per cui gli esseri umani non possono trasformare i lipidi (in particolare gli acidi grassi catabolizzati ad acetil-CoA) in carboidrati (cioè, in glucosio). Alcuni batteri patogeni per l’uomo usano il ciclo del gliossilato, ricavandone quindi un considerevole vantaggio. Per esempio, Mycobacterium tuberculosis, il batterio che provoca la tubercolosi, può resistere per anni nei polmoni senza essere attaccato dal sistema immunitario: in questo periodo il batterio ricava energia prevalentemente dai lipidi, usando il ciclo dell’acido citrico per produrre precursori di amminoacidi e usando il ciclo del gliossilato per produrre precursori dei carboidrati. I farmaci progettati per inibire l’isocitrato liasi possono quindi limitare la sopravvivenza del patogeno. Anche la virulenza del lievito Candida albicans, che spesso infetta le persone immunosoppresse, può dipendere dall’attivazione del ciclo del gliossilato, quando il lievito si insedia all’interno dei macrofagi.

621

PUNTO DI VERIFICA

• Spiegate in che modo un ciclo catalitico può fornire precursori per altre vie metaboliche senza impoverirsi contemporaneamente di intermedi.

• Quali sono gli intermedi del ciclo dell’acido citrico che possono essere usati direttamente nella gluconeogenesi? Quali possono essere usati per la biosintesi degli acidi grassi? Quali possono essere convertiti direttamente in amminoacidi?

• In che modo la cellula rigenera l’ossalacetato, l’a-chetoglutarato e il succinil-CoA?

• Descrivete le reazioni del ciclo del gliossilato. Quali sono i due enzimi specifici di questa via? Che cosa fa questa via?

RIASSUNTO 1 Una panoramica del ciclo dell’acido citrico • Gli otto enzimi del ciclo dell’acido citrico funzionano in un ciclo catalitico in molte tappe, che ossida un gruppo acetilico a due molecole di CO2, producendo contemporaneamente tre molecole di NADH, una molecola di FADH2 e una molecola di GTP. • L’energia libera rilasciata quando i coenzimi ridotti riducono infine l’O2 è usata per produrre ATP.

genasi, rigenerano l’ossalacetato necessario per iniziare nuovamente il ciclo. • Nessuna delle molecole di CO2 che vengono rilasciate in un dato giro del ciclo dell’acido citrico deriva dal gruppo acetilico che è entrato nello stesso giro del ciclo. Esse derivano invece dall’ossalacetato che era stato sintetizzato dai gruppi acetilici entrati nel giro precedente del ciclo.

2 La sintesi dell’acetil-CoA

4 La regolazione del ciclo dell’acido citrico

• I gruppi acetilici entrano nel ciclo dell’acido citrico sotto forma di acetil-CoA. Il complesso multienzimatico della piruvato deidrogenasi, che contiene tre tipi di enzimi e cinque tipi di coenzimi, produce acetil-CoA a partire dal prodotto della glicolisi, il piruvato. • Il braccio di lipoil-lisina di E2 agisce come un “cavo oscillante” che sposta i gruppi reattivi tra gli enzimi del complesso.

• L’ingresso di acetil-CoA derivato dal glucosio nel ciclo dell’acido citrico è regolato nel passaggio che coinvolge la piruvato deidrogenasi tramite un meccanismo di inibizione da prodotto (NADH e acetil-CoA) e tramite modificazioni covalenti. • Lo stesso ciclo dell’acido citrico è regolato in corrispondenza dei passaggi catalizzati dalla citrato sintasi, dalla isocitrato deidrogenasi NAD1-dipendente e dall’a-chetoglutarato deidrogenasi. • La regolazione è ottenuta soprattutto in base alla disponibilità di substrato, all’inibizione da prodotto e all’inibizione retroattiva.

3 Gli enzimi del ciclo dell’acido citrico • La citrato sintasi catalizza la condensazione dell’acetil-CoA e dell’ossalacetato, con una reazione fortemente esoergonica. • L’aconitasi catalizza l’isomerizzazione del citrato a isocitrato, e l’isocitrato deidrogenasi catalizza la decarbossilazione ossidativa dell’isocitrato ad a-chetoglutarato, producendo la prima molecola di CO2 e la prima molecola di NADH del ciclo. • L’a-chetoglutarato deidrogenasi catalizza la decarbossilazione ossidativa dell’a-chetoglutarato, producendo succinil-CoA e la seconda molecola di CO2 e NADH del ciclo. • La succinil-CoA sintetasi associa la scissione del succinil-CoA alla sintesi di GTP (o, in alcuni organismi, di ATP), tramite un intermedio fosforil-enzima. • Le tre ultime reazioni del ciclo, catalizzate rispettivamente dalla succinato deidrogenasi, dalla fumarasi e dalla malato deidro-

5 Le reazioni correlate al ciclo dell’acido citrico • Le reazioni cataplerotiche prelevano intermedi dal ciclo dell’acido citrico: alcuni tra questi intermedi sono substrati per la gluconeogenesi, la biosintesi degli acidi grassi e la biosintesi di amminoacidi. • Le reazioni anaplerotiche, come quella della piruvato decarbossilasi, riforniscono il ciclo dell’acido citrico di intermedi. • Il ciclo del gliossilato, che funziona solo nelle piante, nei funghi e nei batteri, richiede gli enzimi isocitrato liasi e malato sintasi. Questa variante del ciclo dell’acido citrico permette la sintesi netta di glucosio a partire da acetil-CoA.

622

CAPITOLO 17

Il ciclo dell’acido citrico

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PROBLEMI 1. Il CO2 prodotto in un giro del ciclo dell’acido citrico non de-

16. Qual è il rapporto tra le concentrazioni di isocitrato e di citra-

riva dagli atomi di carbonio del gruppo acetilico che è entrato nel ciclo. Se l’acetil-CoA è marcato con 14C in corrispondenza del suo gruppo carbonilico, quanti giri del ciclo occorrono per il rilascio di 14CO2? Se l’acetil-CoA è marcato con 14C in corrispondenza del suo gruppo metilico, quanti giri del ciclo occorrono per il rilascio di 14CO2? Elencate quattro dei cinque destini metabolici possibili del piruvato in una cellula di mammifero. Indicate il tipo di reazione che avviene. Quale altra reazione avviene nel lievito? Spiegate perché l’accumulo di alcuni intermedi del ciclo dell’acido citrico può sfociare in acidosi metabolica (Scheda 2.2). Quale delle cinque reazioni del complesso della piruvato deidrogenasi è più probabile che sia metabolicamente irreversibile? Spiegate. Spiegate i motivi per cui un individuo con una carenza di piruvato deidrogenasi fosfatasi (PDP) non riesce a effettuare un esercizio fisico. Gli organismi fotosintetici usano un macchinario elaborato per incorporare il carbonio (sotto forma di CO2) in gliceraldeide-3-fosfato, poi usata per sintetizzare glucosio per il metabolismo successivo. Tuttavia dopo la glicolisi un carbonio viene perso, quando il piruvato è convertito in acetil-CoA. L’enzima batterico piruvato-formato liasi (conosciuto anche come formato-C-acetiltransferasi) catalizza la reazione:

to presenti all’interno della cellula a 37 °C e in condizioni normali? 17. Spiegate perché una carenza di piruvato carbossilasi porti ad acidosi lattica. 18. In che modo una carente attività della piruvato deidrogenasi influenza il pH del sangue? 19. (a) Spiegate perché gli anaerobi obbligati contengono alcuni enzimi del ciclo dell’acido citrico. (b) Perché questi organismi non hanno un ciclo dell’acido citrico completo? 20. I primi organismi comparsi sulla Terra avrebbero potuto essere chemioautotrofi nei quali il ciclo dell’acido citrico funzionava all’inverso per “fissare” il CO2 atmosferico in composti organici. Completate un ciclo catalitico che inizi con l’ipotetica reazione complessiva succinato 1 2 CO2 n citrato. 21. L’Helicobacter pilori, responsabile dell’ulcera gastrica, non utilizza il ciclo dell’acido citrico pur contenendo molti degli enzimi del ciclo. L’H. pilori è in grado di convertire l’ossalacetato in succinato per i processi biosintetici. Scrivete un’equazione per questa conversione. 22. Il parassita Plasmodium falciparum che causa la malaria non effettua la fosforilazione ossidativa e quindi non utilizza il ciclo dell’acido citrico per generare cofattori ridotti. Il parassita converte invece l’α-chetoglutarato prodotto dagli amminoacidi in succinato. Scrivete un’equazione per la conversione α-chetoglutarato n succinato che segua (a) la via ossidativa (in senso orario) del ciclo dell’acido citrico o (b) la via riduttiva (in senso antiorario) del ciclo.

2.

3.

4.

5.

6.

7.

piruvato + HSCoA 34 acetil-CoA + formato

In che modo questa reazione aiuta la cellula a evitare di perdere atomi di carbonio? 8. La reazione della piruvato-formato liasi descritta nel Problema 7 porta alla produzione di ATP, come accade nella trasformazione del piruvato in acetil-CoA? 9. Alcune cellule cancerose del cervello umano esprimono una forma mutata di isocitrato deidrogenasi che ha perso la sua normale attività enzimatica e catalizza invece la riduzione NADP+-dipendente del gruppo carbonilico dell’α-chetoglutarato. Disegnate la struttura del prodotto della reazione. 10. Il composto che avete identificato nel Problema 9 è simile al glutammato e potrebbe quindi inibire competitivamente la transamminazione del glutammato. In che modo questo processo potrebbe alterare l’attività del ciclo dell’acido citrico? 11. Il malonato è un inibitore competitivo del succinato nella reazione della succinato deidrogenasi. Spiegate perché l’aumento di concentrazione di ossalacetato può permettere di superare l’inibizione da malonato. 12. Quali sono gli intermedi del ciclo dell’acido citrico che si dovrebbero accumulare in presenza di malonato? 13. Qual è il valore di DG°9 per la parte di ciclo dell’acido citrico che converte il malato e l’acetil-CoA in citrato? 14. In base alle seguenti informazioni, calcolate il DG fisiologico della reazione della isocitrato deidrogenasi a 25 °C e pH 7,0: [NAD1]/[NADH] 5 8, [a-chetoglutarato] 5 0,1 mM, e [isocitrato] 5 0,02 mM. Supponiamo che il CO2 sia in condizioni standard (DG°9 è indicato nella Tabella 16.2). È possibile che questa reazione sia un punto di controllo metabolico? 15. Calcolate il rapporto tra le concentrazioni di fumarato e di succinato presenti all’interno della cellula a 37 °C e in condizioni normali.

DOMANDE DIFFICILI 23. Il complesso della deidrogenasi degli α-chetoacidi a catena ra-

mificata che partecipa al catabolismo degli amminoacidi contiene gli stessi tre tipi di enzimi dei complessi della piruvato deidrogenasi e dell’α-chetoglutarato deidrogenasi. Scrivete il prodotto di reazione quando la valina è deamminata come nella reazione glutammato 34 α-chetoglutarato (Paragrafo 17.5A) e quindi metabolizzata dal complesso della deidrogenasi degli α-chetoacidi a catena ramificata. 24. Quali composti si potrebbero accumulare in un individuo con il beriberi (malattia causata da una carenza di tiammina)? 25. Facendo riferimento alla Tabella 14.4, spiegate perché nella reazione della succinato deidrogenasi è stato usato il FAD e non il NAD1. 26. Alcuni organismi con un ciclo dell’acido citrico incompleto decarbossilano l’a-chetoglutarato, producendo succinato semialdeide. Una deidrogenasi trasforma quindi la succinato semialdeide in succinato. COO–

COO– CO2

CH2

CH2

CH2 C

O

COO– a-Chetoglutarato

H

COO– NAD+

NADH

CH2

CH2

CH2

C

COO– O

Succinato semialdeide

Succinato

Queste reazioni possono essere combinate con altre reazioni standard del ciclo dell’acido citrico per creare una via che va dal citrato all’ossalacetato. Paragonate la resa in ATP e in cofattori ridotti della via standard e di quella alternativa.

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Il ciclo dell’acido citrico

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27. Perché è vantaggioso che il citrato, il prodotto della reazione

1 del ciclo dell’acido citrico, inibisca la fosfofruttochinasi, che catalizza la terza reazione della glicolisi? 28. Quando la concentrazione di glucosio nel sangue è elevata e i fabbisogni energetici della cellula sono stati soddisfatti, l’insulina stimola la sintesi del glicogeno. Sarebbe controproducente, per l’insulina, favorire anche la contemporanea conversione del piruvato in acetil-CoA? Spiegate perché. 29. Il succinil-CoA è prodotto dal catabolismo di diversi amminoacidi. Descrivete la serie di reazioni necessarie a convertire il succinil-CoA mitocondriale in ossalacetato citosolico da utilizzare nella gluconeogenesi. 30. Molti amminoacidi sono scissi per produrre intermedi del ciclo dell’acido citrico. (a) Perché questi “residui” di amminoacidi non possono essere direttamente ossidati a CO2 nel ciclo dell’acido citrico? (b) Spiegate perché gli amminoacidi che sono degradati a piruvato possono essere completamente ossidati nel ciclo dell’acido citrico. 31. Le reazioni anaplerotiche permettono al ciclo dell’acido citrico di fornire intermedi alle vie biosintetiche pur mantenendo adeguati livelli di intermedi del ciclo. Scrivete l’equazione per la sintesi netta di citrato a partire dal piruvato. 32. Sebbene gli animali non possano sintetizzare glucosio a partire dall’acetil-CoA, se a un ratto è somministrato acetato marcato con 14C, una parte della marcatura appare nel glicogeno estratto dai suoi muscoli. Spiegate perché. 33. Il malato generato dentro i mitocondri viene trasferito nel citosol, dove fa da substrato per l’enzima malico, che catalizza la seguente reazione: Malato + NADP+ 34 CO2 + piruvato + NADPH

Spiegate in che modo l’attività dell’enzima malico, che sembra catalizzare un processo catabolico, può promuovere reazioni di biosintesi nel citosol. 34. L’azione dell’enzima malico è opposta all’azione della piruvato carbossilasi. (a) Scrivete il ciclo del substrato formato da questi enzimi più un terzo enzima. (b) Scrivete l’equazione netta per convertire il malato in piruvato e di nuovo in malato. Cosa produce questo per la cellula? 35. L’archeobatterio Haloarcula marismortui può usare l’acetato (che è convertito in acetil-CoA) come precursore per le sintesi dei carboidrati, ma non ha l’isocitrato liasi e quindi non

623

può usare il ciclo del gliossilato. Invece, converte l’isocitrato in α-chetoglutarato, che è poi convertito nell’amminoacido metilaspartato in due ulteriori reazioni. Questo composto a cinque atomi di carbonio è modificato e demolito per rilasciare gliossilato. Descrivete le tre reazioni che portano dall’isocitrato al metilaspartato. COO– +H N 3

C HC

H CH3

COO– Metilaspartato 36. L’acetil-CoA, oltre a fornire gruppi a due atomi di carbonio al

ciclo dell’acido citrico, è anche il substrato di enzimi che aggiungono gruppi acetilici alle proteine. L’istone acetiltransferasi aggiunge un gruppo acetilico al gruppo ε-amminico di un residuo di Lys negli istoni, le proteine che interagiscono strettamente con il DNA. Scrivete la struttura della catena laterale acetilata della Lys e spiegate perché l’acetilazione può distruggere le interazioni fra l’istone e il DNA.

CASO DI STUDIO Caso 21 Caratterizzazione della piruvato carbossilasi di Methanobacterium thermoautotrophicum Concetto chiave: la piruvato carbossilasi è stata scoperta in un batterio che, in precedenza, si pensava non la contenesse. Prerequisiti: Capitolo 17 • Reazioni del ciclo dell’acido citrico e reazioni anaplerotiche a esso associate • Reazioni del ciclo del gliossilato

APPROFONDIMENTO Il Plasmodium falciparum, il parassita che causa la malaria, trascorre parte del suo ciclo vitale nei globuli rossi, in un ambiente ricco di nutrienti e di ossigeno. Nonostante ciò, il parassita consuma però molto poco ossigeno. In che modo genera la maggior parte del suo ATP? Il parassita contiene una piruvato deidrogenasi, ma questo enzima non produce acetil-CoA per il ciclo dell’acido citrico. Dov’è localizzata la deidrogenasi e per che cosa è utilizzato l’acetil-CoA che questa produce?

BIBLIOGRAFIA Akram, M. (2014). Citric acid cycle and role of its intermediates in metabolism, Cell. Biochem. Biophys. 68, 475-478. Eastmond, P.J. e Graham, I.A. (2001). Re-examining the role of the glyoxylate cycle in oilseeds, Trends Plant Sci. 6, 72-77. Huynen M.A., Dandekar, T., e Bork, P. (1999). Variation and evolution of the citric-acid cycle: a genomic perspective, Trends Microbiol. 7, 281-291. [Tratta di come gli studi genomici permettono di ricostruire le vie metaboliche, persino quando alcuni enzimi sembrano assenti.] Lengyel, J.S., Stott, K.M., Wu, X., Brooks, B.R., Balbo, A., Schuck, P., Perham, R.N., Subramaniam, S., e Milne, J.L.S. (2008). Extended polypeptide linkers establish the spatial architecture of a pyruvate dehydrogenase multienzyme complex, Structure 16, 93-103. Menefee, A.L. e Zeczycki, T.N. (2014). Nearly 50 years in the making: defining the catalytic mechanism of the multifunctional enzyme, pyruvate carboxylase, FEBS J. 281, 1333-1354.

Milne, J.L.S., Wu, X., Borgnia, M.J., Lengyel, J.S., Brooks, B.R., Shi, D., Perham, R.N., e Subramaniam, S. (2006). Molecular structure of a 9-MDa icosahedral pyruvate dehydrogenase subcomplex containing the E2 and E3 enzymes using cryoelectron microscopy, J. Biol. Chem. 281, 4364-4370. Owen, O.E., Kalhan, S.C., e Hanson, R.W. (2002). The key role of anaplerosis and cataplerosis for citric acid cycle function, J. Biol. Chem. 277, 30409-30412. [Descrive l’afflusso (anaplerosi) e l’efflusso (cataplerosi) degli intermedi del ciclo dell’acido citrico in diversi sistemi organici.] Perham, R.N. (2000). Swinging arms and swinging domains in multifunctional enzymes: catalytic machines for multistep reactions, Annu. Rev. Biochem. 69, 961-1004. [Un punto di vista autorevole sui complessi multienzimatici.]

C A P I T O L O

1 8

Il trasporto di elettroni e la fosforilazione ossidativa Un gruppo di mitocondri (in viola) legati a microtubuli (in verde) in una cellula di rene di scimmia visualizzata usando la microscopia a fluorescenza ad alta risoluzione. I mitocondri, organelli che effettuano la maggior parte del metabolismo ossidativo della cellula, sono strutture altamente dinamiche che si muovono, cambiano forma, crescono e si dividono. [Laboratorio di Xiaowel Zhuang dell’Harvard University e Howard Hughes Medical Institute.]

Durante il processo di ossidazione dei carburanti metabolici, gli organismi aerobici consumano ossigeno e producono biossido di carbonio. Per esempio, l’ossidazione completa del glucosio (C6H12O6) da parte dell’ossigeno molecolare

C6H12O6 1 6 O2 n 6 CO2 1 6 H2O

può essere suddivisa in due semireazioni effettuate dal macchinario metabolico della cellula. Nella prima, gli atomi di carbonio del glucosio sono ossidati: C6H12O6 1 6 H2O n 6 CO2 1 24 H1 1 24 e2 e nella seconda, l’ossigeno molecolare è ridotto: 6 O2 1 24 H1 1 24 e2 n 12 H2O

Abbiamo già osservato che la prima parte viene effettuata dalle reazioni enzimatiche della glicolisi e del ciclo dell’acido citrico (anche la demolizione degli acidi grassi, l’altra importante fonte di carburante metabolico, richiede l’intervento del ciclo dell’acido citrico). In questo capitolo descriveremo la via mediante la quale negli eucarioti gli elettroni provenienti dalle molecole energetiche ridotte sono trasferiti all’ossigeno molecolare. Esamineremo inoltre in che modo l’energia ricavata dall’ossidazione del carburante metabolico è conservata e usata per sintetizzare ATP. Come abbiamo visto, le 12 coppie di elettroni rilasciate durante l’ossidazione del glucosio non sono trasferite direttamente all’O2, ma ai coenzimi NAD1 e FAD, con la formazione di 10 NADH e 2 FADH2 (Figura 18.1) nelle reazioni catalizzate dall’enzima glicolitico gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi (Paragrafo 15.2F), dal complesso della piruvato deidrogenasi (Paragrafo 17.2B) e dagli enzimi appartenenti al ciclo dell’acido citrico isocitrato deidrogenasi, a-cheto-

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Il trasporto di elettroni e la fosforilazione ossidativa

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Figura 18.1 I siti di trasferimento

Glicolisi

degli elettroni che formano NADH e FADH2 nella glicolisi e nel ciclo dell’acido citrico.

Glucosio Glucosio-6-fosfato

Identificate i trasportatori di elettroni che trasferiscono tutti i 24 elettroni liberati dalla completa ossidazione del glucosio a CO2.

2 Gliceraldeide-3-fosfato gliceraldeide3-fosfato deidrogenasi

2 NAD+ 2 NADH

2 1,3-Bisfosfoglicerato

2 Piruvato 2 NAD+ piruvato deidrogenasi

2 NADH

2 Acetil-CoA 2 NADH 2 NAD+

2 Ossalacetato

2 Malato

2 FADH2 2 FAD

2 Citrato

malato deidrogenasi

2 Fumarato

Ciclo dell’acido citrico

succinato deidrogenasi

2 Succinato

625

2 Isocitrato isocitrato deidrogenasi

2 NAD+ 2 NADH

α-chetoglutarato deidrogenasi 2 α-Chetoglutarato

2 Succinil-CoA

2 NAD+ 2 NADH

glutarato deidrogenasi, succinato deidrogenasi e malato deidrogenasi (Paragrafo 17.3). Gli elettroni in seguito sono trasferiti alla catena di trasporto degli elettroni mitocondriale, un sistema di trasportatori di elettroni collegati tra loro. Durante il processo di trasporto degli elettroni si verificano tre eventi. 1. Mediante il trasferimento dei loro elettroni ad altre sostanze, il NADH e il FADH2 sono riossidati a NAD1 e FAD, in modo da poter partecipare ad altre reazioni di ossidazione del substrato. 2. Prima di ridurre l’O2 ad H2O gli elettroni trasferiti prendono parte a una serie di reazioni di ossidoriduzione a livello di numerosi centri redox (gruppi che vanno incontro a reazioni di ossidoriduzione) presenti in quattro complessi enzimatici. 3. Il trasferimento degli elettroni è accoppiato all’espulsione dei protoni dal mitocondrio, producendo un gradiente protonico attraverso la membrana mitocondriale. L’energia libera conservata in questo gradiente elettrochimico promuove la sintesi di ATP a partire da ADP e Pi, mediante la fosforilazione ossidativa.

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1 Il mitocondrio CONCETTI CHIAVE

• Una membrana interna altamente ripiegata e particolarmente ricca di proteine separa la matrice mitocondriale dalla membrana esterna.

• Le proteine di trasporto sono necessarie per importare nel mitocondrio equivalenti riducenti, ADP e Pi.

Il mitocondrio (dal greco mítos, “filo”, e chóndros, “granulo”) è il luogo in cui avviene il metabolismo ossidativo degli eucarioti. I mitocondri contengono il complesso della piruvato deidrogenasi, gli enzimi del ciclo dell’acido citrico, gli enzimi che catalizzano l’ossidazione degli acidi grassi (Paragrafo 20.2) e gli enzimi e le proteine redox coinvolte nel trasporto degli elettroni e nella fosforilazione ossidativa. È quindi corretto definire i mitocondri come le “centrali energetiche” della cellula.

A I mitocondri contengono una membrana interna altamente ripiegata

Figura 18.2 Il mitocondrio.

(a) Fotografia al microscopio elettronico di un mitocondrio di una cellula animale. [© K.R. Porter/Photo Researchers, Inc.] (b) Rappresentazione schematica di un mitocondrio in sezione.

I mitocondri variano per forma e grandezza, a seconda del tipo di tessuto e dello stato metabolico della cellula a cui appartengono, ma di solito sono di forma ellittica con dimensioni di circa 0,5 3 1,0 mm, più o meno le stesse di un batterio. Una cellula eucariotica contiene di norma da 800 a 2000 mitocondri, che occupano circa un quinto del volume totale della cellula. Un mitocondrio è delimitato da una membrana esterna liscia e contiene una membrana interna ricca di invaginazioni (Figura 18.2). Il numero delle invaginazioni, dette creste, dipende dall’attività respiratoria della cellula. Le proteine che partecipano al trasporto degli elettroni e alla fosforilazione ossidativa sono legate alla membrana mitocondriale interna, quindi la velocità della respirazione varia in base all’area della superficie di questa membrana. La membrana interna divide il mitocondrio in due compartimenti: lo spazio intermembrana e la matrice interna. La matrice è costituita da una soluzione con una consistenza gelatinosa che contiene concentrazioni molto elevate di enzimi solubili che partecipano al metabolismo ossidativo, oltre a substrati, cofattori nucleotidici e ioni inorganici. La matrice contiene inoltre il macchinario genetico dei mitocondri, costituito da DNA, RNA e ribosomi – che generano solo 13 delle più di 1500 proteine mitocondriali. Le restanti sono codificate da geni nucleari e devono quindi essere importate all’interno del mitocondrio. Le 13 proteine codificate dal mitocondrio (vedi oltre) sono tutte estremamente idrofobiche, il che suggerisce che l’evoluzione non abbia trovato un modo efficien-

(a)

(b)

Membrana esterna Membrana interna Creste Matrice

Spazio intermembrana Reticolo endoplasmatico ruvido

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Il trasporto di elettroni e la fosforilazione ossidativa

te per importarle. I restanti geni mitocondriali codificano 22 tRNA e due RNA ribosomiali, per un totale di 37 geni appartenenti al genoma mitocondriale (nell’uomo, un DNA circolare di circa 16 600 coppie di basi che viene ereditato solo dalla madre). Le fotografie bidimensionali al microscopio elettronico, come quella nella Figura 18.2a, suggeriscono che i mitocondri siano organelli a morfologia decisamente reniforme: tuttavia alcuni assumono una forma tubolare che si estende nel citosol. Inoltre i mitocondri hanno una struttura molto variabile. Per esempio, le creste possono non somigliare affatto a piccoli deflettori e gli spazi compresi tra le creste possono non essere in comunicazione diretta con lo spazio intermembrana. I metodi di ricostruzione al computer di immagini tridimensionali basate sulla microscopia elettronica hanno rivelato che le creste possono variare da semplici unità tubolari a sistemi molto complicati di lamelle che si fondono con la membrana interna tramite strette strutture tubolari (Figura 18.3). In modo evidente le creste formano microcompartimenti che limitano la diffusione di substrati e ioni tra gli spazi tra le creste e quelli intermembrana. Questo ha importanti conseguenze funzionali, perché potrebbe determinare un gradiente locale di pH tra le membrane delle creste più elevato di quello esistente tra le membrane interne che non fanno parte delle creste, influenzando quindi in modo significativo la velocità della fosforilazione ossidativa (Paragrafo 18.3).

B Gli ioni e i metaboliti entrano nei mitocondri tramite sistemi di trasporto

627

Figura 18.3 Ricostruzione

tridimensionale al computer di un mitocondrio di fegato di ratto, basata su immagini al microscopio elettronico. La membrana esterna (OM) è colorata in rosso, la membrana interna (IM) in giallo e le creste (C) in verde. Le punte di freccia indicano le regioni tubolari delle creste, che le collegano alla membrana interna e tra loro. [Per gentile concessione di Carmen Mannella, Wadsworth Center, Albany, New York.]

Come la membrana esterna dei batteri, anche la membrana mitocondriale esterna contiene porine, proteine che permettono la diffusione libera di molecole con un peso molecolare fino a 10 kD (Paragrafo 10.2B). Quindi, per quanto riguarda la concentrazione di metaboliti e ioni, lo spazio intermembrana è equivalente al citosol. La membrana interna, costituita per circa il 75% da proteine, è molto più ricca di proteine rispetto alla membrana esterna (Figura 18.4): è liberamente permeabile solo all’O2, al CO2 e all’H2O e contiene, oltre alle proteine della catena respiratoria, numerose proteine di trasporto che controllano il passaggio di metaboliti come ATP, ADP, piruvato, Ca21 e fosfato. L’impermeabilità controllata della membrana mitocondriale interna alla maggior parte degli ioni e dei metaboliti permette la formazione di gradienti ionici attraverso questa barriera e determina la compartimentazione delle funzioni metaboliche dei mitocondri rispetto a quelle del citosol.

Citosol Lato interno (770 particelle ⴢ mm–2)

Membrana interna: Lato esterno (2120 particelle ⴢ mm–2)

io in

membrane mitocondriali interna ed esterna, con esposte le superfici interne del loro doppio strato lipidico. Si noti che la membrana interna contiene particelle inserite con una densità quasi doppia rispetto alla membrana interna. Le particelle sono parti delle proteine integrali di membrana che sono state esposte al momento della separazione dei due strati. [Per gentile concessione di Lester Packer, University of California, Berkeley.]

Spaz

Figura 18.4 Fotografia al microscopio elettronico delle

term

emb

sol dalla glicolisi deve avere accesso alla catena di trasporto degli elettroni per essere riossidato a spese dell’ossigeno. Tuttavia, la membrana mitocondriale interna è priva di una proteina capace di trasportare il NADH. Solo gli elettroni del NADH citosolico possono essere trasportati nel

Membrana esterna: Lato esterno (2806 particelle ⴢ mm–2)

rana

Gli equivalenti riducenti citosolici sono “trasportati” all’interno dei mitocondri. Il NADH prodotto nel cito-

Matrice

Lato interno (4208 particelle ⴢ mm–2)

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mitocondrio tramite uno o più sistemi “navetta”. Abbiamo già discusso il sistema navetta malato-aspartato (Figura 16.20), il quale, quanCatena di do funziona nella direzione opposta, riduce Diidrossiacetone trasporto fosfato l’ossalacetato del citosol a malato, che poi è degli trasportato all’interno del mitocondrio. elettroni H2C OH Quando il malato è riossidato nella matrice C O 2 e– mitocondriale, gli equivalenti riducenti che si 2– 3 OPO CH erano originati nel citosol sono resi disponi2 3 H++ NADH FADH2 bili alla catena respiratoria. Il sistema navetta del glicerofosfato (Figuglicerolo 3-fosfato flavoproteina ra 18.5) viene espresso a livelli variabili nei di1 2 deidrogenasi deidrogenasi versi tessuti animali ed è particolarmente attivo nel muscolo del volo degli insetti (il tesFAD suto che produce la più alta quantità di ener+ H2C OH NAD gia in assoluto). Nella prima tappa del sisteHO C H ma navetta, l’enzima glicerolo 3-fosfato dei2– drogenasi catalizza l’ossidazione del NADH CH2 OPO3 citosolico a spese del diidrossiacetone fosfaGlicerolo 3-fosfato to, producendo NAD1, che rientra nella glicolisi. Gli elettroni presenti ora nel glicerolo Figura 18.5 Il sistema navetta 3-fosfato sono trasferiti alla flavoproteina deidrogenasi, con conseguente fordel glicerofosfato. Gli elettroni del mazione di FADH2. Questo enzima, situato sulla superficie esterna della memNADH citosolico sono trasportati alla brana mitocondriale interna, trasferisce i suoi elettroni direttamente alla catena catena di trasporto degli elettroni nel di trasporto degli elettroni (Paragrafo 18.2D). mitocondrio mediante un processo che Citosol

avviene in tre tappe (indicate in rosso come trasferimenti di ioni idruro). (1) Reazione di ossidazione citosolica del NADH da parte del diidrossiacetone fosfato, catalizzata dalla glicerolo 3-fosfato deidrogenasi. (2) Ossidazione del glicerolo 3-fosfato catalizzata dalla flavoproteina deidrogenasi, con riduzione del FAD a FADH2. (3) Riossidazione del FADH2, associata al trasferimento degli elettroni alla catena di trasporto degli elettroni. Identificate in ogni passaggio i componenti che vanno incontro a ossidazione o riduzione.

Membrana mitocondriale interna

Matrice

La maggior parte dell’ATP sintetizzato nella matrice mitocondriale mediante la fosforilazione ossidativa è usata nel citosol. La membrana mitocondriale interna contiene un traslocatore ADP-ATP (detto anche traslocasi dei nucleotidi adeninici) che trasporta l’ATP fuori dalla matrice, scambiandolo con l’ADP prodotto nel citosol dalle reazioni che consumano ATP. Il traslocatore ADP-ATP è inibito da diversi prodotti naturali, fra cui l’atrattiloside (un veleno prodotto dal cardo mediterraneo Atractylis gummifera che era già noto agli antichi egizi) e il suo derivato carbossiatrattiloside (CATR). In effetti il traslocatore è stato purificato mediante cromatografia per affinità (Paragrafo 5.2C) usando come ligandi i derivati dell’atrattiloside. Un traslocatore scambia l’ADP con l’ATP.

–O S 3

CH2OH O –O S 3

O

O O

O

C CH2

H3C

CH2

H3C

O 2 3

1 4

H R COOH

OH

CH CH3

R=H Atrattiloside R = COOH Carbossiatrattiloside (CATR)

Il traslocatore ADP-ATP, un dimero costituito da due subunità identiche di circa 300 residui, ha caratteristiche simili a quelle di altre proteine di trasporto. Ogni subunità ha un solo sito di legame per il quale ADP e ATP entrano in competizione. È caratterizzato da due stati conformazionali principali: uno in cui il sito di legame per l’ADP-ATP è rivolto verso la matrice, e il secondo in cui lo stesso sito è rivolto verso lo spazio intermembrana. La sua struttura ai raggi X in complesso con il CATR (Figura 18.6), determinata da Eva Pebay-Peyroula, rivela che le sei eliche transmembrana di ciascuna subunità circondano una ca-

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Il trasporto di elettroni e la fosforilazione ossidativa

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Membrana interna

Spazio intermembrana

Matrice (a) Figura 18.6 Struttura ai raggi X del traslocatore ADP-ATP di cuore

bovino in complesso con il carbossiatrattiloside. (a) Una subunità della proteina omodimerica è mostrata sotto forma di struttura a nastro, immersa nella superficie molecolare trasparente. La vista è dal piano della membrana interna con lo spazio intermembrana in alto. La subunità riportata sotto forma di struttura a nastro è colorata secondo l’ordine dei colori dell’arcobaleno dal suo N-terminale (in blu) al suo C-terminale (in rosso). Il carbossiatrattiloside è disegnato in modello tridimensionale con il C in azzurro, l’O in

(b)

rosso e l’S in giallo. Le tre molecole di cardiolipina (Tabella 9.2), che cocristallizzano con la proteina, sono disegnate con modello a bastoncini, con il C in verde, l’O in rosso e il P in arancione. (b) Immagine della superficie molecolare come appare dallo spazio intermembrana e colorata secondo la carica di superficie, con il positivo in blu e il negativo in rosso. Si noti la profonda cavità carica positivamente in cui si lega l’ATP anionico. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Eva Pebay-Peyroula, Université Joseph Fourier, Grenoble, Francia. PDBid 2C3E.]

vità molto profonda, a forma di cono e aperta verso la matrice che è occupata dal CATR. Il traslocatore deve interagire con il ligando per passare da una conformazione all’altra a una velocità fisiologicamente ragionevole. Quindi funziona come uno scambiatore, importando una molecola di ADP per ogni ATP esportato. Da questo punto di vista è diverso dal trasportatore del glucosio (Figura 10.13), che è in grado di cambiare conformazione anche in assenza del ligando. Si noti che l’esportazione di ATP (carica netta –4) e l’importazione di ADP (carica netta –3) determina l’esportazione di una carica negativa per ogni ciclo di trasporto. Questo antiporto elettrogenico è guidato dalla differenza di potenziale di membrana, DC, attraverso la membrana mitocondriale interna (con il polo positivo all’esterno), che è una conseguenza della formazione del gradiente protonico transmembrana. Il fosfato deve essere importato nel mitocondrio. L’ATP è sintetizzato nel mi-

tocondrio a partire da ADP e Pi, ma è usato nel citosol. Il Pi è riportato nel mitocondrio dal trasportatore del fosfato, un simporto elettricamente neutro Pi – H1, favorito dalla differenza di pH. Il gradiente protonico transmembrana prodotto dal macchinario di trasporto degli elettroni della membrana mitocondriale interna non fornisce quindi soltanto la forza termodinamica necessaria per la sintesi di ATP (Paragrafo 18.3), ma rende anche possibile il trasporto dei materiali “grezzi” (ADP e Pi) richiesti per il processo.

PUNTO DI VERIFICA

• Disegnate un mitocondrio in modo semplice e schematico ed evidenziatene le caratteristiche strutturali.

• Descrivete il modo in cui i sistemi navetta trasportano gli equivalenti riducenti all’interno dei mitocondri.

• Spiegate in che modo l’energia libera del gradiente protonico alimenta il trasporto di ATP, ADP e Pi.

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2 Il trasporto degli elettroni CONCETTI CHIAVE

• L’energia libera del trasporto degli elettroni dal NADH all’O2 può alimentare la sintesi di circa 2,5 molecole di ATP.

• I trasportatori di elettroni sono disposti nella membrana mitocondriale in modo che gli elettroni passino dai complessi I e II, attraverso il coenzima Q, al complesso III e da qui, attraverso il citocromo c, al complesso IV.

• Il complesso I a forma di L trasferisce elettroni dal NADH al CoQ attraverso una serie di centri ferro-zolfo e trasloca quattro protoni nello spazio intermembrana.

• Il complesso II trasferisce gli elettroni dal succinato al CoQ ma non contribuisce al gradiente protonico transmembrana.

• Gli elettroni vengono trasferiti dal complesso III al citocromo c e attraverso il ciclo Q vengono traslocati due protoni.

• Il complesso IV accetta gli elettroni dal citocromo c riducendo l’O2 a H2O e trasloca due protoni per ogni coppia di elettroni trasferiti.

I trasportatori che trasferiscono gli elettroni dal NADH e dal FADH2 all’O2 sono associati alla membrana mitocondriale interna. Alcuni di questi centri redox sono molto mobili, altri sono invece componenti meno mobili di complessi di proteine integrali di membrana. La sequenza dei trasportatori di elettroni riflette approssimativamente i relativi potenziali di riduzione, quindi il processo di trasporto degli elettroni è complessivamente esoergonico. Inizieremo questo paragrafo esaminando la termodinamica del trasporto degli elettroni; in seguito prenderemo in considerazione le caratteristiche molecolari dei vari trasportatori di elettroni.

A Il trasporto degli elettroni è un processo esoergonico È possibile misurare l’efficienza termodinamica del trasporto di elettroni considerando i potenziali di riduzione standard dei centri redox. Come già osservato nelle considerazioni termodinamiche riguardanti le reazioni di ossidoriduzione (Paragrafo 14.3), l’affinità per gli elettroni di un substrato ossidato è una funzione del suo potenziale di riduzione standard, %°9 (la Tabella 14.4 elenca i potenziali di riduzione standard di alcune semireazioni biologicamente importanti). La differenza di potenziale di riduzione standard, D%°9, per una reazione redox a cui partecipano due semireazioni qualsiasi è espressa da

D%°9 5 %°9(e– accettore) 2 %°9(e– donatore) Per la reazione che avviene nei mitocondri, che è l’ossidazione del NADH da parte dell’O2, le semireazioni pertinenti sono

NAD1 1 H1 1 2 e2 34 NADH e

1 2

O2 1 2 H1 1 2 e2 34 H2O

%°9 5 20,315 V %°9 5 20,815 V

Poiché la semireazione O2/H2O ha un potenziale di riduzione standard più elevato (l’O2 ha una maggiore affinità per gli elettroni del NAD1), scriviamo la semireazione del NADH nella direzione opposta, in modo che il NADH diventi il donatore degli elettroni e l’O2 l’accettore degli elettroni. La reazione complessiva è 1 2

O2 1 NADH 1 H1 34 H2O 1 NAD1

e quindi D%°9 5 0,815 V 2 (20,315 V) 5 1,130 V La variazione di energia libera standard per la reazione può quindi essere calcolata dall’equazione 14.7: DG°9 5 2n^ D%°9

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Per l’ossidazione del NADH, DG°9 5 2218 kJ ? mol21. In altre parole, l’ossidazione di 1 mol di NADH da parte dell’O2 (il trasferimento di 2 mol e2) in condizioni biochimiche standard è associata al rilascio di 218 kJ di energia libera. Poiché l’energia libera standard necessaria per sintetizzare 1 mol di ATP a partire da ADP 1 Pi è di 30,5 kJ ? mol21, l’ossidazione del NADH da parte dell’O2 è in grado teoricamente di promuovere la formazione di alcune moli di ATP. Nei mitocondri l’accoppiamento dell’ossidazione del NADH con la sintesi di ATP è compiuto tramite la catena di trasporto degli elettroni, in cui questi ultimi passano attraverso tre complessi proteici. Per mezzo di questi complessi proteici la variazione complessiva di energia libera è suddivisa in tre parti più piccole, ciascuna delle quali contribuisce alla sintesi di ATP mediante la fosforilazione ossidativa. L’ossidazione di una molecola di NADH determina la sintesi di circa 2,5 molecole di ATP (vedremo più avanti perché la relazione non è strettamente stechiometrica). L’efficienza termodinamica della fosforilazione ossidativa è quindi di 2,5 3 30,5 kJ ? mol21 3 100/218 kJ ? mol21 5 35% in condizioni biochimiche standard. Tuttavia, in condizioni fisiologiche nei mitocondri attivi (dove le concentrazioni dei reagenti, quelle dei prodotti e il pH sono diversi dalle condizioni standard) si ritiene che l’efficienza termodinamica sia del 70% circa. In confronto, l’efficienza energetica del motore di una normale automobile è 20 ore negli eucarioti. La regola dell’estremità N è valida sia nei procarioti sia negli eucarioti; questo suggerisce che il sistema che seleziona le proteine per la degradazione si sia conservato in entrambi i tipi di organismi, anche se i procarioti non hanno l’ubiquitina. Negli eucarioti la regola dell’estremità N deriva dall’attività di una E3 del tipo dito RING, detta E3a, i cui segnali di ubiquitinazione sono costituiti dai residui destabilizzanti in posizione N-terminale. Tuttavia appare chiaro che il sistema dell’ubiquitina è molto più complesso di un semplice sistema di “smaltimento dei rifiuti” proteici. Le molte E3 finora conosciute possiedono una gamma di segnali di ubiquitinazione che spesso sono presenti in un gruppo molto limitato di proteine bersaglio, molte delle quali hanno funzioni regolatorie. Per esempio, le proteine con segmenti ricchi di Pro (P), Glu (E), Ser (S) e Thr (T) (le cosiddette proteine PEST) sono degradate più rapidamente. Oggi si sa che questo avviene in quanto gli elementi PEST spesso contengono siti di fosforilazione che contrassegnano le proteine che li contengono per l’ubiquitinazione. La distruzione di queste proteine regolatorie ha naturalmente conseguenze molto importanti dal punto di vista della regolazione del metabolismo cellulare. Analogamente, le proteine note come cicline, che controllano la progressione del ciclo cellulare (che è la sequenza generale di eventi che avviene durante la vita delle cellule eucariotiche; Paragrafo 28.4A), vengono selettivamente degradate tramite la loro ubiquitinazione in momenti specifici del ciclo cellulare. È interessante notare che la monoubiquitinazione reversibile controlla invece le attività di certe proteine piuttosto che la loro degradazione, più o meno come la fosforilazione e la defosforilazione alterano l’attività di una proteina (Paragrafo 12.3B).

C Il proteasoma svolge la struttura e idrolizza peptidi ubiquitinati Le proteine ubiquitinate sono degradate per via proteolitica, tramite un processo ATP-dipendente mediato da un grande complesso multiproteico (di circa 2500 kD, 26S), detto proteasoma 26S (Figura 21.3). Il proteasoma 26S è costituito da una struttura, di forma cilindrica, detta proteasoma 20S, rivestita a ciascuna estremità da un cappuccio 19S. [Le entità 26S, 20S e 19S si riferiscono ai coefficienti di sedimentazione delle corrispondenti particelle in unità Svedberg (S); Paragrafo 5.2E.] Il proteasoma 20S di lievito, molto simile agli altri proteasomi 20S degli eucarioti, è composto da sette diversi tipi di subunità a e da sette diversi tipi di subunità b. La struttura ai raggi X di questo enorme complesso proteico (6182 residui, circa 670 kD), determinata da Robert Huber, indica che è costituito da quattro anelli di subunità impilati l’uno sull’altro, con gli anelli esterni e interni costituiti rispettivamente da sette diverse subunità tipo a e da sette diverse

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Il metabolismo degli amminoacidi

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Figura 21.3 Rappresentazione di un proteasoma 26S di Drosophila melanogaster basata su una fotografia al microscopio elettronico. Il complesso misura circa 450 3 190 Å. La regione centrale del complesso multiproteico a doppia simmetria (in giallo), il proteasoma 20S, è costituita da quattro anelli impilati l’uno sull’altro, ciascuno composto da sette subunità: gli anelli formano un barile cavo, all’interno del quale avviene la proteolisi delle proteine contrassegnate con l’ubiquitina. I cappucci 19S (in blu), che possono attaccarsi a una o a entrambe le estremità del proteasoma 20S, controllano l’accesso delle proteine “condannate” al proteasoma 20S (vedi testo). [Per gentile concessione di Wolfgang Baumeister, MaxPlanck-Institute of Biochemistry, Martinsried, Germania.]

Proteasoma 26S Cappuccio 19S

Cappuccio 19S 10 nm

subunità tipo b (Figura 21.4a). Le varie subunità tipo a sono caratterizzate da ripiegamenti simili tra loro e simili anche a quelli delle subunità tipo b. Questo complesso di 28 subunità presenta quindi una doppia simmetria rotazionale per quanto riguarda le due coppie di anelli, ma una simmetria rotazionale apparentemente multipla per quanto riguarda le subunità di ciascun anello. La cavità centrale vuota del proteasoma 20S è costituita da tre grandi camere (Figura 21.4b): due di queste si trovano in corrispondenza delle regioni di contatto tra gli anelli adiacenti delle subunità a e b, mentre la terza camera, quella di dimensioni maggiori, si trova al centro tra i due anelli delle subunità b. Nonostante le subunità tipo a e le subunità tipo b siano simili da un punto di vista strutturale, solo tre delle subunità di tipo b hanno attività proteolitica. La struttura ai raggi X e alcuni studi di enzimologia hanno rivelato che i tre siti attivi del complesso catalizzano l’idrolisi del legame peptidico attraverso un meccanismo precedentemente sconosciuto, nel quale i residui Thr delle estremità N-terminali delle subunità b funzionano come catalizzatori nucleofilici. I siti attivi si trovano all’interno della camera centrale del proteasoma 20S, impedendo quindi che questa macchina per la disgregazione delle proteine idrolizzi in modo indiscriminato tutte le proteine nelle sue vicinanze. I substrati polipeptidici devono entrare nella camera centrale della struttura cilindrica tramite le strette aperture assiali degli anelli a, allineate con residui idrofobici in modo che solo le proteine non ripiegate (cioè in forma distesa) possano entrare nella struttura. Tuttavia, nella struttura ai raggi X del proteasoma 20S di lievito (Figura 21.4b) queste aperture risultano bloccate da un tappo formato dalle interdigitazioni delle code N-terminali delle subunità a.

(a)

769

(b)

Figura 21.4 Struttura ai raggi X del proteasoma 20S di lievito. (a) La disposizione delle 28 subunità, rappresentate sotto forma di sfere. Quattro anelli, costituiti da sette subunità, sono impilati l’uno sull’altro, formando una struttura a barile (le estremità del barile sono nella parte destra e nella parte sinistra della figura), con le subunità tipo a e le subunità tipo b che formano rispettivamente gli anelli esterni e quelli interni. Il doppio asse di simmetria del complesso (C2) è rappresentato da una linea verticale rossa. (b) Immagine della superficie del nucleo del proteasoma sezionato lungo l’asse del cilindro. Tre molecole di inibitore delle proteasi legate contrassegnano le tre subunità b cataliticamente attive e sono colorate in rosso secondo un modello spaziale. In questo modello, i canali di entrata presenti su ciascuna estremità del cilindro non sono visibili. [Per gentile concessione di Robert Huber, Max-Planck-Institute of Biochemistry, Martinsried, Germania. PDBid 1RYP.]

Confrontate questa struttura con quella della chaperonina GroEL/ES (Figura 6.44).

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Le tre subunità attive tipo b hanno diverse specificità per il substrato, poiché eseguono un taglio rispettivamente dopo residui acidi (la subunità b1), residui basici (la subunità b2) e residui idrofobici (la subunità b5). Dunque, il proteasoma 20S taglia i propri substrati polipeptidici in frammenti di circa otto residui, che in seguito escono per diffusione dal proteasoma. Le peptidasi citosoliche degradano poi questi peptidi nei loro amminoacidi componenti. Le molecole di ubiquitina attaccate alla proteina bersaglio non sono tuttavia degradate, ma restituite alla cellula e quindi riutilizzate. Oltre a facilitare il normale ricambio fisiologico delle proteine, il proteasoma ha un ruolo importante anche nel sistema immunitario. I recettori presenti sui linfociti T (Paragrafo 7.3) riconoscono i peptidi quando questi sono uniti alle proteine della superficie cellulare appartenenti al complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). Durante un’infezione batterica o virale, i segnali provenienti dalle cellule danneggiate o da altre cellule appartenenti al sistema immunitario stimolano le cellule che presentano l’antigene ad aumentare la sintesi di subunità proteasomiche β con una specificità di substrato l’una diversa dall’altra. I frammenti peptidici risultanti, che derivano da normali proteine cellulari e da proteine di origine patogena, si legano perfettamente alle proteine MHC e quindi segnalano ai linfociti T la presenza di un patogeno. Il cappuccio 19S controlla l’accesso delle proteine ubiquitinate al proteasoma 20S. Probabilmente il proteasoma 20S non esiste in forma libera nelle cellule,

ma è quasi sempre unito a due cappucci 19S il cui ruolo è quello di riconoscere le proteine ubiquitinate, svolgerne la struttura in forma distesa e inserirle nel proteasoma 20S mediante un processo ATP-dipendente, e di rimuovere le ubiquitine attaccate. È stato difficile caratterizzare la struttura del cappuccio 19S, che è costituito da circa 19 subunità diverse, principalmente a causa della sua bassa stabilità intrinseca. Il suo cosiddetto “complesso di base” è costituito da 10 subunità diverse, sei delle quali sono ATPasi disposte intorno all’anello a del proteasoma 20S (Figura 21.3). Con esperimenti di formazione di legami crociati, Cecile Pickart ha dimostrato che una delle ATPasi, detta S69, prende contatto con il segnale di poliubiquitina che contrassegna una proteina “marcata” per entrare nel proteasoma 26S. Questo induce a ritenere che il riconoscimento della catena di poliubiquitina e dello stato di ripiegamento della proteina substrato siano processi determinati dall’idrolisi di ATP. Inoltre l’anello delle ATPasi deve funzionare in modo da aprire (come un cancello) l’apertura assiale, normalmente chiusa, del proteasoma 20S, per permettere l’ingresso della proteina substrato in forma distesa. Altre nove subunità proteiche formano il cosiddetto “complesso del coperchio”, la regione del cappuccio 19S più distante dal proteasoma 20S. Il ruolo delle subunità coperchio non è ancora noto, sebbene si sappia che un proteasoma 26S privo delle subunità coperchio non è in grado di degradare i substrati contrassegnati con poliubiquitina. Altre subunità possono associarsi temporaneamente al cappuccio 19S e/o allo stesso proteasoma 20S. Anche gli eubatteri contengono proteasi organizzate in compartimenti autonomi. Sebbene siano presenti in tutti gli eucarioti e gli archeobatteri finora esa-

minati, i proteasomi 20S sono assenti in quasi tutti gli eubatteri (e questo costituisce un’ulteriore prova che gli eucarioti si sono evoluti dagli archeobatteri; Figura 1.9). Tuttavia gli eubatteri hanno complessi proteolitici ATP-dipendenti che condividono con i proteasomi la struttura cilindrica cava e che effettuano funzioni simili. Per esempio, nell’E. coli due proteine, dette Lon e Clp, provvedono alla degradazione di una quota che può arrivare all’80% delle proteine del batterio. Tutte le cellule sembrano quindi contenere proteasi i cui siti attivi sono raggiungibili solo all’interno di strutture cave di particelle ad accesso con-

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(a)

(b)

Figura 21.5 Struttura ai raggi X della ClpP di E. coli. Questo complesso di 14 subunità identiche ha simmetria D7 (la simmetria di un prisma eptagonale; Paragrafo 6.3). (a) Immagine del complesso eptamerico lungo l’asse di simmetria della proteina mostrata sotto forma di struttura a nastro, in cui l’anello inferiore è colorato in azzurro pallido e l’anello superiore è colorato in rosa

(una delle sue subunità è colorata secondo l’ordine dei colori dell’arcobaleno dall’N-terminale in blu al C-terminale in rosso. (b) Immagine lungo l’asse di simmetria del complesso [ruotata di 90° intorno a un asse orizzontale rispetto all’immagine della Parte (a)]. [Basata su una struttura ai raggi X di John Flannagan, Brookhaven National Laboratory, Upton, New York. PDBid 1TYF.]

trollato. Sembra che queste cosiddette proteasi organizzate in compartimenti autonomi si siano evolute precocemente nella storia della vita cellulare, prima dell’evoluzione di organelli delimitati da membrana come i lisosomi, che effettuano processi degradativi simili, proteggendo il contenuto cellulare da una distruzione incontrollata. La proteasi Clp è costituita da due componenti, la parte proteoliticamente attiva, ClpP, e una delle molte ATPasi che nell’E. coli sono ClpA e ClpX. La struttura ai raggi X di ClpP rivela che la proteina forma un complesso oligomerico a forma di barile cavo, lungo e largo circa 90 Å, costituito da due anelli a simmetria multipla, composti da subunità di 193 residui e appoggiati l’uno contro l’altro; la struttura ha quindi la stessa simmetria rotazionale del proteasoma 20S (Figura 21.5). Tuttavia la subunità ClpP ha un tipo di ripiegamento finora sconosciuto, completamente diverso da quello delle subunità omologhe a e b del proteasoma 20S. Il sito attivo di ClpP, esposto solo all’interno della struttura a barile, contiene una triade catalitica composta dai residui di Ser 97, His 122 e Asp 171ed è quindi una serina proteasi (Figura 11.26).

2 La deamminazione degli amminoacidi CONCETTI CHIAVE

• La transamminazione interconverte tra loro un amminoacido e un α-cheto acido. • La deamminazione ossidativa del glutammato rilascia ammoniaca da eliminare.

Gli amminoacidi liberi sono ottenuti dalla degradazione delle proteine cellulari e dalla digestione delle proteine derivanti dalla dieta. La pepsina, una proteasi gastrica, e gli enzimi pancreatici tripsina, chimotripsina ed elastasi (esaminati nei Paragrafi 5.3B e 11.5) e numerose altre endo- ed esopeptidasi degradano i polipeptidi in oligopeptidi e amminoacidi. Queste sostanze sono assorbite dalla mucosa intestinale e trasportate nel circolo sanguigno per essere assorbite da altri tessuti.

PUNTO DI VERIFICA

• Qual è il ruolo del lisosoma nella degradazione delle proteine extracellulari e intracellulari?

• Perché la degradazione delle proteine deve essere in qualche modo selettiva?

• Descrivete le tappe di ubiquitinazione delle proteine. Qual è la differenza tra mono- e poliubiquitinazione?

• Descrivete le vie della degradazione delle proteine mediata dal proteasoma, compresi i ruoli dell’ubiquitina e dell’ATP.

• Qual è il vantaggio delle differenti specificità di substrato dei siti attivi del proteasoma?

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Figura 21.6 Schema generale del catabolismo degli amminoacidi. Il gruppo amminico è rimosso e incorporato nell’urea per essere eliminato tramite escrezione. La restante struttura carboniosa (a-chetoacido) può essere degradata a CO2 e H2O, oppure trasformata in glucosio, acetil-CoA o corpi chetonici.

Amminoacido

Struttura carboniosa

NH3

CO2 + H2O

Urea

Glucosio

Acetil-CoA

Quali composti servono come substrati metabolici?

Corpi chetonici

La altre tappe della degradazione degli amminoacidi avvengono all’interno della cellula e richiedono reazioni che sottraggono il gruppo a-amminico all’amminoacido. In molti casi il gruppo amminico è convertito in ammoniaca, che è quindi organicata in urea ed escreta (Paragrafo 21.3). La restante struttura carboniosa (a-chetoacido) può essere degradata in altri composti (Paragrafo 21.4). Questo insieme di reazioni metaboliche è riassunto nella Figura 21.6.

A Le transamminasi utilizzano il PLP per trasferire i gruppi amminici La maggior parte degli amminoacidi viene deamminata mediante transamminazione, cioè il trasferimento del loro gruppo amminico a un a-chetoacido, con formazione dell’a-chetoacido dell’amminoacido di partenza e di un nuovo amminoacido. Il principale accettore del gruppo amminico è l’a-chetoglutarato, e viene quindi prodotto glutammato e un nuovo a-chetoacido: + NH3 R

CH

O COO–

+

–OOC

CH2

CH2

+ NH3

O C

COO–

a-Chetoglutarato

Amminoacido

R

C

COO–

+

–OOC

CH2

a-Chetoacido

CH2

CH

COO–

Glutammato

Il gruppo amminico del glutammato, a sua volta, può essere trasferito all’ossalacetato tramite una seconda reazione di transamminazione che produce aspartato e ripristina l’a-chetoglutarato: + NH3 –

OOC

CH2

CH2

CH

O COO–

+

–OOC

Glutammato

CH2

CH2

CH2

C

a-Chetoglutarato

COO–

Ossalacetato

+ NH3

O –OOC

C

COO–

+

–OOC

CH2

CH

COO–

Aspartato

Gli enzimi che catalizzano le reazioni di transamminazione sono detti amminotransferasi o transamminasi e necessitano del coenzima piridossal-59-fosfato (PLP; Figura 21.7a). Il PLP è un derivato della piridossina (vitamina B6; Figura 21.7b). Il coenzima è legato covalentemente all’enzima tramite una base di Schiff (immina), formata dalla condensazione del suo gruppo aldeidico

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Il metabolismo degli amminoacidi

con il gruppo ε-amminico di un residuo di Lys appartenente all’enzima (Figura 21.7c). La base di Schiff coniugata all’anello piridinico è fondamentale per l’attività del coenzima. Quando il PLP accetta il gruppo amminico da un amminoacido, come descritto in seguito, si trasforma in piridossammina-59-fosfato (PMP; Figura 21.7d). Esmond Snell, Alexander Braunstein e David Metzler hanno dimostrato che la reazione delle amminotransferasi utilizza un meccanismo a pingpong (Paragrafo 12.1D), le cui due fasi sono costituite ciascuna da tre tappe (Figura 21.8).

(a)

 59

–2

O3PO

H2C

6

OH

4

5

3 2 1+

Piridossal-5fosfato (PLP)  H2C

La fase I trasforma un amminoacido in un chetoacido. HO

39. Il PMP reagisce con un a-chetoacido, formando una base di Schiff. 29. La base di Schiff a-chetoacido-PMP si modifica per tautomerizzazione, formando una base di Schiff amminoacido-PLP. 19. Il gruppo ε-amminico del residuo Lys del sito attivo attacca la base di Schiff amminoacido-PLP, in una reazione di transimminazione che rigenera la base di Schiff enzima attivo-PLP e libera il nuovo amminoacido. Si noti che la sottrazione del gruppo amminico dell’amminoacido che funge da substrato produce un carbanione Ca stabilizzato per risonanza, i cui elettroni sono delocalizzati in tutta la molecola, fino all’atomo di azoto protonato dell’anello piridinico del coenzima; il PLP si comporta quindi come una “trappola per elettroni”. Per le reazioni di transamminazione, questa capacità di sequestrare gli elettroni facilita la rimozione del protone a (scissione del legame a, in alto a destra nella Figura 21.8) durante la tautomerizzazione. Il PLP funziona in modo simile nelle reazioni enzimatiche che coinvolgono scissioni dei legami b e c. Le amminotransferasi hanno diverse specificità per gli amminoacidi che fungono da substrati nella prima fase della reazione di transamminazione e quindi producono i corrispondenti a-chetoacidi diversi. La maggior parte delle amminotransferasi, tuttavia, nella seconda fase della reazione accetta come a-chetoacido substrato solo l’a-chetoglutarato, oppure (in misura minore) ossalacetato, formando quindi solo glutammato o aspartato come unici prodotti amminoacidici. I gruppi amminici derivanti dalla maggior parte degli amminoacidi sono quindi indirizzati verso la produzione di glutammato o aspartato. La reazione di transamminazione è liberamente reversibile, quindi le transamminasi partecipano sia alle vie di sintesi sia a quelle di degradazione degli amminoacidi. L’unico amminoacido che non è transamminato è la lisina.

OH

H2C +

CH3

N H Piridossina (vitamina B6) (CH2)4  C

N+

 O–

H2C

–2

Enzima

...

(c)

O3PO +

CH3

N H

Base di Schiff enzima–PLP

La fase II trasforma un a-chetoacido in un amminoacido. Per completare il ciclo

catalitico dell’amminotransferasi, il coenzima deve essere trasformato da PMP di nuovo in base di Schiff enzima-PLP. Il processo segue le stesse tre tappe della fase I, ma in ordine inverso.

CH3

N H

(b)

1. Il gruppo amminico nucleofilico dell’amminoacido attacca l’atomo di carbonio della base di Schiff enzima-PLP, in una reazione di transimminazione che forma una base di Schiff amminoacido-PLP (una aldimmina), con il contemporaneo rilascio del gruppo amminico della Lys dell’enzima. Questo residuo di Lys è quindi libero di funzionare come una base generale nel sito attivo. 2. La base di Schiff amminoacido-PLP diventa per tautomerizzazione una base di Schiff a-chetoacido-PMP (una chetimmina), per intervento del residuo di Lys del sito attivo, che catalizza la rimozione dell’idrogeno in posizione a dell’amminoacido e la protonazione dell’atomo C49 del PLP, tramite la formazione di un intermedio carbanionico stabilizzato per risonanza. La risonanza facilita la scissione del legame CaOH. 3. La base di Schiff a-chetoacido-PMP è idrolizzata a PMP e a-chetoacido.



49

C

(d)

H2C –2

O3PO

NH2 OH

H2C +

N H

CH3

Piridossammina-5fosfato (PMP) Figura 21.7 Forme molecolari del piridossal-5’-fosfato. (a) Il coenzima piridossal-5’-fosfato (PLP). (b) La piridossina (vitamina B6). (c) La base di Schiff che si forma tra il PLP e un gruppo ε-amminico dell’enzima. (d) La piridossammina-5’-fosfato (PMP).

Descrivete le modificazioni che trasformano la vitamina nel coenzima funzionante.

CAPITOLO 21

774

Il metabolismo degli amminoacidi

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Tappe 1 e 1ⴕ: transimminazione H

R

H

– Cα COO NH .. 2

2–

+

+

C

N

N ..

H

H H

– O

2–

O3 PO + N

H

...

H

– Cα COO

H

H

– O

O3 PO + N

CH 3

2–

C

a

– Cα b COO + • N H

(CH2 ) 4 NH .. 2

– O

O3 PO + N

CH3

H

Base di Schiff enzima–PLP

c

R

+

N

Enzima

H

(CH 2 ) 4

C

H a-Amminoacido

Enzima

...

(CH 2 ) 4

R

...

Enzima

CH3

H

Intermedio diamminico

Base di Schiff amminoacido–PLP (aldimmina)

Tappe 2 e 2ⴕ: tautomerizzazione

2–

C

O3 PO

N + H H – O

H

C

N + H

H

C

N + H

– O

2–

+ N

Enzima • – + – H2NH R Cα COO Lys

– O

2–

O3 PO

..

CH 3

H

O3 PO + N

CH3

N

H

Chetimmina

...

H

...

H2N..

Enzima • + – H2N H R Cα COO Lys

..OH –

...

Enzima • – R Cα COO

Lys

CH3

H

Intermedio stabilizzato per risonanza

Tappe 3 e 3ⴕ: idrolisi Lys

Enzima • H O

H2N.. R

Lys H2N..

– Cα COO

2–

C

O3 PO + N

H

– O

CH 3

H Carbinolammina

..

NH 2 H

NH H

Enzima •

2–

C

H

– O

O3 PO + N

CH 3

O

+

– Cα COO ␣-Chetoacido R

H Piridossammina fosfato (PMP)–enzima

Figura 21.8 Il meccanismo della reazione di transamminazione, catalizzata da enzimi PLP-dipendenti. La prima fase della reazione, durante la quale il gruppo a-amminico di un amminoacido è trasferito al PLP con formazione di un a-chetoacido e di PMP, è costituita da tre tappe: (1) transimminazione; (2) tautomerizzazione, nella quale il residuo di Lys rilasciato durante la reazione di transimminazione agisce da catalizzatore acido-base generale; (3) idrolisi. La seconda fase della reazione, durante la quale il gruppo amminico del PMP è trasferito a un diverso a-chetoacido per produrre un nuovo α-amminoacido e PLP, è essenzialmente l’inverso della prima fase: le tappe 39, 29 e 19 sono l’inverso, rispettivamente, delle tappe 3, 2 e 1.

Descrivete i prodotti che risulterebbero dalla scissione dei legami b e c degli amminoacidi indicati nella parte in alto a destra della figura.

CAPITOLO 21

775

Il metabolismo degli amminoacidi

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La presenza delle transamminasi nelle cellule del muscolo e del fegato è un utile marcatore di lesioni tissutali. I dosaggi dell’attività di questi enzimi nel sangue sono comuni misure cliniche, dette SGOT (transamminasi glutammato-ossalacetato del siero, nota anche come AST, aspartato transamminasi) e SGTP (transamminasi glutammato-piruvato del siero, nota anche come ALT, alanina transamminasi). Le concentrazioni di questi enzimi nel sangue aumentano dopo un infarto cardiaco, quando il tessuto muscolare lesionato del cuore perde il suo contenuto intracellulare. Anche i danni al fegato sono valutati tramite l’esame delle concentrazioni di SGOT e SGPT.

B Il glutammato può essere deamminato per via ossidativa Le reazioni di transamminazione non determinano alcuna deamminazione netta, mentre il glutammato può essere deamminato ossidativamente dalla glutammato deidrogenasi (GDH), con produzione di ammoniaca e rigenerazione dell’a-chetoglutarato, destinato a essere riutilizzato in altre reazioni di transamminazione. La glutammato deidrogenasi, un enzima mitocondriale, è l’unico enzima conosciuto in grado di accettare come coenzima redox sia NAD1 sia NADP1. Si ritiene che l’ossidazione avvenga tramite il trasferimento di uno ione idruro dal Ca del glutammato al NAD(P)1, con formazione di a-imminoglutarato, in seguito idrolizzato ad a-chetoglutarato e ammoniaca: NH+ 3 –OOC

CH2

CH2

C H

Glutammato

NAD(P)+

COO–

NAD(P) H

+ H+

H2O NH+ 2

–OOC

CH2

CH2

C

COO–

a-Imminoglutarato

L’enzima è inibito in modo allosterico da GTP e NADH (che segnalano abbondanza di energia metabolica) e attivato da ADP e NAD1 (che segnalano la necessità di produrre ATP). Poiché il prodotto della reazione, l’a-chetoglutarato, è un intermedio del ciclo dell’acido citrico, l’attivazione della glutammato deidrogenasi può stimolare il flusso attraverso il ciclo dell’acido citrico, determinando una maggiore produzione di ATP tramite la fosforilazione ossidativa. La posizione di equilibrio della reazione catalizzata dalla glutammato deidrogenasi (DG°9 < 30 kJ ? mol21) tende a favorire la sintesi di glutammato, l’inverso della reazione sopra indicata. Un tempo si riteneva che questa reazione rappresentasse la via utilizzata dall’organismo per rimuovere l’ammoniaca libera, che è tossica a concentrazioni elevate. Si riteneva anche che l’enzima, in condizioni fisiologiche, funzionasse praticamente all’equilibrio in modo che le eventuali variazioni di concentrazione dell’ammoniaca determinassero uno spostamento dell’equilibrio verso la sintesi di glutammato, per eliminare l’eccesso di ammoniaca. Tuttavia, una forma di iperinsulinismo caratterizzata da ipoglicemia e iperammonemia (HI/HA; l’iperammonemia è una concentrazione molto elevata di ammoniaca nel sangue) è causata da mutazioni nella GDH che provocano una diminuzione di sensibilità all’inibizione da parte del GTP e quindi aumentano l’attività dell’enzima. Poiché i pazienti HI/HA presentano un aumento di attività della GDH ma i livelli di NH3 sono superiori al normale, il ruolo della GDH nell’impedire gli effetti tossici dell’ammoniaca mantenendo il sistema in condizioni vicine all’equilibrio non può essere quello corretto. In effetti, se la GDH funzionasse in condizioni vicine all’equilibrio, le variazioni della sua attività causate da interazioni allosteriche non produrrebbero variazioni significative del flusso di materiali (ricordiamo che gli enzimi che controllano il flusso delle reazioni metaboliche devono funzionare in condizioni lontane dall’equilibrio).

NH+ 4

O –OOC

CH2

CH2

C

COO–

a-Chetoglutarato

776

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

PUNTO DI VERIFICA

• Descrivete il modo in cui

l’α-chetoglutarato e l’ossalacetato partecipano al catabolismo degli amminoacidi.

• Qual è il ruolo del PLP nella

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Come abbiamo visto prima, l’ammoniaca liberata nella reazione della GDH è infine escreta sotto forma di urea. Quindi la reazione della glutammato deidrogenasi funziona per eliminare i gruppi amminici sottratti agli amminoacidi mediante le reazioni di transamminazione, producendo contemporaneamente α-chetoglutarato.

transamminazione?

• Schematizzate le reazioni che rilasciano un gruppo amminico di un amminoacido sotto forma di ammoniaca.

3 Il ciclo dell’urea CONCETTI CHIAVE

• Cinque reazioni incorporano l’ammoniaca e un gruppo amminico nell’urea. • La velocità del ciclo dell’urea cambia in funzione della velocità di degradazione degli amminoacidi.

Negli organismi viventi esistono tre vie di eliminazione dell’eccesso di azoto che deriva dalla degradazione metabolica degli amminoacidi. Molti animali acquatici eliminano semplicemente ammoniaca, ma nei casi in cui l’acqua scarseggia si sono evoluti processi che trasformano l’ammoniaca in prodotti di rifiuto meno tossici, che richiedono meno acqua per la loro escrezione. Uno di questi prodotti è l’urea, prodotta dalla maggior parte dei vertebrati terrestri; un altro prodotto di escrezione è l’acido urico, sintetizzato dagli uccelli e dai rettili terrestri. O O H2N

NH3

HN

NH2

C

O Ammoniaca

H N O

N H

N H

Acido urico

Urea

In questo paragrafo concentreremo l’attenzione sulla formazione dell’urea. La biosintesi dell’acido urico sarà descritta nel Paragrafo 23.4. L’urea viene sintetizzata nel fegato dagli enzimi del ciclo dell’urea, poi secreta nel circolo sanguigno e sequestrata nei reni, per essere infine eliminata nelle urine. Il ciclo dell’urea è stato chiarito nel 1932 da Hans Krebs e Kurt Henseleit (è stato il primo ciclo metabolico interamente conosciuto; Krebs ha chiarito il ciclo dell’acido citrico solo nel 1937; Scheda 17.1). In seguito le singole reazioni sono state descritte in dettaglio da Sarah Ratner e Philip Cohen. La reazione complessiva del ciclo dell’urea è +

NH 3 NH3

+

HCO–3

+

–OOC

CH2

CH

COO–

Aspartato 3 ATP 2 ADP + 2 Pi + AMP + PPi O H2N

C Urea

NH2

+

–OOC

CH

CH

COO–

Fumarato

Quindi, i due atomi di azoto dell’urea provengono dall’ammoniaca e dall’aspartato, mentre il suo atomo di carbonio deriva dall’HCO3–.

A Cinque enzimi portano avanti il ciclo dell’urea Il ciclo dell’urea è costituito da cinque reazioni, due delle quali sono mitocondriali e tre citosoliche (Figura 21.9).

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

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R Glutammato

R H+ +

a-Chetoglutarato

NAD(P)H

carbamil fosfato sintetasi 2 ATP + HCO– 3 + NH3

COO–

C

O a-Chetoacido transamminasi

glutammato deidrogenasi

NAD(P)+

COO–

CH

NH+ 3 Amminoacido

O

1

OPO 2– 3 + 2 ADP + Pi

C

H2N

Carbamil fosfato

O

ornitina transcarbamilasi Ornitina

Citrullina ATP argininosuccinato sintetasi AMP + PPi

NH2

Urea

Arginino- CH 2 succinato HC

+ Arginina NH2 C

COO–

4

NH

COO–

(CH2)3 C

NH+ 3

HC 3

COO– Aspartato

COO–

H2O

H

CH2

5

arginasi

H2N

COO– COO–

Ciclo dell’urea

O C

NH + 3

HC

Citosol

COO– Ornitina

H2N

(CH2)3

Mitocondrio

NH + 3

C

NH

Citrullina

(CH2)3

NH2

C

Pi

2

NH+ 3

H

777

NH+ 3

COO–

+ NH2 C

N H

NH (CH2)3

argininosuccinasi

HC

HC

NH+ 3

COO–

CH COO– Fumarato H2O

fumarasi COO–

NAD+

NADH + H+

CH2 CH

COO– CH2

OH

malato deidrogenasi

COO– Malato

Figura 21.9 Il ciclo dell’urea. Al ciclo dell’urea partecipano cinque enzimi: (1) la carbamil fosfato sintetasi, (2) l’ornitina transcarbamilasi, (3) l’argininosuccinato sintetasi, (4) l’argininosuccinasi e (5) l’arginasi. Gli enzimi 1 e 2 si trovano nei mitocondri, mentre gli enzimi 3-5 sono citosolici. L’ornitina e la citrullina devono quindi essere trasportate attraverso la membrana mitocondriale da specifici sistemi di trasporto (cerchi gialli). I gruppi amminici dell’urea provengono dalla deamminazione degli amminoacidi. Un gruppo amminico (in verde) deriva dall’ammoniaca prodotta dalla reazione della

C

Gluconeogenesi O

COO– Ossalacetato

glutammato deidrogenasi (in alto). L’altro gruppo amminico (in rosso) è fornito dall’aspartato (a destra), formato per transamminazione dell’ossalacetato con un altro amminoacido. Il fumarato prodotto dalla reazione 4 è trasformato in ossalacetato, precursore nella via della gluconeogenesi, mediante l’attività della fumarasi e della malato deidrogenasi del citosol (in basso). Quali sono i fattori che rendono irreversibili le reazioni del ciclo in condizioni fisiologiche?

CAPITOLO 21

778

Il metabolismo degli amminoacidi

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Figura 21.10 Il meccanismo d’azione della CPS I. (1) La fosforilazione attiva l’HCO3– per formare l’intermedio carbossifosfato. (2) L’NH3 attacca il carbossifosfato per formare carbammato. (3) L’ATP fosforila il carbammato, producendo carbamil fosfato.

ADP O O

O–

ADP O HO

C

ADP

O O



+

O

P

O–

P

O





1

Pi

O O

C

OPO23–



O

+ :NH3



2

ATP

O O

C

NH2

Carbammato Carbossifosfato

O –2

3 ADP

O3P

O

C

NH2

Carbamil fosfato

1. La carbamil fosfato sintetasi recupera il primo atomo d’azoto dell’urea. La

Figura 21.11 Struttura ai raggi X della carbamil fosfato sintetasi di E. coli. La struttura della proteina mostra solo le posizioni dei Ca. La subunità più piccola (in rosso magenta) contiene il sito di legame della glutammina, dove è prodotta NH3. La subunità più grande è costituita da alcuni domini (in verde, giallo, blu e arancione) e contiene gli altri due siti attivi. Il tunnel lungo 96 Å che collega i tre siti attivi è delineato in rosso. [Per gentile concessione di Hazel Holden e Ivan Rayment, University of Wisconsin. PDBid 1JDB.] Glutammina

Tunnel

carbamil fosfato sintetasi (CPS) non è un componente intrinseco del ciclo dell’urea. Questo enzima catalizza la condensazione e l’attivazione dell’NH3 e dell’HCO32 formando carbamil fosfato, il primo dei due substrati contenenti azoto del ciclo, con la concomitante idrolisi di 2 ATP. Gli eucarioti contengono due forme di CPS. La CPS I mitocondriale utilizza ammoniaca come donatore di azoto e partecipa alla biosintesi dell’urea; la CPS II usa la glutammina come donatore di azoto ed è coinvolta nella biosintesi delle pirimidine (Paragrafo 23.2A). La reazione catalizzata dalla CPS I è essenzialmente irreversibile ed è la tappa che limita la velocità dell’intero ciclo dell’urea (Figura 21.10).

1. L’ATP attiva l’HCO32, formando carbossifosfato e ADP. 2. L’ammoniaca attacca il carbossifosfato, sostituendo il gruppo fosforico e producendo carbammato e Pi. 3. Un secondo ATP fosforila il carbammato, formando carbamil fosfato e ADP. Nell’E. coli un’unica CPS, che ha una struttura in subunità (ab)4, produce carbamil fosfato, usando glutammina come donatore di azoto. La subunità più piccola dell’enzima è una glutamminasi, che idrolizza glutammina, mentre la subunità più grande catalizza le reazioni 1, 2, e 3 nella Figura 21.10. La struttura ai raggi X della CPS di E. coli, determinata da Hazel Holden e Ivan Rayment, rivela un fatto davvero sorprendente: sebbene i tre siti attivi siano molto distanti dal punto di vista spaziale, sono collegati tra loro da uno stretto tunnel, lungo 96 Å, che percorre quasi tutta la proteina (Figura 21.11). L’NH3 prodotto dal sito attivo della glutamminasi si sposta di circa 45 Å per reagire con il carbossifosfato. Il carbammato risultante si sposta di circa 35 Å per raggiungere il sito di sintesi del carbamil fosfato. Il fenomeno nel quale l’intermedio di due reazioni è direttamente trasferito dal sito attivo di un enzima a ATP/HCO3– un altro è detto incanalamento. L’incanalamento aumenta la velocità di una via metabolica impedendo la perdita dei suoi intermedi e proteggendoli dalla degradazione. Questo processo è fondamentale per la CPS, dato che gli intermedi carbossifosfato e carbammato sono estremamente reattivi e hanno emivite rispettivamente di 28 e 70 ms a pH neutro. Inoltre l’incanalamento permette alla concentrazione locale di NH3 di raggiungere valori più elevati di quelli normalmente presenti all’interno delle cellule. Incontreremo molti altri esempi di questo processo nello studio degli enzimi metabolici, ma il tunnel presente nella CPS è tra i più lunghi finora conosciuti. 2. La carbamilazione dell’ornitina produce la citrullina. L’ornitina trans-

Carbamil fosfato

carbamilasi trasferisce il gruppo carbamilico del carbamil fosfato all’ornitina, producendo citrullina (Figura 21.9, reazione 2). Si noti che entrambe le molecole sono a-amminoacidi “non standard”, cioè non

CAPITOLO 21

¨ 2 NH AMP

P

779

Il metabolismo degli amminoacidi

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P

+

O

C

PPi 1

+

AMP

O

NH

ATP

C

+

¨ H2N

NH+3

COO– Citrullina

(CH2)3 H

C

C

CH2

COO–

COO–

NH

C

CH2

COO–

H

C

NH+3

COO– Argininosuccinato

Figura 21.12 Il meccanismo d’azione dell’argininosuccinato sintetasi. (1) La formazione di citrullil-AMP attiva l’ossigeno del gruppo ureidico della citrullina. (2) Il gruppo a-amminico dell’aspartato sostituisce l’AMP.

3. L’argininosuccinato sintetasi acquisisce il secondo atomo di azoto dell’urea. Il secondo atomo di azoto dell’urea è introdotto nella molecola trami-

te la condensazione del gruppo ureidico della citrullina con il gruppo amminico di un residuo di aspartato, in una reazione catalizzata dall’argininosuccinato sintetasi (Figura 21.12). L’ATP attiva l’atomo di ossigeno ureidico, che lascia la molecola, formando un intermedio citrullil-AMP; l’AMP è in seguito sostituito dal gruppo amminico dell’aspartato. Il PPi prodotto in questa reazione è idrolizzato a 2 Pi. Quindi la reazione consuma due equivalenti di ATP. 4. L’argininosuccinasi produce fumarato e arginina. Con la formazione di argi-

ninosuccinato tutti i componenti della molecola dell’urea sono stati recuperati, ma il gruppo amminico donato dall’aspartato è ancora attaccato alla struttura carboniosa dell’aspartato. La situazione è risolta con l’eliminazione di fumarato, catalizzata dall’argininosuccinasi, liberando arginina, il precursore immediato dell’urea (Figura 21.9, reazione 4). Il fumarato prodotto nella reazione dell’argininosuccinasi è ritrasformato in ossalacetato tramite le reazioni della fumarasi e della malato deidrogenasi: queste due reazioni sono uguali a quelle che avvengono nel ciclo dell’acido citrico, anche se si svolgono nel citosol e non nel mitocondrio. L’ossalacetato è quindi usato per la gluconeogenesi (Paragrafo 16.4). 5. L’arginasi rilascia l’urea. La reazione finale del ciclo dell’urea è l’idrolisi dell’ar-

ginina catalizzata dall’arginasi, con formazione di urea e rigenerazione dell’ornitina (Figura 21.9, reazione 5). L’ornitina è riportata nel mitocondrio per un altro giro del ciclo. Quindi il ciclo dell’urea trasforma due gruppi amminici, uno derivante dall’ammoniaca e l’altro dall’aspartato, e un atomo di carbonio dell’HCO32 in un prodotto relativamente poco tossico, l’urea, al costo di quattro legami fosforici “ad alta energia”. Tuttavia l’energia consumata è abbondantemente recuperata dall’ossidazione delle strutture carboniose degli amminoacidi che hanno donato il loro gruppo amminico mediante transamminazione al glutammato e all’aspartato. In effetti metà dell’ossigeno consumato dal fegato è usata per produrre l’energia necessaria all’eliminazione dell’ammoniaca.

B Il ciclo dell’urea è regolato dalla disponibilità del substrato La carbamil fosfato sintetasi I, che catalizza la tappa che limita la velocità del ciclo dell’urea, è attivata in modo allosterico dall’N-acetilglutammato (a destra). Que-

COO–

(CH2)3

Citrullil–AMP

utilizzati per la sintesi delle proteine. La reazione della transcarbamilasi avviene nei mitocondri, quindi l’ornitina, prodotta nel citosol, deve entrare nel mitocondrio tramite un sistema di trasporto specifico. Nello stesso modo, poiché le rimanenti reazioni del ciclo dell’urea avvengono nel citosol, anche la citrullina deve essere trasportata fuori dal mitocondrio.

H

NH2

NH

Aspartato

NH+3

+ C

2

COO–

NH

(CH2)3 H

C

AMP

H

NH2

COO–

H

(CH2)2

O

N H

C

C

–OOC

CH3

N-Acetilglutammato

780

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

PUNTO DI VERIFICA

• Riassumete le tappe del ciclo dell’urea. In che modo i gruppi amminici degli amminoacidi entrano nel ciclo?

• Quali sono i vantaggi dell’incanalamento?

• In che modo la velocità di deamminazione degli amminoacidi è correlata alla velocità del ciclo dell’urea?

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sto metabolita è sintetizzato a partire da glutammato e acetil-CoA dall’enzima N-acetilglutammato sintasi. Quando aumenta la velocità di degradazione degli amminoacidi, aumenta anche la concentrazione del glutammato a causa delle reazioni di transamminazione. L’aumento della concentrazione di glutammato stimola la sintesi di N-acetilglutammato. La risultante attivazione della carbamil fosfato sintetasi aumenta la velocità di produzione dell’urea. In questo modo l’eccesso di azoto prodotto dalla degradazione degli amminoacidi è eliminato in modo efficiente tramite l’escrezione. Si noti che il ciclo dell’urea, come la gluconeogenesi (Paragrafo 16.4) e la chetogenesi (Paragrafo 20.3) è una via che ha sede nel fegato, ma che provvede alle necessità di tutto il corpo. I restanti enzimi del ciclo dell’urea sono regolati dalle concentrazioni dei loro substrati. Negli individui affetti da carenze ereditarie degli enzimi del ciclo dell’urea, con l’esclusione dell’arginasi, avviene un accumulo del corrispondente substrato, che induce un aumento della velocità della reazione in cui vi è la carenza, in modo da mantenere normale la velocità di produzione dell’urea (la mancanza totale di un enzima del ciclo dell’urea è letale). L’accumulo anomalo di substrato non è tuttavia privo di conseguenze. Le concentrazioni dei substrati aumentano in tutte le reazioni del ciclo, fino all’ammoniaca, con conseguente iperammoniemia (elevati livelli di ammoniaca nel sangue). Anche se non si conosce completamente la causa principale della tossicità dell’ammoniaca, è chiaro che il cervello è particolarmente sensibile a elevate concentrazioni di ammoniaca (tra i sintomi della carenza di enzimi del ciclo dell’urea vi sono ritardo mentale e letargia).

4 La degradazione degli amminoacidi CONCETTI CHIAVE

• L’alanina, la cisteina, la glicina, la serina e la treonina vengono scisse in piruvato. • L’asparagina e l’aspartato vengono degradati a ossalacetato. • L’α-chetoglutarato viene prodotto dalla degradazione dell’arginina, del glutammato, della glutammina, dell’istidina e della prolina.

• L’isoleucina, la metionina, la treonina e la valina vengono convertite in succinil-CoA. • La degradazione della leucina e della lisina forma acetil-CoA e acetoacetato. • Il triptofano viene degradato ad acetoacetato. • La fenilalanina e la tirosina formano fumarato e acetoacetato. Gli amminoacidi sono degradati in composti che possono essere metabolizzati a CO2 e H2O, oppure usati nella gluconeogenesi. In effetti la degradazione ossidativa degli amminoacidi produce dal 10 al 15% dell’energia metabolica totale prodotta dagli animali. In questo paragrafo esamineremo in che modo sono catabolizzate le strutture carboniose dei 20 amminoacidi “standard”. Non descriveremo in dettaglio tutte le reazioni coinvolte, ma analizzeremo l’organizzazione di queste vie cataboliche, concentrando la nostra attenzione su alcune reazioni di particolare interesse chimico e/o medico. Gli amminoacidi “standard” sono degradati in uno dei seguenti sette intermedi metabolici: piruvato, a-chetoglutarato, succinil-CoA, fumarato, ossalacetato, acetil-CoA o acetoacetato (Figura 21.13). Gli amminoacidi possono quindi essere suddivisi in due gruppi, in base alle loro vie cataboliche. 1. Gli amminoacidi glucogenici sono degradati a piruvato, a-chetoglutarato, succinil-CoA fumarato oppure ossalacetato e sono quindi precursori del glucosio (Paragrafo 16.4). 2. Gli amminoacidi chetogenici sono convertiti in acetil-CoA oppure in acetoacetato e possono quindi essere trasformati in acidi grassi o in corpi chetonici (Paragrafo 20.3).

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

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Alanina Cisteina Glicina Serina Treonina Triptofano Piruvato

CO2

Acetil-CoA

Glucosio

Acetoacetato Leucina Lisina Fenilalanina Triptofano Tirosina

Asparagina Aspartato Ossalacetato Aspartato Fenilalanina Tirosina

Isoleucina Leucina Lisina Treonina

Fumarato

Citrato

Ciclo dell’acido citrico

Isocitrato CO2

Succinil-CoA a-Chetoglutarato

Isoleucina Metionina Treonina Valina

CO2

Arginina Glutammato Glutammina Istidina Prolina

Alcuni amminoacidi sono precursori sia dei carboidrati sia dei corpi chetonici. Poiché gli animali non hanno alcuna via metabolica che permetta la trasformazione netta dell’acetil-CoA o dell’acetoacetato in precursori gluconeogenici, non è possibile alcuna sintesi netta di carboidrati a partire da Lys e Leu, amminoacidi esclusivamente chetogenici. Nello studio delle specifiche vie di degradazione degli amminoacidi, organizzeremo gli amminoacidi in gruppi, in base al loro prodotto di degradazione tra i sette metaboliti precedentemente menzionati.

A Alanina, cisteina, glicina, serina e treonina sono degradate a piruvato Cinque amminoacidi (alanina, cisteina, glicina, serina e treonina) sono degradati a piruvato (Figura 21.14). L’alanina è direttamente transamminata a piruvato; la serina è trasformata in piruvato mediante una deidratazione catalizzata dalla serina-treonina deidratasi. Come le amminotransferasi (Paragrafo 21.2A), questo enzima PLP-dipendente forma una base di Schiff amminoacido-PLP che facilita la rimozione dell’atomo di idrogeno a dell’amminoacido. Nella reazione della serina deidratasi, il carbanione Ca è degradato mediante eliminazione del gruppo OH legato a Cb, e non mediante tautomerizzazione (Figura 21.8, tappa 2). Quindi, al posto di una deamminazione, il substrato subisce una eliminazione a,b di H2O (Figura 21.15). Il prodotto della deidratazione, l’enammina amminoacrilato, tautomerizza in modo non enzimatico nella corrispondente immina, che in seguito si idrolizza spontaneamente a piruvato e ammoniaca. La cisteina può essere trasformata in piruvato tramite diverse vie, nelle quali il gruppo sulfidrilico è rilasciato sotto forma di H2S, SO322 o SCN2.

781

Figura 21.13 Degradazione degli amminoacidi in uno dei sette intermedi metabolici comuni. Le degradazioni glucogeniche sono in verde, mentre quelle chetogeniche sono in rosso.

Quali amminoacidi sono glucogenici ma anche chetogenici?

782

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

Figura 21.14 Le vie che trasformano l’alanina, la cisteina, la glicina, la serina e la treonina in piruvato. Gli enzimi interessati sono (1) alanina amminotransferasi, (2) serina deidratasi, (3) sistema di taglio della glicina, (4-5) serina idrossimetiltransferasi, (6) treonina deidrogenasi, (7) a-ammino-bchetobutirrato liasi.

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NADH + H+ H3C

O

H

C

C COO– NH+

NAD+ HO

H

C

C

H3C

6

H 3 Treonina

3

a-Ammino-b-chetobutirrato

COO– NH+

O H3C CH Acetaldeide CoA

7

CoA

5

O H3C C SCoA Acetil-CoA

H COO– NH+

H

C

3

Glicina NADH + NH+ 4 NAD+ + NH+ 3

HS

N 5,N10-Metilen-THF

+ CO2

CH2 COO– Glicina

3

4 THF

H

H

– H 2C C COO + NH 3 Cisteina

– H 3C C COO + NH 3 Alanina

1 Glutammato

2– – ( H2S, SO 3 , o SCN )

NH 3

H

H 2C

C

– COO +

NH 3 Serina

a -Chetoglutarato

H2 O varie vie

+

HO

2 NH 3

H 3C

C

– COO

O Piruvato

La glicina è trasformata in piruvato previa conversione in serina ad opera della serina idrossimetiltransferasi, un altro enzima contenente PLP (Figura 21.14, reazione 4). Questo enzima utilizza come donatore di unità monocarboniose l’N5,N10-metilen-tetraidrofolato (N5,N10-metilen-THF) (la struttura e la chimica dei cofattori THF sono descritte nel Paragrafo 21.4D). Il gruppo metilenico del cofattore THF deriva da una seconda molecola di glicina nella reazione 3 della Figura 21.14, catalizzata dal sistema di scissione della glicina (chiamato nelle piante sistema multienzimatico della glicina decarbossilasi). Questo enzima è un complesso multiproteinico simile al complesso della piruvato deidrogenasi (Paragrafo 17.2). Il sistema di scissione della glicina rappresenta la via principale di degradazione della glicina nei mammiferi. Una carenza ereditaria di questo sistema provoca la malattia detta iperglicinemia non chetotica, caratterizzata da ritardo mentale e accumulo di grandi quantità di glicina nei fluidi corporei. Nei mammiferi, all’infuori degli esseri umani, la principale via di degradazione della treonina avviene tramite la treonina deidrogenasi (Figura 21.14, reazione 6), con produzione di a-ammino-b-chetobutirrato, che in seguito è trasformato in acetil-CoA e glicina dall’enzima a-ammino-b-chetobutirrato liasi (Figura 21.14, reazione 7). La glicina può essere trasformata in piruvato, pre-

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

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PLP

+ Serina

H

C

H

C

COO–

N +

H

1

H

O3PO + N

H2C

– C

COO–

C

N +

H

2

O–

2–

+

H

O

O3PO + N

CH3

H



H2C

C

COO–

C

N +

H

H 3

O–

2–

OH

...

H2C

H

...

O

...

H

O–

2–

O3PO + N

CH3

H

CH3

H H2O

4 H2O

NH3 H3C

C

COO–

O

6

PLP

H+ H3C

C

COO–

NH+ 2

H2C

5

COO–

C

:NH2

Piruvato Figura 21.15 La reazione della serina-treonina deidratasi. Questo enzima PLP-dipendente catalizza l’eliminazione di acqua dalla serina in sei tappe: (1) formazione di una base di Schiff serina-PLP, (2) allontanamento dell’atomo di H in posizione a della serina con formazione di un carbanione stabilizzato per risonanza, (3) eliminazione dell’OH– in posizione b,

783

Amminoacrilato

(4) idrolisi della base di Schiff con produzione di PLP-enzima e amminoacrilato, (5) tautomerizzazione non enzimatica a immina, (6) idrolisi non enzimatica con formazione di piruvato e ammoniaca. Per formare α-chetobutirrato, la treonina deve subire una serie analoga di reazioni.

via conversione in serina come descritto in precedenza. La treonina è quindi un amminoacido sia glucogenico sia chetogenico. La serina idrossimetiltransferasi catalizza la formazione e la scissione PLP-dipendente del legame CaOCb. La treonina può essere trasformata direttamen-

B:

H3C

H O

H

HCβ



H

N

COO–

+

C

H

...

te in glicina e acetaldeide (in seguito ossidata ad acetil-CoA) tramite la reazione 5 della Figura 21.14, attraverso la quale viene scisso il legame CaOCb della treonina. Questa reazione PLP-dipendente è catalizzata dalla serina idrossimetiltransferasi, lo stesso enzima che aggiunge un gruppo idrossimetilico alla glicina, producendo serina (Figura 21.14, reazione 4). Nella reazione glicina n serina, il legame CaOH dell’amminoacido è scisso (come avviene nella reazione di transamminazione; Figura 21.8) e si forma un legame CaOCb. La degradazione della treonina in glicina ad opera della serina idrossimetiltransferasi procede invece secondo un meccanismo inverso, che inizia con la scissione del legame CaOCb (a destra). Durante la scissione di uno qualsiasi dei legami di Ca, il gruppo PLP delocalizza gli elettroni del carbanione che si forma. Questa caratteristica dell’azione del PLP consente di comprendere come la stessa base di Schiff amminoacido-PLP possa subire la scissione di legami diversi con Ca nel sito attivo di enzimi diversi (legami a, b o c in alto a destra nella Figura 21.8). Il legame scisso è quello che giace sul piano perpendicolare a quello del sistema degli orbitali p del PLP (Figura 21.16). Questa disposizione consente al sistema degli orbitali p di sovrapporsi all’orbitale di legame che contiene la coppia di elettroni delocalizzata. Qualsiasi altra geometria strutturale ridurrebbe o addirittura eliminerebbe questa sovrapposizione di orbitali (il doppio legame di nuova formazione sarebbe distorto al punto da ruotare fuori dal piano), causando una disposizione con elevata energia. Diversi legami del Ca possono essere collocati nella posizione corretta per la scissione tramite una rotazione intorno al legame CaON. Evidentemente ciascun enzima si lega al proprio addotto base di Schiff amminoacido–PLP, disponendosi nella struttura geometrica adatta per la scissione di uno specifico legame.

O–

–2O PO 3 + N H

CH3

784

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

Figura 21.16 La rete di orbitali p di una base di Schiff amminoacido-PLP. Il legame tra X e Ca si trova su un piano perpendicolare al piano del sistema di orbitali p (in alto) ed è quindi un legame labile. Quando il legame è scisso (in basso), la coppia di elettroni si delocalizza lungo tutta la molecola coniugata.

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X

+

Y



Z Base di Schiff amminoacido–PLP X+

– + Y Cα Z Carbanione a delocalizzato

B Asparagina e aspartato sono degradati a ossalacetato La transamminazione dell’aspartato porta direttamente alla formazione di ossalacetato. Anche l’asparagina è trasformata in ossalacetato nello stesso modo, dopo la sua idrolisi ad aspartato catalizzata dalla l-asparaginasi: O –O

C

CH2

H

O

C

C

O O–

NH+3

C

CH2

H

O

C

C

O–

NH+ 3

H2N

Asparagina

Aspartato H2O

a-Chetoglutarato amminotransferasi Glutammato O C –O

CH2

C

NH+ 4

O

O

O–

–O

C

O

H C

Ossalacetato

L-asparaginasi

CH2

O

C

C – + NH3 O

Aspartato

È interessante notare che la l-asparaginasi è un efficace agente chemioterapico, usato nel trattamento di tumori che devono assorbire asparagina dal sangue, in particolare la leucemia linfoblastica acuta.

C Arginina, glutammato, glutammina, istidina e prolina sono degradate ad a-chetoglutarato

Arginina, glutammina, istidina e prolina sono degradate mediante trasformazione in glutammato (Figura 21.17), che a sua volta è ossidato ad a-chetoglutarato dall’enzima glutammato deidrogenasi (Paragrafo 21.2B). La trasformazione della glutammina in glutammato richiede una sola reazione, l’idrolisi del gruppo amidico da parte della glutamminasi. Nei reni l’attività della glutamminasi produce ammoniaca, che si combina con un protone formando lo ione ammonio (NH41), che viene poi escreto. In condizioni di acidosi metabolica (Sche-

CAPITOLO 21

Figura 21.17 Degradazione di arginina, glutammato, glutammina, istidina e prolina ad a-chetoglutarato. Gli enzimi che catalizzano queste reazioni sono: (1) glutammato deidrogenasi, (2) glutamminasi, (3) arginasi, (4) ornitina-d-amminotransferasi, (5) glutammato-5-semialdeide deidrogenasi, (6) prolina ossidasi, (7) reazione spontanea, (8) istidina ammonio liasi, (9) urocanato idratasi, (10) imidazolone propionasi, (11) glutammato formimminotransferasi.

H HC

C

N

H CH2

CH2

NH

NH+ 3

3

C

+ N H2 Prolina 1 2

6

Urea

O

H2O

N CH2

CH2

NH+ 3

CH2

–OOC

NH+ 3 Ornitina

Glutammato

4

–OOC

C

H2O

–OOC

O CH2

CH2

C

CH2

CH2

C

NH+ 3 Glutammina

H2O

CH2

COO–

H C

CH2

H2O CH2

COO–

11

THF N 5-Formimmino-THF

–OOC

NH2

H2O

NH C H N-Formimminoglutammato

H 2

COO–

NAD(P)H

O

H –OOC

CH

HN

C

H NH+ 3 Glutammato5-semialdeide NAD(P)+ 5

CH2

10

7

H

NH+ 4

NH C H 4-Imidazolone5-propionato

+ N H

Pirrolina5-carbossilato

a -Chetoglutarato

NH+ 3

Urocanato

H C

C

H C

CH

9

O2

COO–

NH C H

–OOC

NH2

NH+ 2

Arginina

–OOC

C

N CH2

C

Istidina 8

HC C

CH2 NH

C H

Identificate il segmento a cinque atomi di carbonio nei cinque amminoacidi mostrati in questa figura.

–OOC

785

Il metabolismo degli amminoacidi

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C

CH2

CH2

COO–

NH+ 3 Glutammato + NADP 1 NADPH

NH 3

–OOC

C

CH2

CH2

O

a-Chetoglutarato

da 2.2), la glutamminasi dei reni aiuta a eliminare l’eccesso di acido. Anche se la presenza di NH3 libera nel sangue ha lo stesso scopo di assorbire l’eccesso di acido, l’ammoniaca è tossica e deve essere trasformata in glutammina dalla glutammina sintetasi presente nel fegato (Paragrafo 21.5A). La glutammina agisce quindi come sistema di trasporto dell’ammoniaca tra il fegato, dove in gran parte è sintetizzata, e i reni, nei quali è idrolizzata dalla glutamminasi. La trasformazione dell’istidina in glutammato è più complessa: l’amminoacido è in primo luogo deamminato, quindi idratato e il suo anello imidazolico è scisso con formazione di N-formimminoglutammato. Il gruppo formimminico è in seguito trasferito al tetraidrofolato, con produzione di glutammato e N5-formimmino-tetraidrofolato (Paragrafo 21.4D). Sia l’arginina sia la prolina sono trasformate in glutammato tramite la formazione dell’intermedio glutammato-5-semialdeide.

+

COO–

NH 3

786

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

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D Metionina, treonina, isoleucina e valina sono degradate a succinil-CoA Isoleucina, metionina e valina hanno vie di degradazione complesse che generano propionil-CoA, lo stesso composto prodotto anche dalla degradazione degli acidi grassi a catena dispari. Il propionil-CoA è trasformato in succinil-CoA attraverso una serie di reazioni che richiedono la biotina e il coenzima B12 (Paragrafo 20.2E). La degradazione della metionina coinvolge la sintesi di S-adenosilmetionina e di cisteina. La degradazione della metionina (Figura 21.18) inizia con una reazione

con ATP per formare S-adenosilmetionina (SAM; detta anche AdoMet). Questo gruppo metilico fortemente reattivo dello ione solfonio rende la molecola un importante agente biologico metilante. Per esempio, la SAM è il donatore del gruppo metilico nella sintesi della fosfatidilcolina a partire da fosfatidiletanolammina (Paragrafo 20.6A). La donazione di un gruppo metilico della SAM libera S-adenosilomocisteina, che in seguito è idrolizzata ad adenosina e omocisteina. L’omocisteina può essere metilata per riformare la metionina, in una reazione nella quale l’N5-metil-tetraidrofolato (vedi oltre) è il donatore del gruppo metilico. In alternativa, l’omocisteina può combinarsi con la serina, producendo cistationina, che in seguito forma cisteina (biosintesi della cisteina) e a-chetobutirrato, che prosegue lungo la via degradativa, formando propionil-CoA e infine succinil-CoA. Negli esseri umani la treonina viene degradata principalmente a propionil-CoA.

Le reazioni mostrate nella Figura 21.14 negli esseri umani sono responsabili solamente del 20% circa della degradazione della treonina. La parte rimanente, come indicato nella Figura 21.19, reazione 11, forma α-chetobutirrato in una reazione catalizzata dalla serina-treonina deidratasi (Figura 21.15). L’α-chetobutirrato viene poi convertito in succinil-CoA via propionil-CoA.

Molti processi biosintetici richiedono l’aggiunta di una unità monocarboniosa (unità C1) a un precursore metabolico. Nella maggior parte delle reazioni di carbossilazione (per esempio, in quella della piruvato carbossilasi; Figura 16.18) l’enzima usa come cofattore la biotina. In alcune reazioni l’agente metilante è la S-adenosilmetionina (Figura 21.18), ma tra tutti questi cofattori il tetraidrofolato (THF) è il più versatile, perché è in grado di trasferire unità monocarboniose a diversi stati di ossidazione. Il THF è un derivato della 6-metilpterina, legato in sequenza a una molecola di acido p-amminobenzoico e a un residuo di Glu: I tetraidrofolati sono trasportatori di unitˆ monocarboniose.

H N

H2N

1

N 8

2

HN 3

4

O

5

N

7

H H

H

O

N

C

6

H

CH2 9

10

1

H

COO–

N

CH

O CH2

CH2

C

2

n

OH

H

2-Ammino-4-ossi6-metilpterina

Acido p-amminobenzoico

Residui di glutammato (n 5 126)

Acido tetraidropteroico Acido tetraidropteroilglutammico (tetraidrofolato; THF)

Alla prima molecola di glutammato si possono legare, tramite legami isopeptidici, fino a 5 residui di Glu, che formano una coda poliglutammi-

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

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787

H + S

CH3 ATP H2O

H CH3

CH2

S

CH2

COO–

C

Metionina

COO–

C

NH+ 3 Adenina

O H

1

NH3+

CH2

CH2

Pi + PPi

+

CH2

H

H

H HO

OH

S-Adenosilmetionina (SAM) accettore di metile

metilazione biosintetica

THF 4

2 accettore metilato

N 5-metil-THF H H CH2

HS

CH2

CH2

S

C

H 2O

Adenosina

COO–

NH+ 3 Omocisteina

3

H HO

C

H

C

C

COO– NH+

H 3 Treonina

11 COO–

NH+ 3

H CH2

C

HO

+ NH4

H CH2

H3C

OH

S-Adenosilomocisteina

H2O

CH2

H

H

5

COO–

Adenina

O

Serina

C

NH+ 3

CH2

H

S

CH2

H2O NH3

H

6

COO–

H3C biosintesi della cisteina

NH+ 3

NADH

H3C

+

CH2

+

C

+

HS

CH2

C

COO–

NH+ 3

O a-Chetobutirrato

Cistationina CoASH

CH2

COO–

Cisteina

NAD+ 7

CO2

C

–OOC

SCoA 8

9

10

CH2

Figura 21.18 Degradazione della metionina e della treonina. La degradazione della metionina produce cisteina e succinil-CoA. Gli enzimi sono: (1) metionina adenosiltransferasi, che catalizza la reazione in cui si ottiene l’agente biologico metilante S-adenosilmetionina (SAM), (2) metiltransferasi, (3) adenosilomocisteinasi, (4) metionina sintasi (un enzima dipendente dal coenzima B12), (5) cistationina b-sintasi

C

SCoA

O

O Propionil-CoA

CH2

Succinil-CoA

(un enzima PLP-dipendente), (6) cistatione g-liasi, (7) a-chetoacido deidrogenasi, (8) propionil-CoA carbossilasi, (9) metilmalonil-CoA racemasi, (10) metilmalonil-CoA mutasi (un altro enzima dipendente dal coenzima B12). Le reazioni 8-10 sono state esaminate nel Paragrafo 20.2E. la treonina viene poi convertita in a-chetobutirrato dalla (11) serina-treonina deidratasi.

lica. Il THF è un derivato di una vitamina, l’acido folico (dal latino folium, “foglia”), una forma doppiamente ossidata del THF che deve essere enzimaticamente ridotta prima di diventare il coenzima attivo (Figura 21.19). Entrambe le reazioni di riduzione sono catalizzate dalla diidrofolato riduttasi (DHFR). I mammiferi non sono in grado di sintetizzare l’acido folico, che deve quindi essere introdotto con la dieta o fornito da microrganismi intestinali.

788

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi NADPH

H2N

N

HN

N

N O

+

H

H

NADP+

H N

H2N

R

Folato

NADPH

+

N 8

7

HN

CH2 N H

+

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N O

7,8-Diidrofolato (DHF)

+ H

H H

H N

H2N HN

CH2 N H

NADP+

R

N

H H

5

N O

H

H

CH2

10 N

H

R

Tetraidrofolato (THF)

Il folato è sensibile alla luce, e questo suggerisce che la pigmentazione scura della pelle, soprattutto nelle regioni equatoriali dove la luce del sole è molto intensa, sia un adattamento per mantenere i livelli necessari del coenzima, come anche per prevenire l’intossicazione da vitamina D (Paragrafo 9.1E). Le unità C1 sono unite covalentemente al THF in corrispondenza delle posizioni N5 o N10, o di entrambe. Le unità C1 possono avere gli stati ossidativi di formiato, formaldeide TABELLA 21.2 Grado di ossidazione dei gruppi C1 trasportati dal THF o metanolo (Tabella 21.2) e sono Livello interconvertibili tra loro tramite di ossidazione Gruppo trasportato Derivato/i del THF reazioni enzimatiche redox (Figura 21.20). Metanolo Metile (OCH3) N 5-Metil-THF 5 10 Il THF acquista unità C1 nella Formaldeide Metilene (OCH2O) N ,N -Metilen-THF conversione della serina in glicina, Formiato Formile (OCHPO) N 5-Formil-THF, N10-formil-THF ad opera della serina idrossimetilFormimmino (OCHPNH) N 5-Formimmino-THF transferasi (l’inverso della reazione Metenile (OCHP) N 5,N 10-Metenil-THF 4, Figura 21.14), nella scissione della glicina (Figura 21.14, reazione 3) e nella degradazione dell’istidina (Figura 21.17, reazione 11). Le unità C1 traO sportate dal THF sono usate per la sintesi della timina (Paragrafo 23.3B) e delH 2N S NH R la metionina a partire dall’omocisteina (Figura 21.18, reazione 4). Favorendo O quest’ultimo processo, l’aggiunta di folato alla dieta aiuta a prevenire le malattie Sulfonamidi associate a livelli anormalmente elevati di omocisteina (Scheda 21.1). (R = H, sulfanilamide Le sulfonamidi (o sulfamidici), come la sulfanilamide, sono antibiotici analoghi strutturali dell’acido p-amminobenzoico, un costituente del THF O (a sinistra). Questi farmaci inibiscono in modo competitivo la sintesi batterica del THF a livello dell’inserimento dell’acido p-amminobenzoico, bloccando H 2N C OH quindi le reazioni THF-dipendenti. L’incapacità dei mammiferi di sintetizzare Acido p-amminobenzoico l’acido folico li rende insensibili ai sulfamidici; questo spiega l’utilità medica di questi agenti antibatterici di larga diffusione. Figura 21.19 La riduzione in due tappe del folato a THF. Entrambe le reazioni sono catalizzate dalla diidrofolato riduttasi.

La degradazione degli amminoacidi a catena ramificata richiede l’ossidazione dell’acil-CoA. La degradazione degli amminoacidi a catena ramificata (isoleucina,

leucina e valina) inizia con tre reazioni che usano enzimi comuni (Figura 21.21).

1. Transamminazione ad a-chetoacido corrispondente. 2. Decarbossilazione ossidativa al corrispondente acil-CoA. 3. Deidrogenazione FAD-dipendente, con formazione di un doppio legame. Le restanti reazioni della via di degradazione dell’isoleucina sono analoghe a quelle dell’ossidazione degli acidi grassi (Paragrafo 20.2C), perché formano acetil-CoA e propionil-CoA, che è in seguito trasformato in succinil-CoA attraverso tre reazioni. La degradazione della valina, che contiene un atomo di carbonio in meno rispetto all’isoleucina, produce CO2 e propionil-CoA, che è in seguito trasformato in succinil-CoA. L’ulteriore degradazione della leucina, che produce acetoacetato al posto di propionil-CoA, è trattata nel Paragrafo 21.4E.

CAPITOLO 21

N

H 2N HO

H

H 2C

C

10

O

CH 3 N H N -Metil-THF +

serina idrossimetiltransferasi

N

H 2N

sistema di scissione della glicina

NADH + H H N 5

+ NH 4

CH2

N O

+

H H

H

HN

CH2 COO Glicina + NAD +

NAD

N 5, N10-metilen-THF riduttasi

THF



R

5

Glicina

Serina

Identificate lo stato di ossidazione di ciascun atomo C1.

CH2

N



Figura 21.20 Interconversione delle unità C1 trasportate dal THF.

H H

5

COO +

H 3N

H N H

HN

NH3

+

10

C N H2

R

THF

N 5, N 10-Metilen-THF

CO2 + + NADH

N

+

NADPH + H H N

Glutammato + + NH 4

5

CH2

N +

O

C H

10

N

+

N 5-formimmino-THF H 2N ciclodeamminasi HN

H H

H

HN

Istidina

NADP

N5, N10-metenil-THF riduttasi

H 2N

R

N 5, N10-metenil-THF cicloidrolasi

10

N -formil-THF sintetasi

N

H 2N HN

– HCO2 + ATP Formiato

ADP + Pi

5

O

ADP + Pi

H H

H

HN

10

N

H

C

N 10-formil-THF isomerasi

H N

N

H 2N

H

HN R

ADP + Pi

N H H

R

ATP

5

N

H H CH2 10

O H

C

N O H

R

O

10

N 5 -Formil-THF

N -Formil-THF

SCHEDA 21.1

C

CH2 10

ATP

CH2

N H

H

5

N

H H

N 5 -Formimmino-THF

H 2O H N

H N

N

O

NH3

N5, N10-Metenil-THF

THF

789

Il metabolismo degli amminoacidi

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LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA

L’omocisteina, un marcatore di malattie La concentrazione cellulare di omocisteina dipende dalla sua velocità di sintesi tramite le reazioni di metilazione che usano la SAM (Figura 21.18, reazioni 2 e 3) e dalla sua velocità di consumo tramite rimetilazione per produrre metionina (Figura 21.18, reazione 4) e tramite reazione con serina per produrre cistationina, nella via di biosintesi della cisteina (Figura 21.18, reazione 5). Un aumento della concentrazione di omocisteina provoca iperomocisteinemia, cioè elevata concentrazione di omocisteina nel sangue, evento associato alle malattie cardiovascolari. Il collegamento è stato scoperto per la prima volta in individui affetti da omocisteinuria, una

malattia nella quale si elimina l’eccesso di omocisteina tramite l’urina. Queste persone sviluppano aterosclerosi nell’infanzia, probabilmente perché l’omocisteina provoca danni ossidativi alle pareti dei vasi sanguigni, anche in assenza di elevati livelli di LDL (Paragrafo 20.7C). L’iperomocisteinemia è inoltre associata a malformazioni del tubo neurale, la causa di numerosi difetti congeniti, tra i quali la spina bifida (un gruppo di malformazioni del midollo spinale che spesso provocano paralisi) e l’anencefalia (un mancato sviluppo del cervello, inevitabilmente fatale, che costituisce la prima causa di mortalità infantile dovuta ad anomalie congenite). L’iperomocisteinemia è tenuta

^ (segue)

790

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

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SCHEDA 21.1 LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA (continua)

riduttasi (MTHFR), che catalizza la trasformazione dell’N 5,N 10-metilen-THF in N5-metil-THF (Figura 21.20, in alto al centro). Questa reazione produce l’N 5-metil-THF necessario per trasformare l’omocisteina in metionina (Figura 21.18, reazione 4). La mutazione non influenza la cinetica di reazione dell’enzima, ma aumenta invece la velocità con la quale si dissocia il suo cofattore essenziale, la flavina. I derivati del folato che si legano all’enzima diminuiscono la velocità di dissociazione (e quindi la perdita) della flavina, aumentando quindi l’attività generale dell’enzima e riducendo la concentrazione di omocisteina. La diffusione della mutazione MTHFR nella popolazione umana induce a ritenere che abbia (o forse abbia avuto) qualche tipo di vantaggio selettivo, ma per ora si tratta solo di ipotesi.

facilmente sotto controllo introducendo con la dieta i precursori vitaminici dei coenzimi che prendono parte alla degradazione dell’omocisteina, cioè la B6 (piridossina, il precursore del PLP; Figura 21.7), la B12 (Figura 20.17) e il folato (Paragrafo 21.4D). In particolare, il folato è in grado di attenuare l’iperomocisteinemia: la sua somministrazione a donne in stato di gravidanza riduce drasticamente l’incidenza delle malformazioni del tubo neurale nei neonati. Poiché lo sviluppo del tubo neurale è una delle prime fasi dell’embriogenesi, alle donne in età fertile è consigliato di introdurre con la dieta quantità adeguate di folato anche nel periodo antecedente il concepimento. Circa il 10% della popolazione è omozigote per una mutazione Ala n Val nella N 5,N 10-metilen-tetraidrofolato

NH+ 3

R1 CH

CH

R2

a-Chetoglutarato

(A) Isoleucina: R1 = CH3 – : R1 = CH3 COO (B) Valina (C) Leucina : R1 = H

1

Glutammato O

R1 CH

C

COO–

(A) a-Cheto-b-metilvalerato (B) a-Chetoisovalerato (C) Acido a-chetoisocaproico

SCoA

(A) a-Metilbutirril-CoA (B) Isobutirril-CoA (C) Isovaleril-CoA

R2 NAD+ + CoASH

2

NADH + CO2 O

R1 CH

C

R2 FAD

3 (B)

FADH2

(A) O CH3

CH

C

SCoA

CH2

CH3

C

C

SCoA

C

CH

SCoA

C

H3C

b-Metilcrotonil-CoA

Metilacrilil-CoA

3 reazioni

O

H3C

CH3

Tiglil-CoA

4 reazioni

3 reazioni O

CoASH

CH3 C SCoA Acetil-CoA

O CH3 C SCoA Acetil-CoA CH3

(C)

O

C

, R2 = CH3 CH2 , R2 = CH3 , R2 = (CH3)2 CH

CO2

O CH2

C

SCoA

Propionil-CoA

Succinil-CoA

O –OOC

CH2

C

Acetoacetato

CH3

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Il metabolismo degli amminoacidi

Il complesso della deidrogenasi degli a-chetoacidi a catena ramificata (BCKDH), che catalizza la reazione 2 nella Figura 21.21, è un complesso multienzimatico molto simile ai complessi della piruvato deidrogenasi e dell’a-chetoglutarato deidrogenasi (Paragrafi 17.2 e 17.3D). In realtà tutti e tre i complessi multienzimatici hanno in comune la subunità E3 (la diidrolipoamide deidrogenasi) e usano i coenzimi TPP, lipoamide e FAD, oltre all’agente ossidante terminale NAD1 e al coenzima A. Una carenza genetica di BCKDH provoca la malattia delle “urine a sciroppo d’acero”, così chiamata perché l’accumulo di a-chetoacidi a catena ramificata conferisce alle urine un caratteristico odore di sciroppo d’acero. Se non è immediatamente trattata con una dieta povera di amminoacidi a catena ramificata, la malattia delle urine a sciroppo d’acero è in breve tempo mortale.

E Leucina e lisina sono degradate solo ad acetil-CoA e/o acetoacetato La degradazione della leucina inizia come la degradazione dell’isoleucina e della valina (Figura 21.21), ma l’addotto deidrogenato del CoA, il b-metilcrotonil-CoA, è trasformato in acetil-CoA e acetoacetato, un corpo chetonico. La via principale di degradazione della lisina nel fegato dei mammiferi produce acetoacetato e 2 CO2 tramite la formazione di un addotto a-chetoglutarato-lisina, la saccaropina (Figura 21.22). Questa via di degradazione merita di essere esaminata in dettaglio, in quanto abbiamo incontrato 7 delle sue 11 reazioni in altre vie. La reazione 4 è una transamminazione PLP-dipendente; la reazione 5 è la decarbossilazione ossidativa di un a-chetoacido catalizzata da un complesso multienzimatico simile al complesso della piruvato deidrogenasi (Paragrafo 17.2). Le reazioni 6, 8 e 9 sono reazioni standard di ossidazione degli acidi grassi: deidrogenazione FAD-dipendente, idratazione e deidrogenazione NAD1-dipendente. Le reazioni 10 e 11 sono reazioni della via di formazione dei corpi chetonici. Due molecole di CO2 sono prodotte in corrispondenza delle reazioni 5 e 7 della via. Si ritiene che la via della saccaropina predomini nei mammiferi in quanto un difetto genetico nell’enzima che catalizza la reazione 1, oltre a iperlisinemia e a iperlisinuria (rispettivamente elevati livelli di lisina nel sangue e nelle urine), provoca anche ritardo fisico e mentale. Questo è un altro esempio di come lo studio di rare malattie ereditarie abbia contribuito a chiarire il funzionamento delle vie metaboliche.

F Il triptofano è degradato ad alanina e acetoacetato La complessità della principale via di degradazione del triptofano (riassunta nella Figura 21.23) impedisce una discussione dettagliata di tutte le sue reazioni. Una di queste, tuttavia, è di particolare interesse: la quarta reazione è catalizzata da una chinureninasi, il cui gruppo PLP facilita la scissione del legame CbOCg, con rilascio di alanina. La reazione della chinureninasi segue le stesse fasi iniziali della transamminazione (Figura 21.8), ma in seguito un gruppo nucleofilico

Ý Figura 21.21 La degradazione degli amminoacidi a catena ramificata. Isoleucina (A),

valina (B) e leucina (C) seguono inizialmente una via comune che usa tre enzimi: (1) l’amminotransferasi degli amminoacidi a catena ramificata, (2) la deidrogenasi degli a-chetoacidi a catena ramificata (BCKDH), (3) l’acil-CoA deidrogenasi. La degradazione dell’isoleucina continua (a sinistra) con la formazione di acetil-CoA e succinil-CoA; la degradazione della valina prosegue (al centro) con la formazione di succinil-CoA; e la degradazione della leucina continua (a destra) con la formazione di acetil-CoA e acetoacetato. Elencate i cofattori che partecipano alle reazioni 1 e 2.

791

792

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

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COO– NADPH

CH2

+

a-Chetoglutarato

H + H 3N

CH2CH2CH2CH2

COO–

C

H 1

NH+ 3

C

NH

CH2CH2CH2CH2

C

COO–

NH+ 3

COO–

NADP+

Lisina

H

CH2

Saccaropina H2O + NAD+ 2 NADH

NAD(P)H

H –OOC

CH2CH2CH2

C

Glutammato

NAD(P)+ O

H

3

COO–

HC

NH+ 3

NH+ 3

a-Amminoadipato

a-Amminoadipato-6semialdeide

a-Chetoglutarato 4

NAD+

NADH

CoA

CO2

+

Glutammato

+

O –OOC

COO–

C

CH2CH2CH2

CH2CH2CH2

C

5

COO–

O –OOC

C

CH2CH2CH2

a-Chetoadipato

SCoA

Glutaril-CoA FAD 6 CO2

O H3C

CH

CH

C

O –OOC

SCoA 7

Crotonil-CoA H2O

FADH 2

CH

C

SCoA

Glutaconil-CoA

8 NAD+

NADH

CH

CH2

C

9

SCoA

O

O

O

OH H3C

CH2CH

H3C

b-Idrossibutirril-CoA

C

CH2

C

SCoA

Acetacetil-CoA Acetil-CoA 10 CoA Acetil-CoA

CH3

O CH3

C

CH2

COO–

11

–OOC

CH2

C

O CH2

C

SCoA

OH Acetoacetato

HMG-CoA

Figura 21.22 La via di degradazione della lisina nel fegato dei mammiferi. Gli enzimi sono: (1) saccaropina deidrogenasi (enzima NADP+-dipendente, che forma lisina), (2) saccaropina deidrogenasi (enzima NAD+-dipendente, che forma glutammato), (3) amminoadipato semialdeide deidrogenasi, (4) amminoadipato amminotransferasi (un enzima PLP-dipendente), (5) a-chetoacido deidrogenasi, (6) glutaril-CoA deidrogenasi, (7) decarbossilasi, (8) enoil-CoA idratasi, (9) b-idrossiacil-CoA deidrogenasi, (10) HMG-CoA sintasi, (11) HMG-CoA liasi. Le reazioni 10 e 11 sono discusse nel Paragrafo 20.3.

Identificate le reazioni simili a quelle dell’ossidazione degli acidi grassi e della chetogenesi.

CAPITOLO 21

793

Il metabolismo degli amminoacidi

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O

H CH2

C

O2

COO–

NH+3

N H

C

1

N H

H COO–

CH2

C

O

NH+3

HCOO–

H2O

C

CH2

C

COO–

NH2

N-Formilchinurenina

Triptofano

H

NH+3

2

CH

O

Chinurenina O2 + NADPH 3 H2O + NADP+ O

COO–

H H3C

C

COO–

NH+3

+

NH2 OH 3-Idrossiantranilato

Alanina

5 reazioni O CH3

C

7 reazioni CH2

–OOC

COO–

Acetoacetato

–OOC

CO2

CO2

O

a-Chetoadipato

Figura 21.23 La via di degradazione del triptofano. Le reazioni enzimatiche sono catalizzate da: (1) triptofano-2,3-diossigenasi, (2) formamidasi, (3) chinurenina-3monoossigenasi, (4) chinureninasi (un enzima PLP-dipendente). Cinque reazioni trasformano il 3-idrossiantranilato in a-chetoadipato, che è poi convertito in acetil-CoA e acetoacetato attraverso sette reazioni, come indicato nella Figura 21.22, reazioni 5-11.

Quale è il destino metabolico dell’acetoacetato?

dell’enzima attacca il Cg dell’intermedio stabilizzato per risonanza, con conseguente scissione del legame CbOCg. Il resto della struttura carboniosa del triptofano è trasformato in seguito a cinque reazioni in a-chetoadipato, che è anche un intermedio nella degradazione della lisina. L’a-chetoadipato è scisso in acetoacetato e 2 CO2 nelle sette reazioni indicate nella Figura 21.22.

G Fenilalanina e tirosina sono degradate a fumarato e acetoacetato Poiché la prima reazione di degradazione della fenilalanina è la sua ossidrilazione a tiroxina, una unica via metabolica (Figura 21.24) effettua la degradazione di entrambi gli amminoacidi. I prodotti finali della degradazione, che avviene attraverso sei reazioni, sono il fumarato, un intermedio del ciclo dell’acido citrico, e l’acetoacetato, un corpo chetonico. Le carenze negli enzimi che catalizzano le reazioni 1 e 4 provocano patologie nell’uomo (Scheda 21.2). Le pterine sono cofattori nelle reazioni redox. L’ossidrilazione

della fenilalanina da parte dell’enzima fenilalanina idrossilasi, contenente Fe(III) (Figura 21.24, reazione 1) necessita del cofattore biopterina, un derivato della pterina. Le pterine sono composti che contengono l’anello della pteridina (Figura 21.25). Si noti la somiglianza tra l’anello della pteridina e l’anello isoallosazinico dei coenzimi flavinici: nella pteridina le posizioni degli atomi di azoto sono identiche a quelle degli anelli B e C dell’isoallosazina. Anche i derivati del folato contengono l’anello pterico (Paragrafo 21.4D).

H2O 4

C

H CH2

C

COO–

NH+3 NH2 OH 3-Idrossichinurenina

794

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

SCHEDA 21.2

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LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA

La fenilchetonuria e l’alcaptonuria derivano da difetti nella degradazione della fenilalanina Nei primi anni del XX secolo Archibald Garrod scoprì che alcune malattie genetiche umane derivano da carenze enzimatiche specifiche. Abbiamo notato in diverse occasioni quanto queste informazioni abbiano contribuito alla comprensione delle vie metaboliche. La prima tra queste malattie riconosciuta da Garrod è stata l’alcaptonuria, che provoca escrezione di grandi quantità di acido omogentisinico (Paragrafo 14.4). Questa condizione deriva dalla carenza dell’enzima omogentisato diossigenasi (Figura 21.24, reazione 4). Gli individui affetti da alcaptonuria (alcaptonurici) non hanno altri sintomi, a parte una artrite in età avanzata (anche se, in modo preoccupante, le loro urine diventano scure a causa della rapida ossidazione all’aria dell’omogentisato escreto). Gli individui che soffrono di fenilchetonuria (PKU) non sono altrettanto fortunati. Se la loro malattia non è diagnosticata e trattata immediatamente, entro pochi mesi dalla nascita appare un grave ritardo mentale. La PKU è causata dall’incapacità di ossidrilare la fenilalanina (Figura 21.24, reazione 1), che dà luogo a un aumento ematico dei livelli di fenilalanina (iperfenilalaninemia). L’eccesso di fenilalanina è transamminato a fenilpiruvato

malattia e ha quindi dato il nome alla patologia. Attualmente tutti i bambini che nascono negli Stati Uniti sono sottoposti appena nati a controlli per determinare la PKU tramite la rilevazione dei livelli ematici di fenilalanina. La PKU classica deriva da una carenza di fenilalanina idrossilasi. Quando questa correlazione è stata stabilita nel 1947, la PKU è stato il primo difetto congenito del metabolismo di cui sia stata determinata la base biochimica. Poiché tutti gli enzimi della via di degradazione della tirosina sono normali, il trattamento della malattia consiste nel prescrivere al paziente una dieta povera di fenilalanina, controllando continuamente i livelli ematici di fenilalanina per assicurarsi che rimanga entro i limiti normali per i primi 5-10 anni di vita (gli effetti negativi dell’iperfenilalaninemia sembrano scomparire dopo questa età). L’aspartame, un ingrediente dolcificante comunemente usato nelle bevande dietetiche e in molti altri cibi dietetici, ha la formula AspPhe-metil estere (Scheda 8.2) e quindi è una fonte dietetica di fenilalanina. Di conseguenza, su tutti questi prodotti è scritto un avvertimento per i fenilchetonurici. La carenza di fenilalanina idrossilasi è responsabile di un altro sintomo comune della PKU: chi ne è affetto ha capelli e pelle più chiari rispetto ai suoi fratelli. Questo avviene perché gli elevati livelli di fenilalanina inibiscono l’ossidrilazione della tirosina (Figura 21.39), la prima reazione nella formazione del pigmento cutaneo melanina. Da quando sono state introdotte le tecniche di screening sui neonati sono stati scoperti altri tipi di iperfenilalaninemia, causati da carenze degli enzimi che catalizzano la formazione o la rigenerazione della 5,6,7,8-tetraidrobiopterina, il cofattore dell’enzima fenilalanina idrossilasi (Figura 21.26).

O CH2

C

COOÐ

Fenilpiruvato

attraverso un’altra via metabolica, in altre condizioni meno importante. La presenza di fenilpiruvato (un fenilchetone) nelle urine è stata la prima osservazione collegata alla

α-Chetoglutarato

Tetraidrobiopterina + O2 Diidrobiopterina + H2O

Glutammato NH+3

NH+3 CH2

CH

COO–

HO

1

CH2

CH

COO–

HO

2

C

COO–

O p-Idrossifenilpiruvato

Tirosina

Fenilalanina

CH2

O2 3



OOC

C

H

CH3

H C COO– Fumarato

C

CH2

OH

COO–

HO



OOC

C

H C

Omogentisato O2 4

6

H2O

H

H C CH2

C

CH2

O O 4-Fumarilacetacetato

COO–

COO–

CH2

O Acetoacetato

+

CO2

5

C

H C

COO– C CH2

C

CH2

COO–

O O 4-Maleilacetacetato

Figura 21.24 La via di degradazione della fenilalanina. Gli enzimi coinvolti sono:

(1) fenilalanina idrossilasi, (2) amminotransferasi, (3) p-idrossifenilpiruvato diossigenasi, (4) omogentisato deossigenasi, (5) maleilacetoacetato isomerasi, (6) fumarilacetacetasi.

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

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R9

H N N

N

O N

N

H

N 1

N

N3

4

C

B

5

A

N

N

7 6

N

N

O

H

Biopterina: R =

8

2

H

N

O Isoallosazina

Pteridina

H2N

N

O Pterina (2-ammino-4-ossopterina)

C

CH3

N

CH3

Flavina

H

H

C

C

CH3

OH

H Folato: R =

N

O

HO

R

795

N H

O

–OOC

H

H

C

N H

C

C

H

H

H

C H

COO–

Figura 21.25 L’anello pteridinico della biopterina e del folato. Si noti la somiglianza strutturale tra l’anello della pteridina e l’anello isoallosazinico dei coenzimi flavinici.

Come le flavine, anche le pterine partecipano alle ossidazioni biologiche. La forma attiva della biopterina è quella completamente ridotta, 5,6,7,8-tetraidrobiopterina, prodotta a partire dalla 7,8-diidrobiopterina e NADPH, in quella che potrebbe essere considerata una reazione di attivazione catalizzata dalla diidrofolato riduttasi (Figura 21.26), che contemporaneamente riduce il diidrofolato a tetraidrofolato (Figura 21.19). Nella reazione della fenilalanina idrossilasi, la 5,6,7,8-tetraidrobiopterina è ossidrilata a pterina-4a-carbinolammina (Figura 21.26), che è quindi trasformata in 7,8-diidrobiopterina (forma chinoide) ad opera della pterina-4a-carbinolammina deidratasi. Questo chinoide è in seguito ridotto dall’enzima diidropteridina riduttasi, che richiede NAD(P)H, rigenerando il cofattore attivo. Anche se catalizzano la formazione dello stesso prodotto, la diidrofolato riduttasi e la diidropteridina riduttasi usano forme tautomeriche diverse del substrato.

5 La biosintesi degli amminoacidi CONCETTI CHIAVE

• Alcuni amminoacidi vengono sintetizzati in una o due tappe partendo da metaboliti comuni.

• Gli amminoacidi essenziali sono per lo più derivati da altri amminoacidi e dai metaboliti del glucosio.

Molti amminoacidi sono sintetizzati in vie metaboliche presenti solo nelle piante e nei microrganismi. Poiché i mammiferi devono ottenere questi amminoacidi attraverso la dieta, queste sostanze sono note con il nome di amminoacidi essenziali. Gli altri amminoacidi, che possono essere sintetizzati dai mammiferi partendo da intermedi comuni, sono detti amminoacidi non essenziali. Gli scheletri carboniosi dei corrispondenti a-chetoacidi sono trasformati in amminoacidi tramite le reazioni di transamminazione (Paragrafo 21.2A), usando l’azoto a-amminico di un altro amminoacido, di solito il glutammato. Sebbene un tempo si ritenesse che il glutammato potesse essere sintetizzato a partire da ammoniaca e a-chetoglutarato, tramite la reazione inversa della GDH, oggi si sa che la direzione fisiologica fondamentale di questo enzima è la scissione del glutammato (Paragrafo 21.2B). Di conseguenza, anche l’atomo di azoto α-amminico dovrebbe essere considerato un nutriente essenziale. In questo contesto

PUNTO DI VERIFICA

• Descrivete i due destini generali degli scheletri carboniosi degli amminoacidi.

• Elencate i sette metaboliti che rappresentano i prodotti terminali del catabolismo degli amminoacidi. Quali di questi sono gluconeogenici? Quali invece sono chetogenici?

• Quali sono i tre amminoacidi substrati o prodotti della serina idrossimetiltransferasi?

• Descrivete quali sono i ruoli dei cofattori piridossal-5-fosfato, tetraidrofolato e tetraidrobiopterina nel catabolismo degli amminoacidi.

796

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

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Figura 21.26 Formazione, utilizzo e rigenerazione della 5,6,7,8-tetraidrobiopterina nella reazione della fenilalanina idrossilasi.

H N

H2N

N 8

N

H

H 7 6

5

N O

H H

H

C

C

HO

CH3

OH

7,8-Diidrobiopterina

O2

NADPH + H+ diidrofolato riduttasi NADP+ NAD(P)+

+ H

H H

H N

H2N

8

N

H

diidropteridina riduttasi

N 5

N O

H

H

H 7

C

COO–

NH+ 3

H H

H

C H HO

C

6

CH2 H

H Fenilalanina

CH3

fenilalanina idrossilasi

OH

5,6,7,8-Tetraidrobiopterina (BH4)

NAD(P)H

N

HN

N

H

N

H

H

C

C

HO OH 7,8-Diidrobiopterina (forma chinoide) H2O

essenziali e non essenziali nellÕuomo

a

Essenziale

Non essenziale

Argininaa

Alanina

Fenilalanina

Asparagina

Istidina

Aspartato

Isoleucina

Cisteina

Leucina

Glicina

Lisina

Glutammato

Metionina

Glutammina

Treonina

Prolina

Triptofano

Serina

Valina

Tirosina

Anche se i mammiferi sintetizzano arginina, la scindono quasi tutta per formare urea (Paragrafo 21.3A).

N

N O

CH3

O

N

H H

H

HO

H H

H

O

TABELLA 21.3 Amminoacidi

N

H2N

H H

N

H

H

H

C H HO

CH2

COO–

NH+ 3

H C

C

CH3

OH H H Pterina-4a-carbinolammina

H

H Tirosina

pterina-4acarbinolammina deidratasi

è interessante notare che, oltre ai quattro recettori gustativi noti da molto tempo (quelli per i sapori dolce, acido, salato e amaro) è stato recentemente caratterizzato un quinto recettore gustativo, quello per il gusto di sapidità del glutammato monosodico (MSG), detto umami (da una parola giapponese). Gli amminoacidi essenziali e non essenziali per l’uomo sono elencati nella Tabella 21.3. L’arginina è classificata come essenziale, anche se è sintetizzata nel ciclo dell’urea (Paragrafo 21.3A), essendo necessaria in quantità superiori rispetto a quelle che possono essere prodotte attraverso questa via durante la normale crescita e lo sviluppo dei bambini (ma non degli adulti). Gli amminoacidi essenziali si trovano nelle proteine animali e vegetali. Le proteine del latte, per esempio, li contengono tutti nelle proporzioni necessarie per una corretta alimentazione umana. Le proteine dei fagioli contengono invece una quantità abbondante di lisina ma sono carenti di metionina, mentre quelle del grano sono carenti di lisina ma ricche di metionina. Una dieta bilanciata deve quindi contenere diverse fonti di proteine che si complementano a vicenda per fornire le esatte proporzioni di tutti gli amminoacidi essenziali. Nel prossimo paragrafo esamineremo le vie metaboliche coinvolte nella formazione degli amminoacidi non essenziali. Prenderemo inoltre brevemente in considerazione le vie che producono amminoacidi essenziali nelle piante e nei microrganismi. Ricordate che queste vie metaboliche variano notevolmente tra le specie diverse. Al contrario, tutte le vie fondamentali del metabolismo dei carboidrati e dei lipidi sono universali.

CAPITOLO 21

797

Il metabolismo degli amminoacidi

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A Gli amminoacidi non essenziali vengono sintetizzati a partire da metaboliti comuni

Tutti gli amminoacidi non essenziali, tranne la tirosina, sono sintetizzati attraverso vie semplici che partono da uno di quattro intermedi metabolici comuni: il piruvato, l’ossalacetato, l’a-chetoglutarato e il 3-fosfoglicerato. La tirosina, erroneamente classificata come non essenziale, è sintetizzata semplicemente dall’ossidrilazione dell’amminoacido essenziale fenilalanina (Figura 21.24). La richiesta dietetica di fenilalanina riflette anche il fabbisogno di tirosina; quindi la presenza di tirosina nella dieta diminuisce la necessità di fenilalanina. Alanina, asparagina, aspartato, glutammato e glutammina sono sintetizzati a partire da piruvato, ossalacetato e a-chetoglutarato. Il piruvato, l’ossalaceta-

to e l’a-chetoglutarato sono gli a-chetoacidi (gli scheletri carboniosi) rispettivamente dell’alanina, dell’aspartato e del glutammato. La sintesi di ciascuno di questi amminoacidi avviene infatti in un unico passaggio, tramite una reazione di transamminazione (Figura 21.27, reazioni 1-3). La fonte del gruppo a-amminico in queste reazioni è in ultima analisi il glutammato, sintetizzato nei microrganismi, nelle piante e negli eucarioti inferiori dalla glutammato sintasi (Paragrafo 21.7), un enzima assente nei vertebrati.

O H3C

O

O COO–

C

Piruvato Amminoacido

amminotransferasi 1

C –O

CH2

C

Amminoacido

a-Chetoacido

H3C

C

COO–

+ NH3

CH2

CH2

CH2

amminotransferasi 3

–O

C

CH2

CH2

–O

+ NH3

Glutammato Glutammina glutammina 5 sintetasi

ATP asparagina sintetasi

+

PPi

Glutammato

H

O CH2 2– OPO C

CH2

aspartato, glutammato, asparagina e glutammina. Queste reazioni richiedono, rispettivamente, la transamminazione di (1) piruvato, (2) ossalacetato, (3) a-chetoglutarato, e l’amidazione di (4) aspartato e (5) glutammato. Quanti tipi di reazioni sono necessari per sintetizzare questi cinque amminoacidi?

Intermedio

H C

H2N

CH2

C

COO–

C

+ NH3

3

Figura 21.27 Le sintesi di alanina,

ATP ADP

4 AMP

O

COO–

C

+ NH3

Aspartato

Alanina

Amminoacido

H

O COO–

C

COO–

a-Chetoacido

H C

C

a-Chetoglutarato

a-Chetoacido O

H

C –O

Ossalacetato

amminotransferasi 2

O

O COO–

g-glutammilfosfato

COO–

NH+ 4

+ NH3

5

Asparagina

Pi H

O C H2N

CH2

CH2

C

COO–

NH+ 3 Glutammina

798

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

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L’asparagina e la glutammina sono sintetizzate rispettivamente dall’aspartato e dal glutammato mediante una reazione di amidazione ATP-dipendente. Nella reazione della glutammina sintetasi (Figura 21.27, reazione 5), il glutammato è in primo luogo attivato da una reazione che utilizza ATP e forma l’intermedio g-glutammilfosfato. In seguito l’NH41 sostituisce il gruppo fosforico, producendo glutammina. L’amidazione dell’aspartato catalizzata dalla asparagina sintetasi, che forma asparagina, segue una strada diversa: usa la glutammina come donatore del gruppo amminico e scinde l’ATP in AMP 1 PPi (Figura 21.27, reazione 4). La glutammina sintetasi è un punto di controllo fondamentale nel metabolismo dell’azoto. La glutammina è il donatore del gruppo amminico nella formazione

di molti prodotti biosintetici ed è anche una forma di conservazione dell’ammoniaca in forma organicata. Il controllo della glutammina sintetasi è quindi di importanza vitale per la regolazione del metabolismo dell’azoto. Le glutammina sintetasi dei mammiferi sono attivate dall’a-chetoglutarato, il prodotto della deamminazione ossidativa del glutammato (Paragrafo 21.2B). Questo controllo probabilmente impedisce un accumulo di ammoniaca prodotta dalla reazione della glutammato deidrogenasi. Come ha dimostrato Earl Stadtman, la glutammina sintetasi batterica ha un meccanismo di controllo molto più elaborato. Questo enzima, costituito da 12 subunità identiche di 468 residui, disposte ai vertici di un prisma esagonale (Figura 21.28), è regolato sia da vari effettori allosterici sia mediante modificazione covalente. Alcuni aspetti del suo sistema di controllo sono molto interessanti. L’attività della glutammina sintetasi batterica è controllata in modo cumulativo da nove inibitori allosterici retroattivi, ciascuno con un proprio sito di legame. Sei di questi effettori, cioè istidina, triptofano, carbamil fosfato (prodotto dalla carbamil fosfato sintetasi II), glucosammina-6-fosfato, AMP e CTP, sono tut(a)

(b)

Figura 21.28 Struttura ai raggi X della glutammina sintetasi

del batterio Salmonella typhimurium. L’enzima è costituito da 12 subunità identiche, rappresentate in questa figura sotto forma di struttura a nastro, disposte con una simmetria D6 (la simmetria di un prisma esagonale). (a) Vista lungo l’asse di simmetria di sesto ordine, che mostra solo le sei subunità dell’anello superiore in colori differenti, con la subunità in basso a destra colorata secondo l’ordine dei colori dell’arcobaleno dall’estremità N-terminale (blu) verso la C-terminale (rosso). Le subunità dell’anello inferiore sono più o meno disposte direttamente al di sotto di quelle dell’anello superiore. Una coppia di ioni Mn2+ (sfere rosso magenta) che occupano le

posizioni degli ioni Mg2+ indispensabili per l’attività enzimatica, è legata in ciascun sito attivo. L’ADP legato a ogni sito attivo è disegnato in forma a bastoncino, con C in verde, N in blu, O in rosso, e P in arancione. (b) Vista lungo l’asse di simmetria di secondo ordine della proteina (con l’asse orizzontale ruotato di 90° rispetto alla parte (a), che mostra solo le otto subunità più vicine all’osservatore. In questa vista l’asse di simmetria è verticale. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da David Eisenberg, UCLA. PDBid 1F52.] Perché è importante che la glutammina sintetasi sia un enzima a più subunità?

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

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ti prodotti finali delle vie che partono dalla glutammina. Gli altri tre effettori, cioè alanina, serina e glicina, dipendono dalla disponibilità di azoto della cellula. La glutammina sintetasi dell’E. coli è modificata covalentemente tramite adenililazione (aggiunta di un gruppo AMP) a uno specifico residuo di Tyr (Figura 21.29). A seconda del grado di adenililazione, aumenta la sensibilità dell’enzima all’inibizione retroattiva cumulativa, e quindi la sua attività diminuisce. Il grado di adenililazione è controllato da una complessa cascata metabolica concettualmente simile a quella che controlla la glicogeno fosforilasi (Paragrafo 16.3B). I due processi di adenililazione e di deadenililazione della glutammina sintetasi sono catalizzati entrambi dalla adenililtransferasi, che forma un complesso con la proteina regolatoria tetramerica PII. Il complesso deadenilila la glutammina sintetasi se la PII è uridililata (anche in questo caso a livello di un residuo di Tyr) e attacca un gruppo adenilico alla glutammina sintetasi quando la PII è priva di residui UMP. Il livello di uridililazione di PII dipende a sua volta dai livelli relativi di due attività enzimatiche presenti sulla stessa proteina: una uridililtransfe-

799

Figura 21.29 Regolazione della glutammina sintetasi batterica. La adenililazione/deadenililazione di uno specifico residuo di Tyr è controllata dal livello di uridililazione di uno specifico residuo di Tyr dell’adenililtransferasi ? PII. Questo livello di uridililazione è controllato a sua volta dalle attività relative dell’uridililtransferasi, sensibile alle concentrazioni di vari metaboliti azotati, e dell’enzima che rimuove il gruppo uridililico, la cui attività è indipendente dalle concentrazioni di questi metaboliti.

Glutammina sintetasi (meno attiva)

O –

O

P

O

CH2 O

O

H H

Adenina H

H OH OH

Uridililtransferasi

PPi

a-Chetoglutarato ATP Glutammina Pi UTP Adenililtransferasi • PII

PPi

Adenililtransferasi • PII Pi

O O ATP

OH

H 2O

UMP

Enzima che rimuove il gruppo uridililico

Glutammina sintetasi (più attiva)

OH

P

O

CH2 O

O–

H H

Uracile H

H OH OH

ADP

800

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

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rasi che specifica per la PII e un enzima che rimuove il gruppo uridililico, che idrolizza i gruppi UMP uniti a PII. L’uridililtransferasi è attivata dall’a-chetoglutarato e dall’ATP, ed è inibita dalla glutammina e dal Pi, mentre l’enzima che sottrae il gruppo uridililico è insensibile a questi metaboliti. Questa complicata cascata metabolica rende l’attività della glutammina sintetasi di E. coli molto sensibile ai fabbisogni di azoto della cellula. Il glutammato è il precursore di prolina, ornitina e arginina. La trasformazio-

ne del glutammato in prolina (Figura 21.30, reazioni 1-4) richiede la riduzione del gruppo g-carbossilico ad aldeide, seguita dalla formazione di una base di Schiff interna, la cui successiva riduzione produce prolina. La riduzione del gruppo g-carbossilico del glutammato ad aldeide è un processo endoergonico facilitato dalla precedente fosforilazione del gruppo carbossilico, catalizzata dalla g-glutammil chinasi. Il prodotto instabile, il glutammato-5-fosfato, non è mai stato isolato dalla miscela di reazione, ma è probabilmente il substrato della successiva reazione di riduzione. La risultante glutammato-5-semialdeide (che rappresenta anche il prodotto di degradazione dell’arginina e della prolina; Figura 21.17) ciclizza spontaneamente, formando la base di Schiff interna D1-pirrolina-5-carbossilato. La riduzione finale a prolina è catalizzata dalla pirrolina-5-carbossilato riduttasi. Non è chiaro se l’enzima richieda NADH o NADPH. Nell’uomo, una via a tre tappe porta da glutammato a ornitina mediante una deviazione dalla biosintesi della prolina dopo la tappa 2 (Figura 21.30). ATP

C –

O

ADP

H

O CH2

CH2

C

COO–

NH+3

H

O C

1

–2 O

3P

CH2

CH2

NH+3

O

Glutammato

COO–

C

Glutammato-5-fosfato NAD(P)H 2

NAD(P)+ Pi Glutammato

H

O C

CH2

C

CH2

COO–

Glutammato-5-semialdeide

Quali sono le fonti di energia libera di queste reazioni biosintetiche?

+

H3N

5

H CH2

CH2

CH2

C

COO–

NH+3

non enzimatica

3

Figura 21.30 La biosintesi degli

amminoacidi della famiglia del glutammato: arginina, ornitina e prolina. Gli enzimi che catalizzano la biosintesi della prolina sono: (1) g-glutammil chinasi, (2) deidrogenasi, (3) catalisi non enzimatica, (4) pirrolina-5-carbossilato riduttasi. Nei mammiferi l’ornitina è prodotta dalla glutammato-5semialdeide ad opera dell’ornitinad-amminotransferasi (5). L’ornitina è trasformata in arginina tramite il ciclo dell’urea (Paragrafo 21.3A).

α-Chetoglutarato

NH+3

H

Ornitina CH2

H2C H

CH

C

COO–

ciclo dellÕurea

N D1-Pirrolina-5-carbossilato NAD(P)H 4

NAD(P)+

H

H2N C +

CH

C H

H2N

CH2

H 2C H

N H

Prolina

COO–

N H

CH2

CH2

CH2

C

COO–

NH+3 Arginina

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

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COO– H

C

+ NAD NADH

OH

CH2

OPO23–

3-Fosfoglicerato

COO– C

1

Glutammato

CH2

COO–

a-Chetoglutarato + H3N

O OPO23–

2

C

H OPO23–

CH2

3-Fosfoserina

3-Fosfoidrossipiruvato

La glutammato-5-semialdeide, in equilibrio con il D1-pirrolina-5-carbossilato, è transamminata direttamente con produzione di ornitina in una reazione catalizzata dall’ornitina-d-amminotransferasi (Figura 21.30, reazione 5). L’ornitina è quindi trasformata in arginina dalle reazioni del ciclo dell’urea (Figura 21.9).

801

3

Pi H

HO

CH2

C

COO–

NH+ 3 Serina

Serina, cisteina e glicina derivano dal 3-fosfoglicerato. La serina si forma dall’in-

termedio glicolitico 3-fosfoglicerato, in una via che comprende tre reazioni (Figura 21.31).

1. Trasformazione del gruppo 2-OH del 3-fosfoglicerato in gruppo chetonico, con formazione di 3-fosfoidrossipiruvato, l’analogo fosforilato del chetoacido della serina. 2. Transamminazione del 3-fosfoidrossipiruvato in fosfoserina. 3. Idrolisi della fosfoserina in serina. La serina partecipa alla sintesi della glicina in due modi. 1. Trasformazione diretta della serina in glicina, mediante l’enzima serina idrossimetiltransferasi, in una reazione che produce anche N5,N10-metilen-THF (Figura 21.14, l’inverso della reazione 4). 2. Condensazione dell’N5,N10-metilen-THF con CO2 e NH41, tramite la reazione della glicina sintasi (Figura 21.14, l’inverso della reazione 3). Negli animali la cisteina è sintetizzata a partire da serina e da omocisteina, un prodotto di degradazione della metionina (Figura 21.18, reazioni 5 e 6). L’omocisteina si combina con la serina, producendo cistationina, che in seguito forma cisteina e a-chetobutirrato. Poiché il gruppo sulfidrilico della cisteina deriva dall’amminoacido essenziale metionina, la cisteina può essere considerata un amminoacido essenziale.

B Le piante e i microrganismi sintetizzano gli amminoacidi essenziali Gli amminoacidi essenziali, come quelli non essenziali, sono sintetizzati a partire da precursori metabolici che conosciamo già molto bene. Le loro vie di sintesi, però, sono presenti solo nei microrganismi e nelle piante, e spesso richiedono un numero maggiore di reazioni rispetto a quello della sintesi degli amminoacidi non essenziali. A quanto pare gli enzimi che sintetizzano gli amminoacidi essenziali sono andati perduti nelle prime fasi dell’evoluzione degli animali, probabilmente in quanto era facile reperire questi amminoacidi tramite la dieta. Concentreremo quindi la nostra attenzione solo su alcune tra le numerose reazioni che caratterizzano la biosintesi degli amminoacidi essenziali. Nei batteri, l’aspartato è il precursore comune della lisina, della metionina e della treonina (Figura 21.32). Le biosintesi di questi amminoacidi essenziali iniziano tutte con la fosforilazione dell’aspartato catalizzata dall’aspartochinasi, con produzione di aspartil-b-fosfato. Abbiamo già osservato come il controllo delle vie metaboliLisina, metionina e treonina sono sintetizzate dall’aspartato.

Figura 21.31 La trasformazione del 3-fosfoglicerato in serina. Gli enzimi di questa via sono: (1) 3-fosfoglicerato deidrogenasi, (2) un’amminotransferasi PLP-dipendente, (3) fosfoserina fosfatasi.

802

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi H

O C

Aspartato

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–O

CH2

COO–

C

+ NH3 ATP

1

H

ADP

C –2O P 3

H3C

H

O CH2

COO–

C

C

OH

+ NH3

Treonina

+ NH3

O

COO–

CH

Aspartil-b-fosfato NADPH

2

H

O C

CH2

C

COO–

+ NH3

H

2 reazioni

+ NADP + Pi H

NADP+

NADPH

C H2

CH2

+ NH3

OH

3

COO–

C

Omoserina

b-Aspartato-semialdeide

3 reazioni 8 reazioni

H CH2

HS

CH2

COO–

C

NH+ 3 Omocisteina NH+ 3

CH2

5 N -Metil-THF

4

THF

(CH2)3 H

C

COO– Lisina

Figura 21.32 La biosintesi degli amminoacidi della famiglia dell’aspartato: lisina, metionina e treonina. Gli enzimi della via metabolica indicati nella figura sono (1) aspartochinasi, (2) b-aspartato semialdeide deidrogenasi, (3) omoserina deidrogenasi, (4) metionina sintasi (un enzima dipendente dal coenzima B12).

H

NH+ 3 H3C

S

CH2

CH2

Metionina

C

COO–

+ NH3

che di solito avvenga a livello della prima tappa della via. Ci si potrebbe attendere che le biosintesi della lisina, della metionina e della treonina siano controllate tutte insieme; al contrario, ognuna di queste vie è controllata in modo indipendente. Nell’E. coli vi sono tre isoenzimi dell’aspartochinasi che rispondono in modo diverso ai tre amminoacidi per quanto riguarda l’inibizione retroattiva dell’attività enzimatica e la repressione della sintesi dell’enzima. La direzione della via metabolica è controllata a livello dei punti di ramificazione, tramite inibizione retroattiva da parte dei prodotti delle stesse ramificazioni. La metionina sintasi (detta anche omocisteina metiltransferasi) catalizza la metilazione dell’omocisteina, con formazione di metionina, usando l’N5-metil-THF come donatore del gruppo metilico (reazione 4 nelle Figure 21.18 e 21.32). La metionina sintasi è l’unico enzima associato al coenzima B12 nei mammiferi, oltre alla metilmalonil-CoA mutasi (Paragrafo 20.2E). Nella metionina sintasi, tuttavia, lo ione Co del coenzima B12 è assialmente legato a un gruppo metilico, formando metilcobalamina, e non un gruppo 59-adenosilico, come avviene nella metilmalonil-CoA mutasi (Figura 20.17). Nei mammiferi la funzione principale della metionina sintasi non è la sintesi della metionina, in quanto Met è un amminoacido essenziale: l’enzima funziona invece nella sintesi ciclica di SAM per il suo impiego nelle reazioni biologiche di metilazione (Figura 21.18).

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

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803

TPP H3C

+

COO–

C

H3C

Piruvato H3C

O Piruvato

COO–

C

CH2

COO–

C O

a-Chetobutirrato

O CO2 H3C

– C

TPP

OH CH3

CH3 C

H3C

Idrossietil-TPP

COO–

C

H2C H3C

O OH a-Acetolattato

COO–

C

C

O

OH

␣-Aceto-␣-idrossibutirrato 3 reazioni 3 reazioni CH3

H3C H3C

C

C

– COO

3 reazioni

H2C H3C

H

O ␣-Chetoisovalerato Glutammato valina amminotransferasi ␣-Chetoglutarato

H3C H3C

C

CH2

H

C

COO–

H3C

C

C

O

O

H3C

NH+ 3 Valina H

H

H3C

C

CH3

H CH2

C

COO–

NH+ 3

H Leucina

Leucina, isoelucina e valina sono derivati del piruvato. La valina e l’isoleucina

seguono la stessa via biosintetica, con il piruvato come reagente di partenza: l’unica differenza è la prima tappa (Figura 21.33). In questa reazione dipendente dalla tiamina pirofosfato, simile a quelle catalizzate dalla piruvato decarbossilasi (Figura 15.20) e dalla transchetolasi (Figura 15.32), il piruvato forma un addotto con la TPP, in seguito decarbossilato a idrossietil-TPP. Questo carbanione stabilizzato per risonanza si addiziona al gruppo chetonico di una seconda molecola di piruvato, formando acetolattato e in seguito valina, oppure al gruppo chetonico dell’a-chetobutirrato, producendo a-aceto-a-idrossibutirrato e in seguito isoleucina. La via biosintetica della leucina è una ramificazione di quella della valina. La reazione finale di ciascuna delle tre vie, che inizia con piruvato e non con un amminoacido, è il trasferimento PLP-dipendente di un gruppo amminico dal glutammato, per formare l’amminoacido. Gli amminoacidi aromatici fenilalanina, tirosina e triptofano vengono sintetizzati da derivati del glucosio. I precursori degli amminoacidi aromatici sono gli

intermedi glicolitici fosfoenolpiruvato (PEP) ed eritrosio-4-fosfato (un intermedio della via del pentosio fosfato; Figura 15.30). Dalla loro condensazione si ottiene 2-cheto-3-deossi-d-arabinoeptulosionato-7-fosfato (Figura 21.34). Questo composto C7 ciclizza e si trasforma infine in corismato, il punto di ramifi-

COO–

Glutammato valina amminotransferasi ␣-Chetoglutarato

α-Chetoisocaproato

H COO–

C

␣-Cheto-␤-metilvalerato

Glutammato leucina amminotransferasi ␣-Chetoglutarato H3C

C

H3C

H2C

H

C

C

H

NH+ 3

COO–

Isoleucina

Figura 21.33 La biosintesi degli amminoacidi della famiglia del piruvato: isoleucina, leucina e valina. Il primo enzima, l’acetolattato sintasi (un enzima TPP-dipendente), catalizza due reazioni, una che produce valina e leucina, e l’altra che produce isoleucina. Si noti che anche la valina amminotransferasi catalizza la formazione della valina e dell’isoleucina, a partire dai rispettivi a-chetoacidi.

804

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

Fosfoenolpiruvato (PEP)

O

PO23–

C

COO–

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O

CH2 O

Eritrosio-4- H fosfato H

+ C

CH2

Pi

H

C

OH

C

OH

COO–

C

HO

C

H

H

C

OH

H

C

OH

1

CH2OPO23–

2– OPO3

H2C

H COO–

C

CH2

2-Cheto-3-deossi-D-arabinoeptulosionato-7-fosfato

NH+ 3

6 reazioni COO–

Piruvato COO–

+

–OOC

Glutammato Glutammina NH2 2

O

C

OH

Tirosina

COO–

H

H

H

COO–

O

CH2

HO

5

Corismato

Antranilato

C

CH2

HO

COO–

C

CH2

H

NH+ 3

Prefenato

Fenilalanina

3 reazioni

H OH O H

N H

C

C

C

C H

H

H

CH2

Serina H2O

Gliceraldeide-3-fosfato OPO2– 3

N H Indolo

Figura 21.34 La biosintesi di fenilalanina, triptofano e tirosina. Gli enzimi indicati sono: (1) 2-cheto-3-deossi-darabinoeptulosionato-7-fosfato sintasi, (2) antranilato sintasi,

C

COO–

NH+ 3

3

Indolo-3-glicerofosfato

CH2

4

N H Triptofano

(3) triptofano sintasi, subunità a, (4) triptofano sintasi, subunità b (un enzima PLP-dipendente), (5) corismato mutasi.

cazione per la sintesi del triptofano. Il corismato è trasformato in antranilato, e in seguito in triptofano, oppure in prefenato e in seguito in tirosina o fenilalanina. Anche se i mammiferi sintetizzano la tirosina tramite ossidrilazione della fenilalanina (Figura 21.24), molti microrganismi la sintetizzano direttamente dal prefenato. L’ultima fase della sintesi della tirosina e della fenilalanina è l’aggiunta di un gruppo amminico tramite una reazione di transamminazione. Nella sintesi del triptofano il gruppo amminico è parte della molecola della serina che è aggiunta all’indolo. L’indolo è incanalato tra due siti attivi della triptofano sintasi. Le due reazioni finali della biosintesi del triptofano (reazioni 3 e 4 nella Figura 21.34) sono catalizzate dalla triptofano sintasi.

1. La subunità a (268 residui) di questo enzima bifunzionale del tipo a2b2 scinde l’indolo-3-glicerofosfato, formando indolo e gliceraldeide-3-fosfato. 2. La subunità b (396 residui) unisce l’indolo alla serina tramite una reazione PLP-dipendente, formando triptofano.

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Il metabolismo degli amminoacidi

805

Entrambe le subunità separate sono enzimaticamente attive, ma quando sono unite nel tetramero a2b2 le velocità di entrambe le reazioni e le loro affinità per i substrati aumentano da 1 a 2 ordini di grandezza. L’indolo, il prodotto intermedio, non compare libero in soluzione, perché è incanalato tra le due subunità. La struttura ai raggi X della triptofano sintasi di Salmonella typhimurium, determinata da Craig Hyde, Edith Miles e David Davies, ha rivelato che la proteina forma un complesso abba, lungo 150 Å con una doppia simmetria, nel quale i siti attivi delle subunità contigue a e b sono separati da circa 25 Å (Figura 21.35). Questi siti attivi sono uniti da un tunnel pieno di solvente, abbastanza ampio da permettere il passaggio del substrato intermedio, l’indolo. Questa struttura, la prima nella quale è stato osservato un tunnel di collegamento tra due siti attivi, suggerisce la seguente serie di eventi: il substrato indolo-3-glicerolo fosfato si lega alla subunità a passando attraverso un’apertura del sito attivo, la sua “porta anteriore”, e il prodotto gliceraldeide-3-fosfato esce per la stessa via. Anche il sito attivo della subunità b ha una “porta anteriore” in contatto con il solvente, attraverso la quale entra serina ed esce triptofano. Entrambi i siti attivi possiedono anche “porte posteriori”, unite tra loro dal tunnel. Probabilmente l’intermedio indolo diffonde tra i due siti attivi passando attraverso il tunnel e quindi non può sfuggire alla reazione diffondendo nel solvente. L’incanalamento potrebbe essere particolarmente importante per l’indolo, in quanto questa molecola è apolare e potrebbe uscire dalla cellula batterica, diffondendo attraverso il plasma e le membrane esterne. Affinché l’incanalamento possa aumentare l’efficienza catalitica della triptofano sintasi, (1) i suoi siti attivi collegati tra loro devono essere sincronizzati in modo che le reazioni che catalizzano siano in fase, e (2), dopo che il substrato si è legato alla subunità a, il suo sito attivo (la “porta anteriore”) deve chiudersi per garantire che l’indolo, invece di diffondersi nella soluzione, passi attraverso il tunnel (la “porta posteriore”) fino alla subunità b. Numerose indicazioni sperimentali suggeriscono che questa serie di eventi sia facilitata da segnali allosterici che derivano da modificazioni covalenti che si verificano a livello del sito attivo della subunità b. Questi segnali fanno passare l’enzima da una conformazione aperta, poco attiva, alla quale si lega il substrato, a una conformazione chiusa, molto attiva, dalla quale l’indolo non può uscire.

Figura 21.35 Rappresentazione a nastro dell’enzima bifunzionale triptofano sintasi di S. typhimurium. È indicata solo una unità ab dell’eterotetramero abba. La subunità a è colorata in blu, mentre la subunità b è in rosa, con il dominio N-terminale più chiaro e il dominio C-terminale più scuro. Le frecce indicano i foglietti b. Il sito attivo della subunità a è identificato tramite il legame del suo inibitore competitivo indolopropanolo fosfato (IPP; colorato in rosso), mentre quello della subunità b è contrassegnato dal suo coenzima PLP (in giallo). La superficie accessibile al solvente del tunnel lungo circa 25 Å, che collega i siti attivi delle subunità a e b, è evidenziata da punti gialli. Alcune molecole di indolo (in azzurro) sono state disegnate all’interno del tunnel per dimostrare che è largo abbastanza da permettere il passaggio dell’indolo da un sito attivo all’altro. [Per gentile concessione di Craig Hyde, Edith Miles e David Davies, NIH.]

Quali catene laterali è più probabile che rivestano il tunnel tra i siti attivi?

CAPITOLO 21

806

Il metabolismo degli amminoacidi

N

H2N N

–2O P 3

P

Ribosio

N

N

P

P

N PPi

ATP

CH

O

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H

O

C

H

H

C

H

C

C

O

HO

O

CH2

N

O

P

Ribosio

P

P

N

HN –2O P 3

1

CH2

N

C

H

H

C

H

C

C

H

OH

OH

C H

1

P

N -59-Fosforibosil ATP

P

OH

3 reazioni

5-Fosforibosil-a-pirofosfato (PRPP) N

Ribosio

N

N

P

H2N

H2N

NH2

C

5-Amminoimidazolo-4-carbossiamide Glutammina ribonucleotide Glutammato H N

HC

H N

CH C

N

HC

+ NH3

2 CH

C

CH2

N

H

C

OH

H

C

OH

4 reazioni

COO– Istidina

P

CH2OPO23–

N

C HN H

CH

C

H

C

O

H

C

OH

H

C

OH

+

HC

Ribosio

O

O Verso la sintesi delle purine

N

CH2OPO23– N 1-59-Fosforibulosilformimmino5-amminoimidazolo-4carbossiamide ribonucleotide

Imidazolo glicerolo fosfato

Figura 21.36 La biosintesi dell’istidina. Gli enzimi indicati sono: (1) ATP fosforibosiltransferasi, (2) glutammina amidotransferasi.

La biosintesi dell’istidina comprende un intermedio della sintesi dei nucleotidi. Cinque dei sei atomi di C dell’istidina derivano dal 5-fosforibosil-a-pirofo-

PUNTO DI VERIFICA

• Quali sono i precursori metabolici degli amminoacidi non essenziali?

• Riassumete i tipi di reazioni necessarie a sintetizzare gli amminoacidi non essenziali.

• Elencate i composti che vengono utilizzati per sintetizzare gli amminoacidi essenziali nelle piante e nei microrganismi.

• Confrontate le vie cataboliche e anaboliche di uno o più amminoacidi. In quali vie predominano le reazioni di ossidazione e in quali quelle di riduzione?

sfato (PRPP; Figura 21.36), un intermedio fosfo-zucchero coinvolto anche nella biosintesi dei nucleotidi purinici e pirimidinici (Paragrafi 23.1A e 23.2A). Il sesto atomo di carbonio dell’istidina deriva dall’ATP. Gli atomi dell’ATP che non sono inseriti nell’istidina sono eliminati sotto forma di 5-amminoimidazolo-4-carbossiamide ribonucleotide (Figura 21.36, reazione 2), che è anche un intermedio nella biosintesi delle purine (Paragrafo 23.1A). L’insolita biosintesi dell’istidina a partire da una purina (N1-59-fosforibosil ATP, il prodotto della reazione 1 nella Figura 20.36) è stata citata come prova a sostegno dell’ipotesi che la vita fosse originariamente basata sull’RNA. Come abbiamo visto, i residui His sono spesso componenti dei siti attivi degli enzimi, quando si comportano da nucleofili e da catalizzatori generali acido-basici. La scoperta che l’RNA può avere proprietà catalitiche suggerisce quindi che la parte imidazolica delle purine abbia un ruolo simile in questi enzimi a RNA. La via di biosintesi dell’istidina potrebbe quindi essere un “residuo fossile” della fase di passaggio a forme di vita più efficienti basate sulle proteine.

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

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6 Gli altri prodotti del metabolismo degli amminoacidi CONCETTI CHIAVE

• L’eme è sintetizzato a partire dalla glicina e dal succinil-CoA e viene degradato per l’escrezione in una vasta gamma di composti colorati.

• La sintesi delle ammine bioattive comincia con la decarbossilazione degli amminoacidi.

• L’arginina dà origine all’ossido d’azoto, un gas attivo come un ormone. Alcuni amminoacidi, oltre alla loro funzione principale come precursori delle proteine, sono composti essenziali per la sintesi di numerose importanti biomolecole, tra cui i nucleotidi e i coenzimi nucleotidici, l’eme, vari ormoni e neurotrasmettitori. In questo paragrafo prenderemo in considerazione le vie metaboliche che conducono alla sintesi di alcuni di questi composti. La biosintesi dei nucleotidi sarà trattata nel Capitolo 23.

A L’eme è sintetizzato a partire dalla glicina e dal succinil-CoA Come abbiamo visto in precedenza, l’eme è un gruppo prostetico contenente Fe ed è un componente essenziale di molte proteine, in particolare emoglobina, mioglobina e citocromi. Le reazioni iniziali della biosintesi dell’eme sono comuni alla formazione di altri tetrapirroli, tra cui la clorofilla nelle piante e nei batteri (Figura 19.2) e il coenzima B12 nei batteri (Figura 20.17). La scoperta della via di biosintesi dell’eme ha richiesto un interessante lavoro di indagine. Nel 1945 David Shemin e David Rittenberg, tra i primi a utilizzare traccianti isotopici per la determinazione delle vie metaboliche, hanno dimostrato che tutti gli atomi C e N dell’eme possono derivare dall’acetato e dalla glicina. La biosintesi dell’eme si svolge in parte nei mitocondri e in parte nel citosol (Figura 21.37). L’acetato mitocondriale è metabolizzato nel ciclo dell’acido citrico a succinil-CoA, che in seguito si condensa con la glicina in una reazione che produce CO2 e acido d-amminolevulinico (ALA). L’ALA è trasportato nel citosol, dove si combina con una seconda molecola di ALA, formando porfobilinogeno (PBG). La reazione è catalizzata dall’enzima porfobilinogeno sintasi, che richiede Zn. L’inibizione della PBG sintasi da parte del piombo è una delle principali manifestazioni dell’avvelenamento acuto causato da questo metallo pesante. È stata infatti avanzata l’ipotesi che l’accumulo nel sangue di ALA, che ha una struttura simile a quella del neurotrasmettitore acido g-amminobutirrico (Paragrafo 21.6B), sia responsabile dei problemi psichici che spesso accompagnano l’avvelenamento da piombo. La fase successiva della biosintesi dell’eme è la condensazione di quattro molecole di PBG per formare uroporfirinogeno III, il nucleo della porfirina, in una serie di reazioni catalizzate dalla porfobilinogeno deamminasi (detta anche uroporfirinogeno sintasi) e dalla uroporfirinogeno III cosintasi. Il prodotto iniziale, l’idrossimetilbilano, è un tetrapirrolo lineare che in seguito ciclizza. P A

A

A

B

P

NH HN

A = acetile P = propionile

HO NH HN P

D

C

A

P

Idrossimetilbilano

A

807

CAPITOLO 21

808

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M

V

HC

CH N H

M N

H N

P Ciclo dell’acido citrico

ferrochelatasi 2H

CH2

CoA

C

M

CH

P M Protoporfirina IX

O CH2

V

HC

Fe2+

+

–OOC

M N

protoporfirinogeno ossidasi

V

M

V

Succinil-CoA + + H3N

HC COO–

CH2

M

Glicina acido d-amminolevulinico CO2 sintasi O –OOC

CH2

CH2

C

CH2

N P

NH2

H2C H2C

N NH2 H Porfobilinogeno (PBG)

4 NH3

M NH

V

HC

M Eme

CH2

A NH

H2C

CH2

P CH2

H2C N H

M uroporfirinogeno decarbossilasi P P

P A Uroporfirinogeno III

Figura 21.37 La via della biosintesi dell’eme. L’acido d-amminolevulinico (ALA) è sintetizzato nel mitocondrio dall’enzima ALA sintasi a partire da succinil-CoA e glicina. L’ALA è trasportato nel citosol: due molecole di ALA si condensano per formare PBG. Quattro molecole di PBG si condensano per formare l’anello porfirinico. Le tre reazioni successive comprendono l’ossidazione dei sostituenti dell’anello pirrolico, con formazione

M

A

HN H N

P

coproporfirinogeno ossidasi

2 CO2

Citosol

N H

CH2

P M Protoporfirinogeno IX

P

H2C

V

H2C

Mitocondrio A

M HN

H N

P

CH

P

porfobilinogeno sintasi

–OOC

M

N H

N

N

Acido d-amminolevulinico (ALA)

COO– porfobilinogeno deamminasi CH2 + uroporCH2 firinogeno III sintasi

Fe

CH2

H2C

CH N

4 CO2

NH

M HN

H N H2C

P CH2

P M Coproporfirinogeno III

di protoporfirinogeno IX, che è ritrasportato nel mitocondrio durante la sua formazione. Dopo l’ossidazione dei gruppi metilenici, la ferrochelatasi catalizza l’inserzione del Fe2+ per formare l’eme. A, P, M e V rappresentano rispettivamente i gruppi acetilico, propionilico, metilico e vinilico (2CH5CH2). Gli atomi di C che si originano dal gruppo carbossilico dell’acetato sono in rosso.

La protoporfirina IX, a cui si aggiunge Fe per formare l’eme, è prodotta dall’uroporfirinogeno III attraverso una serie di reazioni catalizzate da (1) uroporfirinogeno decarbossilasi, che decarbossila tutte e quattro le catene laterali di acetato (A) per formare gruppi metilici (M); (2) coproporfirinogeno ossidasi, che decarbossila in modo ossidativo due delle catene laterali di propionato (P) a gruppi vinilici (V); (3) protoporfirinogeno ossidasi, che ossida i gruppi metilenici che uniscono gli anelli pirrolici a gruppi metinici. Durante la reazione della coproporfirinogeno ossidasi la porfirina è ritrasportata nel mitocondrio. Nella reazione finale della biosintesi dell’eme la ferrochelatasi inserisce il Fe(II) nella protoporfirina IX.

CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

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809

Il fegato e le cellule eritroidi regolano la biosintesi dell’eme. I due siti principa-

li in cui avviene la biosintesi dell’eme sono le cellule eritroidi, che sintetizzano circa l’85% dei gruppi eme presenti nel corpo, e il fegato, che sintetizza quasi tutta la parte restante. Nel fegato il livello di sintesi dell’eme deve essere regolato a seconda delle condizioni metaboliche. Per esempio, la sintesi del citocromo P450, che contiene eme (Paragrafo 12.4D), varia in base alle necessità dei processi di detossificazione. Al contrario, nelle cellule eritroidi la sintesi di eme è un evento temporaneo: la sintesi dell’eme e quella delle proteine cessa quando le cellule maturano, quindi l’emoglobina deve durare per tutta la vita dell’eritrocita (circa 120 giorni). Nel fegato il principale bersaglio del controllo della sintesi dell’eme è l’ALA sintasi, l’enzima che catalizza la prima reazione che limita la velocità della via. L’eme, o l’emina, il suo prodotto di ossidazione Fe(III), controlla l’attività dell’enzima tramite inibizione retroattiva, inibizione del trasporto dell’ALA sintasi dal suo sito di sintesi nel citosol al suo sito di reazione all’interno del mitocondrio (Figura 21.37), e repressione della sintesi di ALA sintasi. Nelle cellule eritroidi l’eme esercita un effetto molto diverso sulla propria sintesi. L’eme induce, e non reprime, la sintesi proteica nei reticolociti (eritrociti immaturi). Anche se la proteina sintetizzata in maggiore quantità nei reticolociti è la globina, l’eme può indurre queste cellule a sintetizzare gli enzimi necessari per la sua biosintesi. Inoltre, nelle cellule eritroidi le reazioni che determinano la velocità di sintesi dell’eme potrebbero essere quelle catalizzate dalla ferrochelatasi e dalla porfobilinogeno deamminasi, e non la reazione catalizzata dall’ALA sintasi. Questo è in accordo con l’ipotesi che, quando la biosintesi dell’eme nelle cellule eritroidi è “accesa”, tutte le reazioni funzionano alla massima velocità e non vi è una tappa che limita il flusso attraverso la via. La sintesi di globina stimolata dall’eme assicura inoltre che l’eme e la globina siano sintetizzati nel corretto rapporto per produrre l’emoglobina completa (Paragrafo 28.3C). I difetti genetici nella biosintesi dell’eme provocano patologie conosciute con il nome di porfirie (Scheda 21.3). I prodotti di degradazione dell’eme vengono escreti. Al termine della loro vi-

ta i globuli rossi sono allontanati dal circolo sanguigno e i loro componenti sono degradati. Il catabolismo dell’eme (Figura 21.38) inizia con la scissione ossidativa, da parte dell’eme ossigenasi, della porfirina tra gli anelli A e B, che produce biliverdina, un tetrapirrolo lineare di colore verde. Il ponte centrale metinico della biliverdina (tra gli anelli C e D) è quindi ridotto per formare la bili-

SCHEDA 21.3

LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA

Le porfirie I difetti nella biosintesi dell’eme nel fegato o nelle cellule eritroidi provocano un accumulo di porfirina e/o dei suoi precursori e sono quindi noti con il nome di porfirie. È noto che due di questi difetti interessano le cellule eritroidi: la carenza di uroporfirinogeno III cosintasi (porfiria congenita eritropoietica) e la carenza di ferrochelatasi (protoporfiria eritropoietica). La prima determina un accumulo dei derivati dell’uroporfirinogeno: l’escrezione di questi composti colora le urine di rosso e la loro deposizione nei denti li rende di colore marrone rossiccio; il loro accumulo nella pelle rende quest’ultima estremamente fotosensibile, fino a ulcerarsi e a formare cicatrici deturpanti. Negli individui affetti è stato inoltre osservato un aumento nella crescita dei peli. La maggior parte del viso e degli arti può essere coperta da una fine peluria. Questi sintomi hanno suggerito l’ipotesi che la leggenda del “lupo mannaro” abbia una base biochimica.

La forma più comune di porfiria, che interessa principalmente il fegato, è la carenza di porfobilinogeno deamminasi (porfiria acuta intermittente). Questa malattia è caratterizzata da attacchi intermittenti di dolori addominali e da disfunzioni neurologiche. Durante e dopo gli attacchi vengono escrete nelle urine quantità eccessive di ALA e di PBG. L’urina può diventare rossa a causa dell’escrezione dell’eccesso di porfirine sintetizzate dal PBG nelle cellule extraepatiche, anche se la pelle non diventa particolarmente fotosensibile. Re Giorgio III, che governò l’Inghilterra nel periodo della Rivoluzione americana e che è stato spesso raffigurato come pazzo, in realtà subiva attacchi tipici della porfiria acuta intermittente: si dice che le sue urine avessero il colore del vino di Porto e a numerosi suoi discendenti è stata diagnosticata porfiria acuta intermittente. La storia americana avrebbe potuto essere molto diversa se Giorgio III non avesse ereditato questo difetto metabolico.

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Il metabolismo degli amminoacidi M

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V

A N

M

D

N

M

P

B

N

Fe

V

N

C P

M Eme

O2

Fe2+ M

O

V

M

P

P

+

M

CO M

V

B

C

D

A

N H

N H

N

N H

O

Biliverdina NADPH + H+ NADP+ M

O

V

M

P

P

M

M

V

B

C

D

A

N H

N H

N H

N H

H

H

O M

E

M

P

P

M

M

E

Bilirubina

B

8 H•

O

enzimi microbici

H C H2

N H

C

D

N H

N

A

H C H2

N H

O

Urobilina (rene) M

E

B O

N H

M

P

C

H H

P

H

N H

M

D C H2

N H

Urobilinogeno

M

A

H H

E

H

N H

2 H• O H

M

E

B O

N H

H H C H2

M

P

P

M

C

D

N H

N

H H C H2

M

E

H

A N H

O

Stercobilina (intestino crasso)

Figura 21.38 Via di degradazione dell’eme. M, V, P ed E rappresentano rispettivamente i gruppi metilici, vinilici, propionilici ed etilici.

rubina, di colore rosso arancio. Il cambiamento di colore che si osserva in corrispondenza di un’ecchimosi in via di guarigione è una manifestazione visibile della degradazione dell’eme. Nella reazione che forma la biliverdina, l’atomo di C del ponte metinico tra gli anelli A e B viene liberato sotto forma di CO, che è un forte ligando dell’eme stesso (con un’affinità per l’emoglobina 200 volte maggiore di quella dell’O2;

CAPITOLO 21

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Il metabolismo degli amminoacidi

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Paragrafo 7.1A). Circa l’1% dei siti di legame dell’emoglobina è così bloccato da CO anche in assenza di aria inquinata. La bilirubina, fortemente lipofilica, è insolubile nelle soluzioni acquose; come altri metaboliti lipofilici (per esempio, gli acidi grassi liberi), è trasportata nel sangue unita all’albumina del siero. I derivati della bilirubina sono secreti nella bile e per la maggior parte sono ulteriormente degradati dagli enzimi dei batteri che risiedono nell’intestino. Una parte del restante urobilinogeno è riassorbita e trasportata tramite la circolazione sanguigna ai reni, dove è trasformata in urobilina, di colore giallo, ed escreta, il che conferisce alle urine il loro colore caratteristico. La maggior parte dell’urobilinogeno, tuttavia, è trasformata dai microrganismi in stercobilina, di colore rosso scuro-marrone, il pigmento principale delle feci. Quando il sangue contiene quantità eccessive di bilirubina, il deposito di questa sostanza insolubile colora di giallo la pelle e il bianco degli occhi. Questa condizione, detta itterizia o ittero, segnala una velocità anormalmente elevata di distruzione dei globuli rossi, una disfunzione epatica oppure l’ostruzione dei dotti biliari. I neonati, particolarmente se prematuri, possono presentare ittero perché sono privi di un enzima che degrada la bilirubina. I neonati colpiti da ittero sono curati con bagni di luce fluorescente (ultravioletta), che trasforma fotochimicamente la bilirubina in isomeri maggiormente solubili che il neonato può degradare ed eliminare tramite escrezione.

B Gli amminoacidi sono i precursori delle ammine

HO

X

fisiologicamente attive

C

HO

L’adrenalina, la noradrenalina, la dopamina, la serotonina (5-idrossitriptammina), l’acido g-amminobutirrico (GABA) e l’istamina (a destra) sono ormoni o neurotrasmettitori che derivano dagli amminoacidi. L’adrenalina, come abbiamo visto in precedenza, attiva l’adenilato ciclasi nel muscolo, stimolando quindi la degradazione del glicogeno (Paragrafo 16.3B); una carenza nella produzione di dopamina è associata al morbo di Parkinson, una malattia degenerativa che causa tremore spastico; la serotonina causa la contrazione del muscolo liscio; il GABA è uno dei maggiori neurotrasmettitori inibitori nel cervello; l’istamina è coinvolta nelle risposte allergiche (come sanno le persone affette da allergia, che assumono antistaminici) e nel controllo della secrezione di acido da parte dello stomaco. La biosintesi di ciascuna di queste ammine fisiologicamente attive richiede la decarbossilazione del corrispondente amminoacido precursore. Le decarbossilasi degli amminoacidi sono enzimi PLP-dipendenti che formano una base di Schiff-PLP con il substrato, in modo da stabilizzare (tramite delocalizzazione) il carbanione Ca che si forma in seguito alla scissione del legame Ca–COOÐ (Paragrafo 21.2A): H

H

C

Cα C N +

O– H

...

R

O

O–

2–

O3PO + N

CH3

H

La formazione dell’istamina (dall’istidina) e del GABA (dal glutammato) sono processi che avvengono in un’unica tappa; la sintesi della serotonina a parti-

CH2

NH

R

H X = OH, R = CH3 Adrenalina X = OH, R = H Noradrenalina X = H, R=H Dopamina CH2

HO

NH3+

CH2

N Serotonina (5-idrossitriptammina) –

OOC

CH2

CH2

NH3+

CH2

Acido g-amminobutirrico (GABA) CH2

N NH

CH2

NH3+

Istamina

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Diidrobiopterina + H2O HO

Tetraidrobiopterina + O2 H HO

CH2

C

H COO–

NH+ 3

1 tirosina idrossilasi

HO

C

CH2

COO–

Melanina

NH+ 3

Tirosina

Diidrossifenilalanina (L-DOPA) decarbossilasi degli 2 amminoacidi aromatici

CO2

HO HO

CH2

CH2

NH+ 3

Dopamina O2 + Ascorbato H2O + Deidroascorbato S-Adenosilomocisteina

HO

S-Adenosilmetionina

OH HO

C

CH2

H

N H

CH3

4 feniletanolammina N-metiltransferasi

dopamina b-idrossilasi

3

HO OH HO

C

CH2

NH3+

H Noradrenalina

Adrenalina

Figura 21.39 La sintesi in sequenza di l-DOPA, dopamina, noradrenalina e adrenalina a

partire da tirosina.

OH OH

Catecolo

re dal triptofano richiede una ossidrilazione e una decarbossilazione. Le diverse catecolammine (la dopamina, la noradrenalina e l’adrenalina) sono correlate con il catecolo (a sinistra) e sono sintetizzate in sequenza a partire dalla tirosina (Figura 21.39). 1. La tirosina è ossidrilata a 3,4-diidrossifenilalanina (l-DOPA) in una reazione che necessita di 5,6,7,8-tetraidrobiopterina (Figura 21.26). 2. La l-DOPA è decarbossilata a dopamina. 3. Una seconda reazione di ossidrilazione produce noradrenalina. 4. La metilazione del gruppo amminico della noradrenalina da parte dell’S-adenosilmetionina (Figura 21.18) produce adrenalina.

Il tipo specifico di catecolammina prodotto da una cellula dipende da quali enzimi della via metabolica sono presenti. Nella midollare del surrene, per esempio, l’adrenalina è il prodotto predominante; in alcune aree del cervello è più comune la noradrenalina; in altre aree la via metabolica si ferma alla dopamina. Nei melanociti, la l-DOPA è il precursore delle melanine rosse e nere, polimeri legati in modo irregolare che conferiscono ai peli e alla pelle molto del loro colore.

C L’ossido di azoto deriva dall’arginina L’arginina è il precursore di una sostanza che in origine era stata chiamata fattore di rilassamento derivato dall’endotelio (EDRF) perché era sintetizzata dalle

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Il metabolismo degli amminoacidi

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cellule dell’endotelio vascolare e causava il rilassamento del sottostante muscolo liscio. Il segnale della vasodilatazione non era un peptide, come ci si attendeva, ma un radicale libero stabile, l’ossido di azoto, NO. La scoperta che l’NO è un vasodilatatore deriva in parte dagli studi che hanno identificato nell’NO il prodotto di decomposizione che media gli effetti vasodilatatori di composti come la nitroglicerina (a destra). La nitroglicerina è spesso somministrata agli individui che soffrono di angina pectoris (una malattia causata da insufficiente irrorazione sanguigna del muscolo cardiaco), per alleviare rapidamente ma per breve tempo il dolore al petto. La reazione che trasforma l’arginina in NO e citrullina è catalizzata dalla ossido di azoto sintasi (NOS):

CH2

CH

CH2

O

O

O

NO2

NO2 NO2

813

Nitroglicerina

OH + NH 2

H 2N C

H 2N NADPH + O2

NH

C

NADP+ + H 2O

NH

1 2

NADPH + O2

O C

1 2

NADP+ + H 2O

NH

CH 2

CH 2

CH 2

CH 2

CH 2

CH 2

CH 2 H3N+

H 2N

N

C

CH 2 COO–

H 3N+

H

C

CH 2 COO–

H 3N+

H

L-Arginina

L-Idrossiarginina

?NO 1

ONOO2

1

H1

C

COO–

H L-Citrullina

La reazione procede tramite la formazione di un intermedio idrossiarginina-enzima e richiede la presenza di vari coenzimi redox. La NOS è una proteina omodimerica con subunità da 125 a 160 kD; ciascuna subunità contiene una molecola di FMN, una di FAD, una di tetraidrobiopterina (Figura 21.26) e un Fe(III)-eme. Questi cofattori facilitano l’ossidazione a cinque elettroni dell’arginina per produrre NO. Poiché è un gas, l’NO diffonde rapidamente attraverso le membrane cellulari, anche se la sua alta reattività (emivita di circa 5 secondi) ne impedisce l’azione a una distanza superiore a circa 1 mm dal suo sito di sintesi. L’NO è prodotto dalle cellule endoteliali in risposta a una grande varietà di agenti e di condizioni fisiologiche. Anche le cellule nervose sintetizzano NO (la NOS neuronale ha il 55% circa di omologia con quella endoteliale). Questa sintesi di NO indipendente dall’endotelio causa la dilatazione delle arterie cerebrali e di altre arterie, ed è responsabile dell’erezione del pene (Paragrafo 13.4C). Nel cervello è contenuta una quantità di NOS maggiore rispetto a quella degli altri tessuti del corpo: questo induce a ritenere che l’NO sia essenziale per la funzione del sistema nervoso centrale. Un terzo tipo di NOS è presente nei leucociti (globuli bianchi). Queste cellule producono NO come parte del loro arsenale citotossico. L’NO si combina con l’anione superossido (Paragrafo 18.4B) per produrre il perossinitrito (ONOO2), che si combina con un protone decadendo a biossido di azoto (NO2) e radicale ossidrilico (?OH):

?O22 n

+ .NO

34 ONOOH n ?NO2 1 ?OH

L’?OH, fortemente reattivo, uccide i batteri invasori. Il rilascio prolungato di NO è stato correlato allo shock endotossico (una eccessiva e spesso fatale reazione del sistema immunitario nei confronti di un’infezione batterica), ai danni tessutali conseguenti a un’infiammazione e ai danni ai neuroni che si trovano nelle vicinanze ma non sono direttamente distrutti da un ictus (il rilascio di NO provoca spesso danni maggiori di quelli dell’ictus stesso).

PUNTO DI VERIFICA

• Quali sono i materiali di partenza per la sintesi dell’eme?

• In che cosa la regolazione della sintesi dell’eme si differenzia tra fegato e reticolociti?

• Quali sono i prodotti finali del metabolismo dell’eme?

• Identificate gli amminoacidi che danno origine alle catecolammine, alla serotonina, al GABA e all’istamina.

• Quali sono i substrati e i prodotti della reazione catalizzata dall’ossido di azoto sintasi?

• In che cosa l’NO si differenzia dalle molecole segnale come le catecolammine?

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7 La fissazione dell’azoto CONCETTI CHIAVE

• La riduzione dell’N2 a NH3 catalizzata dalla nitrogenasi è un processo energeticamente costoso.

• L’ammoniaca viene incorporata negli amminoacidi dalla reazione catalizzata dalla glutammato sintetasi.

Figura 21.40 Noduli radicali di una pianta di soia. I batteri del genere Rhizobium, che effettuano la fissazione dell’azoto, vivono in simbiosi all’interno dei noduli radicali di questi legumi. [© Dan Guravich/Science Source Images]

I principali elementi chimici presenti nei sistemi viventi sono O, H, C, N e P. Gli elementi O, H e P sono ampiamente rappresentati in molte forme metabolicamente disponibili (H2O, O2 e Pi). Tuttavia le principali forme di C e N, CO2 e N2 sono estremamente stabili (cioè poco reattive); per esempio, il triplo legame NqN è caratterizzato da una energia di legame di 945 kJ ? mol21 (un singolo legame COO ha una energia di legame di 351 kJ ? mol21). Il CO2, con poche eccezioni, è metabolizzato (fissato) solo tramite la fotosintesi (Capitolo 19). La fissazione dell’azoto è un processo ancora meno comune; questo elemento è trasformato in forme metabolicamente utili solo da pochi ceppi batterici, detti diazotrofi. Sono diazotrofi alcuni cianobatteri marini e batteri terrestri del genere Rhizobium che vivono in simbiosi con le cellule dei noduli delle radici dei legumi (piante che appartengono alla famiglia delle leguminose, come i piselli, i fagioli, il trifoglio e l’erba medica; Figura 21.40). La particolarità della fissazione biologica dell’azoto, che avviene a temperatura e pressione ambientali, si può dedurre dal confronto con il processo Haber-Bosch per la produzione industriale di ammoniaca a partire da N2 e H2: questa avviene a circa 400 °C e circa 200 atm e richiede un catalizzatore a base di ferro. Una volta che l’N2 è stato fissato, l’azoto viene assimilato (incorporato) nelle molecole biologiche sotto forma di gruppi amminici che possono poi essere trasferiti ad altre molecole. In questo paragrafo esamineremo il processo della fissazione dell’azoto e della sua assimilazione.

A La nitrogenasi riduce l’N2 a NH3 I diazotrofi producono l’enzima nitrogenasi, che catalizza la riduzione di N2 a NH3: N2 1 8 H1 1 8 e2 116 ATP 116 H2O n 2 NH3 1 H2 1 16 ADP 1 16 Pi

Nei legumi, questo sistema di fissazione dell’azoto produce più azoto metabolicamente utile di quanto sia necessario alla pianta; l’eccesso è eliminato nel suolo, arricchendolo. È quindi una comune pratica agricola seminare periodicamente erba medica in un campo, per ricostituire la riserva di azoto nel suolo utilizzabile in futuro per far crescere altre piante. La nitrogenasi contiene nuovi centri redox. La nitrogenasi, che catalizza la ridu-

zione dell’N2 a NH3, è un complesso di due proteine. 1. La Fe-proteina, un omodimero che contiene un centro [4Fe-4S] e due siti di legame per l’ATP. 2. La proteina MoFe, un eterotetramero di tipo a2b2 che contiene Fe e Mo. La struttura ai raggi X della nitrogenasi di Azotobacter vinelandii, unita all’inibitore ADP ? AlF42 (strutturalmente simile allo stato di transizione della reazione di idrolisi dell’ATP), determinata da Douglas Rees, rivela che ogni proteina MoFe è associata a due molecole di Fe-proteina (Figura 21.41). Ciascun gruppo [4Fe-4S] del dimero della Fe-proteina si trova in una fessura esposta al solvente, situata tra le due subunità, ed è simmetricamente legato ai residui di Cys 97 e di Cys 132 di entrambe le subunità; la Fe-proteina

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Interruttore I

[4Fe–4S] Centro P

ADP-AlF4– Cofattore FeMo

ha una struttura simile a una farfalla, con il gruppo [4Fe-4S] come testa. I suoi siti di legame per il nucleotide si trovano all’interfaccia tra le due subunità. Le subunità a e b della proteina MoFe hanno ripiegamenti simili e si associano strettamente tra loro, formando un dimero ab con una doppia pseudo-simmetria. Due di queste subunità si associano in modo più blando, formando un tetramero a2b2 a doppia simmetria (Figura 21.41). Ciascun dimero ab ha due centri redox legati. 1. Il centro P (Figura 21.42a,b) è costituito da due centri [4Fe-3S], legati tra loro mediante un altro ione solfuro, che forma l’ottavo angolo di entrambe le strutture cuboidali. I due centri FeS sono uniti a ponte tramite due ligandi tiolici di residui di Cys, ognuno dei quali coordina un Fe di ciascun gruppo. Quattro ulteriori tioli Cys coordinano i restanti quattro atomi di Fe. Le posizioni di due degli atomi di Fe in uno dei centri [4Fe-3S] cambiano al momento dell’ossidazione, scindendo i legami tra questi atomi Fe e lo ione solfuro di collegamento. Nello stato ossidato questi legami sono sostituiti da un ossigeno di un residuo di Ser che si lega a uno degli atomi di Fe, e da un legame N-amidico di un residuo di Cys dell’altro atomo di Fe. 2. Il cofattore FeMo (Figura 21.42c) è costituito da un centro [4Fe-3S] e da un centro [1Mo-3Fe-3S], legati da ponti costituiti da tre ioni solfuro. L’atomo di Mo del cofattore FeMo ha una forma approssimativamente ottaedrica, coordinata con tre atomi di zolfo del cofattore, un atomo di azoto di un imidazolo istidinico e due atomi di ossigeno di uno ione omocitrato (un componente essenziale del cofattore FeMo; a destra). Una cavità centrale nel cofattore FeMo contiene uno ione carburo (C42). Lo ione è legato ai sei atomi centrali di Fe del cofattore FeMo in modo tale da completare la coordinazione approssimativamente tetraedrica di ciascuno di questi atomi di Fe. Il cofattore FeMo forma il sito di legame per N2, anche se a oggi non si sa esattamente come ciò accada e come riduca N2 a NH3.

Interruttore II

Figura 21.41 Struttura ai raggi X della nitrogenasi di A. vinelandii unita ad ADP-AlF4–. L’enzima, rappresentato lungo il suo doppio asse di simmetria, è un etero-ottamero (abg2)2, in cui il complesso b-a-a-b (la proteina MoFe) è affiancato da due Fe-proteine g2 le cui subunità di 289 residui sono correlate mediante doppia simmetria. Le subunità omologhe a (in celeste e rosso; 491 residui) e b (in rosso chiaro e azzurro; 522 residui) presentano una simmetria pseudo-doppia. Le due subunità g che formano ciascuna Fe-proteina (in rosa e verde, con i tratti che formano gli interruttori I e II colorati rispettivamente in rosso e blu) si legano alla proteina MoFe mantenendo l’asse che le collega in posizione coincidente con l’asse pseudo-doppio che collega tra loro le subunità a e b della proteina MoFe. Il complesso ADP-AlF4–, il centro [4Fe–4S], il cofattore FeMo e il centro P sono mostrati in modello spaziale, con C in verde, N in blu, O in rosso, S in giallo, Fe in arancione, Mo in rosa e lo ione AlF4– in viola. [Basata su una struttura ai raggi X di Douglas Rees, California Institute of Technology. PDBid 1N2C.] COO– CH2 CH2 HO

Nella nitrogenasi l’idrolisi di ATP è accoppiata al trasferimento di elettroni. La

fissazione dell’azoto da parte della nitrogenasi richiede una fonte di elettroni: questi sono forniti ossidativamente o tramite la fotosintesi, a seconda degli organismi. Gli elettroni sono trasferiti alla ferredossina, un trasportatore di elet-

C

COO–

CH2 COO– Omocitrato

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Figura 21.42 I gruppi prostetici della proteina MoFe della nitrogenasi. Le molecole sono indicate nel modello a sfere e bastoncini, con C in verde, N in blu, O in rosso, S in giallo, Fe in arancione e Mo in rosa. (a) Il centro P ridotto di Klebsiella pneumoniae, costituito da due complessi [4Fe–3S] collegati da un altro ione solfuro, che forma l’ottavo angolo della struttura cuboidale ed è collegato a ponte da due ligandi tiolici Cys, ciascuno coordinato a uno ione Fe di ciascun complesso. Altri quattro tioli Cys coordinano i restanti quattro atomi di Fe. (b) Il centro P di K. pneumoniae, con due elettroni coinvolti nell’ossidazione. Rispetto al complesso ridotto della Parte (a), due dei legami Fe–S dello ione solfuro centrale che funge da ponte tra i due centri [4Fe-3S] sono stati sostituiti da ligandi provenienti dal gruppo N-amidico del residuo di Cys 87α e dall’O della catena laterale del residuo Ser 186b, producendo un centro [4Fe-3S] (a sinistra) e un centro [4Fe-4S] (a destra), che restano collegati da un legame diretto Fe–S e da due ponti tiolici Cys. (c) Il cofattore FeMo di A. vinelandii, costituito da un centro [4Fe–3S] e da uno [1Mo–3Fe–3S], legati a ponte tra loro da tre ioni solfuro. Il cofattore FeMo è legato alla proteina tramite due soli ligandi alle estremità opposte, uno che si estende dal residuo His 442α all’atomo di Mo e l’altro che si estende dal residuo di Cys 275a a un atomo di Fe. L’atomo di Mo è inoltre legato con doppio legame all’omocitrato. Quello che probabilmente è un atomo di N (sfera blu) è legato ai sei atomi centrali del centro FeMo (linee nere tratteggiate). [Le Parti (a) e (b) sono basate su una struttura ai raggi X di David Lawson, John Innes Centre, Norwich, GB. La Parte (c) è basata su una struttura ai raggi X di Douglas Rees, California Institute of Technology. PDBid (a) 1QGU, (b) 1QH1, e (c) 1M1N.]

(a)

(b)

Confrontate queste strutture con quelle dei centri [Fe-S] a pagina 634.

(c)

troni contenente [4Fe-4S], che trasferisce un elettrone alla Fe-proteina della nitrogenasi, dando inizio al processo di fissazione dell’azoto (Figura 21.43). Il trasferimento di elettroni durante la reazione della Omocitrato nitrogenasi richiede modificazioni conformazionali della proteina dipendenti dall’ATP e la dissociazione della proteina MoFe dopo ciascun trasferimento di elettroni. Durante il ciclo della reazione, due molecole di ATP si legano al dimero Fe-proteina ridotto. Con i nucleotidi legati, la Fe-proteina ha un potenziale redox di 20,40 V (in confronto a quello di 20,29 V della proteina senza nucleotidi) e questo rende il suo elettrone capace di ridurre l’N2 (per la reazione N2 1 6 H1 1 6 e2 34 2 NH3, ℰ°′ è 20,34 V). In che modo ciò che avviene nel sito di legame dell’ATP è correlato al trasferimento di elettroni? Studi strutturali dimostrano che il legame di ADP ? AlF42 alla Fe-proteina induce modificazioni conformazionali in due regioni della Fe-pro2 ADP (Ferredossina)rid

(Fe-proteina)oss

(Ferredossina)oss

(Fe-proteina)rid

+

2 Pi

(Proteina MoFe)rid

N2

+

8H

+

fotosintesi o trasporto ossidativo degli elettroni Figura 21.43 Il flusso degli elettroni

nella riduzione di N2 catalizzata dalla nitrogenasi.

8 volte

(Proteina MoFe)oss 2 ATP

2 NH 3 + H 2

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teina, dette interruttore I e interruttore II (Figura 21.41), omologhi ai segmenti delle proteine G che trasducono segnali, in cui l’idrolisi del nucleotide è associata a modificazioni conformazionali (Paragrafo 13.3B). A livello dell’interruttore I, queste variazioni conformazionali interessano le interazioni fra la Fe-proteina e la proteina MoFe, mentre in corrispondenza dell’interruttore II influenzano l’ambiente del centro [4Fe-4S]. Le strutture ai raggi X della Fe-proteina da sola e associata a ADP o ATP indicano che l’idrolisi dell’ATP provoca una rotazione delle due subunità di circa 13° l’una verso l’altra. Questa modificazione conformazionale porta il centro [4Fe-4S] in posizione più vicina al centro P della adiacente proteina MoFe (a una distanza da 18 a 14 Å), favorendo quindi il trasferimento di elettroni dalla Fe-proteina alla proteina MoFe. Il trasferimento di elettroni avviene rapidamente: prima, un elettrone si sposta dal centro P della proteina MoFe al cofattore FeMo, poi un elettrone dalla Fe-proteina riduce il centro P. L’idrolisi di ATP non guida il trasferimento di elettroni, come si pensava una volta, ma avviene in seguito. Studi nella cinetica della nitrogenasi indicano che la tappa che limita la velocità di riduzione dell’N2 è la dissociazione della Fe-proteina dalla proteina MoFe. Subito dopo il trasferimento di elettroni, la Fe-proteina idrolizza i due ATP legati ad ADP, rilasciando Pi, e alla fine, nel passaggio più lento del ciclo catalitico, le proteine si separano. Quindi, la Fe-proteina funziona come una proteina G, in cui l’idrolisi del nucleotide induce un evento di dissociazione (Paragrafo 13.3B). La riassociazione della Fe-proteina e della proteina MoFe avviene appena la Fe-proteina accetta un altro elettrone e scambia i suoi due ADP con due ATP. La riduzione di N2 ha un costo energetico. L’effettiva riduzione dell’N2 avviene

sulla proteina MoFe mediante tre tappe separate, ciascuna delle quali coinvolge una coppia di elettroni: 2 H+ N

N

+ 2 e– H

2 H+ N

N

H

+ 2 e–

H N H

Diimmina

H

2 H+

N

+ 2 e– 2 NH3

H

Idrazina

Per ogni molecola di N2 fissato è necessario ripetere per sei volte il trasferimento di un elettrone, quindi per fissare una sola molecola di N2 sono necessari 12 ATP. La nitrogenasi riduce tuttavia anche H2O a H2, che a sua volta reagisce con la diimmina per riformare N2. HN5NH 1 H2 n N2 1 2 H2 Questo ciclo futile è favorito quando i livelli di ATP sono bassi o la riduzione della Fe-proteina è lenta. Tuttavia, anche quando vi è abbondanza di ATP il ciclo non può essere represso oltre la produzione di una molecola di H2 per ogni molecola di N2 ridotta, una condizione che sembra quindi indispensabile per la reazione della nitrogenasi. Il costo totale della riduzione dell’N2 è quindi di 8 elettroni trasferiti e di 16 ATP idrolizzati. In condizioni fisiologiche cellulari, però, il costo è vicino a 20-30 ATP. La fissazione dell’azoto è dunque un processo energeticamente dispendioso. Anche se l’N2 atmosferico è per tutti gli esseri viventi la fonte principale di azoto, la maggior parte delle piante non sostiene la crescita simbiotica dei batteri che fissano l’azoto. Queste piante devono quindi dipendere da una fonte di azoto “prefissato”, per esempio sotto forma di nitrato o di ammoniaca. Questi nutrienti possono provenire dalle scariche elettriche dei fulmini (la fonte di circa il 10% dell’azoto fissato in natura), dal materiale organico in decomposizione nel suolo o dai fertilizzanti (circa 50% dell’azoto fissa-

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to è oggi generato dal processo chimico di Haber-Bosch). Uno dei maggiori obiettivi a lungo termine dell’ingegneria genetica è quello di indurre piante non leguminose, utili dal punto di vista agricolo, a fissare l’azoto di cui necessitano. Questo libererebbe i coltivatori (particolarmente quelli dei Paesi in via di sviluppo) dalla necessità di acquistare fertilizzanti e consentirebbe loro di lasciare riposare i campi (permettendo la crescita dei legumi), evitando di applicare le tecniche di taglia-e-brucia che stanno rapidamente portando alla distruzione delle foreste tropicali. La leghemoglobina protegge la nitrogenasi dall’inattivazione da parte dell’ossigeno. La nitrogenasi viene rapidamente inattivata dall’O2, quindi l’enzima

deve essere protetto da questa sostanza reattiva. I cianobatteri garantiscono la protezione necessaria effettuando la fissazione dell’azoto in cellule specializzate, chiamate eterocisti, che hanno il fotosistema I ma sono prive del fotosistema II che genera O2 (Paragrafo 19.2C). Nei noduli radicali dei legumi (Figura 21.40), però, la protezione è fornita dalla leghemoglobina, un omologo dell’emoglobina. La porzione di globina di questa proteina monomerica di 145 residui che lega ossigeno è sintetizzata dalla pianta (una curiosità evolutiva, dato che le globine in altri casi si trovano solo negli animali), mentre l’eme è sintetizzato da Rhizobium (il che indica lo stretto rapporto di simbiosi tra il legume e Rhizobium). La leghemoglobina ha un’affinità molto alta per O2, in questo modo mantiene la pO2 abbastanza bassa da proteggere la nitrogenasi, mentre fornisce un trasporto passivo di O2 ai batteri aerobici.

B L’azoto fissato viene assimilato nelle molecole biologiche Dopo la trasformazione dell’N2 atmosferico in una forma biologicamente utile (per esempio, in ammoniaca), l’azoto deve essere assimilato (cioè inserito) nelle biomolecole di una cellula. Una volta inserito l’azoto in un amminoacido, il gruppo amminico può essere trasferito ad altri composti tramite transamminazione. Poiché molti organismi non fissano azoto e quindi devono assorbire azoto precedentemente fissato, le reazioni di assimilazione dell’azoto sono fondamentali per la conservazione di questo elemento essenziale. Abbiamo già descritto la reazione catalizzata dalla glutammina sintetasi (Paragrafo 21.5A), che nei microrganismi rappresenta un punto di ingresso metabolico dell’azoto fissato (negli animali, questa reazione aiuta a rimuovere l’eccesso di ammoniaca). La reazione della glutammina sintetasi richiede come substrato il glutammato, un composto contenente azoto. Quindi qual è la fonte del gruppo amminico del glutammato? Nei batteri e nelle piante, ma non negli animali, l’enzima glutammato sintasi trasforma l’a-chetoglutarato e la glutammina in due molecole di glutammato: a-Chetoglutarato 1 glutammina 1 NADPH 1 H1 n 2 glutammato 1 NADP1 Questa reazione di amminazione riduttiva richiede elettroni provenienti da NADPH e avviene in tre siti attivi distinti nell’eterotetramero a2b2 (Figura 21.44). Le strutture ai raggi X dell’enzima rivelano che i siti di legame dei substrati sono molto lontani tra loro. Di conseguenza, l’ammoniaca che è trasferita dalla glutammina all’a-chetoglutarato deve spostarsi lungo un tunnel di 31 Å nella proteina. Probabilmente l’incanalamento aiuta a impedire la perdita di NH3 in direzione del citosol e mantiene l’intermedio nel suo stato deprotonato, più reattivo (nel citosol NH3 acquisterebbe immediatamente un protone, diventando NH41). Il tunnel è inoltre bloccato dalle catene laterali di alcuni residui e si apre solo quando un a-chetoglutarato si lega all’enzima ed è disponibile il NADPH. A quanto pare, questo meccanismo impedisce una dispendiosa idrolisi di glutammina.

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Subunità ␣—sito 3 H

O

C

CH2

CH2

C

COO– + H2O

NH+ 3

H2N

H

O

3

NH3 + C –O

H+

CH2

CH2

C

COO–

NH+ 3 Glutammato

Glutammina

Subunità ␣—sito 2 incanalazione –OOC

O CH2

CH2

C

COO–

␣-Chetoglutarato

4 –OOC

CH2

CH2

C

COO– + H2O

NH ␣-Imminoglutarato Subunità ␤—sito 1 NADPH + H+

FAD 1

NADP+

H+

FMNH2 2

FADH2

5 FMN H –OOC

CH2

CH2

C

COO–

NH+3 Glutammato

Il risultato netto delle reazioni della glutammina sintetasi e della glutammato sintasi è

a-Chetoglutarato 1 NH1 4 1 NADPH 1 ATP n glutammato 1 NADP1 1 ADP 1 Pi Quindi l’attività combinata di questi due enzimi assimila l’azoto fissato (NH41) in un composto organico (α-chetoglutarato), producendo un amminoacido (glutammato). Una volta assimilato nel glutammato, l’azoto può essere usato per la sintesi di altri amminoacidi tramite transamminazione. Il ciclo dell’azoto descrive l’interconversione dell’azoto nella biosfera. L’ammo-

niaca prodotta dalla reazione della nitrogenasi e incorporata negli amminoacidi può, col tempo, essere riciclata nella biosfera, come descritto nel ciclo dell’azoto (Figura 21.45). Il nitrato è prodotto da alcuni batteri che ossidano NH3 a NO22 e quindi a NO32, un processo detto nitrificazione. Altri organismi ritrasformano il nitrato in N2: questo processo è detto denitrificazione. Il nitrato è inoltre ridotto a NH3 ad opera delle piante, dei funghi e di molti batteri; in questo processo, detto ammonificazione, la nitrato riduttasi catalizza la riduzione a due elettroni del nitrato al nitrito (NO22): NO32 1 2 H1 1 2 e2 n NO22 1 H2O e in seguito la nitrito riduttasi trasforma il nitrito in ammoniaca, NO22 1 7 H1 1 6 e2 n NH3 1 2 H2O

In alcuni batteri si verifica un’ossidazione anaerobica diretta di NH3 a N2, senza l’intermediazione del nitrato: questo processo è l’inverso della fissazione dell’azoto.

Figura 21.44 La reazione della glutammato sintasi. (1) Gli elettroni sono trasferiti dal NADPH al FAD in corrispondenza del sito attivo 1 sulla subunità b, producendo FADH2. (2) Gli elettroni si spostano dal FADH2 all’FMN nel sito 2, in corrispondenza di una subunità a, producendo FMNH2. (3) La glutammina è idrolizzata a glutammato e ammoniaca in corrispondenza del sito 3. (4) L’ammoniaca prodotta nella reazione 3 si sposta tramite incanalamento verso il sito 2, dove reagisce con l’a-chetoglutarato. (5) L’a-imminoglutarato prodotto dalla reazione è ridotto dall’FMNH2, formando glutammato.

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N2 atmosferico Denitrificazione

Fissazione dell’azoto

nitrogenasi

NO3–

Nitrato

Ammoniaca nitrito riduttasi

nitrato riduttasi

Decomposizione Biomolecole NH3 contenenti azoto Assimilazione

Ammonificazione NO2–

PUNTO DI VERIFICA

• Schematizzate il ruolo dell’ATP nella

Nitrato

fissazione dell’azoto.

• Perché quello della fissazione dell’azoto

Nitrificazione

è un processo così costoso dal punto di vista energetico?

• Descrivete le reazioni che assimilano l’NH3 negli amminoacidi. Quali sono le reazioni che avvengono nei mammiferi?

• Elencate gli enzimi del metabolismo degli amminoacidi in cui avviene l’incanalamento dei reagenti.

• In che modo viene fissato l’azoto riciclato nella biosfera?

Figura 21.45 Il ciclo dell’azoto. La fissazione dell’azoto catalizzata dalla nitrogenasi trasforma l’N2 in ammoniaca, biologicamente utilizzabile. Anche il nitrato può essere trasformato in ammoniaca per azione sequenziale della nitrato riduttasi e della nitrito riduttasi. L’ammoniaca è trasformata in N2 tramite nitrificazione seguita da denitrificazione. L’ammoniaca può essere assimilata in biomolecole contenenti azoto, che in seguito possono essere ridecomposte ad ammoniaca.

RIASSUNTO 1 La degradazione delle proteine

4 La degradazione degli amminoacidi

• Le proteine intra- ed extracellulari vengono riassorbite per endocitosi e degradate dalle proteasi lisosomiali. • Le proteine, dopo essere state marcate mediante l’aggiunta di diverse copie di ubiquitina, entrano nel proteasoma a forma di barile dove vengono digerite e degradate in frammenti più piccoli lunghi circa otto residui.

• I 20 amminoacidi “standard” sono degradati a composti che danno origine a glucosio, a corpi chetonici o ad acidi grassi, cioè piruvato, a-chetoglutarato, succinil-CoA, fumarato, ossalacetato, acetil-CoA o acetoacetato. • I cofattori coinvolti nella degradazione degli amminoacidi comprendono il PLP, il tetraidrofolato e la biopterina.

2 La deamminazione degli amminoacidi

5 La biosintesi degli amminoacidi

• La degradazione di un amminoacido inizia quasi sempre con la rimozione del gruppo amminico, tramite una reazione di transamminazione a cui partecipa il PLP. • Il glutammato subisce una deamminazione ossidativa formando a-chetoglutarato.

• Gli amminoacidi non essenziali sono sintetizzati, in tutti gli organismi, seguendo vie semplici che come materiali di partenza hanno piruvato, ossalacetato, a-chetoglutarato e 3-fosfoglicerato. • Gli amminoacidi essenziali, che vengono prodotti solo nelle piante e nei microrganismi, richiedono vie per la sintesi che sono più complicate e diverse a seconda dell’organismo considerato.

3 Il ciclo dell’urea • Un atomo di azoto proveniente dall’ammoniaca (un prodotto della deamminazione ossidativa del glutammato) e il bicarbonato vengono incorporati nel carbamil fosfato per entrare nel ciclo dell’urea. • Un secondo atomo di azoto, proveniente dall’aspartato, entra nel ciclo per produrre l’urea destinata all’escrezione. • La tappa che limita la velocità di questa via metabolica è quella catalizzata dalla carbamil fosfato sintetasi.

6 Gli altri prodotti del metabolismo degli

amminoacidi • Gli amminoacidi sono i precursori di varie biomolecole. La sintesi dell’eme comincia da glicina e succinil-CoA derivato dall’acetil-CoA. L’anello porfirinico viene costruito in una serie di reazioni che avvengono nei mitocondri e nel citosol.

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• I prodotti della degradazione dell’eme comprendono l’urobilina e la stercobilina. • Vari ormoni e neurotrasmettitori sono sintetizzati tramite la decarbossilazione e l’ossidrilazione di istidina, glutammato, triptofano e tirosina. • L’ossidazione a cinque elettroni dell’arginina produce il radicale stabile ossido di azoto, attivo dal punto di vista biologico.

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7 La fissazione dell’azoto • Nei batteri la fissazione dell’azoto, che richiede 8 elettroni e almeno 16 ATP, è catalizzata dalla nitrogenasi, una proteina costituita da più subunità e caratterizzata da centri redox contenenti Fe, S e Mo. • L’azoto fissato è inserito negli amminoacidi tramite le reazioni della glutammina sintetasi e della glutammato sintasi.

PROBLEMI 1. Spiegate perché la degradazione proteica nei proteasomi richie-

de ATP, anche se la proteolisi è un processo esoergonico. 2. Il composto mostrato di seguito inibisce un proteasoma degli archeobatteri, legandosi ai suoi siti attivi che, contrariamente ai proteasomi eucariotici, sono tutti uguali tra loro. Cosa si può concludere sulla specificità di substrato dei proteasomi degli archeobatteri? CH3 O CH3

C

(CH2)3 O Leu

Leu

NH

CH

14. L’E. coli è in grado di convertire il glutammato in ornitina. De-

scrivete le due reazioni coinvolte. 15. Quali sono le conseguenze metaboliche di un difetto nell’en-

zima che rimuove il gruppo uridililico nell’E. coli? 16. Molti tra gli erbicidi più diffusi inibiscono la sintesi degli am-

minoacidi aromatici. Spiegate perché questi composti non sono pericolosi per gli animali. 17. La sarcosina deidrogenasi catalizza la N-demetilazione del composto non standard sarcosina. Indicate il nome del prodotto di reazione.

CH H3C

3. Spiegate perché le fonti di stress cellulari quali le temperature

elevate o i danni ossidativi farebbero aumentare la produzione di proteasomi. 4. Il ritonavir, un inibitore della proteasi dell’HIV (Scheda 12.3), inibisce anche l’attività chimotripsina-simile del proteasoma. Spiegate perché questo doppio effetto inibitorio potrebbe contribuire all’insorgenza degli effetti collaterali neurotossici dovuti a un utilizzo prolungato del ritonavir. 5. Spiegate perché è stato evolutivamente vantaggioso per i nostri antenati sviluppare un recettore di gusto per il glutammato. 6. Una ossidasi degli l-amminoacidi presente nei perossisomi dei mammiferi richiede, come substrati, H2O e O2. Questo enzima catalizza la deamminazione degli amminoacidi formando H2O2, come prodotto della reazione. Scrivete un’equazione bilanciata per questa reazione. 7. Quali dei 20 amminoacidi “standard” sono (a) solo glucogenici, (b) soltanto chetogenici e (c) sia glucogenici sia chetogenici? 8. La degradazione degli amminoacidi alanina, cisteina, glicina, serina e treonina produce piruvato. Quale (o quali) tra i rimanenti 15 amminoacidi produce piruvato? 9. Nella via di degradazione dell’isoleucina (Figura 21.21), ricavate le reazioni che trasformano il tiglil-CoA in acetil-CoA e propionil-CoA. 10. Disegnate l’amminoacido-base di Schiff che si forma dalla scissione della 3-idrossichinurenina per produrre 3-idrossiantranilato, nella via di degradazione del triptofano (Figura 21.23, reazione 4) e indicate quale legame è scisso. 11. La tirosina e la cisteina sono comprese tra gli amminoacidi non essenziali ma una dieta sbilanciata può causare carenze di tirosina e di cisteina. Spiegate perché. 12. Spiegate perché le abitudini alimentari di differenti parti del mondo prevedono spesso combinazioni di cereali e legumi, come riso e fagioli, o couscous e lenticchie. 13. Quali sono i tre enzimi dei mammiferi in grado di reagire con NH41 e quindi di diminuirne la concentrazione?

O

H N

O



Sarcosina 18. Spiegate la modificazione chimica che avviene quando la chi-

nurenina (un prodotto di degradazione del triptofano) è convertita in chinurenato, una reazione in cui l’α-chetoglutarato è trasformato in glutammato. O N

– O

OH Chinurenato 19. Da quale amminoacido deriva il 2-feniletanolo e quali modi-

ficazioni chimiche avvengono durante la conversione? OH

2-Feniletanolo 20. Da quale amminoacido deriva la molecola di segnale tiram-

mina? NH+ 3

HO Tirammina 21. Da quale amminoacido deriva il composto agmatina? NH2 1H N 3

(CH2)4

NH

Agmatina

C

NH1 2

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CAPITOLO 21

Il metabolismo degli amminoacidi

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22. Il composto mostrato sotto viene utilizzato per trattare l’infe-

zione da tripanosoma. Quale amminoacido ricorda? H2N ⫹H N 3

O

(CH2)3

C

C

H

C

F

O⫺

F

23. Descrivete le reazioni che convertono l’adrenalina nel compo-

sto mostrato qui. CH3

OH

O–

O O HO

24. Spiegate perché gli inibitori della monoammina ossidasi

(MAO), l’enzima che catalizza una delle reazioni di degradazione dell’adrenalina (Problema 23), sono spesso usati come farmaci per trattare i disturbi dell’umore. 25. Uno dei sintomi del kwashiorkor, la carenza di proteine nella dieta nei bambini, è la depigmentazione della pelle e dei capelli. Spiegate le basi biochimiche di questo sintomo. 26. Da quale amminoacido deriva la melatonina? Descrivete le modificazioni che sono avvenute. H3C

O

HN

HN

CH3 O

Melatonina

27. Alcuni diazotrofi, oltre alla proteina MoFe, producono una

proteina Vfe contenente vanadio. La nitrogenasi contenente vanadio converte l’N2 in NH3 e converte anche il CO in composti quali etano e propano. Quale aspetto della reazione della nitrogenasi standard è responsabile della produzione degli alcani? 28. Il Nitrosomonas è un batterio chemioautotrofo fotofobico che converte l’ammoniaca in nitriti. Spiegate in che modo l’organismo può fissare il CO2 attraverso il ciclo di Calvin in assenza di luce. DOMANDE DIFFICILI 29. Spiegate perché i sintomi di una parziale carenza di un enzima

del ciclo dell’urea possono essere attenuati da una dieta a basso contenuto di proteine. 30. La produzione degli enzimi che catalizzano le reazioni del ciclo dell’urea può aumentare o diminuire, a seconda delle necessità metaboliche dell’organismo. Livelli elevati di questi enzimi sono associati a diete ad alto contenuto proteico e al digiuno. Spiegate questo apparente paradosso.

31. (a) Quanti equivalenti di ATP vengono consumati dalle rea-

zioni del ciclo dell’urea? (b) Il ciclo dell’urea può generare più ATP di quanto invece ne consuma. Spiegate perché. 32. Helicobacter pylori, il batterio responsabile dell’ulcera gastrica, può sopravvivere nello stomaco (dove il pH è molto basso, fino a 1,5), in parte perché sintetizza grandi quantità dell’enzima ureasi. (a) Scrivete la reazione di idrolisi dell’urea ad opera dell’ureasi. (b) Spiegate perché questa reazione può aiutare a stabilire un ambiente più ospitale per H. pylori, che tollera un ambiente acido ma preferisce crescere a valori di pH prossimi alla neutralità. 33. Diversamente dagli altri 19 amminoacidi, la lisina non subisce transamminazioni. Qual è il destino dei suoi amminogruppi α e ε quando viene carbossilata? 34. Confrontate la formazione di ATP dall’ossidazione a CO2 del glutammato e della metionina, contenenti entrambi cinque atomi di carbonio. 35. Il PLP è il cofattore di molti enzimi coinvolti nel metabolismo degli amminoacidi. Fornite un esempio di reazione in cui il PLP partecipa al taglio dei legami a, b e c di un amminoacido, come disegnato nella Figura 21.8, in alto a destra. 36. Compilate un elenco di tutti i cofattori coinvolti nell’aggiunta o nella rimozione di gruppi monocarboniosi nel metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e degli amminoacidi. Fornite un esempio di reazione che utilizzi ognuno dei cofattori elencati. 37. Il nucleotide deossiuridilato (dUMP) viene convertito in deossitimidilato (dTMP) tramite metilazione. Questo potrebbe spiegare perché le cellule cancerose in rapida divisione consumano grandi quantità di glicina? 38. Le cellule proliferanti hanno bisogno di NADPH per i processi biosintetici. Gran parte del NADPH è fornito dalla via dei pentosio-fosfati, ma anche il 10-formil tetraidrofolato è una fonte di potere riducente. Spiegate perché. 39. Le cellule staminali embrionali di topo producono elevate quantità di treonina deidrogenasi, la cui attività sembra essere essenziale per mantenere alti livelli di S-adenosilmetionina. Spiegate il legame tra il metabolismo della treonina e la produzione di SAM. 40. Le piante di riso che sono state modificate geneticamente in modo da sovraesprimere l’alanina-amminotransferasi hanno bisogno di circa due terzi in meno di fertilizzante rispetto alle piante di controllo. Cosa ci dice questa informazione sul processo di assimilazione dell’azoto? 41. Gli eterozigoti per la protoporfiria eritropoietica mostrano solo il 20-30% di attività della ferrochelatasi rispetto al 50% che normalmente ci si aspetta per una malattia ereditaria autosomica dominante. Fornite una spiegazione plausibile per questa osservazione.

APPROFONDIMENTO In che modo i batteri che ossidano anaerobicamente l’ammoniaca (anammox) partecipano al ciclo dell’azoto? Dove vivono questi organismi? Come fanno a contenere gli intermedi tossici del loro metabolismo specializzato?

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Il metabolismo degli amminoacidi

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C A P I T O L O

2 2

Il metabolismo energetico dei mammiferi: integrazione e regolazione Le cellule adipose mostrate qui non sono semplicemente un deposito di trigliceridi in eccesso. Invece, esse hanno nell’organismo un ruolo attivo nelle attività giornaliere di acquisizione, accumulo e mobilizzazione dei combustibili metabolici. [Science Photo Library/ SuperStock.]

Anche nella cellula procariotica più semplice i processi metabolici devono essere coordinati in modo che vie metaboliche opposte non siano in funzione contemporaneamente e che l’organismo possa rispondere tempestivamente a eventuali variazioni delle condizioni esterne, come per esempio la disponibilità di nutrienti. Le attività metaboliche dell’organismo devono inoltre soddisfare le necessità di crescita e di riproduzione, geneticamente programmate. I problemi di coordinazione tra acquisizione e consumo di energia sono molto più complessi negli organismi pluricellulari, nei quali le singole cellule devono cooperare tra loro. Negli animali e nelle piante questo compito è semplificato dalla divisione del lavoro metabolico tra i tessuti. Negli animali l’interconnessione dei vari tessuti è assicurata dai circuiti nervosi e dagli ormoni. Questi sistemi regolatori non solo attivano e disattivano le cellule, ma inducono una gamma quasi infinita di risposte. L’esatta risposta di una cellula a un determinato segnale di regolazione dipende dalla sua capacità di riconoscere il segnale e dalla presenza di segnali sinergici o antagonisti. Lo studio del metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e degli amminoacidi nei mammiferi (Capitoli 15-21) sarebbe incompleto senza un’analisi del modo in cui questi processi sono coordinati a livello molecolare e del modo in cui i loro problemi di funzionamento provocano malattie. In questo capitolo esamineremo in modo sintetico il metabolismo specializzato di vari organi e le vie metaboliche che li collegano; esamineremo inoltre i meccanismi tramite i quali gli ormoni extracellulari influenzano gli eventi intracellulari. Concluderemo il capitolo con una discussione sulle disfunzioni del metabolismo energetico nei mammiferi.

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1 La specializzazione degli organi CONCETTI CHIAVE

• Le principali vie metaboliche del glucosio, degli acidi grassi e degli amminoacidi convergono su piruvato e acetil-CoA.

• Il glucosio è il principale combustibile del cervello. • I muscoli possono generare ATP sia anaerobicamente che aerobicamente. • Il tessuto adiposo immagazzina i triacilgliceroli e rilascia gli acidi grassi a seconda delle necessità.

• Il fegato rende disponibili per gli altri tessuti tutti i tipi di combustibili. • Alcuni processi metabolici necessitano della cooperazione tra i vari organi. Molte delle vie metaboliche finora considerate ossidano i carburanti metabolici per la produzione di ATP. Queste vie, che comprendono la sintesi e la degradazione del glucosio, degli acidi grassi e degli amminoacidi, sono riassunte nella Figura 22.1.

1. Glicolisi. La degradazione metabolica del glucosio inizia con la sua trasformazione in due molecole di piruvato e la produzione netta di due molecole di ATP (Paragrafo 15.1). 2. Gluconeogenesi. I mammiferi possono sintetizzare glucosio a partire da vari precursori, come il piruvato, tramite una serie di reazioni che in gran parte sono l’inverso della glicolisi (Paragrafo 16.4). 3. Sintesi e degradazione del glicogeno. Le reazioni opposte catalizzate dalla glicogeno fosforilasi e dalla glicogeno sintasi sono reciprocamente regolate tramite un processo di fosforilazione e defosforilazione controllato a livello ormonale (Paragrafo 16.3). 4. Sintesi e degradazione degli acidi grassi. Gli acidi grassi sono degradati ad acetil-CoA tramite la b-ossidazione (Paragrafo 20.2); mediante la sua trasformazione in malonil-CoA, l’acetil-CoA è anche il substrato per la sintesi degli acidi grassi (Paragrafo 20.4).

Proteina

Glicogeno sintesi del glicogeno

Amminoacido degradazione degli amminoacidi

Triacilglicerolo

degradazione del glicogeno Acidi grassi

Glucosio-6-fosfato

sintesi gluconeogenesi degli amminoacidi

glicolisi

ATP

sintesi degli acidi grassi

β-ossidazione

ATP

ATP Piruvato

Acetil-CoA Corpi chetonici

Urea

Ciclo Ossalacetato dell’acido citrico

fosforilazione ossidativa ATP

Figura 22.1 Le principali vie del metabolismo energetico nei mammiferi. Proteine, glicogeno e triacilgliceroli sono sintetizzati a partire da unità più piccole e degradati nelle stesse unità: amminoacidi, glucosio6-fosfato e acidi grassi. L’ossidazione di questi metaboliti produce l’energia metabolica sotto forma di ATP. Il piruvato (prodotto di degradazione del glucosio e degli amminoacidi) e l’acetil-CoA (prodotto di degradazione del glucosio, degli amminoacidi e degli acidi grassi) occupano posizioni centrali nel metabolismo energetico dei mammiferi. I composti che generano piruvato, come ad esempio l’ossalacetato, possono essere utilizzati per la gluconeogenesi; l’acetil-CoA può dare origine ai corpi chetonici ma non al glucosio. Non tutte le vie metaboliche indicate nella figura sono presenti in tutte le cellule o avvengono contemporaneamente nella stessa cellula.

Quali vie sono primariamente ossidative? Quali sono invece primariamente riduttive?

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5. Ciclo dell’acido citrico. Il ciclo dell’acido citrico (Paragrafo 17.1) ossida l’acetil-CoA a CO2 e H2O, con la concomitante produzione di coenzimi ridotti la cui riossidazione favorisce la sintesi di ATP. Molti amminoacidi glucogenici possono essere ossidati nel ciclo dell’acido citrico, dopo una degradazione che li trasforma in uno dei suoi intermedi (Paragrafo 21.4), i quali, a loro volta, sono degradati per formare piruvato e quindi acetil-CoA, l’unico substrato del ciclo. 6. Fosforilazione ossidativa. Questa via metabolica mitocondriale associa l’ossidazione del NADH e del FADH2, prodotti dalla glicolisi, dalla b-ossidazione e dal ciclo dell’acido citrico, alla fosforilazione dell’ADP (Paragrafo18.3). 7. Sintesi e degradazione degli amminoacidi. Gli amminoacidi in eccesso sono degradati negli intermedi metabolici della glicolisi o del ciclo dell’acido citrico (Paragrafo. 21.4). Il gruppo amminico è eliminato tramite la sintesi dell’urea (Paragrafo 21.3). Gli amminoacidi non essenziali sono sintetizzati tramite vie metaboliche che iniziano con metaboliti comuni (Paragrafo 21.5A).

CONCETTI DI BASE Lo stato stazionario Il metabolismo di ogni singola cellula – o di un intero organismo – raggiunge uno stato stazionario non all’equilibrio, in cui i materiali grezzi entrano ed escono continuamente dal sistema. Di conseguenza, i processi metabolici non raggiungono mai l’equilibrio. Le cellule possono adattarsi alle condizioni variabili, come la quantità e il tipo di nutrienti disponibili, o la necessità di crescita e differenziamento, regolando il flusso attraverso varie vie metaboliche per raggiungere un nuovo stato stazionario non all’equilibrio.

Due composti si trovano nei punti di incrocio delle principali vie metaboliche: l’acetil-CoA e il piruvato (Figura 22.1). L’acetil-CoA è il prodotto comune della degradazione del glucosio, degli acidi grassi e degli amminoacidi chetogenici. Il suo gruppo acetilico può essere ossidato a CO2 e H2O attraverso il ciclo dell’acido citrico e la fosforilazione ossidativa, oppure usato per la sintesi di corpi chetonici o di acidi grassi. Il piruvato è il prodotto della glicolisi e della degradazione degli amminoacidi glucogenici; può essere decarbossilato in modo ossidativo ad acetil-CoA, destinando quindi i suoi atomi di carbonio all’ossidazione o alla biosintesi degli acidi grassi. In alternativa, il piruvato può essere carbossilato attraverso la reazione della piruvato carbossilasi, formando ossalacetato che può rifornire degli intermedi il ciclo dell’acido citrico, oppure produrre glucosio o alcuni amminoacidi. Solo pochi tessuti, come per esempio il fegato, sono in grado di catalizzare tutte le reazioni della Figura 22.1; in una data cellula, inoltre, solo una minima parte di tutte le possibili reazioni metaboliche avviene a velocità significativa. Ciò nonostante, circa il 60% di tutti gli enzimi metabolici responsabili delle funzioni essenziali “costitutive” della cellula sono espressi a un determinato livello in tutti i tessuti del corpo umano. Un’analisi dei proteomi tessuto-specifici (www.proteinatlas.org) dimostra che il fegato è l’organo metabolicamente più attivo, seguito dal tessuto adiposo e dai muscoli scheletrici. Considereremo il metabolismo di cinque organi dei mammiferi: cervello, muscolo, tessuto adiposo, fegato e rene. I metaboliti transitano in questi organi seguendo vie metaboliche ben definite, all’interno delle quali il flusso varia in funzione dello stato nutrizionale dell’animale (Figura 22.2). Per esempio, immediatamente dopo un pasto, il glucosio, gli amminoacidi e gli acidi grassi sono resi direttamente disponibili dall’intestino. In seguito, quando questi carburanti metabolici sono esauriti, il fegato rifornisce gli altri tessuti di glucosio e corpi chetonici, mentre il tessuto adiposo li rifornisce di acidi grassi. Tutti questi organi sono collegati tra loro tramite il circolo sanguigno. Inoltre, le attività metaboliche di molti microrganismi contribuiscono al metabolismo energetico dei mammiferi (Scheda 22.1).

A Il cervello necessita di un costante rifornimento di glucosio Il tessuto cerebrale ha una velocità di respirazione particolarmente elevata. Anche se rappresenta soltanto il 2% circa della massa corporea di un individuo adulto, il cervello dell’uomo è responsabile del consumo di circa il 20% dell’O2, in condizioni di riposo. La maggior parte dell’energia prodotta è utilizzata per alimentare la Na1–K1 ATPasi della membrana plasmatica (Para-

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Corpi chetonici NH3 α-Chetoglutarato

Glutammina

Cervello Glucosio

Rene

Corpi chetonici CO2 + H2O

Glucosio

Urea

Fegato Corpi chetonici

Lattato

Urea

Acetil-CoA

Acidi grassi Triacilgliceroli

Piruvato

Acidi grassi

Tessuto adiposo

Glucosio

Triacilgliceroli

Amminoacidi Proteine

+ Glicerolo

Glicerolo Glicogeno

Glucosio

Corpi chetonici

Lattato

Acidi grassi

Alanina + Glutammina

Piruvato

Muscolo

Amminoacidi CO2 + H2O

CO2 + H2O

Glucosio Glicogeno

grafo 10.3A), che mantiene il potenziale di membrana necessario per la trasmissione dell’impulso nervoso. In condizioni normali il glucosio è il carburante metabolico principale (anche se durante un digiuno prolungato il cervello gradualmente si adatta a consumare corpi chetonici; Paragrafo 22.4A). Gli astrociti e gli oligodendrociti, che agiscono come cellule di supporto piuttosto che come cellule principalmente coinvolte nella segnalazione elettrica (Paragrafo 10.2C), metabolizzano il glucosio per via anaerobica a un ritmo elevato e forniscono ai neuroni una parte del lattato prodotto, per una successiva ossidazione. Poiché le cellule del cervello contengono quantità molto piccole di glicogeno, esse necessitano di un rifornimento continuo di glucosio da parte del sangue. Una concentrazione ematica di glucosio inferiore alla metà del valore normale (∼5 mM) causa disfunzioni a livello cerebrale. Livelli ancora più bassi provocano coma, danni irreversibili e infine la morte.

B Il muscolo utilizza glucosio, acidi grassi e corpi chetonici I principali carburanti del muscolo sono il glucosio (dal glicogeno), gli acidi grassi e i corpi chetonici. In condizioni di riposo e di nutrizione abbondante il muscolo sintetizza e accumula glicogeno, che costituisce l’1-2% della sua mas-

Proteine

Figura 22.2 Le relazioni metaboliche tra cervello, tessuto adiposo, muscolo e fegato. Le frecce in rosso indicano le vie predominanti in condizioni di buona alimentazione.

Identificate la reazione o la via corrispondente a ogni freccia.

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SCHEDA 22.1

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LA BIOCHIMICA NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA

Il microbioma intestinale Il corpo umano contiene circa dieci migliaia di miliardi (1013) di cellule e vi sono probabilmente dieci volte tanti microrganismi che vivono nell’intestino. Questi organismi, la maggior parte dei quali sono batteri, formano una comunità perfettamente integrata chiamata microbioma. Un tempo si riteneva che la presenza di microbi all’interno del corpo fosse una forma di commensalismo, una correlazione in cui nessuna delle due parti aveva da guadagnarci o da perderci. Ora però è chiaro che il microbioma ha un ruolo attivo nel fornire i nutrienti (comprese alcune vitamine), nel regolare l’uso e l’immagazzinamento dei combustibili e nel prevenire le malattie. Gli studi di sequenziamento del DNA hanno rivelato che un individuo può ospitare da diverse centinaia ad alcune migliaia di specie differenti. La miscela rimane abbastanza costante durante la vita di una persona ma può notevolmente cambiare tra gli individui anche all’interno della stessa famiglia. Il Progetto del Microbioma Umano (http://www.hmpdacc.org) si prefigge di caratterizzare le specie che risiedono nel corpo umano e di determinare il loro contributo alla salute e alle malattie. Per esempio, il microbioma intestinale umano ha quattro tipi di comunità (vedi figura) che differiscono per l’abbondanza relativa dei differenti gruppi di microrganismi. Il tipo di comunità presente in un individuo è blandamente legato a fattori come il genere, il peso, la quantità di proteine o di grassi nella dieta, e se l’individuo è stato allattato al seno. All’interno di ciascuna comunità, la composizione in specie varia considerevolmente. Complessivamente, si stima che gli intestini umani ospitino circa 4000 specie, che rappresentano circa 800 000 geni. Anche se non c’è un microbioma “standard”, i batteri e i funghi nell’intestino tenue svolgono una serie di compiti comuni: essi fermentano i carboidrati non digeriti, soprattutto polisaccaridi che non possono essere degradati dagli enzimi digestivi umani, e producono acetato, propionato e butirrato. Questi acidi grassi a catena corta vengono assorbiti dall’ospite e trasformati in triacilgliceroli per una conservazione a lungo termine. Esistono evidenze sperimentali che dimostrano che gli individui magri e quelli obesi ospitano specie differenti di

Verrucomicrobia Tenericutes Fusobacteria Firmicutes Bacteroidetes Actinobacteria

A

B

C

D

Composizione del microbioma intestinale di quattro individui che rappresentano differenti tipi di comunità. [Basato sui dati di Lozupone, C.A., Stombaugh, J.I., Gordon, J.I., Jansson J.K e Knight, R. (2012) Nature 489, 220-230.]

batteri intestinali – gli individui obesi tendono ad avere meno Bacteriodetes e più Firmicutes – e che le loro proporzioni cambiano quando gli individui perdono peso. Questi risultati suggeriscono che alcune specie microbiche possano avere un ruolo nel rilasciare più calorie dagli alimenti, calorie che verrebbero immagazzinate come grasso. Paradossalmente, l’uso di dolcificanti artificiali non calorici (Scheda 8.2) può contribuire in realtà più all’obesità che non alla perdita di peso, promuovendo la crescita di specie microbiche più efficienti nella produzione di energia. I batteri intestinali producono anche sostanze, come la vitamina K, la biotina e il folato, che possono essere assorbite e utilizzate dall’ospite. L’importanza della digestione microbica è esemplificata dai topi cresciuti in ambiente sterile, privo di germi. Senza i normali partner batterici, i topi consumavano il 30% circa in più di cibo rispetto agli animali allevati normalmente i cui sistemi digestivi erano stati colonizzati dai microrganismi.

sa. Anche se i triacilgliceroli sono una forma più efficiente di conservazione di energia (Paragrafo 9.1B), lo sforzo metabolico della sintesi del glicogeno è “economico” perché il glicogeno può essere mobilizzato più rapidamente del grasso e perché il glucosio, a differenza degli acidi grassi, può essere metabolizzato in condizioni anaerobiche. Nel tessuto muscolare il glicogeno è trasformato in glucosio-6-fosfato (G6P) per entrare nella glicolisi. Però il muscolo non può esportare glucosio perché non ha l’enzima glucosio-6-fosfatasi; inoltre, anche se può sintetizzare il glicogeno partendo dal glucosio, non partecipa alla gluconeogenesi perché è privo degli enzimi necessari per questo processo. Di conseguenza, nel muscolo il metabolismo dei carboidrati è a uso esclusivo di questo tessuto. La contrazione muscolare è un processo anaerobico in condizioni di sforzo elevato. La contrazione muscolare è indotta dall’idrolisi di ATP (Paragrafo 7.2) e

quindi richiede un sistema aerobico o anaerobico di rigenerazione dell’ATP. La respirazione (il ciclo dell’acido citrico e la fosforilazione ossidativa) costituisce nel corpo la principale fonte di rifornimento di ATP. Il muscolo scheletrico a riposo utilizza circa il 30% dell’O2 consumato dal corpo umano. La velocità di respirazione del muscolo può aumentare in risposta a un pesante carico di lavo-

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ro anche di 25 volte, ma la velocità di idrolisi dell’ATP può aumentare ancora di più. L’ATP è inizialmente rigenerato tramite la reazione della fosfocreatina con l’ADP (Paragrafo 14.2C): Fosfocreatina 1 ADP 34 creatina 1 ATP

(la fosfocreatina è risintetizzata nel muscolo a riposo attraverso la reazione inversa a quella indicata). In condizioni di massimo esercizio muscolare, tuttavia, per esempio durante una corsa veloce, il muscolo ha Sistemi anaerobici Sistemi aerobici un rifornimento di fosfocreatina che dura solo 4 s. È quindi necessario spostarsi in direzione della produSalto in alto zione di ATP mediante l’utilizzo del G6P attraverso Sollevamento pesi la glicolisi, un processo il cui flusso massimo supeATP Lancio del peso ra di gran lunga quello del ciclo dell’acido citrico e Servizio in una partita di tennis della fosforilazione ossidativa. La maggior parte del G6P è quindi degradata a lattato in modo anaerobiCorsa su breve distanza FosfoCorsa a meta nel football creatina co (Paragrafo 15.3A). Come vedremo nel Paragrafo 22.1F, l’esportazione del lattato alleggerisce la maggior parte del carico respiratorio del muscolo. L’affaCorsa da 200 a 400 m Glicolisi ticamento muscolare, che si verifica dopo circa 20 s Nuoto 100 m di massimo esercizio, non è causato dall’esaurimento delle riserve di glicogeno presenti nel muscolo, ma Corsa dall’abbassamento del pH determinato dall’accumudi oltre Fosforilazione ossidativa 500 m lo di lattato. Questo fenomeno potrebbe costituire un adattamento che impedisce alle cellule musco10 s 1,5 min 3 min lari di “suicidarsi” se esauriscono completamente le 0 4 s Durata dell’attività loro riserve di ATP. L’energia per un esercizio fisico che dura più di un minuto o due è fornita principalmente dalla fosforilazione ossidativa, che produce ATP più lentamente, ma Figura 22.3 Fonti di ATP durante in modo molto più efficiente della sola glicolisi. La fonte di ATP durante eser- l’esercizio fisico nell’uomo. Il rifornimento di ATP endogeno cizi di durata variabile è riassunta nella Figura 22.3. è prolungato per alcuni secondi Il cuore è un organo muscolare che funziona continuamente e non in modo intermittente. Il muscolo cardiaco sfrutta quindi per intero il metabolismo aerobico ed è molto ricco di mitocondri, che occupano fino al 40% del suo spazio citoplasmatico. Il cuore può metabolizzare acidi grassi, corpi chetonici, glucosio, piruvato e lattato. Gli acidi grassi sono la fonte energetica preferita del cuore in condizioni di riposo, ma durante uno sforzo intenso il cuore aumenta fortemente il consumo di glucosio, che deriva per la maggior parte dai suoi depositi di glicogeno, relativamente limitati. Il cuore ha un metabolismo prevalentemente aerobico.

C Il tessuto adiposo immagazzina e rilascia acidi grassi e ormoni La funzione del tessuto adiposo è quella di accumulare e rilasciare acidi grassi quando sono necessari come fonte energetica, così come di secernere gli ormoni coinvolti nella regolazione del metabolismo. Il tessuto adiposo è ampiamente distribuito in tutto il corpo, ma è presente in quantità maggiori sotto la pelle, nella cavità addominale e nel muscolo scheletrico. Il tessuto adiposo di un uomo normale di 70 kg di peso contiene ∼15 kg di grasso. Questa quantità rappresenta 590 000 kJ di energia (141 000 calorie), sufficienti per mantenerlo in vita per circa tre mesi. Il tessuto adiposo riceve la maggior parte dei suoi acidi grassi in deposito dalle lipoproteine circolanti, come descritto nel Paragrafo 20.1B. Gli acidi grassi sono attivati tramite la formazione del corrispondente acil-CoA e in seguito esterificati con il glicerolo-3-fosfato, formando così i triacilgliceroli di deposito. Il

dalla fosfocreatina: in seguito la glicolisi anaerobica produce ATP. Lo spostamento dal metabolismo anaerobico a quello aerobico (fosforilazione ossidativa) avviene dopo ~90 secondi, o leggermente più tardi negli atleti allenati. [Adattata da McArdle, W.D., Katch, F.I. e Katch, V.L. (1986). Exercise Physiology, 2a ed. Lea & Febiger, p. 348.]

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glicerolo-3-fosfato deriva dalla riduzione del diidrossiacetone fosfato, che deve essere prodotto a partire dal glucosio nel corso della glicolisi. In condizioni di necessità metabolica gli adipociti idrolizzano i triacilgliceroli ad acidi grassi e glicerolo, tramite l’attività della lipasi ormone-sensibile (Paragrafo 20.5). Se il glicerolo-3-fosfato è abbondante, molti acidi grassi prodotti in questo modo sono riesterificati a triacilgliceroli; se invece i livelli di glicerolo-3-fosfato sono bassi, gli acidi grassi sono rilasciati nel circolo sanguigno. Quindi la mobilizzazione degli acidi grassi dipende in parte dalla velocità di assorbimento del glucosio, poiché il glucosio è il precursore del glicerolo-3-fosfato. Le necessità metaboliche sono segnalate direttamente sia da una diminuzione della concentrazione di glucosio sia tramite uno stimolo ormonale.

D Il fegato è la centrale di smaltimento metabolico del corpo Il fegato è l’organo che mantiene nel sangue la corretta concentrazione di composti energetici necessari al cervello, al muscolo e ad altri tessuti. Il fegato è l’unico organo nella posizione adatta per adempiere questo ruolo, poiché tutte le sostanze nutritive assorbite dall’intestino, a eccezione degli acidi grassi, sono rilasciate nella vena porta, che si riversa direttamente nel fegato. Una delle funzioni più importanti del fegato è quella di agire come “tampone” della concentrazione di glucosio nel sangue. Questo compito è svolto tramite l’assunzione o il rilascio di glucosio in risposta a stimoli ormonali e 1,0 agli stessi valori di concentrazione di glucosio. Dopo un pasto ricco di carboidrati, quando la concentrazione di Esochinasi glucosio raggiunge un valore superiore a 6 mM, il fegato 0,8 assume glucosio trasformandolo in G6P. Questa reazione è catalizzata dalla glucochinasi, un isoenzima epati0,6 co dell’esochinasi (che è perciò chiamata anche esochivo nasi IV). Nella maggior parte delle cellule le esochinasi Vmax seguono la cinetica di Michaelis-Menten, hanno elevaGlucochinasi 0,4 ta affinità per il glucosio (KM < 0,1 mM) e sono inibite dal loro prodotto di reazione (G6P). La glucochinasi, al contrario, ha un’affinità per il glucosio molto più bas0,2 sa (raggiunge la metà della velocità massima a una concentrazione di ∼5 mM) e mostra cinetica sigmoidale. 0,0 Di conseguenza, l’attività della glucochinasi aumenta ra0 10 15 5 pidamente quando la concentrazione di glucosio nel san[Glucosio] (mM) gue è al di sopra dei livelli fisiologici (Figura 22.4). Inoltre Figura 22.4 Attività enzimatiche l’enzima non è inibito da concentrazioni fisiologiche di G6P. Quindi, quanto relative dell’esochinasi e della più alta è la concentrazione di glucosio, tanto più velocemente il fegato trasforglucochinasi a concentrazioni ma glucosio in G6P. A basse concentrazioni di glucosio il fegato non compefisiologiche di glucosio nel sangue. La te con altri tessuti per il glucosio disponibile, mentre ad alte concentrazioni di glucochinasi ha affinità per il glucosio molto più bassa (KM ≈ 5 mM) di quella glucosio, una volta soddisfatte le necessità energetiche di questi tessuti, il fegato dell’esochinasi (KM ≈ 0,1 mM) e mostra può assorbire il glucosio in eccesso a una velocità che è più o meno proporziovariazioni sigmoidali e non iperboliche nale alla concentrazione di glucosio nel sangue. in funzione della concentrazione di La glucochinasi è un enzima monomerico, quindi il suo comportamento glucosio. [La curva della glucochinasi è stata ottenuta tramite l’equazione di cinetico sigmoidale è difficile da spiegare (i modelli di interazioni allosteriche Hill (equazione 7.8), con K = 10 mM ed non sono in grado di spiegare il comportamento cooperativo in una proteina n = 1,5, come ottenuto da Cardenas, monomerica; Paragrafo 7.1D). La glucochinasi è tuttavia soggetta a controllo M.L., Rabajille, E. e Niemeyer, H. (1984). metabolico. Emile Van Schaftingen ha isolato dal fegato di ratto una proteina Eur. J. Biochem. 145, 163-171.] regolatoria della glucochinasi, che, in presenza dell’intermedio glicolitico frutI due enzimi hanno valori tosio-6-fosfato (F6P), si comporta da inibitore competitivo della glucochinadifferenti di Kcat? si. Poiché l’F6P e il prodotto della glucochinasi, il G6P, sono in equilibrio nelle cellule epatiche a causa dell’attività della fosfoglucosio isomerasi, la glucochinaLa glucochinasi trasforma il glucosio circolante in glucosio-6-fosfato.

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si è in effetti inibita dal suo stesso prodotto. Il fruttosio-1-fosfato (F1P), un intermedio del metabolismo del fruttosio nel fegato (Paragrafo 15.5A), è in grado di superare questa inibizione. Poiché di norma il fruttosio è disponibile solo se introdotto con la dieta, il fruttosio potrebbe essere il segnale che innesca l’assorbimento da parte del fegato del glucosio ingerito durante il pasto. Il glucosio-6-fosfato è un punto di incrocio tra le vie del metabolismo dei carboidrati. Nel fegato il G6P può avere diversi destini

Glicogeno

metabolici, a seconda della domanda di glucosio (Figura 22.5).

2

NADPH

1

1. Il G6P può essere trasformato in glucosio tramite l’azione Glucosio della glucosio-6-fosfatasi, in modo da poter essere trasportato dal sangue circolante agli organi periferici. Questo avviene solo quando la concentrazione di glucosio nel sangue scende al di sotto di 5 mM circa. In condizioni di esercizio fisico o di digiuno, le basse concentrazioni ematiche di glucosio stimolano il pancreas a secernere glucagone. I recettori del glucagone presenti sulla superficie delle cellule epatiche rispondono attivando l’adenilato ciclasi. Il conseguente auAcidi grassi mento della concentrazione intracellulare di cAMP innesca la degradazione del glicogeno (Paragrafo 16.3). 2. Il G6P può essere trasformato in glicogeno (Paragrafo 16.2) quando la domanda di glucosio da parte dell’organismo è bassa. 3. Il G6P può essere trasformato in acetil-CoA tramite la glicolisi e la piruvato deidrogenasi. Se non è ossidato nel ciclo dell’acido citrico e nella fosforilazione ossidativa per produrre ATP, questo acetil-CoA derivato dal glucosio può essere usato per sintetizzare acidi grassi (Paragrafo 20.4), fosfolipidi (Paragrafo 20.6) e colesterolo (Paragrafo 20.7A). 4. Il G6P può essere degradato nella via del pentosio fosfato (Paragrafo 15.6) per produrre il NADPH necessario per la biosintesi degli acidi grassi e di altri composti. Anche gli acidi grassi possono avere diversi destini metabolici nel fegato. Quando la domanda di carburanti metabolici è elevata, gli acidi grassi sono degradati ad acetil-CoA e in seguito a corpi chetonici, che sono esportati nei tessuti periferici. Il fegato non è in grado di utilizzare i corpi chetonici come fonte energetica, perché le sue cellule non esprimono l’enzima 3-chetoacil-CoA transferasi necessario per ritrasformare i corpi chetonici in acetil-CoA (Paragrafo 20.3). Quindi la fonte principale di acetil-CoA nel fegato in condizioni di elevate necessità metaboliche è rappresentata dagli acidi grassi, e non dal glucosio o dai corpi chetonici. Il fegato produce ATP a partire da questo acetil-CoA tramite il ciclo dell’acido citrico e la fosforilazione ossidativa. Quando la domanda energetica è bassa, gli acidi grassi sono inseriti nei triacilgliceroli, che sono secreti nel circolo sanguigno in associazione alle VLDL, per essere infine assunti dal tessuto adiposo. Gli acidi grassi possono essere incorporati anche nei fosfolipidi (Paragrafo 20.6). In queste condizioni gli acidi grassi sintetizzati nel fegato non sono ossidati ad acetil-CoA, perché il loro processo di sintesi (che avviene nel citosol) è separato da quello di ossidazione (che avviene nei mitocondri), e perché il malonil-CoA, un intermedio nella sintesi degli acidi grassi, inibisce il trasporto degli acidi grassi nei mitocondri. Il fegato può sintetizzare o degradare i triacilgliceroli.

Il fegato degrada gli amminoacidi in vari intermedi metabolici che possono essere completamente ossidati a CO2 e H2O, oppure essere trasformati in glucosio o in corpi chetonici (Paragrafo 21.4). L’ossidazione degli amminoacidi fornisce una parte significativa dell’energia meGli amminoacidi sono carburanti metabolici.

G6P

R5P 4

3

Acetil-CoA

Fosfolipidi

ATP

Colesterolo

Figura 22.5 Destino metabolico del glucosio-6-fosfato (G6P) nel fegato. Il G6P può essere trasformato (1) in glucosio per essere esportato, oppure (2) in glicogeno per essere conservato. L’acetil-CoA derivato dalla degradazione del G6P (3) è il materiale di partenza per la biosintesi dei lipidi; è inoltre consumato nella respirazione per produrre ATP. La degradazione del G6P nella via del pentosio fosfato (4) genera NADPH.

Quali vie predominano nel tessuto epatico in rapida rigenerazione?

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tabolica immediatamente dopo un pasto, quando gli amminoacidi sono presenti nel sangue in concentrazioni relativamente elevate. Durante il digiuno, quando altri composti energetici iniziano a scarseggiare, il glucosio è prodotto dagli amminoacidi alanina e glutammina derivanti per la maggior parte dalla degradazione di proteine muscolari. Quindi le proteine, oltre a svolgere un compito strutturale e funzionale, sono anche importanti riserve di energia.

E Il rene filtra i prodotti di scarto e mantiene il pH del sangue Il rene filtra l’urea e altri prodotti di scarto dal sangue, recuperando contemporaneamente i metaboliti importanti come il glucosio. Il rene inoltre mantiene il pH del sangue ripristinando le riserve esaurite di tamponi del sangue, come per esempio il bicarbonato (perduto tramite l’espirazione di CO2) ed eliminando gli ioni H1 in eccesso insieme alle basi coniugate di acidi metabolici in eccesso, come quelle dei corpi chetonici acetacetato e b-idrossibutirrato. I protoni sono eliminati anche sotto forma di NH41, con i gruppi amminici derivati dalla glutammina e dal glutammato. La restante struttura dell’amminoacido, l’a-chetoglutarato, può essere trasformata in glucosio tramite la gluconeogenesi (il rene è l’unico tessuto, oltre al fegato, in grado di sintetizzare glucosio). Durante il digiuno il rene produce fino al 50% del fabbisogno corporeo di glucosio.

F Il sangue trasporta i metaboliti nelle vie metaboliche di collegamento tra gli organi La capacità del fegato di rifornire gli altri tessuti di glucosio o di corpi chetonici, o la capacità degli adipociti di rendere gli acidi grassi disponibili per gli altri tessuti dipendono naturalmente dal sistema circolatorio, che trasporta carburanti metabolici, intermedi e prodotti di scarto attraverso i tessuti. Inoltre, alcune importanti vie metaboliche sono costituite da reazioni che avvengono in più di un tessuto. In questo paragrafo descriveremo due vie metaboliche di collegamento tra gli organi.

L’ATP che fornisce energia alla contrazione muscolare è prodotto tramite la fosforilazione ossidativa (nelle fibre muscolari a contrazione lenta, ricche di mitocondri; Scheda 15.3) o tramite il rapido catabolismo del glucosio a lattato (nelle fibre muscolari a contrazione rapida). Anche le fibre a contrazione lenta sono in grado di produrre lattato, quando la domanda di ATP è in eccesso rispetto al flusso ossidativo. Il lattato è trasferito dal circolo sanguigno al fegato, dove è ritrasformato in piruvato dall’enzima lattato deidrogenasi e quindi in glucosio mediante la gluconeogenesi. Il fegato e il muscolo sono quindi collegati tra loro dal sistema circolatorio in un ciclo metabolico conosciuto con il nome di ciclo di Cori (Figura 22.6) in onore di Carl e Gerty Cori (Scheda 16.1), che lo descrissero per primi. Un ciclo glicolisi/gluconeogenesi, che consuma ATP, sarebbe un ciclo futile se avvenisse all’interno di una sola cellula, ma in questo caso le due vie avvengono in organi diversi. L’ATP del fegato alimenta la sintesi di glucosio a partire dal lattato prodotto nel muscolo. Il glucosio risintetizzato ritorna dal fegato al muscolo, dove può essere conservato sotto forma di glicogeno o essere immediatamente catabolizzato per produrre l’ATP necessario per la contrazione muscolare. L’ATP consumato dal fegato durante il funzionamento del ciclo di Cori è rigenerato tramite la fosforilazione ossidativa. Dopo un esercizio fisico intenso sono necessari almeno 30 minuti prima che la velocità di consumo dell’O2 diminuisca fino ai livelli basali. L’elevato consumo di O2 compensa il debito di ossigeno creato dalla domanda di ATP necessaria per la gluconeogenesi. Il glucosio e il lattato vengono trasportati nel ciclo di Cori.

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Fegato

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Muscolo Sangue

Glucosio

Glucosio

Glicogeno

ADP + GDP + Pi

Pi + ADP

gluconeogenesi

glicogenolisi e glicolisi

ATP + GTP

ATP

Lattato

Lattato

L’alanina viene trasportata dal muscolo al fegato in una via metabolica simile a quella del ciclo di Cori. Nel muscolo alcune amminotransferasi usano come a-chetoacido substrato il piruvato, al posto dell’a-chetoglutarato o dell’ossalacetato (Paragrafo 21.2A): Il ciclo glucosio-alanina trasferisce l’alanina al fegato.

+ NH3 R

CH

COO–

Amminoacido

+

H3C

C

+ NH3

O

O COO



R

C



COO

+

a-Chetoacido

Piruvato

H3C

CH

COO



Alanina

Figura 22.6 Il ciclo di Cori. Il lattato prodotto dalla glicolisi che avviene nel muscolo è trasportato dal sistema circolatorio nel fegato, dove è trasformato in glucosio tramite la gluconeogenesi. Il circolo sanguigno riporta il glucosio al muscolo, dove può essere conservato sotto forma di glicogeno.

Il ciclo di Cori è attvo quando il muscolo è a riposo?

L’amminoacido prodotto, l’alanina, è rilasciato nel circolo sanguigno e trasportato al fegato, dove è ritrasformato in piruvato mediante una transamminazione. Il piruvato che si forma in questo processo è un substrato per la gluconeogenesi, e il glucosio prodotto può essere ritrasportato nei muscoli per essere degradato nella glicolisi. Questo è il ciclo glucosio-alanina (Figura 22.7). Il gruppo amminico trasportato dall’alanina forma ammoniaca o aspartato e può essere impiegato nella sintesi dell’urea (che avviene solo nel fegato). Quindi il ciclo glucosio-alanina è un meccanismo di trasporto dell’azoto dal muscolo al fegato. Figura 22.7 Il ciclo glucosio-alanina. Il piruvato prodotto dalla glicolisi nel muscolo è l’accettore del gruppo amminico nelle reazioni di transamminazione che avvengono nel muscolo. L’alanina prodotta è trasportata dal sistema circolatorio al fegato, dove è ritrasformata in piruvato (il suo gruppo amminico è eliminato tramite la sintesi dell’urea). Il piruvato agisce come substrato della gluconeogenesi e il sangue ritrasporta al muscolo il glucosio prodotto in questo processo.

In che modo il muscolo ripristina la sua riserva di amminoacidi? Fegato

Muscolo Sangue

Glucosio

Glucosio

Glicogeno

gluconeogenesi Piruvato NH3

Piruvato

α-Amminoacido transamminazione α-Chetoacido

Urea

Alanina

Alanina

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PUNTO DI VERIFICA

• Fornite un quadro riassuntivo dell’importanza del piruvato e dell’acetil-CoA per il catabolismo e per l’anabolismo.

• Senza guardare la Figura 22.1, disegnate uno schema delle principali vie metaboliche che coinvolgono le proteine, il glicogeno e i triacilgliceroli.

• Riassumete le principali caratteristiche del metabolismo energetico nel cervello, nel muscolo, nel tessuto adiposo, nel fegato e nel rene.

• Spiegate perché il valore elevato di KM della glucochinasi è importante per il ruolo del fegato nel tamponare i livelli di glucosio circolante nel sangue.

• Elencate tutti i destini possibili a cui può andare incontro una molecola di glucosio nel fegato.

• Descrivete le condizioni nelle quali operano il ciclo di Cori e il ciclo glucosioalanina.

• Senza rileggere il testo, disegnate dei grafici di questi due cicli metabolici.

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In condizioni di digiuno il glucosio prodotto nel fegato tramite questa via è usato anche da altri tessuti, con conseguente interruzione del ciclo. Poiché il piruvato si origina nel muscolo dalla degradazione delle proteine muscolari, il muscolo fornisce glucosio agli altri tessuti, anche se non effettua direttamente la gluconeogenesi.

2 Il controllo ormonale del metabolismo energetico CONCETTI CHIAVE

• Il rilascio dell’insulina in risposta al glucosio promuove l’assorbimento e l’immagazzinamento dei combustibili.

• Il glucagone e le catecolammine promuovono la mobilizzazione dei combustibili. Gli organismi multicellulari coordinano le loro attività a ogni livello della loro organizzazione mediante complessi sistemi di segnalazione (Capitolo 13). Molte delle cellule che costituiscono un organismo multicellulare sono in grado di assumere i combustibili necessari alla loro crescita e al loro metabolismo solo dopo avere ricevuto un segnale che ne indica la disponibilità. Il sistema endocrino umano risponde alle necessità dell’organismo secernendo una grande varietà di ormoni che contribuiscono a mantenere l’omeostasi metabolica (bilanciamento tra utilizzo e produzione di energia), a rispondere a una grande varietà di stimoli esterni e a seguire vari programmi ciclici e di sviluppo. Abbiamo già discusso gli ormoni steroidei (Paragrafo 9.1E), gli ormoni peptidici insulina e glucagone (Paragrafi 13.1A, 13.4D e 16.3C) e le catecolammine adrenalina e noradrenalina (Paragrafi 13.1B, 16.3C e 21.6B). A eccezione degli steroidi, che sono in grado di diffondere attraverso le membrane cellulari e di interagire direttamente con i componenti intracellulari (e che tratteremo ampiamente nel Paragrafo 28.3B), questi segnali extracellulari devono in primo luogo legarsi a un recettore posto sulla superficie cellulare. Nel paragrafo che segue esamineremo l’azione degli ormoni sintetizzati dal pancreas e dalle ghiandole surrenali dal momento che questi ormoni svolgono i ruoli principali nella regolazione del metabolismo dei combustibili nei diversi tessuti dei mammiferi. Esamineremo anche i recettori e le vie tramite i quali questi ormoni esercitano i loro effetti sulle cellule.

A Il rilascio dell’insulina è stimolato dal glucosio Il pancreas risponde agli aumenti di concentrazione del glucosio nel sangue secernendo insulina, che serve quindi come segnale di abbondanza di carburante metabolico. Le cellule b del pancreas sono maggiormente sensibili al glucosio a concentrazioni tra 5,5 e 6,0 mM (le concentrazioni normali di glucosio sono comprese tra 3,6 e 5,8 mM). Non vi sono prove dell’esistenza di un “recettore” di superficie del glucosio che possa trasmettere un segnale all’apparato di secrezione della cellula b. Il segnale di secrezione dell’insulina è generato dal metabolismo da parte delle cellule b del glucosio, che vi entra tramite trasporto passivo. La tappa che determina la velocità del metabolismo del glucosio da parte delle cellule b è la reazione catalizzata dalla glucochinasi (lo stesso enzima presente negli epatociti). La glucochinasi è quindi considerata il “sensore” del glucosio nella cellula b. Il prodotto della glucochinasi, il G6P, non è usato per sintetizzare glicogeno, e l’attività della via del pentosio fosfato è bassa; anche l’attività della lattato deidrogenasi è bassa. Di conseguenza, quasi tutto il G6P prodotto nelle cellule b è degradato a piruvato e quindi trasformato in acetil-CoA, per essere destinato all’ossidazione nel mitocondrio. L’ATP prodotto induce la chiusura dei canali del K+ di membrana ATP-dipendenti, e la depo-

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larizzazione di membrana che ne deriva (la membrana è normalmente positiva all’esterno) causa l’apertura dei canali del Ca2+ voltaggio-dipendenti. Il conseguente ingresso di ioni Ca2+ nella cellula innesca l’esocitosi (Paragrafo 9.4F) di granuli secretori contenenti insulina. Quindi, il livello complessivo dell’attività respiratoria delle cellule β, che cambia in base alla disponibilità di glucosio, regola la secrezione di insulina. L’insulina favorisce l’accumulo di riserve energetiche nel muscolo e nel tessuto adiposo. La via di segnalazione dell’insulina è molto complessa (Figura 13.31).

L’insulina agisce come regolatore principale della concentrazione di glucosio nel sangue, favorendo l’assorbimento di glucosio da parte del muscolo e del tessuto adiposo e inibendo la produzione di glucosio da parte del fegato. L’insulina stimola inoltre la crescita e il differenziamento cellulare aumentando la sintesi di glicogeno, proteine e triacilgliceroli. Le cellule muscolari e gli adipociti esprimono un trasportatore del glucosio, detto GLUT4, che viene stimolato dall’insulina. Questo incremento di attività potrebbe avvenire tramite un aumento della funzionalità intrinseca delle molecole del trasportatore, ma nel caso di GLUT4 l’incremento è dovuto alla comparsa di ulteriori molecoAmbiente esterno alla cellula le di trasportatore sulla membrana plasmatica (FiguGLUT 4 ra 22.8). In assenza di insulina, GLUT4 si trova nelle vescicole intracellulari e nelle strutture tubulari conosciute come vescicole di stoccaggio del GLUT4. L’insulina favorisce la fusione di queste vescicole con la membrana plasmatica tramite un processo mediato dalle SNARE (Paragrafo 9.4F). GLUT4 compare sulla superficie cellulare solo pochi minuti dopo la stimolazione esercitata dall’insulina e, avendo una Esocitosi KM relativamente bassa per il glucosio (2-5 mM), il trasportatore può trasferire rapidamente il glucosio dal sangue all’interno delle cellule. Quando l’apporto di insulina si interrompe, i trasportatori del glucosio sono gradualmente sequestrati tramite endocitosi. Il sistema di trasporto dipendente dall’insulina meStimolazione da parte diato dal GLUT4 permette al muscolo e al tessuto adidell’insulina poso di accumulare rapidamente carburante metabolico, immediatamente dopo un pasto. Tessuti che come il cervello usano quasi esclusivamente glucosio come fonte di energia, esprimono in modo costitutivo (cioè non regolato) un trasportatore del glucosio insensibile all’insulina. Il sistema nervoso centrale non è soggetto quindi a notevoli fluttuazioni nell’assorbimento del glucosio. Il fegato è privo di trasportatori GLUT4 e non risponde quindi all’insulina aumentando la sua velocità di assorbimento del glucosio. Una volta entrato nelle cellule, il glucosio può essere usato per sintetizzare glicogeno (nel muscolo) e triacilgiceroli (negli adipociti; per la sintesi degli acidi grassi, il glucosio deve essere prima metabolizzato ad acetil-CoA). L’insulina favorisce in modo specifico queste attività metaboliche. Come discusso nel Paragrafo 16.3, l’insulina attiva la glicogeno sintasi favorendone la defosforilazione. Negli adipociti l’insulina attiva il complesso della piruvato deidrogenasi (attivando la fosfatasi associata; Paragrafo 17.4A), attiva l’acetil-CoA carbossilasi e aumenta i livelli di sintasi degli acidi grassi (Paragrafo 20.5). Contemporaneamente l’insulina inibisce la lipolisi, inibendo la lipasi ormone-sensibile. Sebbene il fegato non risponda all’insulina aumentando la sua velocità di assorbimento del L’insulina blocca la gluconeogenesi e la glicogenolisi nel fegato.

Glucosio

Interno della cellula

Endocitosi

Vescicole membranose

Membrana plasmatica Figura 22.8 Attività della GLUT4. L’assorbimento del glucosio nelle cellule muscolari e adipose è regolato dall’esocitosi (il processo opposto all’endocitosi) stimolata dall’insulina delle vescicole membranose contenenti GLUT4 (a sinistra). Se diminuisce l’apporto di insulina, il processo si inverte tramite endocitosi (a destra).

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Il metabolismo energetico dei mammiferi: integrazione e regolazione

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glucosio, il legame dell’insulina al suo recettore sugli epatociti ha ugualmente conseguenze meGlucagone Adrenalina taboliche. L’inattivazione della fosforilasi chinasi Nessun effetto h Glicogenolisi diminuisce la velocità della glicogenolisi e l’attivazione della glicogeno sintasi favorisce la sintesi di glicogeno. L’insulina inibisce inoltre la trascrizione dei geni che codificano gli enzimi glucoh Lipolisi h Lipolisi neogenici fosfoenolpiruvato carbossichinasi, fruttosio-1,6-bisfosfatasi e glucosio-6-fosfatasi (Paragrafo16.4), e stimola la trascrizione dei geni g Sintesi g Sintesi che codificano gli enzimi glicolitici glucochinasi di glicogeno di glicogeno e piruvato chinasi. Aumenta inoltre l’espressione h Glicogenolisi h Glicogenolisi di enzimi lipogenici come l’acetil-CoA carbossih Gluconeogenesi lasi e la acido grasso sintasi. Il risultato di questi cambiamenti di regolazione è che il fegato conserva glucosio (sotto forma di glicogeno e triacilgliceroli) piuttosto che sintetizzarlo tramite la glicogenolisi o la gluconeogenesi. I principali effetti metabolici dell’insulina sono riassunti nella Tabella 22.1.

TABELLA 22.1 Effetti ormonali sul metabolismo energetico

Tessuto

Insulina Muscolo h Assorbimento di glucosio h Sintesi di glicogeno h Tessuto Assorbimento adiposo di glucosio h Lipogenesi g Lipolisi h Sintesi Fegato di glicogeno h Lipogenesi g Gluconeogenesi

B Il glucagone e le catecolammine contrastano gli effetti dell’insulina Come abbiamo precedentemente discusso nel Paragrafo 16.3C, l’ormone peptidico glucagone attiva una serie di eventi cellulari che inducono la glicogenolisi nel fegato. Questo meccanismo di controllo rende disponibile il glucosio ad altri tessuti quando la concentrazione del glucosio in circolo scende rapidamente. Le cellule muscolari, che sono prive di recettori del glucagone e non possono rispondere direttamente allo stimolo ormonale, ricevono un beneficio indiretto dal rilascio di glucosio da parte del fegato. Il glucagone stimola inoltre la mobilizzazione degli acidi grassi dal tessuto adiposo, attivando la lipasi ormone-sensibile. Le catecolammine determinano risposte simili a quelle del glucagone. L’adrenalina e la noradrenalina, che sono rilasciate in condizioni di stress, si legano a due diversi tipi di recettori (Paragrafo 13.1B): il recettore b-adrenergico, che è collegato al sistema della adenilato ciclasi (Figura 13.23), e il recettore a-adrenergico, il cui secondo messaggero inositolo 1,4,5-trifosfato (IP3; Paragrafo 13.4A) causa un aumento delle concentrazioni intracellulari di Ca21. Le cellule del fegato rispondono all’adrenalina sia direttamente che indirettamente. L’adrenalina favorisce il rilascio di glucagone dal pancreas, e il legame del glucagone al suo recettore sulle cellule del fegato stimola la degradazione del glicogeno. L’adrenalina si lega inoltre direttamente a entrambi i tipi di recettori, a- e b-adrenergici, sulla superficie delle cellule del fegato (Figura 16.14, a destra). Il legame ai recettori b-adrenergici determina un aumento del cAMP intracellulare, che a sua volta causa la degradazione del glicogeno e la gluconeogenesi. Il legame dell’adrenalina al recettore a-adrenergico induce un aumento di [Ca21] intracellulare, che rafforza la risposta cellulare al cAMP (ricordiamo che la fosforilasi chinasi, che attiva la glicogeno fosforilasi e inattiva la glicogeno sintasi, è pienamente attiva solo quando è fosforilata e in presenza di un aumento di [Ca21]; Paragrafo 16.3B). La glicogeno sintasi è inoltre inattivata tramite la fosforilazione catalizzata da alcune proteina chinasi Ca21-dipendenti. In modo simile, il legame dell’adrenalina al recettore b-adrenergico sulle cellule muscolari favorisce la degradazione del glicogeno, mobilizzando quindi il glucosio in direzione della glicolisi, per produrre ATP. Nel tessuto adiposo, il legame dell’adrenalina a vari tipi di recettori a- e b-adrenergici determina l’attivazione della lipasi ormone-sensibile: questo causa la mobilizzazione degli acidi grassi che possono essere usati come fonte di energia in altri tessuti. L’adrenalina stimola inoltre il rilassamento della muscolatura liscia dei bronchi e dei vasi

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Glucosio

Trasportatore del glucosio Recettore GLUT4 dell’insulina

Pancreas

Trasportatore del glucosio GLUT2

Insulina Insulina

837

Glucosio

Insulina Glucosio Recettore dell’insulina

Recettore dell’insulina

Lipogenesi

Trasportatore del glucosio GLUT4

Sintesi del glicogeno Lipogenesi

Fegato

Tessuto adiposo Muscolo

Sintesi del glicogeno

(a) Stato alimentato Glucagone

Pancreas

Recettore del glucagone

Ghiandola surrenale

Recettore adrenergico

Recettore del glucagone

Adrenalina

Adrenalina

Lipolisi

Glucagone

Recettore adrenergico

Glucosio Glicogenolisi

Recettore adrenergico

Gluconeogenesi

Fegato

Tessuto adiposo Glicogenolisi

Acidi grassi

Glicolisi

Trasportatore del glucosio GLUT2

Muscolo

Glucosio

(b) Digiuno/stress Figura 22.9 Panoramica del controllo ormonale del metabolismo energetico. (a) Subito dopo un pasto, quando il glucosio e gli acidi grassi sono abbondanti, l’insulina segnala ai tessuti di accumulare glicogeno e triacilgliceroli come riserva energetica. L’insulina induce inoltre tessuti diversi dal fegato ad assorbire glucosio tramite il trasportatore GLUT4. (b) Quando non sono disponibili carburanti energetici provenienti dalla dieta,

il glucagone induce il fegato a rilasciare glucosio e il tessuto adiposo a rilasciare acidi grassi. In condizioni di stress, l’adrenalina induce risposte simili. Identificate la/e forma/e principali di riserve energetiche in ogni organo.

sanguigni che riforniscono il muscolo scheletrico, inducendo contemporaneamente la costrizione dei vasi sanguigni che riforniscono la pelle e altri organi periferici. Tutti questi cambiamenti fisiologici, nel loro insieme, tendono a un unico scopo: la mobilizzazione delle riserve energetiche e il loro rapido trasporto nelle sedi in cui sono maggiormente richieste per preparare il corpo a entrare velocemente in azione. Le risposte principali al glucagone e all’adrenalina sono riassunte nella Tabella 22.1, mentre gli effetti metabolici dell’insulina, del glucagone e dell’adrenalina in condizioni diverse sono riassunti nella Figura 22.9. Alla regolazione metabolica partecipano diversi tipi di recettori e vie di segnalazione biochimica. Come descritto nel Capitolo 13, ogni via di segnalazione

consiste di: un recettore, un meccanismo per la trasmissione all’interno della cellula dell’avvenuto legame del ligando e una serie di risposte intracellulari che possono coinvolgere un secondo messaggero e/o cambiamenti chimici catalizzati da chinasi o fosfatasi. Esistono tre vie principali di trasduzione del segnale: quelle che coinvolgono il recettore con attività tirosina chinasica, associato alla cascata di segnalazione di Ras (Paragrafo 13.2), quelle in cui l’adenilato ciclasi

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(a) Recettore con attività tirosina chinasica, cascata di segnalazione della Ras

(b) Via dell’adenilato ciclasi, secondo messaggero cAMP

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(c) Via del fosfoinositide, secondi messaggeri IP3, DAG e Ca2+

Fattore di crescita proteico Segnale stimolatorio esterno

RTK

Ambiente extracellulare

Membrana plasmatica Rs Ras GDP

P Y Y

Segnale stimolatorio esterno

Ras GTP

GAPs Sos

P

Sos

AC sα γ GDP β Proteina G

Grb2/ Sem-5

PLC qα GTP

qα γ GDP β

sα GTP

DAG

PIP2

R

PKC

Proteina G cAMP

Raf

Risposta cellulare P

PKA

MEK

IP3 Citosol

Ca2+

Risposta cellulare

P MAPK Nucleo

CaMK

IP3 Espressione genica

Ca2+

Figura 22.10 Panoramica delle vie principali di trasduzione

del segnale. (a) Il legame di un ligando a un recettore con attività tirosina chinasica dà inizio alla via di segnalazione a cascata di fosforilazioni della Ras, che porta a cambiamenti nell’espressione genica. (b) Il legame di un ligando al suo recettore accoppiato alla proteina G stimola (o, in alcuni casi, inibisce) l’adenilato ciclasi (AC) a sintetizzare il secondo messaggero cAMP. Il cAMP, a sua volta, attiva la proteina chinasi A (PKA) per fosforilare le sue proteine bersaglio innescando così una risposta cellulare. (c) Il legame di un ligando al suo recettore accoppiato alla proteina

PUNTO DI VERIFICA

• In che modo il pancreas può “percepire” i livelli di glucosio?

• Fornite un quadro riassuntivo sul ruolo dell’insulina nella regolazione del metabolismo energetico nel fegato, nel muscolo e nel tessuto adiposo.

• In che modo il glucagone e l’adrenalina influenzano il metabolismo energetico nel fegato, nel muscolo e nel tessuto adiposo?

• Descrivete i tre tipi principali di vie di segnalazione che prendono parte alla regolazione metabolica.

Membrana del RE

Gq dà inizio alla via del fosfoinositide, che attiva la fosfolipasi C (PLC) a idrolizzare il lipide di membrana PIP2 formando i secondi messaggeri IP3 e DAG. L’IP3 causa il rilascio di Ca2+ dai mitocondri, il DAG attiva la proteina chinasi C (PKC), mentre il Ca2+ attiva sia la PKC sia la proteina chinasi Ca2+-calmodulina dipendente (CaMK). La fosforilazione delle proteine bersaglio da parte della PKC e della CaMK porta a risposte cellulari. Individuate le chinasi e i secondi messaggeri coinvolti in ciascun sistema di segnalazione.

genera cAMP (AMP 39,59-ciclico) come secondo messaggero (Paragrafo 13.3) e quelle che coinvolgono la scissione del fosfoinositide catalizzata dalla fosfolipasi C (PLC) che come secondi messaggeri produce inositolo-1,4,5-trifosfato (IP3), 1,2-diacilglicerolo (DAG) e Ca21 (Paragrafo 13.4). Entrambi questi sistemi di segnalazione che utilizzano i secondi messaggeri prodotti dall’adenilato ciclasi e dalla PLC coinvolgono i recettori accoppiati alle proteine G (Paragrafo 13.3). La principale proteina G che attiva l’adenilato ciclasi è la Gs, mentre la principale proteina G che attiva la fosfolipasi C è la Gq. La Figura 22.10 mostra uno schema riassuntivo sui tre sistemi di segnalazione. Gli ormoni ora descritti e discussi nel Paragrafo 13.1, come molti altri ormoni, fattori di crescita e altre molecole di segnalazione, utilizzano un’ampia gamma di vie di trasduzione del segnale per mettere in moto una serie di reazioni biochimiche che producono risposte biologiche come le modificazioni del metabolismo, il differenziamento cellulare, la crescita e la divisione cellulare. L’esatta natura della risposta dipende da numerosi fattori. Le cellule rispondono a un ormone, generalmente detto ligando, solo se possiedono il recettore adatto. Le risposte specifiche intracellulari sono regolate da numero, tipo e posizione nella cellula degli elementi del sistema di segnalazione. Inoltre, una data cellula contiene di solito recettori per molti ligandi diversi, quindi la risposta a un particolare ligando dipende dal livello di coinvolgimento degli altri ligandi nel meccanismo di trasduzione del segnale. Di conseguenza, le cellule possono reagire a diverse intensità di segnalazione o combinazioni di segnali, con variazioni nell’ampiezza e nella durata della loro risposta.

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3 L’omeostasi metabolica: la regolazione del metabolismo energetico, dell’appetito e del peso corporeo CONCETTI CHIAVE

• La proteina chinasi AMP-dipendente attiva i processi che producono ATP e inibisce i processi che consumano ATP.

• L’utilizzo delle molecole combustibili e l’appetito sono regolati dagli ormoni del tessuto adiposo adiponectina e leptina, ma anche dagli ormoni prodotti dall’ipotalamo, dallo stomaco e dall’intestino.

• La termogenesi aiuta a bilanciare la spesa energetica con l’assunzione di energia. I complessi meccanismi che regolano il metabolismo delle sostanze combustibili nei mammiferi permettono al corpo di rispondere in modo efficiente alle necessità di cambiamento energetico e di affrontare variazioni nella disponibilità delle diverse molecole nutrienti, mantenendo una equilibrata omeostasi metabolica. Questo bilanciamento dipende dall’interazione di molti fattori. In questo paragrafo prenderemo in considerazione alcuni dei componenti di questa complessa rete di regolazione della spesa energetica, dell’appetito e del peso corporeo.

A La proteina chinasi AMP-dipendente segnala i livelli di combustibile cellulare Tutte le vie precedentemente menzionate sono legate in un modo o nell’altro alle necessità di ATP, indicate dal rapporto AMP/ATP della cellula (Paragrafo 15.4A). Alcuni enzimi sono attivati o inibiti in modo allosterico dall’AMP, e altri sono fosforilati dalla proteina chinasi AMP-dipendente (AMPK), uno dei principali regolatori dell’omeostasi metabolica. L’AMPK attiva le vie metaboliche di degradazione che producono ATP, inibendo contemporaneamente le vie biosintetiche per conservare ATP per altri processi vitali. L’AMPK è un eterotrimero abg presente negli organismi eucariotici, dai lieviti agli esseri umani. La subunità α contiene un dominio Ser/Thr proteina chinasico, mentre la subunità γ contiene siti per l’attivazione allosterica a opera dell’AMP e per l’inibizione a opera dell’ATP. Come nel caso delle altre proteina chinasi, il dominio chinasico dell’AMPK deve essere fosforilato per essere cataliticamente attivo. Il legame dell’AMP alla subunità γ causa un cambiamento conformazionale che espone la Thr 172 nell’ansa di attivazione della subunità, promuovendo la sua fosforilazione e aumentando la sua attività di almeno 100 volte. L’AMP può attivare l’enzima fosforilato fino a più di 5 volte. La chinasi principalmente coinvolta nella fosforilazione di AMPK è chiamata LKB1. La delezione specifica di LKB1 nel fegato di topo dà luogo alla perdita della forma fosforilata di AMPK. L’AMPK attiva la glicolisi nel muscolo cardiaco ischemico. Fra

i bersagli dell’AMPK ci sono le forme cardiache degli isozimi inducibili dell’enzima bifunzionale PFK-2/FBPasi-2, che controlla la concentrazione di F2,6P (Paragrafo 16.4C). La fosforilazione di questi isozimi stimola la loro attività PFK-2, aumentando la [F2,6P], che a sua volta attiva la PFK-1 e la glicolisi. Di conseguenza, nelle cellule ischemiche (private dell’apporto sanguigno) del muscolo cardiaco, quando non vi è sufficiente ossigeno che consenta alla fosforilazione ossidativa di mantenere concentrazioni adeguate di ATP, il risultante accumulo di AMP determina il passaggio della cellula alla glicolisi anaerobica per la produzione di ATP.

Inoltre, la fosforilazione mediata da AMPK inibisce alcuni enzimi, tra cui l’acetil-CoA carbossilasi (ACC, che catalizza il primo passaggio determinante della sintesi degli acidi grassi; Paragrafo 20.4B), l’idrossimetilglutaril-CoA riduttasi (HMG-CoA ridutL’AMPK inibisce la lipogenesi e la gluconeogenesi nel fegato.

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tasi, enzima che catalizza il passaggio determinante della biosintesi del colesterolo; Paragrafo 20.7B) e la glicogeno sintasi (che catalizza la reazione che limita la velocità di sintesi del glicogeno; Paragrafo 16.2B). Di conseguenza, quando la velocità di produzione di ATP è insufficiente, queste vie biosintetiche restano “spente”, conservando quindi ATP per le funzioni cellulari fondamentali per la sopravvivenza. L’AMPK promuove l’ossidazione degli acidi grassi e l’assunzione del glucosio nel muscolo scheletrico. L’inibizione dell’ACC porta a un decremento della

concentrazione del malonil-CoA, il materiale di partenza per la biosintesi degli acidi grassi. Il malonil-CoA ha, però, anche un altro ruolo: è un inibitore della carnitina palmitil transferasi I (Paragrafo 20.5), che è necessaria per trasferire il palmitil-CoA citosolico nei mitocondri per l’ossidazione. Il decremento della concentrazione di malonil-CoA permette quindi che venga ossidata una maggiore quantità di palmitil-CoA. L’AMPK fa aumentare anche l’espressione di GLUT4 nelle cellule muscolari e inoltre favorisce il suo trasferimento alla membrana plasmatica (Paragrafo 22.2F) facilitando l’ingresso nelle cellule di glucosio mediato dall’insulina. L’AMPK fosforila anche la triacilglicerolo lipasi ormone-sensibile (Paragrafo 20.5). Questa fosforilazione inibisce l’enzima in parte in quanto impedisce la sua rilocalizzazione sulle gocciole lipidiche, sito intracellulare della lipolisi. In questo modo viene demolito un numero minore di triacilgliceroli e viene esportato in circolo un numero minore di acidi grassi. Quest’ultimo processo sembra essere paradossale (l’ossidazione degli acidi grassi dovrebbe aiutare a ridurre un deficit di ATP) ma è stato ipotizzato che esso impedisca la produzione intracellulare di livelli tossici di acidi grassi. La Figura 22.11 riporta in modo schematico gli effetti principali dell’attivazioL’AMPK inibisce la lipolisi negli adipociti.

Muscolo scheletrico Glicogeno

Grasso

Piruvato CO2

Glucosio

Trigliceride

Acido grasso Acido grasso Muscolo cardiaco Acido grasso

Glucosio

Glucosio

Glucosio Glucosio

AcetilCoA

Piruvato

Colesterolo

Lattato

Acido grasso

CO2

Stimolata da AMPK Inibita da AMPK Fegato

Figura 22.11 Principali effetti della proteina chinasi AMPdipendente (AMPK) sul metabolismo del glucosio e dei lipidi nel fegato, nel muscolo e nel tessuto adiposo. Nel muscolo scheletrico, l’AMPK stimola l’assorbimento di glucosio e l’ossidazione degli acidi grassi mentre inibisce la sintesi del

glicogeno. Nel muscolo cardiaco, l’AMPK stimola la glicolisi. Nel fegato, l’AMPK inibisce la biosintesi dei lipidi e la gluconeogenesi, mentre attiva l’ossidazione degli acidi grassi. Nel tessuto adiposo, l’AMPK inibisce la biosintesi degli acidi grassi e la lipolisi. [Da M.C. Towler e D.G. Hardie (2007). Circulation Res. 100, 328.]

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ne dell’AMPK sul metabolismo del glucosio e dei lipidi nel fegato, nel muscolo scheletrico, nel muscolo cardiaco e nel tessuto adiposo.

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LMW

B Gli adipociti e altri tessuti coadiuvano la regolazione del metabolismo energetico e dell’appetito

MMW

Oltre all’insulina, al glucagone e all’adrenalina, vi sono diversi altri ormoni che cooperano nella regolazione dell’assunzione, dell’utilizzo e dell’immagazzinamento delle molecole combustibili. Alcuni di questi, come l’adiponectina, vengono secreti esclusivamente dagli adipociti, un tipo di cellule la cui attività endocrina era sconosciuta fino agli inizi degli anni 2000. L’adiponectina è un ormone proteico di 247 residui che partecipa alla regolazione dell’omeostasi energetica e del metabolismo del glucosio e dei lipidi controllando l’attività dell’AMPK. I suoi monomeri sono costituiti da un dominio N-terminale simile al collageno e da un dominio globulare C-terminale. L’adiponectina è riscontrabile nel torrente circolatorio in diverse forme: trimerica a basso peso molecolare (LMW), formata dall’avvolgimento in una tripla elica dei suoi domini simili al collageno (Paragrafo 6.1C), ma è presente anche in forma di esameri (MMW) e multimeri (HMW), i cui membri sono tenuti insieme da ponti disolfuro intersubunità (Figura 22.12). Inoltre, la forma globulare dell’adiponectina è conseguenza della scissione del dominio simile al collageno e del conseguente rilascio dei monomeri globulari ed è anch’essa presente nel sangue in concentrazioni molto più basse. Il legame dell’adiponectina ai recettori dell’adiponenctina, presenti sulla superficie delle cellule del muscolo (miociti) e del fegato (epatociti), incrementa la fosforilazione e l’attività dell’AMPK. Questi eventi, come abbiamo visto in precedenza nel Paragrafo 22.3A, inibiscono la gluconeogenesi, stimolano l’ossidazione degli acidi grassi nel fegato, l’assunzione di glucosio e l’ossidazione di acidi grassi nel muscolo. Tutti questi effetti hanno il risultato di incrementare la sensibilità all’insulina, in parte perché l’adiponectina e l’insulina provocano effetti simili nei tessuti come il fegato. Un decremento di adiponectina è associato alla resistenza all’insulina (Paragrafo 22.4B). Paradossalmente, la concentrazione sanguigna dell’adiponectina, che viene secreta dagli adipociti, decresce con l’aumentare della quantità di tessuto adiposo dell’organismo. Ciò si può spiegare con il fatto che l’aumento della quantità di tessuto adiposo è associato all’aumento della produzione del fattore di necrosi tumorale a (TNFα), un fattore di crescita che fa diminuire l’espressione e la secrezione di adiponectina da parte del tessuto adiposo. L’adiponectina regola l’attivitˆ dell’AMPK.

La leptina (dal greco lept—s, “sottile”), è un polipeptide di 146 residui prodotto normalmente dagli adipociti (Figura 22.13) ed è stata scoperta studiando i topi geneticamente obesi. La maggior parte degli animali, compresi gli esseri umani, tende ad avere un peso corporeo stabile; in altre parole, se è consentito loro di mangiare a volontà, essi mangiano quanto baLa leptina • l’ormone della sazietˆ.

Figura 22.13 Struttura ai raggi X della leptina-E100 umana. Questa forma mutante di leptina (Trp 100 n Glu) ha attività biologica simile a quella della proteina normale, ma cristallizza più rapidamente. La proteina, rappresentata secondo l’ordine dei colori nell’arcobaleno dal suo N-terminale (in blu) al suo C-terminale (in rosso), forma un fascio di quattro α-eliche, come fanno anche molti fattori di crescita (per esempio, l’ormone della crescita umano, Figura 13.3). I residui da 25 a 38 non sono visibili nella struttura ai raggi X. [Basata su una struttura ai raggi X determinata da Faming Zhang, Eli Lilly & Co., Indianapolis, Indiana. PDBid 1AX8.]

S —S

HMW

S —S

Figura 22.12 Trimeri, esameri e multimeri di adiponectina. Questi complessi sono definiti come forme a basso peso molecolare (LMW), a peso molecolare medio (MMW) e a elevato peso molecolare (HMW). [Da Kadowaki, T. e Yamauchi, T. (2005). Endocrine Rev. 26, 439.]

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Il metabolismo energetico dei mammiferi: integrazione e regolazione

Figura 22.14 Topi normali (OB/OB, a sinistra) e obesi (ob/ob, a destra). [Per gentile concessione di Richard D. Palmiter, University of Washington.]

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sta loro per mantenere il loro peso corporeo “stabilito”. Tuttavia, un ceppo di topi omozigoti per difetti nel gene obese (detti topi ob/ob) è caratterizzato da un peso superiore al doppio rispetto a quello dei topi normali (OB/OB) (Figura 22.14) e si nutre in eccesso quando può accedere a quantità illimitate di cibo. Il gene OB codifica la leptina. Quando si inietta leptina nei topi ob/ob, questi mangiano meno e perdono peso. La leptina è stata quindi considerata un segnale di “sazietà” che influenza il sistema di controllo dell’appetito presente nel cervello. È stato inoltre scoperto che la leptina determina un maggiore consumo di energia. La semplice base genetica dell’obesità riscontrata nei topi ob/ob non sembra applicabile alla maggior parte delle persone obese. Nell’uomo i livelli di leptina aumentano con la percentuale di grasso corporeo, in accordo con l’ipotesi riguardante la sintesi di leptina da parte degli adipociti. Negli esseri umani, tuttavia, l’obesità non sembra il risultato di una mancata produzione di leptina, ma di una “resistenza alla leptina”, dovuta forse a una diminuzione della concentrazione di un recettore per la leptina presente nel cervello, oppure a una saturazione del recettore che trasporta la leptina nel sistema nervoso centrale, attraverso la barriera emato-encefalica. Una piccola minoranza di individui obesi è carente di leptina in modo simile ai topi ob/ob. Per esempio, due bambini molto obesi membri della stessa famiglia con un elevato grado di consanguineità (sono cugini ed entrambi i gruppi di genitori sono cugini, discendenti dagli stessi antenati) si sono dimostrati essere omozigoti per il gene difettoso OB. I bambini pesavano, all’età di 8 e di 2 anni, rispettivamente 86 e 29 Kg e non era mai stato notato che questi avessero un appetito fuori della norma. I loro geni OB avevano una delezione di un singolo nucleotide guaninico nel codone 133 che portava alla lettura non corretta di tutti i codoni a valle (erano portatori di una mutazione frameshift, o di slittamento di lettura; Paragrafo 27.1A), che evidentemente rendeva biologicamente inattiva la leptina mutante. Infatti, i loro livelli serici di leptina erano solamente il 10% circa del normale. Le iniezioni di leptina hanno ridotto la loro sintomatologia. Una diminuita risposta alla leptina provoca un aumento della concentrazioni di neuropeptide Y (NPY), 1

10

20

30

36

YPSKPDNPGE DAPAEDMARY YSALRHYINL ITRQRY

NH2

Neuropeptide Y Il carbossile C-terminale • amidato

un peptide di 36 residui rilasciato dall’ipotalamo, una regione del cervello che controlla molte funzioni fisiologiche. Il neuropeptide Y stimola l’appetito, e questo a sua volta causa un accumulo di grasso. I recettori dell’insulina sono presenti nell’ipotalamo e, insieme ai recettori della leptina, contribuiscono, dopo un legame con questi due ormoni, a inibire la secrezione di NPY. La grelina e il PYY3-36 agiscono come regolatori a breve termine dell’appetito.

Non è sorprendente che il metabolismo energetico, la massa corporea e l’appetito siano collegati tra loro. Oltre alla leptina e al neuropeptide Y, si conoscono altri ormoni peptidici coinvolti nel controllo dell’appetito. Per esempio, la grelina è un peptide secreto dallo stomaco vuoto, che stimola l’appetito. 10

20

28

GSXFLSPEHQ RVQQRKESKK PPAKLQPR Grelina umana X = residuo di Ser modificato con un acido n-attoanoico

La grelina sembra causare un aumento molto rapido del neuropeptide Y e probabilmente è parte del sistema di controllo dell’appetito a breve termine, poi-

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ché i suoi livelli oscillano nel giro di alcune ore, aumentando prima dei pasti e diminuendo immediatamente dopo. Il tratto gastrointestinale secerne un ormone soppressore dell’appetito detto PYY3-36: 3

10

20

30

36

IKPEAPGE DASPEELNRY YASLRHYLNL VTRQRY PYY3–36 umano

In esperimenti eseguiti su animali e su volontari, la somministrazione di questo peptide diminuisce l’assunzione di cibo inibendo la secrezione del neuropeptide Y. In sintesi, la grelina stimola l’appetito, mentre la leptina, l’insulina e il PYY3-36 lo sopprimono, interferendo tutti con la regolazione della secrezione NPY da parte dell’ipotalamo.

C La spesa energetica può essere controllata dalla termogenesi adattativa Le calorie contenute negli alimenti vengono utilizzate dall’organismo sia nell’esercitare lavoro sia per produrre calore. L’eccesso di molecole combustibili viene immagazzinato sotto forma di glicogeno o di grasso per poter essere utilizzato in un secondo momento. Negli individui ben bilanciati, l’immagazzinamento dell’eccesso di molecole combustibili rimane costante durante un periodo lungo anche molti anni. Tuttavia, quando l’apporto di molecole combustibili è superiore in modo molto consistente alle spese energetiche, sopraggiunge l’obesità. Il corpo possiede diversi meccanismi per potersi difendere dall’obesità. Uno di essi, discusso in precedenza, è costituito dal controllo dell’appetito. Un altro è costituito dalla termogenesi indotta dalla dieta, che è una forma di termogenesi adattativa (produzione di calore in risposta a stress ambientali). Abbiamo già discusso la termogenesi adattativa in risposta al freddo, che nel tessuto adiposo bruno (Scheda 18.4) è accompagnata dal disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa. Il meccanismo di questa produzione di calore coinvolge il rilascio di noradrenalina dal cervello in risposta al freddo, seguito dal legame dell’ormone ai recettori β-adrenergici presenti nel grasso bruno. Questi eventi sono seguiti dall’aumento della concentrazione di cAMP che innesca una cascata di fosforilazione enzimatica che porta all’attivazione della lipasi sensibile agli ormoni. L’aumento della concentrazione di acidi grassi liberi fornisce molecole combustibili disponibili all’ossidazione e porta all’apertura di un canale protonico noto come proteina disaccoppiante (UCP1; detta anche termogenina) sulla membrana interna mitocondriale. L’apertura del canale UCP1 dissipa il gradiente elettrochimico generato dal trasporto degli elettroni (Paragrafo 18.2) e quindi disaccoppia il trasporto degli elettroni dalla fosforilazione ossidativa. La continuazione dell’ossidazione senza produzione di ATP che ne consegue genera calore. Mentre è chiaro da misurazioni metaboliche che una grande assunzione di energia aumenta la termogenesi, la causa di questo aumento negli esseri umani adulti non è chiara ed è ancora oggetto di studio. Gli esseri umani adulti hanno poco tessuto adiposo bruno, ma se stimolati, gruppi di cellule ricche di mitocondri nel tessuto adiposo bianco producono anch’essi UCP1. Alcuni dati suggeriscono che le cosiddette cellule adipose beige abbiano un ruolo nel prevenire l’obesità. È interessante notare che l’attività muscolare rilascia un ormone peptidico di 112 residui chiamato irisina, che promuove lo sviluppo degli adipociti beige. Questo collegamento potrebbe spiegare perché l’esercizio aiuti a limitare l’aumento di peso, sia usando le calorie del cibo per la contrazione muscolare sia promuovendo la conversione delle calorie in eccesso in calore piuttosto che in grasso. L’uso dell’irisina come farmaco per la perdita di peso non è stato ancora testato sugli esseri umani.

PUNTO DI VERIFICA

• In che modo l’AMPK segnala i livelli del combustibile cellulare?

• Riassumete l’attività dell’AMPK nel fegato, nel muscolo e nel tessuto adiposo.

• Mettete a confronto i ruoli della leptina, della grelina, dell’insulina e del PYY nel controllo dell’appetito.

• In che modo la termogenesi aiuta a prevenire l’obesità?

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4 I disturbi del metabolismo energetico CONCETTI CHIAVE

• Durante il digiuno, il corpo adotta cambiamenti metabolici finalizzati a mantenere costanti i livelli ematici di glucosio.

• Il diabete può essere causato da una produzione insufficiente di insulina (diabete di tipo 1), ma anche da un suo aumento (diabete di tipo 2).

• L’obesità può essere il risultato di una inadeguata regolazione dell’appetito o della spesa energetica.

• Il metabolismo delle cellule cancerose è caratterizzato da un aumentato consumo di glucosio e di glutammina.

I complessi sistemi che regolano il metabolismo energetico dei mammiferi possono funzionare in modo anomalo, causando malattie acute o croniche di diversa gravità. Sono stati compiuti molti tentativi di chiarire le basi molecolari di condizioni come diabete e obesità, che sono essenzialmente patologie del metabolismo energetico. L’uso dei substrati energetici è modificato anche nelle cellule cancerose, e questo fornisce nuovi approcci a possibili terapie antitumorali. In questo paragrafo esamineremo i cambiamenti metabolici che avvengono durante il digiuno, il diabete, l’obesità e il cancro.

A Il digiuno porta ad aggiustamenti metabolici Poiché gli esseri umani non mangiano in continuazione, la disponibilità dei carburanti metabolici e la mobilizzazione delle riserve energetiche cambia in modo drastico durante le poche ore che trascorrono tra un pasto e l’altro. L’uomo può tuttavia sopravvivere a digiuni anche di alcuni mesi, regolando il suo metabolismo energetico. Questa flessibilità metabolica si è certamente evoluta prima che gli esseri umani si abituassero a consumare tre pasti al giorno. Durante la digestione di un pasto, i nutrienti sono degradati in piccole unità di solito monomeriche, assorbite dalla mucosa intestinale. Da qui, i prodotti della digestione passano nel resto del corpo tramite il circolo sanguigno. Le proteine della dieta, per esempio, per essere assorbite devono essere degradate ad amminoacidi; l’intestino tenue ne usa una certa quantità come fonte di energia, ma la maggior parte raggiunge il fegato attraverso la vena porta. Nel fegato gli amminoacidi possono essere trasformati in glucosio o in triacilgliceroli per essere esportati, a seconda delle necessità. Non esiste una forma di accumulo o un luogo di deposito degli amminoacidi; quelli che non sono metabolizzati dal fegato circolano fino ai tessuti periferici per essere usati nel catabolismo o nella sintesi delle proteine. I carboidrati della dieta, così come le proteine, sono degradati nell’intestino, e i prodotti monomerici assorbiti (per esempio, il glucosio derivato dall’amido introdotto con la dieta) sono trasportati al fegato tramite la vena porta. Fino a un terzo del glucosio introdotto con la dieta è immediatamente trasformato in glicogeno nel fegato; almeno metà di quanto rimane è trasformato in glicogeno nel muscolo, e il resto è ossidato da questo e da altri tessuti per soddisfare le necessità metaboliche immediate. L’eccesso di glucosio è trasformato in triacilgliceroli nel fegato ed esportato nel tessuto adiposo, dove si accumula. Sia l’assorbimento del glucosio sia la sintesi del glicogeno e degli acidi grassi sono stimolati dall’insulina, la cui concentrazione ematica aumenta in risposta a elevati livelli di glucosio nel sangue. Gli acidi grassi introdotti con la dieta si accumulano sotto forma di triacilgliceroli nei chilomicroni (Paragrafo 20.1), che circolano prima nel sistema linfatico e in seguito nel sangue, e quindi non sono trasportati direttamente nel fegato, come avviene per gli amminoacidi e per i carboidrati. Una quota significativa degli acidi grassi della dieta è assorbita dal tessuto adiposo. La lipoproteiI carburanti metabolici introdotti sono distribuiti immediatamente.

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TABELLA 22.2 Riserve energetiche di un uomo normale di 70 kg di peso

Massa (kg)

Caloriea

Grasso (triacilgliceroli adiposi)

15

141 000

Proteine (principalmente muscolari)

6

24 000

Glicogeno (muscolo)

0,150

600

Glicogeno (fegato)

0,075

300

Glucosio (fluido extracellulare)

0,020

80

Acidi grassi liberi (plasma)

0,0003

3

Triacilgliceroli (plasma)

0,003

30

Riserva energetica Tessuti

Riserve energetiche circolanti

Totale

166 000

a

1 caloria (dietetica) = 1 kcal = 4,184 kJ. Fonte: Cahill, G.E., Jr. (1970). New Engl. J. Med. 282, 669.

na lipasi idrolizza prima i triacilgliceroli, e gli acidi grassi rilasciati sono assorbiti ed esterificati negli adipociti. Quando i tessuti assumono e metabolizzano il glucosio, la [glucosio] nel sangue diminuisce, causando il rilascio di glucagone da parte delle cellule a del pancreas. L’ormone stimola nel fegato la degradazione del glicogeno e il rilascio di glucosio, favorendo inoltre la gluconeogenesi a partire da amminoacidi e lattato. Gli effetti reciproci di insulina e glucagone, che rispondono e regolano entrambi la concentrazione di glucosio nel sangue, assicurano che la quantità di glucosio disponibile per i tessuti extraepatici rimanga relativamente costante. La quantità di carboidrati conservati dall’organismo non è tuttavia sufficiente nemmeno per un giorno (Tabella 22.2). Dopo una notte di digiuno la combinazione tra l’aumento di secrezione di glucagone e la diminuzione di secrezione di insulina favorisce la mobilizzazione di acidi grassi dal tessuto adiposo (Paragrafo 20.5). La diminuzione della concentrazio500 ne di insulina inibisce inoltre l’assunzione di glucosio da parte del tessuto muscolare. Quindi, per produrre energia i muscoli passa400 no dal metabolismo basato sui carboidrati a quello basato sugli acidi grassi: l’adattamento permette di risparmiare glucosio per altri tessuti, come il cervello, che non possono utilizzare acidi grassi per 300 produrre energia. [Glicogeno] (mM)

La concentrazione di glucosio nel sangue rimane pressoché costante.

200 Dopo un lungo digiuno, i depositi di glicogeno nel fegato diminuiscono (Figura 22.15). In queste condizioni aumenta la velocità della gluco100 neogenesi. Dopo 40 ore di digiuno la gluconeogenesi produce circa il 96% del glucosio epatico; in queste condizioni la gluconeogene0 si è attiva anche nel rene. Negli animali il glucosio non può essere 0 sintetizzato a partire dagli acidi grassi, perché né il piruvato né l’ossalacetato, i precursori del glucosio nella gluconeogenesi, possono essere sintetizzati a partire dall’acetil-CoA. Durante il digiuno il glucosio deve quindi essere sintetizzato dal glicerolo prodotto dalla demolizione dei triacilgliceroli e, in misura maggiore, dagli amminoacidi che derivano dalla degradazione delle proteine che provengono principalmente dal muscolo. La degradazione delle proteine muscolari non può tuttavia continuare all’infinito, perché la perdita di massa muscolare impedirebbe all’animale di muoversi per andare in cerca di cibo. L’organismo deve quindi escogitare strategie metaboliche alternative.

La gluconeogenesi produce glucosio durante il digiuno.

20

40 Tempo (ore)

60

Figura 22.15 Diminuzione del glicogeno epatico durante il digiuno. Il contenuto di glicogeno epatico è stato misurato in sette soggetti durante un digiuno di 64 ore, mediante 13C-NMR. [Rothman, D.L., Magnusson, I., Katz, L.D., Shulman, R.G. e Shulman, G.I. (1991). Science 254, 575.]

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Durante il digiuno i corpi chetonici diventano la principale fonte di energia.

Dopo alcuni giorni di digiuno il fegato invia l’acetil-CoA che deriva dalla b-ossidazione degli acidi grassi verso la sintesi dei corpi chetonici (Paragrafo 20.3). Questi combustibili metabolici sono poi rilasciati nel sangue. Il cervello si adatta poco alla volta a usare i corpi chetonici come fonte di energia, sintetizzando gli enzimi adatti. Dopo tre giorni di digiuno, solo un terzo delle necessità metaboliche del cervello viene soddisfatto dai corpi chetonici, ma dopo 40 giorni di digiuno questa percentuale sale fino al 70% circa. Di conseguenza, durante un digiuno prolungato la velocità di degradazione del tessuto muscolare diminuisce fino al 25% circa del valore che aveva dopo solo alcuni giorni di digiuno. Il tempo di sopravvivenza di un individuo a digiuno dipende quindi molto più dalla quantità delle sue riserve di grasso che dalla sua massa muscolare. Indubbiamente gli individui obesi possono sopravvivere più di un anno senza mangiare (e questo è avvenuto nel corso di programmi di riduzione del peso clinicamente controllati).

La limitazione calorica è una forma modificata di digiuno in cui l’assunzione di energia è ridotta del 30-40% mentre i livelli dei micronutrienti (vitamine e minerali) sono mantenuti costanti. I roditori sottoposti a questo regime alimentare hanno avuto una vita fino al 50% più lunga di quella dei roditori di controllo, cioè rispetto a quegli animali sottoposti a diete che comprendevano regimi di alimentazione normali. Anche le aspettative di vita di una vasta gamma di organismi, dai lieviti ai primati, vengono allungate allo stesso modo (sebbene uno studio della durata di più di 20 anni sulla limitazione calorica nelle scimmie rhesus non abbia dimostrato un aumento dell’aspettativa di vita). Per determinare le basi biochimiche di queste osservazioni sperimentali è in corso un considerevole lavoro di ricerca. Una limitazione calorica può aumentare la longevità.

B Il diabete mellito è caratterizzato da elevati livelli ematici di glucosio

Nella malattia detta diabete mellito (spesso chiamata semplicemente diabete), la terza causa di morte negli Stati Uniti dopo infarto e cancro, l’insulina non è secreta in quantità sufficienti oppure non stimola in modo efficiente le sue cellule bersaglio. In conseguenza di ciò i livelli ematici di glucosio diventano così elevati che il glucosio “viene perso” nelle urine (mellito, dal latino, “dolce come il miele”), il che costituisce un utile test diagnostico della malattia. Tuttavia, nonostante gli alti livelli di glucosio nel sangue, le cellule “muoiono di fame” perché l’ingresso di glucosio nelle cellule indotto dall’insulina è alterato. I processi di idrolisi dei triacilgliceroli, di ossidazione degli acidi grassi, di gluconeogenesi e di formazione di corpi chetonici sono accelerati e, in una condizione nota con il nome di chetosi, i livelli dei corpi chetonici nel sangue diventano anormalmente elevati. Poiché i corpi chetonici sono acidi, la loro elevata concentrazione causa una condizione detta acidosi (che, se presente insieme alla chetosi prende il nome di chetoacidosi), che tende a consumare la capacità tamponante presente nel sangue e nei reni, che controllano il pH del sangue mediante l’escrezione nelle urine dell’H1 in eccesso. L’escrezione di H1 è accompagnata anche dall’escrezione di NH41, Na1, K1, Pi e H2O; di conseguenza si ha una minzione frequente che causa una grave disidratazione (la sete eccessiva è un classico sintomo di diabete) e una diminuzione del volume sanguigno, condizioni che mettono infine a rischio la vita. L’acetone che si forma dalla decarbossilazione spontanea del corpo chetonico acetoacetato (Paragrafo 20.3) non viene metabolizzato ma espirato, dando all’alito un odore di solvente che è spesso confuso con l’etanolo. Di conseguenza, un diabetico non ben controllato che presen-

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ta confusione mentale o stato comatoso, alla diagnosi può essere erroneamente considerato un ubriaco, un errore potenzialmente fatale. Esistono due principali forme di diabete mellito. 1. Il diabete mellito insulino-dipendente o a insorgenza giovanile, o diabete di tipo I, che per lo più colpisce in modo improvviso durante l’infanzia. 2. Il diabete mellito non insulino-dipendente o a insorgenza nell’età adulta, o diabete di tipo II, che di solito si sviluppa gradualmente a partire dai 40 anni d’età, anche se sta diventando sempre più comune in adulti più giovani. Il diabete insulino-dipendente è causato da una carenza di cellule b del pancreas. Nel diabete mellito insulino-dipendente l’insulina è quasi o del tutto

assente in quanto le cellule b del pancreas sono difettose o addirittura assenti. Questa condizione di solito deriva da una risposta autoimmune che distrugge selettivamente le cellule b del pancreas. Come hanno dimostrato per la prima volta Frederick Banting e Charles Best nel 1921 (Scheda 22.2), gli individui malati di diabete insulino-dipendente necessitano per sopravvivere di iniezioni giornaliere di insulina (che per molti anni è stata estratta dal pancreas di animali, mentre ora si usa insulina ricombinante umana) e devono seguire una dieta e un regime di attività fisica attentamente bilanciati. La loro aspettativa di vita è, nonostante tutto, ridotta fino a un terzo del normale a causa di complicazioni degenerative, tra cui disfunzioni renali, danni al sistema nervoso e malattie cardiovascolari, che sembra derivino da anomalie nel controllo metabolico causate dalle iniezioni periodiche di insulina. L’iperglicemia (alta [glucosio] nel sangue) indotta dal diabete mellito può anche causare cecità, provocata dalla degenerazione della retina e dalla glicosilazione delle proteine del cristallino, che causa la cataratta (Figura 22.16). Tuttavia, con il recente sviluppo di dispositivi che misurano continuamente i livelli di glucosio nel sangue e in base a questi dati erogano insulina, queste complicanze sono state in gran parte eliminate.

SCHEDA 22.2

LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA

Frederick Banting, Charles Best e la scoperta dell’insulina Frederick Banting (1891-1941) Charles Best (1899-1978)

Una delle storie più famose nell’ambito della ricerca clinica riguarda le scoperte e l’uso terapeutico dell’insulina, l’ormone mancante nel diabete di tipo I. A partire dalla fine del XIX secolo, gli scienziati clinici avevano compreso l’esistenza di un legame tra il diabete e le secrezioni pancreatiche, in particolare provenienti dai piccoli gruppi di cellule noti come isolotti di Langerhans. Si era tentato ripetutamente di estrarne le secrezioni, ma senza successo. Nel 1920 Frederick Banting, leggendo un resoconto di questi studi, si domandò se fosse possibile purificare un estratto attivo qualora i dotti pancreatici, che raccolgono enzimi digestivi potenzialmente distruttivi, fossero stati in precedenza legati (cioè chiusi). Banting, un giovane chirurgo la cui carriera in medicina era ancora agli inizi, lavorava come dimostratore (assistente alle esercitazioni) presso l’Università dell’Ontario occidentale. Presentò la sua idea a John J. R. Macleod, capo del Dipartimento di Fisiologia dell’Università di Toronto. Macleod, per quanto scettico, permise a Banting nell’estate del 1921 di usare il laboratorio, garantendogli i cani necessari per gli esperimenti e l’aiuto dell’assistente Charles

Best. Nonostante gli studi di medicina e l’esperienza con il Servizio Medico Militare del Canada, Banting non era un bravo sperimentatore. Best, tuttavia, aveva appena terminato gli studi nel campo della fisiologia e biochimica e lavorava già come assistente di Macleod. Best imparò rapidamente le tecniche chirurgiche da Banting, mentre Banting imparava da Best le tecniche analitiche, come la misurazione dei livelli di zuccheri nel sangue e nelle urine dei cani. Il metodo sperimentale di Banting e Best richiedeva cani privi di pancreas, ma la tecnica chirurgica di asportazione era molto difficile e molti cani morivano a causa di infezioni (si raccontava che i cani randagi per le vie di Toronto fossero catturati per sostituire gli animali morti). Ai cani a cui era stato asportato con successo il pancreas, i quali avevano sviluppato i sintomi letali di diabete, fu iniettato un estratto pancreatico che Banting e Best chiamarono “insulina”, dal latino insula, “isola”. Alla fine di luglio Banting e Best raggiunsero infine il risultato desiderato, cioè la prova che l’insulina era in grado di ridurre in modo drastico il livello di zucchero nel sangue di un cane. L’esperimento fu ripetuto con risultati simili in altri cani. Sebbene la posizione accademica temporanea di Banting terminasse alla fine dell’estate, i suoi risultati furono abbastanza promettenti da garantirgli ulteriori fondi, la supervisione di Macleod, finalmente convinto, e l’assistenza continua di Best, che all’inizio intendeva lavorare con Banting solo per due mesi. Il successo di Banting e Best nel prolungare

^ (segue)

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SCHEDA 22.2 LE SCOPERTE DELLA BIOCHIMICA (continua)

la vita dei cani diabetici determinò una enorme pressione affinché gli studiosi producessero insulina in grande quantità e con un elevato grado di purezza. James Collip, un biochimico in sabbatico dell’Università di Alberta, offrì loro aiuto. Le preparazioni di insulina di Collip, che furono eseguite senza avere alcun indizio sul fatto che l’ormone era di natura proteica, risultarono di qualità tale da permetterne l’uso sperimentale sugli esseri umani. A quel tempo una diagnosi di diabete equivaleva praticamente a una sentenza di morte con un unico tipo di trattamento possibile, una dieta molto stretta che probabilmente allungava la vita solo di pochi mesi (molti malati morivano per denutrizione). Nel gennaio del 1923 Banting iniettò l’estratto di Collip a Leonard Thompson, un ragazzo diabetico di 14 anni che era ormai in fin di vita. I livelli di zuccheri nel sangue di Thompson tornarono immediatamente normali e il ragazzo recuperò le forze. Questo straordinario risultato clinico non passò inosservato ed entro pochi mesi Banting aprì una clinica per iniziare il trattamento di pazienti diabetici che volevano a tutti i costi una cura che restituisse loro le speranze di una vita normale. Banting si assicurò inoltre l’aiuto dei laboratori antitossina Connaught dell’Università di Toronto, e della azienda farmaceutica Eli Lilly per produrre su larga

scala insulina adatta alle prove cliniche. Best, che aveva appena 23 anni, fu incaricato della produzione di insulina in tutto il Canada. In seguito divenne chiaro che l’assunto originale di Banting (cioè che la presenza di enzimi digestivi compromettesse la produzione di insulina) era errato, e l’insulina fu quindi isolata con successo dal pancreas intatto. Tra varie controversie, il premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia fu assegnato a Banting e a Macleod. Banting, infastidito perché Best non era stato premiato, divise la sua quota del premio con lui. Macleod, che non aveva dato molto sostegno alla ricerca, almeno all’inizio, divise la sua quota del premio con Collip. In seguito Banting ricoprì numerose posizioni amministrative e si dedicò a ricerche nel campo della silicosi, ma non ottenne grandi risultati. Morì nel 1941 in un incidente aereo durante un viaggio in Gran Bretagna per una missione di guerra. Best, che a 29 anni sostituì Macleod nella direzione del dipartimento di Fisiologia, continuò le ricerche sull’attività biologica dell’insulina, supervisionando anche i tentativi di purificare l’eparina, un glicosamminoglicano anticoagulante, per uso medico militare. Banting, F.G. e Best, C.H. (1922). The internal secretion of the pancreas, J. Lab. Clin. Med. 7, 251-266.

Figura 22.16 Fotografia di una cataratta di origine diabetica. L’accumulo di glucosio nel cristallino provoca l’ingrossamento e la precipitazione delle sue proteine. L’opacità che ne risulta determina una visione confusa e infine la perdita completa della vista. [© Sue Ford/Photo Researchers.]

Il rapido sviluppo dei sintomi che caratterizzano il diabete mellito insulino-dipendente aveva in passato indotto a ritenere che l’attacco autoimmune nei confronti delle cellule b del pancreas fosse di breve durata. Di solito la malattia si sviluppa nel corso di alcuni anni perché la distruzione delle cellule b da parte del sistema immunitario è un processo molto lento. Solo quando più dell’80% di queste cellule è stato eliminato appaiono improvvisamente i sintomi classici del diabete. Una delle cure di maggior successo per il diabete insulino-dipendente è un trapianto di cellule b, una procedura resa possibile dallo sviluppo di farmaci immunosoppressivi con effetti collaterali negativi limitati. Il diabete non insulino-dipendente può essere causato da una carenza di recettori per l’insulina o da disfunzioni della trasduzione del segnale indotta dall’insulina. Il diabete mellito non insulino-dipendente, responsabile di più del 90%

dei casi di diabete diagnosticati, e che colpisce il 10% circa della popolazione adulta, di solito riguarda individui obesi con una predisposizione genetica a questa malattia. Questi individui sono caratterizzati da livelli di insulina normali o addirittura molto elevati, ma le loro cellule non rispondono all’insulina e sono quindi dette insulina-resistenti. Come risultato le loro concentrazioni di glucosio nel sangue sono molto più alte del normale, particolarmente dopo un pasto (Figura 22.17). L’iperglicemia che accompagna la resistenza all’insulina induce le cellule b del pancreas ad aumentare la produzione di insulina, ma gli alti livelli basali di secrezione dell’insulina causano una diminuzione della capacità delle cellule b di

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Figura 22.17 Profili del glucosio plasmatico misurati nell’arco di 24 ore in soggetti normali e in diabetici non insulina-dipendenti. I livelli basali di glucosio e i picchi che seguono i pasti sono più alti negli individui diabetici. [Da Bell, G.I., Pilkis, S.J., Weber, I.T. e Polonsky, K.S. (1996). Annu. Rev. Physiol. 58, 178.]

20 Diabete non insulina-dipendente [Glucosio] nel plasma (mM)

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15

rispondere a ulteriori aumenti della concentrazione di gluco10 sio nel sangue. Perciò, l’iperglicemia e le concomitanti complicazioni tendono progressivamente a peggiorare. Una piccola percentuale di casi di diabete di tipo 2 è cau5 sata da mutazioni nei recettori dell’insulina che riducono la loro capacità di associazione al ligando e la loro attività tirocolazione sina chinasica. Tuttavia, nella stragrande maggioranza dei casi non è stato possibile identificare una chiara causa geneti0 ca: è probabile quindi che molti fattori siano coinvolti nello 0 240 sviluppo di questa malattia. Per esempio, l’aumento di produzione di insulina derivato da un’alimentazione eccessiva potrebbe causare la soppressione della sintesi dei recettori dell’insulina. Questa ipotesi spiegherebbe perché spesso è sufficiente una dieta per diminuire la gravità della malattia. Gerald Shulman ha ipotizzato invece che l’elevata concentrazione di acidi grassi liberi nel sangue, causata dall’obesità, diminuisca la trasduzione del segnale basata sull’insulina. Questa alta concentrazione provocherebbe a lungo termine l’attivazione di una isoforma di PKC che fosforila i substrati dei recettori dell’insulina (IRS) in corrispondenza dei residui di Ser e Thr, inibendo quindi la loro fosforilazione a livello dei residui di Tyr che porta alla loro attivazione. La mancata attivazione degli IRS diminuisce la risposta delle cellule all’insulina (Figura 13.31). Altri trattamenti per le forme di diabete non insulino-dipendenti sono farmaci come la metformina e i tiazolidinadioni (TZD; a destra), che diminuiscono la resistenza all’insulina riducendo il rilascio di glucosio da parte del fegato (la metformina) o aumentando l’eliminazione del glucosio nel muscolo, stimolata dall’insulina (i TZD). Questi farmaci aumentano i livelli cellulari di AMP, che in questo modo incrementa il rapporto AMP/ATP che stimola l’attività di AMPK e la sua fosforilazione. L’aumentata attività di AMPK diminuisce la gluconeogenesi nel fegato e incrementa l’utilizzo di glucosio nel muscolo (Figura 22.11). La metformina può agire anche inibendo la segnalazione del glucagone nel fegato, perché un aumento dell’AMP cellulare impedisce l’attivazione dell’adenilato ciclasi da parte del glucagone. Inoltre, i TZD diminuiscono la resistenza all’insulina legando e attivando un fattore di trascrizione detto recettore g che attiva la proliferazione dei perossisomi (PPAR-g), soprattutto nel tessuto adiposo. Tra l’altro, l’attivazione del PPAR-g induce la sintesi dell’adiponectina (Paragrafo 22.3B), che porta a un aumento dell’attività dell’AMPK. Nel tessuto adiposo, l’azione dell’AMPK porta alla diminuzione della lipolisi e dell’esportazione di acidi grassi, riducendo la concentrazione di acidi grassi liberi nel torrente circolatorio e la resistenza all’insulina (vedi prima). I TZD non sono però privi di effetti collaterali. Per esempio, il rosiglitazone (nome commerciale Avandia) N

O S

O

N

HN H 3C O

H Rosiglitazone (Avandia)

Normale

pranzo

cena

480

720

960

1440

1200

Tempo (minuti)

NH

H3C N

NH NH

NH2

H3C Metformina O R

N

H

S O Un tiazolidinadione (TZD)

850

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sembra aumentare le probabilità di infarto cardiaco del 43%. Per questo motivo non è più utilizzato in Europa e negli Stati Uniti è somministrato solamente a quei pazienti per i quali nessun altro farmaco è risultato efficace. Gli adipociti e alcuni altri tipi di cellule secernono un polipeptide di 108 residui detto resistina. L’ormone è così chiamato per la sua capacità di bloccare l’azione dell’insulina sugli adipociti. In effetti, la produzione di resistina viene abbassata dai farmaci antidiabetici tiazolidinadioni (TZD), una caratteristica che ne ha determinato la scoperta. È stato ipotizzato che un’elevata produzione di resistina contribuisca allo sviluppo del diabete non insulino-dipendente. Però l’effetto potrebbe essere indiretto, in quanto la resistina agisce come segnale proinfiammatorio, e l’infiammazione cronica è spesso accompagnata dall’insulino-resistenza.

C L’obesità solitamente è causata da un’eccessiva assunzione di alimenti Il corpo umano regola i livelli di glicogeno e di proteine entro limiti relativamente ristretti, ma le riserve di grasso, che sono molto superiori, possono diventare addirittura enormi. L’accumulo di acidi grassi nel tessuto adiposo sotto forma di triacilgliceroli è soprattutto il risultato di una eccessiva introduzione di grassi rispetto a quanti ne sono consumati per produrre energia. La sintesi di grassi a partire dai carboidrati avviene quando la loro introduzione con la dieta è così elevata che i depositi di glicogeno, dove normalmente sono diretti i carboidrati in eccesso, si avvicinano alla loro massima capacità. Una mancanza cronica di equilibrio tra il consumo di grassi e carboidrati e il loro utilizzo aumenta la massa del tessuto adiposo a causa dell’aumento del numero o della grandezza degli adipociti (una volta formati, gli adipociti non possono essere perduti, anche se le loro dimensioni possono aumentare o diminuire). L’aumento di massa del tessuto adiposo aumenta la riserva di acidi grassi che possono essere mobilizzati per produrre energia metabolica. Si raggiunge infine uno stato stazionario in cui la massa di tessuto adiposo non aumenta più e l’accumulo di grasso è bilanciato dalla sua mobilizzazione. Questo fenomeno spiega in parte l’elevata incidenza dell’obesità nelle società opulente, dove abbondano i cibi ricchi di grassi e carboidrati e l’attività fisica non è più necessaria per la sopravvivenza. Numerose evidenze inducono a ritenere che il comportamento (per esempio, abitudini alimentari e livelli di attività fisica) influenzi la composizione corporea di un individuo; alcuni casi di obesità, tuttavia, come abbiamo visto in precedenza (Paragrafo 22.3), sono chiaramente dovuti a disturbi innati della capacità dell’individuo di metabolizzare le fonti di energia. I meccanismi ormonali che contribuiscono all’obesità e i problemi di salute che ne derivano, come il diabete, possono avere determinato un vantaggio selettivo in epoche lontane. Per esempio, la capacità di aumentare di peso facilmente avrebbe potuto conferire protezione contro le carestie. Secondo una teoria nel corso dell’evoluzione umana la regolazione del metabolismo energetico è stata indirizzata verso l’alimentazione eccessiva in caso di disponibilità di grandi quantità di cibo, per ottenere nutrienti essenziali e contemporaneamente accumulare energia non necessaria, sotto forma di grasso, per sopravvivere in tempi di carestia. Nella civiltà moderna, nella quale le carestie sono rare e il cibo ad alto contenuto nutritivo è facilmente disponibile, l’eredità genetica umana ha apparentemente contribuito a produrre un’epidemia di obesità: si ritiene che il 30% degli americani adulti sia obeso e un altro 35% sia sovrappeso. L’obesità grave in alcuni casi può essere ridotta tramite un intervento chirurgico di bypass gastrico o mediante l’inserimento di un bendaggio gastrico (interventi chiamati nel loro insieme di chirurgia bariatrica), che riduce drasticamente la dimensione effettiva dello stomaco. Sebbene l’intervento chirurgico non garantisca una perdita di peso a lungo termine, gli effetti immediati di que-

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ste procedure includono un’aumentata sensibilità all’insulina (per esempio, una riduzione del diabete di tipo II) e una riduzione dell’appetito. Queste risposte probabilmente riflettono dei cambiamenti nella secrezione ormonale da parte di stomaco e intestino. Inoltre, la riduzione del tratto digerente altera il percorso di ricircolo della bile e fa sì che arrivi più ossigeno al colon; entrambi questi fattori possono influenzare la composizione del microbioma intestinale (Scheda 22.1) e il tipo e la quantità di nutrienti assorbiti dal corpo.

La sindrome metabolica è un’alterazione del metabolismo caratterizzata da resistenza all’insulina, infiammazione e da una predisposizione a diverse malattie quali il diabete di tipo 2, l’ipertensione e l’aterosclerosi. Queste patologie sono accompagnate poi da un aumento dei disturbi alle arterie coronarie. L’insorgenza della sindrome metabolica, che ha un’incidenza, negli Stati Uniti, pari al 25% della popolazione, è stata associata anche a obesità e inattività fisica ma può dipendere anche da predisposizioni genetiche. La sindrome metabolica è particolarmente diffusa tra i membri dei gruppi etnici che, nelle generazioni più recenti, hanno adottato stili di vita e alimentari moderni. Gli individui con sindrome metabolica tendono ad avere una proporzione relativamente elevata di grasso viscerale (addominale). Questo tipo di grasso ha un profilo ormonale differente da quello del grasso sottocutaneo. Per esempio, il grasso viscerale produce meno leptina e adiponectina (ormoni che aumentano la sensibilità all’insulina) e più TNFα, un efficace mediatore dell’infiammazione, parte integrante del sistema immunitario dell’organismo. L’infiammazione cronica innescata dall’eccesso di grasso viscerale può essere responsabile di alcuni dei sintomi che caratterizzano la sindrome metabolica, come l’aterosclerosi. La via di segnalazione del TNFα nelle cellule può portare alla fosforilazione di IRS-1, una modificazione che impedisce la sua attivazione da parte del recettore tirosina chinasico dell’insulina. Ciò dovrebbe spiegare la resistenza all’insulina che caratterizza la sindrome metabolica. Alte concentrazioni di lipidi circolanti possono contribuire all’accumulo di grasso in organi come il fegato, e questo può portare a un’insufficienza epatica. L’esercizio fisico, la riduzione del rapporto tra calorie e peso del corpo, l’adiponectina, la leptina, la metformina e i TZD sono stati tutti utilizzati con successo nel trattamento della sindrome metabolica. Tutti questi composti aumentano l’attività dell’AMPK, rendendola un bersaglio promettente per lo sviluppo di nuovi farmaci. L’obesità è un fattore che contribuisce alla sindrome metabolica.

D Il metabolismo del cancro Intorno alla metà degli anni ’20 del Novecento, Otto Warburg (Scheda 15.1) osservò che le cellule tumorali hanno un alto tasso di glicolisi. All’inizio, questa attività fu attribuita alla mancanza di ossigeno nei tumori poco vascolarizzati (la glicolisi è una via anaerobica), ma ora è chiaro che le cellule tumorali consumano grandi quantità di glucosio anche quando c’è abbondanza di ossigeno, perciò questo processo catabolico viene chiamato oggi glicolisi aerobica. La degradazione del glucosio produce ATP, ma fornisce anche gli intermedi di varie vie anaboliche. Il glucosio, insieme ad alcuni amminoacidi come la glutammina, sostiene la crescita rapida e la proliferazione delle cellule tumorali e di alcune altre cellule molto attive, come i linfociti B e T che rispondono alle infezioni (Paragrafo 7.3). Alcune caratteristiche del metabolismo delle cellule tumorali sono riassunte nella Figura 22.18.

In condizioni aerobiche, le cellule normali convertono il glucosio principalmente in piruvato, il quale è convertito in gruppi acetilici che entrano nel ciclo dell’acido citrico, portando alla fine alla produzione di ATP mediante la fosforilazione

La degradazione del glucosio fornisce intermedi e potere riducente.

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Glucosio via del pentosio fosfato

NADPH

NADH

Ribosio Ser/Gly

3PG fosforilazione ossidativa

Nucleotidi

Proteina

Piruvato

Lattato

Figura 22.18 Modificazioni metaboliche nel cancro. Le vie il cui flusso aumenta nelle cellule tumorali sono evidenziate in verde.

NADH

Acidi grassi

Acetil-CoA

Amminoacidi

Ciclo dell’acido citrico

ATP

NADH Amminoacidi

ossidativa. Nelle cellule tumorali questo processo avviene comunque, ma viene metabolizzato ulteriore glucosio per andare incontro alle necessità dei precursori biosintetici e come protezione contro le specie reattive dell’ossigeno, sottoprodotti del metabolismo ossidativo. In alcune cellule tumorali, il flusso glicolitico è aumentato in parte per il fatto che le cellule sovraesprimono il gene che codifica l’enzima bifunzionale fosfofruttochinasi-2/ fruttosio bisfosfatasi-2. Questo enzima genera il regolatore allosterico fruttosio-2,6-bisfosfato, che accelera il flusso glicolitico a livello della fosfofruttochinasi 1. L’aumentato catabolismo del glucosio incrementa le concentrazioni degli intermedi glicolitici. Il 3-fosfoglicerato (3PG) risultante può essere dirottato per generare serina (Paragrafo 21.5A), che, quando viene convertita in glicina, fornisce gruppi monocarboniosi per altri processi metabolici (Paragrafo 21.4D), inclusa la sintesi di timidina (Paragrafo 23.3B), necessario per la crescita e la divisione cellulare. La glicina stessa è un precursore dei nucleosidi adenosina e guanosina (Paragrafo 23.1). L’isoforma della piruvato chinasi PKM2, che è espressa in molte cellule tumorali, agisce come punto di controllo per il metabolismo del glucosio. Per esempio, l’attività di PKM2 è stimolata dal 5-amminoimidazolo-4-(N-succinilcarbossiamide) ribonucleotide (SAICAR), un intermedio della via di sintesi dei nucleotidi purinici (Paragrafo 23.1A). Quando SAICAR si accumula, il che indica un’adeguata sintesi di nucleotidi, il metabolismo del glucosio viene indirizzato verso il piruvato; quando la sintesi dei nucleotidi consuma SAICAR, gli intermedi glicolitici sono reindirizzati alla via del pentosio-fosfato (Paragrafo 15.6) e alla sintesi di serina e glicina (Paragrafo 21.5A). La serina attiva allostericamente PKM2, e questo aiuta a regolare finemente l’utilizzo dei carboni del glucosio per le reazioni di biosintesi. Il piruvato generato tramite la glicolisi è un precursore dell’alanina (Paragrafo 21.5A), che, dopo la leucina, è l’amminoacido più abbondante nelle proteine (Tabella 4.1). Il piruvato può anche essere convertito in acetil-CoA, che si combina con l’ossalacetato per formare citrato. Invece di continuare attraverso il ciclo dell’acido citrico nel mitocondrio, il citrato viene trasportato nel citoplasma, dove, per azione della ATP-citrato liasi, è riconvertito in gruppi acetilici destinati alla sintesi degli acidi grassi (Paragrafo 20.4A). Sia il citrato sia le molecole lipidiche di acil-CoA inibiscono l’attività della fosfofruttochinasi 1, e così dirigono relativamente più glucosio verso la via del pentosio-fosfato. Que-

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sto produce il ribosio e il NADPH necessari per la sintesi dei nucleotidi. Gli equivalenti riducenti del NADPH sono usati anche nella sintesi dei lipidi e per generare il glutatione ridotto che impedisce il danno da specie reattive dell’ossigeno (Scheda 15.4). Anche il lattato, il principale prodotto finale della glicolisi nelle cellule tumorali, inibisce l’attività della fosfofruttochinasi 1, promuovendo ulteriormente la via del pentosio fosfato. Il lattato può favorire indirettamente la crescita delle cellule tumorali attivando cascate di segnalazione che alterano i profili di espressione genica nelle cellule stesse o in quelle vicine. Per esempio, le cellule endoteliali che rivestono i vasi sanguigni rispondono al lattato moltiplicandosi per formare nuovi vasi che servono al tumore in crescita. Altri metaboliti specifici del cancro partecipano o interferiscono con reazioni che modificano il DNA, un meccanismo che altera in modo più o meno permanente il profilo di espressione genica in quelle cellule. Una di queste sostanze è il 2-idrossiglutarato (a destra), che è generato a partire dall’isocitrato da una forma mutante di isocitrato deidrogenasi che si trova in alcuni tumori.

O

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O

–O

O– OH

2-Idrossiglutarato

Il metabolismo della glutammina e quello del glutammato sostengono i processi anabolici. La glutammina, il più abbondante degli amminoacidi circo-

lanti nel sangue, è un nutriente fondamentale per le cellule tumorali. La glutammina è una fonte di azoto nella sintesi dei nucleotidi purinici e pirimidinici (Paragrafi 23.1 e 23.2). Inoltre, la glutamminasi converte la glutammina in glutammato, che va incontro a transamminazione per produrre α-chetoglutarato (Paragrafo 21.4C). Sebbene una quantità elevata di α-chetoglutarato possa aumentare il flusso dell’acido citrico per rifornire la fosforilazione ossidativa, gran parte di questo viene usato per vie anaboliche. Per esempio, il malato che deriva dall’α-chetoglutarato può essere convertito in piruvato grazie all’azione dell’enzima malico (Paragrafo 20.2E); questa reazione genera anche NADPH che viene usato nelle vie biosintetiche. L’ossalacetato prodotto dall’α-chetoglutarato può essere transamminato ad aspartato, che è un precursore dei nucleotidi purinici (Paragrafo 23.1A) e pirimidinici. Anche l’ossalacetato mitocondriale può condensarsi con l’acetil-CoA per generare citrato che, dopo essere stato trasportato nel citoplasma, fornisce gruppi acetilici nel citosol per la sintesi degli acidi grassi (Paragrafo 20.4A). L’attività della glutammato deidrogenasi, uno dei principali punti di controllo (Paragrafo 21.5A), è regolata allostericamente da vari metaboliti, compresi l’ADP (un attivatore) e il GTP (un inibitore), cosa che aiuta a collegare il metabolismo degli acidi grassi alle risorse energetiche della cellula. Anche la leucina stimola l’attività della glutammato deidrogenasi, il che potrebbe aiutare a bilanciare l’uso degli amminoacidi nelle cellule tumorali. Il palmitil-CoA inibisce l’attività della glutammato deidrogenasi, così quando il tasso di sintesi degli acidi grassi è elevato e si accumulano gruppi acil-CoA, diminuisce la funzione cataplerotica (cioè di fornitura dei metaboliti) del ciclo dell’acido citrico. Quando l’ossidazione degli acidi grassi procede ad un tasso elevato, viene rimossa l’inibizione della glutammato deidrogenasi e il glutammato può riformare l’α-chetoglutarato per incrementare il flusso di acetil-CoA derivanti dai lipidi nel ciclo dell’acido citrico. Un aumentato consumo di glucosio e glutammina è caratteristico di molte cellule tumorali, ma a causa della natura multifattoriale del cancro, non esiste un singolo meccanismo che spieghi tutte le modificazioni metaboliche che avvengono nella trasformazione di una cellula normale in una tumorale. Infatti, è noto che le cellule tumorali cambiano nel tempo e anche all’interno della stessa massa tumorale, tanto che una singola cellula può avere un profilo peculiare di attività enzimatiche e di concentrazione dei metaboliti. Ciò nonostante, una miglior comprensione della biologia del cancro può indicare ulteriori obiettivi per lo sviluppo di farmaci antitumorali.

PUNTO DI VERIFICA

• In che modo l’organismo distribuisce le molecole combustibili derivate dagli alimenti?

• Descrivete i cambiamenti metabolici che avvengono durante le fasi iniziali e tardive del digiuno.

• Individuate le differenze tra il diabete mellito insulino-dipendente e quello insulino-indipendente.

• In che modo la resistenza all’insulina o la mancanza di insulina contribuiscono ai sintomi tipici del diabete?

• In che modo l’obesità è correlata al diabete mellito non insulinodipendente?

• In che cosa la glicolisi aerobica differisce dalla glicolisi anaerobica? Perché la glicolisi anaerobica non è realmente anaerobica?

• In che modo il metabolismo del glucosio e quello della glutammina sostengono la sintesi di nucleotidi, lipidi e amminoacidi?

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RIASSUNTO 1 La specializzazione degli organi • Le vie di sintesi e degradazione dei principali combustibili metabolici (glucosio, acidi grassi e amminoacidi) convergono su acetil-CoA e piruvato. Nei mammiferi il flusso attraverso queste vie metaboliche è specifico per ogni tessuto. • Il cervello usa il glucosio come principale carburante metabolico. Il tessuto muscolare può ossidare vari metaboliti, ma in condizioni di massimo sforzo dipende dalla glicolisi anaerobica. Il tessuto adiposo accumula l’eccesso di acidi grassi sotto forma di triacilgliceroli e li mobilizza quando necessario. • Il fegato mantiene costanti le concentrazioni dei metaboliti circolanti. L’attività della glucochinasi permette al fegato di assorbire l’eccesso di glucosio, che può avere destini metabolici diversi. Il fegato è inoltre in grado di trasformare gli acidi grassi in corpi chetonici e di metabolizzare gli amminoacidi introdotti con la dieta o provenienti dalla degradazione delle proteine. Sia il fegato sia i reni possono effettuare la gluconeogenesi. • Il ciclo di Cori e il ciclo glucosio-alanina sono vie metaboliche che coinvolgono più organi, attraverso le quali il fegato e il muscolo scambiano tra loro intermedi metabolici.

2 Il controllo ormonale del metabolismo

energetico • Ormoni come l’insulina, il glucagone e l’adrenalina trasmettono segnali regolatori ai loro tessuti bersaglio, legandosi a recettori che trasducono il segnale in risposte metaboliche all’interno della cellula. L’insulina favorisce l’immagazzinamento dei combustibili metabolici, mentre il glucagone e l’adrenalina mobilizzano i combustibili immagazzinati.

le vie di degradazione metabolica, inibendo contemporaneamente le vie biosintetiche. • L’adiponectina, un ormone secreto dagli adipociti che fa aumentare la sensibilità all’insulina, agisce attivando l’AMPK. • L’appetito è controllato nell’ipotalamo dall’azione degli ormoni leptina, insulina, grelina e PYY.

4 I disturbi del metabolismo energetico • Durante il digiuno, quando i carburanti metabolici provenienti dalla dieta non sono disponibili, il fegato rilascia glucosio derivante in primo luogo dalla degradazione del glicogeno e in seguito dalla gluconeogenesi a partire da amminoacidi precursori. Infine, i corpi chetonici generati dalla degradazione degli acidi grassi riescono a soddisfare la maggior parte delle necessità energetiche dell’organismo. • Il diabete mellito causa iperglicemia e altri problemi fisiologici derivati dalla distruzione delle cellule b del pancreas, che producono insulina, oppure dalla resistenza all’insulina (dovuta alla perdita di recettori o allo sviluppo di una insensibilità verso l’insulina). • L’obesità, il risultato di uno squilibrio tra assunzione di cibo e consumo di energia, può derivare da una regolazione anormale da parte degli ormoni peptidici prodotti in diversi tessuti. • La sindrome metabolica è causata da obesità, inattività fisica e probabilmente da predisposizioni genetiche. • L'aumentato consumo di glucosio e glutammina nelle cellule tumorali sostiene i processi biosintetici attraverso la via della glicolisi, la via del pentosio fosfato, e l'attività cataplerotica del ciclo dell'acido citrico.

3 L’omeostasi metabolica • La proteina chinasi AMP-dipendente (AMPK), il sensore energetico della cellula, percepisce le necessità cellulari di ATP e attiva

PROBLEMI 1. L’adattamento alle altitudini elevate comprende l’aumento, nel

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muscolo, dei livelli di GLUT1 e della fosfofruttochinasi. Spiegate perché questi fenomeni dovrebbero risultare vantaggiosi. Il cuore non può convertire il lattato in glucosio come invece fa il fegato. Può invece utilizzare il lattato come molecola combustibile. A quanto ammonta l’ATP formato dal catabolismo completo di una mole di lattato? Le tossine che si trovano in alcuni funghi bloccano la β-ossidazione nell’uomo. Spiegate perché ingerire funghi porta a palpitazioni cardiache e a grave ipoglicemia (poco zucchero nel sangue). La stimolazione delle cellule con un fattore di crescita porta all’inibizione della piruvato chinasi. Come risultato, gli intermedi glicolitici vengono reindirizzati alla via del pentosio fosfato. Spiegate perché tutto ciò dovrebbe aiutare a favorire la crescita e la divisione cellulare. Il trasportatore passivo del glucosio, detto GLUT1 (Figura 10.13), è presente nelle membrane di molte cellule, ma non nel fegato. Le cellule del fegato esprimono invece il trasporta-

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tore GLUT2, le cui cinetiche di trasporto sono diverse. In base alle vostre conoscenze sul ruolo del fegato come tampone della concentrazione ematica di glucosio, confrontate i valori di KM di GLUT1 e GLUT2. Utilizzate i risultati del Problema 5 per spiegare perché la carenza di GLUT2 provoca sintomi che ricordano quelli della malattia da accumulo del glicogeno (Scheda 16.2). L’intestino tenue catabolizza gli amminoacidi producendo quantità significative di NH41. Descrivete i destini metabolici dell’NH41. (a) Identificate le due reazioni che permettono al rene di produrre NH41. (b) Quale precursore gluconeogenico viene così generato? Descrivete la via metabolica tramite cui questo precursore può essere convertito in glucosio. I Bacteroides e i Firmicutes, gli organismi più abbondanti che colonizzano il colon umano (intestino crasso) sono anaerobi obbligati che si basano esclusivamente sulla fermentazione e non sulla respirazione. In risposta a una ferita o a un danno, le cellule del sistema immunitario generano specie reattive

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dell’ossigeno (Paragrafo 18.4B) e dell’azoto (Paragrafo 21.6C), i cui prodotti di degradazione, soprattutto il nitrato, possono fungere da accettori di elettroni per la respirazione di anaerobi facoltativi meno abbondanti come le Enterobacteriaceae. Spiegate perché durante l’infiammazione la popolazione di Enterobacteriaceae prospera mentre le popolazioni di Bacteroides e Firmicutes diminuiscono. 10. Alcuni cibi che contengono microrganismi vivi, noti come probiotici, sono pubblicizzati per i loro benefici sulla salute. Date una spiegazione del perché consumare questi cibi in molti casi non ha un effetto percepibile sulle funzioni del sistema digerente di un individuo e sulla sua salute. 11. Spiegate perché l’insulina è necessaria agli adipociti per sintetizzare triacilgliceroli a partire da acidi grassi. 12. Formulate una previsione sull’effetto di una dose eccessiva di insulina sulle funzioni cerebrali di una persona normale. 13. Vi attendete che l’insulina aumenti o diminuisca l’attività dell’enzima ATP-citrato liasi? 14. La stimolazione di un dato recettore accoppiato alla proteina Gs attiva la proteina chinasi A (PKA). Prevedete l’effetto dell’attivazione della PKA sui seguenti substrati della chinasi: (a) acetil-CoA carbossilasi, (b) glicogeno sintasi, (c) lipasi sensibile agli ormoni, (d) fosforilasi chinasi. 15. Perché il tessuto adiposo può essere considerato un organo endocrino? 16. Se il sistema circolatorio di un topo ob/ob è collegato a quello di un topo normale mediante un intervento chirurgico, quale sarà l’effetto sull’appetito e sul peso del topo ob/ob? 17. Negli esperimenti per verificare gli effetti di soppressione dell’appetito esercitati da PYY3-36, perché l’ormone deve essere somministrato per via intravenosa e non per via orale? 18. Quando viene somministrato per via intravenosa, l’ormone peptidico PYY3-36 a volte può causare nausea negli esseri umani. Questo è coerente con la sua funzione biologica? 19. Oltre a regolare l’attività dell’AMPK, l’adiponectina ha attività antinfiammatoria, cosa che la rende interessante come potenziale farmaco per il trattamento delle malattie infiammatorie. Spiegate perché i ricercatori stanno studiando agonisti del recettore dell’adiponectina piuttosto che testare l’adiponectina stessa come farmaco. 20. Spiegate perché i topi che hanno poca UCP1 diventano obesi quando sono allevati a 28 °C ma non a 20 °C. 21. Spiegate perché coloro che soffrono di diabete di tipo 1 necessitano di iniezioni di insulina, mentre le iniezioni di insulina sono efficaci solamente in una piccola parte dei diabetici che soffrono di diabete di tipo 2. 22. Spiegate perché un test diagnostico comune per il diabete comporta la somministrazione orale di una soluzione di glucosio e poi la misurazione della concentrazione del glucosio nel sangue dopo due ore. 23. L’AMPK attiva la fosfofruttochinasi 2. Spiegate in che modo questo può contribuire all’effetto antidiabetico dato dalla stimolazione dell’attività dell’AMPK. 24. Spiegate perché la probabilità di morte in funzione dell’indice di massa corporea (una misura dell’obesità) è rappresentata da una curva a forma di U. 25. Alte concentrazioni di 3-fosfoglicerato inibiscono la 6-fosfogluconato deidrogenasi. In che modo questo meccanismo di regolazione aiuta a controllare la crescita di una cellula tumorale? 26. Quale vantaggio hanno alcuni tumori nel bloccare l’espressione dei geni per la glucosio-6-fosfatasi, la fosfoenolpiruvato carbossichinasi e la fruttosio bisfosfatasi?

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DOMANDE DIFFICILI 27. Perché il metabolismo ossidativo che produce ATP cessa quan-

do il rifornimento cellulare di ATP è esaurito? 28. Gli individui con una carenza di acil-CoA deidrogenasi a me-

dia catena (MCAD) tendono a sviluppare un’ipoglicemia non chetotica. Spiegate perché questo difetto li rende incapaci di effettuare (a) la chetogenesi e (b) la gluconeogenesi. 29. È stato scoperto che le cellule b del pancreas esprimono un recettore per gli acidi grassi. Il legame degli acidi grassi a questa proteina sembra stimolare la secrezione di insulina. Qual è il significato metabolico del fenomeno? 30. Gli acidi grassi sembrano stimolare la secrezione di insulina in misura maggiore quando è presente anche il glucosio. Quale significato ha questo risultato? 31. Sostanze che derivano dal cibo possono agire come ormoni quando entrano in circolo. Spiegate perché è utile che la leucina agisca sul sistema nervoso centrale per ridurre l’assunzione di cibo. 32. Spiegate perché a livello metabolico ha un senso che gli adipociti rilascino leptina in risposta agli acidi grassi a catena corta presenti in circolo. 33. Gli atleti più esperti sanno che non è utile ingerire grandi quantità di glucosio immediatamente prima dell’inizio di una maratona. Quali sono le basi metaboliche di questo apparente paradosso? 34. Dopo alcuni giorni di digiuno, la capacità del fegato di metabolizzare acetil-CoA nel ciclo dell’acido citrico diminuisce notevolmente. Spiegate perché. 35. Le concentrazioni elevate di acidi grassi nel sangue sono causa di resistenza all’insulina nel muscolo, ma questo fenomeno si riscontra solamente dopo 5 ore dall’innalzamento dei livelli di acidi grassi. Tutto ciò suggerisce che il responsabile di tale fenomeno possa essere un metabolita degli acidi grassi. È anche risaputo che durante questo processo viene attivata un’isoforma della proteina chinasi C (PKC) e che le elevate concentrazioni di acidi grassi portano all’accumulo intramuscolare di triacilgliceroli. Con tutte queste informazioni a vostra disposizione rivedete il meccanismo di attivazione della PKC e la via della biosintesi dei triacilgliceroli. Indicate poi un metabolita che possa essere responsabile dell’attivazione della PKC. 36. Le cellule β del pancreas rilasciano un ormone peptidico, l’amilina, insieme all’insulina. L’amilina agisce sul cervello per rallentare lo svuotamento gastrico e inibire il rilascio di enzimi digestivi da parte del pancreas. (a) Spiegate perché gli effetti dell’amilina sono sinergici con quelli dell’insulina. (b) In un soggetto ipoglicemico l’amilina non rallenta lo svuotamento gastrico. Perché questo è vantaggioso? 37. Spiegate, in termini di attività di AMPK e GLUT 4, come l’inattività fisica possa portare a insulino-resistenza. 38. Nella leucemia linfoblastica acuta, i leucociti tumorali sono tipicamente privi dell’enzima asparagina sintetasi. Perché la somministrazione dell’asparaginasi è una terapia efficace per questo tipo di cancro? 39. Descrivete gli effetti metabolici dell’insufficienza epatica. 40. Fra le molte diete del tipo “mangia quanto vuoi e perdi peso” che sono state popolari per un certo periodo ce n’è una che elimina tutti i carboidrati ma permette il consumo di proteine e grassi in quantità libere. Una dieta del genere può essere efficace? (Suggerimento: gli individui che seguono tale dieta spesso lamentano di avere un alito cattivo.)

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CAPITOLO 22

Il metabolismo energetico dei mammiferi: integrazione e regolazione

CASI DI STUDIO Caso 25 Malattie da accumulo del glicogeno Concetto chiave: le problematiche legate all’utilizzo del glicogeno emergono se manca un enzima coinvolto nella sintesi o nella degradazione del glicogeno. Prerequisiti: Capitoli 16 e 22 • Vie di sintesi e di degradazione del glicogeno. • Collegamento tra metabolismo del glicogeno e metabolismo dei grassi. Caso 28 Il batterio Helicobacter pylori e l’ulcera peptica Concetto chiave: è stato sequenziato il genoma intero dell’Helicobacter pylori. Questo permette ai biochimici di esaminare in dettaglio le proteine di quell’organismo. In questo caso in particolare vengono esaminati i dettagli del meccanismo impiegato dall’Helicobacter pylori per assicurargli la sopravvivenza nell’ambiente acido dello stomaco. Prerequisiti: Capitoli 6 e 15-22

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• Struttura e funzione delle proteine. • Vie metaboliche di base del metabolismo degli amminoacidi. Caso 30 Fenilchetonuria Concetto chiave: vengono esaminate le caratteristiche della fenilalanina idrossilasi, l’enzima mancante negli individui affetti dalla fenilchetonuria (PKU), una malattia genetica. Prerequisiti: Capitoli 21 e 22 • Vie metaboliche di sintesi e di degradazione degli amminoacidi. • Integrazione delle vie metaboliche degli amminoacidi con le vie metaboliche dei carboidrati.

APPROFONDIMENTO Alcune dicerie associano l’obesità al sonno: dormire meno fa tendere all’incremento di peso e viceversa. Quali sono i collegamenti ormonali tra cibo e riposo? Esistono prove che attestino che l’incremento del tempo passato a dormire possa effettivamente portare alla perdita di peso?

BIBLIOGRAFIA Ashcroft, F.M. e Rorsman, P. (2012). Diabetes mellitus and the β cell: The last ten years, Cell 148, 1160-1171. Coll, A.P., Farooqi, I.S., e O’Rahilly, S. (2007). The hormonal control of food intake, Cell 129, 251-262. Ding, T. e Schloss, P.D. (2014). Dynamics and associations of microbial community types across the human body, Nature 509, 357-360. Huang, H. e Czech, M.P. (2007). The GLUT4 glucose transporter, Cell Metabolism 5, 237-252. Kahn, S.E., Hull, R.L., e Utzschneider, K.M. (2006). Mechanisms linking obesity to insulin resistance and type 2 diabetes, Nature 444, 840-856. Nakar, V.A., et al. (2008). AMPK and PPARγ are exercise mimics, Cell 134, 405-415. Obesity (2003). Science 299, 845-860. [Una serie di relazioni sulle cause e i trattamenti dell’obesità.]

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A P P E N D I C E Simbologia degli amminoacidi a una e a tre letterea

Costanti termodinamiche e fattori di conversione

A B C D E F G H I K M N P Q R S T V W L Y Z

Joule (J) 1 J 5 1 kg ? m2 ? s22 1 J 5 1 C ? V (coulomb volt) 1 J 5 1 N ?  m (newton metri) Caloria (cal) 1 cal scalda 1 g di H2O da 14,5 a 15,5 °C 1 cal 5 4,184 J Grande caloria (Cal) 1 Cal 5 1 kcal 1 Cal 5 4184 J Numero di Avogadro (N) N 5 6,0221 3 1023 molecole ? mol21 Coulomb (C) 1 C 5 6,241 3 1018 cariche elettroniche Faraday ( ) 1 ^ 5 N cariche elettroniche 1 ^ 5 96 485 C  ? mol21 5 96 485 J ? V21  ? mol21 Scala di temperatura Kelvin (K) 0 K 5 zero assoluto 273,15 K 5 0 °C Costante di Boltzmann (kB) kB 5 1,3807 3 10223 J ? K21 Costante dei gas (R) R 5 NkB R 5 1,9872 cal ? K21 ? mol21 21 21 R 5 8,3145 J ? K  ? mol R 5 0,08206 L ? atm ?  K21  ? mol21

Ala Asx Cys Asp Glu Phe Gly His Ile Lys Met Asn Pro Gln Arg Ser Thr Val Trp Leu Tyr Glx

Alanina Asparagina o acido aspartico Cisteina Acido aspartico Acido glutammico Fenilalanina Glicina Istidina Isoleucina Lisina Metionina Asparagina Prolina Glutammina Arginina Serina Treonina Valina Triptofano Leucina Tirosina Glutammina o acido glutammico





a Il simbolo a una lettera per un amminoacido non determinato o non appartenente ai 20 standard è X.







Il codice genetico standard Prima posizione (estremità 59)

a

Terza posizione (estremità 39)

Seconda posizione U

C

A

G

U

UUU Phe UUC Phe UUA Leu UUG Leu

UCU Ser UCC Ser UCA Ser UCG Ser

UAU Tyr UAC Tyr UAA Stop UAG Stop

UGU Cys UGC Cys UGA Stop UGG Trp

U C A G

C

CUU Leu CUC Leu CUA Leu CUG Leu

CCU Pro CCC Pro CCA Pro CCG Pro

CAU His CAC His CAA Gln CAG Gln

CGU Arg CGC Arg CGA Arg CGG Arg

U C A G

A

AUU Ile AUC Ile AUA Ile AUG Meta

ACU Thr ACC Thr ACA Thr ACG Thr

AAU Asn AAC Asn AAA Lys AAG Lys

AGU Ser AGC Ser AGA Arg AGG Arg

U C A G

G

GUU Val GUC Val GUA Val GUG Val

GCU Ala GCC Ala GCA Ala GCG Ala

GAU Asp GAC Asp GAA Glu GAG Glu

GGU Gly GGC Gly GGA Gly GGG Gly

U C A G

AUG è il segnale di inizio ma codifica anche residui di Met interni.

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Abbreviazioni di uso comune in biochimica A aaRS ACAT ACP ADA ADP AIDS ALA AMP ATCasi ATP BChl bp BPG BPheo BPTI C CaM CAM cAMP CAP CDK cDNA CDP CE Chl cGMP CM CMP CoA o CoASH CoQ COX CPS CTP D d DAG DCCD dd ddNTP DEAE DHAP DHF DHFR DNA DNP dNTP E4P EF ELISA EM emf ER ESI ETF F1P F2,6P F6P

adenina amminoacil-tRNA-sintetasi acil-CoA:colesterolo aciltransferasi proteina trasportatrice di acili adenosina deamminasi adenosina difosfato sindrome da immunodeficienza acquisita acido d-amminolevulinico adenosina monofosfato aspartato transcarbamilasi adenosina trifosfato batterioclorofilla coppia di basi d-2,3-bisfosfoglicerato batteriofitina inibitore della tripsina pancreatica bovina citosina calmodulina metabolismo acido delle crassulacee AMP ciclico (adenosina 39,59-monofosfato ciclico) proteina attivatrice del gene del catabolita proteina chinasi dipendente dalla ciclina DNA complementare citidina difosfato elettroforesi capillare clorofilla guanosina 39,59-monofosfato ciclico carbossimetil citidina monofosfato coenzima A coenzima Q (ubichinone) cicloossigenasi carbamil fosfato sintetasi citidina trifosfato dalton deossi 1,2-diacilglicerolo dicicloesilcarbodiimide dideossi 29,39-dideossinucleoside trifosfato dietilamminoetil diidrossiacetone fosfato diidrofolato diidrofolato riduttasi acido deossiribonucleico 2,4-dinitrofenolo 29-deossinucleoside trifosfato eritrosio-4-fosfato fattore di allungamento dosaggio con immunoassorbenti legati a enzimi microscopia elettronica forza elettromotrice reticolo endoplasmatico ionizzazione elettrospray flavoproteina per il trasferimento degli elettroni fruttosio-1-fosfato fruttosio-2,6-bisfosfato fruttosio-6-fosfato

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FAD FADH? FADH2 FBP FBPasi Fd FH f Met FMN FMNH2 G G1P G6P G6PD GABA Gal GalNAc GAP GAPDH GDH GDP Glc GlcNAc GMP GPI GSH GSSG GSSH GTF GTP Hb HDL HIV HMG-CoA hnRNA HPLC Hsp HTH Hyl Hyp IDL IF IgG IMP IP3 IPTG IR IS ISP kb kD KM LDH LDL LHC MALDI Man Mb mRNA MS

flavin adenin dinucleotide (forma ossidata) flavin adenin dinucleotide (forma radicalica) flavin adenin dinucleotide (forma ridotta) fruttosio-1,6-bisfosfato fruttosio-1,6-bisfosfatasi ferredossina ipercolesterolemia familiare N-formilmetionina flavin mononucleotide (forma ossidata) flavin mononucleotide (forma ridotta) guanina glucosio-1-fosfato glucosio-6-fosfato glucosio-6-fosfato deidrogenasi acido g-amminobutirrico galattosio N-acetilgalattosammina gliceraldeide-3-fosfato gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi glutammato deidrogenasi guanosina difosfato glucosio N-acetilglucosammina guanosina monofosfato glicosilfosfatidilinositolo glutatione (ridotto) glutatione (ossidato) o glutatione disolfuro glutatione disolfuro fattore generico di trascrizione guanosina trifosfato emoglobina lipoproteina ad alta densità virus dell’immunodeficienza umana b-idrossi-b-metilglutaril-CoA RNA nucleare eterogeneo cromatografia liquida a elevata prestazione proteina da shock termico (heat shock protein) elica-ripiegamento-elica 5-idrossilisina 4-idrossiprolina lipoproteina a densità intermedia fattore di inizio immunoglobulina G inosina monofosfato inositolo 1,4,5-trisfosfato isopropiltiogalattoside infrarosso sequenza di inserzione proteina ferro-zolfo mille coppie di basi mille dalton (kilodalton) costante di Michaelis lattato deidrogenasi lipoproteina a bassa densità complesso che cattura la luce ionizzazione e deassorbimento assistito dalla matrice mannosio mioglobina RNA messaggero spettrometria di massa

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MurNAc NAD1 NADH NADP1 NADPH NAG NAM NANA NDP NER NeuNAc NMN NMR nt NTP OEC OMP ORF Pop PAGE PBG PC PCNA PCR PDB PDBid PDI PE PEP PEPCK PFGE PFK 2PG 3PG PGI PGK PGM Pheo Pi PIC PIP2 PK PKA PKB PKU PLP pmf PMP PNP Pol PPi PRPP PS PTK PTP Q QH2 r R5P RER

acido N-acetilmurammico nicotinamide adenina dinucleotide (forma ossidata) nicotinamide adenina dinucleotide (forma ridotta) nicotinamide adenina dinucleotide fosfato (forma ossidata) nicotinamide adenina dinucleotide fosfato (forma ridotta) N-acetilglucosammina acido N-acetil-murammico acido N-acetil-neuramminico (acido sialico) nucleoside difosfato riparazione per escissione dei nucleotidi acido N-acetil-neuramminico mononucleotide nicotanamidico risonanza magnetica nucleare nucleotide nucleoside trifosfato centro che sviluppa l’ossigeno orotidina monofosfato schema di lettura aperto fosfato elettroforesi su gel di poliacrilamide porfobilinogeno plastocianina antigene nucleare delle cellule in proliferazione reazione a catena della polimerasi banca dati delle proteine codice di identificazione della banca dati delle proteine proteina disolfato isomerasi fosfatidiletanolammina fosfoenolpiruvato PEP carbossichinasi elettroforesi su gel in campo pulsato fosfofruttochinasi 2-fosfoglicerato 3-fosfoglicerato fosfoglucosio isomerasi fosfoglicerato chinasi fosfoglicerato mutasi feofitina ortofosfato inorganico complesso di preinizio fosfatidilinositolo-4,5-bisfosfato piruvato chinasi proteina chinasi A proteina chinasi B fenilchetonuria piridossal-59-fosfato forza motrice protonica piridossammina-59-fosfato fosforilasi del nucleotide purinico DNA polimerasi pirofosfato inorganico 5-fosforibosil-a-pirofosfato fotosistema proteina tirosina chinasica proteina tirosina fosfatasica ubichinone (o plastochinone) CoQ ubichinolo (o plastochinone) ribo ribosio-5-fosfato reticolo endoplasmatico rugoso

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RF RFLP RIA RNA RNAi rRNA RS RT RTK Ru5P RuBP S S7P SAM SCID SDS SiRNA SNAP SNARE scRNA snRNA snRNP SOD SRP SSB STAT T TAF TBP TCA THF TIM TNBS TPP tRNA TTP U UDP UDPG UMP UTP UV VLDL Vmax XMP Xu5P YAC YADH

fattore di rilascio polimorfismo della lunghezza dei frammenti di restrizione dosaggio radioimmunologico acido ribonucleico interferenza dell’RNA RNA ribosomiale amminoacil-tRNA sintetasi trascrittasi inversa recettore tirosina chinasico ribulosio-5-fosfato ribulosio-1,5-bisfosfato unità Svedberg sedoeptulosio-7-fosfato S-adenosilmetionina malattia da immunodeficienza grave combinata sodio dodecil solfato piccoli RNA interferenti proteina solubile di attacco alla NSF recettore SNAP piccolo RNA citoplasmatico piccolo RNA nucleare piccola ribonucleoproteina nucleare superossido dismutasi particella di riconoscimento del segnale proteina di legame a singolo filamento trasduttore del segnale e attivatore della trascrizione timina fattore associato alla TBP proteina di legame alla TATA box acido tricarbossilico tetraidrofolato triosio fosfato isomerasi acido trinitrobenzensolfonico tiamina pirofosfato RNA di trasferimento timidina trifosfato uracile uridina difosfato uridina difosfato glucosio uridina monofosfato uridina trifosfato ultravioletto lipoproteina a densità molto bassa velocità massima xantina monofosfato xilulosio-5-fosfato cromosoma di lievito artificiale alcol deidrogenasi del lievito

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I N D I C E

A N A L I T I C O

Legenda: F = figura; T = tabella; S = scheda. I numeri di pagine in neretto si riferiscono alle pagine in cui il termine è riportato in neretto. A A, vedi adenina A, vedi assorbimento Aβ, vedi β-amiloide, proteina Abl, chinasi, 447 ABO, vedi antigeni dei gruppi sanguigni ABO AC, vedi adenilato ciclasi ACAT, vedi acil-CoA:colesterolo aciltransferasi accoppiamento energetico, 648, 649 acesulfame, 245S acetaldeide, 347, 530 – decarbossilazione del piruvato ad, 532, vedi anche fermentazione, alcolica – riduzione a etanolo, 534 acetaminofene, 421, 422F, 751 acetil-CoA (acetil-coenzima A), 476 – condensazione con ossalacetato, 603, 604, 605F – conversione in corpi chetonici, 730 – ∆G°9 dell’idrolisi del legame tioestere dell’, 493 – punto di incrocio delle vie metaboliche, 826 – scoperta dell’, 484S – sintesi dell’ – – dagli acidi grassi, 718, 730 – – dagli amminoacidi, 772F, 780, 781, 783 – – dal piruvato, 597-602, vedi anche ciclo dell’acido citrico – trasporto nel citosol, 732, 733 acetil-CoA carbossilasi (ACC), 733 – ACC1, 734 – ACC2, 734 acetil-coenzima A, vedi acetil-CoA acetilcolina, 370 acetilcolina esterasi, 370 acetil fosfato, 489, 522 N-acetilgalattosammina (GalNAc), 249, 586 – trasferimento di, 587 N-acetilglucosammina (NAG, o GlcNAc), 248, 362, 586 – NAG2FGlcF [NAG-β(1n4)-2deossi-2-fluoro-β-d-glucopiranosil fluoruro], 368 N-acetilglutammato, 779 N-acetilglutammato sintasi, 780

N-acetil-lattosammina, 586S N-acetilmannosammina, 241 acetimidochinone, 422 α-aceto-α-idrossibutirrato, 803 acetoacetato, 730 – formazione di, 730 acetone, 347, 730 – formazione di, 730, 846 acidi biliari (o sali biliari), 708 – assorbimento intestinale dei lipidi e, 710 – assorbimento intestinale delle vitamine liposolubili e, 710 – sistema di riciclo degli, 755 acidi fosfatidici, 265 acidi grassi, 262 – assorbimento intestinale degli, 710 – attivazione degli, 716 – biosintesi degli, 616, 731-742, 825 – – allungamento, 740 – – come via cataplerotica, 616 – – desaturazione, 740 – – stechiometria della, 737 – essenziali, 740 – esterificazione degli, 741 – estremità metil terminale (ω), 263 – insaturi, 262 – – conformazione cis dei doppi legami, 263 – – polinsaturi, 262 – β-ossidazione degli, vedi β-ossidazione – ω-3, 263 – ω-6, 263 – regolazione del metabolismo degli, 742-745 – – a breve termine, 744 – – a lungo termine, 744, 745 – saturi, 263 – trans, 265 acidi nucleici, 45, vedi anche DNA; e RNA – estremità 39, 50 – estremità 59, 50 – funzione degli, 54-57 – sequenziamento degli, 57-69 – struttura degli, 49-53 acidificazione degli oceani, 36S acido, 35 – coniugato, 36

– costante di dissociazione (K), 34, 35 – – pK, 37, 37T, 38 – curve di titolazione di un, 38 – debole, 37 – – capacità tamponante di un, 40, 41 – forte, 37 – forza di un, 36, 37 – poliprotico, 39 acido N-acetilmuramico (NAM o MurNAc), 252, 362 acido N-acetilneuramminico (o acido sialico, o NANA), 241, 242, 586, 750S – idrolisi del, 399 acido acetilsalicilico, 751 acido aldonico, 240 acido p-amminobenzoico, 786, 788 acido γ-amminobutirrico (GABA), 98, 811 – biosintesi del, 811, 812 acido δ-amminolevulinico (ALA), 807 acido arachidonico, 275 acido benzoico, 716 acido fenilacetico, 716 acido fenilaceturico, 716 acido folico, 787 acido fosfatidico, 746 acido gluconico, 240 acido glutammico, 81, vedi anche glutammato acido grasso sintasi, 734 – inibitori dell’, 738 – subunità dell’, 737, 738 acido ialuronico (ialuronato), 248 acido ippurico, 716 acido linoleico (acido 9,12-cisoctadecadienoico), 262, 721 acido α-linolenico, 263 acido lipoico, 599T, 600 – nella struttura della lipoamide, 600 acido lisofosfatidico (1-acilglicerolo3-fosfato), 267, 741 acido Ni21-nitriloacetico, 657 acido nicotinico (o niacina), 474, 475 acido oleico (acido 9-cisoctadecenoico), 262, 721 acido omogentisinico, 502, 794S

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acido palmitico, 262 acido pantotenico, 492 acido piruvico, 241, vedi anche piruvato acido sialico, vedi N-acetilneuramminico acido stearico, 262 acido tetraidropteroilglutammico, vedi tetraidrofolato acido trifluoroacetico, 121 acido trinitrobenzensolfonico (TNBS), 293 acido uronico, 240 acidofosfatidico fosfatasi, 741 acidosi, 41S, 846 acil-carnitina, 717 acil-CoA deidrogenasi (AD), 718 – collegamento alla catena di trasporto degli elettroni, 718, 719 – specifica per una catena di media lunghezza (MCAD), 719 acil-CoA ossidasi, 729 acil-CoA sintetasi (o tiochinasi), 716 acil-CoA:colesterolo aciltransferasi (ACAT), 714F, 756 acil fosfati, 489 2-acilgliceroli, 708 acil tioestere, 523 aconitasi, 346, 605 – capacità di distinguere tra gruppi pro-R e pro-S, 605 aconitato, 594 – cis-aconitato, 605 ACP, vedi proteina che trasporta i gruppi acilici acqua, 23-40 – allo stato liquido, 26 – di idratazione, 28 – effetto idrofobico, 28, 170, 276 – formazione di legami idrogeno, 25 – ionizzazione dell’, 34, 35 – Kw (prodotto ionico), 34 – molecola polare, 24 – passaggio attraverso la membrana, 324, vedi anche acquaporine – proprietà chimiche dell’, 33-41 – proprietà colligative dell’, 31 – proprietà fisiche dell’, 24-33 – struttura del ghiaccio, 25 acquaporine, 324-326 – AQP1, 324 acromegalia, 434 actina, 216, 657, vedi anche miofibrille – estremità (1), 218 – estremità (2), 218 – F, 216 – G, 216 – locomozione mediata da, 225

– microfilamenti di, 223 – – treadmilling (fare-disfare) dei, 223, 224 AD, vedi acil-CoA deidrogenasi ADA, vedi adenosina deamminasi adattatore, 441 adenilato chinasi, 490 adenilato ciclasi (AC), 451, 456-458, 459F, 572 vedi anche cAMP – domini citoplasmatici consecutivi (C), 456 – dominio N-terminale (N), 456 – dominio transmembrana (M), 456 – isoforme di, 456 – sistema di trasmissione del segnale dell’, 459F adenililtransferasi, 799 adenina (A), 46 S-adenosilmetionina, vedi SAM S-adenosilomocisteina, 786 adenosina, 484 adenosina deamminasi (ADA) 399 adenosina difosfato, vedi ADP adenosina-59-(β,γ-immido)trifosfato (AMPPNP o ADPNP), 438 adipociti, 264, 840, 841 adiponectina, 841 – recettori dell’, 841 AdoCbl, vedi 59-deossiadenosilcobalamina AdoMet, vedi SAM ADP (adenosina difosfato), 48, 487 – formazione da ATP e AMP, 491 – formazione nella scissione ortofosforica, 488 – trasformazione in ATP, 489, 491 ADP-glucosio, 48, 586 ADP-glucosio pirofosforilasi, 697 ADPNP, vedi adenosina-59-(β,γimmido)trifosfato adrenalina (epinefrina), 431, 576, 811 – antagonista dell’insulina, 576, 577, 836T, 836 – biosintesi della, 811, 812 – effetti della, 836 – legame ai recettori adrenergici, 836 adrenoleucodistrofia associata al cromosoma X (X-ALD), 81, 729 Aequorea victoria, 98 aerobi, 473 – obbligati, 473 agarosio, 59 agenti caotropici, 173, 280 Ago, Hideo, 685 agonisti, 431 Agre, Peter, 324 AIDS, 401S, vedi anche HIV ALA, vedi acido δ-amminolevulinico

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alanina, 89 – biosintesi di, 797 – degradazione a piruvato, 781 – trasferimento al fegato, 833 alanina transamminasi, vedi SGTP albero filogenetico (o genealogico), 128 albumina serica (o albumina), 715 alcalosi, 41S alcaptonuria, 502, 794S alcaptonurici, individui, 794S alchilacilglicerofosfolipidi, 748 alcol deidrogenasi, 345, 532F, vedi anche fermentazione, alcolica – del fegato dei mammiferi (LADH), 534 – di lievito (YADH), 534 – reazione a due substrati della, 396 alditolo, 241 aldolasi, 517 – di tipo B, 542, vedi anche fruttosio-1-fosfato aldolasi aldosio, 237 – ossidazione ad acido aldonico, 240 – ossidazione ad acido uronico, 240 – riduzione ad alditolo, 241 aldosterone, 271, 432 allisina, 152 allosio, 237F allosterismo – effettori allosterici, 407, 408, 585 – interazioni allosteriche, 208 – modello sequenziale dell’, 209, 210 – modello simmetrico dell’, 208 – regolazione allosterica di enzimi, 408-411, 415, 481, 482, 538, 539, 568, 571, 585, 775 ALT, vedi SGTP altrosio, 237F amaurosi congenita di Leber, 81 ambiente circostante, 12 amido, 246 – conversione dei prodotti della fotosintesi in, 697 – enzima deramificante del, 247 – estremità riducente del, 247 – funzione di riserva del glucosio, 557 – sintesi dell’, 697 amido sintasi, 697 amilasi, 247 amilo-1,6-glucosidasi, 247, 564S, vedi anche amido, enzima deramificante; e glicogeno, enzima deramificante amilo-(1,4n1,6)-transglicosilasi, 564S, 569, vedi anche glicogeno, enzima ramificante

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INDICE ANALITICO

b-amiloide (Ab), proteina, 184 – precursore della proteina Aβ (APP), 184 amiloidi, 184 – struttura delle, 187, 188 amiloidosi, 184 amilopectina, 246, 247 α-amilosio, 246, 247 – sintesi nei cloroplasti, 697 amminoacido/i, 85-99 – abbreviazioni degli, 92, 93 – α-amminoacidi, 86 – biosintesi degli, 616, 795-806, 826 – catene laterali degli, 89-91 – chetogenici, 780 – come carburanti metabolici, 831, 832 – deamminazione degli, 771-776 – – mediante transamminazione, 772-774 – degradazione degli, 780-795, 826 – derivati degli, 97-99 – essenziali, 795, 796 – – biosintesi in piante e microrganismi, 801-806 – glucogenici, 780 – gruppo R, 86 – metabolismo degli, 765-820 – – biomolecole prodotte dal, 807813 – non essenziali, 795, 796 – otticamente attivi, 93 – pK, 89, 91, 92 – punto isoelettrico (pI), 92 – ramificati, 788 – standard, 86 – stereochimica degli, 93, 94 amminoacrilato, 781, 783F α-ammino-β-chetobutirrato, 782 α-ammino-β-chetobutirrato liasi, 782 5-amminoimidazolo-4carbossiamide ribonucleotide, 806 5-amminoimidazolo-4(N-succinilcarbossiamide) ribotide, vedi SAICAR amminotransferasi (o transamminasi), 772, 773, vedi anche gli enzimi specifici – α-chetoacido substrato delle, 773 – coenzima PLP delle, 772 – meccanismo a ping-pong delle, 773 – specificità delle, 773 amminozuccheri, 241 ammoniaca (NH3) – derivante dalla deamminazione ossidativa, 775, 776

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– eliminazione mediante ciclo dell’urea, 776, vedi anche ciclo dell’urea – processo chimico di Haber-Bosch, 818 – riduzione dell’azoto ad, 814 AMP, 484 – attivatore allosterico della glicogeno fosforilasi, 559 – blocco dell’inibizione di PFK, 539 – ciclico, vedi cAMP – formazione da ATP, 485 ampicillina, 71F, 72 AMPK (proteina chinasi AMPdipendente), 734 – regolatore dell’omeostasi metabolica, 839-841 – – negli adipociti, 840 – – nel fegato, 839, 840 – – nel muscolo cardiaco ischemico, 839 – – nel muscolo scheletrico, 840 AMPPNP, vedi adenosina-59(β,γ-immido)trifosfato amytal, 632 anabolismo (o biosintesi), 472, 853, vedi anche le singole vie anaboliche anaerobi, 473 – facoltativi, 473 – obbligati, 473 analbuminemia, 715 anchirina, 292 – ripetizioni dell’, 292 androgeni, vedi ormoni steroidei, androgeni anello corrinico, 725 anemia – emolitica, 211 – falciforme, 80S, 211 – perniciosa, 723S anencefalia, 789S anfifiliche (o anfipatiche), molecole, 30, 265, 280 Anfinsen, Christian, 173 angina pectoris, 813 angolo di torsione ϕ, 140 angolo di torsione ψ, 140 anidrasi carbonica, 206 anomeri, 239 – anomero α, 239 – anomero β, 239 – interconversione degli, 240 antagonisti, 431 anticorpi, 106, 225, vedi anche immunoglobuline – coniugati a farmaci, 229S – monoclonali, 229, 229S antigene, 106, 225 antigeni dei gruppi sanguigni ABO, 258

– antigeni A, 258 – antigeni B, 258 – antigeni H, 258 antimicina A, 632 antiossidanti, 665, 666 antranilato, 804 Ap5A, 491 aploide, organismo, 51 apolipoproteine (o apoproteine), 711 – apoB-100, 711 – apolipoproteina A-I (apoA-I), 712 apomioglobina, 123F apoptosi (o morte cellulare programmata), 444F apparato di Golgi, 8, 299 – cisterne, 299 – – cis, 299 – – mediali, 299 – – progressione (o maturazione) delle, 300 – – trans, 299 – maturazione delle proteine nell’, 299 – rete del cis-Golgi, 299 – rete del trans-Golgi, 299 – trasporto anterogrado delle proteine, 299 – trasporto retrogrado delle proteine, 300 appetito – ormone soppressore dell’ (PYY3-36), 843 – regolazione dell’, 841, 842 – stimolazione dell’, 843 APS/Cbl, complesso, 467 Arabidopsis thaliana, 66T, 620 arabinosio (Ara), 237F archea (o archeobatteri), 9 – alobatteri, 9 – metanogeni, 9 – termofili, 9 arginasi, 779 arginina, 90 – biosintesi della, 800 – degradazione ad α-chetoglutarato, 784, 785 – precursore dell’ossido di azoto, 812, 813 argininosuccinasi, 779 argininosuccinato sintetasi, 779 β-arrestine, 458 arsenicali organici, 603S arsenico, avvelenamento da, 603S arsenito, 603S artrite reumatoide, 231T, 766 asma, 432 asparagina, 90 – biosintesi della, 797 – degradazione ad ossalacetato, 784 asparagina sintetasi, 798

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l-asparaginasi, 769 aspartame (aspartil-fenilalanina metilestere), 244S, 794S aspartato (acido aspartico), 91 – biosintesi di, 797 – conversione di ossalacetato in, 582 – degradazione ad ossalacetato, 784 – navetta malato-aspartato, 582, 583, 628 – precursore nella biosintesi di amminoacidi, 801, 802 – reazione con carbamil fosfato, 408 aspartato transamminasi, vedi SGOT aspartato transcarbamilasi, 408, vedi anche ATCasi aspartico proteasi, 401S aspirina, 751, 752 assorbimento (A, o densità ottica), 107 – molare (ε, o coefficiente di estinzione), 107 AST, vedi SGOT atassia telangiectasia, 69T ATCasi (aspartato transcarbamilasi), 408 – cambiamenti strutturali nella, 411 – modificazioni allosteriche, 409-411 – stato R (ad alta affinità di substrato), 409, 410 – stato T (a bassa affinità di substrato), 409, 410 aterosclerosi, 759 ATP (adenosina trifosfato), 48, 484 – concentrazione nel muscolo, 539 – G°9 dell’idrolisi di, 486S, 487 – idrolisi e contrazione muscolare, 221 – moneta energetica, 483, 546 – prodotto dal ciclo dell’acido citrico, 611, 612 – prodotto dalla glicolisi, 528 – rapporto di azione di massa dell’, 661, 662 – rigenerazione dell’, 488, vedi anche fosforilazione – scissione ortofosforica, 488 – scissione pirofosforica, 488 – sintesi tramite traslocazione di protoni, 654-657, vedi anche ATP sintasi; e fosforilazione, ossidativa – – meccanismo di variazione della capacità di legame, 654 – – rapporti P/O e quantità di ATP sintetizzato, 658 – trasporto fuori dalla matrice mitocontriale, 628 – uso dell’, da parte delle cellule, 583 ATP sintasi (o complesso V, o pompa protonica-ATP sintasi, o F1F0 ATPasi), 648

– del cloroplasto, vedi complesso CF1CF0 – marcatura (o coda) di His, 657 – meccanismo di variazione della capacità di legame, 654 – modello del motore rotante, 655657 – proteina IF1 e regolazione di, 662 – unità funzionale F0, 652 – – subunità di, 653, 654 – unità funzionale F1, 652 – – pseudosimmetria di, 652, 653 – – stato L, 654 – – stato O (o stato aperto), 654 – – stato T, 654 – – transizione T n O, 654 ATP-citrato liasi, 616, 732 ATPasi, 181 – Ca21 ATPasi (o pompa del Ca21), 333, 334 – come chaperoni molecolari, 181 – di tipo A, 331 – di tipo F, 330 – di tipo P, 330 – di tipo V, 331 – F1F0 ATPasi, vedi ATP sintasi – Na1-K1 ATPasi (o pompa del Na1-K1), 331-333 – – inibitori della, 333S attività, 18 Atractylis gummifera, 628 autofagia, 766 autoradiografia, 75, 113 autotrofi, 473 Avery, Oswald, 54 azidotimidina, vedi AZT azoto (N2), 814 – assimilazione dell’, 814, 818 – ciclo dell’, 819, 820F – – ammonificazione, 819 – – denitrificazione, 819 – – nitrificazione, 819 – fissazione dell’, 814 – riduzione ad ammoniaca, 814 – – costo energetico della, 817 – – processo chimico di HaberBosch, 818 – triplo legame dell’, 814 – vie di eliminazione dell’eccesso di, 776 AZT (39-azido-39-deossitimidina, o azidotimidina, o Zidovudina), 401S B BAC, vedi cromosomi artificiali batterici Bacillus subtilis, 253 Bacillus thuringensis, 79

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bacitracina, 589 baculovirus, 71 banche dati, 64, 115, 125, 126, 165, 166 – Banca Dati delle Proteine (Protein Data Bank, PDB), 165 – BRENDA (BRaunschweig ENzyme DAtabase), 503 – di sequenze proteiche e di DNA, 125T, 165T – Enciclopedia-Banca Dati dei Geni, dei Genomi e delle Vie metaboliche di Kyoto [Kyoto Enciclopedia of Genes and Genomes (KEGG) Pathway Database], 503 – Entrez, 167 – GenBank, 64 – Molecular Modeling Database (MMDB), 168 – Pfam (Protein families, famiglie di proteine), 167 – SCOP (Structural Classification Of Proteins, classificazione strutturale delle proteine), 167 Banting, Frederick, 499, 847, 847S, 848S Barber, James, 682 Barcroft, Joseph, 206 Barnett, John, 327 base, 35 – coniugata, 36 base di Schiff (o immina), 352S, 355, 772, 783, 811 – base di Schiff amminoacido-PLP, 773, 783 – reazione di formazione di una, 356, 772-774 Bassham, James, 693 batteri (o eubatteri), 9 – diazotrofi, 814 – gram-negativi, 252 – gram-positivi, 252 – ipertermofili, 172S – mesofili, 172S – relazioni simbiontiche con cellule eucariotiche, 10 – sistema di modificazione e restrizione, 58 – sulfurei verdi, 689 – trasformazione di, 72 batteriofago/i, 58 – λ, 71 batteriofeofitina (BPheo), 677, 678 batteriorodopsina, 281, 637, 638 BCKDH, vedi deidrogenasi degli α-chetoacidi a catena ramificata Bcr, proteina chinasi, 447 Beadle, George, 55 Benson, Andrew, 693 beriberi, 534

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Berman, Helen, 150 Bernal, J.D., 138, 198S Berson, Solomon A., 430 Berzelius, Jacob, 85 Best, Charles, 499, 847, 847S, 848S BI167I07, recettore, 453 biblioma, 503 bilirubina, 809-811 biliverdina, 809 biocitina (o biotinil-lisina), 580 biofilm, 250 bioinformatica, 165 – strutturale, 165, 166 biologia dei sistemi, 502 biopterina, 793 biossido di azoto (NO2), 813 biotina, 474T, 580 – come gruppo prostetico della piruvato carbossilasi, 580 – gruppo ureidico della, 580 1,3-bisfosfoglicerato (1,3-BPG), 483S, 489, 522 – conversione in 3PG, 524 – formazione da GAP, 522 2,3-bisfosfoglicerato (2,3-BPG), 206, 526 – legame a deossiemoglobina, 206, 207, 526 – sintesi negli eritrociti, 527S 2,3-bisfosfoglicerato fosfatasi, 527S Blobel, Günter, 296, 298 Bloch, Konrad, 731, 753 Blow, David, 371 BMD, vedi distrofia muscolare di Becker Bohr, Christian, 205 BoNT/A-BoNT/G, tossine, 305S Bordetella pertussis, 460S Botox, 305S botulismo, 305S Boyer, Herbert, 72 Boyer, Paul, 654 1,3-BPG, vedi 1,3-bisfosfoglicerato 2,3-BPG, vedi 2,3-bisfosfoglicerato BPTI, vedi tripsina, inibitore della tripsina di pancreas bovino Brändén, Carl-Ivar, 696 Braunstein, Alexander, 773 Brodsky, Barbara, 150 5-bromo-4-cloro-3-indolil-β-dgalattoside (X-gal), 72 bromuro di cianogeno (CNBr), 121 Brønsted, Johannes, 35 Brown, Adrian, 388 Bruice, Thomas, 361 BSE, vedi encefalopatia spongiforme bovina Buchner, Eduard, 343, 510 buco dell’ossianione, 375 Burk, Dean, 394

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N-butildeossinojirimicina (Miglustat), 751S C C, vedi citosina CA1P (2-carbossiarabinitolo-1fosfato), 699 Ca21 (ione calcio) – attivazione della fosforilasi chinasi, 572 – nella contrazione muscolare, 223 – secondo messaggero, 463-466 – vitamina D e metabolismo del, 272 caffeina, 460S calcineurina, vedi PP2B calmodulina (CaM), 463, 572, vedi anche fosforilasi chinasi – legame del Ca21 a, 464-466 – mano EF (EF hand), 464 – ruolo di modulatore del Ca21, 463, 464 calore (q), 12 – a pressione costante (qp), 12 Calvin, Melvin, 693 – ciclo di, vedi ciclo di Calvin CAM (metabolismo acido delle Crassulacee), 704 Cambillau, Christian, 709 cAMP (adenosina-39,59monofosfato ciclico, o 39,59-AMP ciclico, o AMP ciclico), 452, 572 – bersaglio di, 456 – idrolisi ad AMP, 460 – secondo messaggero, 452, 456, 572 cAMP-fosfodiesterasi (cAMP-PDE), 460 canali ionici, 315, 317-324 – controllati da ligandi, 320 – controllati da segnali, 320 – controllati dal voltaggio, 320 – – poro centrale nei, 322 – del Cl2, 323 – – CIC, 323 – del K1, 317 – – KcsA, 317-319 – – Kv, 321 – gating dei, 320 – meccano-sensibili, 320 – regolabili, 320 – selettività dei, 317 Candida albicans, 621 cancro, 443S, 511S – espressione di acido grasso sintasi e, 738 – metabolismo del, 851-853 cAPK, vedi PKA CapZ (o β-actinina), proteina, 220 N-carbamil aspartato, 408

carbamil fosfato, 408, 484S, 778 carbamil fosfato sintetasi (CPS), 778 – CPS I, 778 – CPS II, 778 carbammato, 206, 778 carboidrati (o saccaridi), 236, vedi anche le classi, e i singoli carboidrati – funzioni dei, 236 – vie biosintetiche dei, 585-589, vedi anche gluconeogenesi carbonio, 86 – α, 86 – anomerico, 239 – centro chirale (o centro asimmetrico), 94 – stati di ossidazione del, 477S carbonio monossido deidrogenasi, 726 2-carbossiarabinitolo-1-fosfato, vedi CA1P carbossiatrattiloside (CATR), 628 carbossifosfato, 778 carbossimetilcisteina, 522 carbossipeptidasi A, 161 2-carbossipropil-CoA, 726 carcinogeni, vedi mutageni cardiolipina, 747 carnitina, 717 carnitina palmitil transferasi I, 717 carnitina palmitil transferasi II, 717 β-carotene, 79, 273, 675 carotenoidi, 675 cascata chinasica, 439, 442, 444 cascata della coagulazione, 380S, 381S – fattore V, 380S – fattore VII, 380S – fattore VIII, 380S – fattore IX, 380S – fattore X, 380S – fattore XIII, 380S – via estrinseca, 380S – via intrinseca, 380S cascate enzimatiche, 428 catabolismo (o degradazione), 472, 476F, vedi anche le vie cataboliche specifiche – convergenza in pochi intermedi comuni, 475, 476 catalasi, 345, 362, 666 catalisi enzimatica, 20, 343-381, vedi anche cinetica enzimatica; ed enzima/i – acida generale, 352 – assunzione dell’equilibrio, 389 – assunzione dello stato stazionario, 389, 390

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– basica generale, 352 – complesso enzima-stato di transizione (ES‡), 360 – complesso enzima-substrato (ES, o complesso di Michaelis), 360, 388, 389 – covalente, 354 – da stato di transizione, 360, 375 – elettrostatica, 359, 375 – legame dei substrati e, 359 – meccanismi di, 351-361 – modello chiave e serratura, 346, 361 – nucleofilica, 354 – orientamento dei gruppi reagenti e, 358 – teoria dello stato di transizione, 348 – vicinanza dei gruppi reagenti e, 358 catalizzatore, 6 cataratta, 545 catecolammine, 431, 812 catecolo (1,2-diidrossibenzene), 431, 812 catena di trasporto degli elettroni, 476, 529, 625 – coenzima Q, 631, vedi anche coenzima Q – complesso I (NADH-coenzima Q ossidoriduttasi), 631, 634-639 – – traslocazione di quattro protoni, 637 – complesso II (succinato-coenzima Q ossidoriduttasi), 631 – – cofattori redox nel, 639, 641 – – flavoproteina (Fp), 639 – – subunità CybL e CybS, 641 – – subunità ferro-zolfo (Ip), 641 – complesso III (coenzima Q-citocromo c ossidoriduttasi, o citocromo bc1), 631, 679 – – ciclo Q nel, 641-644 – complesso IV (citocromo c ossidasi), 631, 645-648 – – canali che traslocano protoni nel, 647, 648 – – – canale D, 648 – – – canale di uscita, 648 – – – canale K, 648 – – centri redox del, 645 – – punto di controllo della fosforilazione ossidativa, 661 – – reazione a quattro elettroni, 646, 647 – – struttura del, 646 – eventi associati al trasporto, 625 – inibitori della, 632, 633 – ossidazione di NADH e FADH2, 631

– potenziali di riduzione dei componenti della, 633T – spostamento degli elettroni nella, 631, 632F catepsine, 766 – catepsina D, 304 CATH (Class, Architecture, Topology, and Homologous superfamily), algoritmo, 165T, 167 CATR, vedi carbossiatrattiloside cavalli di Troia, della biochimica, 369 cDNA, vedi DNA, complementare CDP-diacilglicerolo, 747 CDP-glucosio, 586 CE (Combinatorial Extension, estensione combinatoriale del percorso ottimale), algoritmo, 167 celecoxib (Celebrex), 420, 752 cella elettrochimica, 495 – semicella, 495 cellula/e, 5-9 – ciclo della, vedi ciclo cellulare – citoplasma, 7 – citoscheletro, 8 – citosol, 8 – compartimentazione della, 6 – eucariotiche, 7 – morte programmata, vedi apoptosi – nucleo, 7 – organelli, 7 – procariotiche, 7 – reticolo endoplasmatico, 7, vedi anche reticolo endoplasmatico – vacuoli, 8 cellulasi, 246 cellule B (o linfociti B), 225 – della memoria, 225 cellule ischemiche, 839 cellule schiumose, 759 cellule T (o linfociti T), 225, 445 cellulosa, 244, 245 – sintesi della, 698 – struttura della, 245, 246 centri redox, 625 centro CuA, 646 centro CuB, 646 centro di Rieske, 642 centro ferro-zolfo, 634 – [2Fe-2S], 639 – [2Fe-4S], 634, 639 – [3Fe-4S], 639 – [4Fe-4S], 605, 634, 639, 814 ceramidi, 268 CFTR, vedi proteina transmembrana della fibrosi cistica regolatrice della conduttanza cGMP, 460 Changeaux, Jean-Pierre, 208 chaperoni molecolari, 179

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– chaperonine, 180 – – GroEL/ES, 181-184 – cochaperone Hsp40, 180 – come ATPasi, 181 – fattore di innesco (o trigger factor), 180 – Hsp70, 179 – Hsp90, 180 – proteine da shock termico (Hsp), 179 – TriC, 183 Chargaff, Edwin, 50 – regole di, 50 chemiolitotrofi, 473 cheratan solfato, 249 cheratina (o cheratina α), 147-149 2-chetoacido deidrogenasi, 607 chetoacidosi, 846 β-chetoacil-ACP sintasi (KS, o enzima condensante), 735 β-chetoacil-CoA, 718 β-chetoacil-CoA tiolasi, vedi tiolasi α-chetobutirrato, 803 2-cheto-3-deossi-darabinoeptulosionato-7-fosfato, 803 chetogenesi, 730 α-chetoglutarato (o 2-ossoglutarato), 594, 606 – amminazione riduttiva a glutammato, 616 – decarbossilazione di isocitrato ad, 607 – decarbossilazione ossidativa a succinil-CoA, 607 – transamminazione dell’, 772 α-chetoglutarato deidrogenasi, complesso della, 607 – α-chetoglutarato deidrogenasi (E1), 607 – decarbossilazione ossidativa catalizzata da, 607 – diidrolipoil deidrogenasi (E3), 607 – diidrolipoil trans-succinilasi (E2), 607 – nella regolazione del ciclo dell’acido citrico, 613 3-chetosfinganina, 749 3-chetosfinganina riduttasi, 749 3-chetosfinganina sintasi, 749 chetosi, 237, 731, 846 chilomicroni, vedi lipoproteine, chilomicroni chimera (o ricombinante), 71 chimotripsina, 347, 369-373, vedi anche serina proteasi – intermedio tetraedrico, 375, 378, 379 – – decomposizione in intermedio acil-enzima, 375

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– meccanismo di catalisi, 374, 375 – specificità di substrato, 372 chimotripsinogeno, 371 chinasi, 428, 489, vedi anche le chinasi specifiche chinasi della catena leggera della miosina (MLCK), 464, 465 chinino, 416 chinolo ossidasi, 651S chinureninasi, 791 chip a DNA, vedi DNA, microarray chiralità, 94, vedi anche stereochimica chirurgia bariatrica, 850 chitina, 246 Chou, Peter, 153 cianobatteri, 670 cianoproteine contenenti rame, 687F cianosi, 211 cianuro, 632 ciclo degli acidi tricarbossilici (o TCA), 594, vedi anche ciclo dell’acido citrico ciclo del C4, 703 ciclo del gliossilato (o via del gliossilato), 615-621 – impiego da parte di batteri patogeni, 621 – reazione generale del, 619 – reazioni del, 618, 619 ciclo del substrato, 482, 540 – correlazione alla termogenesi, 541 ciclo dell’acido citrico (o ciclo di Krebs, o ciclo degli acidi tricarbossilici, TCA), 476, 594621, 826 – anfibolico, 615 – enzimi del, 603-610, vedi anche i singoli enzimi – – che controllano la velocità del ciclo, 613-615 – – organizzati in un metabolone, 614, 615 – evoluzione del, 618S, 619S – intermedi del, 597 – mitocondrio sede del, 596 – prodotti del, 610-612 – reazione complessiva del, 594-597 – reazioni correlate al, 615-621 – regolazione del, 610-615 – – controllo coordinato di glicolisi e, 662, 663F – sintesi dell’acetil-CoA e, vedi acetil-CoA, sintesi dell’ – variazioni di energia libera, 613 – vie anaplerotiche, 616, 617 – vie cataplerotiche, 615, 616 ciclo dell’urea, 776-780 – reazioni del, 777F, 778, 779

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– regolazione del, 779, 780 ciclo di Calvin (o ciclo riduttivo del pentosio fosfato), 693-700 – controllo del, 698, 700 – destino dei prodotti del, 697, 698 – fase I (fase di produzione), 695 – fase II (fase di recupero), 695 – fissazione del CO2, 693, 696 – stechiometria complessiva, 697 – variazioni di energia libera, 699T ciclo di Cori, 560S, 832 ciclo di Krebs, 594, vedi anche ciclo dell’acido citrico ciclo di Randle (o ciclo glucosioacido grasso), 662, 663 ciclo futile, 540, vedi anche ciclo del substrato – funzione regolatoria del, 540, 541 ciclo glucosio-acido grasso, vedi ciclo di Randle ciclo glucosio-alanina, 833 ciclo Q, 642-644, vedi anche coenzima Q ciclo riduttivo del pentosio fosfato, vedi ciclo di Calvin ciclopentanoperidrofenantrene, 270 ciclosporina A, 451 Ciechanover, Aaron¸767 cinetica enzimatica, 385-398, vedi anche catalisi enzimatica; ed enzima/i – costante catalitica (kcat, o numero di turnover), 392 – costante di Michaelis (KM), 391 – – apparente (KMapp), 402 – – definizione operativa della, 391, 392 – – rapporto tra costante catalitica e, 392, 393 – equazione di Michaelis-Menten, 388-391 – – determinazione dei parametri della, 393-395 – grafico di Lineweaver-Burk (o grafico dei doppi reciproci), 394 – limite controllato dalla diffusione, 393 – stato stazionario, 390 – – ipotesi dello, 390, 390S – – meccanismo di reazione e, 395, 396 – velocità di reazione, 334, vedi anche reazione/i – – costante di, 386 – – – k1, 388 – – – k–1, 388 – – di ordine zero, rispetto a un reagente, 388 – – equazione della, 387

– – iniziale (v0), 391 – – massima (Vmax), 391 – – tappa che determina la, 350 cistationina, 786 cisteamina, 735F cisteina, 90 – degradazione a piruvato, 781 – formazione di un ponte disolfuro, 91 cistifellea, 708 citidina trifosfato (CTP), 408, 746 citochine, 445 citocromo/i, 640S, 641S – a, 646 – a3, 646 – b, 642 – bc1, 644, 645 – – complesso bc1 nella fotosintesi, 679 – b559, 681 – b560, 639 – b562 (o bH), 161, 642 – b566(o bL), 642 – banda di Soret, 640S – c, 631, 640S, vedi anche catena di trasporto degli elettroni – – evoluzione del, 127 – – modello a nastro del, 645F – – proteina periferica di membrana, 287 – – strutture ai raggi X di, 164 – – trasportatore solubile, 644, 645 – c1, 641, 642, 643 – c2, 679 – d, 651S – gruppo eme dei, 640S – P450, 420-423 – – interazioni farmaco-farmaco mediate da, 421 – – isozimi di, 420 – – polimorfismo di, 423 – picchi di assorbimento della luce, 640S citocromo NADPH-P450 riduttasi, 421 citoglobina, 195 citosina (C), 46 citrato, 594 – effetto regolatorio sulla fosfofruttochinasi, 662 – isomerizzazione in isocitrato, 605 – molecola prochiralica, 346, 605 citrato sintasi, 603, 604 – nella regolazione del ciclo dell’acido citrico, 613, 614 citril-CoA, 604, 605F – idrolisi del, 604 citrullina, 778 CJD, vedi malattia di CreutzfeldtJakob, 185

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clatrina, 301 – invaginazioni rivestite di, 713 – triskelion di, 302 – vescicole rivestite di, 713 Cleland, W.W., 397 clonaggio, 70, vedi anche tecnologia del DNA ricombinante – shotgun, 74, 75 – sito di clonaggio multiplo (o polilinker), 71F – vettori di, 70, 71 clone, 70 clorocruorine, 197S clorofilla/e, 672 – a (Chl a), 673 – antenna, 673 – b (Chl b), 673 – batterioclorofilla – – a (BChl a), 673 – – accessoria (BChl accessoria), 679 – – b (BChl b), 673 – – coppia speciale, 678 – – – fotoossidazione della, 678, 679 – – – P870, 678 – – – P960, 678 – spettro di assorbimento delle, 673 – stati elettronici della, 676F – – interconversione degli, 676 cloroplasti, 8, 671-675 – grani, 672 – lamelle stromali, 672 – stroma, 671 – tilacoide, 672 cloruro di cesio (CsCl), 115 Clostridium sticklandii, 361 Clp, proteasi, 770 – ATPasi ClpA, 771 – ATPasi ClpX, 771 – componente ClpP, 771 CO2 (biossido di carbonio), 205, 206 – fissazione del, 693-696 – formazione di bicarbonato da, 36S, 205, 206 – formazione di carbammati da, 206 – prodotto dalla fotorespirazione, 700, 701 CoA, vedi coenzima A CoASH, vedi coenzima A cobalamina, vedi vitamina/e, B12 cochaperone Hsp40, 180 coda di istidina (His-tag), 112 coefficiente di trasmissione (κ), 393S coenzima A (CoASH, o CoA), 476, 492 – coenzima della piruvato deidrogenasi, 599T, 601 – come trasportatore di gruppi acilici, 492 – struttura del, 492

coenzima Q (CoQ, o ubichinone), 273, 631, vedi anche catena di trasporto degli elettroni – ciclo Q, 641-645 – come punto di raccolta di elettroni, 639 – forma chinonica del (o forma ossidata), 636F – forma idrochinonica (o forma ridotta, o coenzima QH2, o ubichinolo), 636F – forma semichinonica (o forma radicalica), 636F – stati di ossidazione del, 634, 635 – unità isoprenoidi nel, 273 cofattore, vedi enzima/i, cofattori Cohen, Philip, 776 Cohen, Stanley, 72 colesteril stearato, 270 colesterolo, 270 – biosintesi del, 753-755 – buono, 760 – cattivo, 759 – diminuzione della fluidità delle membrane e, 279 – eliminazione del, 760 – esteri del, 270 – precursore metabolico degli ormoni steroidei, 271, 755, vedi anche ormoni steroidei – trasporto alterato, 759 – trasporto dai tessuti al fegato, 715 – via di escrezione del, 756 colina, 268, 746 – attivazione della, 746 colipasi, 708 collageno 149-152 – composizione amminoacidica del, 149 – di tipo I, 149, 150S – malattie associate a, 150S – mutazioni nel, 150S Collins, Francis, 65S Collip, James, 848S complesso CF1CF0 (ATPasi sintasi del cloroplasto), 691 complesso di Michaelis, 389, vedi anche catalisi enzimatica, complesso enzima-substrato complesso maggiore di istocompatibilità (MHC), 770 composti ad alta energia, 483-493, 522, 594, 608, vedi anche i tipi specifici – legami ad alta energia (o legami ricchi di energia), 485 – stabilità dal punto di vista cinetico, 485 composti organici, 2

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condroitin-4-solfato, 248, 249F condroitin-6-solfato, 248, 249F connessina/e, 326, 318S conversione interna, dell’energia di eccitazione, 676 cooperatività, 200-202, vedi anche emoglobina, legame di O2 alla COPI (coat protein I, proteina di rivestimento I), 301 – coatomero di, 302 COPII (coat protein II, proteina di rivestimento II), 302 coproporfirinogeno ossidasi, 808 CoQ, vedi coenzima Q corea di Huntington, vedi malattia di Huntington Corey, Robert, 139, 142S, 145 Cori Carl, 559, 560S, 832 Cori Gerty, 559, 560S, 832 corismato, 803, 804 corpi chetonici, 730, 731 – fonte di energia durante il digiuno, 846 corpi di Lewy, 186 cortisolo, 432 costante di Boltzmann (kB), 14, 393S costante di dissociazione (K), 34 costante di equilibrio (Keq), 17 – dipendenza dalla temperatura, 18 costante di Planck (h), 13S, 393S, 676 costante dielettrica (D), 26 cozimasi, 510 CPS, vedi carbamil fosfato sintetasi creatina chinasi, 490 CREB (cyclic AMP response elementbinding protein, proteina di legame dell’elemento di risposta all’AMP ciclico), 175 Crick, Francis, 50, 138 cristallografia ai raggi X, 153, 198S – schema di diffrazione dei raggi X, 154 cristallografia elettronica, 281 cromatografia, 109 – a scambio ionico, 109, 110 – idrofobica, 110 – liquida ad alta prestazione (HPLC), 109 – per affinità, 112 – – con chelati metallici, 112 – – di proteine, 112 – per filtrazione su gel (o cromatografia per esclusione molecolare, o cromatografia a setaccio molecolare), 111 – per immunoaffinità, 112 cromoforo, 107, 108 cromosoma /i, 51

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cromosoma Filadelfia, 447 cromosomi artificiali batterici (BAC), 71 cromosomi artificiali di lievito (YAC), 71 CTP, vedi citidina trifosfato curve di titolazione, 38 CYP3A4, 420, 422, 423 D ∆ (delta), 12 D, vedi dalton DAG, vedi 1,2-diacilglicerolo dalton (D), 13S dansil cloruro (5-dimetilammino-1naftalensullfonil cloruro), 119 darunavir, 401S, 423 Darwin, Charles, 11, 603S Davies, David, 805 Davis, Ron, 71 Dawkins, Richard, 11 Dayhoff, Margaret, 130 DCMU, vedi 3-(3,4-diclorofenil)1,1-dimetilurea ddNTP (29,39-dideossinucleoside trifosfato), 61 de Duve, Christian, 560S deidrogenasi degli α-chetoacidi a catena ramificata (BCKDH), 607, 791 densità elettronica, 154 – contorni, 154 – mappe, 154 59-deossiadenosilcobalamina (AdoCbl, o coenzima B12), 723, 724F 6-deossieritronolide B (6dEB), 739S deossieritronolide B sintasi (DEBS), 739S deossiribonucleotidi, 46, vedi anche nucleotide/i, deossiribonucleotidi 29-deossiribosio, 46 β-d-deossiribosio, 241 deossizuccheri, 241 dermatan solfato, 249 desaturasi, 740 – terminali, 740 – – D4, 740 – – D 5, 740 – – D 6, 740 – – D 9, 740 destrogiro, 94 DHF, vedi diidrofolato DHFR, vedi diidrofolato riduttasi diabete (o diabete mellito), 846-850 – insulino-dipendente (o diabete mellito a insorgenza giovanile, o di tipo 1), 231T, 846-848

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– non insulino-dipendente (o diabete a insorgenza nell’età adulta, o di tipo 2), 847 – – cause del, 848-850 – –cellule insulino-resistenti nel, 848 – ruolo del pancreas nel, 499, 847 1,2-diacilglicerolo (DAG), 268, 461, 708 – molecola di segnalazione intracellulare, 268, 461, 466 diacilglicerolo aciltransferasi, 741 dialisi, 32 disaccoppiamento, 659 – nel tessuto adiposo bruno, 660S Dickerson, Richard, 371 3-(3,4-diclorofenil)-1,1-dimetilurea (DCMU), 680 29,39-dideossicitidina (ddC, o Zalcitabina), 401S 29,39-dideossiinosina (ddI, o Didanosina), 401S 2,4-dienoil-CoA riduttasi, 721 difenili policiclici (PCB, polycyclic biphenyls), 421 differenza di potenziale elettrico (∆%, o forza elettromotrice, emf), 496 diffusione, 32 – facilitata, 294 digitale, 333S, 416 digitalina, 333S 7,8-diidrobiopterina, 795 – forma chinoide della, 795, 796F diidroceramide, 749 diidroceramide riduttasi, 749 diidrofolato riduttasi (DHFR), 787 1,6-diidroinosina, 400 diidrolipoamide, 601 – legame a composti dell’arsenico, 603S diidropteridina riduttasi, 795, 796F diidrosfingosina, vedi sfinganina diidrossiacetone, 238 diidrossiacetone fosfato (DHAP), 517 – formazione da FBP, 517 – interconversione in GAP, 518, 695 – via di conversione della gliceraldeide a, 542, 543F diidrossiacetone fosfato aciltransferasi, 741 1,2-diidrossibenzene, vedi catecolo 1α,25-diidrossicolecalciferolo, 272 3,4-diidrossifenilalanina (l-DOPA), sintesi della tirosina, 812 diimmina, 817 diisopropilfosfofluoridato (DIPF), 369 – nell’inattivazione enzimatica, 370S

dimero, 50 dimetilallil pirofosfato, 754 5-dimetilammino-1-naftalensullfonil cloruro, 119 5,6-dimetilbenzimidazolo (DMB), 725 2,4-dinitrofenolo, vedi DNP 2,4-dinitrofluorobenzene (DNFB), 117S dipalmitilfosfatidilcolina, vedi DPPC dipeptidi, 89 DIPF, vedi diisopropilfosfofluoridato Diplococcus pneumoniae, 54 diploide, organismo, 51 disaccoppianti, agenti, 659 distrofia – muscolare di Becker (BMD), 220, 221 – muscolare di Duchenne (DMD), 220, 221 distrofina, 220, 221 DMB, vedi 5,6-dimetilbenzimidazolo DMD, vedi distrofia, muscolare di Duchenne DNA (acido deossiribonucleico), 47 – appaiamento delle basi complementari, 51 – clonato, 70, 71 – complementare (cDNA), 74, 503 – – libreria di, 74 – coppie di basi (bp), 51, 53 – – migliaia di (o kilobasi, o kb), 53 – doppia elica del, 51, 53 – elettroforesi su gel di, 59 – filamenti antiparalleli del, 51 – fingerprinting del, 77S – microarray (o chip a DNA), 74, 45, 503, 504F – replicazione del, 54 – ricombinante, vedi tecnologia del DNA ricombinante – scanalatura maggiore, 51 – scanalatura minore, 51 – sequenziamento del, 60-62 – – Illumina, metodo, 63 – – mediante terminazione della catena (o metodo dei dideossi), 60, 61 – – per sintesi, 63 – – pirosequenziamento, 63 – sonicazione, 62 – sostanza trasformante, 54 – struttura di Watson e Crick del, 50, 51 DNA ligasi, 72 – legame covalente allo scheletro zucchero-fosfato, 72 DNA polimerasi I (Pol I), 60

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DNA ricombinante, vedi tecnologia del DNA ricombinante DNFB, vedi 2,4dinitrofluorobenzene DNP (2,4-dinitrofenolo), 659 DNP (polipeptide dinitrofenilico), 117S dNTP (deossinucleosidi trifosfato), 60 dogma centrale della biologia molecolare, 55, 57 dolcificanti artificiali, 244S dolicolo, 587 dolicolo pirofosfato, 587 dominio, 130 Donohue, Jerry, 51 dopamina, 98, 811 – biosintesi della, 811, 812 doppio strato (bilayer), 30, 276-279 dosaggio, 106 – ELISA (Enzyme-Linked Immunosorbent Assay, dosaggio con immunoassorbenti legati a enzimi), 107 – immunologico, 106 – radioimmunologico (radioimmunoassay, RIA), 106, 429, 430S DPPC (dipalmitilfosfatidilcolina), 267S Druker, Brian, 447 5dTHF, vedi 5-deazatetraidrofolato Dutzler, Raimund, 323 dwarfismo, 434 E %, vedi potenziale di riduzione ∆%, vedi differenza di potenziale elettrico ε, vedi assorbimento, molare E4P, vedi eritrosio-4-fosfato EC, vedi elettroforesi, capillare edema, 272 Edman, Pehr, 121 – degradazione di, 119 – reagente di, vedi fenilisotiocianato EDRF, vedi fattore di rilassamento derivato dall’endotelio effetto Pasteur, 535 EGF (fattore di crescita dell’epidermide), 443S EH, vedi enoil-CoA idratasi eicosanoidi, 274, 275, 740 Eisenberg, David, 696 elastasi, 121T, 369-373, vedi anche serina proteasi – dei leucociti, 378 – specificità di substrato, 372 elastina, 372 elettroforesi, 112

– bidimensionale (2D) su gel, 114, 505 – capillare (EC), 114 – focalizzazione isoelettrica (o isoelettrofocalizzazione, IEF), 114 – su gel, 59 – – di agarosio, 59 – – di poliacrilamide (polyacrylamide gel electrophoresis, PAGE), 59, 112, 113 – – – con sodio dodecilsfolfato (SDS) (o SDS-PAGE), 113 ELISA, vedi dosaggio, ELISA elongasi, 740 eluente, 110 EM, vedi microscopia elettronica emagglutinina (HA, o proteina di fusione virale), 307 Embden, Gustav, 511 eme, 807 – biosintesi dell’, 807-809 – – regolazione della, 809 – catabolismo dell’, 809-811 – complesso Fe(II)-eme, 194 – eme a, 640S, 641S – eme b (ferro-protoporfirina IX), 640S, 641S – eme c, 640S, 641S – eme x (o eme c1), 686 – gruppo prostetico della mioglobina, 193, 194 – ossigenazione dell’, 194 – prodotti di degradazione dell’, 809-811 – struttura dell’, 194 emeritrina, 197S emf, vedi differenza di potenziale elettrico emiacetale, 238 emichetale, 238 emifusione, 306 emina, 809 emivita, vedi tempo di dimezzamento emocianina, 197S emocromatosi, 606 emofilia a, 381S emofilia b, 381S emoglobina (Hb), 131, 193, 200 – conformazioni della, 197-200 – deossiemoglobina (stato T), 199, 203 – – legame di d-2,3-BPG alla, 206207, 527S – falciforme (emoglobina S), 211 – – protezione dalla malaria fornita da, 211, 212 – fetale – – bassa affinità per 2,3-BPG, 208 – – subunità della, 208

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– gruppo prostetico della, 194, vedi anche eme – interazioni allosteriche, 208 – legame di O2 alla, 200-202 – – adattamento alle elevate altitudini, 207S – – coefficiente di Hill, 201 – – cooperatività del, 200, 202 – – – negativa, 201 – – – positiva, 201 – – – reazione non cooperativa, 201 – – curva sigmoide, 200 – – effetto Bohr, 205, 206 – – equazione di Hill, 200, 201 – – grafico di Hill, 201, 202 – – meccanismo di Perutz, 203 – – p50, 200 – metaemoglobina, 194 – modello simmetrico dell’allosterismo per, 208 – ossiemoglobina (stato R), 199, 203 – pseudosimmetria della, 199 – simmetria della, 199 – subunità della, 197, 198, 199F – tetramero a2b2, 197, 198, 199F – transizione T n R, 203-205 – varianti della, 210 emolinfa, 197S encefalopatia spongiforme bovina (BSE, o morbo della mucca pazza), 185 encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE), 185 endocitosi, 302, 766 – mediata da recettori delle LDL, 713, 714F – mediata dal recettore, 307 endoergonici, processi, 15 endoglicosidasi, 243 endonucleasi – di restrizione, 58 – di tipo I, 58 – di tipo II, 58 – di tipo III, 58 – EcoRi, 58 – formazione di estremità coesive, 59 – formazione di estremità nette (piatte), 59 – siti di riconoscimento e di taglio di, 58T endopeptidasi, 120 – specificità delle, 121T, endosimbiosi, teoria della, 10S endosomi, 307, 713 enediolato intermedio, 518, 696 energia libera (G, o energia libera di Gibbs), 14 – di idratazione, 30 – libera molare parziale (GA o potenziale chimico), 17

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Ð – – GA° (energia libera molare parziale di A nel suo stato standard), 16 – spontaneità di una reazione ed, 16 – variazione di (∆G), 14, 479, 480 – – calcolo dalla costante di equilibrio e, 479 – – dell’idrolisi di ATP, 486S – – di attivazione (∆G‡), 349-351 – – – tra reazione catalizzata e non (∆∆G‡cat), 350, 359 – – per il trasporto protonico, 651, 652 – – standard (∆G°9), 485 enfisema polmonare, 378 enoil-CoA idratasi (EH), 718, 719 – problema dell’inibizione della, 721 enoil-CoA isomerasi, 721 – 3,2-enoil-CoA isomerasi, 721 – 3,5-2,4-dienoil-CoA isomerasi, 721 enolasi, 527 enolato, 517 enolpiruvato, 528 entalpia (H), 12 – variazione di entalpia (∆H), 12, 13 enteropeptidasi, 379 entropia (S), 14 – di molecole in soluzione acquosa, 28, 29 – variazione di entropia (∆S), 14 enzima/i, 20, vedi anche catalisi enzimatica – adattamento indotto, 346 – apoenzima, 348 – cinetica degli, vedi cinetica enzimatica – classificazione, 345, 346 – – EC (Enzyme Commission), 345 – coenzimi, 347 – – nicotinamidici, 348F – cofattori, 347, 348 – complesso multienzimatico, 597, 598 – controllo dell’attività enzimatica, 407-415 – – allosterico, vedi allosterismo – – mediante controllo della disponibilità di enzimi, 407 – – mediante modificazioni covalenti, 408, 412-415 – controllo stereoelettrico operato da, 521 – denominazione degli 435 – costitutivi (housekeeping),448 – gruppi prostetici, 348 – inibitori degli, 398 – – competitivi, 398-404, 609 – – effetti degli, 405T – – incompetitivi, 405

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– – irreversibili (o inattivatori), 398 – – misti, 406 – inibizione enzimatica, 398-407 – – competitiva, 498- 400, 403, 436S – – costante di inibizione (KI), 399 – – – determinazione della, 403, 404 – – da analoghi dello stato di transizione, 361, 399 – – da prodotto, 399 – – fattore α, 402, 406 – – fattore α9, 406 – – incompetitiva, 404-406 – – mista (o non competitiva), 406 – – – pura, 406 – – retroattiva, 408 – isozimi (o isoforme), 413, 478, 479 – metalloenzimi, 357 – nome accettato (o raccomandato), 345 – nome sistematico, 345 – numero di turnover, 392, vedi anche cinetica enzimatica, costante catalitica – oloenzima, 348, 450 – proenzimi (o zimogeni), 379 – – siti attivi distorti nei, 381 – proprietà generali degli, 334-348 – regolazione degli, 345 – rigenerazione degli, 348 – saturato, 391 – sistemi enzimatici interconvertibili per via enzimatica, 571 – specificità di reazione degli, 345 – specificità geometrica, 346 – stereospecificità, 346 – substrato, 61, 344 – – blocco dei movimenti del, 359 – – co-substrati, 347 – – complementarità elettronica al, 346 – – complementarità geometrica al, 346 – – legame al, 359 – – primario, 397 – – secondario, 397 enzima che rimuove il gruppo uridilico, 800 enzima deramificante, vedi glicogeno, enzima deramificante del enzima malico, 727 enzimologia, 343 eparan solfato (HS), 250 eparina, 249 epatomegalia, 564S epimero, 238 eptosio, 237

equazione di HendersonHasselbalch, 38 equazione di Nernst, 495 equilibrio, 15, 316 – costante di, vedi costante di equilibrio era prebiotica, 2 erceptina, 229S ergosterolo, 272 eritrociti, 197, 206 – lisi di, 210 eritromicina A, 739S eritrosio, 237F eritrosio-4-fosfato (E4P), 549 – precursore nella biosintesi di amminoacidi, 803, 804F eritrulosio, 238F ERK, vedi proteina chinasi, MAPK Ernst, Richard, 156 Escherichia coli, 6 – CPS (carbamil fosfato sintetasi) di, 778 ESI, vedi ionizzazione per elettronebulizzazione esochinasi, 487, 488, 514 – controllo della, 585, 830 – fosforilazione del fruttosio, 542, 543F – DDG°9 nella reazione della, 537 – modificazione conformazionale della, 514 esochinasi IV, 830 esocitosi, 304 esoergonici, processi, 15 esoglicosidasi, 243 esoma, 75 esonucleasi, 58 esopeptidasi, 120 esosamminidasi A, 750S esosi, 237 – catabolismo degli, 511, 541-545, vedi anche glicolisi espressione genica, 57 estere di Claisen, scissione dell’, 720 estere di Cori, 560S, vedi anche glucosio-1-fosfato β-estradiolo, 271, 433 estrogeni, vedi ormoni steroidei, estrogeni etanolammina, 268, 746 – attivazione della, 746 etanolo, 347 – nell’avvelenamento da metanolo, 403 – prodotto dalla fermentazione alcolica, 343, 530, 532-534 eterotrofi, 473 eterozigote, 211

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ETF (flavoproteina che trasferisce elettroni), 719 – ETF:ubichinone ossidoriduttasi, 719 eucaria (o eucarioti), 7, 9 Evans, Philip, 538 evoluzione, 11 – chimica, 3 – conservazione della struttura, 164 – convergente, 373, 521 – del ciclo dell’acido citrico, 618S – del citocromo c, 127 – delle proteine, 126-133 – – confronti tra proteine omologhe, 131 – – correlazioni evolutive tra proteine, 167 – deriva neutra, 127 – divergente, 521 – mediante selezione naturale, 5, 127 – principi dell’, 11 – risultato di mutazioni, 67, 69 – velocità di divergenza, 132 Eyring, Henry, 348 F ^ (faraday, o costante di Faraday), 495 F1,6P, vedi fruttosio-1,6-bisfosfato F1F0 ATPasi, vedi ATP sintasi F2,6P, vedi fruttosio-2,6-bisfosfato F6P, vedi fruttosio-6-fosfato Fab New, frammento, 162F faccia a forma di luna, 272 FAD (flavina adenina dinucleotide, forma ossidata o chinonica), 493, 494F, 625 – coenzima della piruvato deidrogenasi, 599T, 601 – coenzima della succinato deidrogenasi, 609 – potenziale di riduzione del, 602 FADH? (flavina adenina dinucleotide, forma radicalica o semichinonica), 494 FADH2 (flavina adenina dinucleotide, forma ridotta o idrochinonica), 494 – formazione di, 628, 719 – ossidazione a FAD, 625, 631 vedi anche catena di trasporto degli elettroni – prodotto dal ciclo dell’acido citrico, 594, 609-612 FANS, vedi farmaci, antinfiammatori non steroidei faraday, vedi ^ farmaci, vedi anche i farmaci specifici – antinfiammatori non steroidei (FANS, o NSAID), 751

– antinfluenzali, 399 – attraversamento della barriera emato-encefalica, 418 – biodisponibilità, 418 – indice terapeutico, 421 – interazioni farmaco-farmaco, 421 – peptidomimetici, 401S – per trattare le forme di diabete non insulino-dipendenti, 849 – progettazione di, 416-423 – – basata sulla struttura (o progettazione razionale), 417 – – chimica combinatoria, 417 – – composto guida, 417 – – screening ad alto rendimento, 417 – resistenza a, 335-337 – sintesi in forma di miscele racemiche, 96 – sperimentazioni cliniche (trial clinici), 419, 420 farmacocinetica, 418 farmacogenomica, 423 farnesil pirofosfato, 754F, 755 farnesile C15, residuo, 285 Fasman, Gerald, 153 fattore di crescita dell’epidermide (EGF), 443S fattore di necrosi tumorale α (TNFα), 841 fattore di rilassamento derivato dall’endotelio (EDRF), 812 fattore di scambio dei nucleotidi guaninici (GEF), 441 fattore intrinseco, 724S fattore tissutale, 380S fattori di crescita, 250 favismo, 553S FBP, vedi fruttosio-1,6-bisfosfato FBPasi, vedi fruttosio-1,6-bisfosfatasi – FBPasi-2, vedi fruttosio bisfosfatasi-2 FDA (Food and Drug Administration), 419, 447 FdUMP, vedi 5-fluorodeossiuridilato femminilizzazione testicolare, 433 fen-phen, associazione, 420 fenfluramina (fen), 420 fenilalanina, 90 – biosintesi della, 803, 804 – via di degradazione della, 502F, 793, 794F – – patologie legate a difetti nella, 794S fenilalanina idrossilasi, 793 fenilchetonuria (PKU), 245S, 794S fenilisotiocianato (PICT, o reagente di Edman), 121 fenilpiruvato, 794S

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feniltiocarbamilico, polipeptide (PTC), 114, 122F feniltioidantoina (PTH), 122 fenotipo, 67 fentermina (phen), 420 fentolammina, 431 feofitina a (Pheo a), 682 fermentazione, 510, 531-535 – alcolica, 343, 530, 532, 533 – G°9 nella, 535 – omolattica, 530, 531 ferredossina (Fd), 689, 690, 815 ferredossina-NADP1 riduttasi (FNR), 681, 690 ferredossina-tioredossina riduttasi, 700 ferrile, stato di ossidazione, 646 ferritina, 79, 606 ferrochelatasi, 808 fibrina, 184, 380S fibrinogeno, 132, 184, 380S fibrinopeptidi, 132 fibronectina, 133F fibrosi cistica, 65S ficocianobilina, 675 ficoeritrobilina, 675 fila di protoni, 637 fillochinone, 687 filogenesi, 9 fingerprinting, vedi DNA, fingerprinting del FirstGlance, 166 Fischer, Emil, 94, 346 – convenzione di, 94 – proiezioni di, 95 fitoplancton, 670 flavina adenina dinucleotide, vedi FAD flavina mononucleotide, vedi FMN flavoproteina che trasferisce elettroni, vedi ETF flavoproteina deidrogenasi, 628 Fleming, Alexander, 254S Fletterick, Robert, 413 flippasi, 294 fluorescenza, 676 fluoroforo/i, 287 flusso metabolico, vedi metabolismo, flusso FMN (flavina mononucleotide), 634 – stati di ossidazione del, 634, 635 FNR, vedi ferredossina-NADP1 riduttasi folato, 788, 795F, vedi anche tetraidrofolato forbolo-13-acetato, 466 formaldeide, 347 N-formimminoglutammato, 785

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forza elettromotrice (emf), 496, vedi anche differenza di potenziale elettrico – motrice protonica (pmf), 651 forze di dispersione di London, 27 forze di van der Waals, 27 Fos, fattore di trascrizione, 442, vedi anche fattori di trascrizione fosfageni, 490 fosfatasi, 428, vedi anche le fosfatasi specifiche fosfatidiletanolammina (PE), 269, 293 fosfatidiletanolammina serina transferasi, 746 fosfatidilglicerolo, 747 – sintesi del, 747, 748F fosfatidilglicerolo fosfato, 747 fosfatidilinositolo, 275, 747 – sintesi del, 747, 748F fosfatidilinositolo-4,5-bisfosfato (PIP2), 462 fosfatidilserina, 746 3-fosfo-1-acilglicerolo aciltransferasi, 741 fosfoarginina, 489 fosfocolina, 268, 746 fosfocreatina, 489 – come riserva ad alta energia, 490, 829 fosfoenolpiruvato (PEP), 487, 527 – deidratazione del 2PG a, 528 – formazione da ossalacetato, 581 – precursore nella biosintesi di amminoacidi, 803, 804F – scissione esoergonica del, 487, 528 – – tappa di idrolisi, 528 – – tappa di tautomerizzazione, 528 – trasporto attraverso la membrana mitocondriale, 582 fosfoetanolammina, 746 fosfofruttochinasi (PFK), 517, 537, 542 – allosterismo della, 538 – carenza di, 565S – nel controllo della glicolisi, 517, 537-539, 662 – stato conformazionale R, 537, 538 – stato conformazionale T, 537, 538 fosfofruttochinasi-2 (PFK-2), 584 fosfofruttochinasi-2/ fruttosio bisfosfatasi-2, 852 2-fosfoglicerato (2PG), 525 – deidratazione a PEP, 528 – formazione da 3PG, 525 3-fosfoglicerato (3PG), 524, 693 – conversione di 2PG in, 525 – formazione da 1,3-BPG, 524 fosfoglicerato chinasi (PGK), 524, 525

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fosfoglicerato mutasi (PGM, o fosfoglucomutasi), 525, 545, 560S – interconversione di GIP in G6P operata da, 563 – meccanismo di reazione di, 526 – residuo di fosfo-His della, 525 fosfogliceridi, vedi glicerofosfolipidi 3-fosfoglicerolo, vedi glicerolo-3fosfato 3-fosfoglicerolo deidrogenasi, 628 fosfoglicoidrossammato, 520 2-fosfoglicolato, 520, 701 – idrolisi a glicolato, 701, 702F fosfoglucomutasi, 559, vedi anche fosfoglicerato mutasi 6-fosfogluconato, 548 – decarbossilazione ossidativa del, 548 6-fosfogluconato deidrogenasi, 548 6-fosfogluconolattonasi, 548 6-fosfoglucono-δ-lattone, 548 – idrolisi a 6-fosfogluconato, 548 fosfoglucosio isomerasi (PGI), 515 – meccanismo della reazione della, 515, 516 fosfoguanidine, 489 3-fosfoidrossipiruvato, 801 fosfoinositide 3-chinasi (PI3K), 467 fosfolipasi, 265 – A2, 265-267, 709 – C (PLC), 268, 462 – – azione sui fosfolipidi, 467 fosfomannosio isomerasi, 546 fosfomevalonato chinasi, 753 N-(fosfonacetil)-l-aspartato (PALA), 409, 410 fosfopentosio epimerasi, 696 fosfoproteina fosfatasi-1, vedi PP1 N1-59-fosforibosil ATP, 806 5-fosforibosil-α-pirofosfato, vedi PRPP fosforibulochinasi, 695 fosforilasi, 558, vedi anche glicogeno fosforilasi fosforilasi chinasi, 412, 572 – attivazione da parte del Ca21, 572, 573 – carenza di, 565S – – legata al cromosoma X, 565S – fosforilazione della, 572, 573 – subunità della, 572, 573 – – α, 573 – – β, 573 – – γ, 573 – – δ, 573, vedi anche calmodulina (CaM) fosforilazione – a livello del substrato, 489 – autofosforilazione, 437

– correlazione tra attività enzimatica e, 408, 571, 572 – fotofosforilazione, 489, 690 – ossidativa, 476, 489, 529, 611, 625, 648-660, 826 – – controllo della velocità della, 661-663 – – disaccoppiamento della, 659 Foster, Simon, 253 fotoautotrofo, 473 fotoossidazione, 677 fotorespirazione, 701, 702F – competizione con la fotosintesi, 700, 701 – dissipazione di ATP e NADPH mediante la, 701, 702 fotosintesi, 670-704 – catena di trasporto degli elettroni, 679, 680 – centri di reazione fotosintetici (RC), 673, 674 – – dei batteri purpurei (PbRC), 677 – – – eventi fotochimici mediati da, 677, 678 – – – struttura, 677, 678 – clorofille, vedi clorofilla/e – competizione tra fotorespirazione e, 700-702 – complesso che raccoglie la luce (LHC), 674 – – LH-2, 674 – – pigmenti accessori contenuti nel, 674, 675 – con trasporto non ciclico di elettroni, 692 – ferredossina (Fd), 690, 691 – reazioni al buio, 671, 693-704, vedi anche ciclo di Calvin – reazioni alla luce, 671, 675-692 – resa quantica, 679 – via di trasporto nei cloroplasti, 680-690 – – complesso del citocromo b6f, 680, 685, 687 – – – citocromo b6, 686 – – – citocromo f, 686 – – – eme f, 686 – – – subunità IV, 686 – – fotosistema I (PSI), 680 – – – elettroni attivati dal, 689, 690 – – – P700, 688 – – – PsaA, 687 – – – PsaB, 687 – – – PsaC-E, 687 – – – PsaF, 687 – – – PsaI-M, 687 – – – PsaX, 687 – – – struttura del, 687-689 – – fotosistema II (PSII), 680-684

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– – – centro di reazione D1 (PsbA), 681 – – – centro di reazione D2 (PsbD), 681 – – – citocromo b559, 681 – – – OEC [centro (o complesso) che sviluppa l’ossigeno, o enzima che scinde l’acqua], 682, 684, 685 – – – P680, 683 – – – subunità antenna CP43 (PsbC), 681 – – – subunità antenna CP47 (PsbB), 681 – – segregazione di PSI e PSII, 691S – schema Z, 681 Franklin, Rosalind, 51 FRAP, vedi recupero della fluorescenza in seguito a fotosbiancamento β-fruttofuranosidasi, 388 fruttofuranosio, 239 fruttosio, 238, 542 – conversione in F1P, 542 – conversione in F6P, 542, 543F – impiego come dolcificante, 542, 543 – intolleranza al, 543 – metabolismo nel fegato, 542 – metabolismo nel muscolo, 542 fruttosio bisfosfatasi-2 (FBPasi-2), 584 fruttosio-1-fosfato (F1P), 542 fruttosio-1-fosfato aldolasi (o aldolasi di tipo B), 542 – carenza di, 543 fruttosio-1,6-bisfosfatasi (FBPasi), 540, 543, 583 – attivazione della, 700 fruttosio-1,6-bisfosfato (FBP, o F1,6P), 517 – formazione da fruttosio-6-fosfato, 517 – idrolisi a F6P nella gluconeogenesi, 583 – scissione in triosi, 517, 518 fruttosio-2,6-bisfosfato (F2,6P), 537, 584F – attivazione della fosfofruttochinasi, 583 – inibizione della fruttosio-1,6bisfosfatasi, 583, 584 fruttosio-6-fosfato (F6P), 515, 516, 542 – conversione in fruttosio-1,6bisfosfato, 515, 516 – formazione da fruttosio-1,6bisfosfato, 583 – formazione da glucosio-6-fosfato, 515, 516

– isomerizzazione a glucosio-6fosfato, 583 FSD-1, proteina, 179S fucosio, 241, 586 fumarasi (o fumarato idratasi), 354S, 610 fumarato, 398, 594, 609 – deidrogenazione del succinato a, 399, 609 – idratazione a malato, 610 fumarato idratasi, vedi fumarasi funzioni di stato, 15 furano, 239 furanosi, 239 Fyn, proteina, 445 G ∆G, vedi energia libera, variazione di G, vedi energia libera G, vedi guanina G1P, vedi glucosio-1-fosfato G6P, vedi α-d-glucosio-6-fosfato G6P translocasi, 565 G6PD, vedi glucosio-6-fosfato deidrogenasi – ∆GA, vedi differenza di potenziale chimico – GA (potenziale chimico, o potenziale elettrochimico), 313, 314 GABA, vedi acido γ-amminobutirrico galattitolo, 545 galattochinasi, 544 d-galattosammina (2-ammino-2deossi-α-d -galattopiranosio), 241 galattosemia, 545 β-galattosidasi (o lattasi), 71F, 244S galattoside permeasi (o lattosio permeasi), 338, – stati conformazionali della, 338 – struttura della, 338 galattosio, 238, 586 – epimero del glucosio, 544 – idrolisi del lattosio a, 544 – metabolismo del, 544, 545 – unione a UDP, 544, 545 galattosio-1-fosfato, 545 galattosio-1-fosfato uridilil transferasi, 545 GalNAc, vedi N-acetilgalattosammina GalNAc transferasi, 587 GAP, proteine, 441 GAP, vedi gliceraldeide-3-fosfato Garrod, Archibald, 502, 794S GDH, vedi glutammato deidrogenasi GDP (guanosina difosfato), 297 GEF (fattore di scambio dei nucleotidi guaninici), 441

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gene /i, vedi anche genoma; e i singoli geni – espressione di un, 57 – housekeeping, 618S – marcatori di selezione, 72 – paraloghi, 131 – reporter, 98S – trasposizione di, 67 gene Abl, 447 gene ampR, 72 gene Bcr, 447 gene c-ras, 443S gene lacZ, 72 gene obese, 842 gene v-erbB, 443S gene v-fos, 443S gene v-jun, 443S gene v-ras, 443S gene v-src, 443S genoma, 51, 502 – risequenziamento, 68 – sequenziamento metagenomico, 65 – umano, 66 genomica, 57, 503 – strutturale, 178S geranil pirofosfato, 754, 755 geranilgeranile C20, residuo, 285 GFP (proteina con fluorescenza verde, green fluorescent protein), 98S GH, vedi ormone della crescita ghiandola/e – endocrine, 428, 429F – esocrine, 430 – pituitaria (o ipofisi), 433 – surrenali, 431 – – corticale, 431 – – midollare, 431 gigantismo, 433, 434 Gilman, Alfred, 454 giunzioni comunicanti, 326, 326S, 327 glicani, 243 vedi anche polisaccaride gliceraldeide, 237F, 238, 542 – convenzione di Fischer per la, 94 – conversione in DHAP, 542 – fosforilazione della, 542 gliceraldeide chinasi, 542 gliceraldeide-3-fosfato (GAP), 512, 517, 542 – conversione in 1,3-BPG, 522, 523 – conversione in diidrossiacetone fosfato, 518 – formazione da FBP, 518 – formazione nel ciclo di Calvin, 693, 695, 697 gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi (GAPDH), 161, 522-525 – domini di, 161-163 – inattivazione della, 522

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– meccanismo d’azione della, 522, 523F glicerato, 701 glicerofosfolipidi (o fosfogliceridi), 265-268 – idrolisi dei, 265 – sintesi dei, 745, 746 glicerolo, 235, 258 glicerolo chinasi, 542 glicerolo-3-fosfato, (o 3-fosfoglicerolo) 265, 485T, 489, 542, 628, 741F, 830 gliceroneogenesi, 742 glicina, 98 – degradazione a piruvato, 782 – sistema di scissione della, 782 – trasformazione in serina, 701 glicoconiugato, 257 glicoforina A, 280 glicogenina, 569 glicogeno, 247, 248, 558 – controllo del metabolismo del, 571-578 – – ormonale, 576-578 – demolizione del, vedi glicogenolisi – enzima deramificante del, 248, 559, 562, 563 – – attività α(1n4) transferasica, 562, 563F – – attività α(1n6) glicosidasica, 562, 563F – – carenza di, 564S – – siti attivi separati dell’, 562 – enzima ramificante [o amilo-(1,4 n1,6)transglicosilasi] del, 566, 569 – – carenza di, 564S – estremità non riducenti nel, 558 – fosforolisi del, 412, 558 – funzione di riserva del glucosio, 557 – malattie da accumulo di, 564S, 565S – – di tipo I, 565 – separazione delle vie metaboliche del, 566 – sintesi del, 566-569, 825 – struttura ramificata del, 558 – – ottimizzazione della, 570S glicogeno fosforilasi (o fosforilasi), 248, 412, 543, 558, 560S – attivatore allosterico della, 559 – attivazione mediante fosforilazione, 572 – cofattore della, 560, vedi anche PLP – fosforilasi a (forma fosforilata), 413 – fosforilasi b (forma defosforilata), 413

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– DG°9 per la reazione della, 566 – inibitori allosterici della, 559 – inibizione da 1,5-gluconolattone, 568 – isozimi (o isoforme) della, 413 – – fosforilasi epatica, 413 – – – carenza di, 564S – – fosforilasi muscolare, 413 – – – carenza di, 564S – – nel cervello, 413 – meccanismo della, 560, 561F – modificazioni conformazionali della, 561, 562 – – stato R (attivo), 413, 562 – – – fosforilazione di Ser14 e passaggio allo, 414 – – – legame ad AMP, 414 – – stato T (inattivo), 413, 562 – – – legame ad ATP e G6P, 414 – regolazione dell’attività della, 415F, 562 – – controllo allosterico, 414, 415, 571 – – controllo per modificazione covalente, 571 – sito di legame del glicogeno nella, 560 – subunità della, 559 – velocità massima della reazione della, 562 glicogeno sintasi, 566 – controllo allosterico della, 568 – epatica, 568 – – carenza di, 565S – DG°9 per la reazione della, 567 – muscolare, 568 – – forma a, 568 – – forma b, 568 – regolazione della, 575, 576 glicogeno sintasi chinasi 3β (GSK3β), 575 glicogenolisi, 431, 558-565, 835, 836 glicolato, 701 – esportazione nel perossisoma, 701 – formazione per idrolisi del 2-fosfoglicolato, 701 – ossidazione a gliossilato, 701 glicolato fosfatasi, 701 glicolipide, 242 glicolisi (o via di Embden-MeyerhofParnas), 477, 510-530, 825 – aerobica, 851 – anaerobica, processo complessivo di, 531 – fasi della, 512, 528 – prodotti della, 528-530 – reazione complessiva della, 512, 513F, 528 – reazioni della, 514-530

– regolazione della, 536-541, 583585 – – controllo coordinato, 662, 663F – – inibizione operata dall’ossidazione degli acidi grassi, 662, 663 – termodinamica della, 536, 537 glicomica, 251 glicoproteina P, 335 glicoproteine, 242, 251-258 – glicoforme delle, 256 glicosamminoglicano, 248, 249 – formazione di gel viscosi, 248 – solforilato, 248 glicoside/i – α-glicoside, 242 – β-glicoside, 242 – cardiaci, 333S glicosilazione, 254, vedi anche proteina/e, glicosilate glicosiltransferasi, vedi α(1n4) transglicosilasi gliossilato, 618 – ciclo del, 518-521 – ossidazione del glicolato a, 701 – transamminazione a glicina, 701 gliossisomi, vedi perossisomi globine, famiglia delle, 131, vedi anche emoglobina; e mioglobina glucagone, 430, 576 – contrasto degli effetti dell’insulina, 836T, 836, 837 – nel controllo del metabolismo degli acidi grassi, 743, 836 – stimolazione della glicogenolisi, 836 glucochinasi, 514, 542, 830 – controllo della, 585, 830 – proteina regolatoria della, 830 glucocorticoidi, vedi ormoni steroidei, glucocorticoidi glucogenolisi, 431 gluconeogenesi, 431, 478, 512, 557, 578-585, 825 – come via cataplerotica, 616 – durante il digiuno, 845 – effettori allosterici che stimolano la, 585 – passaggio di metaboliti tra mitocondri e citosol nella, 582, 583 – – via dell’aspartato amminotransferasi, 582 – – via della malato deidrogenasi, 582 – reazioni irreversibili della glicolisi aggirate nella, 583 – regolazione della, 583-585 1,5-gluconolattone, 568 – enzimi inibiti da, 568

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glucopiranosio, 239 d-glucosammina (2-ammino-2deossi-α-d-glucopiranosio), 241 α-1,4-glucosidasi, carenza di, 564S glucosio, 237F – concentrazione costante del, 845 – conversione a glucosio-6-fosfato, 486, 514 – inibitore allosterico della fosforilasi a, 675 – metabolismo del, 558F – – biosintesi del, 616, vedi anche gluconeogenesi – – catabolismo del, vedi glicolisi – – regolazione del 536-541, 583585 – modificazioni metaboliche delle cellule tumorali e, 851-853 – precursori non saccaridici del, 578 – trasportatori del, vedi trasportatori, del glucosio – trasporto del, 326-327 – – nel ciclo di Cori, 832 – – nell’epitelio intestinale, 338 α-d-glucosio, 242F d-glucosio, 237 glucosio-1-fosfato (G1P, o estere di Cori), 412, 544, 558, 560S – conversione in G6P, 545, 559, 563 – dalla fosforolisi del glicogeno, 412, 558 – precursore dei carboidrati superiori nelle piante, 697 glucosio-1,6-bisfosfato (G1,6P), 563 glucosio-6-fosfatasi (G6Pasi), 564 – carenza di, 564S glucosio-6-fosfato (G6P), 414, 486, 514 – conversione in 6-fosfoglucono-δlattone, 548 – conversione in fruttosio-6-fosfato, 515, 516 – destini metabolici del, 557, 558F, 831 – formazione da glucosio, 486 – idrolisi a glucosio del, 564 – importazione nell’RE, 565 glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD), 548 – carenza di, 552S – – vantaggio selettivo contro la malaria, 553S – regolazione della via del pentosio fosfato e, 551 glutammato (acido glutammico), 91 – amminazione riduttiva di α-chetoglutarato a, 616 – deamminazione ossidativa ad α-chetoglutarato, 776, 784, 785 – fonte di gruppo amminico, 797

– nel metabolismo delle cellule tumorali, 583 – precursore nella sintesi di amminoacidi, 800, 801 – transamminazione del, 772 glutammato deidrogenasi (GDH), 583, 616, 775 – inibizione allosterica di, 775 glutammato-5-fosfato, 800 glutammato monosodico (MSG), 796 glutammato-5-semialdeide, 785, 800 glutammato sintasi, 818 γ-glutammil chinasi, 800 γ-glutammilfosfato, 798 glutammina, 90 – degradazione ad α-chetoglutarato, 784, 785 – metabolismo della, 853 glutammina sintetasi, 798, 818 – adenililazione della, 799 – controllo del metabolismo dell’azoto, 798, 799 glutamminasi, 778, 784 glutatione (GSH, γ-l-glutamil-lcisteinilglicina), 99, 552S glutatione disolfuro (GSSG), 99 glutatione perossidasi, 552S, 666 glutatione riduttasi, 552S Goeffry Chang, 335 gonadi, 433 gradiente di densità, 115 gradienti ionici, 337 grafico di Ramachandran, 141, 142F grafico di Scatchard (o Scatchard plot), 436S grafico di van’t Hoff, 18 Gram, Christian, 252 – colorazione di, 252 Grb2, proteina, 440 – complesso Grb2-Sos, 441 – Gab-1 (Grb2-associated binder-1, proteina di legame associata a GRB-2), 467 – struttura di, 441 grelina, 842 gruppi dietilamminoetilici (DEAE), 109 gruppi elettrofilici, 356F gruppi funzionali, 3, 4T, 90 – complementarità tra, 5 gruppi nucleofilici, 356 gruppo fosfopanteteinico, 734, 735F gruppo fosforico, 484, 485 – α, 485 – β, 485 – γ, 485 – energia libera standard di idrolisi del, 485T

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– potenziale di trasferimento del, 485 – trasferimento del, 484-486 gruppo guanidinico, 490 gruppo β-mercaptoetilamminico, 492 gruppo peptidico, 139, 140 – conformazione cis, 140 – conformazione trans, 140 GSH, vedi glutatione GTP (guanosina trifosfato), 297 – formazione da GDP, 607, 608 – idrolisi di, 487, 488 guanidinio, ione, 173, 280 guanilato ciclasi, 461 guanina (G), 46 gulosio, 237F H h, vedi costante di Planck H, vedi entalpia ∆H, vedi entalpia, variazione di HAD, vedi 3-l-idrossiacil-CoA deidrogenasi Haemophilus influenzae, 64 Haldane, J. B. S., 2, 390S Halobacterium salinarium, 282 Hamm, Heidi, 453 Hanson, Jean, 215S Harden, Arthur,510 Hatch, Marshall, 703 HD, vedi malattia di Huntington Henderson, Richard, 282S, 283S Henri, Victor, 389 Henseleit, Kurt, 596S, 776 HER2, fattore di crescita, 229S Hershko, Avram, 767 hGHbp, vedi ormone della crescita, proteina di legame di HI/HA (ipoglicemia e iperammonemia), 775 Hill, Archibald, 200 Hinkle, Peter, 658 His-tag, vedi coda di istidina HIV (virus dell’immunodeficienza umana), 401S, vedi anche AIDS – inibitori enzimatici dell’, 401S, 402S – proteasi dell’, 400 HMG-CoA (β-idrossi-βmetilglutaril-CoA), 731 – nella sintesi dei corpi chetonici, 731 – precursore del colesterolo, 753 HMG-CoA liasi, 731 HMG-CoA riduttasi, 714F, 753 – controllo della velocità di sintesi del colesterolo, 756-758 – inibizione della, 758, 759 HMG-CoA sintasi, 731, 753

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Ho, Chien, 209, 210 Hodgkin Crowfoot, Dorothy, 138, 198S, 723, 725S Holden, Hazel, 221, 778 HPLC, vedi cromatografia, liquida ad alta prestazione HPRT (ipoxantina fosforibosil transferasi), 229S Huber, Robert, 377, 768 Huxley, Andrew¸ 216S Huxley, Hugh, 214, 215S, 216S Hyde, Craig, 805 I I-FABP (proteina che lega gli acidi grassi intestinali), 710 ialuronato, vedi acido ialuronico ibridazione di colonie (o ibridazione in situ), 75 ibridomi, 229S ibuprofene , 96, 751 ictus, 759 idosio, 237F idrocarburi policiclici aromatici (PAH, polycyclic aromatic hydrocarbons), 421 idrofiliche, sostanze, 27 idrofobiche, sostanze, 27 idrolasi, 345T, 477 idrolisi, 484 3-l-idrossiacil-CoA, 718 3-l-idrossiacil-CoA deidrogenasi (HAD), 718 d-β-idrossibutirrato, 730 – formazione di, 731 β-idrossibutirrato deidrogenasi, 731 idrossietil-TPP, 599 idrossietiltiamina pirofosfato, 533 p-idrossifenilpiruvato, 502F 2-idrossiglutarato, 853 5-idrossilisina (Hyl), 149 idrossimetilbilano, 807 β-idrossi-β-metilglutaril-CoA, vedi HMG-CoA idrossipiruvato, 701 3-idrossiprolina, 149 4-idrossiprolina (Hyp), 149 5-idrossitriptamina, vedi serotonina idrossiurea, 212 iduronato, 249 IEF, vedi elettroforesi, focalizzazione isoelettrica IF1, proteina, 662 imatinib (Gleevec), 447 imidazolo, 358 immunità – cellulare, 225 – umorale, 225 immunoblot, vedi Western blot

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immunodeficienza combinata grave (SCID, severe combined immunodeficiency disease), 81 – forma SCID-X1, 81 immunoglobuline (Ig), 226, vedi anche anticorpi – catene pesanti (H), 226 – classi di, 226, 227T – – IgA, 226 – – IgD, 227 – – IgE, 227 – – IgG, 227 – – – frammenti Fab, 227, 228 – – – frammento Fc, 227 – – – idrolisi con papaina, 227 – – – regione costante, 228 – – – regione variabile, 228 – – IgM, 226 – – – subunità J, 226 – policlonali, 228 – ripiegamento delle, 161, 228 – sequenze ipervariabili, 228 impronta digitale delle proteine (PMF, protein mass fingerprinting),123 inattivatori, vedi enzima/i, inibitori, irreversibili incanalamento, 778 indolo-3-glicerofosfato, 804 infarto del miocardio (o attacco cardiaco), 759 ingegneria genetica, vedi tecnologia del DNA ricombinante inibitore, vedi enzima/i, inibitori degli inibitore della proteasi α1,378 inibizione retroattiva, 408 inositolo polifosfato 5-fosfatasi, 467 inositolo-1,4,5-trisfosfato (IP3), 461, 463 insulina, 103, 430, 431, 576, 836T – antagonista dell’adrenalina, 577, 578 – controllo del metabolismo degli acidi grassi, 743 – controllo del metabolismo del glicogeno, 576-578, 835, 836 – meccanismo d’azione dell’, 467, 578, 834, 835 – scoperta dell’, 847S, 848S – sequenziamento dell’, 117S – sistema di segnalazione dell’, 467, 468F, 835 interazioni – dipolo-dipolo, 27 – intermolecolari, 27 – non covalenti, 51 interferoni, 445 introne/i, 73 invecchiamento, 665

ione idronio (H3O1), 34 ione idruro (H2), 493 ione ossidrile (o idrossido, OH2), 34 ione ossonio, 365 ioni dipolari (o zwitterioni), 89 ioni idratati, 28 ioni metallici, 347 – ruolo come catalizzatori, 357, 358 ioni solvatati, 28 ionizzazione per elettronebulizzazione (o elettrospray, ESI, electrospray ionization), 122, 123 ionofori, 315 – che formano canali, 315 – trasportatori, 315 iperammonemia (HA), 775 ipercolesterolemia, 758 – familiare (FH), 760 iperfenilalaninemia, 794S iperglicemia, 272, 847 – da diabete mellito, 847, 848 iperglicinemia non chetotica, 782 iperlisinemia, 791 iperlisinuria, 791 ipermutazione somatica, 231 iperomocisteinemia, 789S – associata a malformazioni del tubo neurale, 789S ipofisi, vedi ghiandola pituitaria ipoglicemia (HI), 271, 543, 564S, 775 ipossia, 207 ipotonico, ambiente, 252 irisina, 843 IRS-1 (substrato 1 del recettore dell’insulina), 439 IRS-2 (substrato 2 del recettore dell’insulina), 439 ischemia, 195 isocitrato, 606 – decarbossilazione ad α-chetoglutarato, 607 – isomerizzazione del citrato a, 605 isocitrato deidrogenasi, 606 – nella regolazione del ciclo dell’acido citrico, 613, 614 isocitrato liasi, 618-621 isole (o isolotti) di Langerhans, 430 – ormoni prodotti dalle, 430, 431, vedi anche i singoli ormoni isoleucina, 89 – biosintesi della, 803, 804F – degradazione della, 788, 790F isomerasi, 345T, 477 isopentenil pirofosfato, 753 isopentenil pirofosfato isomerasi, 754 isoprene (2-metil-1,3-butadiene), 273, 753

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isoprenoidi, 273 isopropanolo, 347 isoproterenolo, 431 isozimi, 478 ISP, vedi proteina ferro-zolfo istamina, 99, 453, 811 – biosintesi della, 811, 812 istidina, 90 – biosintesi della, 806 – degradazione ad α-chetoglutarato, 784, 785 istidinodeidroidrossimerodesmosina, 152 istone H4, 132 itterizia (o ittero), 811 IUBMB (International Union of Biochemistry and Molecular Biology), 345 Iwata, So, 338, 682 J JMol, software, 166 Johnson, Louise, 413 Jun, fattore di trascrizione, 442, vedi anche fattori di trascrizione K κ, vedi coefficiente di trasmissione K, vedi costante di dissociazione kB vedi costante di Boltzmann Keq, vedi costante di equilibrio KI, vedi enzima/i, inibizione enzimatica, costante di inibizione Kw, vedi acqua, Kw Kaback, Robert, 338 Karplus, Martin, 174 kb (kilobase), 53 Keilin, David, 640S, 650S Kendrew, John, 138, 193, 198S, 215S Kennedy, Eugene, 292, 716 KFER, proteine, 766 kilodalton (kD), 13S Kim, Jung-Ja, 719 King, Charles Glen, 150S KiNG, software, 166 knockout genico, 80, 502 Knoop, Franz, 499, 596S, 715 Knowles, Jeremy, 521 Kobilka, Brian, 453 Köhler, Georges, 229S Kornberg, Arthur, 560S Kornfeld, Stuart, 255 Koshland, Daniel, 209 Krebs, Edwin G., 560S Krebs, Hans, 596S, 776 – ciclo di, vedi ciclo dell’acido citrico KSR (chinasi soppressore di Ras), 444

Kühne, Willi, 215S kuru, 185 L LADH, vedi alcol deidrogenasi, del fegato dei mammiferi Lands, William, 748 lanosterolo, 755 laser ai raggi X di elettroni liberi, 685 latirismo, 150 α-lattalbumina, 586S lattamasi, vedi penicillinasi lattasi, vedi β-galattosidasi lattato, 530 – nel metabolismo delle cellule tumorali, 853 – riduzione del piruvato a, 530, vedi anche fermentazione, omolattica – trasporto nel ciclo di Cori, 832 lattato deidrogenasi, vedi LDH lattosio [O-β-d-galattopiranosil(1n4)-d-glucopiranosio], 243 – intolleranza al, 244S – sintesi del, 586S – trasporto del, 338, 339 lattosio permeasi, 338, vedi anche galattoside permeasi lattosio sintasi, 586S – galattosiltransferasi, 586S lavoro (w), 12 LCAT (lecitina-colesterolo aciltransferasi), 715 Lck, proteina, 445 LDH (lattato deidrogenasi), 161, 479, 531 – conversione del piruvato in lattato, 479, 531 – meccanismo di reazione della, 531 lecitina-colesterolo aciltransferasi, vedi LCAT lectina, 257 Lefkowitz, Robert, 453 legame/i, 3 – α(1n4), 558 – α(1n6), 558 – ad alta energia (o ricchi di energia), 485 – fosfoanidridici, 484-486 – fosfodiesterico, 49, 50 – fosfoestere, 484 – glucosidico, 242 – intermolecolare, 230 – isopeptidico, 99, 767 – peptidico, 89, 139 – tipi di, 3, 4T legami idrogeno, 25 – a bassa barriera (LBHB), 376 – distanza di van der Waals, 25 legge di Coulomb, 26 legge di Lambert-Beer, 107

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leghemoglobina/e, 197S, 818 Lehninger, Albert, 716 Leloir, Luis, 560S, 566 leptina, 841 – ormone della sazietà, 842, 843 lesioni da riperfusione, 195 leucemia – linfoblastica acuta, 784 – mieloide cronica (LMC), 447 leucina, 89 – biosintesi della, 803 – degradazione della, 791 leucocita, 257 leucodistrofia metacromatica, 750S leucotrieni, 274 leupeptina, 371F Levinthal, Cyrus, 176 levogiro, 94 liasi, 345T, 477 libreria genomica, 74 – analisi di una, 74, 75 Lienhard, Gustav, 360 ligando, 112, 196 ligasi, 345T, 477 lignina, 245 limitazione calorica, 846 Lind James, 150S Lineweaver, Hans, 394 linfociti B, vedi cellule B lipasi (triacilglicerolo lipasi), 708 – ansa β5, 709 – attivazione all’interfaccia, 708 – complesso lipasi-colipasi, 708, 709 – sito attivo della, 709 lipide/i, 261-310 – assorbimento dei, 710 – classificazione dei, 261-276, vedi anche le singole classi – digestione dei, 708-710 – doppio strato lipidico, 276-277 – – diffusione laterale nel, 277 – – diffusione trasversale (o flip-flop) nel, 277 – – modello del, 277, 278 – – proprietà simili ai fluidi del, 277, 278 – – temperatura-dipendente, 278, 279 – – temperatura di transizione del, 278 – – stato di cristallo liquido, 279 – funzioni biologiche dei, 261 – metabolismo dei, 707-761 – trasporto dei, nel sangue, 710-715, vedi anche lipoproteine lipidomica, 506 Lipmann, Fritz Albert, 483S lipoamide, 599 lipogranulomatosi di Farber, 750S lipoproteina lipasi, 712

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INDICE ANALITICO

lipoproteine, 710, 711T – a bassa densità (LDL), 710 – – endocitosi mediata da recettori delle, 713, 714F – – livello delle, 759, 760 – – recettori delle, 713, 759 – a bassissima densità (VLDL), 710 – – degradazione delle, 712 – a densità intermedia (IDL), 710 – ad alta densità (HDL), 710 – – livello delle, 759 – chilomicroni, 710 – – rimanenze dei, 712 liposomi, 277 lipossine, 274 Lipscomb, William, 409 lisil ossidasi, 152 lisina, 90 – biosintesi della, 801, 802 – degradazione della, 791 lisofosfolipide, 265 lisosoma, 8, 296 – degradazione delle proteine, 766 – secondario, 714F lisozima, 184, 198S, 254, 362-368 – di albume d’uovo di gallina (HEW), 362 – inibizione da 1,5-gluconolattone, 568 – meccanismo catalitico del, 366, 367 – mutante, malattie, causate da, 184 – sito catalitico del, 362-365 – – residui catalitici di, 365 lixosio (Lyx), 237F LKB1, chinasi, 839 LMC, vedi leucemia, mieloide cronica Loewenstein, Werner, 326S Lon, proteasi, 770 Lowry, Thomas, 35 luce (radiazione elettromagnetica) – disattivazione della glicolisi, 700 – energia luminosa, 676 – fotoni, 673 – – assorbimento di, 676 – legge di Planck, 676 – quanti, 676 – stimolazione del ciclo di Calvin, 700 lupus eritematoso sistemico, 231T, 232 Lydon, Nichols, 447 M MacLeod, Colin, 54 Macleod, John J.R., 847S, 848S macromolecole, 5 – disposizioni complementari delle, 3

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– replicazione delle, 5 macronutrienti, 473 malaria, 212, 213 malathion, 370S malato, 582, 594, 610 – decarbossilazione ossidativa a piruvato, 727 – idratazione del fumarato a, 610 – rigenerazione di ossalacetato da, 610 malato deidrogenasi, 610 – G°9 della reazione della, 610 malato sintasi, 619 malattia/e, vedi anche le singole malattie – autoimmuni, 231, 232 – cardiovascolari, 264, 265 – conseguenza della carenza di enzimi, 502 – da accumulo di glicogeno, 564S, 565S – da accumulo di lipidi, 750 – – da accumulo di sfingolipidi, 270, 750S – da errato ripiegamento proteico, 184, 185 – degenerative, 665 – genetiche diagnosticabili, 68, 69 – infiammatorie intestinali, 63 – prioniche, 185 malattia delle “urine a sciroppo d’acero”, 791 malattia di Alzheimer, vedi morbo di Alzheimer malattia di Andersen, 564S malattia di Cori, 564S malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD), 185 – nuova variante CJD (nvCJD), 186 malattia di Fabry, 750S malattia di Gaucher, 750S, 751S malattia di Graves, 231T malattia di Hers, 564S malattia di Huntington (HD, o corea di Huntington), 665 malattia di Krabbe, 750S malattia di McArdle, 557, 564S malattia di Niemann-Pick, 750S malattia di Parkinson, vedi morbo di Parkinson malattia di Pompe, 564S malattia di Sandhoff, 750S malattia di Tangier, 760, 761F malattia di Tarui, 564S malattia di Tay-Sachs, 270, 750S, 751S malattia di von Gierke, 564S malonato, 399, 609 – inibitore competitivo della succinato deidrogenasi, 398

malonil/acetil-CoA transacilasi (MAT), 735 maltodestrine, 316 maltoeptosio, 413F maltoporina, 316 mannosio (Man), 237F, 238, 545, 586 – conversione in mannosio-6fosfato, 546 – ingresso nella via glicolitica, 546 mannosio-6-fosfato, 303, 546 manometria, 511S MAP chinasi chinasi (MKK), 442 MAP chinasi chinasi chinasi (MKKK), 444 MAPK (proteine chinasi attivate da agenti mitogeni, o ERK, chinasi regolate da segnali extracellulari) 442, 444, 445 marcatura – della superficie, 280 – per affinità, 369 Margulis, Lynn, 10S Martius, Carl, 596S massa molecolare relativa (Mr), 13 MAT, vedi malonil/acetil-CoA transacilasi Mayo, Stephen, 179S McCarty, Maclyn, 54 McKinnon, Roderick, 317, 323 MDR, vedi trasportatori, della resistenza a farmaci meccanismo intrasterico, 466 MEK (MAP kinase/ERK kinaseactivating kinase, chinasi che attiva la MAP chinasi e la ERK chinasi), 442, 444, 445 melanina, 794S membrana/e, 287 – depolarizzazione della, 320 – distribuzione asimmetrica dei lipidi nella, 292-295 – dominio apicale, 295 – dominio basolaterale, 295 – iperpolarizzazione della, 320 – modello a cancelli e recinzioni, 292 – modello a mosaico fluido, 287-288 – particelle ghost, 288 – postsinaptica, 304 – presinaptica, 304 – proteine di, vedi proteine di membrana – scheletro di, 288, 290, 291F – zattere lipidiche, 295 menachinone, 677, 678 Mendel, Gregor, 54 Menten, Maud, 389 2-mercaproetanolo, 113 mercaptano, 120 β-mercaptoetilammina, 492

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Mertz, Janet, 71 metabolismo, 472-506, vedi anche il metabolismo delle singole classi di composti – aerobico, svantaggi del, 663-666 – del cervello, 826, 827 – del cuore, 829 – del fegato, 830, 831 – del muscolo, 827-829 – del rene, 832 – del tessuto adiposo, 826 – energetico, 824-853 – – controllo ormonale del, 834-838 – – digiuno e, 844-846 – – disturbi del, 844-853 – flusso (J), 480, 537, 611 – – controllo del, 480, 481, 539-541 – – – allosterico, 408, 481, 482 – – – genetico, 482 – – – lungo un ciclo del substrato, 482, vedi anche ciclo del substrato – – – mediante modificazione covalente, 482 – – netto, 481, 571 – metaboliti, 475 – – accumulo di intermedi metabolici, 502 – metodi sperimentali di studio del, 499-506 – – uso di inibitori metabolici, 499, 500, 501 – – uso di metaboliti marcati, 499501 – omeostasi metabolica, 834, 839843 – ossidativo, 661, vedi anche ciclo dell’acido citrico; fosforilazione ossidativa; e glicolisi – – controllo del, 661-663 – vie metaboliche, 476 – – come parte di processo di domanda-offerta, 482 – – di collegamento tra organi, 832, 833 – – differenza tra vie anaboliche e cataboliche, 480 – – irreversibili, 480 – – localizzazioni cellulari delle, 477, 478 – – per la produzione di ATP, 825, 826 – – prima tappa di controllo delle, 480 – – reazioni delle, 476, 477 metaboloma, 502 metabolomica, 506 metabolone, 615 metanolo, 347 – avvelenamento da, 403

metformina, 849 metilasi di modificazione, 58 2-metil-1,3-butadiene, vedi isoprene metilcobalamina, 802 β-metilcrotonil-CoA, 790F, 791 N5,N10-metilen-tetraidrofolato (N5,N10-metilen-THF), 782, 790S, 801, 802 N5,N10-metilen-tetraidrofolato riduttasi (MTHFR), 790S metilgliossale, 521 (S)-metilmalonil-CoA, 723 metilmalonil-CoA mutasi, 723 – barile α/β della, 726 – coenzima B12 della, vedi 59-deossiadenosilcobalamina – protezione degli intermedi, 727 6-metilpterina, 786 N5-metil-tetraidrofolato, 786 metionina, 90 – biosintesi della, 801, 802 – degradazione a succinil-CoA, 786, 787 metionina sintasi (o omocisteina metiltransferasi), 802 Metzle, David, 773 mevalonato, 753 mevalonato-5-fosfotransferasi, 753 Meyerhof, Otto, 511 Mg21 (ione magnesio), 474, 486S, 514, 527, 672, 696, 699 miastenia grave, 231T micelle, 30, 276 Michaelis, Leonor, 389 microarray, vedi DNA, microarray microbioma intestinale, 65, 828S microdomini, 295 microeterogeneità, 251 micronutrienti, 474 microsatelliti, vedi sequenza/e, STR microscopia a immunofluorescenza, 223 microscopia crioelettronica (crioEM), 158 microscopio a forza atomica (AFM), 253 mielina, 269 mieloma multiplo, 229 Miles, Edith, 805 Miller, Stanley, 2 Milligan, Ronald, 221 Milstein, César, 229S, 296 mineralcorticoidi, vedi ormoni steroidei, mineralcorticoidi minerali, 474 – essenziali, 474T Minot, George, 723S mio-inositolo, 241 miofibrille, 213 – actina nelle, 216, vedi anche actina

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– bande A, 214 – bande I, 214 – disco M, 214 – disco Z, 214 – – α-actinina, 220 – filamenti sottili, 214, 216, 217 – filamenti spessi, 214 – – catene leggere, 216 – – catene pesanti, 216 – sarcomero, 214 – tropomiosina, 219 – troponina, 220 – – subunità TnC, 220 – – subunità TnI, 220 – – subunità TnT, 220 – zona H, 214 mioglobina (Mb), 131, 193 – costante di dissociazione (K), 195, 196 – curva di legame all’ossigeno,195, 196 – – p50, 196 – grafico di Hill, 201, 202 – gruppo prostetico della, 194, vedi anche eme – metamioglobina, 194 – ruolo fisiologico della, 194, 195 – saturazione frazionale (YO2) della, 195, 196 miomensina, 220 miosina, 216 – come proteina motoria, 221 – testa della, 216 miristilazione, 285 Mitchell, Peter, 649, 650S mitocondrio/i, 8, 626-629 – come centrale energetica della cellula, 626 – creste, 624, 626 – – strutture tubolari delle, 627 – importazione del fosfato nei, 629 – matrice mitocondriale, 609, 626, 628 – membrana mitocondriale esterna, 627 – membrana mitocondriale interna, 627 – sede del ciclo dell’acido citrico, 596 – sistemi di trasporto nei, 627-629 – spazio intermembrana, 626, 627 MLCK, vedi chinasi della catena leggera della miosina Monod, Jacques, 208 monomero, 3, 50 monoossigenasi, 420 monosaccaride, 236-242 – epimerizzazione, 240 – variazione di configurazione, 240 – variazione di conformazione, 240

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INDICE ANALITICO

morbo di Addison, 231T, 271 morbo di Alzheimer, 184, 665 – danni ossidativi nel, 665 – placche amiloidi, 184, 185 morbo di Parkinson, 186, 665, 811 motivo/i (o strutture supersecondarie), 160 – αα, 161 – a chiave greca, 161 – βαβ, 160 – barili α/β (o barili TIM), 161, 521, 726 – barili β, 161, 283, 284 – elica-ansa-elica di base (bHLH, basic helix-loop-helix), 758 – forcina β, 160 – jelly roll (o Swiss roll barrel), 163F – ripiegamento di Rossmann (o ripiegamento che lega i dinucleotidi), 163 – zinc finger (dita a zinco), 171 mRNA (RNA messaggero), 55 – traduzione dell’, vedi traduzione MTHFR, vedi N5,N10-metilentetraidrofolato riduttasi mucolipidosi II (I-cell disease), 302 mucosa intestinale, 710 Mullis, Kary, 76 Murphy, William, 723S muscolo – contenuto di glicogeno nel, 558 – contrazione del, 221-225, 828, 829 – – idrolisi dell’ATP nella, 221 – – modello a scorrimento dei filamenti, 214-216 – – ruolo del calcio, 223 – metabolismo del glucosio nel, 584, 827, 828 – striato (scheletrico), 213 – – fibre a contrazione lenta (tipo I), 535S – – fibre a contrazione veloce (tipo II), 535S – – miofibrille del, 213, vedi anche miofibrille – – produzione di ATP nel, 535S, 536S – termodinamica della glicolisi nel, 536, 537 mutagenesi sito-diretta, 78 mutageni, 502 mutarotazione, 240 mutasi, 525 mutazione/i, 11, 57 – puntiformi, 67 Myc, fattore di trascrizione, 442, vedi anche fattori di trascrizione Mycobacterium tuberculosis, 621

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N NAD1 (nicotinamide adenina dinucleotide), 347, 493, 625 – coenzima della piruvato deidrogenasi, 599T, 601 NADH (nicotinamide adenina dinucleotide ridotto), 476, 483, 493, 625 – coenzima di trasferimento degli elettroni ad alta energia, 498 – ossidazione a NAD1, 625, 628, 630, vedi anche catena di trasporto degli elettroni – – G°9 associato alla, 630, 631 – ossidazione da parte di LDH, 531 – prodotto dal ciclo dell’acido citrico, 611, 612 – prodotto dalla glicolisi, 529 – trasporto di equivalenti riducenti del, 582 NADP1 (nicotinamide adenina dinucleotide fosfato), 347 NADPH (nicotinamide adenina dinucleotide fosfato ridotto), 546 – nei processi riduttivi della cellula, 552S – produzione nel ciclo di Calvin, 693 – produzione nella via del pentosio fosfato, 546-548 NAG, vedi N-acetilglucosammina NAM, vedi acido N-acetilmuramico NANA, vedi acido N-acetilneuramminico National Center for Biotechnology Information (NCBI), 167 navetta del glicerofosfato, 628 navetta malato-aspartato, 582, 583, 628 NDB (Nucleic Acid Database), 166 NDP (nucleoside difosfato), 490 nebulina, 220 neuraminidasi, 399 neuroglobina, 195 neuropeptide Y, 842 Neurospora crassa, 55 neurotossine, 370S neurotrasmettitori, 98, 304, 370S nevirapina, 401S Newsholme, Eric, 540 niacina, vedi acido nicotinico niacinamide, vedi nicotinamide Nicolson, Garth, 287 nicotinamide (o niacinamide), 474, 475 nicotinamide adenina dinucleotide, vedi NAD1 nicotinamide adenina dinucleotide fosfato, vedi NADP1

Niedergerke, Rolf, 216S ninidrina, 117S nitrato riduttasi, 819 p-nitrofenilacetato, 358 p-nitrofenolato, 358 nitrogenasi, 814 – centri redox della, 814 – – centro P, 815 – – cofattore FeMo, 815 – Fe-proteina della, 814 – flusso di elettroni nella reazione catalizzata da, 816F, 817 – modificazioni conformazionali nella, 817 – proteina MoFe della, 814 nitroglicerina, 813 NMR, vedi risonanza magnetica nucleare NO, vedi ossido di azoto noradrenalina (norepinefrina), 431, 576, 811 – biosintesi della, 811, 812 NOS, vedi ossido di azoto sintasi NRTK, vedi tirosina chinasi non recettoriali nt, vedi nucleotide/i NTP (nucleosidi trifosfato), 490 nucleasi, 106 nucleofilicità, 356 nucleoside, 46, 47T nucleoside difosfato chinasi, 490, 568 – DG della reazione della, 490 – inibizione della, 568 nucleotide/i (nt), 45-48 – deossiribonucleotidi (o deossinucleotidi), 46 – ribonucleotidi, 46 numero di modi, vedi W nutrizione, 473 O obesità, 541, 543, 850, 851 Ochoa, Severo, 560S octanoil-CoA, 719 OEC, 682, vedi anche fotosintesi, via di trasporto nei cloroplasti, fotosistema II, OEC Ogston, Alexander, 605 oligoelementi, 474T oligomero, 50 oligopeptidi, 89 oligosaccaride, 243 – disaccaride, 243 – eventi di riconoscimento mediati da, 257 – formazione degli, 587 – unito da legami N-glicosidici, 251, 587, 588 – unito da legami O-glicosidici, 251, 587

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omeostasi, 20, 429 omocisteina, 786 – marcatore di malattie, 789S omocisteina metiltransferasi, vedi metionina sintasi omocisteinuria, 789S omocitrato, ione, 815 omogentisato, 502F, vedi anche acido omogentisico omogentisato diossigenasi, 794S omozigote, 211 oncogeni, 442, 443S Oparin, Alexander, 2 ORF (schema di lettura aperto), 66 origine della vita, 2-5 ormone della crescita (GH), 433 – proteina di legame di (hGHbp), 434 – recettore dell’, 434 ormoni, 428-435, vedi anche i tipi specifici – endocrini, 428 – funzioni degli, 429 ormoni sessuali femminili, vedi ormoni steroidei, estrogeni ormoni sessuali maschili, vedi ormoni steroidei, maschili ormoni steroidei (o steroidi), 271273 – adrenocorticali, 432, 433 – anabolizzanti, 433 – androgeni (o ormoni sessuali maschili), 271, 432, 433 – estrogeni (o ormoni sessuali femminili), 271, 432, 433 – glucocorticoidi, 271, 432 – mineralcorticoidi, 271, 272, 432 – prodotti dalle gonadi, 433 ornitina, 778 – biosintesi della, 800 – rigenerazione di, 779 – trasformazione in citrullina, 778 ornitina-δ-amminotransferasi, 801 ornitina transcarbamilasi, 778 Oryza sativa, 66T oseltamivir (Tamiflu), 399 – oseltamivir carbossilato, 399 osmosi, 31 ossalacetato, 578, 580, 583, 594 – come intermedio ad alta energia, 579 – condensazione con acetil-CoA, 603, 604, 605F, 619 – conversione in aspartato, 582 – conversione in malato, 582 – formazione del PEP da, 581 – rigenerazione a partire da malato, 610 – transamminazione con alanina del, 616

ossalosuccinato, 606 ossidante (o agente ossidante, o accettore di elettroni), 494 ossidata, sostanza, 476 β-ossidazione, degli acidi grassi, 716, 718-729, 825 – degli acidi grassi a catena dispari, 723 – degli acidi grassi insaturi, 721, 722F – – problema del doppio legame β,γ, 721 – – problema del doppio legame D4, 721 – – problema dell’isomerizzazione del 2,5-enoil-CoA, 721 – passaggi della, 718 – perossisomiale, 728, 729 – reazione della tiolasi, 720 – resa in ATP della, 750 – trasformazione di enoil-CoA a catena lunga in acetil-CoA, 719, 720 ossido di azoto (NO, o ossido nitrico), 461, 813 ossido di azoto sintasi (NOS), 813 ossidoriduttasi, 345T, 477 2,3-ossidosqualene, 755, 756F ossidosqualene ciclasi, 755, 756F ossigeno (O2), 196 –carenza di, 664S – debito di, 832 – p50 dell’, 196 – – con emoglobina, 200 – – con mioglobina, 196 – pressione parziale, pO2, 196 – proteine di trasporto dell’, 198S, vedi anche emoglobina; e mioglobina – specie reattive dell’ (ROS), 641, 664-666 2-ossoglutarato, 606, vedi anche α-chetoglutarato osteogenesi imperfetta, 150S Ostrinia nubilalis, 79 ouabaina, 333S P P450, vedi citocromo/i, P450 PII, proteina regolatoria, 799 – uridilata, 799, 800 Pääbo, Svante, 66 PAH, vedi idrocarburi policiclici aromatici PALA, vedi N-(fosfonacetil)l-aspartato palindromo, 59 palmitil-ACP, 737 palmitil tioesterasi (TE), 286, 737 palmitilazione, 286

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1-palmitoleil-2-linoleil-3-stearilglicerolo, 264 pancreatite acuta, 379 paraossonasi, 370S parathion, 370S Parnas, Jacob, 511 particella di riconoscimento del segnale, vedi SRP Pasteur, Louis, 343, 510 patogeni, 225 Pauling, Linus, 139, 142S, 143, 211, 215S, 360 PBG, vedi porfobilinogeno PC, vedi plastocianina PCB, vedi difenili policiclici PCR (reazione a catena della polimerasi), 76, 503 – passaggi della, 76 – Taq polimerasi nella, 76, vedi anche Taq polimerasi PDB (Banca Dati delle Proteine, Protein Data Bank), 165, 166 PDE, superfamiglia, 460 – cAMP-PDE, vedi cAMPfosfodiesterasi – cGMP-PDE, 460 cAMP-PDE, vedi proteina chinasi fosfoinositide-dipendente-1 PE, vedi fosfatidiletanolammina Pebay-Peyroula, Eva, 628 pectina, 250 pellagra, 475 penicillina, 254S penicillinasi (o β-lattamasi), 254S pentosio, 237 PEP carbossichinasi (PEPCK), 580581 PEPCK, vedi PEP carbossichinasi pepsina, 121T, 138, 401S peptidasi, 96 peptidasi di segnale, 297 peptide, 89, 103 peptide-N4-(N-acetil-β-dglucosamminil)asparagina amidasi F, 163F peptide di fusione, 307 peptide di segnale (o presequenze), 296, 297 – sequenze di segnale di ancoraggio, 299 – sintesi di proteine secrete a partire dal, 296 peptidoglicano, 252, 253 – antibiotici specifici per, 254S perossinitrito, 813 perossisomi (o gliossisomi), 8, 618, 619, 701 pertosse, tossina della, 460S Perutz, Max, 198S peso molecolare, 13S

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INDICE ANALITICO

peste bubbonica, 449 PFK, vedi fosfofruttochinasi 2PG, vedi 2-fosfoglicerato 3PG, vedi 3-fosfoglicerato PGI, vedi fosfoglucosio isomerasi PGK, vedi fosfoglicerato chinasi PGM, vedi fosfoglicerato mutasi pH, 35, 106 – calcolo del, 38 – dello stroma, 699 – effetti sull’attività enzimatica, 354S Phillips, David, 362 PI3K, vedi fosfoinositide 3-chinasi piante C3, 704 piante C4, 703, 704 – cellule del mesofillo, 703 – cellule della guaina del fascio, 703 piante CAM, 704 piastratura per replica, 75 Pickart, Cecile, 770 PICT, vedi fenilisotiocianato PIP2, vedi fosfatidilinositolo-4,5bisfosfato pirano, 239 piranosio, 239 – conformazione a sedia, 240 – posizione assiale, 240 – posizione equatoriale, 240 piridossal-59-fosfato, vedi PLP piridossalfosfato, vedi PLP pirimidina/e, 46 – sintesi delle, 778 pirofosfatasi inorganica, 488 pirofosfato (PPi), 484 – energia libera dall’idrolisi di, 567 – liberazione da ATP, 484 pirofosfomevalonato decarbossilasi, 754 pirrolici, anelli, 194 D-1-pirrolina-2-carbossilato, 361 D1-pirrolina-5-carbossilato, 800 pirrolina-5-carbossilato riduttasi, 800 pirrolo-2-carbossilato, 361 piruvato, 528F – decarbossilazione del, 530 – destini metabolici del, 530 – formazione da PEP, 528 – nel ciclo C4, 703 – precursore nella biosintesi di amminoacidi, 803 – prodotto dalla glicolisi, 530 – punto di incrocio delle vie metaboliche, 826 – riduzione a lattato, 531 – tautomerizzazione del, 528 – trasformazione dell’alanina in, 585 piruvato carbossilasi, 580, 581F – biotina come gruppo prostetico della, 580

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– reazione della, 580 piruvato chinasi (PK), 487, 528 – attivazione della, 584 – carenza di, 527S – cofattore della, 532 – PKM2, 852 – reazione della, 528 piruvato decarbossilasi, 532 piruvato deidrogenasi, 598 – coenzimi e gruppi prostetici della, 599T – complesso multienzimatico della, 597, 598 – – braccio di lipoil-lisina, 602 – – diidrolipoil deidrogenasi (E3), 598, 601, 602 – – diidrolipoil transacetilasi (E2), 598 – – piruvato deidrogenasi (E1), 598 – – proteina che lega E3, 598 – – regolazione del, 612, 613 – – – mediante inibizione da prodotto, 612 – – – mediante modificazione covalente, 612 – – simmetria I del, 598 – reazioni catalizzate dalla, 599-602 piruvato deidrogenasi chinasi, 612 piruvato deidrogenasi fosfatasi, 612 piruvato:ferredossina ossidoriduttasi, 619S piruvato-fosfato dichinasi, 703 PKA (proteina chinasi A, o proteina chinasi cAMP-dipendente, o cAPK), 456, 572 – fosforilazione della fosforilasi chinasi, 572, 573 – segmento autoinibitorio di, 457 PKC (proteina chinasi C), 466 – legata a DAG, 466 PKM2 (piruvato chinasi), 852 placca, 73 placca aterosclerotica, 759 placebo, 419 plasmalogeni, 268, 748 plasmide, 70 – pUC18, 71 Plasmodium falciparum, 553S plastochinolo (QH2), 680 plastochinone (Q), 680 plastocianina (PC), 681 – trasporto di elettroni al PSI, 687 PLP (piridossal-59-fosfato, o piridossalfosfato), 357, 560, 772 – cofattore della glicogeno fosforilasi, 560 – cofattore della serina-treonina deidratasi, 781 – cofattore delle amminotransferasi, 772, 773

– forme molecolari del, 773F – trasformazione in PMP, 773 PMF, impronta digitale delle proteine, 123 PMP (piridossammina-59-fosfato), 773 Pol I, vedi DNA polimerasi, I polarimetro, 93 poliacrilamide, 59 polichetidi, 739S policitemia, 211 polimeri, 3 polinucleotidi, 49 polipeptidi, 89, 103, vedi anche peptidi; e proteine – assorbimento nell’UV dei, 107 – dimensioni dei, 103, 104 – limitazioni nella composizione in amminoacidi, 104 poliproteine, 401S polisaccaride (o glicano), 236, 243250 – eteropolisaccaride, 243 – omopolisaccaride, 243 polisoma, vedi ribosoma, poliribosoma pompa Na1-K1, vedi ATPasi, Na1-K1 ATPasi ponti disolfuro, 90 – formazione di legami trasversali (cross-link), 171 – scissione dei, 120 porfirie, 809 – porfiria acuta intermittente, 809S – porfiria congenita eritropoietica, 809S – protoporfiria eritropoietica, 808S porfirina, 194 porfobilinogeno (PBG), 807 porfobilinogeno deamminasi (o uroporfirinogeno sintasi), 807 porfobilinogeno sintasi, 807 porina/e, 284, 285, 316, 317 – barili β nelle, 316 – OmpF, 316 – piano scivoloso, 317 poro di fusione, 306 potenziale chimico, vedi energia libera molare parziale potenziale d’azione, 321 potenziale di membrana (∆Ψ), 314, 651 potenziale di riduzione (%), 496 – dei gruppi prostetici FAD, 602 – spontaneità di una reazione e, 496 – standard (%°9), 496, 630 – – affinità per gli elettroni e, 496, 497 – – biochimico, 497 – – differenza di (∆%°9), 630

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potere edulcorante, 244S PP1 (fosfoproteina fosfatasi-1), 449, 572 – subunità GL, 574 – subunità GM, 573 – subunità PP1c, 573 PP2A (fosfoproteina fosfatasi-2A), 449, 450 – sequenza HEAT, 450 PP2B (o calcineurina), 451 PPAR-γ (recettore γ che attiva la proliferazione dei perossisomi), 849 PPi, vedi pirofosfato precursori, 6 prefenato, 804 preniltransferasi, 754, 755 pressione osmotica, 31 Priestly, Joseph, 670 primachina, 553S primer, 61 principio di Le Châtelier, 18, 480 prione, 185 – PrP (Prion Protein, proteina prionica), 185 procarbossipeptidasi A, 380 procarbossipeptidasi B, 380 procarioti, 7 processamento (o modificazione) oligosaccaridico, 255 processo/i – favorito, 15 – Haber-Bosch, 814 – irreversibili, 15 – reversibili, 15 – sfavorito, 15 – spontaneo, 13 prochiralità, 346, 605 proelastasi, 379 profosfolipasi A2, 380 progestine, 433 Progetto del Microbioma Umano, 828S proiezione di Haworth, 238 prolil idrossilasi, 150 prolina, 90 – biosintesi della, 800 – degradazione ad α-chetoglutarato, 784, 785 prolina racemasi, 361 propanololo (Inderol), 431, 432 Propionibacterium shermanii, 726 propionil-CoA carbossilasi, 723 proprietà emergenti, 469 prostacicline, 274 prostaglandina H2 sintasi (PGH2 sintasi), 751, 752 – attività di cicloossigenasi (o COX), 751 – attività di perossidasi, 751 – COX-1, 752

– COX-2, 752 – – inibitori specifici della (coxib), 752 – COX-3, 752 prostaglandine, 274, 740 – sintesi delle, 751 proteasi, 106, 120 – del sito 1 (S1P), 758 – del sito 2 (S2P), 758 – organizzate in compartimenti autonomi, 770, 771 proteasoma, 678 – 20S, 768, 770 – cappuccio 19S, 768, 769-771 – complesso del coperchio, 770 – subunità α/β del, 769 proteoma 57, 502, 505 proteina/e, 85 – α, 161 – α/β, 161 – amminoacidi modificati nelle, 97 – architettura, 167 – β, 161 – classificazione e raffronto delle, 167, 168 – come strutture dinamiche, 174, 175 – conservazione delle, 106 – coppia ionica (o ponte salino), 171 – degradazione delle, 765-771 – denaturate, 152 – – avvolgimento casuale delle, 152 – denaturazione delle, 106, 172-174 – – in modo cooperativo, 177 – domini, 130, 131, 161-164 – dosaggio, 106 – emivita delle, 768 – – regola dell’estremità N, 768 – evoluzione delle, 126-133, vedi anche evoluzione, delle proteine – fibrose, 147-152 – flessibilità conformazionale (o respirazione), 174 – glicosilate, 254 – – glicosilazione delle, 254-256 – globulari, 147, 148 – idropatia, 170 – intrinsecamente disordinate, 174 – motivo, vedi motivo/i – native, 152 – oligomeri, 168 – omologhe, 127 – – posizione ipervariabile, 127 – – residuo invariabile, 127 – – sostituzioni conservative, 127 – ortologhe, 131 – polarità delle catene nelle, 159, 160 – prodotte mediante ingegneria genetica, 78T

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– preproteine, 297 – progettazione delle, 179S – protomeri, 168 – protuberanza β, 153 – punto isoelettrico (pI), 109 – purificazione delle, 104-115 – – per cromatografia, 109-112 – – per elettroforesi, 112-115 – – per salting out, 108, 109 – – per ultracentrifugazione, 115, 116F – rinaturazione delle, 173, 174 – ripiegamento delle, 175-177 – – collasso idrofobico, 176 – – errato, malattie causate da, 184188 – – globulo fuso, 176 – – imbuto di (folding funnel), 177 – – ruolo degli chaperoni molecolari, 178-184, vedi anche chaperoni molecolari – scheletro covalente (o catena principale), 140 – – angoli di torsione (o angoli diedrici, o angoli di rotazione), 140 – separazione con Western blot (o immunoblot), 113 – sequenziamento delle, 116-123 – – analisi del numero di subunità, 119 – – degradazione di Edman, 121, 122 – – scissione dei ponti disolfuro, 120 – – scissione delle catene polipeptidiche, 120, 121 – simmetria rotazionale delle, 169 – – ciclica, 169 – – diedrica, 169 – sintesi delle, 55-57, vedi anche traduzione – stabilità delle, 169-162 – – effetto idrofobico e, 170 – – interazioni elettrostatiche e, 170, 171 – – termica, 106 – struttura, previsione della, 178S – – modellamento per omologia, 178S – – procedure ab initio, 178S – – threading, 178S – struttura primaria, 103 – struttura quaternaria, 138, 168, 169 – struttura secondaria,139-153 – – conformazioni delle catene, 140-142 – – α-elica, 143, 144

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– – – avvolgimento avvolto (coiled coil), 148 – – – incappucciamento dell’elica, 153 – – – passo, 143 – – foglietto β (o foglietto pieghettato), 143-146 – – – antiparallelo, 145 – – – parallelo, 145 – – – topologia tra catene di, 146 – – propensione (P) di un residuo per una, 153 – – regolare, 143 – – relazione tra sequenza e, 152, 153 – – ripiegamenti inversi (o ripiegamenti β), 146, 147F – struttura supersecondaria, vedi motivo/i – struttura terziaria, 138, 153-168 – – conservazione della, 164 – – contenente combinazioni di strutture secondarie, 160, 161 – – determinazione della, 153-156 – – localizzazione delle catene, 159, 160 – subunità, associazione di, 168, 169 – superfamiglia omologa, 167 – termostabili, 172S – topologia, 167 – ubiquitinazione delle, 767, vedi anche ubiquitina – – monoubiquitinazione, 768 – via di secrezione, vedi via di secrezione – visualizzazione con modelli delle, 158 proteina A1 con un dominio (cassetta) che lega l’ATP (ABCA1), 760 proteina C che lega la miosina, 220 proteina che trasporta i gruppi acilici (ACP), 734 proteina chinasi, 268, 412 – A, vedi PKA – AMP-dipendente, vedi AMPK – attivate da agenti mitogeni, vedi MAPK – C, vedi PKC – Ser/Thr proteina chinasi, 442, 447, 839 proteina chinasi fosfoinositidedipendente-1 (PDK1), 467 proteina chinasi stimolata dall’insulina, 461, 574 proteina disaccoppiante, vedi termogenina proteina disolfuro isomerasi (PDI), 177 proteina ferro-zolfo (ISP), 642

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proteina fosfatasi, 270, 412, 448 – proteina Ser/Thr fosfatasi, 449 – – famiglia PPM, 449 – – famiglia PPP, 449 – ruolo di proteine di segnalazione, 448 proteina inibitore 1 della fosfoproteina fosfatasi, 574 proteina M, 220 proteina regolatrice del ferro 1 (IRP1), 606 proteina tirosina fosfatasi (PTP), 448 – a doppia specificità, 449 – YopH, 449 proteina transmembrana della fibrosi cistica regolatrice della conduttanza (cystic fibrosis transmembrane conductance regulator, CFTR), 336 proteina umana che lega il retinolo, 163F proteine con attività tirosina chinasica (PTK), 435 – bersaglio di terapie anticancro, 447, 448 – residui Tyr autofosforilabili delle, 437 proteine di membrana, 279-285 – associate ai lipidi, 285, 286 – – acilate con acidi grassi, 285 – – che legano glicosilfosfatidilinoisitolo (o proteine leganti GPI), 286 – – prenilate, 285 – integrali (o intrinseche), 279 – – anfifiliche, 280 – – orientamento asimmetrico delle, 280 – – purificazione delle, 280 – – transmembrana (TM), 280, 282F – – – contenenti barili β, 283-285 – – – contenenti α-eliche, 280, 281 – – – politopiche, 299 – – – sequenze di ancoraggio alla membrana, 298 – periferiche (o estrinseche), 286 – secrete, 295-297 – – via di secrezione, vedi via di secrezione – sintesi delle, 295, 296 – velocità di diffusione delle, nella membrana, 287 proteine di sostegno, 444 proteine di trasporto, 313 proteine ferro-zolfo (o proteine con ferro non eme), 634 proteine G, 439, 572 – Ras, 439, 441 – – incremento dell’attività GTPasica di, 442

– – via di segnalazione a valle di, 442 proteine G eterotrimeriche, 451 453-461 – attivazione di adenilato ciclasi, 456 – complesso Gbγ, 455 – inibitorie (Giα), 455 – recettori associati alle (GPCR), 451 – – sette eliche transmembrana dei, 453, 454 – ruolo di GTPasi regolatorie, 451 – sistema di trasduzione del segnale delle, 451, 452 – stimolatrici (Gsα), 455 – subunità α (Gα), 454 – – dominio a elica, 454 – – dominio tipo Ras, 455 – – regioni di scambio (switch regions), 455 – subunità β (Gβ), 455 – – elica β, 455 – subunità γ (Gγ), 455 proteine PEST, 768 proteoglicano, 251 – nucleo proteico, 251 – oligosaccaridi uniti da un legame N-glicosidico nel, 251 – proteina di connessione, 251 proteolisi limitata, 121 proteoma, 57, 502 proteomica, 57, 505, 506 Proteopedia, 167 proto-oncogeni, 443S protoni – scalari (o chimici), 648 – vettoriali (o pompati), 648 protoporfirina IX, 640S, 808 protoporfirinogeno ossidasi, 808 protosterolo, 755 PRPP (5-fosforibosil-α-pirofosfato), 806 Pruisner, Stanley, 185 pseudogeni, 131 PSI, vedi fotosintesi, fotosistema I psicosio, 238F PSII, vedi fotosintesi, fotosistema II PTC, vedi feniltiocarbamilico pteridina, 793, 795F pterina, 793 pterina-4a-carbinolammina, 795, 796F pterina-4a-carbinolammina deidratasi, 795, 796F PTH, vedi feniltioidantoina PTP, vedi proteina tirosina fosfatasi purina/e, 46 PYY3-36 (ormone soppressore dell’appetito), 843 Pyrolobus fumarii, 172S

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Q Q, vedi plastochinone q (calore), 16 R rachitismo, 272 radicale/i – liberi, 635, 664, 727, vedi anche ROS – radicale ossidrilico, (?OH), 664, 813 – superossido (O22?), 664 radionuclidi, 500 Raf, chinasi, 442 Ramachandran, G.N., 141 – grafico di, vedi grafico di Ramachandran ramnosio, 250 rapporto P/O, 658 Ras, vedi proteine G, Ras RasGAP, proteina, 442 Ratner, Sarah, 776 Rayment, Ivan, 221, 778 RE (reticolo endoplasmatico), 8, 292, 565 – liscio, 293F – proteine residenti nel, 303, 304 – – sequenza KDEL delle, 303 – rugoso (RER), 293F, 296 – trasporto delle proteine dal, 300301 reazione/i – a catena della polimerasi, vedi PCR – a due substrati (o reazione bisubstrato), 396 – a ping-pong (o reazioni a doppio spostamento), 397 – accoppiate, 106, 486, 487, 524 – bimolecolare, 386 – che costituiscono o distruggono legami carbonio-carbonio, 477 – con catalisi acido-base concertata, 352 – condizioni di, 344 – coordinata di reazione, 349 – di condensazione, 3, 89 – di condensazione aldolica, 517 – di idrolisi, 3 – di ossidoriduzione (o reazioni redox), 493-498, 633 – – coppia ossidoriduttiva (o coppia redox coniugata), 495 – – equazione di Nernst e, 494-496 – – semireazioni, 494 – di primo ordine, 386 – di scissione aldolica, 517, 518 – di secondo ordine, 386 – di transamminazione, 772, 773, 774F – di transimminazione, 773

– di trasferimento di gruppi chimici, 477 – elementari, 386 – eliminazioni, 477 – endoergoniche, 486 – energia di attivazione di una, 348, 349 – enzimatiche, 344, vedi anche catalisi enzimatica – intermedi di, 386 – irreversibili, 480 – isomerizzazioni, 477 – meccanismi di, 352S – – convenzione delle frecce curve, 352S – – scissione eterolitica, 727 – – scissione omolitica, 727 – molecolarità di una, 386 – ordine di, 386 – ossidazioni, 477 – pseudoreazione di primo ordine, 388 – ridistribuzioni molecolari, 477 – riduzioni, 477 – sequenziali (o reazioni a singolo spostamento), 396 – – con meccanismo casuale, 397 – – con meccanismo ordinato, 397 – specificità di, 344 – trimolecolare, 386 – unimolecolare, 386 – velocità di, 344, vedi anche cinetica enzimatica, velocità di reazione – vicine all’equilibrio, 479 recettore/i – adrenorecettori, 431 – – α-adrenergici, 431, 577 – – β-adrenergici, 431, 577 – – effetti degli, 432 – agonisti di un, 431 – antagonisti di un, 431 – associati alle proteine G, 453, 454, vedi anche proteine G, recettori associati alle – associati alle tirosina chinasi, 445 – associato a proteine G β2-adrenergico (β2AR), 453 – BI 167107, 453 – chinasi β-adrenergico (β-ARK) o GPCR chinasi 2 (GRK2), 458 – con attività tirosina chinasica (RTK), 437-451 – – attivazione della proteina G Ras, 439-441 – – autofosforilazione dei, 437-439 – – di tipo HER2, 448 – dell’insulina, 437

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– – attivazione della funzione tirosina chinasica, 437 – – dominio PTK del, 437 – – ectodominio, 437 – – substrati del, 439 – dell’ormone della crescita, 434 – desensibilizzazione dei, 458 – di KDEL, 304 – gc delle citochine, 81 – legame recettore-ligando, 436 – – quantificazione del, 436S – SR-BI (scavenger receptor class B type I), 715 – steroidei, 432 recupero della fluorescenza in seguito a fotosbiancamento (FRAP, fluorescence recovery after photobleaching), 287, 288 Rees, Douglas, 814 Remington, James, 604 residuo – amminoacidico, 89 – ammino-terminale (o N-terminale), 89 – carbossi-terminale (o C-terminale), 89 – nucleotidico, 50 resistina, 850 reticolo endoplasmatico, vedi RE reticolo sarcoplasmatico, 223 retinale, 273, 637 – 13-cis, 637 – tutto-trans, 637 Rhizobium, 814, 818 Rhodobacter (Rb.) sphaeroides, 677 Rhodopseudomonas (Rsp.) viridis, 677 Rhodospirillum molischianum, 674 RIA, vedi dosaggio radioimmunologico ribitolo, 241 riboflavina, 494 ribonucleasi, vedi RNasi ribonucleotidi, 46, vedi anche nucleotide/i, ribonucleotidi ribosio (Rib), 46, 237F, 238 ribosio-5-fosfato (R5P), 547 – conversione di Ru5P in, 549 – precursore nella biosintesi dei nucleotidi, 549 ribosio fosfato isomerasi, 696 ribosoma/i, 55, 56 ribozima/i, 20, 343 ribulosio, 238 ribulosio bisfosfato carbossilasi, vedi RuBP carbossilasi ribulosio-1,5-bisfosfato (RuBP), 695 – formazione di, 694F, 695 ribulosio-5-fosfato (Ru5P), 547, 693 – conversione a R5P, 547 – conversione a Xu5P, 548

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INDICE ANALITICO

– decarbossilazione ossidativa del 6-fosfogluconato a, 548 – fosforilazione nel ciclo di Calvin 693 ribulosio-5-fosfato epimerasi, 549 ribulosio-5-fosfato isomerasi, 549 ricombinazione, 67 – duplicazione genica, 131 – somatica, 230 ridotta, sostanza, 476 riducente (o agente riducente, o donatore di elettroni), 494 – potere riducente, 546 – trasporto degli equivalenti riducenti, 582 Rieske, John, 642 risonanza, 486 risonanza magnetica nucleare (NMR), 156 –NMR-COSY (COrrelation SpectroscopY), 157 – per effetto nucleare Overhauser (NOESY), 157 – spettroscopia NMR bidimensionale (2D), 157 ritonavir, 401S Rittenberg, David, 500, 731, 807 RNA (acido ribonucleico), 47 – di trasferimento, vedi tRNA – messaggero, vedi mRNA – mondo a, 53, 343 – ribosomiale, vedi rRNA – strutture a stelo e ansa (o forcine) nel, 53 – applicazioni dell’, 149 RNasi (ribonucleasi) – A, 173, 353, 355F rodopsine, 453 rofecoxib (Vioxx), 420, 752 ROS, vedi ossigeno, specie reattive dell’ Rose, Irwin, 516, 767 Rose, William C., 86S Rosetta, programma, 178S rosiglitazone (Avandia), 420, 849 rotenone, 632 Rothman, James, 292, 305 rRNA (RNA ribosomiale), 56 RSV, vedi virus del sarcoma di Rous Ru5P, vedi ribulosio-5-fosfato RuBisCO, 701, vedi anche RuBP carbossilasi RuBP, vedi ribulosio-1,5-bisfosfato RuBP carbossilasi (ribulosio bisfosfato carbossilasi, o RuBp carbossilasi-ossigenasi, o RuBisCO), 696, 697 – fattori che regolano l’attività di, 696 – ione Mg21 legato a, 696

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– meccanismo di reazione della, 697F – reazione ossigenasica della, 701 – subunità della, 696 RuBP carbossilasi attivasi, 697 RuBp carbossilasi-ossigenasi, 701, vedi anche RuBP carbossilasi S S, vedi entropia S¸ vedi Svedberg ∆S, vedi entropia, variazione di S7P, vedi sedoeptulosio-7-fosfato Sabatini, David, 296 saccaridi, vedi carboidrati saccarina, 244S saccaropina, via della, 791, 792F saccarosio [O-α-d-glucopiranosil(1n2-β-d-fruttofuranoside], 243 – sintesi del, 698 saccarosio-6-fosfato, 698 saccarosio fosfato fosfatasi, 698 saccarosio fosfato sintasi, 698 Saccharomyces cerevisiae, 105 Saenger, Wolfram, 682, 687 SAICAR [5-amminoimidazolo-4(N-succinilcarbossiamide) ribotide], 852 salti protonici, 34 salting in, 108 salting out, 108 SAM (S-adenosilmetionina, o AdoMet), 786, 802 Sanger, Frederick, 60, 116, 117S sarcomero, vedi miofibrille, sarcomero sarin, 370S Sazanov, Leonid, 634, 638 SBPasi, vedi sedoeptulosio bisfosfatasi scambiatori di anioni, 109 scambiatori di cationi, 109 SCAP (proteina che attiva la scissione della SREBP), 757 – cambiamento di conformazione di, 758 – dominio ripetuto WD, 757 – dominio sensore degli steroli, 757 Scatchard, George, 436S – grafico di, vedi grafico di Scatchard Schekman, Randy, 305 SCID, vedi immunodeficienza combinata grave scorbuto, 150S scrapie, 185 secondi messaggeri, 428, 452, 461, 572, 576 β-secretasi, 184 γ-secretasi, 184 sedoeptulosio bisfosfatasi (SBPasi), 695

– attivazione della, 699, 700 sedoeptulosio-7-fosfato (S7P), 549 selettine, 257 Sem-5, proteina, 441 sequenza/e – originale (o wild-type), 78 – palindromiche, 59 – polimorfismi di, 77S – – di singoli nucleotidi, vedi SNP – STR (sequenze altamente ripetute, o brevi ripetizioni in fila, STR, short tandem repeats sequences, o microsatelliti), 77S serina, 90 – biosintesi della, 801 – degradazione a piruvato, 781 – formazione da glicina, 701 – nella sintesi della glicina, 801 – testa polare di plasmalogeni, 268 – transamminazione a idrossipiruvato, 701 – trasporto nei perossisomi, 701 serina carbossipeptidasi II, 373 serina idrossimetiltransferasi, 782 – reazione catalizzata da, 782 serina proteasi, 369-379, 523 – meccanismi di catalisi, 374-377 – relazioni evolutive tra, 373 – triade catalitica della, 371 serina-treonina deidratasi, 781 serotonina (5-idrossitriptamina), 453, 811 – biosintesi della, 811, 812 sferocitosi ereditaria, 291 sfinganina (o diidrosfingosina), 749 sfingolipidi, 268, 269 – cerebrosidi (o glicosfingolipidi), 269, 749 – – galattocerebrosidi, 269 – – glucocerebrosidi, 269, 751S – – sintesi di, 749 – gangliosidi, 269 – – GM1, 269 – – GM2, 269 – – GM3, 269 – malattie da accumulo di, 270 – sfingomieline (o sfingofosfolipidi), 268, 749 – sintesi degli, 749 sfingomieline, vedi sfingolipidi, sfingomieline sfingosina, 268 SGOT (transamminasi glutammatoossalacetato del siero, o AST, aspartato transamminasi), 775 SGTP (transamminasi glutammatopiruvato del siero, o ALT, alanina transamminasi), 775 SH2 (domini di omologia Src 2), 439

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– legame a residui fosfo-Tyr, 439, 440 SH3, domini, 440 Shc, proteina adattatore¸ 467 Shemin, David, 500, 807 shock endotossico, 813 Shotton, David, 371 SHP-2, proteina tirosina fosfatasi, 448 Shulman, Gerald, 849 sifilide, 603S Sigler, Paul, 454 sildenafil (Viagra), 461 Simmons, Daniel, 752 simulazioni di dinamica molecolare, 277 sinapsi, 304, 370S sincrotone, 154 sindrome da distress respiratorio, 267S – nell’adulto, 267S sindrome di Cushing, 272 sindrome di Ehlers-Danlos, 150S sindrome di morte improvvisa del lattante (o morte in culla, SIDS), 719 sindrome di Wernicke-Korsakoff, 534, 552 sindrome di Wiskott-Aldrich, 76 sindrome di Zellweger, 729 sindrome metabolica, 851 Singer, Jonathan S., 287 α-sinucleina, 186 sintesi organica chirale, 96 sistema, 12 – aperto, 19 – chiuso, 19 – energia (U) del, 12 – isolato, 19 sistema di segnalazione dell’insulina, 467 sistema di trasporto degli acidi tricarbossilici, 732, 733F sistema immunitario, 225 Sistema Internazionale (SI), 13S sistema multienzimatico della glicina decarbossilasi, 782 Skehel, John, 307 Slack, Roger, 703 Smith, Michael, 78 SNAP (proteina solubile di attacco a NSF), 305F – recettore per la, vedi SNARE SNARE (recettore per la SNAP), proteine, 305, 306, 835 – fusione di vescicole mediata da, 305, 306F, 835 – Q-SNARE, 305 – R-SNARE, 305 – scissione delle, 305S

Snell, Esmond, 773 SNP (polimorfismi di singolo nucleotide, o “snip”), 69 SOD (superossido dismutasi), 665, 666 soluzione – acida, 35 – basica, 35 – neutra, 35 somatostatina, 430 sorbosio, 238F Sørenson, Søren, 35 Sos, proteina, 441 sovraproduttori, organismi, 78 spettrina, proteina, 290 spettro di assorbimento, 107 spettrometria di massa, 121, 122 – in tandem, 505, 506 spettroscopia di assorbimento, 107 spina bifida, 789S splicing alternativo, 67 Sprang, Stephan, 454 squalene, 754, vedi anche colesterolo, biosintesi del – ciclizzazione dello, 755 – sintesi da unità isopreniche, 754, 755 squalene epossidasi, 755 squalene sintasi, 755 Src (sarc), proteine, 439, 445 – attivazione di, 446, 447 – dominio SH3 di, 157F SRE (elemento regolatore degli steroli), 757 SREBP (proteina che lega l’elemento regolatore degli steroli), 757 – taglio della, 758 SRP (signal recognition particle, particella di riconoscimento del segnale), 297 – recettore dell’ (SR, o proteina di attracco), 297 Stadtman, Earl, 798 statine, 758 stato di transizione (X‡), 349 – catalisi da, 360, 375 – complesso enzima-stato di transizione (ES‡), 360 – stabilizzazione dello, 376, 377 – teoria dello, 348, 393S stato standard biochimico, 18 stato stazionario, 20, 481, 826 Ste5p, proteina, 444 stercobilina, 811 stereochimica, 93-96 – centri asimmetrici (o centri chirali), 94 – chiralità e, 94 – configurazione – – assoluta, 94

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– – relativa, 95 – – sistema RS (o sistema di CahnIngold-Prelog), 95S – convenzione di Fischer, 94 – enantiomeri, 94 – miscela racemica, 96 – molecole otticamente attive, 93 – stereoisomeri, 94 steroidi, 270 vedi anche ormoni steroidei sterolo, 270 stigmatellina, 644 STR, vedi sequenza/e, STR streptavidina, 657 Strominger, Jack, 252 Stroud, Robert, 371 subtilisina, 373 succinato, 398, 594 – deidrogenazione a fumarato, 398, 609 succinato deidrogenasi, 398, 609 – gruppo prostetico FAD della, 609 – inibizione da parte del malonato, 609 – nel complesso II, 639 succinato tiochinasi, vedi succinilCoA sintetasi succinil-CoA , 493, 607 – scissione del, 607, 608 – tioestere ad alta energia, 607 – trasformazione in malato, 727 succinil-CoA sintetasi (o succinato tiochinasi), 607 succinil-fosfato, 608 Südhof , Thomas, 305 sulbactame, 254S sulfanilamide, 788 sulfonamidi (o sulfamidici), 788 Sumner, James, 343 superfamiglia dei principali trasportatori passivi, 328 superossido dismutasi, vedi SOD surfattante (tensioattivo polmonare), 265, 267S, 748 Sutherland, Earl, 452, 560S SV40, vedi virus delle scimmie 40 Svedberg (S), unità, 115 Svedberg, Theodore, 115 Swiss-Pdb Viewerm (o Deep View), 167, 168 Szent-Györgyi, Albert, 150S, 215S, 596S T T, vedi timina t1/2, vedi tempo di dimezzamento tagatosio, 238F β-talassemia, 81 talidomide, 96

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talosio, 237F tampone (o soluzione tampone), 38-41 – sistema tampone del sangue, 41S Taq polimerasi (DNA polimerasi I termostabile di Thermus aquaticus), 76 – nella PCR, 76, vedi anche PCR tassonomia, 9 Tatum, Edward, 55 taurina, 708 tautomeri, 50 Taylor, Edwin, 221 TC10, proteina G monomerica, 467 TCA, vedi ciclo dell’acido citrico TE, vedi palmitil tioesterasi tecnologia del DNA ricombinante (o clonaggio molecolare, o ingegneria genetica), 70 – amplificazione del DNA, 70 – applicazioni pratiche 77-81 – aspetti etici legati alla, 80S – proteine prodotte mediante, 78T – vettori di clonaggio, 70, 71 temperatura di transizione, 279, vedi anche lipide/i, doppio strato lipidico tempo di dimezzamento (o emivita, t1/2), 387 – di isotopi radioattivi, 500T teobromina, 460S teofillina, 460S teoria chemiosmotica, 649, 650S terapia di reidratazione orale, 337 terapia genica, 80, 81 termodinamica, 12, 479, 480 – prima legge della, 12 – seconda legge della, 13, 14 termogenesi – adattativa, 843 – indotta dalla dieta, 843 – non associata a brividi, 541, 660S – – nel tessuto adiposo bruno, 660S termogenina (o proteina disaccoppiante, o UCP1), 660S, 843 termolisina, 121T terpenoidi, 273 tessuto adiposo, 264 test in doppio cieco, 419 testosterone, 271, 433 tetano, 305S 5,6,7,8-tetraidrobiopterina, 794S, 795, 796F, 812 tetraidrofolato (THF, acido tetraidropteroilglutammico), 786, 787 – trasportatore di unità monocarboniose, 786, 788T

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tetramero, 50 tetrosio, 237 TeTx, tossina, 305S ThDP, vedi TPP Thermosynechococcus vulcanus, 685 Thermus thermophilus, 634, 653 THF, vedi tetraidrofolato tiamina pirofosfato, vedi TPP tiazolidinadioni (TZD), 849 TIM, vedi triosio fosfato isomerasi timina (T), 46 tiochinasi, vedi acil-CoA sintetasi; vedi anche le sintetasi specifiche tioemiacetale, 523 tioesteri, 492 tiolasi (β-chetoacil-CoA tiolasi, o KT, o acetil-CoA acetiltransferasi), 718 tioredossina, 700 tirosina, 90, 502 – biosintesi della, 803, 804 tirosina chinasi non recettoriali (NRTK), 445 tiroxina, 99 titina, 220 – funzione della, 220 TM, vedi proteine di membrana integrali, transmembrana TNBS, vedi acido trinitrobenzensolfonico topologia e superfamiglia omologa, 167 tosil-l-fenilalanina clorometilchetone (TPCK), 369, 370F tosil-l-lisina clorometilchetone, 369 tossina del colera, 269, 460S TPCK vedi tosil-l-fenilalanina clorometilchetone TPP (tiamina pirofosfato, o tiamina disfosfato, ThDP), 357, 532 – addotto covalente tra Xu5P e, 549, 550 – anello tiazolico della, 532 – biosintesi di, 532 – coenzima della piruvato deidrogenasi, 599 – cofattore della piruvato decarbossilasi, 532, 533 – forma ilide della, 532 traduzione, 55 – modificazioni post-traduzionali, 297 transaldolasi, 549 – trasferimento di unità C3, 549 transamminasi, vedi amminotransferasi transamminazione, 585, 772-775 – tautomerizzazione aldimminachetimmina, 774F

– trasformazione dell’amminoacido in chetoacido, 773 – trasformazione dell’α-chetoacido in amminoacido, 773 transchetolasi, 549 – seconda reazione transchetolasica, 550 – trasferimento di unità C2, 549 transcobalamine, 724S transcortina, 432 transferrina, proteina, 606 – recettore della, 606 transgene, 79 transgenici, organismi, 79, 80 α(1n4) transglicosilasi (o glicosiltransferasi), 562, vedi anche glicogeno, enzima deramificante trapianti di organo, 423 trascrittoma (trascrittosoma), 75, 502 trascrittomica, 57, 502, 503 trascrizione, 55 – fattori di, vedi fattori di trascrizione trasduzione del segnale, 435 trasferimento di energia di risonanza (o trasferimento di un eccitone), 676 trasformazione di energia, 483, 657, 695 trasformazione maligna, 443S traslocatore ADP-ATP (o traslocasi dei nucleotidi adeninici, 628 – inibitori del, 628, 629 – subunità del, 628 traslocone, 298, 299 – componente Sec61, 298 – componente SecY, 298 – poro transmembrana multifunzionale, 298, 299 trasportatori – ABC (ATP-binding cassette, cassetta di legame per l’ATP), 331, 335, 336 – – resistenza ai farmaci e, 335-337 – del formiato, 329 – del glucosio (GLUT) – – GLUT1 (o trasportatore di glucosio degli eritrociti), 326 – – GLUT2, 565 – – GLUT4, 577, 835 – – – vescicole di stoccaggio del, 835 – dell’ossalato, 329 – della resistenza a farmaci (multidrug resistance transporters, MDR), 335 – dipendenti dall’ATP, 330, 331, vedi anche ATPasi trasporto di elettroni – catena di, vedi catena di trasporto degli elettroni

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– nei batteri, 651S trasporto di membrana, 313-339 vedi anche trasportatori – antiporto, 330 – – elettrogenico, 629 – attivo, 294, 314, 330-339 – – endoergonico, 330 – – famiglie di trasportatori dipendenti da ATP, 330-331 – – guidato da gradienti ionici, 337339 – – primario, 331 – – secondario, 331 – competizione nel, 329S – flusso (o velocità di trasporto per area unitaria), 319, 329S – inattivazione del, 329S – mediato, 314 – – differenze tra trasporto non mediato e, 329S – mediato passivo (o diffusione facilitata), 315-330 – non mediato, 314 – saturazione, 329S – simporto, 330, 629 – termodinamica del, 313, 314 – uniporto, 329 – velocità e specificità del, 329S trasposizione, 67 trastuzumab (Herceptin), 447 Trentham, David, 523 treonina, 90 – amminoacido chetogenico e glucogenico, 783 – biosintesi della, 801, 802 – degradazione a piruvato, 781 – degradazione a succinil-CoA, 786, 790F – scoperta della, 86S treonina deidrogenasi, 782 treosio, 237F triacilgliceroli (o trigliceridi), 264, 708 – denominazione dei, 264 – destini metabolici dei, 831 – digestione dei, 708, 709 – funzione di riserva energetica, 264, 831 – sintesi dei, 741 triacilglicerolo lipasi ormonesensibile, 660S, 715, 743 – nel controllo del metabolismo degli acidi grassi, 743 trimero, 50 triosi, 237 triosio fosfato isomerasi (TIM), 163F, 518, 542 – barile α/β (o barile TIM), 521 – controllo stereoelettrico operato da, 521

– Glu165 come base generale, 520 – His95 come acido generale, 520 – perfezione catalitica di, 521 Tripanosoma brucei, 510 tripeptidi, 89 tripsina, 120, 369-373, vedi anche serina proteasi – inibitore della tripsina di pancreas bovino (BPTI, bovine pancreatic trypsine inhibitor), 377 – reazione a due substrati della, 396 – specificità di substrato, 372 tripsinogeno, 379 – attivazione autocatalitica del, 379 triptofano, 90 – degradazione del, 791, 793 – sintesi da corismato, 803, 804 triptofano sintasi, 804, 805 tRNA (RNA di trasporto, o RNA transfer), 56 trombina, 380S trombossani, 274 tropomodulina, 220 Trueblood, Kenneth, 725S Tsukihara Tomitake, 327S Tswett, Mikhail, 109 tumori maligni (cancri), 443S TZD, vedi tiazolidinadioni U U, vedi energia, del sistema U, vedi uracile ubichinolo, vedi coenzima Q, forma idrochinonica ubichinone, vedi coenzima Q ubiquitina, 767 – enzima che attiva l’ (E1), 767 – enzimi che coniugano l’ (E2), 767 – poliubiquitina, 758 – proteina-ubiquitina ligasi (E3), 767 – – contenenti un dito RING (really interesting new gene), 767 – – – E3a, 768 – – contenenti un dominio HECT (homologous to E6AP C-terminus), 767 ubiquitina isopeptidasi, 768 UCP1, vedi termogenina UCP2, 660S UCP3, 660S UDG, vedi DNA glicosilasi, UDG UDP (uridina difosfato), 544 – scissione di UTP a, 567 UDP-galattosio, 544, 586S – conversione a UDP-glucosio, 544 – nella sintesi di lattosio, 586S UDP-galattosio-4-epimerasi, 545 UDP-glucosio (glucosio uridina difosfato, o UDPG), 566

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– DG°9 associata alla formazione di, 566 UDP-glucosio pirofosforilasi, 566 UDP-zuccheri, 544 ultracentrifuga, 115 umami, 796 UMP (uridina monofosfato), 799, 800 unità isopreniche, 753, 754 – condensazione in squalene, 754, 755 Unwin, Nigel, 281 uracile (U), 46 urea, 173, 280, 765, 772 – formazione dell’, 776, vedi anche ciclo dell’urea ureasi, 343 Urey, Harold, 2 uridilazione, 799, 800 uridina difosfato, vedi UDP uridina monofosfato, vedi UMP urobilina, 811 urobilinogeno, 811 uroporfirinogeno III, 807 uroporfirinogeno III cosintasi, 807 uroporfirinogeno decarbossilasi, 808 uroporfirinogeno sintasi, vedi porfobilinogeno deamminasi UTP (uridina trifosfato) – ripristino di, 568 – scissione a UDP, 567 V Vmax, vedi cinetica enzimatica, velocità di reazione, massima v-Ras, proteina, 443 valina, 89 – biosintesi della, 803 – degradazione a succinil-CoA, 786, 790F valina amminotransferasi, 803F valinomicina, 315, 316F Van Schaftingen, Emile, 830 vancomicina, 254S Vane, John, 751 Varshavsky, Alexander, 768 VAST (vector alignment search tool, strumento di ricerca per l’allineamento vettoriale), 167 – impiego di Cn3D, 168 Venter, Craig, 64 vescicole, 6 – membranose, 6 – rivestite, 300 – – rivestimento proteico delle, 300302 – – trasporto delle proteine in, 300, 302 – sinaptiche, 304

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– – fusione con la membrana presinaptica, 304 vettore – di clonaggio, 70, 71 – di espressione, 77, 78 via del fosfoinositide, 461-469 via del gliossilato, vedi ciclo del gliossilato via del pentosio fosfato (o shunt dell’esosio monofosfato), 511, 546552 – fasi della, 546-548 – produzione di NADPH nella, 548, 549 – reazione complessiva della, 546, 550 – regolazione della, 551, 552 via di secrezione, 296 – passaggi della, 296, 298 Vibrio cholerae, 503 Vicia faba (fava), 553S vie di segnalazione, 428-469 – comunicazione incrociata (crosstalk) tra, 444 – legame recettore-agonista, 435 – proteina recettore, 428, vedi anche recettore/i – secondo messaggero di, 428 vie metaboliche, vedi metabolismo, vie metaboliche virulenza, 6, 252 virus, 7 – del sarcoma di Rous (RSV), 443S – dell’immunodeficienza umana, vedi HIV – dell’influenza, 307, 399 – localizzati nelle zattere lipidiche, 295 – racchiuso all’interno di una membrana, 307

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visualizzazione molecolare, 89, 158 vitamina/e, 273, 474 – A (retinolo), 79, 273 – B1 (tiamina), 532 – – carenza di, 534 – B2, 494 – B6 (piridossina), 560, 772 – B12 (cobalamina), 723 – – carenza di, 724S – – struttura della, 725S – C (acido ascorbico), 150, 474T, 475 – D, 272 – – carenza di, 272 – – D2 (ergocalciferolo), 272 – – D3 (colecalciferolo), 272 – – intossicazione da, 273 – – ruolo nel metabolismo del Ca21, 272 – E (α-tocoferolo), 274 – idrosolubili, 474 – – convertite in coenzimi, 474, 475 – K, 274, 474T, 475 – – K1 (fillochinone), 274 – – K2 (menachione), 274 – liposolubili, 273, 474 – – assorbimento intestinale delle, 710 von Liebig, Justus, 343 W W (numero di modi), 13 w (lavoro), 16 Walker, John, 652 Wallin, Ivan, 10S Warburg, Otto, 483S, 511S Watson, Herman, 371 Watson, James, 138 wel (lavoro elettrico), 495

Western blot (o immunoblot), 113 Wiley, Don, 307 Withers, Stephen, 367 Wolfenden, Richard, 360 Wüthrich, Kurt, 156 Wyman, Jeffries, 208 X X-gal, vedi 5-bromo-4-cloro-3indolil-β-d-galattoside X‡, vedi stato di transizione xantomi, 760 xenobiotici, 418 xilitolo, 241 xilosio (Xyl), 237F xilulosio, 238F xilulosio-5-fosfato (Xu5P), 547, 695 Xu5P, vedi xilulosio-5-fosfato Y YAC, vedi cromosomi artificiali di lievito YADH, vedi alcol deidrogenasi, di lievito Yalow, Rosalyn, 429, 430S Yamamoto, Masaki, 685 Yan, Nieng, 328 Yersinia pestis, 449 Yoshikawa, Shinya, 645 Young, William, 510 Z zimasi, 510 zimogeni, vedi enzima/i, proenzimi zinc finger, vedi motivo/i, zinc finger zucchero nucleotidico, 586 – ruolo dello, 586 zucchero riducente, 247 zwitterioni, vedi ioni dipolari