Luciano Bianciardi, la protesta dello stile 8843085514, 9788843085514

Luciano Bianciardi (1922-1971), scrittore, giornalista e traduttore fra i più prolifici del Novecento, ha attraversato s

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Italian Pages 307 Year 2017

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Luciano Bianciardi, la protesta dello stile
 8843085514, 9788843085514

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Carlo Varotti

Luciano Bianciardi, la protesta dello stile

Carocci editore

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A Giulia, che e all'altezza di moltissime cose

1' edizione, febbraio 2.017 ©copyright 2.017 by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Omnibook, Bari Finito di stampare nel febbraio 2017 da Digitai Team, Fano (PU) ISBN

978-88-430-8551-4

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 2.2. aprile 1941, n.

633)

Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume

anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

I.

Introduzione

II

Gli studi e la divisa ( i Diari giovanili)

25

Tra Grosseto e Pisa La guerra e la laurea

2.





La stagione dell' impegno

39

n rientro

39

a Grosseto

La forza attrattiva del PCI

41

La provincia tra mito e realtà

46

La biblioteca e il cinema

SI

Tra minatori e badilanti

57

« Provocare una vastissima serie di inchieste approfondite »

57

I minatori della Maremma

6s

n

mito rivisitato : Il lavoro culturale

L'occasione milanese

71 71

8

LUCIANO BIANCIARDI, LA PROTESTA DELLO STILE

Tra autobiografia, autofinzionalità e pamphlet Il luogo e l'epoca: il prius e il post L' intellettualità provinciale L'addetto culturale e la sua parodia

8s

La provincia vista da Milano



6.

Zdanov, Stalin, De Sica

94

L'intellettuale dis-integrato : L 'integrazione

101

Dalla provincia al centro

101

La complessità metropolitana

106

Storia di una integrazione e di una ribellione

108

Aziendalismo e produttività

110

Il falso miracolo

1 17

L' insostenibile confusione dei fatti: «piazza Ungheria » , 1 9 5 6

120

Riuso e parodia: human relations e marketing

123

Il giornalista, il narratore e la metropoli alienata

128

La vita agra

133

Tra Einaudi e Rizzoli

133

« ... in prima persona singolare »

136

L'esile vicenda del romanzo

140

La città alienata

143

L'uomo a una dimensione

148

L' impossibile utopia

I SO

Il carnevale della carne

154

Il "Miller italiano": gli intrecci fra traduzione e scrittura

I SS

INDICE

Palinsesti: «Tutto sommato io darei ragione ali 'Adelung »

9

160

L'oltranzismo stilistico della Vita agra La Babele del traduttore Lo spaesamento dell' intellettuale



Una lunga fedeltà : il Risorgimento

175

Divulgare il Risorgimento

175

La battaglia soda 8.



IO.

Fra televisione e costume : il pubblicista negli anni Sessanta

203

Le parole della tribù : Pescaparole e '�vanti ! "

203

Il mito del gran rifiuto : gli articoli per "Il Giorno"

207

La televisione

210

Anticonformismo e libertà : da "AB c " a "Playmen"

213

Storie brevi e meno brevi: i racconti e Viaggio in Barberia

217

Varietà e consumo

217

I racconti erotici

221

Viaggio in Barberia

226

Ultimi bagliori: Aprire ilfuoco

235

Il grigio esilio di Nesci Tra Storia e storia

IO

LUCIANO BIANCIARDI, LA PROTESTA DELLO STILE

Anacronie sessantottesche L'ultima Milano L'oltranzismo stilistico Il gioco infinito della "seconda mano" Un'etica del lettore ?

Note

2.59

Bibliografia

2.95

Indice dei nomi

301

Introduzione Se lo rammenti, gli uomini seri prendono in giro tutti, anche se stessi. ° "Guerin Sportivo", 1 febbraio 1971

In uno dei primi capitoli di La vita agra, il suo capolavoro, Bianciardi mette in scena una discussione che si tiene tra i redattori di una rivista di cinema, alla quale partecipa il protagonista del romanzo (un giovane intellettuale che ha appena lasciato la provincia per lavorare nell'editoria milanese). Il romanzo è del 1 9 6 2, ma la scena va collocata nel 1 9 55, al tempo della famosa e dibattutissima polemica su Metello ( 1 9 55) di Pra­ tolini: l'episodio che avvia la crisi definitiva del neorealismo e dei suoi moduli narrativi. Al protagonista, che proponeva un' inchiesta su una recente tragedia mineraria (l'esplosione il 4 maggio 1 9 5 4 della miniera di carbone di Ribolla, presso Grosseto, nella quale erano morti quaran­ tatré minatori), il direttore della rivista (nel romanzo chiamato Ferna­ spe) abbietta : « Sì, tutte quelle gallerie, le case pericolanti, i minatori in attesa fuori dal poz­ zo. C 'è il pericolo di cadere nella cronaca di un certo tipo. E ora invece noi ci stiamo battendo per il passaggio dal neorealismo al realismo. Dalla cronaca alla storia. Tu hai visto Senso, vero ? » . Feci cenno di sì, lui prese un'oliva dal banco­ ne e continuò : «Lì c'è già un accenno del passaggio dal neorealismo al realismo, dalla cro­ naca alla storia. La terra trema è un classico, no ? Un classico del neorealismo. Insomma, più avanti non si va, col mondo del lavoro, i pescatori, la presa di coscienza dei loro problemi eccetera. Il realismo di Verga diventa neorealismo e si esaurisce così. Il tuo tema, stando almeno a come me lo presenti, è sempre nel vecchio filone neorealista, e perciò è superato. Senso invece segna una svolta e un nuovo avvio, è già realismo, già storia. Da Boito, attraverso Fattori, si arriva alla constatazione della fine di un'epoca, che richiama la fine della nostra epo­ ca » . Abbassò la voce e sorridendo, quasi in confidenza, aggiunse : « Perché il tenente Mahler in fondo è lui » . «Lui chi ? » «Visconti, no? Tu ricordi, no?, ricordi l e parole del tenente Mahler. Che cosa mi importa se oggi i nostri hanno vinto in un posto chiamato Custoza,

12.

LUCIANO BIANCIARDI, LA PROTESTA DELLO STILE eccetera. Mahler è consapevole della fine degli Absburgo, come Visconti è con­ sapevole della fine della società borghese » . lo volevo obbiettargli che allora ( nelr866 ) il tenente Mahler non poteva esse­ re consapevole della fine degli Absburgo ( fu nelr9r8, più di mezzo secolo dopo ) ; e che la battaglia di Custoza fu chiamata così attorno al r868, da uno storico tedesco di cui ora mi sfugge il nome ( ma in quel momento lo sapevo) ; perciò Mahler, la sera della battaglia, standosene a Verona, e ubriaco per giunta, e a letto con una donna, come faceva a sapere che c'era stata la battaglia di Custoza?'

I termini della questione sono presentati con rigore documentario. Fer­ naspe, destinatario in più luoghi del libro dell' ironia bianciardiana, altri non è che Guido Aristarco, critico e teorico cinematografico, direttore di "Cinema Nuovo" (la rivista cui si fa riferimento, senza nominarla, nel romanzo), che in un articolo del febbraio 1955 aveva indicato proprio in Senso di Luchino Visconti (il film era uscito pochi mesi prima) la strada da seguire per rinnovare gli stanchi moduli del neorealismo, in favore di un realismo capace di "rispecchiare" (il termine, come altri su cui è costruito il discorso di Fernaspe, era derivato dall 'estetica di Lukacs) le forze vive della realtà storico-sociale. L'auspicato "realismo" avrebbe do­ vuto assegnare al romanzo (e al cinema) la possibilità di "capire" la storia grazie alla creazione di un personaggio "tipico", la cui vicenda consentis­ se cioè di cogliere, nello sviluppo della vicenda individuale, le coordinate storico-sociali ed economiche - e l'apparato ideologico che (sovrastrut­ turalmente) ne deriva - che erano in gioco. La scenetta ironizza dunque nei confronti di una certa critica "peda­ gogica" e ideologizzata, cui Bianciardi accenna attraverso un preciso ri­ chiamo allusivo, che contamina l'articolo di Aristarco su Senso con altri apparsi tra marzo e aprile del 1954 sul neonato "Il Contemporaneo", la rivista vicina al PCI (e diretta da Carlo Salinari e Antonello Trombado­ ri), sul cui primo numero ( 2.7 marzo) era uscito un articolo dello stesso Bianciardi, dedicato appunto alla miniera di Ribolla. Alcune delle pa­ role messe in bocca a Fernaspe sembrano ispirate sia all'editoriale inau­ gurale del "Contemporaneo" (dal titolo programmatico e ambizioso di Cultura e vita morale), sia a un importante articolo di Cesare Luporini apparso nel numero 4 della rivista (Per una nozione di realismo), che in nome di una « sintesi » invitava gli scrittori a cogliere « l 'essenziale e il "tipico" (in senso dialettico) della realtà storico-umana » , evitando appunto il rischio paventato nell'editoriale di apertura della rivista di « arrendersi di fronte a una realtà giudicata indecifrabile » , riducendosi a essere « la cronaca minuta dei gesti, delle azioni, dei pensieri » .

INTRODUZIONE

13

L'obiezione (pensata) del narratore abbatte con l ' ironia l' argomen­ tazione di Fernaspe. Non c 'è realtà che non sia cronaca, che non sia costretta appunto nel ristretto orizzonte di senso dei gesti quotidiani e delle azioni minute. Poco importa se l'episodio rientra fra i tanti che affidano al racconto parodico-grottesco la polemica dello scrittore nei confronti dell'appa­ rato culturale del Partito comunista, di cui fu nel dopoguerra "compa­ gno di strada", condividendo l'entusiasmo per la figura dell' intellettuale engagé, educatore delle masse popolari alla democrazia e alla coscienza di classe. A nostro vedere quella pagina ha, nell'ambito della scrittura bianciardiana, il significato della svolta. Non sul piano politico-ideo­ logico (certi conti con le fedi e le illusioni del proprio passato recente Bianciardi li aveva chiusi alla fine dei Cinquanta, tra Il lavoro culturale - il primo romanzo, del 1 9 57 - e L 'integrazione, del 1 9 6 0 ) , ma sul piano della riflessione sulla letteratura e le sue forme, e sulla possibilità che essa ha di rappresentare e comprendere il mondo. L' impossibile consapevolezza storica del protagonista di Senso è af­ fidata (e questa è una cifra caratteristica dello scrittore grossetano) al graffio irridente, a una chiusa epigrammatica che la perfetta gestione dei tempi comici colloca dopo un abile rallentamento con polisindeto « standosene a Verona, e ubriaco per giunta, e a letto con una donna » . L' interpretazione di Fernaspe è irrisa da un particolare concreto, da un dato storico minimo (non è forse nei particolari che, abitualmente, si annida il diavolo ?), che ne denuncia, ironizzandola, la rigidità intel­ lettualisrica. A un' interpretazione che chiama in causa i grandi processi storici (di ascesa e crisi degli organismi politici, delle classi, delle ideolo­ gie) il narratore contrappone una banale concretezza fattuale : la barra­ glia di Cusroza ha cominciato a essere denominata così molti mesi dopo. Alla generalizzazione ideologica sono allora contrapposte l' incomponi­ bile parcellizzazione dei particolari, la concretezza dei dari, la loro cor­ porea e immediata consistenza. L' impossibilità del realismo, nei termini qui presentati, altro non è che il rifiuto dello storicismo (il realismo di Lukacs ne è una specifica incarnazione), che interpreta la storia alla luce di grandi processi e orientamenti coerenti di sviluppo. Bianciardi nega qui la possibilità di una storia che pretenda di essere sguardo prospetti­ co, verticale e geometrico : mentre la vita non può che darsi come cro­ naca, materialità nuda dell' hic et nunc, consapevolezza puramente mate­ rica della realtà. Il quotidiano si prende dunque una disperata rivincita ("disperata" perché segna comunque un limite della capacità conoscitiva

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LUCIANO BIANCIARDI, LA PROTESTA DELLO STILE

e interpretativa dell'uomo ) , e tale rivincita trova espressione nel corpo ( e nel sesso ) : che è da sempre il luogo dell 'irrisione, della deflagrazione gioiosa e iconoclasta alla quale l'arte affida il rovesciamento dei valori dominanti. La non superabilità della "cronaca" - contrapposta alla possibilità stessa di raccontare il presente in una prospettiva "storica" - sembra dav­ vero richiamare le due linee prevalenti del nuovo romanzo che Rena­ to Barilli, di lì a poco, avrebbe individuato nell' intervento di apertura dell' incontro palermitano del 1 9 6 5 del Gruppo 63' - identificandole ( in uno sguardo che percorre anche la narrativa francese, tedesca e america­ na ) nei processi di abbassamento e in quello di dilatazione del quotidiano. Il primo legato non solo a un abbassamento della lingua e dei suoi codi­ ci, ma anche alla scomparsa del «protagonista d'eccezione » 3 ; il secondo connesso a una sistematica « messa al bando dei valori che siano posti fuori dell'uomo, trascendenti rispetto a lui. Non ci sono leggi, principi, dogmi, che non abbiano il loro fondamento nella nostra situazione esi­ stenziale, nel nostro essere qui e ora » - scrive il critico bolognese - co­ sicché sono proprio « il quotidiano e il banale » a salire « al vertice della scala gerarchica » , in ragione di una loro autentica «esistenzialità » 4• Aspetti che, come vedremo, sembrano indicare una delle possibili chiavi di lettura della narrativa bianciardiana degli anni Sessanta, tra La vita agra e l'ultimo romanzo, Aprire ilfuoco, del 1 9 6 9 . M a gli incroci tra le forme sperimentate dalla scrittura d i Bianciardi e le riflessioni teoriche che caratterizzarono quegli anni, tra i Cinquan­ ta e i Sessanta, così culturalmente vivaci, potrebbero essere moltiplicati. Prodotte, le une e le altre, dalle comuni sollecitazioni che i cambiamenti convulsi di quegli anni proponevano e che Luciano Anceschi, nel discor­ so di apertura ( dal titolo trasparente di Metodologia del nuovo) del primo convegno palermitano del Gruppo 63, riassumeva in una connessione strettissima tra i concetti di « nuovo» e « siruazione » 5• Dove non pro­ priamente a una "scuola" o a un "movimento" si riferisce il grande critico, ma a una condizione generale della società e della cultura, a una « norma­ lità di crisi » 6, che « nell ' incertezza del tempo, nel suo movimento velo­ cissimo, nei suoi continui e imprevedibili sussulti »7 necessitava di nuove forme e nuovi linguaggi. In realtà, c 'è un contrasto stridente tra l'origina­ lità delle soluzioni stilistico-narrative di Bianciardi, da una parte, e il suo disinteresse per le riflessioni teoriche e per i posizionamenti nel dibatti­ to letterario-culturale coevo. In una stagione fortemente caratterizzata dall 'analisi metaletteraria e metacritica, da manifesti e dichiarazioni di

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intenti - con scrittori che spesso costruiscono un proprio pubblico acca­ demico - Bianciardi sembra quasi esibire (in forme che assumono talo­ ra i caratteri della posa) l' immagine del narratore animato da un talento istintivo e naturale, sordo a mediazioni e riflessioni critiche. In realtà, la polemica che Bianciardi svolge in questa pagina della Vita agra si inserisce perfettamente in quel magmatico proliferare di intenti e di riflessioni che caratterizzò la cultura italiana tra la fine dei Cinquanta e i primi Sessanta, tra la crisi del neorealismo e la neoavanguardia: coin­ volgendo una pluralità di voci diverse e in molti casi apertamente disso­ nanti, tra "Officina" e "Il Verri" (nate rispettivamente nel 1 9 5 5 e nel 1 9 5 6 ) e i l Gruppo 63 (ufficialmente costituitosi quell'anno i n u n convegno di Palermo), passando per la fondamentale esperienza di "Il Menabò", la rivista di Vittorini e Calvino. Pensiamo naturalmente alla polemica con­ tro lo storicismo, ali ' antidogmatismo, alla ricerca di un nuovo linguag­ gio e di nuove forme di rappresentazione : tutti fattori che caratterizzano la parabola creativa di Bianciardi. Un' insoddisfazione per il romanzo "ben fatto" (di impianto naturalista) che già con la prima prova bian­ ciardiana (Il lavoro culturale) , pur lontana da marcati sperimentalismi, aveva dato luogo a una scrittura innovativa, capace di mescolare narrati­ va e saggistica, impegno e ironia, modo realistico-mimetico e parodico. La pagina della Vita agra che abbiamo proposto in apertura ci sem­ bra dunque esemplare nel rivelare la complessità delle questioni che la narrativa bianciardiana lascia sottintese. Di fatto la sua scrittura rientra a pieno titolo nel panorama vario e multiforme degli scrittori che tra la fine dei Cinquanta e l'inizio dei Sessanta si mossero alla ricerca di una lingua e di una sensibilità nuove. Una narrazione capace, soprattutto, di dare rappresentazione adeguata degli straordinari sconvolgimenti sociali, economici e dell' immaginario che caratterizzarono gli anni convulsi del boom (in Italia) e le prime fasi di quella svolta epocale che sarà variamente etichettata : capitalismo maturo o neocapitalismo (quest'ultimo termine era molto in voga in quegli anni), o "età postmoderna", sulla base di in­ dicatori che collocherebbero alla fine dei Cinquanta l' inizio di grandi mutamenti delle strutture economico-produttive e sociali (dalla smate­ rializzazione del lavoro ai primi grandi processi di globalizzazione e di diffusione dell' informazione, alla diffusione capillare della televisione)8• Nel corso degli anni Sessanta Bianciardi affida la sua personale ricerca letteraria a uno sperimentalismo che non fu solo linguistico (un aspetto, questo, innegabile e riconosciuto ; ma è certamente riduttivo un giudizio che limiti la portata originale della scrittura bianciardiana alla torsione

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linguistica), ma che riguardò anche aspetti strutturali del trattamento del materiale narrativo e chiamò in causa il problema del rapporto eu­ ristico tra la scrittura e la realtà. Basterebbe pensare al particolare trat­ tamento al quale egli sottopone la storia e il riuso documentario della letteratura che egli propone negli ultimi due romanzi (La battaglia soda e Aprire ilfuoco) per capire come ci troviamo di fronte a una valenza sperimentale che richiama aspetti fondamentali della letteratura della stagione postmoderna. Vogliamo usare con cautela l'etichetta "postmoderno': svincolandola da ogni contenuto specifico e da un preciso orientamento del gusto e, meno che mai, ideologico ; accettandola invece come denominazione di un 'epoca che ha visto profondamente modificate le forme della comuni­ cazione, rivoluzionati i tradizionali rapporti tra produttori (di cultura) e consumatori, fra tradizione e innovazione9• Ci sembra tuttavia nel giu­ sto Barilli quando - ripercorrendo a distanza di anni il vivace panorama teorico dei primi anni Sessanta - osserva come, pur in assenza dell ' «eti­ chetta » , « destinata ad avere tanta fortuna nei nostri tempi » , del "post­ moderno", fu però da molti raggiunta in quegli anni «la sostanza »10; fino a leggere l' insieme dei dibattiti e delle produzioni legate alla neoa­ vanguardia italiana, « come uno dei primi episodi di pratica e teoria del postmoderno » u. Il che comporta, di fatto, l'applicare l'etichetta a un insieme di fenomeni tutt 'altro che compatti e coerentemente delinea­ ti (e meno che mai ideologicamente unitari), ma tali da contrassegnare il clima (di disorientamento e di ricerca) che fu di un' intera stagione. E la narrativa bianciardiana degli anni Sessanta (speriamo di dimostrarlo nel libro con sufficiente chiarezza) - che quel disorientamento e quel­ la inquietudine per il nuovo condivide - presenta molti dei caratteri che definiscono correntemente le forme della postmodernità letteraria. Schematicamente : 1. una poetica che mescola l' impuro e l'eterogeneo, che si incontra con una originaria vocazione parodica e pasticheur dello scrittore grosseta­ no, che adotta spesso linguaggi altrui - vuoi in una riproduzione esatta­ mente imitativa o, per contro, apertamente deformante. Una modalità di scrittura che (tra romanzi e articoli di giornale) incontra le forme più corrive dei linguaggi medi ; si misura con le modalità peculiari delle na­ scenti lingue settoriali che sempre più numerose proliferano nel panora­ ma linguistico dell' Italia contemporanea; si avventura in complessi tra­ vestimenti letterari o nel mescolamento di diverse modalità di scrittura (saggio, narrazione, pamphlet ecc.) ;

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2.. la tendenza a uno smottamento del personaggio, rifratto in un io che ha forti valenze autobiografiche, ma che viene "opacizzato" (secondo una felice definizione)ll sulla base di modalità assai diversificate. Dal protagonista sdoppiato del Lavoro culturale e dell'Integrazione alla per­ sonalità "esplosa" del protagonista-traduttore della Vita agra o di Aprire ilfuoco: un uomo "senza qualità", invaso dalle mille voci dei libri tradotti; fino all' identità esibitamente fittizia dell ' io protagonista della Battaglia soda; 3. la scarsa propensione all' in trospezione : il protagonista vive negli eventi esterni e nelle "cose", immerso in un coacervo di eventi e situazio­ ni che ne delimitano l'agire. Più che il riflesso dell'esterno sulla coscien­ za del personaggio, conta l'evidenza stessa delle cose, che il personaggio riflette con un gusto affabulatorio vocato all' irrisione, alla messa in rilie­ vo del grottesco, all'umoristica individuazione della contraddizione ; 4· l' ingombro citazionistico e la vocazione per i l pastiche, i n quanto scrittura di secondo grado, è una delle cifre più evidenti della scrittura bianciardiana, per il quale il gioco della citazione letteraria, del riuso del­ la parola (anche della propria) costituisce una componente fondamen­ tale della costruzione del senso. Una tendenza che diventa addirittura pervasiva negli ultimi due romanzi (La battaglia soda e Aprire ilfuoco), che - se pure con modalità assai diverse - sono tuttavia costruiti sulla base di un complesso sistema di riuso di materiale letterario ; S· un rapporto con la storia che configura dinamiche tendenzialmente "postmoderne" soprattutto nelle due ultime opere, che sono romanzi storici (ma in maniera del tutto imprevedibile e originale) . Proponendo, di fatto, un rapporto con la storia in cui viene meno quella verticali­ tà passato/presente, che è (come vuole la forma classica, "moderna" e "umanistica'' di romanzo storico) il rapporto tra gli eventi e lo spirito giudicante del presente. L' idea stessa della lezione del passato (che de­ riva dalla fiducia umanistica nella possibilità di interpretare la storia) si perde in un gioco che, nell'ultimo romanzo, fa addirittura saltare i confi­ ni cronologici, mescolando eventi passati e presenti in una orizzontalità che rifiuta ogni esplicita prospettiva giudicante ; 6. il ricorso nella scrittura a un "doppio codice", che fa convivere la frui­ bilità della lettera (un atteggiamento di disponibilità immediata verso il lettore, estranea a tanta avanguardia), con la possibilità di una lettura complessa, in cui lo scrittore (che fu lettore onnivoro) chiede al proprio lettore un'acuta cooperazione di decodifica, che entri nella complessità di un gioco allusivo che produce una scrittura dal senso moltiplicato.

LUCIANO BIANCIARDI, LA PROTESTA DELLO STILE

Se dunque la narrativa bianciardiana propone forme che ne rivelano la vocazione sperimentale, lo scrittore mai la accompagnò a una solida e coerente autoriflessione critica. Uno stato di cose che non facilita la collocazione dello scrittore grossetano nel variegato panorama letterario e culturale dei suoi anni. Ragione non ultima, questa, della sua margina­ lizzazione, che cominciò già in vita e che continua ora attraverso altre forme. Non che di Bianciardi non si scriva e non ci si occupi (anzi, pos­ siamo davvero parlare di una vera e propria "riscoperta" dello scrittore, negli ultimi vent'anni)1l, ma la sua opera resta sostanzialmente sottosti­ mata, o celebrata (il che è anche peggio) per fattori che nulla hanno a che fare con la qualità della sua scrittura. È ad esempio curioso che, se si scorrono i testi (ormai numerosi) che hanno in vario modo ricostruito il dibattito e le forme della postmoder­ nità letteraria in Italia, il nome di Bianciardi non sia, in genere, neppure fatto. È quanto meno curioso - dicevamo - se, anche a tacere altro, con­ sideriamo che nel 1 9 6 4 lo scrittore realizza una complessa (e fortemente intellettualistica) operazione letteraria che, servendosi unicamente di materiale di riuso ottocentesco, ambienta sullo sfondo dell ' Italia postu­ nitaria (tra il 1 8 6 o e il 1 8 6 6 ) le vicende in forma autobiografica di un ex garibaldino (di fatto, lo scrittore Giuseppe Bandi). Il libro può non piacere (e forse non è l'opera migliore di Bianciardi: anche se lui tale la ebbe a considerare), ma certo ci troviamo di fronte a un'operazione let­ teraria che per molti aspetti può richiamare The Sot-Weed Factor ( 1 9 6 0 ), di John Barth, un maestro riconosciuto della letteratura postmoderna mondiale. Un grandioso romanzo, ambientato tra l' Inghilterra e il Mary­ land del XVII secolo, che ha per protagonista il poeta Ebenezer Cooke (figura storica reale, autore di un gigantesco poema satirico, The Sotweed Factor, or A Voyage to Maryland, pubblicato nel 170 8 ) , le cui vicende sono ricostruite con un'abile operazione di scrittura di secondo grado che recupera lessico e forme dell' inglese di fine Seicento. Un esempio straordinario di riuso parodico di generi e topoi letterari che ne fanno un'opera-guida della postmodernità letteraria. Significherà forse qual­ cosa che il romanzo di Barth - il cui protagonista è ricordato in un pas­ saggio di Aprire ilfooco - fu tradotto da Bianciardi per Rizzoli, in due volumi, tra il 1 9 67 e il 1 9 6 8, in una delle più poderose fatiche traduttorie dello scrittore grossetano. Abbiamo voluto richiamare il saggio di apertura di Barilli al Roman­ zo sperimentale del Gruppo 63 anche perché è proprio nell' importante antologia di un altro teorico della neoavanguardia, Angelo Guglielmi,

INTRODUZIONE

19

che troviamo Bianciardi associato all' idea di sperimentalismo. Alludia­ mo a Vent 'anni d'impazienza ( 1 9 6 5 ) , che accoglie Bianciardi ( assieme ad Arbasino, Del Buono, La Capria, Mastronardi, Leonetti, Sanguineti e altri ) , aggregandolo agli scrittori che, sulla scorta del grande modello di Gadda e del Pasticciaccio, si sono mossi alla ricerca del nuovo non già sul piano del contenuto ( come Cassola, Calvino o Pasolini ) , ma su quello della lingua. "Gaddiani" - nell' antologizzazione che ne fa Guglielmi sono dunque « giovani scrittori » tra loro anche molto diversi, e non necessariamente direttamente ispirati al modello del "gran lombardo", ma accomunati da una disposizione alla ricerca che li sta conducendo verso « esperimenti più o meno spericolati » e verso « soluzioni spre­ giudicate e antitradizionali >> '4• In questo contesto la sperimentazione linguistica, osserva il critico, viene ad avere quella forza demistificatoria nei confronti delle cose che è la grande qualità della scrittura gaddiana. Guglielmi poneva dunque l'esperienza narrativa di Bianciardi, a pie­ no titolo, nel fermentante panorama narrativo dei primi anni Sessanta, ponendolo lungo una linea genericamente "gaddiana". Il rimando a Gad­ da è ovvio, a prescindere dal fatto che lo scrittore milanese sarà indicato da Bianciardi, in un articolo del 19 7 1, come uno dei suoi maestri fon­ damentali. Ma è un'ovvietà che trascende la figura di Bianciardi e ogni sua eventuale angoscia dell' influenza; dal momento che - come è stato spesso rilevato - Gadda è un punto di riferimento imprescindibile per tutti gli scrittori che tra la fine degli anni Cinquanta e i primi dei Sessan­ ta si siano misurati con il nuovo caos metropolitano, tentacolare e po­ stindustriale degli anni del boom. Bianciardi non fa eccezione. Di lì era partito, ormai trent'anni fa, Rinaldo Rinaldi, in un'analisi del romanzo della « deformazione » che individuava le specificità di alcune singole voci ( assieme a Bianciardi, Mastronardi, Testori e Arbasino ) ali ' interno della comune discendenza "gaddiana"'1• Un saggio che rimane una delle analisi più acute dedicate allo scrittore grossetano, e che ha il grande merito di aver sottolineato la natura profondamente "letteraria" della scrittura bianciardiana degli anni Sessanta : sempre collocata sul confine dello spreco e del gioco gratuito, costruita sull'uso sistematico del plagio e del collage, secondo una logica profondamente intertestuale che fa del libro e della parola altrui l'orizzonte prevalente ( in un gioco che secon­ do Rinaldi arriva nell'ultimo romanzo all 'autodistruzione, a una pratica della scrittura che nega ogni residua possibilità di senso ) . Se dunque "nipotini di Gadda" sono un po' tutti'6, molto a modo suo Bianciardi seguì le orme di zio Carlo. Cosicché il peculiare pastiche

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gaddiano (con il suo accumulo caotico di registri storici e stilistici e di lingue settori ali diverse) non è che una delle tante forme cui il pasticheur Bianciardi ricorse : da inesauribile parodista, quale fu, attratto dalla con­ fusione delle forme in cui si consuma l' insensatezza dell'esistenza. Se la scrittura di Bianciardi nel corso degli anni Sessanta si conno­ ta decisamente come scrittura di secondo grado, anche nei primi due romanzi (Il lavoro culturale e L 'integrazione), che chiudono il decen­ nio precedente, la vocazione per la riscrittura parodiante appare come una cifra caratteristica, se pure qui ancora episodica, dello scrittore. E si connota anche in queste prime prove come riproduzione demisti­ ficante del linguaggio, secondo una scelta che, di nuovo, mostra una inconsapevole consonanza con alcune (posteriori) intuizioni critico­ teoriche. Pensiamo alle osservazioni di Angelo Guglielmi sull' impos­ sibilità di adottare - nella Babele dei linguaggi che contrassegnano la contemporaneità - le tradizionali forme di rottura delle avanguardie, che ovviamente possono esistere solo laddove vi è un codice dominante da infrangere (ma ora « non c 'è nessun argine o ostacolo obiettivo da abbattere » , scrive il critico nel 1 9 6 4 ) 17• Già in alcune pagine dei primi romanzi la riproduzione dei gerghi specifici (si tratti della lingua ideo­ logica del Partito comunista nel Lavoro culturale o del sottocodice neo­ capitalista e aziendalista - non meno ideologico e generico della pri­ ma) presiede a un'operazione linguistico-imitativa che esclude la forma classica della parodia, fondata sul contrasto tra forma "alta" e contenuto "basso" (del resto, come si può dare parodia dove sono saltati i parame­ tri stilistici riconosciuti di "alto" e "basso" ?), ma che può arrivare a de­ mistificare il reale proprio riproducendolo in una sorta di "intattezza" che, intrecciando i diversi piani (non meno linguistici che conoscitivi), denuncia il carattere artificiale delle ideologie. Una via che conferma la « funzione demistificante » della scrittura di secondo grado (il pa­ stiche) che Guglielmi individuava come necessaria pratica centrale nel contesto contemporaneo del capitalismo maturo e della crescente per­ vasività dei nuovi media18• Se dunque lo sperimentalismo bianciardiano si iscrive nella sensibilità caratteristica dei fermentanti e vivacissimi anni Sessanta, non è casuale che i suoi romanzi siano guardati con vivo interesse dal "Menabò", che si accostava così (come osserva Maria Antonietta Grignani) a una « neo­ avanguardia incipiente » : intuendo cioè la complessità e la profondità delle sfide alle quali la nuova realtà economica, sociale e politica chiama­ va la letteratura19•

INTRODUZIONE

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Si potrebbe obbiettare che sperimentalismo è categoria che compren­ de troppe cose. Ed è vero, ma è anche vero che la sperimentazione lin­ guistica e/o stilistica costituisce un comune denominatore nella scrit­ tura letteraria dei primi anni Sessanta: la ricerca di un codice capace di rappresentare un mondo che cambiava in modo caotico e disorientante, e che metteva in crisi la tradizionale funzione sociale e culturale dello scrittore e della letteratura. Nel momento stesso, cioè, in cui non appa­ riva più credibile quel ruolo del letterato come coscienza critica della società (nel mito sartriano dell'engagement, cioè dell' "impegno") che, pur tra tensioni, contraddizioni e lacerazioni anche dure, aveva caratte­ rizzato gli anni del secondo dopoguerra, da "Il Politecnico" di Vittorini alla cosiddetta "crisi del neorealismo", a metà dei Cinquanta. Quest'ultimo punto fu per tutti irrisolto. Il processo di marginalizza­ zione della letteratura e la constatazione della sua minore incidenza sui grandi processi comunicativi e sulla formazione delle opinioni (sempre più dominate dalle logiche della produzione e del marketing pubblicita­ rio) sono un dato incontrovertibile della società del capitalismo maturo. È innegabile il fatto che Bianciardi sia stato tra i primi a intuire l' irre­ versibilità di questi processi: la produzione artistica e letteraria destinata a divenire pura merce, come prodotto tra gli altri; la costitutiva impos­ sibilità di ogni avanguardia di esistere in quanto tale, essendo ogni suo segno e ogni suo gesto (per quanto radicale e innovativo) destinato a essere prima o dopo inglobato in un orizzonte di attesa massificato (di­ venendo così sentire comune e, in definitiva, prodotto commercialmen­ te appetibile) . Lo capisce, verrebbe da dire, nelle forme di un nichilismo irridente, che non esclude anche l'esibizione di un antintellettualismo sornione e fintamente ingenuo, al quale non è estraneo l'abito di una toscanità disincantata e provinciale. Vista da questo punto di vista, la parabola di Bianciardi è per molti aspetti esemplare. I libri che scrive tra la metà degli anni Cinquanta e l' inizio dei Sessanta (fino alla Vita agra) raccontano la crisi definitiva di un modello di intellettuale, passato dagli entusiasmi del dopoguerra (il libro scritto a quattro mani con Cassola, I minatori della Maremma, è una inchiesta in perfetto "stile Politecnico"), alle delusioni politico­ ideologiche maturate nel corso dei Cinquanta, fino a una concezione di­ sperata e nichilista dello scrittore, necessariamente sconfitto, frustrato e deprivato di ruolo, sia che scelga la via antagonistica di una (ininfluente e marginale) ribellione, sia che scenda a patti con il sistema (l' industria culturale) indossando la maschera dello scrittore di successo.

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In effetti, dopo che il successo della Vita a gra fa di Bianciardi un per­ sonaggio pubblico - cucendogli addosso le vesti del "Miller italiano", del critico ma disinvolto descrittore del nuovo che avanza, dell'alienazione metropolitana, di un mediocre grottesco che stava imponendosi in costu­ mi e comportamenti quotidiani -, egli sembra scindere sempre più net­ tamente il suo lavoro in due distinte scrivanie. Da una parre quella dello scrittore di romanzi che persegue una linea più nettamente connotata in senso sperimentale ; dali' altra quella del giornalista, sempre più coinvolto in una produzione di basso profilo, marcatamente "pop", e non a caso at­ tenta alle manifestazioni più pervasive della cultura popolare italiana: la televisione e il calcio. E che non disdegnò la collaborazione con periodici minori (nel variegato panorama delle testate anticonformiste o erotiche che proliferarono nel corso degli anni Sessanta) : tanto che Gian Carlo Ferretti (nella sua succinta ma preziosa monografia sullo scrittore)10 ha parlato di un processo di « involuzione e autodistruzione » . C 'è forse, nell'ultimo Bianciardi, u n certo compiacimento per l'ec­ centricità esibita, per la protesta che assume le forme del rifiuto cinico e radicale ; il gusto per lo scialo del proprio talento che lo stesso scrittore si attribuisce in uno dei suoi ultimi articoli, inventandosi la domanda di un lettore sullo « spreco che fai di te (di te scrittore), cercando di distruggerti come persona per diventare personaggio » 11• Difficile non ammutolire di fronte a un giudizio così lucidamente autocritico, che sembra davvero suggerire le forme di un gioco tragico e serio, come solo il gioco a volte riesce a essere. Ma tutto questo, in fondo, poco ci interessa. Con questo libro abbiamo voluto porre l'accento sullo scrittore, te­ nendoci alla larga dalle frequenti celebrazioni, spesso acritiche, dell'anar­ chico, del borderline, dell'arrabbiato in lotta contro il sistema, coerente fino alla morte nella sua risentita e sdegnosa polemica contro i valori (tut­ ti i valori) correnti del tempo "agro", falsamente miracolistico, ipocrita e ingannevole, che gli è toccato attraversare. Una formula, insomma, che mette in secondo piano il fatto che Bianciardi fu, in primo luogo, uno scrittore. Certamente nei romanzi e negli articoli di giornale di Bianciar­ di si agita la società varia e rumorosa dell' Italia del secondo dopoguerra. Una società che egli rappresenta nelle sue più varie articolazioni: tra pro­ vincia e metropoli, tra mondo popolare (contadino o operaio), piccola borghesia e capitale. Ma ben poco capiremmo dell'arre di Bianciardi se il nostro sguardo si fermasse all'affresco variopinto della società italiana tra la fine della guerra e i convulsi e contraddittori anni Sessanta.

INTRODUZIONE

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La ricerca dello stile fu invece la preoccupazione costante di questo scrittore che la pratica quotidiana della traduzione (non possiamo mai dimenticarlo : Bianciardi è stato uno dei maggiori traduttori italiani dal­ l' inglese del xx secolo) rendeva sensibilissimo alle sfumature minime del lessico e dei suoi registri. Non è casuale se fin dalle prime prove (che furono giornalistiche e di inchiesta, prima che propriamente narrative) il paesaggio sociale dell' Italia sia anche - quando non soprattutto - un paesaggio di parole. Nuove sensibilità, nuove pratiche sociali e nuove mitologie sono sempre iscritte, per Bianciardi, nella lingua che le incarna. Bianciardi è scrittore di migliaia di pagine : romanzi, libri di divulga­ zione storica, centinaia e centinaia di articoli scritti per decine di testate diverse, decine e decine di libri tradotti. Anche questo è un aspetto che andava in qualche modo riconsiderato, di contro alla tendenza a vedere Bianciardi come l'autore della sola Vita agra (o tutt'al più di tre libri, aggiungendo al primo Il lavoro culturale e L 'integrazione). Si è cercato - per quanto si è potuto - di tenere insieme tutte queste cose, inseguendo i tanti travasi che passano tra scrittura giornalistica, ro­ manzi e racconti. Si sono anche considerate alcune delle esperienze tra­ duttorie più significative, laddove esse hanno lasciato tracce individua­ bili (fatte di temi o modelli di stile) nei romanzi: da Miller e Norman Mailer agli "arrabbiati" inglesi; da Donleavy a Behan, a Barth. Senza tra­ lasciare, in alcuni casi, le traduzioni puramente "alimentari" di manuali ormai completamente dimenticati, che pure gli fornirono, scrittore così straordinariamente ricettivo quale fu, alcune delle voci dissonanti di un presente che stava esplodendo nella Babele delle lingue settoriali, pronte a confluire in un nuovo italiano standard, e a confondersi con le emer­ genze dialettali e le tanti varianti diastratiche. E si è cercato, soprattutto, di guardare alla sua produzione - fatta salva la sua discontinuità e le diverse altezze dei risultati - come a qualcosa di complessivo. E non poteva essere altrimenti. Il lettore che entri nel vasto universo di Bianciardi scopre presto che la sua scrittura è attraversata da percorsi coerenti; da ritorni di temi, elementi stilistici e strutturali che, da un'opera all 'altra, vengono continuamente rimodulati e ripensati, in un processo di scrittura che fu tutt 'altro che inconsapevole e ingenuo. Del resto, come in pochi altri scrittori, in Bianciardi la seconde main è tratto costitutivo della sua scrittura. Rimodulare il già detto, attraverso un sistematico riuso che fa della parodia e del travestimento un'opzio­ ne stilistica radicale nella sua sistematicità. Il suo "oltranzismo" stilisti-

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co consiste proprio in una vocazione parodica che diventa il principale strumento per dare vita a uno sguardo straniato e deformante della vita, capace di metterne in luce le dissonanze, le deformazioni grottesche e i bagliori tragici. Questo ci interessava. Non certo il facile entusiasmo di chi ha voluto farne il testimone incorrotto e sventurato di una generazione e di una crisi epocale, l'acuto sociologo che ha capito per primo (anche questo capita di leggere) le dinamiche occultamente persuasive e pericolosa­ mente omologanti del neocapitalismo. Meno che meno si voleva appiat­ tire la sua lettura alla dimensione puramente biografica dell' "anarchico", dell 'antagonista permanente, del profeta delle nuovi condizioni sociali proprie della postmodernità (dal precariato sistematico allo spaesamen­ to esistenziale di nuovi soggetti sociali, alle numerose insorgenti forme di marginalità e sfruttamento). O, addirittura, esaltare in lui il rivoluzio­ nario permanente, vittima della sua stessa incapacità a scendere a patti con il sistema. Null'altro che la parola di Luciano Bianciardi ci interessava mettere in risalto. Ed è una voce che ci parla attraverso l 'esercizio di una scrittura straordinaria, distillata dalla fatica quotidiana di chi scriveva per vivere, e viveva traducendo, in uno scavo continuo di parole e frasi, nella ricerca della sfumatura e della sottigliezza del senso. Lo stile prodotto da un grande talento narrativo, raffinato da un arti­ gianato umile e orgoglioso.

I

Gli studi e la divisa (i Diari giovanili)

Tra Grosseto e Pisa

I primi testi di Bianciardi ai quali possiamo accedere sono alcuni diari giovanili scritti durante il periodo universitario, rimasti per gran parte inediti fìno al 20 o5'. Un centinaio di pagine di quaderno, autografe, che contengono brevi testi molto vari per forma e temi (ricordi e meditazio­ ni sulla propria vita, piccole dissertazioni fìlosofìche, persino poesie, di gusto prevalentemente parodico )1• I Diari universitari contengono note scritte in gran parte a Pisa (ma le ultime notazioni recano l' indicazione di Grosseto), tra il gennaio 1941 e il dicembre 1942: in coincidenza quasi perfetta con il primo periodo di studi universitari nella città toscana, cominciati nell'anno accademico 1 940-41 e bruscamente interrotti alla fìne di gennaio 1 943, quando Luciano, che aveva da poco compiuto i vent'anni (era nato il 14 dicembre del 1922 a Grosseto), viene chiamato alle armi. Riprenderà gli studi solo a guerra conclusa, tornando a Pisa (alla Normale) nel dicembre del 1 945. Bianciardi si era iscritto precocemente all 'università. Studente dota­ to e brillante del liceo ginnasio Carducci-Ricasoli, aveva concentrato in un solo anno gli studi della seconda e terza liceo superiore e, non ancora diciottenne, aveva superato l'esame di maturità nel novembre (cioè nel­ la sessione invernale) del 1 940. L'obbligo di ottenere risultati scolastici eccellenti segna tutta l'infanzia e l'adolescenza dello scrittore, figlio di una maestra, Adele Guidi ( il padre, Atide, era cassiere di banca) , che esige da lui voti altissimi. «Una tipica famiglia piccolo borghese » , come ebbe a scrive Bianciardi in un articolo del 1 9 52, e caratteristiche di quella classe erano le ambizioni materne, in anni in cui « si accen­ tuava la tendenza della piccola borghesia a dare la scalata alla torre d'a­ vorio della professione libera, comunque della laurea, che prometteva vita comoda, agiata e parassitaria » 3• Bianciardi parla della madre e della

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propria infanzia grossetana anche in un racconto postumo (databile al 1970 ), La mamma maestra\ uno dei testi più apertamente e dichiarata­ mente autobiografici di questo autore, che, quando scrive, in un modo o nell'altro parla quasi sempre di sé. Qui Bianciardi rievoca le attese della madre ( « io, figlio della maestra Bianciardi, all'età di sei anni presi a recitare la parte del primo della classe, e la tenni fino al giorno in cui mi sposai » ) 1 e le lunghe sedute di studio da lei imposte ( « mia madre mi tirava giù dal letto alle sei del mattino e mi metteva a ripassare la lezione, già imparata a memoria la sera prima. Se alzavo la testa dal libro succedeva il finimondo » )6• Alla fine del 1940 approda dunque all ' Università di Pisa, facoltà di Lettere e Filosofia. Nel ricordato articolo del 1952, Bianciardi rievoca la propria formazione politico-culturale di militante (quale allora era, tra la fine degli anni Quaranta e primi anni Cinquanta) assai vicino al Parti­ to comunista italiano7• Qui lo scrittore parla dell' improvvisa apertura di orizzonti che rappresentò per lui il contatto con il vivace e libero mondo universitario pisano: un contrasto nettissimo tra la cultura ottusa e asfit­ tica, malamente rivestita dai panneggi roboanti della retorica del regime, incontrata negli studi ginnasiali a Grosseto. È una pagina che merita una lettura attenta, anche perché questo scritto, contemporaneo alle prime cose pubblicate da Bianciardi (il 1952 è l 'anno del suo esordio come gior­ nalista-pubblicista : scrive infatti con una certa regolarità articoli per la "Gazzetta di Livorno"), sembra testimoniare una precoce insofferenza per le lusinghe ingannevoli della retorica, per l'amplificazione parolaia del luogo comune. Compare in primo piano, in questa rievocazione, la figura di un professore ginnasiale « ignorante e presuntuoso » , ex com­ battente, « religiosissimo e fascista » , abile nel mascherare i propri limiti « dietro un massiccio tendaggio di retorica romaneggiante, cristianeg­ giante e fascisteggiante » 8: Ci insegnava soprattutto latino, cultura militare e, p e r una speciale concessione vescovile, religione, cioè catechismo. [ ... ] Il suo latino era una sorta di esercizio di crittografia, con regole molto complicate e, quel che è peggio, approssima­ tive, con le quali si riusciva, dopo anni di fatica, a "mettere in chiaro" dei mes­ saggi cifrati. Tutto il lavoro preparatorio, anche lo studio della lingua italiana, mirava a questo scopo; una volta poi che si era ben costruito questo mostruoso strumento, la scuola fascista vi aggiungeva la retorica della "romanità'' : quadrate legioni, Roma doma, pax romana, e, naturalmente, i colli fatali. La retorica im­ perversava anche nell' insegnamento della letteratura italiana. Il nostro profes­ sore ci spacciava per O mero la grancassa ottocentesca del Monti [ ... ] .

GLI STUDI E LA DIVISA (I DIARI GIO VANILI) I componimenti scritti erano poi la vera fiera dell' impudenza; non mi pare che fossero altro se non una crescente variazione di aggettivi roboanti sui me­ desimi temi9•

Superato il ginnasio, negli anni del liceo (anche grazie a qualche bravo giovane professore, cautamente antifascista) - racconta lo scrittore egli aveva cominciato a sentire l'odore della « truffa carnevalesca » , che persino del militarismo (perno dell'educazione fascista e della sua mi­ stica) faceva puro esibizionismo di parata, non l'oggetto di una « solida preparazione tecnica » 10• In quegli anni legge le opere di Croce, che lo guidano verso una sorta di confuso ma istintivo ideale di libertà, che è un primo antidoto contro la mitizzazione delle masse nazionalizzate del regime. Durante la prima fase degli studi universitari prende contatto, anche se in modo generico, con alcuni giovani comunisti (come Um­ berto Comi e Nino Maccarone)Il; ma soprattutto conosce una figura fondamentale per la sua maturazione politica, quella di Guido Calogero (che nel 1948 sarà il relatore della sua tesi), che gli fu - come lo stesso Bianciardi rievocherà qualche anno dopo - « maestro di liberalsociali­ smo » 12. Tra i giovani "liberalsocialisti" trova il futuro critico letterario Gena Pampaloni (un po' più vecchio di lui, era del 1918) e il suo concit­ tadino Tullio Mazzoncini. Al biennio che egli trascorre frequentando l 'ateneo pisano - prima della forzata interruzione per la chiamata alle armi - risalgono dunque i Diari universitari. Essi sono raggruppabili in tre sezioni, che coincidono, rispettivamente, con il primo anno dei corsi (fino al giugno 1941), con l'estate del 1941 (la sezione è intitolata Ricordi delusi di vacanze noiose) e con i corsi del secondo anno. È interessante il fatto che a quest 'ultima sezione di note e appunti Bianciardi assegni il titolo di lncipit vita nova. Esso è giustificato dal contenuto e dal tono degli appunti, dove prevalgo­ no propositi di impegno, serietà e vita operosa: tanto che in conclusione, ripercorrendo gli slanci e gli sconforti di un anno (tra cui una pagina esistenzialista, suggerita da una lettura di Kierkegaard, sull' "angoscia", « dramma della nostra epoca » 13 ), Bianciardi dice di aspirare, per l'anno successivo, a un'operosità utile anche agli altri : « se troverò la calma, do­ vrò lavorare. Ne ho il dovere, perché sento di non dover lavorare solo per me » 14• E sono parole che sembrano quasi prefigurare quella vocazione "civile" ed educativa del ruolo dell' intellettuale che - nel contesto poli­ tico e sociale profondamente mutato del dopoguerra - sarà cifra caratte­ ristica della sua esperienza di giovane intellettuale di provincia.

2.8

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Ma la titolazione Vita nova chiaramente allude alla forma peculiare dell'operetta dantesca : che è quella dell'autoantologia, della raccolta fatta a posteriori (e seguendo una logica organizzativa ben definita) di un'espe­ rienza giovanile di cui non si vogliono tanto documentare fatti ed eventi (come avviene in genere in un "diario"), ma dalla quale si intende soprat­ tutto estrarre un florilegio di scritture a vario titolo ritenute interessanti e tali da esemplificare uno snodo significativo della propria formazione in­ tellettuale o poetica. Un intento chiarissimo se si legge l'ultima nota della prima sezione (Devo pur concludere in qualche modo, datata giugno 1941), dove, come l'antico stilnovista che spiega circostanze, intenti e poetica di una lirica, Bianciardi illustra il contenuto di « tutto quello che precede » , tracciandone anche un primo abbozzo critico ( a commento di uno degli scritti osserva che «ci si sente l'altezzosità dell'uomo che si crede padro­ ne del suo pensiero » ; a proposito di altri nota che « in essi io critico la mentalità del superdotto» 11 ecc.). Scritti acerbi, senza dubbio, anche se a tratti rivelatori di un vero talento, ma resi interessanti soprattutto nel documentare una precocissima vocazione mimetico-parodica. Non più che un gioco di società è, ad esempio, uno scritto del feb­ braio 1941 (uno dei primi della silloge), Chi siamo noi, dove lo scrittore ritrae sé stesso e tre amici come perfetta espressione dell' « unità dello spirito » che - parodi an do alcune idee fondamentali dell' idealismo cro­ ciano - è realizzato nella compresenza delle « quattro attività dello spiri­ to » (Estetica, Logica, Economica, Pratico-economica), ognuna rappre­ sentata da un membro del quartetto. Un gioco, come si diceva, che rivela nondimeno il gusto per il travestimento linguistico, per l'uso disinvolto dei linguaggi, per l'applicazione alla realtà banale del quotidiano - con scopi ironici - di codici "alti". L'esercizio "tecnico" dell'argomentazione filosofica trova applicazione - ed è un esercizio tipicamente goliardico, di antichissima tradizione scolastico-accademica - nel trattatello para­ dossale dedicato alla "difesa della bestemmia". Dove un qualche interesse non deriva dal gusto, pur non privo di acutezza, per l' aprosdoketon, che ribalta i giudizi correnti ricorrendo alla mimesi dell'argomentazione scolastica (data l' incommensurabilità della grandezza di Dio rispet­ to alla pochezza dell'uomo, « affermare che il bestemmiatore offende Dio, significa sminuire in qualche modo la stessa grandezza di Dio » 16), ma dalla constatazione che la condanna della bestemmia nasce da una più generale superstizione, che ipotizza una relazione tale tra "parole" e "cose", per cui - come credeva la magia - intervenire sulle parole signifi­ ca intervenire sulle cose. Una credenza ancestrale, osserva il giovane stu-

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dente, che compare « in molte forme di superstizione che vivono ancora in pieno xx secolo » 17• Non pensiamo sia illegittimo ritenere che le nuo­ ve "superstizioni" alle quali Bianciardi pensa siano i tanti irrazionalismi dei regimi di massa, e in particolare quella sostituzione sistematica delle "cose" con le parole che caratterizzava il sistema retorico del regime e il suo complesso apparato di idola, di principi astratti e di miti diventati parole d'ordine capaci di mobilitare le folle. Come si conviene a un'antologia che vuole documentare una stagio­ ne di sé, Bianciardi raccoglie anche pagine seriamente meditative (fi­ losofiche in senso tecnico), come un breve Saggio sull'utilitarismo, che (sulla scorta di Bentham, ma soprattutto di John Stuart Mill) parla di conciliazione tra ricerca individualistica del piacere e vita associata, ma che ci interessa per uno spunto che sembra profetizzare il tema, che sarà al centro della sua narrativa "metropolitana", della polverizzazione della società, dispersa in una nebulosa di individualità atomizzate in una re­ ciproca solitudine irremedibile : « c 'è nell'aria stessa che noi respiriamo il senso di un frazionamento atomistico che disperde le nostre forze » 18• Se un gusto, ancora prematuro ma già evidente, per l' imitazione pa­ rodica percorre molte di queste pagine, esso trova l'espressione più riu­ scita ed esplicita nella parodia della poesia ermetico-ungarettiana, alla quale rimandano alcune liriche, brevissime, in tutto sedici, dei Diari. La forma del versicolo ungarettiano, "scavato", sillabato su uno sfondo di si­ lenzio che lo rende assoluto nella sua essenzialità, viene parodizzata nella prima lirica della breve raccolta, dove a vestirsi di allusività metafisica è però una tautologia dell'ovvio : Quiete Oggi riposo

E non mancano esempi felicissimi, come quello che segue, in cui un tipico elemento ungarettiano, la presenza dell 'io lirico che constata la propria esistenza nella concretezza dell'esserci ( « stamani mi sono di­ steso » , « mi sono accoccolato » ecc.), è inserito in un nesso causale la cui comicità è resa visibile dal titolo ; e l'effetto è di nuovo prodotto dal contrasto tra il sapore metafisica della forma e la banalità del contenuto. La constatazione ungarettiana della fisicità del soggetto, colto nella di­ mensione concreta e materiale, diventa, sottoposto allo stravolgimento parodico, una semplice pastura ( « Sto in piedi » ) :

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LUCIANO BIANCIARDI, LA PROTESTA DELLO STILE Zoppico Statica Indignata Perché ancora Sto in piedi

Se i Diari universitari sono rimasti inediti fino ad anni recentissimi, le parodie ungarettiane ebbero invece una piccola circolazione mano­ scritta, per lo meno nel gruppo ristretto degli amici grossetani; come testimonia Mario Terrosi, che fu uno dei più intimi amici di Bianciardi, in una importantissima raccolta di testimonianze pubblicate tre anni dopo la morte dello scrittore'9• Un prezioso libretto in cui, tra stralci di lettere e ricordi dell'amico, Terrosi accoglie una parte delle liriche di parodia ermetica ( nove su sedici ) presenti nei Diari. Una silloge che Bianciardi stesso aveva mandato a Terrosi in un « plico raccomanda­ to » , titolandola « Critica in atto a Giuseppe Ungaretti. Saggi pseudo­ poetici di ermetismo » '-0• La guerra e la laurea

Il secondo gruppo dei Diari giovanili (Diari di guerra)'-' è in gran par­ te relativo agli anni del conflitto bellico e all'esperienza militare, anche se l'ultima parte del testo fa riferimento ai mesi successivi al rientro di Bianciardi a Grosseto ( settembre 1 945 ) e ai primi mesi del secondo pe­ riodo universitario pisano'-'-. Nel gennaio 1 943 la cartolina di precetto aveva recato a Bianciardi l'ordine di presentarsi in una caserma di Stia, in provincia di Arezzo, per seguire il corso allievi sottuffìciali. I primi di luglio arriva in Puglia (è stato assegnato di servizio nel Salento ) . Sono giorni convulsi e densi di avvenimenti, come si sa. Il 10 luglio il generale Eisenhower ha dato inizio alla grande "battaglia d' Europa" sbarcando in Sicilia. L' Italia è stremata dai bombardamenti e dalla carenza di cibo ; il consenso al re­ gime fascista si sta sbriciolando ( a marzo gli scioperi delle grandi indu­ strie del Nord, a partire dalla FIAT, sono un evento che non si vedeva dal 1922 ) ; all ' interno del partito sta maturando l ' intenzione di scon­ fessare Mussolini ( come avverrà nella drammatica riunione del Gran Consiglio, nella notte tra il 24 e il 2 s luglio ) . In quei giorni Bianciardi, arrivato in Puglia il 6 luglio, ha il primo contatto traumatico con gli

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orrori della guerra : il 2.2. assiste al bombardamento di Foggia, riportan­ done un' impressione ritratta con toni vivissimi nei Diari di guerra, dai quali, pochi anni dopo, estrapolerà alcuni passaggi per un articolo per la "Gazzetta di Livorno"''· Bianciardi è sempre in Puglia quando l' 8 set­ tembre, con l'armistizio annunciato da Badoglio, l'esercito italiano si liquefa. Intanto gli Alleati hanno risalito in fretta l' Italia meridionale : il I 0 ottobre entrano in una Napoli che i tedeschi hanno abbandonato da poche ore, dopo quattro giorni di combattimenti contro civili e sol­ dati italiani. Si fermeranno a lungo poche decine di chilometri a nord di Napoli, a Cassino. Bianciardi rimane in Puglia parecchi mesi, prima a Oria (fino al gen­ naio 1944 ) poi a Locorotondo, a Lecce e a Taranto. Nel settembre del 1944 si aggrega come interprete presso l'esercito inglese, stabilendosi a Taranto e poi a Brindisi. Durante la lenta risalita della penisola da parte degli Alleati non si muove dalla Puglia. Il 26 aprile - il giorno dopo la fine della guerra in Italia - è a Brindisi. Solo pochi giorni dopo, il re­ parto inglese al quale è aggregato (la so s• compagnia nebbiogeni) viene trasferito al Nord, in Romagna (nell'estate del 1945 è a Forlì). Un'espe­ rienza importantissima, che gli consentirà, per altro, di acquisire una so­ lida competenza dell' inglese, anche parlato, che gli tornerà utile qualche anno dopo a Milano quando, trovandosi senza lavoro e senza risorse, riuscirà a sbarcare il lunario proprio come traduttore (per altro di decine e decine di libri ). Ma anche - né poteva essere diversamente - un'espe­ rienza umana dalla quale Bianciardi si sente profondamente cambiato. Quasi a farne il punto, a distanza di due anni dall 'arrivo della cartolina di precetto, una bella lettera alla madre del 23 gennaio del 1945: è stata la prima esperienza di vita vera per me; per la prima volta mi sono trova­ to solo, padrone e responsabile di me stesso [ ... ] . Come vedi me la sono cavata abbastanza bene : sono contento di poter affermare, e questo mi interessa più di ogni altra cosa, di aver sempre agito da ragazzo onesto. Sarò stato ingenuo, qualche volta, un po' avventato, ma non ho mai ingannato nessuno. Il mondo mi è parso meno bello di quel che credevo, ho visto che la gente è cattiva, sono diventato prudente e guardingo, in una parola più uomo'4•

Bianciardi rientra a Grosseto nel settembre del I945· Due mesi dopo torna a Pisa per riprendere gli studi interrotti. Viene infatti ammesso alla Scuola Normale, usufruendo di uno dei settanta posti riservati a reduci di guerra e partigiani. Qui incontra Luigi Russo (Bianciardi

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ne rievocherà con toni commossi la figura su "Belfagor", in un artico­ lo scritto in occasione della morte del grande studioso)'\ trova Aldo Capi tini (ora sì) e ritrova Guido Calogero, con il quale si laureerà, nel febbraio 1948, discutendo una tesi (per la verità piuttosto esile e scritta frettolosamente) sul filosofo americano John Dewey (dal titolo ]oh n Dewey e ilpragmatismo). Bianciardi nel 1945 si era iscritto al Partito d'Azione, come molti giovani intellettuali di formazione crociana e liberale (molti dei quali, quando nel 1947 il Partito d'Azione si sciolse, confluiranno nelle file del PCI ) . La scoperta della politica fa del resto tutt 'uno con l'euforia che si respira nel paese e che caratterizza l'atteggiamento del giovane Bianciar­ di, negli anni universitari e in quelli, densi di impegni e speranze, che ad essi seguiranno. La condizione inebriante del giovane reduce-studente grossetano è davvero quella di un intero paese che scopre la libertà e for­ me di partecipazione inedita. È il sapore di un'esperienza nel contempo individuale e collettiva quella che Bianciardi ci restituisce efficacemente, rievocando i due anni alla Normale, nell 'articolo -ricordo che in occasio­ ne della morte di Luigi Russo pubblicò su "Belfagor": ciascuno di noi [ gli studenti "normalisti"] riprendeva confidenza coi testi, im­ parava daccapo a studiare. Ma soprattutto ciascuno di noi imparò una cosa mai vista prima, imparò la democrazia [ ... ] . Certo furono mesi straordinari per l ' I­ talia intera, e mai più ritornati, mesi in cui la gente si guardava pulitamente in faccia, e ciascuno era un uomo e contava per un uomo. Però Luigi Russo seppe far sì che la Scuola si aprisse continuamente a quest'aria nuova, e che anzi desse il suo contributo alla vita civile, pisana e italiana'6•

Ma torniamo ai Diari di guerra, che di quei mesi, fino all' inizio del se­ condo periodo universitario, sono testimonianza. La prima nota dei Diari, da Locorotondo, reca la data dell 'aprile 1944 (Bianciardi aveva indossato la divisa quattordici mesi prima). È una pagina di rara quali­ tà introspettiva, in cui il giovanissimo scrittore delinea il bilancio di un anno di speranze e disillusioni cocenti. Uno sguardo che volutamente tralascia ogni meditazione sui destini collettivi, sull' « inferno comune » che ha colpito il paese, per concentrarsi su un' interiorità inquieta, che aveva persino guardato all'esperienza militare come a una possibile so­ luzione all'assedio quotidiano dell' « angoscia » . Ma c 'è anche qualcosa, in queste poche note, che sembra profetizzare quel senso della concre­ tezza che sarà poi un antidoto mai tralasciato, dallo scrittore, contro le

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trombe vacue della retorica, contro gli inganni di una cultura libresca incline all'astrattezza, che così spesso sarà oggetto del suo irridente sar­ casmo. Ora - nota lo scrittore - ho « imparato l'aderenza alla realtà » : un atteggiamento che ha giovato a togliergli di dosso la sua « patina di cultura umanistica » 27• E in essa vanno annoverati, evidentemente, gli idoli del regime, coinvolti in un disinganno che sembra assumere valen­ ze più generali ed esistenziali. «Vidi che dietro la forma che il capitano [l'ufficiale del reparto di addestramento, al corso sottufficiali seguito l'anno prima] ci voleva dare c 'era non il vuoto, ma la cattiva volontà, anche l 'inganno» 28• Prima che l'acquisizione della consapevolezza po­ litica delle menzogne del regime, Bianciardi sembra scoprire il carattere irrimediabilmente ingannevole della parola pubblica, sottoposta all'e­ sercizio sistematico della deformazione e del mascheramento. L' incer­ tezza e la diffidenza come cifra caratteristica dello scrittore sembrano preannunciare qui, quasi a segnare una linea di scrittura che troverà il suo tono prediletto nell' ironia, nell' irrisione, nel sospetto sistematico per la lingua del potere e per il consenso che esso produce. Il carattere eterogeneo, per forme e toni, che era caratteristico dei Diari universitari, trova conferma in questo secondo gruppo di scrit­ ture : pagine di meditazione introspettiva (come si è visto) ; una sinteti­ ca autobiografia relativa ai mesi di guerra (luglio 1 943-settembre 1945); lettere non spedite ; brevi considerazioni di stampo socioantropologico sui pugliesi (Jncapacita sociale, Il loro umorismo, Fanatismo, Le donne ecc.), che ricordano (la convergenza è naturalmente del tutto casuale) le pagine saggistico-descrittive del Cristo di Carlo Levi; brevi soggetti per possibili racconti; persino due poesie. In una di esse (Bombe), troviamo toni e nodi tipicamente ungarettiani, ma questa volta modulati senza alcun intento parodico : Quel profumo aspro, e il suono lacerante, e il rombo continuo dei motori lo sento ancora come una musica orrenda. C 'era, su in alto, sospeso alla notte, un grappolo rosso,

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e il brusio sordo d'un caccia nemico mi cercava. Ho avuto paura, come un bambino che si sveglia nel sogno e non trova più che notti e silenzio'9.

Una certa tendenza alla potenza espressiva della parola ( « aspro » , «lace­ rante » ) , il paragone esplicito introdotto dal «come » ( «come una mu­ sica » , « come un bambino » ) , la parola isolata nel verso nella sua scavata assolutezza ( « orrenda » , «e non trova più l che notti l e silenzio » ) . E c 'è nella poesia quell' immagine del « grappolo rosso » che s i colle­ ga a un'esperienza narrata in un altro passo dei Diari di guerra: un bom­ bardamento notturno al quale lo scrittore assiste, accovacciato dietro il muretto di un uliveto : vidi i chiarori lontani di un bombardamento, ma non volli uscire e mi addor­ mentai di nuovo. Più tardi, forse dopo due ore, nuova sveglia, e questa volta vidi che la cosa era seria: luminaria a giorno e gran fracasso. Misi la testa fuori e l'uliveto aveva un aspetto orrido e fiabesco, col gran grappolo rosso dei bengala, quasi sopra di noi. Mi venne sulle labbra una frase : "L'uva della collera"30 •

Un ricordo che, nel gioco dinamico della memoria, mescola immagine e parola, secondo una disponibilità associativa caratteristica della scrittura bianciardiana. L' immagine dei bengala, con la luminosità a cascata che richiama un grappolo d'uva, si incrocia infatti con la memoria verbale (ed è già una memoria bilingue) che richiama, traducendolo, il titolo originale ( The Grapes ofWrath, "l'uva della collera") del famoso roman­ zo di John Steinbeck (del 1939, edito in Italia con il titolo Furore nel 1940 ) Il ricordo di quell'esperienza - segnata con il marchio indelebile del trauma - riaffìorerà a distanza di molti anni in una bella pagina della Vita agra, il capolavoro di Bianciardi, a rappresentare l'ansia che il nar­ ratore, che vive nella rassicurante "isola" di Brera (la Milano allora degli artisti e degli intellettuali), prova di fronte all'assedio della Milano pro.

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duttiva e commerciale con l a sua incombente «collera grigia » che « si stringe intorno a noi e minaccia quest' isola nostra » : Dopo, un altro caffè doppio e si rimane a ciondolare ai tavolini del caffè delle Antille, [ ... ] soltanto noi due, Carlone e io, vecchi compagni contubernali del numero otto terzo piano, amici come soltanto sono amici due uomini, quan­ do intorno c'i: il pericolo. Come una notte di settembre, vicino a Lecce, quan­ do scendevano rossi i bengala, grappoli dell'ira, uva della collera, insomma the grapes ojwrath, perché erano bombe inglesi3'.

I passi meritavano queste citazioni distese non solo perché mettono in luce la tendenza bianciardiana al riuso, al costituirsi di un repertorio di immagini e motivi destinati a travasare tra scrittura autobiografica, giornalistica e narrativa ; ma soprattutto perché indicano una peculiare sensibilità linguistica dello scrittore, per il quale la singola parola o lo­ cuzione diventa spesso il motore di associazioni dinamiche, potenziate dalla memoria letteraria del traduttore professionale, quale Bianciardi fu per gran parte della sua vita. Non è allora casuale che nella mirabile pagina conclusiva della Vita agra ( ma su questo torneremo), nel corto­ circuito delle immagini e parole ( italiane e inglesi, quelle di un roman­ zo di Faulkner che il protagonista sta in quei giorni traducendo) che si affastellano nella mente del narratore, ormai annebbiato dal sonno e prossimo ad addormentarsi, riaffìori la « granata del bengala » : quasi il portato di una libera e personalissima associazione in cui il bengala, destituito di ogni valenza aggressiva, si stempera ora in una luce « iri­ descente » e innocua, in una « morbida bolla di luce » 3', che simboli­ camente rappresenta la rinuncia del protagonista a ogni sogno di lotta e di riscatto. Fallito il proposito anarchico-rivoluzionario di collocare una bomba nella sede della Montecatini ( questo il disegno che l'ha con­ dotto a Milano), al protagonista del romanzo non resta che "svaporare" nella dimensione angusta del privato, in una pena giornaliera che non concede tregua possibile se non nell'annullamento temporaneo del sonno ( «per sei ore io non ci sono più » ) . Un vero e proprio memoriale di guerra è costituito d a tre gruppi di scritti che raccontano l'esperienza militare, dall 'arrivo in Puglia dopo il corso di addestramento ( il 6 luglio 1943) al rientro a Grosseto ( settem­ bre 1 945). Gli scritti sono intitolati La mia storia ( narrano avvenimenti dal luglio 1 943 al gennaio 1944), Continuiamo la mia storia ( con avve­ nimenti compresi tra il gennaio e l'autunno del 1 944) e Parliamo ancora

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di me (autunno 1944-settembre 1945)33• Non costituiscono un diario appuntato giorno per giorno, ma un racconto retrospettivo, che sembra bene esprimere quell'ansia di raccontare la propria esperienza, militare o partigiana, che caratterizzò (come indicava Calvino nella prefazione all 'edizione del 1 9 6 4 di Il sentiero dei nidi di ragno) gli anni successivi alla Liberazione : « non ho ancora del tutto lasciata la vecchia pretesa di tirarne fuori qualcosa di "narrato" (novella o romanzo che sia) » , annota infatti Bianciardi nella pagina che apre La mia storia, « chissà che ritornando sopra a queste note frettolose, e conclusa anche questa attuale esperienza, non mi provi » 34• Parte dei fatti raccontati in La mia storia verranno ripresi - come si è accennato sopra - in un ciclo, intito­ lato Vita militare, di sei articoli usciti sulla "Gazzetta di Livorno" tra il novembre del 1 9 5 3 e il gennaio del 1954. Storie per lo più di ordinaria noia e di insensatezza militare (impietosamente ingigantita dal crollo del regime fascista e dal dissolversi dell 'esercito italiano, tra il luglio e il settembre del 1943), sulle quali spicca però, per il tono crudamente espressionistico, il racconto del bombardamento di Foggia del 2.2 lu­ glio 1943. Al giovane scrittore lo spettacolo della morte si presenta « nel suo aspetto più brutale e più oscen o » 35, un coacervo di corpi stravol­ ti o lacerati fino a divenire materia informe ( « un ammasso di carne, stoffa e capelli » ) , liquame e sordido residuo ( « ricordo un cadavere che spinsi con una pala, carne e sangue che rimaneva attaccato all ' asfal­ to » )36• Riprendendo l'episodio, pochi anni dopo, in uno degli articoli per la "Gazzetta di Livorno", lo scrittore riproduce alcuni particolari raccapriccianti (come quello del « gomitolo di stracci, carne, sangue, capelli » ) , ma nell'esposizione materica dei corpi straziati dalla guerra prevale la rappresentazione di un'oscenità terribile che, stravolgendo grottescamente la forma dei corpi, produce l'effetto di un orrore privo di dignità tragica ( « i morti per bombardamento non hanno nemme­ no il colore dei morti veri: diventano gialli e rossicci, proprio il colore della porchetta. Quando sono interi, sono così, ma lì di persone intere ce n'erano poche ; spesso restava anzi un solo gomitolo di stracci, carne, sangue, capelli » ) 17. L'ultima sezione del racconto autobiografico dedicato ai mesi con­ clusivi della guerra (Parliamo ancora di me, redatta a Grosseto nel set­ tembre del 1945 e già edita nella raccolta postuma La solita zuppa) , non solo appare estranea a ogni dimensione epica - come si conviene a un racconto di retrovia (Bianciardi è impiegato come interprete a Taranto e a Brindisi) -, ma sembra voler rinunciare a ogni sguardo di vasto respiro

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sulla storia e i suoi drammi. È cronaca di un quotidiano minuscolo ; un minuzioso racconto, come dice lo scrittore, di «piccolezze » , in cui si insinua il male esistenziale della « noia » , il senso fastidioso dell' acciden­ talità e della provvisorietà. Il racconto termina con il ritorno a Grosseto, 1' 8 settembre del 1945, esattamente due anni dopo l'armistizio, quando aveva «cantato di gioia » , sicuro di tornarsene «presto a casa » . Racconto dunque di una disillusione, di un progressivo restringersi di speranze e attese. Ma è si­ gnificativo che lo scritto si concluda con l'osservazione che quelli « non furono due anni perduti » : come a indicare che occorreva quel viaggio nella notte profonda dell' inutilità e della provvisorietà insensata per po­ tere girare pagina, per trovare la speranza di una nuova vita, per sé e per la nazione.

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La stagione dell'impegno

Il rientro

a

Grosseto

Ottenuto uno dei settanta posti che (grazie a un finanziamento mini­ steriale straordinario) la Scuola Normale Superiore di Pisa aveva messo a disposizione per reduci ed ex partigiani, nel dicembre 1945 Bianciar­ di può riprendere a Pisa gli studi universitari interrotti quasi tre anni prima. Questo secondo periodo di formazione (dicembre 1 945-feb­ braio 1948) segna anche il primo coinvolgimento diretto di Bianciar­ di nell ' impegno politico. Nel 1945 (come si è accennato nel capitolo precedente) si iscrive al Partito d'Azione, il cui spirito è del resto ben presente negli ambienti della Normale di Aldo Capitini e Guido Ca­ logero. Un'esperienza brevissima per forza di cose (nel 194 7 il partito si sciolse), che di lì a pochi anni lo scrittore avrebbe giudicato con una certa severità, rievocando l' inconcludenza di « interminabili e disordi­ nate riunioni » , viziate da intellettualismo e tendenza all'astrattismo ma, soprattutto, da una sostanziale mancanza di contatto con le classi popolari e i loro bisogni'. Laureatosi nel febbraio del 1948 e rientrato nella città natale, in aprile sposa Adria Belardi, dalla quale avrà due figli', e comincia a la­ vorare come insegnante, prima nelle scuole medie poi, dal 1 949, come professore di Storia e Filosofia nello stesso liceo che aveva frequentato qualche anno prima da studente, il Carducci-Ricasoli. Nel 1 9 5 1 accet­ ta l' incarico di direttore della biblioteca cittadina, la Chelliana, gra­ vemente danneggiata non solo dalla guerra, ma anche da un 'alluvione rovinosa del fiume Ombrone nel 1944. Un'esperienza - come vedremo più in dettaglio - particolarmente significativa, che Bianciardi affrontò con passione, cercando di fare della biblioteca un vero e proprio centro culturale e un mezzo di diffusione della lettura anche presso ceti tradi­ zionalmente esclusi da ogni consumo culturale.

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Nel I 9 5 2. Bianciardi comincia una collaborazione regolare con la "Gazzetta di Livorno", per la quale tiene una rubrica intitolata Incontri provinciali. Un 'esperienza che risulterà molto significativa anche per il futuro narratore : nelle pagine della "Gazzetta" prendono infatti corpo personaggi, figure e temi che in parte torneranno nel primo romanzo (Il lavoro culturale, del I 9 57 ). In quei brevi bozzetti provinciali lo scrit­ tore manifesta quella vocazione per la rappresentazione ironica e per la deformazione grottesca della società e del quotidiano che diventeranno una componente centrale della sua scrittura. In quegli anni nasce anche un' importante amicizia e collaborazione professionale con Carlo Cassola, che nel I 947 si era trasferito a Grosseto, dalla vicina Volterra, come professore di Filosofia nel liceo scientifico della città3• I due intraprendono una serie di inchieste sulle condizioni di vita di operai e contadini della Maremma, che verranno pubblicate su varie testate. Parte di quelle inchieste, ampliate e approfondite, di­ venteranno un libro corposo firmato a quattro mani: I minatori della Maremma (pubblicato da Laterza nel I9 S 6 ) . Gli anni che vanno dal I 9 4 8 a l I 9 54 - quando Bianciardi lascerà Gros­ seto (e sarà per sempre) per trasferirsi a Milano - costituiscono il mo­ mento del suo massimo impegno sociale e politico. Non solo partecipa con grande slancio alle attività del Movimento di Unità popolare, cioè la campagna promossa nel I 9 5 3 dalle sinistre contro la cosiddetta "legge truffa"\ ma soprattutto concepisce il lavoro (prima di insegnante e poi di bibliotecario) come una vera e propria missione civile e democratica. Per Bianciardi è un momento di grande entusiasmo, condiviso del re­ sto con tanti intellettuali laici e di sinistra passati attraverso l'esperienza della Resistenza e la militanza antifascista. Un periodo irripetibile : anni che qualche tempo dopo - scrivendo all 'amico grossetano Mario Terrosi dalla "agra" Milano - definirà « i più belli e i più ricchi della mia vita »1• La parola d'ordine dell' engagement, lanciata da Jean-Paul Sartre nell'editoriale di apertura della rivista "Les Temps Modernes" (ottobre I94S), contrassegnava in maniera inequivocabile quegli anni di grandi attese e grandi speranze. All ' intellettuale si chiedeva di uscire dal chiuso degli scrittoi, di immergersi nella concretezza della vita civile, di dare un senso al proprio lavoro finalizzandolo al perseguimento di una società non solo formalmente democratica, ma anche ispirata ai principi di una giustizia sociale sostanziale, capace di limitare le disparità economiche e culturali tra i ceti. L' ideale sartriano dell' intellettuale engagé, attivo sul fronte politico e civile, incontrava idealmente le riflessioni di Antonio

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Gramsci, i cui Quaderni del carcere costituiscono certamente l'evento editoriale più significativo di quegli anni6• Mentre meditava sui limiti storici della tradizione letteraria italiana (risultata incapace di essere "na­ zional-popolare': di elaborare valori e ideali fondativi in cui una nazione, nell' interezza delle sue classi, si riconoscesse), ai giovani intellettuali che si affacciavano nel dopoguerra sulla scena politica Gramsci indicava un modello di partecipazione e di impegno, ma soprattutto la necessità di costruire un (tradizionalmente assente) dialogo attivo ed efficace tra in­ tellettuali e popolo. La forza attrattiva del P C I

In questo contesto l a politica culturale svolta dal Partito comunista ri­ sultò particolarmente abile. Il partito era in grado di offrire una struttu­ ra organizzativa capillare, una capacità operativa che andava facendosi sempre più evidente : qualcosa che, insomma, poteva davvero far sentire l' intellettuale non già un isolato, ma parte attiva e incisiva di un'orga­ nizzazione capace di dialogare con la società nel suo complesso. Come molto bene ha osservato Nello Ajello, « l'uomo di cultura tradizionale proviene invece da esperienze politiche di tipo molecolare, con una forte prevalenza di individualismo culturale e con una tendenza alle distinzio­ ni di gruppi e sottogruppi di opinione sulla base di "distinguo" di natura ideologicamente sottile e (a volte) intellettualistica : di ciò era tipico, ad esempio, il partito d'azione. L'approdo a una realtà così solida e così largamente ramificata, come il PCI, gli dà un' impressione di sicurezza del tutto insolita » 7• Non è dunque un caso se negli anni successivi alla fine della guerra siano moltissimi gli intellettuali di formazione idealistica e liberale che aderirono al Partito comunista (anche se particolarmente eclatante, fu soltanto un caso tra i tanti l' iscrizione al PCI di Luigi Russo, uno dei più brillanti allievi di Croce). Lo scioglimento del Partito d'Azione nel 1947 segnò poi una vera e propria diaspora di intellettuali, molti dei qua­ li confluiranno nel PCI o, come Bianciardi, ne diverranno sostenitori o fiancheggiatori. Il tema dell' impegno dell' intellettuale, chiamato a svolgere un ruolo vitale nella società, era del resto al centro della più importante rivista di quegli anni, "Il Politecnico': fondata da Vittorini a Milano nel 1945, che fin dall'editoriale che inaugurava il primo numero (29 settembre),

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Per una nuova cultura, proclamava il rifiuto di « una cultura che consoli nelle sofferenze » , in favore di una «che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini » . Era l' invito - rivolto agli intellettuali di ogni orientamento, dai marxisti ai liberali, ai cattolici - a farsi promotori di una cultura attenta ai problemi reali del paese, impegnata a combatterne le ingiustizie, le storture, le vecchie e nuove forme di sfruttamento e di sopraffazione. "Il Politecnico" (che, come vedremo, sarà un modello di riferimento importante per le inchieste svolte da Bianciardi sulla realtà sociale ed economica maremmana) nasceva con un' impronta militante che lo vedeva assai vicino al Partito comunista (pur conservando quello spirito antidogmatico e anticonformista destinato a sfociare nella famo­ sa polemica tra Vittorini e Togliatti che non poco peso avrà, nel 1947, nella chiusura della rivista). Non meno attenta al tema del ruolo dell' intellettuale nella nuova Ita­ lia che deve essere ricostruita e politicamente rifondata è la rivista fioren­ tina "Società", di cui era direttore un celebre archeologo e storico dell' ar­ te antica, Ranuccio Bianchi Bandinelli (vicedirettore della rivista era Romano Bilenchi). Di formazione idealistico-crociana, Bandinelli pub­ blicò a puntate sulla rivista il Diario di un borghese (uscirà in volume nel 1948, presso Mondadori), una dettagliata autobiografia politico-cultu­ rale che racconta il percorso esemplare di un intellettuale di formazione idealistica e crociana (e di estrazione borghese) che trova nella militanza comunista un senso nuovo e profondo della professione intellettuale. È la ricostruzione di una vocazione politica, orientata verso il marxismo, colta nel suo originario costituirsi sia sul piano umano sia su quello culturale, qualcosa che di fatto si andava configurando come un vero e proprio "genere" di intervento giornalistico. Una forma di cui troviamo tratti significativi nella lettera che nell'aprile del 1947 Vittorini indirizza sul "Politecnico" a Togliatti: la lettera è una risposta diretta alle polemi­ che che già erano scoppiate tra la direzione del PCI e la rivista milanese, ma diventa l'occasione per la ricostruzione di un 'autobiografia politica che indaga sulle ragioni profonde dell 'adesione al Partito comunista. Il Diario di Bianchi Bandinelli (come la lettera vittoriniana) costituisce il modello di una rubrica di "Belfagor" (la rivista fondata e diretta da Luigi Russo, che era stato professore di Bianciardi negli anni pisani alla Nor­ male) intitolata Nascita di uomini democratici, presso la quale Bianciardi pubblicò, come sappiamo, il 3 1 luglio 1 9 5 2 la propria personale biografia di "democratico". Sono pagine molto importanti, che bene illustrano il clima di un 'epoca, e che hanno valenza concretamente e immediata-

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mente testimoniale, facendo luce sulle ragioni morali, ideologiche ed esistenziali - in una parola, sulle aspirazioni - del giovane intellettuale grossetano (nel 1952 Bianciardi ha trent 'anni), ex insegnante, e ora bi­ bliotecario e animatore culturale. Ma sono anche pagine che vogliono raccontare un percorso che aspira a essere, per così dire, caratteristico : esperienza condivisa di una generazione di intellettuali. Quando scrive Nascita di uomini democratici, Bianciardi soltanto da pochi mesi ha cominciato a scrivere con regolarità sulla "Gazzetta di Livorno" (il giornale, diretto dall 'amico Umberto Comi, era vicino al Partito comunista). I suoi sono articoli di argomento vario, ma pre­ valentemente sapidi bozzetti satirici di costume che ritraggono figuri­ ne e personaggi della piccola borghesia provinciale, sullo sfondo di una Grosseto mai nominata ma ben riconoscibile (e qualcuno dei concit­ tadini di Bianciardi si riconobbe infatti in quei quadretti, arrivando a minacciare querele)8• Ma tra gli articoli pubblicati sulla "Gazzetta" nei primi mesi del 1952 figura anche una recensione di Fausto e Anna, il ro­ manzo di argomento resistenziale dell'amico Carlo Cassola9• Il romanzo racconta la delusione sia sentimentale sia politica del protagonista, un giovane intellettuale moderato che a Volterra nel 1943 entra nelle file della Resistenza in una brigata comunista, ma rimane negativamente im­ pressionato dallo spirito di vendetta dei compagni, prima ammirati per l 'energia e il coraggio, così lontani dalle sue incertezze e inettitudini. Un libro destinato a sollevare vivaci polemiche : fu infatti attaccato da "Ri­ nascita': la principale rivista culturale del Partito comunista, accendendo una diatriba nella quale intervenne lo stesso Togliatti. La recensione che Bianciardi dedica al romanzo dell'amico si inse­ risce perfettamente in questo clima ideologicamente acceso; tanto che il giudizio sul romanzo di Cassola non sfiora neppure il problema delle scelte stilistiche dell'autore o della congruità delle sue strutture narrati­ ve, per concentrarsi invece interamente sul suo valore di « testimonianza di un 'epoca » '0• La cosa, come si è detto, è coerente con lo spirito dei tempi, e bene manifesta quell'ansia di partecipazione politica e sociale che anima il lavoro degli intellettuali vicini alla sinistra: non stupisce, dunque, se il merito principale del romanzo consista per il recensore nell'aver rappresentato (con « sincerità » e con «coraggio realistico » ) « un personaggio tipico di un ceto e di un'epoca, l a piccola borghesia intellettuale italiana sotto il fascismo, la piccola borghesia, occorre pre­ cisare, onesta e consapevole, ma insieme velleitaria e intellettualistica » ". Un approccio in cui non è arduo riconoscere (assieme alla condanna

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gramsciana del velleitarismo caratteristico dell' intellettuale piccolo­ borghese italiano ) un lessico e un insieme di criteri di giudizio desunti da Lukics ( del quale Einaudi aveva stampato due anni prima i Saggi sul realismo ) I l , a cominciare da quella "tipicità" socioculturale del perso­ naggio che il critico ungherese aveva segnalato come fattore portante di un autentico realismo. La "tipicità" del protagonista ( il suo essere « un tipo umano di estremo interesse » , dove « tipo » non designa una cate­ goria umana o spirituale, ma sociopolitica ) fornisce al giovane recensore l 'occasione per fare i conti con il proprio recente passato, a cominciare dall'adesione al Partito d'Azione ( e un "azionista" è il protagonista del romanzo ) , nel quale egli vede ora confermate la tradizionale inconclu­ denza dei ceti intellettuali italiani e la difficoltà della cultura a divenire forza autonoma e trainante della politica. Perciò nel romanzo, può così concludere il recensore, si rivela il velleitario intellettualismo di Fausto che è poi tipico nel giovane ceto medio intellettuale italiano, per il quale la cultura è sempre avvertita come re­ mora, anziché come strumento positivo : storicamente fu il partito d'azione l'ultimo esempio di questo velleitarismo, di questa incapacità organica della no­ stra cultura di diventare forza dirigente, e non a caso Fausto è iscritto al partito d'azione nel romanzo'3•

In questa recensione si intravede insomma da parte di Bianciardi un'ansia tutta personale di trarre bilanci: da una parte il superamento dell'elitarismo azionista, che lo aveva attratto negli anni universitari ; dall 'altra il bisogno e il desiderio di individuare prospettive e di dare un senso unitario al proprio attivismo politico a fianco del PCI. Ma è lo stesso atteggiamento che ritroviamo, appena poche settimane più tardi, in Nascita di uomini democratici, che - posto a metà tra bilan­ cio del passato e individuazione di nuovi orizzonti - appare animato dall'atteggiamento ottimistico ( che mai più ritroveremo in Bianciardi ) di chi sente di avere conquistato qualcosa : forse una verità, certamente una linea capace di indirizzare una vita e di dare un senso alle proprie ancora confuse aspirazioni. È il racconto di un'esperienza individuale inserita sullo sfondo di precise coordinate storiche e sociali, secondo uno schema narrativo au­ tobiografico esibito fin dall 'esordio ( « Sono nato in una piccola città to­ scana, quasi trent'anni or sono, giusto poche settimane dopo l'ascesa al potere del fascismo, da una tipica famiglia piccolo-borghese » ) 14• Auto-

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biografia politica, naturalmente, che seleziona i particolari del racconto finalizzandoli alla costruzione di un ritratto ben definito : quello di un giovane la cui formazione passa attraverso un 'originaria « ribellione » (alle verità imposte dal fascismo, ai pregiudizi della classe di apparte­ nenza) per approdare a una nuova consapevolezza, costruita non solo attraverso la cultura, ma soprattutto grazie a una maturazione umana, a un nuovo, vitale contatto con la realtà, che solo l' impegno politico diretto del dopoguerra ha reso possibile. L'atteggiamento verso la pur importantissima stagione "azionista" ( « lo mi ero iscritto - c 'è biso­ gno di dirlo - al Partito d'azione » ) non può che essere ora di presa di distanza da un'esperienza viziata dalla mancanza >n. Non è casuale che Bianciardi rievochi in que­ sto articolo l'esperienza del neorealismo, per il quale la scoperta della provincia e della periferia (uscendo dai teatri di posa) aveva significato il costituirsi di un nuovo immaginario e di una nuova sensibilità del­ lo sguardo sul mondo, capace di sostituirsi alla standardizzazione dei luoghi e delle voci (a partire dal monolinguismo del doppiaggio pro­ fessionistico )l3• Ma soprattutto la provincia è per Bianciardi una par­ ticolare articolazione del "mito americano", che viene qui riproposto nelle forme allusive e ambigue che sempre caratterizzano ogni discorso culturale dello scrittore grossetano. È infatti in questo articolo del 1 9 5 2 che compare per l a prima volta nelle sue pagine l' immagine/mito di una Grosseto equivalente a Kansas City, che verrà ripresa pochi anni dopo, nel 1 9 57, nel Lavoro culturale, il romanzo al quale Bianciardi, tra­ sferito ormai definitivamente a Milano, affida la rievocazione degli anni dell' impegno politico e culturale nella città natale. Un' immagine che sta a indicare l'ansia di libertà e di nuova cultura che connotava i giova­ ni intellettuali, azionisti, socialisti o comunisti, della cittadina toscana.

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Lo spunto da cui trae origine l' identificazione tra Grosseto e la remota cittadina del Middle West è aneddotico : un ufficiale americano, che visse i n Maremma durante la guerra, diceva che ogni volta, passando da Grosseto, aveva la sensazione di trovarsi a casa sua, a Kansas City. Non a caso, perché davvero Grosseto deve assomigliare alle cit­ tà americane del tempo dei pionieri, alle città della frontiera. Grosseto come Kansas City24•

L'identificazione di Grosseto con Kansas City doveva ricorrere abitual­ mente nei discorsi tra Bianciardi e Cassola, in quegli anni in cui tra i due erano nate un'amicizia e una stretta collaborazione professionale. È infatti Cassola a ricorrervi per primo, in un articolo del 1 948, raccontan­ do l'aneddoto del soldato americano che guardando la città toscana vi ritrovava nostalgicamente la sua patria lontana>>. L' identificazione tra Grosseto e la città americana, proposta nell'arti­ colo del 1 9 5 2, verrà ripresa nelle prime pagine del Lavoro culturale, anche se allora lo sguardo sarà illuminato dalla luce tagliente dell 'ironia, dalla rievocazione di un passato da cui si sono prese irrimediabilmente le di­ stanze. Tra l'articolo e il romanzo intercorrono del resto cinque anni densissimi per Bianciardi, non solo segnati da eventi biografici impor­ tanti ( il trasferimento a Milano, la tragedia della miniera di Ribolla ) , ma soprattutto percorsi da un travaglio ideologico che, dopo una progres­ siva presa di distanza, si concluse con la rottura definitiva con il PCI al tempo dei fatti di Ungheria, nel 1956. Nel Lavoro culturale la rappresentazione della periferia di Grosseto assumerà una forte valenza simbolica. I quartieri in cui città e campagna si mescolano, lungo le linee di confini mobili e incerti ( la città si estende verso la campagna, inglobando aree che acquistano l'aspetto irrisolto e incompiuto dell 'urbanizzazione periferica ) , diventano il simbolo di una città "aperta" ( aperta « al vento e ai forestieri » ,6 ) , in cui alla vivace varia­ zione del paesaggio urbano corrisponde la disponibilità al tumultuoso mutare del paesaggio sociale. La pura e semplice identificazione Gros­ seto/Kansas City proposta nell'articolo del 1 9 5 2 si trasforma così nel romanzo in uno sfondo concreto, fatto di pompe di benzina, di strade camionabili, di trattorie ed empori al servizio di un 'umanità di passag­ gio. Presenze provvisorie e mobili che bene rappresentano una società in movimento, la sua energia fatta di desideri e aspirazioni, di denaro e lavoro : un vivo pulsare che esclude l'ordine sociale imbalsamato della

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sonnolenta provincia dell 'anteguerra. La periferia cittadina, amata dai giovani intellettuali grossetani, politicamente impegnati, non può che contrapporsi così all' ideale urbano dei benpensanti, che aspirano al lin­ dore ordinato ( giardinetti, muriccioli e panchine ) di una città che sia « una specie di anonima copia di Montecatini » '7• A quella città viene contrapposto lo spettacolo variegato di un agglomerato urbano tenden­ zialmente informe, che si allarga imponendo alla propria incerta frontie­ ra il disordine vitale degli oggetti e dei luoghi caratteristici della moder­ nità industriale e della sua umanità in movimento. Vale la pena leggere la pagina, che non solo descrive questo paesaggio mobile e in crescita, ma che anche ne dichiara gli ascendenti letterari e visivi, i richiami suggesti­ vi a scrittori e a fìlm che stanno creando una nuova sensibilità percettiva del paesaggio e - come sempre avviene in questi casi - nuove mitologie : quando veniva qualcuno di importante, uno scrittore, un giornalista, un intel­ lettuale, da Roma o da Firenze, non lo portavamo certo a vedere il vecchio cas­ sero, o le mura, o quell'antica tavola del Lorenzetti. Non era certo questo che poteva interessare noi e il nostro ospite, serio, intelligente, moderno, sensibile, spregiudicato. La città nuova gli facevamo vedere, la periferia in espansione, gli sterrati, gli orti e i poderi via via rosicchiati dai nuovi quartieri di abitazione. La nostra passeggiata preferita era alle Quattro strade, un posto chiamato così perché davvero vi si incrociavano quattro strade : di Roma, di Livorno, del mare e infine quella della nostra città : al centro del quadrivio si levava altissimo un cipresso, e lì vicino un garage, con tutti gli impianti per pulire le macchine e ripararle, i distributori di benzina, un bar aperto tutta la notte, che faceva anche cucina per gli autisti dei grossi camion col rimorchio, i quali viaggiavano tutta notte e facevano sosta lì per la cena. [ . .. ] Noi ordinavamo bicchierini di grappa e si restava lì un paio d'ore, a sorseg­ giarla, a guardare i camionisti, a parlare di letteratura. Letteratura americana, naturalmente ; e veniva sempre il momento in cui il nostro ospite osservava che quell'angolo di provincia, così, con la campagna a ridosso e la grande strada del­ la capitale, e i camionisti, un posticino così, tranquillo, bene illuminato, pareva proprio uscito da una pagina di Hemingway o di Saroyan. La provincia doveva essere tutta così, fosse America, Russia, o la nostra città. La provincia, culturalmente, era la novità, l'avventura da tentare. Uno scrittore dovrebbe vivere in provincia, dicevamo; e non solo perché qui e più facile lavo­ rare, perché c'e più calma e più tempo, ma anche perché la provincia e un cam­ po di osservazione di prim'ordine. I fenomeni sociali, umani e di costume, che altrove sono dispersi, lontani, spesso alterati, indecifrabili, qui li hai sottomano, compatti, vicini, esatti, reali28•

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Se l' immaginario urbanistico dei giovani intellettuali grossetani en­ gagés è dichiaratamente debitore della letteratura americana e dei suoi miti recenti, si tratta certamente di un debito condiviso e diffuso, come segnala il fatto che l'ospite invitato (giornalista o intellettuale, ovvia­ mente progressista), immancabilmente si trovi a rilevare il fascino di un luogo visto attraverso le suggestioni dei narratori d'oltreoceano. L' identificazione presuppone del resto lo sfondo del "mito americano" che l 'antologia curata da Vittorini (Americana, stampata, non senza disavventure censorie, presso Bompiani nel 1 942) aveva diffuso : un mito che implicava un insieme di suggestioni di cui lo stesso curatore segnalava il sottile reticolo, e che bene coglieva un lettore straordinario come Giaime Pintor in un famoso articolo-recensione del libro19• La forza della cultura americana (e della sua letteratura) è nella « terra » e nella ferocia primitiva e istintiva che ne deriva : il mito si alimenta di una terra vergine, che ne fa uno spazio di libertà, aperto all 'autonoma costruzione dei destini individuali. «Al principio era semplicemente terra » , scrive Vittorini nella prima pagina di Americana, « l'uomo sco­ priva solo dell 'altro spazio » 30• Gli spazi aperti della Grosseto di peri­ feria (l' incrocio delle quattro strade in cui si intersecano le principali linee di comunicazione che attraversano la zona) diventano allora spazi "americani", stradali e camionabili, fatti di aree di servizio e trattorie per gente di passaggio, di frettolosi anonimati (e quanto avrà agito la suggestione degli spazi ostentatamente aperti, e in ciò spudoratamente "americani", suggeriti dal delta padano di Ossessione di Visconti ?): spazi in cui proiettare metaforicamente l' idea di un mondo libero, da fonda­ re ex novo nelle sue strutture e nelle sue relazioni umane. Un confon­ dersi del paesaggio con le sue molteplici valenze mitiche, in un contesto in cui, per riprendere le osservazioni di Pavese, l'altro artefice del mito americano negli anni attorno alla guerra, le parole « diventano un gio­ co di simboli che trasfigurano le cose quotidiane e danno loro un valore e un significato » 31• E in questo contesto la provincia americana appare a Pavese la ragione profonda della forza della sua letteratura ; il luogo che concentra energia proprio in virtù della sua marginalità straniante, della sua ingenuità capace di contrapporsi all 'omologazione : « Senza provinciali, una letteratura non ha nerbo » , scrive in un saggio dedicato a Sinclair Lewisl1• Se la provincia - come suggerisce Pavese - può essere il luogo in cui si accumula energia creativa, e uno sguardo sul mondo non devitalizzato dalle mode, essa è anche, per l' Italia uscita dal lungo inverno della ditta-

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tura, il luogo in cui deve soprattutto essere esercitato l' impegno per una nuova coscienza civile. Ventre profondo di un paese che per essere rico­ struito deve essere innanzi tutto riscoperto, la provincia si presenta così esposta allo sguardo conoscitivo dell' intellettuale, dello scrittore, del politico, nella sua nudità integrale. Concentrazione statistica dell' intera gamma sociale, dello spettro completo di idee, attese, pregiudizi e aspet­ tative che animano il paese, la provincia evita all'osservatore l' inganno in cui può facilmente cadere chi sceglie come punto di osservazione il centro e la capitale : quello di confondere un ambiente, un milieu sociale e culturale specifico per il mondo tout court. La biblioteca e il cinema

Il Bianciardi dei primi anni Cinquanta sembra dunque ben calato nei panni dell' intellettuale di provincia che si sente investito di una vera e propria missione educativa, impegnato a diffondere la cultura tra i ceti popolari e a stimolarne la consapevolezza sociale e politica. In sintonia con gli orientamenti culturali della sinistra comunista e socialista che governa la città, Bianciardi trova un concreto sostegno alle sue iniziative nella Giunta comunale grossetana. Anche se, conclusa la breve esperien­ za azionista, lo scrittore non prese mai la tessera di alcun partito, i primi anni Cinquanta costituiscono il momento della sua massima vicinanza alla politica del PCI, ben testimoniata dagli articoli pubblicati settima­ nalmente sulla "Gazzetta di Livorno". In alcuni dei quali traspare l'or­ goglio del funzionario culturale che, nel suo piccolo angolo provinciale, sente di realizzare qualcosa di utile per il paese e per il suo rinnovamento politico-morale. In questo contesto si inserisce l ' importantissima esperienza di diret­ tore della Biblioteca Chelliana3l. Dapprima, come volontario, si dedica con passione al recupero del disperso patrimonio della biblioteca. Buo­ na parte della consistenza libraria originaria ( 70.000 volumi ) era andata distrutta in seguito a un bombardamento (29 novembre 1943 ) e all'allu­ vione dell'Ombrone del 1944 che allagò gli scantinati dell 'istituto tec­ nico industriale dove molti dei libri scampati al bombardamento era­ no stati depositati. Un articolo di Mauro Mancini, pubblicato qualche anno dopo su "Il Tirreno", raffigura il giovane professore con un elmetto in testa e un piumino di penne di struzzo mentre ripulisce uno a uno i libri danneggiati dal fango34•

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Dopo mesi di lavoro ( e di parziale apertura della biblioteca al pubbli­ co, nel corso del 1 9 5 0 ) la biblioteca viene ufficialmente inaugurata il 6 luglio 1952. Dal 1949 il lavoro di bibliotecario per Bianciardi era diven­ tato stabile : lo svolgerà fino alla decisione di trasferirsi a Milano, nell'e­ state del 1 9 54, per lavorare presso la neonata Feltrinellil'. Come direttore della Chelliana, Bianciardi cerca di affermare una concezione nuova di biblioteca pubblica: non luogo puramente conservativo, ma centro di diffusione della lettura e della cultura. È in questo contesto che si inse­ risce l'esperienza, tante volte ricordata poi dallo stesso Bianciardi e dai suoi biografi, del Bibliobus : un autofurgone adattato con scaffali e con un grande porcellone-vetrina laterale, con il quale egli batte i paesi della provincia mostrando novità editoriali e attivando prestiti36• Negli intenti del direttore c 'è l' ideale di una biblioteca aperta alla cit­ tadinanza, che sia un centro di cultura attiva e promotrice della lettura. Un ideale che traspare, seppure in controluce, sotto il gusto della pagina caricaturale, in uno degli Incontri provinciali della "Gazzetta", nell 'arti­ colo Bibliotecari del 29 giugno 1952. Prendendo spunto da un convegno di biblioteconomia, Bianciardi descrive il "bibliotecario" come un tipo umano peculiare, le cui caratteristiche di categoria non solo si manife­ stano nei comportamenti e nelle parole, ma risultano persino incise nel suo corpo, nell'aspetto fisico : è appunto la « faccia da bibliotecario » , una "deformazione professionale" che fa sì che persino i trentenni abbia­ no già l' inconfondibile « faccia dipinta ad olio ed incorniciata, e pronta per essere appesa all'architrave della sala di consultazione » ; siano sog­ getti, in altri termini, a un curioso processo di "transfert" che plasma nel corpo il desiderio profondo di godere di « un anticipo dell' immortalità, per così dire, bibliografica » , reificandone la carne viva in un polveroso ritratto a olio37• L'aggressività derisoria messa in campo dallo scrittore ha per bersaglio una concezione paludata e puramente conservativa dell' i­ stituzione biblioteca. Ad essa Bianciardi contrappone l ' ideale espresso da un "giovanotto" ( lo stesso scrittore, evidentemente ) che fa notare come « nell' Unione Sovietica le biblioteche sono 3 5 omila, e che qua­ si altrettante si trovano negli Stati Uniti » ; a esprimere una concezione democratica e "aperta" della biblioteca, contrastata dall'arroccamento tradizionalista di un vecchio bibliotecario, fedele alla missione rigoro­ samente "conservativa" ed elitaria del proprio ruolo ( « Lei è giovane, e forse non se ne rende conto. Sa lei che noi possediamo le più doviziose raccolte di incunaboli del mondo ? I suoi russi possiedono la bibbia di

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Borso d' Este ?, ammesso che l a Bibbia non sia proibita d a quelle parti ? Hanno legature protocristiane ? » ) 38• Su un piano di assai diversa tonalità si colloca invece un articolo uscito su ''Avanti ! " l'anno successivo39• Dove l'esperienza del Bibliobus è narrata con toni entusiastici, non esenti da venature ingenue, assai lontani da quelli ironici e disincantati che solo quattro anni più tardi, nel Lavoro culturale, un Bianciardi disilluso userà nel rievocare quelle stesse esperienze. Lo scrittore racconta l' inaugurazione dell'esperienza del Bibliobus, recando a Montepescali anche la copia originaria degli Statuti del piccolo comune grossetano, redatti nel 1427 e conservati nella Chelliana: oggetto di richiamo particolare, aggiunto alla consueta vetrina di titoli popolari ( i libri dell"'Universale Economica", della col­ lezione popolare Einaudi, i libretti grigi della prima BUR e poi manuali tecnico-scientifici Hoepli ecc. ) . La conclusione dell'articolo è pervasa da un entusiasmo compiaciuto e ottimista. Ne deriva un vero e proprio quadretto edificante di sana curiosità popolare, nel quale si mostra come un progetto intellettuale progressista abbia saputo far emergere nei de­ stinatari un desiderio di cultura che è, in primo luogo, aspirazione a un riscatto politico e sociale : Si affollarono in molti, dopo la lettura, a chiedere spiegazioni. «È vero, profes­ sore, che le donne non potevano andare ai funerali ? Perché ? » . Qualcuno aveva preso in mano il codice e compitava attento la scrittura quattrocentesca ; poi chiesero, come primo prestito del Bibliobus, una copia degli statuti. « Ma poi tornate, tornate presto, a parlarci, a darci altri libri » . Eravamo contenti a l ritorno. Soprattutto per questa constatazione. S i può fare della cultura popolare anche su di un "cimelio". Si può legare la tradizione con le esigenze moderne e popolari. Si può interessare un pubblico non spe­ cializzato proprio su di una rarità bibliografica, che di solito si tiene chiusa in cassaforte, in attesa di mostrarla agli specialisti40•

È un ideale di biblioteca, quello proposto da Bianciardi, in cui la politica culturale delle nuove sinistre recuperava la grande tradizione socialista delle biblioteche popolari41• Bianciardi cerca così di fare dell' istituzione un vivace centro che, oltre a preoccuparsi della diffusione del libro ( il ricordato Bibliobus, la costituzione di "bibliotechine frazionali", cioè di raccolte di tascabili disponibili in piccoli centri del Grossetano ) , orga­ nizza dibattiti, incontri e conferenze. Una lista, pur parziale, degli incon­ tri promossi dalla biblioteca durante la direzione di Bianciardi4l indica iniziative di qualità, in cui sono ben individuabili tipiche predilezioni

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della cultura della sinistra italiana dell' immediato dopoguerra : come due incontri dedicati alle raccolte einaudiane delle Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana e delle Lettere di condannati a morte della Resistenza europea (presentate da Giovanni Pirelli, rispettivamen­ te nel dicembre 1953 e nel giugno 1954 ) ; letture da Spoon River di Lee Master (curate dallo stesso Bianciardi, febbraio 1953 ) ; una conferenza di Carlo Cassola su Guerra e pace (dicembre 1953 ) . Ma si vedano anche una conferenza di Umberto Comi su come nasce un giornale oppure una conferenza di Aldo D 'Alfonso (funzionario comunista, particolarmente attivo sul fronte della diffusione popolare della cultura) sulla cultura po­ polare in Italia (marzo 1953 ) 43 • L'esperienza della biblioteca è destinata a restare a lungo nell' imma­ ginario bianciardiano. Non è casuale che il suo capolavoro, La vita agra, si apra con una pagina di lussureggiante e giocosa erudizione dedicata proprio all 'origine del nome Brera (da un alto tedesco Breite, o da un basso latino Braida, o dal latino classico Praedium ?) . È infatti la biblio­ teca di Brera a Milano, la Braidense (i cui arredi e spazi sono rievocati con topografica precisione) a essere protagonista nelle prime pagine del romanzo. Riformulata con tratti che richiamano il pastiche gaddiano, la rappresentazione della biblioteca è governata dallo stesso spirito deriso­ rio dell'articolo del giugno 1952.: un mondo grottesco popolato di crea­ ture deformi, lì assegnate dai corsi imperscrutabili di destini avversi. Si veda questa pagina del romanzo maggiore : Non so per quale disposizione ministeriale, questi giovani addetti alla consegna dei libri in lettura erano quasi tutti mutilati alle mani. A chi mancava un dito, a chi due, a chi tutti e cinque. Qualcuno aveva la mano di legno e cuoio den­ tro il guanto nero, ferma e secca nella positura di chi te la offre alla stretta, ma senza poterla stringere. Né poter segnare sulla scheda di richiesta il numerino corrispondente al tuo nome. [ ... ] E io sinceramente mi sentivo in colpa, d'aver chiesto il libro e di costringere questo pover' uomo, in tutto uguale a me fuor che nel numero delle dita, a un simile inverecondo calvario44•

Un'umanità sventurata, alla quale corrispondono le variegate deformità degli utenti ( « una ragazza paraplegica, la gamba sinistra sottilissima e il piedino sghembo » , oppure « un vecchio coi capelli bianchi irsuti e scomposti » e gli occhi « strabici, o abbogliorati dalla cataratta » ) 45 . Un mondo desolatamente marginale, in cui possono fiorire miti alonati di un leggendario immaginifico e iperbolico, acuiti dall' irraggiungibilità

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del sancta sanctorum della biblioteca, i misteriosi depositi, « accessibili per passaggi e cunicoli e pertugi stretti, e così bassi che un uomo di nor­ male statura difficilmente li raggiungerebbe » , tanto da aver indotto la direzione ad assumere allo scopo « uomini di piccolissima statura, reclu­ tati in val Brembana, e forse anche nani autentici da circo equestre » 46• Tra le attività culturali promosse da Bianciardi va infine ricordato il Circolo del cinema, che organizzava con regolarità proiezioni e cine­ forum di film d'autore47• Non è casuale che uno dei primi articoli che segnano l ' inizio dell'attività giornalistica di Bianciardi sia una seria ri­ flessione sul rapporto tra «cultura e gran pubblico » (questo il titolo dell'articolo, pubblicato sulla "Gazzetta di Livorno" il 13 marzo 1 952)48, dove viene sviluppata un'aperta polemica contro una concezione elitaria e intellettualistica della cultura ( « l'arte moderna si rivolge a un pub­ blico esiguo, selezionato e raffinatissimo, quasi una casta chiusa » ) , che tende a perdere « il contatto col grosso» , pericolo nel quale sono cadute le avanguardie. In questo contesto, secondo Bianciardi, acquistano un ruolo rilevante proprio il cinema e le esperienze dei "circoli del cinema" (che sempre più numerosi si erano diffusi nell' immediato dopoguerra). È appunto il cinema - scrive nell 'articolo del marzo 1952 - che può con­ sentire di « tentare ancora una linea di contatto fra la cultura e il grande pubblico » . Un'esperienza che il giovane bibliotecario grossetano con­ nette strettamente con la realtà provinciale e con le sfide che il lavoro culturale deve in essa raccogliere : Mi pare che su questo piano debba svolgersi il lavoro dei cineclub, che sono un aspetto non trascurabile della democratizzazione della nostra cultura postbelli­ ca. [ . ] l'atteggiamento che in molti circoli si è andato rapidamente delineando, ed il loro frequente sorgere proprio in provincia (nella provincia culturalmente diseredata e pur feconda di energia) dimostra con chiarezza l' importanza della loro funzione culturale49• ..

Questa esperienza, che verrà rievocata con ironia in un capitolo del Lavoro culturale, viene raccontata da Bianciardi dieci anni dopo il suo arrivo a Milano, in un articolo per "Le Ore" del 5 marzo 1 9 64 (nella ru­ brica Televisione). L'occasione è la messa in onda della versione del 1 9 5 0 (corredata d i u n commento parlato) della Corazzata Potemkin. Film di culto che arrivò in Italia a guerra finita (il film era del 1925), generando l 'ammirato entusiasmo nei tanti « circoli del cinema » sparsi per l' Italia. All'esperienza di quei circoli lo scrittore guarda ora con sorridente di-

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stacco, stupendosi del fatto che « quei giovanotti simpatici, un po' buffi e un po' matti » che « mostravano alla gente, nientemeno, il film di un russo, comunista per giunta » , potessero essere visti, nell' Italia chiusa e benpensante del dopoguerra, come una presenza « eversiva » 50• Il ricordo di quell'esperienza, carica di entusiasmo e di nai'veté, che nel Lavoro culturale era stata rivisitata con l' ironia amara delle delusioni ancora vive, che implicano un coinvolgimento emotivo ( fosse pure quel­ lo che produce lo sberleffo e l 'ironia graffiante ) , nell'articolo del 1 9 6 4 s i è diluito i n uno sguardo d i superficie, che stenta a riconoscere quanto seria e profonda, se pur ingenua, fosse la speranza di rinnovamento civile e politico che animava quelle iniziative, fiorite negli anni duri ma esal­ tanti della ricostruzione.

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Tra minatori e badilanti

« Provocare una vastissima serie di inchieste app rofondite »

Quando nel 1 9 5 6 Bianciardi dà alle stampe per l'editore Laterza (a quat­ tro mani con Carlo Cassola) il suo primo volume, I minatori della Ma­ remma, ha alle spalle una consolidata attività pubblicistica. Dopo i già ricordati articoli per un giornale a diffusione regionale come la "Gazzet­ ta di Livorno" (e sono ormai un centinaio), ha collaborato anche a testa­ te nazionali e di maggior prestigio, come "Avanti !"r e "Il Contempora­ neo"2. Alle quali ha proposto soprattutto inchieste, interviste e indagini ben documentate, per lo più incentrate sulla realtà economico-sociale maremmana. È infatti su queste due testate che Bianciardi pubblica al­ cuni articoli-inchiesta sulle miniere della Maremma, che costituiscono l 'antecedente immediato del volume laterziano. Isolato, ma di rilievo, un articolo per "Il Mondo", su un tema per Bianciardi foriero di sviluppi (!! lavoro culturale, uscito nel luglio 1 9 53). L'inchiesta sul campo è, del resto, un vero e proprio mito del gior­ nalismo di sinistra dell' immediato dopoguerra, a partire dall 'esperienza del "Politecnico" di Vittorini, che in essa aveva visto uno strumento stra­ ordinario di conoscenza (e di denuncia) della realtà italiana. Le famose inchieste "politecniche" sulla FIAT e sulla Montecatini (una società che toccherà assai da vicino Bianciardi, come tra poco vedremo, in quanto monopolista dell' industria mineraria maremmana)3 saranno un indi­ scutibile modello per il lavoro di Bianciardi e Cassola sulle miniere del Grossetano: a cominciare dall 'articolazione di un' indagine che non sol­ tanto descriveva le condizioni materiali di lavoro e di vita dei lavoratori (reddito, svaghi, abitudini, attese), ma ricostruiva anche la storia dell'a­ zienda, della sua dirigenza e delle sue innovazioni tecniche e produttive, nonché la storia delle relazioni sindacali tra proprietà e lavoratori.

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All ' importanza dell' inchiesta Bianciardi accennerà qualche anno più tardi, nel suo secondo romanzo (L 'integrazione), dove allude al bre­ ve periodo di lavoro nella neonata Feltrinelli, dove fu tra il 1 9 54 e il 1 9 57 ( e nulla qui toglie al nudo aspetto testimoniale il fatto che nel romanzo quella rievocazione avrà - in un clima ideologico ed esistenziale pro­ fondamente mutato - il tono dell' ironia e dello sberleffo ) . Uno dei pro­ tagonisti del romanzo indica nell'inchiesta uno dei doveri preliminari perché la « grande iniziativa » ( così viene chiama nell'Integrazione la casa editrice Feltrinelli ) possa decollare : Diceva Marcello che una vera storia d ' Italia bisognava ancora scriverla. Avrem­ mo dovuto, nel quadro della grande iniziativa, provocare una vastissima serie di inchieste approfondite, ciascuna su di un aspetto della realtà italiana. « Cosa ne sappiamo noi della FIAT, per esempio ? Cosa ne sappiamo di quel che suc­ cede nella campagna dell'Appennino ? Dicono che si vanno spopolando, che i contadini l'abbandonano. Perché ? E ancora : quanti sono i preti in Italia, oggi ? Quanto comandano ? [ ... l E le donne ? Cosa pensano le donne ? In che misura e in che modo sono cambiate, negli ultimi cento anni, negli ultimi cinquant'anni, quello che volete ? » . [ ... l Insomma, Marcello avrebbe voluto che la grossa iniziativa servisse in primo luogo a scavare pezzo per pezzo il territorio del paese : una specie di moderna campagna archeologica, vastissima\

L' insopprimibile vocazione autobiografica della narrativa bianciardiana ( nel personaggio di Marcello sono riconoscibili molti tratti caratteriali e biografici dell'autore ) rievoca sia l'archetipo giornalistico cui qui si al­ lude ( l' inchiesta sulla FIAT del "Politecnico" di Vittorini ) , sia la propria esperienza personale di giovane intellettuale che va battendo la «cam­ pagna dell 'Appennino» e il « territorio del paese » . E « territorio » è qui per Bianciardi, né più né meno, la "provincia" appenninica che fa da sfondo a quasi tutti gli articoli pubblicati su "Avanti ! " e "Il Contempo­ raneo" nel 1 9 53-54. Varrà la pena ricordarne alcuni, non solo perché co­ stituiscono l'antecedente diretto del libro sui minatori maremmani, ma anche perché documentano la prima apparizione di temi e motivi che torneranno - riletti in una prospettiva critica straniante - nelle opere di narrativa ( soprattutto nel primo romanzo ) . I minatori della Maremma, come si è detto, è scritto a quattro mani con Carlo Cassola, che al momento dell'uscita del libro era già scrittore di una certa notorietà. L'amicizia tra Bianciardi e Cassola si esprime in

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una forte convergenza di interessi: ambedue ex "azionisti': partecipano attivamente al Movimento di Unità popolare, che si mobilita nei primi mesi del 1953 contro la "legge truffa"; Cassola contribuisce poi con en­ tusiasmo all ' iniziativa, voluta da Bianciardi, del Bibliobus. Un' intensa collaborazione politico-letteraria, dunque, che a distanza di anni Casso­ la rievocherà in un' intervista, restituendo l 'entusiastico clima "provin­ ciale" di quel periodo : Ci dicevamo che il mondo era tutto da rifare : vent 'anni di fascismo, la guerra, una restaurazione in piena regola, ora toccava a noi metterei le mani e raddrizza­ re il mondo. Da dove si doveva cominciare ? Nessun dubbio : bisognava lavorare proprio lì, in provincia. C 'era tutto da fare, cambiare la letteratura, cambiare la politica, cambiare la gente5•

Un impegno che si esprime in una vivace attenzione per la concreta realtà economico-sociale della Maremma. Ed è interessante notare che prima di occuparsi di minatori e di attività minerarie, Bianciardi abbia scritto su "Avanti ! " due articoli che richiamano quel mondo dei boscaioli e car­ bonai maremmani che Cassola aveva raccontato con asciutta poesia nel Taglio del bosco, che forse a ragione è da molti considerata la sua opera migliore". Usciti il 7 e 1 ' 8 aprile del 1953, i due articoli bene esprimono il gusto per l' indagine sul campo, per la testimonianza diretta volta a de­ nunciare condizioni di disagio o di emarginazione. Una caratteristica che viene anzi apertamente esibita da Bianciardi, che si presenta come l'og­ gettivo cronista di una realtà conosciuta per osservazione diretta, attinta dalle cose viste e dalle parole stesse dei protagonisti. « Sono tutte cose nuove, che si scoprono a poco a poco, avvicinando i boscaioli e conver­ sando con loro » , scrive nel primo dei due articoli?, e sono parole che in­ dicano non tanto un metodo di lavoro e d' indagine, quanto un orizzonte politico-culturale che celebra l ' intellettuale capace di comunicare con il popolo e di raccoglierne le istanze. La descrizione ricca di particolari mi­ nuti e il dialogo raccolto dalla viva voce delle persone incontrate ( « Cosa mangiate di buono ? » , « Minestra in brodo » , « Quando il soffritto è pronto, mescolo tutto e si mangia » , « Ma la carne non ce la metti ? » ) 8 s i intersecano con l'attenzione per il dato tecnico e per la terminologia specifica del lavoro e dell'ambiente (imposto, metri steri, pedagna,Jorteto ). Un gusto per la precisione che fa una sola cosa con l'esattezza del dato statistico, che va dal numero dei lavoratori impiegati nella provincia alla valutazione precisa dei margini di guadagno dei "tagli"9•

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Se Cassola aveva dedicato all' industria mineraria della Maremma un articolo sul "Mondo" (I nababbi del sottosuolo, 5 luglio 1 9 52), Bianciardi aveva scritto sull'argomento vari pezzi, a partire dal 28 luglio 1 9 5 3 , quan­ do esce su "Avanti ! " un articolo (Si smobilita in silenzio nelle miniere di Ribolla) a metà tra cronaca politico-sindacale e denuncia. Vi si parla della miniera di lignite di Ribolla, dove alla progressiva riduzione del personale (la lignite, carbone di modesta qualità, stentava a reggere la concorrenza del carbone americano, più economico e migliore) si ac­ compagna una sistematica politica di risparmio da parte della proprietà (la Montecatini), che non rispetta le minime regole di sicurezza dei lavo­ ratori ( « la società ci pratica la coltivazione a rapina. Non si preoccupa, cioè, di colmare di terra le gallerie esaurite, e questo rende sempre più probabili vuoti d'aria, frane ed incendi » ) '0• Timori profetici: appena dieci mesi dopo, la miniera di Ribolla conoscerà la più grave tragedia sul lavoro nella storia dell' Italia repubblicana : la morte di 43 minatori per un'esplosione di grisù. L'episodio sarà destinato ad acquisire un' im­ portanza centrale nella biografia e nella narrativa di Bianciardi. Poche settimane dopo la tragedia egli lascerà per sempre Grosseto per trasferir­ si a Milano (e forse quell'episodio non sarà stato senza importanza nel far crollare le residue illusioni dell' intellettuale di provincia, che aveva creduto nella possibilità di incidere positivamente con il proprio lavoro e il proprio impegno sulla realtà locale); una partenza che nella Vita agra sarà trasfigurata nel racconto dell' intellettuale militante deciso a passare all'azione, che raggiunge Milano con un preciso intento terroristico­ politico : vendicare la morte dei minatori di Ribolla facendo esplodere il « torracchione » , la sede centrale della Montecatini. La tragedia di Ribolla e i funerali dei minatori saranno rievocati da Bianciardi nelle pagine commosse di un articolo pubblicato sul "Contemporaneo" il 15 maggio 19 54, pochi giorni dopo il luttuoso evento. Gli antecedenti diretti del volume laterziano sull' industria mineraria maremmana sono però costituiti da una serie di articoli, parte di Bian­ ciardi, parte di Cassola, cui ne vanno aggiunti da ultimo altri usciti per "Nuovi Argomenti" e firmati da ambedue gli scrittori. Vanno innanzi tutto ricordati cinque pezzi che Bianciardi pubblica in breve successione (tra il 25 novembre e il 5 dicembre 1 9 5 3 ) su "Avanti ! ", riuniti dal titolo complessivo di Inchiesta sulle condizioni di vita in Maremma". Un tirolo organico e ambizioso, a designare un lavoro che affronta aspetti sia sto­ rici sia socioeconomici della realtà maremmana. Dopo un breve excursus sulla storia delle bonifiche maremmane (a cominciare dalle riforme leo-

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poldine, a metà Settecento), Bianciardi tratta, con toni polemici vivaci, della riforma agraria promossa dal governo De Gasperi e gestita dall ' En­ te Maremmall; ma ampio spazio è dedicato all 'attività mineraria, di cui non solo viene ricostruita succintamente la storia degli ultimi decenni (con la nascita del monopolio della Montecatini nell'estrazione della pirite, necessaria per la preparazione dell'acido solforico, componente essenziale dell' industria chimica), ma anche sono illustrate le condizioni di vita dei minatori e le lotte sindacali passate e presenti. Un dettaglia­ to articolo-inchiesta, specificamente dedicato al lavoro minerario e alle condizioni di vita dei minatori uscirà poi, a firma di Bianciardi, pochi mesi dopo, sul "Contemporaneo"'\ In questo articolo Bianciardi, par­ lando della miniera di pirite di Niccioleta, in provincia di Grosseto, rac­ coglie dati numerici e statistici, cita tabelle salariali e conteggia costi di produzione e ricavi, alternandoli a spunti descrittivi in cui l'esattezza del particolare produce l'atmosfera di un ambiente (come quando si soffer­ ma sull ' inconfondibile « aria di caserma » che si respira nelle stanzette che la proprietà mette a disposizione dei minatori scapoli : « accenti me­ ridionali, cartoline e ritratti appiccicati al muro, la Madonna di Loreto, il golfo di Napoli, la fidanzata » '4), e a passi in cui c 'è il piglio della pole­ mica politico-sindacale contro i luoghi comuni o i pregiudizi del « ceto piccolo-borghese paesano e cittadino» . La precisione dei dati numerici, quantitativi e statistici, di cui Bian­ ciardi rende qui conto costituisce ovviamente un aspetto imprescindi­ bile della scrittura di inchiesta : ma il rigore documentario esprime una vocazione profonda dello scrittore grossetano, per il quale l'attenzione per il dato concreto e misurabile, per la ricostruzione precisa delle circo­ stanze e dei particolari risulterà un tratto caratteristico anche della scrit­ tura creativa e del suo giornalismo d'opinione o di costume. Se l' indagi­ ne sul campo non può che essere raccolta rigorosa di dati, nella cura con cui Bianciardi li riordina e li organizza in un quadro coerente c 'è anche l' ideale di una cultura antiretorica e concreta (non estranea ai moniti gramsciani a favore di un sapere "tecnico", antidoto necessario contro la retorica vacua di un certo umanesimo superficiale che aveva caratterizza­ to il "letterato" italiano tradizionale e che il regime fascista aveva ripro­ posto in forme solo esteriormente mutate). Ma, assieme all'esigenza di verità scientifico-documentaria e testimoniale, c 'è in Bianciardi il piace­ re della precisione quantitativa, che può diventare una straordinaria ri­ sorsa del comico nel denunciare una realtà deformata dai luoghi comuni e dai pregiudizi. La retorica vuota e altisonante, la superficiale stupidità

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della frase fatta e delle ideés reçues, l' iperbole centrifuga dell' argomen­ tazione puramente ideologica, sveleranno spesso la loro insensatezza, nelle pagine di Bianciardi, grazie alla potenza corrosiva del conto che non torna, della datità oggettiva e inoppugnabile di una misurazione, di informazioni verificabili. E non è un caso che l'esordio giornalistico di Bianciardi ( "Gazzetta di Livorno", 26 febbraio 1 9 52) sia un articolo intitolato Bugie sociali, che prende spunto dalla traduzione italiana di Man against Myth1S, del filosofo americano Barrows Dunham, dedicato ai meccanismi di formazione nella società moderna di « idee correnti » o, per dirla con Bacon, di idolafori. Un articolo che affida alla pura giu­ stapposizione di dati numerico-statistici ( «cifre alla mano ... », si legge a un certo punto in un inciso di immediata colloquialità, così caratteri­ stica del Bianciardi giornalistico) l' ironia nei confronti di alcuni luoghi comuni « correnti, nella Repubblica italiana, alla metà del secolo vente­ simo » ( "L' Italia è un paese povero", "in Italia siamo troppi" ecc.). Gli articoli sull ' industria mineraria maremmana di Bianciardi e Cassola - resi drammaticamente attuali dalla strage di Ribolla - atti­ rarono l'attenzione di Vito Laterza, che in quei mesi stava progettando una nuova collana di testi - fossero saggistici o narrativi, o le due cose insieme - che ritraessero con ricchezza documentaria aspetti particola­ ri del paese. È l'editore stesso a sollecitare un incontro con Bianciardi a Roma, alla fine di maggio, secondo quanto si ricava dalla magistrale ricostruzione storica fatta da Velia AbatP6• Gli accordi preliminari sono presi verbalmente in quella occasione, come si evince dalla lettera che, pochi giorni dopo, l'editore rientrato a Bari invia allo scrittore7• Laterza chiede in essa un saggio approfondito che comprenda « tutti gli aspetti del lavoro della miniera, le origini storiche, i vari addentellati col mondo esterno » , qualcosa, insomma, che proponga « un esame quanto più pos­ sibile organico » , anche se ciò « estenderà l'esposizione » . Sono proprio quelle le settimane in cui Bianciardi lascia definitivamente Grosseto per trasferirsi a Milano. Nell'ultima lettera che spedisce a Laterza da Grosse­ to, il 6 giugno del 1 9 54, Bianciardi accenna all' impossibilità di mettersi subito al lavoro dovendo « decidere alcune cose, che riguardano anche il mio lavoro, di importanza assai grande » 18• E la decisione non era da poco. Lasciare la città natale, che l'aveva visto impegnato in quegli anni in un' intensa attività di promozione culturale, per buttarsi nell'avven­ tura milanese era un vero salto nel buio. E alle decisioni professionali si aggiungevano quelle personali e sentimentali: a Grosseto Bianciardi la­ sciava una moglie e un figlio, mentre già aveva intrecciato una relazione

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con Maria ]a tosti (che a Milano l'avrebbe raggiunto l'anno dopo), che sarebbe stata la sua compagna per il resto della vita. E anche se non man­ cheranno negli anni futuri pentimenti e rimpianti, sarà una decisione definitiva : Bianciardi non sarebbe mai più tornato indietro. La provin­ cia con i suoi riti, anche negli aspetti più grotteschi e ridicoli così spesso messi alla berlina negli articoli della "Gazzetta", avrebbe continuato ad avere spazio nella sua narrativa (e soprattutto nel suo primo romanzo, Il lavoro culturale) , ma sarebbe divenuta sempre più distante, non più che il contraltare ideale (e con il passare del tempo anche idealizzato) di una Milano via via più pervasiva con i suoi paesaggi urbani, umani e sociali. Un' indagine sistematica sul lavoro minerario maremmano risponde­ va bene a quell'editoria di inchiesta e di denuncia che era stata la più significativa innovazione introdotta da Vito Laterza da quando, nel 1 9 5 1, aveva assunto la direzione editoriale della casa editrice di famiglia. È in­ teressante quanto l'editore scrive in una lettera a Cassola del 4 febbraio 1955 (quando il lavoro sul campo è avviato e ferve la stesura dei primi capitoli di prova), sottolineando come il suo interesse per l'operazione avesse un carattere quasi sperimentale, come ad avviare un tipo di lavo­ ro che prospetti nuove forme di collaborazione tra editoria e scrittori: « questo che provo con lei » , scrive infatti, « del libro su commissione, è uno dei primi esperimenti; e mi sarà molto utile vedere in che misura è possibile arrivare a una effettiva collaborazione tra autore ed editore » '9• Gli « esperimenti » in corso presso casa Laterza non erano di poco con­ to, e si andavano concretizzando nella collana "Libri del Tempo", che rappresenta una vera e propria "svolta" nella politica dell'editore bare­ se'a. La collana ospitava saggi e inchieste (fra i titoli più celebri Con­ tadini del Sud, di Rocco Scotellaro, uscito nel 1 9 54) o scritture a metà tra la narrazione (magari dai forti tratti autobiografico-testimoniali) e il saggio, come Le parrocchie di Regalpetra, libro di esordio di Leonardo Sciascia, che sarà stampato nel 1 9 5 6 , lo stesso anno in cui esce I minatori della Maremma. Che il libro fosse « su commissione » , come dice Laterza, bene si evince dal carteggio che intercorse tra l 'editore e i due autori; e soprat­ tutto con Cassola, che dopo l'andata di Bianciardi a Milano seguì più da vicino le operazioni preparatorie del lavoro (le indagini sul campo, le ricerche d'archivio, il reperimento di dati statistici, le visite alle miniere con il non facile ottenimento dei permessi da parte delle diverse società proprietarie) . Le proposte di indice (ne verranno elaborati due prima di giungere a quello definitivo) sono discusse del resto punto per punto

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dall'editore, il quale non riuscì tuttavia a imporre al testo un carattere più marcatamente narrativo, quale si sarebbe aspettatoli. Problematica è l' individuazione dell'apporto al libro dei singoli autori, in assenza di indicazioni positive di attribuzione. Della questione si è occupato in maniera sistematica Velia Abati, nel volume già ricordato, muovendosi con grande perizia fra testimonianze oggettive e valutazioni di caratte­ re stilistico e infratestuale. Se degli undici capitoli (più un 'appendice di biografie di minatori) che compongono il libro sono certamente da attribuire a Bianciardi il primo, il terzo e il nono capitolo (così come sono sicuramente cassoliani il sesto capitolo e le biografie conclusive), in altri casi è riscontrabile una mescolanza, difficilmente districabile, di diversi gradi di collaborazione : tra capitoli scritti da una sola mano, ma rielaborando dati e spunti di ambedue gli autori, e capitoli che rivelano « una zona informale, ma molecolare e feconda, fatta di scambi di vedu­ te, suggestioni, aspirazioni ideali, alimentata dal lavoro politico comune e dalla frequentazione quotidiana » 11 • Nell ' intento degli autori (come è detto esplicitamente da Cassola in una lettera all 'editore del 2.4 marzo 1 9 55) il libro doveva avere « due dimensioni » , una sociologica e l'altra storica'3• Una duplicità che bene si evince nel secondo indice (probabilmente elaborato in comune dagli autori durante la Pasqua del 19 55, quando Bianciardi tornò per qualche giorno a Grosseto), che Cassola comunica all 'editore in calce alla lette­ ra dell ' u aprile'4• Il secondo indice prevede solamente cinque capitoli (nella redazione definitiva saranno, come si è detto, undici) e due appen­ dici, dedicate rispettivamente agli eventi tragici della strage nazifascista di Niccioleta, del 13 giugno 1944 (nella redazione definitiva diventerà il sesto capitolo) e allo scoppio della miniera di lignite di Ribolla, il 4 maggio 1 9 5 4 (nella redazione definitiva corrisponderà al nono capitolo). Nella struttura del libro indicata nel secondo indice, le « due dimen­ sioni» (sociologica e storica), di cui Cassola parla nella lettera del 2.4 marzo, sono alternate. Hanno un carattere prevalentemente storico il primo, il terzo e il quarto capitolo, dedicati rispettivamente alla storia dell 'attività mineraria maremmana (cap. 1 ) , alle lotte sindacali dei mina­ tori, dalle prime forme di organizzazione fino alla Seconda guerra mon­ diale (cap. 3), alle vicende del dopoguerra, fino alle soglie del presente, con il racconto del grande « sciopero dei cinque mesi » , del 1 9 5 1, e con­ cludendosi con la « controffensiva padronale tuttora in atto » (cap. 4). Hanno invece un carattere prettamente sociologico il secondo e il quin­ to capitolo, che fotografano il lavoro minerario non solo sul piano delle

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condizioni materiali dell'attività industriale ( organizzazione del lavoro, sistemi di sicurezza, infortuni ecc. nel secondo capitolo ) , ma anche su quello socioculturale ( la psicologia dei minatori, i loro rapporti umani, la condizione delle loro famiglie ecc. nel quinto capitolo ) . La stesura definitiva del libro, pur modificando in parte questo sche­ ma, conferma quell' intreccio tra ricostruzione storica e indagine socio­ logica che era negli intendimenti originari degli autori e dell'editore. In questo modo bene poteva trovare posto in una collana come quella dei "Libri del Tempo", il cui carattere militante tendeva a coniugare la descrizione-denuncia dell'esistente con l 'indagine sulle cause storiche profonde delle carenze legislative o strutturali del paese. Il tono militante del libro si evince con chiarezza nell'atteggiamento moralmente risentito e nello spirito apertamente polemico che lo attra­ versa. A cominciare dalla Nota degli Autori, dove è denunciato il rifiuto da parte della Montecatini ad autorizzare agli autori la visita degli impianti «col pretesto delle "misure precauzionali e di sicurezza" » , ma - conclu­ dono gli autori nella Nota - «leggendo questo libro il lettore si renderà facilmente conto delle vere ragioni del rifiuto »15• I minatori della Maremma

Il 7 luglio 1 9 5 6 esce su "l' Unità" un breve articolo di Bianciardi intito­ lato Scrittori giovani. È uno degli ultimi che lo scrittore pubblica per il giornale del Partito comunista, per il quale aveva scritto ( a partire dall'estate dell 'anno prima ) una ventina di articoli: soprattutto rappre­ sentazioni ironico-sarcastiche ( non lontane dalla maniera degli Incontri provinciali della "Gazzetta di Livorno" ) della realtà milanese, metropoli­ tana, produttiva e neocapitalista. L'articolo è la cronaca di un convegno di giovani scrittori e critici, ed è uno dei tanti esempi della propensione antintelletrualistica di Bianciardi: l'establishment culturale viene messo alla berlina in una rassegna di piccole manie e idiosincrasie, di parole d'ordine e di argomenti prevedibili. L'uniformità dei gesti e dei compor­ tamenti trova un corrispettivo linguistico nella dominante parlata de­ dialettizzata e de-regionalizzata : pur provenendo da tutta Italia, « non si avvertiva molta differenza, quanto a lingua, fra un oratore e l'altro >> , e del resto «la voce, il tono, la cadenza erano uguali per tutti »16• In quel momento della sua vita, l'estate del 1 9 56, Bianciardi è, a tutti gli effetti, un "giovane scrittore" che ha all'attivo il libro laterziano, uscito la pri-

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mavera precedente. Ai Minatori Bianciardi allude, infatti, ma con una maliziosa soppressione del proprio nome : In quel momento parlava il giovane critico, parlava della nuova via della narra­ tiva italiana, della scoperta del mondo del lavoro ; faceva anche dei nomi ; i con­ tadini di Levi e Scotellaro, i banditi di Dolci, i minatori di Cassola e ... Si arrestò un momento, cercando il nome, ma non gli venne in mente e cambiò discorso,7•

C 'è molto Bianciardi in queste poche battute, e soprattutto c 'è molto del Bianciardi degli anni futuri, che anche di fronte al successo della Vita agra conserverà la posa del marginale, anticipando la sua esibita e scostan­ te estraneità alle conventicole e ai gruppi intellettuali. Ma, oltre a ciò, c 'è anche il gusto per un gioco allusivo autoreferenziale e rivolto ai pochi in grado di decodificarlo. In questo passo lo scrittore allude naturalmente a sé stesso - nome non ancora noto, anche se non sconosciuto - e lo fa accennando a una linea letteraria significativa nel panorama culturale di quei mesi: una nuova attenzione per la realtà popolare e delle classi lavo­ ratrici che non stava passando inosservata, e che stava anzi connotando una tendenza editoriale non priva di titoli di successo ( e in prima linea c 'era appunto la collana dei "Libri del Tempo", presso la quale erano usci­ ti, oltre naturalmente ai Minatori di Cassola-Bianciardi, sia Contadini del Sud di Rocco Scotellaro sia Banditi a Partinico di Danilo Dolci ) . Nell 'ambito delle operazioni di marketing editoriale si inserisce l'ar­ ticolo che nell'aprile del 1 9 5 6, quando è imminente l'uscita dei Minato­ ri, Bianciardi pubblica per "Cultura Moderna", la rivista-rassegna delle edizioni Laterza28• Scritto in forma di lettera all'editore, l'articolo riper­ corre le origini dell' interesse dei due autori per il lavoro dei minatori in Maremma : un interesse mediato da un forte coinvolgimento persona­ le ed emotivo, che per Bianciardi risale all' infanzia e ai soggiorni estivi nella località mineraria di Prata, paese originario della famiglia paterna ( « un anno dopo l'altro, ho conosciuto e frequentato i minatori e sono diventato amico, prima dei loro figli, poi di loro » 29 ) . In ottemperan­ za al ben definito modello politico-culturale dell' intellettuale inserito nel contesto territoriale e capace di dialogare con le classi lavoratrici, Bianciardi sottolinea come il libro sia frutto di uno scambio profondo di esperienza e di cultura, sulla scorta della grande lezione di Gramsci, non solo - racconta Bianciardi - conosciuto per la prima volta grazie ad alcuni minatori antifascisti ( « negli anni del fascismo furono pro­ prio certi minatori di Niccioleta che mi parlarono, per la prima volta, di

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Gramsci » )30, ma presente nella figura di un nuovo intellettuale "tecni­ co", capace di misurarsi con le nuove realtà economico -produttive, urba­ ne o industriali31• Cosicché la genesi del libro, scrive l'autore, passa anche attraverso l'appropriazione del sapere specifico e del linguaggio setto­ riale della miniera ( « ci facemmo strada, a poco a poco, nel linguaggio della miniera, imparammo che cos 'è un cappello, cosa significa stradino, carichino, gita, discenderia, rimonta » )31• La struttura definitiva dei Minatori, come si è detto, è articolata in undici capitoli piuttosto compositi per temi e stile. Alle parti storiche e "sociologiche", da alternare secondo l'intento espresso da Cassola nella lettera del 24 marzo 1955, si aggiungono infatti capitoli dal piglio cro­ nachistico-narrativo e fortemente drammatico : è il caso di due capitoli sicuramente scritti da Bianciardi, il 6 e il 9, che raccontano rispettiva­ mente la strage nazifascista di Niccioleta del giugno 1944 e la sciagura di Ribolla del maggio 1954. Una vera e propria ricostruzione storiografica è il primo capitolo, che racconta la storia dell ' industria mineraria maremmana, dalle lontane origini etrusche fino all 'arrivo della Montecatini, che nel r 912 mono­ polizza l'estrazione italiana di pirite. Prettamente storici sono anche i capitoli dedicati alle prime lotte sindacali, tra le agitazioni del 1900 e lo scoppio della Prima guerra mondiale (cap. 4 ) ; il capitolo che ricostrui­ sce le vicende politiche che vanno dal primo dopoguerra, con l'avvento del fascismo, fino all' 8 settembre (cap. s ), o il settimo capitolo dedi­ cato alla ripresa dell'attività estrattiva nel secondo dopoguerra e alle forti tensioni tra sindacati e proprietà (che voleva ridurre fortemente il personale), sfociata nella "lotta dei cinque mesi", del 1951, finita con la sconfitta delle forze sindacali. Di carattere "sociologico" (secondo la definizione di Cassola sopra ricordata) sono i capitoli che descrivono il lavoro in miniera, le tecniche di scavo e ventilazione, le malattie profes­ sionali e gli incidenti, il regime del cottimo che costringe i lavoratori ad accelerare fino all 'eccesso i ritmi di lavoro (cap. 2) , o quello che descrive i villaggi minerari, le caratteristiche delle abitazioni, i luoghi di ritrovo dei minatori (cap. 3) , o il decimo capitolo, che parla dei minatori del Monte Amiata. Tutto il lavoro è sorretto da una rigorosa ricerca documentaria, che si traduce nella riproduzione di tabelle, dati statistici e quantitativi, in rinvii ad articoli di legge e a disposizioni amministrative. Alla dovizia di dati oggettivi ricavati dalle fonti documentarie, Cassola e Bianciardi aggiungono poi - ma anche questo caratterizza il genere dell' inchiesta

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"politecnica" - la ricerca sul campo, lo sguardo diretto sulle cose, la te­ stimonianza raccolta dalla viva voce delle persone. E sono testimonianze alle quali si vuole attribuire autorevolezza attraverso il racconto preciso delle circostanze in cui sono state raccolte, o inserendole in un esatto contesto linguistico in cui trova posto, con una naturalezza estranea a ogni valore espressivo, la gergalità tecnico-mineraria e sindacale. Consi­ deriamo, ad esempio, questo passaggio del secondo capitolo (!! lavoro in miniera), in cui si parla del regime del cottimo, fortemente incoraggiato dalla proprietà : L'assillo di raggiungere il superminimo [la produzione minima prevista dal cot­ timo] spinge il lavoratore ad accelerare il ritmo di produzione, e questo è spesso causa di incidenti [ ... ] . C i faceva notare il direttore d i una miniera, mentre lo accompagnavamo nella sua visita mattutina ai cantieri di avanzamento, come tanto lui che i suoi collaboratori raccomandino continuamente agli operai di non trascurare la ma­ nutenzione per la produzione, di dedicare un maggior tempo all'armamento. Il guaio è concludeva quel dirigente - che gli operai prendono troppa confiden­ za con la miniera. Il guaio è - a nostro debole parere - che non si può spingere al massimo la produzione e pretendere allo stesso tempo che gli operai osservino scrupolosa­ mente le norme di sicurezzall. -

È la concretezza del lavoro sul campo (l' ingegnere accompagnato « nel­ la sua visita mattutina ai cantieri di avanzamento » ) ad aggiungere cre­ dibilità all' inchiesta. E non è casuale se gli autori accennino spesso al loro "esserci", ali ' aver visto direttamente le forme e le condizioni di un luogo o di un paesaggio ( « abbiamo camminato per mezz'ora sull 'enor­ me mucchio di sterile, dove il sole si rifrange e brucia come sopra una duna deserta » )34, all 'aver incontrato persone, con le loro storie perso­ nali ( « abbiamo incontrato proprio all' ingresso del villaggio l'operaio Tacconi Otello ; piccolo, massiccio, a torso nudo, spalava la terra sul ci­ glio della strada [ ... ] . Un tempo era stato uno dei migliori operai, e dei più combattivi ; lo nominarono segretario della Commissione Interna; poi la "Montecatini" lo licenziò » )35• Lo sguardo autoptico assegna agli autori la responsabilità di una testimonianza capace di sfatare gli inganni della parola, di svelare la verità celata sotto l' ipocrita lessico aziendale : Ricordiamo come se fosse oggi la nostra prima presa di contatto con la vita di miniera. Ci fu consigliato di visitare Ribolla, come il villaggio operaio più carat-

TRA MINATORI E BADILANTI teristico. Il termine "villaggio operaio" ci suggeriva l' idea di un paesino lindo e ridente, con casette a mattoni ciascuna circondata dal suo giardinetto o dal suo orticello. Invece la prima cosa che ci colpì fu lo squallore del luogo16•

La stessa logica documentaria, di diretta presa di contatto con una real­ tà colta nella sua concretezza immediata, presiede all'appendice di bre­ vi biografie di minatori che conclude il libro. Anche in questa sezione (curata da Cassola) gli autori si ispiravano al modello del "Politecnico", che aveva concluso con biografie di operai le famose inchieste sulla FIAT e sulla Montecatini17• Una soluzione che molto preme all 'editore, che dopo aver ricevuto da Cassola il già ricordato schema non ancora defini­ tivo del libro, strutturato in cinque capitoli e due appendici, gli risponde il 14 aprile 1955 rilevando come lo schema non contempli una sezione di interviste ai minatori : «È dal terzo capitolo che lei pensa di cominciare a far parlare "direttamente" (sulla base delle interviste) i minatori ? Ben­ ché lo schema non vi accenni esplicitamente, credo infatti che lei non avrà voluto rinunciare a questo aspetto dell' indagine » 18• Evidentemente Vito Laterza vedeva nelle interviste la possibilità di dare al libro una vi­ vacità e un 'appetibilità per i lettori che non era sicuro fossero garantite dalle pur rigorose ricostruzioni storico-sociologiche. Concludono dunque il libro diciassette brevi biografie (una brevità - si legge nella nota redazionale che le precede - « conforme » alla men­ talità dei minatori, « gente assai parca nel parlare » , tanto che « di sé, della propria vita, dicono pochissimo »19). Esse in poche righe essenziali condensano tratti sociologici ( guadagno mensile, condizione abitativa) e personali storie umane (spostamenti ed emigrazioni), spesso incro­ ciandoli con vicende politiche che assumono un valore "esemplare": è il caso dei molti minatori che hanno alle spalle un passato antifascista e una diretta partecipazione alle fiere lotte sindacali dell' immediato do­ poguerra. Una modalità che rendeva esplicito un ideale che Bianciar­ di non avrebbe coltivato a lungo, ma che era ben saldo negli anni del­ l' engagement grossetano: il mito di una classe operaia portatrice privi­ legiata di valori democratici e positivi, solidale, non schiava della legge cieca del profitto e dello sfruttamento dell'uomo sull 'uomo.

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Il mito rivisitato: Il lavoro culturale

L'occasione milanese

Bianciardi aveva lasciato Grosseto per trasferirsi a Milano nel luglio del 1 9 54. Nella primavera di quell'anno aveva cominciato a collaborare con "Il Contemporaneo", la neonata rivista di Antonello Trombadori e Car­ lo Salinari. Nel giro di poche settimane escono i primi articoli di una sua rubrica di reportages sociali e di costume, le Cronache di vita italiana'. È proprio il contatto con la direzione della rivista che costituisce per Bian­ ciardi l 'occasione che gli cambierà la vita : Trombadori segnala infatti a Giangiacomo Feltrinelli, che sta mettendo in piedi la casa editrice, il nome del giovane bibliotecario e pubblicista grossetano. Erede di un' imponente fortuna immobiliare e finanziaria, Feltrinelli, che aveva aderito al Partito comunista nel marzo del 1945 (dopo una breve esperienza militare nell'esercito italiano badogliano), aveva rile­ vato nel 1954 la COLI P (Cooperativa del libro popolare, nota per il logo con il canguro), una casa editrice nata nel 1 949 con il sostegno diretto di Togliatti e del partito, specializzata in libri economici e di buon livello (stampava grandi classici di narrativa, soprattutto ottocentesca, libri di divulgazione scientifica e filosofica, classici dell' illuminismo) con il fine dichiarato di diffondere la cultura nelle classi popolari. Nel corso del 1954 Feltrinelli costituisce un primo nucleo di redattori incaricati di im­ postare il lavoro della nuova casa editrice, che nascerà ufficialmente all ' i­ nizio del 1 9 55. Bianciardi narrerà quell'esperienza, con ricchezza di par­ ticolari, nel suo secondo romanzo L 'integrazione, parlando del progetto come della « grossa iniziativa » . Dopo una brevissima esperienza di lavo­ ro presso la redazione di "Cinema Nuovo", la rivista di Guido Aristarco, che aveva sede nello stesso edificio della nascente casa editrice, Bianciar­ di entra presto a far parte della redazione della Feltrinelli, aggiungendosi a Gian Piero Brega, Valeria Riva e Luigi Diemoz (che già costituivano

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la redazione della COLI P ) . Sua è la traduzione, nel 1 9 55, di uno dei primi libri editi dalla neonata casa editrice, Ilflagello della svastica ( The Scourge oJ the Svastika: A Short History oJNazi T-tar Crimes, 1 9 54), di Edward F. L. Russell: primo esempio di un'attività, quella di traduttore (per la stessa Feltrinelli e per molti altri editori), che diventerà negli anni a ve­ nire il suo principale mestiere. Alla Feltrinelli Bianciardi cura la collana "Scrittori d'oggi" (la cosiddetta "collana grigia"), che pubblica in pic­ colo formato e a prezzi economici libri di autori contemporanei (per la stessa collana uscirà il primo romanzo di Bianciardi) . "Scrittori d'oggi" risponde a un progetto che ricalca tratti neorealisti: accoglie testi di ca­ rattere testimoniale, con una certa preferenza per scrittori esordienti e autodidatti. Esce così per la collana il libro-testimonianza (sulla propria esperienza di guerra in Slovenia) dell'amico grossetano Mario Terrosi, La casa di Novach ( 1 9 5 6 ) . Dell'anno successivo è Il bardotto, di Vale­ rio Bertini, uno dei primi esempi (assieme a Gymkhana- Cross di Luigi Davì, uscito lo stesso anno per "I Gettoni" einaudiani di Vittorini) di letteratura d'argomento industriale (è il racconto autobiografico dell'e­ sperienza di apprendista presso le officine Galilei di Firenze). Ma la col­ lana accoglie anche qualche scrittore affermato : è il caso del Viaggio in Cina ( 1 9 5 6 ) di Cassola, o di Le soldatesse, primo romanzo di Ugo Pirro, all 'epoca già noto per le sceneggiature di Achtung! Banditi! ( 1 9 5 1 ) di Carlo Lizzani e di Il sole negli occhi ( 1 9 5 3 ) di Antonio Pietrangeli'. Lo spirito antintellettualistico che caratterizza, da ora e negli anni a venire, lo scrittore grossetano bene si può cogliere nei risvolti di copertina della collana, dove spesso Bianciardi insiste sul valore documentario dei la­ vori pubblicati, voluramente non "letterari", e, nella loro immediatezza, "autentici'\ Così, nella breve biografia dell 'aurore che accompagna Il bardotto, si sottolinea come Bertini, che in Francia era stato « opera­ io meccanico in una fabbrica di automobili, la Berlier » , è ora alla sua prima esperienza di narratore ( « non ha pubblicato mai altri scritti: questo è il suo primo libro » ) . Analogamente, tracciando nel risvolto di copertina della Casa di Novach un breve profilo dell 'amico grossetano Mario Terrosi, Bianciardi sembra ascrivere a titolo di merito il fatto che l'autore, « autodidatta » , e che pure ha «pubblicato alcuni racconti su giornali e riviste » , non ha alcuna intenzione « di abbandonare il suo mestiere di tipografo » . L'esperienza alla Feltrinelli s i chiuderà neppure tre anni dopo ( 1 9 57 ), con il licenziamento, "per scarso rendimento", dello scrittore. L'episo­ dio, che sarà ricordato sia nell'Integrazione sia nella Vita agra, non fa

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che confermare l' impatto negativo con la città, che si evince da alcune lettere scritte già nei mesi successivi al trasferimento. È un disagio fatto inizialmente di impressioni fisiche e immediate ( gli odori, i rumori, i ritmi del quotidiano e una percezione quasi straniante dello spazio cittadino e delle sue geometrie ) , ma che il contatto diretto con l 'industria culturale e con la società "polverizzata" della grande me­ tropoli trasformerà prestissimo in un giudizio più esatto e articolato. In una lettera inviata a un amico di Grosseto nel settembre del 1954, appe­ na tre mesi dopo l'arrivo nella città lombarda ( la lettera è stata resa nota dall'amico Mario Terrosi ) , scrive : La gente qui è allineata, coperta e bacchettata dal capitale nordico, e cammina sulla rotaia, inquadrata e rigida. E non se ne lamentano, pensa, anzi, credono di essere contenti. [ ... ] Vivere a Milano, credilo pure, è molto triste. Non è Italia, qua, è Europa, e l' Europa è stupida. Tanto più che la gente non è buona, non è aperta, anche se questo succede per colpa non sua, ma sempre, come ti dico sopra, per la pressio­ ne del capitale milanese. [ ... ] Se io ci resisto è perché penso a questo : a Milano la gente che la pensa come noi, cioè i comunisti (anche senza la tessera, la tessera non conta un acciden­ te, anzi, ho conosciuto dei tesserati, qua, che sarebbe meglio andassero con la Montecatini, e qualcuno già c'è) han da combattere una battaglia molto grossa. La rivoluzione si farà, dopo tutto, proprio a Milano, non c'è dubbio, perché a Milano sta di casa il nemico nostro, Pirelli e tutti quelli come lui. E questa gente la si batte a Ribolla, è vero, ma soprattutto qua. Credi che è cosÌ4•

È una pagina che anticipa molti dei temi che lo scrittore articolerà nei romanzi successivi al Lavoro culturale. La nuova vita milanese di Bianciardi - le molte cose che succedono tra l'estate del 1954 e la stesura del primo romanzo - costituisce, insomma, un presupposto necessario per quella sistematica rivisitazione delle espe­ rienze e dei miti della giovinezza grossetana. Non è lo sguardo del provin­ ciale che si è inserito con entusiasmo nella vita della capitale ( ''morale" ed editoriale ) del paese e guarda con distaccata superiorità al piccolo mondo lasciato per sempre ; è invece lo sguardo di chi si misura ora con l'agro di un disagio nuovo, fatto di delusione e ripensamento. Proprio per questo l'immagine stessa della provincia - sfondo delle passioni e delle illusioni di un tempo - si colora di un'ambiguità sottile, che troverà una naturale espressione nella scrittura ibridata, ironica e autoironica affidata alla va­ rietà e all'intarsio ( di voci e di ci razioni ) del Lavoro culturale.

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Tra autobiografia, autofìnzionalità e pamphlet

Uscito nel 1956 il libro-inchiesta I minatori della Maremma (in buona parte scritto dopo il trasferimento milanese), nel 1 9 57 Bianciardi pubbli­ ca per Feltrinelli il suo primo romanzo : Il lavoro culturale. La definizione di romanzo non è invero del tutto soddisfacente per questo smilzo libret­ to in cui la narrazione si mescola alla scrittura saggistica, allo stile leggero e graffiante del pamphlet, a inserti e divagazioni erudite o pseudoerudite : un insieme di fattori che - pur in presenza di una prosa limpida e misu­ rata, estranea a vere torsioni sperimentali - ne fa un testo originale nel quadro della letteratura della seconda metà degli anni Cinquanta. Il lavoro culturale è anche il primo libro di quella che possiamo con­ siderare una trilogia, che comprende L'integrazione e La vita agra. Testi che, pur avendo ognuno una peculiare fisionomia, hanno in comune al­ cune caratteristiche. In tutti e tre c 'è un narratore che parla in prima per­ sona, e che (anche se tra un romanzo e l'altro il narratore-protagonista assume nomi e maschere diversi) presenta molti tratti dell'autore reale. Tutti e tre i romanzi si propongono di descrivere una determinata realtà socioculturale (nell'ordine: l ' intellettuali tà di provincia nell' immediato dopoguerra, il mondo dell'editoria milanese, l'ambigua festa produttiva e consumistica della Milano caotica e vitale degli anni del boom econo­ mico), affidandone la rappresentazione a un intellettuale (attivo promo­ tore culturale di provincia, poi redattore di una casa editrice, infine tra­ duttorefree !ance) che getta sulle cose uno sguardo dalla forte vocazione critica e che maneggia con perizia gli strumenti dell'analisi sociologica, politica e ideologica. Di qui deriva un terzo fattore che, ben presente nel Lavoro culturale, viene riproposto nei due libri successivi : la tendenza verso l' ibridazione delle forme che, innestando sul tessuto narrativo fre­ quenti inserti critico-saggistici, produce una scrittura divagante e com­ posita. Evidente poi in tutti i romanzi è la vocazione per la parodia e il riuso in senso ironico del linguaggio, si tratti delle forme della scrittura colta, o tecnico-specialistica, dei luoghi comuni del dibattito culturale in voga, o si tratti della lingua degradata a slogan e a stereotipi della co­ municazione politica, della pubblicità o del quotidiano. !! lavoro culturale esce dunque nel 1 957. Nel 1 9 6 4 Bianciardi (che nel frattempo è divenuto uno scrittore famoso grazie al successo della Vita agra) pubblica una nuova edizione del romanzo, con l'aggiunta di un capitolo (Ritorno a Kansas City) che reca in calce l' indicazione: « Mila-

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no, settembre 1 9 6 4 » . A parte il richiamo a Kansas City ( divenuto ormai una sorta di marchio di fabbrica bianciardiano ) s , nel capitolo aggiunto lo scrittore accenna ai cambiamenti intervenuti « in questi dieci ann i » 6• « Dieci anni» può essere naturalmente un' indicazione generica, ma sta di fatto che essa riporta al 1 9 54, data che non compare mai all' interno del libro ( così come non c 'è in esso alcun accenno ai due eventi cen­ trali della vita di Bianciardi collegati a quella data : la tragedia minera­ ria di Ribolla e il quasi contemporaneo trasferimento a Milano ) , che è ambientato negli anni del dopoguerra ( ma con qualche flashback al periodo bellico e all'epoca fascista) , senza che siano mai indicate preci­ se coordinate temporali; né il 1 9 5 4 compare in riferimenti paratestuali (Il lavoro culturale, come si è visto, è uscito nel 1 9 57 ) . È come se la rie­ dizione del libro ( e il capitolo aggiunto per l'occasione ) , per una sorta di effetto prodotto dalla memoria involontaria, portasse lo scrittore a quella data spartiacque della propria biografia, il 1954 appunto, assurto ormai ad anno centrale all ' interno del suo universo psicologico. È una vera e propria emergenza autobiografica, che affiora nella sua oggettivi­ tà di dato reale e incontrovertibile anche all ' interno di un testo in cui le esperienze realmente vissute sono mescolate a significative inserzioni finzionali; di fatto impostando quella forma particolare di autobiografia romanzata che caratterizza la trilogia bianciardiana, ma che avrà effetti più significativi nella Vita agra, dove è particolarmente inafferrabile il discrimine tra narrazione finzionale e autobiografia. Del resto, quello della traduzione narrativa del proprio vissuto e delle proprie esperienze è un problema che accompagna l' intero arco della scrittura narrativa bianciardiana, e che oltre alla ricordata trilogia riguar­ da testi come La battaglia soda ( 1 9 6 4 ) e Aprire ilfuoco ( 1 9 6 9 ) , dove il nesso tra realtà e finzione, tra l'autore, il narratore e le sue maschere, per­ corre strade decisamente sperimentali ( abbandonando la contestualiz­ zazione contemporanea e l'evidente "effetto di reale" presente nei primi tre romanzi ) 7• Nel Lavoro culturale, così come nel successivo L'integrazione, la figura reale dell'autore viene sdoppiata in due personaggi, i fratelli Luciano ( cui appartiene la voce narrante ) e Marcello Bianchi ( cognome trasparente­ mente allusivo ) . Nessuno dei due ha pienamente le caratteristiche dell' au­ tore reale, ma ambedue hanno alcuni dei suoi tratti, anche se è soprattutto Marcello il personaggio più vicino alla figura storica dello scrittore. Se tutt 'altro che ovvio è nei romanzi di Bianciardi il nesso tra auto­ biografia e scrittura, ciò sarà particolarmente evidente nella Vita agra,

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dove il narratore in prima persona non assume il nome fittizio di Lu­ ciano Bianchi (come nei primi due romanzi della trilogia), ma non si nomina, suggerendo al lettare che sia rispettato il "patto autobiografico" (per usare la formula celebre di Philippe Lejeune)8, che prevede la veri­ tà dei fatti raccontati (per quanto, naturalmente, si tratti di una verità strettamente "soggettiva"), che è sottintesa laddove si dia un' identità tra narratore, personaggio e autore, la persona (fisica e concretamente storica) il cui nome compare nel frontespizio. Ma se in questo caso ci muoviamo all' interno di un procedimento comunissimo - il mescolar­ si di elementi autobiografici reali con elementi puramente finzionali -, colpisce come Bianciardi operi anche la meno ovvia operazione inversa, cosicché elementi finzionali presenti in romanzi o racconti diventano componenti di un'autobiografia fittizia proposta al lettore in contesti dichiaratamente non finzionali. Particolari che circolano liberamente tra realtà editoriali e generi di scrittura diversi, all' interno del variegato universo della scrittura bianciardiana, che è narratore, ma anche critico televisivo, articolista di costume, divulgatore storico. Può allora succedere che il dato (del tutto fittizio) attribuito dallo scrittore a Luciano Bianchi, la voce narrante del Lavoro culturale - l'es­ sere cioè stato un assai dotato giocatore di calcio, costretto a rinunciare alla carriera per un incidente al menisco -, passi dal contesto finzionale del romanzo a quello "reale" dell'articolista che parla ai lettori della pro­ pria vita (quella di Luciano Bianciardi, appunto, giornalista e personag­ gio pubblico), e che costruisce quel racconto di sé, fatto in interviste o in articoli di giornale che, per statuto di genere, presuppongono il carattere non finzionale dei contenuti. Così, in uno degli ultimi articoli pubblicati dallo scrittore (4 ottobre 1971), all ' interno della rubrica Cosi e se vi pare del "Guerin Sportivo" (il giornale diretto da Gianni Brera, con il quale lo scrittore collaborò nel 1970-7 1 ) , Bianciardi accenna all 'aver lui « scritto un paio di raccon­ ti sulla sorte di un giovanotto (io) rotto al menisco » . I "racconti" cui Bianciardi fa riferimento sono in realtà il romanzo del 1 9 57 e un rac­ conto del 1 9 6 8 (uscito in La giostra, un volume collettivo della collana "SuperHumour" dell'editore Eietti di Milano)9, intitolato appunto Il menisco, dove è narrata in prima persona la storia di un giovanissimo centromediano di una squadra grossetana, in predicato di andare a gio­ care con la Fiorentina, al quale viene asportato il menisco. Interrotta la promettente carriera calcistica, il giovane riprende gli studi e si laurea in medicina, divenendo primario e libero docente. Dati biografici scon-

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nessi, dunque, che nell'articolo del 1971 diventano parte di una propria personale mitopoiesi (professione medica a parte). Del resto, nell 'arti­ colo con cui lo scrittore cominciava la collaborazione con il settimanale di Gianni Brera (C 'e il derby a San Siro. Niente Cinque giornate, 6 aprile 1970 ) '0, Bianciardi immagina che l' insurrezione milanese delle Cinque giornate del 1 848 sia abortita dal fatto che i cittadini disertano in mas­ sa le barricate per assistere al derby Milan-Inter. La polemica contro un calcio che è anestetico politico-sociale (versione contemporanea degli antichi circenses) viene affidata a una fantastica scorribanda narrativa che richiama l'ultimo romanzo dello scrittore, Aprire ilfuoco, ambientato in un sistematico anacronismo in cui personaggi e protagonisti delle gloriose giornate del 1 848 vivono nella Milano, moderna, motorizzata e televisiva, del 1959. In questo contesto, in cui le coordinate storico-tem­ porali saltano, entrano tuttavia fattori autobiografici, anche se ibridati in un gioco inafferrabile di verità e finzione. Chi dice "io" nell'artico­ lo del "Guerin Sportivo" risulta bibliotecario alla Braidense : dato che mescola un fatto reale (l 'essere stato Bianciardi un bibliotecario) con il rinvio strettamente letterario alla Vita agra, che si apre proprio con un magistrale capitolo dedicato alla Biblioteca Braidense, frequentata (però da utente) dal protagonista del romanzo. Di fronte a questo gioco sistematico di commistioni e confusione tra dati reali, mondi fittizi e mondi possibili, verrebbe da pensare (per usare un termine venuto recentemente di moda - di cui forse non era così ur­ gente l'esigenza teorica) alla categoria di autojìction che Serge Doubrov­ sky creò nel 1977 (con il romanzo Fils, in cui raccontava un ' autobiogra­ fia di fatti non accaduti)". "Verrebbe da pensare" (va da sé) se fosse lecito ritenere l' autojìction una vera e propria categoria narrato logica, mentre è soltanto un'etichetta descrittiva, utile cioè a catalogare alcuni casi par­ ticolari e particolarmente palesi di commistione tra realtà e finzionell. Più che a una categoria strutturale, siamo di fronte a un'enfatizzazio­ ne di quella irruzione di dati reali all' interno di un sistema finzionale che è da sempre un fenomeno frequente dell ' invenzione narrativa. Se infatti un'autobiografia racconta fatti "falsi': il problema non riguarda la struttura narrativa e il patto con il lettore (che rimane "autobiogra­ fico", presupponendo cioè la verità degli eventi narrati), ma il fatto che il narratore è, semplicemente, un " bugiardo": ciò che ha attinenza con il mondo esterno (reale), non con il sistema narrativo. In altri termini, scrivere un'autobiografia dichiaratamente falsa non significa fare un' au­ tobiografia "particolare" ma, semplicemente, fare un 'opera finzionale.

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Che tale rimane, per quanto molti siano i contatti che essa ha con eventi realmente esperiti dalla persona storica dell 'autore e lì riversatP3• Nei romanzi di Bianciardi le sovrapposizioni tra dati biografici e dati finzionali sono, come si diceva, moltissime. E certo numerosi sono que­ gli « operatori di identificazione » che Vincent Colonna indicava come necessari perché si possa parlare di modalità "autofinzionale"14• Fattori che non possono essere limitati all'identità ( o trasparente allusività) del nome, ma devono riguardare anche dati come l'età, l 'estrazione socia­ le, la professione : tutti elementi identificativi comprovabili, largamente presenti nella trilogia, che rimandano a un individuo nato a Grosseto nel 192.2., di nome Luciano Bianciardi, di professione bibiliotecario, poi redattore e infine traduttore. Il luogo e l 'ep oca : il prius e il post

Il lavoro culturale racconta il mondo dell' intellettualità politicamente impegnata nella Grosseto dell 'immediato dopoguerra. È una Grosse­ to mai nominata, ma sempre designata in modo generico ( la « nostra città » , la «piccola città » ) , come a sottolineare il carattere esemplare di quell'esperienza che riassume in sé l' idea stessa di "provincia": come centro di energie nuove e di potenzialità sconosciute, alle quali dove­ va guardare un grande progetto di rinnovamento della società italiana, come quello auspicato dalle forze della sinistra uscite dalla Resistenza e dall 'esperienza della Costituente. Sono dunque anni pieni di speranza e di entusiasmo, quelli percorsi nel libro, osservati soprattutto dal punto di vista dell' intellettuale engagé di sinistra che ricorda esperienze vissute e rievoca atmosfere irripetibili ; ma che le riconsidera ora - cadute le illusioni di un tempo - con una distanza critica che le deforma nel senso del grottesco. Una distanza du­ plice, per altro. Accanto a quella temporale c 'è anche la distanza geo­ grafica e sociale di chi, trasferendosi a Milano, è entrato nel cuore vivo della produzione culturale del paese, e può vedere con uno sguardo più distaccato quel mondo di aspirazioni ingenue e ambiziose, ma costretto a un velleitarismo di piccoli orizzonti e di corto respiro. Una distanza, quest 'ultima, tutt 'altro che accettata pacificamente. Se Bianciardi - al pari di tanti intellettuali della sua generazione - abbandonò il mondo marginale della provincia, la cifra emotiva che accompagnò il trasferi­ mento nella capitale "morale" fu da subito quella della delusione : una

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reazione che troverà soprattutto espressione (non senza ambiguità e chiaroscuri) nei due romanzi successivi. Nel Lavoro culturale vengono travasati molti personaggi e figure che avevano animato la vena caricaturale del Bianciardi giornalista, che nei Ritratti provinciali della "Gazzetta di Livorno" aveva messo alla berlina il mondo piccolo-borghese cittadino, la sua quotidiana ipocrisia, la sua morale autoassolutoria. Gli esempi che potrebbero essere addotti sono numerosi. Basti pensare a un articolo come Il cineasta ( 6 giugno 1 9 52)1\ che mette in scena un certo professar Bandini che presenta alcuni tratti del Marcello del Lavoro culturale (in un ritratto affettuosamente ironi­ co) : animatore di un cineforum e accanito cinefilo che diventa espertis­ simo di tecnica cinematografica (dell' « asincronismo pudovchiniano » e della cinematografia di Ejzenstejn, le cui sequenze cita con memoria sicura). La tipologia dell'erudito locale (nella duplice e concorrente spe­ cializzazione dell'etruscologo o medievista), fatta bersaglio dell ' ironia bianciardiana nel capitolo di apertura del romanzo, compare nel pro­ tagonista di un articolo del giugno 1 9 5 2, Il ragioniere: tale Belletti, ap­ passionato in gioventù di enigmistica, poi poeta (affiliato alla corrente dell ' "assolutismo"), critico letterario e infine - per improvvisa illumina­ zione - etruscologo16• È lui a sostenere l ' identificazione dell'originaria Grosseto con un'antica città etrusca, che verrà ripresa in una delle di­ vagazioni parodicamente erudite del Lavoro culturale ( « la nostra cit­ tà [secondo gli etruscologi locali] era sorta nel cuore della civiltà degli Etruschi, che vi si erano stanziati attratti dalla salubrità dell'aria, dalla ricchezza dei boschi, dalla fecondità dei campi » )17• Ma la figura dell 'e­ rudito locale, che apre il romanzo, ritorna anche nel personaggio ideai­ tipicamente provinciale del "localista" (I localisti, 13 settembre 19 52)18: generalmente impiegati statali, i "localisti" sono legati a una concezione estetica angustamente piccolo-borghese e per amore del decoro nazio­ nale detestano il neo realismo, che dà dell' Italia un' immagine stracciona. Quello che c 'è in più, nel romanzo, rispetto ai bozzetti della "Gaz­ zetta di Livorno", è un'autocritica sarcastica, prodotta dal disincanto nei confronti di una fede generosa ma irrimediabilmente ingenua, che aveva portato lo scrittore e molti giovani intellettuali a credere nella cultura come forza capace di rinnovare le coscienze, e che li aveva spinti a indi­ viduare nel paese un'ansia profonda di giustizia e di rinnovamento che forse non era che la proiezione dei propri stessi desideri e attese. E c 'è nel libro, soprattutto, una delusione risentita nei confronti del Partito comunista : non è un caso, infatti, se il sarcasmo verso il partito e la sua

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politica culturale attraversi, pur variamente articolato, l' intero romanzo, e costituisca, per così dire, uno dei tratti nodali dell 'opera. Tra i Ritratti provinciali del 1 9 52-53 (e il generoso impegno nella poli­ tica culturale del PCI a Grosseto) e l'uscita del primo romanzo c 'è infatti quell' annus mirabilis che fu per Bianciardi e per tanti altri il 1956. Anno di svolta anche nella sua vita privata (vi risale la rottura definitiva con la moglie, che viene a conoscenza della relazione con Maria Jatosti) ; ma soprattutto anno di crisi e di ripensamento radicale sul piano politico e ideologico. L' invasione sovietica dell' Ungheria era evento che, agli oc­ chi dell'ex "azionista" e libertario Bianciardi, nessuna Realpolitik poteva giustificare (e meno che meno potevano farlo le pretestuose accuse so­ vietiche sul carattere "controrivoluzionario" del governo di Imre Nagy). Non è casuale che nel secondo romanzo della trilogia (L'integrazione) all'episodio, pur trasfigurato in una ricostruzione che abilmente ripro­ duce il senso di disorientamento che fu di tanti militanti e simpatizzanti, sia dedicato uno dei capitoli più notevoli. Le rivelazioni sui crimini di Stalin contenute nel famoso rapporto segreto esposto da Chruscev al xx Congresso del Pcus, tenutosi nel feb­ braio del 1956, aprì un dibattito vivacissimo e polemiche accese all ' inter­ no del Partito comunista italiano. Fu un vero e proprio esame di coscien­ za per la cultura marxista, che mise in dubbio consolidate certezze e aprì lacerazioni insanabili. La rivista "Il Contemporaneo" diede, per altro, un contributo importante al dibattito, «condotto con tale franchezza da sembrare, a volte, una pubblica confessione ad opera di comunisti, non comunisti e quasi comunisti » '9• Importa soprattutto che il dibattito, in quella primavera-estate ricca di fermenti e discussioni, si spostasse pre­ sto sul tema del rapporto tra politica e intellettuali, e in particolare sul­ la politica culturale del PCI, verso la quale mossero critiche anche dure un filosofo come Ludovico Geymonat e scrittori come Itala Calvino e Franco Fortini. Alla posizione polemica di Fortini nei confronti della politica culturale del PCI si affiancava quella di un importante articolo di Pasolini (La posizione) , uscito in aprile su "Officina", che attaccava la pretesa di definire una linea estetica "ortodossa" (nella fattispecie quella del "realismo zdanoviano")w, in quanto rispondente alle finalità politi­ che "progressive" del partito. Ma è soprattutto un articolo di Fabrizio Onofri, uscito su "Rinascita'' nel luglio del 1956, a proporre una critica complessiva e dettagliata - piut­ tosto franca nei toni - nei confronti della strategia del PCI e della sua poli­ tica culturale dal dopoguerra all 'oggi. L'articolo merita attenzione anche

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perché Onofri (con il nome mutato in Alto viti) sarà presente nell' Inte­ grazione, nelle pagine che Bianciardi dedica alla propria esperienza alla Feltrinelli, della quale Onofri fu per un certo periodo direttore. L'articolo di Onofri e la risentita replica di Togliatti (primo segno di una progressiva rottura che porterà all'espulsione di Onofri dal partito, nel 1 9 57) bene segnalano la vivacità delle tensioni interne alla sinistra nell'estate che pre­ cede l'esplosione dei fatti d' Ungheria, quando la rivolta (scoppiata il 23 ottobre) contro il governo imposto da Mosca con la destituzione di lmre Nagy fu violentemente stroncata dall 'intervento militare sovietico. L'episodio generò un terremoto nelle file del PCI. Erano in fibrilla­ zione le redazioni periferiche dell' " Unità", quella di Torino (con ltalo Calvino e Giulio Bollati, ambedue legati all' Einaudi) e quella di Milano (dove Giangiacomo Feltrinelli e Rossana Rossanda andarono a prote­ stare chiedendo di pubblicare un comunicato di condanna dell' Unione Sovietica). Tra il 28 e il 29 ottobre un centinaio di universitari, alcuni molto giovani (come Alberto Asor Rosa e Mario Tronti), altri già celebri (come Natalino Sapegno e Carlo Muscetta), storici (Renzo De Felice e Piero Melograni) e filosofi (Lucio Colletti) e il regista Elio Petri firma­ rono un documento di condanna. La posizione ufficiale del PCI, assunta nell'vnr Congresso (dicembre del 1 9 5 6 ) , che giustificava l'aggressione sovietica dell' Ungheria, segnò la rottura definitiva tra il partito e molti intellettuali che vi avevano aderito o che l'avevano affiancato. Tra questi, Calvino ( la defezione più nota tra i letterati), ma anche Carlo Ripa di Meana (al quale Bianciardi dediche­ rà, sei anni dopo, La vita agra). E, appunto, Luciano Bianciardi. L' intellettualità p rovinciale

Il lavoro culturale (che è costituito di otto capitoli; nono è il ricordato Ritorno a Kansas City) si apre con una riflessione sulle origini della città, che offre l'occasione per individuare le principali categorie di intellet­ tuali che la abitano : i « medievalisti » (per i quali Grosseto è sorta nel 1 1 3 8, quando fu riconosciuta come diocesi da papa Innocenza n ) e gli « archeologi » , che ne assegnano l'origine agli Etruschi. La divagazione erudita sulle origini della città, prima che l'occasione di mettere alla ber­ lina la cultura polverosa e velleitaria di una certa intellettualità provin­ ciale, offre il destro a Bianciardi per introdurre la terza categoria di in­ tellettuali: quella dei « giovani» di sinistra, la « generazione bruciata » ,

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polemici «con tutti gli altri, coi medievalisti eruditi e con gli archeo­ logi » . Un gruppo ben identificato (come rivela il "noi" che caratterizza l'autoriconoscimento : « infine c 'eravamo noi, i giovan i » ) , intenzionato a « rompere con le tradizioni e a rifare tutto daccapo»11• Sono i giovani che amano le « Quattro strade » , l ' incrocio alla periferia cittadina dove si intersecano le principali vie di comunicazione (verso Livorno, Roma e in direzione del mare) che uniscono la città al mondo. Al centro storico, con la sua forma immobile e i suoi riti sociali, essi preferiscono un luogo aperto verso l'esterno, in simbolica contrapposizione alla chiusura pro­ vinciale e ai suoi ristretti orizzonti mentali : le « Quattro strade » è anche il luogo in cui la città perde i suoi connotati storici e la sua individualità architettonico-urbanistica per diventare anonima periferia. Spazio visi­ vamente caratterizzato dalla provvisorietà di un ambiente in divenire, in cui città e campagna si confondono, in un mutamento urbano che bene esprime l' ideale di uno sviluppo sociale in cui l 'energia delle classi e degli individui si manifesta liberamente. Il nesso tra attività intellettuale e fede politica trova espressione nel secondo capitolo del libro, dove Bianciardi traccia un quadro dai tratti sarcastici delle forze politiche della città : dai repubblicani (eredi di una gloriosa tradizione antimonarchica, assai diffusa in Toscana, ma ora, « una volta partito il re » , disorientati) ai cattolici, riorganizzati da una propaganda attivissima (ben riconoscibile il ricordo dell'accesa campa­ gna elettorale del 1948), che il narratore ritrae con veloci ma ben marcati tratti grotteschi22• È qui che il profilo autobiografico del narratore (e di al­ tri giovani intellettuali della città) si delinea con particolari più netti: ed è quello di un ex "azionista': rimasto perciò senza partito, che un desiderio di giustizia sociale avvicina ai comunisti. Sono pochi tratti che immedia­ tamente richiamano la già ricordata autobiografia politico-culturale che nel 1952. Bianciardi aveva pubblicato su "Belfagor" (Nascita di uomini de­ mocratici), rievocando un percorso di maturazione che l'aveva portato dal crocianesimo al marxismo, e dalla fallita esperienza del Partito d'Azione all'affiancamento al Partito comunista ( « ho scelto di stare dalla parte dei badilanti e dei minatori della mia terra » )'3• Un contatto tra i due testi se­ gnalato da una precisa emergenza linguistica: la « generazione bruciata » - alla quale il narratore del Lavoro culturale dichiara di appartenere - era posta, in posizione ben rilevata, a conclusione dell'articolo del 1 9 5 2. ( « io credo che la mia testimonianza abbia qualche interesse, perché è la tipica della mia generazione. Della quale generazione, la "generazione bruciata", si san dette e si dicono tante cose amare » )'4•

IL MITO RIVISITATO : IL LA VORO CULTURALE

Su questo concentrato di elementi autobiografici si innesta la costru­ zione romanzesco-finzionale. Nel terzo capitolo il narratore si autopre­ senta come il fratello maggiore di Marcello Bianchi, personaggio che ha moltissimi tratti del reale Luciano Bianciardi: Marcello è uno studen­ te brillante, goffo nei movimenti e perciò negato in educazione fisica; aderisce al Partito comunista ( scandalizzando la famiglia, di estrazione piccolo-borghese ) dopo un'attenta meditazione dei testi del marxismo ; deludendo le aspirazioni materne, sposa una ragazza brava ma sempli­ ce, figlia di un artigiano ; diventa professore nel liceo cittadino. Luciano Bianchi, la voce narrante, assume invece alcuni particolari di una sorta di automitologizzazione che lo stesso scrittore aveva adottato, a comincia­ re da quel non comune talento calcistico che diventerà una bugia ricor­ rente nel ritratto che lo scrittore farà, in più occasioni, di sé'S. In queste pagine, in cui il racconto autobiografico si mescola con la finzione - e in cui, dopo l'avvio saggistico del libro, la scrittura diventa prettamente narrativa -, non solo vengono ripresi spunti, particolari e personaggi dei bozzetti satirici degli Incontri provinciali della "Gazzet­ ta di Livorno", ma da quella prima esperienza di scrittura giornalistica sono anche desunti precisi tratti stilistici e modalità narrative. Pensiamo soprattutto all' impiego dell' indiretto libero e i discorsi riportati in for­ ma diretta, che negli Incontri consentono allo scrittore l'efficace messa in scena di un certo benpensantismo piccolo-borghese, intessuto di ac­ comodamento morale e di cauto familismo, mescolato a un' impavida e acritica capacità di far convivere idee e comportamenti tra loro contrad­ dittoril6. Nel Lavoro culturale ne fanno le spese i funzionari dell'appara­ to burocratico-amministrativo, come il preside del liceo cittadino dove Marcello ha cominciato a insegnare'7, il cui ristretto orizzonte culturale ( l' importante è attenersi ai «programmi ministeriali » , osserva) si ac­ compagna con la modesta circospezione e l'accondiscendenza verso il potere, qualità che l'hanno fatto passare indenne attraverso i mutamenti dei regimi e i terremoti della storia. La timorosa cautela piccolo-borghe­ se emerge allora nei dettagli della lingua, nell 'uso delle frasi fatte ( « in che tempi viviamo » , «che tipo di gente ci comanda » ) o in incisi cau­ telativi o attenuativi ( «lui, il preside, per carità, non ci credeva » , «era solo una maldicenza » ) , dai quali emerge l' inveterata abitudine alla cir­ cospezione quotidiana, al timore per ogni forma di compromissione : Un giorno Marcello tornò a casa infuriato. Il preside lo aveva fatto chiamare e gli aveva detto, con parole cortesi, per la verità, che qualcuno si era !agnato, per-

LUCIANO BIANCIARDI, LA PROTESTA DELLO STILE ché durante le lezioni aveva fatto discorsi di politica. Lui, il preside, per carità, non ci credeva, forse era solo una maldicenza interessata. Era sicuro che da Mar­ cello, il professar Bianchi, non ci si poteva attendere che un comportamento serio ; diamine, era stato educato in quella stessa scuola, e tutti lo ricordavano studioso e serissimo. [ ... ] « Ora lei lo sa, professore, » concluse il preside, « lei sa meglio di me in che tempi viviamo, che tipo di gente ci comanda ; ed allora le raccomando di atte­ nersi sempre, rigidamente, ai programmi ministeriali » . Marcello aveva risposto asciutto asciutto di sì, che non avrebbe mai detto una parola in più del program­ ma, e che del resto aveva sempre fatto in quel modo. Quanto a quella gente che si era preso la briga di disturbare il signor preside, stesse pure tranquilla. A darle fastidio potevano bastare i programmi ministeriali, potevano bastare Locke, e Rousseau, e Vico, e Kant » . « Capisci ? » diceva alla moglie, « lui, proprio lui ha il coraggio d i farmi que­ ste prediche. Non se lo ricorda, lui, di quando veniva a scuola vestito d'orbace, di quando ci dettava le frasi del duce ? » 28•

Lo stesso gusto per la rappresentazione ironica del piccolo-borghese di provincia caratterizzerà del resto (nel capitolo successivo) la narrazione della riunione che un funzionario del PC I ha voluto con gli insegnan­ ti della città. Una rappresentazione deformante, che affiora nei pochi tratti che esauriscono la descrizione fisica dei personaggi, di cui sono indicati solo i tratti ridicolizzanti (la professoressa « alta e magra, con i baffi » , « uno piccolo, nero, magro e rabbioso» che « berciava »'9), ma che soprattutto è affidata ai discorsi riportati, in cui miopia ed egoismo si associano alla mancanza di prospettive culturali, in una risentita recri­ minazione fatta di coefficienti, graduatorie, punti e posti riservati, che richiama la desolata deformazione grottesca della classe insegnante pro­ posta, pochi anni più tardi, dal Mastronardi di Il maestro di Vigevano ( 1 9 62). Valga, come esempio, l'efficace indiretto libero in cui una profes­ soressa venuta ali' incontro riversa le ragioni del suo personalissimo re­ criminare, in un accumulo di argomenti, incisi ( « Scusando il termine » ) richiami esemplificativi ( « andava a Pisa in carro bestiame » ) , pleonasmi espressivi ( « se lo ricordava bene, lei » ) , locuzioni tipiche dell'oralità ( -> J s .

Privato del suo "senso" concreto (nobilmente essenziale), che trasfor­ ma la materia secondo l' intenzione del soggetto, il gesto dell'artista si perde in una pluralità di azioni definalizzate (il pollice passato lungo l 'orlo del cartone ; le righe tracciate sul cartone senza che indichino uno scopo apparente), azioni private perciò di senso e trasformate in pura forma. Sono gesti « rapidi, ma fluidi » , che richiamano non ca­ sualmente l'arte del «prestigiatore » : immagine che reca in sé contem­ poraneamente l ' idea dell'esibizione spettacolare e quella dell 'apparen-

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z a ingannevole, della manipolazione della percezione dello spettatore. Nel discorso diretto del grafico Bianciardi ripropone il gusto caricatu­ rale che aveva caratterizzato alcune delle pagine più felici del Lavoro culturale. Ma, prima che caricatura di un individuo, il discorso di Zite Zipel parodizza un vero e proprio stile comunicativo, una certa retori­ ca aziendalistica costruita su un'argomentazione franta e non lineare, in un susseguirsi di spunti irrelati, resi evocativi dalla loro genericità ( e anche l'uso che il parlante fa della terza persona parlando di sé stesso non è espressione di un ego debordante, ma mimesi di un certo lin­ guaggio aziendale, che vi ricorre volentieri, come a scindere l "'io" dal ruolo funzionale dell ' individuo ) . Si pensi all ' ipnotica frequenza con cui ritorna il termine "cose" ( « ci saranno certe cose da dire in un cer­ to modo » ; « ci sono certe cose che io vorrei vedere » ; « Zipel voleva dire certe cose, col suo modo di dire le cose » , « Zipel aveva qualco­ sa da dire >> , « dire certe cose, certe altre cose, con i mezzi vostri » ) , che è sì termine generico, ma appartenendo al campo semantico della concretezza degli oggetti getta una luce irridente nei confronti del di­ scorso evanescente, un dire che non dice nulla, in cui è inserito. C 'è poi il termine-feticcio "idea" ( « un ' idea, un' indicazione, un motivo, un avvio » , idee da « portare fino in fondo » , naturalmente ... ) che bene rappresenta l ' immaterialità di un lavoro che vive della manipolazione delle immagini e delle parole. Il discorso diretto di Zite Zipel è perfettamente chiuso nella sua di­ mensione monologante : « noi tacevamo, tutti » , osserva lo scrittore a conclusione dello sproloquio e del capitolo, in una collocazione, dun­ que, che attribuisce al discorso parodizzato del grafico grande rilevanza. E giustamente : perché lo sproloquio di Zite Zipel può essere considerato l'espressione emblema della polemica bianciardiana contro la superficia­ lità evanescente ma appariscente del terziario avanzato ; un lavoro "sma­ terializzato" ( non più produzione di oggetti, ma di generiche "cose" e di "idee" ) , privato della pienezza del gesto sapiente dell 'artista-artigiano, e privato dell'elementare ma concreta fatica dell'antico lavoro contadino. E perciò alienante nello scollamento che si genera tra lavoro e prodotto, tra gesto e scopo. Se la critica al neocapitalismo e alle sue peculiari retoriche risulta nello sproloquio di Zite Zipel particolarmente felice nel suo mimeti­ smo iperbolico e straniante, altri aspetti del romanzo riprendono questo tema di fondo. Così, l'attività editoriale nella casa editrice viene carat­ terizzata da un alto tasso di inconcludenza: interminabili chiacchiere a

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vuoto su questioni marginali, che diventano magari l'occasione per vere e proprie prove di forza tra i redattori. Nelle pagine centrali del romanzo ( cap. 6) sono riportate le lunghe discussioni su come uniformare gli accenti, come usare le virgolette nei discorsi diretti, fino alla pretesa di Ardizzone di controllare che nelle traduzioni non ci siano rime o assonanze non volute. Un'attenzione che assume tratti maniacali e che Bianciardi risolve nella consueta tonalità ironico-beffarda. Si veda questo brano : Poi bisogna osservare alcune regole fondamentali. Prima di tutto evitare le cosiddette rime. « S enti un po' che roba » , faceva per esempio Ardizzone en­ trando nella nostra stanza con un foglio in mano : «È stato proclamato ... e poi più sotto ... ha visto giusto ... e ancora, sempre nella stessa pagina ... veramente indipendente » . « Cosa c'è che non va ? » « Come cosa c'è che non va ? M a sei sordo ? L a rima, no ? Ato ato, isto usto, ente ente. Ma è possibile che si debbano leggere cose di questo genere ? » . I traduttori, tutti quanti, parevano specializzati i n rime. Forse lo facevano apposta, per farci arrabbiare : l'azione della delegazione ; l' invito del partito, il bagno nello stagno, Vera era sincera, l'amore del dottore, il gatto di quel matto, il priore di Camaiore, il dente del presidente, orari e onorari, gelosa e smorfiosa36•

Il commento ironico sulla "congiura" dei traduttori ( «parevano specia­ lizzati in rime » ) , che cala con perfetto tempo comico ( dopo la pausa dell'a capo ) sulle grottesche recriminazioni di Ardizzone, viene amplifi­ cato dall 'elenco delle rime e assonanze, senza un reale scopo esemplifica­ torio, ma a riprodurre un puro effetto di suono, un gioco del significante che sfocia nel nonsense. L'astrattezza ideologica che caratterizza l' impresa viene derisa dallo scrittore, nel corso del romanzo, con il richiamo alla polemica tra gli interessi sociologici di alcuni ( soprattutto Marcello, che vorrebbe « sca­ vare pezzo per pezzo » l' Italia, scoprirla attraverso la pubblicazione di sistematiche e capillari "inchieste", una chiara allusione al programma culturale del "Politecnico" che aveva ispirato i primi interessi di Bian­ ciardi ) e l'accenno al rifiuto della sociologia da parte degli "storici", che non solo la considerano una «pseudoscienza » , come sosteneva Croce, ma che soprattutto la vedono come un tipico prodotto della cultura de­ gli americani, «che sono portatori e diffusori del neocapitalismo » 37• Ma l 'ironia sulle discussioni vacue nell'attività editoriale non è che uno dei tanti aspetti di un discorso complessivo sull'attività aziendale

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e sulle logiche di pura apparenza che la governano. Al narratore che a volte giocherella e si gratta la pancia, un personaggio (Pozzi) dice, redar­ guendolo : « Ma Bianchi, datti un contegno. Qui bisogna dar l' impres­ sione di star lavorando, di essere attivi » 38• È un motivo che Bianciardi riproporrà in molti luoghi, tra romanzi e articoli di giornali, quello dei « fannulloni frenetici» 39: l' idea che il lavoro in azienda sia in primo luogo il procurare, da parte del lavoratore, un "effetto lavoro': sollevando polvere e animando un attivismo ateleo­ logico e inconcludente. L'azienda diventa allora la metafora dell' intera società neocapitalistica, animata da un persistente e affannoso muoversi di uomini, oggetti e merci, senza che nessuno si interroghi sul senso reale del proprio agire, sullo scopo della propria vita, se c 'è scopo possibile. Su questo sfondo metaforico è ancora la parola ingannevole e ma­ scherante al centro dell ' ironia bianciardiana. Al pari della retorica franta e irrelata di Zite Zipel, che parla senza dire, che enuncia senza comunicare, la parola diviene il mezzo sistematico attraverso il quale mascherare l' insensatezza del lavoro, nobilitarne l' inconsistenza, celar­ ne in maniera mistificatoria le logiche sopraffatorie e sfruttatrici. Così, Ardizzone non vuole che le riunioni si chiamino "riunioni" ( « roba da Altoviti » , commenta, riferendosi allo stile poco glamour dell'ex diret­ tore editoriale - figura, ricordiamolo, ispirata all ' intellettuale del PCI Fabrizio Onofri), ma dovranno essere « scambi di idee » , « conversa­ zioni amichevoli » . Una terminologia paternalistica e collaborativa che nasconde la reale sostanza della forte competitività vigente nel sistema aziendale. Né meno significativa è l'accurata spiegazione con cui l'amministra­ tore della casa editrice (Bauducco) si preoccupa di definire al narratore la sua mansione e le sue funzioni: un'operazione puramente autopromo­ zionale, che modifica l'apparenza senza toccare la sostanza, e che ricor­ re al travestimento inglese per connotare nel senso della modernità più avanzata le antiche logiche della produttività e dell' interesse : Questo Bauducco era un ex ufficiale degli Alpini che assomigliava, diceva lui, a Stalin giovane. Da noi aveva incarichi amministrativi, come bilanci, stipendi, personale e via dicendo. Però non bisognava dirgli amministratore perché lui subito precisava : «No, un momento, non amministratore, ma tecnico, io sono un tecnico generico del nostro ramo. Per esempio quando lavoravo da Giulio [Einaudi] , i o ero i l tecnico generico, il procuratore generale : m i occupavo della direzio-

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LUCIANO BIANCIARDI, LA PROTESTA DELLO STILE ne di tutto il ramo, impostavo, sempre con Giulio s ' intende, i programmi di produzione e quelli di vendita, tenevo la direzione del personale e intervenivo, quando necessario, anche nei problemi culturali veri e propri. Non c'è in ita­ liano un termine preciso per indicare la mia mansione. In americano si direbbe manager» 40 •

Manager. La parola è ancora agli inizi della sua fortuna italiana ; ma come è noto avrà un solido futuro come parola-feticcio, pomposa rino­ minazione anglofila connotata da un alone di efficientismo aziendale e avanguardia economica4'. Una delle tante che entreranno nell'universo degli inutili e facili anglismi che ancora continuano a imbellettare pa­ role d'ordine e progetti politico-economico-sociali nell'universo me­ diatico italiano (dall' innocuo ma provincialissimo election day, ai vari famify days, al linguisticamente inafferrabile jobs Act...). Ma Bianciardi gioca soprattutto sul contrasto stridente tra la novità definitoria di una funzione e la sua immarcescibile realtà : un computo minuzioso degli interessi aziendali, che restano il principale scopo, a dispetto dei progetti rivoluzionari della « grande iniziativa » . Il mascheramento delle parole funziona, del resto, al di là di anglismi e mode. Ed è ancora Bauducco, l'anima economica (e dunque lo zoccolo duro della logica capitalistica), che ne svela il meccanismo, in un dialogo con il narratore, a proposito di un possibile licenziamento di una delle segretarie, in cui non solo entra­ no in gioco i calcoli minuti di un'amministrazione gretta (con la paura che le dipendenti rimangano incinte), ma soprattutto il mascheramento eufemistico (si "ridimensiona", non si "licenzia") della reale natura delle logiche manageriali di Bauducco : « Insomma tu vuoi licenziare la Marta ? » « lo non voglio licenziare nessuno, e t u lo sai, con l e mie idee. H o detto ri­ dimensionare. Capirai, con quel che guadagna la Marta si potrebbero assumere due dattilografe esperte e veloci. E poi lo sai che la Marta ha voglia di sposarsi ? Un'azienda sana non tiene mai in organico donne sposate » . « Perché ? » «Mi pare di avertelo già spiegato, no ? Perché le donne sposate, appena gli fai il contratto si fanno subito mettere incinte, e allora le hai sulla groppa per cinque mesi filati, senza che producano nulla » 42 •

Tuttavia, a rendere paradossale nella sua patente contraddizione la figu­ ra di Bauducco (ma nel contempo a renderla emblematica del giudizio bianciardiano sulla « grossa iniziativa » ) è proprio il fatto che egli at-

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tribuisca alla fondazione della casa editrice u n a finalità politica d i lotta aperta al neocapitalismo. La lotta alle logiche economiche del profitto, che la « grossa iniziativa » persegue a parole, vengono insomma plateal­ mente contraddette dalla durezza dei rapporti interpersonali e delle ge­ rarchie che vigono all ' interno dell'azienda. Uno stato di cose illustrato dal collega Pozzi all' ingenuo narratore ( «Bianchi, tu sei rimasto quello che eri quando venisti quassù. Non hai ancora capito niente » ) 43, che spiega come le relazioni interne alla redazione non sono che « una que­ stione di rapporti di forza, come sempre » 44• Ma i « rapporti di forza » sono una sorta di semaforo polemico, che Bianciardi riprende dalla già citata Lettera da Milano, dove l'espressione era connessa alla denuncia di una vera e propria trahison des clercs, l'abdicazione cioè degli intellettua­ li alle logiche più odiose dello sfruttamento neocapitalistico, accettate come una sorta di legge naturale, un' ineliminabile se non positiva forma di strugglefor lijè: Una delle preoccupazioni maggiori degli intellettuali, di questi intellettuali, è proprio quella di ben comparire, di non fare brutte figure [ ... ] . E ci sono altre cose, peggiori e più tristi, di cui ora non voglio parlare, e di queste cose tristi c 'è persino la teorizzazione. La lotta per la vita, dicono, il rapporto delleJòrze, [ ... ] 41 •

Il falso miracolo

La presenza del protagonista sdoppiato nei due fratelli Bianchi - già presente nel Lavoro culturale - svolge dunque nel romanzo del 1 9 6 0 u n preciso ruolo funzionale, marcando i due esiti contrapposti dell' in­ tegrazione ( di Luciano ) e della scelta antagonista e marginale ( di Mar­ cello ) . Ma il contrasto tra i due fratelli, che si fanno portatori di due diverse sensibilità e di un diverso approccio ideologico ed esistenziale verso la realtà, trova voce in una delle pagine più significative - sul pia­ no dell' interpretazione politico-sociale - del romanzo. Alludiamo al dialogo tra i due fratelli poco dopo l'arrivo a Milano, quando il duro impatto con la città genera in Luciano il desiderio di tornare nella ras­ sicurante provincia46• Marcello convince il fratello a rimanere nella grande città afferman­ do le ragioni di un impegno politico che tanto più sarà efficace quanto più esercitato nel cuore del capitalismo avanzato, dove più nette e radi­ cali si manifestano le forme dell'egemonia culturale che esso esercita.

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L' impegno politico, che nel dopoguerra aveva chiesto all'intellettuale di misurarsi con la realtà depressa di un' Italia arretrata, ancestrale e rurale, deve ora rivolgersi ad altro : a un' Italia industriale e urbanizzata che sta conoscendo nuovi linguaggi e nuovi modelli sociali e antropologici. È significativo che Marcello richiami allusivamente un testo-simbolo della cultura riformatrice di sinistra del dopoguerra, Cristo si efermato a Eboli ( 1945) di Carlo Levi, che aveva fatto di Matera e del Materano il simbolo di un' Italia marginale e sofferente, dimenticata dalla storia e dal progres­ so. La nuova Matera - chiosa efficacemente Marcello a conclusione del suo discorso - è la metropoli, è appunto Milano: Quassù noi siamo venuti allo stesso modo che se si fosse preso il treno per Ma­ tera. In una zona depressa siamo venuti, credilo pure, e ben più difficile che la Lucania : perché là la depressione salta subito agli occhi, mentre qui si maschera da progresso, da modernità. Invece è depressione47•

Il rigore ideologico di Marcello diventa denuncia del facile ottimismo im­ perante negli anni del boom economico : una "depressione" mascherata da "progresso" e "modernità". In queste pagine è così messo in evidenza un tema centrale ( un vero snodo ideologico ) non solo dell'In tegrazione, ma anche del successivo romanzo, La vita agra: il carattere ingannevole del "miracolo economico", che sta producendo un illusorio benessere in cam­ bio di un alienante e sistematico controllo dei desideri degli individui, il cui immaginario è colonizzato dalla manipolazione dei bisogni indotti. La complessità della realtà metropolitana ( ma è la complessità del ca­ pitalismo avanzato stesso ) consiste nel fatto che le linee di demarcazione tra gli opposti interessi di classe sono saltati: facendo propria la sistema­ tica mistificazione prodotta dall 'egemonia culturale della pubblicità, del marketing, dei mezzi di comunicazione di massa, sono le stesse vittime del meccanismo infernale della sovraproduzione e dell' iperconsumo a farsi sostenitrici entusiastiche del sistema : Guardali in faccia: stirati, con gli occhi della febbre, dimentichi di tutto tranne dei soldi che ci vogliono ogni giorno, e che servono soltanto quanto basta per stare in piedi, per lavorare, trottare ancora, e fare altri soldi. Un giro vizioso. E la tragedia sta proprio nel fatto che di questo loro non si avvedono, che si ri­ tengono privilegiati. Ascoltali, provocali, e sentirai la sicumera di questa gente, solo perché abita nella grande città. Questi sono i ceti medi italiani, avviliti dal padrone, e insieme sollecitati a muoversi nella direzione che più fa comodo al padrone. Neanche i loro bisogni sono genuini: pensa la pubblicita afabbricarglieli,

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giorno per giorno. Tu vorrai i l frigorifero, dice la pubblicità, tu la macchina nuo­ va, tu addirittura una faccia nuova. E loro vogliono quel che il padrone impone e credono che questa sia la vita moderna, la felicità48•

Riflessioni che non erano certo originali, ma che nel 1 9 6 0 non erano an­ cora inflazionati luoghi comuni. Riflessioni aggiornate sui grandi temi che, sul finire degli anni Cinquanta, si cominciavano a dibattere anche in Italia, sulla scorta dei libri dei sociologi americani attenti ai meccani­ smi profondi del nuovo capitalismo, della comunicazione pubblicitaria e delle nuove forme di produzione del consenso, come i saggi di Vance Packard ( The Hidden Persuaders, del 19 s7, era stato tradotto da Einaudi nel 1 9 s 8 con il titolo Ipersuasori occulti) e di David Riesman ( The Lonely Crowd, del 1 9 so, era stato tradotto da il Mulino nel 19 s 6 con il titolo La folla solitaria) . È in particolare una letteratura attenta ai comporta­ menti dei ceti medi, cioè a una realtà sociologica che rendeva obsolete le tradizionali categorie di classe ( borghesia, piccola borghesia e proleta­ riato ) , e determinava equilibri politici e forme di conformismo radical­ mente mutati. Dovremmo forse aggiungere, tra le suggestioni arrivate in qualche modo al Bianciardi "sociologo", il libro fondamentale di Wright Milis White Collar: The American Middle Classes, del 1 9 s 1 ( ma tradotto in Italia solo nel 1 9 6 6 da Einaudi con il titolo Colletti bianchi. La classe media americana), che individuava nel « ceto medio » ( cui non a caso fa riferimento nel suo discorso Marcello ) non già un determinato livel­ lo sociale, ma la struttura portante di una nuova e pervasiva marketing mentality che modificava radicalmente i meccanismi tradizionali di co­ esione sociale. Un insieme di spunti e di sensibilità al quale Bianciardi giungeva anche attraverso la sua attività di traduttore : in quegli anni non solo traduce manuali tecnici che lo mettono a diretto contatto con la cultura americana del marketing e del mondo della pubblicità49, ma comincia anche ad accostarsi a testi letterari che di quella cultura e di quel mondo sono i critici più caustici ( uscirà nel 1 9 6 1 la sua traduzio­ ne dell'antologia Narratori della generazione alienata, che raccoglieva le migliori voci della beat generation e degli inglesi angry young me n) so. Che Bianciardi facesse riferimento a quella letteratura sociologica ce lo dice del resto lui stesso con la consueta maliziosa allusività con cui abitualmente dissemina nei testi i poco decifrabili accenni alle sue let­ ture. Come si è visto, tra i redattori della casa editrice Marcello è quello che insiste sulla sociologia, trovando l'opposizione di quanti vedono in essa il tipico prodotto della cultura degli americani, «che sono porta-

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tori e diffusori del neocapitalismo, l' ideologia in altre parole [parla il personaggio di Bauducco/Occhetto] che noi stiamo combattendo » 1', dove dobbiamo leggere un'allusione al fortunato pamphlet di Cesare Cases, Marxismo e neopositivismo1\ che attaccava duramente le filosofie pragmatiche e neopositiviste americane, nelle quali vedeva un 'apologia delle nuove forme del capitalismo : versante colto e intellettuale di una "americanizzazione" dell' Italia, parallela o omologa a quella "america­ nizzazione" di massa del paese veicolata da media e nuovi consumi. Ma questo, come si diceva, non è che lo sfondo culturale e ideologico al quale Bianciardi fa riferimento nei due romanzi metropolitani mila­ nesi del 1 9 6 0 e del 19 62.. Un insieme di temi e spunti aggiornati ma non originali. Tuttavia, non è l'originalità del saggista e del sociologo che interessa lo scrittore, quanto la sua capacità di tradurre concetti e idee in uno stile. Nell'Integrazione (certo, il lavoro meno riuscito della trilogia) lo stile si esprimerà, nelle pagine più interessanti, nella forma (già verificata nel Lavoro culturale) del riuso parodico di linguaggi e di forme comunicati­ ve, o in un racconto straniato e deformante dei fatti. Ed è quanto Bian­ ciardi realizza nei due capitoli forse più significativi e stilisticamente più interessanti del libro : quello che rievoca in fatti di Ungheria (cap. 8) e quello che racconta la compiuta "integrazione" del narratore nel sistema economico-produttivo neocapitalistico e "milanese" (cap. 9 ) . L' insostenibile confusione dei fatti : « p iazza Ungheria » , 1 9 5 6

I fatti di Ungheria, tra l'ottobre e i l novembre del 1 9 56, segnarono come è noto un momento di grave crisi all' interno dei partiti comunisti ita­ liano ed europei (si pensi all 'eclatante rottura di Sartre con il PC F ) , e in particolare nei loro rapporti con molti intellettuali. Il richiamo ad essi costituisce uno snodo narrativo fondamentale nel romanzo : sono quegli avvenimenti a causare, per un'imprevedibile conseguenza, l'allontana­ mento dei due fratelli dalla casa editrice: Luciano, per diretto licenzia­ mento della proprietà ; Marcello, per una scelta personale che si connota come rifiuto radicale della sottomissione ai ritmi e alle gerarchie di un lavoro dipendente ( « Dopo i fatti di piazza Ungheria, Marcello se ne andò e da allora non ha più voluto trovarsi un impiego » )13•

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Il racconto dell'episodio ha un 'evidente valenza simbolica, segnando la crisi definitiva di attese ed entusiasmi di rinnovamento sociale e cul­ turale che per molti giovani intellettuali si erano identificati con la mi­ litanza politica nel Partito comunista. Per i due protagonisti del roman­ zo l'episodio rappresenta una svolta biografica radicale, contrassegnata dall 'adesione a due forme opposte di cinismo e di disillusione : quella urilitaristica del narratore, che decide di rinunciare a ogni funzione criti­ ca del lavoro intellettuale, per immergersi in un'attività profondamente compromessa con il "sistema"; quella, anarcoide e antagonista, ma di un antagonismo impotente e frustrato, di Marcello. I giorni convulsi che vertici e militanti del PCI vissero tra il 23 otto­ bre e il 4 novembre del 1 9 5 6 sono evocati nel libro in forma indiretta : rivissuti nella dimensione straniata e confusa prodotta dal punto di vi­ sta del narratore, che confessa di aver capito assai poco di quanto sta­ va succedendo attorno a lui ( « lo veramente non capivo granché » ) 14• Il narratore e la compagna, Anna, raggiungono nella sua casa Andrea, un intellettuale-funzionario di partito, che per telefono avevano sentito così disperato da cernerne il suicidio. Incapace di assurgere a toni tragici, il dolore di Andrea ha invece qualcosa di irrimediabilmente ridicolo : la delusione d'amore e la preoccupazione politica, la tragedia della sto­ ria e il banale dramma sentimentale si intrecciano irriverentemente ( « il sangue scorre a Budapest, e Irma mi lascia » ) ; il dolore trova voce in sin­ ghiozzi e suppliche infantili ( « Un bacino, Irma bella, Irma cara, un ba­ cino al tuo Andrea » ) 11• Le caratteristiche somatiche di Andrea (quando lo mettono a letto, il narratore lo vede « magro e povero di torace, e con un pisellino che pareva quello di un bimbo » ) 16 completano il quadro : a disegnare il ritratto grottesco dell' intellettuale portato all'autocom­ miserazione, irrimediabilmente impossibilitato a un dignitoso e fermo coraggio virile. Il narratore e la sua compagna trascorrono così una settimana a casa di Andrea; mentre il padrone di casa, ritrovato un poco di autocontrol­ lo, va e viene, facendo la spola tra la sua abitazione e una inesistente (a Milano) «piazza Ungheria » ; riceve in assenza misteriose telefonate, fil­ trate da incomprensibili parole d'ordine (come quella di « Petofi » , che allude naturalmente al "circolo Petofi': fondato a Budapest nel 1955, che tanta parte ebbe nell'organizzare le proteste antisovietiche che sfociaro­ no nella rivolta del 1956). Il narratore - che ricava le sue informazioni dai discorsi interrotti e frammentari delle telefonate che arrivano e dal­ le parole che lo stesso Andrea dice con parsimonia al telefono - sente

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LUCIANO BIANCIARDI, LA PROTESTA DELLO STILE

parlare di un documento e di firme da raccogliere. Il riferimento è na­ turalmente al famoso Manifesto dei 101, che tra il 2.8 e il 2.9 ottobre fu redatto da alcuni intellettuali del PCI che chiedevano al partito la con­ danna dell' invasione sovietica di Budapest e un sostegno ai processi di democratizzazione dei paesi socialisti. Il Manifesto, che molti firmatari ritenevano dovesse avere solo una circolazione interna ( era effettivamen­ te in forma di lettera inviata al Comitato centrale del PCI ) , fu pubblicato dall 'ANSA nel tardo pomeriggio del 2.9 ottobre. Mentre i vertici del par­ tito si compattavano a sostegno dell ' Unione Sovietica e molti firmatari si affannavano a rettificare o a giustificare pubblicamente ( appellandosi alla buona fede carpita ) la firma apposta al documento. Ma se il capitolo non racconta nulla di nuovo, facendo riferimento a un episodio spartiacque di tante biografie di militanti o di fiancheg­ giatori del PCI, quello che interessa è appunto la trasposizione narrativa che ne fa Bianciardi. L'evento che ha significato una crisi definitiva, se­ gnando l'ultimo distacco dalle illusioni giovanili, si sviluppa attraverso lo sguardo di un narratore che vi assiste, per così dire, di sghembo. In­ capace di avere una visione d' insieme e razionalmente organizzata degli eventi, il narratore coglie solo particolari incompleti e irrelati, mediati per altro dai comportamenti e dalle parole grottesche fino al ridicolo dell 'amico -funzionario. È, insomma, un mondo di ideali e di solide sicurezze che si sfalda, ma lo fa senza grandezza e nobiltà, colto com'è dall 'angolo visuale iperpri­ vato, non a caso costretto negli spazi angusti di un interno ( il narratore e la sua compagna - mentre si consuma il dramma ungherese - trascor­ rono l' intera settimana nella casa di Andrea, gestendo un turbinio di telefonate, arrivi e partenze di persone ) . La lingua narrativa non può che destrutturarsi, riempiendosi di frasi e spunti che il narratore stesso non riesce a interpretare, trovandosi spesso testimone di dialoghi che altri fanno al telefono. Ma sono, ovviamente, dialoghi dimidiati, di cui si co­ glie solo una delle parti interlocutrici: « Sei tu Mariolina? Cosa dice Peppino ? È per la ritrattazione ? Bene, ma la for­ mula ? Anche i Peverini dici ? E Antonio ? Sì, lo capisco. Documento e rettifica, no ? L'avevo pensato. Pubblichino anche loro il documento, poi segue la dichia­ razione che deploriamo l'affare dell'ANSA eccetera. Mi sembra la strada miglio­ re. Benissimo. Tu come stai ? Dieci giorn i ? Addirittura. E i conti dell' Ogino Knaus così vanno per aria, no ? Eh vi capisco. La bambina come sta ? Bene, mi fa piacere. Un salutino a Peppino, quando rientra. Ciao » 17•

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Riuso e p arodia : human relations e marketing

Dopo il licenziamento dalla Feltrinelli, Bianciardi comincia un' inten­ sa attività di collaborazione editoriale (anche con la stessa Feltrinelli) come traduttore dall ' inglese. Un mestiere che costituisce anzi - anche dopo il successo della Vita agra nel 1 9 6 2 e l' intensificarsi delle collabo­ razioni giornalistiche - la principale attività professionale dello scrit­ tore : il lavoro "vero", quello fatto di quotidiana fatica, di scadenze e di consegne regolari. Se il protagonista della Vita agra sarà infatti un tra­ duttore professionista, sono numerosi i modi attraverso i quali l'attività traduttoria dall ' inglese ha interagito con la scrittura narrativa bianciar­ diana: a cominciare dall ' influenza che eserciterà sulla sua scrittura la conoscenza di Henry Miller, di cui Bianciardi tradusse i Tropici tra il 1 9 6 1 e il 1 9 6 258• Meno noti (né, a quanto ci risulta, finora studiati) sono i contatti tra la scrittura dell'Integrazione e alcuni testi di carattere strettamente tecnico che Bianciardi tradusse al tempo della gestazione e scrittura del romanzo. Pensiamo a due manuali aziendali su cui lavorò tra il 1 9 5 8 e il 1 9 59. Nel romanzo, Luciano, il fratello "integrato", dopo essere stato li­ cenziato dalla « grossa iniziativa » , viene assunto da una casa editrice « specializzata in pubblicazioni di tipo aziendale : relazioni umane e pubbliche, tecnica e tecnologia direzionale, psicopubblicismo, tecnica e tecnologia della pubblicità, ricerche di mercato e motivazionali » 19• È ben riconoscibile nella casa editrice "specializzata" la Franco Angeli, per la quale Bianciardi aveva tradotto in quei mesi due manuali: Eugene ]. Benge, L 'arte di sviluppare la propria personalita scoprendo e utilizzando il proprio segreto potere emotivo (stampato nel dicembre 1 9 5 8 ) e Alfred Tack, Mille modi per aumentare le vendite (stampato pochi mesi dopo, nel 1 9 5 9 ) . Termini e concetti conosciuti attraverso l'esperienza d i quelle pub­ blicazioni vengono travasati nelle pagine dei capitoli conclusivi del ro­ manzo. Il personaggio integrato del romanzo, che ne è la voce narrante, ha infatti preso forme, modi e linguaggio di un certo aziendalismo di importazione americana. Egli è ora perfettamente integrato nel siste­ ma (a differenza del fratello Marcello, come sappiamo) ; ma l' integra­ zione è stigmatizzata da Bianciardi attraverso il ricorso a un universo linguistico-concettuale scopertamente esibito, platealmente artificiale. Il linguaggio aziendale è da lui assunto, anche nelle sue forme più de-

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LUCIANO BIANCIARDI, LA PROTESTA DELLO STILE

gradate, con l'adesione piena del neofita. Il gusto della riscrittura è in Bianciardi così pervasivo da spingerlo persino a qualche forzatura della coerenza narrativa: l 'entusiasmo di Luciano Bianchi, la voce narrante, nei confronti del verbo dell'aziendalismo americano sembrerebbe quasi stridere con la qualità di un personaggio risultato fino a quel momento colto e consapevole, vigile e critico verso sirene, miti e parole d'ordine del nuovo capitalismo consumistico. Il neo assunto è accolto dal direttore della casa editrice, un uomo «con la mascella del manager » : dunque quello stesso termine (manager) che il personaggio di Bauducco, in una scena ambientata appena due anni prima (al tempo del lavoro del protagonista per la « grossa iniziativa » ) presentava come una novità lessicale, vagamente esotica, che necessitava di una particolare spiegazione ( « In americano si direbbe manager» ), viene ora assunta a pieno titolo nel lessico comune. Nelle parole del di­ rettore ricorre la retorica banale propria della più elementare delle tecni­ che motivazionali, quella per cui l'azienda diventa un fattore identitaria per il singolo, integrato in un "noi" aziendale che lo coinvolge in uno scopo attivistico ( « quel che conta è muoverei. La nostra parola d'ordi­ ne, il nostro slogan è azione » ) 60• Ma la degradazione linguistica di quel « il nostro slogan » , pronunciato dal direttore (un'espressione che alle orecchie toscane dell' irridente e disilluso Bianciardi avrà avuto il suono stridulo e urtante del vetro graffiato), è fatta propria e rilanciata dal per­ sonaggio, il Luciano ora entusiasticamente "integrato" ( « ecco un altro slogan della nostra impresa editoriale » )6'. Egli parla con orgoglio del « nostro ramo » (un altro termine idiosincratico per lo scrittore)6'; cita compunto e ammirato Taylor (il celebre teorico dell'efficienza produtti­ va, il "taylorismo", appunto)63; ma soprattutto fa integralmente proprio quel paternalismo aziendalistico su cui aveva ironizzato parlando di Ar­ dizzone e della « grossa iniziativa » ( « il buon capo impara ad apprez­ zare quel che c 'è di buono nei contatti con le altre persone » , « egli si preoccupa più degli altri che di se stesso>> ) 64; accetta quell'ottimismo sociale che trova nei rapporti aziendali un modello positivo di relazioni umane (fondate su « un linguaggio chiaro e stimolante » , consapevole che « la metà delle difficoltà del mondo, sia politiche che produttive, sia personali, sono provocate dall' incomprensione » )61• È, insomma, quella atmosfera ottimistica e concretamente positiva della manualistica azien­ dale americana contemporanea. Dall'esperienza della traduzione dei due libri per Franco Angeli, di­ cevamo, Bianciardi trae, dunque, non soltanto il lessico specialistico, ma

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anche l'atmosfera entusiastica di una visione del mondo "aziendocentri­ ca", in cui tutte le relazioni umane e le forme di affermazione individuale passano attraverso la finalizzazione "produttivistica" di talenti, interessi e passioni. Ci troviamo, insomma, di fronte a un riuso irridente : Bianciardi attinge spunti e passaggi derivati dal primo dei due libri tradotti per Franco Angeli, il manuale pratico di psico-autoeducazione di Benge. Un testo costellato di riflessioni spesso banali e di consigli di ovvio buonsenso, ma che acquista aspetti addirittura grotteschi laddove cor­ reda le sue considerazioni con veri e propri brevi racconti (visivamen­ te messi in rilievo con l'uso di font diversi e con rientri tipografici) di piccoli fatti concreti di cui l'autore ha avuto personale contezza, ren­ dendone testimonianza attraverso un'aneddotica autobiografica ma sempre genericamente determinata ( « Alcuni anni or sono partecipai a una trasmissione insieme a un 'attrice del cinema, una ragazza di ven­ tinove anni » ) 66, o richiamando persone a lui note ( « Conosco un tale che ogni anno si propone un insolito programma di Capodanno » ) 67• Prevalgono in genere vaghe determinazioni nel tempo ( « Un giorno d' inverno, con la neve, due uomini cominciavano la propria giornata di lavoro » ) 68 o nello spazio ( « Maria lavora in un grande ospedale, e si occupa dell'alimentazione dei malati. A scuola ha imparato molte cose » ) 69• È una modalità di racconto esemplare assai diffusa nella stam­ pa divulgativa e popolare americana (basti una scorsa a vecchi articoli del "Reader 's Digest" o agli exempla edificanti di "Watchtower" dei Te­ stimoni di Geova). Nell'ultimo capitolo del romanzo si racconta che Marcello - avviato a galleggiare faticosamente nel sottobosco editoriale, in un destino di precarietà marginale - viene incaricato dalla casa editrice in cui lavora il fratello di scrivere un manuale per segretarie d'azienda. Il narratore, a dimostrazione di come Marcello abbia compreso perfettamente « lo spirito della nostra iniziativa editoriale » , riporta un brano dell' inesi­ stente manuale, che bene illustra il -> ) 1 9• I lunghi trasferimenti dalla periferia al centro, nelle ore trascorse in tram nell' indifferenza reciproca degli "sconosciuti" occasionali com­ pagni di viaggio, diventano allora l 'occasione di verifica di un'ordinaria e irredimibile alienazione, messa in rilievo dal richiamo a una provin­ cia che assume, per contrasto, sfumature mitico-idilliache, tonalità non scontata per un narratore non incline ad abbandoni nostalgici: Ogni giorno io trascorrevo in tram almeno un'ora e mezzo. Bene, chi non sa può forse credere che, viaggiando su quel mezzo pubblico quarantacinque ore ogni mese, in capo all'anno uno abbia fatto centinaia di conoscenze, decine di amtcrzte. Per esempio, quelli che per ragioni di lavoro prendono ogni giorno l'acce­ lerato fra Follonica e il paese mio, li vedrete salutare dal finestrino casellanti e capistazione, preoccuparsi se a Giuncarico non sale, come ogni mattina, il Mar­ racini [ ... ] . Qui no. Ogni mattina la gita i n tram è un viaggio in compagnia d i estranei che non si parlano, anzi di nemici che si odiano30•

Indifferenza cittadina e calore provinciale creano qui un contrasto forse troppo prevedibilmente didascalico ; ma ben altrimenti risentito e dram­ matico è il quadro della notte milanese dell'estrema periferia abitata dal narratore : un inferno metropolitano abitato da presenze spettrali ( > .

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LUCIANO BIANCIARDI, LA PROTESTA DELLO STILE

« E ci sono molti operai ? » « No, purtroppo è una sezione d i ceti medi : impiegati, assicuratori, rappre­ sentanti, cassieri di banca » . « Ma allora è inutile » . « No, non è inutile, perché la sezione ti dà sempre la concretezza della lotta politica, e la lotta politica è una sola, nostra e degli operai » . Ma intanto la vedova Viganò continuava a resistere nel suo cantuccio isola­ to, alla rivista specializzata trimestrale, e a battersi contro la direzione che voleva buttarla fuori a tutti i costi, anche a costo di triplicarle la liquidazione91•

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Una lun ga fedeltà : il Risorgimento

D ivulgare il Risorgimento

Nel 19 6 o - lo stesso anno in cui per Bompiani esce L 'integrazione - presso Feltrinelli Bianciardi pubblica Da Quarto a Torino, un libro divulgativo sulla spedizione dei Mille. È lo stesso editore (l'ex datore di lavoro dello scrittore, e tutt 'ora uno dei suoi principali committenti di traduzioni) a chiederglielo in vista del prossimo centenario della spedizione1• Il fatto che il libro sia nato su commissione (tra il 1 9 6 0 e il 1 9 6 1 - centenario dell' Unità d' Italia - le iniziative editoriali furono del resto numerosis­ sime) non deve però trarre in inganno : la proposta incontrava infatti un interesse profondo (e mai intermesso) di Bianciardi per il Risorgimen­ to, tanto che una buona metà dei libri dello scrittore grossetano ruota (a vario titolo e con modalità diverse) attorno a quel periodo storico. Nel 1 9 6 9 Bianciardi pubblicherà Daghela avanti un passo!, ricostruzione (anch'essa divulgativa, e con uno sguardo precipuo al mercato scolastico e dei giovanissimi) delle vicende risorgimentali tra le Cinque giornate di Milano ( 1 848 ) e la presa di Porta Pia ( 1 870 ) . Un'agile e avventurosa (e ben illustrata) biografia di Garibaldi, destinata esplicitamente ai ragazzi, verrà infine data alle stampe postuma, nel 1 9722• Ma accanto all'opera di divulgazione storica va collocato un romanzo compiutamente "risorgi­ mentale" come La battaglia soda ( 1964 ) , autobiografia fittizia ispirata al garibaldino Giuseppe Bandi, autore di uno dei più bei libri di memorie della spedizione dei Mille, amatissimo da Bianciardi. Un discorso a par­ te meriterebbe, infine, l'ultimo romanzo di Bianciardi, Aprire ilfuoco ( 1 9 6 9 ), che gioca con un Risorgimento immaginario, complicato da un incrociarsi spesso inafferrabile di distopie e discronie : un divertissement spiazzante che ambienta spunti e figure ispirate alle Cinque giornate milanesi nell' Italia del 1 9 59, mescolando personaggi ottocenteschi con figure più o meno note della contemporaneità.

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L' interesse per il Risorgimento costituisce dunque un elemento centrale per Bianciardi. Al quale lo seri ttore non si avvicina certo inge­ nuamente, forte anzi di una conoscenza critico-storica aggiornata, ori­ ginariamente influenzata, per altro, dalle demitizzazioni che del Risorgi­ mento ufficiale e monumentale avevano fatto un Gobetti e un Gramsci. Nel momento stesso in cui costruisce un' immagine di quel periodo che bene ne mette in rilievo i limiti e le contraddizioni interne, Bianciardi è tuttavia consapevole dei meccanismi letterario-retorici che possono trasformare una fase storica in una grande epopea. Ci sarebbe stata, in­ somma, materia per fare del Risorgimento un mito fondativo, reale e non superficiale, della nazione : mentre esso non fu che una rivoluzione civile fallita ( allora, come cent'anni dopo, tra Resistenza e dopoguerra ) , che mancò gli ideali di giustizia e di democrazia che erano ben presenti ai migliori ( da Mazzini a Garibaldi, da Cattaneo a Pisacane ) 3• Merita un cenno il fatto che uno dei primi scritti pubblicati dallo scrittore è un articolo uscito per la "Gazzetta di Livorno" il 4 maggio 1 9 52, La diversione Zambianchi, che racconta un episodio marginale della spedizione dei Mille : la storia di un piccolo gruppo di garibaldini che da Talamone ( dove i due piroscafi diretti in Sicilia si erano fermati per caricare carbone e munizioni ) viene mandato in territorio pontifi­ cio con il compito di far sollevare contro il potere papale le popolazioni dell'alto Lazio4• La spedizione si risolve in pochi giorni, con un piccolo sconfinamento in terra pontificia e qualche schioppettata. L'episodio - che non ebbe alcuna rilevanza politico-diplomatica, meno che mai strategico-militare - risponde al gusto per quelle microstorie provincia­ li care al Bianciardi dei primi anni Cinquanta, che recuperano episodi dimenticati e tornano utili per illustrare i retroscena o i dettagli margi­ nali: l'evento imprevedibile o paradossale, il "tragicomico" ( l'aggettivo è dell'autore ) o il grottesco che si annidano anche nell'epopea. Uno dei primi documenti del Bianciardi scrittore di Risorgimento va insomma nella direzione della demitizzazione e dell' antiretorica. L'episodio sarà ripreso nel secondo capitolo di Da Quarto a Torino, ampliato e arricchi­ to con ampi stralci di un articolo uscito nel giugno del 1 8 6 1 su una rivista papalina ( ''Civiltà Cattolica" ) , che descrive il fatto in toni partigiana­ mente iperbolici: una messa in ridicolo dei meccanismi di falsificazione "mediatica" della realtà utilizzati dalla propaganda ( nel passato come, con mezzi ben più potenti, nel presente ) . Il Risorgimento è, dunque, una passione che accompagna Bianciardi per tutta la vita, con la tenacia degli amori maturati nell' infanzia e mai

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più dimenticati. Da quando cioè il padre regalò al piccolo Luciano una bella edizione delle memorie garibaldine di Giuseppe Bandi (l mille. Da , Genova a Capua) : un libro letto e riletto negli anni dell infanzia e in età adulta. È lo stesso scrittore a ricordarlo, nella quarta di copertina della prima edizione di Da Quarto a Torino: Questo libro è dedicato al ricordo di mio padre perché fu lui, quando io avevo appena appena gli anni per saper leggere, che mi mise in mano il libro dei Mil­ le. « L' ha scritto un nostro compaesano » , mi spiegò. Infatti l'autore, Giuseppe Bandi, era nato a Gavorrano, un paese di minatori a pochi chilometri da casa nostra. Da allora credo che non sia passata stagione senza che io ragazzo rileg­ gessi quelle pagines.

Bianciardi si era da poco trasferito a Milano quando cura per l'editore Parenti di Firenze un'edizione del libro di Bandi ( 1 9 55) . È vero che non è che uno dei tanti lavori che lo scrittore, a lungo afflitto da problemi eco ­ nomici, sbriga ( le note al testo sono del resto numerose, ma puramente redazionali: brevi voci informative su luoghi e personaggi, estrapolate da lessici e repertori, che non costituiscono un vero e proprio commento organico ) , ma certo siamo di fronte alla prima testimonianza dell' inte­ resse editoriale di Bianciardi per il Risorgimento6• Una passione che, per la verità, stupiva spesso colleghi e amici. Come testimonia ad esempio Giovanni Arpino: « Ma si può sapere cosa te ne frega a te di Garibaldi ? » , gli avrebbe chiesto una sera7• Una passione che lo stesso scrittore ricorda del resto nel suo secondo romanzo, L 'integra­ zione, dove uno dei due fratelli protagonisti propone alla casa editrice in cui è impiegato di pubblicare memorie garibaldine, che « meritavano di essere conosciute, popolarizzate, tradotte magari in film, perché oltre­ tutto erano avventurosissime, e pittoresche » 8• Una proposta che sottin­ tendeva un recupero delle radici della storia italiana contemporanea e una riflessione sull' identità della nazione, sugli errori antichi e sulle oc­ casioni create e perdute, nel passato più lontano e in quello più recente. Il passo dell'Integrazione rievoca, insomma, il Bianciardi engagé che nei primi anni del dopoguerra scopriva Gramsci e la sua riflessione sul Ri­ sorgimento mancato, sulla rivoluzione incompiuta perché solo borghe­ se, elitaria e "letterata': e incapace perciò di divenire "nazional-popolare". Nella quarta di copertina del libro garibaldino - come abbiamo detto sopra - Bianciardi identifica in un ricordo dell' infanzia le radici della sua , personale passione per l'epopea garibaldina : e il libro che sta ali origine

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della passione è l'opera di uno di Gavorrano, vi si legge, paese a due passi da Grosseto. È curioso che a giustificare il regalo e a veicolare l' interesse del libro sia, nelle parole del padre, questa comune origine maremmana ( « L'ha scritta un nostro compaesano » ) , quasi a contrassegnare uno stile e una peculiare visione del mondo. Nella lingua semplice e vivacissima di Bandi, connotata regionalmente ma senza stucchevoli riboboli, pri­ ma che un dato diatopico vive il mito di una toscanità vivace e popolare, loquace ma non sguaiata, innervata di una naturalezza che la immuniz­ za dal pericolo della retorica ingessata. Non è un caso, forse, se proprio quella lingua quattro anni dopo verrà impiegata (con un elaboratissimo lavoro di riscrittura) nel romanzo La battaglia soda: tanto che il narrato­ re che vi parla in prima persona risulta una controfigura del garibaldino Giuseppe Bandi, in un compiuto processo di identificazione che, assieme all'assunzione della lingua dello scrittore ottocentesco, comporta persino l'adozione del suo immaginario e della sua visione del mondo, all' interno di un sistematico e coerente "artificio" della regressione. È significativo che ad altri due toscani (questa volta pittori: Pietro Aldi e Giovanni Fattori) lo scrittore affidi il contrasto tra due diverse modalità di raccontare la storia. Alludiamo al racconto (nelle ultime pagine di Da Quarto a Torino) di un episodio ad altissimo valore simbo­ lico come l' incontro di Teano, che nel libro di Bianciardi bene riassume la sconfitta dell' ideale rivoluzionario e libertario, del sogno ingenuo e grandioso dei Mille e del loro generale, segnando la vittoria della nor­ malizzazione sabauda e cavouriana, che aprirà la via a un nuovo ordine fatto di grigiore burocratico, di antichi interessi da difendere, di ingiu­ stizie incancrenite e intoccabili. Da Quarto a Torino ribalta, del resto, la visione di un Risorgimento ecumenico, in cui le diverse posizioni politiche (mazziniani, savoiardi, repubblicani e neoguelfi) trovarono nel momento supremo della sfida un'unità di intenti. In altri termini, Bianciardi, guardando alla storia italiana, torna a una tonalità costan­ te della sua scrittura : la denuncia della mistificazione retorica, la messa in discussione delle verità con cui il potere esercita la propria egemonia sulle coscienze. Una polemica che coinvolge appunto la più celebre rappresentazio­ ne dell' incontro, l'affresco che Pietro Al di, traducendo in immagini l ' interpretazione falsificatoria e oleografica dell'episodio, dipinse per il Palazzo comunale di Siena. Un altro grossetano che entra in gioco, dunque (Pietro Aldi era di Manciano, un comune a pochi chilometri a ovest di Pitigliano) , ma in contrasto con un altro toscano, Giovanni

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Fattori, grande interprete della bellezza paesaggistica del basso Senese e della Maremma, che aveva saputo raccontare la guerra dal basso e per scorci laterali : non quella degli eroi in prima linea, ma quella osservata dalle spalle dei soldati, nelle retrovie in cui si accumula la sofferenza de­ gli sconfitti e dei feriti, o in cui trema la paura dell' attesa9• Così l' incon­ tro di Teano può risolversi in poche pennellate, ritratte dal punto di vista degli stessi garibaldini che accompagnano il loro generale : Videro passare begli squadroni di cavalleria, elmi lucenti, coi pezzi trainati, e la coda di crine pendente dal chepì. Poi, all ' improvviso, in fondo alla strada rulli o di tamburi, squillar di trombe, luccichio di corazze, di elmi argentati, e gran pol­ verone : arrivava il re. Garibaldi si levò di capo il berrettuccio tondo e gli andò incontro con la mano tesa: « Salute al re d' Italia » . La scena l' ha affrescata, al palazzo comunale di Siena, Pietro Aldi, e tutti noi l' abbiam vista sul libro delle elementari. Ma l' incontro di Teano non fu in quel modo : fu una scena goffa e impacciata10•

Il racconto prosegue brevissimo, con i due protagonisti che, fianco a fianco, in silenzio, cavalcano fino a un ponticello, dove si « divisero per sempre » . La conclusione della scena non può che essere quella di un Garibaldi visto (alla maniera di Fattori) da dietro le quinte. Bianciardi - che nel suo racconto segue soprattutto il racconto di Bandi ( integran­ dolo spesso con spunti tratti dalle famose memorie garibaldine di Giulio Cesare Abba) - ricorre qui a un particolare ricavato da La camicia rossa di Alberto Mario. Spunto non poteva essere più adatto : Vittorio Emanuele ritornò verso Teano, Garibaldi scese a un' osteriola, lì sul ciglio della strada, entrò sotto il portico, sedette su una panca, dinanzi a un barile ritto. Gli ci misero sopra un pane, una fetta di cacio e un boccale d'acqua. Ne prese un sorso e la sputò : « Dev'esserci nel pozzo una bestia morta da tempo » , disseu.

La più straordinaria impresa del nostro Risorgimento, una delle più in­ credibili e avventurose storie che si possano raccontare, di fatto si chiude così, nella più antieroica delle scene : tra i particolari di una quotidianità corporea e umile, nella lateralità di una scena sul "ciglio di una strada", lontana dalle luci del proscenio. Ma l'attenzione per la concretezza minuta del quotidiano, la vocazio­ ne per un' immediatezza narrativa scevra da paludamenti retorico-mo­ numentali, è la caratteristica dei Mille di Giuseppe Bandi che, ufficiale addetto alla persona del generale, presenta spesso l'eroe nella sua veste

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più umile e dimessa : nelle sue pagine è talora messo in scena il Garibaldi dei momenti solitari, del ripensamento malinconico, dello scoramento e del dubbio, l'uomo stanco e piegato dalle artriti. Il libro di Bandi, dun­ que, non segnò solo l'origine della passione risorgimentale di Bianciardi, ma in un certo senso ne diresse toni e sensibilità. Bianciardi trasse, in­ somma, dallo scrittore di Gavorrano, e dagli altri memorialisti, il gusto di un'epopea dai tratti picareschi, estranea a pose statuarie, capace anzi di raccontare gli eventi con occhi disincantati e autoironici e di trasfor­ mare anche gli atti di più ardito eroismo in una sorta di gioco disinvolto. Da Quarto a Torino esibisce fin dal titolo un intento critico : sia per l'amato Bandi sia per Giulio Cesare Abba, il più celebre dei memorialisti garibaldini, il racconto si ferma lungo il Volturno, dove il I0 ottobre del I 8 6 o si combatte l 'ultima battaglia della campagna, o nella vicina Ca­ pua, dove erano asserragliati i superstiti dell'esercito borbonico sconfit­ to sul Volturno, bombardata dai cannoni piemontesi il I0 novembre. Da Quarto al Volturno si intitolano infatti le Noterelle di Abba12; Da Genova a Capua è il sottotitolo dei Mille di Giuseppe Bandi. Al racconto della campagna garibaldina Bianciardi aggiunge invece un capitolo polemico (cap. I2) che si apre con la prima riunione del Parlamento del Regno italiano, a Torino, nel marzo I 8 6I. La decisione di Vittorio Emanue­ le di continuare a chiamarsi "secondo" e non "primo" re d' Italia segna lo spunto per una riflessione sugli errori storici della politica sabauda. L' imposizione alle regioni meridionali di una rigida "piemontizzazio­ ne", l' incapacità di dare una risposta efficace alle richieste di giustizia so­ ciale della popolazione (da subito sottoposta alla coscrizione obbligato­ ria e a un'alta tassazione, senza che venissero neppure toccati gli antichi privilegi feudali), diedero vita, già nei primi mesi seguiti alla conquista del Regno borbonico alla guerra dei briganti. "Quarto" e " Torino" acco­ stano dunque polemicamente i poli opposti e inconciliabili dell' ideali­ smo e del cinismo, della generosità disinteressata e del calcolo. E anche accostano le speranze risorgimentali e il loro inesorabile tradimento. Le parole che concludono il libro guardano così a una storia succes­ siva che ha mancato da subito le attese. Cominciava, insomma, la "que­ stione meridionale", ed è un eufemismo che piace ai sociologi perché non dice la tragedia a cui sol­ tanto allude. A tale "questione" noi non abbiamo ancora saputo dare una rispo­ sta, e son passati cento anni da quando essa cominciò; da quando in Torino si proclamava solennemente l' Italia unita13•

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Il libro si conclude, dunque, richiamando in poche righe due aspetti che, come un filo rosso, l'attraversano per intero. In primo luogo una spic­ cata tendenza all'attualizzazione polemica dei fatti narrati. La forzata "piemontizzazione" del Sud, di cui si parla nelle righe sopra citate, costi­ tuisce un luogo comune consolidato della critica storica meridionalista ; Bianciardi lo fa suo, ma tale motivo, in Da Quarto a Torino, non porta lo scrittore a segnalare aspetti liminari o embrionali di processi storici futuri, ma piuttosto ( e spesso lo fa nella forma estemporanea dell' inciso ) a individuare somiglianze basate su un esplicito meccanismo analogi­ co che coglie in eventi e personaggi del passato ( talora non senza for­ zature ) la prefigurazione di mali e vizi storici successivi. E basterebbero due esempi che danno la misura di un racconto che, al piacere narrativo della " bella avventura", associa un in te n to cri tic o che guarda all' Italia della storia recente, e soprattutto alle mancate promesse di quel rinno­ vamento sociale e politico per il quale le giovani generazioni impegnate nella Resistenza e nella vita politica del dopoguerra avevano combat­ tuto. Uno dei primi decreti dittatoriali di Garibaldi aboliva il titolo di "eccellenza", evidentemente con ben poco successo, se lo scrittore può commentare : «pare, tra parentesi, che sia sempre questo uno dei primi gesti di ogni governo democratico in Italia. Il titolo di eccellenza verrà abolito anche nel 1 945, e anche allora inutilmente » 14• Garibaldi è un « gran condottiero partigiano» 1S, il che vuol dire, naturalmente, che è stato un grande genio della guerra per bande, o guerriglia, ma la frase non può non suggerire associazioni evidenti con realtà storiche vicine, con eredità politiche ancora aperte. Il secondo aspetto che la chiusa del libro mette in rilievo è poi la vi­ vace polemica nei confronti della politica di Cavour. La figura del con­ te assume addirittura contorni luciferini e quella che fu una, per tanti versi, legittima cautela nei confronti dell'avventura garibaldina - nel timore fondato che essa innestasse un ' incontrollabile reazione interna­ zionale è oggetto in Bianciardi di sistematiche reprimende. Non solo, scrive Bianciardi, il suo « orizzonte politico e psicologico non arriva­ va oltre Firenze » 16, ma lo scrittore gli attribuisce una tale avversione e timore per un'eventuale evoluzione democratico-radicale dell' impresa nazionale da spingerlo a sabotare con mezzi sinistri la spedizione, nella speranza segreta che Garibaldi venisse in qualche modo fermato prima di arrivare a Napoli. Per evitare lo sbarco in Calabria Cavour avrebbe addirittura spinto alcuni ufficiali della marina sabauda a disertare, per arruolarsi nella sparuta marina garibaldina e sabotarla17• Una visione -

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manichea della spedizione8 che colloca da una parte la generosità disin­ teressata e idealista, e dali ' altra un cinismo calcolatore e freddo. Sono quasi due visioni del mondo che si contrappongono nelle pagine del saggio, e che mettono a confronto l'affiato rivoluzionario, capace di ac­ carezzare sogni e progetti impossibili, con la politica conservatrice-rea­ zionaria di chi vuole preservare intatti privilegi e ingiustizie. Su questo sfondo Garibaldi e Cavour diventano figure-emblema di due opposte tipologie umane incapaci di comunicare e di intendersi: Fra gli altri torti d i Cavour c ' è anche quello d i non avere voluto mai credere nella sincerità di Garibaldi e nella sua scrupolosa fedeltà alla divisa che aveva scelto per sé e per i Mille : Italia e Vittorio Emanuele. Gli intrighi della politica e le finzioni della diplomazia erano in Cavour un abito mentale, ed egli non poteva quindi credere che Garibaldi fosse uomo rettilineo, davvero convinto di quel che andava ripetendo : liberiamo l' Italia tutta, ed allora faremo l'unità, con Vittorio Emanuele re19•

Prima che frutto di un meditato giudizio storico, la contrapposizione tra Garibaldi e Cavour ha davvero l'assolutezza di uno scontro tra visioni del mondo inconciliabili: un atteggiamento che solo in parte si spiega con la destinazione divulgativa del libro, ma che implica un approccio fortemente militante e "attualizzante" alla storia, interpretata attraverso la messa in campo di connessioni analogiche polemiche. Quanto avrà agito nel ritrarre il profilo di Cavour una certa "democristianità" ideai­ tipica, timorosa di profonde riforme sociali, pronta al compromesso, abile a combinare ipocritamente un'esteriore cedevolezza e moderazio ­ ne con un esercizio sostanzialmente cinico del potere e degli interessi ? Non bisogna, del resto, sottovalutare il fatto - per andare a fenomeni più contingenti - che il libro nasce negli ultimi mesi del 1 9 59, quando nel paese si delinea una condizione di stallo politico (Fanfani, che da due anni sosteneva l'apertura del governo ai socialisti, all' inizio dell'an­ no era stato costretto alle dimissioni da primo ministro e da segretario della D C ) , che pochi mesi dopo sfocerà nel governo Tambroni e nelle fortissime tensioni che caratterizzeranno la tragica estate del 19 6 o, con i fatti luttuosi di Reggio Emilia e di Sicilia. Un manicheismo dichiarato già nel testo della quarta di copertina, sopra ricordata, dove Bianciardi non solo parla della propria parzialità interpretativa ( « il libro, sin dal titolo, non è certo spassionato, e forse nemmeno obbiettivo : insomma io sto dalla parte di Garibaldi, non di

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Cavour, anche se poi ebbe ragione il secondo » ) , ma ne rivendica la legit­ timità sulla base di una motivazione, per così dire, "professionale": « ho cercato di raccontare in breve la bella avventura che partì da Quarto, senza alcuna specifica preparazione di storico (perché storico non sono) basandomi soprattutto su quanto mi dicevano, dai libri, quelli che vide­ ro con gli occhi propri. Spero di averci messo un po' di quell'entusiasmo ottocentesco [ ... ] » . Narratore, dunque, e non storico; e in quanto nar­ ratore non pretende una documentazione rigorosa e scientifica dei fatti, ma li rimodula sulla base delle testimonianze narrative della memoriali­ stica garibaldina. Sul piano dell' interpretazione storica - a parte le innegabili forzature anticavouriane - ben poco aggiunge Bianciardi a una certa vulgata con­ trorisorgimentale che affondava le radici negli anni immediatamente successivi all' Unità d' Italia. La polemica contro l'annessionismo sabau­ do, che aveva travolto ogni specificità amministrativa del Regno bor­ bonico, "piemontesizzandolo" in maniera rigida e meccanica, è desunta dal meridionalismo di secondo Ottocento. La denuncia della mancata risposta alle legittime richieste di riforma sociale del Sud è, del resto, già presente nelle Noterelle di Abba, e opportunamente Bianciardi riporta lo stralcio di un famoso dialogo lì presente, tra lo stesso Abba e il frate siciliano padre Carmelo, che bene riassume i limiti della rivoluzione "na­ zionale" retta su valori prettamente umanistico-borghesi, estranei alla cultura e ai bisogni delle plebi contadine meridionali20• Temi tradizionali di un meridionalismo già ottocentesco, che troverà nelle straordinarie interpretazioni storiche di Gobetti21 e di Gramsci22 un allargamento di orizzonti interpretativi e di prospettive, alla ricerca delle radici profonde dei limiti politici, strutturali e culturali del paese. Se poi guardiamo alla migliore tradizione narrativa sul Risorgimen­ to, vediamo come il giudizio di Bianciardi non si allontani dalla linea interpretativa prevalente. Se possiamo infatti dire (come è stato recente­ mente osservato )23 che le visioni del Risorgimento proposte dalla lette­ ratura siano essenzialmente quelle di una narrazione "del rovescio", che del Risorgimento hanno messo in rilievo i lati oscuri e i nodi irrisolti, Bianciardi non si discosta dagli esempi altissimi offerti da una novella come Liberta di Verga, dal recente Il Quarantotto di Sci ascia (un rac­ conto compreso in Gli zii di Sicilia, del 19 5 8 ) e dal Il gattopardo ( 1 9 59 ) , che aveva sollevato i n quei mesi polemiche vivaci. Non a caso Bianciardi cita in apertura dell'ottavo capitolo un passo tratto dalla novella di Ver­ ga, ispirata ai fatti di Bronte, quando Nino Bixio represse nel sangue

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una rivolta contadina generata dalle illusorie speranze che la "libertà" proclamata dalle truppe garibaldine significasse la fine delle antiche in­ giustizie contro i contadini ( a cominciare dall' illecita occupazione delle terre demaniali ) . L'episodio - che il film di Florestano Vancini (Bron­ te. Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato, del 1 972) renderà popolare - è trattato velocemente da Bianciardi, ma con un tono di denuncia che non lascia dubbi. E se pure la figura di Nino Bixio, incaricato di reprimere la rivolta, è nel libro di Bianciardi lontana dal cinismo disumano che caratterizza il ritratto che del generale farà Vancini ( Bianciardi cita, ad esempio, una lettera di Bixio alla moglie, in cui trapela il disagio per un incarico accettato di necessità ma con « malanimo » ) , nondimeno allo scrittore grossetano non sfugge come il caso di Bronte consenta di misurare la distanza di sensibilità e cultura che divide le plebi meridionali dai garibaldini, che « non riuscivano a vedere, in quelle sommosse disordinate e stravolte, altro che episodi di brigantaggio, di ferocia e di sangue » 2.4• Cosicché Bianciardi si inserisce, con coerenza, ma senza particolare originalità interpretativa, in una linea che da Verga passa a I viceré di De Roberto, a I vecchi e i giovani di Pirandello, alla sezione "risorgimen­ tale" di Il dito nell'o cchio ( 1 9 53) di Dario Fo, e che di lì a qualche anno approderà ai malinconici scenari vespertini di Noi credevamo ( 19 67 ) di Anna Banti. Troviamo nondimeno in Da Quarto a Torino ( ma il discorso vale an­ che per Daghe/a avanti un passo! e per Garibaldi) una vivacità che bene ha saputo coniugare lo spirito picaresco e scanzonato della memoriali­ stica garibaldina con le tecniche narrative care al romanzo d' avventu­ ra. Nel racconto bianciardiano la spedizione stessa assume i colori e il ritmo di un romanzo d'avventura che della grande tradizione narrativa ottocen tesca ( dumasiana e poi salgariana ) assume alcune formule ca­ ratteristiche. Non è un caso, del resto, se Bianciardi si soffermi spesso in Da Quarto a ricordare proprio Dumas, che - affascinato dalla figura di Garibaldi - volle seguirne da vicino l' impresa ( che narrò in un libro uscito l'anno dopo ) , cogliendo subito la potenzialità narrativa di quella vicenda, destinata a diventare "mito" nel momento stesso in cui pren­ deva corpo come evento. Non stupisce, dunque, il tocco "dumasiano" di certe pagine del libro, a cominciare dall' incipit, che si apre con uno sguardo su Villa Spinola ( nella quale Garibaldi era ospite alla vigilia del­ la partenza della spedizione ) , che richiama i moduli della grande narra­ zione avventuroso-appendicistica ottocentesca : fino a mettere in scena

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quell' ipotetico "viaggiatore" la cui topicità incipitaria il titolo del ro­ manzo di Calvino renderà proverbiale : Il "casone bianco" [scil Villa Spinola] a Quarto oggi non dà più nell'occhio. Anche se l'edificio è cresciuto di un piano, ed ha cambiato colore, rimane ormai sommerso nel dilagare della grande Genova distesa tra Nervi e Pegli, ed oggi ospita gli scolaretti di un quartiere cittadino. Ma cento anni or sono il viaggiatore che uscisse da Porta Pila sulla strada del mare notava, subito dopo il villaggio di Quarto, quella tozza costruzione bianca25•

Ai moduli della grande narrativa d'avventura ( e della narrativa per ra­ gazzi ) rinvia anche la cura attenta per i particolari tecnici, dalla precisio­ ne topografica alle informazioni di strategia, di balistica e di tecnologia degli armamenti. « S arà opportuno a questo punto tener sott'occhio una carta della Sicilia centro-occidentale » , scrive, ad esempio, accingen­ dosi a raccontare la marcia di avvicinamento di Garibaldi a Palermo26 e in effetti il racconto orchestra acutamente l'analisi razionale e compe­ tente delle condizioni topografiche e orografiche, la logica delle scelte strategiche adottate da Garibaldi e dai suoi nemici, i fattori concreti che determinarono successi, insuccessi e imprevisti. Una precisione la cui importanza non va sottovalutata. C 'è in essa molto di bianciardiano: la polemica contro il pressapochismo, quasi a mettere in ridicolo una tradizione culturale ed educativa, come quella italiana, tendenzialmente retorica e magniloquente ; ci sono, per contro, il rispetto per il sapere tecnico e per la verifica accurata del particolare ; l'amore per la concretezza oggettiva e incontrovertibile dei fatti, che di­ venta spesso un mezzo potente per demistificare leggende o per mettere a nudo i meccanismi falsificatori che hanno costruito glorie immeritate e altrettanto immeritati oblii27• È un tratto che accomuna tutta la scrittu­ ra divulgativa risorgimentale di Bianciardi, con particolari che ritorna­ no tra un libro e l'altro, o che tra l 'uno e l'altro si precisano e si arricchi­ scono di informazioni. Così, se in Da Quarto a Torino è solo nominata la località "Pianto Romano", dove si combatté la battaglia di Calatafimi, in Daghe/a avanti un passo! - malgrado il racconto della spedizione dei Mille non occupi che una parte del racconto complessivo -, il nome del­ la località offre l'occasione per una stoccata contro la retorica classicheg­ giante di chi vi volle vedere il ricordo di una memorabile vittoria dei Segestani, che vi sconfissero i Romani, « tiranni del mondo » ; mentre all'umile fatica del ricercatore si schiude una toponomastica assai più

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prosaica: dal « nome dei proprietari, signori Romano, che ci avevano fatto una piantata di viti » 28• Il carattere prettamente divulgativo del secondo saggio storico di Bianciardi sul Risorgimento, Daghe/a avanti un passo!, appare molto chiaramente da alcuni oggettivi dati editoriali. Il libro uscì infatti nel 1 9 6 9 presso Bietti di Milano in due distinte edizioni - una ridotta per ragazzi e una per un pubblico adulto - senza che tra le due versioni esista però una profonda differenza di impianto e di scrittura29• Ciò che del resto Bianciardi dichiara nella prefazione Al lettore adulto, che mentre richiama l'occasione del libro, anche ne traccia il profilo di storia av­ vincente narrata con il ricorso alle tecniche ("salgariane": l'aggettivo è suggerito dallo stesso Bianciardi) del romanzo d'avventura : Diciamolo francamente : questo libro lo scrissi per i ragazzi della scuola media. Quando poi l'editore ne vide il manoscritto, lo lesse e lo fece leggere ad altri, subito mi telefonò qua al mare, dove vivo e lavoro, per dirmi che il Risorgi­ mento è una faccenda che appassiona e avvince, e persino diverte. [ ... ] Ma il primo che lo lesse fu mio figlio Marcellino, di dieci anni, quinta elementare. Mi disse : « Sei più bravo di Salgari » . Dentro di me inorgoglii come un tacchi­ no a giugno30•

La destinazione didattica originaria lascia, del resto, un segno evidentis­ simo anche nel testo per il pubblico adulto : bene lo si evince dal tono pacato e colloquiale, dall'uso di domande retoriche e ipotesi fittizie utili a richiamare l 'attenzione del lettore ( « non si deve però credere con que­ sto che i milanesi fossero fra di loro d'accordo su tutto » )31; spiegazioni, con l 'uso di un lessico basico non tecnico, di nozioni storiche elemen­ tari (del pontefice si precisa che era « sovrano a quei tempi di uno stato molto vasto, piazzato al centro della penisola » 32) ; il frequente ricorso ad aneddoti marginali e divaganti o narrativamente curiosi. Ma nella prefazione Al lettore adulto c 'è, in più, l'esplicito invito a leggere il libro con l'ottica bifocale di chi, guardando al passato, non perde mai di vista il presente. È un' indicazione chiara fin dall'esplica­ zione del titolo ( in milanese significa : "Fai un passo in avanti !"), che - spiega lo scrittore - è desunto da una fortunata canzonetta popolare del tempo (La bella Gigogin) alla quale i garibaldini, decontestualizzan­ dola, diedero un significato politico estraneo alle intenzioni della can­ zone (a "fare un passo in avanti" avrebbe dovuto essere, naturalmente, Vittorio Emanuele) . Chiosa Bianciardi:

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La canzone non aveva alcun significato politico, eppure i milanesi vollero avver­ tire in quel "daghela avanti un passo" del ritornello una specie di invito a mar­ ciare, a muoversi, ad andare avanti. Un "vengo anch' io" d'oltre un secolo fa33•

L'accenno alla canzone di Enzo Jannacci ( Vengo anch 'io), che nel 1 9 6 8 subì un'analoga non voluta sorte (esprimere l a volontà diffusa di parte­ cipazione politica e sociale, che attraversò quell'an nus mirabilis ) , indica il richiamo che allo scrittore preme evidenziare : quella contestazione giovanile sessantottina, alla quale, poche righe sotto, Bianciardi di nuo­ vo allude parlando della « fantasia » che caratterizzò l' impresa dei Mil­ le34, con evidente allusione a uno dei più noti slogan del Maggio francese (Lafantasia al potere). Il Risorgimento diventa allora - nella chiave di lettura proposta nella prefazione - una sorta di rivoluzione giocosa, una rassegna di episodi « eroicamente festosi, concitati, coloriti, persino un poco matti » , un imprevedibile intersecarsi di "immaginazione" (anche questo un termine centrale nello spirito sessantottino) e azione : paiono immaginati da un umorista di acutafantasia. E proprio la fantasia giovò molto a vincere parecchie di quelle battaglie, specialmente quando furono bat­ taglie popolari e popolane35•

Ricorrendo a un procedimento analogico già presente, ma con minore frequenza, in Da Quarto a Torino, Bianciardi inserisce una fitta rete di richiami alla storia successiva o alla politica contemporanea. Richiami espliciti, in molti casi: e può succedere che, parlando delle spinte auto­ nomistiche siciliane nel 1 8 6 o, venga ricordata la con traversa figura di Salvatore Giuliano36; o che, ripercorrendo gli errori strategici e logistici che portarono alla sconfitta della Prima guerra d' indipendenza ( 1 848), lo scrittore vi veda un'anticipazione della disorganizzazione e del pres­ sapochismo del futuro esercito italiano37. Ma i casi più interessanti sono quelli in cui il lettore è invitato a decrittare il senso di un'allusione sto­ rica38, o in cui il racconto ammicca al dibattito politico attuale e ai suoi temi scottanti. Pensiamo alle considerazioni sulla guerriglia e le sue pe­ culiarità (che « non tutti i generali di questo mondo hanno dimostrato di capire » 39), che allude alle cronache militari dal Vietnam e agli impre­ vedibili successi dei vietcong. Prendendo spunto dalla figura del baro­ ne calabrese Nicotera, fervente garibaldino in gioventù, ma da anziano capo della polizia inflessibile nel reprimere le sommosse operaie, Bian­ ciardi nota che ci sono contraddizioni « su cui sarà bene riflettere un

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momentino: non sempre chi è rivoluzionario a vent'anni rimane rivolu­ zionario a sessanta » 40• Una considerazione che non può non richiamare le polemiche coeve sul Sessantotto, fenomeno non "rivoluzionario", ma dedizione di un certo ribellismo giovanile di marca borghese. E non oc­ corre richiamare le famose provocazioni pasoliniane di Il PCI ai giovani, o lo sberleffo irridente di Ionesco ai contestatori francesi ( «Diventerete tutti notai ! » ) , giacché lo stesso Bianciardi, in un articolo del 26 maggio 1 9 6 8 (I giovani alle urne), si domandava - due mesi dopo gli scontri di Valle Giulia a Roma, e nel pieno del Maggio francese - se non si stes­ se « assistendo non già alla rivoluzione, ma a un semplice trapasso del potere da una generazione all'altra » ; se i protagonisti del Sessan totto in sostanza è il dubbio malizioso che una disincantata lettura della storia suggerisce - « non si stiano preparando a conquistare il diritto di mandare la polizia a bastonare, fra vent'anni, i nipoti. È già successo altre volte » 41• Ma c 'è anche altro. Rispetto al primo testo risorgimentale, il libro del 1 9 6 9 stabilisce con il lettore un patto e un piano comunicativo fondati su basi oggettivamente diverse. Lo scrittore non è più l'autore relativa­ mente poco noto del 1 9 6 0, ma uno scrittore che, con il successo della Vita agra (e il suo brillante corollario mediatico, dalle interviste televi­ sive al film di Lizzani del 1964 ) e con collaborazioni giornalistiche na­ zionali e prestigiose, gode di una notorietà ben definita, che esattamente lo incasella nel panorama delle patrie lettere ( e nel "sistema" ben struttu­ rato e rigido dell' industria culturale ) come autore eslege e "anarchico", imprevedibile e discolo. Un ruolo sul quale lo stesso scrittore si troverà a ironizzare in una famosa ( e citatissima ) lettera all'amico Terrosi, del 3 0 dicembre 1 9 6 2, che bene esprime la consapevolezza del carattere per­ vasivo delle dinamiche mediatiche, dove anche il dissenso e la protesta diventano merce, prodotto come un altro, con forme e target definiti: -

L'aggettivo agro sta diventando d i moda, l o usano giornalisti e architetti d i fama nazionale. Finirà che mi daranno uno stipendio mensile solo per fare la parte dell'arrabbiato italiano. Il mondo va così. Cioè male. Ma io non ci posso fare nul­ la. Quel che potevo fare l'ho fatto, e non è servito a niente. Anziché mandarmi via da Milano a calci nel culo, come meritavo, mi invitano a casa loro41•

Ma soprattutto, nel vivo degli anni in cui Bianciardi si impone all'atten­ zione nazionale, tra il primo e il secondo saggio risorgimentale, si collo­ ca quel peculiare monstrum narrativo che è La battaglia soda. Un libro

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fortemente atteso dagli ormai non pochi lettori di Bianciardi, molti dei quali saranno delusi da un testo che nulla aveva a che fare con l' imma­ gine del Bianciardi metropolitano, marginale e antisistema, milleriano, angry e beatnik, che il pubblico attendeva. Ma che il libro fosse atteso, bene ci testimonia il fatto che della sua gestazione Bianciardi parli in un articolo (Ritorno a Custoza) uscito nel capodanno 19 64, pochi mesi prima della stampa del romanzo43• Nell'articolo Bianciardi parla del romanzo che « con poca solerzia » sta scrivendo : una storia « di cento anni fa » narrata « in prima perso­ na, quasi che fossi io, insomma, a indossare la divisa » , di cui fornisce i dettagli essenziali : l'evento fondamentale narrato nel libro è la battaglia di Custoza (malamente persa nel 1 8 6 6 , durante la Terza guerra d' indi­ pendenza) vista dal punto di vista del protagonista (un ex garibaldino, maggiore dell'esercito italiano), che vi prese parte solo marginalmente, avendo avuto l'ordine di proteggere il ponte del Borghetto, sotto Va­ leggio sul Mincio, testa di ponte sul confine tra il territorio italiano e il Veneto austriaco. Ma il racconto parte, ci informa lo scrittore, dalla fine del 1 8 6 o, quando a conclusione della grande impresa dei Mille l'esercito garibaldino fu sciolto, e il protagonista del romanzo decide di arruolarsi nell'esercito italiano. « Quasi fossi io a indossare la divisa » ... Sembrerebbe un'anodina e scontata indicazione sull'utilizzo di una narrazione in prima persona se la frase non celasse un'operazione stilistica, linguistica e documentaria ben altrimenti impegnativa. Nella Battaglia soda Bianciardi ricostruisce infatti un'autobiografia come avrebbe potuto realmente farlo il suo ama­ to Bandi, mettendo a frutto le sue parole e il suo stile, e molte delle reali esperienze biografiche dello scrittore-giornalista ottocentesco. Ne deri­ va un'operazione quasi sconcertante per coerenza e sistematicità docu­ mentaria, della quale vedremo più avanti i termini e le complesse (anche sul piano teorico) implicazioni. Quello che invece preme mettere subito in rilievo è come la ricostru­ zione "storica': proposta con acribia e rigore nella Battaglia soda, diventi a sua volta "documento", tanto che - scrivendo, cinque anni dopo, Da­ ghe/a avanti un passo! - Bianciardi utilizza alcuni passaggi della Batta­ glia soda come una testimonianza diretta di eventi e situazioni dotati di forte valenza ideologica o simbolica. In altri termini, all' interno di un libro di storia, divulgativo ma rigoroso nella documentazione, Bianciar­ di cita come fonte testimoniale un libro di pura invenzione come La

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Capita allora che nel capitolo che conclude il racconto della spedizio­ ne dei Mille ( Tramonto del garibaldino), mentre una luce malinconica brilla sulle ultime battute della grande impresa, Bianciardi evochi l'ama­ ro ultimo saluto di Garibaldi ai suoi uomini, citando le parole di « uno scrittore dei nostri giorni » , che si è messo « nei panni di un ufficiale dei Mille » 44• Entra così nel libro l' intera pagina iniziale della Battaglia soda, senza che però di essa si dica la fonte. L'allusività diventa quindi una sorta di doppio plagio, in cui si cita come fonte un testo contemporaneo che è però, a sua volta, un plagio dei Mille di Bandi, che fornisce le tessere di un mosaico fatto di precise citazioni e di materiale linguistico di riuso. Fino alla parte finale della pagina, che è un preciso espianto dai Mille: quando comparve Garibaldi in fondo allo stradone di Caserta. Comandai su­ bito che tutti pigliassero le armi per salutare, e quando egli fu dinanzi al batta­ glione schierato, fermò la cavalla e fe ' cenno mi avvicinassi. «Vedete » , mi disse con quella voce che innamorava, « vogliono bombardare a tutti i costi e io me ne vado perché non ho cuore di assistere a tanto barbaro spettacolo. Nessuno deve avere diritto di chiamarmi bombardatore » (La battaglia soda e Daghe/a

avanti un passo!)4s. Quando Garibaldi comparve in fondo alla strada feci pigliare le armi ai soldati per salutarlo. Garibaldi, giunto in faccia al battaglione, fermò di botto il cavallo e mi fece cenno che mi avvicinassi a lui. - Vedete - mi disse, vogliono bom­ bardare a tutti i costi, e io me ne vado, perché non ho cuore di assistere a tanto barbaro spettacolo. Nessuno deve aver diritto di chiamarmi bombardatore (G. Bandi, I Mille)46•

Ma ancora più spiazzante è il meccanismo messo in campo da Bianciardi quando, in un capitolo che ricostruisce le prime gravi tensioni politi­ che del Regno d' Italia ( cap. 14: La vergogna di Aspromonte), due pagine della Battaglia soda vengono riportate come diretta testimonianza di drammatiche ( e celebri ) sedute parlamentari dell'aprile 1 8 6 1, quando si decisero le sorti dell'esercito meridionale di Garibaldi. E questa volta il carattere finzionale della narrazione viene celato, fino a nascondere la distanza temporale tra l'evento e il suo racconto : qui, infatti, non è nep­ pure uno « scrittore dei nostri giorni» che parla, ma « uno scrittore che si trovava, per lo meno con l' immaginazione, presente alla seduta, nella tribuna riservata al pubblico» 47• Un meccanismo di progressiva cripta­ zione della falsificazione della fonte, che raggiunge il culmine nella terza e ultima ripresa di passi della Battaglia soda, che è anche la più estesa:

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tre pagine intere che riportano un dialogo in cui il consigliere militare prussiano von Bernhardi illustra a un interlocutore la strategia voluta da Bismarck nella guerra del 1 8 6 648• Il dialogo - quasi fosse il memoriale autentico di un contemporaneo - viene introdotto dalle parole : «Ecco come ce lo descrisse [compi. ogg. von Bernhardi] uno che lo vide, e ci parlò » . E poiché quell'uomo non è che il personaggio-narratore finzio­ nale della Battaglia soda, ecco che si chiude il cerchio della falsificazione storica; nel suo incrociarsi con un meccanismo autocitazionistico che getta nondimeno una luce inquietante sui meccanismi di identificazio­ ne, nella Battaglia soda, tra autore e personaggio. Potremmo ridurre tutto questo a un gioco balzano, al puro divertis­ sement di uno scrittore beffardo e irridente, che gioca con i dati della storia per il puro gusto goliardico dello scherzo. Oppure ci troviamo di fronte a uno scrittore che sta scoprendo la velenosa inafferrabilità delle parole ; il lento scivolare delle cose e delle memorie oltre una soglia di silenzio e di buio, in cui ogni verità diventa intercambiabile, e la storia, come pura narrabilità, si gioca tutta sui fattori (strettamente letterari) della verosimiglianza. L' identità fittizia assunta nella Battaglia soda ha fatto del narratore­ protagonista una "fonte" di storia del Risorgimento, in un atto parados­ sale e definitivo che conferma l' inconsistenza dell' io, aggregato di paro­ le che si disfano e si ricompongono a formare un insieme sempre mobile. Tutto può essere ridotto a un gioco, forse. Ma è un gioco terribilmente doloroso, in cui si annida il fallimento di ogni ipotesi possibile di senso. E che conduce al silenzio. Prima del "suicidio" dell'uomo (il lento ina­ bissarsi in un pantano di dolore e di alcool) c 'è infatti il suicidio della sua parola che, a dispetto dell'ordine sintattico e del dominio irrinunciabile di una razionalità ordinatrice della materia verbale, di quella materia af­ ferma l' irrealtà. È qualcosa che annuncia il definitivo congedo dalla scrittura roman­ zesca : la scommessa per tanti versi misteriosa e inafferrabile costituita da

Aprire ilfuoco. La battaglia soda

Pubblicato nel 1 9 64, il romanzo spiazzò i lettori e fu ben lontano dal ripetere il successo della Vita agra. Con La battaglia soda Bianciardi non scriveva semplicemente un romanzo di gusto ottocentesco, ma compiva

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una vera e propria operazione di travestimento, scrivendo in una lingua artificialmente ottocentesca l'autobiografia di un ex garibaldino, che non viene mai citato per nome, ma che a tutti gli effetti coincide con l'amato Giuseppe Bandi: scrive, insomma, un libro come Bandi avreb­ be potuto scriverlo se avesse voluto proseguire la narrazione dei Mille. Il libro compie infatti un sistematico saccheggio non solo di situazioni e di particolari, ma anche dell' idioletto del memorialista garibaldino. Un debito dichiarato fin dalle prime battute del romanzo : « L'ultima volta che vidi il gran vecchio [scil Garibaldi] , fu il I 0 di novembre del sessanta » . L'epiteto, che mescola venerazione e familiarità nei confronti dell'eroe, è prettamente bandiano. Il romanzo narra avvenimenti compresi tra la fine della campagna garibaldina e la sconfitta di Custoza nella Terza guerra d' indipendenza ( 1 8 6 6 ) , alla quale il narratore prende parte come maggiore dell'eserci­ to italiano. Non solo Custoza è il principale avvenimento del romanzo, ma costituisce un evento carico di significati simbolici: segna infatti il naufragio del grande sogno risorgimentale, persosi in una povera realtà quotidiana, dominata dal pressapochismo e dall' incompetenza di una classe dirigente inferiore ai suoi compiti. Dedicato « Alla memoria di Giuseppe Bandi » , il libro - diviso in tredici capitoli - si apre con la fine dell' impresa dei Mille e con l'asse­ dio di Capua, bombardata dalle truppe dell'esercito regolare italiano (1° novembre 1 8 6 o ). Il protagonista, che narra in prima persona, è un ufficiale garibaldino. A ridosso del Natale torna a Siena (cap. 2 ), dove vive la famiglia e dove trova i vecchi amici di università. Accolto con il grado di maggiore nell'esercito regolare italiano, viene assegnato a To ­ rino con mansioni burocratiche (cap. 3 ) . Un banale diverbio con due ufficiali che avevano parlato male di Garibaldi degenera : il narratore è così trasferito per punizione a Biella. Qui (cap. 4) viene raggiunto per lettera da Mazzini (il protagonista aveva a lungo militato nelle file della Giovine Italia), che cerca di convincerlo a farsi promotore di un' insur­ rezione per la conquista del Veneto e di Roma. Intanto ha occasione di assistere a Torino alle drammatiche sedute del Parlamento del 18, 1 9 e 20 aprile 1 8 6 1 i n cui - presente un Garibaldi vestito con i l poncho e infuriato nei confronti di Cavour - si discute del destino dei reduci garibaldini. Trasferito a Firenze, trascorre mesi sereni (ca pp. s-6), vi­ vendo con la sorella, Sestilia, e ritrovando vecchi compagni di partito (come i mazziniani Dolfi e Giannelli) . Trasferito a Napoli (cap. 7 ), non viene tuttavia mandato in prima linea (nel Meridione infuria la guerra

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contro i briganti); qui, a casa di amici, conosce una giovane americana (Virginia), che ha lasciato il Sud degli Stati Uniti, dove dilaga la guerra civile. Durante una gita a Ischia (cap. 8 ) se ne innamora, senza tuttavia dichiararsi; ma pochi giorni dopo viene trasferito a Pavia. Ritrova Vir­ ginia due anni dopo, a Firenze, durante una licenza (cap. 9 ) : comincia a frequentarla assiduamente (la ragazza diventerà poi sua moglie) pro­ vocando la gelosia indispettita di Sestilia. Nel gran parlare che ovunque si fa della prossima guerra contro l 'Austria per la conquista del Veneto, incontra al circolo ufficiali von Bernhardi, inviato da Bismarck in Ita­ lia per convincere lo Stato maggiore italiano a definire una strategia di guerra comune con la Prussia. L' incontro consente di illustrare un idea­ le piano di guerra che verrà puntualmente disatteso dai generali italiani. Scoppiata la guerra (giugno I 8 6 6 ) , il narratore, con il battaglione di cui è al comando, passa il Mincio (che segnava il confine tra Italia e Impero) e si attesta a Valeggio (cap. I O ) . Ricevuto l'ordine di controllare il ponte di Valeggio per lasciare sgombero il passaggio nel caso di una ritirata, egli di fatto non partecipa alla battaglia di Custoza ( 24 giugno), ma la può vedere da un punto di osservazione privilegiato, il castello di Valeg­ gio, dal quale si domina il vasto campo delle operazioni. Qui assiste a quanto fanno e si dicono il re in persona e il comandante supremo delle forze italiane, il generale Lamarmora, che rivela tutta la sua insipienza e incapacità (cap. I I ) . A Valeggio arrivano, una dopo l'altra, le colonne sconfitte dell'esercito italiano in ritirata per ripassare il Mincio e rien­ trare in territorio italiano. A questo punto il narratore decide di andare con il suo battaglione verso Verona, sguarnita di soldati, e farla insorge­ re. Ma a pochi chilometri da Valeggio, e dopo una piccola scaramuccia con alcuni cavalleggeri austriaci, viene raggiunto dall'ordine di rientra­ re. A Valeggio trova Nino Bixio - il vecchio compagno d'armi - che lo canzona : «Dove volevi andare ? [ ... ] Dammi retta, smetti la sciabola e prendi in mano la penna, che è quello il mestier tuo » (cap. I2). Sempre più insoddisfatto e critico nei confronti dell'esercito italiano e della po­ litica del Regno (la sconfitta garibaldina di Mentana, nel I 8 67, è un'altra fonte di delusione), il narratore viene congedato dall'esercito e - di fat­ to seguendo il consiglio di Bixio - si dedica al giornalismo. Che il romanzo sia, a tutti gli effetti, una prosecuzione dei Mille di Bandi, bene si ricava dal primo capitolo, che "riracconta", con pochi mu­ tamenti, le ultime battute del racconto bandiano. La narrazione - come si è detto - si apre il giorno d' inizio dell'assedio di Capua, dove erano asserragliate le truppe borboniche sconfitte un mese prima nella batta-

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glia del Volturno. Il racconto del bombardamento di Capua è di fatto un collage di passi tratti da Bandi (parte III, cap. 15 ) , dove il memorialista garibaldino compare come testimone ben individuato di fatti presentati adottando il suo esatto punto di vista narrativo49• Che insomma il narra­ tore della Battaglia soda sia, a tutti gli effetti, lo stesso Bandi è suggerito da Bianciardi da una serie di espliciti meccanismi di identificazione. An­ cora nella prima pagina del romanzo, si legge : A quei tempi, come gia ho spiegato, io comandavo un battaglione della brigata Basilicata, generai Clemente Corte, primo reggimento. Le disposizioni erano che tutto il mio riparto avrebbe trascorso la notte accosto al cimitero di Santa Maria 5°.

Il richiamo rimanda a un passo dei Mille di Bandi, ripreso quasi alla let­ tera : « Comandavo allora un battaglione del reggimento di Graziotti, che fu il primo della brigata Basilicata, e dovevo passare la notte presso il cimitero di Santa Maria » 51• Poche pagine avanti, il narratore della Batta­ glia soda fa esplicito riferimento a un episodio avvenuto durante la batta­ glia di Milazzo e narrato da Bandi, anche in questo caso rinviando il let­ tore al "proprio" precedente racconto ( « non fu proprio grande perizia tirarmi addosso - il/ettore lo rammentera - un' intera colonna borbonica che stava per girarci sul fianco sinistro » )52• Tali rimandi a precedenti informazioni forni te dal narratore ( « come ho già spiegato » , « il lettore lo rammenterà » ) - siamo nelle prime righe del libro - non possono che essere di natura intertestuale e imporre dunque al lettore, con l'evidenza incontrovertibile del dato oggettivo, un' immediata identificazione : nel­ la Battaglia soda sta parlando Giuseppe Bandi, il narratore e esattamente il garibaldino, giornalista e memorialista nato a Gavorrano nel 1 8 3 4 e morto a Livorno nel 1 8 94· L' identificazione del narratore con Bandi tocca anche altri aspetti esterni della biografia dello scrittore di Gavorrano. Il padre del narra­ tore si chiama Agostino (come il padre di Giuseppe Bandi); il narratore stesso, al pari di Bandi, risulta essersi laureato a Siena. Entrato nell'eser­ cito italiano come maggiore (dopo l'avventura garibaldina), il narratore subisce un trasferimento punitivo da Torino a Biella (ciò che effettiva­ mente capitò a Bandi). Anche il narratore anonimo della Battaglia fu sottoposto a un consiglio di disciplina e revocato dal servizio, come a Bandi successe nel 1 8 6 8. Sia il narratore anonimo sia Bandi partecipano alla disfatta di Custoza ( 1 8 6 6 ) , che a Bandi ispirò un libro vivacemen-

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te polemico come Da Custoza in Croazia. Memorie d 'un prigioniero53, stampato a ridosso dell' infausto evento. All' identificazione con Bandi porta anche il gusto per l'allusività erudita che fa capolino nelle pagine finali del romanzo, dalle quali si apprende che il libro è stato scritto dieci anni dopo Custoza ( dunque nel 1876 ) , all'età di quarantadue anni: il che conduce a quel 1 8 3 4 che è la data di nascita di Bandi. Un gusto che bene si esprime dove il narratore parla della sua nuova professione di giornalista che scrive per diversi giornali, e del proposito anzi di « farne io uno nuovo, che sortisse la sera anziché la mattina, e portasse le novi­ tà svelto come il telegrafo, strumento e simbolo dei nuovi giorni » , che allude al fatto che Bandi - avviatosi alla professione giornalistica dopo il congedo dall'esercito - nel I 8 77 ( cioè l'anno successivo all' immagina­ ria stesura della Battaglia soda) fondò "Il Telegrafo", edizione meridiana della "Gazzetta di Livorno", che dirigeva dal 1 8 72. L'attenzione per l'esattezza storica, per il particolare preciso e docu­ mentato, è riscontrabile in ogni pagina del libro, che è sorretto da un ri­ goroso lavoro di documentazione54• La soluzione narrativa che consiglia a Bianciardi di non far partecipare il suo protagonista alla battaglia, ma di fargliela vedere dall'alto del castello visconteo di Valeggio sul Mincio, gli consente di offrirne una ricostruzione topografica eccellente, in cui il gusto per l'esattezza storica si sposa con la vocazione per la chiarezza divulgativa di molto Bianciardi "risorgimentale". Non è casuale che il libro rechi, a conclusione, l' indicazione «Valeggio sul Mincio, giugno 1 9 6 4 » : come a ricordare la concretezza documentaria del sopralluo­ go e lo studio accurato delle carte topografiche che accompagnarono la stesura del romanzo. Tra le sue fonti figura anche il sopra ricordato romanzo di Giuseppe Bandi (Da Custoza in Croazia. Memorie di un prigioniero), testo invero assai poco noto, dal quale Bianciardi ( oltre ad alcuni episodi marginali ) potrebbe aver ricavato l' idea originaria del ro­ manzo : lo spirito complessivo di denuncia di una classe dirigente inetta che già nel libro di Bandi trovava acce n ti assai efficaci ( lamentando, ad esempio, che « il paese intero paghi a caro prezzo di sangue, di danaro e d'onore le castronerie di pochi messi su in alto dalla cecità di chi co­ manda, o dalle male arti delle combriccole » 55 ) . Meno ovvi, e perciò più significativi, sono poi alcuni richiami a personaggi minori dell'universo politico coevo. È il caso della figura, per tanti versi dimenticata, del for­ naio Giuseppe "Beppe" Dolfi - la cui bottega il protagonista frequenta nei mesi in cui è di stanza a Firenze - che era stato un punto di riferimen­ to importante per il mazzinianesimo fiorentino ( aveva per altro fondato

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la Fratellanza artigiana ) 56• Nella bottega di Dolfi il protagonista incontra un acceso estremista, Giannelli, che è appunto quell'Andrea Giannelli che fu il principale esponente fiorentino del mazzinianesimo radicale, un fervente repubblicano che sempre sostenne la necessità di rovesciare con un moto rivoluzionario la monarchia. E anche laddove vengono introdotti elementi di pura invenzione ( e talora anche scherzosamente allusivi a personaggi o a situazioni del pre­ sente ) Bianciardi li inserisce su un attento sfondo documentario, in un gioco perfettamente calibrato tra invenzione ed esattezza storica. L'esem­ pio più eclatante di mescolanza di storia e invenzione riguarda gli incon­ tri del protagonista con Mazzini, a Napoli. Bandi, che fu in gioventù un convinto mazziniano, racconta nei Mille che a Napoli, nel settembre del 1 8 6 o, fece da intermediario tra il vecchio agitatore e Garibaldi ( tra i due non correva buon sangue, almeno dagli anni della Repubblica Romana ) , e che incontrò Mazzini in quattro occasioni. L'ultima volta nella casa della vedova di Carlo Pisacane, dove Mazzini si era trasferito per ragioni di sicurezza ( contro di lui era montata la protesta popolare di quanti vo­ levano l' immediata annessione del Regno al Piemonte ) . Su questo sfon­ do di episodi e fatti storicamente documentati, Bianciardi inserisce una curiosa scena di invenzione, in cui compare un personaggio che allude ( ma il richiamo è difficilmente decifrabile dal lettore ) a Emilio Tadini, l'artista e scrittore milanese che fu amico di Bianciardi. Il narratore - che rammenta al lettore l'episodio del primo incontro con Mazzini narrato nei Mille ( « Il lettore ricorderà come Mazzin i, conoscendomi di persona, a Napoli [ ... ] mi raccomandasse » ) - decide ora di raccontare un « se­ condo colloquio, del quale non volli finora far parola a nessuno» 57• Sul particolare "reale" della casa della vedova Pisacane, Bianciardi costruisce l'episodio grottesco del « giovane alto e biondo, di bell'aspetto e di modi assai cortesi, che parlava con accento lombardo » , affetto tuttavia da una penosa infermità: seguace di Pisacane e sopravvissuto miracolosamente alla strage di Sapri, basta che oda il nome dello sfortunato patriota perché cominci a rievocarne l'episodio urlando il suo ricorrente delirio : Appena ebbe sentito il nome del Pisacane il giovane lombardo, che sin allora era restato in silenzio, si levò in piedi, strabuzzò gli occhi, e a gran voce attaccò a dire : « E ora in mezzo al suono limpido e furioso delle campane, sentirà le voci le urla mescolate e li vedrà salire vicinissimi vibrando contro di lui le punte dei forconi e continuando a guardarli infilerà la mano sotto la giacca all'altezza del­ la cintura mentre i ragazzi si fermeranno ... » .

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« Emilio ! » interruppe secco Mazzini. « Emilio ! » ripeté a voce più forte. Il giovane lombardo finalmente tacque, e restò lì con il braccio levato a mezz'aria, gli occhi stralunati, la bocca tremante58•

Il richiamo a Emilio Tadini vale anche come l'attestazione di una co­ mune militanza letterario-risorgimentale. L'anno prima della pubblica­ zione della Battaglia soda Tadini aveva infatti pubblicato un romanzo storico sulla spedizione di Pisacane (Le armi, l'a more) 59• Il richiamo criptato e difficilmente decifrabile a Tadini non intacca ( diversamente da quanto avverrà nell'ultimo romanzo, Aprire ilfuoco) la verità apparente della ricostruzione storica. Lo stesso accade con una serie di personaggi che a vario titolo entrano nell'universo umano ( e nar­ rativo ) di Bianciardi: amici e conoscenti che figurano come personaggi marginali, senza che la consapevolezza della loro identità reale spezzi la "finzione" ottocentesca e documentaria del romanzo o interrompa la sospensione dell' incredulità del lettore. Viene così ricordato una volta Carlo Ripa di Meana ( il « nobile amico» dedicatario della Vita agra) ; il cremonese Dossena, un capitano amante della letteratura, che è Giam­ paolo Dossena, italianista ed esperto di giochi; viene ricordato un fio­ rentino Bertini, evidentemente lo scrittore Valeria Bertini, l'autore del romanzo di fabbrica Il bardotto, che nel 1 9 57 Bianciardi aveva accolto nella "collana grigia" della Feltrinelli. Nei panni di un furiere compare un Cecchino Nebbia, cioè Franco Nebbia, musicista, giornalista, attore e importante figura di riferimento del cabaret milanese. Una cantante che il protagonista ama andare a sentire al teatro fiorentino della Pergo­ la in La sonnambula di Bellini è la Pistilli Zoboli, un doppio cognome dietro cui si concentrano le identità dell'attore Luigi Pistilli e della sua compagna, la cantante e cabarettista Liliana Zoboli, amici dello scrit­ tore. Non alla biografia di Bianciardi, ma al suo universo narrativo rin­ via poi il nome di uno dei due ufficiali piemontesi antigaribaldini che il protagonista della Battaglia schiaffeggia ( pagando l ' in temperanza con il trasferimento punitivo a Biella ) : è Bauducco, che nell'Integrazione è il nome fittizio attribuito all'amministratore della « grossa iniziativa » ( nella realtà Adolfo Occhetto ) . Ma è essenzialmente sul piano linguistico e nella ricostruzione siste­ matica e coerente di un universo mentale compiutamente ottocentesco che si misura il rigore dell'operazione bianciardiana. Ci troviamo infatti di fronte a un recupero integrale del toscano di Bandi, gergale e denso di

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movenze espressive e del parlato. Un vero e proprio saccheggio di parole, locuzioni e modi di dire che potrebbe essere documentato ad libitum. Troviamo forme corrive della morfologia ottocentesca, che riprodu­ cono un generico sapore antico : ad esempio, un frequente ricorso alle forme tronche (tenner, cuor, squillar) ; piccole variazioni desinenziali ca­ ratteristiche del toscano (potea, saria, die) o di sapore vetusto (riescivo, colezione) ; forme arcaiche e desuete ( butirro, pelottone per "plotone" ) . Anche se compaiono talora termini stilisticamente connotati, ma non derivati dalle pagine di Bandi (è il caso del lombardo baggiani - chiosato da Manzo n i nel diciassettesimo capitolo dei Promessi sposi, come il poco lusinghiero epiteto dato dai bergamaschi ai milanesi ) , in genere il ma­ teriale linguistico, soprattutto quello più marcatamente espressivo, è di diretta derivazione bandiana. Un espianto che riguarda singole parole, ma anche intere locuzioni e modi espressivi. Tralasciamo gli esempi minuti, che nondimeno costruiscono l'or­ dinaria connotazione stilistica della pagina bianciardiana, quei tanti termini che ricorrono nel romanzo e che hanno un preciso corrispet­ tivo bandiano : come mattana, scalmane, briccica ( cosa di poco conto, cianfrusaglia ) ; moccoli ( bestemmie e improperi ) ecc. Basti un'esempli­ ficazione limitata a termini particolarmente espressivi, a vere e proprie locuzioni o espressioni proverbiali60: - Vagellavo su pei peri ( deliravo per la febbre ) , Battaglia, p. 745/Bandi, p. I 9 I ; - scannapagnotte, Battaglia, ibid. /Bandi, p . 3 6 s , che è uno dei numerosi termini bandiani che appartengono alla tradizione letteraria dei comici, talora sconfinando in un certo toscanismo di maniera ; il termine è già in Aretino e in Cellini ( dal quale forse deriva la sua fortuna ottocentesca; è presente tra l'altro in I miei ricordi di Massimo d'Azeglio ) ; - impresciuttito, Battaglia, p. 76 6/Bandi, p. 8 o ; il termine è usato in senso comico-derisorio già da Pananti; - [ farsi ] stringere i panni addosso ( essere indotto ad agire contro il pro­ prio volere ) , Battaglia, pp. 7 8 I e 8 I 6/Bandi, p. 52; - menare col capo nel sacco, Battaglia, p. 8 I 6 /Bandi, p. I 8 ; in ambedue i casi ci si riferisce a Garibaldi, che alcuni vorrebbero condurre secondo i propri piani ( appunto, tenendogli "il capo nel sacco" ) ; - Trattare come i cani per le chiese, Battaglia, p. 742/Bandi, p. 40 3 ; - schioppettare, Battaglia, p. 74I/almeno tre occorrenze in Bandi. La vivacità dello stile di Bandi è affidata al ricorso sistematico all'e­ spressività delle forme figurate : chiudi il becco, menar le mani, dire pippo

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sopra la candela (spegnere l a candela per dormire), mutar buccia (cam­ biare ahi t o), capito afrullo (mi trovo casualmente), raccattar broccoli (fare la spia), uomo di ciccia (uomo di mondo); e alla corposità dei proverbi: levarsi la sete colprosciutto (adottare un rimedio inefficace), parlare tutti in una volta alla maniera dei lucchesi. Se La battaglia soda è un libro di memorie, si tratta nondimeno di memorie plagiarie : il resoconto fittizio di una vita che il memorialista avrebbe potuto verosimilmente vivere, ma che è di fatto opera della li­ bera invenzione bianciardiana. Realtà e invenzione si mescolano, ma i fattori che entrano in gioco sono in effetti tre, non due. La realtà storica (cioè gli elementi riconducibili a uno statuto esterno di verità, indipen­ denti dall' invenzione del narratore) è infatti costituita sia dai dati sto­ rici veri e propri che fanno da sfondo al racconto (eventi e cronologie della storia nazionale e della vita individuale di Giuseppe Bandi), sia da eventi che appartengono al mondo narrato bandiano : e sono quei fatti, persone e luoghi contenuti nei Mille, la cui esistenza è "reale", anche se è quella realtà peculiare che appartiene al mondo fittizio (pur se dota­ to di gradi diversi di finzionalità) della scrittura letteraria; il medesimo statuto di realtà, per intenderei, di una Madame Bovary, che se entrasse come personaggio in un romanzo contemporaneo sarebbe necessaria­ mente amante di Rodolphe (e non di Julien Sorel o di Frédéric Moreau). Su questi dati di "realtà" si innestano gli elementi dell' invenzione, come si conviene a ogni « componimento misto di storia e di invenzione » (secondo la definizione di chi di romanzi storici si intendeva). Se ci tro­ viamo dunque dinanzi a un romanzo storico, è però un romanzo storico sui generis, che rinuncia a quella contrapposizione strutturale tra il pas­ sato della storia e il presente del narratore che produce la "dialogicità" (e l'anacronismo "controllato") caratteristico del genere : che racconta una vicenda ambientata nel passato guardandola però con lo spirito critico e la consapevolezza che appartiene al presente. Il dialogo con le fonti e i documenti dell'epoca - caratteristico del romanzo storico e della di­ mensione anche saggistica che ne caratterizza la forma classica (a partire dal capostipite scottiano) - nella Battaglia soda viene completamente eluso. È come se Manzo n i (che quel dialogo teatralizza con straordinaria efficacia nell' invenzione dell'Anonimo secentesco), invece di riscrivere la bella storia contenuta del manoscritto ritrovato, ne avesse proseguito la trascrizione : avesse cioè continuato per tutto il romanzo l'abilissimo travestimento secentesco con cui (in una vera e propria gara stilistica con i modelli barocchi) il libro si apre ( « L Historia sipuo veramente dejfinire '

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una guerra illustre contro il Tempo ecc. » ) . Per trovare nella letteratura

italiana un romanzo storico che sul piano strutturale ( e solo su questo ) assomigli alla Battaglia soda dobbiamo rivolgerei a Il nome della rosa di Umberto Eco, cioè a un romanzo giustamente considerato il capostipite in Italia della narrativa postmoderna. Come nella Battaglia, il narratore è un memorialista che racconta la propria diretta esperienza di quei fatti, che osserva usando categorie culturali e una sensibilità percettiva quale poteva presumibilmente avere un uomo del tempo61• Nella Battaglia soda Bianciardi compie un'operazione analoga. Ma su di essa si innesta un fattore fondamentale : se i dati storici non sono solo quelli "evenemenziali" della storia pubblica o della biografia di Bandi - ma sono anche I Mille di Bandi, quel libro nella sua materialità di cose e parole, fissata una volta per tutte e diventata - come si convie­ ne alla sua peculiare verità letteraria - dato "storico", allora la coeren­ za della ricostruzione tentata da Bianciardi non può che risolversi nel "travestimento", nell'adozione sistematica delle peculiarità formali ( sti­ listiche e linguistiche ) e mentali della fonte. In altri termini, Bianciar­ di segue una via opposta a quella di Manzoni alle prese con il vecchio manoscritto dilavato, e mentre lo scrittore milanese rinuncia dopo due pagine a "ricreare" un testo secentesco, Bianciardi ricrea integralmente un testo ottocentesco. Così, lo scrittore che aveva sperimentato fino ad allora una narrazio­ ne aperta alla molteplicità delle forme e dei generi, e che nella Vita agra si era avventurato nella sperimentazione di una scrittura pluristilistica, qui rinuncia persino all'elementare dimensione "dialogica" del romanzo storico, optando per una rigorosa operazione non solo monolinguisti­ ca, ma anche pervicacemente chiusa in un orizzonte mentale concluso : quello di un uomo del XIX secolo che ha alle spalle il vissuto specifico di Giuseppe Bandi, di Gavorrano. In una rigorosa ricostruzione mimetica, il toscano vivace e corposo di Bandi è riprodotto con una sistematicità senza sbavature e incoeren­ ze : un 'operazione erudita di gusto quasi alessandrino, che compren­ sibilmente ha generato nei lettori e nella critica qualche perplessità, il dubbio cioè di trovarsi di fronte a una creatività stanca, a un lavoro che sia essenzialmente il prodotto di consumata perizia di un grande tecnico della scrittura momentaneamente a corto di idee. In realtà, il travestimento letterario tocca le radici di un 'esperienza di scrittura pro­ fondamente attraversata dalla pratica quotidiana della traduzione, con­ trassegnando di fatto, nella sua forma più pura e assoluta, quella ricerca

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di ritmo e stile altrui che caratterizza il lavoro del traduttore. A questo di riferisce Bianciardi quando riconosce il suo grande debito a Henry Miller (tradotto proprio nei mesi che precedono la stesura della Vita agra): i Tropici non fornirono semplicemente un modello, ma un'espe­ rienza che fu innanzi tutto una complessa avventura conoscitiva, sot­ toposta alle intricate sollecitazioni di senso che caratterizzano l' espe­ rienza della traduzione (un processo di transcodificazione che è sempre bidirezionale, contrassegnato da una serie di progressivi aggiustamenti che non solo intervengono sul testo di arrivo, ma progressivamente mo­ dificano la lettura che il traduttore fa del testo di partenza, cogliendovi sfumature e polisemie che la resa nel codice di arrivo ha messo in rilie­ vo). Parimenti, alla peculiare esperienza di "traduzione" intralinguistica compiuta con La battaglia soda va riconosciuto un carattere compiu­ tamente sperimentale : dove l'adozione di uno stile precipuo (con le variazioni diacroniche del toscano ottocen teseo e quelle dell' idioletto bandiano) comporta una sollecitazione di senso e uno sguardo sul mon­ do modificato da un'ottica straniante. Su questa lunghezza d'onda va compresa l'operazione di recupero di Bandi: non solo della sua lingua e del suo stile, ma della sua stessa iden­ tità ed esperienza storica. Lo scrittore esercita così una sorta di autoan­ nullamento che appare la risposta estrema a quei complessi meccanismi di identificazione e di presa di distanza tra autore e proiezione autobio­ grafica che caratterizzano l' intero percorso narrativo bianciardiano (a partire dal protagonista sdoppiato del Lavoro culturale e dell' Integrazio­ ne, e che approderà nell' identità esplosa e nebulizzata del protagonista dell'ultimo romanzo, Aprire ilfuoco). Il meccanismo di identificazione del narratore della Battaglia soda con il memorialista garibaldino otto­ centeseo diviene nel romanzo un processo totalizzante, senza margini, con gli effetti di spiazzamento che ne derivano e che richiamano per cer­ ti versi l'artificio della regressione di Verga, dove l'adozione di parametri culturali "altri", nel momento in cui dà luogo a un'ottica straniata sul mondo, produce effetti euristici imprevisti. Basterebbe ricordare il capi­ tolo del matrimonio del protagonista con la bella americana, che genera l' inconfessata ma evidente gelosia della sorella. La lezione psicoanali­ tica avrebbe fornito all'ultimo scrittorello gli strumenti di analisi che sono qui ostentatamente ignorati: il narratore si limita invece a meditare sull' insondabilità dell'animo umano, affacciandosi soltanto sulla soglia di un sentimento la cui ambivalenza rimane - per lui, "uomo dell'Otto­ cento" - un nodo irrisolto e misterioso.

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Analogamente, Bianciardi costruisce una "macchina" narrativa che, dietro la ricerca del "documento" e la sua apparente oggettività, fa in­ vece deflagrare la potenza straniante della parola, che impone un'ottica "deformante" attraverso il sistematico tradimento delle attese, non solo lessicali e sintattiche ma anche concettuali, del lettore. E abbiamo ricor­ dato la lezione verghiana perché è allo scrittore siciliano che Bianciar­ di esplicitamente rinvia, quando in un già ricordato articolo del 1 9 7 1 ( l'anno della morte ) indica tra i suoi maestri, accanto a i nomi d i Gadda e Henry Miller ( che non stupiscono il lettore di Bianciardi ) , quello di «Verga, catanese » , le cui tracce « seguo invano da quando avevo diciot­ to anni» 6 2 • Una parte di quelle tracce è rinvenibile in questo romanzo-esperi­ mento, così imprevedibile e spiazzante. Un testo che mette in campo un meccanismo complesso, nel quale le istanze stilistiche, nella loro tor­ sione, sono un mezzo per cogliere i segni !abili di un senso possibile da assegnare alla storia. E affermano così un legame, rigoroso e necessario, tra ricerca dello stile e istanze etiche.

8 Fra televisione e costume : il pubblicista ne gli anni Sessanta

Le parole della tribù : Pescaparole e ''Avanti ! "

Sono numerosissimi e continui ( come abbiamo già potuto constatare ) i travasi e le intersezioni tra i romanzi e gli articoli, più di un migliaio, che Bianciardi scrisse per le più varie testate ( quotidiani, settimanali e men­ sili ) tra il 1952 e il 1 9 7 1 : un ventennio, dunque, che copre interamente la cronologia della scrittura bianciardiana1• In questo capitolo si renderà conto soprattutto della scrittura pubblici­ stica degli anni Sessanta, quando le collaborazioni giornalistiche di Bian­ ciardi - che si erano quasi interrotte tra la fine del 1956 e la primavera del 1959 ( anni impegnati da una febbrile attività di traduttore e dalla stesura dei primi due romanzi ) 2 - riprendono con regolarità e frequenza. Dopo il grande successo della Vita agra, nel 1962, e la notorietà che ne derivò per l'autore, Bianciardi cominciò a essere corteggiato da testate prestigiose, come il "Corriere della Sera" e "Il Giorno". Rifiuterà le pur vantaggiose condizioni proposte da Indro Montanelli, allora direttore del "Corriere", per cominciare una collaborazione con "Il Giorno". Tra il 1962 e il 1971 Bianciardi firma diverse centinaia di articoli, trattando gli argomenti più vari e offrendo nel complesso un quadro assai variegato dell'evoluzione del costume italiano in quel decennio cruciale. Sono anche gli anni in cui la sua attività pubblicistica tende a indirizzarsi verso due settori po­ polarissimi come il calcio e la televisione: titolare di rubriche di critica televisiva per diversi giornali e collaboratore, negli ultimi anni di vita, del "Guerin Sportivo". Lo spirito antintellettualistico ( non estraneo in realtà a pose snobistiche ) che aveva caratterizzato fin dagli esordi la scrittura bianciardiana trovava nel calcio e nella televisione il proprio terreno più naturale e fertile. Ma calcio e televisione - miti pervasivi e onnipresenti nella cultura popolare - costituirono anche l'occasione ideale per parlare di altro o - per meglio dire - per parlare di tutto : di una società italiana

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che evolveva in maniera convulsa, sostituendo frettolosamente alle tradi­ zioni antiche una sete spasmodica e nevrotica di nuove mode, miti, con­ sumi e - immancabilmente - di nuove parole-idolo. Dopo un' interruzione di sei anni Bianciardi riprende a collaborare con la testata ufficiale del Partito socialista, ''Avanti !": tra l'aprile del I959 e il febbraio del I96o scrive una trentina di articoli tra i più interessanti della sua carriera pubblicistica. Ritroviamo i temi caratteristici dei due ro­ manzi milanesi (L'integrazione, scritto in quegli stessi mesi, e la prossima Vita agra), talora virati verso una facile satira di costume che tocca le nuo­ ve forme del consumismo urbano, dalla « febris emitoria » che colpisce il milanese nel fine settimana (L 'epidemia del sabato, 2 6 aprile I959) alla Febbre dellefeste ( 8 gennaio I 9 6 o), sui consumi natalizi; o che, attraverso la forma di un'accurata analisi fenomenologica e classificatoria, ironizza sull'aggressività automobilistica degli italiani (Amici con macchina, I4 luglio I959) o delle insorgenti e tipicamente urbane manie salutiste (l ter­ mali, 2I luglio I959 ) . Ma gli articoli più interessanti sono quelli dedicati al manifestarsi di una lingua nel contempo tecnocratica e idolatrica, in cui trovano facile espressione i nuovi miti del "progresso': spesso utili a nascondere le condizioni di reale arretratezza in cui versa ancora buo­ na parte del paese (L 'alibi del «progresso» , II novembre I959 ) . La voca­ zione satirico-parodica di Bianciardi trova in questi momenti le pagine migliori\ come in un reportage sull' inaugurazione della Fiera di Milano (Scrittore in Fiera, I9 aprile I959 ) , che mentre ironizza sul "politichese" delle autorità inauguranti e celebranti, in un tripudio di tricola omote­ leuti e cacofonici ( « la laboriosa gente, tesa intesa e protesa nell'attività, nella fattività e nella produttività » ) 4, individua nel discorso del ministro lo stile di « un libro aziendale, recentissimo e tradotto dall'americano » , probabilmente un'allusione al già ricordato saggio di Alfred Tack, Mille modi per aumentare le vendite, che proprio in quei mesi Bianciardi aveva tradotto per la Franco Angeli. L'articolo anticipa, dunque, quella parodia del linguaggio tecnico-economico-burocratico che costiruisce uno dei tratti più significativi delle pagine pasticheurs dell'Integrazione. È la con­ statazione, da parte dello scrittore, dell' imporsi in Italia di un linguaggio spesso inutilmente tecnicizzato ( quello, per usare un esempio famoso, che ha introdotto "esatto" al posto di "sì" ) , in tessuto di vuoti formalismi o di espressioni burocratiche sentite dal parlante comune come varianti nobili tanti: una lingua irrimediabilmente provinciale, infarcita delle de­ nominazioni angloamericane della nuova realtà produttiva e commercia­ le. È la gergalità ironizzata in un articolo del I9 maggio I959 (I quartari),

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dove si parla di industria! designers e public relations men che, in linea con un uso esoterico del linguaggio ( « tecnica non ignota agli stregoni delle tribù primitive » ) , « dicono "follow up" per significare "batti il ferro finché è caldo" »5• Di nuovo si rimane colpiti da una sensibilità linguistica che sembra davvero anticipare il dibattito sulla cosiddetta "nuova que­ stione della lingua': che Pasolini avvierà con un famoso articolo del 1964

(Nuove questioni linguistiche)6• Se - come bene insegna la coeva scrittura dell'Integrazione - la polemica nei confronti del capitalismo maturo e dei suoi meccanismi persuasivi passa attraverso la messa alla berlina della sua lingua e dello spirito che la anima, occorre porre in rilievo un ciclo di articoli com­ plessivamente intitolati Pescaparole, una rubrica ospitata mensilmente da "Avanti ! ", interrotta al sesto appuntamento, in cui Bianciardi analizza sarcasticamente parole e modi di dire assurti alla ribalta della cronaca e diffusi dalle pigre abitudini linguistiche dei media7• Vero e proprio « "stupidario" degli stereotipi lessicali che inflazionano l' inespressività moderna » 8, Pescaparole è organizzato per brevi lemmi ( nei sei articoli sono complessivamente quarantadue ) , di cui si trattano con ironia l'o­ rigine e la diffusione, gli usi insignificanti o erronei o spesso semanti­ camente paradossali. Al centro dei brevi interventi bianciardiani c 'è il conflitto tra la parola e la cosa: prodotto talora da un inspiegabile ro­ vesciamento di senso ( quello per cui « casino » è divenuto sinonimo di « disordine, buriana, allegria scomposta » - mentre gli ormai scompar­ si "casini" « erano luoghi tristissimi e ordinatissimi » 9 ) ; talora derivato da pura insipienza traduttoria, come nel caso della felice espressione di Churchill iron courtain - il "sipario di ferro", il sipario tagliafuoco che nei teatri divideva, in caso di incendio, la platea dal palcoscenico malamente tradotto con "cortina di ferro", perdendo il senso originario della metafora. Ma il contrasto tra le parole e le cose diventa un fattore istituzionale nel linguaggio pubblicitario, dove il capitalismo celebra i suoi riti più caratteristici e dove - scrive Bianciardi nell'ultimo articolo della serie - « la tendenza, spiccatissima, è di girare intorno alle parole, come per celarle dietro una nube di fumo verbale » 10• L'analisi di alcuni fenomeni linguistici si apre così al più ampio orizzonte delle nuove real­ tà, stigmatizzando quel gioco delle apparenze, quel sistematico inganno delle parole e dei valori promossi dal pensiero unico economico-azien­ dale, che tanta parte avranno nella narrativa bianciardiana. A prescindere dal gioco spigliato dell' ironia che anima queste note giornalistiche, nei vari passaggi che Bianciardi dedica alle caratteristi-

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che del nuovo italiano standard, come bene è stato detto, sembra sotteso « un progetto serio, anche se non espresso in maniera organica, di analisi delle risorse e delle prospettive, dell' italiano moderno » 11• Ed è ad esem­ pio ineccepibile - sul piano dell'analisi dei processi in atto nell'evolu­ zione dell' italiano parlato - quella tendenza all'abuso di termini astratti che, derivata dal codice burocratico, stava diventando un tratto caratte­ ristico del neo italiano. Così, nell'articolo del 24 giugno, illustrando il lemma Concretezza, Bianciardi ne denuncia la stucchevole e meccanica pervasività ( « L'appello alla concretezza è unanime : partiti, enti, giorna­ li, esigono ogni giorno concretezza. Un problema concreto, un discorso concreto, una proposta concreta » ) , incrociando lo poi con l'aneddotica ironica e demistificante (la storia di un traduttore « ossessionato dalla concretezza » che « voltò un inglese "concrete business", in "problema concreto". Invece voleva dire "affare del cemento" » 12), per rilevare infine (nel lemma successivo : Consumazione) la patente contraddittorietà tra le affermazioni di principio (l' ideale dichiarato di una lingua "concreta", cioè onesta e non mistificatoria) e una pratica comune che spinge la lin­ gua verso un' impacciata e generica astrattezza : C O N S UMAZI O N E : lo adoperano per significare tutto quello che si mangia e si beve, vuoi al caffè, vuoi in trattoria. Nonostante i continui appelli alla concre­ tezza, di cui si diceva poco sopra, piacciono oggi e si dicono e si scrivono, frasi così : "Prima della consumazione si prega di munirsi dello scontrino"13.

In alcuni articoli, infine, la satira del costume si incrocia con l'attenzione per la televisione, anticipando un'attività sistematica e professionale che, a partire dal 1 9 6 2 (e sulle stesse pagine di "Avanti !"), vedrà lo scrittore impegnato assiduamente come critico televisivo. Nell'articolo Gli epilet­ tici ( 1 9 agosto 1 9 5 9 ) l' ironia nei confronti dell' incomposto scalmanarsi dei "complessi" (la parola era ancora una novità) musicali, espressione dell' innaturalità dei comportamenti dell' individuo in presenza della te­ lecamera, anticipa le riflessioni sullo "specifico televisivo" che ritrovere­ mo in alcuni articoli degli anni Sessanta. Ma è anche da segnalare l'articolo Mike. Elogio della mediocrita (del 28 luglio 1 9 5 9 )1\ che propone quell' interpretazione del successo di Mike Bongiorno come tipico fenomeno della cultura televisiva di massa, che innesca sul piano della psicologia collettiva meccanismi consolatori o "di compenso": tesi che sarà al centro - almeno due anni dopo - del famoso saggio di Umberto Eco Fenomenologia di Mike Bongiorno, in-

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serita nel 1 9 6 3 nel Diario minimo. La « italianissima trivialità » di Mike Bongiorno - osserva Bianciardi - quella ingenua grettezza che lo porta a chiedere, immancabilmente, il valore economico di un'opera d'arte ( perfetta espressione di un' immediata e istintiva sensibilità "popolare" per il denaro ) ne contrassegnano il ritratto di « uomo così onestamente mediocre » che piace al pubblico proprio in quanto compendio di « cer­ ti difetti, certe tare nazionali » . Non più che una coincidenza formale è invece l'accenno al « quarto d'ora di celebrità e di fortuna » di cui Bian­ ciardi parla nell'articolo, nel quale c 'è chi ha voluto vedere un'anticipa­ zione della famosa profezia di Andy Warhol15• La felice intuizione di Bianciardi non è che il primo accenno a un Mike Bongiorno che ritornerà in numerosi articoli negli anni successivi, con toni di critica feroce. È il caso di un pezzo su "Le Ore" ( 17 ottobre 1 9 6 3 ) che prende spunto dalla tendenza del presentatore a canzonare gli ospiti, in questo caso una signorina non più giovane, poco avvenente ma rom an tic a poetessa dilettante. L'articolo di Bianciardi ha i toni di una risentita riprovazione morale : nei confronti di chi mai attaccherebbe un potente, ma è pronto a ridere alle spalle dei semplici e dei deboli, espo­ nendoli al ludibrio di una comicità becera, quella di un' Italia cultura­ mente e moralmente sottosviluppata che ancora « si diverte a sentir can­ zonare gli zoppi e i balbuzienti » 16• All' innocua consolazione di massa delle gaffes e del provincialismo culturale Bianciardi associa un ben più pericoloso potenziale di chiusura e di in tolleranza: la consolazione in­ dotta nelle masse dal sentirsi parte di un gruppo omogeneo legittimato a disprezzare chi è diverso, debole o malato, o semplicemente eccentrico. Il mito del gran rifiuto : gli articoli per "Il Giorno"

Con il successo della Vita agra Bianciardi diventa uno scrittore conteso, tanto da essere contattato ( come abbiamo già visto ) da Indro Montanel­ li, allora direttore del "Corriere della Sera", che aveva recensito molto po­ sitivamente il romanzo ( l'articolo, Un anarchico a Milano, era uscito il 2 ottobre 1 9 6 2 ) . Montanelli gli propone una collaborazione lucrosa : due articoli al mese da pubblicare in terza pagina in cambio di un fisso mensi­ le di 3 0 o. o o o lire. Il "Corriere" è il primo giornale d' Italia, ma è anche il giornale borghese per eccellenza, l'autorevole voce del potere industriale e finanziario simboleggiato nel romanzo da quel « torracchione » che l ' inquieto protagonista avrebbe voluto far esplodere. La collaborazione

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con il "Corriere" non dovette apparire una scelta del tutto opportuna per lo scrittore ormai calato nella parte dell'arrabbiato italiano, dell' ir­ ridente descrittore delle storture e degli inganni del "sistema". In questo senso il rifiuto opposto a Montanelli fu tutt'altro che un' inspiegabile bizzarria, ma piuttosto l ' indice di una smaliziata conoscenza del merca­ to editoriale e delle sue regole. E certo sarebbe fuorviante vedere in quel rifiuto - come pure qualcuno ha fatto - un gesto anarchico-libertario, coerente fino all'autolesionismo. In realtà, come giustamente ha osser­ vato Gian Carlo Ferretti, Bianciardi saggiamente preferisce accettare la proposta di collaborazione con una testata giovane, ma importante e già prestigiosa, come "Il Giorno", che sembra offrirgli « un contesto complessivamente più aperto e libero » 17• Fondato nel 1 9 5 6 (e per gran parte di proprietà dell' ENI di Enrico Mattei), "Il Giorno", diretto da Ira­ lo Pietra, era forse allora il più vivace laboratorio giornalistico italiano, attestato su posizioni di moderato progressismo (sosteneva il neonato centrosinistra), capace di attirare alcune delle firme più interessanti del nuovo giornalismo (basti pensare a Giorgio Bocca e a Gianni Brera). Bianciardi si aggiunge ad altri autorevoli scrittori che collaborano allora per il giornale di Mattei (tra gli altri: Alberto Arbasino, Ottiero Ottieri, Carlo Cassola e Umberto Eco). Quando nel marzo del 1 9 63 esce il primo articolo di Bianciardi per "Il Giorno", lo scrittore ha cominciato da qualche mese una regolare attività pubblicistica come critico televisivo, prima con "Avanti ! " (con la rubrica Tele-bianciardi, dal gennaio 1 9 6 2 al febbraio 1 9 6 3 ) , e dal gen­ naio 1 9 6 3 con il settimanale "Le Ore" (con la rubrica Televisione, che durerà fino al settembre 1 9 6 5 ) . Gli articoli scritti per "Il Giorno", con ritmo non pressante (poco più di quaranta in ventiquattro mesi, dal marzo del 1 9 6 3 al febbraio del 1 9 6 5 ) , sono caratterizzati da una piena ar­ bitrarietà nella scelta dei temi: Bianciardi ha mano libera e scrive di ciò che di volta in volta gli aggrada e quando gli aggrada18, muovendosi tra note di costume, reportages di viaggio19, brevi considerazioni su artisti milanesilo, articoli di ricostruzione storica, ma anche brevi schizzi au­ tobiografici che mettono in scena la quotidianità dello scrittore ormai personaggio pubblicol1• Nel complesso una scrittura di modeste ambi­ zioni e pochissimo graffi an te : la riproposizione in tono minore delle tonalità "agre" che identificavano lo scrittore e gli assegnavano ormai uno spazio e un ruolo ben definiti nel gran circo mediatico. Nel ciclo di articoli Parliamo di Milanoll il ritrattista pungente della capitale del miracolo economico diluisce il proprio talento ironico in brevissime

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note estemporanee e talora insulse, in aneddoti minimali che hanno per protagonisti persone note (Camilla Cederna, Italo Calvino, Manlio Concogni o Carlo Cassola ecc.) o comuni cittadini alle prese con le superficiali evidenze del consumismo (dalle lavanderie meccaniche La­ vaget ai neologismi commerciali, ai nuovi divertimenti di massa) ; più incisivi sono gli articoli della rubrica Gli uomini chefanno funzionare la citta, dove i segni di un paesaggio sociale in movimento sono fissati attraverso i racconti di piccole storie esemplari, in cui rivive l'antico habitus bianciardiano dell' inchiesta e della documentazione precisa di dati e statistiche. Ed è una storia tutta meneghina di speranza e di riscat­ to quella raccontata in un bel servizio dedicato alla pittrice analfabeta Marittella D ' Orlando23. Un discorso a parte meritano i quattro articoli (dal titolo complessi­ vo D :Annunzio, l'eroe immoralista della piccola Italia) con cui Bianciar­ di cominciò la collaborazione al "Giorno", usciti tra il 15 e il 22 marzo 1 9 6 3 ( il primo nel coloratissimo Rotocalco, inserto del quotidiano )2\ che ripercorrono non senza spunti originali alcuni aspetti della figura di D 'Annunzio, a cominciare da un'eccezionale abilità propagandistica e comunicativa che molto avrebbe da insegnare ai « tecnici della per­ suasione, tanto numerosi e rumorosi ai giorni nostri » 25• Una visita al Vittoriale e al suo apparato ratatiné, il concentrato caotico di reliquie e ninnolerie che affascinerà Arbasino26, spinge Bianciardi a rileggere il "personaggio" D 'Annunzio alla luce di una sensibilità in cui lo scrittore grossetano sembra proiettare un' immagine di sé, di onesto « faticatore della penna » : se nel Vittoriale immagini e simboli esplodono in un gio­ co piro tecnico in cui trova visibile espressione l' inganno mobile delle apparenze, del gioco sistematico del rovesciamento che fa sospettare uno spirito intimamente nichilista e irridente (ma « faceva sempre sul serio, il Poeta ? » , si chiede l'articolista di fronte alla vertiginosa mescolanza di oggetti contraddittori: mistici e frivoli, mortiferi e gioiosamente vitali), la casa mostra anche - nel rigore francescano dello studio del poeta una pratica quotidiana della scrittura che fu dedizione e fatica ; cosicché al tavolo di lavoro D 'Annunzio diventava serio. Qualcuno dei guardiani ri­ corda che era capace di restarsene a sedere per dodici, quattordici ore di fila. Preoccupati, essi ogni tanto spiavano questo faticatore della penna, e allora vedevano sulla testa calva una vena gonfiarsi e rendersi come una corda, per lo sforzo. Lavorava sodo, dimentico di tanta paccottiglia che gl' ingombrava le stanze di sotto17•

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La televisione

Una parte cospicua dell'attività giornalistica di Bianciardi è dedicata alla critica televisiva. Lo scrittore fu anzi uno dei primi a cimentarsi con continuità in questo genere, tenendo rubriche fisse su diversi gior­ nali, a cominciare da "Avanti ! ". Si è già detto che tra il gennaio 1 9 6 2 e i l febbraio 1 9 6 3 Bianciardi scrive per "Avanti ! " quasi u n articolo a settimana, inaugurando la fortunata rubrica Tele-bianciardi. Scriverà di televisione sulle "Ore" ( gennaio 1 9 6 3-settembre 1 9 6 5 : Televisione) ; su "AB c " ( ottobre 1 9 6 5-giugno 1 9 6 8, riutilizzando, con la piccola varia­ zione della soppressione del trattino, il titolo Telebianciardi) ; su "Play­ men" ( marzo 1 9 6 9-novembre 1 97 1 : la rubrica è nuovamente intitolata Televisione). Se, insomma, si eccettua una pausa tra il 1 9 6 8 e il 1 9 6 9, dal 1 9 6 2 fino alla morte ( 1 97 1 ) Bianciardi fu costantemente critico televi­ sivo di qualche testata. I primi accenni "televisivi" appaiono nel Bianciardi ritrattista per "l' Unità" ( tra il 1955 e il 1 9 5 6 ) del nuovo che avanza modificando la quo­ tidianità metropolitana. È il caso di un bozzetto di costume ( Chiese Esca­ tollo e nessuno raddoppio, febbraio 1 9 5 6 ) 28, che mette in scena un dialogo tra giovani intellettuali che lamentano il successo popolare della trasmis­ sione a quiz Lascia o raddoppia ? ( denunciando risentiti quella sorta di « bongiornite » che fa credere agli sprovveduti che l' « erudizione dilet­ tantesca » sia cultura ) . A prescindere dalla tonalità ironica dell'articolo ( gli interlocutori per primi esibiscono trionfalmente le nozioni di cui sono in possesso, riproducendo nel loro dialogo le dinamiche di un gio­ co a quiz ) , Bianciardi individua nella pervasività televisiva ( anche se le trasmissioni a livello nazionale sono cominciate appena due anni prima) uno dei fattori rilevanti del panorama socioculturale del paese. Il 3 1 gennaio 1 9 63 Bianciardi pubblica sul settimanale "Le Ore" il primo di una numerosa serie di articoli dedicati alla televisione. La ri­ vista ( che, solo dopo il 197 1 diventerà un periodico erotico e, successi­ vamente, apertamente hardcore), nata dieci anni prima come testata di attualità cinematografica, era particolarmente attenta ai nuovi media e in particolare al giornalismo fotografico e annoverava tra i collabo­ ratori il fotografo Mario Dondero, amico di Bianciardi fin dai primi tempi della permanenza a Milano. Considerati il tramite di Dondero e la vocazione della rivista, non è dunque strano che Bianciardi collabori con questa testata proprio come critico televisivo e tenendovi una ru-

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brica fissa. Del resto, s e i programmi televisivi analizzati d a Bianciardi sono spesso un'occasione per parlare di altro ( di costume e società, ma anche di politica e storia ) 2.9, non manca una sensibilità attenta alla spe­ cificità del mezzo televisivo, di cui lo scrittore sembra cogliere assai per tempo la peculiare "grammatica" comunicativa. Ciò che bene si può cogliere proprio nei primi articoli pubblicati sulle "Ore", a partire da quello dedicato allo sceneggiata Il Mulino del Po di San dro Bolchi3°. Le « cruschevolezze » cui si allude nel felice gioco di parole del titolo ( Chi va al Mulino si incrusca) sono naturalmente quelle della prosa raf­ finatissima del rondista Bacchelli, apprezzabili sulla pagina scritta, ma che « sullo schermo piccolo [ ... ] saltano all'orecchio, e ti avvisano dei pericoli e dei limiti d'ogni riduzione televisiva da un testo letterario ce­ lebre » 31• Che è una nota, come bene si può vedere, in cui si misura una certa forma di spaesamento da parte di Bianciardi : posto a metà strada tra la curiosità per il nuovo mezzo, la volontà di comprenderne i mecca­ nismi e le potenzialità, e il sospetto nei suoi confronti. Ma più esplicito e lucido è l 'articolo successivo (Il regista, l'attore nato e il topolino, 21 febbraio 1 9 6 3 ) 3\ che racconta della preparazione di un servizio televisi­ vo dedicato proprio a lui, allo scrittore che nella Vita agra ha narrato la Brera degli artisti e degli intellettuali. Dall'esperienza - rievocata con il consueto gusto bozzettistico-aneddotico del Bianciardi giornalista - lo scrittore non solo constata il carattere magico e totemico della televi­ sione, che esercita presso la gente un'attrattiva quasi stregonesca, ma soprattutto ha scoperto come essa sia caratterizzata da una sorta di co­ stitutiva inautenticità, per cui sono proprio « le scene colte dal vivo, le più autentiche, le più spontanee » a essere in realtà « quelle preparate con maggiore anticipo e premeditazione » 33: considerazione suggerita dall' incontro "casuale" con la signora Tedeschi ( la prima padrona di casa dello seri t tore ) che viene preparato con cura e inscenato tre giorni dopo, ripetendolo più volte, fino a renderlo "spontaneo". La conclusio­ ne dell'articolo è affidata a un nuovo aneddoto, questa volta familiare : protagonista il figlio dello scrittore, al suo rientro serale a casa : trovo mio figlio che ha comprato la maschera di Topolino. Non mi sorpren­ do abbastanza, e lui esige che si ripeta la scena della mia entrata in casa. Esco, chiudo la porta, la riapro, sosto, aspetto che arrivi lui mascherato, poi dico la mia battuta : « Uh che bel topolino è venuto in casa nostra ! » Da grande questo bambino farà il regista televisivo.

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Se la finzione narrativa è la struttura portante del racconto televisivo, nel momento in cui il mezzo stesso - oggetto magicamente e intimamente persuasivo - è per il pubblico espressione immediata e diretta di una realtà che "si palesa" oggettivamente di fronte all'occhio dello spettato­ re, esso si configura non solo come un eccezionale manipolatore di idee e coscienze, ma può diventare ( questo il senso suggerito dall'aneddoto che chiude l'articolo ) il principale costruttore della realtà. L'azione rea­ le dello scrittore che rientra a casa diventa passibile del replay, venendo così trasferita dal piano fattuale a quello della finzione scenica le cui mo­ dalità rispondono a un copione implicito, a sua volta determinato da forme comportamentali e da espressioni emozionali che saranno sempre più fortemente influenzate dal ( totemico, appunto ) mezzo televisivo. E così il cerchio si chiude : Bianciardi inscena il comportamento del bravo padre che mostra interesse e stupore per la sorpresa del figlio ( il quale ha preso pieno possesso del codice, al punto da fare intravedere il futuro re­ gista televisivo ) , esattamente come, sul se t televisivo, aveva interpretato il ruolo del tipico deraciné della Brera degli artisti e degli intellettuali. Si pensi, infine, a un articolo di pochi mesi dopo ( Un esperimento audiovisivo, 9 maggio 1 9 6 3 ) , dove Bianciardi propone ( questo, appun­ to, !' "esperimento" ) di provare ad ascoltare la televisione senza video o - viceversa - provare a guardare le immagini senza audio : non sarà tanto l 'ovvio effetto di straniamento a colpire, quanto la possibilità di cogliere, nei vari spettacoli, un diverso grado di mancata specificità te­ levisiva : alcuni autori ( osserva Bianciardi ) sono infatti uomini venuti dall'esperienza radiofonica «e continuano a ragionare in termini ra­ diofonici » , altri sono invece « gente di teatro, che parla in termini tea­ trali » 34. La curiosità verso il nuovo mezzo diventa così l'auspicio che la consapevolezza della differenza del mezzo tecnico si traduca in una differenza apprezzabile dei « mezzi espressivi » . Un atteggiamento di apertura, dunque, che sta alla base di valuta­ zioni spesso pertinenti sulla qualità e le caratteristiche di questo o quel programma recensito. Ma esso convive con un atteggiamento critico che - e non potrebbe essere altrimenti - richiama il giudizio tra l' ironico e l'apocalittico con cui Bianciardi ha sempre guardato all' industria cultu­ rale e al suo potenziale manipolatorio. La destinazione di queste pagine ( l'essere una rubrica di critica televisiva ) esclude ovviamente l' invettiva risentita dei romanzi: né, anche volendolo, avrebbe senso essere "apo­ calittici" all' interno di un sistema comunicativo ( quello della scrittura di secondo grado sulla programmazione televisiva ) che, statutariamente,

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ha accettato di stare al gioco, di misurarsi con il prodotto, non di giudi­ care il mezzo. Nondimeno, il sospetto per il mezzo - la critica radicale per la sua potenza mistificatoria e fraudolenta - appare laddove se ne denuncia la strutturale tendenza a "costruire" artificialmente (come ab­ biamo visto poco sopra) la spontaneità. Può così succedere che l'accen­ no a un incontro di boxe trasmesso in televisione (Pugni parlanti, in "Le Ore': 13 agosto 1 9 6 4 ) , dove la macchina da presa e i microfoni orientabili consentono di accedere a testimonianze sonore altrimenti inattingibili, suggerisca l' idea di come il mezzo televisivo stia modificando anche ra­ dicalmente le condizioni percettive della realtà, sconvolgendo il senso della distanza, della prospettiva e del particolare. Anticonformismo e libertà : da 'A.n c " a " Playmen"

Nell'ottobre del 1 9 6 5 Bianciardi comincia un' importante collaborazio­ ne (circa ottanta articoli, quasi tutti nel triennio 1 9 6 6 - 6 8 ) con "ABC ", set­ timanale di politica e di attualità, progressista e a vocazione anticlericale, che nel corso degli anni Sessanta fu in prima linea in numerose battaglie civili, come quella del radicale Loris Fortuna che portò all' introduzione della legge sul divorzio nel 1 9 6 9. Una linea anticonformista che dovette apparire congeniale a Bianciardi, la cui rubrica Telebianciardi per "ABC " usava i programmi televisivi come semplice spunto per trattare (spesso in termini paradossali o ironici) di temi civili e culturali di rilievo. L' ar­ ticolo che inaugura la collaborazione con la rivista è la recensione a una diretta da un campo nomadi di Pomezia, che ironizza sull' incrocio tra luoghi comuni e razzismo (''gli zingari rapiscono i bambini per farne sapone", "gli zingari non si lavano"), affidando al punto di vista di uno smagato buon senso - tipica risorsa dell' ironia bianciardiana - la ridico­ lizzazione dell' incongruenza miope del pregiudizio ( « A chi vendano il sapone, visto che loro non si lavano, non lo sa nessuno» )35• Ricorrenti sono gli interventi contro la censura (una delle grandi battaglie libertarie del giornale)36, o contro una diffusa mentalità che concepisce la morale solo come "morale sessuale" e mai in termini di etica civile e di doveri pubblici (ed è da ricordare almeno un articolo dell'aprile 1 9 6 6 dedicato al famoso episodio di "La Zanzara", il giornale studentesco del liceo Parini di Milano che aveva pubblicato un ' inchie­ sta sulla sessualità giovanile, per la quale tre studenti-redattori furono processati)37•

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Un altro aspetto verso il quale il critico, fin dal tempo degli artico­ li "televisivi" per "Le Ore", mostra una spiccata sensibilità riguarda la lingua. Bianciardi bene coglie l' importanza del ruolo che sta avendo la televisione nella costruzione di una lingua nazionale (unitaria e de­ dialettizzata) della comunicazione quotidiana. Ma bene coglie anche il rischio che si imponga una lingua stinta, falsamente tecnica, ma in realtà basata sull'uso degradato di gerghi settoriali, « una sorta di neoitaliano, con un vocabolario di ottocento parole interscambiabili e stinte » (Di­ scorsi a ruota libera, 20 giugno 1 9 6 3)38• In diversi articoli a cavallo della metà degli anni Sessanta Bianciardi polemizza contro il linguaggio volutamente criptico, e perciò inganne­ vole, della comunicazione pubblica, sia della politica (che in un articolo del luglio 1 9 67, Lo stile moresco, suggerisce allo scrittore un'abile paro­ dia dell' involuta e spesso inafferrabile oratoria di Aldo Moro )39, sia del­ la pubblicità40• Partendo dall'analisi di un brano del discorso che Aldo Moro tenne in occasione dell' inaugurazione dell'Autostrada del sole, Bianciardi costruisce poi un buffonesco "esercizio di stile", una perfetta parodia in cui lo stile "moresco" è applicato a un banale contesto quoti­ diano come l' invito a un aperitivo. Per "ABC " esce anche uno dei più noti scritti giornalistici di Bian­ ciardi, un manuale parodistico che in sei dense puntate insegna Come si diventa un intellettuale a quei giovani che « Madre Na tura non ha dota­ to di talento » 41• Opportunisti, intrallazzoni e mediocri sono messi alla berlina attraverso il ricorso a un paradossale iter di formazione che inse­ gna a gestire abilmente i più vieti luoghi comuni, a sfruttare con perizia le apparenze (la cura della gestualità e dell'abbigliamento richiedono un attento apprendistato), a citare senza aver letto, a "informarsi" raggiran­ do un lungo e faticoso percorso necessario per "formarsi". Sono pagine in cui troviamo il Bianciardi migliore (quello di alcune felicissime inven­ zioni del Lavoro culturale), che mette a frutto uno spirito di osservazio­ ne attento e disincantato, coniugandolo con la vocazione per il ritratto ridicolizzante e per il paradosso. Furono l'anticonformismo esibito (che può talora sembrare di ma­ niera) e la sincera presa di posizione a favore delle grandi battaglie civili per la libertà sessuale e contro la censura che spinsero probabilmente Bianciardi a collaborare sulla fine degli anni Sessanta per riviste esplici­ tamente erotiche. C 'è in Bianciardi un' indiscutibile e tragica vocazione per la dissipazione di sé e del proprio talento ; è lo stesso scrittore ad at­ tribuirsela, del resto, in un articolo per il "Guerin Sportivo", che, scritto

FRA TELEVI S I O N E E COSTUME

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poche settimane prima della morte, acquista il sapore tragico di un bi­ lancio in limine mortis42• L'articolo fa parte della rubrica Cosi e se vipare, nella quale Bianciardi rispondeva sugli argomenti più vari alle lettere che gli venivano inviate. False le lettere e falsi i mittenti, che sono tutti famosi esponenti del mondo sportivo, dello spettacolo e della cultura. Una rubrica in cui lo scrittore-giornalista - firma di richiamo del gior­ nale di Gianni Brera - ha il privilegio di spaziare liberamente parlando di tutto, dallo sport alla cronaca, dalla cultura alla politica. E anche - in qualche nota marginale, ma significativa - di sé, della sua carriera, or­ mai al tramonto, di scrittore e delle letture che l'hanno appassionato e formato. In questo caso è a Luigi Compagnone, scrittore e &iornalista napoletano, che Bianciardi attribuisce la fittizia domanda : «E vero che sei avarissimo ? Se sì, come concili quest'avarizia con lo spreco che fai di te (di te scrittore), cercando di distruggerti come persona per diventare personaggio ? » 43. Lo « spreco » di un grande talento, dunque ? Ma la de­ riva autodistruttiva, che certamente segna gli ultimi anni della breve vita di Bianciardi, ci sembra possa essere solo in parte esemplificata dalla col­ laborazione con riviste come "Kent" e "Playmen", nella quale si è spesso voluto vedere un segno involutivo, le tracce di una deriva professionale e umana parallela alla vocazione autodistruttiva che, per via alcolica, con­ traddistinse gli ultimi anni dello scrittore. Bianciardi aveva scelto, del resto, di lavorare a più tavoli. Mentre non rinuncia alle ambizioni sperimentali di romanzi come La battaglia soda o Aprire ilfuoco, lo scrittore non disdegna (e non saranno state solo ragio­ ni economiche a spingerlo) collaborazioni più "popolari", dal rotocalco a vasta diffusione al cinema di consumo44, calandosi senza troppe remo­ re in quel "personaggio" (il bohémien di Brera, il "Miller italiano") che il sistema mediatico giornalistico-televisivo gli aveva in qualche modo cucito addosso. È su questo sfondo, in cui nuove offerte di lavoro e di attività editoriali si incontrarono con una spiccata vocazione anticon­ formistica, che vanno collocate la collaborazione (brevissima : quattro articoli in tutto) con "Kent" e quella, ben più significativa (ventiquattro articoli, tra il 1 9 6 9 e il 197 1, per l'ennesima rubrica di critica televisiva) con "Playmen". Scelte solo apparentemente di basso profilo : non certo dal punto di vista giornalistico, se si considera che ambedue le riviste costituirono interessanti esperimenti editoriali in una stagione in cui l'abolizione della censura e la depenalizzazione della diffusione di mate­ riale "osceno" (secondo l 'articolo 528 del codice penale italiano a difesa del « comune sentimento del pudore » ) si andavano configurando come

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parte di una complessiva battaglia libertaria e a favore dei diritti dell' in­ dividuo. Né va dimenticato che con il mensile "Kent" collaborarono, oltre a Bianciardi, Mario Soldati, Gian Carlo Fusco e Gianni Brera (che vi pubblicò, a puntate, il suo romanzo più famoso, Il corpo della ragassa) , che non erano propriamente esempi d i scrittori-giornalisti alla deriva, votati allo scialo autodistruttiva di talenti e carriere. È significativo che Bianciardi cominci a pubblicare per "Kent" nel marzo del 1 9 6 8 (un mese e una data densi di addentellati simbolici: il 1° del mese erano avvenuti a Roma i famosi scontri tra studenti e polizia a Valle Giulia), cioè poco dopo la condanna a tre mesi di reclusione di Francesco Paolo Conte, direttore della rivista, per produzione e diffusio­ ne di materiale osceno. Nell'articolo-denuncia ( Una lettera di Luciano Bianciardi)45 lo scrittore prende posizione per la libertà di stampa e per una radicale depenalizzazione dell'erotico/pornografico. Una discesa in campo motivata, checché se ne pensi, da ragioni ideali; che non deve stupire in anni in cui le battaglie a difesa di testate giornalistiche eroti­ che (si pensi ai processi intentati negli Stati Uniti contro "Husder", la rivista di Larry Flynt, l'editore la cui biografia ha ispirato, nel 1 9 9 6, il famoso film di Milos Forman, Ihe People vs Larry Flynt) acquistarono presso molti intellettuali i tratti di una battaglia civile in favore della libertà d'espressione. Non è un caso, del resto, se la Lettera di "Kent" inaugurerà altre collaborazioni con testate dal carattere dichiaratamente erotico, come "Executive" (tre articoli tra il 1 9 6 8 e il 1970 ) , e soprattut­ to con "Playmen", la rivista di Adelina Tattilo - intraprendente editrice progressista, allora vicina al Partito radicale -, che non solo fu la più ce­ lebre testata erotica italiana (fino a essere efficacemente concorrenziale verso "Playboy", al quale dichiaratamente si ispirava), ma che si caratte­ rizzò per le battaglie a favore di una liberalizzazione dei costumi sessuali del paese e contro la censura. Anche in questo caso siamo di fronte a una scelta editoriale non intellettualmente elitaria, ma non certo di basso profilo, se si considera che "Playmen" ospitò nel corso della sua storia interviste e commenti di scrittori e intellettuali tra i più autorevoli sul­ la scena mondiale (fra i tanti: Giorgio Bassani, John Dos Passos, Allen Ginsberg, Alberto Moravia, Alain Robbe-Grillet, Jean-Paul Sartre, Lu­ chino Visconti e Cesare Zavattini).

9 Storie brevi e meno brevi : i racconti e Viaggio in Barberia

Varietà e consumo

La stesura di racconti ha accompagnato l' intera attività di Bianciardi. Anche se in molti casi si trattò di una scrittura estemporanea o di oc­ casione, essi hanno un notevole valore documentario per lo studioso, che vi ritrova spunti e temi che ricorrono (ma con modalità diverse di elaborazione stilistica) nelle più diverse tipologie testuali: romanzi, arti­ coli di giornale, saggi. Che lo stesso scrittore considerasse la stesura dei racconti un'attività marginale e tutto sommato minore è forse indicato dal fatto che egli non si preoccupò mai di raccoglierli in volume : sono postume, infatti, le due principali raccolte, Ilperipatetico e altri raccontP e La solita zuppa e altri racconti'-. Il primo volume di L 'antimeridiano ha ora ampliato notevolmente il corpus dei testi, aggiungendo una decina di racconti ai diciotto contenuti nelle due precedenti raccolte3• Va notato come le due sillogi del 1 976 e del 1994 adottino come eponimi i titoli di due racconti di argomento erotico, quali appunto sono Ilperipatetico e La solita zuppa, che non solo risultano tra i meglio riusciti fra quanti Bianciardi scrisse, ma che rientrano in una tipologia ben rappresentata all' interno del corpus: oltre ai due ricordati, rispettivamente del 1 9 6 1 e del 1 9 6 5, sono di argomento erotico I sessuofili ( 1 9 6 3 ) , La pillola ( 1 9 6 6 ) , Il complesso di Loth ( 1 9 6 8 ) , Il ritiro ( 1 9 7 1 ) e Ilprete lungo ( 1 97 1), l'ultimo racconto pubblicato in vita da Bianciardi. Molto vari per temi (e in qualche caso anche per destinazione : tra gli altri, figura anche un racconto destinato ai ragazzi, Adorno, che rievoca un ricordo dell' infanzia grossetana in parte narrato nel primo capitolo dell'Integrazione)\ i racconti hanno talora manifestamente il carattere dell'occasionalità e dello scritto su commissione : è il caso di I re magi (scritto per la strenna natalizia Racconti del Natale5) e di La scoperta dell:America, che uscì in un inserto di "L' Europeo" (La guerra in Italia

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raccontata dagli Italiani, maggio 1 9 6 5 ) dove Bianciardi racconta un epi­ sodio del settembre 194 3 rielaborando alcune pagine dei suoi Diari di guerra6• Di nuovo ispirato ai ricordi del periodo di guerra (è ambientato in Puglia nel Natale del 1943), è Natale con il miele, anch'esso confezionato per la strenna natalizia Giorni di Natale7• Accompagnando per intero l'arco della produzione narrativa bian­ ciardiana, i racconti contengono molti temi e spunti variamente rielabo­ rati nei romanzi, non contraddicendo dunque quella vocazione al siste­ matico travaso e riuso intratestuale che è una delle caratteristiche salienti dell' invenzione bianciardiana. E non mancano casi rilevanti di allusività interna nella direzione che dal racconto va al romanzo. Ad esempio, in Aprire ilfuoco viene ricordato un episodio (in realtà comicamente grot­ tesco, assai più che osceno) contenuto in Il peripatetico (uscito origi­ nariamente in un'antologia di racconti erotici, L 'amore in Italia 8 ) che costò all'autore un processo per oscenità9• Solo in pochi casi i racconti fanno riferimento ai romanzi, anche se va almeno ricordato Alle quat­ tro in piazza Duomo (uscito sull'"Unità" nel febbraio 1 9 6 3 ) , cronaca in diretta della giornata di uno serittore di successo (è di quell' inverno l'esplosione commerciale della Vita agra), che mette in scena sé stesso ( « È lo scrittore Bianciardi » 10, nota entusiasta un personaggio) , in un turbinio di inviti a dibattiti, presentazioni di libri, incontri con espo­ nenti reali della cultura (sono ricordati, tra gli altri, Gian Carlo Ferretti e Umberto Eco). Una cronaca un po' sgangherata in cui il "personag­ gio" Luciano Bianciardi si sovrappone al protagonista della Vita agra, al punto che la compagna reale dello scrittore assume il nome di Anna, la protagonista femminile del romanzo. È poi evidente sullo sfondo, su un piano di più raffinata allusività, la polemica ideologica del romanzo con­ tro l' incomunicabilità tra intellettuali e classe operaia (la loro impos­ sibilità di incontrarsi, allegoricamente rappresentata dagli « orari così scombinati » 11 che scandiscono le giornate degli uni e degli altri), alla quale si richiama maliziosamente l'appuntamento in piazza Duomo del titolo del racconto, che è occasionato proprio da una manifestazione dei metalmeccanici che a quell'ora lì si doveva tenere. Un discorso a parte merita poi I love Mary - uno degli ultimi racconti scritti da Bianciardi -, che sembra quasi voler trarre il bilancio di un' intera carriera fondata su un esercizio sistematico della riscrittura : sia essa la fatica quotidiana del traduttore (e le operazioni di transcodifica che ne caratterizzano il lavoro) o sia il gioco intertestuale che anima le forme più ardite dello sperimentalismo bianciardiano. Tutto il racconto è infatti concepito

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come una scrittura a margine al Viaggio in Barberia ( libro-reportage di un viaggio in Nordafrica ) , in una scrittura di secondo grado che mette in scena lo scrittore, che è nel contempo il viaggiatore-protagonista del reportage, uno dei suoi testimoni diretti e l'estensore del resoconto nar­ rativo del viaggio12• Un caso pressoché isolato, quello di I love Mary: i racconti che Bian­ ciardi ha pubblicato nel corso degli anni in giornali e riviste risultano infatti estranei a ogni forma di sperimentalismo stilistico. Appaiono piuttosto destinati alla fruizione facile e immediata ( in una lingua media, lontana da ogni torsione espressionistica ) caratteristica della scrittura di genere o dell'articolo di giornale. E articolo di giornale e racconto in taluni casi sono indistinguibili. È eclatante il caso del te­ sto che apre la silloge dell'Antimeridiano (La promessa ) , accolto nella sezione dei racconti solo perché ricompreso in Gli scrittori e "l' Uni­ ta': Antologia di racconti I945-I98013, uscito originariamente, appunto, sull"' Unità" ( agosto 1 9 5 6 ) . Il testo presenta moltissimi punti di contat­ to con altri articoli pubblicati in quei mesi per il quotidiano comuni­ sta : a cominciare dalla misura, che è quella standard degli articoli della rubrica (Lo specchio degli altri ) che Bianciardi teneva per il quotidiano. La promessa è del resto assai simile, per forma e struttura, ad articoli come Il convertito ( ''l' Unità", 5 febbraio 1 9 5 6 ) e Un socialdemocratico ( ''l' Unità", 10 aprile 1 9 5 6 ) . Sono cioè brevi biografie, esemplari nella loro "medierà tipologica", di persone qualunque conosciute dallo scrit­ tore in gioventù e ora variamente inserite, dopo una carriera non priva di compromessi e ipocrisie, nell' Italia benpensante e democristiana. E basterebbe confrontare l ' incipit della Promessa ( « Ricordo che anche allora dell'amico mio Franco si parlava con tono di grande ammirazio­ ne » 14 ) e quello del Convertito ( «Non vedevo Faustino da una decina d'anni. Avevamo fatto la guerra insieme » 15 ) , per individuarne l'appar­ tenenza a una comune "serie" giornalistica. Ma siamo di fronte a una sovrapposizione significativa, che bene indica come la narrazione breve sia di fatto la forma che meglio caratterizza la scrittura giornalistica di Bianciardi negli anni Cinquanta ( fin dalle prime prove della "Gazzetta di Livorno" ) : caratterizzata, più che dal piglio critico-saggistico preva­ lente nella scrittura giornalistica del decennio successivo, da una forte vocazione narrativa, pur nella forma in tono minore del bozzetto e del ritratto caricaturale16• Pienamente ascrivibile al bozzetto di costume, assiduamente frequen­ tato dal Bianciardi giornalista negli anni Cinquanta, è poi Vacanza alla

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foce (stampato la prima volta nella rivista "Il Caffè", settembre 1 9 6 0 )17, dove lo scrittore rievoca una vacanza estiva a Bocca di Magra, località amata da molti esponenti, non nominati nel testo ma ben riconoscibili, dell' intellettualità milanese e torinese (Calvino ed Einaudi; Fortini, Se­ reni e Vittorini). Il caratteristico sguardo straniato e vagamente ingenuo del Bianciardi ritrattista di costume tratta con ironia la vocazione all'eli­ tismo dei frequentatori più assidui, l'orrore per l'arrivo di nuovi turisti, ricchi e volgari, che stanno snaturando il luogo. Alla narrativa di avventura rimanda Il volontario Sbrana (pubblicato in un'edizione di largo consumo divulgativo : il volumetto di Racconti italiani che "Selezione" regalava ogni anno agli abbonati)18, che raccon­ ta la figura di un balzano e intraprendente venditore di castagnaccio pisano ritrovatosi casualmente nel battaglione dei volontari universitari nella battaglia di Curtatone, durante la Prima guerra d' indipendenza. Un ritorno, dunque, alla prediletta ambientazione risorgimentale, in un racconto lontanissimo dai preziosi toscanismi e arcaismi della Batta­ glia soda, ma affidato a un montaggio caratterizzato da un'agilità quasi cinematografica. Suspense, montaggio vivace ed effetti sorpresa che tro­ viamo in un altro racconto "storico': Ilprigioniero di Bull Run, storia di un ex garibaldino volontario per i nordisti nella guerra di Secessione americana19• A parte il ricordato caso "autofinzionale" di Alle quattro in piazza Duomo, di carattere apertamente autobiografico sono le già citate me­ morie di guerra (La scoperta dell:America e Natale con il miele) e il ricor­ dato "Vacanze allafoce. Un' interessante forma di autobiografia fittizia è data da Il menisc020, dove c 'è un narratore in prima persona che racconta la mancata carriera calcistica per la rottura del menisco. Ripresi gli studi, diventa un medico di successo, primario ospedaliero esperto di trauma­ tologia tibia-femorale. Il racconto innesta meccanismi autofinzionali attraverso una pluralità di suggestioni intertestuali: calciatore talentuo­ so ma costretto a rinunciare alla carriera a causa del menisco è infatti la voce narrante dell'Integrazione (il Luciano Bianchi) ; ma ali ' incidente al menisco allude lo stesso Bianciardi quando come giornalista parla di sé. È, insomma, l'autobiografia fittizia che lo scrittore ha creato negli anni attraverso un gioco plurimo di maschere. Anche se a rigore Il menisco non ha in sé alcun marcatore "autobiografico", lo fa sembrare tale un si­ stema allusivo che chiama in causa la costellazione dei testi bianciardia­ ni: e non solo quelli funzionali, ma anche quelli giornalistici, che per sta­ tuto appartengono alla dimensione non finzionale dell'extraletterario.

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I racconti erotici

Come si è detto sopra, i racconti erotici costituiscono una parte cospi­ cua, per quantità e qualità, della narrativa breve bianciardiana. È signifi­ cativo che essi (a parte il primo, Ilperipatetico, del I 9 6 I ) siano posteriori alla Vita agra, quando cioè il successo del romanzo e la coeva traduzione dei Tropici avevano costruito l' immagine del "Miller italiano", autore di una critica della società contemporanea portata fino all' iconoclastia, co­ niugata con una certa disinvoltura nel trattare l'erotico. Un' immagine, invero, in parte fuorviante, nel collocare sullo stesso piano l'erotismo un po' provinciale e nostalgico dello scrittore grossetano e l 'esibizionismo genitale di Miller, perso in un abisso di desiderio disperato dove il sesso, prima ancora che liberazione dell' inconscio, diventa scoperta raggelan te del vuoto e dell' insensatezza dell'esistere. Parlando della Vita agra ab­ biamo letto la famosa pagina in cui Bianciardi immagina una gigantesca utopia libertaria fondata proprio sul sesso, innocentemente e gratuita­ mente scambiato, fino a scardinare le radici della logica economica della produzione e dello scambio delle merci che regge il sistema capitalisti­ C021. Una pagina (per altro, ripresa in Aprire ilfuoco) la cui cifra è l' ironia (nei confronti delle facili utopie libertarie), ma che non contraddice una visione del sesso che spesso assume i contorni di un gioioso e innocen­ te paganesimo, in cui la nostalgia per il « petto » delle contadine (l'u­ bertoso e fertile «petto » , appunto : non le « tette » e « tettine » delle segretarie « steccolute » e asessuate) si collega ai canti popolari osceni intonati da Ettorino (uno degli estrosi personaggi che popolano la Brera della Vita agra). Come la canzone « del Coltellacci, anzi del Curtlass, che all' improvviso salta fuori come Priapo, e spaventa passeri, gente nor­ male, persino gli amici, cunt el bigollung 'o n brass» : dove la canzone po­ polare diventa una sorta di epifania fallica, che richiama i riti ancestrali contadini della fertilità22• È in questo contesto, fra la traduzione di Miller e la stesura della Vita agra, che nasce il primo racconto erotico di Bianciardi, Il peripatetico, che nel titolo esibisce il gusto per il rovesciamento che sarà la cifra do­ minante del racconto erotico bianciardiano. È la storia, narrata in prima persona, del benestante proprietario di una libreria antiquaria milanese, assiduo frequentatore di prostitute : costretto dunque a un vagare inquie­ to per la città, un camminare che ne fa, appunto, un "peripatetico" (con ribaltamento di genere di uno dei tanti eufemismi usati per designare la

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prostituta ) 23. Il racconto ( che uscì per una raccolta tematica dell'editore milanese Sugar nel 1 9 6 1 : L 'amore in Italia) tocca temi che saranno al centro del dibattito pubblico sul costume nel corso degli anni Sessanta : in particolare la polemica contro gli insicuri contraccettivi naturali ( il famigerato metodo Ogino-Knaus ) , i soli non condannati dalla Chiesa ( lo stesso tema ritornerà infatti in un racconto minore del 1 9 6 6, La pil­ lola, uscito per 'A.Bc': rivista apertamente schierata in favore di una libe­ ralizzazione dei costumi sessuali ) . Al centro del Peripatetico è l' ironia nei confronti di un certo perbenismo ipocrita, perfettamente compendiato dal protagonista, puttaniere ma "buon padre di famiglia", ateo ma ben attento a far battezzare i figli. La voce narrante è quella di un uomo di buone letture, che ricorre spesso però a tratti colloquiali ( con piccole ri­ dondanze del parlato : « io non ce la feci, a trarmi indietro » , « io ritengo che il diritto di badare ai miei interessi spetti pure a me » 24 ) , affidandosi a un buon senso spicciolo che intende convincere l' immaginario interlo­ cutore piccolo-borghese al quale si rivolge, un destinatario che dovrebbe in fondo approvare la minuta contabilità alla quale il narratore sotto­ pone sistematicamente le prestazioni meretricie, in una calcolatissima valutazione dei costi-benefici ( « gli affari sono affari, è vero, ma anche io devo pensare agli interessi miei e non posso spendere quindicimila lire per una ragazza, giovane quanto volete, ma diaccia come un baccalà, e per giunta paurosa delle gravidanze » ) 2s. L' immagine dello scrittore disincantato ritrattista dell' Italia moder­ na e metropolitana e disinvoltamente attento ai temi dei costumi ( an­ che sessuali ) del paese favorì le collaborazioni con testate come 'A.B c ", "Kent" e "Playmen", che - come abbiamo già detto - si fecero variamen­ te promotrici di un progetto di liberalizzazione dei costumi, anche con forme di ingenuità che potrebbero far sorridere ( a condizione, beninte­ so, che si abbia ben scarso senso della storia ) . Per questi giornali Bian­ ciardi scrive soprattutto articoli di costume o di critica televisiva; ma non mancarono brevi racconti di argomento erotico ( oltre al ricordato La pillola uscito su "AB c ", Il complesso di Loth e Il ritiro, usciti rispettiva­ mente nel 1 9 6 8 su "Kent" e nel 1 97 1 su "Playmen" ) . Abbiamo accennato nel capitolo precedente all'articolo che nel mar­ zo del 1 9 6 8 inaugura la collaborazione con "Kent" ( Una lettera di Lu­ ciano Bianciardi). Lo scrittore vi commenta la recentissima condanna a tre mesi di reclusione di Francesco Paolo Conte, il direttore della rivista, per « offesa al comune sentimento del pudore » ( artt. 528 e 529 del codi­ ce penale ) . L'articolo si apre proprio con una riflessione sul concetto di

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"comune sentimento del pudore", e si dichiara per una difesa a oltranza di ogni manifestazione artistica, culturale o di pensiero, negando ra­ dicalmente ogni diritto di esistenza alla censura, che necessariamente opera nell'arbitrio e nell' indeterminabilità : quella arbitrarietà che, affi­ dando al giudice il compito di interpretare, di volta in volta, i confini del "comune sentimento del pudore", presuppone la plausibilità antologica del "senso comune" e la possibilità di individuare un comune denomina­ tore del pudore. Sul piano concreto Bianciardi indica la necessità di considerare tout court la pornografia ( senza distinzioni o p inabili di "cattivo" o di " buon" gusto ) un prodotto d'arte, che in quanto tale lo stesso articolo 528 del codice esclude dali ' area dell' "osceno" ( « Dico che la pornografia deve essere - lo è sempre stata - un genere letterario » ) 26: una posizione di to­ tale liberalizzazione della pornografia che, su posizioni di radicale anar­ chismo individualista, Paul Goodman stava portando avanti in quegli anni negli Stati Uniti. Ma a prescindere dalla tesi radicalmente libertaria che Bianciardi vi sostiene, a rendere interessante l'articolo è soprattutto il ricorso a un meccanismo del paradosso che diventa, imprevedibilmente, rivelatore di problemi e di interrogativi sui quali siamo tutt 'ora chiamati a misu­ rarci. Fingendo una sofferta confessione pubblica, quasi stesse facendo il coming out di un vizio che andrebbe celato ( compiendo, insomma, un gesto intimanente impudico ) , lo scrittore dichiara la sua estraneità a un "sentimento" del pudore legato al sesso, che pure sembra, secondo il legislatore, la sola area nella quale si può configurare l'oscenità. Ma leggiamo il brano: Ebbene i o voglio dire che s e i l sentimento del pudore (questa reazione irrazio­ nale, questo rifiuto di una fetta di realtà) esiste, non necessariamente esso si esercita verso i fatti del sesso. Non sempre il pudore [ ... ] è sessuofobico. lo, per esempio, non sono sessuofobico. Sono, guarda caso, tanatofobico. Cioè non ac­ cetto la rappresentazione della morte. La fotografia di Sofia Loren agli esordi (dalla cintola in su tutto il vedrai, come il povero Farinata) non mi turba. Mi turba invece l' immagine del capo della polizia sud-vietnanita che spara alla tem­ pia di un prigioniero27• lo evito i funerali (ho promesso a me stesso che parte­ ciperò soltanto al mio), non visito le camere mortuarie, non entro nei cimiteri. Badate bene, accanto ai tanatofobi (più di quanti voi immaginiate) ci sono i tanatojili, quelli cioè che non mancano a ogni funerale. Vi prego di credermi, ora che vi dico quanta fatica io duri adesso a raccon­ tare queste cose: mi sento veramente pornografo, ora sì. Eppure io non scrivo

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lettere ai giornali per chiedere che si aboliscano i funerali pubblici, né auspico una legge che vieti la pubblica frequentazione dei cimiteri. Non tuono contro le religioni cristiane che hanno scelto a loro massimo simbolo una immagine di morte. Anzi, di morte cruentissima e infamante. Immaginate un indù, uso a vedere nei suoi templi la rappresentazione multipla dell'atto sessuale, se noi lo portassimo in una nostra chiesa. « Ma come ? » avrebbe il diritto di chiederci, « voi adorate l' immagine di un morto ? » 18•

Il contrasto concettuale fra tabù sessuale e tabù "tanatologico" trova ef­ ficacia espressiva nel parallelismo pseudoscientifico sessuofobia/ tanaro­ fobia e sessuofilia/ tanatofilia. È un Bianciardi che non rinuncia alla sua vocazione per il gioco linguistico, ma che soprattutto sta proponendo un richiamo intratestuale a una sezione significativa dei suoi racconti, che sono retti proprio sulla dinamica del rovesciamento semantico. Così, la coppia antonimica tanatofobia/tanatofilia proposta nell'articolo riman­ da alla coppia sessuofobia/ sessuofilia che troviamo in un racconto del 1 9 63, I sessuofilP9, in cui lo scrittore mette alla berlina gli epigoni delle teorie di liberazione sessuale ( ispirati alle vecchie teorie p rebelliche di Wilhelm Reic h e alle riflessioni sull'eros liberato e liberatorio svolte ne­ gli anni Sessanta da Marcuse ) : una delle tante mode che lo scrittore ama sottoporre a uno sguardo corrosivo e nichilista, catalogandole di fatto ( a dispetto del loro dichiarato intento "alternativo" ) come espressione del consumo neocapitalistico : sezione marginale o di nicchia, ma pur sempre parte dell'offerta industriale e pubblicitaria. Nei Sessuofili la voce narrante è quella di un giovane marito che frequenta un gruppo di atti­ visti che operano per la « liberazione dai tabù sessuofobici » . Fra i tabù da combattere c 'è anche la pretesa della monogamia, cosicché il protago­ nista - che non gradisce le attenzioni che gli amici "sessuofili" dedicano a sua moglie - viene spesso accusato da loro di passatismo provinciale. Ma poiché la sua è la sola moglie sessualmente appetibile del gruppo, il protagonista finirà per mandare tutti al diavolo. La parola "sessuofilia" è naturalmente coniata, con meccanismo antonimico, su "sessuofobia': ter­ mine polemico del progressismo degli anni Sessanta che nel racconto vie­ ne continuamente iterato in diverse associazioni (blocco sessuofobico, tabu sessuofobici, civilta sessuofobica, morale rigidamente sessuofobica ecc. ) , ed è una reiterazione che finisce per assumere tratti ridicoli, facendo dell' ag­ gettivo una sorta di jlatus vocis desemantizzato. L'antonimo "sessuofili" assume per parte sua una valenza iperbolico-grottesca, ben evidenzia­ ta dal « bell'esempio di civiltà sessuofilica » offerto dagli abitanti delle

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« isole Trobriand » , che « consumano l'atto sessuale in forma collettiva e indiscriminata, come capita capita, e con accompagnamento di canti e danze erotiche » 30• Che mentre richiama l'utopia pan-erotica contenuta nella Vita agra3•, ne evidenzia maggiormente le connotazioni ironiche, tra il colloquiale e un po' corrivo «come capita capita » e il bellissimo «consumano l'atto sessuale » , che sembra riprodurre lo stile goffo di un verbale giudiziario. Il gioco distruttivo e irridente di Bianciardi colpisce concetti e valori correnti, l'esplosione vistosa dello stupidario dei nuovi luoghi comuni che popolano l' infinito chiacchiericcio contemporaneo. Nel meglio riuscito dei racconti erotici bianciardiani, La solita zuppa ( 1 9 6 5 ) , il meccanismo retorico del rovesciamento semantico diventa ad­ dirittura il principio generativo del racconto stesso. Eventi, personaggi e situazioni nella Solita zuppa sono, di fatto, una consequentia verborum. Bianciardi immagina un mondo in cui non viga il tabù sessuale, ma un rigido tabù alimentare. Non esiste il matrimonio monogamico, ma ogni individuo adulto dovrà unirsi in un indissolubile legame "monofagico": sceglierà dunque un cibo, e quello solo sarà il suo nutrimento per il re­ sto della vita. E mentre il sesso viene praticato liberamente e promiscua­ mente ( la sera si può andare « a sesso fuori » , o farsi portare a casa la consumazione desiderata, siano «vergini del Libano » o « montatori dell' Unione Sovietica » ) , il cibo è consumato di nascosto e con un in­ sopprimibile senso di vergogna. Il racconto costruisce così un sistema­ tico divertissement etimologico che rovescia le formule classificatorie delle lingue scientifiche ( medicina, psicoanalisi o psicologia ) o le parole correnti della comunicazione giornalistica : esiste così una pruriginosa e peccaminosa gastrografia ( mentre non è che banale presenza la pornografia, libera e incoraggiata ) , si parla difood-appeal ( costruito su sex-appea{) e di richiamo alimentare ( contro richiamo sessuale), e torbidi romanzi a sfondo gastronomico sono soggetti a censura, per evitare il turbamento e la diseducazione delle giovani generazioni. Ai profeti della liberazione sessuale ( messi alla berlina nei Sessuo.fili) corrispondono i sostenitori del­ la "liberazione alimentare", quali il professar de Marchi, celebrato autore di Cibo e liberta ( trasparente allusione a Eros e civilta di Marcuse ) . Una sistematica ricreazione linguistica ( potrebbe ricordare un esercizio anto­ nimico di OuLiPo ) che riformula il vocabolario della società, a comin­ ciare dalla più pervasiva delle forme contemporanee di comunicazione, quella pubblicitaria, che - ricorrendo alla forza incoercibile del richia­ mo alimentare - abilmente pubblicizza un'automobile con aggettivi come « appetitosa, succulenta, pepata, carnosa, croccante » 32•

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Viaggio in Barberia

Dato alle stampe lo stesso anno di Aprire ilfuoco, Viaggio in Barberia è, di fatto, l'ultimo libro scritto da Bianciardi. Uscito per L' Editrice dell'Automobile ( 1 9 6 9 ), il Viaggio racconta una spedizione automobili­ stica (Tripoli-Marrakech-Algeri) finanziata dalla rivista "l'Automobile" e dalla FIAT per pubblicizzare l'uscita della 125, l'ultimo modello della casa torinese. Il viaggio, al quale parteciparono lo scrittore con la com­ pagna Maria Jatosti e il figlio decenne Marcello, nonché l'autista-foto­ grafo Ovidio Ricci con la moglie (la finlandese Ritva Liisa Ruokonen, detta "Pitta"), si era tenuto nel settembre del 1 9 6 8. Nella Postfazione lo scrittore avverte che « l ' impresa che vi si narra fu collettiva » e che per la stesura del suo resoconto sono stati « mate­ rialmente » impiegati « ricordi, impressioni, persino un diario, che ap ­ partengono ai miei compagni » 33• Il gruppo dei partecipanti è un fattore non secondario nella materia narrativa e nella forma del racconto, che riporta spesso le impressioni dei singoli componenti, quasi a reinterpre­ tare la forma tradizionale del "diario" di viaggio, moltiplicandola nella pluralità dei punti di vista di un "diario" a più voci (e non mancano passi in cui una consapevolezza o una presa di coscienza del senso del viaggio costituisce una conquista del gruppo : « Cominciamo a capire che questa scorribanda in Barberia è anche un viaggio nella memoria. Cioè nell' in­ fanzia » 34). Le opinioni dei partecipanti (e i loro personali quadernetti), più che segnalare un dato di fatto, sottolineano comunque l'ambiguità, la parzialità soggettiva e le dinamiche intimamente pregiudiziali che ca­ ratterizzano la mente del viaggiatore: motivo che, come vedremo, risulta ricorrente nell' intero libro. Viaggio in Barberia nasce dunque come libro su commissione : allo scrittore non si chiede evidentemente un servizio giornalistico informa­ tivo o di carattere tecnico, ma un racconto brillante in cui egli metta in scena sé stesso, valendosi di un'esperienza giornalistica pluriennale di ritrattista di costumi e di situazioni comuni. Un diario "in presa diretta", secondo una modalità di scrittura bene evidenziata dall'uso pressoché costante del presente. Solo marginalmente - accanto alla quotidianità degli imprevisti e degli eventi curiosi - lo scrittore adotta la forma del reportage, toccando temi socioculturali (come il problema dell'emanci­ pazione femminile in Algeria), politici (gli effetti della rivoluzione in Algeria, il culto dei leader nei diversi paesi ecc.), o geopolitici e geoe-

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conomici, come avviene nel capitolo centrale del libro (il sesto di tre­ dici), intitolato Amilcar (dal nome di Cabrai, il capo della guerriglia in Guinea), dove l' incontro ad Algeri di alcuni famosi giornalisti inviati in Africa, lì convenuti per seguire un congresso pan-africano, offre l'occa­ sione per una riflessione sulle difficoltà presenti e future del continente nero e sulla pesante eredità del colonialismo35• Uno scritto occasionale, dunque, ma ricco di spunti interessanti : te­ stimonianza significativa di uno "stile medio" giornalistico di grande vitalità e mosso da un' inventività narrativa ancora capace di brillanti associazioni. Di qui deriva uno stile divagante che - fatta salva l'unità narrativa data dall'itinerario, dall'oggettivo spostarsi tra luoghi e per­ sone incontrate - si perde nelle considerazioni più varie, spesso con la consueta malizia bianciardiana, come nel caso delle riflessioni sul carat­ tere sempre "antagonistico" delle scritte nei gabinetti pubblici ( « anche quelle oscene sono contro, in fondo » )36• Altrove si sofferma sulla diffu­ sione in Occidente del DDT37; spesso tornano le amate memorie risorgi­ mentali, che ricorrono in imprevedute associazioni38; un intero capitolo (cap. 7) è dedicato alle canzoni di successo e ai loro testi. Pur nel contesto di una scrittura facile, quale si conviene alla desti­ nazione editoriale del libro, Bianciardi non rinuncia tuttavia al gioco del riuso, con una precipua tendenza a quello autoreferenziale. È pro­ prio questo, anzi, l'elemento che accomuna le ultime due opere dello scrittore ( Viaggio in Barberia e Aprire ilfuoco) uscite quasi contempo­ raneamente, ma che appaiono per il resto così lontane per stile, temi e destinazione. Se il carattere fortemente sperimentale della scrittura di Aprire ilfuoco ne fa un romanzo difficile, nel Viaggio Bianciardi adotta una sorta di double code che, senza complicare l' immediatezza di una fruizione superficiale del testo, si presta alla lettura meno banale di un lettore più attento in grado di decodificare la peculiare parole bianciar­ diana. Una sorta di lettore fedele dello scrittore grossetano, che sappia cogliere le emergenze del suo idioletto. Vediamo alcuni casi esemplari. La constatazione della presenza di moltissime mosche suggerisce una disquisizione sui "tafani" e sul verbo toscano "tafanare" ("assillare, non lasciare in pace"), che rimanda ovviamente alla felice invenzione del "ta­ fanatore", che nella Vita agra designava il venditore professionale : una delle figure-simbolo della contemporaneità commerciale, metropolitana e neocapitalistica (e un « tafano » , un' importuna guida-traduttore, ac­ compagna, non richiesto, il narratore per Fez)39• Ma si veda, soprattutto, la figura di nonna Albina, che è un evidente richiamo a una particolare

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mitopoiesi creata nella Vita agra, dove la donna era indicata come lon­ tana discendente di Alì-Ad-Kurz, il sultano che aveva eletto una lontana pro genitrice di nonna Albina (che infatti di cognome faceva "Accorsi") come sua favorita. Nel romanzo del 1 9 6 2 il narratore si era così attribuito una lontana origine "mora" ( « lo non ho mai avuto pregiudizio alcuno contro i mori. [ ... ] Oltre tutto, perfettamente bianco non sono neppure io » 40) : connotando così la propria voce come quella di un marginale, di un non integrabile, di un "negro" appunto, secondo un senso genera­ to dall'allusione al saggio di Norman Mailer ( The White Negro, dove il "negro bianco" è appunto il beatnik, il disadattato) contenuto nella già ricordata antologia, tradotta per Guanda del 1 9 6 141• Già nel romanzo del 1 9 6 2 si parla della favolosa eredità dal Marocco cui la nonna, morta nel 1 9 29, accennava sempre : la signora Albina, così alta, solenne, vestita di nero, quando fermava me bambi­ no per strada e mi offriva il tamarindo, ogni volta mi prometteva un bel regalo, appena da Fez le fossero arrivati i quattrini dell' eredità42•

Il richiamo a questo luogo della Vita agra compare come un Leitmotiv nel corso del Viaggio in Barberia: fino agli ultimi capitoli, quando la co­ mitiva arriva a Fez (da dove sarebbe dovuta arrivare la mitica somma) e poi a Rabat, la capitale politica e amministrativa, dove si accarezza il balzano progetto di avanzare al re in persona un' interpellanza. Ma prima che una comica e un po' stralunata occasione narrativa, l'e­ redità di nonna Albina suggerisce l'ambiguità del rapporto tra il narra­ tore (europeo e necessariamente portato ad adottare un'ottica "europea", ma anche un poco "moro") e il mondo visto nel viaggio. Un continuo passaggio tra somiglianza e diversità che rende inafferrabile il senso del mondo guardato. A cominciare dallo stesso incerto statuto che caratte­ rizza la « Barberia » , che è un luogo esotico (e dunque è una manifesta­ zione dell'Altro, e come tale incomprensibile e generatore di continui fraintendimenti), ma nel contempo è un luogo storicamente vicino, le cui vicende si sono da secoli intrecciate a quelle della nostra sponda del Medi terraneo43• Un 'ambiguità e un' indeterminatezza che vengono declinate in vari modi nel libro. A cominciare dalla scelta del toponimo, per cui si adotta una denominazione di sapore antico quale Barberia44• Ma che, soprat­ tutto, gioca su un doppio senso tutto grossetano, giacché Via dei Barberi - questo il titolo del primo capitolo - indica anche la strada di Grosseto

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«che faceva angolo con la via del Saracino » 45, dove sorgevano due case di tolleranza, cosicché andare in "via dei Barberi" aveva all'epoca un am­ biguo e malizioso significato. Ma il luogo è anche un'eco del passato, dell' infanzia e della giovinezza grossetana, un motivo che lo scrittore riprenderà a conclusione del libro, ponendo la riscoperta dell' infanzia e del proprio passato tra le "lezioni" ricavate da quella esperienza 46• Talora gli elementi autocitazionistici implicano vere e proprie micro­ scopie testuali. È il caso della discussione linguistica con Pitta, per cui il narratore chiede se in finlandese esiste la "rotacizzazione intervoca­ lica". Il fenomeno di glottologia storica era ricordato, sulla soglia della scorribanda pseudoerudita che apre La vita agra, nelle righe iniziali del romanzo per spiegare il passaggio da Breite o Braida a Brera ( « la rota­ cizzazione della dentale in tervocalica, che oggi grazie al cielo non è più un mistero per nessuno» )47• È da ricordare, infine, una rara pagina in cui lo stile del racconto - pre­ valentemente medio e colloquiale - assume tratti di sapore sperimentale, che va in realtà anch'esso ricondotto a un meccanismo autocitazionisti­ co. Ci riferiamo al racconto di un incubo (vissuto in una sorta di dormi­ veglia) che visita il narratore in una delle ultime notti passate in Africa48• Se l'accavallarsi delle frasi sconnesse è caratteristica della trascrizione oni­ rica, va però notato che a visitare la mente del narratore non sono solo « immagini vaghe » , ma soprattutto «parole che recupero qua e là » , ed esattamente parole "letterarie", desunte da due diverse liriche dell'amico Vittorio Sereni, che vengono intarsiate nel testo, affiorando per associa­ zione involontaria. Nella prima parte dell' incubo sono riportati alcuni versi tratti da Frammenti di una sconfitta, una delle ultime liriche del Dia­ rio d'Algeria (1947 )49; nella seconda parte sono inseriti alcuni versi tratti dalla lirica Il male d'Aftica (dedicata A Giansiro [Ferrata] che va in Alge­ ria)50, della raccolta Gli strumenti umani (196 5)51• La pagina ripropone, in altri termini, ciò che possiamo considerare un ulteriore richiamo alla Vita agra, e alla pagina finale del romanzo, dove la semicoscienza che pre­ cede il sonno assume la forma del coacervo confuso di parole di libri (nel bilinguismo anglo-italiano del delirio di un traduttore). Il richiamo al Sereni "algerino" appare, per altro, in una delle prime pagine del Viaggio, dove il narratore lamenta la dimenticanza del libro dell'amico poeta, che lo costringe a seguirne le tracce sul filo labile della memoria (e a memoria ricorrono versi della quarta lirica del Diario d'Algeria )5l. La presenza di libri altrui - dato ricorrente nella scrittura bianciar­ diana - viene del resto confermata nel Viaggio. Ad esempio, allusioni

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alla lirica otto-novecentesca, per cui i cimiteri non recintati di Libia ri­ chiamano quelli inglesi di I sepolcri (dove « le britanne vergini vanno a pregare per il ritorno del prode che fece tronca la trionfata nave nemi­ ca » 53); o le rovine di Mansura, che suggeriscono un inserto ungarettiano ( « di questo paese non è rimasto che qualche brandello di muro » )54• Ma non mancano richiami espliciti: all' Edipo re di Pasolini, a Fausto e Anna di Cassola, e a Boccaccio, chiamato a testimone dell'uso (sia cristiano sia musulmano) di chiamare con titoli onorifici nobiliari i santi ( « un celebre frate - sia pure d' invenzione boccaccesca - addirittura parlava del " barone messer Santo Antonio" » )55. Assai meno evidente è poi il richiamo alla « baia del Chesapeake » , che allude a The Sot-Weed Factor (Il coltivatore del Maryland), il romanzo fiume di John Barth, che Bian­ ciardi aveva tradotto l'anno prima per Rizzoli 56• Dialogare con i libri è una componente essenziale della scrittura di Bianciardi, a partire dal semisconosciuto palinsesto (un'ottocentesca guida milanese) che attiva il piro tecnico incipit della Vita agra. Tra i libri con cui il narratore dialoga nel Viaggio c 'è anche una non meglio preci­ sata guida dell'Algeria (ma si tratta di Le nazioni dell:Africa. L:Algeria57), opera di Malek Haddad (allora direttore del ministero dell' Informazio­ ne algerina), da cui Bianciardi trascrive alcuni stralci: una retorica vuota e magniloquente, perfetto contraltare della scrittura concreta inseguita nel Viaggio 58• Per quanto misurata, la dimensione citazionistica e metaletteraria è nel Viaggio una componente importante, e coinvolge l' immagine stessa della professione dello scrittore. A ogni passaggio di frontiera, dovendo spiegare alle perplesse guardie che cosa significa il «pubblicista » che compare sulla carta d' identità (alla voce "professione"), il narratore spie­ ga che di mestiere è « écrivain » , inaugurando una battuta che ripeterà a ogni frontiera, compilando i moduli (fiches) richiesti: oso scrivere écrivain e continuerò a scriverlo fino alla fine del viaggio, per sentir­ mi ogni volta chiedere : « Qu' est ce que vous écrivez, monsieur ? » e alla fine non mi tratterrò dal rispondere : « Sourtout d es fiches, merci » 59•

Il gioco autoironico di riduzione della propria professione di "scrittore" si conclude quasi alla fine del viaggio, quando a Casablanca l'automobi­ le viene svaligiata di tutto il suo contenuto, eccettuata la macchina per scrivere del narratore : « la faccenda è umiliante » , commenta lo scritto-

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re, « questo strumento di lavoro non viene preso sul serio dai ladri. Lo stimano poco più, o poco meno, che un inutile ingombro » 60• Un motivo che attraversa l' intero libro è, come si diceva, quello del rapporto con l 'Altro, la cui inafferrabilità viene declinata attraverso una pluralità di situazioni narrative, di immagini e di riflessioni. A comincia­ re dal dedicatario del Viaggio, che è Ovidio. Una dedica ambigua, riferi­ bile sia al fotografo e autista della spedizione, Ovidio Ricci, sia al poeta di Sulmona, il gioioso e disinvolto cantore degli Amores, che conclude tristemente la sua vita in esilio sul Mar Nero ( trapiantato in una terra inospitale e che gli rimane estranea ) . La sovrapposizione tra Ricci e l 'an­ tico poeta è data dallo stesso Bianciardi, che talora designa come «poeta romeno » il fotografo61, suggerendo la condizione dell'esiliato, dell' indi­ viduo inserito in una terra straniera ed estranea, come condizione che fa da sfondo al racconto, in una sorta di radicale incomunicabilità. Si veda l' incipit del Viaggio: Non mi fu mai detto, ma credo fosse questa l' ipotesi lavorativa, nella mente di chi decise e propose la spedizion e : prendere cinque persone poco meno che normali, caricarle a Tripoli sopra una vettura perjèttamente europea, comandar loro di raggiungere, a bordo di quella vettura, i margini del Sahara ecc.6l.

Le battute iniziali indicano l'occasione economica dell' impresa ( la sua « ipotesi lavorativa » ) , la sua causa immediata. Ma mentre suggerisco­ no il senso dell'operazione pubblicitaria ( cinque persone normalissi­ me, due coppie e un bambino, abituate alle comodità della moderna vita europea, possono percorrere un lungo viaggio in una terra esotica e ancora misteriosa come il Nordafrica ) , segnalano anche la natura del resoconto che segue. La "perfetta europeità" della vettura allude alla na­ tura "perfettamente" europea dei suoi occupanti; e quindi l'esperienza che essi faranno, entrando in contatto con quel mondo, non può che essere esperienza dell'alterità, segnata dall' incidenza dei luoghi comuni, dei pregiudizi e del fraintendimento come possibilità costante ( e a una percezione contrassegnata dal fraintendimento e dall' illusorietà allude il terzo capitolo : I miraggi). E segnata necessariamente dalla moda per il selvaggio esotico : una delle molte manifestazioni del consumo occiden­ tale e dei suoi ondivaghi flussi, che suscita una risentita apostrofe ( « Tu credi, europeo marcio, di amare il deserto » ) 63. È in questi termini che il tema dell'Altro attraversa come un filo rosso l 'intero diario di viaggio. Sul piano narrativo il tema trova espressione

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nella tendenza dei viaggiatori a riportare ogni esperienza e particolare al già noto, sulla base di un meccanismo di appropriazione dell'esperienza che, causa la «pigrizia » , ci spinge « a capire le cose per analogia » : Sono troppe le cose che alla Pitta rammentano la Finlandia. [ ... ] Ma poi, a pensarci bene, anche noi facciano così. Esempio, subito fuori Co­ stantina, che cosa abbiamo visto, Ovidio e io ? La gola del Fumo. Cosa ho visto io, subito fuori Setif? Ho visto i calanchi di Volterra. E la Goulette non ha fatto forse venire in mente a Maria Ostia com'era nel 1 9 3 6 ?64

Un atteggiamento eurocentrico su cui il narratore esercita meccanismi autoironici. È lui stesso, infatti (pur consapevole che occorre rinunciare subito « a misurare ciò che vedi con metri europei » 65), a servirsi di pa­ ragoni con la storia occidentale per chiarire le cose : hai conosciuto « un nuovo Garibaldi » , dice al figlio che ha stretto la mano ad Amilcar Ca­ bral66; in visita a un santuario confronta sistematicamente (alla ricerca di analogie illuminanti) le pratiche devozionali locali con quelle italiane67; da « aristotelico impunito » durante una memorabile cena a Fez troverà costantemente analogie con cibi italiani68. Va però detto che il fraintendimento riguarda più spesso il segno linguistico (la parola scritta o parlata), come nell'emblematico stupore per un personaggio che una lapide dice essere nato nel 1945 e morto nel 1 9 2 8. Errore derivato da un fraintendimento simbolicamente esemplare : la specularità o rovesciamento della scrittura araba (da destra a sinistra) rispetto a quella europea. Non a caso il libro è intessuto di divagazio ­ ni linguistiche talora serie, come la disquisizione sulla toponomastica araba (souk, che significa "mercato", e che produce toponimi analoghi ai nostri Mercatello, Mercatale ecc.; o bir, che significa "pozzo", anch'es­ so ricorrente, al pari dei tanti nostri « Pozza, Pozzaglio, Pozzillo, Pozzo, Pozzolo e Pozzuoli » 69). La mediazione della lingua - della lingua tradotta, interpretata, frain­ tesa o arricchita da analogie - rimane il rapporto principale e pervasivo dello scrittore con il mondo. E il libro non può che restare l'orizzonte ineludibile dell'esperienza del viaggio, destinato del resto a diventare esso stesso un libro, quello che Bianciardi - nel momento in cui lo com­ pie, in un presente diaristico che idealmente fa coincidere esperienza e scrittura - sta scrivendo. A conclusione del viaggio, tirando le somme dell'esperienza appena compiuta (lo scrittore parlerà di un viaggio "fisi­ co': ma anche di un viaggio "nella propria infanzia" e "nella libertà"), la

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prospettiva che si apre per i viaggiatori è quella di tornare in un "mondo di libri": « libri da tradurre, libri da scrivere, libri da leggere, libri da illu­ strare, libri da impaginare » 70• « Libri da tradurre » , ad aprire la lista degli impegni incombenti una volta a casa. Il procedimento interlinguistico, che nel corso del Viaggio media il rapporto con le persone e i luoghi visti, non può non rimandare infatti al mestiere del traduttore, alla quotidiana fatica del "ribaltare" che fa di lui un "lavoratore" della macchina per scrivere. Bianciardi ripropone continuamente nel racconto del viaggio le di­ namiche fuorvianti del fraintendimento che caratterizza il rapporto con l'Altro e con la sua lingua, e che riflettono sul piano dell'esperienza "fisica" dell'attraversamento della Barberia la propria stessa esperienza: un' intera vita trascorsa come "viaggiatore" tra i libri degli altri, tra le parole degli altri.

IO

Ultimi bagliori : Aprire ilfuoco

Il grigio esilio di Nesci

L'ultimo romanzo di Bianciardi, Aprire ilfuoco, esce presso Rizzo li nel 1 9 6 9. « Scritto a Nesci nel marzo 1 9 6 8 » si legge in calce al testo, un' in­ dicazione che sottolinea la confusione costante tra piano della realtà e piano dell' invenzione che lo caratterizza, quel mescolamento tra auto­ biografia e scrittura finzionale che viene ora portato alle estreme conse­ guenze : Nesci è infatti il nome di invenzione assegnato dallo scrittore a Rapallo, che è la cittadina ligure dove vive il protagonista del romanzo (che ne è il narratore in prima persona), ma è anche il luogo in cui lo scrittore Luciano Bianciardi si è effettivamente trasferito nel 1 9 6 5 . Dun­ que, la notazione paratestuale che segnala al lettore luogo e tempo della scrittura - che convenzionalmente si vorrebbero collocati fuori dello spazio dell' invenzione - viene essa stessa ibridata di fattori finzionali. Cosicché Nesci - luogo reale reinventato dalla scrittura romanzesca diventa il segno di uno statuto di realtà incerto, in una indeterminatezza dei confini tra reale e immaginario che sovrappone i due campi. Tutta toscana (e di un toscano dal sapore ottocentesco, tra un Giusti e un Bandi, così cari al grossetano Bianciardi) è la parola "nesci", quasi esclusivamente usata nella locuzione "fare il nesci", cioè fingere ignoran­ za e ingenuità, mostrare inconsapevolezza. Una toponomastica d'in­ venzione, dunque, ma dal significato trasparente : la tranquilla cittadina ligure, luogo di oziose svernate e di quieti tramonti pensionistici, bene rappresenta il ritiro dalla vita dell'appartato protagonista del romanzo, e nel contempo allude alla marginalità e all' isolamento che effettivamente Bianciardi scelse, lasciando il caos milanese per andare a vivere a Rapal­ lo, con la compagna Maria Jatosti e il figlio Marcello. Opera ambiziosa e informe, sperimentale non senza eccessi virtuo­ sistici, con una tendenza all' autoreferenzialità e all' obscurisme, che ha

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spiazzato anche critici benevo lP. Aprire ilfuoco appare come la sintesi di due linee fondative della scrittura bianciardiana: da una parte - come si è accennato - l' immancabile autobiografismo ; dall'altra la tendenza a basare la narrazione sul ricorso sistematico al riuso della parola altrui e della propria: fino a pagine che esplodono in un vero e proprio deli­ rio citazionistico, creando un collage caotico che è espressione estrema del " barocco" bianciardiano, la sua vocazione al pastiche e alla collisione polilinguistica, alla confusione degli stili e delle lingue. Anche in Aprire ilfuoco (come nella Battaglia soda) la narrazione utilizza un palinsesto identificabile (ma non dichiarato) che fornisce un' importante traccia narrativa. Anche in questo caso (come il Bandi della Battaglia soda) un testo ottocentesco, i Ricordi di gioventu di Giovanni Visconti Venosta. Diversamente dalla Battaglia soda, però, i Ricordi del nobile patriota milanese forniscono sì il nucleo narrativo centrale (quello che racconta l' insurrezione delle Cinque giornate di Milano, nei capitoli dal nono al quattordicesimo del romanzo), ma non guidano lo scrittore alla rigorosa operazione monolinguistica e monostilistica della Battaglia soda. Sul piano tematico, dunque, con Aprire ilfuoco Bianciardi ripropone, come già nel precedente romanzo, il Risorgimento, anche se è un Risorgi­ mento discronico e distopico. Il protagonista del romanzo (anche questa volta - e la cosa non stupisce - un traduttore), per misteriose ragioni politiche e personali che solo nel corso della narrazione si chiariranno, ha dovuto abbandonare Milano e il Lombardo-Veneto, perché inviso all'oc­ chiuta e censoria amministrazione austriaca. Se lo sfondo storico-politico è infatti quello, ben riconoscibile, dell' Italia preunitaria negli anni tra il 1 847 e il 1848 (e l'episodio centrale del romanzo è costituito da un raccon­ to storicamente esatto delle gloriose Cinque giornate del marzo 1 848), la storia è tuttavia ambientata nel 19 59. Illustri protagonisti del Risorgimen­ to italiano si muovono sullo sfondo di una metropoli moderna, moto­ rizzata e televisiva, e vivono fianco a fianco con esponenti della cultura o della politica degli anni Sessanta. Un mescidamento caotico e spiazzante di anacronismi, dunque. Ma che esso costituisca un fattore importante del romanzo e del suo senso Bianciardi lo segnala in modo sottilmente paradossale nell'ultimo intervento para testuale del libro, un Avviso al let­ tore, che spicca proprio per la sua, anch'essa spiazzante, inutilità : Nel marzo del 1 9 5 9 successero a Milano parecchie cose, ma non vi fu alcuna in­ surrezione armata di popolo. I giornali dell'epoca me ne danno conferma. Ciò vuol dire che i fatti raccontati in questo libro sono un'invenzione. Purtroppo sP.

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Un dato noto e ovvio per il lettore, che a Milano nel 1 9 5 9 non c 'è stata alcuna rivoluzione armata, viene fatto oggetto di una specifica indagine sulle fon ti (la lettura dei « giornali dell'epoca » ) e diventa l'esi to di un motivato giudizio ( « Ciò vuoi dire che » ) . L'abituale gusto bianciardia­ no per il paradosso, segnalando a libro finito l'ovvio (i fatti narrati sono « invenzione » ) , complica e problematizza il senso complessivo dell'Av­ viso. Al centro del romanzo c 'è la consapevolezza di mancanze e vizi che attraversano l 'intera storia unitaria: che ha deluso le attese di giustizia e di libertà, relegandole nell'area incerta dei sogni e delle utopie. E c 'è anche - non meno importante - un caos irrimediabile, che confonde la realtà e l' invenzione, nel quale neppure il racconto finzionale (che è sempre ricerca di un ordine razionale del mondo) può intervenire effi­ cacemente, perdendosi anzi nell' indistinzione tra la finzione e la realtà, tra i piani temporali del passato e del presente, dell'evento in corso e del giudizio storico sull'accaduto. Ogni valutazione del romanzo non può prescindere da questo dato di fatto euristico : disto pie, discronie e anacronismi, miscelati in una confusione sistematica, non sono che la traduzione in scrittura di una realtà impermeabile a ogni sforzo di ri­ strutturazione e riordinamento logico. È difficile dissentire da Maria Clotilde Angelini quando indica nel ripiegamento e nella rassegnazione il tratto principale dell'ultimo ro­ manzo di Bianciardi, così lontano dallo spirito dissacrante e rabbioso della Vita agra. Il protagonista del romanzo è un uomo che si lascia vi­ vere, rintanato in giornate sempre uguali, che si crogiola nell' inazione, nella stanca ripetitività di gesti e abitudini. Trascorre le sue giornate in attesa (ma è un'attesa nutrita di scarse speranze) che finalmente i "no­ stri" agiscano e un grande moto rivoluzionario scacci dal paese il domi­ natore straniero, gli odiati austriaci. Il suo non è l'esilio eroico e indo­ mito dell'eroe foscoliano-mazziniano, che rifiuta ogni compromesso e magari prepara nell'ombra il riscatto3; la sua è piuttosto un'attesa vuota e monotona, che bene si presta a rappresentare metaforicamente la con­ dizione esistenziale di un esilio dalla vita, la rinuncia grigia di chi, sordo a passioni e desideri, non può che "fare il nesci", chiamandosi fuori da impegni, doveri e sofferenze. Il protagonista - racconta Bianciardi in una delle prime pagine del romanzo - è fornito di un'efficiente dotazio ­ ne di cannocchiali e binocoli (che sono descritti con quell'attenzione per il dettaglio tecnico che sappiamo caratteristica dello scrittore), con i quali osserva il « gabellino» (che nel romanzo indica la casupola dei do­ ganieri, ma nella realtà è ispirato al casello autostradale di Rapallo, che

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era effettivamente visibile da casa Bianciardi), per vedere con un certo anticipo l'arrivo dell'esercito dei patrioti insorti. Azione evidentemente insensata (a quale scopo strategico antivedere di qualche minuto l'arrivo dei "nostri", motorizzati e perciò, evidentemente, veloci ?), che vale inve­ ce per il suo valore simbolico : cannocchiale e binocolo sono gli strumen­ ti del voyeur, che assiste senza parteciparvi ai godimenti altrui, o penetra lo sguardo in intimità che non gli pertengono. Ed è un nesso suggerito dal narratore stesso, che dice di preferire far credere alla padrona di casa (con la quale condivide la quotidianità giornaliera e, con meccanica e regolare se pur non appassionata frequenza, il letto) che « questa sia una mia innocente fissazione, intendo dire che me ne serva [di cannocchiale e binocoli] per spiare le donne pelose quando si affacciano in camicia da notte alla finestra, dai tanti casolari sparsi su per questi ameni poggi » 4• Tra Storia e storia

Suddiviso in quindici capitoli, il romanzo si apre con la descrizione della quotidiana passeggiata mattutina che il protagonista compie sul lungo­ mare di Nesci. Al pari della Vita agra (che l' incipit esplicitamente richia­ ma : « Tutto sommato io darei ragione al povero Ponzani» è un'evidente ripresa dell' incipit del romanzo del 1962: « Tutto sommato io darei ragio­ ne all'Adelung» ), Aprire ilfuoco si apre con un vero e proprio tour de force stilistico : una scrittura divagante e allusiva, in tessuta di giochi di pa­ role, di imprevedibili nessi analogici, di erudizione scherzosa e talora pa­ radossale, un pastiche costruito con inserti pluriliguistici (dall'inglese a vari dialetti italiani), e con una mescolanza di stili e codici in cui l'espres­ sione popolaresca e volgare convive con la citazione aulica o con il non­ sense. Il protagonista - come si apprende nel secondo capitolo - è un traduttoreS, che ha affittato una camera presso una signora (vedova ? ma­ dre nubile ?), madre di un bimbo che frequenta le elementari. Conduce una vita grigia e metodica, raccontata con puntuale precisione : la colazio­ ne, il pranzo, il riposino pomeridiano, il lavoro casalingo di quotidiana traduzione. Con la padrona di casa intrattiene un rapporto intimo (ha con essa abitudinari rapporti sessuali pomeridiani) ma formale, contras­ segnato da comunicazioni brevi e sempre uguali ( « "Come si sente ?", chiede la padrona. "Abbastanza bene, grazie, e lei ?". "Insomma. È buono il tè ?". "Sì. Grazie, signora". "Vuole che ci appartiamo ?': chiede ancora. "Magari" dico io e me ne ritorno filato in camera mia. Lei raccomanda al

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bimbo di stare buono davanti alla televisione dei ragazzi e poi mi rag­ giunge in camera mia » ) 6• Ogni tanto va a Milano ( cap. 3) per consegnare il lavoro fatto, ma andando e tornando in giornata ( per timore, dormen­ do in città, di essere arrestato ) e viaggiando in incognito ( con abito gri­ gio, « con la camicia bianca da ragioniere » e una cravatta ) 7• Il narratore accenna ai suoi lontani guai con la giustizia, che ricordano le beghe giudi­ ziarie che effettivamente Bianciardi ebbe dopo l'uscita della Vita agra 8 : ricordi straniati e inseriti sullo sfondo di una Milano dominata dagli au­ striaci, in cui le sedi del potere sono tutte "imperial-regie" ( "kaiserliche un d konigliche": la tipica formula dello Stato asburgico, la cui abbrevia­ zione, "k. k.': aveva suggerito a Musil la denominazione "Kakania" ) e in cui l'odiata Montecatini diviene la " I G Farben': il colosso chimico tede­ sco la cui dirigenza fu processata a Norimberga per le compromissioni con il regime nazista9• Il narratore racconta anche, in flashback, la rocam­ bolesca fuga seguita a una sua condanna ( cap. 4) dopo essere stato citato in giudizio dal suo mortale nemico ( dietro il quale si cela la figura reale dell'editore Bompiani, che effettivamente portò Bianciardi in tribuna­ le ) 10, che nel corso di tutto il romanzo viene più volte ricordato, ma con nomignoli derisori, ogni volta rinnovati con puro gusto osceno o scatolo­ gico11. Riandando al suo passato, il narratore ricorda poi il suo lavoro a Milano presso la casa editrice « Filz und Filzelein » ( allusione alla Feltri­ nelli ) , dalla quale viene inopinatamente licenziato all'inizio del 1958, nonché la sua nuova attività di precettore ( procuratagli dal patriota Ce­ sare Correnti ) dei tre rampolli di una nobile casata milanese rimasti orfa­ ni del padre ( cap. 5). Il rapporto di fiducia e di simpatia che si instaura con i tre giovani fa sì che il narratore entri in contatto con la migliore intellet­ tualità milanese. Sul piano politico sono mesi di grande fermento e di nuove speranze, rievocati in un complicato mescolamento di richiami storici contemporanei e di avvenimenti di poco precedenti l' insurrezione milanese del 1 848, che presentano come cronologicamente coincidenti l'ascesa al soglio pontificio del cardinale Roncalli ( divenuto papa Gio­ vanni XXIII nell'ottobre 1 9 5 8 ) e la nomina a cardinale di Milano del ve­ scovo Bartolomeo Romilli ( che assunse la carica nell'aprile del 1847 ). È un quadro politico-culturale mosso, quello delineato dal narratore, che ricorda tra i principali schieramenti dell'epoca non solo gli ottocenteschi neoguelfi e filopiemontesi, ma anche i contemporanei « seguaci di To­ gliatti » ( il Partito comunista italiano, naturalmente ) , e che accorpa nel partito dei repubblicani, assieme a Mazzini, anche Marx, il leader cinese Mao Zedong, quello vietnamita Ho Chi Minh e il filosofo tedesco Her-

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bert Marcuse (pensatore di riferimento della protesta giovanile degli anni Sessanta) ; e che, infine, accomuna nel partito dei sostenitori della « guer­ ra per bande » , o guerriglia, il patriota ottocentesco Carlo Pisacane, Che Guevara e il generale nordvietnamita Giap (cap. 6). Mentre il fermento antiaustriaco cresce di giorno in giorno (cap. 7 ), il capodanno del 1 9 5 9 il narratore conosce la bella Giuditta, una giovane romana di estrazione borghese, fervente patriota, che per molti versi richiama la Anna della Vita agra (ennesima trasfigurazione, dunque, di MariaJatosti). Proteste e malcontento portano ai primi scontri di piazza tra patrioti e austriaci (cap. 8 ), che il 22 febbraio proclamano la legge marziale, mentre i milane­ si cominciano segretamente a preparare l'insurrezione (cap. 9 ). La rivolta aperta esplode il 19 marzo (la stessa data della prima delle Cinque giorna­ te milanesi). Da questo punto in poi il racconto dell' insurrezione di Mi­ lano - che si estende fino al quattordicesimo - è direttamente ispirato alle memorie autobiografiche di Giovanni Visconti Venosta, che nel 1848 aveva diciassette anni, ma che partecipò attivamente alle Cinque giorna­ te12. Lo stesso Visconti Venosta figura, anzi, come uno dei principali per­ sonaggi del romanzo : è infatti uno dei tre ragazzi di cui il narratore è precettore. Mentre Milano si riempie di barricate e si organizza la lotta armata (cap. 10) contro l'esercito austriaco (guidato, come nel 1 848, da Radetzky ), il narratore e il suo allievo Giovanni sono assegnati alla difesa della zona Monforte, sotto il comando di un certo ingegnere Alfieri, che, cominciando presto a dare di matto e a impartire ordini assurdi e sangui­ nari, viene immobilizzato e internato (il personaggio e la situazione sono effettivamente desunti dai Ricordi di Visconti Venosta). La rivoluzione che infuria a Milano sembra realizzare l'utopia di un'organizzazione spontanea e non verticistica (con un'assenza di convenzioni militari che efficacemente spiazza gli ufficiali austriaci) ; sembra la realizzazione di un'utopia libertaria di cui è espressione il venir meno del « comune senso del pudore » (cap. n ) : un trionfo di baci e accoppiamenti fugaci che de­ terminò, in quei giorni di gioioso eroismo, un forte incremento dei casi di gravidanza. Il 22 marzo la presa di Porta Vittoria consente di spezzare l'accerchiamento austriaco del centro cittadino (cap. 12). Viene così ripe­ tuta (centoundici anni dopo) l' impresa del patriota Luciano Manara del 1 848, seguita anche nella tattica adottata : l'utilizzo di barricate mobili, che nel 1 848 erano costituite di fascine, e ora sono costruite con quattro autobus dell'ATM saldati l'uno all'altro. Gli austriaci abbandonano la cit­ tà, che festeggia (cap. 13). Ma presto le divisioni dei vincitori e le incertez­ ze consentono a Radetzky di rientrarvi. Abilmente il governo austriaco

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non fa rappresaglie, ma prende misure populistiche che attirano le simpa­ tie dei ceti più bassi. La « settimana del bianco » ( che è anche, per ovvia analogia, il colore della Democrazia cristiana ) alla Rinascente bene rap­ presenta la fine delle speranze e la conquista, da parte del potere, di un consenso comperato con la ripresa dei consumi ( « esponevano lenzuola, federe, tende per finestre, asciugamani di spugna, brachette, sottovesti, reggipetti » ) 13• Concluso il lungo flashback, il tempo della storia torna al presente ( cap. 14), proponendo un bilancio tattico e politico dell' insurre­ zione milanese, di cui ormai nessuno più parla, come se fosse completa­ mente uscita dalla memoria collettiva degli italiani. La narrazione cede ora il posto a una scritrura saggistica che argomenta con lucidità tesi pro­ vocatorie. Bianciardi parla dell' immaginaria rivoluzione milanese del 19 59, per parlare del Sessantotto e della protesta srudentesca. Nel capitolo conclusivo ( cap. 15) apprendiamo che Giuditta è tornata a Roma, dove ha sposato un facoltoso commerciante : rientrando anche lei, dunque, nell'ordine borghese solo momentaneamente turbato dallo spirito insur­ rezionale delle Cinque giornate milanesi. Le pagine finali ripropongono, con perfetta circolarità, la descrizione della monotona quotidianità di Nesci: le parole sempre uguali scambiate con la padrona di casa, gli abitu­ dinari accoppiamenti, il solito « battonaggio o ribaltamento » (cioè il quotidiano lavoro di traduzione ) 14• Le ultime righe ricapitolano la vita priva di scopo di un escluso, che ancora pensa alla rivoluzione tradita, ai sogni infranti di palingenesi sociale e di giustizia, che pencola tra auto­ commiserazione e impennate di velleitario orgoglio : Ora sapete tutto. Sapete come si può ridurre un uomo costretto dall'oppressore all'esilio. Io guardo ancora dal finestrone, giù verso il gabellino, ma c'è più spe­ ranza che il segno mi venga ? Una cosa è sicura, e io voglio che lo sappiano, tutti gli Staatsanwalt [procuratori, pubblici ministeri] degli Absburgo [ ... ] il vecchio Mauser che mi fu compagno nelle cinque giornate l ' ho con me, nascosto. Se mandano qua un altro loro aguzzino, io sono pronto ad aprire il fuoco15•

Anacronie sessantottesche

Come si è accennato poco sopra, i Ricordi di gioventu di Giovanni Vi­ sconti Venosta costituiscono l' ipotesto di tutta la sezione centrale del libro, dedicata al racconto che il narratore ora in esilio fa ( in forma di flashback) dell' insurrezione milanese del 1 9 59. L'opera di Visconti Ve-

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nosta, pubblicata nel 1 9 04, era stata scritta (secondo quanto si ricava dalla Dedica dei Ricordi di gioventu, rivolta ai n ipoti e datata « agosto 1 9 0 0 » ) sul finire del secolo, dunque a distanza di molti anni dagli eventi narrati (compresi tra il 1848 e il 1 8 6 o : tra i diciassette e i ventinove anni dell'autore). A prescindere dal generico gusto bianciardiano per la riesu­ mazione di testi ottocenteschi di tema risorgimentale, la scelta dei Ricor­ di di gioventu sembra suggerita dalle considerazioni che il memorialista propone, nelle prime pagine del libro, parlando del 1 848 come dell'anno che segnò una svolta epocale ( « la massima linea di demarcazione » tra il passato e « i tempi nuovi » ) , più ancora che nel quadro politico della nazione, nei costumi quotidiani ( « nelle abitudini domestiche, nella vita cittadina, nelle usanze » )16, che in passato erano improntati a un' «edu­ cazione più severa ; si ragionava poco e si ubbidiva molto » 17• Parole che sembravano collegare idealmente - proprio sul piano di una rivoluzione delle relazioni tra le generazioni - il 1848 narrato dal gentiluomo mila­ nese con il 1 9 6 8 e i radicali cambiamenti dei costumi che la contestazio­ ne giovanile faceva emergere. La scelta di quel palinsesto narrativo indica dunque il senso di una commistione che costituisce un' importante chiave interpretativa del ro­ manzo, che saccheggia dalla storia per parlare in qualche modo, se pure per scorci e attraverso una diffrazione deformante, del presente. Che è quanto viene confermato dal gioco dei continui anacronismi, dal siste­ matico mescolamento delle cronologie. Ad esempio, il salotto liberale della contessa, madre dei tre ragazzi di cui il protagonista è stato pre­ cettore, è sì frequentato da Cesare Correnti e Carlo Cattaneo (grandi esponenti della cultura risorgimentale milanese, più volte nominati nel libro), ma anche da famosi personaggi della cultura milanese contempo­ ranea : Giorgio Bocca18, Carlo Ripa di Meana19, Giorgio Gabersic20 (con piccola storpiatura del vero nome di Giorgio Gaber, che era Gaberscik) , Oriana Fallaci21, Camilla Cederna22, Luigi Nono23, Paolo Grassi24 (che durante l' insurrezione mette a disposizione dei patrioti anche le armi di scena del Piccolo Teatro), lo scrittore e pittore Emilio Tadini25, con allusione alla scrittura sperimentale del suo romanzo risorgimentale del 1 9 6 3 , Le armi, l'amore ( « quello stesso che parlando stravolgeva tempi e modi verbali, usando il futuro al posto del presente, e il presente al posto del passato, ingannando in tal modo gli austriaci » ) , e tanti altri26• L'essere pronto a usare il Mauser, nella conclusione del romanzo, se­ gnala un proposito "resistenziale" (il Mauser e lo Sten erano i mitra più diffusi tra i partigiani, e spesso sono ricordati nella narrativa resisten-

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ziale ) . Il protagonista, disilluso, sconfitto dalla vita e costretto a vivere rintanato ai margini della società, afferma di conservare uno spirito in­ domito e combattivo che non gli farebbe esitare ad « aprire il fuoco » . Gian Carlo Ferretti ( che esprime sull'ultimo romanzo dello scrittore un giudizio severo ) sospetta in questa conclusione « l'esercizio letterario o la voluta ipocrisia » , nel dubbio se prevalga la ricerca di una « chiusa ad effetto o addirittura la tortuosa intenzione di evidenziare ulteriormente l'abulia del protagonista, proprio con l'esibizione di un agonismo più impossibile che improbabile » 27• Ferretti non sbaglia nell'osservare che la chiusa, con l'affermazione di uno spirito indomito e irriducibile, stona con le caratteristiche del personaggio, con la sua disincantata rassegna­ zione. Ma forse è proprio questa contraddizione che deve essere collo­ cata al centro del romanzo, che di fatto declina nella forma del racconto immaginario un tema già trattato nei romanzi storici (La battaglia soda) e autobiografici (Il lavoro culturale) : quello del fallimento degli ideali giovanili di giustizia e di palingenesi politica. Motivi che acquistano ora un nuovo significato alla luce delle proteste giovanili e dei movimenti li­ bertari che attraversarono l'Occidente nel corso degli anni Sessanta, dal movimento per i diritti civili negli Stati Uniti alle proteste studentesche di Berkeley, fino ai vari Sessantotto europei, tra la Primavera di Praga ( di fatto iniziata in gennaio, con l'elezione di Dubcek) e il Maggio francese. E ha forse qualche significato il fatto che Bianciardi collochi la stesura del romanzo, come si è visto, nel marzo 1 9 6 8, a quando risalgono ( era il primo di quel mese ) gli scontri di Valle Giulia a Roma, che generarono un vivace dibattito ( e un famoso intervento pasoliniano: che Bianciardi ha ben presente se, come vedremo, una poesia di Pasolini diventa un importante punto di riferimento in un luogo centrale del romanzo ) 28• Il protagonista di Aprire ilfuoco non sarebbe allora che l' ironico ri­ tratto dell' intellettuale abulico e inconcludente, pronto a infiammarsi saltuari amen te inseguendo sogni utopici e radicali di libertà. Ennesima dedizione del letterato piccolo-borghese, velleitario e astratto, ma so­ stanzialmente incapace di comprendere il proprio tempo e, soprattutto, di capire che cosa si agita nel profondo degli umori popolari. È signifi­ cativo che la pasionaria Giuditta, infiammata rivoluzionaria, non esiti a imboccare la più borghese delle scelte sposando un facoltoso commer­ ciante ; ma soprattutto è rivelatore il dialogo che intercorre tra Giuditta e il protagonista allorché assistono al rientro degli austriaci a Milano, accolti dalle acclamazioni del popolino, appagato da alcune abili misure demagogiche del governo :

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« Hai paura degli austriaci anche tu ? » mi chiese, sempre piano, dandomi un'occhiata di gelo. «No, Giuditta » le risposi, e la tirai un poco indietro. «Non ho paura degli austriaci, proprio no, stavolta ho paura dei milanesi » 2.9•

Collocandosi da questa angolazione, acquistano un sapore ambigua­ mente autoironico le pagine che Bianciardi dedica, a conclusione del libro, alla rivoluzione e ai suoi metodi, arrivando a teorizzare - in linea con un certo movimen tismo anarcoide - la necessità della rivoluzione permanente, unica condizione perché essa non generi « nuove istitu­ zioni di governo » , che si tradurrebbero necessariamente in una nuova tirannia30• Bianciardi, in parte riproponendo l' immagine del pensato re disincantato che "la sa lunga" ( un vero e proprio personaggio, costruito nella ricca produzione giornalistica successiva alla Vita agra), può assu­ mere l'atteggiamento del fratello maggiore che molte ne ha viste e che può perciò rivolgersi ai giovani redarguendoli bonariamente di « infan­ tilismo tattico » , indicando come la « maturità operativa » di un vero rivoluzionario non consiste nell'occupare i luoghi simbolici ma quelli reali del potere, cioè le banche, dove c 'è il denaro che può alimentare la rivoluzione : Lasciate perdere i brolettPX, palazzi del governo e anche le università, ragazzi, pensate alle banche32..

I rivoluzionari seri e « adulti » ( come l'amato Garibaldi, e il non amato ma efficace « Giuseppe Stalin, specialista di attacchi ai convogli zaristi carichi d'oro » 33 ) sono così contrapposti all' « infantilismo tattico» del « dottor Ernesto Guevara » ( morto in Bolivia pochi mesi prima, nell'ot­ tobre del 1 9 67, e già assurto a icona dei movimenti studenteschi ) e di Carlo Pisacane: l'uno e l'altro fecero l a triste fine che tutti sappiamo, abbandonati ambedue alla ferocia degli sgherri da quegli stessi villani che avrebbero dovuto insorgere per loro e con loro. Essi si posero come obbiettivo primo l'occupazione delle campagne, figuriamoci, e proprio nel momento in cui i contadini le stavano abbandonando34•

Sarebbe sufficiente la chiusa di questo passo, con il suo esibito anacroni­ smo ( quello che colloca nell' Italia ottocentesca di Pisacane e nella Bolivia contemporanea il fenomeno, europeo e segnatamente italiano, dello spo-

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polamento delle campagne) per misurare la natura ironica (e autoironica) di queste pagine che, lungi dali' indicare ai giovani con testatori la "vera via" della rivoluzione, ne denunciano i tratti velleitari o - peggio - la di­ namica superficialmente ribellistica, e di un ribellismo del tutto estraneo alle classi popolari (incapaci di comprenderne le ragioni). Il rientro degli austriaci, dopo l'esplosione rivoluzionaria delle Cin­ que giornate, non ha tratti repressivi, ma si realizza nella perfetta logica "neocapitalistica", nella conquista del consenso popolare tramite i con­ sumi e l'apparato pubblicitario (la "fiera del bianco" alla Rinascente). Il narratore è uno dei pochi che sono costretti a prendere la via dell'esilio. Destinato non solo a essere un martire presto dimenticato, ma anche a essere un martire senza grandezza, come rivela (affidata ancora una volta all'espediente dell'elenco ridicolizzante e dissacrante) la lista delle con­ danne che pendono sul suo capo : Chi non ha dato bastevoli segni di ravvedimento, lo hanno tafanato con i prete­ sti più vari e più assurdi, incolpandolo dei delitti più incredibili: evasione fisca­ le, omessa denuncia dei redditi, porto d'arme abusivo, sosta vietata, vilipendio della religione, oltraggio al pudore, abigeato e via discorrendo35•

In una girandola di infrazioni banalmente amministrative (la sosta vie­ tata) o arcaiche e in ridicolo conflitto con la realtà metropolitana del protagonista (l'abigeato). E, del resto, il protagonista non è neppure un perseguitato, ma è « tafanato » : termine ben noto dell' idioletto bian­ ciardiano che, come sappiamo, rimanda all'area della quotidianità me­ diocre del cittadino acquirente, contribuente e consumante. Basterebbe questo, dicevamo, per collocare nella giusta luce l' inte­ ra conclusione del libro, che vive nel gioco chiaroscurale e antifrastico dell' ironia e dell'autoironia. L'ultima Milano

La metropoli orribile e respingente continua a riempire l' immaginario bianciardiano. Tema ossessivo e ricorrente della sua poetica, che trova nell'ultimo romanzo, attraverso un uso del collage e del pastiche interte­ stuale, effetti particolarmente efficaci. È il caso della simbologia cristologica - legata ali'orto di Getsemani e al Cristo che lì sudò sangue -, che all' interno di un tripudio di imma-

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gin i e di libere associazioni descrive l'arrivo a Milano del protagonista, nei suoi periodici viaggi clandestini, in treno, tra Nesci e la grande città (nel terzo capitolo del romanzo). Il progressivo avvicinamento alla città, fino all' ingresso del treno alla Stazione centrale, è l'attraversamento di un inferno suburbano, dove il vapore che sale dalle marcite (un ricor­ do, si badi bene, del Parini dell'ode La salubrita dell'aria)36 si mescola alle emissioni industriali, per richiamare poi (attraverso un felicissimo processo analogico) il sudore umano espulso nella quotidiana e ingra­ ta fatica metropolitana. La descrizione si disarticola in particolari irre­ lati, tra oggetti e scritte che entrano improvvisamente nel campo visi­ vo del narratore (una tecnica che ricorda la trascrizione delle caotiche percezioni sensoriali di Leopold Bloom in alcune pagine dell' Ulisse di Joyce)37, e che si dilatano in impreviste associazioni non estranee a una fantasia visionaria, stimolata da analogie di immagini (si veda, nel passo che segue, il campo semantico del sudore) o dalle associazioni dettate dal significante (è il caso del termine orto, che qui appare con inusuale e a tratti ipnotica ricorrenza) : Dal finestrino si vede la pianura, e il cielo alto ormai pochi metri dalla vetta dei pioppi. Basta un colpo d'occhio per capire che siamo in territorio nemico, dove patisce e suda tanta gente sotto il tallone dell'oppressore. E il sudore, infatti, vaporando caligina sopra le marcite e appanna finanche i vetri del finestrino, che io fisso senza più vedere : keine gegestaende aus dem fenster werfen38• Tutto verboten, lo sapevo, neanche ti è lecita la simbolica protesta della bottiglia di gazzosa scagliata contro i caselli ferroviari, dalle parti di Rogoredo39, dove si comincia a riconoscere il segnale dell' orto, quando devi prepararti, tirare giù la valigia dalla reticella, infilarti il cappotto, consapevole che gli altri, a te vicini, tacitamente te lo chiamano paletò, e avviarti nel corridoio verso la porta. Orto­ mercato, dice il primo segnale, frigomercato il secondo. Poi sono bruciatori, e ancora industria del freddo, termotecnica, a seconda dei gironi infernali che stai attraversando : qui si brucia nelle fiamme eterne, là si gela nell' orto. Frigoriferi dall' orto, Ortofrigor, frigoriferi dall' orto40• È il segnale ultimo, ora o mai più. Bagaglio alla mano e chi s'è visto s'è visto. Ma tu cerca sempre di non farti vedere e medita semmai su questo orto più volte segnalato dalle scritte sui muri, o in cima alle neotorri lustranti della cit­ tà affumata. Chiediti, fratello, di quale orto si stia qui parlando, e se ci pensi appena appena lo capirai, finalmente, che è l' orto di Getsemani, dove il figlio dell'uomo sudo sangue41•

Come si diceva, la visionarietà associativa della pagina mescola la sugge­ stione delle immagini a quella del suono. La città è spettralmente avvol-

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ta in una caligine, per così dire, "essudativa", che richiama una delle più felici rappresentazioni milanesi della Vita agra, dove la nebbia (simbolo orgoglioso, nordico e centroeuropeo, della città produttiva, estranea alle contemplative luminosità del cielo meridionale) diventa visionariamen­ te il prodotto organico di milioni di corpi flatulenti, essudanti e sfiatan­ ti, nell' insensatezza dell' iperattivismo quotidiano ( « una fumigazione rabbiosa, una flatulenza di uomini, di motori, di camini, è sudore, è puz­ zo di piedi [ ... ] è fiato di denti guasti, di stomachi ulcerati, di budelle intasate » )42• Al sudore e al suo farsi nebbia e sostanza gassosa che tutto avvolge vanno poi associati termini come vaporare, caliginare, o l' imma­ gine della « città affumata » . Ma non meno efficace, nella sua originalità imprevedibile, è il delirio associativo costruito attorno alla parola orto: da puro affiorare di scritte (i tanti magazzini refrigerati di ortofrutta che circondano la città e ne alimentano il ventre) si apre alla potente identi­ ficazione tra Milano e l'orto di Getsemani, che suggerisce la polarità tra la passione di Cristo e la passione quotidiana dell'uomo metropolitano (un'associazione che lo seri ttore enfatizza con un'apostrofe al lettore, evangelicamente invocato come « fratello » , nella consapevolezza do­ lente della condivisione di un comune destino esistenziale : « Chiediti, fratello, di quale orto si stia qui parlando, e se ci pensi appena appena lo capirai » ) . Milano-Getsemani diventa allora il luogo di una nuova pas­ sione, quella della quotidiana sofferenza dell'uomo schiacciato dal mo­ stro cittadino che gli spreme sangue ed energia. Ma mentre la grandezza tragica della passione del "figlio dell'uomo" vive nella luce dell'evento e corona trionfalmente la speranza del riscatto, l'essudazione metropoli ta­ na è sofferenza senza redenzione. E senza grandezza tragica : e, se il « figlio dell'uomo » essudò sangue - che della vita è sede e simbolo potente -, gli uomini comuni eliminano solo il sudore, cioè le tossiche scorie dell'organismo. Del resto, non c 'è redenzione dall' inferno ; ed esplici­ tamente a un viaggio attraverso l ' inferno è associato l'avvicinamento alla città (i « gironi infernali che tu stai attraversando » ) , non senza un implicito richiamo dantesco al lago ghiacciato di Cocito, che occupa il fondo dell' Inferno e, dunque, segna la conclusione del suo viaggio tra i dannati ( « Frigoriferi dall'orto, Ortofrigor, frigoriferi dall'orto. È il se­ gnale ultimo » ) . L'arrivo in città e l'entrata nella Stazione centrale non possono che concludersi in una mostruosa descensus ad inferos, nell'en­ trata in un « trappolone fetido di vetro e ferraccio » , un antro fantastica­ mente «popolato di mostri, draghi, leoni e dracene di sasso » 43•

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L' oltranzismo stilistico

L' intero romanzo funziona come una gigantesca operazione di riuso o di letteratura di seconda mano, che porta alle estreme conseguenze la poetica del pastiche e del citazionismo. Al modello del pastiche di tipo gaddiano rimandano le fulminanti pagine iniziali. Un vero e proprio tour deforce stilistico che descrive la passeggiata mattutina sul lungomare di Nesci/Rapallo. Ripreso - con perfetta circolarità - nel capitolo conclusivo, dove la passeggiata si risol­ ve nella confusione delle voci, schegge di conversazioni mattutine in una dialettalità plurima ma a prevalenza ligure ( « Oggi è una bella giornata, ma mica dura. Prima o poi ce la farà scontare, il tempo, non può mica andare avanti così. E cosa l'ha fetu 'a Sciampdoia ? Ha guagno ? Oh be­ lin. Ndemu, ndemu a travaggio. Arrivederci dotto ' ! Quanto siete bello, dotto' » ) 44• Il gioco in tertestuale (a cominciare dall'auto ci razione dell' incipit, costruita come calco di quello della Vita agra) dà luogo a una vera e pro­ pria girandola di libere associazioni, di richiami eruditi, di giochi etimo­ logici, di tessere e calchi letterari. Gli esempi potrebbero essere moltipli­ cati all' infinito, prestandosi alla noble art del commento, in un corpo a corpo con il testo che comporterebbe la sua riscrittura-dilatazione in un profluvio di note marginali. Mistilinguismo e mististilismo sono la cifra di pagine lussureggian­ ti, pronte a esplodere nei più diversi contesti narrativi. Così, il ricordo (autobiografico) di una citazione in tribunale produce una pagina di sa­ pore grottesco dove su spunti di lingua burocratica ( « Ove entro trenta giorni ella non provveda » ) si innestano le forme trascurate del parlato ( « o mammamia bella, che questo adisce le vie legali, adisce » , con ripre­ sa espressiva del predicato), con dialettismi ( « comincia l' ammoina » ), gratuiti arcaismi ( « è stata lei ad avvisare il bargello » ) , immagini icasti­ co-popolari ( « ti ci tengono un bel poco a marinare » ) , allusioni erudite ma incongrue, come il caso in cui l'accenno a una particolare teoria sulla nascita della Luna 45, con tiene l' inserimento, per libera associazione, di un verso del « gobbetto » ( « che fai tu luna in ciel, che fai ? » ) 46• La varietà linguistica comporta frequentissime inserzioni dialettali (liguri, romanesche, napoletane, venete), spesso in funzione strettamen­ te espressiva e non mimetica (non poste, cioè, all' interno di discorsi di­ retti o di indiretti liberi). Di carattere analogo sono molte inserzioni di

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tedesco (la lingua degli odiati dominatori austroungarici), spesso con una mescidanza bilingue a effetto ridicolizzan te : « chiesero neun Mana­ te di carcere duro [ ... ] mi diedero fiinf manate » 47, « Garzanti Verlag » 48, « Fiinf manate, mein herr, Jawohl ! Hallò » 49• O inserito all' interno del­ lo scherzo colto da decrittare (come la ricordata casa editrice « Filz und Filzelein » : che sarebbe come dire "Feltri e Feltrelli" - dal significato del tedesco Filz) ; o che compare anche nella forma volutamente degrada­ ta dello stravolgimento popolaresco del tedesco da barzelletta ( « Di ke kolore era, la bizikletta rubata ? Kvanto era lungo telaio ? » ) s o . Partico­ larmente rappresentata (ma è una costante della lingua di Bianciardi) la variante diatopica toscana, così come vi è un ampio ricorso a termini di sapore ottocentesco (ovvio suggerimento derivato dalla pseudoambien­ tazione storica). Numerosi sono i neologismi, spesso creati per variazione delle com­ ponenti lessicali. Così (per restare nell'ambito di un idioletto fortemen­ te bianciardiano) la « solenne incazzatura » che designava La vita agra, diventa, con variazione innestata su regionalismi e dialettismi ( « abbeli­ namento » e « imbischerimento » o « m' imminchiona » ). Oltre a quella lessicale, la varietà degli stili, dei gerghi e delle lingue settoriali, oggetto spesso di parodia (una modalità di scrittura che richia­ ma pagine celebri del Lavoro culturale e della Vita agra). È il caso dello sproloquio sull'etimologia (e sulla potenzialità offensiva) delle parole mignotta, zocco/a e norcino - con dotta disquisizione sul ruolo linguisti­ co-comunicativo delle metafore, sui sinonimi (apparenti) e sulle valenze lessicali, con uno stile professorale volutamente goffo ( « Nell'apostrofare quel tanghero lei ha usato dapprima una similitudine di mestiere, quin­ di due sinonimi di diversa origine dialettale. Mi piacerebbe analizzare il suo comportamento linguistico » ) s 1 • Analogamente, una riflessione sul mercato della prostituzione, inflazionato dalle dilettanti che si offrivano liberamente nei giorni della rivoluzione, richiama spunti della lingua sta­ tistico-economica ( « Secondo le statistiche approssimate per difetto » , « il mercato era inflazionato dalla concorrenza delle dilettanti » ) s l . Il gioco infinito della "seconda mano"

Se il ricorso a una rete di allusioni e citazioni costituisce, fin dalle pri­ me prove, una costante della narrativa bianciardiana, il fenomeno viene addirittura forzato in Aprire ilfuoco, che sembra ipotizzare un lettore

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disposto a collaborare con il narratore decodificando le allusioni, le citazioni e i complessi e intricati meccanismi intertestuali. Un lettore, dunque, quanto mai "ideale", la cui cooperazione costituisce parte attiva nella costruzione del senso. È un meccanismo che può condurre anche a forme di obscurisme. Ma l' incomunicabilità è sempre parziale. Per quanto spesso estrosa e mescidata, la scrittura di Bianciardi lascia intatta una comprensibilità letterale, che non esclude mai la fruizione superficiale del testo. A un primo livello di lettura il romanzo racconta infatti una storia che ha una sua compiuta linearità e che tratta in termini p rettamente tradizionali le soluzioni dell' intreccio, con analessi ben delimitate e circoscritte, con l' individuazione di precisi nessi di causa-effetto, di prima e dopo. Il fatto che si racconti di una inesistente rivoluzione milanese scoppiata nel 1 9 5 9 e che protagonisti del Risorgimento convivano con figure più o meno note della contemporaneità è questione che riguarda infatti !' "enciclo­ pedia" del lettore, le sue conoscenze storiche e del mondo ( extratestuali), ma che non toccano le strutture narrative e la loro immediata fruibilità. Il romanzo si pone così a un duplice livello possibile di decodifica, che ne contempla anche uno più profondo di lettura, che chiede di in­ seguire le vie labirintiche di un complesso sistema citazionistico. Ciò che rientra - naturalmente - in qualsiasi "opera aperta". Ma nel caso di Aprire ilfuoco va notato come esistono almeno tre tipi di allusività : che chiameremo enciclopedia condivisa in tertestuale, enciclopedia specifica intratestuale e allusività puramente autoreferenziale. La prima forma di allusività, la più "istituzionale", implica un lettore dalla vasta cultura, che si misura spesso con richiami, più o meno noti, della tradizione letteraria italiana o dell'enciclopedia storico -culturale. Accanto alle diverse citazioni disseminate nel testo, e spesso derivate da luoghi noti della tradizione scolastica (il Dante del v canto dell' Injèrno, il Foscolo di A Zacinto e dei Sepolcri, il Leopardi del Canto notturno o l' Ungaretti dell'Allegria), Bianciardi dissemina segnali allusivi più sot­ tili. Valga per tutti l'esempio del «povero garzone di prestinaio » , che all' inizio della rivolta viene assalito e depredato delle sue « michette » 53; evidente ricordo manzoniano dell'occasione che segnò l'esplosione del­ la rivolta del pane, l'aggressione a uno dei « garzoni » con la « gerla ca­ rica di pane » (nel dodicesimo capitolo dei Promessi sposi). "Garzone di prestinaio", appunto : il nesso è evidenziato proprio dalla precisazione, cara alla sensibilità linguistica manzoniana, che spingeva il narratore ottocentesco a indicare in nota il nome originale del toscano « forno

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delle grucce » , il prestin di scancs, che « in milanese è composto di parole così eteroclite, così bisbetiche, così salvatiche, che l'alfabeto della lingua non ha i segni per indicarne il suono » . Un'allusione che implica anche il contrasto tra il toscano del protagonista bianciardiano ( non solo di Aprire ilfuoco, ma anche della Vita agra) e il suo incontro/ scontro con il milanese: una delle tante manifestazioni della distanza tra universi mai perfettamente comunicanti. Esiste poi un'allusività intratestuale, che presuppone un lettore " bianciardista" che colga le implicazioni semantiche moltiplicate dal ri­ chiamo ad altri luoghi, situazioni o termini dell'universo narrativo dello scrittore. Gli esempi possibili sono numerosissimi, a partire dal già ricor­ dato incipit. A scopo puramente esemplificativo ricordiamo l' apostro­ fe al colonnello Zerega ( « che mi lasciasti su a Valeggio a spalare tutte quante le fatte della nostra cavalleria » )54, che allude a un episodio della

Battaglia soda.

E si pensi ai richiami alla "reichiana" « energia organica » ( ricordata nel racconto erotico I sessuofili55 e ancora nella Vita agra56). Un' intera pagina57 è in tessuta di richiami al racconto erotico La solita zuppa, dalla bistecca consumata clandestinamente in una "equivoca" casa di via Fiori Chiari ( con cui il racconto si apre ) 58, a riprese di singole parole, come la « minchia delle madonie » , il « pirla bergamasco » e la « topa di Ma­ remma » 59• La condanna che il protagonista subisce a causa « di quei tali culini cui diedi il buongiorno un lontano dì del 1 9 6 1 » 60 allude a un epi­ sodio61 del primo racconto erotico di Bianciardi, Ilperipatetico ( del 1 9 6 1, infatti ) , e alle già ricordate beghe giudiziare che a causa di esso lo scritto­ re dovette affrontare. Ma i richiami sono talora su singole espressioni e sono difficilmente individuabili da un lettore anche attento. Segnaliamo un solo caso fra i tanti possibili. L'accenno allo « scarparo hegeliano » 6\ che allude a un passo della Vita agra, dove l' ironia sulla serialità dei pro­ dotti dell' industria calzaturiera ( ma il discorso pertiene anche ad altre serialità, ben più pericolosamente omologanti ) trova la felice immagi­ ne della Fussgestalt dei « calzolai hegeliani » : cioè la Gesta/t del piede (Fuss), dove Gesta/t ( forma ) è termine-chiave in Hegel per un concetto che unifica una pluralità di fenomeni. Ma è su un piano di più complessa intratestualità ( inserita all' inter­ no di un intricato dinamismo di significati e di simboli ) che va inter­ pretato l'accenno, in una delle ultime pagine del romanzo, alla « bella Marsilia » , una lontana antenata catturata dai pirati e divenuta favorita di un sultano, che appartiene a una particolare automitologia bianciar-

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dana (quella di antiche ascendenze "more" o "negre") che ricorre nella Vita agra e verrà ripresa nel Viaggio in Barberia63• Il narratore rievoca un suo incubo (ma anche questo è un ricordo della Vita agra, dove in­ cubi, sogni e sonno marcano alcuni dei luoghi più intensi del roman­ zo), nel quale si vede in una corsia di uomini di colore nell'ospedale di Capetown, guardato da un medico, bianco e biondo, sogghignante, che lo dichiara clinicamente morto. La "negritudine" (che nella Vita agra allude - non senza l' incrociarsi di un richiamo alla cultura beatnik e a Norman Mailer, come si ricorderà - all'esclusione del protagonista dal mondo metropolitano-milanese) riappare allora come traccia di un ' incomponibile estraneità nei confronti della società e dei suoi valo­ ri. E colpisce che in questa pagina (che è una delle ultime del Bianciardi romanziere) ritorni, con la forza retorica di una frase lapidaria - che è come una sentenza senza appello -, il ricordo lontano di Grosseto (identificata, dantescamente, dal suo fiume, l'Ombrone) e della perdu­ ta provincia : Mi aggrappai come un disperato all'ultima speranza, e giuravo che non era quello il posto mio, che non dovevo trovarmi lì in corsia fra i negri. Cittadinan­ za italiana, giuravo, razza bianca. Avete visto il passaporto. «Abbiamo visto, abbiamo visto, la tua faccia di beduino. E la storia della bella Marsilia, allora ? » sogghignò l'uomo coi denti. « Come la mettiamo la faccenda dell'eredità giù a Fez ? C 'è di sicuro un ascendente femminile di razza nera. Possiamo procedere » . lo scongiurai ancora, cavillando, dissi che i beduini non sono negri, che la negritudine comincia dai tropici, ma quello continuava a crollare il capo ghi­ gnando con tutti quei denti. « La negritudine comincia all' Ombrone ». E mi venne il sonno, per sempré4•

Puramente autoreferenziale è, infine, un'allusività estranea a un sapere "enciclopedico", cioè socializzabile e condivisibile (non definibile, cioè, in termini oggettivi, riconoscibili, circoscrivibili), che si nutre della concreta topografia di Nesci/Rapallo, del suo paesaggio umano, della condizione quotidiana e iperprivata dello scrittore. Un insieme di riferi­ menti e richiami che produce un gioco senza scopo, come l' informazio­ ne che il narratore, primo ad alzarsi, mette « sul fuoco la macchina del caffè, quella grande marca Canevari, da quattro razioni » 65, che non solo fornisce un' informazione inutile (cambiava se fosse stata una Bialetti ?), ma volutamente falsa : essendo Canevari non una marca, ma un negozio di casalinghi, in centro a Rapallo, il cui titolare lo scrittore frequentava.

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Un gioco insensato, naturalmente, m a del tutto ininfluente sul piano della leggibilità del testo. Di fatto, ci troviamo di fronte a una forma complessa di scrittura di secondo grado, il cui senso si situa sempre tra gli spazi intermedi e in­ terstiziali, in quella zona grigia che si colloca tra la fonte (e il suo senso storico e contestuale) e il presente della scrittura. Una realtà complessa e variegata dove il gioco allusivo, che dovrebbe sempre funzionare come potenziatore di senso, può anche risolversi in un gioco fine a sé stesso, in una sorta di ecolalia associativa immotivata, nella dimensione disperata della dissipazione, dello spreco gratuito della parola e delle sue possibili­ tà di senso. Ma, ci sembra, non è che un esito episodico all' interno di un sistema allusivo che può arrivare a costruire il senso attraverso impensate associazioni. Un 'etica del letto re ?

Che il senso dell'operazione (e della sperimen tazione) letteraria di Apri­ re ilfuoco vada cercato nella sua natura citazionistica ci dice un importan­ tissimo capitolo, il quinto, che sembra davvero funzionare come concen­ trato della peculiare poetica del romanzo. In questo senso è giustissimo il suggerimento di Stefano Giannini, che in un articolo di qualche anno fa segnalava l ' importanza di quel capitolo, nel quale Bianciardi, attraverso un richiamo leggermente criptato a Franco Fortini, indicherebbe il ter­ reno estetico-ideologico (tutt 'altro che ingenuo e inconsapevole) in cui si stava muovendo66• Ma la citazione di Fortini non è che un tratto epi­ sodico in quel giro di pagine che vanno lette come una sorta di mise en abyme, un'esplicitazione e messa a nudo della scrittura di Aprire ilfuoco e della sua struttura comunicativa. Il capitolo rievoca il contenuto della prima lezione che il narratore aveva tenuto ai tre nobili ragazzi di cui era divenuto precettore. Lezio­ ne sulla poesia (anche negli aspetti tecnici metrico-retorici) e sulla sua funzione, tutta giocata su una libera e (apparentemente) incongrua serie di richiami. Capita infatti, nel corso della lezione, che l' improvvisato « aio » passi da un testo all'altro della letteratura italiana antica o mo­ derna, ricorrendo a nessi analogici casuali e a tratti assurdi, talora sugge­ riti da una pura associazione fonica. Ma è il momento di seguire la "lezione" del precettore, che prende le mosse da un quesito linguistico posto da uno degli allievi: se sia cor-

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retto in italiano usare "presso" nel senso di "vicino". Il maestro scioglie il dubbio con la citazione dantesca dell'episodio di Manfredi ( « l 'ossa del corpo mio sarieno ancora l in co del ponte presso a Benevento, l sotto la guardia della grave mora » , Purgatorio, III, 1 27-129 ) . La parola mora ( ''peso, mucchio", dal latino moles) suggerisce al pedagogo il nome dello sfortunato protagonista della Storia della colonna infame, opera manzoniana a torto da molti ritenuta minore, chiosa il narratore, « ma che minore a me non sembra affatto » 67• Sulla base di una pretestuosa e casuale connessione fonica, dunque, il narratore parla di uno dei testi più complessi dell'Ottocento italiano, un testo intimamente "milanese" - che prende spunto da una microstoria lombarda : la condanna a morte di alcuni presunti untori durante la peste del 1 63 0 - e che propone una profonda meditazione sulla relazione tra etica dell' individuo e pensare comune, tra responsabilità del singolo e spirito dei tempi ( una riflessio­ ne che riguarda - in ultima analisi - la responsabilità etica dell' intel­ lettuale, in quanto presunta coscienza critica della società) . L' immagine della « grave mora » , cioè dei mucchi di sassi accumulati sul corpo di Manfredi, « in co del ponte » di Benevento suggerisce l'espressione mi­ litaresca "testa di ponte", «per signific are il territorio conquistato al di là di un fiume » 68• Un nesso apparentemente arbitrario, se non riportasse a un richiamo intratestuale significativo : attorno alla "testa di ponte" di Valeggio, sul Mincio, si consuma l'episodio fondamentale della Batta­ glia soda, appunto la rievocazione della sconfitta di Custoza, che è vi­ sta dal punto di vista soggettivo del protagonista, un ufficiale incaricato - come abbiamo già visto - di controllare e "tenere" il ponte di Valeggio. Al testo ottocentesco di Manzoni risponde il testo pseudottocentesco dello stesso Bianciardi, al quale lo scrittore grossetano aveva affidato la rappresentazione, per analogia, delle delusioni postresistenziali. E non a caso il ricordo di Custoza - vero centro dinamico di un insieme di associazioni simboliche che chiamavano in causa la storia italiana e le sue occasioni mancate - compare come ben sappiamo ( e di lì eravamo partiti ) in una pagina famosa della Vita agra, dove parlando di Senso di Visconti è richiamata la frase del tenente Franz Mahler, di cui il regista fa un meschino eroe del disincanto. Di associazione in associazione la libera cavalcata dell'aio tra secoli e figure della letteratura italiana approda ad alcuni brevi brani poetici che i tre giovani recitano a memoria. Sono tre passi di Metastasio ( rispetti­ vamente da Antigone, da Ipermestra e da Il trionfo di Clelia) seguiti da un verso tratto dal sonetto alfieriano ( Uom, di sensi, e di cor, libero nato).

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L'ultima delle citazioni da Metastasio ( « Sai che piegar si vede il docile arboscello, che vince allor che cede de ' turbini al furor. Ma quercia che ostinata sfida » )69 è incentrata sulle figure contrapposte del giunco (che flettendosi può resistere alle tempeste più furiose) e della quercia (che resta solida e immobile, ma alla fine crolla senza possibilità di rialzarsi), e suggerisce il verso (v. 7 : «cede ei talor, ma ai tempi rei non serve » ) del sonetto alfieri ano che celebra l 'inflessibile rigore dell'uomo "libero di sensi e di cuore", quasi a compendiare il messaggio politico ed esi­ stenziale dello scrittore esiliato e disincantato che si è chiamato fuori dall' impegno diretto e dalla vita, che come l'eroe alfieriano ha "ceduto", ma ha conservato uno spazio intangibile di libertà, non vendendosi ai "rei tempi". Come spiega il precettore : È il concetto della resistenza fluida, applicato anche da certi militari, qua e là : il giunco che si flette, tocca terra, e risorge non appena passata la bufera70•

Fu or di metafora, resta l ' indicazione di una linea e di una condotta di vita. Come il giunco si flette per poter rialzarsi, non resta che flettersi, ma non piegarsi, alla bufera montante, alla potenza irresistibile delle sue armi. È a questo punto che Bianciardi introduce la ricordata citazione da Fortini (non nominato, ma presentato come « un amico » , nato e cre­ sciuto a Firenze « ma operante e militante qui a Milano » ) e il richiamo alla sua poesia Agro inverno71• Che potrebbe sembrare un automatismo della memoria, cui non è estraneo il ruolo del puro significante (come spesso avviene in Aprire ilfuoco), in questo caso veicolato dall'aggettivo agro che nel corso degli anni Sessanta - sull'onda del successo del ro­ manzo - era davvero diventata una parola alla moda, e immediatamente associata a Bianciardi. Potrebbe sembrare, se non fosse che nella raccol­ ta fortiniana (Poesia ed errore, del 1 9 597\ ma ristampata nel 1 9 6 973) l"'a­ gritudine" fa riferimento proprio al tramonto delle illusioni di un' inte­ ra generazione di intellettuali che avevano attraversato la Resistenza e le fedi del dopoguerra, per approdare a una sorta di "disorientamento integrato" negli anni del boom. L'agrezza dell' inverno di Fortini, insom­ ma, è tale per ragioni in gran parte coincidenti con quelle che connota­ no come "agra" la vita milanese del giovane provinciale che, venuto da Grosseto a Milano con ambiziosissimi propositi politici e culturali, si adagia nella grigia realtà della produzione e del consumo, accettati in un sofferto e frustrato ripiegamento. Non è un caso, del resto, se la poesia

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di Fortini è inserita all' interno di una sessione di otto poesie dal titolo complessivo di Ilpoeta servo. Il gioco intertestuale attivato da Bianciar­ di parte dunque dal tema della responsabilità individuale (Manzoni), passa a quello della libertà e del coraggio dell' intellettuale (Alfieri) e arriva a una grande voce critica della contemporaneità (Fortini) per riproporre un tema centrale nella sua scrittura, quello del ruolo degli intellettuali e dei limiti storici della loro azione nell' Italia del secondo dopoguerra. A questo punto entra in scena l 'ultimo richiamo, un altro esempio di "poesia civile" di cui sono riportati alcuni versi (senza indicazione d'autore) : O pupilla del barbaro cerchiata Dal verde p adano nato con il sole ! L' Italia ha una sola mattina di vita, e i secoli cantano con le allodole dell'alba sul fanciullo padano che non conosce la sera. [ .. ] Nel Ventidue, anno immerso nel secolo, Bologna respirava un'aria di valzer. Via Rizzoli, tersa di sere profumate Echeggiava in un oro leggero e sonante Le musiche sospese intorno alle fanciulle Che sfioravan il secolo con piume viola. .

Che sono tratti dal poemetto Italia, di Pier Paolo Pasolini (da L 'usignolo della Chiesa cattolica), versi che rievocano il "Ventidue" e le radici del fa­ scismo, che per !"'azionista" Bianciardi, il lettore di Gobetti e della spa­ ruta tradizione liberai-democratica italiana non può che essere la vera "autobiografia" della nazione: il segno intramontabile della vocazione al servilismo e all'oppressione (vera cifra dell'italianità ?). L' intarsio delle citazioni si chiude così, costituendo una sorta di "si­ stema" coerente, che connette l'impegno civile (Alfieri, Fortini, Pasolini) al pessimismo radicale di Manzoni, citato nel suo testo più dolente e più frainteso, La storia della colonna infame, che è anche, però, uno di quelli che più profondamente - negli anni cruciali del Risorgimento - richia­ marono gli italiani alla serietà della coscienza e dell'etica, alla necessità di un esercizio consapevole della ragione critica: al senso profondo della responsabilità dell' individuo. Un testo (che nasceva, come è ben noto, in diretta polemica con le tesi del Trattato sulla tortura di Pietro Verri)

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intimamente antilluminista nel suo rifiuto di un' idea ottimistica del progresso che, di fatto, trasferiva sul piano collettivo ( quello della sen­ sibilità caratteristica delle epoche ) gran parte delle responsabilità di fatti ed eventi. Il "senso comune" e lo spirito dei tempi - insegna invece la Colonna - non possono mai costituire un alibi per l'individuo, sempre responsabile, di fronte alla coscienza, delle proprie azioni. Nel gioco complesso e multiplo delle citazioni, l'apparente legge­ rezza della scrittura bianciardiana rivela tutta la sua sofferta e profonda complessità. Di un uomo che aveva per le mani un talento sconfinato di seri ttore. E la sola arma, spuntata, della letteratura, alla quale affidare la ricerca di una disperata dignità. E della propria, innegabile, coerenza.

Note

Introduzione 1. L 'antimeridiano. Opere complete, 2 voll., a cura L. Bianciardi, M. Coppola, A. Picci­ nini, ISBN-ExCogita, Milano 2005-07, I : Saggi e romanzi, racconti, diari giovanili [d'ora in poi L 'antimeridiano I] , pp. 599-600. 2. Il testo in Gruppo 63: il romanzo sperimentale: Palermo I965, a cura di N. Balestrini, Feltrinelli, Milano I966, pp. 1 1 -26. 3 · lvi, p. I2. 4· lvi, pp. I 3-4. 5· «Tutto sta nel vedere come questi scrittori si pongano di fronte alla situazione, rea­ giscano alla situazione, e vivano il groviglio che trovano davanti a sé» (L. Anceschi, Metodologia del nuovo, in Gruppo 63: la nuova letteratura, a cura di N. Balestrini, A. Giuliani, Feltrinelli, Milano I964, pp. 7-I4, p. 9). 6. lvi, p. I4. 7· lvi, p. 9· 8. Sulla coincidenza concettuale tra postmoderno e tardo capitalismo cfr. F. Jameson, Postmodernism, or The Cultura/Logic oj'Late Capitalism, Duke University Press, Durham (Ne) I99I, e R. Luperini, Lafine delpostmoderno, Guida, Napoli 2005. Sulla controversa periodizzazione del postmoderno cfr. M. Ganeri, Postmodernismo, Bibliografica, Mila­ no I998 e l' imprescindibile R. Ceserani, Raccontare il postmoderno, Bollati Boringhieri, Torino I997· All' interno di una bibliografia ormai vastissima, ci limitiamo a segnalare le suggestioni di R. Donnarumma, Ipermodernita, il Mulino, Bologna 20I4, che propone di datare l' inizio del postmoderno letterario italiano ai primi anni Sessanta (con Fratelli d'Italia di Arbasino, Hilarotragoedia di Manganelli e Le cosmicomiche di Calvino) . 9· Su questi punti cfr. le equilibrate precisazioni di G. Guglielmi, L 'autore come consu­ matore, in Avanguardia vspostmodernita, Atti del Convegno (Roma, IO- I I aprile I997 ), a cura di M. Carlino et al , in "Studi (e testi) italiani", I998, 2, pp. 89-IOO. IO. R. Barilli, La neoavanguardia italiana. Dalla nascita del ccVerri" alla fine di c'Quin­ dici", Manni, Lecce 2007, pp. I 9 3-4· I 1. !bid. Suggestioni analoghe propone A. Berardinelli, Postmodernita e avanguardia (2003), in Id., Casi critici, Quodlibet, Macerata 2007, pp. 65-71. I2. Cfr. M. Coppola, A. Piccinini, Luciano Bianciardi, l'io opaco, introduzione a L 'an­ timeridiano I, pp. VII-XXXV. 13· Pressoché completamente dimenticato nel corso degli anni Settanta e Ottanta, di Bianciardi si è ricominciato a parlare negli anni Novanta, anche grazie al successo della

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bellissima biografia di P. Corrias, Vita agra di un anarchico, Baldini & Castaldi, Milano 1993 ( poi Feltrinelli, Milano 2011) e soprattutto grazie alle attività della Fondazione Lu­ ciano Bianciardi, di Grosseto, e della figlia dello scrittore, Luciana, che ha patrocinato at­ traverso la sua casa editrice ExCogita l'edizione di inediti e la riedizione di opere del padre. 14. Vent 'anni d 'impazienza. Antologia della narrativa dal '46 ad oggi, a cura di A. Gu­ glielmi, Feltrinelli, Milano 1965, p. 161. 15. R. Rinaldi, Il romanzo come deformazione, Mursia, Milano 1985. Il saggio su Bian­ ciardi (Approssimazioni ad una letteratura perversa) è alle pp. 31-62. 16. La definizione fu coniata da Arbasino, che oltre a sé stesso includeva ( a conferma dell'arbitrarietà di molti steccati e partizioni) Testori e il Pasolini "romano". 17. A. Guglielmi, Avanguardia e sperimentalismo, in Gruppo 63: la nuova letteratura, cit., pp. 15-24, p. 17. 18. Cfr. le parole attribuite a Guglielmi nel resoconto del Dibattito: « a questa funzio­ ne demistificante provvede la formula del pastiche, che, nella misura in cui intreccia in tutta disinvoltura piani conoscitivi contrastanti, decreta la morte delle ideologie, rifiu­ tandole, appunto, quali piani di conoscenza » ( ivi, p. 378). 19. M. A. Grignani, Novecento plurale. Scrittori e lingua, Liguori, Napoli 2007, p. 31. Stupisce invece il giudizio di Sanguineti ( in F. Gambaro, Colloquio con Edoardo San­ guineti, Anabasi, Milano 1993, pp. 54-5), il quale attribuisce a Vittorini (e alla lette­ ratura « che gli stava intorno: quella di Bianciardi, Volponi, Ottieri » ) un interesse prettamente "contenutistico", rispetto alla neoavanguardia, per la quale il rapporto tra letteratura e industria era « sentito essenzialmente come un problema di linguaggio e di comunicazione » , poiché « non bisognava replicare gli errori ingenui di tipo mimetico già fatti dal neorealismo » . Colpisce il fatto che i limiti della visione di Vittorini siano denunciati proprio adottando gli intenti espressi da lui stesso nel discorso introduttivo al numero 4 del "Menabò", che auspicava la nascita di una letteratura che non "parlasse" di industria, ma che trovasse uno sguardo e una lingua capaci di esprimere il mutato rapporto dell'uomo con il mondo. 20. G. C. Ferretti, La morte irridente, Manni, Lecce 2000. 21. L'articolo - che uscì sul "Guerin Sportivo" nell'ottobre 1971, poche settimane pri­ ma della morte dello scrittore - è in L 'antimeridiano. Opere complete, cit., 2: Scritti gior­ nalistici [d'ora in poi L 'antimeridiano 2 ] , pp. 1529-35.

I

Gli studi

e

la divisa ( i Diari giovanili)

1. I Diari giovanili sono stati pubblicati in L 'antimeridiano I, pp. 1911 ss. Essi compren­ dono i Diari universitari, I9J9-I942 ( pp. 1915-65) e i Diari di guerra, I944-I946 ( pp. 1967-2040). Di essi solo tre brevi brani erano già stati stampati in una raccolta postuma di scritti bianciardiani (La solita zuppa e altre storie, Bompiani, Milano 1994) . 2. Secondo quanto segnalano gli editori nell'Avvertenza al testo (L 'antimeridiano I, p. 1913), i manoscritti dei Diari, conservati presso gli eredi dello scrittore, sono pervenuti in fotocopia. « Il manoscritto appare come una "bella copia" » : il che indicherebbe un riordino e una trascrizione successiva ( su quadernetti) di materiali sparsi scritti durante gli anni universitari e durante i mesi di guerra.

NOTE

3· L'articolo uscì su "Belfagor" il 3 1 luglio; ora in L'antimeridiano 2 , pp. 285-96. Le citazioni a testo sono tratte dalle pp. 285-6. 4· Il racconto fu pubblicato nel volume miscellaneo Le madri, a cura di C. Bo, Bra­ mante, Milano 1972; ora in L antimeridiano I, pp. 1895-907. Vari elementi interni consentono di datare il testo al 1970: a cominciare dall'età dei figli di primo letto di Bianciardi, che nel racconto risultano avere ventuno e sedici anni (il primogenito dello scrittore, Ettore, era nato nel 1949; la secondogenita, Luciana, nel 1955 ) . Nel racconto si accenna anche a un viaggio a Fez, in Marocco, compiuto « lo scorso anno » : un rife­ rimento al reportage giornalistico fatto in Nordafrica nel 1968 per conto della rivista "l'Automobile" (per pubblicizzare la FIAT 125, appena uscita) . Il rinvio cronologico fa però riferimento, evidentemente, all'uscita in volume del reportage, pubblicato nel 1969 ( Viaggio in Barberia, L' Editrice dell'Automobile, Roma 1969 ) . 5· L antimeridiano I, p. I901. 6. lvi, p. 1902. 7· "Compagno di strada" del P C I , Bianciardi non prese mai la tessera del partito. Aveva invece aderito al Partito d'Azione di Ferruccio Parri, seguendone la breve parabola, dal­ la nascita al suo scioglimento ( I 947 ) . 8. L antimeridiano 2 , p. 286. 9· lvi, pp. 286-7. IO. lvi, pp. 287-8. L'attenzione per il dettaglio concreto e la precisione tecnica applicata alle pratiche militari costituiranno un tratto comune del Bianciardi divulgatore di sto­ ria risorgimentale (ma anche del narratore : come nei romanzi La battaglia soda e Aprire ilfuoco). E spesso è proprio il dettaglio concreto e rigoroso, contrapposto all' imperizia degli stati maggiori, a divenire metafora di un intramontabile carattere nazionale incli­ ne al pressapochismo e alla faciloneria. II. Umberto Comi diventerà nel dopoguerra direttore della "Gazzetta di Livorno", quotidiano comunista; sarà lui ad accogliere sul giornale i primi articoli di Bianciardi. 12. La citazione è di nuovo tratta da Nascita di uomini democratici (in L antimeridiano 2, pp. 285-96, p. 290 ). Guido Calogero dal I935 aveva la cattedra di Storia della filoso­ fia all ' Università di Pisa. Nel 1 940, assieme ad Aldo Capitini, aveva redatto il Mani­ festo del liberalsocialismo, che fu una delle principali matrici ideologiche del Partito d'Azione ( 1942 ) , al quale Bianciardi si iscriverà nell'autunno del 1945. Del tutto leggen­ daria l ' informazione, riportata dai biografi, che Bianciardi abbia frequentato nei primi anni Quaranta le lezioni di Aldo Capitini (nel I 942, lungi dal dare lezioni universitarie, Capitini veniva arrestato a Firenze e condannato al confino); rifiutandosi di iscriversi al Partito fascista, Capitini era stato privato nel I929 dell' incarico di segretario della Scuola Normale di Pisa. Incarico che riassunse nel dopoguerra; quando Bianciardi, ri­ prendendo nel dicembre 1 945 gli studi universitari interrotti per il conflitto bellico, lo incontrerà, assieme a Luigi Russo, Cesare Luporini e ad altri professori e scolari "nor­ malisti", tra questi ultimi Alberto Tenenti e, « sempre svagato e signorile » , Giulio Bol­ lati (tutti rievocati, non senza affetto, in un articolo di ''Avanti !" del' II agosto 1959; ora in L antimeridiano 2, pp. 429-3 3 ) . 1 3 · L antimeridiano I, P· I960. I4. lvi, p. I961. 15. lvi, pp. 1946-7. 16. lvi, p. I930. I7. lvi, p. I932.

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18. lvi, pp. 1 943-4. 19. Cfr. M. Terrosi, Bianciardi com 'era. Lettere di Luciano Bianciardi ad un amico gros­ setano, Il Paese Reale, Grosseto 1974. Mario Terrosi, nato a Sinalunga ( s i ) nel 1921, ma sempre vissuto a Grosseto, di professione tipografo, esordì come scrittore nel 1956, con La casa di Novach, ispirato alle sue esperienze di guerra in Iugoslavia. Il libro fu accolto nella collana feltrinelliana "Scrittori d'oggi", curata dallo stesso Bianciardi, che stese del resto il risvolto di copertina del libro dell'amico grossetano, corredandolo di cenni da cui traspaiono la diretta conoscenza e l 'amicizia che per lui ebbe. 20. Terrosi, Bianciardi com 'era, cit., p. 11. Le liriche sono alle pp. 11-3. 21. L 'antimeridiano I, pp. 1 967-2040. 22. Le ultime note dei Diari di guerra risalgono alla primavera del 1946. 23. L'articolo, intitolato L 'ultima lettera che scrissi a Mariagrazia, che uscì il 6 dicem­ bre 1953, fa parte di un ciclo di sei usciti sulla "Gazzetta di Livorno" tra il 22 novembre 1953 e il 1° gennaio 1954, complessivamente intitolati Vita militare. Bianciardi vi riassu­ me gli avvenimenti della sua esperienza militare, tra l'arrivo al reparto a Stia nel febbraio 1943 e il primo contatto con i soldati americani, nell'autunno dello stesso anno (ora in L 'antimeridiano 2, pp. 255-71 ) . 24. La lettera è citata in P. Corrias, Vita agra di un anarchico, Feltrinelli, Milano 2011\ p. 46. 25. L'articolo (Il Gran Priore) uscì in un numero interamente dedicato alla figura di Luigi Russo, fondatore e direttore della rivista (cfr. ora L 'antimeridiano 2 , pp. 297-301 ) . 26. lvi, p. 298. 27. lvi, pp. 196 9-70. 28. lvi, p. 1970. 29. lvi, pp. 2009-10. La poesia è datata « febbraio 1945 » . 30. lvi, p . 1985 (corsivi nostri). 31. lvi, p. 580. 3 2 . « lo resto lì mezzo coricato, coi pensieri sempre più nebbiosi. Mentre si guardavano soffiò la granata del bengala, e tracciò il suo arco iridescente e sbottò nel paracadute. Dev 'essere così: quel plopped è uno sbottò. Ma più avanti come la metto ? È lo stesso plopped, no? Dice : the soft blob of light plopped an d burst o n the open p age [ ... ] . La morbida bolla di luce gocciò e si ruppe sulla pagina aperta » (ivi, p. 732 ) . 3 3 · Le tre sezioni sono, rispettivamente, in L 'antimeridiano I, pp. 1973-92, 1994-2007, 2014-22. 34· lvi, p. 1973. 35· lvi, p. 1980. 36. Ibid. 37· L 'antimeridiano 2 , pp. 264-5.

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La stagione dell ' impegno 1. In questi termini si esprime nella già ricordata autobiografia politico-culturale pubblicata su "Belfagor" nel 1 952, Nascita di uomini democratici. Un giudizio, come vedremo, che va contestualizzato in quel particolare momento storico - i primi anni

NOTE

Cinquanta - che segnano il momento di maggiore vicinanza dello scrittore al Partito comunista e alla sua politica. 2. Ettore (n. 1949) e Luciana (n. 1955). Il matrimonio con Adria Belardi, donna di modesta condizione (figlia orfana di un operaio, gestiva assieme alla madre un piccolo negozio di cappelli) e di poca cultura, deluse le aspirazioni della madre. Amici e biogra­ fi dello scrittore concordano nel leggere in questo matrimonio, sostanzialmente male assortito (la coppia si separerà definitivamente a metà degli anni Cinquanta) , quasi un atto artificioso di volontà da parte di Bianciardi: come se il matrimonio con una donna del popolo, semplice e devota, fosse un'affermazione di indipendenza dalla madre e dai valori piccolo-borghesi e provinciali da lei incarnati (cfr. P. Corrias, Vita agra di un anarchico, Feltrinelli, Milano 2011\ pp. 52-4; A. Bertani, Da Grosseto a Milano. La vita breve di Luciano Bianciardi, ExCogita, Milano 2007, pp. 42-3). 3 · Carlo Cassola, di poco più vecchio di Bianciardi (era nato nel 1917) era in realtà romano, ma da tempo aveva scelto di vivere a Volterra, città di origine della madre. In quegli anni Cassola godeva già di una certa notorietà, avendo pubblicato alcuni rac­ conti su riviste importanti (come "Il Mondo" di Firenze e "Paragone"). Durante la sua permanenza a Grosseto, Cassola, oltre a scrivere il racconto lungo Il taglio del bosco (forse la sua opera più bella) , porta a termine il suo primo romanzo, Fausto e Anna, che verrà accolto da Vittorini nella collana einaudiana "I Gettoni" nel 1952: romanzo sulla Resistenza che generò vivaci polemiche (cfr. supra, pp. 43-4) . 4· Così denominata dai suoi oppositori, la legge, approvata nel marzo del 1953, preve­ deva l' istituzione di un consistente premio di maggioranza per il partito o per la lista che alle elezioni ottenesse almeno il so% dei voti. Con l' intento di avversare la legge (che verrà abrogata nel luglio del 1 954) nacque appunto il Movimento di Unità po­ polare, al quale aderirono, assieme alle sinistre, esponenti del Partito repubblicano e socialdemocratico. s. La lettera a Terrosi, inedita, è citata in Corrias, Vita agra di un anarchico, cit., p. 59· 6. L'edizione dei Quaderni, redatti da Antonio Gramsci durante la prigionia (fu ar­ restato nel 1926 e rimase in carcere fino alla morte), fu curata da una Commissione del comitato centrale del P C I , presieduta dallo stesso Togliatti e da Felice Platone. Gli appunti informi dei Quaderni (uno zibaldone di impressioni, riflessioni, appunti di let­ tura) furono riordinati dalla Commissione secondo criteri tematici (si pensi - a scopo esemplificativo - al quaderno I I : Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, o al v: Letteratura e vita nazionale) e furono pubblicati dalla casa editrice Einaudi, indipen­ dente ma vicina al Partito comunista, in sei volumi usciti tra il 1 949 e il 1952. 7· N. Ajello, Intellettuali e PCI, 1944/I95S, Laterza, Roma-Bari 1979, pp. 80-1. 8. Il primo articolo pubblicato dalla "Gazzetta di Livorno" (Bugie sociali) uscì il 26 febbraio 1952. Nel corso di quello stesso anno usciranno circa cinquanta articoli, e una trentina nel 1953. 9· L'articolo (intitolato Carlo Cassola) è del 6 aprile 1 952; ora in L 'antimeridiano 2 , pp. 23-6. 10. lvi, p. 24. I I . Ibid. 12. G. Lucaks, Saggi sul realismo, Einaudi, Torino 1 950. 13. L 'antimeridiano 2 , p. 25. 14. lvi, p. 285.

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15. lvi, p. 294. 16. Ibid. 17. lvi, p. 295. 18. lvi, p. 23. 19. lvi, p. 24. 20. Del neologismo felliniano Bianciardi si appropria, rimodulandolo in senso comi­ co-riduttivo, in un articolo per la "Gazzetta" del 4 gennaio 1953, I Vitellini, in L 'antime­ ridiano 2, pp. 1 67-9. 21. Fra le tante collaborazioni giornalistiche di Bianciardi, quella con "Avanti !" è la più lunga, estendendosi dal 1952 al 1963, anche se interrotta da lunghi intervalli. Dopo una serie di articoli scritti nel biennio 1952-53, Bianciardi scrisse per ''Avanti !" nel biennio 1959-60 (quando ormai da tempo viveva a Milano) , e di nuovo nel biennio 1962-63, tenendo questa volta una rubrica fissa di critica televisiva ( Tele-bianciardi) . 22. L 'antimeridiano 2, p. 305. 23. « Il cinema neorealista, ed in misura non piccola, ha fatto questo; ha fatto questo una parte non trascurabile della nostra narrativa, specialmente quella giovane (diciamo, per fare dei nomi, Levi, Pratolini, Jovine, Rea) » (ibid. ) . 24. lvi, pp. 307-8. 25. C. Cassola, Grosseto come Kansas City, in "Il Mattino dell' Italia Centrale", 10 no­ vembre 1 948. « Se quell'americano tornasse oggi » , scrive Cassola, « avrebbe motivo di rallegrarsi: ogni giorno che passa Grosseto va sempre più assomigliando a Kansas City. Beninteso, io non sono mai stato a Kansas City, ma non posso immaginarmela che così, coi viali asfaltati, distributori di benzina e garage a ogni incrocio, tavole calde che di notte richiamano i camionisti con le loro insegne luminose » . L'articolo è pubblicato nel prezioso lavoro di V. Abati, La nascita dei 'frfinatori della Maremma': Il carteggio Bianciardi-Cassola-Laterza, Giunti, Firenze 1998, pp. 124-5. 26. L 'antimeridiano I, p. 206. 27. Ibid. 28. lvi, pp. 206-7. 29. Alludiamo naturalmente a un testo sottile e suggestivo come La lotta contro gli idoli, scritto nel 1 943 ma pubblicato (naturalmente postumo: Pintor era morto tragica­ mente nel dicembre del 1943 ) solo nel marzo del 1 945 da Carlo Muscetta su ''Aretusa". L'articolo fu poi compreso nella raccolta einaudiana degli scritti di Pintor, Il sangue d 'Europa, a cura di V. Gerratana, Torino 1950. 30. Americana, a cura di E. Vittorini, Bompiani, Milano 1964 (anastatica dell'ed. del 1942 ) . 3 1 . C. Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino 1 9 8 1, p. 328. 32. Il saggio uscì postumo, con una prefazione di Calvino (in La letteratura americana e altri saggi, Einaudi, Torino 1951, pp. 5-32. Il passo citato è a p. 5 ) . Ma la scoperta della provincia italiana, come luogo di elaborazione di energie latenti e da sempre dimentica­ te, è tema caratteristico della cultura del dopoguerra, bene rievocato da F. Fortini in un articolo del 1953, Che cosa e stato il "Politecnico"; poi in Id., Dieci inverni, I947-I9JJ, Fel­ trinelli, Milano 1 957, pp. 39-58 (l'esperienza del "Politecnico" « era per noi la conferma della scoperta che avevamo fatto durante la guerra; quella delle incredibili possibilità della nostra provincia, delle energie latenti nelle classi mute » ) .

NOTE

3 3 · Sulla sua attività di bibliotecario cfr. ora la documentatissima monografia di E. Francioni, Luciano Bianciardi bibliotecario a Grosseto (1949-1954), AIB, Roma 20I6. Sul bibliotecario e, più in generale, sull'operatore culturale, cfr. anche V. Abati, Bianciardi intellettuale a Grosseto, in Luciano Bianciardi tra neocapitalismo e contestazione, Atti del Convegno (Grosseto, 22-23 marzo I99I), a cura di V. Abati et al. , Editori Riuniti, Roma I992, pp. I09-29. 34· M. Mancini, Con l'elmetto e lo spazzolino di piume passo in rassegna due chilometri di libri. A colloquio con il riordinatore della Biblioteca Chelliana (articolo del 27 giugno I 9 S 2). 35· Bianciardi risulta dipendente della Chelliana dal 24 gennaio al 3o giugno I949; poi dal I0 agosto I949 al 27 luglio I 9 S 4· 36. Le puntuali indagini di Elisabetta Francioni hanno sfatato alcuni dei miti sul Bi­ bliobus: che non era un vecchio e scassato pulmino, ma un autofurgone Lancia ( model­ lo Ardea) acquistato nuovo dal Comune di Grosseto. 37· L 'antimeridiano 2, p. 70. 3 8 . lvi, pp. 7I-2. 39· Tutti in piazza a sentire la storia delproprio paese, 3 luglio I953, ivi, pp. 322-5. 40. lvi, pp. 324-5. 41. Non a caso, nel citato articolo Bibliotecari (del giugno I952) si ricorda «il I908, l'an­ no d'oro delle biblioteche popolari » ( ivi, p. 7I): un chiaro riferimento a Ettore Fabietti, collaboratore del socialista Filippo Turati nella Società filantropica umanitaria di Milano, nel cui seno era nato nel I903 il Consorzio milanese delle biblioteche popolari. Nel I908 Fabietti aveva pubblicato l' importante Manuale per le biblioteche popolari. Su Bianciardi bibliotecario cfr. G. Di Domenico, Da Kansas City alla Braida del Guercio, in La biblio­ teca e l'immaginario, a cura di R. Morriello, M. Santoro, Bibliografica, Milano 2004, pp. I84-206. Più in generale, sul ruolo delle biblioteche popolari nel dopoguerra cfr. P. Inno­ centi, Pretesti della memoria per Emanuele Casamassima. Studi sulle biblioteche e politica delle biblioteche in Italia nel secondo dopoguerra, in "La Specola", I99I, I, pp. I49-263. 42. Un quadro esaustivo delle conferenze organizzate da Bianciardi durante la sua di­ rezione in Francioni, Luciano Bianciardi bibliotecario a Grosseto, ci t., pp. 90 ss. 43· Aldo D'Alfonso collaborò attivamente con il Centro popolare del libro e scrisse per la rivista "Letture per Tutti". 44· L 'antimeridiano I, p. s67. 45· lvi, p. s68. 46. Ibid. 47· Il Circolo cominciò la sua attività nel febbraio I9 S O (cfr. Abati, Bianciardi intellet­ tuale a Grosseto, cit., p. 112). I rapporti tra Bianciardi e il cinema furono assai articolati, anche se intermittenti: dal cineforum grossetano all'occasionale attività di critico cine­ matografico, fino ai due film che furono tratti dalla Vita e agra e da un suo racconto (Il complesso di Loth, che ispirò Il merlo maschio di Pasquale Festa Campanile, I97I). Sul tema cfr. F. Falaschi, Bianciardi e il cinema, in Scrittori e cinema tra gli anni 5o e 'oo , Atti del Convegno (Grosseto, 27-28 ottobre I 9 9 s ) , a cura d i F. Falaschi, Giunti, Firenze I997, pp. 8I-98. 48. È il terzo articolo pubblicato da Bianciardi. Il testo in L 'antimeridiano 2 , pp. I 6-9. 49· lvi, p. I8. so. lvi, pp. 9 S I-2.

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Tra minatori

e

badilanti

1. La collaborazione con il quotidiano socialista costituisce una sezione importante dell'attività giornalistica bianciardiana: lo scrittore pubblica complessivamente per "Avanti !'' un centinaio di articoli tra la fine del 1952 e il 1963 ( ma nessun articolo esce tra il 1954 e il 1959 ) . Va segnalato che mentre gli articoli di "Avanti !'' del 1 952-53 sono per lo più serie e rigorose inchieste su aspetti particolari della società italiana, negli articoli del periodo 1959-63 prevale il gusto satirico e caricaturale della nota di costume, che resta la cifra prevalente del giornalismo bianciardiano. 2. "Il Contemporaneo'' era una delle riviste più attente alla nuova realtà industriale e sociale del paese, alla quale dedicò numerose inchieste. Assai vicina al P C I , qualche anno più tardi confluirà in "Rinascita'' come supplemento mensile. Un articolo di Bianciardi (La /ambretta dei minatori) compare già nel primo numero del settimanale, il 27 mar­ zo 1954. Per "Il Contemporaneo'' Bianciardi scrive in tutto dieci articoli ( rultimo del giugno 1957 ) . 3 . L' inchiesta sulla Montecatini del "Politecnico'' era uscita in otto articoli a firma di Pao­ lo Succi, nei numeri 15, 16, 17 e 20 della rivista ( tra il s gennaio e il 7 febbraio del 1 946 ) . 4· L 'antimeridiano I, pp. 492-3. s . Le parole sono tratte da un' intervista del 1985 ( Cassola morirà due anni dopo) , ri­ portata in P. Corrias, Vita agra di un anarchico, Feltrinelli, Milano 2011'-, p. 6 o. 6. E si confrontino alcune pur precise ma essenziali descrizioni di Cassola con l'ab­ bondante esattezza documentaria di Bianciardi. È il caso delle abitazioni temporanee dei boscaioli, che r articolo di Bianciardi del 7 aprile richiama già nel titolo (Abitano in vecchie capanne i boscaioli della Maremma) . Così scrive Cassola nel Taglio: « Impie­ garono due giorni a costruire il capanno. Terminata rarmatura di rami, provvidero a rivestirla di zolle, la parte erbosa rivolta verso r interno: così che esternamente pareva un capanno di fango. Sul tetto spiovente venne stesa la carta incatramata [ ... ] . Inter­ namente vi erano due terrapieni coperti di stipe, che servivano da letti; nel mezzo, in corrispondenza della porta, un focarile e lo spazio per il tavolo» (Racconti e romanzi, Mondadori, Milano 2007, pp. 1 1 3-4 ) ; descrizione che nell'articolo bianciardiano si ar­ ricchisce di particolari tecnici ( compresa r esattezza terminologica : « Sopra r armatura pongono larghe zolle di terra, con la parte erbosa rivolta verso r interno. Così, dal di fuori, le capanne dei boscaioli paiono più grandi mucchi di fango che abitazioni. Lo spazio interno è molto limitato. Oltre la porta, molto stretta e costruita di solito con rami e scopa, c 'è un breve tratto di terra battuta, nuda, coperta di cenere [ ... ] da una parte e dall'altra sono sistemate le "rapazzole", e cioè lettiere di rami, scopa e paglia » (L 'antimeridiano 2, p. 3 1 5 ) . 7· lvi, p. 3 1 2 . 8. lvi, p. 314. 9· Cfr. rarticolo dell' 8 aprile ( ivi, pp. 318-9 ) , dove il calcolo assume prospettive aperta­ mente tecnico-ragionieristiche: «Un bosco di dieci anni, tipo forteto-Maremma (cioè leccio, corbezzolo, erica, ornello) dà una media di so-ss metri steri per ettaro, equi­ valenti a 455-460 quintali di legna, ed a 93 quintali di carbone. [ ... ] Le spese, con un calcolo generoso, si possono così riassumere: 110 al quintale per mano d'opera, 200 per il macchiatico, 150 di trasporto ecc. » .

NOTE

10. lvi, p. 332. 1 1 . lvi, pp. 3 47-67. Questi i titoli dei cinque articoli: Risale alla.fine del Settecento la na­ scita de/ latifondo toscano ( 25 novembre), È venuta la "riforma" ma e rimasto ilpadrone ( 27 novembre), A passo di gambero il lavoro nelle miniere ( 29 novembre), Con mezza divisione si risanerebbe la Maremma ( 3 dicembre), Ifunzionari dell'Ente sono propagan­ disti DC ( 5 dicembre) . 12. L' Ente fu istituito nel 1951, in applicazione della riforma agraria proposta dal governo De Gasperi nel 1950, con il compito di gestire le bonifi c he, le trasformazioni e l 'assegnazione dei terreni espropriati. All'attività dell' Ente è soprattutto dedicato l'articolo del 2 7 novembre, che oltre a parlare dei criteri clientelari che ne caratteriz­ zerebbero l'operato, interpreta l' intera riforma del governo De Gasperi come un'ope­ razione volta principalmente a ottenere il consenso elettorale della piccola proprietà agraria. Sul complesso quadro sociopolitico e ideologico della Grosseto del secondo dopoguerra cfr. A. Turbanti, Bianciardi e le lotte di classe in Maremma negli anni Cin­ quanta, in Luciano Bianciardi tra neocapitalismo e contestazione, Atti del Convegno (Grosseto, 22-23 marzo 1 9 9 1 ) , a cura di V. Abati et al. , Editori Riuniti, Roma 1992, pp. 1 3 1-55· 13. È l'articolo (sopra ricordato) La !ambretta dei minatori, accolto nel primo nume­ ro della rivista di Salinari e Trombadori ( 27 marzo 1 9 5 4 ) ; ora in L 'antimeridiano 2 , pp. 659-66. 14. lvi, p. 66o. 15. Miti e pregiudizi del nostro tempo, Einaudi, Torino 1951 (la traduzione è di F. Lucen­ tini) . L'edizione originale del libro è del 1947. 16. V. Abati, La nascita dei c'Minatori della Maremma': Il carteggio Bianciardi-Casso­ la-Laterza, Giunti, Firenze 1998. L' incontro venne organizzato da Fausto Codino, da poco trasferitosi a Bari a lavorare presso Laterza. Codino, lucchese, era amico di Bian­ ciardi dal tempo dei comuni studi alla Normale. 17. Lettera del 1° giugno 1954. Il testo ivi, pp. 59-60. La lettera mette nero su bianco i termini di una collaborazione che i due interlocutori ritengono ormai avviata. 18. lvi, p. 6o. 19. lvi, p. 73· 20. La definizione è di G. C. Ferretti, Storia dell'editoria letteraria in Italia, I945-200J, Einaudi, Torino 2003, p. 94· Quanto ai titoli della collana (che si aprì nel 1951 con una raccolta di saggi di A. C. Jemolo, Italia tormentata, I946-I95I), fra i tanti sono almeno da ricordare (oltre a quelli citati a testo) A. Battaglia, Processo alla giustizia ( 1954 ) ; D. Dolci, Banditi a Partinico ( 1956 ) ; La lotta contro i monopoli, a cura di E. Scalfari ( 1955 ) ; A. Cederna, I vandali in casa ( 1956 ) . 21. È quanto si ricava da uno scambio di lettere tra Laterza e Cassola nel luglio 1955. Dopo la lettura di un capitolo di prova di Cassola, nella lettera del 7 luglio Laterza si dice sorpreso dal « tono» del lavoro, che si sarebbe aspettato « molto mosso e dramma­ tico, anche per ravvivare l'attenzione del lettore » ; nelle attese dell'editore c 'era infatti una « scrittura che rispettando la verità storica la renda più evidentemente convincente, parlante, contemporanea » . Che Vito Laterza contasse seriamente, per la fortuna edi­ toriale del libro, sulla fama di Cassola come autore di racconti e romanziere è del resto esplicitamente dichiarato nella lettera, dove si accenna al pericolo di tradire l' « aspet­ tativa » dei lettori, « che si accosteranno al libro cercandovi lo "scrittore" Cassola » (la lettera è in Abati, La nascita dei c'Minatori della Maremma", cit., pp. 82-4, le citazioni

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sono tratte da p. 83 ) . La risposta di Cassola (dell ' I I luglio) sarà franca e risentita: si dichiara sì « dispostissimo ad accogliere suggerimenti e ad accettare modifiche margi­ nali » , ma non « a subire la impostazione del libro e addirittura il modo di scrivere » (ivi, p. 84 ) . 22. lvi, p. 34· 23. «Mi sembra che il saggio debba avere due dimensioni: una, diciamo così, socio­ logica, l'altra storica (la storia delle miniere e dei minatori della Maremma nell'epoca moderna, e soprattutto negli ultimi sessant'anni) » (ivi, p. 74 ) . 24. È da notare che la lettera (ivi, pp. 75-6 ) è immediatamente successiva alla Pasqua (l' I I era il lunedì dell'Angelo), e che nella sopra citata lettera del 24 marzo Cassola accennava alla prossima permanenza pasquale di Bianciardi a Grosseto ( « A Pasqua mi vedrò anche con Bianciardi, che verrà a Grosseto e dovrebbe aver già preparato l'appen­ dice sulla sciagura di Ribolla » , ivi, p. 74 ) . 25. L 'antimeridiano I, p. 9· 26. L 'antimeridiano 2 , p. 8o6. 27. Ibid. Il primo libro cui si allude nella citazione a testo è di Carlo Levi, non evi­ dentemente Cristo si efermato a Eboli (Einaudi, Torino 1 945 ) , ma Le parole sono pietre (Einaudi, Torino 1955 ) , dedicato alla realtà sociale siciliana. 28. La rivista, bimestrale, uscì tra il 1952 e il 1964. Il titolo dell'articolo coincide con quello del libro. 29. L 'antimeridiano 2, p. 82 7· 30. lvi, pp. 827-8. 3 1 . A. Gramsci, Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, Einaudi, Torino 1 949, pp. s ss. 32. L 'antimeridiano 2 , p. 829. 33· L 'antimeridiano I, pp. 42-3. 34· lvi, p. 51. 35· lvi, p. 53· Otello Tacconi sarà inserito nella Vita agra come esempio di operaio tutto d'un pezzo e mandante dell'attentato dinamitardo progettato dal protagonista del ro­ manzo. L'atto d'omaggio di Bianciardi verso uno dei protagonisti delle lotte sindacali maremmane fu però frainteso: lo scrittore fu citato in giudizio per diffamazione dallo stesso Tacco n i (l'episodio e la delusione che ne derivò saranno ricordati da Bianciardi nell'ultimo romanzo, Aprire ilfuoco) . 36. L 'antimeridiano I, p. I I S . 3 7· In particolare, l' inchiesta del "Politecnico" sulla Montecatini si concludeva con­ centrando lo sguardo su un singolo paese minerario, quello di Aulla, e inseriva alcune biografie di minatori. 3 8. Abati, La nascita dei "Minatori della Maremma", ci t., p. 76. 39· L 'antimeridiano I, p. 171. Le biografie sono alle pp. 171-92.

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Il m ito rivisitato : Il lavoro culturale 1. Abbiamo ricordato ( CAP. 3, nota 2 ) il primo articolo scritto da Bianciardi per il nu­ mero 1 della rivista, La !ambretta dei minatori, che precede di poche settimane la tra­ gedia di Ribolla.

NOTE

2. Le soldatesse diventerà nel I965 un film, per la regia di Valerio Zurlini. Il romanzo racconta il viaggio che un ufficiale italiano compie nella Grecia occupata dai nazifascisti per accompagnare alcune prostitute greche che "lavorano" per i soldati italiani. 3· I paratesti bianciardiani della collana sono stati studiati da M. Mazza, Ifannulloni frenetici. Luciano Bianciardi e l'industria culturale, Felici, Ghezzano ( P I ) 2009, pp. 44 ss. L'autrice dimostra la paternità bianciardiana degli apparati paratestuali dei primi dodici titoli di "Scrittori d'oggi". 4· Il testo della lettera è in P. Corrias, Vita agra di un anarchico, Feltrinelli, Milano 2011\ pp. 86-8. 5· Cfr. supra, pp. 47-8. L' immagine di Grosseto simile e Kansas City assunse in Bian­ ciardi una forte valenza simbolica: quella, non priva di ambiguità, di una modernità vitale ed espansiva, aperta alle novità e alle sperimentazioni delle idee e dei progetti, ma anche caratterizzata da radici poco solide. Ricordiamo di passaggio che a metà de­ gli anni Cinquanta Kansas City (nella deformazione che ne fa uno Stato, « il Kansas City » ) è resa celebre in Italia dalla parodia dell'esterofilia americaneggiante di Nando Moriconi (Alberto Sordi, in Un americano a Roma, di Steno, I954 ) . 6. Dopo aver accennato all'apertura di una linea aerea estiva Linate-Grosseto, Bianciar­ di commenta: «Dunque Kansas City rimane aperta ai venti, ai forestieri e ora anche agli aeroplani, pressappoco come ai tempi miei. Ma allora, cosa succede di nuovo a Kansas City ? Cosa è successo, in questi dieci anni interposto ? » (L 'antimeridiano 1, pp. 274-5 ) . 7· Come vedremo ( CAP. 7 ) nella Battaglia soda Bianciardi scrive un romanzo "autobio­ grafico", ma assumendo un'altra identità, per altro non di invenzione, ma quella storica e reale dello scrittore ottocentesco Giuseppe Bandi. In Aprire iljùoco, il più sperimenta­ le dei romanzi di Bianciardi, i moltissimi riferimenti, anche minuti, alla propria biogra­ fia sono inseriti in un'ambientazione storicamente fittizia, che impasta arbitrariamente anacronismi e cronologie fantastiche. 8. Ph. Lejeune, Ilpatto autobiografico, il Mulino, Bologna I 9 8 6 (ed. or. Le pacte autobio­ graphique, Éditions du Seui!, Paris I975 ) . 9· Il volume comprende, tra gli altri, racconti di Alberto Bevilacqua, Piero Chiara e Guglielmo Zucconi. Io. L'articolo è ora in L 'antimeridiano 2 , pp. I 6 55-6o. I 1. Il romanzo di Doubrovsky voleva dimostrare una possibilità che Lejeune, nel suo lavoro capitale sull'autobiografia, aveva escluso: quella di una storia in cui vigesse l ' i­ dentità di autore, narratore e personaggio (i fattori costitutivi dell'autobiografia) , che racconta però fatti inventati, contravvenendo così al "patto autobiografico" che pre­ suppone nel lettore che i fatti narrati in un'autobiografia siano reali e non immaginari. I2. Si pensi, oltre agli esperimenti di Doubrovsky, al modello capostipite di Truman Capote - che per il libro In Co/d Blood (A sanguefreddo) - coniò il termineJaction, cioè non-fiction nove/, o a Emmanuel Carrère. E si pensi, per restare in Italia, alla trilogia di Walter Siti, Scuola di nudo, Un dolore normale, Troppi paradisi ( I 9 94-2oo6 ) , dove even­ ti di finzione capitano a un personaggio che si chiama Walter Siti e che ha molti punti di contatto con la figura reale dell'autore. 1 3 · Cfr. V. Martemucci, L 'autojìction nella narrativa italiana degli ultimi anni. Una rassegna critica e un incontro con gli autori, in "Contemporanea. Rivista di studi sulla letteratura e sulla comunicazione", 2008, 6, pp. I59-88. Oltre a ricostruire il dibattito sull'argomento, a partire dai tardi anni Settanta, e a indicare i limiti teorici dell' ipotesi

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"autofi n zionale", l'autrice opportunamente segnala (ma cfr. M. Darrieusecq, L 'auto.fic­ tion, un genre pas sérieux, in "Poétique", 1996, 107, pp. 1 6 9-80, p. 163) come la riflessione sull'auto.fiction abbia il merito « di mettere in dubbio l' ingenuità dell'autobiografia » , mostrando come « spesso l a verità d i una vita s i lascia cogliere meglio nel sotterfugio, nella trasposizione fittizia o nell'abbandono a una scrittura associativa, piuttosto che in un racconto ordinato o pretenziosamente fedele » . 14. V. Colonna, L 'auto.fiction. Essai sur la .fictionnalisation de soi en littérature, tesi di dottorato discussa nel 1998 presso l'EHESS (relatore G. Genette). Sulla tensione tra finzione e verità autobiografica in Bianciardi cfr. anche A. Loreto, Milanesi in rivolta. Luciano Bianciardi e l'asse Valera-Balestrini, in "Il Verri", LII, 37, giugno 2008, pp. 73-90. Ma la questione non è secondaria in M. Coppola, A. Piccinini, Luciano Bianciardi, l'io opaco, introduzione a L 'antimeridiano I, pp. vn-xxxv. 15. L'antimeridiano 2, pp. 57-9. 16. Alcune delle figure reali che si celano dietro gli eruditi locali ricordati nel capitolo iniziale del libro (non nominati o citati con nomi falsati) sono state identificate da A. Bruni, Il lavoro culturale, in Luciano Bianciardi tra neocapitalismo e contestazione, Atti del Convegno (Grosseto, 22-23 marzo 1991), a cura di V. Abati et al. , Editori Riuniti, Roma 1992, pp. 45-67, pp. 47-8. 17. L 'antimeridiano I, p. 201. 18. L 'antimeridiano 2 , pp. 104-6. 19. N. Ajello, Intellettuali e PCI, I944/IgsS, Laterza, Roma-Bari 1979, p. 374· 20. Politica e ideologia, la principale opera di Z danov (che era stato stretto collaborato­ re di Stalin), era stata pubblicata nel 1949 per le Edizioni di Rinascita. 21. L 'antimeridiano I, p. 202. 22. lvi, pp. 2I I-2, dove sono descritte le strategie propagandistiche adottate dal nuovo vescovo della città, « giovane ed energico» e intenzionato a « far carriera » . Il grottesco, prima che nelle cose, è nell'adozione di soluzioni linguistiche che usano in funzione straniante la nascente tendenza dell' italiano ad adottare neologismi pseudotecnici: compaiono allora « funzioni religiose su mezzi autocarrati» e un « altare semovente » , che circolava per città e campagne; mentre u n altoparlante diffonde musica sacra e tra­ smette informazioni da radiocronaca ciclistica ( « Ci annunciano che il Santissimo ha oltrepassato or ora il ponte dei Macelli » ) . 2 3 . L 'antimeridiano 2 , p. 295. 24. lvi, pp. 295-6. 25. La storia dettagliata della mancata carriera calcistica in L 'antimeridiano I, pp. 218-20. 26. Moltissimi articoli degli Incontri provinciali sono appunto costruiti su discorsi ri­ portati (in forma diretta o nella forma dell' indiretto libero) che vengono raccolti nelle più comuni situazioni sociali. Esemplari sono gli articoli Europeisti (del 9 maggio 1952, che riporta un dialogo al bar) e Viaggiatori (del 24 giugno 1952, che riporta un conden­ sato dei più vieti luoghi comuni che un ragioniere, un dentista e un rappresentante di commercio si scambiano in uno scompartimento ferroviario) . 27· Anche questo è un dato reale della biografia bianciardiana. Lo scrittore Bianciardi fu effettivamente insegnante tra il 1 948 e il 1951, e al momento di assumere l ' incarico di direttore della Chelliana era professore di Storia e Filosofia presso il liceo ginnasio Carducci-Ricasoli di Grosseto. 28. L 'antimeridiano I, pp. 226-7. 29. lvi, pp. 248 e 249 (è il quinto capitolo del romanzo) .

NOTE

30. lvi, p. 249. 31. lvi, p. 250. 32. Sulle parodie ungarettiano-ermetiche dei Diari e in parte inviate all'amico Terrosi cfr. supra, pp. 29-30. 3 3 · Il primo intervento, di Ines Pisoni, uscì nel numero di luglio-agosto del 1952 di "Ri­ nascita", al quale ne seguirono numerosi altri nei numeri successivi della rivista. 34· Cfr. Bruni, Il lavoro culturale, ci t., pp. 45-67. La questione specifica alle pp. ss-6. 35· Su tale dibattito cfr. la raccolta di interventi in La nuova questione della lingua, a cura di O. Parlangeli, Paideia, Brescia 1972. L'articolo di Pasolini che diede avvio al dibattito, Nuove questioni linguistiche, uscì su "Rinascita" il 26 dicembre 1964 ( ristam­ pato poi in apertura di Empirismo eretico, Garzanti, Milano 1972, pp. 9-28). Dopo aver richiamato la storica « dualità » tra italiano parlato e scritto ( marcatamente letterario) , Pasolini constata come l' italiano parlato, solo ora nato come lingua nazionale, è una sorta di lingua aziendale « omologatrice delle altre stratificazioni linguistiche e addi­ rittura come modificatrice ali' interno dei linguaggi » . Sull'apporto bianciardiano alla questione cfr. W. San tini, L 'Italia agra delle antilingue. Forme della dis-integrazione nella narrativa di Luciano Bianciardi, in "Carte Italiane", VIII, 2012, 2, pp. 93-n4 e M. Pietralunga, Luciano Bianciardi and the Evolution of'Language: From the Risorgimento to the ''Boom" Years, in Patois and Linguistic Pastiche in Modern Literature, ed. by G. Summerfield, Cambridge Scholars, Newcasde 2007, pp. 27-46. 36. Alla famosa ode pariniana allude un accenno del primo capitolo, dove si parla degli Etruschi stanziatisi in Maremma perché « attratti dalla salubrità dell'aria » (L 'antime­ ridiano I, p. 201). Un più criptato, ma indiscutibile, accenno al Giorno (Mattino, v. 3 3 : « Sorge il Mattino i n compagnia dell'Alba » , che contrappone al villano che s i alza alla prima luce il lungo sonno del giovin signore ) , coglie acutamente Bruni (Il lavoro cul­ turale, cit., p. 53), a proposito di badilanti e terrazzieri che (diversamente dai borghesi di città) sono « gente che la mattina si alzava all'alba » (L'antimeridiano I, p. 215). Di Arnaldo Bruni si segnala ora la monografia «lo mi oppongo». Luciano Bianciardi gari­ baldino e ribelle, Aracne, Roma 2016, uscita quando il nostro libro era già impaginato. 37· Tutte le citazioni sono tratte da L 'antimeridiano I, pp. 254-6. 38. Cfr. supra, pp. 125-6. 39· Gli articoli in L 'antimeridiano 2 , pp. 1271-316. 40. L 'antimeridiano I , p. 255. 41. lvi, p. 256. 42. lvi, p. 246 ( corsivi nostri ) . 43· lvi, p. 244. 44· lvi, p. 250. 45· Jbid. 46. lvi, p. 242. 47· lvi, p. 244. 48. Sulla produzione di ciò che viene desiderato come caratteristica principale dell' in­ dustria culturale della seconda metà del Novecento, cfr. G. Ragone, Il consumo e leJòrme letterarie, in Letteratura italiana del Novecento. Bilancio di un secolo, a cura di A. Asor Rosa, Einaudi, Torino 2000, pp. 136-62. 49· L'accenno alla commedia di Wilder (1938), che ebbe grandissima fortuna nell' Italia del dopoguerra, acquista quasi il valore di una mise en abyme dell' idea stessa di "provin­ cia" e "provincialità": «piccola città » è la designazione corrente nel romanzo della mai

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nominata Grosseto ( « nella nostra città, piccola città » , L 'antimeridiano I, p. 197; «la nostra città era piccola » , ivi, pp. 204 ss. ) . so. lvi, p. 264. 51. lvi, p. 265. 52. lvi, p. 266. 53· lvi, p. 267. 54· lvi, p. 268. 55· Ibid. s6. lvi, p. 273· 57· lvi, p. 203. s8. lvi, p. 208. 59· lvi, p. 209. 6 o. lvi, p. 223. Il passo è nel terzo capitolo del libro, dove sono introdotti i due fratelli protagonisti. 61. lvi, pp. 222-3. 62. La lettera di Giaime Pintor fu stampata - assieme ad altre opere del giovanissimo critico, morto mentre cercava di oltrepassare la linea del fronte per raggiungere le trup­ pe degli Alleati - nella raccolta einaudiana del 1950 Il sangue dell'Europa. 6 3 . Si fa naturalmente riferimento a R. Luperini, Gli intellettuali di sinistra e l'ideologia della ricostruzione nel dopoguerra, Edizioni di Ideologie, Roma 1971. 64. Cfr. supra, nota 36. 65. L 'antimeridiano I, pp. 208-9. 66. lvi, p. 204. Per la segnalazione cfr. Luciano Bianciardi tra neocapitalismo e contesta­ zione, cit., p. 53· 67. « Maria ha scoperto con gioia che esiste anche un Oued Addad, che significa, né più né meno, fiume Adda. Eleviamo il nostro pensiero a Lorenzo Tramaglino, tessitore, che passava l'Adda per entrare nel territorio dei baggiani » (L 'antimeridiano I, p. 1 3 8 1 ) . 68. lvi, p. 257. 69. lvi, pp. 257-8. 70. G. Stalin, Il marxismo e la linguistica, Edizioni di Rinascita, Roma 1952, p. 20. 71. lvi, p. 21. 72. L 'antimeridiano I, pp. 234-5. 73· lvi, p. 235. 74· Cfr. G. Manacorda, Storia della letteratura italiana contemporanea, I940-I965, Edi­ tori Riuniti, Roma 1 974, p. s6. 75· L 'antimeridiano I, p. 235. 76. lvi, p. 671.

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L ' intellettuale dis-integrato : L 'integrazione 1. Il termine « quartaro » , a designare figure lavorative come il pubblicitario o il public relations man ( ma anche, maliziosamente, il prete) compare nel settimo capitolo della Vita agra; ora in L 'antimeridiano I, p. 655, all' interno di una sezione abbastanza citata del

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romanzo, i n cui Bianciardi ironizza sull'attivismo improduttivo d i molta realtà aziendale di servizi (bisogna « fare polvere, una nube di polvere possibilmente, e poi nascondercisi dentro » ) . Qui i « quartari » rappresentano una forma evoluta dei « terziari » , produtto­ ri di servizi non valutabili con metri puramente quantitativi (come avviene per agricol­ tura e industria: attività primarie e secondarie, ma come avviene anche per settori tradi­ zionali del terziario) . Il termine era già presente come titolo di un articolo pubblicato su ''Avanti !" il I9 maggio I959 (dunque a ridosso della stesura dell'Integrazione, che indica in calce come data di conclusione della scrittura il luglio I959 ). Il termine (quaternary sector) è derivato dall'economista Colin Clark che teorizzò il nesso tra modelli sociali e ambiti produttivi (appunto primary sector, secondary sector ecc.) e che designava con quaternary quella tipologia particolare di servizi legati all'informazione, ai media o alla ricerca. A questa terminologia Bianciardi ebbe probabilmente accesso tramite il libro di D. Riesman, LaJòlla solitaria (che ricorda le teorie di Clark) , pubblicato in Italia nel I956 (l'edizione americana, The Lonely Crowd, è del I950). 2 . L antimeridiano I, p. 475· 3· lvi, p. 469. 4· lvi, p. 473· 5· lvi, p. 474· 6. lvi, p. 475· 7· Ibid. 8. Sull' importanza del « dato topologico » nella trilogia bianciardiana si sofferma R. Guerricchio, La vita agra, in Luciano Bianciardi tra neocapitalismo e contestazione, Atti del Convegno (Grosseto, 22-23 marzo I99I), a cura di V. Abati et al. , Editori Riuniti, Roma I992, pp. 69-87. 9· L 'antimeridiano I, p. 477· Ma i termini che rimandano al campo semantico della marcia, e più latamente alla realtà militare, sono continui in questa pagina: « quelli che marciavano dietro» , « chi ha fatto il soldato può dire se è vero » , « il plotone diventa il tuo veicolo e tu soldato ci cammini dentro » , il « modo militaresco» di camminare. Io. lvi, p. 478 (corsivo nostro). II. Ibid. I2. L' importanza dellaJldnerie baudelariana, come espressione della nuova dimensione percettiva indotta dalla metropoli industriale, fu teorizzata da W. Benjamin nell'incom­ piuta opera i "passages" di Parigi (I926-4o). Sull'argomento cfr. G. Nuvolati, Lo sguardo vagabondo. IlJldneur e la citta da Baudelaire ai postmoderni, il Mulino, Bologna 2oo6. I3. L 'antimeridiano I, p. 654. I4. lvi, p. 478. I5. Nel Dizionario letterario de/ lessico amoroso ( UTET, Torino 2000) di V. Boggione, G. Casalegno, sotto la voce Passeggiatrice sono citati Cuor mio di Palazzeschi (I968) e Il Paradiso di Moravia (I970) - ambedue dunque successivi all'Integrazione - e altri esempi più recenti. I6. Ilperipatetico è il primo, in ordine di tempo, dei racconti erotici dello scrittore (sul Bianciardi "erotico" cfr. CAP. 9, pp. 22I-5). I7. L 'antimeridiano 2 , p. 703. I8. lvi, p. 700. I9. « lo starei volentieri un giorno con te. Ti farei vedere come si campa in questa giun­ gla merdosa e poi vorrei parlare di un sacco di cose » . La lettera (del 22 giugno I955) è

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pubblicata in M . Terrosi, Bianciardi com 'era. Lettere di Luciano Bianciardi ad un amico grossetano, Il Paese Reale, Grosseto 1974, p. ll. lO. L 'antimeridiano 2 , p. 703. li. lvi, p. 702. l l . Ibid. l3. lvi, p. 701. l4. lvi, p. 70l. La stessa "divisa" ricorre anche in un articolo di pochi mesi successivo (Specialisti a Milano, in "l' Unità", 8 giugno 1955; ora ivi, pp. 749-51), dove compare un ragioniere « vestito, come suoi dirsi, con proprietà: aveva un doppiopetto grigio, la ca­ micia bianca, la cravatta blu » . Ma che il "ragioniere", come è detto nella Lettera da Mi­ lano, individui ogni forma di integrazione opportunistica nell'apparato sociale - non solo l ' impiegato contabile amministrativo - lo indica l'abbigliamento dell'avvocato di successo di Il convertito (''l' Unità", 5 febbraio 1956; ora ivi, pp. 755-7 ), un ex commili­ tone toscano, trasferitosi a Milano, un tempo gran bestemmiatore e ora legatissimo ai gesuiti, con « vestito color grigio-ferro, la camicia bianca e la cravatta blu » . 25. L 'antimeridiano I , P· 560. 26. L 'integrazione potrebbe essere accostato per temi e argomento a Ilpadrone di Gof­ fredo Parise ( 1965). 27. Cfr. G. C. Ferretti, Il best seller all'italiana. Fortune eformule del romanzo di quali­ fa, Masson, Milano 1993. 28. Cfr. quanto suggerisce R. Dainotto, Luciano Bianciardi e il lavoro culturale, in "lta­ lian Studies", LXV, 2010, 3, pp. 361-75. 29. Valerio Riva fu uno dei protagonisti della casa editrice per la quale lavorò una quindi­ cina di anni (nei primi anni Settanta passerà a dirigere il settore cultura di "l' Espresso") . 3 0 . Adolfo Occhetto, prima d i approdare alla Feltrinelli, era stato amministratore dell' Einaudi. È il padre del futuro segretario del P C I , Achille. 3 1 . Fabrizio Onofri, antifascista e partigiano, aderì giovanissimo al Partito comunista, divenendo membro del Comitato centrale dopo la Liberazione. Onofri, che ebbe allora un ruolo di primo piano nella politica culturale del partito, maturerà posizioni sempre più critiche nei confronti del P C I , finché, come già ricordato, fu espulso nel 1 957. 32. La figura di Volterra compare nel settimo capitolo del romanzo; ora in L 'antime­ ridiano I, p. 528: « Intanto però molti si preoccupavano, perché il capo [Giangiacomo Feltrinelli] , quel tanghero, da diverso tempo non si vedeva, e correva voce che a Roma lo avevano visto in compagnia di un certo Volterra, letterato finissimo, e capace di influen­ zarlo. "Bisogna starei attenti", diceva Gaeta. "lo li conosco questi letterati, li ho visti venir su uno per uno, me li ricordo" » . Non stupisce naturalmente l'espressione « un certo Volterra » : il romanzo racconta fatti del 1 954-55, precedenti alla grande notorietà di Bassani, che solo nel 1956 vinse il Premio Strega con Cinque storiejèrraresi. 3 3 · L 'antimeridiano I, p. 500. 34· Cfr. M . Zanantoni, Albe Steiner. Cambiare il libro per cambiare il mondo: dalla Repubblica dell'Osso/a alle Edizioni Feltrinelli, Unicopli, Milano 2013. 35· L 'antimeridiano I, pp. 500-I. 3 6 . lvi, pp. 519-20 37· lvi, p. 498. 38. lvi, p. 515. 39· L'espressione - adottata come titolo da Marta Mazza in una monografia sull'at­ tività editoriale di Bianciardi (Ijànnulloni frenetici. Luciano Bianciardi e l'industria

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editoriale, Felici, Ghezzano, PI, 2009 ) - è desunta d a una lettera d i Bianciardi all'amico Mario Terrosi del maggio 1960: « le case editrici sono piene di fannulloni frenetici: gente che non combina una madonna dalla mattina alla sera, e riesce, non so come, a stancarsi lo stesso, e a dare l ' impressione, fallace, di stare lavorando » (Terrosi, Bianciar­ di com 'era, ci t., p. 53 ) . 40. L 'antimeridiano I, pp. 497-8. 41. Nelle parole di Bauducco ricorre un'altra espressione che appartiene al novero delle parole caratteristiche di un lessico "milanese", efficientista e ridicolmente "specialistico", su cui si esercita l' ironia dello scrittore: è « ramo» (e i derivati "essere del ramo" e simili), nel senso di settore di produzione o area professionale, già bersaglio del sarcasmo bian­ ciardiano in un articolo del 1955 ( Specialisti a Milano, in "l' Unità", 8 giugno 1955 ) : « Gli chiesi della vita milanese, quanto ci sarebbe voluto per campare, che prezzo avesse la carne, ma non mi seppe rispondere: "Non è il mio ramo" » (L'antimeridiano 2, p. 749 ) . 42. L 'antimeridiano I, pp. 509-10. 43· lvi, p. 535· 44· Ibid. Lo stesso principio Pozzi illustrerà commentando il licenziamento del narra­ tore ( « mi spiegò ancora una volta la teoria del rapporto di forza » , ivi, p. 544 ) . 45· L'antimeridiano 2, p. 704 (corsivi nostri). 46. Il dialogo è nel secondo capitolo del romanzo; ora in L 'antimeridiano I, pp. 489-91. 47· lvi, pp. 490-1. 48. lvi, p. 489 (corsivi nostri) . 49· Cfr. supra, pp. 123 ss. so. L'antologia ( The Beat Generation and the Angry Young Men, ed. by G. Feldman, M. Gartenberg, Citadel, New York) era uscita nel 1958. Tra gli autori dell'antologia c 'era naturalmente Kerouac, il cui capolavoro, On the Road, era stato tradotto in Italia, da Magda de Cristofaro, nel 1959 ( Sulla strada, Mondadori, Milano) . Sull ' importanza per Bianciardi del libro, la cui traduzione cadde tra L 'integrazione e La vita agra, cfr. CAP. 6, pp. 157-8. 51. L 'antimeridiano I, p. 498. 52. Einaudi, Torino 1958. 53· L 'antimeridiano I, p. 553· La frase apre il decimo e ultimo capitolo del romanzo. 54· lvi, p. 542. SS · lvi, p. 537· s6. Ibid. 57· lvi, p. 543· s8. Su tale esperienza (certamente la più importante traduzione di Bianciardi) cfr. CAP. 6, pp. 158-6o. 59· L 'antimeridiano I, pp. 545-6. 6 o. lvi, p. 547 (corsivi nostri). 6I. Jbid. 62. Jbid. Sul termine "ramo" cfr. supra, nota 41. 63. L 'antimeridiano I, p. 547· 64. Ibid. 6s. Ibid. 66. E. J. Benge, L 'arte di sviluppare la propria personalità scoprendo ed utilizzando il proprio segreto potere emotivo, Franco Angeli, Milano 1958, p. 149.

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67. lvi, p. 52. 68. lvi, p. I I 4 . 69. lvi, p. 49· 70. L 'antimeridiano I, p. 557· 71. In Italia il termine - per influsso del grande modello gaddiano - designa preferibil­ mente il plurilinguismo e la mescolanza caotica di stile e lessico, che è in realtà una delle possibili espressioni del pastiche. Un'utile puntualizzazione linguistico-concettuale pro­ pone M. Di Gesù, La tradizione delpostmoderno, Franco Angeli, Milano 2003, pp. 75 ss. 72. Non a caso la parodia nacque nella Grecia antica, con Ipponatte, applicando a con­ tenuti "bassi" e ridicoli le forme metrico-stilistiche "alte" dell'epica omerica. Sull' im­ possibilità della forma della "parodia" nel tardo capitalismo, che ha visto la caduta delle gerarchie fra i testi, cfr. F. Jameson, Ilpostmoderno, o la logica culturale del tardo capita­ lismo, Garzanti, Milano 1 9 8 9. 73· Secondo quanto Bianciardi scrive in uno degli ultimi articoli ("Guerin Sportivo", 1 3 settembre 1 9 7 1 - lo scrittore morirà pochi mesi dopo) : «l miei maestri s i chiamano così: Giovanni Verga, catanese. Seguo invano le sue tracce da quando avevo diciotto anni. Car­ lo Emilio Gadda, milanese come te [l'articolo è in forma di lettera a Enzo Tortora] e come me, tuttora insuperato. Henry Miller, detto anche Enrico Molinari, da New York, che ebbi la fortuna di tradurre e di conoscere personalmente » (L 'antimeridiano 2, p. 1708 ) . 74· L 'antimeridiano I, p. 470. Tra i regionalismi va indicato l'articolo che precede il cognome ( «l'Adami » , « il Bossi » ) , un toscanismo come «padule » (ivi, p. 474 ) ; « sco­ sciare » , detto del ramo di un albero (ivi, p. 471 ) . 75· lvi, p. 485. 76. L 'antimeridiano 2 , pp. 6 94-6. 77· lvi, p. 6 94· 78. lvi, p. 696. 79· L 'antimeridiano I, pp. 6 1 4-5. 8 o. L 'antimeridiano 2 , p. 791. 81. lvi, pp. 791-2. 82. L 'antimeridiano I, p. 483. 8 3 . L 'antimeridiano 2 , p. 792. 84. L 'antimerdiano I, p. 486. 85. Le due citazioni sono in L 'antimeridiano 2 , pp. 753 e 754· 86. L 'antimeridiano I, p. 501.

6 La vita agra 1. Così scrive in una lettera del 1° marzo: «Son riuscito a scrivere un libro, che riten­ go la mia cosa migliore, ma che mi ha messo nei pasticci, perché lo vogliono almeno in quattro editori, e dovrò per forza scontentare qualcuno. Guarda il caso, Morando del Bompiani (con Bompiani ho un impegno di opzione) è l'unico fra tanti che non è soddisfatto e che mi vorrebbe far riscrivere ogni cosa. Calvino invece ne è entusiasta, e lo pubblicherebbe anche subito. Si intitola La vita agra, ed è la storia di una solenne

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incazzatura, scritta in prima persona singolare » (M. Terrosi, Bianciardi com 'era. Lettere di Luciano Bianciardi ad un amico grossetano, Il Paese Reale, Grosseto I974, p. 34). 2. lvi, pp. 35-6. 3 · lvi, p. 42. È la lettera del 30 dicembre I962. 4· La speculazione edilizia, che uscirà in volume nel I963, era stato pubblicato nel I957 su "Botteghe Oscure". La nuvola di smog era uscito nel I958 su "Nuovi Argomenti". 5· M. Forti, Temi industriali nella narrativa italiana, in "Il Menabò", I96I, 4, pp. 2133 9, p. 235· 6 . E. Vittorini, Industria e letteratura, in "Il Menabò", I96I, 4, pp. 1 3-20. Le citazioni sono tratte rispettivamente da pp. I3 e I5. 7· Il testo di Calvino in "Il Menabò", I962, 5, pp. I8-2I; ora in l. Calvino, Saggi, a cura di M. Barenghi, Mondadori, Milano I995, I I , pp. I765-9. 8. Rita Guerricchio ha parlato di «parlerie inesauribile » del protagonista come del solo elemento strutturante del racconto (La vita agra di Luciano Bianciardi, in Luciano Bianciardi tra neocapitalismo e contestazione, Atti del Convegno [Grosseto, 22-23 marzo I 9 9 I ] , a cura di V. Abati et al. , Editori Riuniti, Roma I992, pp. 6 9-87, p. 8o ) . 9· Così avviene nei casi i n cui entrano i n scena nuovi personaggi, che ovviamente pre­ suppongono un'azione collocata nel tempo puntuale del passato remoto: « Un giorno conobbi la vedova ViganÒ » (L 'antimeridiano I, p. 6 o2); « avevo conosciuto un altoate­ sino di nome Fisslinger, che una sera ci invitò a casa sua » (ivi, p. 638) ecc. Io. «La mattina del quattro di ogni mese mi alzavo prima del solito [ ... ] per fare il giro delle banche » (ivi, p. 688); « il giorno otto invece veniva a casa nostra l'esattore del vestiario» (ibid. ); «Verso la fine del mese arriva il letturista della luce e del gas » (ivi, p. 6 8 9 ) ; «Verso il due arriva la lettera di Mara » (ibid. ) . I I . Un'attenzione particolare meriterebbero anche l e singole parole d i derivazione stra­ niera che ricorrono isolate con funzione p rettamente ironica (oltre ai numerosi - come già nell ' Integrazione - anglismi desunti dal mondo produttivo-capitalistico) . Ad esem­ pio: la Fussgestalt (forma-modello del piede), che si adatterebbe a « calzolai hegeliani» (ivi, p. 568); i «padroni mori e timbergecchi » (ivi, p. 643), con allusione a Timberjack, un film western del I955 diretto da Joseph Kane. I2. L'accostamento a Gadda era proposto già in un saggio del I964 da Angelo Gu­ glielmi (Prospettive della narrativa italiana, in "Almanacco Letterario Bompiani", pp. I43-50); secondo una prospettiva poi ripresa nell'antologia, curata sempre dallo stesso, Vent 'anni di impazienza (Feltrinelli, Milano I965). Sulle tecniche di "deforma­ zione" della narrativa romanzesca resta fondamentale R. Rinaldi, Approssimazioni a una letteratura perversa, in Id., Il romanzo come dejòrmazione. Autonomia ed eredità gaddiana, Mursia, Milano I985, pp. 3 I-62. I3. Si veda il richiamo alla canzone popolare tedesca del Prinz Eugen, condottiero cri­ stiano contro i Turchi: « il tre di luglio arriva una spia e dice al principe Eugenio dass die Tùrken wollen Donau iibertragen, vogliono, 'sti Turchi, traversare il Danubio con trecentomila uomini, Dreihundertausen Mann [sic] » (L 'antimeridiano I, p. 577 ); o l ' il­ lustrazione della maliziosa canzone del « Curtlass » (tal Coltellacci) che spaventa «pas­ seri, ladri, gente normale e persino gli amici, cunt el bigol long 'on brass » (ivi, pp. 577-8) . I4. D i struttura narrativa fondata sull ' "incastro" d i storie h a parlato J . Mastrogianakos, Embedded Narratives ofSubversion in Luciano Bianciardi 's "La vita agra", in "Forum ltalicum", XXXVII , 2003, I, pp. I2I-46.

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15. Narratori della generazione alienata. Beatgeneration e angry young men, a cura di G. Feldman, M. Gartemberg, Guanda, Parma 1961. 16. Terrosi, Bianciardi com 'era, cit., p. 26. 17. M. C. Angelini, Luciano Bianciardi, La Nuova Italia, Firenze 1 980, p. 46. 18. Terrosi, Bianciardi com 'era, cit., pp. 25-6. 19. « Ho in animo di buttar una grossa pisciata in prima persona sull'avventura mila­ nese, sul miracolo italiano, sulla diseducazione sentimentale che è la sorte nostra oggi » (ivi, p. 23 ) . 20. H. Miller, Opere, a cura di G. Almansi, Mondadori, Milano 1992, pp. 7-8 (corsivi nostri). 21. L 'antimeridiano I, pp. 60 3-4. 22. lvi, pp. 605-6. 23. lvi, p. 622. 24. Anche in questo caso il richiamo autobiografico è trasparente. Da alcuni brani della traduzione riportati nel romanzo si evince che il libro di cui si parla nel quinto capitolo è Nettare al setaccio (Nectar in a Sieve) della scrittrice angloindiana Kamala Markanda­ ya. Il libro di Markandaya, pubblicato in Inghilterra nel 1954, e tradotto da Bianciardi per Feltrinelli nel 1956, fu una delle prime traduzioni letterarie dello scrittore. 25. L 'antimeridiano I, p. 643. 26. lvi, p. 692. 27. lvi, p. 702. 28. lvi, p. 732. 29. lvi, p. 642. 30. lvi, p. 651. 3 1 . lvi, pp. 647-8. 32. Il passo è tratto dal settimo capitolo, dove Bianciardi - riprendendo spunti già svi­ luppati nell ' Integrazione, parla della condizione del lavoratore nella realtà postindu­ striale del terziario e del « quartario» : «hai l ' impressione che non siamo più uomini, ma pesci, non so, ectoplasmi, baccelloni di ultracorpo, marziani travestiti da terricoli» (ivi, p. 6 6 1 ) . 3 3 · L'invasione degli ultracorpi è del 1956. Molto opportunamente Barbara Marras (La vita agra Rimorso e rinuncia di un traduttore dis-onesto, in "Quaderni del ' 900", 2002, 2, pp. 89-109, pp. 94-5 ) segnala il rovesciamento "ideologico" operato da Bianciardi ri­ spetto al film, che nel pieno della guerra fredda concretizzava negli "ultracorpi" le paure nei confronti del comunismo. Nel romanzo gli "ultracorpi" sono invece una metafora del capitalismo e della sua capacità di plasmare coscienze e comportamenti dei singoli. 34· L 'antimeridiano I, p. 650. 35· lvi, p. 705. 36. Le citazioni sono tratte dal quarto capitolo (ivi, p. 6 1 6 ) . 37· Emergenze bene indagate da Cristina Benussi (La vita agra. Caduta e redenzione, in La parola e il racconto. Scritti su Luciano Bianciardi, Atti delle Giornate di studio [Bologna, 5-6 maggio 2004] , a cura di C. Varotti, Bononia University Press, Bologna 2005, pp. 37-51 ) , che colloca Bianciardi tra gli scrittori "di terra", caratterizzati da un forte senso del sacro e dall'orrore per la sua violazione. 38. L 'antimeridiano I, pp. 579-80. Il nesso tra "petto", allattamento e attrazione sessuale torna - in un'atmosfera prossima alla blasfemia - nell'ultimo racconto pubblicato in

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vita da Bianciardi (Il prete lungo, in ''.ABc ", 3 settembre 1971, ora in L antimeridiano I, pp. 1859-70 ) , dove il narratore (a raccontare è un prete) rievoca i primi turbamenti ses­ suali, quando seminarista era attratto dall' immagine di una Madonna raffigurata « con il petto ampio e scoperto, nell'atto di porgere il seno al Bambino Gesù » (L antimeridia­ no I, p. 1865, corsivo nostro). 39· L antimeridiano I, pp. 704- S · Un Sereni incallito automobilista (anche lì designato con il solo nome di battesimo di Vittorio) figura in un breve racconto del 1960 ( vacan­ za allafoce, ivi, pp. 1571-4, dove la « foce » è la località marina di Bocca di Magra, tra Liguria e Toscana) . 40. lvi, p. 696 (il testo apre il decimo capitolo, penultino del romanzo) . 41. lvi, p. 732. 42. lvi, pp. 614-5. 43· L' immagine dello scrittore che, inserito nelle dinamiche moderne del marketing, è una sorta di prostituta ricorre spesso in scritture private di Bianciardi: oltre che nel­ la lettera citata sopra del dicembre 1962 («ho battuto i marciapiedi dell' Emilia » , cfr. supra, nota 3 ) , Bianciardi parla spesso del suo lavoro di traduttore alla macchina per scrivere (appunto "battendo" i tasti) come di "battonaggio quotidiano". 44· H. Greenwald, Le ragazze squillo, Bompiani, Milano 1 959, pp. 33-5. 45· L antimeridiano I, pp. 616-7. 46. lvi, pp. 690-1. 47· Arte e oltraggio. Dibattito epistolare tra Henry Miller, Lawrence Durre/l e Alfred Perles, Feltrinelli, Milano 1961. 48. L antimeridiano I, P· 691. 49· lvi, p. 693. so. Il lavoro del traduttore, in "Notizie", s febbraio 1961; ora in L antimeridiano 2 , pp. 8736, dove alla fatica quotidiana, da "sterratore" del tradurre, è contrapposto il "riposo" crea­ tivo domenicale ( « solo la domenica, per riposarsi, uno scrive un libro suo » , ivi, p. 876 ) . 51. Le citazioni da Tommaseo sono tratte dall'edizione Vallardi (Milano 1904 ) del Di­ zionario dei sinonimi (p. 46 o ) . 52. L antimeridiano I, P· 668. 53· lvi, pp. 6 68-70. 54· Avventure e viaggi di mare. Giornali di bordo, relazioni, memorie, Feltrinelli, Mi­ lano 1959. 55· J. F. Kennedy, Strategia di pace, Mondadori, Milano 1960. s6. L antimeridiano I, p. 582. 57· Sul jazz come musica della beat generation si vedano le considerazioni di Norman Mailer, nel saggio The White Negro ( 1957 ), compreso nell'antologia guandiana tradot­ ta da Bianciardi (pp. 3 8 7-410 ): « il jazz è orgasmo, è la musica dell'orgasmo, orgasmo buono e cattivo, e così il jazz parlò per tutta la nazione, ebbe la comunicazione dell'arte anche laddove fu annacquato [ ... ] ; fu veramente una comunicazione mediante l'arte giacché diceva: "io sento questo e adesso sentilo anche tu" » (Narratori della generazio­ ne alienata, cit., p. 391 ) . Un'analisi delle traduzioni bianciardiane dei brani di Kerouac e di Mailer contenuti nell'antologia Guanda propone F. Rappazzo, Sondaggi testuali su Bianciardi traduttore, in Carte su carte di ribaltatura. Luciano Bianciardi traduttore, Atti del Convegno (Grosseto, 24-25 ottobre 1997 ), a cura di L. Bianciardi, Giunti, Fi­ renze 2000, pp. 41-59. Sulle contaminazioni fra traduzioni e narrativa in Bianciardi cfr.

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l'ottimo lavoro di A. De Nicola, Lafatica di un uomo solo, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2007 (per la traduzione dell'antologia su beatniks e angry young men cfr. pp. 65 ss.). 58. Citata in P. Corrias, Vita agra di un anarchico, Feltrinelli, Milano 20II'-, p. 171. 59· In "Settimo Giorno", 40, ottobre 1963. Il testo dell' intervista (fatta da Luigi Silori) è riportato in Angelini, Luciano Bianciardi, cit., p. 11. 6o. L antimeridiano I, pp. s83 e 614. 61. Il brano di Abelardo dell'epigrafe del Tropico del Capricorno è uno dei passi iniziali della Historia calamitatum. È da notare che sul senso e sull' importanza dell'epigrafe di Abelardo Miller si sofferma in Arte e oltraggio. 62. L antimeridiano I, pp. s6s-6. 63. F. Venosta, C. Pizzigoni, Milano sotto ilpunto di vista ecc., storico-statistico-politico amministrativo, commerciale ecc., presso Francesco Colombo libraio ed editore, Milano 1 8 62, p. 156. 64. L antimeridiano I, P· 732. 6s. lvi, p. s68. 66. lvi, pp. 566-7. 67. lvi, p. s6 9· 68. «Dall'Alpi alle Piramidi, l dal Manzanarre al Reno, l di quel securo il fulmine l tenea dietro al baleno» (Il cinque maggio, vv. 25-28 ) . 69. L antimeridiano I, p. s69. 70. lvi, pp. 582-3. 71. Segnalato da M. A. Grignani, La lingua 'agra" di Luciano Bianciardi, in Luciano Bianciardi tra neocapitalismo e contestazione, ci t., p. 92, che rivela l'affinità gaddiana nella metafora musicale utilizzata da Bianciardi (cfr. C. E. Gadda, Il castello di Udine, Einaudi, Torino 1975, p. 1 3 : « levarò in lode di quelli quel canto, a che il mandolino dell'anima, ben grattato, potrà dare bellezza nel ghigno. La virtù, senza il becco di un quattrino, è pur veneranda cosa: e questo si arà da sentire nelle mie note » ) . 7 2 . Miller, Opere, cit., p . 31. 73· Feltrinelli, Milano 1961. La segnalazione è dello stesso Del Buono (L 'integrazio­ ne. Il tempo, la societa, introduzione a L. Bianciardi, L 'integrazione, Bompiani, Milano 1976, p. XIII ) . 74· Al pastiche di tipo gaddiano alludono vari richiami presenti nel testo : il plurilin­ guismo dialettale (la toscana « alata di Ollesalvetti » , cioè l' inflessione - calata - carat­ teristica di Collesalvetti e la lingua meridionale di « Ucurdunnu » ); l'utilizzo di forme dell'antico (cui allude il « lamento di Travale » , uno dei più antichi documenti in vol­ gare); il ricorso a forme culte e rare della tradizione (cui rimanda « Amarilli Etrusca » , nome arcadico della poetessa Teresa Bandettini) o dell'espressionismo letterario dialet­ tale (come quello di « zio Lorenzo di Viareggio» , cioè Lorenzo Viani) . 75· Grignani, La lingua 'agra" di Luciano Bianciardi, ci t., p. 9 3 · 7 6 . P. Zubiena, Dentro ejùori la scrittura anarchica. La lingua della Vita agra di Bian­ ciardi, in "Il Verri", LII, 37, giugno 2008, pp. 46-62, pp. 51-3. 77· Per il testo della lettera (riportata integralmente da Zubiena) cfr. Leonardo da Vin­ ci, Scritti letterari, a cura di A. Marinoni, Rizzoli, Milano 2005 6 , pp. 200-1 3. 78. L antimeridiano I, p. 688. Le due citazioni che seguono sono rispettivamente ivi, p. s68 e p. 706.

NOTE

79· Cfr. supra, p. 96. 8 o. Cfr. J. P. Donleavy, Zenzero, Feltrinelli, Milano 1 959, p. 126: «Traversare questa Cuffie street, su per Augier street. Libera. Continuare così. Giù per questo vicolo e poi per questi cortili. Dangerfìeld che cammina fra i muti bianchi e odore di piscio. [ ... ] Per la via alberata. La traversa con passo elegante. Sbatte il cancellino. Giù per gli scalini. Toc toc. Attende. Silenzio, toc toc. Dio mio, cara Chris, non mi lasciare qua fuori, mi prendono» . Si confronti tutto il passo con La vita agra, in L 'antimeridiano I, p. 681. 8I. Jbid. 82. Cfr. Luciano Bianciardi. Il precario esistenziale, a cura di G. P. Serino, Clichy, Fi­ renze 2015, pp. 39-40. Serino enfatizza l' importanza del romanzo di Behan, senza però offrire supporti testuali alla sua tesi. 8 3 . L 'antimeridiano I, pp. 6 8 1-2. 84. lvi, p. 732. 85. Purgatorio, V I , I I I : « e vedrai Santafìor com'è oscura ! » . 8 6 . L 'antimeridiano I , p . 682. 87. L' immagine ricorre nel primo capitolo del Lavoro culturale (ivi, p. 206) : « la nostra città era bella così, la dovevamo lasciare stare, e vivere, e crescere con il suo carattere genuino, una città di sterrati, di spazi aperti, al vento e ai forestieri, come Kansas City » . 88. lvi, p . 205. 89. lvi, pp. 6 0 3-4. 90. lvi, pp. 605-6. 91. lvi, p. 607. 92. L' immagine dell' isola a proposito di Brera (ripresa dal riferimento al « cantuccio isolato » della vedova Viganò) è esplicitata da Bianciardi in apertura del sesto capitolo, dove, parlando di un trasloco in periferia, il narratore scrive che fu in realtà un "avvici­ namento alla città": « finché fossimo rimasti nell'isola attorno alla Braida del Guercio, della città noi avremmo visto solo una fettina esigua » (ivi, p. 642). 9 3 · lvi, p. 607.

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Una lunga fedeltà: il Risorgimento

I . Come si ricava da una lettera a Mario Terrosi del 15 dicembre 1959. In una lettera del successivo 23 maggio Bianciardi dice di averlo scritto « in un mese » (M. Terrosi, Bianciardi com 'era. Lettere di Luciano Bianciardi ad un amico grossetano, Il Paese Reale, Grosseto 1974, pp. 51-3). 2. Garibaldi, Mondadori, Milano 1972. 3 · Il nesso analogico Risorgimento-Resistenza, come grande occasione mancata della nazione, è suggerito anche da un articolo pubblicato per "Le Ore" nel maggio del 1964 (ora in L 'antimeridiano 2 , pp. 956-7), dunque in perfetta coincidenza con la stesura della Battaglia soda. L'articolo, che prende spunto da una trasmissione del poeta Al­ fonso Gatto e di Vittorio Cottafavi dedicata alla resistenza (Il giglio di quell'amore ) , ammonisce contro il rischio, evitato da Alfonso Gatto, di sottoporre la Resistenza allo stesso « annacquamento oleografìco» cui venne sottoposto il Risorgimento: a quella

LUCIANO BIANCIARD I , LA PROT E S TA DELLO STILE

celebrazione acritica che toglie alla storia ogni utilità civile. Su questi temi cfr. S. Magni, L 'ossessione dell'anarchico Bianciardi per ilRisorgimento, in "Italies", xv, 20II, pp. 225-41. 4· L'articolo in L 'antimeridiano 2 , pp. 3 3-6. 5· L'edizione di Bandi posseduta da Bianciardi potrebbe essere quella Salani del 1912, con le illustrazioni di Alberto Della Valle. Alcune delle illustrazioni di Della Valle (e cioè i ritratti degli ufficiali garibaldini Bixio, Medici, Tiirr e Sirtori) sono presenti fra le tavole illustrate di Da Quarto a Torino. 6. Le note dell'edizione Parenti del libro di Bandi furono in realtà in gran parte redatte dalla compagna dello scrittore, Maria Jatosti, come lei stessa ebbe a testimoniare duran­ te i lavori del Convegno bianciardiano bolognese del 2004 (per il quale si rimanda a La parola e il racconto, a cura di C. Varotti, Bononia University Press, Bologna 2005 ) . 7· La testimonianza è riportata da P. Corrias, Vita agra di un anarchico, Feltrinelli, Mi­ lano 20II\ p. 34· 8. L 'antimeridiano I, p. 517. 9· A proposito della grande predilezione di Bianciardi per Giovanni Fattori va almeno ricordata una prefazione (Il poeta della jàtica umana) scritta per un libro dedicato al pittore livornese (L 'opera completa di Fattori, presentazione di L. Bianciardi, apparati critici e filologici di B. Della Chiesa, Rizzoli, Milano 1970 ). Un artista che Bianciardi sentiva congeniale non solo come narratore non monumentale del Risorgimento, ma anche per la sua sensibilità per la fatica quotidiana del vivere. 10. L 'antimeridiano I, p. 445· 11. lvi, pp. 445-6. 12. Il libro, che fu rielaborato più volte negli anni, uscì nel r88o con il titolo di Noterelle d 'uno dei Mille edite dopo vent 'anni (Zanichelli, Bologna) . Dal 1891 compare il titolo, che sarà definitivo, Da Quarto al Volturno. 13· L 'antimeridiano I, p. 458. 14. lvi, p. 3 6 9. 15. lvi, p. 338. 16. lvi, p. 285. 17. lvi, p. 3 8 1 . 18. D i "manicheismo" parlava già, ineccepibilmente, M. C. Angelini, Luciano Bian­ ciardi, La Nuova Italia, Firenze 1980, p. 82. 19. L 'antimeridiano I, p. 367. 20. lvi, pp. 378-9. 21. Si pensi naturalmente a Risorgimento senza eroi (Edizioni del Baretti, Torino 1926 ) , ma anche al mirabile incipit di La rivoluzione liberale (Cappelli, Bologna 1924) : « Gli ultimi fatti della vita italiana ci propongono il problema di una esegesi del Risorgimen­ to svelandoci le illusioni e l'equivoco fondamentale della nostra storia » . 22. In due Quaderni del carcere che avranno un' importanza eccezionale nel dibattito culturale dei primi anni del secondo dopoguerra: Letteratura e vita nazionale (Einaudi, Torino 1950 ) e Il Risorgimento (Einaudi, Torino 1953 ) . 23. W. Geerts, Le Risorgimento perverti. Lecture du chapitre III de Il sorriso dell' ignoto marinaio, de Vincenzo Consolo, in "Italies", xv, 20II, pp. 279-91. 24. L 'antimeridiano I, p. 396. 25. lvi, p. 281 (corsivi nostri). 26. lvi, p. 343·

NOTE

27. È il caso dell'armatore Rubattino (il proprietario dei piroscafi che condussero i Mille in Sicilia) , divenuto senza alcun merito, secondo Bianciardi, un eroe; mentre il suo am­ ministratore Fouché, che effettivamente operò per far avere le due navi a Garibaldi (e che per questo fu licenziato da Rubattino) finì i suoi giorni in miseria, da tutti dimenticato. 28. lvi, p. 1208. 29. L'edizione per ragazzi, che uscì per prima, fu ospitata nella collana "Lo Scaffale d'Oro. Letture di classe", ed è corredata di note didattiche ( redatte da C. Ferri ) ; la se­ conda edizione uscì nella collana "Caleidoscopio". Ambedue le edizioni sono precedute da una prefazione ( rispettivamente : Al ragazzo che legge e Al lettore adulto). 30. L 'antimeridiano I, p. 1 1 1 7. 3 1 . lvi, p. 1123. 3 2 . lvi, p. 1 1 24. 33· lvi, p. 1 1 17. 34· lvi, p. 1 1 1 8 . 3 5 · Ibid. (corsivi nostri) . 36. lvi, pp. 1225-6. 37· lvi, p. 1144. 3 8 . Parlando della partecipazione del Piemonte alla guerra di Crimea, Bianciardi scrive che a Cavour ( «il diabolico conte » ) occorreva poter « sedersi alla pari con i grandi d' Europa » al tavolo delle trattative; «discorso» , commenta lo scrittore, « che sentire­ mo ripetere altre volte, nelle faccende italiane » ( ivi, p. 1179 ) : evidentemente un'allusio­ ne all' infausta entrata in guerra dell' Italia (non ancora adeguatamente preparata) nel giugno 1 940, per la necessità, espressa da Mussolini, di avere qualche centinaio di morti per poter partecipare alla spartizione della Francia prossima a capitolare alla Germania. 39· lvi, p. 1 1 3 2 . 40. lvi, p . 1183. 41. L 'antimeridiano 2 , p. 1449. 42. Terrosi, Bianciardi com 'era, cit., p. 43· 43· L'articolo è il solo che Bianciardi abbia scritto per "La Donna". Il corredo di foto­ grafie di Rolly Marchi, famoso giornalista sportivo e alpinista, è indicativo di come lo scrittore avesse ora una notevole visibilità mediatica. Il testo dell'articolo ora in L 'anti­ meridiano 2, pp. 1191-3. 44· L 'antimeridiano I, p. 1254. 45· lvi, pp. 739 e 1253. 46. Rizzoli, Milano 1981 (citiamo sempre da questa edizione ) , p. 3 6 3 . 47· L 'antimeridiano I , p . 1264. 48. lvi, pp. 1 279-82. Il lungo passo è un espianto dal nono capitolo della Battaglia soda ( ivi, pp. 8 67-9 ) . 49· A scopo esemplificativo citiamo solo alcuni dei tanti riscontri citabili: Battaglia ( p. 740 ) : «Un'ora dopo i bei cannoni rigati del generai Morozzo della Rocca aprirono il fuoco, e le nostre sparute batterie tenner loro bordone con la poca voce che aveano. Tutti insieme facevano un fragore straordinario, come una banda intera di giganteschi tamburi che rullassero in pieno accordo» ; Bandi ( p. 3 6 3 ) : « Era sparito da poco tempo il dittatore, quando le batterie del generale Della Rocca e le batterie garibaldine aperse­ ro il fuoco con indicibile frastuono. Le artiglierie della piazza presero tosto a rispondere con grandissima furia, e per qualche ora il cannoneggiamento somigliò al rullo d'una

LUCIANO BIANCIARD I , LA PROT E S TA DELLO STILE

immensa banda di smisurati tamburi » . Battaglia (p. 741) : «Si sentiva ormai nell'aria che per noi non c 'era più posto, che le gloriose camicie rosse avrebbero dovuto cedere ogni cosa ai cappotti turchini e alle tuniche cariche d'argento dei generali piemontesi » ; Bandi (p. 365): «L'esercito regolare c i guardava tutt 'altro che con occhio d i simpatia; le nostre lacere camicie rosse parevano fare orrore ai generali carichi d'argento » . Battaglia (p. 742) : « a noi che non s'era mai goduto lo spettacolo di una città bombardata, parve che a Sebastopoli non si fosse fatta maggiore gazzarra, ma stringi stringi l'assedio di Capua fu povera cosa » ; Bandi (p. 364): «A noi che per la prima volta assistevamo allo spettacolo di una città bombardata, parve che a Sebastopoli non si fosse fatta maggiore gazzarra; ma in sostanza il bombardamento di Capua non fu se non molto chiasso» . so. L 'antimeridiano I , p . 739· 51. Bandi, l Mille, cit., p. 363. 52. L 'antimeridiano I, p. 744· 53· Tip. FF. Giachetti, Prato 1866. 54· Stefano Giannini (Bianciardi e il Risorgimento, in "Il Gabellino", VIII, 2006, 13, pp. 9-19) - in una lettura assai attenta del romanzo - individua nel libro del generale Alberto Pollio ( Custoza, più volte ristampato tra il 1903 e il 1 9 3 5) la principale fonte dalla quale lo scrittore attinse le informazioni sulla battaglia. Molte delle informazioni tecniche sulla ristrutturazione dell'esercito italiano, all' indomani dell' Unità, sembra­ no invece ricavate dal libro di Piero Pieri ( Storia militare del Risorgimento ) , uscito da Einaudi nel 1963. 55· G. Bandi, Da Custoza in Croazia (citiamo dall'edizione Bemporad, Firenze 1904, P· 15). s6. La figura di Giuseppe Dolfi è ricordata di sfuggita nelle prime pagine di Metello di Pratolini. 57· L 'antimeridiano I, pp. 783-4. s8. lvi, p. 785. 59· Emilio Tadini scriverà una breve introduzione all'edizione del 1997 del romanzo di Bianciardi (Bompiani, Milano), poi ristampata nell'edizione del 2003. 6 o. I rimandi sono, per La battaglia, a L 'antimeridiano; per I Mille si cita dali'edizione Rizzoli (Milano 1 98 1 ) . 61. È noto che Umberto Eco - dicendo un'esagerazione che però voleva fornire un' i­ neccepibile segnalazione critica - sosteneva che non una parola contenuta nel romanzo non derivava da fonti medievali. 62. "Guerin Sportivo", 13 settembre 1971; ora in L 'antimeridiano 2, p. 1708.

8 Fra televisione e costume : il pubblicista negli anni Sessanta 1. Sui legami tra gli articoli "provinciali" scritti tra il 1952 e il 1954 per la "Gazzetta di Livorno" e Il lavoro culturale, cfr. supra, pp. 79-80. Per i nessi tra gli articoli "metropo­ litani" per "l' Unità" (1955-56) e i due romanzi del 1960 e del 1962 cfr. supra, pp. 129-32.

NOTE

Tra l'ultimo articolo scritto per "l' Unità" (novembre I 9 5 6 ) e la ripresa (aprile I 9 5 9 ) della collaborazione con "Avanti !", interrotta dal I 9 5 3 , Bianciardi pubblica, se non an­ diamo errati, solamente quattro articoli: due per "Il Contemporaneo" (nel febbraio e nel giugno del I 9 5 7 ) e due per "Critica Sociale" (gennaio e marzo del I 9 5 9 ) . 3 · Efficacissima dimostrazione delle straordinarie qualità di parodista di Bianciardi (anche se del tutto interna al puro lusus letterario) è l'articolo del 3 giugno I 9 5 9 (La réclame) , in cui si finge che copywriters di cinque diversi prodotti siano altrettanti scrit­ tori di successo (Moravia, Cassola, Pasolini, Gadda e Calvino) ; ora in L 'antimeridiano 2, pp. 3 9 5-7· 4· lvi, p. 3 6 8 . 5 · lvi, pp. 3 9 3-4. 6. L'articolo, uscito su "Rinascita" (nel dicembre I 9 6 4 ) , è poi accolto in P. P. Pasolini, Empirismo eretico. Per tutta la questione cfr. CAP. 4, p. 8 7 e nota 3 5 · 7· I sei articoli di Pescaparole sono usciti tra l'aprile e l 'ottobre del I 9 5 9 con cadenza mensile (saltando però luglio) ; ora in L 'antimeridiano 2, pp. 373-87. 8. M. Manotta, Il lessico dell'integrazione, in La parola e il racconto. Scritti su Luciano Bianciardi, Atti delle Giornate di studio (Bologna, 5-6 maggio 2004) , a cura di C. Va­ rotti, Bononia University Press, Bologna 2005, pp. 77-89, p. 8 1 . 9· L 'antimeridiano 2 , p. 376. IO. lvi, p. 384. I I. Manotta, Il lessico dell'integrazione, ci t., pp. 77-8. I 2 . L 'antimeridiano 2 , p. 378. 13· Jbid. I 4 . lvi, pp. 4 I 6 - 8 . I 5 . In realtà - al di là della pura coincidenza verbale - non c 'è alcuna relazione tra la frase di Bianciardi e il celebre motto di Warhol che ipotizza, come noto, un futuro artistico in cui sempre meno nette sarebbero state le differenze tra creazione artistica, produzione industriale e fruizione di massa. Bianciardi, più semplicemente, allude qui alla lunga gavetta del conduttore che ha accomunato la sua biografia alla durezza dell'e­ sperienza postbellica della maggior parte degli italiani. Su Bianciardi critico televisivo cfr. P. Pasi, prefazione a L. Bianciardi, Il convitato di vetro. Telebianciardi, ExCogita, Milano 2007, pp. 9-I9. I 6 . L 'antimeridiano 2 , pp. 92I-3. I 7. G. C. Ferretti, La morte irridente, Manni, Lecce 2ooo, p. 8 5 . I 8 . Irregolare è infatti la distribuzione degli articoli: mentre tra l'aprile e il luglio del I 9 6 3 pubblica cinque brevi pezzi (di una rubrica presto interrotta, Parliamo di Milano ) , ne scrive sette nel solo dicembre dello stesso anno. Per undici mesi, tra il febbraio I 9 6 4 e il febbraio I 9 6 5 , non escono articoli. I9. Tra questi Tradotta per Mosca, un vivace racconto (in sei articoli, usciti tra il 23 e il 29 ottobre I 9 6 3 ) di una trasferta di tifosi in treno a Mosca per assistere alla partita ltalia-URSS. 2 0 . Si veda un articolo su Jannacci, allora ventisettenne e quasi sconosciuto, di cui Bianciardi recensisce Elpurtava i scarp del tennis (Era bella: biancorossa pareva un tri­ colore, I 5 dicembre I 9 6 3 ) . È da ricordare, tra gli altri, un articolo sul Derby di Milano, il locale di cabaret in cui si esibivano Franco Nebbia ed Enzo Jannacci e in cui suonavano jazzisti come Franco Cerri, Enrico lntra e Giorgio Gaslini (Jazz con spaghetti al dente, 2.

LUCIANO BIANCIARD I , LA PROT E S TA DELLO STILE 1 7 novembre 1 9 6 3 ) ; o u n articolo dedicato a Walter Chiari, conosciuto durante una vacanza marina

(Lajòllia lombarda di Walter Chiari, 24 novembre 1 9 6 3 ) .

2 1 . Due articoli sono dedicati a i preliminari della preparazione del film d i Carlo Lizza­ ni tratto dalla Vita agra (D 'accordo autore e interpreti, 3 dicembre 1 9 6 3 ; La scaletta e il tormentone, 8 dicembre 1 9 6 3 ) . Un articolo (La Rosa di Magenta, 12 gennaio 1 9 6 4) parla della cameriera a ore di casa Bianciardi. 22. 23.

In tutto sette, tra l ' aprile e il luglio 1 9 6 3 ; ora in L 'antimeridiano 2, pp. 1044-55.

Firma le sue storie con una croce (2 febbraio

1964), ivi, pp. 1 1 43-7.

2 4 . lvi, pp. 101 1 -4 3 . Gli articoli sono stati pubblicati autonomamente in un agile volu­ metto (con un'appassionata prefazione di Giacomo D 'Angelo) : L. Bianciardi,

Un volo

e una canzone, ExCogita, Milano 2002. 25. lvi, p. 1016. 26. A. Arbasino, Il meraviglioso,

anzi, Garzanti, Milano

I985. Sul fascino che il Vitto­

riale esercitò su Bianciardi e su Arbasino, cfr. Giacomo D 'Angelo, Prefazione a

Un volo

e una canzone, cit., pp. I O - I . 27. L 'antimeridiano 2, p. I 0 2 5 . 28. lvi, p p . 7 6 1 -4. 29. Si veda, ad esempio, Il precettore di lusso ( I 4 marzo I963, sulla trasmissione Tele­ scuola) , nel quale Bianciardi denuncia sia gli scarsi investimenti pubblici nell ' istruzione ( « una spesa senza dubbio ingente non avrebbe potuto destinarsi a fare le scuole che mancano ? » ,

L 'antimeridiano 2,

p. 8 9 2 ) , sia una concezione dell ' istruzione e dell'ap­

prendimento come facile (e, alla fin fine, superficiale) acquisizione ( « tutta questa ansia di insegnare divertendo, di scucchiaiare la pappa, di condirla, di colorarla, di addolcirla,

ibid. ). Ma si veda anche un articolo ((Mare amaro" (28 febbraio I 9 6 3 ) che da un' inchiesta giornalistica

giova davvero all'efficacia dell ' insegnamento ? » , come Da Skorzeny al

trae spunti sull 'amplificazione televisiva delle trasformazioni in corso del linguaggio, af­ flitto da un processo grottesco di burocratizzazione, pseudotecnicizzazione e frasi fatte (le ragazze dattilografe aspirano tutte, immancabilmente, « all' indipendenza economi­ co-finanziaria » , mentre un preside ripete tre volte che si

è avuto

« un forte incremen­

to della popolazione scolastica » , ivi, p. 8 8 8 ) . La recensione positiva su un programma celebrativo del 25 aprile, infine

( Vigili su se stessi oltre che sul nemico,

7 maggio I964 ),

medita contro una lettura generica ed edulcorata della Resistenza. 30. L'articolo uscì il 3 I gennaio 1 9 6 3 ( ivi, pp. 8 8 I - 3 ) . 3 1 . lvi, p. 8 8 2 . 3 2 . lvi, pp. 8 8 4-6. 33· lvi, p. 885. 3 4 · lvi, p. 902. 35·

Gli zingari a Pomezia (Io ottobre I 9 6 5 ) . La citazione ivi, p. 1205.

3 6 . Ad esempio,in Censura eprotesta (2o novembre 1966, L 'antimeridiano2, pp. 1 3 5 9 - 6 1 ) prendendo spunto d a un' intervista a Umberto Eco e nell 'articolo La

neocrociata

(24

dicembre I 9 6 7, L 'antimeridiano 2, pp. I 427-8) , che prendeva posizione contro l 'arresto di tre produttori di giornali erotici. 37·

Mosquito show (17 aprile 1 9 6 6 ) , il numero incriminato della "Zanzara" era uscito il (L 'antimeridiano 2, pp. I 262-4). L 'antimeridiano 2, p. 907.

I 4 febbraio 38.

3 9 · lvi, pp. 1 3 9 I - 3 .

NOTE

40. Lafiera dell'ovvio (2 gennaio 1966), ivi, p p . 1235-7. 41. Gli articoli uscirono tra il I0 maggio e il 5 giugno del I966 ( ivi, pp. I27I-3 I6). 42. L'articolo, Parlo a Noschese di Meazza e Carlin, uscì i l 25 ottobre I97I, i l giorno prima che lo scrittore venisse ricoverato all ' Ospedale San Carlo di Milano in stato di se­

I4 novembre. 43· L'antimeridiano 2, p. 1754. La risposta alla domanda è tutta a conferma di una dis­ sipazione radicale, che segna la vita dello scrittore e il suo (è una metafora ricorrente in Bianciardi ) continuo « battonaggio » , in cui il gesto concreto e professionale dello scri­ vere ( a macchina, battendo i tasti ) contraddistingue la condizione alienata dello scritto­ re che vende al mercato sé stesso, al pari della prostituta la cui prestazione è l 'affitto del mincoscienza per cirrosi epatica. Bianciardi morirà tre settimane dopo, il

proprio stesso corpo.

44· È da citare il già ricordato secondo film (dopo La vita agra di Carlo Lizzani ) tratto Il merlo maschio (197I), diretto da Pasquale Festa Campa­ nile (con Lando Buzzanca e Laura Antonelli ) , liberamente ispirato al racconto erotico Il complesso di Loth (1968). Lo stesso Bianciardi compare nel film in un piccolo ruolo. 45· L antimeridiano 2, pp. 1529-35. da un lavoro bianciardiano:

9

Storie brevi e meno brevi : i racconti e Viaggio in Barberia 1. Rizzoli, Milano 1976. 2. Bompiani, Milano 1994. 3· L' insieme dei racconti è in L antimeridiano I, pp. 1553-907. 4· Adorno uscì nella raccolta Cuore dei nostri tempi, Della Volpe, Milano 1963. 5· EDI-Europa, Roma 1966. 6. S i confronti i l racconto ( in L antimeridiano I, pp. 1675-7) con i Diari di guerra, I944-I946 ( ivi, pp. I988-9). Ai ricordi del tempo di guerra e all'atmosfera dei Diari rinvia anche Natale con il miele ( ivi, pp. 170I-16). 7· Club degli Editori, Milano 1965. 8. Sugarco, Milano 1961. 9· Nel racconto s i accenna alla perversione d i u n personaggio che assoldava tre prosti­ tute e «le faceva spogliare e disporre, accoccolate sotto la finestra, fra il muro e la tenda, in modo che sporgessero, visibili, soltanto i sederi. Poi lui entrava, in giacca a coda e pantaloni rigati, con la bombetta in capo, a brevi passetti sfilava dinanzi ai deretani e togliendosi la bombetta salutava: "Buongiorno culini" »

(L 'antimeridiano I, 977 ).

L'episodio è richiamato nel quarto capitolo d i Aprire ilfuoco ( ivi, p.

p.

1595).

IO. L antimeridiano 2 , P· I635· I I. L antimeridiano I ' P· 6 07 ( nel terzo capitolo del romanzo) . 12. Una lettura assai attenta del racconto, che ne mette in rilievo le complesse implica­ zioni teoriche propone A. De Nicola, Letterarieta e traduzione in Luciano Bianciardi. L'esempio di «l love Mary», in La parola e il racconto. Scritti su Luciano Bianciardi, Atti

LUCIANO BIANCIARD I , LA PROT E S TA DELLO STILE delle Giornate di studio (Bologna, 5 - 6 maggio 2004 ) , a cura di C. Varotti, Bononia Uni­ versity Press, Bologna 2005, pp. 9 I - I I O. Il racconto in L 'antimeridiano I, pp. I849-57. 1 3 · A cura di Guido Vicario, Editrice L' Unità, Roma I 9 8 4 . I4. I5.

L 'antimeridiano I, p. I559· L'antimeridiano 2 , p. 755·

I 6 . E bene ha fatto Jole Soldateschi a considerare gli articoli della "Gazzetta" e dell ' " U­ nità" come parte integrante, a tutti gli effetti, del

corpus

dei racconti dello scrittore

grossetano. Alla studiosa si deve una lettura complessiva della narrazione breve di Bian­

ciardi (Non si vive di sola zuppa. Sui racconti di Luciano Bianciardi, in I segni e la storia. Studi in onore di Giorgio Luti, Le Lettere, Firenze I 9 9 6 , pp. 367-8 8 ) . I7. L a stessa rivista ospiterà, l 'anno dopo, u n inno scherzoso i n ottonari, Pro Bocca di Magra, che celebra l ' « agguerrita masnada » (Calvino, Einaudi, Quarantotti Gambini, Sereni, lo stesso Bianciardi ecc.), pronta a difendere Bocca di Magra dalla minaccia della speculazione edilizia.

Racconti italiani I967, Selezione dal Reader's Digest, Milano I 9 6 6 . Ilprigioniero di Bull run uscì i n u n volume collettaneo (La tavolata, Bietti, Milano I 9 6 7 ) con racconti di scrittori-giornalisti di successo (tra gli altri: Dino Buzzati, Carlo I8.

I9.

Castellaneta, Giuseppe Marotta e Guglielmo Zucconi).

20. Uscito nella raccolta La giostra (Bietti, Milano I 9 6 8 ) , volume collettaneo con rac­ conti di Alberto Bevilacqua, Piero Chiara e altri.

CAP. 6, pp. I52-3. L 'antimeridiano I, pp. 577-8.

2 1 . Cfr. 22.

2 3 . Il termine "peripatetica" compare solo nel pieno Novecento, ma è già contemplato nel Dizionario

moderno di A. Panzini (Hoepli, Milano I 9 05-30 ) .

2 4 . L e citazioni a testo i n L 'antimeridiano I , pp. I 5 8 9 e I 5 9 3 · 2 5 . lvi, p. I 5 9 7· 26.

L 'antimeridiano 2, p.

I533·

27. Bianciardi fa riferimento a una delle più celebri fotografie della guerra del Vietnam (scattata il I0 febbraio I 9 6 8 da Eddie Adams, che vinse il Premio Pulitzer) : l 'esecuzio­ ne sommaria a Saigon di un prigioniero vietcong da parte del generale sudvietnamita Nguy�n Ngoc Loan. 28. lvi, pp. I 5 3 2 - 3 . 29. Apparve la prima volta nella raccolta

Nuovi racconti italiani,

a cura di L. Silori,

Accademia, Milano I 9 6 3 ; ora in L'antimeridiano I, pp. I 6 43-59. 30. lvi, p. I 6 5 1 . 3 1 . lvi, pp. 6 I 6 -7. 3 2 . lvi, p. I 6 8 5 . 3 3 · lvi, p. I 4 3 3 · 3 4 · lvi, p. 1 3 8 6 . 3 5 · lvi, pp. I 3 6 I s s . I giornalisti incontrati sono l' inviato della RAI Carlo Bonetti, Roma­ no Ledda (dell' " Unità") e Loris Gallico. 3 6 . lvi, p. I 3 49· 37· lvi, pp. I 3 37-8. 38. Tornano più volte accenni agli "zuavi" algerini che combatterono a Solferino. 39· lvi, pp. I 3 9 3 ss. 40. lvi, p. 5 8 3 .

NOTE 4 1 . Norman Mailer è p e r altro nominato nel

Viaggio

(nel ricordo estemporaneo d i un

dialogo in cui Mailer si ostinava a parlare spagnolo, nella comica convinzione di farsi così meglio comprendere dall' italiano Bianciardi, il quale invece non conosceva lo spa­ gnolo, mentre - ovviamente - parlava benissimo l ' inglese) . 4 2 . lvi, p p . 58 3-4. 43· Sul problema della rappresentazione dell'Altro come elemento centrale del Viaggio in Barberia cfr. V. Abati, Mustafo Ben Mohammed e nonna Albina. L 'altro nel Viaggio di Bianciardi, in La parola e il racconto, ci t., pp. 65-75. Spunti di grande interesse offre A . De Nicola, Lafatica di un uomo solo, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2007 (cfr. il capitolo Viaggio, pp. 1 3 9 - 8 7 ) . 4 4 · A parte u n più recente libro d i Corrado Testa (Levante e Barberia, L a Prora, Mi­ lano 1 9 3 7 ), il "viaggio in Barberia" è motivo frequente nella letteratura ottocentesca, a partire dal Ragguaglio del viaggio in Barberia ( I 8 o s ) di Felice Caronni, che fu incisore e professore all'Accademia di Brera, e dalle Avventure e osservazioni sopra le coste di Bar­ beria ( 1 8 1 7 ) del poeta umoristico toscano Filippo Pananti. 45· L 'antimeridiano I, p. 1 3 1 4 . 46. lvi, p. 1 427. 47· lvi, p. s 6 s . 48. lvi, p. 1420 ( il passo

è tratto dal dodicesimo capitolo) .

49· «Dicevano i generali : l mimetizzarsi sparire l abbarbicarsi amalgamarsi al suolo, l farsi una vita di fronda l e mai ingiallire » (V. Sereni, Poesie e prose, a cura di G. Raboni, Mondadori, Milano 2 0 1 3 , p. 137 ) . so. «Diversa d a Orano cantava l l a corsa del treno sul finire della guerra l e che bel sole

sul viaggio e a sciami l bimbetti, moretti sempre più neri l di stazione in stazione l già

con tutta alle spalle l 'Algeria » ( ivi, p. 1 9 9 ) .

5 1 . Questo il passo di Bianciardi (mettiamo noi in corsivo i versi trascritti dalla lirica di Sereni) : « Credo che sia sonno, e invece

è un dormiveglia pieno di sudore, di immagini

vaghe, di parole che recupero qua e là. Siamo a Piombino, sotto le armi. Ci comanda il generale Gallieni in persona. Dicevano i generali: mimetizzarsi sparire confondersi amal­ gamarsi al suolo. È la voce di Vittorio che recita [ ... ] . Dicevano i generali:farsi una vita di fronda e mai ingiallire. Maria ieri, strada facendo, ha visto un fiume, chiamato Oued Magra. Ma non siamo più a Piombino, siamo a Bocca di Magra. C 'è anche Giansiro [Ferrata] . Giansiro sta per partire per l 'Algeria: e noi rammentiamo. Diversa da Grano cantava la corsa del treno sulfinire della guerra e che bel sole sul viaggio e a sciami bimbet­ ti, moretti sempre piu neri di stazione in stazione, gia con tutta alle spalle l'Algeria. Altri tempi, d'accordo» (L 'antimeridiano I, p. 1420 ) . 5 2 . « Sentivo però l a mancanza del diario d'Algeria, e dovetti contentarmi di quel poco che me ne rammentavo a memoria. "Non sa più nulla,

è

alto sulle ali il primo caduto

bocconi sopra la spiaggia normanna". Credo che la citazione, sempre a memoria, sia quasi giusta, ma poi come dice, quando parla di vento e di preghiere per l' Europa? Non

è la mia sola musica e basta » (ivi, p. 1 3 1 9 ) . I richiami alla lirica di (Non sa piu nulla, e alto sulle ali) sono la citazione dei due versi iniziali, del v. s e dell ' explicit della lirica. 5 3 · L 'antimeridiano I, p. 1 3 40.

è

musica d 'angeli,

Sereni

54· lvi, p. 1 3 8 3 . SS · lvi, p. 1 3 8 5 . I l «celebre frate »

è naturalmente Frate Cipolla (Decameron, VI, Io ) .

LUCIANO BIANCIARD I , LA PROT E S TA DELLO STILE

L antimeridiano I, p. 1 3 4 5 ·

56.

57· Segretariato permanente del Comitato Africa, Genova 1 9 6 9 . 5 8 . Bianciardi fornisce u n saggio di teratologia retorica di Haddad nella descrizione di Costantina : « Costantina, canta il Ministero delle Informazioni : "essa scoppia come uno sguardo all 'aurora e corre sull'orizzonte ch'essa sbalordisce e solleva. Poi, soddi­ sfatta del suo effetto, si fissa nella gravità marmorea, si raggruppa nella sua leggenda, si chiude nella sua eternità ...". Ma cosa state dicendo, sidi Malek Haddad ? Dove hai fatto gli studi ? » ( ivi, p. 1 3 5 3 ) . 5 9 · lvi, p. 1 3 2 1 . 6o. lvi, p. 1 4 1 1 . 6 1 . A d esempio : « Ovidio ordina a Maria d i scendere e d i mettersi i n mezzo a l gruppo, per la fotografia, e solo quando la mia donna poeta romeno » ( ivi, p. 1 3 4 6 ) .

è

là in mezzo capisco l ' intenzione del

6 2 . lvi, p. I 3 I I ( corsivi nostri ) . 6 3 . lvi, p. 1 3 4 1 . 6 4 . lvi, p. 1 3 5 5 . L o stesso motivo a p. 1 3 2 2 , affidando alle insistite precisazioni l 'effetto comico : «la mente adulta

è

pigra e ragiona per confronti. Attaccò Maria : "Mi pare

Ostia nel trenta". Concordo sulla data, ma non sul luogo : "Più che Ostia direi San Roc­ co, quella che oggi si chiama Marina di Grosseto. Di là dal fossino

è ancora così.

Poi ci

ripenso e dico di no, questa è Ribolla » . 6 5 . lvi, p . 1 3 6 1 . 6 6 . lvi, p. 1 3 6 5 . 67. lvi, pp. 1 3 84-5. 68. lvi, pp. 1 3 94-5. 69. lvi, p. 1 3 4 8 . 70. lvi, p. 1 4 27.

IO

Ultimi bagliori : Aprire ilfuoco 1. È il caso sia di Rinaldo Rinaldi (Approssimazioni a una letteratura perversa, in Id., Il romanzo come deformazione. Autonomia ed eredita gaddiana, Mursia, Milano 1 9 8 5 , p p . 3 1 - 6 2 ) , s i a di Gian Carlo Ferretti (La morte irridente, Manni, Lecce 2 0 0 0 ) , che vedono nell 'ultimo romanzo l 'esito di un processo involutivo che lo priva sostanzial­

mente di "serietà", tra il puro gioco provocatorio ( Rinaldi ) e l ' assunzione di una posa

( quella dell'arrabbiato) che ha ormai i connotati della maschera, della stanca ripropo­

sizione di un ruolo ormai svuotato ( Ferretti ) . 2.

L'antimeridiano I, p.

I113.

3 · Un richiamo foscoliano ( a marcare u n vero e proprio ribaltamento d i tono, dall'eroi­

co alla sua parodia, nel tracciare l' immagine dell 'esilio)

è, programmaticamente,

nelle

prime righe del romanzo - «i disegni su cui io leggo i pronostici del mio diverso esilio »

(L 'antimeridiano I, p. 927) - con evidente allusione a A Zacinto, v. 4· L antimeridiano I, p. 942.



5 · L'evidente dato autobiografico riguarda anche altri particolari. Il protagonista di

NOTE

Aprire ilfuoco s t a traducendo « la verace istoria d i Diogene Alejandro Xenos, o p i ù bre­ vemente Dax » , in cui è riconoscibile il romanzo di Harold Robbins, The Adventurers ( 1 9 6 6 ) che effettivamente Bianciardi tradusse per Rizzo li (L 'ultimo avventuriero, 1 9 67 ) . 6. L 'antimeridiano I, pp. 952-3. 7· lvi, p. 9 5 8 . Sulla figura del ragioniere e sul "vestito da ragioniere" (abito grigio, ca­ micia bianca e cravatta) come tratto ricorrente della satira metropolitana bianciardiana cfr. supra, p. 1 0 8 e nota 2 4 . 8.

È i l caso, che molto amareggiò Bianciardi, della querela p e r diffamazione che gli mos­

se Otello Tacconi, minatore e sindacalista ai tempi della tragedia di Ribolla, ricordato nella

Vita agra come esempio di rigore politico-morale e come immaginario mandante

dell'attentato contro il « torracchione » della società mineraria ( « Torni stanco all'one­ sto lavoro, trovi la tua donna aggrondata e triste, le chiedi il perché, quella esita, poi ti mostra la citazione numero due : per avere con più atti di uno stesso disegno criminoso,

leggi, e ti si abbuia l'animo. Anche tu, Otello ! Chi lo avrebbe mai detto ! » , ivi, p. 9 6 4 ) . Analogamente viene richiamata la grottesca accusa, dalla quale lo scrittore dovette difen­ dersi, di aver effettivamente progettato un attentato terroristico contro la sede milanese della Montecatini ( « Ma lei davvero intendeva fare esplodere, mediante grisù, l'edificio qui denominato torracchione, e nel quale ha da identificarsi la sede centrale della IG Far­ ben ? » , ivi, pp. 964-5 ) . 9· Fu la

IG

Farben a impiantare a Monowitz (terzo campo del centro concentrazio­

nario di Auschwitz) un' industria chimica che si poté avvalere del lavoro gratuito dei deportati; presso di essa lavorò durante il suo internamento Primo Levi. 10. Bompiani aveva citato in giudizio Bianciardi quando lo scrittore, che aveva pubbli­ cato presso di lui L 'integrazione, fece uscire con Rizzoli La

vita agra.

1 1 . Sono prevalenti i richiami all'organo sessuale femminile (Bompiani diventa allora il Duca Delatopa, Delamona, Delasorca, Delafiga, Delafessa, Delapurchiacchia, Du­ con; fino al meno scontato Duca O ' Twat, costruito su

twat, termine inglese slang che

designa i genitali femminili) , e a quello maschile (Delaminchia, Delapirla, Delaner­ chia, Dubelin, von Pfahl) . Spunta anche qualche richiamo escrementizio (von Kaga e Delacacca) . 1 2 . G. Visconti Venosta, Ricordi di gioventu.

Cose vedute o sapute (IS47-IS6o), Cogliati,

Milano 1 9 0 4 . 13.

L 'antimeridiano I, p. 1 0 8 7.

1 4 . Bianciardi richiama per allusioni il già citato libro di J. Barth

da lui effettivamente tradotto ( ivi, p. 1 1 0 1 ) . 15.

L'antimeridiano I, p.

( The Sot-Weed Factor)

1112.

1 6 . Visconti Venosta, Ricordi di gioventu, cit., p. 1 1 . 1 7.

Ibid. A quel tempo, osserva Visconti Venosta, « non s i sarebbe mai udito "si fa l a tal

cosa perché nostro figlio, o anche solo la nostra bambina, vogliono o non vogliono ! " » . 18.

L 'antimeridiano I , p . 9 9 3 ecc.

19. lvi, p. 1 0 0 1 . 20.

Ibid.

21. lvi, p. 1 0 0 5 . 22.

Jbid.

2 3 . lvi, p. 1009. 2 4 . lvi, p. 1044.

LUCIANO BIANCIARD I , LA PROT E S TA DELLO STILE 25. lvi, p. 1057. 26. Ambiguo e malizioso l ' accenno a Gadda (milanese, ma che in quegli anni viveva a Roma) : un Gadda è infatti ricordato da Visconti Venosta tra i cospiratori che si riuniva­ no presso il « caffè della Peppina »

(Ricordi di gioventu, ci t., p. 6 1 ) .

27. Ferretti, La morte irridente, cit., p . 9 8 . 2 8 . Risale a l 1 6 giugno l a pubblicazione sull"'Espresso" della famosa poesia d i Pasolini

(Il PCI ai giovani) che commentava con toni aspramente critici l 'episodio. 29. L antimeridiano I, p. 1 0 8 6 . 30. È quello che i l narratore definisce lo sbaglio « di natura filosofica: quello d i crede­ re che alla rivoluzione debbano necessariamente seguire nuove istituzioni di governo. Credere che la rivoluzione possa e debba dar luogo a un ordine nuovo, e così resistere. La rivoluzione, se vuole resistere, deve restare rivoluzione. Se diventa governo è già fal­ lita » (ivi, p. 1 0 9 0 ) . 3 1 . Nelle città lombarde medievali i l "broletto" indicava la sede dei consoli e p o i del podestà, quindi genericamente la sede del Comune. 3 2 . lvi, p. 1092. 3 3 · lvi, p. 1091. 34·

Jbid.

3 5 · lvi, p. 1 0 8 9 . 3 6 . Sui richiami a Parini nel Lavoro

culturale cfr. supra, p. 8 7 e nota 3 6 .

37· I n u n articolo del 1 9 7 1 Bianciardi parla di Joyce come d i u n comune maestro della letteratura del Novecento ( « abbiamo tutti imparato a scrivere da lui » , L antimeridia­

no 2, p.

1687).

3 8 . "Non gettare alcun oggetto dal finestrino" :

è l a versione tedesca della scritta i n quat­

tro lingue applicata ai finestrini dei treni delle Ferrovie dello Stato. 39·

È un quartiere di Milano oltre che un'antica stazione nella zona sud-est della città.

40. Ortofrigor è il nome di una storica società milanese produttrice di impianti per il freddo, fondata dall' ingegner Giuseppe Dell ' O rto. 41.

L antimeridiano I, p. 9 5 9

(corsivi nostri ) .

4 2 . lvi, p. 705. Il passo (citato integralmente supra, p. 1 4 6 )

Vita agra. L'antimeridiano I, p.

è tratto dal decimo capitolo

della 43·

978.

44· lvi, p. 1098. 45· Quella per fissione, per cui la Luna si sarebbe costruita dal distacco di una fram­ mento della Terra. 46. lvi, pp. 9 6 1 -2 . 47· lvi, pp. 976 -7. 48. lvi, p. 1 0 3 4 . 49· lvi, p. 1 1 01. so. lvi, p. 9 6 4 . 5 1 . lvi, p. 1025. 5 2 . lvi, p. 1059. 5 3 · lvi, p. 10 20. 54· lvi, p. 928.

SS ·

lvi, p. 1 6 5 4 .

s6. lvi, p. 6 1 4 .

NOTE

293

57· lvi, p. 975· 58. lvi, pp. 1681-3. 59· lvi, p. 1692. 6 o. lvi, p. 977· 61. lvi, p. 1595. 62. lvi, p. 967. Cfr. c o n ivi, p. 568. 6 3 . Sulla questione cfr. supra, pp. 227-8. 64. L 'antimeridiano I, p. 1 1 1 1 . 65. lvi, p. 944· 66. S . Giannini, Luciano Bianciardi 's Aprire ilfuoco: On the Function oJLiterature in Society, in "ltalian Quarterly", 2007, 173-174, pp. 55-65. 67. L 'antimeridiano I, pp. 983-4. 68. Jbid. 69. lvi, p. 990. 70. Jbid. 71. Il poeta è chiamato « Francesco Lattes » , che è forma vicinissima al suo vero nome, che era Franco Lattes (Fortini era il cognome della madre).

72. 73·

Feltrinelli, Milano. Mondadori, Milano.

Biblio grafia

Edizioni, biografia, bibliografia Delle edizioni originali delle opere di Bianciardi si è reso conto di volta in vol­ ta nel testo. Ci limitiamo qui a segnalare l'uscita delle opere complete dello scrittore in due ampi volumi che finalmente hanno messo a disposizione dei lettori il corpus integrale degli scritti di Bianciardi, a partire dagli articoli di giornale, prima dispersi o disponibili in sillogi parziali; ma i due volumi ac­ colgono anche alcuni racconti prima contenuti in edizioni ormai introvabili e molte pagine inedite dei diari giovanili: L 'antimeridiano. Opere complete, a cura Luciana Bianciardi, Massimo Coppola, Alberto Piccinini, ISBN-ExCogita, Mi­ lano 200 5-07. Il primo volume contiene i saggi e i romanzi, i racconti e i diari giovanili. Il secondo contiene gli scritti giornalistici. Da segnalare, come primo tentativo di commento sistematico a un roman­ zo di Bianciardi: L U C I A N O B I A N C I A R D I , Aprire ilfuoco, ed. annotata a cura di Alvaro Bertani, prefazione di Maria Antonietta Grignani, ExCogita, Mila­ no 2015. Per quanto riguarda la biografia dello scrittore si segnalano P I N O C O RRIAS, Vita agra di un anarchico, Feltrinelli, Milano 2011 (1a ed. Baldini & Castaldi, Milano 1 9 9 3 ) , un lavoro meritatamente celebre, che molto ha contribuito alla rinascita dell' interesse per l 'opera e la figura dello scrittore grossetano ; ALVARO B E RTA N I , Da Grosseto a Milano. La vita breve di Luciano Bianciardi, ExCogita, Milano 2007. Importanti informazioni biografiche si ricavano poi dalla raccolta di lette­ re che Bianciardi scrisse all'amico Mario Terrosi, che quest'ultimo curò pochi anni dopo la morte dello scrittore : MARIO T ERRO SI, Bianciardi com 'era. Let­ tere di Luciano Bianciardi ad un amico grossetano, Il Paese Reale, Grosseto 1974 (nuova ed. Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, Viterbo 2oo6) . Una sistematica ricostruzione della bibliografia di e su Bianciardi in IRE­ N E G AM BAC O RT I , Luciano Bianciardi. Bibliografia I94S-IggS, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2001. Il libro è accolto nella collana "Quaderni della Fon­ dazione Luciano Bianciardi" (n. 8).

LUCIANO BIANCIARD I , LA PROT E S TA DELLO STILE

Atti di convegni Segnaliamo a parte gli atti dei convegni o giornate di studio dedicate allo scritto­ re, anche perché in alcuni casi (pensiamo, ad esempio, ai convegni grossetani del 1991 e del 1997) hanno segnato vere e proprie svolte nell'ambito degli interessi e degli orientamenti critici degli studi sullo scrittore : Luciano Bianciardi tra neo­ capitalismo e contestazione, Atti del Convegno (Grosseto, 22-23 marzo 1991 ) , a cura di Velio Abati et al. , Editori Riuniti, Roma 1992 (con saggi di V. Abati, M. C. Angelini, A. Bruni, G. Falaschi, M. A. Grignani, R. Guerricchio, G. Nava e A. Turbanti) ; Carte su carte di ribaltatura. Luciano Bianciardi traduttore, Atti del Convegno (Grosseto, 24-25 ottobre 1997 ), a cura di Luciana Bianciardi, Giunti, Firenze 2000 (con saggi di M. C. Angelini, M. Bacigalupo, N. Briamonte, F. Buffoni, M. Materassi, G. Prampolini, F. Rappazzo e M. Stella) ; Dal Bibliobus alla grossa iniziativa. Luciano Bianciardi, la biblioteca, la casa editrice nel dopo­ guerra, Atti del Convegno internazionale di studi per l'ottantesimo della nascita

(Viterbo-Grosseto, 21-22 novembre 2002), a cura di Giovanni Paoloni, Cristina Cavallaro, Vecchiarelli, Manziana (RM) 2004; La parola e il racconto. Scritti su Luciano Bianciardi, Atti delle Giornate di studio (Bologna, 5-6 maggio 2004), a cura di Carlo Varotti, Bononia University Press, Bologna 2005 (con saggi di V. Abati, N. Barilli, C. Benussi, C. Bragaglia, P. Brandi, A. De Nicola, G. C. Ferret­ ti, M. Manotta, R. Rinaldi, G. Ruozzi e C. Varotti) ; Bianciardi, Ottocento come Novecento. Dalla letteratura al dibattito civile, Atti del Convegno (Grosseto, 1 41 5 novembre 2oo8), a cura di Luciana Bianciardi, Arnaldo Bruni e Massimiliano Marcucci, ExCogita, Milano 2010 (con saggi di A. Bruni, S. Casini, A. De Ni­ cola, M. A. Grignani, P. Maccari, M. Manotta e ]. Soldateschi); La vipera che 'l melanese accampa. Luciano Bianciardi, Grosseto e ''La vita agra'; due giornate di studio per i 50 anni de ''La vita agra" e i go anni dalla nascita di Luciano Bianciar­

a cura di A. Bruni, M. Marcucci, N. Turi, ExCogita, Milano 2014. A questi va aggiunto �gro Bianciardi", "Il Verri': L I I , 37, giugno 2008 (con saggi di M. A. Grignani, M. Graffi, M. Jatosti, A. Loreto e P. Zubiena). Va infine menzionata la rivista della Fondazione Bianciardi, "Il Gabellino", che nel corso del tempo ha accolto numerosi articoli, rassegne e testimonianze sullo scrittore.

di,

Saggi critici Si citano solamente saggi strettamente dedicati a Bianciardi, tralasciando sia storie letterarie sia opere generali che allo scrittore dedicano un qualche spa­ zio : V E L l O A B AT I , Bianciardi intellettuale a Grosseto, in Luciano Bianciardi tra neocapitalismo e contestazione, cit., pp. 109-29; I D . , La nascita dei ''Mina-

BIBLI O G RAFIA

297

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LUCIANO BIANCIARD I , LA PROT E S TA DELLO STILE

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Indice dei nomi

Abati Velio, 62, 64, 264-5, 267-8, 270, 273, 277, 289 Abba Giulio Cesare, I79-8o, I83 Abelardo Pietro, I 59, 280 Absburgo (famiglia), I2, 24I Achmatova Anna, 98 Adams Eddie, 288 Adelung Johann Christoph, I6I-2 Adorno Theodor, I I I Ajello Nello, 4 I , 263, 270 Aldi Pietro, I78-9 Alfieri Vittorio, 256 Almansi Guido, 27 8 Anceschi Luciano, I4, 259 Angelini Maria Clotilde, I 39, 237, 278, 280, 282 Antonelli Laura, 287 Arbasino Alberto, I9, I37, 208-9, 25960, 286 Aretino Pietro, I 9 8 Aristarco Guido, I2, 7I, I4I, I49 Arpino Giovanni, I 3 4-5, I77 Asor Rosa Alberto, 8I, 27 I Augé Mare, I07 Avicenna, 9 o Azeglio, Massimo Taparelli d', I 9 8 Bacchelli Riccardo, 2I I Bacon Francis, 62 Badoglio Pietro, 3 I

Balestrini N anni, 259, 270 Bandettini Teresa, I 65, 280 Bandi Agostino, I 94 Bandi Giuseppe, I8, I75, I77-8o, I8990, I92-200, 23 5-6, 269, 282-4 Banti Anna, I84 Barenghi Mario, 277 Barilli Renato, I4, I6, I 8, 259 Barth John, I8, 23, 230, 29I Bassani Giorgio, Io6, I I I, I 3 8, 21 6, 274 Battaglia Achille, 267 Baudelaire Charles, I04 Bavagnoli Carlo, I 40 Bedeschi Lorenzo, I 67 Behan Brendan, 23, I 69, 28I Belardi Adria, 39, 45, 263 Bellow Saul, I 57 Benge Eugene J., I23, I25-6, 275 Benjamin Walter, 273 Bentham Jeremy, 29 Benussi Cristina, 27 8 Berardinelli Alfonso, 259 Bernanos Georges, I 6 6 Bernhardi Theodor von, I 9 I, I 9 3 Bertani Alvaro, 263 Bertini Valerio, 72, I97 Bevilacqua Alberto, 269, 288 Bianchi Bandinelli Ranuccio, 42 Bianciardi Atide, 25 Bianciardi Ettore, 26I, 263

3 02

LUCIANO BIANCIARD I , LA PROT E S TA DELLO STILE

Bianciardi Luciana, 260-I, 263, 279 Bilenchi Romano, 42, I 3 4 Bismarck Otto E. L., I9I, I 9 3 Bixio Nino, I 8 3-4, I93, 282 Bo Carlo, 26I Bocca Giorgio, 208, 242 Boccaccio Giovanni, 230 Boggione Valter, 273 Boiro Camillo, I I Bolchi Sandro, 2II Bollati Giulio, 8I, 26I Bompiani Valentino, 239, 29I Bo netti Carlo, 28 8 Bongiorno Mike, 20 6-7 Borromeo Carlo (santo), I 6 2 Brega Gian Piero, 7I, I I I Brera Gianni, 76-7, 2 0 8 , 2IS-6 Bruni Arnaldo, 87, 96, 270-I Burchiello Domenico di Giovanni, I 6s, I67 Buzzanca Lando, 287 Buzzati Dino, 288 Cabrai Amilcar, 227, 232 Calogero Guido, 27, 32, 39, 26I Calvino ltalo, IS, I9, 3 6, 8o-I, I IO, I 3 3-6, I so, I8s, 209, 220, 259, 264, 276-7, 285, 288 Canova Antonio, I 64 Capitini Aldo, 32, 39, 26I Capote Truman, 269 Carlino Marcello, 259 Caronni Felice, 289 Carrère Emmanuel, 269 Cary Joyce, I42 Casalegno Giovanni, 273 Cases Cesare, I 20 Cassola Carlo, I9, 40, 43, 46, 48, 54, 57-60, 62-4, 66-7, 69, 72, I 0 6, I I I , I 3 8, 20 8-9, 230, 263-4, 266-8, 285

Castellaneta Carlo, 288 Cattaneo Carlo, I76, 242 Cavour, Camillo Benso di, I 8 I -2, I92, 283 Cederna Antonio, 267 Cederna Camilla, 209, 242 Cellini Benvenuto, I 9 8 Cerri Franco, 2 8 s Ceserani Remo, 259 Chiara Piero, 269, 288 Chiari Walter, 286 Chiesa Gian Paolo, I62 Chruscev Nikita S., B o Churchill Winston, 205 Clark Colin, 27 3 Clarke Arthur, I 42 Codino Fausto, 267 Colletti Lucio, 8 I Colonna Vincent, 78, 270 Comerio Agostino, I 6 3 Comi Umberto, 27, 4 3 , 5 4 , 2 6 I Compagnone Luigi, 2I s Concogni Manlio, 209 Conrad Joseph, I s 7 Consolo Vincenzo, 282 Conte Francesco Paolo, 2I 6, 222 Cooke Ebenezer, I 8 Coppola Massimo, 259, 270 Correnti Cesare, 239, 242 Corrias Pino, 260, 262-3, 266, 269, 280, 282 Corte Clemente, I94 Cottafavi Vittorio, 28I Croce Benedetto, 2 7, 4I, I I 4 Dainotto Roberto, 274 D 'Alfonso Aldo, 54, 26 s D 'Angelo Giacomo, 286 D 'Annunzio Gabriele, IS2, 209 Dante Alighieri, 96, I70, 250

I N D I C E DEI NOMI

Darrieusecq Marie, 270 Davì Luigi, 72, I 3 4 Dazai Osamu, I42 de Cristofaro Magda, I57, 275 De Felice Renzo, 8 I Defoe Daniel, ISO De Gasperi Alcide, 6I, 267 Del Buono Oreste, I9, I I I, I 6 6, 280 Della Chiesa Bruno, 282 Della Valle Alberto, 282 Dell'Orto Giuseppe, 292 De Nicola Antonella, 280, 287, 289 De Roberto Federico, I84 De Sica Vittorio, 99-IOO Dewey John, 32 Di Domenico Giovanni, 265 Diemoz Luigi, 7I, III Di Gesù Matteo, 276 Dolci Danilo, 6 6, 267 Dolfi Giuseppe, I92, I 9 5-6, 284 Dondero Mario, I40, 2IO Donleavy James Patrick, 23, I 69, 28I Donnarumma Raffaele, 259 D ' Orlando Marinella, 209 Dos Passos John, 2 I 6 Dossena Giampaolo, I 57, I97 Doubrovsky Serge, 77, 269 Dubcek Alexander, 243 Dumas Alexandre, I 84 Dunham Barrows, 62 Durrell Lawrence, 279-80 Eco Umberto, 200, 206, 208, 2I8, 284, 286 Einaudi Giulio, I I 6, 288 Eisenhower Dwight D., 3 0 Ejzenstein Sergej M . , 7 9 Fabietti Ettore, 265 Falaschi Francesco, 26 s

Fallaci Oriana, 242 Fanfani Amintore, I82 Fattori Giovanni, I78-9, 282 Fauché Giovanni Battista, 283 Faulkner William, 3 s Feldman Gene, I57, 275, 278 Fellini Federico, 46, I08 Feltrinelli Giangiacomo, 7I, 8I, I o 8, I I I, I 6 8, 274 Ferrata Giansiro, 229, 289 Ferretti Gian Carlo, 22, 208, 2I8, 243, 260, 26� 274, 285, 290, 292 Festa Campanile Pasquale, 265, 287 Flynt Larry, 2 I 6 Fo Dario, I 84 Forman Milos, 2I 6 Forti Marco, I 3 4-5, 277 Fortini Franco, 8o, 220, 253, 255-6, 264, 293 Fortuna Loris, 2I3 Foscolo Ugo, 250 Francioni Elisabetta, 26 s Furnas Joseph C., I42 Fusco Gian Carlo, 2 I 6 Gaber Giorgio, 242 Gadda Carlo Emilio, I9, I27, I36, I 6 s, 202, 276-� 280, 285, 292 Gallico Loris, 288 Gambaro Fabio, 260 Ganeri Margherita, 259 Garibaldi Giuseppe, I75-7, I79-82, I84-s, I 9 o, I 9 6, I98, 232, 244, 28I Gartenberg Max, I 57, 27 5, 278 Gaslini Giorgio, 285 Gatto Alfonso, 28 I Geerts Walter, 282 Genette Gérard, 270 Gerratana Valentino, 264 Geymonat Ludovico, 8o Giannelli Andrea, I92, I 9 6

LUCIANO BIANCIARD I , LA PROT E S TA DELLO STILE

Giannini Stefano, 253, 284, 293 Giap Vò Nguy�n, 240 Ginsberg Allen, 2I 6 Giovanni X X I I I (Giuseppe Angelo Roncalli), 239 Giuliani Alfredo, 259 Giuliano Salvatore, I 6 9, I87 Giusti Giuseppe, 235 Gobetti Piero, I76, I 8 3 , 256 Goodman Paul, 223 Gor'kij Maksim, 9 0, 94, 98 Gozzano Guido, IS2 Gramsci Antonio, 4I, 66-7, 90, 95, 98, I76-0 I83, 263, 268 Grassi Paolo, 242 Graziotti Giacomo, I94 Greenwald Harold, IS2, 279 Grignani Maria Antonietta, 20, I67, 260, 280 Guerricchio Rita, 273, 277 Guevara "Che" Ernesto, 240, 244 Guglielmi Angelo, I8-2o, 260, 277 Guglielmi Guido, 259 Guidi Adele, 25

Jemolo Arturo Carlo, 267 Johnson Paul, I42 Jovine Francesco, 264 Joyce James, 246, 292 Kane Joseph, 277 Kant lmmanuel, 84 Kennedy John F., I57, 279 Kerouac Jack, 1 3 6, I 57-8, 27 5, 279 Kierkegaard S0ren A., 2 7

Innocenti Piero, 265 Innocenza I I , 8 I In tra Enrico, 28 s Ipponatte, 276

La Capria Raffaele, I 9, I I I Lamarmora Alfonso, I93 Laterza Vito, 62-3, 69, 267 Ledda Romano, 288 Lee Master Edgar, 54 Lejeune Philippe, 76, 269 Leonardo da Vinci, 90, I 6 8, 280 Leonetti Francesco, I 9 Leopardi Giacomo, 2 5 0 Levi Carlo, 33, 6 6 , 95, 1 1 8, 264, 2 6 8 Levi Primo, 2 9 I Lewis Sinclair, so Lizzani Carlo, 72, I 8 8, 286-7 Locke john, 84 Loren Sophia, 223 Loreto Antonio, 270 Lucentini Franco, 267 Ludovico Sforza, detto il Moro, I 6 8 Lukacs Gyorgy, I2-3, 4 4 , I49, 263 Luperini Romano, 259, 2 72 Luporini Cesare, I2, 26I Luti Giorgio, 288

Jameson Fredric, 259, 276 Jannacci Enzo, I 8 7, 285 Jatosti Marcello, 226, 23 s Jatosti Maria, 63, 8o, 226, 232, 235, 240, 272, 282, 289-90

Maccarone Nino, 27 Magni Stefano, 282 Mailer Norman, 23, I 58, 228, 252, 279, 289 Manacorda Giuliano, 272

Haddad Malek, 230, 290 Hemingway Ernest, 49 Ho Chi Minh, 239 Horkheimer Max , I I I

I N D I C E DEI NOMI

Manara Luciano, 240 Mancini Mauro, 5 I, 26 5 Manfredi di Hohenstaufen, 254 Manganelli Giorgio, 259 Manona Marco, 2S5 Manzoni Alessandro, I 6 6, I 9 S -2oo, 254, 256 Mao Zedong, 239 Marchi Rolly, 2S3 Marcuse Herbert, I05, 224-5, 240 Maria Teresa d'Austria, I 6 3 Marino n i Augusto, 2S o Mario Alberto, I79 Markandaya Kamala, 27S Marotta Giuseppe, 2SS Marras Barbara, 27S Martemucci Valentina, 269 Marx Karl, 2 3 9 Mastrogianakos John, 277 Mastronardi Lucio, I9, 84, I37 Mattei Enrico, 2oS Mazza Marta, 269, 274 Mazzini Giuseppe, I76, I92, I 9 6-7, 239 Mazzoncini Tullio, 27 Meazza Giuseppe, 2S7 Medici Giacomo, 2S2 Melograni Piero, SI Metastasio Pietro, 254-5 Mill Stuart John, 29 Miller Henry, 22-3, I23, I 3 3 , I 3 6, I40, I 54, I 56, I 5S-6o, I 6 5, I67, 20I-2, 22I, 276, 27S-So Montanelli Indro, 203, 207-S Monti Vincenzo, 26 Morando Sergio, 2 76 Moravia Alberto, I52, I67, 2I6, 273, 2S5 Moro Aldo, 2I4 Morozzo della Rocca Enrico, 2S3 Morriello Rossana, 265

Mulas Ugo, I 40 Muscetta Carlo, S I, 264 Musil Robert, 239 Mussolini Benito, 30, 2S3 Nagy lmre, So-I Nanni Renzo, 99-IOO Napoleone Bonaparte, I64 Nebbia Franco, I 9 7, 2S5 Nguyèn NgQc Loan, 2SS Nicotera Giovanni, IS7 Nixon Richard, I57 Nono Luigi, 242 Noschese Alighiero, 2S7 Nuvolati Giampaolo, 273 Occhetto Achille, 2 74 Occhetto Adolfo, I I I, I 20, 197, 274 Oldoini Virginia, I70 Onofri Fabrizio, So-I, I I I , I I 5, 274 Osborne John, I 3 S Ottieri Ottiero, I O I , I IO, I 3 4 , 20S, 260 Ovidio Publio Nasone, 231 Packard Vance, I05, I I 9 Pagliarani Elio, I o I Palazzeschi Aldo, 273 Pampaloni Geno, 27 Pananti Filippo, I 9 S, 2S9 Panzini Alfredo, 2SS Parini Giuseppe, S7, 96, 246, 292 Parise Goffredo, I 6 6, 274 Parlangeli Oronzo, 27I Parri Ferruccio, 26I Pasi Paolo, 2S5 Pasolini Pier Paolo, I9, So, S7, I45, I52, 205, 230, 243, 256, 260, 27I, 2S5, 292

LUCIANO BIANCIARD I , LA PROT E S TA DELLO STILE

Pavese Cesare, so, Io6, 264 Perlès Alfred, 279-80 Petri Elio, 8 I Piccinini Alberto, 259, 270 Pieri Piero, 284 Pietra ltalo, 208 Pietralunga Mark, 27I Pietrangeli Antonio, 72 Pintor Giaime, so, 9 s, 264, 272 Piovene Guido, I 6 6 P iran dello Luigi, I 84 Pirelli Giovanni, 54 Pirro Ugo, 72 Pisacane Carlo, I76, I96-7, 240, 244 P iso n i In es, 2 7 I Pistilli Luigi, I97 P ivano Fernanda, I s 7 Pizzigoni Carlo, I6I, 280 Platone Felice, 263 Pollio Alberto, 284 Ponzani Carlo, I 6 o-I, 238 Porzio Domenico, I34 Pratolini Vasco, II, 264 Quarantotti Gambini Pier Antonio, 288 Rabelais François, I 54, I 6 5, I67 Raboni Giulia, 289 Radetzky Josef, 240 Ragone Giovanni, 27I Rappazzo Felice, 2 79 Rea Domenico, 264 Reich Wilhelm, 224 Ricci Ovidio, 226, 23I -2, 290 Riesman David, IOS, I I9, 273 Rinaldi Rinaldo, I9, 260, 277, 290 Ripa di Meana Carlo, 8I, I97, 242 Riva Valerio, 7I, III, 274

Rizzoli Angelo, I 3 3 Robbe-Grillet Alain, 2 I 6 Robbins Harold, 29I Romano (famiglia), I 8 6 Romilli Bartolomeo, 2 3 9 Rossanda Rossana, 8 I Rousseau Jean-Jacques, 84 Rubattino Raffaele, 283 Ruokonen Ritva Liisa, 226, 229, 232 Russell Edward F. L., 72 Russo Luigi, 3 I -2, 4I -2, 26I-2 Saba Sardi Francesco, I37, I40 Salgari Emilio, I 8 6 Salinari Carlo, I 2 , 7 I , 267 Sanguineti Edoardo, I9, 260 Santini Wanda, 27I Santoro Michele, 265 Sapegno Natalino, 8 I Saroyan William, 4 9 S art re Je an-Paul, 40, I 20, 2 I 6 Scalfari Eugenio, 267 Sciascia Leonardo, 63, I83 Scotellaro Rocco, 63, 6 6 Sereni Vittorio, I 48, 220, 229, 279, 288-9 Serino Gian Paolo, 28I Siegel Don, I4S Silori Luigi, 280, 288 Sirtori Giuseppe, I70, 282 Siti Walter, 269 Soldateschi Jole, 288 Soldati Mario, 2I 6 Sordi Alberto, 269 Spagnol Mario, I 57 Stalin (Iosif Vissarionovic Dzugasvili), 8o, 94, 97-8, 244, 270, 272 Steinbeck John, 34 Steiner Albe, I I I -2, I 3 I Stendhal (Henri Beyle), ISO

I N D I C E DEI NOMI

Steno (Stefano Vanzina), 269 Stevenson Robert Louis, IS7 Succi Paolo, 266 Summerfield Giovanna, 27I

Tacconi Otello, 68, I4I, 268, 29I Tack Alfred, I23, 204 Tadini Emilio, I 9 6-7, 242, 284 Tambroni Fernando, I4I, I82 Tattilo Adelina, 2 I 6 Taylor Frederick, I24 Tenenti Alberto, 26I Terrosi Mario, 30, 40, 72-3, I07, I 3 3-4, I 3 6, I 88, 262-3, 274-s, 277-8, 28I, 283 Testa Corrado, 289 Testori Giovanni, I9, I 3 4, 260 Togliatti Palmiro, 42-3, 7I, 8I, 8s, 97, 263 Tomasi di Lampedusa Giuseppe, I I I Tommaseo Niccolò, IS6, 279 Tortora Enzo, 2 76 Trombadori Antonello, I2, 7I, 267 Tronti Mario, 8 I Turati Filippo, 26s Turbanti Adolfo, 267 Tiirr lstvan (Stefano), 282

Uberti Fazio degli, IS2 Ungaretti Giuseppe, 30, 2SO

Valera Paolo, 270 Vancini Fio restano, I 84 Varotti Carlo, 278, 282, 28s, 288 Venosta Felice, I6I, 280 Verga Giovanni, II, I83-4, 20I -2, 276 Verri Pietro, 2s6 Viani Lorenzo, I 6 s, 280 Vicario Guido, 288 Vico Giambattista, 84 Visconti Luchino, I I -2, so, I4S, 2I6, 2S4 Visconti Venosta Giovanni, 236, 240-I, 29I-2 Vittorini Elio, IS, 2I, 4I-2, so, s7-8, 72, I IO, I34, 220, 260, 263-4, 277 Vittorio Emanuele n , I 79-8o, I82, I86 Volponi Paolo, I IO, I 3 S, 2 6 0 Warhol Andy, 207, 28 s Wilder Billy, 2 7I Wilder Thornton, 9 0, 27I Wright Milis Charles, II 9 Zambianchi Callimaco, I76 Zanantoni Marzio, 274 Zavattini Cesare, 2 I 6 Zdanov Andrej A . , 9 4 , 98, 270 Zoboli Liliana, I97 Zubiena Paolo, I67, 280 Zucconi Guglielmo, 269, 288 Zurlini Valerio, 269