Mysterium salutis. Il tempo intermedio e il compimento della storia della salvezza (parte I). La via dell'uomo redento nel tempo intermedio [Vol. 10] 8839900101, 9788839900104

MYSTERIUM SALUTIS (12 volumi): L'opera, caratterizzata innanzitutto dalla internazionalità degli autori, è concepit

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Mysterium salutis. Il tempo intermedio e il compimento della storia della salvezza (parte I). La via dell'uomo redento nel tempo intermedio [Vol. 10]
 8839900101, 9788839900104

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Nuovo corso di dogmatica come teologia della storia della salvezza

Il tempo intermedio e il compimento della storia della salvezza

MYSTERIUM SALUTIS Nuovo corso di dogmatica come teologia della storia della salvezza

a cura di

J.

FEINER

e M. Ll>HRER

edizione italiana a cura di DJNo PEzzETTA

QUERINIANA - BRESCIA

IL TEMPO INTERMEDIO E IL COMPIMENTO DELLA STORIA . DELLA SALVEZZA La via dell'uomo redento nel tempo intermedio

con la collaboruiont di FllANZ eOcKLE • JORANNES PElNEll • REJtNRAJlD

eAanfG

KARL RAHNEJl • SJGISBERT REGLI RAPHAEL SCHULTE • HERBERT VORGlllldLER

partt I

QUERINIANA · BRESCIA

Titolo originale dell'opera:

MYSTERIUM SALUTIS Grundriss heilsgcschichtlicher Dogmatik Benziger Verlag - Einsiedcln 1967

0 1976 by Benziger Verlag - Einsiedeln C 1978 by Editrice Queriniana - Brescia

SOMMARIO

6 Collaboratori 9 Prefazione 11 Introduzione 15 Credere e agire (Franz B&kle) La situazione dell'etica teologica gelo - Posti nel mondo.

Liberati per la libertà -

Obbligati dal van-

131 La conversione (metànoia) come inizio e forma di vita cristiana (Raphael Schulte) Metànoia come forma fondante dell'esistenza cristiana secondo la Sacra Scrittura - L'avvenimento sacramentale della conversione nel battesimo - La metànoia come struttura permanente dell'esistenza cristiana.

261 Lo sviluppo della vita cristiana Atteggiamento religioso di fondo (Bemhard Hiiring) - Giustizia di Dio e giustizia di vita (Bernhard Hiiring) - Disciplina e misura (-Bemhard Hiiring) - Il sacramento della con!crmazione e lo sviluppo cristiano (Sigisbert Regli).

415 La lotta del cristiano con il peccato (Hcrbert Vorgrimler) Il peccato dcl battezzato - La visibilità sacramentale della remissione dei peccati - fodulgenza e purgatorio.

557 Il morire cristiano Prolixitas mortis (Karl Rahner) - li morire alla luce della morte (Karl Rahncr) La malattia e il sacramento della preghiera dell'unzione (Johannes Fciner).

COLLABORATORI

FRANZ

BOCKLE

Nato nd 1921, dr. teol., professore di teologia morale ne!la Facoltà teologica dell'Università di Bonn. Jos:ANNBs FEINER

NtltO nel 1909, dr. fil., professore onorario di teologia ecumenica nella § esse· re considerala come cun'etica sociale ricondotta all'ontologia sociale; le sue uniche premc:sse sono implicite in 4uel rivolgersi personale di Dio all'uomo che a questi offre il motivo assoluto per entra.re in rapporto con l'altro uomo• !G. W. !IUNOl.D, Etbik im &nnkreis Jer So:zialontologie. Eine theologisch-mora/anthropologiscbe Kritik des Penonali1mus, Frankfurt/M. 1974, p. 64). Ma un simile concetto di persona rimane vuoto finché non si prendono in considerazione anche quei fattori immanenti al mondo che sono parimenti cos1itutivi.

OSSBB.V AZIONI PB.BLIMINAB.I

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soprattutto una restrizione di tipo individualistico della salvezza cristiana.28 Non è possibile ricavare in modo adeguato il contenuto del messaggio salvifico del Vangelo dal suo riferimento al singolo. Questo annuncio è sempre un evento fondamentalmente umano e quindi pure sociale, che giunge al singolo soltanto attraverso la struttura sociale in cui egli vive. Il rapporto sociale non può essere quindi considerato tema specifico della teologia o dell'etica. È necessario invece che il messaggio cristiano, nella sua globalità, venga scorto sotto l'aspetto della sua validità pubblica. La teologia come tale ha dunque il compito di definire in modo nuovo il rapporto che esiste· fra religione e società, fra chiesa e pubblicità sociale, come pure fra fede escatologica e prassi sociale. 29 Quell'ordine fra religione e società, fra esistenza ecclesiale ed esistenza sociale, che per secoli è stato accettato come ovvio, nell'età moderna è andato ormai in frantumi. «La mancanza di una ermeneutica corrispondente [ ... ] ha spinto dopo l'illuminismo il cristianesimo, in misura rilevante, in una pura privatizzazione o [ ... ] in una politicizzazione reazionaria del suo messaggio all'interno degli ordinamenti politici esistenti». 10 La teologia potrà offrire una risposta adeguata soltanto nel suo tentativo di situare, nel mondo storico e concreto del presente, il contenuto di questo messaggio come potenza socio-critica. Qui J.B. Metz si richiama alla fede nel suo carattere di memoria, di ricordo. La fede cristiana qui è intesa come un comportamento «nel quale il cristiano si ricorda delle promesse ricevute e delle speranze da esse suscitate e si lega, in una maniera che è determinante per la sua esistenza, a questa memoria. L'interpretazione della fede qui non pone in primo piano il modello intellettualistico del" Ciò soprattulto contro la teologia della demitizzazione. che corre sempre il peri· colo •di ridurre Dio e la salvezza ad un correlato dcll"csistenza privata. e di abbassare Io stesso m~-ssll(Ulio cscatoqico a ~rifrasi simbolica della problematicità metafisica dell"uomo e della sua si1uazionc privai a davanti alle decisioni Ja prendere•. J. B. METZ. Il problema di una 'teologia politica", in: Concilium 6 (1968), pp. 13-31. qui p. 16. " J. B. Muz, Chris1lichc Rc:ligaon und gescllschaftlichc Prnis, in: Dokum~nlt d~r Pt1ultH·Gc·ullrchafl 1xx. p. 30: D. A. Sr.ur.a, Was will Jie politischc Thcologie?, in: H~rKoTT. 22 11968). pp. 345-349. " J. B. MEH, Poliuschc Thcologic in dc:r Diskussaon. in: H. PEUlElT (a cura di), Diskuuion V1r politischen Theolot.te, Mainz 1969, pp. 267-301 [ trad. it. Dibllltito sulu 'teologia po/111ca', (jucriniana, Brescia, p. 241 ].

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CREDERE E AGIRE

l'adesione alle affermazioni della fede e nemmeno quello esistenzialistico della decisione assoluta dell'esistenza, ma la figura della memoria. Nella fede i cristiani rinnovano la memoria passionis, mortis et resurrectionis ]esu Christi, credendo fanno memoria del testamento del suo amore nel quale la signoria di Dio tra gli uomini si è manifestata in maniera da distruggere principalmente il potere che segna i rapporti umani, in quanto Gesù sposò la condizione degli oppressi, degli emarginati e dei 'modesti' e rivelò quindi questa signoria avveniente di Dio come la potenza liberatrice di un amore senza riserve». J 1 Per Metz, dunque, il vero problema ermeneutico della teologia non sta nel rapporto fra dogma e storia bensl in quello fra concezione di fede e prassi sociale. «L'etica politica che prende in considerazione questo stato di fatto, non è solo una regolazione possibile di scopi discussi e mai totalmente teorizzabile all'interno di un ordinamento e di una costituzione politica. Essa deve essere allo stesso tempo etica della trasformazione possibile ed effettiva di siffatti ordinamenti libertari». 32 Si è poi messo in discussione il rapporto fra dogmatica ed etica. Ciò significa innanzitutto che l'etica deve esprimere in modo più conseguente e concreto il carattere pubblico che connota il messaggio cristiano. L'agire ecclesiale non deve orientarsi tanto verso la salvezza del singolo individuo ma dev'essere compreso come «proclamazione di salvezza» nella società. La promessa fondata sulla croce «non è proprietà privata di un gruppo, di una religione, e nemmeno della chiesa. La chiesa esiste per questa promessa, non viceversa». JJ Non si tratta quindi - almeno per Metz - di eticizzare il cristianesimo, bensl di comprendere in modo più corretto e completo, sul fondamento del messaggio salvifico cristiano, il compito etico che ci è imposto, anche se è ovvio che si determineranno ripercussioni nella stessa ecclesiologia. L'essere ecclesiale, la figura e le strutture della chiesa dovranno essere approfonditi alla luce di questo mandato da assolvelbid., p. 256. " lbid., p. 250 s.

JI

" J.

B. METZ, Christliche Religion und gesellschaftliche Praxis, in: Doltumt"U dtr

P11ulus-Gtullsch11/1 ncx, p. 34.

OSSERVAZIONI PRELIMINARI

25

re al cospetto degli uomini. La dottrina sociale e l'etica sociale che su essa si fondava dovranno essere vagliate tenendo conto della storia di libertà del Vangelo. Ciò che qui s'intende viene chiarito mediante il concetto di «e·tica di cambiamento». «L'etica cristiana non dev'essere un'etica di ordini, bensl un 'etica di mutamenti». 34 Un'etica sociale che miri soprattutto a garantire un ordinamento ricavato da determinati principi metafisici e teologici non può soddisfare una simile esigenza. Se gettiamo uno sguardo sui due secoli in cui in Germania si è discusso sul diritto naturale, ci apparirà chiaro che un simile cambiamento è stato operato anche da coloro che sostenevano un diritto naturale di tipo scolastico. «Dalla discussione oggi è emerso che il diritto, come pure l'essere dell'uomo, non è soltanto un factum nel tempo, che al pari di una natura n~n spirituale sarebbe privo di ogni legame con il tempo stesso; è vero invece che nel suo stesso essere è determinato dal tempo, per cui dovrà continuamente venir realizzato per giungere a se stesso. La storia è stata riconosciuta, nella sua capacità di mutamento, come la componente essenziale del diritto di naturaio. 35 Cosl anche l'etica sociale di tipo tradizionale si è resa conto della mediazione storica cui le sue norme materiali sono state sottoposte. Si tratta dunque di norme che non possono venire legittimate ed inserite in un'etica cristiana se non vengono prima discusse sul piano ermeneutico. Ciò che innanzitutto s'impone, quindi, è una analisi del valore che la fede cristiana assume nella fondazione delle norme etiche.

" W. PANNENBEIG, Gc:schich1statsachen und christliche Eihik, io: Evang. KommenI (1968), pp. 688-694, qui p. 691. «Come il singolo cristiano rimane anche l'uomo vecchio ma dev'essere compt.'llCtrato dalla realtà dell'uomo nuovo acrolta nella fede, cosi anche nella vita sociale dovrebbe rendersi attivo un dinamismo cristiano che se non è io grado di eliminare dall'oggi al domani le differenze esistenti fra dominatori e dominati né i conflitti fra i di~rsi sistemi di potere, può almeno avviare dei mutamemi all'interno delle condizioni presemi,. (fbid.) . •• H. D. ScHELAUSl:E, Naturrechtsdiskunion in Deutschland. Ein Oberblick uber uuei Jahruhnte: 1945-1965, Koln 1967, p. 353.

tare

26

CREDERE E AGIRE

4. Il problema dello 'specifico cristiano'

Il problema della responsabilità cristiana ed ecclesiale nella sfera di un monpo mondano condusse inevitabilmente ad un dibattito molto serrato sul proprium di un'etica cristiana. Qui non servono i postulati altisonanti che esigono una permeazione e plasmazione della società nel suo complesso mediante l'annuncio liberatorio del Vangelo. Bisognerebbe invece mostrare concretamente quali siano le norme e le forme strutturali che derivano dal messaggio cristiano, in quale rapporto esse si trovino con la ragione etica. Il problema del significato che la fede cristiana riveste per la strutturazione normativa della vita sociale è diventato cosl la questione fondamentale dell'etica teologica (teologia morale). I primi a sollevarla furono gli esponenti della dottrina sociale cristiana, 36 ma venne ripresa anche dai teologi moralisti. 37 È oggetto di dibattito anche ai nostri giorni., In sostanza si trat" Cf. H. WEBER, Um das Proprium christlicher Ethik. Das Beispiel dcr knthoJi. schen Gescllschaftslehre, in: TThZ 81 (1972), pp. 257-27'. Qui la discussione verteva sul problema se la dottrina sociale cristiana sia una disciplina filosofica (cosl pensano ]. Fcllanneier, O. von Nell·Breuning) o nd.1 invece una disciplina teologica (N. Monzel, G. Ermcckc, J. Hoffncr, L. Ber11). " Sullo sfondo sta il problema dcl 'proprium' del dato cristiano in generale. Cf. H. U, van BAt.THASAR, Mcrkmale des Christlichen, in: V r:rbum Caro, Einsiedcln 1960, pp. 172-194 [trod. it. Vcrbum Caro, Morcelliana, Brescia]; J. RATZINGEll, Strukturen dcs Christlichen in: Ein/iihrung in das Cbristentum, Miinchcn 1968', pp. 197-221 [trad. it. lntrodu:z:ione al cristianesimo, Queriniana, Brescia]; W. KASPEll, Was heisst eigentlìch christlich?, io: ]. SCHREJNER (a cura di), Die Kirche im Wandel der Gesellschaft, Wiirzhurg 1970, pp. 87-101; G. ADLER (a cura di), Christlich - WilS heisst das? (con contributi di E. Jiingel, W. Kiinneth, J. Milic-Lochmann. G. Mcinberger, ]. Ratzinger, G. Rendtorff, D. SOlle, H. Vorgrimler), Diisseldorf 1972; H. KiiNG, Christ seù1, Miinchen 1974 [ trad. it. Esrr!re cristiani, Mondadori, Milano 1%7). All'interno della teologia etica, il dibattito inizia con un rom·egno scientifico della Societas Ethica, svoltosi a Lund nel 1966. VC'di le relazioni ivi tenute da K. E. LOGSTROP, Das Proprium des christlichen Ethos, e da F. Bòcia.E, Was ist das Proprium einer christlichea Ethik, in: ZEvE li (1%7), pp. 135-147, rispcllivamentc pp. 148-159. Sempre per il dibattito sullo 'specifico', vedi anche K. Dt:MMER, Gl~ubens­ gehorsam als Verpflichtung zur Wirklichkeit, in: Cath. 21 1196i). pp. 138-157; W. van der M11RCK, Grundzuge einer christ/ichen Ethik, Di.isseldorf 1967, spec. pp. 17 ss.; R. A. McCoRMJCK, Human Significancc and Oiristian Significance, in: G. OUTKA - P. RAMSEY (a cura di), Narm and Co11text in Christian Ethics. Ne\\' York 1968, pp. 233-261; B. ScnOLLER, Bcansprucht dic Boischalt Chris1i einc: Zusundigkeit in Fragen gcscllschaftlichcn Lebcns und scincr EntwicklLmg?, in: fra.~ costituisce la condizione per un modo di comunicue in li~rtì e il criterio che ci permette di subilire i consensi che di fatto si rqgiungono nell'ambito tcu. Per la ricostruzione

&I.la versi~ origi111ri1, d. G. l)gLLIHO, Das Logion M.ark x. 11 (und seine Abwmdlungcn) im Ncum Tntammt. in: NOJJT I ( 1956), pp. 26}-274 . .. a. H. BALTENSYEILH, Dit EIH ;,,, Nt11en Ttsl-trtl. ExtittrsclH Urtt"swb""' gert iib" Ebe, Ebtlo11elmt 1md Ebescbtid11rtg, Ziirich 1967, p. 63.

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OBBUGATI DAL VANGELO

legge mosaica.JO Gesù risponde formulando a sua volta un interrogativo: Che cosa vi ha ordinato Mosè? In questo modo egli manifesta la propria intenzione di non lasciarsi coinvolgere nella disputa sui diversi motivi che giustificherebbero il divorzio, n~ di contestare il precetto della legge che esigeva il libello di ripudio. Ma Gesù non si preoccupa nemmeno di stabilire ciò che sul piano legale è possibile o comunque lecito; s'appella piuttosto alla genuina volontà di Dio, che egli intravede nello stesso precetto mosaico l i e che liberamente interpreta richiamandosi a due passi dcl Genesi. t Dio l'origine della differenziazione sessuale e dell'ordine coniugali, in base al quale due persone tra loro legate devono per sempre rimaner coniugate in forza della volontà di Dio. «Ciò che Dio ha unito l'uomo non deve separare!•. Il comando di Gesù è chiaro e non ammette compromessi. Non consente alcuna riduzione di tipo casistico, e proprio per tale motivo non può essere considerato una legge nuova, formulata nella categoria della legge antica.li Questo richiamo alla volontà dcl creatore, prescindendo da ogni discussione di tipo casistico, ci permette di comprendere l'elemento propriamente tco-logico dell'insegnamento di Gesù. Quella realtà di comunione e fedeltà coniugali che è stata dischiusa all'uomo con la creazione, ma della quale l'uomo ha fatto cattivo uso, ora diventa nuovamente possibile nella fede, con l'avvento della bt1Silèia.H Il detto di Gesù assume quindi i tratti di un appello profetico, di una promessa e di un'esortazione. In questa prospettiva, che è poi quella in cui l'insegnamento di Gesù venne interpretato dalla comunità primitiva, riesce comprensibile pure il senso originario dcl lòghion tramandato. Il detto di ,Gesù sul divorzio voleva essere una provocazione, in quanto senza mezzi termini cuo qualificava come adulterio un componamcnto ratificato dalla legge. Ma «Gesù non formula una legc nuova, antitetica a quella ormai vigenti!, bcnsl un giudizio religioso, etico, che supera, anzi rifiuta, ogni mentalità legalistica e sconfessa i criteri correnti. Questo detto ha un senso diagnostico, demistificante; pone in evidenza ciò che un uomo in realtà fa quando s'appella al proprio diritto. Ha un significato critico, in quanto distingue la volontà e il diritto divini dalla volontà ed autorità dcll'uo-

• a. R. SalNACDNBUIG, Die. Ehe nKh dcm Neum Tn1unen1, in: G. KtEMS e R. MUMM (1 cura cli), T/wolofit tln Ebt, Rqmsbura 1969, pp. 9.)6, qui alla p. 13; IOlo che: biqnerà riconoecctt au1en1ico il clivcrbio 101lenu10 da Gesù (quindi non considerarlo una composizione ad opera della comuni1ì). 11 Con quesia disposizione si mirava 1 g:va111ire dqli ordinali npponi roniupli. la lencra di ripudio C'OSI~.. gli uomini a rcndett pubblica la loro scelia della leperaione; non si uamva dunque cli una concessione ma piu11m10 di un llqDO che leltimoniava la loro durezza di cuore:. a. H. GIEEVl!H, Zu den Auuagen dn Neuen Teswneots iiber die Ehe, in: ZEoE l (1957), pp. 109-175, qui alla p. 114. Anche H. BaltCllS1RÌ.ler e R. Schnackmburg condividono ques1a in1erprc:taione. JI a. H. GIEEVEN, Ebe mch dcm Neuen Teswnen1, in: G. Kuws e R. MUMM (1 cura cli), op. cii., pp. 37-79, spcc. pp. 61-64.

n

IL MESSAGGIO MOllALE DI GESÙ

mo». 34 Ciò che qui viene detto sull'antitesi ad una separazione di tipo legalistico vale anche per l'appello di Gesù a rifiutare qualsiasi forma di violenza e di rappresaglia consentita dalla legge.

Da quanto si è detto appare chiaro che l'annuncio della basilèia da: parte di Gesù non mirava affatto ad un mutamento o superamento della struttura sociale. Ma le sue istanze radicali non prescindono da: questa realtà. In un tempo in cui la signoria di Dio è già iniziata, ma: non è ancor giunta al suo compimento pieno, le istanze formulate nel sermone del monte rimangono antitetiche ad ogni ordinamento di tipo giuridico-normativo. Questa relazione escatologica ha un carattere costitutivo. Non è lecito quindi estrapolare le esortazioni di Gesù da tale contesto e tramutarle in dei principi etici isolati (pacifismo, indis- . solubilità). Tali esigenze presentano una funzione di criterio, servono come elementi chiarificatori della coscienza morale in vista della basilèia. Esse possono quindi donare la libertà interiore anche per un uso corretto del diritto. Il fine rimane sempre quello dell'uomo rinnovato: la giustizia superiore. c.

La giustizia superiore

Nella prima sezione del sermone del monte Matteo colloca l'esonazionc fondamentale di Gesù (5,20): cSe la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei [ ... ] • (tàv µi} 'ltl{M.O'oiuo'n uµWv 'ii ~ 'ltÀ.tiov), e l'intero discorso termina nel detto riassuntivo (5,48): cSiate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vosuo celeste» ([ ... ] 'tiÀ.E~O~ Wt; 6 'ltCl'ti\p uµWv). R. Schnackenburg l5 richiama l'attenzione sul fatto che Le. 6,36 presenta senz'altro la versione originaria: crSiate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro». Matteo ha dunque intenzionalmente modificato il termine «misericordioso» in quello di cperfetto». Qui l'evangelista giudeo-cri-

.. a. J. RATZINGU, Zur Theologie der Ehe, in: G. KUMs e R. MUMM (a cura di), Theolot.ie der Ehe, op. cit., pp. 81-115, qui p. 84. ,. R. PESCH, Freie Tre11e. Die Cbriste" 11..d die E"tscheU/11,,i, Frciburg 1971, p. 13. " O. Die Volllrommenheit des Chrisren nach Matthius, in: Christliche Existen:i: IUICh dem Ne11err Test01e,,1, voi. I, op. cit., pp. 131-155, qui p. 139.

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OBBLIGATI DAL VANGELO

stiano può essere influenzato da Lev. 19,2: «Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo». Matteo dunque congiunge il decalogo con la legge della santità. La santità che si esigeva nell'Antico Testamento deve ora tradursi in perfezione. Ma la perfezione «esprime globalmente l'obbligo derivante dall'annuncio del regno di Dio da parte di Gesù a mostrarsi degni della salvezza offerta, ad amare Dio con tutto il cuore e soprattuto a 'cercare il suo regno' (cf. Mt. 6,33)». 36 Partendo da questa «espressione globale» cercheremo ora di mettere brevemente in luce gli aspetti più importanti del messaggio di Gesù. aa. L'esortazione morale di Gesù a conseguire una giustizia superiore è «la forma di vita della realtà degli ultimi tempi». Questi ultimi tempi sono incominciati con l'annuncio della basilèia. «Proprio qui osserviamo una sorprendente convergenza fra l'interpretazione della legge data da Gesù e l'annuncio della basilèia. In entrambi i casi, infatti, il presente è sempre considerato il luogo di un Dio che attualmente pretende o che ci vien incontro. Il Dio lontano, il Dio futuro, ora si è reso vicino: la storia è ritornata il luogo della sua presenza». 37 In questo momento storico l'appello viene rivolto a tutti coloro che ascoltano il suo messaggio. Nessuno è escluso dal regno di Dio. Di conseguenza nemmeno queste esortazioni morali possono venir considerate delle vocazioni speciali. Nemmeno l'invito fatto al giovane ricco (Mt. 19,21) consente, se analizzato attentamente, una distinzione fra due tipi di perfezione (dei precetti e dei consigli). «Nella duplice risposta di Gesù» (agli interrogativi: «che devo fare per entrare nella vita?» e ceche devo fare per essere perfetto?») «non possiamo osservare due gradi deilo sforzo etico affidato all'arbitrio dell'interrogante, meno ancora due gradi di quella beatitudine che egli potrebbe cosl conseguire». 31 Certamente Gesù ha chiamato alcuni a far parte della cerchia più ristretta dei suoi discepoli; ma gli imperativi che derivano dal messaggio del regno di Dio sono rivolti a " Ibid., p. 141. " P. HoFFMANN, /oc. cit., p. 91. 31 R. SCHNACICENBURG, op. cit., p. 149.

IL MESSAGGIO MORALE DI GESÙ

79

tutti. Diventa cosl problematica la distinzione fra precetti e consigli. O per lo meno essa non può venir interpretata nel senso che a qualcosa saremmo tenuti e ad altro, nel miglior dei casi, soltanto amichevolmente invitati. Il comando della perfezione è unitario e normativo. Si differenzia soltanto per il coinvolgimento che si determina in una certa situazione di vita e in un impegno concreto e vitale. Altrettanto problematica è la distinzione fra -precetti d'adempimento e precetti ideali. Per 'precetto ideale' s'intende un obiettivo che dovrebbe venir conseguito forse alla fine dei tempi, oltre la storia, ma che nel nostro tempo dev'essere senz'altro considerato un'utopia. Ciò è in contrasto manifesto con l'intenzione di Gesù. La presenza della basiJèia per il credente trasforma l' 'utopia' in una possibilità reale e quindi in un'offerta obbligante. bb. Risulta cosl chiaro anche il secondo concetto: la giustizia superiore che Gesù esige «in ultima analisi non è un progetto etico, bensì un imperatrvo religioso': quello di sottomettersi cioè a Dio che è sempre più grande, nell'obbedienza al suo appello, nella disponibilità alla purezza di cuore, alle scelte radicali, ma anche alla fiducia nella sua grazia, aiuto e salvezza». 3' Bisogna precisare però anche il concetto della sequela: non si tratta semplicemente di seguire un maestro affascinante, bensl di «sottoporre l'intera esistenza di fede alle direttive del Signore glorificato (lo. 8,12), seguire fino in fondo il suo cammino».411 Nemmeno in questa prospettiva gli imperativi possono essere considerati isolatamente ma vanno compresi nel nesso che li lega alla decisione di fondo per la signoria e regno di Dio. Proprio questa scelta fondamentale è una scelta di fede. Non si tratta di un semplice imperativo ma anche ed innanzitutto di un dono. L'uomo risponde all'agire divino e lo può fare perché Dio lo rende possibile. «Nel sermone del monte non si parla espressamente di questa capacità di perfezione. Ma risulta implicita. Basti pensare·al modo in cui Gesù parla ai discepoli del Padre»." La moralità cristiana non si fonda quindi " R.

SCHNACKENBUJl.G,

op. cit., p. 146.

Bibliche Ethik n, in: SM r (1967), p. 547; d. A. ScHULZ, Nach/olgen und Nachahmen, Mi.inchen 1962 (con bibl.); H. Z1MMEJ1.MAHN, Oiristus nachfolgen, in: ThGl 53 (1962), pp. 241-255. 40

R.

ScHNACKENBUJl.G,

80

OBBLIGATI DAL VANGELO

sullo sforzo di un uomo che uscendo dalla propria miseria si volge ad un ideale umanistico, ma su una vita che deriva dalla pienezza, dall'offerta fattaci dall'amore divino sempre più grande di noi. cc. ~questa la vera ragione per cui gli imperativi di Gesù non presentano alcun carattere legalistico. Riferito alla situazione escatologica, il nòmos non ha più alcun valore di nòmos. 42 Qui non si tratta di un superamento storico-cronologico (il decalogo è ancora in vigore), bensl dell'adempimento garantito da colui che con autorità è venuto ad adempiere la legge e i profeti, e nel quale e per mezzo del quale anche noi giungiamo a compimento.0 ~ ben difficile far rientrare nella categoria della legge la distinzione qualitativa - emergente dal messaggio della redenzione - fra la pretesa avanzata da Gesù e le esigenze avvertite dalla nostra ragione. Od in altre parole, ciò che ad esempio qualifica, nel suo carattere di promessa salvifica, il vincolo della fedeltà coniugale. Nemmeno una definizione ontologica, istituzionalmente oggettivata del matrimonio, che prescinda dalla realtà vitale e personale dei contraenti, potrebbe esprimere in modo adeguato tale esigenza. Nell'asserto che disconosce a tale promessa ogni carattere legalistico sono impliciti due concetti. Ed innanzitutto che l'istanza avanzata è superiore, più ampia di quella che potrebbe venir espressa mediante una determinazione di tipo legalistico. ~ superiore nel senso che si fonda su un'offerta di grazia cui il credente deve rispondere con una decisione libera. Stando al nostro esempio, garantire la fedeltà significa stabilire con il proprio partner un incontro fondato sulla fede, speranza e carità, credere che anche Dio si rivolge all'uomo nel suo amore, e sperare pure contr11 spem, anche quando la fiducia umana non ha più motivo di sussistere. Ma in certo senso tale istanza è inferiore alla legge. Essa non conosce infatti il ·carattere della coercizione sociale. «Tutti i modi di comportamento esigiti eia Gesù presentano un aspetto comune: non •• R. ScHNACIENBUllG, Die VoUkommenhcit des Christe11 ... , loc. cii., p. 14~. Le. 16, 16: la rivelazione. della volontà di Dio mediante la legge cd i profeti cede il posto all'mnuncio della basiltia ad opera di Gesù. Il tempo nuovo significa anche un supcrllllCllto dell'antico, poiché la salvezza dcl regno di Dio si è già resa presente in Gesù. •• Sul concetto di "1t>..11po\iv d. W. T11LLJNG, loc. cit., p. 149.

" a.

L'ÈTHOS DELLA CHIESA PlllMITIVA

81

possono essere imposti con la forza né prescritti attraverso la legge. Sono un appello alla bontà di un cuore che liberamente si dona, un appello all'amore». 44 Ma questa impossibilità d'imporre, il non-poterpretendere in forza della leue, non esclude affatto che tali obbligazioni assumano l'aspetto sociale e giuridico di un ordinamento. Al contrario, ciò s'impone se non altro per il fatto che l'istanza avanzata dal Vangelo deve venir ritrasmessa, all'interno della chiesa, in modo convincente. Alcuni cmni in questa direzione si riscontrano già nd modo in cui la comunità primitiva annuncia il Vangelo.

2. L'èthos della chiesa primitiva Il messaggio morale di Gesù, che abbiamo cercato di delineare nei suoi tratti fondamentali, costituisce il contenuto sostanziale della predicazione apostolica. La vita di Gesù e i suoi detti diventano il punto di partenza e di orientamento delle diverse esortazioni ed istruzioni che s'impartiscono alle comunità cristiane. Non ci troviamo comunque di fronte ad una tradizione di asserti storici, bcnsl ad un annuncio che al presente e per il presente si fa, un annuncio dcl Cristo glorificato. Qui il leitmotiv è il richiamo a ciò che per mezzo di Gesù Cristo Dio ha fatto e continua a fare per l'uomo. L'istanza etica di fondo deriva dall'agire C!Catologico e salvifico di Dio in Gesù Cristo. Gesù è il Salvatore e Signore. Qui l'attenzione è rivolta innanzitutto al rinnovamento dell'uomo mediante il battesimo cd alla sua conversione. L'èthos della chiesa primitiva si fonda sulla nuov11 esisten1.11 in Cristo. Ovviamente il nuovo modo di vivere deve confrontarsi anche con le esigenze concrete della nostra vita. Le esort11voni ed istruzioni apostoliche ci testimoniano gli sforzi che la giovane chiesa ha intrapreso per assolvere correttamente tale compito. a.

L'esistenza cristiana. come fondamento

Nella prima sezione di questo capitolo (cf. pp. 30-64) abbiamo richiaDl8to l'attenzione sull'attività liberante di Gesù. Con Paolo e Giovan" F.

J.

/~ntlicbnt

ScHIUSE, Daa Schc~rbot Jcsu, in: N. Slindv, Mainz 1970, p. 26.

WETZEL

(a cura di), Dit

o/·

82

OBBUGAn DAL VANGELO

ni la possibilità di liberazione, dischiusa agli uomini nella persona di Gesù Cristo, ha conosciuto un'articolazione teologica decisiva. La liberazione dalla schiavitù della colpa, dalla contraddizione con se stessi, in cui era giunto il singolo ma anche l'intero genere umano, costituisce il fondamento di un'esistenza cristiana. Qui possiamo supporre ciò che già si è detto in quelle pagine e nei capitoli dedicati al tema della giustificazione ed al nuovo essere dell'uomo.0 Vogliamo riflettere soltanto sul significato che si deve riconoscere al battesimo nel suo carattere di fondamento dell'esistenza cristiana. L'èthos cristiano è innanzitutto èthos battesimale, come la parenesi cristiana è prevalentemente parenesi battesimale.46 Anche quando non ci si esprime in termini cosl chiari e precisi, si suppone pur sempre che il battesimo fondi l'intero nostro agire.4 7 Secondo la mentalità paolina, il battesimo «in quanto avvenimento salvifico è il dono della partecipazione all'agire escatologico e salvifico di Dio in Cristo, un agire che in egual misura libera gli uomini e li prentle esistenlesso dell'uomo. 4uell'sscrc che il Crea ton: ci ha affidato perché lu rc:.ilizziamo. Vedi l'esposizione: deuagliata nella sezione: prima, pp . .U-54. " Cf. B. Scuùu.u, Todesstrafe IL Moralth., in: LThK x, 229 s.

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Di conseguenza ci si può esprimere, in linea del tutto generale, dicendo che «la pena di morte è (in generale) illecita». Questi due giudizi, apparentemente in contraddizione tra loro, sono corretti a seconda delle diverse condizioni. Essi esprimono una norma morale che vale «Ut in pluribus». Ad una più approfondita analisi la 'vaHdità generale' delle norme morali ha H significato di un «esser-valido-in-generale», le norme cioè sono valide nella misura in cui esprimono il 'generale' e tengono conto, in modo pertinente e completo, delle condizioni necessarie. Le norme di questo tipo non sono soltanto dei buoni consigli, di cui ci si può servire a proprio arbitrio. Esse esprimono dei valori obbliganti dai quali non si può prescindere quando si voglia agire in un modo morale responsabile. Aiutano il singolo nella ricerca faticosa di un agire moralmente corretto, ma non lo esonerano dal compito di vagliare se e fino a che punto le prescrizioni generali si riferiscano al suo caso concreto. Soltanto tenendo conto di tutti i valori e circostanze in questione il singolo potrà riconoscere in che modo egli potrà agire il più moralmente possibile. In riferimento a questa motivazione, che abbiamo qualificato 'teologica', dei giudizi morali appare poi chiaro che cosa significhi un atto «in sé buono» ed un atto «in sé malvagio». «In sé» o «intrinsece inhonestum» significa allora che questo atto è determinato da un obiettivo contenuto di valore. Dato però che ogni valore creato è pure condizionato, il giudizio morale sull'atto potrà essere valido soltanto nelle condizioni che accompagnano il relativo valore. Nella sfera dell'agire inter-umano non potranno comunque darsi degli atti che a priori, in se stessi e senza eccezione, a prescindere quindi da ogni condizione (circostanza, motivo), debbano essere considerati disonestL1' Al contrario, negli asserti del magistero ecclesiastico troviamo " Gli esempi contrari possono essere facilmente ridotti a giudizi analitici, poic~ il giudizio comprende già !"aspetto anti-morale, cosl ad esempio ctormenwe qualcuno per motivi egoistici•, od anche ccommcttcrc adulterio,. = aaverc: npporti illeciti con UD partner estraneo-. Dovremo comunque ammettere che ogni rapporto sessuale, anche quello di UD partner separato e risposato, sia da considerarsi 'ldultcrio'? Questo ~ il problema! La teologia morale tradizionale ha conosciuto sempre: il condizionamento cui sono sottoposti i giudizi monli. Nei manuali la gran parte delle azioni viene compresa secondo la categoria ddla 'moralit1U conditioNJ111'. Soltanto due, nella sfcn dci npporti intcrumani, ne vengono esclusi: la menzogna e ,un atto sessuale in contrasto con la procrc:azione. A tale proposito si parla di una 'moralitar abmlut11' e, rispettiva·

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continuamente delle affermazioni che si traducono in una condanna morale assoluta dei singoli atti. Cosl nell'enciclica Humanae vitae si dice che un rapporto sessuale, intenzionalmente reso infecondo, è un atto intrinsece inhonestum e che non è mai permesso - nemmeno per i motivi più seri - far del male per ottenere degli scopi buoni, volere cioè qualcosa che per sua natura viola l'ordine morale (n. 14). Quest'ultima affermazione è corretta nel senso che nessuna intenzione, per quanto buona, potrà mai giustificare il fatto che si agisca in modo moralmente disonesto. Rimane tuttavia da chiedersi se un atto, che intenzionalmente si è voluto infecondo, sia incondizionatamente disonesto dal punto di vista morale. Ciò non viene affermato espressamente nel testo. Tuttavia il concetto di «intrinsece inhonestum» sembra assumere il carattere di 'incondizionato', di assolutamente contrario alla morale. L'argomentazione infatti tende a dichiarare proibito ogni anticoncezionale artificiale, in tutte le circostanze e senza tener conto di eventuali conseguenze. Questo modo d'argomentare oggi viene qualificato 'deontologico' ,30 concetto che nei diversi manuali ha il suo pendant nella moralitas absoluta. Giustamente oggi si contesta la motivazione deontologica dei giudizi morali di atti categoriali. Soltanto dei giudizi analitici possono pretendere una validità deontologica (assassinare, cioè uccidere ingiusiamente, è ingiusto!). Chi riconosce la contingenza dei valori che determinano le nostre azioni umane deve mostrarsi fondamentalmente aperto ad un esame delle diverse condizioni, quindi disponibile ad una ponderazione dei diversi beni. Questo vale per tutti i beni contingenti, quindi anche per quello della procreazione. Nemmeno di quest'ultimo si dirà che non può mai ed in alcun luogo porsi contro un bene maggiore, e vincolare quindi - nelle norme implicite in una regolamentazione delle nascite - in quel modo assoluto. 31 La normatività deontologica mente, di una 'mlllitia intrinseca absolu1a·. a. ad esempio J. MAUSBACH - G. E•· Katholische Moraltheologie, voi. I, Miinster 1959', p. 240; O. ScetLLINCi, Handbuch der Moraltbeologie, voi. I, Stuttgart 1952, p. 178. ,. Si tratta dunque dcl concetto opposto a quello di 'teologico', d. nota 26. " !. facile intravedere le consegucnzc pratiche che ne derivano. Per colui che s'at· tiene alla 'moralitas absoluta', un giudizio divergente - anche quando si tratta di prese di posizione nei confronti di un'enciclica o di analoghe risoluzioni sinodali può essere considerato soltanto come 'conscientia e"onea'. cUna motivazione teleologi· ca ammett~ invece una 'conscientia recta'. Qui la norma suona: 'L'uso di mezzi con-

MECIE,

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degli atti categoriali-morali in ultima analisi riesce comprensibile sol· tanto se si tiene conto dello sviluppo che ha subito l'argomentazione fondata sul diritto di natura. 32 Per secoli la tradizione cattolica ha fondato le regole operative di comportamento sulla ponderazione dei diversi beni. Anche quando essa pone un imperativo assolutamente valido, in definitiva tiene sempre conto del bonum commune (ad praecavendum periculum commune). Più sopra si è già visto che Tommaso d'Aquino, con la sua dottrina della legge morale naturale, in prima linea cercava di mostrare l'uomo nel suo carattere di essere morale interpellato da Dio. Questa preoccupazione speculativa la troviamo poi anche nei teologi della tarda scolastica. Il modo in cui si articolano e motivano le norme mordi è affidato, nella stessa tradizione, alla ragione pratica. Il neotomismo ama vedere nell'Aquinate colui che più di ogni altro attesta la rilevanza che le leggi biologiche assumono per una vita vissuta in modo conforme alla ragione. Per confermare la tesi, secondo la quale la paternità responsabile esige una conoscenza cd un rispetto della funzione dei processi biologici {n.10), l'enciclica Humanae vitae adduce la dottrina tomana delle inclinazioni naturali {I-II q. 94 a. 2). Effettivamente si deve convenire che Tommaso, nel valutare certe questioni concrete di tipo morale, si richiama anche alla rectitudo naturalis. Cosl ad esempio, se si vuol regolamentare la sfera corporeo-sensibile (circa corporalia et sensibilia), si dovrà sempre tener presente la necessità «che ogni parte dell'uomo cd ogni suo atto conseguano il fine che devono perseguire» (ScG. m, 122). Ed alla domanda se ogni menzogna debba essere considerata peccato, Tommaso risponde in modo decisamente positivo affermando: «Le parole sono naturalmente segni dci pensieri, per cui è innaturale e sconveniente esprimere con una parola ciò che non s'intende» {n-u q. 110 a. 3). La menzogna è quindi sempre un atto disonesto. Né si può tirare in ballo il caso concreto di una proposizione falsa formulata al fine di evitare un male maggiore (n-n q. tracceuivi è illecito, a meno che non sia moralmente giustificato l'impedimento dcl concepimento e l'astinenza pregiudichi il bene della copia .. (B. ScnOLLER, Zur Problematilt, op. cii., pp. 4 s.). Se oggi le condizioni sono mutate fino al punto che la contraccezione risulta moralmente giustificata non soltanto in certi casi eccezionali ma in linea generale, allora non sarà affatto necessario modificare il giudizio morale, ma basterà chiarire, a livello normativo, la nuova normalità. E lo si potrebbe fare spiegando che la contraccezione dev'essere in ogni caso giustificata da validi motivi e che il metodo usato deve tener conto della salute e della dignità personale dei coniugi. I pronunciamenti dci diversi sinodi di questi ultimi anni vanno appunto in tale direzione. " Cl. F. BOcKLE, Nati.irliches Gcsetz als gottliches Gesetz in der Moraltheologie, in: F. BòCKLE - E. W. BOcKENFORDE, Nalurrtcht in der Kritilt, Mainz 1973, pp. 16.5-188.

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110 a. 3 ad 4). Proprio in quest'ultimo esempio Tommaso sembra ricorrere ad un'argomentazione che il neotomista qualificherebbe come 'essenzialistica'. Essa però va inqùadrata nell'intero contesto della dottrina tomana. Qui potremo riferirci alla dottrina delle cosiddette inclinationes naturales (1-11 q. 94 a. 2). Con l'intera teologia del tempo Tommaso riconosce l'inclinazione di tutte le sostanze all'autoconservazione, l'inclinazione di tutti gli esseri sensibili (uomini ed animali) alla conservazione della specie e l'inclinazione propria dell'uomo ad agire secondo natura. Approfondendo questo problema dal punto di vista speculativo, Tommaso mostra come il soggetto morale venga predisposto dalla natura ai compiti che è chiamato ad assolvere, in quanto, con il proprio riflettere e mediante il suo intelletto pratico, egli fa esperienza di un'inclinazione che appare necessaria, buona ed auspicabile. Le inclinazioni naturali costituiscono cosl il terreno sul quale l'uomo deve procedere per configurarsi. 't qui che emergono .i bisogni fondamentali della vita umana, i quali esigono di essere regolati mediante la ragione.ll Ma non esistono premesse di fondo dalle quali si potrebbe dedurre il modo concreto in cui quest'autorealizzazione dovrà poi effettuarsi. Per Tommaso la sua teologia morale speciale non è un trattato giuridico bensl una dottrina delle virtù. La sua problematica ruota attorno alla questione del componamento corretto che la persona morale deve assumere. Si tratta di proporre i reali termini in cui deve esprimersi un uomo giusto, verace e pienamente formato. Certamente, l'atto e mediante questo pure l'habitus risultano determinati dall'oggetto cui ci si riferisce. Tuttavia non si tratta di formulare delle norme assolute di comportamento, ma di esprimere i fondamenti su cui poggia l'agire corretto di un individuo nel suo comportamento morale. Il problema di fondo che si pone è il seguente: la giustizia, o l'atteggiamento che ad essa s'ispira, è una virtù speciale, e perché? Si risponde affermando che la veracità è una virtù speciale, poiché indirizza l'uomo sotto un particolare rispetto, verso un agire onesto. Si riconosce infatti l'ordine peculiare che si stabilisce quando il nostro interno - fatto di parole o di azioni - in modo conveniente è orientato a qualcosa, come il segno a ciò che è significato (c/r. rr - 11 q. 109 a. 2). Ci troviamo di fronte ad un asserto della ragione speculativa, «comprende l'uomo e l'intera sfera del suo poter-essere nel quadro di un ordine generale». 14 Tali proposizioni sono 'rilevanti' per l'agire, ma non offrono delle regole che si riferiscano immediatamente all'agire stesso. Nello stesso tempo Tommaso potrà anche dire che l'intentio naturae di colui che parla è quella di esprimere ciò che egli pensa e percepisce, per cui la non veraci" Questa interpretazione trova conferma soprattutto nel Responsum ad 2 nella l·U q. 94 a. 2. " W. KwxEN, Philosophische Ethik bei Thomas von Aquin = Walbcrbcrgcr Stu·

dien, Phil. Reihe, voi.

II,

Mainz 1964, pp. 62 s.

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tà sarebbe contraria alla sua natura e quindi contraria alla stessa natura umana (cf. 11-11 q. 110 a. 3). La menzogna contraddice fondamentalmente l'ordine di ragione. La veracità, intesa come forma fondamentale della verità, risulta congiunta a tal punto con l'ordine di ragione che costituisce, per cosi dire, il suo stesso a priori. Sembra che lo stesso principio della razionalità arrischi di sfociare nell'assurdo. Per la legge morale naturale la «inclinatio ad bonum ucundum naturam rationis» è semplicemente fon· damentale. L'uomo ha la possibilità uad hoc quod in societate vivai» (1-11 q. 94 a. 2). La struttura fondamentale della dottrina tornane è chiara: l'agire morale è in prima linea un agire conforme a ragione, un agire che non può realizzarsi in. modo contraddittorio e che soltanto come tale può concretare e condurre a pieno compimento la natura dell'uomo. Per G. VAZQUEZ, la legge morale naturale è la stessa natura dell'uomo dotata di ragione. Contro il volontarismo egli sottolinea con forza che la natura dell'uomo, riferita alla propria non contraddittorietà interna, è asso· lutamente indipendente da ogni elemento di tipo volitivo e razionale. La natura ontologica dell'uomo trova il suo fondamento ultimo nella natura di Dio, per cui non è in contrasto con il conoscere ed il valore di Dio. Siccome l'essere divino può essere concepibile soltanto nella sua non con· traddittorietà interna, anche la natura razionale dell'uomo è contrassegnata da una non contraddizione interna. Questo principio dell'assenza di contraddizione interna nella natura dell'essere costituisce il fondamento ontologico del sistema di Vazquez. Dalla non contraddittorietà della natura ra· zionale come tale («natura rationalis q114Jenus ralionalis»), emerge poi l'obbligo incondizionato morale. La natura razionale priva di contraddizioni non costituisce soltanto un motivo di obbligatorietà ma svolge anche una funzione normativa. La ragione pratica deve analizzare la concordanza o non concordanza di un'azione con la natura razionale, da cui deriva l'obbligazione nel senso più sopra descritto. Circa il problema del modo in cui la .natura dev'essere più specificamente determinata nei suoi contenuti, Vazquez non ci offre alcuna indicazione diretta. Ma se si approfondisce meglio quanto egli ha scritto. su certe questioni pratiche, si giunge all'interessante risultato che neanche una volta questo autore, affrontando dei problemi concreti, fa leva sulla natura dell'essere. La valutazione morale poggia talora sulla struttura razionale, tal'altra sulla natura biologica, sull'istinto naturale o sulla natura dell'oggetto. Questo ricorso ai dati più diversi mostra chiaramente uche qui ci troviamo di fronte al tentativo di un uomo pensante che vuol trovare e motivare il contenuto delle norme etiche, quale che sia la via seguita per giungervi. Ma sembra altrettanto chiaro che una simile motivazione è relativa, condizionata cioè dal tempo

" José

M.

GALPARSORO

ZuRUTUZA,

Die vernunftbegabte Natur, Norm des Sit-

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e dalla nostra conoscenza». 35 La lex naturalis, cioè la natura razionale e priva di contraddizioni dell'uomo, e l'attuazione della realtà umana sostanzialmente ad essa conforme devono essere rigorosamente distinte dal giudizio concreto di ragione, in base al quale si stabilisce che questa o quell'azione sono conformi a natura. La valutazione concreta di ciò che è conforme a natura deve ispirarsi a dei criteri che non sono in grado di comprendere l'intero. Essa rimane dunque relativa, supponendo la distinzione fra legge naturale e giudizio di ragione. FRANCISCO SUAREZ compie un passo importante nella direzione di una morale oggettiva e previa, che egli ricollega al principio d'obbligazione della volontà divina. Questa volontà di Dio non si identifica con la struttura ontologica dell'atto. Non si dimentichi, però, che nell'atto di giudizio sulla correttezza o meno di un'azione si manifesta la volontà di Dio, che conferisce ad essa una normatività incondizionata. La legge morale naturale assume questo giudizio e comanda o vieta l'atto rispettivamente buono in sé od in sé disonesto. A tale proposito Suarez sottolinea espressamente che per comprendere un simile precetto naturale csi dovranno analizzare le rondizioni e circostanze in cui l'atto in questione è in sé disonesto o buono•. Appare cosl chiaro che la «11111liti4 i1'tri1's«a• non è sinonimo di un divieto assoluto. Si apre allora la via per un riempimento della legge morale naturale con delle norme concrete di comportamento, mentre più tardi si giunge alla divinizzazione piena ed assolutizzazione completa dcli'ordine ontologico. Verso la fine del sec. XIX e l'inizio dcl xx, nella teologia morale si afferma una nuova concezione del diritto di natura. Al posto di un ordi1'e ru.ionale obiettivamente fondato, subentra l'ordine naturale od ontologico divino, in cui è implicita la volontà stessa di Dio. Nel suo studio sulla posizione che la teologia morale dcl cattolicesimo prese da Alfonso dei Liguori in poi circa i rapporti sessuali prima e al di fuori del matrimonio, Bruno Schlegclberger ha seguito le diverse tappe di questa evoluzione. J6 Per gli sviluppi più recenti, egli richiama l'attenzione soprattutto sull'importanza assunta da Arthur Vermeersch.H Questo autore rimprovera ai moralisti dei secoli XVIII e XIX di aver considerato l'ordine morale come un ordine giuridico obiettivamente fondato. In tal caso l'ordine morale appare come un ordine secondario, un ordine cioè che viene elaborato e motivato dalla ragione morale in base alla realtà in cui ci tro-

tlichm und Grund der Sollensforderung. System11tùche Untersuchung der NtJJurrechtslehre G11briel Vazques' (tesi di laurea), Bonn 1972, p. 20,. •• Bruno ScHLEGELBERGER, Vor- und 11usserehelicher Geschlechtsverkehr. Die Stellung der k11tholischen Moraltheologen seit Alphons von Uguori, Remscheid 1970. 17 lbid., pp. 128-135.

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vinmo posti. In questa prospettiva i singoli atti vengono valutati secondo l'importanza dei loro oggetti e delle possibili conseguenze cui conducono. Bisogna invece riconoscere il vero carattere della legge morale divina. Questa ci è data nell'ordine ontologico. L'ordine morale deriva immediatamente dall'essenza dell'uomo e dal mondo in cui questi vive. Ad esso si può giungere attraverso l'esperienza, cioè mediante la generalizzazione e l'astrazione. In linea di principio questo ordine, in quanto ordine ontologico, è immutabile. ~ l'ordine stesso di Dio. Una sua violazione è quindi, in ogni caso, intrinsecamente disonesta. Si può distinguere soltanto fra ciò che aumenta o diminuisce la gravitas materiae. Quest'ordine può venir violato nella sua sostanza od anche soltanto nella sua integrità. Una violazione che si riferisca all'uomo ed alla sua costituzione naturale dev'essere considerata sempre peccato grave. 38 Peccato veniale verrebbe invece considerata quella violazione che attenta l'integrità dell'ordine.

Nel campo della teologia morale è ormai acquisito che l'ordine morale è ancorato a dei valori fondamentali che l'uomo non può mettere in questione ma deve accettare come normativi. È proprio ciò che arrischia di compromettere un impiego eccessivo della conoscenz.a di tipo metafisico. Già negli anni cinquanta KARL RAHNER metteva in guardia contro una simile argomentazione teologica sul diritto naturale. 39 JosEF RATZINGER richiamava poi l'attenzione sulle conseguenze di tale sviluppo: «Quando si cerca di motivare e derivare sul piano metafisico i valori, non si attende sufficientemente alla possibilità fondamentale della metafisica, per cui l'intero corre il rischio di sfociare nel terreno dell'immotivato, dell'irreale, del fittizio». 40 Quando ci riesce difficile applicare i valori di fondo all'agire concreto, non possiamo sostituire una motivazione plausibile con un modo positivistico d'argomentare sul diritto di natura, quel modo «che tramuta una presunta metafisica in una costituzione teocratica del magistero dottrinale [ ... ] Ciò che si vorrebbe far passare come regola pragmatica può diventare insopportabile, se viene proposto come verità eterna " Cf. A. VERMEEllSCH, Dt cartitate et de vitiis contrariis, Roma 1921', n. 30': testo citato da B. SCHl.EGEl.BP.RGER, op. cit., p. 129. " Cf. K. RAHNER, Bcmerkungen ìiber das Naturgesetz und seine Erke1111barkeit, in: Orientierung 19 ( 1955), pp. 239-243. '"J. RATZINGEll, Theologie und Ethos, in: K. ULMEll (a cura di), Die Verantwortung der Wisrenschaft, Bonn 197', pp. 46-61, qui alla p. 57.

CONOSCENZA D! FEDE E NORMA MORALB

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della lex naturalis». 41 In che modo la fede potrà qui garantire una sicurezza ancor maggiore? 2. Conoscenza di fede e norma morale

Quando si discute sullo specifico dell'etica cristiana,42 talvolta ci si pone la questione se nell'ambito dei rapporti inter-umani (a differenza di quelli specificamente religiosi) per il cristiano si diano delle norme esclusive. lo ritengo che questo modo d'impostare il problema non sia affatto felice. In un più ampio nesso di fondazione può essere anche interessante dal punto di vista teorico analizzare fino a che punto le diverse istam.e avanzate da Gesù o dalla chiesa primitiva presentino dei parallelismi con il mondo extra-biblico. Ma non è questo il nocciolo e il senso del problema dello 'specifico'. Qui l'interesse del dibattito si fonda sul compito che il cristianesimo è chiamato ad assolvere a favore del mondo. In tale contesto R. Spaemann ritiene che il cristianesimo «non abbia, in riferimento all'universalismo moderno della civiltà tecnologica, gli stessi problemi di adattamento che riscontriamo nelle altre religioni. Come si è già spesso osservato, qui lo spirito viene scoperto dal suo stesso spirito. Il comandamento dell'amore del prossimo non è legato ad un èthos determinato, ad una forma determinata d'autorealizzazione dell'uomo, ad un determinato ordine preferenziale di valore [ ... ] Sembra che il cristianesimo elimini le distinzioni, come già all'inizio aveva eliminato quelle esistenti fra ebrei e pagani. Da questo punto di vista l'unico imperativo del cristianesimo dovrebbe consistere nell'eliminare quei residui che ostacolano il ristabilimento di un ordine di consenso universale».0 È appunto quest'ordine universale che hanno di mira coloro che si mostrano scettici nei confronti di un'etica cristiana di tipo «statutario». Questi autori ritengono che dovrebbe essere possibile trarre le conseguem.e che per il comportamento inter-umano derivano dalla fede in Dio e nella potenza del suo amore liberante, per renderle poi comprensibili a tutti gli uomini. In sostanza si tratta della comunicabilità del mes" Ibid., p.

n

" Vedi l'esposizione nella sezione prima, pp. 26 ss. " R. SrAEMANN, Christliche Religion 1md Ethile, op. cit., p. 286.

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saggio morale di Gesù, non di una disputa circa la sua originalità cd esclusività. Basterebbe tener conto di questa af fermazionc per sgombrare immediatamente il campo da alcuni malintesi. Certo, l'esegesi ha ragione di mostrarci in che modo la chiesa primitiva ha recepito criticamente le diverse norme. Questo, però, solo per riproporle come messaggio universale indirizzato a tutti gli uomini. Ciò che qui è decisivo non è la ricezione dell'ètbos del mondo da parte dcl cristianesimo,44 ma soltanto il far trasparire la verità che il Figlio, quando si è fatto uomo, è venuto nella sua 'proprietà'. Dovremo innanzitutto analizzare le norme morali nella loro possibilità d'essere comprese in "'~ porto alla fede, per poi trarre alcune conseguenze che derivano dal/11

fede cristiano. a.

La comprensibilità del dato morale

Agire in modo morale significa agire responsabilmente. E ciò comporta un agire con discernimento. Questo non significa che colui che agisce debba rendersi esattamente conto, ed in ogni caso, dei motivi rea· li di un'azione determinata, perché solo cosi si comporterebbe in modo responsabile. Può essere sufficiente che egli si lasci guidare da un'autorità competente, capace di compiere questa analisi. Nel caso in cui, invece, non si riuscisse a scorgere i nessi reali, o se colui che agisce non potesse in alcun modo discernere ciò c~ di fatto compie, non si può nemmeno parlare di un'assunzione di responsabilità. Qui la decisione morale verrebbe ridotta al puro atto di un'obbedienza formale. L'azione compiuta nello spirito di questa obbedienza poggerebbe senz'altro, indirettamente, su un atto morale, quello appunto dell'obbedienza; formalmente però non potrebbe venir considerata come un vero e proprio atto morale, che come tale dev'essere fondamentalmente comprensibile. Di conseguenza, anche le norme attraverso le .. Sull'idea di comunicazione fanno leva anche quegli autori che - prospettando un determinato nesso di fondazione - sostengono la necessità d'integrare l'èthos del mondo o l'idea d'autonomia nel contesto dell'etic1 teologica. Il loro ragionamento è cbi1ramente rivolto contro ogni tentativo del pensiero ecclesille di divinizzare ed asolutizzare i giudizi monli, compromettendo cosi ogni pos1ibilità di comunicazione. a. A. AUEll, Ein Modell theologisch-cthischer Argumentation: Autonome Mora!, in: A. AuEll, A. B1ESINGE1t, H. GuTSCHEllA, Moraltrzithung ;,,, Rtligionsunttrricht, Freiburg 197', pp. 27-57.

CONOSCENZA DI FE.01! I! NORMA MOllALE

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quali regolare il nostro rappono responsabile con il mondo e l'uomo, devono risultare fondamentalmente accessibili all'analisi razionale, umana. 0 Ciò non esclude affatto che i singoli valori, che determinano una norma, possano ricavare dalla fede nella rivelazione un motivo specifico che le fondi: essi devono però risultare validi per l'agire concreto dell'uomo. Ne consegue che la validità di una norma morale come tale non può venir ricondotta semplicemente ad un atto autoritativo, come neppure ad una semplice attestazione della Scrittura e Tradizione: la norma deve risultare chiara nella sua sostanza. Più precisamente dovremo allora chiederci che cosa s'intende affermare quando, con la teologia morale tradizionale, si parla di «imperativi morali rivelati». In nessun caso qui ci si wol riferire - se si prescinde dalla decisione di fede e clalla prassi rcligioso-saaamcntale - a degli imperativi che rimarrebbero inaccessibili alla nostra ragione. 2 vero invece che la tradizione teologica attesta che la morale della rivelazione è la vera morale razionale, che proprio in questo modo ottiene la sua conferma." · " Non annoYCriamo tra le norme monli (111orts) in senso stretto le prescrizioni di determinati atti religiosi (putcciparc all'eucarestia, ~ il bettcsimo, coofesun: tutti i peccati gravi). Ovviamente la mdizione COflOllCe miche un'8CCeZiooe più lata del ronce110 di 'morts'. Quelle pl'elCrizioni rientrano quindi fra le «traditiones [ ... ) ad morea per1inentes» (DS l '501), an:il è probabile che fo11ero implicite nella stessa duplice formula impiegata dal concilio di Trento: «IUm ad fidem, tum ad morcs• (d. ]. MuaPHY, TM Notion of Trtuiilion, Milwaulu:e 19'9, 1ppendix lii: 'Fllilb •"" Mortds' •I Treni, pp. 292-300). Ciò non esclude che l'espressione 'fidts ti "'orts' abbia assunto un'accezione più 1111 presso i canonisti e teologi dei lltt. Xli e xm (d. Y. CoNGAI, Die Tr•dition """ dit 'fr•di/.iontn, voi. t, Mainz 1965, p. 194), per aubire poi, nell'età post-tridentina, un ulteriore mutamento Ji significato (cf. M. BÉVENOT, 'Fait and Morals' in the Council1 of Trent and Vatican t, in: The Htythrop }ou,11111 J [ 1962], pp. 15-30, spcc. 16 •. .. Ciò vale per Tommaso d'Aquino, come potremmo ricavare da una interpretazione corretta delle qu11tslio11es che ri11uardano la lex divin• (S. Th. 1-11 q. 98 ss.), in riferimento alla lex n•l11r11lis. Ma ciò vale - come ci attestano le indicazioni offerte, verao la fine, dalla tesi di laurea di A. Riedl - anche per la larda arolutica (0. Soto, F. Suarez); si tratta di una opinione prevalente verso la me1ì dcl sec. XIX, e non viene contestata dal concilio Vaticano I. Una testimonianza particolarmente chiara 1 questo proposito è quella del moralista di Treviri Pctrus Josephus Webcr, che verso la fine del sec. XVIII, nella sua 'Dinerl•lio 1hrolo1,ica inau1,11ralis de genuin• ide• moralis christi•nat' scriveva: •Nonne Mnh. xxn. pro basi moralis chris1ianac duo illa magna praccepta amori•, quae ipsissima et prima aunt iuris n1turac principia 1unt posita? vi· de S. Augustinus Enarrat. in Ps. 56. et S. Chrysostomu1 Expos. in Ps. 147-110. A1que ex hac iuris naturae cum revelatione concordia fluic illud theolo11orum celebra1i11imum principium, nullam a scrvatore nostro lc11em ro11atam e11e, 4uae non sit iuris n1tur1li1, cxceptis his, quac pertinent ad fidem et Sacr111Denta• (/bid., p. 19).

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Ciò pone il problema fondamentale del rapporto esistente fra proposizioni di fede e proposizioni morali-normative che dal punto di vista della teologia della rivelazione vengono formulate nel quadro dei rapporti inter-umani. Per entrambe le categorie bisogna ammettere che si tratta sempre di espressioni che rientrano nella sfera concettuale e mentale dell'uomo, e che quindi devono seguire le leggi del linguaggio e dei concetti umani. Ma esistono anche - almeno stando al modo tradizionale di concepire la rivelazione - delle differenze. Mentre gli asserti di fede esigono l'accettazione di verità (i misteri) che non possono venire conosciute senza la rivelazione e la cui conoscenza arriva solo fino al punto di dimostrare che non sono assurde, da quanto abbiamo detto la validità delle norme morali dipende da una conoscibilità di tipo positivo. Qui emerge una distinzione fondata sull'analogia: non si tratta di differenze puramente quantitative, bcnsl qualitative, condizionate dall'oggetto e funzione delle due specie di asserti. 47 Mentre le proposizioni di fede sono asserti che si riferiscono a Dio ed al rapporto dell'uomo con Lui, e non possono assolutamente venir comprese in modo univoco, le proporixioni normative devono avere un carattere univoco (che da quanto si è detto non significa 'assoiuto'), se intendono determinare e regolare l'agire concreto dell'uomo. In altre parole esistono dci misteri di fede, non però delle norme morali 41 a. K. RAHNl!.ll, Zwn lkgriff der Unfehlberkeit in dcr katholischcn Thcologic, in: IDEM (a cura), lum Problem Un/ehlbt1Tluil = QD 54, Freiburg 1971, p. 2.5. In questa differenziazione Rahner vede un •probkma, di per sé importante e mai avvertito nella sua profondità, delle 'cliissi' lloRichc:I dqili enunciati di fede•. Ma un'analisi potrebbe senz'altro farci capire «Che la differenza fra proposizioni teologico-morali apparentemente sicure e concretamente verificabili nel loro senso, da una pani:, cd enunciati di fede 'metafisici', dall'altra, non è poi rosi grande e chiara come si sarebbe propensi a ritenere». Per giustificare questa affermazione l'autore afferma che «queste proposizioni teologi~rnorali vogliono e devono essere proposizioni della fede», poiché esse csono se stesse soltanto se viene ~realizzato il loro rapporto con il mistero assoluto». Ed è vero, in quantO l'azione, che risulta nel suo contenuto determinata dalla proposizione normativa, ouiene la sua obbligatorietà assoluta (il carattere del dovere) e il proprio riferimento alla salvezza soltanto dal rimando trascendentale dell'anuazinc: umana della libertà. Approfondiremo tra breve 11 discorso. Per ora ci limitiamo ad osservare che da questa affinità tra proposizioni doitmatichc e proposizioni teologi~ morali non emerge ancora il trtzlto specifico delle proposizioni normative. Questo deriva dalla funzione: regolativa che esse svolgono per l'agire categoriale. E bisogna che risulti assolutamente chiaro quando si assume un rapporto con la realtà.

CONOSCENZA DI FEDE E NORMA MORALE

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misteriose, la cui correttezza, nell'agire inter-umano, noi non potremmo determinare in modo positivamente chiaro ed univoco. Altrimenti ci troveremmo di fronte ad un puro ordine divino, non ad una norma di tipo morale. Il mistero vero e fondamentale della fede cristiana sta nel fatto - improbabile, o addirittura 'impensabile' - che Dio ama l'uomo. 48 Questa verità può essere compresa soltanto per fede e 'analogice', il che non significa in modo esistenziale. In questa comprensione essa assume comunque un'importanza antropologica, che presenta delle conseguenze decisive anche sul piano etico. Ciò non significa mettere in questione quanto siamo venuti fin qui affermando, ma piuttosto farci capire meglio che· con la differenza formale fra proposizioni di fede e proposizioni morali-normative abbiamo toccato soltanto un aspetto, anche se molto importante. Rimane da considerare l'altro. b.

L'influenza della fede

La fede, in ciò che Gesù ha fatto e detto ha spinto la chiesa primitiva ad assumere un comportamento, sia nei singoli membri come nelle diverse comunità, che ci autorizza a parlare di un èthos comunitario cristiano. Potremo forse qualificarlo come 'statutario' o 'particolare', vedendo in esso un'impostazione esdusivistica e settaria? Niente affatto! Questo èthos di fede, nella sua impostazione antropologica, risulta invece umano e comunicabile. Il tratto che lo caratterizza non sta nell'esclusivismo delle sue proposizioni normative, bensl in un atteggiamento di fondo basato sulla fede, in un nuovo orizzonte di comprensione, che naturalmente conferisce un particolare valore alle diverse norme particolari che riguardano il çomportamento. aa. Nella fede nell'opera salvifica di Dio in Gesù Cristo l'attuazione morale della libertà trova il suo fondamento e senso. Il continuo ricordo della parenesi protocristiana, di ciò che Dio per mezzo di Cristo ha fatto e continua a fare nell'uomo, indica cosl la ragione determinante e il leitmotiv cui s'ispira la vita morale dei cristiani. S'esige

.. a.

H.

u.

Solo l'amore

~

von BALTHASAK, Gl4Ubb11/t ist '"" die Liebe, Einsicdcln 196) [!rad. il.

credibile, Boria, Torino].

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POSTI NEL MONDO

una decisione di fondo (µ.nci.vo~«, conversione), che è considerata un «fundamentum et radix» (DS 1532) dell'intera esistenza morale. Questa nuova esistenza acquisita 'in Cristo' conferisce poi alla vita intera una direzione specifica. «La vita cristiana, vissuta cioè nella grazia, nella fede e nella carità, può essere soltanto una vita che attinge dalla pienezza, una vita dunque di riconoscenza: cucharistia»." Questa «sottomissione dell'esistenza intera alle istruzioni impartite dal Signore elevato in ciclo (Io. 8,12)»,'0 questa sequela ed imitazione di Cristo riguardano in prima linea l'attuazione trascendentale della libertà. Giustamente J. Fuchs parla di una «intenzionalità cristiana., di un «esser-si-decisi» 51 e di un «permanere nella decisione», ciò che naturalmente esige anche una concretizzazione in delle scelte più elevate di tipo categoriale-morale. Si tratta di quella scelta di fondo che Dio ha operato ncll 'uomo e di cui abbiamo già parlato ncll 'introduzione. ~ la risposta che noi diamo continuamente, ispirati e sorretti dalla presenza di Dio e dalla sua forza d'attrazione. Essa si realizza nella varietà dci singoli atti, ma non può venir posta sullo stesso piano di questi. Per un verso ciò significa che l'azione umana come tale non assume un 'importanza salvifico-costitutiva. La salvezza che ci è stata promessa non può essere intesa neppure come il modo in cui, attraverso l'impegno umano, noi saremmo chiamati a condurre a compimento pieno la realtà del mondo. Per il cristiano ciò significa che nella vita umana non è la prassi a conferire senso, bensl la contemplazione di ciò che da sempre esiste. D'altro canto l'agire umano non~ • H. U. von BALTHASAJl, Mcrkmalc dcs Cluistlichcn, in: IDEM, Verb111rr C.o, Sltizu11 iur Thrologi~. Einsiedcln 1960, p. 179 [1rad. ii. Verb""' C11TO, Morcdliana, Brescia]. Balthasar s1abilfsa una ronirapposizione ha vi1a cris1iana e vita naiurale, dove qucs1'ultima «può csscrc sohanlo, nel senso dell'eros pla1oniro, una vita vissuta nell'indigenza e nel soddisbcimcnto dci bisogni. Essa aspira incasantcmmte cd insaziabilmente alla picnezz.... ,. R. SCBNAaENBuaG, Biblischc Ethik 11, in: SM 1 (1967), 547. " ]. fUCHs, Gibt es cinc spczifiscb christlichc Moral?, in: StdZ 185 (1970), pp. 99-112, qui alla p. 102. a. IDEM, Moraltheologie und Dogmatik, in: Gr. (1969), pp. 689-716. A proposito della dogmatia della moralità trascendcotalc, a ngionc Fuchs sonolinca che la teologia morale, quando cin modo più o meno esclusivo. riflette sulla •natura categoriale• dell'atto sinaolo, corre il rischio di non vcdcrc ..come nell'atto ri ruliui l• perro1111 e come questa autorcalizzazionc sia soprtUtNllurllle56 11 , p. 9~. d. p. 122. Cosi pure: H. Noklin, A. Tnnquerey, Varceno ed nhri " J. Mwsa11c11. Kalhm. Morallhcol. voi. 1. Miinster 1922'-'. p. 12; J. MAusBACll · G. ERMECKE. voi. 1', pp. 44 s. Su posizioni nnalo11hc nnchc K. HoRMANN, Lexileon Jer chrisllichen Mora/, lnnsbruck 1969, p. 876. '' Ad esempio: la gravità dcll'aduherio, infanticidio e aborto. Si presuppone romunque un com-etio molto generale cnlro cui comprendere simili casi e non si affronta il problema di eventuali eccezioni. Cf I.. vnn Pi::n:catF.M, Zcrkcrhcidsgraden in Moraaltheologic, in: Culi. Grat1d 28 (194'), pp. 173-175.

]. AERDNYS -

e

ClllESA E NORMA MOl!ALE

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diverse proposizioni morali. 74 Si ha l'impressione che non si voglia, più o meno intenzionalmente, distinguere in modo rigoroso fra risoluzioni infallibili e quelle fallibili. Peraltro tale incertezza non presenta alcun risvolto importante sul piano della prassi. È vero che non si pretende dai fedeli un assenso assoluto quando non si è certi dell 'infallibilità. Ma è anche vero che essi non possono appellarsi alla proposizione (che si vuol far valere nei confronti delle opinioni private) «la autorità vale quanto valgono i suoi moviti». «Benché a qualcuno la disposizione. della chiesa non sembri giustificata dai motivi che vengono addotti, rimane pur sempre l'obbligo dell'obbedienza». 75 Nessuna difficoltà se con questa obbedienza s'intende l'obbedienza ecclesiale nei confronti di una legge ecclesiastica positiva. Ma questa dichiarazione diventa problematica nel caso in cui - come emerge dallo stesso contesto - s'intende offrire un asserto interpretativo, cioè un'opinione dottrinale che riguarda un problema della ragione morale. Qui l'agire morale e responsabile di un individuo maturo dovrà fondarsi soprattutto su delle convinzioni, per cui ciò che innanzitutto conta è il peso delle motivazioni che s'adducono. In simili questioni ci si potrà anche fidare della guida di persone competenti, se si è convinti che l'autorità si fonda soltanto su delle motivazioni reali. Ci si deve servire anche in modo ragionevole della morale di ragione. In ogni nostro passo dovremo attendere alla sua struttura categoriale. Bisogna poter esprimere in modo argomentativo la legge morale naturale. Quando ci si rivolge agli uomini della nostra società, siano essi credenti od increduli, non si può appellare al criterio morale di ragione ed allo stesso tempo esigere un'obbedienza morale che non si fonda su dei motivi di ragione. Questo spiega la crisi d'autorità che si è " Cf. J. D. B. HAWKINS, Christidn Mortdity, London 1963, p. 63. L'autore ritiene che non sia possibile individuare una lunga serie di definizioni solenni in campo morale, a differenza di quella che riscontriamo invece nell'ambito teologico. Il cristianesimo, infatti, non offre un nuovo codice morale. In linea di massima i comandamenti possono essere conosciuti mediante la ragione e difesi con motivi razionali, per cui non hanno bisogno di enunciati dell'autorità ecclesiastica, espressi in modo analogo alle formule di fede. Ciò non toglie che la chiesa debba ammonire, in campo morale, anche se in modo meno solenne. " Pio xn, Discorso del 2 nov. 1954, citato da K. HC>RMANN, Die Zustiindigkeit der Kirche fiir das Naturrccht nach der Lehre Pius' xn, in: J. HoFFNER ed altri (a cura di), Naturordnung, Festschrift f. ]. Messner, lnnsbruck f961,. p. 143.

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POSTI HEL MONDO

determinata con l'Humanae vitae. Un magistero ed una teologia che credono di conoscere, attingendo ad altre fonti, qualcosa di più di ciò che dei motivi razionali esprimono a riguardo di una questione morale, devono dire chiaramente ai cattolici ed a tutti gli uomini di buona volontà da dove essi attingono tali convinzioni e perché meritino maggior fiducia. Altrimenti la loro argomentazione vale nella misura in cui sono in grado di comprovarla. Nessuna paura, dunque, quando si disponga di buoni argomenti. Il modo in et.li la chiesa ha preso posizione su certi problemi di giustizia sociale o di una politica atta a garantire la pace nel mondo, e la risonanza che tali posizioni hanno avuto mostrano abbastanza chiaramente che la chiesa acquista un'autorità morale nella misura in cui si sottopone ad un confronto aperto e fondato sul ragionamento. c.

La competenza dottrinale specifica della chiesa

Secondo la concorde dottrina dei due concili vaticani, 76 la competenza dottrinale specifica della chiesa nella sfera morale consiste nell'applicare la fede alla vita morale. Nella 'Lumen gentium si dice espressamente che il magistero deve cfidem credendam et moribus applican.dam praedicare» (n. 25). Si pongono cosl due questioni estremamente concrete. Innanzitutto quali sono gli effetti che una specifica prospettiva di fede determina per la conoscenza morale; più in obliquo quali possono essere le ripercussioni che un incremento di conoscenza nell'èthos del mondo determina per il messaggio di fede (sancte custodiendum et fideliter exponendum). 11 Si potrà formulare una rispo'• •lo sostanza, fra il 'ramquam divinirus rcvdara crrdmda' della cosriruzionc 'Dci filius' e il 'ramquam dcfinirivc cn:dcoda' della 1..umrn grnlium non corre alcuna diffc· ttllZll. Infatti, come nella srcssa definizione dcll"infallibilità dc:I papa (docrrinam dc fj. dc vd moribus ab univcrsa Ecclcsia tcncodam :lcfinir: DS 3074). il 'definitive tenere' si riferisce alla stessa f~c che dev'essere manrenuta nella chiesa•. E. KLINGUI, Die Unfchlbarkcit dcr ordcntlichcn Lchramtcs, in: K. RAHNl!R la cura di), Zum problrm Un/rhlbarkril = QD 54, Frciburg 1971, pp. 277 s. " a. K. RAHNEI, Kommcntar zu An. 2~ dcr Dogma1ischcn Konsliturion iibcr dic Kirchc, in: LThK Vat., voi. 1: cCoo ciò (J11nctr custoJirndum) \"cngono inclUIC ncll'oggctto dcll'au1orità magistrale anche qudlc verità che servono a salvaguardare il puino deposito della rivelazione, anche se non sono stare rivelate formalmcmc (in modo esplicito od implicito)• (n. 236). Se queste verità e la relativa /iJrs rcclrsiastica sono possibili (tema controverso fn i dotti), bisognerà allora chi~rsi se

CHIESA E NOIMA MORALE

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sta adeguata soltanto se si attende alla vera 02tura del dato morale. L'abbiamo già analizzato quando si trattava di approfondire la fondazione della norma. Tenendo conto dei risultati cui siamo allora giunti, potremo ora illustrare alcune consegueme che s'impongono per l'«applicatio fidei» nella sfera morale: aa. All'atto trascendentalmente morale, la fede dischiude il suo fine vero e completo. Il rapporto con la salvezza, che viene affermato dalla dottrina della grazia e della giustificazione, appartiene senz'altro alla dottrina classica della chiesa. bb. Questo fine garantisce anche, in conformità alla fede, la sollecitazione teonoma dell'uomo nell'autoattuazione della sua libertà. La chiesa deve difendere questa istanza teonoma da ogni tentativo d'interpretazione ideologica del 'dovere' e quindi pure d'assolutizzazione dei valori contingenti. Dev'essere però anche consapevole che la legittimazione teonoma del dovere non modifica né limita la ragione creaturale, ma la rispetta e favorisce proprio nella sua creaturalità. cc. In una prospettiva di fede, le norme concrete che riguardano il comportamento morale possono trovare sia una loro conferma come anche una motivazione migliore (ricordiamo ad esempio il diritto di disporre delle persone, il vincolo della fedeltà coniugale, ecc.). Il magistero dovrà quindi confermarle nella loro validità. Particolanncnte impanante qui è la nostra prospettiva di fede entro cui viene compreso l'uomo. Anch'essa potrà comunque tramutarsi in delle prescrizioni soltanto nella misura in cui esprime un chiaro predicato di valore. Bisogna poi tener presente il fatto che, mediante la conferma dote quali idee morali debbono essere considerate indispensabili per 11aran1ire il depo1i· tum rr1•rlotwn11. Prima però bisogna sapere esattamente: quale sia questo Jepo1itum in re morllii. Basta una conoscenza minima del!c: regole: ermc:nc:utichc: per convenire che qui non basta richiamarsi alla presc:nza materiale di un 'istanza morale: nella Scrittura o nella Tradizione. Come abbiamo aià avuto modo di osservare, le: istanze: etiche: concrc· le che: la Bibbia ci presenta sono leple all'intero procc:sso s1orico-cuhuralc, un procc:sso che: continua ancora. Il vero problema sta nell'individuare l'esano rapporto che: SUI· siste tra fede e: progresso morale, e viccvena. " Qui non prendiamo in considerazione i principi etici universali; la loro validità assoluta deriva dalla loro stessa natura 1autologico-nplicativa.

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POSTI !llEL MONDO

trinale e predicazione come tale, le norme morali non assumono il carattere d'assolutezza, esse non si tramutano cioè sempre, senza eccezioni ed in ogni circostanza, in delle norme valide. 78 Valgono in generale ed entro determinate condizioni, vengono mantenute aperte per ulteriori applicazioni e sviluppi dal carattere contingente di queste condizioni. Se la validità risulta garantita da un valore emergente dalla prospettiva di fede, anche le norme possono essere esposte nella loro validità generale e normatività ultima. 79 Ogni generazione della chiesa manifesta il proposito critico-pratico di vivere il messaggio morale del Vangelo nel proprio tempo. Questa dimensione orizzontale del messaggio di Cristo vissuto nel presente si salda con una dimensione storico-verticale di tutte le precedenti epoche. Quel processo progressivo e in certa misura irreversibile che osserviamo nell'autoconoscenza razionale dell'uomo e del suo mondo, probabilmente esercita sempre un'influenza positiva sulla comprensione dello stesso messaggio di Gesù. La storia dello spirito e della cultura d'Occidente non è concepibile a prescindere dalla «storia effettuale dcl vangelo»; parimenti non possiamo nemmeno pensare ad una storia della teologia disancorata dalla storia della teologia. In questo rapporto di condizionamento reciproco sono state acquisite alcune idee di fondamentale importanza per i rapporti fra gli uomini. L'applicatio /idei nella sfera morale mostra un processo reciproco di conoscenza, dove riesce difficile stabilire se l'impulso concreto derivi da un'intuizione teologica o da un progresso della ragione morale. Discutere qui non ha molto senso. Ciò che soltanto importa è che la chiesa conosca e viva in modo sempre nuovo il proprio mandato. Permane ,. Un buon esempio al proposito ci viene offerto dall'anuale ordinamento giuridico, con la proibizione di divorziatt e risposarsi. Il matrimonio rimane indissolubile, a patto che si verifichino queste tre condizioni: marrimonio validalllC'nte rontrauo; matrimonio sacramentale, cioè contratto fra due cristiani; attuazione di questo matrimonio sacramentale. Se manca una di queste condizioni, il matrimonio può essere dichiarato nullo o veilir sciolto. Questa disposizione normativa, come del resto anche le scelte del Tridentino, presenta un duplice aspeno. &prime un'istanza irrinunciabile del Vangelo, che subordina comunque a dei presupposti contingenti. «La prassi cristiana non è semplicemente la dottrina del Vangelo; non è però nemlllC'no 'contro la dottrina del Vangelo' [ ... ]; è 'iuxta', cioè sulla linea del Vangelo, nel senso che lo accoglie e lo concretizza» !J. RATZJNGEll, Zur Frage nach der Unaufl05lichkeit der Ehe, in: Ehr 11. Ehescheidung, Mii. Akademie Schriften, voi. LIX, 1972, pp. 49 5.).

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CHIESA E NOltMA MOltl\LE

infatti la fiducia «che Dio, il quale ha creato gli uomini per la libertà, li conduca anche, con la sua guida provvidente, ad una coscienza sempre più profonda dell'ampiezza e dignità dell'esser liberi che ha loro donato». 10 JOHANNES FEINER

BIBLIOGRAFIA Qui presentiamo soltanto alcuni scritti. Per una bibliografia più approfondita vedi le note del testo e le indicazioni bibliografiche contenute nelle opere qui citate.

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-

11

L.

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loc. cii, p. 4 (richiamandosi ad Hcgcl).

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CAPITOLO SECONDO

LA CONVERSIONE (METANOIA) COME INIZIO E FORMA DI VITA CRISTIANA

Giustamente, nell'appello cli Gesù all'inizio del vangelo di Marco «Il tempo è compiuto e il regno cli Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo• (Mc. 1,15) - , si è voluto vedere affermata, nella forma più concisa ed allo stesso tempo programmatica, l'essenza dell'esistenza cristiana.• Ciò che sembra espresso in queste parole è quanto si deve affermare a proposito cli una esistenza cli fede intesa come diventare cristiani ed essere-cristiani. La «'conversione', infatti, è l'istanza fondamentale e generale attraverso la quale gli uomini vengono posti davanti a Dio e chiamati a date una risposta al V angelo cli Gesù Cristo, al messaggio salvifico cli Dio, nell'ora della salvezza•.2 Stando agli Atti degli Apostoli, dopo aver ascoltato la predica così incisiva di Pietro, nel giorno cli Pentecoste, gli ascoltatori «si sentirono trafiggere il cuore• e chiesero che cosa dovessero fare per giungere veramente a quella salvezza che veniva loro annunciata. Ebbene, la formula, attraverso la quale la risposta che l'atto salvifico di Dio in Gc· sù Cristo da essi s'attende, è la seguente: «Convertitevi (fate penitenza) e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo,. (Act. 2,.38). In queste parole è contenuto l'elemento decisivo, anche se in altre occasioni ci viene espresso in termini diversi ed altrettanto programmatici. Naturalmente, il contenuto significativo di questa formula che compendia l'esistenza cristiana - conversione e fede nel •L'esigenza di 'conversione' o 'penitenza' r... J percorre l'intero Nuovo Tes1amenR. SCHNAC:KF.NBllRG, Umkl'hrprcdigl im Ncucn Tcsramcnt, in: IDl'M, Chmtliche l:xtrlt'>tZ 11ach i/1•111 N1.•11e11 Tcstam1•111 Abhandlungcn und Vnrtriigc t, Miint"hcn 1867. p . .H Cf. 111KhElç). Il battesimo garantisce fin d'ora, ovviamente «soltanto nella misura che questo mondo ci rende possibile»,43 uno stato di perfezione. La fede, che al battesimo conduce, e la collaborazione dell'uomo sono esigite, ma non costituiscono ancora l'aspetto decisivo. Il dono del battesimo, infatti, è grazia, cioè effetto operato dallo Spirito santo. Il battesimo è quindi il .fondamento de& vita cristiana. ~ interessante osservare come 0RIGENE inquadri la propria dottrina battesimale «nella feconda concezione del i:Vit0c; - cruµ(3o).ovµvo-tjpLOV» ... L'avvenimento battesimale viene cosl inserito nel processo storico-salvifico: situato, cioè, fra Giovanni il Battezzatore e suo battesimo e la rinascita nel nuovo cielo e nuova terra. Tipica prefigurazione dell'avvenimento battesimale è l'esodo d'Israele sotto la guida di Dio. Ovviamente anche per Origene la piena efficacia del battesimo suppone la collaborazione piena del battezzato: quella rinuncia al peccato, che si esprime attraverso il battesimo, dev'essere mantenuta nell'intero arco della vita, nella conversione e penitenza continua. Interessante, a questo proposito è anche la chiara presa di posizione in merito al battesimo dei bambini ed alla sua motivazione teologica. In Origene troviamo espressi tutti gli effetti operati dal '' Vedi le esposizioni relative in MS 8, pp. 97 ss., dove si illustri la profondi unità che Ignazio stabilisce fra l'evento della croce e quello della risurrezione, fra il banesimo e la vita (cristiana). " Cf. CLEMENTE Alcss., Paedag. 1, 6,29,1 (Stiihlin, p. 107) . .. B. NEUNHEUSER, Loc. cii., p. 30.

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L'AVVENIMENTO SACRAMENTALE DELLA CONVERSIONE NEL BATTESIMO

battesimo: il risorgere con Cristo; l'essere liberati dalla tirannia di Satana e dalla colpa; la ricezione dello Spirito che costituisce il pegno della 'risurrezione perfetta' (degli ultimi tempi). In questo primo periodo l'avvenimento battesimale viene compreso come un bagno che sta a 'significare' il lavracro ed il passaggio (simboleggiato nell'immersione e riemersione) dalla morte (la precedente vita vissuta nel peccato) alla (nuova) vita in Cristo ma anche e soprattutto come rinascita. Un'idea questa che era già stata preparata in Io. 3 e Tit. 3,5,.., Non dobbiamo tu~tavia dimenticare come proprio tale concetto sia stato evoluto, nella cerchia cristiana, in modo autonomo ed accompagnato da tutta una serie di altre idee e di associazioni simboliche (tipologiche, ecc.) atte a caratterizzare (teologicamente) non soltanto l'avvenimento battesimale ma pure una vita vissuta sul fondamento del battesimo. Ciò che abbiamo detto sulla rinascita, analogamente vale anche per il concetto di 'illuminazione' ( q>w't~aµoc;). Altro termine di cui ci si serve è quello di aq>p11ylc;, sigillo, una qualifica battesimale comune nel sec. n. Si vuol esprimere il 'sigillo' del battesimo mediante la fede accolta, la 'circoncisione spirituale', che permette al battezzato di portare in se stesso le stigmata di Gesù Cristo. Il marchio impresso dal battesimo è il segno di Cristo, il sigillo incancellabile, che protegge dal potere di Satana e dal peccato, come pure il pegno della risurrezione escatologica. Tertulliano, nel suo 'De baptismo', ci presenta il primo e ormai completo trattato sulla realtà battesimale. Inizia con una trattazione dei fondamenti generali che stanno alla base di un rito del tutto diverso da quelli celebrati nei misteri pagani, e prosegue illustrando la dignità e l'importanza dell'acqua fino al primo mattino della creazione, mostrando l'efficacia dell''angelo battesimale' e dello Spirito santo, con i relativi effetti nella persona che riceve il sacramento. In una seconda parte si affronta un'altra serie di questioni: lii differenza fra il battesimo cristiano e quello di Giovanni; il ministro (Cristo); la necesità del battesimo e l'unità che esso produce, il battesimo di ~angue, ecc. La terza parte tratta infine Jell'«uso di amministrare e ricevere il battesimo», e qui si affronta soprattutto il battesimo dei bambini. Nell'intera trattazione la fede è presentata come elemento (co)decisivo, per gli effetti salvifici che il battesimo produce. " Cf. supra, pp. 173

~s.

ELEMENTI DI TEOLOGIA BATTESIMALI! NELLA LORO l!VOl.U7.IONE

2. Cipriano -

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La controversia del battesimo degli eretici

Il sec. 111 è caratterizzato dalla cosiddetta «controversia del battesimo degli eretici». È il tempo in cui si giunge, anche se costretto dai numerosi raggruppamenti ereticali esistenti, ad un approfondimento della conoscenza teologica del battesimo e dei suoi effetti. In questo periodo, infatti, la chiesa è costretta a fare i conti con dei gruppi cristiani che non professano ormai da generazioni la fede ortodossa e che quindi costringono ad affrontare finalmente il problema del come valutare il battesimo nella sua validità ed efficacia se amministrato in queste cerchie. Quale atteggiamento assumere nei confronti di coloro che si riconvertono alla (grande) chiesa o che per la prima volta ad essa accedono {ma dopo essere già stati battezzati)? Di fatto si era già instaurata una differente prassi: quella africana (testimoniata già da Tertulliano e da altri), secondo la quale il battesimo 'ripetuto', o meglio amministrato dagli eretici, doveva essere considerato invalido, e quella romana, o alessandrina, secondo la quale il battesimo, una volta amministrato, non doveva più essere ripetuto. In queste dispute circa il modo corretto d'intendere e amministrare il sacramento del battesimo, emergono soprattutto due figure: C1PRIANO DI CARTAGINE e STEFANO 1. Tutti convengono nell'escludere la possibilità di ribattezzare. Il problema è invece quello di stabilire il luogo in cui il battesimo si possa validamente amministrare. Cipriano ritiene di dover escludere il terreno in cui germina l'eresia. Più precisamente la questione da risolvere è quella di stabilire da che cosa dipenda l'efficacia del battesimo: se dallo stato di grazia (cioè dalla retta fede, santità e pienezza di Spirito) del ministro umano, o se non invece dall'agire proprio di Dio. 46 A quel tempo Roma affermò, con estrema decisione, che non è la santità personale del ministro a garantire la validità (e " Tirkn al proposito, è l'argomentazione addotta 1.fo Cinrinno: «Se dunque presso eretici non si ,J;) l'hicsa, peri:hé 4ucs1a è unica e non può essere divisa, e se quindi ivi nc1.l c'è lo Spirito santo, perché egli è unico e non può trovnrsi presso i profani e 11li estrom:i, allorn non potrà esserci nemmeno il hmtcsimo pn·ss11 gli eretici, in quanto c11li esiste nella stessa unità e non può essere Jissot:i:1111 né J~lla chiesa né dallo Spirito santo» (/!p. 7·1.-1; I lnrtel, p. 802). «Come putrì1 purifirnrl' l' consacrare l'acqua colui d1c i.· impuro t' presso il quale non si trova lo Spirito santo? [ ... ] O come potrà battezzar. p.

BALLAllD,

m.

A Use

10

Athcism in Ethics, in: /011r11.J o/ R.eliiious Hellllh 2

302

ATTEGGIAMENTO Rl!LIGIOSO DI FONDO

I motivi per cui degli uomini, senz'altro aperti sul piano morale, non ~ono giunti alla fede religiosa, possono essere di natura diversa. Ma bisogna porre anche un altro interrogativo: in definitiva è possibile giustificare razionalmente un'etica priva di fede? Sembra che la coscienza morale implichi, in qualche modo, anche una fede in un assoluto. N1coLAI HAK'l'MANN, il quale è disposto ad ammettere che alcuni concetti religiosi si rivelino come 'supporti del bene e1ico' ,58 crede che in nome del compito morale terreno e della suprema dignità dell'uomo si debba respingere qualsiasi religione. Egli intende riconoscere all'uomo stesso tutti gli attributi di Dio. «L'èthos dell'uomo è la sua hybris, la sua rivolta contro la divinità, la presunzione del suo attributo». ~ 9 Questo postulato suona come una dichiarazione di fede, o meglio ancora di idolatria. Ma la nostra argomentazione non lo tocca, poiché non deriva dall'etica stessa bensl da una prospettiva religiosa che egli decisamente rifiuta. Tuttavia già nella sfera del morale Hartmann entra in contraddizione con se stesso. Per un verso egli conosce la dignità dei valori morali e la loro gerarchia, 60 per l'altro osserva l'uomo impegnato in un conflitto di valori. Per potersi affermare di fronte ai principi morali come valore supremo, l'uomo dovrà sempre arrischiare di rendersi colpevole nel conflitto inevitabile che si determina coi diversi valori. «Non gli rimane altro che prendere su di sé il conflitto dei valori e decidersi in base alla propria iniziativa. Ogni decisione di questo tipo è necessariamente ed allo stesso tempo adempimento di valore e sua violazione. La persona, dunque, che nel caso concreto è posta di fronte al conflitto di valori, necessariamente si rende colpevole da un lato».61 Per salvare all'uomo la dignità di demiurgo sovrano, Hartmann ritiene che .. la contraddizione si dia negli stessi valori».1>2 Il bene viene cosl a dissolversi in ultima analisi nel rifiuto postulatorio dcl Santo. Ogni uomo può porsi demiurgo al suo prossimo, il quale ha lo stes· so diritto di decidere liberamente sulla scala di valori da preferire e di ritenere che la dignità poggi sul rendersi colpevoli. Si frantuma cosl l'unità del genere umano. ERICH FROMM, che nella sua ricerca del bene intende (altncno provvisoriamente) lasciar vacante il trono di Dio, è certo che esistono dci valori obiettivi cui l'uomo, non menomato nelle proprie qualità, si sente legato. Per Fromm l'atto morale implica sempre una specie di fede in qualcosa di " N HARTMA1'0N, /:1h1J.:, Bcrlin 19}.51, p. 62; d. pp. 60 e 736 [trad. ii. Etica, Gui· da, Napoli] . . " Ethilt, p. 326. '" Ethilt, pp. 15, 257, 35. " Ethilt, p. 683. " Ethilt, p. 269.

RELIGIONE E MORALITA

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assolutamente valido. «Un bambino incomincia col credere alla bontà, all'amore, alla giustizia». 63 Praticamente la perdita di questa fede, dell'atto etico di fede, significa la distruzione del fondamento etico. «Non corre molta differenza fra il distruggere la fede in una persona o la fede in Dio. Ciò che va in frantumi è sempre la fede nella vita, nella possibilità di fidarsi della sua significanza». 64 Anche per JuLIAN HuxLEY, uno dei maggiori rappresentanti dell'etica evoluzionistica, per fondare il dato etico è necessaria una solida fiducia, una fede nella significanza dell'evoluzione e della :;toria. «L'etica sta in rapporto con l'evoluzione, la quale possiede un senso ed una durata illimitata [ ... ] Soprattutto l'etica evoluzionistica è un'etica ricolma di speranza, quale che sia la speranza che si misura attraverso la coscienza della lunga durata».6 s Erich Fromm è convinto che un'etica, l'impegno per il bene, per il prossimo, non sia affatto possibile senza una specie di atto di fede, di una fiducia originaria nella significatività. Riferendosi a Karl Marx, Sigmund Freud e Spinoza, egli sostiene che «tutti questi tre uomini erano degli scettici ed allo stesso tempo individui dalla fede profonda».66 Siamo ben lontani dalla fede religiosa in quel Dio personale che conferisce senso ad ogni cosa e c'impegna incondizionatamente per il bene, per attuare assieme a Lui l'amore. Ma per Fromm moralità autentica significa uscire-da-se-stessi, una ricerca 'di fede' proiettata verso ciò che trascende il nostro Io egoistico od isolato. Alla ricerca ultima dell'uomo non basta una risposta di tipo teorico. cLa risposta è quella dell'uomo intero. Da questa risposta una condizione dev'essere soddisfatta in modo incondizionato: deve aiutare a superare il sentimento dell'essere-abbandonati ed acquistare l'esperienza dell'unità, dell'esser-uno, dell'appartenenza». 67 lo ritengo che una simile prospettiva - se non sul piano concettuale senz'altro nella sua ultima e11telèchia - contenga implicitamente o supponga la fede in un Dio per· sanale. In qualche modo qui si profila la salvezza. Con umanisti del tipo di Erich Fromm potremo senz'altro parlare del Santo e del Bene soltanto quando siamo giunti ad una sintesi convincente, vitale. Di fronte alle difficoltà che ci oppongono atei moralmente seri, dovremo affrontare, con rigore inesorabile, il problema della nostra identità ed autenticità, scovare l'incredulità latente ed " F.. FROMM. Tbe Hearl of Man, p. 28 . .. The Hearl o/ Man, p. 29.

•• J.

HuXLEY.

Touchstones /or Ethics, p. 256.

.. The Hearl o/ Man. p. 147. " E. F1.0MM, The Hearl o/ Man, p. 117.

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ATTEGGIAMENTO RELIGIOSO DI PONDO

opporci ad ogni dissociazione tra fede e vita. 61 La colpa delle difficoltà incontrate da umanisti sinceri non va addossata alla fede bensl alla debolezza della nostra fede stessa, alla perdita del centro.

" Cf. J. B. Mnz, Ocr Unglaube als theologii;ches Problem, in Salesianum 27 (1965), pp. 286-302. Inoltre: B. HAKING, Unglaube und Naturrcc:ht, in: J. RATZIN.14 Nell'alta scolastica e fino al concilio di Trento, soltanto l'unzione viene affermata come elemento essenziale per ., Cf. De mys1. i, 42: PL 16, 419 . .. a. P. FRANSE.'11, /oc. Cli., p. 36; A. G. "DS 860.

MA.8.TIMORT,

op. cii., pp. 93 5.

}68

IL SACRAMP.NTO DELl.A CONFERMAZIONE F. I.O SVll.UPPO CRISTIANO

una retta dispensazione del sacramento della cresima. Questo è anche il punto di vista sostenuto nel concilio e.li Firenze (1439). Quando poi verso la fine del sec. v, per dare una certa omogeneità al sacramento della confermazione, lnnm:enzo VIII dichiar(> normativo il Pontificale e.li Durane.lo e.li Mene.le, l'imposizione delle mani scomparve e.lei tutto, per lasciare il posto all'umiionc soltanto.4; Nel sec. xvm Benedetto XIV tenta di colmare in qualche modo 4uesta lacuna e prescrive che il ministro, mentre unge con il sacw crisma, imponga la mano destra sul capo del cresimando. 46 In Occidente non troviamo una formula unitaria atta ac.1 esprimere il gesto dell'imposizione delle mani o l'unzione,H mentre in Oriente abbiamo l'antica formula (testimoniataci fin dai sec. IV·V) di «sigillo del dono dello Spirito santo». 48 Una formula che è stata ripresa anche nel nuovo rito romano della confermazione. Se attendiamo all'itinerario ed allo sviluppo seguito dalla iniziazione cristiana nel primo millennio, dovremo concludere che nella teolo· gia e prassi di quest'epoca non riscontriamo un sacramento vero e proprio della confermazione, cosl come l'intenderà la successiva dottrina sacramentaria della chiesa romano-cattolica. Soltanto la rigida e ben articolata dottrina scolastica sui sacramenti (la de1erminazionc del numero esatto dei sacramenti, della forma, della materia e degli effetti propri di ciascun sacramento) e la prassi di amministrare la cresima come sacramento a sé stante offriranno una premessa adeguata per l'evoluzione della dottrina classica della chiesa cauolico-romana sulla confermazione. Ovviamente non si potrà sostenere che, stando alla dottrina e prassi del primo millennio, bisogne~bbe escludere un sacramento vero e proprio della confermazione, od ammettere che l'iniziazione comprenderebbe un unico ed esclusivo sacramento. A quel tempo non ci si poteva nemmeno porre un problema del genere. Ciò che possiamo affermare è soltanto che gli elementi dai quali poi trasse origine la liturgia crismale si trovavano già presenti nell"iniziazione c.lella chiesa antica, per quanto diverse fossero la forma e l'im· portanza che in certi tempi e in certi luoghi li accompagnarono. fUNSF.N, /oc. Cr quanrn n•t1