Le lettere di Pietro. La lettera di Giuda. Testo greco, traduzione, commento 8839401822, 9788839401823

La teologia presupposta dalla Prima lettera di Pietro presenta forti punti di contatto con quella paolina, sia in quanto

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Le lettere di Pietro. La lettera di Giuda. Testo greco, traduzione, commento
 8839401822, 9788839401823

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COMMENTARIO TEOLOGICO DEL NUOVO TEST AMENTO Collana internazionale pubblicata in lingua italiana, francese, inglese, tedesca e spagnola A CURA DI Serafin de Ausejo, Lucien Cerfaux, Joseph Fitzmeyr, Béda Rigaux, Rudolf Schnackenburg, Anton Vogtle

Segretari per l'Italia: G. Scarpate O. Soffritti EDITORI

Paideia Editrice, Brescia Les Éditions du Cerf, Paris Herder and Herder, New York Verlag Herder, Freiburg, Basel, Wien Editoria! Herder, Barcelona

COMMENTARIO TEOLOGICO DEL NUOVO TESTAMENTO

Le lettere di Pietro La lettera di Giuda Testo greco e traduzione Commento di KARL HERMANN ScHELKLE Traduzione italiana di RoBERTO FAVERO Edizione italiana a cura di 0MERO SoFFRITTI

PAIDEIA EDITRICE BRESCIA

Titolo originale dell'opera: Die Petrusbriefe. Der ] udasbrief Fiinfte, erweiterte Auflage Auslegung von Karl Hermann Schelkle Traduzione italiana di Roberto Favero Revisione di Omero Soffritti

La traduzione del testo biblico è di proprietà della Casa Paideia. Ogni riproduzione è vietata e sar~ perseguita a norma di legge.

© Verlag Herder, Freiburg im Breisgau © Paideia Editrice, Brescia 1981

1961, 5 1980

PREFAZIONE

Purtroppo è quasi passato un decennio da quando il «Commentario teologico del N.T.» ebbe un bell'inizio col commento alle lettere di Giovanni di R. Schnackenburg (primavera I95J). La crescente preoccupazione per l'imprevista lentezza del procedere di questo commentario accompagnò il suo benemerito fondatore Alfred Wikenhauser letteralmente fino all'ora della morte, che il2z giugno z96o liberò l'instancabile lavoratore da una troppo lunga e penosa infermità. Dopoché il mio venerato maestro e predecessore mi affidò la responsabilità di realizzare il suo ultimo e più grande intento scientifico e me lo raccomandò vivamente scongiurandomi con ogni serietà, mi sento obbligato a ringraziare il Sig. Collega Schelkle, Tubingen, esperto interprete delle lettere di Pietro e della lettera di Giuda, per la sua coraggiosa e promettente ripresa dell'opera. Devo un esplicito ringraziamento anche all'incaricato dell'Editrice Herder, il Sig. Dr. R. Scherer, che non risparmiò fatiche nello stimolare continuamente con comprensiva condiscendenza gli apprezzati collaboratori. Fortunatamente esistono fondate speranze che i sottoscrittori e gli interessati, sottoposti a una prova di pazienza, possano d'ora in poi contare su almeno un volume o mezzo volume all'anno. Gli Autori e l'Editrice erigeranno così il più bel monumento in piam memoriam di Alfred Wikenhauser!

A.VOGTLE Freiburg i.Br., agosto 1961.

PREMESSA ALLA PRIMA EDIZIONE

Dopo una lunga interruzione della serie, compare ora un altro volunze del «Commentario teologico del N. T.>>. Anche per me, come per altri collaboratori, diversi impegni ritardarono Jlesecuzione del commento agli scritti del N.T. di cui mi ero assunto l'impegno. Per concludere finalmente il lavoro, dovetti rinunciare alla mia intenzione originaria di trattare la storia dell'interpretazione patristica di queste lettere completamente, versetto per versetto, come ho cercato di fare per Rom. I-I I (Paulus, Lehrer der Vater, 2a ed. I959). Il materiale raccolto in modo simile per la I e 2 Petr. e per Iudae è rimasto in massima parte nelle cartelle. Ringrazio i Sigg. Colleghi Pro/. Dr. ]osef Schmid di Munchen e il Pro/. Dr. Anton Vogtle di Freiburg i.Br. per le amichevoli indicazioni, la Signorina Beate Russ, il Sig. Adolf Smitmans, assistente, e la Signorina Gertraud Franz per l'aiuto che mi hanno prestato nella revisione del manoscritto e nella correzione delle bozze. KARL HERMANN SCHELKLE

Tiibingen, Pasqua 1961 .

PREMESSA ALLA SECONDA EDIZIONE Per causa di forza maggiore l'autore di questo commentario e l'editore hanno potuto procedere soltanto all'emendazione di qualche svista e ad alcune brevi aggiunte. Un esempio di quella storia dell'esegesi di cui ho fatto cenno nella prefazione alla Ia edizione viene da me offerto nel saggio intitolato Der Judasbrief bei den Kirchenvatern, in Abraham Unser Vater, Festschrift fur Otto Michel, ed. da O.

Premesse

IO

Betz e altri, Leiden e Koln I96J, pp. 405-4r6. Il problema del (protocattolicesimo' nel Nuovo Testamento (cfr. excursus pp. 375-38r) viene da me ulteriormente esaminato nello studio intitolato Spatapostolische Schriften als friihkatholisches Zeugnis, in Neutestamentliche Aufsatze, Festschrift fur Josef Schmid, ed. da ]. Blinzler e altri, Regensburg zg6 3, pp. 22J-2J2.

KARL HERMANN SCHELKLE

Tiibingen, novembre I 96 3.

PREMESSA ALLA QUARTA

E ALLA QUINTA EDIZIONE

Nella quarta e nella quinta edizione sono state aggiunte in appendice (pp. 385 ss.) notizie su recenti pubblicazioni riguardanti le lettere di Pietro e la lettera di Giuda. KARL HERMANN ScHELKLE

Tiibingen, febbraio 1980.

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Per l'esegesi medioevale (i commentari in massima parte sono inediti) si rinvia a F. Stegmiiller, Repertorium biblicum medii aevi, voli. 1 ss., 2. L'autore del commentario non è né il filosofo Ecumenio vissuto nel sec. VI, né il vescovo Ecumenio di T ricca (sec. x). Il commentario è probabilmente una 'catena' approntata nel sec. IX o x, la quale, tra l'altro, raccoglie scolli del filosofo Ecumenio sulle omelie paoline del Crisostomo; cfr. K. Staab, Die Pauluskatenen nach den handschriftlichen Quellen untersucht ( 1926) 93-212; Id., Pauluscommentare aus der griechischen Kirche (1933) XXXVII-XL. 3· La Glossa Ordinaria fu erroneamente attribuita a Walafrid Strabo, ma è di Anselmo di Laon. Da Pietro Lombardo fu ampliata a Magna Glassatura; cfr. B. Smalley, The Study o/ the Bible in the Middle Age (Oxford 2 1952) 46-66; C. Spicq, Esquisse d'une histoire de l'exégèse latine au Moyen Age (Paris 1944) 44· 11·113; J. Schmid in LexThK 4, coli. 968-970.

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24. Tale interpretazione dell'A.T. deve dirsi approfondita, quando nell'omelia di Melitone Sulla Pasqua si dice che Cristo era presente nelle sofferenze > (2 Cor. 4,13) e nel. la vita quotidiana, credente e morigerata, della comunità (Gal. 5,22). L'aspetto e la vita della chiesa non sono di tipo mondano. Perciò si accentua fortemente la forza portante e motrice dello Spirito come motivo di estraneità al mondo. Lo Spirito è santo, ossia rientra nella sfera di Dio, che è il Protosanto (ls. 6,x-6); perciò è Spirito inviato dal cielo. Ma l'entità della salvezza si può intuire in sommo grado dal fatto che non solo i profeti desiderarono di potervi assistere, ma persino gli angeli si fecero premura di prenderne conoscenza 27 • Dunque i cristiani sono innalzati al di sopra dei profeti, anzi addirittura al di sopra degli angeli. L'idea ci sembrerà strana (come del resto, almeno in parte, l'angelologia neotestamentaria). L'affermazione diverrà più comprensibile se si mette in relazione con tutta quanta l'angelologia del N.T. I Petr. 1,12 si allinea con altri enunciati che alludono a ~na inferiorità degli angeli nei confronti degli uomini. 26. In I Petr. 1,12 1t'JEVIJ4 &yt.o'V è senza articolo, ma nell'uso linguistico neotestamentario ciò è irrilevante (cfr. Io. 20,22; Act. 8,15.18). 27. Per chiarire il senso di 1tapa.xv1t't'EW gli esegeti si domandano se questa azione si compia per poter spiare con curiosità (cosl interpreta spesso la nostra esegesi) o allo scopo di una vera conoscenza (cosl generalmente i Padri). Si può confrontare Hen. aeth. 9,1, dove i quattro arcangeli guardano sulla terra: 1tapÉxv~a.v É1tl 't'T}'V 'Yll" EX 'tW'\1 ayLw'\1 'tOV ovpa'VOU (Billerbeck 3,762 e 8o6}. Raffigurazioni analoghe si hanno anche in I Cor. 11,10; I QSa 2,8 s. Cfr. W. Michaelis in ThWb v 814.

95

Come apostolo, Paolo sa di essere superiore all'eventuale missione di un angelo dal cielo (Gal. 1,8). La fede, che si attua. perfettamente nell'amore, vale più del parlare in lingue umane ed angeliche (I Cor. I3,I ). In virtù della redenzione gli uomini sono resi superiori agli angeli (Hebr. 2,16) 28 • Gli an·geli sono inviati a servire gli uomini (Hebr. I,I4). Le cono-· :scenze delle potenze celesti non sono illimitate (Mc. 13,32; I Cor. 2,8; Rom. I6,2_5; Hen. aeth. 16,3; Hen. slav. 24,3; Ign., Eph. I9,1). In un altro senso sono ancora paragonabili con I Petr. I ,I 2 i passi in cui si afferma la partecipazione degli·angeli alla vita della comunità, come Le. 15,7; Mt. I8,Io. In Eph. 3,10 si dice che dev'essere fatta conoscere «ai principati e alle potestà la multiforme sapienza di Dio». 2. LA CONDOTTA ATTUALE COME DONO E IMPEGNO DERIVANTI DALLA RINASCITA ( I,I3-2,10)

Dopoché il proemio ha ricordato ai cristiani il dono che essi hanno ricevuto (I ,3-12 ), il resto della lettera ne trae le· conseguenze parenetiche. La speranza nel futuro, di cui la lettera poteva parlare, è un obbligo vincolante per il presente. In questo contesto risalta una prima sezione: I,I3-2,ro. Es-· sa è suddivisa a sua volta da espressioni caratteristiche di esortazione, che coordinano le varie frasi (I ,I 3: l'obbedien-· za; I,I8: il timore filiale; 1,22: l'amore; 2,2: la nuova nascita; 2,_5: la casa spirituale; 2,9: il sacerdozio regale). In 2,I I la ripresa è segnalata da un'apostrofe e da un am-· monimento formali (aya1t1)"t'OL, 1ttlpaxaÀ.w), a cui segue il codice familiare ( 2,1 3-3,I 2). La pericope I ,I 3-2,Io è suddivisibile in due parti, di cuf la prima (I ,13-2.5) contiene esortazioni a una nuova condotta: alla obbedienza da credenti ( I , I 3- I 6), al timore filiale ( I ,. 17-2 I) e all'amore fraterno (I ,22-2.5 ). 28. I rabbini (Deut. r. 7 ,x o a 29,1; 8,2 a 30,11) affermavano che la torà venne data (da Dio) non agli angeli, ma ad Israele. Perciò esso possiede un dono cheanche gli angeli del servizio avrebbero voluto avere (Schlatter ).

z Petr. I,IJ

96 a) Obbedienza

di fede ( 1,13-16)

4t.ò àva~wcra(.LE'JOt. 'tàc; ÒO"q>va.~ 'ti]c; ot.avoiac; VllWV, vi)cpoV'tEt;, 'tE· ÀELWt; ÈÀ.1t!O"a'tE È1tt 'tÌ}\1 cpEpO(.lÉ'VT)V Vllt'J xaptv E'V à1toxaÀ.u~Et '11]CTOU XptCT'tOU. 14 'tÉXVa V1ttXXofjc;, llil CTVO"X1]J.l(l.'tt.~6p.evot. 'ttXtc; 1tp6'tEpov EV 'tTI a:yvo~~ U(.l.WV btd}u~J,iatc;, 15 aÀ.À.à xa'tà. 'tÒV xaÀ.ÉO"ClV'tC't ÙIJ.éic; éiyt.ov xaL a.ù'toL liyt.ot. tv 1taan àvau'tpocpn yeviJDTJ'tE, 16 ot.o'tt yÉypa1t'ta.t. [ O'tt.] liyt.or. ECTE~E, O'tt. Èyw a:yt.oc;. 13

wc;

13

Perciò, succinti i fianchi della vostra mente e sobri, riponete tutta la vostra speranza nella grazia che vi sarà partecipata alla rivelazione di Gesù Cristo. 14 Da figli d'obbedienza, non siate più conformati alle bramosie d'un tempo, quando eravate nell'ignoranza; 15 ma, in rispondenza al Santo che vi ha chiamati, diventate anche voi santi in tutta la vostra condotta. 16 Sta scritto infatti: «Siate santi, perché santo io sono».

3. Sto segna il chiaro passaggio dall'annuncio all' esortazione. Questa si serve soprattutto di due immagini, invitando a cingere la veste, cioè a stare pronti (in senso escatologico) e ad essere sobri. Il vero vestito degli antichi era la lunga sottoveste. Nei giorni di festa o nei momenti di riposo la si lascia fluttuare fino ai piedi, ma camminando, lavorando o combattendo, ciò sarebbe d'impaccio. Perciò la si succinge ai fianchi(Ex. 12,1I; T oh. 5,5; Le. I7,8). Il succingersi la veste vuoi quindi dire prepararsi a prendere una decisione; in I Petr. I, 13 ciò significa assai chiaramente accingersi ad andare incontro al Signore che giunge. Quindi l'immagine ha un senso escatologico come in Le. 12,35. Seguendo l'uso dei LXX (Ex. I 2' I I ; I er. I' I 7), si dice "ttÌ.c; ocrq>uac; e' in linguaggio fortemente figurato, si aggiunge .,;i)c; otavotac;. Si devono escludere tutti i pensieri che potrebbero nuocere allo stato d'animo di attesa: potrebbero essere i desideri cattivi di r,r4; cfr. Eph. 6,I4. Anche l'esortazione alla sobrietà è una reminiscenza dei sinottici, i quali, parlando di escatologia per parabole, non usano il medesimo termine, ma impongono praticamente la stessa esigenza (Le. 12,45 ). Essendo il futuro escatologico co· sl vicino, è necessario riconoscere e giudicare esattamente i tempi e le cose. La sobrietà non è disprezzo del mondo, ma I

97

il suo giusto giudizio e l'uso corretto che se ne fa; dr.l'esortazione di senso ugualmente escatologico in I Thess . .5 ,.5-8. Cosi è descritta la natura peculiare dell'attesa e della speranza escatologica. Poiché hanno chiara intelligenza della loro certezza, esse non sono né una fede cieca o forzata né un'infatuazione o una sfrenatezza da esaltati. Ciononostante, o proprio per questo, la speranza dev'essere 'perfetta' ("tEÀELW~) 1 e totale. Non può essere una speranza incompleta e indecisa, come ce n'è tanta. La speranza si rivolge alla «grazia insita nella rivelazione di Cristo». Questa rivelazione non è - come nel linguaggio assai diffuso della dogmatica moderna - una comunicazione di verità soprannaturali, ma il manifestarsi di Cristo nell'ultimo giorno (come in I Petr. I ,7 ). E, sempre in connessione con I ,7, xci.pt.~ esprime la totalità della salvezza (come in 1 ,, ·9 ). Questo compendiare l'attesa escatologica col termine xci.pt.~ ci ricorda il detto di Did. 10,6: ÉÀi)'É'tw xcipt.~ xat '1ta.pEÀl)É'tw

oxéap,o~ ou'to~.

14. Sobrietà, speranza e disciplina sono motivate e rese certe dalla promessa della parola di Dio, ricevuta dai credenti. L'ascolto della parola costituisce a tal punto l'essere dei cristiani, che essi possono addirittura venir semplicemente detti «figli dell'ascolto e della obbedienza» (dr. I ,2) 2 • Il contrario dell'obbedienza, che è anche adesione ai precetti morali di Dio, è il concedersi ai desideri immorali. Prima, quando non conoscevano la volontà di Dio, i cristiani erano in balla di queste concupiscenze. La I Petr. richiama ai lettori la vita che conducevano nel paganesimo 3 • Benché il tempo in cui I. Tuttavia si discute se "tEÀE{,wc; vada riferito a vijcpov-rEç o ad lÀ1t,O"ct"tE. Sono della prima opinione l'editore Vogels e i commentatori Beare, Bigg, Windisch· Preisker, Wohlenberg; seguono la seconda gli editori Merk, Nestle, v. Soden, Souter e i commentatori Charue, Felten, Holzmeister, Michl, Selwyn, Vrede. 2. Il genitivo determina il genere (figlio del proprio tempo = condizionato dal proprio tempo). La lingua biblica, come tutte le lingue orientali, predilige queste circonlocuzioni (Os. 10,9; Is. -'74; Mt. 9,1,; 13,38; Eph. 2,3; 5,1; 2 Petr. 2,14). Può essere un effetto della terminologia caratteristica di Paolo (Rom. 1,5; 16,26; .2 Cor. 7,15) il fatto che la condizione dei cristiani sia raffigurata come U1tctxoi). 3· La lettera suppone che i destinatari siano etnico-cristiani (dr. 1,18; 2,9 s. 2';

non si conosceva la legge e ci si abbandonava perdutamente ai desideri sia passato, l'esortazione a non uniformarsi ad essi è però sempre necessaria, perché le brame sono ancora una potenza seducente. I cristiani sono sempre circondati dalla vita precedente, vivendo nelle medesime condizioni di prima e tra le stesse persone. 5 s. Dopo gli enunciati negativi, ora si dice positivamente che il cristiano dev'essere santo. Nella I Petr. il vocabolo e l'idea di 'santo' (liyr.o~) hanno un'importanza fondamentale. La parola si basa sempre sul senso biblico originario, che non è esattamente identico al nostro uso normale. éiyt.o~ nell'A.T. trae il suo significato dalla radice qds, che significa 'separare'. qados è ciò che è separato dal profano. In questo senso, Dio è il Protosanto, cioè il separato dalla creazione, essendo il «tutt'altro» (Is. j,I6; 6,3; Os. I I,9). Egli fa diventare santo ciò che sottrae al mondo, chiamandolo al proprio servizio e ammettendolo nel suo ambito: coslla città santa Gerusalemme (ls. 48,2), il monte del tempio e il tempio stesso (Is. I I, 9; 64,10 ). Ma soprattutto è santo Israele, perché Dio lo ha scelto come popolo suo e abita in mezzo a lui (Num. I5,40; Deut. 7 ,6; 26,I9; e specialmente nella legge sacerdotale di santità: Lev. I 7-26 ). Questa santità è intesa anzitutto come cultuale; tuttavia Lev. 17 dimostra che la purità cultuale include in sé anche quella personale. Conformandosi ad Osea ( 1 1 ,9) e ancor più ad Isaia, è stata la teologia dei profeti a mettere in evidenza il contenuto morale dell'esigenza di santità. Isaia scorge in Jahvé l'ineffabilmente Santo, di fronte al quale il profeta è colpevole, peccatore e bisognoso di una riconciliazione che Dio opera tramite il serafino (Is. 6,r-6). Nel giudaismo postesilico continuano ad affermarsi i due aspetti I

4,~ I

s.). Solo a persone vissute già nel paganesimo si può parlare nei termini di

Petr. r,14. Per l'Antico (Is. 10,25; Pr. 78,6; Sap. 14,22) e per il Nuovo Testa-

mento (Act. 17,30; Gal. 4,8 s.; Eph. 4,18; I Thess. 4,.5) i pagani sono appunto immersi nell'ignoranza e nell'errore. t invece privilegio e orgoglio dei Giudei poter conoscere Dio e possedere la sua legge, il che preserva dalla scostumatezza di chi è senza legge; ne è riprova l'autocoscienza ebraica di Paolo in Rom. 2,17-20. Cfr. J. Dupont, Gnosis (1949) 4 e 7·

~

Petr.

I,I7-2I

99

del concetto di santità. L'osservanza della legge tutela k santità cultuale d'Israele. Ma la pietà esige la santità personale a complemento di quella cultuale (Ps. 50,13; Ez. 36,26 s.). Anche i membri della comunità di Qumran si denominano 'i santi'. Le file dei combattenti sono gli «schieramenti dei suoi santi>> (I QM 3,5 ). I componenti la comunità sono «i santi del suo popolo» (I QM 16,1) e l'intera comunità di Qumran è . o con oro, foste riscattati dalla vana vostra condotta tramandata dai padri, 19 ma col sangue prezioso di Cristo, simile a un agnello integro e immacolato, 20 predestinato sl prima della fondazione del mondo, ma manifestato alla fine dei tempi per amore di voi, 21 che per mezzo di lui credete nel Dio che lo risvegliò dai morti e gli diede gloria, affinché la vostra fede e speranza siano rivolte a Dio.

7. I cristiani si rivolgono a Dio chiamandolo 'padre'. La lettera accenna forse all'invocazione di Dio nel 'padrenostro' (come probabilmente Rom. 8,i5; Gal. 4,6)? In ogni caso, la I Petr. sa che il rivolgersi a Dio con l'appellativo di padre è possibile in particolare all'arante, dopo l'esempio dato da Gesù (vedi comm. a I ,2 ). La coscienza di avere Dio come padre non deve però indurre alla falsa sicurezza e all'illusione di cui davano prova i Giudei, che si consolavano dicendo: «Noi abbiamo per padre Dio» (M t. 3,9 ). Perché Dio i)'ovou~ xat 1Caaa~ Xct.'t'a.À.a.À.t.cic;, 2 wc; &:p't't.j'É'V'V1'}'t'a. ~pÉq>T) 't'Ò Àoyt.xòv &ooÀ.ov yci.Àt:t Ènt.7toD1}aa.-rE, tva. Èv a.u"t> 5• Nel culto di Dioniso dell'Italia meridionale sembra che l'iniziazione suprema si compisse con un ·battesimo di latte. Sallustio (de deis 4) descrive cosi i misteri frigi: «Noi celebriamo una festa ... Ci asteniamo dal pane e dal cibo solido e contaminato ... Digiuniamo ... Poi ci nutriamo di latte, perché noi siamo dei neonati. Facciamo festa e c'incoroniamo. Ora possiamo comunicare con gli dèi». Secondo Porphyr., antr. nymph. 28; Macrob., in Ciceronis .somn. Scip. r,r2, nei misteri una sacerdotessa porgeva latte e portava il nome di ycx.ÀT)X"t'ocp6poc;. Anche I Petr. 2,2 si può inquadrare nel contesto di tali credenze, secondo cui il latte è un cibo sacro, apportatore di salvezza 6 • A questo proposito .ci si può nuovamente chiedere se Pietro, palestinese, potesse .disporre di tali concetti e parole. Nella I Petr. le concezioni antiche sono spiritualizzate. Ce lo dice la designazione "tÒ À.oyt.xòv &ooÀ.o'V yaÀa. Poiché &ooÀo'V significa tanto schietto quanto non adulterato, qui il latte è forse chiamato &ooÀov in entrambi i sensi: sia perché ci·bo dei bambini che sono proprio schietti, sia perché è un alimento semplice e genuino. Allora &ooÀ.o~, in senso ovviamente metaforico, farà riferimento alla esortazione di I Petr. 2,r ,. La documentazione è in A. Dieterich, Abraxas (1891) 172 e 181; K. Preisen· Papyri Graecae Magicae I (1928) 4 s. .6. Vedi i testi citati da H. Schlier in ThWb I 644 s. Tuttavia O. Miche!- O. Betz, ·von Gott gezeugt, in ]udentum, Urchristentum, Kirche, Festschrift J. Jeremias (1960) 22, in considerazione degli scritti di Qumran ritengono possibile che l'im·magine del latte si possa far derivare dal giudaismo dell'epoca. Pare che nelle religioni misteriche dell'ellenismo si prendesse davvero il latte come cibo. C'era l'usanza di offrire ai neoiniziati, assieme ad altro cibo puro, anche latte. Certamente le testimonianze (vedi sopra) provengono tutte da epoca tardi·va, postcristiana, per cui non si può dire con sicurezza in che misura la pratica .esistesse in epoca più antica, addirittura neotestamentaria. Ma sicuramente la -chiesa praticava l'uso di offrire ai neobattezzati, dopo il battesimo, una bevanda bcmedetta composta di latte e miele; cosi Tertull., Mare. 4,21; Id., de corona mil. 3; Clem. Al., paed. r,6A,,I (GCS I,ri6); canon Hipp. 19, 144; Costituzione eccle..siastica egizia 46; Hier., in Is. (MPL 24, -'94); vedi J. Sauer in LexThK1 7, .coli. 183 s. ~z,

,,,I

1

Petr.

2,2

I

I3

di lasciare ogni o6À.o~. Difficilmente À.oytxéc; vuoi dire, come talvolta lo s'interpreta, che il latte sia il À.oyoc;, ossia la parola che dev'essere annunciata; Àoytx6c; si dovrà spiegare piuttosto con la terminologia dei misteri. È un vocabolo appartenente alla religiosità raffinata della tarda antichità ed è usato anche in Rom. 12,1 (À.oytx'Ì) Àa:tpe~a.), dove il suo senso è particolarmente chiaro. Il vero sacrificio, dice la lingua misterica, è soltanto quello spirituale (Corp. Herm. I ,3 I: oÉçaL Àoytxà.c; Ducrla.c; à.yvcic;; e ibid. 13,I8.2x). La religione misterica è giunta a pensare che i sacrifici materiali dei primi tempi e specialmente i sacrifici cruenti non hanno alcun valore, anzi sono indegni della divinità. L'unico vero sacrificio è quello orale della preghiera; e, ancora più spiritualizzato, il sacrificio del pensiero inespresso o deli'esperienza e immersione mistica. Solo questo è culto conforme al Àoyoc;, dove Àéyoc; compare in tutta la sua ricchezza di significato come 'parola', 'pensiero', 'ragione', 'spirito'. Quindi À.oytx6c; equivale a spirituale e spiritualizzato, in contrasto con sensibile-perce. pibile 7 • In termini cristiani, ÀoyLx6c; può dirsi sinonimo del corrente '7tVEU(.ltl:tLx6c; (vedi a I Petr. 2 ,j) 8• Lo scopo dell'alimentazione è sempre e ovviamente la crescita, ma questi bimbetti della chiesa devono crescere in salvezza ( CTW"t"'nP~a.) 9 • 7· La Vulgata, traducendo in I Petr. 2,2 lac rationabile, dà a À.o-yt.x6c; un signifi. cato che è estraneo a questo passo. D'altronde il Missale Romanum nell'epistola del sabato in albis legge rationabiles, come alcuni testimoni della V etus Latina; vedi Vetus Latina, a cura dell'Arciabbazia di Beuron, ad l. 8. Cosl Crisostomo (MPG 6o, 658) a Rom. 12,1: ·d SÉ la--tt.V À.o-yt.xi} À.a."t'pda.; T) 1t'VEVIJ4"tt.x'Ì) St.a.xov,a.. Gli scritti gnostici offrono ulteriori paralleli, che però stanno tutti sotto l'influsso biblico, forse quello di I Petr. 2,2 s. Gli scritti parlano del bere latte e miele in senso figurato. Cosl Hipp., ref. ,5,8,30; O. Sal. 8,16 («Il Signore dice: 'Io ho formato loro [agli Gnostici] le membra e ho preparato i loro seni a bere il mio latte santo e a vivere di esso'»); ibid. 19,1-5: lo gnostico beve il latte, cioè il Figlio, che è stato munto dai due seni del Padre dallo Spirito Santo. «Mi venne porta una tazza di latte e io la bevvi provando la soave dolcezza del Signore» (dr. I Petr. 2,3). Cfr. H. M. Schenke, Die Herkun/t dessogenannten Evangelium Veritatis (1959) 28 s. 9· Propriamente si dovrebbe dire: tva. St.'a.ù-tou a.v;1'}aii-tE. Nella formula tv a.U.. -t«$ viene anticipata rinterpretazione di yaÀ.a. alla luce di 2,3, per cui yci)..a. equivale a Cristo. S'intravede la traccia della formula f.v Xpt.a--t{il.

114

I

Petr. 2,].4-8

3· Si deve sempre tener conto che la I Petr. si rifà in qualche modo alla lingua e ai concetti della religiosità ellenistica 10, interpretandoli però in un senso nuovo. Ora le antiche parole e immagini sono il prezioso ricettacolo atto ad accogliere l'evangelo. Il latte puro, spirituale è Cristo, che il credente riceve nella parola e nel sacramento 11 • Ciò viene affermato citando Ps. 33,9 LXX. Qui il xvpttoc; è Jahvé, in I Petr. 2,3 è Cristo, come confermano innumerevoli esempi di interpretazione cristologica del salterio. Il versetto è una bellissima affermazione di quanto il cristiano desideri Cristo. Egli gusta la bontà del Signore, provando la sua grazia e il suo amore. La bontà di Dio e Dio stesso si possono sentire. La fede ha la sua esperienza. e) La comunità come casa di Dio (2,4-8) Ilpò~ 8v TCpocrEpx6llEVOl., ÀLt}ov ~wv~a., v1tò à.vDpw1twv IJ!v it1toOEOoXl.J.J.a01J.Évo'J 1tapà OÈ ~EclJ EXÀEX~Òv E'J~LJ.l.O'V, 5 xat aÙ'tot w~ À.tt}ot. ~WV''t'E~ O~XOOOJ..LELoi}'E otxoç 'JtVEUIJ.Cl"tf.XÒç Et~ tEpa:tEU(.Lct éiyf.OV, «Ì.VEVÉyxa!. 7tvEup.a:tLxàç t}ucna.~ EÙTCpoa-oÉx-rou~ ~E~ OLrt 'I11a-ov XpLcrrov· 6 OLO't'L 1tEpLÉXEt. È.'J ypCicpfi• tooù 't'LDT)p.L E'V l:t.W'V À.tDov ÈXÀEX't'Ò'V axpoywvt.at:ov E'V't't.IJ.OV l XCIÌ 1tt.CT'tEVW'V E1t'C1ù't'~ où IJ.iJ XCI'tCILCT)CUVDii. 7 Ul-lL'V ouv 1) 'tt.IJ.'Ì) -rot:c; 1tt.CT"t'EVOUCTt.'V" rt1tLO"'t"OUO"L'V OÈ À.Lt}o~ 8v a1tEOOXLIU%0"ct'V ol. otxoOO(lOU'V"t'E~, ov'to~ ÈyEvi)th) Et~ XEcpaÀ.i)v yw'Jta~ 8 xat À.Lìloc; 1tpOO"XOIJ.(lCI'tO~ XCIÌ 1tÉ'tpC1 CTXtx'VOaÀ.ou" ot 1tpOCTX01t't"OUO"t.V 't~ À.6y4) rt1tEt.ilouv't'E~, Et~ xaÌ È-rÉì}1)0"CI'V •

4

o

o

4

Accostandovi a lui, la pietra viva, che venne rifiutata dagli uomini, ma che per Dio è squisitamente preziosa, 5 anche voi stessi, come pietre vive, edificatevi come casa spirituale per diventare un sacerdozio santo, per offrire vittime spirituali, molto gradite a Dio, per mezzo di

10. Invero si è cercato recentemente di far derivare la metafora del latte di I Petr. 2,2 (vedi ad l.) dal giudaismo; inoltre, H. Kosmala, Hebraer- Essener- Christen (1959) 118-124, fa notare che, stando a Flav. Ios., bell. 2,158, la locuzione «gustare (il dono) di Dio» pare sia propria della lingua teologica degli Esseni e che il Ps. 33 ripreso in I Petr. 2,3 si potrebbe chiamare un «salmo essenico», giacché per ogni frase si troverebbe un parallelo concettuale proprio degli Esseni. Anche «accostarsi» (2,4) è un termine tipico di Ps. 33,5. 11. In Et tyEvO"a.oi}E, Et non esprime la condizione, ma indica il dato di fatto (poiché davvero).

I

Petr. 2,4.5

II'

Gesù Cristo. 6 Perciò si ha nella Scrittura: . 21 ELç 't'OU'tO yrl.p ÈxÀl}i)'l}'tE, O't't. xo:L XptO""t'Òç E1taDEv Ù7tÈp vp.Wv, VIJ..L'-' v7toÀ.t.IJ.1tavw"' Ù7toypaiJ.IJ.Òv t"'a. E1ta.xoÀou1hicrrrtE 'tot:6~~ ayvi}v a'VCIO"'tpocpi)v UP,W'V. 3 wv ECT'tW ovx E~WDE'V ÉP,1tÀ.ox'ijc; 't"PLXWV xa.t 1tEpr.i)ÉcrEwç XPVO"~W'V i1 ÈVOUCTEwc; tp.a:t~WV XOO"Jl.Oc;, 4 aÀ.)v'o XpU1t"tÒc; 'ti}ç xapotcx.ç èivi)pw1toc; Év 't~ acp~ap'"r~ 'tOV 1tpaÉoç xat i)cruxiou 7t'VEU· J.l.O:'toç, ÈCT't!.V Èvw7tr.ov 't"ov DEou 1toÀ.u'ttÀÉc;. 5 ou't~ ycip 1to'tE xa.t at liyt.cx.t. yuvai:xEç at ÉÀ.7tt~oucrat. Etc; t)Eòv Èxocrp.ouv !au-ttic;, Ù1to'tacrcr6p.Evat. 'tOL0~1}ttil"t'E (l'l}OÈ "tapax~"t'E, 15 xuptov OÈ 'tÒV Xpr.a'tÒV à:yr.aO"a"t'E .,lv "tai:c; xa.pOLat.c; V(J.WV, l"'t'Ol.IJ.Ot. aEi. 1tpÒc; à.'ltoÀ.oyiav 'Jt('LV'tt "t) parecchie volte in Io., in Act. e nella I Petr.; soltanto nella I Petr. (3,16; 5,IO.I4) tre volte nella forma Èv Xpt.o-'"t(i). Ma la formula è stata certamente creata da Paolo. Ancora una volta è difficile negare che la I P etr. sia influenzata dalla teologia paolina. Che cosa vuole precisamente significare questa formula? Essa vuoi dire che noi, che la chiesa, che la creazione- a tutto ciò si riferisce il predicato «essere in Cristo» - esistiamo in Cristo. Paolo pensa che questa inesistenza abbia un triplice fondamento. In Cristo tutto è stato creato (Col. I,I6); in Cristo tutti sono stati redenti (Rom. 3,24; 8,2; 2 Cor . .5,I7). Paolo esprime Ja stessa idea con la tipologia di Adamo-Cristo in Rom. 5· Adamo è il capo dell'umanità secondo la creazione naturale, Cristo è il capo dell'umanità nuova, redenta. Ambedue contengono in sé tutte le generazioni. Ma poiché il Signore glorificato vive ora in un'esistenza pneumatica, egli realizza tutti e tutto, e tutto è in lui (2 Cor. 3,17). Perciò Paolo può dire che i cristiani e l'intera chiesa sono «in Cristo» (Rom. 6,I I; 12,3 ). I 7. Le riflessioni si concludono con una frase che assomiglia alle analoghe esortazioni rivolte agli schiavi ( 2,20 ). Anche là si diceva: «È meglio patire il torto che farlo». Questo è un principio conosciuto anche dall'etica puramente profana. Socrate lo formula nei dialoghi di Platone (Gorg . .508). Ma da I Petr. 2,20 e da 3,I7 risulta un'etica teonoma, giacché la massima è intesa come volontà di Dio. Il bene è sempre volontà di Dio. Ma che questo bene sia anche oggetto del precetto di Dio, è rivelato dalla vita di Cristo, il quale ha compiuto appunto la volontà di Dio esemplarmente.

18. Come nella sua esortazione particolare agli schiavi (2,2124), così ora la lettera presenta allo sguardo dell'intera comunità l'immagine del Cristo sofferente, che commuove sia l'autore sia tutta la chiesa. Ma la I Petr. dice una volta ancora

178

I

Petr. J,r8

non solo - come sarebbe conforme al contesto - che Cristo è il prototipo del soffrire, ma anche che questo suo soffrire aveva una forza redentrice. Questa affermazione può armonizzarsi con lo svolgimento del pensiero, se vuoi dire che è possibile imitare il modello, poiché Cristo ha reso possibile l'accesso a Dio e quindi ha offerto la possibilità di essere giustificati (3,18). È tuttavia strano che l'intera vicenda della passione venga riassunta nell'abbassamento che diventa innalzamento (3,18-22). Se la I Petr. parla di proposito del Cristo paziente, essa deve parlare anche di ciò che ad essa e ai destinatari è assai familiare e sta sommamente a cuore. Il fatto che i suoi pensieri e le sue parole seguano vie già tracciate è diventato ancor più chiaro in 2,2 I- 2 5, poiché ivi la lettera fa uso di una prova veterotestamentaria tradizionale. Ma anche qui essa si serve di formule fisse della liturgia e del simbolo, che sta formandosi (dr.l'excursus, pp. r89-191) 2 • Continua a imporsi la formulazione liturgica. La frase 1tEpL 3 a(J.CX.f)'tLWV E1tCX.DEv è l'inizio del simbolo e si prolunga con ~W01tOL'l}DEt.~

oÈ 1tVEU~~L ••• 't'O~ 1t'VEUp,cx.crtv 1tOpEvDEt.~ è:xi)-

Le formulazioni ecclesiali di origine liturgica sono familiari all'autore e ai suoi uditori. Perché essi possano capire, basta una parola capace di rievocare. Ma per noi, proprio a causa di questa concisa brevità, molte cose sono oscure e il commento è sovente difficile e controverso. Ne è già consapevole l'esegesi più antica. Il Bellarmino dice: locus obscurissimus; Suarez: V erba Petri obscurissima sunt; Lutero, nel commento alle lettere di Pietro: «Questo è un testo strano e un detto oscuro; nel suo genere è unico nel N.T., tanto che io non capisco esattamente che cosa voglia dire S. Pietro» (Holzmeister ). .3· l codd. migliori, peraltro in minoranza, leggono l1tetDEv, mentre la maggioranza di essi offre à.'JtÉlta.vEv (cosl anche di essi P 72 ). Fra gli editori più recenti accolgono 11ta.DEv Selwyn, v. Soden, Souter, Vogels; d:~ti&a.vEv Holzmeister, Merk, Nesde. Sarà da preferire l1ta.&Ev. ! lectio dif/icilior, suggerita anche da 3,17 e 4,1, dove essa è anticipata da 1t&.O"XEW e ripresa da 7ttx.lt6v-ro~. Ma allora questa parola intende richiamare l'intera passione come la presentava l'uso linguistico antico, che si è conservato anche in Le. 17,2.5; 22,15; Act. 17,3 e ulteriormente in lgn., Sm. 2. Nel Simbolo essa ha ancora il medesimo senso. In passus sub Pontio Pilato del credo, passus indica tutta quanta la sofferenza mortale. Perciò qui si aggiunse e si aggiunge sub Pontio Pilato. Quando passus non fu più compreso, si completò la professione di fede con crucifixus, mortuus et sepultus. L'intercalato sub Pontio Pilato tradisce per sempre la sutura. Corrispondentemente, in r Petr. f1ta.hv, originario ma non più capito, venne successivamente sostituito dal più facile e più normale d.m&cz.vEv. 2.

I

179

Petr. J,I8

puçE'V ••• 1tOPEVilEt~ E~. In tutti questi passi, dunque~ l'espressione ha il senso enunciato dalla 1 Petr. Quindi la citazione si è slacciata dal contesto e dal senso originario, come accade sovente nelle massime. La I Petr. e gli altri testi cristiani citano Prov. 10,r2 non direttamente dal libro veteretestamentario, ma già come un proverbio 2 • 9· Un'attività particolare dell'uomo è l'ospitalità. Già le circostanze sociali e storico-culturali facevano dell'ospitalità un dovere sociale per l'uomo antico, poiché la mancanza ddla nostra organizzazione alberghiera e i disagi dei lunghi viaggi esigevano un'ospitalità ampiamente praticata. All'interno della primitiva comunità cristiana a ciò si aggiungevano altre condizioni particolari. 01tre ai fedeli dediti a certe mansioni, che dovevano viaggiare molto e che naturalmente cercavano alloggio anzitutto presso i cristiani, si dovevano accogliere apostoli, evangelisti e maestri, poi - con l'inizio delle persecuzioni- gli oppressi e gli espulsi. La comunità conservava le parole di Gesù sull'esercizio dell'ospitalità (Mt. 2.5,35; Le. 7, 44-47; 11,6; I4,12-14) ed anch'essa richiedeva che la si esercitasse (Rom. 12,13; Hebr. 13,2; 3 Io. j-8). L'ospitalità rientra addirittura nei doveri ufficiali dei vescovi (I T im. 3 ,2; T it. 1,8). I membri benestanti della comunità dovevano ospitare le riunioni comunitarie (Rom. r6,5; I Cor. r6,r9; Col. 4,15). A proposito di queste esigenze interne della comunità I Petr. 4,9 dice: «Siate ospitali fra voi» 3 • L'aggiunta «senza brontolare» fa certamente capire la situazione reale: l'ospitalità può essere un dovere e un onere faticoso. Did. r r- 13 dimostra come dell'ospitalità si potesse abusare. Perciò la lettera mette in guardia dal praticare l'ospitalità solo per costrizione e di malavoglia.

Qui non si pensa ai carismi, quali sarebbero i doni e le operazioni eccezionali dello spirito, proprie dei tempi aposto1 o.

W. Grundmann in ThWb Agapè (19,9) 332-338.

2.

III

559 s. A proposito di r Petr. 4,7 s. cfr. C. Spicq, 3· G. Stihlin in ThWb v 19-24.

202

lici (glossolalia, doni di guarigione e poteri miracolosi: I Cor. 12,9 s.). Infatti di questi doni erano dotati solo alcuni, mentre per I Petr. 4,10 ciascuno ha ricevuto il suo carisma. Paolo infatti menziona un'altra serie di doni, che danno buona prova nella vita cristiana quotidiana, e sono anch'essi carismi. Così in Rom. 12,6-8: servizio, insegnamento, consolazione, amore; in I Cor. 12,28: le prestazioni assistenziali e i servizi organizzativi; in I Cor. 13,1 e 14,1 -come carismi più nobili -l'amore e l'insegnamento. A questo tipo di carismi pensa probabilmente anche la I Petr. Ma per la lettera essi non sono virtù, soprattutto non virtù acquisite personalmente, ma sono sempre un dono, effetti provenienti dalla nuova creazione. Il cristiano è soltanto amministratore del patrimonio che gli è stato concesso. Ma se ha ricevuto doni, deve anche lui farne agli altri. Ogni dono è un profondersi della ricca dotazione di grazia da parte di Dio. E nel dono fatto al singolo diventa visibile ed efficace il dono per antonomasia, fatto da Dio alla comunità. La 1 Petr., però, è convinta che ciascuno nella chiesa ha la propria grazia (come anche I Cor. 12,7). Quindi tutti possono contribuire alla ricchezza della chiesa e nessuno è inutile, ma ognuno ha la sua importanza e dignità. La comunità ha bisogno del singolo e il singolo ha bisogno della comunità. Così, nella comunione sono presenti insieme la molteplicità e l'unità. Come in 4,9 s.la lettera ha di vista la comunità, così anche 4, I I non sarà solo un'esortazione generica, ma dovrà pure riferirsi a prestazioni concrete per la comunità (quindi in 4,I I ota.xo'VE~'V ha un senso più limitato che in 4,Io ). I servizi (come in Act. 6,1-4; Rom. 12,7) sono distinti in carisma della parola e carisma dell'attività assistenziale 4 • Si può pensare agli uffici comunitari dell'annuncio e dell'insegnamento e a quelli del servizio ai poveri e ai malati, nonché della presidenza nella comunità. Il maestro non deve trasmettere la sua opi-

I I.

4· Nel N.T. ì..ciÀ.E~'V è usato talvolta per indicare rinsegnamento (Act. 3,22; 1044; Rom. 7 ,I; 2 Cor. 2,17; 4,13) e OLIXXO'VE~'V per significare il servizio alla chiesa (Rom. 12,7; I Cor. 16,15; I Tim. 3,10).

I

Petr. 4,II

203

nione personale, ma deve comunicare il suo messaggio come iwc;, VEW'tEpOt., \nto'taj"''l'}"t'E 7tpe:aav'tÉpot.c;· 1ttiv'te:c; oÈ tilÀ.-f}Àot.c; Ti)v -ta1tEt.vocppocruv1)v tyxo1J.awaacr1)e:, O'tt. DEòc; \ntEpT)i)IJ.OUO"(/Y invece di f3ÀaO"q>T)JlOUC1t'V; I I Ba.Àaa.x invece di BaÀaa(l; 12 o-uvEuxo(.lE'Jot invece di O'"U'VEUWXOUIJ.E'VOt; I 8 1tOpEOIJ.E'V0(, invece di 7tOPEUOIJ.E'VOt. ). Nel v. 8 è venuta a mancare una parte di frase per homoioteleuton. Sembra che il manoscritto sia stato corretto distrattamente. In 5 con i)Eo~ Xp(,O"'tO~ s'aggiunge una nuova e molto chiara interpretazione a quella teologica e nota di xu ptoc;. Gli ultimi vv. 2 o- 2 5, che anche nei mss. finora in nostro possesso avevano molte strane varianti, presentano un testo molto particolare e relativan1ente più breve di quello finora conosciuto, che in qualche punto (25) si accorda con la V etus Latina.

=

=

TESTO, TRADUZIONE E COMl\rnNTO

INDIRIZZO E SALUTO (I

s.)

I vv. I s. formano la prima piccola sezione della lettera. Essi contengono l'intestazione, in cui il mittente si presenta e salutaildestUnatario . ,Iovoa~ I1')0'0V XptCT't'OU oouÀo~, aOEÀcpÒ~ OÈ 'la.xw~ov, -rotc; l'V ~ 'KCl'tpL 'Ì)"(C11t1')J,Jlvot~ xaL '11)a-ov Xpt.a-'tG "tE't1)(JT)(Jivot.c; xÀ.1)"tO~. 2 iMoc; viJ,tv xat d.pi)v1') xa.L à:ycbtT) 1tÀ.T)WV~E~T).

.l

1

Giuda, servo di Gesù Cristo, fratello di Giacomo, ai chiamati che sono amati in Dio Padre e conservati per Gesù Cristo. 2 Misericordia e pace e amore sia con voi abbondanza! I. Giuda

si designa come servo di Gesù Cristo. La persona pia dell'A.T. sa di essere e si denomina servo di Dio (vedi a I Petr. 2,I6). La formula veterotestamentaria può essere usata anche nel N.T. per i credenti (Tit. I,I), ma ciò accade raramente. Essa è sostituita dalla dichiarazione che i cristiani sono servi di Gesù Cristo. Ciò si basa sulle parole del Signore, in cui mal celatamente Gesù dice di essere il Signore e chiama i discepoli servi del Signore (Mt. I0,24 s.; Le. I2,37 ecc.), e viene sviluppato soprattutto nella teologia e nella lingua di Paolo, che caratterizza cosi in questo modo la condizione del cristiano, il quale, liberato dalla schiavitù del mondo, del pec~~to e della morte, diventa servo di Gesù Cristo, è sua proprietà e appartiene a lui con tutta la sua vita (I Cor. 7 ,22; Eph. 6,6). La formula avrà un senso particolare, quando Pa0lo la impiega ripetutamente negli esordi delle lettere come de· signazione di se stesso (Rom. I ,I; Phil. I ,I), anche se più spesso Paolo si dice apostolo di Gesù Cristo (I C or. 1 ,I; 2 Cor. I,I; Gal. I,I; Eph. I,I; Col. I,I; r Tim. I,I; 2 Tim. I,

Iudae

I

1; Tit. 1,1). Mentre la designazione «apostolo di Gesù Cri-

sto» vuoi significare l'autorità dell'ufficio apostolico di fronte .alla comunità interpellata (quindi l'importanza di questo uffi-cio rispetto agli altri), l'altra designazione di «servo di Gesù Cristo» esprimerà l'aspetto interiore di quell'ufficio, ossia gli -obblighi dell'apostolo nei confronti del Signore di ogni apostolo, che è il Cristo. In tre lettere cattoliche (lac. r,I; Iudae 1 e 2 Petr. 1,1) l'intestazione presenta il mittente come «servo di Gesù Cristo». Sarà difficile che Paolo, Giacomo, Giuda e la 2 Petr. abbiano creato questa formulazione ciascuno per conto proprio, ma le lettere cattoliche dipenderanno da Paolo. Comunque, .ciò varrà per Iudae e 2 Petr., poiché le due lettere apparten_gono sicuramente all'età post-paolina. Tuttavia, mentre Paolo .scrive sempre: «servo del Cristo Gesù», le lettere cattoliche traspongono: «servo di Gesù Cristo». Questo è un indizio di ·epoca posteriore, in cui Et.'V ÙJJ.~'V 'ltEpt "t1jç xotvijç TUJ.W'V O"W't'Jlp~a.c;, avtiyx1)v ~a-xov ypti~a.t. UlJ.~V 1tapa.xa.À.Wv É'Jtaywvi~Eat)a.t. 'tTI itttpaooi)EL011 "tO~ç a:yior.ç 1tLC1't'Et.. 4 1tClpEt.cn:ovT)C1av yap 't't.'VEç avi>pw'JtOt., oi 'JtaÀ.a.t. 1tpoyEypap.,p.,É'VOt. Etç 'tOV"t'O 't'Ò Xp~­ IJ.tl, aO"E~Ei:ç, "t''i)'V 't'OV t)EOV i}p.,wv xcipt.'t'a J.lf"t'a't't.i)Év'tEç Etç aaÉÀ.YELa'V xa.L 'tÒ'V ~J,évov OEC11tO't'1')'V xa.L xvptO'V 'Ì}IJ.W'V '11')C10V'V Xpt.O"'t'Ò'V àpvovp.,EVOt.. s 'Y1tOIJ.'VijO"Clt. OÈ V(lii; ~OUÀ.OiJ.txt., Etob'ta.ç &1ta; 1ttl'V'ta., O'tL xupt.oç À.a.Òv EX yii; At YU1t't'OU awcra.ç 't'Ò OEU'tEpov 't'OÙ~ J.L'Ìl 1tLO"'t'EVC10C'V"tOCç &.1tWÀ.EC1E'V, 6 àyyÉÀ.ovç 'tE "t'OÙç iJ.'Ì} 't''l')pi}cra.V'ta.T)IJ.L~, aÀ.À.CÌ. Et'1tE\f" È1tt'tt.J.L'X]O"a.r. O'Ot xupr.o~. 10 OU'tOL ÒÈ ocra. ~v oùx OLOClCitV ~À.aO"~LV01tWpt.và. xa.p7ta. te; CÌ.1toDav6v'ta Èxptswi)Év'ta' 13 XUIJ.tX'ttX &pyr.a. ~tXÀ.rLO'O"'r)pLSOV'tCl 'ttÌ> 33 • 14 s. La minaccia di punizione viene documentata con una frase di Henoch, cioè I udae cita palesemente il testo di Henoch. Iudae 14b e 15 coincide strettamente con Hen. aeth. I, 9, benché la citazione non corrisponda del tutto letteralmente né al testo etiopico né a quello greco. Date le discordanze, resta da chiedersi se Iudae attinga direttamente la sua citazione dal libro di Henoch o se citi a memoria. Henoch «profetizZÒ». Come solevano fare i profeti, anch'egli predisse il futuro. Il tardo giudaismo e il N.T. intesero e interpretarono com.. plessivatnente gli scritti dei profeti, riferendoli di volta in volta all'ora attuale (vedi a I Petr. I,IO-I2) 34 . Nell'elenco delle generazioni di Gen . .5,3-18; IChron. 1,1-3 Henoch è menzionato come il settimo dopo Adamo, e così lo computano anche il libro di Henoch (6o,8; 93,3) e i testi rabbinici 35 • Il sette è anche numero sacro e segno della grazia di Dio. Henoch è il giusto perfetto e il prediletto da Dio, perciò la sua parola è ancora più valida. Iudae introduce la citazione dal libro di Henoch con la formula: tooù 11 À.i}Ev xupto~. il lt)E'V è 33· Per l'interpretazione ci si potrà servire del libro di Henoch, tanto più che Iudae 14 cita espressamente Henoch. La denominazione di aa-·dpe~ 'itÀ.avTj'ta'l. in Iudae 13 collegata a passi di Henoch sembra alludere ai miti sui pianeti e sugli spiriti astrali in essi incorporati, che hanno lasciato la loro orbita e perciò sono puniti. Nelle meteore e comete, che risplendono e subito scompaiono, e nei pianeti che percorrono la loro orbita con apparente irregolarità si pensava fossero relegati innumerevoli spiriti erranti che scontavano la loro pena. ar. H. Braun in ThWb VI 2.5 1. 34· xa! può collegarsi a btpoqri]'tEVCTEV (anche Henoch ha profetizzato ciò; cosl Knopf) oppure a "tOV'tO~ (Henoch parlò anche di questa generazione attuale, non solo dei suoi contemporanei; cosl Bigg, Chaine, Felten, Michl, Vrede, Wohlenberg). 3.5· BHlerbeck J, 787.

266

ludae I4 s.

un passato profetico, che esprime la certezza dell'intervento di Dio nel presente. Nel xupLO~ (aggiunto da Iudae) un cristiano poteva scorgere il Cristo (significato frequente nel N. T.), la cui venuta, accompagnata dagli angeli, era attesa con speranza (Mt. 25,31). Infatti, nella lingua dell'Antico e del Nuovo Testamento le «sante rn.iriadi» sono gli eserciti celesti (Deut. 33,2; Hebr. 12,22). Anche secondo l'A.T. il giudice divino giunge in compagnia degli angeli santi (Zach. 14, 5). I pecca ti, a causa dei quali gli empi vengono puniti, sono distinti in peccati di azione e di parola. I peccati di parola sono bestemmie contro Dio e contro il mondo divino, che la lettera rinfaccia ripetutamente ai malfattori (Iudae 8.Io.rr. 16.18). Come particolari peccati d'azione la lettera me~iona sovente la lussuria (Iudae 4.8) e l'avidità (Iudae rr.r6). Anche qui si penserà soprattuto a questi peccati. I commentatori antichi e moderni si sono scandalizzati del fatto che Iudae citi un libro giudaico apocrifo. Già i Padri della chiesa riconobbero 1a citazione. Secondo Gerolamo (de vir. ill. 4), proprio per questo alcuni non vollero ammettere la lettera di Giuda nel canone. Un 'informazione simile è riportata da Didimo Alessandrino (MPG 39,r8Ij ). Allora il libro di Henoch godeva generalmente di grande considerazione. È menzionato e utilizzato in Iub. 4,17-23. Nei Testamenti dei XII Patriarchi è citato 9 volte. A Qumran sono stati trovati numerosi frammenti aramaici del libro di Henoch e di altri scritti che lo riguardano. Barn. 16,.5 cita il libro come Sacra Scrittura, Tertull. (de idol. I 5) come profezia dello Spirito Santo, Clem. Al. (ecl. pro ph. 2) lo equipara allibro di Daniele. In epoca posteriore, quando il libro di Henoch non era più conosciuto, ed anche per motivi apologetici, per sgravare Iudae dall'errore di aver considerato il libro di Henoch come ispirato e come opera autentica del patriarca, si volle supporre che Iudae non citi il libro apocrifo, ma una vera profezia di Henoch, la quale attraverso la tradizione orale sarebbe giunta fino ai tempi dell'apostolo 36 • Ma l'ipotesi è insosteni~ 36. Charue, Felten, Vrede ritengono che ciò sia possibile; così pure F. Maier, Der ]udasbrief (1906) 27-31.

ludae z6

bile. Come poteva questa frase di Henoch essere tramandata oralmente dall'antica preistoria? E poi da essa traspaiono tali concezioni del mondo angelico e del giudizio e riflessioni etiche cosl progredite, che per contenuto e forma non si può far risalire all'epoca di Henoch. Ultimamente gli esegeti in genere riconoscono proprio che in Iudae 14 s. si trova una citazione del libro di Henoch. Come tutta la sua epoca, anche Iudae tiene in alta stima quel libro e crede ciecamente che esso derivi davvero dal patriarca Henoch. Perciò qui la lettera lo cita come libro profetico e ad esso allude anche in altri passi 37 • ·I6. La lettera continua a caratterizzare gli eretici riferendo ad essi - come pare - il detto di Henoch, poiché essa rimprovera 1oro altri peccati di parole e di opere. yoyyutr'ti}vyoV"tE~ "tijc; Év "t(i) x6cr(l4l Èv É1tl.l}V(J.L~ cpDopd~ (I,4) s.

In conclusione, la differenza tra la I Petr. e la 2 Petr. appare cosi grande, che le due lettere non possono provenire dal medesimo autore, il che significa che non è di Pietro la seconda, se è sua la prima. Se poi non è autentica la prima, non è assolutamente autentica nemmeno la seconda, proprio amo4· A. E. Barnett, Paul becomes a Literary Influence (1941) 222-228. ,. P. Wendland, Die hellenistisch-romische Kultur (1912) 368 s.; per un'analisi linguistica dr. Chaine 13-18 e 24-26.

LI seconda lettera di Pietro: Introduzione

tivo di 2 Petr. 3,1. Questa notevole differenza stilistica fu già osservata nell'antichità e perciò da alcuni fu negata l'origine petrina della 2Petr.; Gerolamo però (ep. 120,11) spiegò la differenza con l'ipotesi di due diversi segretari. Questa spiegazione fu riproposta fino ai nostri tempi 6 , ma evidentemente è molto discutibile. In I Petr. 5 ,r2 l'ipotesi del segretario viene suggerita da un'allusione, ma non si può ripetere troppo sovente questa ipotesi. Anche per la 2 Petr. essa non basta. Lo stile e la lingua della 2 Petr. non soltanto fanno apparire diversi gli autori della I Petr. e 2 Petr., ma rendono assolutamente improbabile che la 2 Petr., la quale utilizza la dizione della filosofia e religione greca, sia stata composta da un ex pescatore galileo. L'attaccamento al pensiero veterotestamentario-giudaico ( r ,2 I) e soprattutto la familiarità con la haggada giudaica (cap. 2) fanno pensare che l'autore sia un giudeo-cristiano, ma di formazione ellenistica. Non sono poche dichiarazioni della 2 Petr. che non s'adattano ai tempi dell'apostolo. Un vacillare della speranza nella prossima parusia non è attestato in nessun altro luogo del N.T. come nella 2 Petr. In 3,2 l'autore parla degli apostoli come di un collegio lontano, estraneo, al quale egli stesso non ha appartenuto. È inverosimile che ai tempi di Pietro le lettere di Paolo fossero già state raccolte e giustapposte all' A.T ., anzi che l'interpretazione di esse nella chiesa fosse già discorde e controversa (3,1.5 s.). Ciò sembra presupporre che Paolo sia già morto. Difficilmente la lettera può essere stata scritta in età petrina. Neanche il ricorso all'ipotesi di un segretario diverso da quello della I Petr. porta molta luce. Infine, il confronto fra la 2 Petr. e Iudae dà come risultato che la 2 Petr. ha utilizzato la lettera di Giuda. Si potrà ammettere che Pietro accettasse di dipendere dallo sconosciuto Giuda? D'altronde, se I udae si colloca con buone ragioni in un tempo 6. Cosl nei commentari di Bigg, Felten, Vrede, Wohlenberg come nelle opere introduttorie di H. Hopfl- B. Gut (1949) 498-501; A. Merk (1940) 944 s.; M. Meinertz (1950) 272-274; inoltre A. Tricot, art. 'S. Pierre, ue Épitre', in DThC 12 (1933) coli. 1784-1788; similmente U. Holzmeister, Vocabularium secundae Epistolae S. Petri e,oresque quidam de eo divulgati: Bib 30 (1949) 339-3,,.

§ J.

L'autore

successivo al 70 (p. 229), la 2 Petr. non può essere stata scritta quando Pietro era ancora in vita. Evidentemente la 2 Petr. va considerata uno scritto pseudoepigra:fico. Un maestro e pastore della chiesa, alla fine dell'età apostolica, si servì di questa forma letteraria per confortare la chiesa mediante una lettera indizzata a destinatari generici. Essa doveva riconoscere che la speranza nell'imminente ritorno del suo Signore non era destinata ad adempiersi. Alcuni apostatavano e cercavano di guadagnare con false dottrine quelli che finora erano rimasti fedeli. In quest'ora la lettera esorta a restar fedeli alla fede e a continuare ad attendere la venuta del Signore. L'autore riconosce nell'attacamento alla chiesa apostolica la salvezza anche per il suo tempo, perché mediante gli apostoli la comunità ricevette e riceve la parola e la grazia dal Signore e Salvatore (3,2). Poiché non desidera altro che di far udire alla sua epoca l'antica dottrina degli apostoli, si permette di porre la sua lettera sotto il nome del primo apostolo Pietro (I, I). Perciò egli accoglie nel proprio scritto la lettera di Giuda, considerato come un altro apostolo (cap. 2). Infine, si richiama all'apostolo Paolo, dichiarandosi pienamente d'accordo con lui (3,I5). I due grandi apostoli stanno insieme davanti alla chiesa e davanti al mondo. Cosi la lettera vuole rendere evidente che le fondamenta apostoliche su cui la chiesa è costruita (Mt. I6,t8; Eph. 2,20) non appartengono al passato, ma sono di una attualità sempre reale. In 2 Petr. I, I 2- I 5 il mittente dice di sapere che la sua morte è vicina e che nella sua lettera vuole lasciare alla comunità un mezzo per ricordarsi sempre della verità ricevuta. Cosi lo scritto s'inserisce nella letteratura dei numerosi testamenti dei padri, a quei tempi tanto letti (test. Abr., test. I oh, test. Sal., test. XII Patr. ). Questi scritti, sorti probabilmente in gran parte nel 1 sec. a.C., parzialmente vennero più tardi rielaborati in senso cristiano, e ciò dimostra l'interesse generale di allora per siffatta letteratura 7 • 7· Ritengono la 2 Petr. uno pseudoepigrafo, fra i commentari menzionati, Chai· ne, Knopf, Michl, Windisch-Preisker; fra le opere introduttorie, A. Jiilicher ·E.

La seconda lettera di Pietro: Introduzione

§ 4· Storia del canone e del testo Nel caso della 2 Petr.l'ammissione nel canone fu contestata come quasi per nessun altro scritto canonico. Nel Canone di Muratori la 2 Petr. non è menzionata. Mentre per la I Petr. potrebbe ritenersi possibile che il nome sia andato perduto nel frammento, nessuno lo ammette per la 2 Petr. Nel II sec. la lettera non è menzionata in nessun documento né si può dimostrare che sia stata utilizzata in alcun luogo. Non è sicuro che se ne trovino tracce in Ippolito. Secondo Eusebio (hist. eccl. 6,14,1), Clemente Alessandrino assieme alle altre lettere cattoliche avrebbe commentato anche la 2 Petr. Poiché pare che Eusebio conosca bene la storia del canone, anche questa notizia può meritare fiducia. Tuttavia nei commentari conservati di Clemente Alessandrino la 2 Petr. manca, e non è neppure mai citata da lui. Essa compare però nelle versioni bohairica e sahidica, effettua te alla fine del II sec. o agli inizi del III sec., che sono testimoni del canone egiziano. Nella Vetus Latina la lettera ha una veste linguistica diversa dalla I Petr. Essa è tradotta da un'altra mano, più tardiva, e quindi è stata accolta solo più tardi nella Bibbia latina. Il cod. B fa capire che la 2 Petr. fu aggiunta solo successivamente alla tradizione che aveva preceduto il codice. La prima testimonianza conservata, che faccia menzione della lettera, proviene da Origene, il quale però dice che l'autenticità petrina e la canonicità della lettera sono contestate (Eus., hist. eccl. 6,25,8: «Pietro ... ha lasciato soltanto una lettera da tutti ammessa; forse anche una seconda, ma di questa si discute»). Tuttavia, personalmente Origene accetta tutt'e due le lettere di Pietro come canoniche (in libr. Iesu Nave 7,1 = GCS 7, 328). Eusebio (hist. eccl. 3,3,1; 3,25,3) riferisce che la 2 Petr. è annoverata fra gli scritti neotestamentari «discussi, ma che dai più sono ritenuti importanti». Dal canto suo, egli la considera come Fascher ('1931) 212-222; W. Michaelis (21954) 289 s.; A. Wikenhauser (11959) 369-373; anche J. Cantinat, in A. Robert-A. Feuillet, Introduction à la Bible 2 (1959) 549-599; cosl pure le esposizioni anglicane dell'Introduzione di R. Heard (1950) 218 s.; T. Henshaw (1952) 393 s.; A. H. McNeile (21953) 246-250.

f

4· Storia del canone e del testo

29 3

non petrina (hist. eccl. 3,3,4). Un'altra sicura menzione e citazione si ha nel sec. 111 presso Firmiliano di Cesarea e Metodio di Olimpo, nel IV sec. in Gregorio Nazianzeno e Basilio, mentre Didimo nella seconda metà del IV sec. menziona il parziale rifiuto della lettera almeno da parte di altri. Anche Gerolamo fa notare che la lettera dai più viene respinta. Nella Bibbia di Luciano recensita ad Antiochia la 2 Petr. non figurava affatto, come risulta dalla sua assenza nella Peshitta siriaca, che si basava su questa recensione. In seguito la lettera viene rifiutata ancora nel v sec. nella scuola antiochena da Giovanni Cri· sostomo e Teodoro di Mopsuestia. La chiesa siriaca la accolse nel suo canone solo con esitazioni. Ma concludendosi la formazione del canone nel sec. IV, la lettera ottenne ciononostante la sua ammissione negli elenchi nella 3 9 a lettera pasquale di Atanasio dell'anno 367, diventata in seguito normativa, nel canone del sinodo di Laodicea del 360, nel canone del si· nodo cartaginese del 397 come nel gelasiano (conforme al sinodo romano del 382?). Questi dubbi cosi prolungati nei confronti della canonicità della lettera sorprendono. Poiché importanti ragioni rendono molto discutibile la sua origine petrina, sembra che in quelle esitazioni si sia conservata una consapevolezza di questo problema 8 • In questo stato di cose è un fatto importante che il P 72 papiro Bodmer VII contenga il testo della 2 Petr. Questo papiro è datato al III sec., e tale presenza si spiega col fatto che esso proviene dall'Egitto e che la 2 Petr. a quell'epoca trovò un riconoscimento progressivo nella chiesa locale. Tuttavia, come nel caso della I Petr. e di Iudae, anche per la 2 Petr. si constaterà che il testo del papiro non è poi di qualità pregevole come la sua antichità farebbe sperare. Per lo più esso offre nuovamente, come per le altre due lettere menzionate, il testo della famiglia più recente S B K L. Ma non di rado è alterato per aplografia (3,3?; 3,9), dittografia (I,I2.I4; 2,8. 12), trasposizione secondaria (1,4), omissioni (2,6: XCX."t'aa-tpoq>'l'}; 3,3: cx.u-tw'V), correzioni facilitanti (2,6: a.aE~Eat.'V;

=

8. Le testimonianze relative alla storia del canone si possono trovare in Chaine 5-12.

294

La seconda lettera di Pietro: Introduzione

2,1 I: a:yyeÀ.ot. xa.t. ouva.p,Et.~ 1-J..E~~ovE~; 2,I 3: EV TUlEpa 'tpuq>T)~) o semplici errori di grafia (2,IO: Èv E1tt.W(lt.a~; 2,22: a.À.T)Dou; J,I I: 1tCLV'tW~; 3,14: 0"1tOVOCLCi'E'ta.t.; 3,17: 1tÀCL-

V1}c;). Però, una correzione facilitante, ma forse anche degna di menzione, si ha in J,Io: EUpE1}1)C1E'tCLt. À.VOI-lEVCL (vedi il commento ad loc. ).

TESTO, TRADUZIONE E COMMENTO

INDIRIZZO E SALUTO

(1,1 s.)

L'esordio della lettera segue la forma divenuta ormai consueta nelle lettere neotestamentarie, in cui dopo il mittente è menzionato il destinatario e si aggiunge un saluto augurale (vedi a I Petr. 1,1). l:UI-lEW'V IIÉ'tpoc; oouÀoc; xa.i. &:rtOCT'tOÀoc; 'I1)0"00 Xpt.O"'tOU "t'O~ LO"O'tt·IJ.O'V iJ1-1t:v Àa.xoucrr,-v 7tLcr-tt.v tv ot.xa.t.ocru'Vn "t"ou DEou !}~v xa.t aw"t'ijpoc; 'I-na-ou Xpt.cr-tou· 2 xcipt.c; up.t:v xat Etp-i)vT) 7tÀ1)DuwEl1') tv É1tt:yvWO'Et. 'tou DEov xttt 'I1')0'ou 'tOV xup!ou T)l.lW'V. 1

1

Simeon Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo, a coloro che hanno ricevuto con noi una fede ugualmente preziosa in (virtù della) giustizia del nostro dio e salvatore Gesù Cristo. 2 Abbondi a voi grazia e pace in conoscenza di Dio e di Gesù nostro Signore!

L'autore si denomina Simeon Pietro 1• Già il doppio nome per Pietro (cosi in Mt. 4,18; 16,16; Io. 1,40; 13,6; 20,2) nel N.T. non è la dizione normale; tanto più sorprende la forma Simeon. Il nome viene cosl riprodotto nell'antica forma ebrai· ca, non nella forma abitualmente grecizzata Simon che si tro.. va in altri passi del N.T. Nel N.T. Simeon ricorre ancora soltanto in Act. 1_5,14 nel discorso di Giacomo al concilio apostolico, quindi in bocca a un giudeo-cristiano e al centro della chiesa palestinese. La forma ebraica nella nostra lettera sarà forse un arcaismo intenzionale per suscitare ancor più l'im· pressione della paternità pettina? Pietro si dice «servo e apostolo di Gesù Cristo», impiegando cosl formule paoline (Rom. 1,1; Tit. 1,1). Può darsi che i I.

1. Se lo scrittore pseudoepigrafico sceglie il nome di Pietro, è il caso di ripetere (come per I Petr. r,I) che, anche se ciò non attesta il primato, mostra tuttavia la straordinaria considerazione in cui era tenuto proprio questo apostolo.

2 96

.2

Petr. 111

due titoli siano fra loro correlati a ragion veduta. Il servo è sottomesso a Cristo nell'obbedienza e con questa obbedienza egli è e rimane in collegamento con Cristo. Ma, come aposto· lo, per questa unione egli è inviato in missione. I destinatari non sono nominati, ma 2 Petr. 3,1 fa capire che essi sono uguali a quelli della prima lettera. Destinatari e mittente sono messi reciprocamente a confronto per ciò che concerne il possesso della fede. Tutti infatti hanno ricevuto una fede ugualmente preziosa. Ciò viene espressamente assi· curato, poiché le cose potrebbero sembrare diverse. I destina· tari della lettera appartengono a un'epoca posteriore. Perciò potrebbero parere svantaggiati nei confronti della prima ge· nerazione, che ha visto e udito Gesù in persona. Con iu.1tv 2 l'autore si associa agli apostoli e al periodo apostolico. Qui 1t't1'tt~ è la dottrina di fede, intesa come il prezioso patrimonio di tradizione della chiesa, quindi è fides quae creditur, non fides qua creditur. Il N .T. parla molto della 1tLCT'tt.~ in quanto fides quae creditur; cosl in Act. 6,7; Gal. 1,23; Rom.12,6; Eph.4,5; zTim.2,7. Se dunque in 2Petr.I,I 1t'CT'tt.~ viene intesa come fides quae creditur, ciò non significa un distacco dal N.T. Però si adatta bene al carattere partico· lare di una lettera del tardo periodo apostolico il fatto che qui 7tLCT'tt~ abbia questo senso. Infatti nei primi scritti del N .T. 7tLCT'tt~ è prevalentemente la fides qua creditur. 7tLCT'tt.~ diventa sempre più la fides quae creditur, cioè la dottrina di fede, alla quale la chiesa viene obbligata. Se tutti ricevono la fede ugualmente preziosa, proprio in ciò si rende manifesta la giustizia di Dio, che assegna a tutti la stessa cosa 3 • La formula 'tou i)Eou 4 i)IJ,W'V xat aw--riipo~ 'I112. Talvolta rautore usa la prima persona plurale (2 Petr. I,I-4.I6.I8; J,I)) talaltra la prima singolare (r,r2-1.5; 3,1). L'uso della prima persona plurale non è da spiegare come se l'autore, facendo parte per principio di un gruppo (ad esempio, degli apostoli), si contrapponesse ad un altro (i laici); dr. Rom. 1,5; I Thess. J,I-II. In questi casi il significato del 'noi' e il suo eventuale valore antitetico vanno ricavati di volta in volta dal contesto. ~-11 versetto difficilmente vorrà dire, nel senso della dottrina paolina, che la fede si fonda sulla giustizia, tanto più che St.xat.ocruvT} nella 2 Petr. (2,5 .21; anche 3,13?) altrove non ha quel contenuto paolina, ma significa l'atto giuridico.

2.97

aou XpLO""t'OU è riunita sotto un solo articolo. Ciò corrisponde alle formulazioni di 2Petr. 1,11 e 3,18 e si deve tradurre· «del nostro dio e salvatore Gesù Cristo». In tutto il N.T. sono attribuite a Cristo la dignità e la potenza proprie della divinità e la natura divina. Ma raramente, e nella maggior parte dei casi solo negli scritti tardivi, il N.T. procede sino ad affermare esplicitamente che Cristo è dio. Un passo antico è Rom. 9,5, se la dossologia di 9,5b è da collegare a 9,5a. Gli altri passi sono posteriori; cosl Tit. 1,4; 2,13; Hebr. 1,8; Io. 20,28, seguiti da Ign., Eph. nell'indirizzo. Quindi 2 Petr. 1,1 con la sua netta dichiarazione della divinità di Cristo non si discosta dal N.T. Ma anche qui sembra trapelare l'età posteriore. Non diversamente stanno le cose col titolo crw.,;i)p applicato a Cristo. Secondo Phil. 3,20 i cristiani aspettano Cristo come salvatore. Ma nel N.T. si dice raramente del Cristo storico che era il salvatore o del Cristo attuale che è il salvatore (Le. z,II; Act. 5,3I; 13,23; I Io. 4,14). Ciò diventa più frequente nelle lettere pastorali (Tit. 1,4; 2,13; 3,6; 2 Tim. I, Io) e poi proprio nella 2 Petr. (I,I.II; 2,2o; 3,2.I8), dove l'affermazione ritorna per cinque volte. Anche qui sarà in atto uno sviluppo tardivo. Forse il termine è usato come espressione polemica contro altri dèi salvatori di quei tempi (vedi a I Petr. I ,5) e forse esso diventa man mano più frequente proprio come confessione polemica.

Nella prima parte (v. 2a) il saluto è formulato letteralmente secondo I Petr. I,2, quindi probabilmente appoggiandosi di proposito a quella lettera 5 • Nel v. 2h esso viene am2.

La maggioranza dci commentari (Bigg, Chaine, Charue, Knopf, Windisch-Preisker, Wohlenberg) qui ammette l'altro significato sum.m.enzionato; cosi anche G. Schrenk in ThWb 11 200 e A. Descamps, Les ]ustes et la ]ustice dans les ~vangiles et le christianisme primitif hormis la doctrine proprement paulinienne (1950) 58.52. Ammettono il concetto paolino di giustizia Felten, Michl. 4· P 72 conferma la lezione &Eou rispetto a xvp,ov (cosi cod. S ed altri). ,. Nel v. 2 i codd. tramandano una lezione più breve (senza "tOU bEou XClL 'IT}O"OU) ed una più lunga. I più antichi e la maggioranza dei codd. consigliano la lezione più lunga. P 72 legge 'tOU tEou 'IT}vaEwc; 't'ijc; bE~; Sen., ep. 92,30: homo dei pars est. 10. Cosl dicono Philo, decal. 104: oùx btEt.81) 1tE1tÀ4'V'tT}'ta! -n "t"W'V xa'tà 'tÒ'V oùpavòv D'E!a.~ xa.t ~a.xapltu; x«t eùSa6~ovo~ q>va"EW~ IJ.E'tEO"XT}X6'tw'V; Id., leg. all. r ,38: où yàp &v ci7tE't6À.p.1')0"E 'too-ou'tov à.va.opa.(J.Ei:'V 6 àvD'{)W1two~ "Vou~, w~ à.'V'tt.À.a.~Éait!ll. ikov tpUO"EW~, EL p.i} a.Ò'tÒ~ ò D'Eòc; tX'VÉO"'itCX.O"E'V aÙ'tÒ'V 1t~c; ia.v't6v; Flav. Ios., Ap. r,232: &tac; SÈ Soxov'V'tt. P,E'tEOXT)XÉva.t. cpua-Ewç xa.'ta 't'E 11ocpiav xa.t 1tp6y"Vwcrw 'tW'V Èo-W{..l.ÉVW'V. Fra i commentari cfr. specialmente Chaine, Knopf, \Vindisch-Preisker; inoltre W. G. Kiimmel, Das Bild des Menscben inz Neuen Testament (1948) 51-56.

2

Petr. 1,5-7

303

Gal. 4,6; I Io. 3,1). 2 Petr. 1,4 mette in evidenza il compimento escatologico dell'unione, che è già incominciata (I Io. 3,2). Anche la sapienza greca sa dire che chi vuole raggiungere Dio deve fuggire il mondo (Plat., Theaet. I76). Però è una caratteristica della Bibbia in generale, e di 2 Petr. I ,4 in particolare, che di fronte alla possibilità dell'unione con Dio si esiga il distacco dal mondo. Il participio aoristo &.7tocpvyo\f'"t'Eç suppone che il distacco sia avvenuto. 2 Petr. I ,4b e poi I ,58 non parlano soltanto della rovina ontica insita nel mondo, dalla quale il credente viene sottratto dall'intervento salvifìco di Dio, ma della rinuncia al peccato che il credente stesso deve compiere. Infatti la perdizione del mondo ha la sua origine nel peccato (Èv È7td)ui-LL~ cpil'opa; cfr. I Io. 2,I7). Il peccato del mondo è colpevole della morte del mondo (Rom. 6, 2 I). Anche se 2 Petr. I ,3 s. fa uso di vocaboli e concetti della religiosità greca, essi ricevono però un'interpretazione e una pienezza cristiana. 5-7. Dopo I ,4 l'esigenza morale viene ulteriormente sviluppa-

ta. «Proprio perciò», ossia perché ai cristiani sono fatte così grandi promesse, essi sono esortati allo sforzo morale. Come accade sovente nel N.T., l'imperativo etico deriva dall'indicativo dogmatico (Rom. 6; Phil. 2,I2; I Petr. 1,13-2I; Iudae 3). Se già le formule introduttive sono frasi correnti nell'ellenismo 11 , anche la terminologia del catalogo di virtù trova riscontro in testi di cultura greca. Almeno '7t'WVÌ}'J 'Ì}IJ..ELc; ipcovcra(J.E'J ovpavov EVEX»Et:crav rrùv av-t{il OV'tEc;

oacrw

t;

23. R. Schnackenburg, Gottes Herrschaft und Reich (1959) 229.

.2

Petr. 2,I2-2I.I2

oper.. l? xa.L EXOJLE'V ~E~W.O~é:pO'V 'tÒV itp0cp11"t't.XÒV 'Myov, ~ xaÀ.wc; 1tOtEL'tE 1tpoa-iXO'V'tEl]J.lOUV't'Eç,, 11 01t0U liyye:À.ot. tcrxvt: xcx.t OV'Vap.EI. p,ef.~ove:~ O'V'te:c; où q>Époucrt.v xa't' aù't'wv 1tapà xvpl~ ~À.aai)IJ.OV'V't'E~, Èv 't'TI cpi}6p~ aÒ't'W'V xa.t cpi}api}aov'tat., Ba aot.xov~vot. p..t.aDòv àot.x!ac;·

o

ov

4

Infatti, se Dio non perdonò agli angeli che peccarono, ma li conse-

2Petr. 2A

gnò a caverne tenebrose degli inferi riservandoli per il giudizio, ~e se non perdonò al mondo antico, ma custodi Noè come ottavo in qualità di annunciatore della giustizia, allorché scatenò il diluvio sul mondo degli empi, 6 e se egli inceneri e condannò alla distruzione le città di Sodoma e Gomorra, ponendo un esempio per tutti quelli che avrebbero agito empiamente, 7 e se liberò il giusto Lot, tormentato all'eccesso dalla condotta di empi dissoluti - 8 infatti, vedendo e udendo, il giusto che abitava fra loro di giorno in giorno per tali opere malvagie si tormentava l'anima giusta-, 9 il Signore sa liberare i pii dalla prova e sa conservare gli ingiusti fino al giorno del giudizio per punirli, 10 specialmente quelli che seguono la carne in concupiscenza sozza e disprezzano la signoria. Audaci ed arroganti, non hanno timore delle glorie ma le bestemmiano, 11 mentre gli angeli, pur essendo superiori per forza e potenza, non pronunciano contro di esse un giudizio blasfemo presso il Signore. 12 Costoro invece, come animali irragionevoli naturalmente fatti per la cattura e la distruzione bestemmiano ciò che ignorano e nel loro rovinare saranno rovinati, 13 a malconciati dal compenso dell'iniquità.

4· 2 Petr. 2,4-8 menziona, come I udae 5, tre esempi di puni· zione. Iudae ricorda la rovina della generazione del deserto, la caduta degli angeli, Sodoma e Gomorra; la 2 Petr. la caduta degli angeli, il diluvio universale, Sodoma e Gomorra. Se in genere il confronto fra 2 Petr. 2 e Iudae conforta l'ipotesi che la 2 Petr. dipenda da Iudae (vedi sopra, pp. 229 s.), anche il nostro parallelo favorisce questa spiegazione dei rapporti. La successione in 2 Petr. 2,4-8 si attiene all'ordine cronologico, che in I udae 5-7 è alterato. La 2 Petr. sostituisce il primo esempio di Iudae col racconto universalmente noto del diluvio. Coslla lettera presenta tre esempi dell'antichissima storia del Genesi. Quindi la 2 Petr. corregge intenzionalmente la lettera di Giuda. Inoltre essa inserisce nella tendenza di Iudae un nuovo aspetto, parlando non solo, come quella, del giudizio, ma anche della salvezza dei pii (di Noè: 2,5; di Lot: 2,7). Infatti ad essa preme di consolidare la speranza della chiesa. L'atteso giorno della fine porterà ai malfattori la punizione, ai buoni la salvezza. A questa intenzione la lettera allude anche altrove (1,4.II.19; 3,9.1I-I8}. Se la 2 Petr. dipende da Iudae, non c'è ragione di chiedersi come si debba intendere 2 Petr. 2,4. Non si tratta di quella

328

2

Petr. 2,5

caduta del diavolo di cui talvolta la tradizione biblica allusivamente parla (Le. ro,r8; Apoc. 12,7), ma del racconto di Gen. 6,1-4, che, come in Iudae 6 (vedi ad l.), viene riferito a quegli angeli che ebbero rapporti con donne e perciò furono puniti. Ma, rispetto a Iudae, la 2 Petr. indugia meno sui particolari della caduta dal cielo, probabilmente perché essa è generalmente più riservata nell'usare una tradizione extracanonica. Secondo I udae 6 gli angeli sono «custoditi con catene eterne nelle tenebre>>; secondo 2 Petr. 2,4 Dio li ha «in caverne tenebrose 1 gettati 2 ». Quel che c'è di più nella 2 Petr. proviene facilmente dall'opinione comune che gli angeli cattivi siano relegati in caverne tenebrose sotto terra (così Hen. aeth. 6-r2; r8,rr-r9,r; 22,2-13; 88,r). Questa punizione degli angeli è solo provvisoria, perché essi sono ancora riservati per il giudizio definitivo (così pure in Iudae 6; dr. inoltre Hen. aeth. ro; Iub. ro,r) .

.5. Il secondo esempio di punizione e salvezza è la storia dei diluvio e del salvataggio di Noè. Il diluvio è concepito come crollo «del mondo antico», ossia di tutta l'umanità di allora 3 • In seguito la riflessione si è domandata se il diluvio fosse parziale o totale. Alla nostra lettera tale questione è ancora estranea. Essa, con tutta la tradizione antica, ritiene che il diluvio fu universale. Noè fu salvato «come ottavo», come dice il racconto del Genesi (8,r8), secondo cui Noè prese con sé nell'arca sua moglie, i suoi tre figli e le sue tre nuore. Egli è detto «annunciatore della giustizia» perché esortava a una vita retta. Dal 1. Gli editori più recenti (Chaine, Merk, Nesde, Souter Vogels) leggono per Io più con BAC e i Padri, cr(E)Lpoi:c; ( = caverne), mentre P 72 , il testo della koiné, minuscoli e versioni presentano CTELparc; (=catene); cosi pure v. Soden. CTEl.po~ è una parola rara, invece O"El.pai:c; è un adattamento facilitante all'uso linguistico corrente, suggerito anche da Iudae 6. Anche il contesto di 2 Petr. 2.4 esige O"Ef.· poi:c;, che s'adatta meglio a ~6cpov che non CTELpa.~. 2. 'tap'ta.poc; è raro nel greco profano, e nel N.T. si trova solo qui. Tuttavia il giudaismo ellenistico usa 'tap'ta.poc; per designare rade; cosl lob 41,24 LXX; .Hen. gr. 20,2; Philo, exsecr. 152; Flav. los., Ap. 2,240; Sib. 2,302; 4,186. 3· Come in numerosi passi del N.T. (Mt. 18,7; I Cor. 4,13) anche qui x60ll0c; indica rwnanità.

2

Petr.

329

2 16

Genesi (6) non risulta che Noè avesse esortato la generazione del diluvio alla penitenza, ma lo affenna la tradizione poste· riore 4• In 2 Petr. 2,5 Ot.XCLLOCTU'VT] non ha il contenuto paolina di giustizia data da Dio, ma significa la rettitudine come comportamento di cui Dio si compiace (come abitualmente nel N.T. al di fuori delle lettere paoline). Noè esorta alla giustizia, essendo lui stesso giusto. Infatti così egli è chiamato in Gen. 6,9 e cosi continua ad esaltarlo la haggadà (Sap. ro,4; Ecclus 44,17; Philo, congr. 90; Id., migr. Abr. 125; Sib. I, 726).

6. I vv. 6-8 recano il terzo esempio di punizione e di salvezza costituito dalla vicenda di Lot. Il v. 6 corrisponde a Iudae 7, ma è formulato più brevemente di I udae, che descrive le malefatte degli abitanti di Sodoma e Gomorra. La 2 Petr. utilizza ancora la haggadà del tardo giudaismo, quando dice che Dio 'inceneri' 5 le città, dando un esempio che doveva servire per sempre 6 • 4· Secondo Flav. Ios., ant. 1,74, Noè ammonisce i discendenti degli angeli e delle figlie degli uomini (Gen. 6,1-6). In Sib. 1,128 s.; 1,1.5o-I98 è messa in bocca a Noè una lunga predica penitenziale; similmente in Iub. 7,20-39. Presso i Padri della chiesa si ripetono queste notizie (I Clem. 7,6; 9,4; Theophil., Auto/. 3,19). Cfr. S. Rappaport, Agada und Exegese bei Flavius ]osephus (1930) 9 e 93· J. Daniélou, Sacramentum Futuri (1950) 66 s.; O. Knoch, Die eschatologische Kon· zeption des I. Clemensbriefes (1959) 177 s. 5· Gen. 19,23-28 racconta che Dio distrusse quelle città con zoHo e fuoco, men· tre Filone (migr. Abr. 139; ebr. 222 s.; vit. Mos. 2,.56) riferisce che di quelle cit· tà rimase soltanto cenere, e Strabone (16,2A4) chiama la regione del Mar Morto «terra della cenere». 6. Nel v. 6b la tradizione si divide. La maggioranza degli antichi codd. e certe versioni leggono: \nt65Et.YIJ4 l-UÀ.À.6v-twv ficnf3E~v "t'EaEt.xwç «egli ha posto le città come un esempio per coloro che in avvenire saranno empi», cioè come un esempio di quello che accadrà nel futuro agli empi. Altri codd. (B P, anche P 72 } recano: \nt65Et.YIJ.a. 1J.EÀ.À.6V'tWV ME~É01.V "t'EitEt.xwç «egli le ha poste come un esempio di ciò che accadrà agli empi». La prima lezione, rappresentata da codd. importanti, merita forse la preferenza, essendo la più difficile. La si può quindi preferire con Merk, Nestle, v. Soden, Souter, Vogels, e con Bigg, Felten, Knopf, Vrede, Windisch-Preisker, Wohlenberg; diversamente procedono Chaine, Charue e anche ~t]. Lagrange, Critique textuelle 2 e193.5) 559·

=

=

330

2

Petr. 2,7.8

7. Il salvataggio del pio Lot viene descritto ampiamente. Lot è il giusto esemplare. La lettera lo pone in evidenza collegandosi anche qui con la haggadà. A motivo del fatto narrato in Gen. 19,30-38, in alcuni testi rabbinici Lot è considerato come peccatore. Ma altri trovarono giustificazione e spiegazione al suo comportamento. Poiché la sua stirpe attraverso Ruth, la moabita, ebbe la sua propaggine in David, antenato del Messia, l'interpretazione rabbinica pensò che Lot avesse agito in previsione del Messia, generando la stirpe dei Moabiti. Perciò anche in Sap. ro,6 egli è considerato giusto. In I Clem. 1 I ,I la storia di Lot è riassunta in modo simile a 2 Petr. 2,8. Quindi la 2 Petr. partecipa probabilmente alle discussioni dell'esegesi rabbinica e cristiana 7 • Il giusto Lot sentiva il peccato che lo circondava come un tormento e un peso. Si fa specialmente menzione della lussuria degli 'ingiusti', di cui riferisce ampiamente anche Gen. r 9. 8. La sintassi della frase non è chiara. A che cosa si deve collegare aÀÉ(.l(JlX'tL xat àxon? Si può considerare un dativo di relazione riferito a ooixaLot; Lot era giusto quanto al vedere e all'udire, cioè egli era giusto in quello che si vedeva e si sentiva dire di lui, per cui questa giustizia esteriore esprimeva quella interiore. Questa concezione sta forse alla base di B, che legge oixa.r.,oc; senza articolo, e della Vulgata, che traduce: aspectu enim et auditu iustus erat. Ma la grande maggioranza dei commentatori attuali collega ~ÀÉ(J.(J.tX"tL xa.t àxoij a \fJuxirv ... ÉBarrcivL~E'V. Perciò il dativo sarebbe strumentale: Lot si tormentava con ciò (o per quello) che vedeva e udiva. Questa interpretazione è consigliata dalla lezione quasi generale o oixa.Loç e pare più soddisfacente sotto l'aspetto sia della lingua sia del contenuto. àvé(.lor.,ç EpyoLç sarebbe poi un secondo dativo strumentale. L'ambiente di Lot peccava con cattive azioni d'ogni genere. Della cattiveria generale degli abitanti di Sodoma e Gomorra parla per accenni il Genesi ( r8,2o ), ma più diffusamente l'esegesi rabbinica 8 •

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7· S. Rappaport, Der gerechte Lot: ZNW 29 (1930) 299-304. 8. Billerbeck 1, .571-.574; 3, 78.5 s.

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Petr. 2

1

33 I

9.IO

9· Alla lunga protasi (2,4-8) il v. 9 congiunge l'apodosi. Esso trae la conseguenza dai tre esempi precedenti: il Signore salva i pii, ma conserva gli ingiusti per il giorno della punizione. La situazione che Lot doveva sopportare viene chiamata 1tEtpao-p.,6~. Ma 1tELpClO"IJ.oç è in genere la situazione del giusto nel mondo malvagio (Le. 8,13). A causa di questa durata, 1tELpcx.cr(J.6ç da tentazione acuta diventa un disagio e un pericolo perdurante per l'uomo (Apoc. 2,1o; 3,10). Perciò egli ha sempre bisogno di essere protetto e salvato da Dio. Ma il pericolo non consiste tanto nel fatto che l'uomo ha la tendenza a partecipare al peccato, quanto piuttosto nel rischio di incorrere nel giudizio con i cattivi. Infatti i cattivi vengono conservati per il giorno del giudizio, Òc; ITauÀ.oc; Xa"tà. "t'i}V ooi)E~O"IXV a.Ù"t'LIXV Eypa\}JEV U(J.LV, 16 wc; xat É'J 1tcicrat.c; È1tr.O"-roÀ.ai:c; À.IXÀ.WV É'J a.Ù"t'a.i:c;. 7tEpÌ "rOU"tWV, ÉV ate; ÈO"'tt.V Ouav61)-rci ·nva., & ot CtiJ,IXDEiç xat àcr·nip~X"t'O~ CT"rpE~À.OVCTf,'J wc; 41 xat -rà.c;. À.ot.7tà.c; ypacpàc; 1tpòc;. "t'i)'J Loiav au'twv a1twÀEt.a.v. 17 YlJ.ELc; ovv, à.yrt1t1)"rOL, 7tpoyt.vwcrxov"tEc; cpuÀ.acrcrEcro-e tva l-t'h 'tU -rwv at}é. CTlJ.WV 'JtÀavn CTU'JCl1taX,l}ÉV"tEc; ÉX7tÉCTT)"tE "tOU to!ou O'"tT)pt.j'lJ.OU, 18 VE"tE ÒÈ EV XrLP~"rL XaL j''JWCTEt. 'tOU XUpLOU TJ(J.WV xat crw-r'ijpoc; 'lT)O"OU Xpt.cr1:ov. aù sono i