La poesia di Dante

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SCRITTI DI

STORIA LETTERARIA E POLITICA XVII

mSc^Ey

BENEDETTO CROCE

LA

POESIA DI DANTE SECONDA EDIZIONE RIVEDUTA

BARI OIUS.

LATERZA & FIGLI

TIPOGRAFI KDITOKI-LIBKAI

1921

PROPRIETÀ LETTERA HI A

FEBURXIO MCMXXI-Ó7&69

A

GIOVANNI GENTILE IN

TESTIMONIANZA

DI ANTICA E COSTANTE FRATERNITÀ NEGLI STUDI E NELLA VITA

n

AVVERTENZA

Questo lavoro, compiuto nel 1920 e del quale alcune parti atti

sono state sparsamente pubblicate in riviste e

d'accademia,

si

raccoglie ora intero nel presente

volume, nell'anno in cui ricorre della Il

morte

di

il

sesto

centenario

Dante.

suo intento è di offrire un'introduzione metodolo-

gica alla lettura della

Commedia,

e insieme

come un

saggio di questa lettura, condotta con semplicità, libera

da preoccupazioni estranee.

E

se conseguirà l'effetto di

rimuovere alquanto l'ingombro dell'ordinaria tura dantesca e riportare

gli

lettera-

sguardi verso ciò che èl

proprio ed essenziale nell'opera di Dante, questo libro

avrà ottenuto

il

suo

fine.

B. C.

INTRODUZIONE

CJ

Dante debba metodo diverso da quello di ogni

è ragione alcuna per la quale la poesia di

esser letta e giudicata con altra poesia?

Parrebbe

di si, a volger l'occhio al severo profilo tradi-

zionale di Dante, poeta, filosofo, teologo, giudice, banditore di riforme e profeta, e a dare ascolto ai motti

temente

uomo

si

ripetono su

e poeta

»

,

«

lui,

che è detto «grande

che insisten-

come

al pari

grande poeta perché uomo grande

»

,

«

più

che poeta», e sulla sua Commedia, definita opera «singolare

e

»

«

Quel

unica

»

fra

quante

altre

mai

si

profilo e quelle parole enfatiche

conoscano.

hanno,

in verità,

fondamento nell'importanza che spetta a Dante, poeta non solo e

uomo

medievali,

ma

di

alla crisi italiana

terzo e

mente

il

pensiero, rappresentante delle concezioni

altresì

uomo

la fine del secolo

modo

decimo-

principio del decimoquarto; e rispondono chiara-

al carattere assai

complesso del suo maggior

nel quale aXVop^is poeticum

cum

d'azione, partecipe a suo

ed europea tra

si

libro,

consertano l'opus philosophi-

e l'opus practicum, a sentimenti e fantasie, atti di fede

e di religiosità, insegnamenti, censure della politica fioren-

tina

e

di

quelle della Chiesa

e

dell'Impero e di

principi italiani e forestieri, sentenze e vendette,

tutti

i

annunzi

LA POESIA DI DANTE

10

e profezie, e al significato aperto e letterale significati

allegorici o

variamente

aggiungono

si

Sarà opportuno

riposti.

mettere in guardia contro la seduzione a esagerare quell'importanza, e a

rammentare che

fine

tal

Dante non

se

com'è, grandissimo poeta, è da presumere che tutte

fosse,

quelle altre cose perderebbero filosofi, pubblicisti, utopisti e

molti ai suoi tempi

perché di teologi,

rilievo,

partigiani politici ce ne furono

come in ogni tempo: pure, l'importanza quando le si raccolga come in fascio,

di esse, specialmente

non

si

Ma

può negare. col

concedere

citamente rigettata la

semplice

«

importanza

singolarità

>

e

la «

«

unicità

»

è impli-

» si

del poeta e

dell'opera sua, e riconosciuto apparente e non sostanziale

sostegno su cui quel giudizio riposa.

il

poeta e opera

siasi

di poesia è

E veramente

in qual-

dato rintracciare, più o

meno

copiosi e con risalto maggiore o minore, concetti scientifici e filosofici,

tendenze e

fini pratici,

e

anche intenzioni e

rife-

rimenti riposti, presentati sotto velo trasparente o adombrati

modo

in

misterioso

come ben

chiusi nella

mente

Perciò di ogni poeta, che è sempre insieme

dell'autore.

uomo

intero, e

ogni poesia, che è insieme un volume o un discorso e

di

lega molte cose squadernate, è dato compiere, oltre l'inter-

petrazione poetica, una

varia

interpetrazione filosofica e

pratica, che, sotto l'aspetto da cui

mare nel

«

allotria

».

E

si

rapporto che di solito fallacemente

d' interpetrazione « estetica

perché in

», la

formula come «

storica »,

La

differenza, che per questa parte

può porre tra Dante dunque logica, ma soltanto quantitativa,

e la generalità degli altri poeti,

giàconcessa importanza «

si

e d' interpetrazione

due sono, e non possono non esprima di storia della poesia e la seconda

di altra e varia storia.

é

»

effetto tutte e

sere, «storiche

si

guardiamo, possiamo chia-

badi bene che l'una non sta con l'altra

allotria » prende, nei

dell'altro Dante,

rispetti

di

lui,

l'

non

perché,, per la

interpetrazione

grandi dimensioni.

INTRODUZIONE assai maggiori che

essa è (pare,

non per

ma non

altri

poeti, per molti dei quali

trascurata a

trascurabile e

11

segno che -quasi pare

che non se ne offra materia.

è)

Cominciò questa interpetrazione

filosofica

ed etica e

giosa fin dai tempi di Dante, per opera di notai e frati e

relilet-

e degli stessi figliuoli del poeta; e sarebbe

tori d'università,

probabilmente cominciata per opera sua stessa, se bastata la vita, perché chi aveva

commentato

gli fosse

proprie can-

le

zoni nel Convivio, diftìcilmente avrebbe lasciato senza chio

poema

sa^

La tanto disputata epistola allo Scaligero potrebbe essere un saggio del commento al quale pensava; e la notizia di un codice quasi par mostrare (come notò il Carducci) Dante nell'atto di ordinare al figlio Iacopo di

il «

sacro

scrivere le

«

»

.

dichiarazioni

Comunque, non

si

»

:

«

Jacohe, facias declarationem

».

potrebbe facilmente immaginare altro

lavoro di più benefico

effetto,

ché, mercé

dell' interpetre,

l'autorità

se fosse stato eseguito; per-

gravi e in gran parte vane fatiche

avrebbe risparmiato ai

posteri.

Continuò

commenti per tutto il trecento, e altresì nel quattro e cinquecento; e, dopo una tal quale pausa durata circa due secoli, fu ripresa con quella sorta di esegesi in molteplici e grandi

alacrità e

non più interrotta dal settecento

ai giorni nostri,

quando, segnatamente negli ultimi decenni, per opera d'ita-

imponente o spaventevole

liani e di stranieri, è diventata

per mole. Chi volesse farne

la storia

stata tentata o tibbozzata finora, criterio di progresso

nei

concetti

il

crescente arricchimento e affinamento

metodici e nel senso dell'obbiettività storica,

onde quella interpetrazione scientifica e critica,

fu spiccatamente riti

disposti

meglio che non sia

dovrebbe assumere come

alle

si

fece e

si

rifece

da edificatoria morale e

dapprima

(e

sempre più

religiosa, quale

ridiviene talvolta presso spi-

meditazioni ascetiche), e da edificatoria

politica e nazionale, quale fu soprattutto nel periodo delle lotte

del Risorgimento

italiano (e

come ora

si

ripresenta

.,

LA POESIA DI DANTE

12

quasi soltanto presso retori della cattedra e della tribuna), e da esercitazione accademica d'ingegnose immaginazioni

e sofistiche sottigliezze, quale è stata in tutti

E

cora piace agli oziosi.

nella storia del

quelle indagini converrebbe segnare



del linguaggio, quasi

sinonimo

dantomane ». Cose certamente inevitabili e che si osservano sempre e dappertutto nel culto che si forma intorno di
; e Virgilio annunzia infatti: «Senza vostra dimanda io vi confesso Che questo è corpo uman che voi vedete, Per che il lume del sole in terra è fesso » di

E, infine, per

non andar per

le

lunghe, dalla stessa com-

pressione dipende quel certo che di brusco e reciso con cui

si

chiudono

scene e dialoghi (onde è stato

di solito

S-iherzosa mente detto che

senza complimenti,

«

i

personaggi

di

all'inglese >, o, con

Dante

si

separano

maggiore gravità,

II.

che Dante

«

LA STRUTTURA DELLA

stampa un marchio

»

«

COMMEDIA

67

>

sulla fronte dei suoi perso-

nag-gi e passa oltre); e in generale potrebbe dirsi che, per

misure imposte dallo schema del romanzo teologico, per

le

« lo

freu dell'arte

talora

come

Ma

»

,

l'

Inferno sia un po' troppo affollato e

strozzato, e

Paradiso un po' troppo dilatato.

il

bisognerebbe, d'altra parte, rammentare anche la

schema oltremondano ed enciclopedico

libertà che quello

concede

moti più vari della fantasia

ai

l'efficacia benefica

di

Dante, e notare

che quella compressione per altro verso

Dante prende carattere

esercita, e per la quale la poesia di di assoluta necessità,

prorompendo attraverso

più vigorosa e intensa dall'ostacolo che

le

lo

schema, resa

frappone e che

essa sorpassa: cosicché a chi non credesse all'esistenza reale e

autonoma

cui

si

della poesia e la reputasse cosa artifiziosa e di

possa far di meno, non

si

potrebbe

offrire

caso più

chiaro da meditare che questo furore poetico di Dante teologo e politico, questo torrente la via tra le rocce e

i

che alta vena preme, che s'apre

sassi e scorre

impetuoso,

E

tanta è la

sua forza, tanta la sua ricchezza, che esso penetra in i

tutti

cavi delle rocce e dei sassi e avvolge con le sue onde

spumeggianti e col velo d'acqua che solleva alpestre, a segno che sovente delle sue acque.

La poesia

non

di

si

Io spettacolo

vede altro che

il

moto

Dante, quando altro non può,

avviva con freschissima fantasia

i

\

particolari delle disqui|

sizioni e parti informative ed espedienti di racconto, e per-' fino

le

non infrequenti concettosità dell'erudito

in istoria,

mitologia e astronomia, e investe tutte queste cose col suo

commosso Per e

lirica,

e sublime accento.

tale ragione,

non sono

Sono separabili

schema

e poesia,

le parti

nell'anima sua, di cui l'una condiziona

l'altra e perciò confluisce neli'altraj e, in lettico,

la

romanzo teologico Dante, come non

separai bili nell'opera di

Commedia

è sicuj'amente

questo senso dia-

un'unità.

Ma

chi

li

a

occhio e orec chio per la jjoesia discerne sempre, nel corso

v^^

LA POESIA D! DANTE

68

poema,

/,

il

e,

domande, Dante

alle loro

grido contro

«

la

gente nuova

che hanno cangiato aspetto e costume

città, discacciato cortesia e valore,

generato traco-

tanza e lusso. Primo spunto di quello che sarà poi pianto di Cacciaguida:

il

rim-

ripugnanza dell'uomo austero,

la

legato alla tradizione e alla disciplina, e al sogno dell'ener-

gico ed eroico, verso e perciò

il

non comprende

nuovo costume che e

egli

non ama

vede solo in quanto distrugge

le

care antiche consuetudini ed è utilitario e prosaico, cioè solo nei suoi aspetti negativi.

La

storia, col

suo gran carro

pesante, procede oltre, schiacciando molte cose belle e get-

tando nuovi e vivaci semi:

il

cuore del sognatore,

ligio al

passato; al fantastico passato nel quale pone e ritrova sé stesso,

freme e impreca.

Il

sentimento, e

la

poesia che so-

pr'esso nasce, protestano contro l'azione e la realtà.

Dal profondo abisso sale, nuotando, Gerione, che è la maggiore incarnazione di quello che in Dante abbiamo chiamato senso possente della vitalità, della immediata e sensibile vitalità, della vitalità organica, configurata in esseri

enormi

L' «

II[.

INFERNO

89

»

o mostruosi. Dovrebbe, Gerione, allegorizzare questa volta

l'autore stesso dichiara

il

ma

suo concetto;

mai inserire sull'immagine

lettore vorrà

la

Frode, e

preciso significato allegorico è certo, perché

il

di

nessun poetico Gerione quella

della Frode, e intorbidarla o fiaccarla con quella inserzione,

tanto la rappresentazione della fiera terribile, del mostro

ripugnante e grandioso, soverchia

concetto e vale per

il

ogni sua parte e in ogni suo moto,

sé, tanto è studiata in

e, si

direbbe, amata. La Frode ariostesca è bene la frode, un concetto morale avvolto piacevolmente in acconce immagini, che

domina

esso

e regge,

già

il

frodare,

e grave per

ma

il

l'aria,

sull'intelletto e dall'in-

modo

con

non

la

sua azione non è

mirabile moversi e discendere, lento

con

sicuro e a suo gli occhi, e

una poesia nata

Gerione è Gerione, e

telletto limitata.

le

si

membra, eppur segue ammirando

grosse e faticose

agile e snello: lo

si

chiede altro perché

si

è avuto tutto.

Chi non sente questa poesia, c'è pericolo che non senta

mai di

la poeticità di

alcun 'altra poesia, che sempre è muta

ogni altra cosa che non sia sé medesima. Dato saggio

adempiuto

dell'esser suo,

il

suo poetico

uffizio,

Gerione

si

«come da corda cocca».

dilegua rapido,

L'abisso infernale prende ancora linee e colori da paesaggi

rumoreggiante caduta del fiume

noti al poeta; e la

Flegetonte

si

confonde con quella del fiume che, dall'Ap-

pennino, «rimbomba là sovra San Benedetto»: allo modo che le scene dei dannati sono paragonate a viste sulla terra, e la

duttori, nel suo •dei

doppia schiera dei

moversi

in

andava

pellegrini che

e

stesso

scene

ruffiani e dei se-

opposto senso, alla doppia schiera

veniva da Santo

Pieti'o, pel

ponte

di Sant'Angelo, l'anno del Giubileo. Gli usurai del settimo

cerchio, e costoro,

i

ruffiani e

i

seduttori e gli adulatori, nelle

prime bolge dell'ottavo, sono tra

gono

ritratti

con modi

plizio, percossi

dalle

bestiali,

sferze

e

i

più

vili

peccatori; e ven-

o vilipesi nello stesso sup-

dagli

scherni dei demoni,

LA POESIA DI DANTE

90

mani.

Il

ribrezzo e la

invadono l'animo del poeta, mentre

il

moralista e

nello sterco, lordi

attuflfati

schifo

quei dannati,

colloca tra

satirico

capo e

il

le

inesoiabile,

coloro dei

che ha g-iudicati e disprezzati come

suoi contemporanei,

le

Le sue letture classiche gli sugimmagini di Taide, la meretrice teren-

ziana, che sta ora

«sozza e scapigliata fante», e di Gia-

appartenenti a

tal

geriscono anche

sone,

i

ricordi epici

rifa solenne.

viene

E

Medea

seduttore di

il

Giasone, si

genia.

si

ma,

al

vederlo quale ancor

si

e,

il

verso

grande che

«

al

pensarlo

dimostra, ammirazione

«Quanto aspetto reale ancor

e riverenza prevalgono:

Grande era

vista di

alla

Giasone è additato come quel

per dolor non par lagrima spanda»;

quale fu e

tiene!».

e d'Isitile;

sollevano irrefrenabili, e

ri-

piacere della sua immaginazione nel

il

ritrovare in persona, e guardare e considerare, gli eroi, le eroine, gli scellerati, letto negli antichi

i

più vari personaggi di cui aveva

poemi, con

immaginazione onde

la

ingenua fede e con la fresca

leggevano quei

si

libri nel

medioevo.

Al principio del canto dei simoniaci, Dante ricorda suo «bel San Giovanni», e serire

una protesta

si

i

vale dell'occasione per in-

di carattere aflfatto privato e rettificare

quel che la fama andava narrando di un incidente che gli era accaduto. Entriamo qui nella prosa e nell'oratoria. In-

nanzi

innanzi a quella parte della vita

ai simoniaci, egli ò

religioso-politica del

tempo suo che più

dette fremiti di sdegno:

il

principi e cupido di ricchezze

per adempiere

l'ufficio

che

di ogni altra gii

papato corrotto e trescante coi

si

mondane. Ed

egli si raccoglie

è assunto; e all'invettiva, che

già trabocca, fa precedere, preparandone lo scoppio, un'in-

gegnosa invenzione, raffinamento Il

papa, che è

fitto

con

di castigo e di vendetta.

la testa in

giù e guizza di fuori

le gambe, unico gesto con cui significa il suo sentire accompagna le parole, e dovrà cadere nella buca quando sopravverrà il nuovo dannato, crede che Dante, che gli si

con e

l'« inferno

III.

M

»

appressa, sia quel dannato, papa, Bonifazio, che egli sa di

ma

sicuro che verrà, che aspetta, presto. Cosi a la certa

Dante

dannazione del suo gran nemico:

vede Tonta che d'

che non aspettava cosi

Dante pel primo,

stesso, a

lo

coprirà e

si

annunzia

egli pel

primo

soddisfa iu quella vendetta

si

immaginazione. Laddove nei punti passionali del viag-

gio infernale, nello svenire davanti a Francesca, nel contenersi rispettoso verso Farinata, nell'affettuosa accoglienza

a ser Brunetto, par che Dante

abbandoni,

si

in

questa bolgia

dei simoniaci egli è tutto deliberata volontà, e procede

La

ma

da pubblico accusatore,

solo

terzina e la parola

timidazione.

Non

si

si

da esecutore e

fanno strumento di castigo e d'in-

ma

esercita

sorabile: e la parola dell'indignazione

egli

da non dimenticare

forte e misurata, tanto si

l'ira, non una severità ine-

convelle nell'odio, non isfoga

esce in sarcasmi e irrisioni,

che

non

giustiziere.

deve pur sempre

alle «

nare e punire, dichiara

le

somme

chiavi

ragioni della

regge e muove la

«riverenza

», e,

»,

nel condan-

condanna e

della

punizione.

A

degli indovini e maliardi,

fama

pervenendo

dare ascolto agl'interpetri,

Dante

alla

bolgia

sarebbe rammentato della

si

suo Virgilio lungo tutto

il

Medioevo, e a sé stesso, in un certo intrigo nel quale

il

fatta per questa parte al

nome suo

fu adoperato da Galeazzo Visconti

cooperatore in un sortilegio, che

si

come

di possibile

preparava contro papa

Giovanni XXII; onde avrebbe manifestato con maggiore energia,

per conto proprio e del savio gentile che tutto per quelle

seppe, la riprovazione nel rappresentarne testa, di

neria,

il

castigo.

Ma

arti di

e caricato le tinte

questa presunta pro-

questo calcolo, e dell'orrore per la magia e strego-

non

è

nulla

nel

che è per eccellenza

il

canto degli

indovini e

maliardi,

canto delle leggende e dei perso-

naggi strani e misteriosi, antichi e moderni, anch'essi avvicinati per opera della fantasia e guardati a faccia a faccia-

92

POESIA DI DANTE

I.A

con curiosità

come

C'è Anfìarao,

e meraviglia.

cui

di

rivede

si

un lampo la portentosa ruina o morte, in2:oiato dalla presso Tebe; c'è Tiresia, di cui si ricorda il prodi-

in

terra,

gioso cangiamento e ricangiamento da maschio a femmina;

c'è Aronte, che ebbe tra

teva di e

sua spelonca proprio in

la

monti biancheggianti

i

1;\

le stelle

il

supplizio,

sulla

gli

volgere

fa

spalla bruna ».

«

e

il

mare;

richiama l'inizio dell'impresa d'Ilio:

tigura vigorosa pur nello scontorcimento a cui lo

che

Italia,

del Carrarese, e po-

guardare senza impedimento

Euripilo, che

c'è

marmo

di

Colui

gota la

dalla

condanna «

barba

augure quando un

fu

»

in-

tero paese rimase vuoto dei suoi uomini, gli adulti partiti

per la grande spedizione bellica,

accanto

case,

bambini

ai

le

culla:

in

madri nelle deserte remota

nella

storia

e insieme eterna immagine di desolazione per cagione di

E

guerra.

diede

il

segno con Calcante a tagliar

fune in Aulide: con che risorge nella fantasia della partenza di

un esercito

la

prima fune

rale o critica,

ma

deve

tagliata.

E non

si

Mantova,

nell'Italia

il

dado che vien

mo-

racconto che seg^ue delle origini di primitiva, rievocata

nelle sue terre senza coltura

nei suoi

e senza abitatori,

al presente, in cui tante cose e

diversi.

il

a un'intenzione

a questa vaghezza delle antiche storie e

leggende,

mento

prima quadro

gloria e periglio, effigiato

a

con un atto materiale e morale insieme: tratto,

la il

aspetti,

col

riferi-

costumi e popoli sono

In questa terra ])rimitiva e inabitata la vergine

Manto, l'indovina,

la

maga,

dr)po

lungo peregrinare,

coi suoi servi e fece le sue arti e lasciò e su quelle

tragedia non

«

ossa morte

»

il

si

posò

suo corpo vano;

sorse Mantova. All'epopea calla

manca una coda

di

commedia nell'aneddoto,

quasi contemporaneo, del ciabattino di Parma, Asdente, che* si

dette al mestiere dell'indovino, e vorrebbe ora

atteso al cuoio e allo .suo

spago»:

«aver

all'altro e più sicuro mestiere

primo, qui rappresentato nelle sue povere e comiche

111.

L'«

INFERNO»

93

determinazioni; e lo attorniano quelle poveracce che anch'esse, invece di badare alle loro faccende, alle cose don-

nesche, all'ago e al fuso,

si

sogliono spacciare per stre-

ghe e fattucchiere, e usano intrugli d'erbe

e pupazzetti di

cera per sortilegio. Il

quadro dell'Arzanà dei Viniziani, che

descrizione della quarta bolgia e che

sta a

capo della

ammirare ma

suole

si

insieme tacciare di troppa estensione e di estraneità rispetto al fine del

dire)

paragone, o anche (come

con immaginali

giustificare

luogo a notare che

le

si

è avuto occasione di

contrasto, dà

di

effetti

Dante sono talvolta

similitudini in

ineramente rischiarative, com'è quella che paragona Ma-

una

lebolge ai fossati e ai ponticelli di

ad aggiungere evidenza, come che aguzza fanti

della

sono per sé poesie, piccole

madre che

prende

perta di al

il

si

nella

ma

cruna o dei

tal'altra

vanno

Tale è quella

liriche.

desta al rumore e vede

figlio e

il

fuoco in casa

fugge e non cura di essere appena co-

una camicia;

tale l'altra del

povero villanello che

mattino s'affaccia e scorge la campagna biancheggiante

dalla brinata e le

del vecchio sartore

filo

il

che uscirono patteggiati di Caprona;

di là e

e

l'altre

per infilare

ciglia

le

fortezza, o valgono

pecorelle,

sciolta,

ed

e,

si

duole di non poter condurre al pascolo

dopo un

po', riguarda,

egli si allieta e

prende

il

e

la

brinata

si

è

suo vincastro ed esce

col gregge; tale la terzina in cui par che

si

raddensi e

si

componga nella sua maggior linea l'epica delle chansons de geste: «Dopo la dolorosa rotta, quando Carlo Magno perde la santa gesta. Non sonò si terribilmente Orlando», con quel

«terribilmente» in cui

si

ode prolungare l'eco del

suono ultimo e disperato, invocante invano

E

tale è questa dell'arsenale, del

neziani,

tutta piena

la

navigazione è sospesa o

meno

soccorso.

famoso arsenale, dei Ve-

del sentimento

della preparazione per l'opera che

il

si

del lavoro che

svolgerà.

attiva,

si

È

ferve,

l'inverno,

guadagna tempa

LA POESIA

f»4

col racconciare le

i

DI

DANTE

legni danneggiati e col costruirne di nuovi

:

diverse opere sono accennate l'una dietro l'altra, rapida-

mente, ottenendo

esprimere quel

di

l'effetto

lavoro

dal

ritmo celere, vario e concorde, faticoso e allegro, che ha innanzi a sé la lieta visione del prossimo fendere sicuri

mare a

l'aperto

traffico e

Meno ancora che

acquisto di ricchezze.

nella bolgia dei maghi,

barattieri che bollono nella pegola spessa,

Dante, tra

i

deve aver pen-

sato (come pure certi interpetri pretendono) a casi suoi personali, alla

condanna che

gì' inflissero pei: baratteria,

come

o,

se

ci

pensò, se ne dimenticò subito dopo,

al

suo racconto con un pensiero che dovrebbe essere grave e

chi,

accingendosi

trovandosi subito di fronte un'immagine comica, vi prende

gusto e la disegna con cura, per amor dell'arte, e finisce col suscitare

il

riso e ridere esso stesso.

ode nella bolgia dei logia, certe

pagine

barattieri, di

Da

tornano

romanzi picareschi,

conti di tumulti plebei in cui alla ferocia la farsa, o certi

Pelli

quel che

si

vede e

mente, per ana-

alla

o certi storici rac-

si

disposa la beffa e

ragguagli di casi occorsi a viagfgiatori tra

sono bricconi con bricconi, plebe con plebe, sih^aggi con vaggi, ai

le

Rosse o tra popolazioni dell'Africa. Demoni e barattieri

gli

uni aventi

di sotto

ma

il

disopra e astuti, gli

scono,

i

sel-

che stanno

sono astuti anch'essi, e talora con l'astuzia

vincono, non solo l'astuzia,

Come

altri

demoni gioiscono come ridono, come

primo diavol nero, che

ci

ma

la

maggior forza

nel tormentare!

Come

di quelli.

scherni-

sollazzano in quell'atto!

si

11

dà nell'occhio, viene correndo e

portando sall'omero acuto e superbo un barattiere, tenendolo

ben saldo, «de'

pie ghermito

il

nerbo»;

e, nel

recita l'epigrafe burli-sea a lui e alla sua gli

altri

buttarlo giù,

degna

patria, e

diavoli f;inno eco. Mggiuiigendo sarcasmo a strca-

suìo, risata

a

risata.

E

allorché lo addentano con più di

un'immagine di cucina viene naturale e appropriata. Altri demoni si lanciano contro i due pellegrini,

cento

raffi,

non appena

li

hanno

INFERNO

L' «

III.

ma

scorti;

95

»

sono arrestati dalla diplo-

mazia, che Virgilio adopera, e dall'autorità che invoca, e dall'ordine che è costretto a dare

loro capo. Arrestati,

il

ma, come plebi irragionevoli e mutevoli, docili e insieme indocili, stanno e non stanno all'ordine, troppo contrario ed abito, e vi sta e non

alla loro natura

ma

assegna loro una scorta,

da

pur

vi sta

anche

li

i

tenere, cosi, per pura malignità o per irrisione.

teme, non

si

assicura,

ma

moto

al

il

due viaggiatori e inganna sul cammino

che in apparenza rispetta

loro capo,

del timore

si

Dante

sovrappone

quello della curiosità, rivolta al bizzarro spettacolo. E, tra

meravigliato e curioso, drappello, ode dei

nomi

i

assiste al

e

demoni, e stupisce

formarsi del pittoresco

nomignoli grotteschi o burleschi

i

risonare della singolare trom-

al

betta. Nel ricordare ora ciò che vide e udì, egli

non sorridere;

e

sorriso

il

segno di partenza, dato

si

in

dilata a quel

modo

affatto

dal diavolo ci potila, e l'espressione

non può

particolare del

nuovo

e

impensato

fa eroicomica, innal-

si

zandosi alle immagini di altre partenze e movimenti guerreschi, ai quali gli era accaduto di assistere sulla terra, per

raccostarle e contrapporle

udita

il.

Mdebolge.

alla

nell'episodio di Ciampolo e dt-ljo ai diavoli e

il

«0

spettacolo.

come

Plebeo è

plebe che

tu che leggi,

udirai

il

danno

nuovo ludo!»,

lo

spettacolo,

affiati

si

lo

e

Dante

ride,

ma non

con plebe, bensì sempre come

lui,

sguardo sa quell'aspetto dell'umanità,

un'umanità che è quasi naturalità e non permette

indignazione, e

ma

stratagemma con cui sfugge

che è tutto dentro quello strano e comico

po'-ta,

Dante, che getta di

>,

d'animo continua

provoca una zuffa tra loro e con essa

degli azzuffantisi.

esclama

diversa cennamella

« si

Siffatta disposizione

nemmeno

la

ripugnanza che

si

vela

la seria il

volto,

anzi eccita all'oss»M'vazione curiosa e al riso, per la stra-

vaganza stessa

e l'cnoruiità di ciò

da ogni gentile e

che

civile consuetudine.

si

osserva, e che esce

LA POESIA DI DANTE

96

Con le loro si



la visione degli ipocriti,

che procedono lenti sotta cappe di piombo dorato, abbaglianti di splendore^

torna alla figarazione etica, e con la notizia che porge di il

frate Catalano, si è ricondotti ai sentimenti etico-politici

e alla recente storia di Firenze.

cedente alita ancora sul poeta e

messa

bocca

in

Il

gli

ricordo deìla scena pre-

suggerisce l'osservazione,

frate godente, sulla

al

natura dei diavoli.

Dante è veramente, nella Commedia, e trasmutabile per tutte guise». Poco più oltre, lo si vede quasi celiare descrivenda 11

modo

chiappa

in cui

«via da

arrampica, sostenuto da Virgilio,

si

chiappa

in

cappa»;

vestiti di

per ripigliar

e notnre

;e,

poi, al

e

in

piuma

fama non

In

«Con l'animo che vince ogni cui è ricca in ogni parte la blimi,

di

suo sedersi un istante

lascia stimolare e rimproverare e ser-

fiato, si

moneggiare da Virgilio con gravi seggendo

«

che quella non era davvero

hanno anch'esse,

e magnifiche parole (« si

che

vien né sotto coltre...»;

battaglia»). Le sentenze, di

Commedia, sennate,

virili,

su-

talvolta, valore per sé, superiore

a

quello di semplici elementi di un discorso o dialogo. Cosi,

alcune terzine più innanzi, Virgilio a una richiesta

non arsente Si

solo,

ma

soggiungi-:

dee seguir con l'opera, tacendo

che volge

il

«Che ».

Nel Fuiyatorlo, a Dante

che accennano a

lui,

il

savio duca fa

gran richiamo e rimprovero, per terminare con torre

Vien

«

dieti'c»

a me, e lascia dir

ferma, che non crolla

de' venti

poesia, e

».

Dante^

capo, con distrazione affatto naturale, alle pa-

role di un'aninia

terzina:

di

domanda onesta

la

L'animo

prorompe

di

e

si

Giammai

genti: Sta'

le

la

cima per

Dante è riboccante

un

la st)lenne

come

scuffiar

di pensieri e di

allarga nell'esprimerli non

appena

l'occasione, per tenue che sia, lo stimola.

Vanni Facci, nel quale ora ci s'imbatte, è una sorta di Capaneo degradato, in battaglia contro Dio e le leggi divine, allo stesso

modo che

contro

gli

uomini

e le leggi umane,,

avvoltolato nei vizi e nelle male passioni,

uomo

di

sangue

l' «

III.

INFERNO

97

^

e di corrucci, ladrone, irabestiato, superbo della stessa sua

somma

bestialitù («Son Vanni Facci Bestia e Pistoia mi degna tana...»), pronto a reagire alla parola con cui

fu

Dante ha dimostrato di «trista

ben conoscerlo, dipingendosi subito

di

vergogna»,

di rabbia, e scagliandogli contro

una

maligna profezia di sventura, che corona con un oltraggio

È un'immagine

alla diviniti.

odio,

ma

non

vile:

odiosa, e che Dante copre di

desta ancora qualche ammirazione, e Dante

stesso ripensa, innanzi a lui, al fulminato lato nella bolgia dei ladroni,

vedcmo uomini,

zioni, in cui si

dersi e cadere a terra in

uomini, e

rifarsi

che è

altri,

Capaneo.

la bolgia delle

morso

al

mucchio

il

cenere e da cenere

di

abbracciati dalle serpi, fondersi con

Non regna

senso del misteri.iso e prodigioso, né c'è vero sbigotti-

mento per

la terribilità di quei castighi divini. L'interesse è

commuove poco

trasportato dalla cosa, che per sé del

sta iso-

delle serpi, accen-

esse o da uomini farsi serpi e da serpi uomini.

qui

E

trasforma-

modo

poeta, al

scritti,

in tutti

di

dii'la,

loro p;irricol;iri e nei loro gradi, processi

i

paralleli e in reciproca efficacia, alla

affrontate e

l'anima

con cui sono de-

all'abilità

vinte

le

difficoltà

cano...

E

Cadmo

e d'Aretusa Ovidio... io

bravura con cui sono

dell'ris^unto.

attenda a udir quel ch'or

non

«Taccia Lu-

si

scocca;... Taccia di

lo

invidio»: esclama

il

poeta, consapevole del pezzo di bravura, che vien, di

e sé

come quei che non giova. Ma

domanda

poi gli

letteratura, di

«

Varrone; e Virgilio

Cecilio, di Plauto, di

lattar più ch'altri

mai

»,

e

di desiderio

Il

all'udir

cuore di Dante parlare di

cose, alla celebrazione della Poesia e del Poeta, del

che più dura e più onora

>:

che

«

le

e degli eroi e delle eroine che

Stazio aveva cantato nei suoi poemi.

gonfia d'amore

notizie

Terenzio

gliele dà, di essi e di altri ancora, e di quel greco

Muse

cioè

venne anche l'avviamento

poesia, gli

fede, alla beata sorte: «Facesti

di notte,

lui,

rapito, ascolta

poeti e degli eroi leggendari, dei quali

i

i

si

queste «

nom.e

nomi dei grandi

due s'intrattengono

IL

IV.

come «

125

»

che chiama

di persone familiari; quei loro discorsi,

ragioni

dolci

le

PURGATORIO

«

È

tare.

facile

»

introducono nei segreti del poe-

lo

,

avvertire la ricchezza di questa rappresen-

tazione a confronto del

sommario ragguaglio e del catalogo il medesimo motivo a prin-

onomastico, con cui è trattato

prima cantica.

cipio della

Dalla letteratura antica

poranea per

si

passa alla moderna e contem-

dei

tratti

solennità ammirativa

alla

e

alcuni

in

canti

per

succedendo

seguenti,

poesia

la

nella

sua idea,

poesia classica o tenuta classica, professioni di

la

fede, giudizi d'approvazione e riprovazione, atteggiamenti

Dante enuncia

polemici.

sua

nella «il

poesia

la

amorosa;

padre suo e digli

altri

teoria

alla

saluta

in

quale

Guido

si

attenne

Guinizelli,

com-

suoi migliori », che mai

ponessero dolci e leggiadre rime; asserisce la superiorità

Arnaldo Daniello sopra

di

tutti gli altri poeti e

romanzieri

nota la tramontata riputazione di rimatori in volgare

confermando, con

liano,

l'effetto

accaduto,

la

giustezza dei

giudizi suoi e dell'aver egli tenuto diversa via. Versi

masti

celebri

tutti

citati, nei

nella storia letteraria e

j

ita-

ri-

continuamente

quali l'importanza critica è rialzata dalla bellezza

epigrafica ed epigrammatica della forma.

Par che Dante fosse d'avviso che poeti, quando peccano, non peccano di basse o truci voglie e per malignità, i

ma

solo d'incontinenza e sensualità: Stazio era tra

dighi, Bonagiunta tra i

E

lussuriosi.

peccatacci

i

di

prammatica

e

i

pro-

Arnaldo sono tra

e

suoi

i

d'amore, e passare attraverso

fiamme: con qualche rossore, che è

Guido

anch'asso. Dante, deve ora purgare peceadigli

o

golosi.

non

si

din^bbe,

ma

di cuore, e al

le

con un rossore

quale non rispon-

dono vera vergogna, affanno, umiliazione: rossore da bambino còlto

nuovo, pur

mento

i

!

di

fallo, e

che forse sa che

nuovo ari'ossendo.

e d'atteggiamento

E

vi

si

farà cogliere di

con immagini

di senti-

bambinesche è rappresentato

il

suo

126

DANTE

PA

A

sottomettersi pauroso e riluttante

passaggio tra

che scottano, facendosi da chi l'ha curare, confortare, mostrare

pomo che

bel

il

le

fiamme

cura spingtTe, rassi-

in

gli si

darà in

dopo che avn\ compiuto quello sforzo: il pomo che meno «.'he il rivedere alfine la donna amata, Bea-

premio

ò né più né

angelicata quanto si voglia, ma pur sempre donna e donna amata. Malizia? Ironia? Sono parole che, a proposito di Dante, non si osa mai pronunziare, e che certo, pronuntrice,

ziate

modo troppo

in

ma

stonerebbero;

spiccato,

è

certo

altrettanto che la schiettezza dei suoi affetti, la spontaneità

dei suoi moti,

veracità sua di poeta

la

ribellano a ogni

si

preconcetto disegno e danno forma e figura alle più impensate situazioni, alle più delicate sfumature dell'anima, e ai loro contrasti, che sono anche, talvolta, alternanze di serio

e di giocoso. Nell'attrazione e tanti

attenzione a cosi vari spettacoli, a

cosi gradevoli

e

pensieri

discorsi, y^ar

e

che

si

sia

sentimento ammirante e godente, che alita

disperso quel

nei primi canti del Purgatorio, del viaggiare, della escur-

moncome quando

sione dilettosa pur nella fatica del salire una ripida

tagna; o esso si

risente solo in fuggevoli tratti,

si

montana

è innanzi alla

via deserta, nel «livido color della

pietraia », o si è feriti dai raggi

che tramonta, e si il

o,

rivede

sole,

il

«

serotini e lucenti

infine,

si

dopo aver attraversato

balzo del fumo,

contempla nel

cielo

come un secchione che

mento ritorna pieno dov'è

il

punto, e

si

gilata dai



vien

stendono

la

sui

pastore; e di

il

luna alouanto scema,

la

».

sommità

Ma

della

(iuel

senti-

montagna,

Paradiso terrestre. Virgilio e

sera



gradini là, di

travede poco del eielo. ma,

il

le

vapori umidi e spessi,

i

tutto arda

nel toccare la

luogo che fu già

Stazio e Dante

del sole

mani, o

con

sole che traluce debole attraverso

« fatta

»

costretti a tarsi solecchio

si

ti"a

in

sofF«^rmano a un certo

cme CjUi

greijire al riposo, vi-

rupi imminenti, s'in-

le l

lembo,

le

stelle

che

IV.

IL

«

PURGATORIO

splendono più grandi e chiare del del sole, e

viva

Dante

s'inoltra,

127

»

Destatosi al sorger

solito.

bramoso, nella «divina foresta spessa

».

Che cosa

questa selva amena, nella quale

è

appare una bella giovane donna, e scegliendo

da fiore? Non pochi

fior

al

poeta

che va cantando

sol'^tta,

critici

hanno preso

scandalo del colorito profano della pittura, e dei paragoni

con Proserpina e con Venere, come sconvenienti non solo al

pensiero generale del

poema dantesco, ma anche

a quella

situazione particolare. Senonché, in verità, non s'intende

come mai

abbiano aspettato fino a questo punto per

essi

provare tale scandalo,

quale assai

al

luoghi dei canti

altri

buona ragione, sempre che cerchi nella Commedia quel che non c'è e si voglia ri-

finora percorsi avrebbero dato si

fiutare quel che c'è: cosa che, per parte nostra, di

non

E

fare.

procuriamo

qui accetteremo semplicemente quella ven-

tina di terzine su Mitelda

più belle

— espressioni

comporre

in

come una

delle molte

— ma delle

della vaghezza che trae l'uomo a

immaginazione paesaggi incantevoli, animati da

incantevoli figure femminili. Tanti di questi giardini, boschetti,

selvette,

pratelli

e pastorelle e pulzellette belle e

coglienti Hoi'i e danzanti e cantanti

recente nella

lirica

comune motivo

e h» svolge,

f.>rnia di squisita

con grai

perfezione, in cui

il

della bellezza, dell'amore e del riso

magine («Di ridica

ìli

diletto, in

si

suoi mi

riva dritta, Traendo

ufficio

ulti.no

già

nella

il

una nuova

fascino della gioventù, esalta in

ogni im-

fece dono...»; «Ella pili

color con le sue

Cantando come donna innamorata...

«

pt^rché

altro;

compie dà

It-var gli occhi

dall'alti-a

mani... »;

erano avuti anche di

si

provenzale e italiana; e Dante ripiglia

»).

Non

c'è

seconda parte del canto Matilda

d'infnrmatrice (sebbene

il

«

corollaiio

»,

che

«per grazia», suoni comn una civettuola cor-

rezione e conferma insieme alle fantasie sull'età dell'oro

credute dai due poeti romani, sulle cui labbra

fiorisce,

a

LA POESIA DI DANTE

128

quelle spiegazioni, un riso), e poi è chiamata ad altri gravai uffici,

con

meno

più o

allegorici,

che non hanno nulla da vedere

generata e apparve la Dante ebbe diverse e maggiori ispiquel che importa è, che ebbe anche

Ih ispirazione poetica ond'ella fu

prima

volta. Si dirà che

ma

razioni di questa;

questa, e che questa è bella, della sua particolare bellezza

Anche quel

e leggiadria.

certo che di stilizzato che

nella rappresentazione del luogo

ameno,

si

avverte

ancora della

e più

bella donna, in ogni suo atto, passo e gesto, sta perfetta-

mente a posto il

in

questo quadro, che esprime per l'appunta

gradevole nel suo aspetto generico, come gradimento della

bella natura e della bella creatura femminile,

che

si

accrescono l'uno con

impressione ^lentre

l'altro e

si

due gradimenti

fondono

in

un'unica

di terrestre beatitudine.

poeta

il

cammina

a paro a paro con Matelda,

ode una melodia, vede nello scenario della foresta un fuoca acceso, e poi la melodia si

ai

discerne meglio quali

si fa

come

distinta

di sntte

vengono ventiquattro

come canto

e quel fuoco

candelabri ardenti, dietro

seniori,

a due a due, can-

tando. Passati questi, s'avanzano quattro animali ciascuno

con

sei

ale

tutto

occhi, e tra essi

un carro tirato da un donne danzano ci.il

grifone, aureo e bianco-vermiglio; e tre lato destro, l'una color

rosso,

l'altra smeraldo,

la

terza

bianco-neve, e dal lato sinistro quattro vestite di porpora^ delle quali, colei che le conduce, ha in fronte tre occhi.

A

questa pompa, seguono due vecchi, l'uno in abito di medico, l'altro

con una spada

aspetto, e infine

in

mano,

e poi altri quattro in umile

ancora uno che procede dormendo con

faccia arguta. Fermatasi la processione, tra fiori

appare sul cairo una donna velata

di



nube

di

bianco, cinta

manto verde e veste color fianima, Beati'ice, che parla a Dante e lo rimprovera e lo induce a conless;ire

d'oliva, in

i

suoi

falli

e a pentiisi e lo fa tuffare nel fiume deirobiio, nel

Lete, e poi gli

si

discopre.

La processione

riparte, Beatrice

IV.

scende dal carro,

IL

PURGATORIO

»

12i)

grifone Ioga questo a pie di

il

quale

dispogliata, la

«

si

rinnovella

tutta; e

Beatrice siede, circondata dalle sue donne.

A

un'aquila piomba dal cielo, rompe la scorza e

nuovi dell'albero e ferisce

fiori

una pianta

sotto di essa

un

tratto,

le foglie e

carro; al cui fondo

il

i

si

avventa una volpe, che Beatrice fuga, e l'aquila ridiscende e cosparge quel fondo con le sue penne: poi dalla terra sbuca un drago, che spezza e trae seco parte del carro e il resto si copre di gramigna. Indi questo rudere mette fuori tre teste con due corna e quattro con uno, diventa un mostro, e sopra

mostro

il

asside una meretrice, che un gigante ba-

si

guarda con

cia e sorveglia, e, poiché quella

pronti e glie

si

affisa nel poeta,

il

drudo

gli

occhi intorno

la flagella tutta, e scio-

mostro e fugge sovr'esso con quella per

il

la selva.

Beatrice annunzia allora a Dante la venuta di un messo

Dio che ucciderà

di

che con

lei

i

due empì,

Queste scene degli ultimi

dramma

avvicinate a un e

presentazioni, gli

atti

che

meretrice e

Ccinti

il

gigante

del Purgatorio sono state

liturgico o a

ravvicinamento ha del vero.

il

la

delinque.

Ma

un auto sacramentai^ codesta sorta di rap-

mirabili e strane figure che vi compaiono,

le

vi

si

compiono,

gli

eventi che vi accadono,

servono, colpendo l'immaginazione, a fermare l'attenzione

perché la niente accolga un insegnamento o un ammoni-

mento, che è poi

illustrato dalle scritte

le fijfure, o dai discorsi che loro

pongono

in bocca, o dalle

come in un libretto espliLe immagini, dunque, non hanno in tal caso diretto

spiegazioni che cativo.

si

che accompagnana

si

valore di poesia,

offrono quasi

ma

sono segni e mezzi per altra cosa: a

un dipresso come ancor oggi (lasciando stare che ancora oggi sacre

si

rivedono nelle feste dei paeselli residui e tracce di rappresentazioni)

si

usa

negli

abecedarì

illustrati

per bambini, dove una vistosa figura sta a lato di ogni lettera, e, attirando la curiosità, B. Croce,

Li

potsia di Dante,



il

modo

di far "leggere 9

*'M

LA POESIA DI DANTE

130

spiegazione manca, quando mancano ciò che

setti,

E quando

e ben imprimerla nella memoria.

la lettera

si

le scritte

e

i

la

discor-

vede è una semplice mascherata ossia una

sequela d'immagini bizzarre,

tra

loro

incoerenti

o

poco

coerenti, senza ;ilcun significato né intrinseco né estrinseco.

Nel caso presente, 1

di

a

si

Dante

spiegazione manca, cioè

stesso; e al pensiero di quella

può bensì indicare

l\,della (la

e

la

il

all'

commento

incirca o nel complesso (la storia

Chiesa), e anche veder chiaro in alcuni particolari

meretrice e

il

romana

gigante, che significano la Chiesa

re di Francia),

ma

è

vana pretesa determinarlo

parte (agli occhi di Beatrice, sopra lui «

il

rappresentazione

fissi, il

in ogni

grifone raggia

or con uni or con altri reggimenti »: vorrà dire che la teo-

in Gesù, or lo considera come Dio, ora come uomo; o che cos'altro?); sicché parrebbe doversi concludere, come in effetto alcuni critici concludono, che questa roba, logia, fissa

che ora Dante

offre, sta tra l'allegoria

Ma

mascherata.

se

il

impoetica e l'impoetica

ravvicinamento

e agli autos sacrarne ntales

ai

drammi

ha del vero, non

è

liturgici

vero intera-

mente, e anzi non è punto vero nella sostanza; perché qui il

poeta non compone esso,

ma

ziale) rifa e imita gli effetti di ;

gli

accade d'assistere In altri termini,

materia;

e,

il

e di

(e

la

differenza

un dramma

è sostan-

liturgico, a cui

prender parte.

dramma

liturgico è qui abbassato a

oscuro o no che sia nel suo significato riposto,

o in parte oscuro e in parte chiaro, quel che predomina è il

sentire del poeta, che vede svolgersi dinanzi agli occhi

alcune delle tante immagini, gravide di misterioso significato,

a cui

la letteratura biblica

e cristiana e l'arte sacra

avevano adusato gli spiriti. Donde la particolare poesia che si sente e si gode in questa parte del poema, la quale si sottrae alla frigidità dell'allegorismo, perché

ma

non serve

al-

presuppone e se ne serve. Allegorica e impoetica sarà una pittura che non ha il suo motivo in sé l'allegoria,

la

IL

IV,

Stessa,

mente

ma

in

fissato;

pittura, che

più impoetica, né allegorica, un'altra

prima a sua materia

la

pressione, che essa ha suscitata

qui espressamente

131

>

pensieri di cui è segno convenzionai-

certi

ma non

prenda

PURGATORIO

«

nell'artista.

sue fonti e

le

e ritragga l'im-/

Dante richiama

suoi autori:

i

«Ma

Dante ammira, da

Ezechiel... Giovanni è meco...»;

svolgono innanzi

leggi

Non che Roma

parvenze che

di

carro cosi bello Rallegrasse Africano ovvero Augusto,

Ma

quel del Sol saria pover con elio

colori

Da

e

di

suoni

:

«

tutte parti per la

Ed

ecco un

gran

»

«

:

-,

artista,

le

gli si

i Ij

e le circonfonde di

;

lustro subito

trascorse

Ed una melodia dolce

foresta..

correva Per l'aer luminoso...».

Su questa decorazione littica si svolge,

interpetri,

se

il

provenienza

di

e fattura apoca-

com' è stato concordemente avvertito dagli

dramma umano;

ossia, in

ne trova un'altra, a intender

mezzo a questa

poesia,

quale bisogna altresì

la

prescindere da ogni significato allegorico, e dimeuticarCj quello che Beatrice allegoricamente

poeta a un tratto non

Ragione umana

si

Come

Virgilio che

il'

trova più a fianco, non è qui la

ma

o altra tal cosa,

e noi abbiamo avuto cui figura

si

è.

compagno

e

quel Virgilio che egli

guida nel viaggio, e la

lega a tutte le impressioni e commozioni finora

provate, ond'egli e noi sentiamo uno schianto allorché ci

avvediamo che è trice è

sparito,

che l'abbiamo perduto; cosi Bea-

semplicemente la donna amata nella prima giovinezza,

l'ideale intorno a cui e in cui tutti, di

si

sono esaltati

generosità, di vita pura, di felicità, di affetto e bontà,

di nobile operosità, di sublime religione. si

gli altri ideali

E

poi quell'ideale

è distaccato da noi, fortuna o morte o nostra colpa

ce

l'ha tolto, e la vita nostra è corsa dietro ad altri ideali,

angusti, inferiori, mutevoli, inseguentisi; spinta a essi da

impulsi che via via

veemente, soggiacendo

a cui

valere in

modo

alle contingenze, alla società in

mezzo

si

sono svolti e

ci si è trovati, ai casi

che

ci

fatti

hanno avviluppati,

alla

1

LA POESIA

132 logica

passioni

delle

quando quando

che

DANTE

DI

ha trascinati. Ed ecco che

ci

nausea e

rimorso

la

sazietà e la

ci

sentiamo avvelenati dei veleni che

il

stessa febbrile azione e passione ha prodotti,

ne siamo

e

sviati

lontani, quell'ideale

ha

ci

presi,

nostra

la

quando più

torna innanzi:

ci

noi mutati e stanchi, esso immutato, anzi fatto più bello e

vivo e raggiante nel tempo che è trascorso e per effetto

ormni tra noi ed

della distanza che è

sciamo e chiniamo

il

Noi

esso.

lo ricono-

volto tra dolore e vergogna; esso ci

riconosce, ci rimprovera,

compatisce, e

ci

si

appresta a con-

fortarci e a sorreggerci, perché pur

si

perché fu nostro e nostro ancora

prova in quella stessa

si

sente a noi legato,

nostra ambascia, in quella vergogna, in quello smarrimento, in cui ci

vede immersi e brancolanti.

Poiché

come non

situazione è divenuta affatto diversa, Beatrice,

la

non è nemmeno

è qui un'allegoria, cosi

rime giovanili e del giovanile libro

trice delle

di

la

Bea-

devozione:

un personaggio che ha in sé la storia dell'antica Beatrice, ha in sé un passato che, con la costanza del nome, le con-

è

ma

ferisce un'aureola di ricordi,

è nuova, solenne, severa,

sapiente, consapevole, e pure amorevole.

può riamarla

modo

ma ormai

quei cuori, è

nel

di

prima, cosi ella non può amarlo

come prima: l'amore

e guardarlo

Come Dante non

è certamente in entrambi

diversamente intonato: Dante

affatto

come un suddito innanzi a

colei

che

amò

in

che ora è diventata una regina; nel suo amore os?»r di

amare, pur amando, c'è

gioventù e ci

è

il

non

coscienza del suo minor

la

uomo che ama, e, al tempo traviato; lo ama ed è insieme

valore: Beatrice ha davanti un stesso,

un

figliuolo debole e

materna, materna nella cura che di nel cipiglio

con

lei,

più

che

gli

belli

mostra. Tutti

i

lui

prende, materna

sogni giovanili tornano

che prima non fossero; tornano

in quel-

l'apparizione fulgente e maestosa, velata e pur riconosciuta

attraverso

il

bianco velo; e

il

primo momento è quello del-

IV.

IL

«

PURGATORIO

133

»

r inflitto rimprovero (un rimprovero che stessa

prima die nel

è nella presenza

detto), e della contrazione dolorosa; fla-

compatimento distende quella contrazione, liquefa quel dolore e le lacrime sgorgano benefiche e tutto l'essere s'abbandona alla dolce amorevolezza di

ché una parola altrui

quegli istanti.

Il

di

secondo momento è più pacato, è quello

della rimemorazione, in cui ripassano le speranze e

e buone prove d' un tempo,

e,

a contrasto,

il

promesse

traviamento ac-

caduto, che non fu però tale da annullare ciò che era primitiva e naturale disposizione, ciò che rivivrà e già rivive in quell'atto.

Il

terzo

timida, balbettata, sulla rozzezza

con

momento provoca e ottiene la confessione, come di chi rifugge dal fermare la mente

vergognosa del peccato commesso; e

tante commozioni,

si

chiude

acuta del rimorso che l'uomo scosso da

la trafittura cosi

,

sviene,

e,

cosi svenuto,

è

tuffato dal-

l'amica di Beatrice nella pura onda del fiume dell'oblio. po' dopo,

quando Dante ha

ha udito da Beatrice

la profezia e

ricevuta la propria mis-

sione, ritornandosi col discorso sul suo straniamento

e non rammentando Dante egli si sia

di alcun

mai reso colpevole,

e

male o errore

da

lei

di cui

dicendo ciò candidamente.

Beatrice può alfine sorridergli, guardandolo benigna, e spondergli:

Un

assistito al mistero del carro, e

— Se tu non te ne rammenti, vorrai

mentarti che hai bevuto l'acqua del Lete!

ri-

almeno ram-

V IL

wueste

*

PARADISO».

figure e queste scene, affettuose, tenere, malinco-

vanno dileguando,

niche, grazioso,

fatto, nella terza cantica,

o presto spariscono af-

nella terza e ultima

grande rac-

colta di liriche della maturità di Dante.

Beatrice adempie ora le parti di Virgilio, fa da guida,

da informatrice, da interpetre. Dante l'ha ritrovata e subito dopo r ha riperduta in quanto ideale ed espressione del suo cuore: il dramma dell'amore tace innanzi al gran compito di salire con

di stella in stella, e tutto

lei

udire e apprendere.

qua

e là

Ma non

non risorga

o baleni. Beatrice, nel suo insegnare

e dimostrare, è sentita talvolta

che ha compiuto e

il

premio,

e fa

il

vedere e tutto

tace sino al punto che l'affetto

come una

sorella maggiore,

corso degli studi e ottenuto

scuola al minor fratello,

il

il

diploma

quale è ancora

assai indietro ed erra in incertezze ed è irretito e tormentato

da dubbi, da pregiudizi e da

falsi concetti, e talvolta le

dice grosse. Al che ella risponde, volgendoglisi ciul deliro, ora «

pueril coto

»

,

come a

fan-

con sopportazione, ora con sorriso pel suo per

mente prendendo a

il

suo pensare fanciullesco, e paziente-

istruirlo.

lezza, è la dolce guida,

Ed

è bellissima, radiosa di bel-

«che sorridendo ardea negli occhi

LA POESIA DI DANTE

136

che rivolge pur sempre «ver

santi», e

contemplarla è gioia e rapimento.

Ed

lo cielo

viso»:

il

ella lo sa e talvolta

«Vincendo me col lume d'un sorriso, Ella mi disse: —Volgiti ed ascolta, Che non pur nei miei occhi è paradiso » Tal'altra volta assiste

se ne compiace, con grazia femminile:

.

ai misteri celesti e alle manifestazioni dello

come donna

proprio

danza:

al cielo

che

cosparge

prorompere l'invettiva impallidisce,

«

carne e nervi, con femminea trepi-

di

si

sdegno divino,

mentre

di color rosso

di san Pietro, ella si

sta per

cangia in volto,

...come donna onesta, che permane Di sé

cura, e per l'altrui fallanza, Pure ascoltando, timida

si-

fané

».

Alla fine, dal fianco di Dante vola rapida a riprendere

il

suo seggio tra Dio, »•

e,

«

che

si

i

si

beati; ed egli la rivedi"^ cinta della luce di

facea corona Riflettendo da sé gli eterni rai»,

un'orazione di ringraziamento e di preghiera;

le innalza

cosi lontana, ella sorride ancora e lo riguarda, e poi

rituffa

Dio: «Poi

in

si

si

tornò all'eterna fontana». T/idea

mistica, che nella lirica dello

stil

novo rimaneva

ciale o astratta, qui si attua poeticamente, e

si

superfi-

coglie dav-

ll

vero l'elevazione e lettuale,

dal

dell'altro e

il

trapasso dall'amor sensibile all'intel-

terreno al celeste,

l'uno semplice annunzio

che è negato nell'altro e muore

in esso,

inviando

un ultimo suo raggio.

Ancora delle

figure

al principio della cantica ci si fa

che appartengono

alla

innanzi taluna

famiglia di quelle del

Purgatorio: Piccarda, la sorella di Forese, che Dante aveva

avuta fraternamente cara, come una fragile creatura di bontà e

di

sventura, divelta e trascinata nella tempesta

delle passioni politiche ; Graziano,

il

foro»; Orosio,

Augustin

tino

avvocato dei tempi

!'« si

d'entro alle leggi trasse

«

provvide»;

Sigieri,

calavrese abate,

«

di

spirito che,

gelista Giovanni, quegli che

»

si

la-

«in

Gioachino,

;

profetico dotato

spirito

copo, «il barone Per cui laggiù

san Ia-

»;

visita Galizia»; l'evan-

«giacque sopra

stro Pellicano» e d'in su la croce fu «eletto al l'alto

troppo

Del cui

cristiani,

uno

pensieri Gravi, a morir gli parve venir tardo il

il

dottore che «aiutò l'uno e l'altro

il

petto Del no-

il

grande

uffizio»;

Arrigo, l'imperatore che «a drizzare Italia, Verrà in

prima ch'ella

sia

disposta». Quando, in rari casi,

come

in

quello dei due santi di recente efficacia storica, san Fran-

cesco e san Domenico, l'encomio e

andamento

pito che è

si

amplia, esso prende forma

di panegirico: panegirico recitato cielo,

il

da sacri oratori quali san

da un pul-

Tommaso

e

san Bonaventura.

Nel loro genere, questi due rifacimenti

sono due capolavori;

ma non

di panegirici

bisogna cercarvi più che

il

genere non comporti, più che l'intonazione del pio encomio

non permetta, e bisogna accettare richiede.

Comincia quello

preambolo che dichiara

di

il

gli

artifici

san Francesco,

significato generale

che esso

— dopo

un

deirufficio

assegnato dalla Provvidenza a quei due santi e che propone

l'argomento particolare,

nacque monte tra i cui

il



fiumicelli

cui di rado ricorre

il

con

la

descrizione del luogo in

che pende dall'alto Tupino e Chiascio: procedimento a fertile costa

santo, la

poeta nelle altre cantiche e qui assai

spesso, ed è dettato talvolta dal bisogno dell'informazione storica,

ma

più ancora dall'altro dell'abbellimento alquanto

estrinseco e oratorio. è

La

metaforeggiata come

un Oriente. E

la

il

nascita dell'eroe su quella costa

sorgere del sole, e Assisi

metafora continua ancora per un

come tratto,

LA POESIA DI DANTE

148

ma

poi

si

tramuta in quella

di

un giovinetto

ch.

Le risposte

bravo ragazzo sono una per una approvate e lodate

non

beati

i

beato, non

è

partecipa alla loro felicità»; lamentava l'importanza data (lai

commentatori

alla fisica, metafisica e teologia di

tutte cattive nel loro genere, e alle allegorie,

che l'autore non

•lignificati

aveva

vi

con

posti,

Dante,

lo scoprirvi

laddove «le

grandi facoltà della sua immaginazione e la forza incomparabile del suo

non furono né ammirate né imitate

stile,

»;

e faceva molte osservazioni sul carattere delle metafore e

comparazioni, sul figurazioni

mente che nel Milton, che

al

determinato e misurato che è nelle

finito e

Dante, per esempio nel Lucifero,

di

Macaulay pareva

della specie più antica e colossale,

informata non allo spirito

Omero

quello di

diversa-

particolarmente, sulla mitologia,

e,

danteschi sono (egli diceva)

ma

Ovidio e di Claudiano,

di

e di Eschilo; «

a

Minosse, Caronte e Plutone

i

assolutamente spaventevoli

»

nomi classici nell'Inferno « insinua nella mente un'idea vaga e tremenda di qualche rivelazione misteriosa, e l'uso dei

a ogni storia scritta,

anteriore

potevano essere

i

cui

stati "conservati tra le

Dante scemi

il

di forze e

possente nel dipingere la felicità che

con

espressiva feriva

poeta

al

la

meno che

scolastica,

ma

i

con

Ma

vi il

il

rara

Paradiso

più pure e più nuove

ri-

capacità

Coleridge pre-

Fauriel,

ammettendo le

sono incontestabilmente nelle altre duecantiche; il e quelle del Paradiso

il

aveva potuto mettere

grandi bellezze ({qW Inferno, affermava che

«

Villemain

l'Inferno, e costrettolo a

tuttavia fredda e noiosa; e

molto più di vita terrena.

Il

umana meno

patimenti,

esposta bensì

V Inferno, perché Dante

credeva

re-

vada svanendo nel passare dall'In-

stimava ancora che, essendo l'imperfezione

farsi

su-

tradizionale giudizio che la poesia di

ferno al Purgatorio e dal Purgatorio al Paradiso.

avesse dato

le

Anche cominciò a

perstizioni di religioni più recenti».

vocarsi in dubbio

frammenti dispersi imposture e

le bellezze del

meno continove ma

pili

le

più grandi

Tommaseo Purgatorio,

intense

e,

dopo

LA PuESIA DI DANTE

190

che

la Bibbia, le pili alte

siano cantate mai»; lo Shelley

si

teneva poema più bello, di quello e coi

«

più acuti

la graduatoria

Paradiso;

critici >

il

Puryatorio,

volgare e farla ascendente di'àW Inferno al

Carlyle toccò

il

Inferiio,

ù.e.\V

giudicava che bisognasse invertire

punto giusto quando, nel

il

chiararsi in disaccordo con molta parte della critica

manifestava l'avviso che

sulla preferenza data SiW Inferno, ciò dipendesse dal

di-

moderna

nostro generale byronismo nel gusto,

*

«he sembra essere un sentimento transitorio ». Il motivo critico dei due Danti e della dualità della Commedia, che al Bouterweck si era presentato come una distinzione e diversità tra

e ad altri,

meno

teologo e

il

il

il

«

sistema

esattamente,

Dante poeta,

problema centrale della

se

non

a siffatto problema, nessuno tanto le

poema,

contrasto traJl^Dante

costituisce propriamente

critica dantesca, è

problema preliminare, che questa cesco de Sanctis,

e la poesia del

»

come un

si si

certamente

il

trova innanzi. Intorno travagliò quanto Fran-

cui meditazioni su

Dante cominciarono

nelle lezioni napoletane del 1842-43, proseguirono nelle con-

ferenze torinesi del 1854-55 e in un libro non condotto a

termine su Dante, e furono messe in istampa nei saggi sui principali

Commedia,

episodi dell' In ferno e nel lungo

capitolo

sulla

inserito nella Storia della letteratura del 1869-70,

estratti compilati

innanzi, che,

indagini del

sul

manoscritto del libro di dieci anni

come ora si è detto, non fu mai compiuto ^ Le De Sanctis su questo argomento non giunsero,

dunque, mai a piena maturità e furono piuttosto arrestate che concluse; e ciò giova tener presente per quello che

si

osser-

verà. Invero, la soluzione che egli dette del problema della

dualità forse

non fu molto

felice,

perché

il

rapporto dei

due Danti, variamente atteggiato dai suoi predecessori,

^

B. Croce, Gli

1917), p. 30.

scritti

fu

di F. de Sanctis e la loro vaì'ia fortuna (Bari,

APPENDICE

da

lui

concepito

come anche

come

191

quello tra allegorismo e poesia

(o,

laddove esso

tra cielo e terra),

talvolta disse,

era effettivamente e propriamente (come bene aveva visto

Bouterweck) dualità,

o intravisto

il

struttura

poesia.

Dante

e

Egli

sublime ignorante

«

»

si

era prefisso,

e

sarebbe riuscita l'autore e

« il

bella

era, si ribellava

alle intenzioni

menzogna

»

,

contemporanei

»

Commedia malgrado

.

trasto tra la realtà della poesia e le teorie di

ma non

la

arte,

onde

Medioevo realizzato come i

che

lasciava soverchiare da

La quale nostra immaginazione come simbolo

malgrado

essere nella

inconsapevolmente

«

un

ignaro della sua vera grandezza,

all' allegorismo, e si

quella che chiamava

di

dissidio,

conseguenza,

gran poeta qual

illogico nel suo fare, che,

involontariamente

,

talora

e

per

descrisse,

lotta

può

del con-

Dante

critico,

era in Dante poeta, che di solito lasciava l'allegoria

nell'esterno e altra volta interrompeva la poesia per soddisfare propositi allegorizzanti, siti

lità di

De

e,

soddisfatti questi propo-

e riposando sulle sue teorie, creava con lieta tranquil-

poeta. Malgrado quella dubbia spiegazione teorica,

il

Sanctis era tuttavia animato dalla sana tendenza, propria

dei critici romantici, a sciogliere

il

Dante poeta dalla con-

fusione col Dante teologo, filosofo e pratico, e a considerarlo

per

sé, e

mente merito

la

a svalutare l'allegoria, sebbene non definisse esatta-

natura di questo procedimento espressivo. Maggior

gli si

deve in questa parte riconoscere,

di altri critici romantici,

i

quali, nel

.a

paragone

compiere l'anzidetta

liberazione della poesia dalla non poesia, gettavano via l'ele-

mento

come impoetico

religioso e mistico

quello politico e storico.

11

e

serbavano solo

tedesco Vischer, per esempio,

contemporaneo e collega del De Sanctis, ripetendo, nella sua Estetica, il concetto dello Hegel circa la Commedia, che sa« epopea religiosa » accusava nella forma dell'opera una contradizione con l'essenza del poema epico, che richiede

rebbe

un mondo reale

,

e

umano,

e giudicava poetiche le sole parti

LA POESIA

192

«Storiche»

';

e

DI

DANTE

critico italiano, invece, rifiutando la re-

il

ligiosità allegorica,

non chiuse

gli

occhi alla

concreta, in figure tradizionali e familiari

\J

»,

«

religiositA

che è nel poema,

^ ed è poesia»"-. E analizzò come Un allora nessun altro aveva saputo, e fece sentire nella loi'o poetica bellezza, [i

canti di Francesca, di Farinata, di Ugolino, di Pier della

Vigna, e anche alcune parti del Purgatorio e del Paradiso, sorpassando non le «

un tici

bellezze di

libro

il

meno

Dante

modo umanistico

il

(sul

»

sminuzzare

di

qual argomento aveva composto

Cesari), che quello aforistico e generico dei cri-

romantici, dei quali solo

il

Fauriel aveva tentato l'esame

Commedia.

particolare di episodi della

Per l'importanza grande

di tali

sue trattazioni, che sono

da considerare nella storia degli studi su Dante vera pietra miliare,

bisogna tuttavia avvertire che ciò che abbiamo

notato in genere, nell'introduzione, sui limiti e sui difetti delia estetica idealistica e della critica romantica,

rife-

si

modo precipuo, e honoris causa, alla critica dandel De Sanctis. Quando egli meditava sull'argomento,

risce in

tesca

risentiva forte gl'influssi letterari del romanticismo e quelli filosofici dell'estetica

del tutto,

hegeliana, dei quali non

critico alcune correzioni in senso

ristico»,

certo

si

mai

liberò

sebbene introducesse in séguito nel suo sistema cioè altresì

modo,

all'ideale

come «byronismo»,

che potrebbe

dirsi

«

ve-

romantico. Si atteneva, dunque, in

che

alla

il

aveva denunziato

Cari vie

poesia

di

passione violenta; a;

ò

perciò V Inferno gli pareva più poetico delle altre due e anti-v che, perché la vita terrena vi

quale, essendo

1

2

è,

De

a suo dire, riprodotta tale e

peccato ancor vivo e

Aesthelik, III, sez. II, § 878, e

posito del scritti

il

la terra

per una conversazione in pro-

Sanctis col Vischer, Crock, Saggio

sullo

di storia della filosofia (Bari, 1913;, pp. 393-94.

Storia della

lelter.

ital..

ancora pre-

ed. Croce, I. 167.

Hegel

e

altri

/

APPENDICE

193

sente ai dannati, laddove, salendo agli altri due regni,

si

va

dagli individui alla specie e dalla specie al genei'e, e l'arte si

povera e monotona,

fa

la bellezza

e

i

personaggi del Purgatorio hanno

ma anche la monotonia

appassionati, non più, storici, possenti

come

della calma,

non

agitati e

grandi individui

nell' Inferno,

creature della fantasia. Le grandi figure poe-

tiche di

Dante sono, a suo avviso, tra gl'incontinenti e

violenti,

dov'è

mondo

il

i

della tragedia e dell'epopea, Fran-

cesca e Farinata; e giudica che Francesca è poetica perché jìeccatrice,

e

che

poesia della donna è nella debolezza,

hi

man mano

nell'abbandono, nel peccare, e che,

scende nell'Inferno, scemando perviene

vizio, si il

che

di-

si

passione, prevalendo

la

il

bello negativo, al brutto, alla prosa,

al

cui valore artistico è riposto soltanto nella reazione sog-

gettiva e nella comicità. Per conseguenza, le figure di Dante,

rapidamente disegnate nei loro

vano accenni nire,

che aspettasse

dalla letteratura

tratti

salienti, gli

sembra-

qualcosa che dovesse svolgersi nell'avve-

di

la

sua piena vita dallo Shakespeare e

moderna

in genere, e, per sé prese, ancora

involute, troppo semplici, troppo sommarie, con alcunché di astratto ed

immobile

*.

Si

atteneva altresì al concetto realistico

della rappresentazione artistica, e stimava rappresentabile e

bene rappresentato l'Inferno, che stesso della realtà in

mezzo a cui

stiano la vita degli altri due realtà,

poeta coglie

trova

»

,

«

laddove

nel vivo «

pel cri-

mondi non ha riscontro

nella

ed è di pura fantasia, cavata dall'astratto del dovere

e del concetto », e

ma

si

il

Paradiso, intraveduto, può essere arte,

il

come semplice «canto lirico », contenente «la vaga aspirazione dell'anima a non so che divino », e non già come « rappresentazione » non essendo possibile la « descrizione solo

,

1

Oltre la chiusa del cap. sulla Conimedia nella /Storia della

ratura e

i

saggi su Francesca, Farinata e Ugolino,

cfr.

lette-

un luogo de-

gli Sfritti vari, ed. Croce, 1, 300-302 n.

B. Crock,

La poesia

di Dente.

13

1/

LA POESIA DI DANTE

194

di cosa che è al disopra della

forma». Considerava anche,

alquanto materialmente, l'oltremoiido e

come materia

signata,

come materia

poetica, in cui c'è bensì vita,

ma

«

che sono

i

meno immo-

vita oltrepassata e

bilizzata, perfezionata dal giudizio divino,

e senza libertà,

Inferno

stesso

lo

in sé stessa più o

due grandi

senza accidente

fattori della vita reale

come s'è detto, lo trattava, nel riguardo estetico, quasi un graduale scemare di poesia. Nel che ora gli accadeva di doversi contradire, come quando, nel mezzo

e dell'arte

della

«

prosa

Ugolino

e,

»,

»

di

Malebolge,

gli si

leva agli occhi

tragico

il

l'eroico Ulisse (che egli, per trarsi d'impaccio,

«ra costretto a chiamare

« il

grand'uomo

solitario di Male-

bolge»!); e talvolta era spinto a commisurare

il

modo

di rap-

presentazione, che è nelle scene di alcune di queste bolge (dei barattieri e dei falsari), a

un

astratto modello di comi-

e a censurare Dante quasi avesse dato in quei luoghi

cità,

un comico

sforzato e freddo, laddove ciò che

Dante

vi

ha

messo risponde a un particolare tono di sentimento, e quelle scene sono quali debbono essere, per chi le colga nell'animo di Dante. Del pari,

non c'è nessuna ragione, innanzi al sianime al lido del Purgatorio,

lente angelo che trasporta le

ma

di notare che quella figura è «molto per la pittura,

per

la

poesia», e che in essa

«

manca

la parola,

poco

manca

la

corpo dell'angelo, non c'è l'angelo». La

personalità, c'è

il

conseguenza

questo estetico realismo o verismo rinverga

di

con quella dell'arbitrario ideale della passione violenta, perché, lasciando sperdere la soggettività e l'individualità della

poesia (ossia

il

carattere lirico che le è proprio e che ne de-

termina ogni parte), finisce per concepire tesca

come un lavoro imperfettamente

la

poesia dan-

eseguito, rispetto a

una supposta piena rappresentazione della umana realtà, che jdtri (per esempio, Shakespeare, Goethe o Schiller) porterà pili

avanti e altri ancora (per esempio, Ariosto, Tasso, Alfieri)

avranno

il

demerito di non saper portare più avanti, e anzi di

APPENDICE

iy5

portare indietro, dando personaggi più o

Donde anche

rici.

Silvio Pellico,

il

la

meno astratti e geneDe Sanctis che a

strana meraviglia del

quale nella Francesca di Dante possedeva

si grande fonte poetica e

il

modello

di

tante finezze e delicatezze di sentimento

penna

«

una Francesca

lana»: quasi che

il

tutta

»

«

tante sfumature,

,

fosse uscita dalla

d'un pezzo e

grosso-

cosi

Pellico potesse creare altra Francesca

da quella che l'animo suo sentimentale ed enfatico, e

la

scarsa fantasia, gli concedevano. Codesti vizi del sistema, si

potrebbero additare, non

De

Sanctis di solito sentisse

dei quali parecchie altre tracce

impedivano certamente che e

giudicasse

il

poesia di Dante nella sua vera natura;

la

sicché, se mai, egli, assai più propriamente che Dante,

me-

riterebbe di essere, in questa parte, lodato di felix culpa, di

benefica incoerenza e illogicità.

In ogni caso, ciò che

che

il

lavoro del

De

si

è venuto osservando dimostra

Sanctis su Dante, se poteva operare da

non era una conclusione, nemmeno

efficace stimolo mentale,

come soluzione di certi come conclusione provviso-

nel senso ristretto di questa parola,

determinati problemi e perciò ria: esso

apriva o rendeva acuti quasi più problemi che non

chiudesse o placasse. Invece, dopo di

lui,

nonostante che

ammirate (ma piuttosto come arte

in Italia fossero molto

che come scienza) alcune sue pagine su personaggi ed episodi danteschi, le menti

perché, com'è noto, degli studi

storici

si

entrò allora nel periodo filologistico

e letterari,

naturalismo e positivismo telligenza altri

per

efl'etti

le

distornarono da quei problemi,

si

creazioni

una sorta

di

corrispondente al generale

filosofico. Il quale, nella

spinituali,

sua inin-

producendo

ottusità crìtica, ridette

tra il

gli

primo

posto alle questioni allegoriche e strutturali, specialmente

a quella gran parte di esse che erano arbitrarie e insolubili. Negli antichi commentatori, intenti

con cui

si

tali

questioni rispondevano agli

leggeva e spiegava

il

poema

di

Dante

(si

V

LA POESIA DI DANTE

196

spiegava, talvolta, anche nelle chiese); e era, sovente, in

non

un' interpetrazione

pia. Della qual di

modo conforme cosa

si

loro allegorism

il

medievale

alla tradizione

ma una

critica,

interpetrazion

trova conferma nell'atteggiaraent

una nobile anima che,

pieno secolo decimonono,

in

ri

senti quei bisogni di pietà e di edificazione, lo Schlossei

e

che ingenuamente professò non

ma

su Dante,

more

solo

comunicare

«

dare

voler

erudizior

devote meditazioni

sull'ai

e sulla vita, sulla perfetta saggezza e suU' interiore cor

templazione, e considerazioni sull'essenza divina e sull'in

timo legame di tutte

le

cose del

mondo

»

e

',

lamentò eh

«ammirazione per la poesia» troppo avesse fatto dimenti care gli «antichi commentatori», e volle tornare a questi, 1'

soprattutto «

al

grandezza

Landino

e sublimità

cazione religiosa

si

e al Vellutello, nei »

.

Anche quando

come

quali trovav

bisogno di edif

sostituì l'altro dell'edificazione civile

patriottica, quelle questioni,

sentimentalmente poste

risolute, ritennero sovente

ginosameute

al

e

imma

importanza pratica

può osservare nella letteratura dantesca del Eisoi

si

gimento nazionale, nel Rossetti, nel Gioberti, nel Tommasec nel Balbo, nel Rosmini, e in altri molti. Giuseppe Mazzini

preludendo all'edizione della Co7nmerf/a illustrata dal Foscok scriveva:

verso e

saremo

la

«

Oggi, pigmei, non intendiamo di Dante che

fatti piìi

gigantesche

andremo terra ove

ma un

prepotente immaginazione;

degni di

ch'egli

tutti in

lui,

stampò

:

quand alle orm

giorno,

guardando indietro

sulle vie del pensiero sociale

pellegrinaggio a Ravenna, a trarre dall

dormono

le

sue ossa

gli

auspici delle sorti futur

e le forze necessarie a mantenerci su quell'altezza ch'egli fin dal

decimoquarto secolo, additava

a' suoi fratelli di pa

tria». Senonché nei nuovi interpetri, aridi Letterati, grani matici e filologi ed eruditi, codesti motivi religiosi, politic

1

F. Ch. Schi.osser, Daiite-StiKÌie» (Leipzif^,

1B55,).

APPENDICE

mancavano

e umanitari

197

mancano:

e

sicché, salvo rari casi,

loro ermeneutiche immag-inazioni non importano

le

che oziosità morale continuano patrioti,

tradizione,

la

ma

delle frigide

centesche, e riescono

cone,

«

non delle anime pie o dei fervidi accademie cinquecentesche e se-

tutt'

come avrebbe detto BaNon starò a racco-

insieme,

fantastici, litigiosi e ostentatori ».

un saggio

gliere

altro

e acrisia mentale, ed essi ripigliano e

o florilegio delle loro predilette questioni

e delle discordanti e svariatissime soluzioni che ne propon-

gono (il «grave problema», come lo chiamano, del « pie fermo », l'altro delle « tre tìere », quello del «cinquecento dieci e cinque », e simili), perchè la voglia che a ciò pò--

irebbe indurre di ridere e far ridere sarebbe qui dantesca-

mente rimproverabile come «bassa voglia»; senza povertà spirituale

la

dantisti

«

e si

»

si

ripugnanza prova

alla

e

dire che

l'impotenza intellettuale di codesti

dimostrano atte più veramente a destar fastidio

un penoso sentimento, simile a quello che 11 dantista», che non

e

vista di un'infermità.