Il sogno cento anni dopo 885753829X, 9788857538297

Dal secolo scorso a oggi moltissime cose sono mutate nel mondo, nella società, nelle forme del disagio psichico, nel mod

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Il sogno cento anni dopo
 885753829X, 9788857538297

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IL SOGNO CENTO ANNI DOPO A CURA DI STEFANO BOLOGNINI

� MIMESIS l FRONTIERE DELLA PSICHE

MIMESIS EDIZIONI (Milano- Udine) www.mimesisedizioni .it [email protected] Collana: Frontiere della psiche, n. 76 Isbn: 9788857538297

© 2016- MIM EDIZIONI SRL Via Monfalcone, 17l 19 - 20099 Sesto San Giovanni (MI) Phone: +39 02 24861657 l 24416383 Fax: +39 02 89403935

Indice

Gli autori Prefazione di Fausto Petrella

9 13

Introduzione

17

UNO SGUARDO D'INSIEME: SOGNO E PSICOANALISI OGGI

Introduzione di Marta Badoni 1 2

Estetica del sogno e terapia a cento anni dalla Traumdeutung

(Fausto Petrella)

29

Lavoro del sogno, lavoro con il sogno (Stefano Bolog;ninz)

49

LA VIA

3

27

FREUDIANA: RILETTURE, RICONSIDERAZIONI, REVISIONI

Tempi e vie della Traumdeutung (Sergio Molinart)

63

4 A proposito dello scritto di Freud «Il sogno» (1900)

(Renato De Polo)

73

GRANDI AUTORI A CONFRONTO: IL SOGNO IN FERENCZI, BION, KOHUT

5 6 7

Sandor Ferenczi e il sogno: immagini e pensieri tra passato, presente e futuro (Franco Borgogno)

ss

Il sogno tra clinica e teoria nel modello bioniano. Una linea di lettura del sogno dell'uomo dei lupi (Giovanni Hautmann)

104

I sogni «self-state» e la concezione del sogno nella psicologia psicoanalitica del Sé di Heinz Kohut

(Franco Paparo e Lucia Pancherz)

III

RIFLESSIONI SUL SOGNARE

8

n sogno come «fotografia» dell'apparato psichico del sognatore e della relazione psicoanalitica

9 10

(Enrico Mangint)

n sogno: mancanza, oblio, ricordo (Alberto e Franca Meottz)

SOGNO

E

(Carla De Toffòlz)

150

PREVERBALE

Le narrazioni oniriche e la rete di contatto corpo-mente

(Riccardo Lombardt) 12

13 9

Coscienza onirica e coscienza della veglia: specificità dell'interpretazione psicoanalitica

11

129

163

Onirismo vocale. Accostarsi ai sogni attraverso i segni fonetici del racconto

(Antonio Di Benedetto)

1 78

INDAGINI TIPOLOGICHE SUL SOGNO

13

Note su alcuni aspetti strutturali dei sogni della stessa notte

(l. Alex Rubino)

I95

14 Aspetti trawnatici e sogno nel sogno

(Enrico Cesare Gori, Alessandra De Marchi e Francesco Pozzz) 15

n processo della terminazione dell'analisi nel sogno

(Fausta Ferraro e Alessandro Gare/la) SOGNO

16

208

E

2 18

É

S

Dall'analisi al sogno, dal sogno all'analisi. Spazio psicoanalitico e spazio onirico individuale attraverso un frammento clinico

(Vincenzo Bonaminio) 17

233

Il sogno: monitoraggio dinamico dello stato del Sé e della relazione

(Geltrude Verticchio, Carla Busato Barbaglio e Maria Adelaide Palmiert) SOGNO

E CULTURA

MODERNA

18

Sogni di filosofi

19

n paesaggio dei sogni (Remo Bodez)

20

n sogno altrui:

(Paolo Rossz)

un

interrogativo sull'individuo

(Antonio Alberto Semt)

244

21

Sogno, visione, modernità (il sogno tra Antico e Moderno)

(Domenico Chianese)

3I4

P S ICOANALISI E NEUROSCIENZE DAVANTI AL S OGNO

22

Psicoanalisi e neuroscienze:

un

dibattito attuale sul sogno

(Mauro Mancia) 23

333

n sogno tra psicoanalisi e neuroscienze

(Franco Scalzone e Gemma Zontim)

34 2

SOGNO E CINEMA

24 25

Cinema e sogno nello spazio psicoanalitico

(Paolo Boccara, Giuseppe Riefolo e Andrea Gaddinz)

36I

La «messa in scena» del sogno (Simona Argentien)

373

PROSPETTIVE P SICOANALITICHE SUL SOGNO

26 27

n sogno della veglia: teoria e clinica (Antonino Ferro)

389

La trasformazione delle strategie difensive nella traduzione onirica

(Alessandra Ginzburg)

397

28

I sogni

29

Paradigma interattivo e sogno (Giovanna Goretti Regazzont)

4 24

Bibliowafia Indice degli autori

435 45 I

di trasmissione della patologia mentale fra le generazioni (Paolo Roccato) 4I I

Gli autori

(Roma). Membro ordinario AIPSI (Associazione Italiana di Psicoanalisi) con funzioni di training.

SIMONA ARGENTIERI

(Milano). Neuropsichiatra infantile. Membro ordinario SPI. Se­ gretario nazionale SPI.

MARTA BADONI

PAow BOCCARA (Roma). Psichiatra. Responsabile Prima Area DSM, USL Roma B. Membro associato SPI. (Pisa). Professore ordinario di Storia della filosofia, Università di Pisa. Recurrent Visiting Professar, University of California, Los Angeles.

REMO BODEI

STEFANO BOWGNINI

(Bologna). Psichiatra. Membro ordinario SPI con funzioni

di training. Segretario scientifico SPI. VINcENzo BONAMINIO (Roma). Dipartimento Scienze Neurologiche e psichiatri­ che Età evolutiva, Università di Roma «La Sapienza». Membro ordinario SPI. (Torino). Professore associato di Psicologia clinica, Univer­ sità di Torino. Membro ordinario SPI con funzioni di training.

FRANCO BORGOGNO

CARLA BUSATO

BARBAGLIO

DOMENICO CHIANESE

(Roma). Membro associato SPI.

(Roma). Psichiatra. Membro ordinario SPI con funzioni

di training. ALESSANDRA DE MARCHI

RENATO DE POW

(Modena). Psichiatra. Membro associato SPI.

(Milano). Membro associato SPI.

CARLA DE TOFFOLI

(Roma). Psichiatra. Membro ordinario SPI con funzioni di

training. ANTONIO

m

BENEDETTO

zioni di training.

(Roma). Psichiatra. Membro ordinario SPI con fun­

10

Gli autori

FAUSTA FERRARO

(Napoli). Psichiatra. Università di Napoli. Membro ordinario SPI.

ANTONINO FERRO

(Pavia). Psichiatra. Membro ordinario SPI con funzioni di

training. (Roma). Psichiatra. DSM, ASL Roma B. Allievo SPI.

ANDREA GADDINI

ALESSANDRO

(Napoli). Psichiatra. Dipartimento Neuroscienze e

GARELLA

Scienze del Comportamento, Università di Napoli. Membro ordinario SPI con funzioni di training. ALESSANDRA GINZBURG

(Roma). Membro ordinario SPI con funzioni di training.

GIOVANNA GORETTI REGAZZONI

(Roma). Neuropsichiatra. Membro ordinario

SPI con funzioni di training. (Bologna). Neuropsichiatra. Membro ordinario SPI con

ENRico CESARE GORI

funzioni di training. GIOVANNI

HAUTMANN

(Firenze). Membro ordinario SPI con funzioni di train­

ing. Past-President SPI. RJccARDo LOMBARDI

MAURO MANCIA

(Roma). Psichiatra. Membro associato SPI.

(Milano). Direttore Istituto di Fisiologia Umana n, Università

di Milano. Membro ordinario SPI con funzioni di training.

(Padova). Neuropsichiatra infantile. Dipartimento Psicologia

ENRICO MANGINI

dello Sviluppo e della Socializzazione, Università di Padova. Membro asso­ ciato SPI. ALBERTO MEOTTI

(Milano). Professore ordinario di Filosofia della scienza, Uni­

versità di Pavia. Membro ordinario SPI con funzioni di training. (Milano). Membro ordinario SPI con funzioni di training.

FRANCA MEOTTI

SERGIO MOLINARI

(Bologna). Professore ordinario di Psicologia, Università di

Ferrara. Membro associato SPI. (Roma). Membro associato SPI.

MARIA ADELAIDE

PALMIERI

LUCIA PANCHERI

(Roma). Psichiatra. Università di Roma «La Sapienza». Mem­

bro associato SPI. FRANCo PAPARO

(Roma). Psichiatra. Membro associato SPI.

FAUSTO PETRELLA

(Pavia). Professore ordinario di Psichiatria, Università di Pa­

via. Responsabile Servizi Psichiatrici Territoriali, ASL Pavia. Membro or­ dinario SPI con funzioni di training. Presidente SPI. FRANCEsco POZZI

(Modena). Neuropsichiatra infantile. Membro ordinario SPI

con funzioni di training.

11

Gli autori

(Roma). Psichiatra. Responsabile CSM, ASL Roma E . Membro associato SPI.

GIUSEPPE RIEFOLO

PAOLO ROCCATO

PAOLO R

(Torino). Medico. Membro associato SPI.

o ssi (Firenze). Accademia dei Lincei.

(Roma). Psichiatra. Università di Roma «Tor Vergata». Mem­ bro ordinario SPI con funzioni di training.

I. ALEX RUBINO

FRANCO scALZONE

(Napoli). Psichiatra. Aiuto, SPDC Ospedale «Monaldi»,

Napoli. (Venezia). Neuropsichiatra. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti . Membro ordinario SPI con funzioni di training.

ANTONIO ALBERTO SEMI

GELTRUDE VERTICCHIO

(Roma). Membro associato SPI.

(Napoli). Psichiatra. Aiuto, responsabile Servizio di Psicotera­ pia, Distretto 48 ASL Napoli 1. Membro associato SPI.

GEMMA ZONTINI

Prefazione di Fausto Petrella

Il volume che ho il piacere di presentare a/ lettore prende origine dall 'omonimo Congresso nazionale della Società Psicoanalitica Italiana tenutosi a Roma nel 1998. Gli scritti qui raccolti non costituiscono tuttavia la consueta miscellanea, tipica degli atti congressuali, ma si possono considerare una sorta di antologia psicoanalitica sul sogno, frutto di attente scelte della Commissione scientifica della SPI. Al segretario scientifico Stefano Bolognini si devono l'accurato lavoro di presentazione di ciascuna sezione e la forma finale dell'opera. L 'editore Bollati Boringhieri le ha conferito la veste sempre elegante delle sue pubblicazioni, mentre Marie/la Schepisi si è incari­ cata della cura editoriale con grande professionalità. Ne è risultato un libro che, per la varietà delle sue proposte clinico-teoriche e per l'appassionato impegno di ciascun autore e del curatore, soddisfo esigenze molteplici. Da un lato permette di fare il punto sullo stato odierno di un tema certo vastissimo come il sogno, ma precisamente circoscritto, e insieme di significato centrale per la psicoanalisi. Dall'altro consente un 'articolata esplorazione del pensiero psicoanalitico, dai suoi inizi sino a oggi: una carrellata che va ben oltre l'interesse strettamente oni­ rologico dei singoli contributi. Il sogno diventa qui il luogo privilegiato per cogliere impostazioni, spesso molto diverse tra loro, che mettono in gioco gran parte delle sfac­ cettature della psicoanalisi: dall'evoluzione della teoria, agli sviluppi della tecnica e dell'interpretazione, alla trasformazione delle patologie eccetera. Da ultimo e nel suo insieme, l'opera fissa un 'istantanea significativa dello sviluppo della psicoanalisi ita­ liana odierna e del dibattito attuale entro la SPI. Dall'inizio del secolo a oggi moltissime cose sono mutate nel mondo, nella società, nelleforme del disagio psichico, nel modo di curarlo e nella stessa psicoanalisi. È vero­ simile pensare che i sogni degli uomini siano invece rimasti all'incirca gli stessi, al di là delle loro forme e dei loro contenuti manifesti? I «desideri indistruttibili» e le paure degli uomini, proprio come i nostri bisogni difondo, credo siano sostanzialmente im­ mutati, e forse sono immutabili, come Freud pensava. La psicoanalisi, invece, è cer­ tamente molto cambiata. Ha conosciuto l'impatto dei progresso tecnico e scientifico e

14

Prefazione

ha subìto l'influsso di una prosperity senza confronti rispetto al passato. Ma al tempo stesso ha dovuto maturare sistemi per pensare una distruttività che si è poten­ ziata all 'estremo nei rapporti degli uomini tra loro. Il sogno e la fantasia, tradizio­ nali luoghi di malizie, de/Jo «scandaloso» e delle intenzioni inconfessabili anche a sé stessi, conoscono oggi una sorta di nuova innocenza rispetto all'enorme portata di­ struttiva di tante azioni deJJ'uomo. Nel contempo, il sorgere, crollare e rinascere con­ fuso di ideologie nelle quali molti avevano riposto le loro speranze, testimonia della potenza dei sogni, della /ero importanza per l'azione umana, e insieme della loro fal­ libilità. Non c'è aspetto della concezionefreudiana dell'onirico che in questo libro non sia stato rivalutato e ridiscusso alla luce delle nuove concezioni della cura e della teoria psicoanalitica. Per tutto questo, mi auguro che Il sogno cento anni dopo diventi un impor­ tante punto di riferimento per ifuturi sviluppi della psicoanalisi nel nostro Paese. FAUSTO PETRELLA

Il sogno cento anni dopo

Introduzione

È mia precisa intenzione, come curatore della presente raccolta di saggi, svolgere una funzione facilitante per il lettore che si accinge ad avventurar­ visi: lettore, presumo, non individuabile a priori in una categoria ben definita (addetto ai lavori? studente di psicologia? lettore colto non specializzato? semplice curioso, attratto dall'indubbio fascino della materia?), ma certa­ mente non digiuno in assoluto di letture precedenti sul tema. Leggere un libro complesso- e questo a suo modo lo

è, non foss'altro per

la vastità dell'argomento e per la pluralità disomogenea delle voci che lo ani­ mano -

è un po' come visitare una città dalla topografia piuttosto articolata:

serve una cartina orientativa, o se possibile un Baedeker che fornisca i punti di riferimento fondamentali e segnali al visitatore (a volte frastornato dalla molteplicità degli stimoli) gli elementi caratterizzanti e degni di nota; dimo­ doché questi possa intendere e apprezzare quanto incontra strada facendo.

E la psicoanalisi, la psicoanalisi di oggi, dei «cento anni dopo», presenta una topografia davvero molto complessa: in Italia, come vedremo, non meno che nel resto del mondo, e per il sogno non meno che per altri suoi argomenti chiave.

n punto di partenza della conoscenza scientifica del sogno, viceversa, è un monolito: la celeberrima stampata e posta

Interpretazione dei sog;ni di

Sigmund Freud, che fu

in vendita il 4 novembre 1899 (recando però- curiosamente­

la data dell'anno successivo).

TI volume, iniziato da Freud nel 1898, era stato, sì, preceduto da un lungo lavoro esplorativo e autoanalitico (come si può ricavare da Per la storia del mo­

vimento psicoanalitico» del 1914,

e dalle lettere a Fliess: famosa quella del 12

luglio 1900, in cui gli si rammentava come in un ristorante a Bellevue il 24

luglio 1895 fosse stato interpretato compiutamente il primo sogno, quello di Irma); ma è dalla sua comparsa ufficiale, o perlomeno dal periodo di stesura

è soliti datare anni in questione.

che si

-

in verità in modo non poi così cronometrico- i cento

18

Stefano Bolognini

Il libro, editorialmente parlando, non fu lì per lì un successo: inizialmente furono vendute solo 2oo copie delle 6oo stampate, e la seconda edizione non comparve prima del I909. Ma le edizioni successive uscirono a intervalli assai brevi, per giungere all'ottava- quella definitiva per aggiunte e correzioni- nel I93o; essa fu poi trasferita integralmente nelle «Gesammelte Werke» nel I942. Nel tempo, la Traumdeutung è diventata l'opera freudiana più letta nel mondo: ed è su di essa che questo nostro volume appoggia ineludibilmente le sue fondamenta. Costruzione scientifica straordinaria e potente, capace - come si è più volte affermato- di un effetto complessivo sulla cultura del mondo occiden­ tale non inferiore a quelli della scoperta dell'America da parte di Colombo, degli enunciati di Copernico e d ell' Origine dell'uomo di Darwin, essa nacque all'interno di un laboratorio in realtà assai domestico e intimista: la mente di Freud stesso, con il contributo onirico aggiuntivo di alcuni suoi pazienti. Nella sua ricerca Freud utilizzò infatti I82 sogni altrui e 46 sogni suoi (Io dei quali ambientati in Italia e 4 a Roma, « città dei suoi sogni»): analizzan­ doli con insuperata maestria, egli dimostrò l'esistenza sorprendente di colle­ gamenti profondi tra gli elementi in apparenza casuali e caotici della vita oni­ rica, scoprendone il senso, valorizzandone la ricchezza e fornendo prove sempre più convincenti sull'esistenza dell'inconscio umano. A parte queste elementari note di richiamo, non intendo riportare qui una ri-descrizione riassuntiva della Traumdeutung, che dovrebbe costituire una base di partenza già nota per il lettore; va detto, inoltre, che buona parte dei saggi di questo volume contengono i necessari riferimenti all'opera freu­ diana, con utili e mirati collegamenti rispetto ai temi specifici trattati. Preferisco invece dedicare queste pagine all'illustrazione del terreno di coltura attuale da cui il libro trae vita: da ciò risulteranno più comprensibili anche il senso dell'opera, le componenti scientifiche che la sostengono, le correnti che la percorrono, gli scenari ulteriori che si prospettano. I lavori qui pubblicati costituiscono una selezione di quelli presentati all'n° Congresso nazionale della Società Psicoanalitica Italiana, tenutosi a Roma dall'I I al I4 giugno I 998, dal titolo uguale a quello del libro. Il tema del Congresso (che, come è noto, ha frequenza quadriennale) era stato tra quelli proposti quattro anni prima dalla Commissione scientifica na­ zionale di cui era segretario Ferdinando Riolo; la successiva segreteria scien­ tifica, affidata ad Antonino Ferro, l'aveva scelto, ratificato e >

34

Fausto Petrella

Ambiguità dell'esperienza onirica Per la

Traumdeutung il sogno è intanto un'esperienza personale - alluci­

natoria, emotiva - che si offre a ciascun dormiente nella sua soggettività di spettatore solitario e passivo dello spettacolo costituito dalla rappresenta­

zione onirica. Il sogno

è un evento, e nello stesso tempo è un nulla , è solo un

sogno. Le azioni che proprio io ho sognato sono solo pensieri-che-ho-avuto­ nel-sonno. Ma al tempo stesso non sono a pieno titolo miei pensieri. Non si ha la responsabilità dei propri sogni, almeno nella nostra cultura. Il sogno non prova niente, nel senso giuridico della prova. Ciò non toglie che, rispetto all'esperienza diurna, il sogno ormai svanito e che ricordiamo da svegli possa apparire notevole e accattivante, divertirci o angosciarci e metterei di malumore. Belli o brutti, i sogni ci introducono sia ai fantasmi di un'etica primordiale vigente nel mondo interno, sia a un'este­ tica dell'onirico, che fa capo all'invenzione e costruzione della rappresenta­ zione del sogno. Insomma, il sogno concentra la nostra attenzione, ma si di­ legua facilmente. lpersignifica e nello stesso tempo non significa nulla. Il so­ gno che ho fatto

è un mio sogno. Ma posso anche dire: il sogno mi si impone, È il veicolo ideale per farlo rite ­

come il mondo che percepisco da sveglio.

nere una comunicazione oscura, enigmatica, polivalente e irresponsabile. Pensare di dover sciogliere l'enigma, risolvendolo mediante l'interpreta ­ zione, oppure restare nell'enigma, continuando a produrne di nuovi come ac­ cade comunemente nella vita, conduce a due modalità di trattamento antite­ tiche, che possono sicuramente coesistere, e che ritengo entrambe potenzial­ mente terapeutiche, sia pure per vie del tutto differenti. Conosciamo nella clinica gradi intermedi tra questi due estremi: tuttavia nella non vi

Traumdeutung

è alcuna intenzione di giocare o gingillarsi con i

sogni, ma solo quella

è quello di annettere i sogni

alla ragione, trovare

di spiegame il significato, sviluppando il più possibile la scommessa della loro interpretabilità. Lo scopo

un varco consapevole dalla coscienza all'inconscio, nella certezza che la ra­ gione non sarà più la stessa dopo quest'annessione.

Estensione del sogno La

Traumdeutung e l'analista freudiano reagiscono

ancora oggi all'enig­

maticità isolata del sogno cominciando a togliere l'esperienza onirica dal suo isolamento. Ciò può essere fatto in vari modi. ll più generale consiste nel di­ sporre di un contesto. Senza stabilire un contesto, non

è possibile alcuna de­

terminazione interpretativa plausibile, neppure di una frase corrente e tanto meno di un sogno. Resta il fatto che un contesto può essere anche solo im­ maginato dall'interprete, può essere legato a una tradizione interpretativa, all'esperienza d'altri casi eccetera. È diverso se il quadro contestuale

è attinto

Estetica del sogno e terapia a cento anni dalla Traumdeutung

35

dalle associazioni libere del sognatore o da quelle dell'interprete. Se è costi­ tuito da associazioni che partono dalle disiecta membra del testo onirico, come voleva Freud nel 1 900, o da materiali differenti, più o meno distanti dal so­ gno: i discorsi della seduta, i residui diurni, la conoscenza personale del so­ gnatore, la musica che proviene dalla stanza accanto eccetera. La gamma delle possibili connessioni, la duplice direzione centrifuga e centripeta delle associazioni rispetto al sogno, i fattori emotivi variabili che regolano l'esecu­ zione dell'interpretazione e il suo stile, gli effetti di confusione e chiarifica­ zione che tutto questo produce, l'attivazione di ricordi: l'insieme mobilitato non è meno complesso del processo che conduce alla formazione del sogno. Per quanto sia complicato il groviglio, esso è in linea di principio dipana­ bile e calcolabile a posteriori. Questo è un altro dei princìpi della Traumdeu­ tung. Se l'intuizione preconscia dell'interprete o, per esempio, la sua presunta conoscenza del simbolismo onirico hanno saltato un vero calcolo sui molte­ plici elementi in gioco, tale calcolo deve essere pur sempre sviluppabile. Tut­ tavia è evidente che un conflitto di interpretazioni si trasforma subito in un conflitto tra sognatore e interprete, e che di ciò il paziente e i suoi sogni pos­ sono a un ceno punto parlare. Attorno al sogno si animano alleanze e discor­ die, secondo scenari che nella Traumdeutung sono appena accennati, che Freud tratterà sommariamente molti anni dopo,6 e che sono divenuti un'im­ portante materia dell'analisi dopo la scoperta del transfert, del controtrans­ fen e dell'identificazione proiettiva. Ma il principale fattore di crisi del privilegio del sogno in psicoanalisi, che renderebbe addirittura superfluo il tema onirologico, sembra paradossal­ mente legato proprio al prestigio della Traumdeutung e dei suoi modelli. In pratica è accaduto che il modello interpretativo del sogno fosse enormemente esteso da Freud stesso e dai suoi successori. Se tutto è sogno, niente è sogno. I modelli dell'Interpretazione dei sogni li troviamo applicati alla comprensione del sintomo nevrotico, la cui formazione deriva di peso dai meccanismi di for­ mazione del sogno del mirabile capitolo 6 della Traumdeutung. Ma li tro­ viamo anche nell' acting out o nell'acting in, dilagano nell'azione, nelle para­ prassie, nei sogni a occhi aperti della veglia, nel delirio in generale, ma so­ prattutto in quella commistione del sogno con la realtà che accade nel gioco. L'uso metodologico del gioco sostituisce con Melanie Klein la tecnica delle associazioni libere nella psicoanalisi infantile. n gioco infantile in presenza dell'analista mostra il sogno agito nella veglia e scardina il regime di isola­ mento del sogno prodotto dal sonno. Con Melanie Klein l'azione Iudica del bambino mostra che la vita vigile è compenetrata dal sogno e consente di ve­ dere singole componenti del comportamento come tessere per la costruzione di una fantasia inconscia attivamente operante entro il soggetto. L'analista 6 Per esempio nel lavoro su La negazione (192 se).

36

Fausto Petrella

non può limitarsi all'attenzione fluttuante, ma deve attivare una sorta di epo ­

ché, come

diceva Franco Fomari, che, sospendendo l'esame di realtà, per­

metta di immettersi nella dimensione immaginativa del paziente. Oscillare tra sogno e realtà finisce per essere una prerogativa richiesta all 'atteggiamento psicoanalitico. L'incapacità di sognare, o al contrario, es­ sere troppo catturati dal sogno e inabili a valutare la realtà, diventano invece attributi della patologia psichica più grave.

È attraverso

questi vari momenti che si è sviluppata in psicoanalisi la ten­

denza a una «Onirizzazione» dell'esperienza. Il neologismo vuole solo sotto­ lineare la propensione a considerare sogno e realtà indiscernibili, a collocarli su un medesimo piano. A questa commistione si accompagna un'angosciosa incertezza, una vertigine. La vertigine può essere barocca, simile a quella in­ sinuata nello spettatore e nel personaggio Sigismondo da un'opera come

La

vita è sogn o di Calder6n de la Barca. O assomigliare a quella prodotta con mezzi molto più semplici da espedienti narrativi che non consentono di di­ stinguere tra realtà e sogno e che infine denunciano l'inconsistenza onirica del quadro del mondo, sottolineandone il carattere interamente fìnzionale, a beneficio del produttore dell'illusione. Quando l'onirizzazione viene tecni­ camente perseguita e attivata dagli analisti, essa richiede comunque setting rigorosi per essere contenuta. Poiché tutto si paga, mi sembra di poter enun­ ciare questa regola: più si dà corso all'indistinzione tra sogno

e

realtà, più

l'analista tende a ricorrere a interpretazioni schematiche, la teoria si fa rigida, il setting formale si accentua. Quando

è invece l'analista che si fa produttore

del sogno, e al sogno risponde con il sogno, il paziente deve farsi interprete dell'an alista, o

è indotto

a identificarsi con la sua posizione oniropoietica e

artistica, con la potenza della sua invenzione. Tutte possibilità, qui voluta­ mente esasperate per renderle evidenti, aperte dalle variabili posizioni che assumiamo verso il sogno.

Racconto del sogno, materia dei sogni II sogno lo possiamo anche scrivere, mettere in parole. Lo possiamo addi­ rittura inventare, in certi casi. Anche se i sogni d'invenzione non hanno le ca­ ratteristiche esperienziali del sogno vissuto, hanno in comune con esso la forma narrativa e un assurdo qui deliberatamente cercato, espresso e infine formalmente dominato.7

Il fatto, successivo al sognare, di raccontare il proprio sogno a qualcuno,

7 I sogni di invenzione sono assai docwnentati nella letterarura narrativa. Vedine un'estesa an­ tologia in Borges, Libro di sogni (1976), Ricci, Parma 1985. Una bellissima raccolta di falsi sogni di uomini illustri è in A Tabuccbi, Sogni di sogni, Sellerio, Palermo 1992. Di alto valore, lettera­ rio e psicologico a un temp o i veri sogni narrati da Kafka nei Diari e negli epistol�, raccolti in F. Kafka, Sogni, Sellerio, Palermo 1 990. L op era che inaugura l'analisi dei sogni d'invenzione è naturalmente il saggio freudiano su Gradiva di Jensen (r906). ,

'

Estetica

del sogno e terapia a cento anni dalla Traumdeutung

37

rende il sogno raccontato qualcosa di intersoggettivo, la cui interpretazione può essere subordinata alla relazione terapeutica duale o di gruppo. n modo di intendere questa subordinazione può determinare in modo decisivo l'at­ teggiamento psicoanalitico verso i sogni. Estremizzando la posizione di subordinaZione relazionale del sogno, que­ sto può essere assunto come comunicazione ;;u} gioco relazionale in atto nella cura, in riferimento alla seduta in corso o a quelle di poco precedenti. In que­ sto tipo di interpretazione, riferita all'immediato hic et nunc, il sogno diventa un indice rispetto al dialogo presente, o il termometro del campo relazionale. L'interpretazione mirerebbe a cogliere lo stato emotivo attuale della rela­ zione e permetterebbe di rappresentarla a un livello che altrimenti resterebbe implicito. Tutto il relativismo pittografico ed estemporaneo della prassi in­ terpretativa che si documenta oggi, nulla toglie all'idea freudiana del sogno come materiale psichico privilegiato, espressione di un vissuto soggettivo del singolo nella sua solitudine, elaborando il quale si deve .giungere a interpre­ tazioni e costruzioni provviste di oggettività, che ci informano sulla realtà dell'esperienza psichica del sognatore. Per onirica che sia quest'attribuzione d'oggettività, essa fonda l'approccio freudiano al sogno. Molte metafore freu­ diane mirano a conferire all'aerea trama dei nostri sogni una consistenza so­ lida, dura: si tratta di materiali corposi, petrosi, che il sogno, l'artista del so­ gno, ha lavorato e la terapia continuerà a lavorare. Sono in azione regimi la­ vorativi certamente differenti nei vari momenti, ma in ogni caso il lavoro psi­ coanalitico trasforma il sogno in qualcosa di nuovo rispetto ai materiali di partenza. Di queste trasformazioni si può parlare in molti modi, con metafore che rendono conto delle componenti parziali ed eterogenee in gioco, come fa Freud, o dei processi mentali ogni volta implicati, come farà Bion propo­ nendo altre immagini. La mobilitazione trasformativa dell'interpretazione avviene nella dire­ zione del passato o del futuro, o di entrambi. Sappiamo che in ogni caso per Freud questi momenti temporali così correlati tra loro, ma anche così diversi, sono attraversati dal comune filo del desiderio. n desiderio pone ogni possi­ bile adempimento o realizzazione onirica al presente, ma ci parla del passato ed è rivolto al futuro. Resta il fatto che sono possibili altre forme di comprensione, in verità più tese a cogliere la relazione istantanea mediante il sogno o espressa dal sogno, che a chiarirne i possibili significati rispetto all'inconscio. Allora il gioco non sarà più quello dell'associazione libera del paziente, ma valorizzerà in varia misura anche l'associazione libera del terapeuta, ciò che gli viene in mente. Non solo il paziente «parla» dell'analista nelle immagini oniriche, ma anche l'analista mette in immagine la sua accoglienza delle comunicazioni del pa­ ziente e questo, opportunamente interpretato, avvia nuove risposte e trasfor­ mazioni. La réverie materna di Bion e il va e vieni delle identificazioni proiet-

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Fausto Petrella

tive rappresentano il modello generale di questo procedimento, che concorre all'onirizzazione del lavoro psicoanalitico con una varietà di enfasi e di ac­ centi, nei quali si gioca la concezione dell'analisi che ha ciascun analista. Si assiste allora a una superficializzazione dell'inconscio, all'idea, a mio giudizio fallace, di sostituire all'interpretazione del sogno un approccio non interpre­ tativo, ma quasi fenomenologico e in presa diretta sull'immaginario onirico. Su questa superficie viene ad affermarsi l'idea di una condivisione possibile, in contrasto con l'idea che il lavoro clinico dovrebbe raggiungere invece pro­ prio i livelli conflittuali più temibili, quelli nei quali si trovano tradizional­ mente le origini comuni libidiche e distruttive con le quali sarebbe necessa­ rio identificarsi per poteri e conoscere ed elaborare. Tutto ciò fa traballare le coordinate del metodo psicoanalitico e innesca reazioni di rifiuto del modello della Traumdeutung, per il quale «il contenuto manifesto costituisce un in­ ganno, una mera facciata» (Freud, 19253). Troviamo in queste divergenze le origini di una disintegrazione concettuale e metodologico-clinica, che occor­ rerebbe soprattutto cercare di comprendere nelle sue ragioni. I sogni sono sensati, ma occorre dimostrarlo n sogno è provvisto di senso, diversamente da quanto può apparire a tutta prima. Per Freud e per lo psicoanalista il senso è una vera passione, che ha effetti di ampia portata. A partire da Freud noi accogliamo i sogni, nostri e di chiunque, entro una prospettiva di senso. Per effetto della psicoanalisi è di­ ventato possibile per tutti un nuovo gioco linguistico che ha per oggetto il senso del sogno.8 Ovvi amente vi sono sogni d'apparenza spontaneamente sensata; ma per­ lopiù i sogni ci appaiono assurdi. Assurdi o sensati, i sogni risultano invece a un certo livello sempre sensati e rimandano a un significato diverso da quello che appare o non appare a livello manifesto. Il senso dei sogni è dunque la­ tente e richiede del lavoro psichico supplementare per essere colto. La cop­ pia «manifesto/latente», come quella «senso/non-senso», sono fondamen­ tali e non facili da configurare teoricamente. Produrre evidenza su queste dif­ ferenze nell'esperienza del soggetto in analisi genera uno spiazzamento, una destabilizzazione che non è semplice tollerare. Il sogno apre una prospettiva conoscitiva su una forma di vita interiore alla quale non abbiamo altrimenti accesso: per Freud, soprattutto l'infanzia più remota e le passioni infantili ri­ mosse, ma sempre attivamente in funzione inconsciamente anche nell'adulto. Non necessariamente il sogno parla sempre di questo all'interprete. L'inter­ prete ha il potere di interpretare il sogno anche in altre maniere: per suo ar8

A partire dalla Traumdeutung esiste un motivo in più sia per sconsigliare il racconto dei pro­

pri sogni in pubblico, sia per raccontarli solo a ragion veduta, Della Casa nel suo Galateo.

come raccomandava monsignor

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bitrio o per convenienza. All'interprete del sogno toccano quindi grandi re­ sponsabilità. n gioco della clinica si trova qui di fronte a un illimitato campo di questioni da sperimentare e da attraversare. Per esempio, non bisogna cer­ care il senso a ogni costo, nel sogno e in generale nelle comunicazioni d'ogni genere. n senso è cioè anche un nostro bisogno. Nietzsche, al limitare della sua follia, scriveva ( 1 887) che occorre saper « fare a meno del senso entro le cose», ma aggiungeva che per fare questo occorre organizzare almeno un pezzetto di senso, qualcosa come un minimo ancoraggio sicuro, senza il quale si può precipitare in un universo caotico e sfuggente. Con le patologie gravi siamo più interessati a questo punto d'appoggio sicuro - nell'analista, nel mondo, nel paziente stesso - che all'attivazione di conoscenze sull'inconscio scaturite dall'interpretazione onirica. Il sogno, come il sintomo, partecipa al discorso

Una delle più affascinanti questioni poste dal sogno è costituita dal fatto che i sogni nel corso della cura cominciano a parlare della cura stessa: anche della cura, e non solo di essa. n fenomeno è in ogni caso della massima impor­ tanza e segnala innanzitutto l'effetto del transfert e l'importanza preminente che anche i minimi eventi della cura finiscono per acquistare per il paziente. La valorizzazione di quest'aspetto orienterà in modo preminente e talora esclusivo l'intervento interpretativo. L'interpretazione orientata verso il pas­ sato si attualizza, sembra riguardare solo il presente, l'interesse attuale del pa­ ziente. L'oscillazione tra passato-presente-futuro, la possibilità, l'ampiezza e la qualità di questo excursus temporale può essere un'acquisizione molto pro­ blematica, non presente nel soggetto all'inizio del trattamento. La capacità di realizzare queste prese cognitive temporali si acquista in analisi col tempo. La difficoltà a realizzarle consapevolmente è stata riferita negli sviluppi post­ freudiani ai più diversi processi generativi, cui corrispondono altrettanti mo­ delli correttivi. Questi aspetti sono ignorati da Freud, il cui interlocutore è un paziente ideale, non soverchiato da tali difficoltà di organizzazione dell'espe­ rienza e del pensiero. Lo scenario postfreudiano di queste difficoltà va oltre l'idea di censura della Traumdeutung. Se ne trovano qui tuttavia le premesse, perché la censura occhiuta rimanda a una specifica struttura delle relazioni nello stato interno, delle quali proprio grazie alla censura veniamo a cono­ scenza. Non ci stupiremo che in uno stato dominato dal sadismo e dall'attacco alla libera espressione, il pensiero non possa svilupparsi o sia compromesso o cancellato. E che il sogno, come il motto di spirito, possa essere addirittura la sola manifestazione di libertà tollerata . . . Può oggi accadere che la conquista della libertà di pensare e degli strumenti simbolici necessari segnali all'anali­ sta la fine di un'analisi, senza che si dica nulla sugli usi che di questi strumenti il soggetto desidera fare: un aspetto che invece occupava parecchio l'analisi

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all'epoca di Freud. Viene fatto di pensare che Freud non vedesse i difetti stru­ mentali che attribuiamo ai nostri pazienti odierni. Oppure che siamo noi a esagerare, quando immaginiamo oggi difetti strumentali remoti in eccesso, magari per evitare il confronto diretto con le intense e sconvolgenti passioni infantili che il terapeuta teme di dover affrontare.

Condizioni d'interpretabilità dei sogni Posto che sia necessaria l'estensione all'inconscio della conoscenza di sé per un proprio decisivo progresso terapeutico-cognitivo e per la terapia delle nevrosi, i sogni richiedono di essere interpretati. 9 Perché un sogno riveli il proprio pensiero latente, o i propri segreti, si richiede la sua analisi. Essa è per il Freud della Traumdeutung essenzialmente a carico del sognatore: l'ana­ lisi e l'autoanalisi tendono per lui a coincidere. n presupposto terapeutico e tecnico affermato nella Traumdeutung è la conquista della posizione centrale del sognatore rispetto all'universo personale connesso alla produzione oni­ rica. L'interpretazione psicoanalitica del sogno, scrive esplicitamente FreU>), ricorre alle proprie intuizioni: che al massimo comportano «un eser­ cizio virtuosistico privo di carattere scientifico, e di valore assai dubbio>>.

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porli al sognatore, magari attingendoli da sé, invece che dal paziente. Non è per nulla la medesima cosa rilevare un senso che emerge dalla cosa stessa o attribuirgliene a nostro arbitrio qualcuno, purché un senso si costituisca, sia per il paziente sia per l'analista, o perché, attribuendo un certo significato alla parola di qualcuno, ci sbarazziamo di un nostro pensiero. In queste impor­ tanti distinzioni, nelle divergenze e incertezze che si possono qui produrre, sta uno dei problemi dello sviluppo dell'onirologia psicoanalitica, della sua tecnica e della tecnica psicoanalitica tout court. È in ogni modo molto diverso se prendiamo sul serio il testo onirico e lo valorizziamo interpretandolo, oppure se lo sentiamo come un semplice pre­ testo, una comunicazione come un'altra, un materiale da usarsi alla stregua di qualunque altra comunicazione. Decisioni che hanno a che fare con la tec­ nica e la teoria della tecnica, oppure con l'arbitrio sovrano del terapeuta che si pensa esperto o con il suo andare a tentoni.

Tecnica dell'associazione libera Freud all'inizio non aveva dubbi: pensando al funzionamento psichico tutti andiamo a tentoni, « costruiamo nel buio», scriveva al termine della Traum­

deutung. Alle nostre ipotesi compete di fare un po' di luce, il raggio di luce di un'ipotesi, l'ausilio di un'immagine metapsicologica, di una Hilfsvorstellung. Un criterio d'ordine è invece introdotto dal metodo: ogni elemento del so­ gno deve accompagnarsi per Freud alla produzione di associazioni libere da parte del sognatore. n punto in evidenza nell'intrico retiforme che così si pro­ duce è il desiderio onirico, attorno al quale si coordina la molteplicità dei pensieri. n desiderio dovrebbe stabilire l'orientamento delle associazioni. Freud, da cercatore di funghi per diletto qual era, usa la splendida immagine del fungo e delle ife . n desiderio si eleva dal punto più fitto dell'intrico re­ riforme del nostro mondo intellettuale «COme il fungo dal SUO micelio». li fungo come Gestalt pregnante del desiderio, «significante del desiderio» (di­ rebbe Lacan), contrapposto alla massa informe dei pensieri associati, che è passata attraverso la trafilatrice del pensiero onirico, come il cammello attra­ verso la cruna dell'ago. 1 1 L e associazioni possono essere anche centrifughe, ma sempre esse arrive­ ranno al desiderio, al soggetto in quanto espressione del proprio desiderio, salvo l'ostacolo delle resistenze, che vanno analizzate, della censura onirica, essa pure da aggirare, cosa che il sogno stesso tenta di fare con la sua critto­ grafia, con il suo enigma figurato, simile a un rebus. n sogno è il prodotto di 1 1 Wì ttgenstein (1 965) rileva «la stranezza» del procedimento freudiano, quando osserva, di fronte all'associazione libera, che «Freud non chiarisce mai come possiamo sapere dove fermarci, dove sia la soluzione giusta».

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spinte, che lo strutturano anche a caso attraverso la meccanica pulsionale, e nello stesso tempo funziona nei suoi minimi dettagli immaginativo-espres­ sivi come un sofisticato apparato retorico allegorizzante. Tutto un apparato

di immagini metapsicologiche eterogenee, giustappo­ e il genere è quello del patchwork ­

ste con una perfetta coerenza sui generis

-

viene mobilitato da Freud. Ella Sharpe, nel suo bellissimo studio sul sogno del 1937, ha mostrato la finissima capacità espressiva del sogno, l'impiego di

modalità proprie del discorso poetico, la sua capacità di dare immagine a moti affettivi anche preverbali e che la parola non rappresenta direttamente, ma solo nelle sue pieghe involontarie e immaginifiche. Qui la similitudine e so­ prattutto la metafora sono di casa, tanto da far prospettare il sogno come una metafora in movimento.12

In realtà nel sogno non troviamo una sola, ma

molte metafore, molte metonimie, molte immagini condensate di quei «po­ lisensi predestinati» che sono le parole della nostra lingua, che talvolta si ag­ gregano in nuove parole e frasi idiosincratiche e inventate di sana pianta, nelle psicosi e nei nostri sogni. Tutti elementi chiamati a rappresentare e col­ legare, nella magia mimetico-rappresentativa e teatralizzante dei sogni, le in­ tenzioni più disparate, che l'interpretazione psicoanalitica dipanerà per qual­ che tratto. Porsi dinanzi a questo insieme così configurato e dis-piegato e decidere gli usi da farne

è un

compito molto diverso nella teoria e nella clinica. Se vo­

gliamo sviluppare prosaicamente l'imma gine, nella teoria possiamo interro­ garci sulla morfologia dei funghi, sulla loro formazione , denominazione e classificazione, persino sulla loro biologia. Nella clinica ci poniamo il pro ­ blema, dopo averli trovati, di raccoglierli, della loro commestibilità e impiego

in cucina, del loro valore d'uso in quanto meri simboli, luoghi dello «scam­ bio» operato dal linguaggio eccetera.

In ogni caso sia la teoria sia la clinica devono riconoscere la necessità di un

contesto. Nella contestualizzazione clinica, i referenti giacciono per Freud soprattutto nell'esistenza presente e passata del sognatore. Freud ha scoperto che si tratta di un'esistenza desiderante: ma chi desidera e cosa si desidera? Il desiderio sessuale infantile e le vicissitudini della libido rappresentano lo sce­ nario immaginativo e insieme la fonte energetica dell'onirico. Ma certamente sono in gioco molti altri elementi. Per esempio, i sogni possono essere com­ piacenti, o apertamente o segretamente polemici verso l'interprete analista, e questo avvia i polimorfi giochi dell'analisi. Qui non

è propriamente più in

causa il sogno: l'analisi dei sogni si è spostata altrove, nel vivo della transa­ zione e del dialogo umano.

12

Sull'analogia tra sogno e testo poetico, vedi Webb ( 1 992) p. 1 9 1 . Per l'impiego delle me­ da parte del sogno vedi Lakoff (1993).

tafore

Estetica

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Il sogno come messa in scena del desiderio I sogni parlano dei desideri inconsci infantili rimossi utilizzando specifi­ che trasformazioni visuo-rappresentative di tali desideri. Questo, in estrema sintesi, il nucleo ufficiale della scoperta freudiana. A essa si associa una com­ piuta analisi del linguaggio onirico, inteso come sistema retorico di trasfor­ mazione in immagine di pensieri inconsci, trasformazione che adotta una se­ rie di sistemi di metamorfosi e di travestimenti. Ciò è ben noto, ma richiede alcuni commenti. La parola desiderio è decisiva e dischiude un vasto orizzonte. Che si tratti anche di un orizzonte rappresentativo e narrativo diventerà sem­ pre più evidente: il desiderio è messo in azione, in immagine, ma il corpo del sogno deve essere trasformato dall'interpretazione in una diversa narrazione, che non è la medesima con la quale si presenta alla rappresentazione del so­ gnatore. La «fiaba dei tre desideri», rievocata a questo proposito nella Traumdeu­ tung, mostra tutta la contraddittorietà del desiderio umano e spiega l'appa­ rente contraddizione rispetto al principio di piacere che molti sogni manife­ stano.13 L'austriaca salsiccia della fiaba, oggetto della brama desiderante per il suo valore alimentare e simbolico (anche questo, come il fungo, un signifi­ cante di desiderio e un esempio di mise en abime del discorso sul desiderio ri­ spetto al suo simbolo), si trasforma, ad opera del conflitto, in una manifesta­ zione d'ira. Anche l'ira ha i suoi desideri. A trasformazione avvenuta non si può tuttavia che desiderare che tutto torni come prima. I desideri umani hanno forse un'unica matrice elementare, ma le loro manifestazioni sono in­ numerevoli. Il racconto onirico, la fiaba, il teatro, mettendoli in scena, ci per­ mettono di vederli e conoscerli in tutta la loro contraddittorietà.

Spettacolarità del sogno La Traumdeutung parla esplicitamente di scena onirica e di personaggi del sogno. Il sogno è fornito di paesaggi, arredi, quinte e fondali. Vi è regolar­ mente implicato un aspetto narrativo e mimetico, ma bisognerà attendere a lungo prima che quest'aspetto teatrale sia diffusamente valorizzato. Da Re13 «Una buona fata promette a due poveri, marito e moglie, l'esaudimento dei loro primi tre desideri. Beati, essi si propongono di sceglierli accuratamente. Ma la donna si lascia indurre dall'odore di salsicce arrostite che viene dalla capanna vicina a desiderarne un paio per sé. Eccole lì all'istante. Il primo desiderio è esaudito. L'uomo si incollerisce e nell'esasperazione desidera che le salsicce pendano dal naso della moglie. Anche questo desiderio si compie e non si riesce a togliere le salsicce dalla loro nuova posizione; questo è il secondo desiderio appagato, ma è il de­ siderio dell'uomo ed esso riesce assai sgradito alla donna. Voi sapete come continua la favola. Dato che dopo tutto i due sono una cosa sola, marito e moglie, il terzo desiderio deve essere che le salsicce se ne vadano dal naso della donna.>> D passo fu aggiunto alla Traumdeutung, significati­ vamente, alle soglie della seconda topica, cioè in una nota del 1 9 1 9.

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snik, per esempio, che intitolerà esplicitamente un suo scritto sul sogno Il tea­ tro de/ sogno (1 982), o da Bollas (1 987). In realtà la metapsicologia freudiana e l'impianto complessivo della Traumdeutung fanno continuo e discreto riferi­ mento al teatro come metafora della mente e del sogno (Petrella, 1985). Sottolineare l'aspetto scenico-teatrale del sogno comporta la valorizza­ zione della sua dimensione manifesta: interessa intanto lo spettacolo onirico o immaginativo per quello che può rappresentare per lo spettatore partecipe. La metafora teatrale è presente in incognito non solo in molte formulazioni cliniche, ma tutte le volte che una formulazione teorica astratta deve diven­ tare intelligibile, in altre parole nell'interpretazione clinica e nel testo meta­ psicologico. La metapsicologia freudiana è ricchissima di immagini nelle quali la metaforica teatrale ha compiti privilegiati di configurazione del pro­ cesso psichico. Un esempio per tutti. Al termine dell'analisi del suo sogno princeps, quello di Irma, Freud conclu­ deva la sua interpretazione affermando che quel sogno esemplare deve essere considerato una sorta di «arringa» di autodifesa da parte del sognatore. Evoca allora «la difesa dell'uomo accusato dal suo vicino di avergli restituito un paiolo in cattivo stato. In primo luogo, gliel'aveva riportato intatto: in secondo luogo, il paiolo era già bucato al momento del prestito; in terzo luogo, non aveva mai preso in prestito il paiolo dal vicino». I commenti rispetto a una si­ mile procedura di esemplificazione potrebbero essere tanti. Ma è certo che l'interpretazione del sogno deve prevedere qualcuno che accusa (il «vicino») e qualcuno che si sforza di assolvere, l'animarsi entro il soggetto di un contra­ sto tra il bisogno e la legge che stabilisce di non danneggiare chi ci fa un pia­ cere. n bisogno si trasforma in domanda, una funzione (il paiolo) si collega al desiderio e un intero campo di transazioni vitali richiede di essere istantanea­ mente evocato. n simbolo (il paiolo non è che un simbolo) acquista senso solo nel gioco delle parti, e questo gioco diventa visibile solo attraverso la dram­ matizzazione. Esiste dunque una drammatizzazione onirica nella messa in scena «allucinatoria» del sogno; ma anche la sua interpretazione richiede una drammatizzazione, un dispositivo narrativo-rappresentativo, per diventare in­ telligibile. L'interpretazione esige la drammatizzazione di un racconto, e il metalinguaggio più astrattamente impersonale sul sogno deve entrare di ne­ cessità e a un certo momento nell'area del racconto e del sogno. Il sogno, come il mito, deve essere certo smontato, ma a esso si deve an­ cora ricorrere quando si vuole rappresentare. «Rappresentare » (nella mente o sulla scena onirica), «raccontare », «vivere » sono momenti contigui, dove a variare è innanzitutto la posizione del soggetto. n suo «punto di vista » o posizione regola anche la sua consapevolezza. Immaginazione onirica e immaginazione teorica si rincorrono pericolosa­ mente. Il «possiamo immaginare» è una delle formule caratteristiche del procedimento metaforico-configurante, che Freud adotta fino a farne un

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vero sistema, un metodo. n «possiamo immaginare» è un modo cauto di in­ trodurre l'immagine; il lettore non è vincolato in modo assoluto alla similitu­ dine proposta; se ne sottolinea invece il carattere indicativo-sperimentale. Sta a significare un'esortazione, che può suonare all'incirca così: «Immagina che le cose funzionino in questo modo: figuratele così e così, e sino a questo punto. » Necessario è innanzitutto immaginare; si potrebbe dire addirittura: non importa tanto cosa viene immaginato, quanto lavorare sull'immagine prodotta. Ma l'immaginazione stabilisce e instaura sempre una scena; e se la scena è trattata esplicitamente come dispositivo esibente, anziché per ciò che esibisce, l'evocazione del sogno e della sua struttura teatrale si impone. Gli esempi potrebbero essere innumerevoli.14 Accanto alla sua complessità, la procedura freudiana che si inaugura con la Traumdeutung si caratterizza dunque per la strana sistematicità di una procedura di configurazione del suo oggetto, che esaspera la produzione di immagini. Que­ ste non sono affatto accessorie o decorative, ma la teoria si alimenta e cresce sull 'esemplificazione stessa. I rapporti tra sogno, immaginazione metaforica narrativa e teatralizzante, e teoria dello psichico sono circolari. Questa circola­ rità disturbava Freud come un circolo vizioso, la cui presenza egli non amava sottolineare (Petrella, 1993). Eppure la percezione endopsichica mostra in con­ tinuazione che le immagini del sogno sono le stesse che la metapsicologia im­ piega e che ritroviamo nello scenario della teoria e addirittura nel delirio. n so­ gno mostra dunque l'apparato della sua produzione, e il fenomeno funzionale di Silberer, che mette in immagine «autosimbolica» il processo psichico durante l'addormentamento, si rivela un principio di valore generale nella costruzione del sogno. Tutte le volte che il sogno appare allo psicoanalista come uno spec­ chio dell'anima, che la teoria deve giustificare, e a sua volta rispecchiare, ci tro­ viamo nell'area imbarazzante dell'autoreferenzialità del fenomeno funzionale, che si affianca così al principio del desiderio come motivo del sogno.

La componente onirica dell'interpretazione Anche nell'interprete del sogno si mobilita un'immaginazione configu­ rante che non può fare a meno di un dispositivo teorico esplicito che fornisca indicazioni di partenza e princìpi sintattici di composizione. Le metafore pre­ senti nella Traumdeutung anticipano l'enunciazione della seconda topica e formulazioni ulteriori, che ci appaiono come una vera novità in Fairbairn, ad esempio, circa i personaggi intrapsichici e le loro funzioni. Anche il motto di spirito in azione - sembra dirci Freud - va pensato entro una messa in scena; ma non è questo quanto la teoria psicoanalitica ci dice di ogni evento psichico, e in primis del sogno? La teoria stessa, per essere pratica14 Rimando per quesò esempi e una più estesa analisi della metaforica teatrale nella deutung e nelle successive opere freudiane al mio La mente come teatro (1 985).

Traum­

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bile nella clinica, richiede una messa in scena nella relazione psicoanalitica, con la collaborazione di una imagerie che è insieme onirica e teatrale. L'esperienza clinica istantanea e nascente può dunque essere prospettata all'insegna di una specifica finzione: come se ciò che osserviamo o ascoltiamo fosse un teatro e insieme un sogno. E lo spettacolo osservato o ascoltato è, e insieme non è, una nostra proiezione. ll suo senso, per noi spettatori, è legato al nostro proiettarci in esso: in virtù di questa proiezione esso acquista significato per noi. Nello stesso tempo il senso del sogno non si riduce alla nostra proiezione, ma è qualcosa che a sua volta ci viene prospettato: un insieme di proiezioni che vengono proposte come intenzioni di un altro. Lo psicoanalista non è dunque soltanto uno spettatore; egli vi figura variamente come attore-autore, cui si richiede a tratti che diventi anche pubblico, spettatore. La creatività del lavoro psicoanalitico si esprime nel gioco di queste differenti posizioni. Ma anche la teoria richiede in analisi di essere messa in scena. Ciò signi­ fica attuare dei cambiamenti di genere: dalla «vita» e dall'immediatamente esperito al racconto, dal racconto al teatro, dal teatro all'astrazione teorica. Un medesimo intreccio deve poter essere trasposto da un genere all'altro: la concettualizzazione teorica si fa racconto, il racconto diventa teatro e su di esso sarà sempre possibile esprimersi in termini teorici. Ad assicurare questi passaggi tra generi è essenziale il dispositivo stilistico specifico mobilitato dall'analista. Egli istituisce uno spazio artistico peculiare, dove queste meta­ morfosi sono possibili. Anche la teoria, come il pensiero latente del sogno, per essere praticabile, dovrà possedere i «requisiti della rappresentabilità», appoggiarsi all'immagine. Non si esce dal terreno metaforico: una metafora si traspone in un'altra metafora ancora. Sta alla funzione dell'interprete attuare sui testi d'ogni genere le meta­ morfosi e le trasformazioni che lo renderanno visibile e «sensibile». Anche l'interpretazione è una messa in scena, che chiama iri causa un dispositivo sti­ listico-finzionale e narrativo. Qui è in gioco l'arte dell'interprete. L'interpre­ tazione rimanda allo «spazio artistico» istituito dall'analisi: su questo spazio si è espresso con grande profondità Wmnicott (197 1 a) e, per i suoi aspetti se­ miologici, Lotman (1 968). La qualità emotiva della sostituzione o trasforma­ zione interpretativa, la sua estensione, immediatezza, colore e luce riman­ dano all'espressione stessa e si confondono con essa. L'estetica del sogno ri­ manda all'estetica dell'interpretazione, e questa ha a che vedere con lo stile e con le componenti retorico-emotive della risposta. È in effetti la curvatura stilistica, retorico-figurativa dell'interpretazione, a segnalarci i suoi aspetti qualitativi, la qualità della sua stoffa, sino a influenzame in modo decisivo sia l'evidenza, sia l'assimilabilità emotiva per il paziente. Insomma: è importante sapere se ci troviamo entro una prassi interpretativa che sceglie la strada della messa in scena dell'interpretazione, oppure quella della decodificazione del discorso del paziente. Nel primo caso, come l'inter-

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e terapia a cento anni dalla Traumdeutung

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pretazione viene interpretata dall'analista è del tutto rilevante. Qui la Deutung viene intesa nel senso della Darstellung, come gioco configurante, produttore di immagini più o meno felici e vincolanti, aperte ad articolarsi, a «contenere» o a riprendere il discorso del paziente, adeguandosi a esso. Nel secondo caso l'analista pensa di dover produrre con il suo intervento essenzialmente una de­ codificazione, simile alla traduzione del testo enigmatico del sogno in un altro differente testo, dove il valore dell'operazione sta nella decifrazione, nello sve­ lare il senso duplice di un testo. In questo caso ciò che importa è soprattutto trovare la chiave di un'anfibologia: il fatto che l'interpretazione-chiave, aprendo una certa porta, permetta per qualcuno una comprensione specifica. Queste due modalità sono state artificiosamente contrapposte, ma certo con­ ducono a sviluppi interpretativi profondamente diversi fra loro. Cosa rappresentano i sogni?

Vorrei concludere cercando di sintetizzare cosa ci si deve attendere che un sogno rappresenti. Freud ci ha insegnato ad attenderci dal sogno la realizza­ zione del desiderio inconscio: ci ha insegnato a immaginare il processo che conduce al sogno attraverso la messa in scena del desiderio. Un desiderio che subisce l'effetto del divieto, riceve le deformazioni e le alterazioni discorsive e rappresentative che sappiamo. Ma dal sogno ci possiamo oggi attendere an­ che altri livelli di messa in scena. A essere inscenati dal sogno sono innanzitutto il proprio corpo, i suoi bi­ sogni e le sue tensioni. La struttura portante del sogno è di tipo autoscopico. n corpo con le sue tensioni fornisce quinte, fondali e arredi alla fantasmago­ ria autoscopica di un mondo interno. Viene data realtà di ambiente, di pae­ saggio, di scena a quell'interiorità - bella o brutta, ricca o squallida - che noi solo attraverso il sogno riusciamo finalmente a vedere concretamente. La realtà psichica viene rappresentata nella sua estensione immaginaria e con la sua variabile caratterizzazione. n sogno come autorappresentazione della psi­ che o della mente si serve degli elementi che la realtà dell'esperienza e del lin­ guaggio gli forniscono, delle parole e delle cose e delle loro rappresentazioni; per aggregarle nell'apparenza di un contesto spaziotemporale sottratto di di­ ritto alle leggi della realtà. L'appagamento dell'istanza eminentemente nar­ cisistica dell'autorappresentazione, sullo sfondo dell'invisibile schermo bian­ co del sogno che Bertram Lewin ha descritto, tende a funzionare come fon­ damentale principio di costruzione. Gli attori convocati nel sogno rappre � sentano sempre le varie parti delle quali il Sé si compone, le sue differenti voci interiori; ma sono anche veri personaggi, oggetti d'amore o di odio, ostacoli posti al desiderio del soggetto. TI sognatore-spettatore non è in grado di riconoscere che il suo sogno è sempre di una stoffa autoscopica e che su di essa si disegnano i suoi desideri. In primo luogo il desiderio di rappresentare

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ciò che non si è potuto realizzare, in un'esteriorizzazione accattivante entro la quale egli stesso si vede muovere, agire, dialogare. n teatro condivide que­ ste stesse caratteristiche con il sogno. n sogno ha insegnato che occorre distinguere l'apparenza narrativa e te­ stuale inscenata dal suo pensiero latente e che la drammatizzazione onirica avviene nel gioco tra regressione e censura. La censura esercita i suoi effetti di alterazione e mascheramento simbolico su un testo che altrimenti non sa­ rebbe stato mai rappresentato, se non dalle allusioni del sintomo nevrotico o nelle proiezioni della paranoia: in forme cioè indecifrabili e in luoghi dove un pubblico perspicace e partecipe è solitamente assente. Va infine sottoli­ neato un punto che accomuna la funzione onirica, la rappresentazione del­ l'arte e del teatro e l'interpretazione psicoanalitica. n sogno permette di dare al desiderio che si esprime in esso una curvatura specifica del tutto generale: nel sogno non si desidera solo l'oggetto amato, assente o perduto, e che la rappresentazione onirica ricrea. La rappresentazione in opera nei sogni scon­ giura, domina e così allontana una minaccia. La minaccia da scongiurare è la morte, la perdita di sé o dell'oggetto d'amore; il dolore psichico travolgente e anche il rischio del disordine totale, che renderebbe l'esperienza innomi­ nabile e caotica. Contro questi tipi di caduta il sogno, l'arte e l'interpreta­ zione psicoanalitica edificano il loro ordine, l'ordine elementare di una rap­ presentazione, là dove l'Io potrebbe venir meno o smarrirsi, precipitato dalla malattia, dalla trasgressione, dalla passione, dalla punizione del dio o dalla colpa nella confusione e nell'accecamento. Gli sviluppi post-freudiani hanno arricchito e di molto dilatato l'imposta­ zione della Traumdeutung. Ma alla luce di questi sviluppi noi possiamo acco­ starci ancora oggi a quest'opera ricclùssima e ambigua con nuove e più perspi­ caci letture. Dipende anche da noi se Freud riesce a interrogare ancora gli psi­ coanalisti e tutti i suoi lettori. Egli ci pone il problema se dare ascolto al sogno e alla sua interpretazione psicoanalitica o invece respingerla come inessenziale o inutile per migliorare la condizione umana. L 'interpretazione dei sogni ha un valore certamente storico, ma non penso che le sue concezioni, là per la prima volta enunciate, vadano considerate superate e integralmente sostituite dalla psicoanalisi odierna. Mi auguro che L 'interpretazione dei sogni possa continuare a interrogare l'uomo ancora a lungo. La conoscenza di sé, alla quale esortava la mirabile ingiunzione del tempio di Apollo Delfico, dopo la Traumdeutung ha dovuto includere anche l'interpretazione dei propri sogni, come un momento ineludibile della consapevolezza. Penso che se quest'opera freudiana perderà ogni credito, ciò avverrà non tanto perché se ne sarà rilevata l'inutilità pratica o l'inadeguatezza scientifica, ma perché cambierà o decadrà il soggetto dell'in­ terrogazione su di sé, cioè quell'uomo occidentale del nostro secolo al quale la Traumdeutung era originariamente destinata.

Capitolo 2 Lavoro del sogno, lavoro con il sogno

Stefano Bolognini

Lo psichismo notturno, tra idealizzazione e persecuzione Una paziente al quarto mese di analisi, in piena regressione benigna da luna di miele psicoanalitica, torna da un viaggio recando con sé, come un pic­ colo tesoro, un portafortuna guatemalteco: una scatoletta con sei bamboline, tutte diverse tra loro. Mi spiega che alla sera vanno collocate in fila sulla testiera del letto; si rac­ conta un problema a ogni bambolina, poi si spegne la luce e si donne. Le sei bamboline, di notte, parlano tra loro, e al mattino si ha una visione diversa dei problemi. Questa usanza deve avere offerto dei vantaggi, che io provo a immaginare: ad esempio, si può dormire più tranquilli, perché si sono affidati i problemi «a qualcuno»; si impara che più di tanti (in questo caso, sei) problemi non si possono affrontare in una volta; ma soprattutto dimostra una fondamentale fiducia nell'esistenza e nell'utilità di uri qualche tipo di processo notturno, che porterà dei cambiamenti nel proprio modo di vedere e di sentire le cose. Abbassamento della vigilanza difensiva, contenibilità e ricombinazione creativa dei contenuti sembrano felicemente condensati in questo piccolo ri­ tuale privato: la notte porterà consiglio, per via di un oscuro e prezioso la­ voro che si svolgerà nel sognatore, a sua parziale insaputa. L'atmosfera di questa scena è comunque domestica, intima e a misura d'uomo: in essa sonno e sogno ci paiono implicitamente intesi come una ri­ sorsa naturale, cui attingere senza timore. Ma sul versante maligno della dimensione idealizzante-persecutoria, il bi­ sogno di difendersi attraverso l'onnipotenza magica dall'imprevedibilità del destino e dal contatto con l'ignoto che è in noi, ha indotto da sempre l'uma­ nità ad attribuire a sonno e sogno facoltà e poteri di qualità sovrumana: divi­ nazione, sapienzialità sciamanica, contatto con i defunti, prodigi e terribilità

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predittive costituiscono il pittoresco corteo di ultrapoteri accreditati alla di­ mensione onirica dai livelli degenerativi della regressione. n sogno, idealizzato e temuto, viene di fatto sabotato da molti con gli psi­ cofarmaci, o interrogato compulsivamente da altri con grossolana onnipo­ tenza interpretativa, per l'ambizione di controllarlo o di estrarne e sfruttarne, appunto, un corrispondente potenziale magico-divinatorio. Sul versante opposto: deidealizzazione e demistificazione n «magico» non aveva proprio - come è noto - una gran presa su Freud. Nelle Osservazioni sulla teoria e pratica dell'interpretazione dei sogni (192 2b, pubblicato nel 192 3) egli metteva in guardia gli analisti dai rischi di un'idealizza­ zione e di un rispetto eccessivo nei confronti di «un misterioso inconscio»: po­ sizione antitetica già nell'assetto e nello stile, oltre che nelle formulazioni teori­ che, rispetto agli sviluppi junghiani (vedi Jung, 19 16) sull'argomento. Freud non idealizzava affatto il sogno, pur avendolo studiato e conosciuto più a fondo di chiunque altro: «Si dimentica troppo spesso che un sogno è perlo­ più un pensiero come tutti gli altri» (192 2b, p. 424). E a proposito del lavoro onirico, già nel 1900 (Il sogno) scriveva che esso «non è creativo, non sviluppa alcuna fantasia che gli sia peculiare, non con­ clude, non fa altro che condensare, spostare, dar nuova forma visiva al mate­ riale. Nel contenuto onirico si trovano, a dire il vero, parecchi elementi che vorremmo considerare risultato di un'altra e più elevata attività intellettuale: ma l'analisi dimostra ogni volta, in modo convincente, che queste operazioni intellettuali sono già avvenute nei pensieri onirici e sono state semplicemente assunte dal contenuto onirico» (corsivo aggiunto). Subito dopo, significativamente, egli propone l'esempio dei calcoli mate­ matici. Utilizzando una formula oggi in voga, potremmo dire che Freud, in que­ sto ambito, non teneva in conto l'intelligenza emotiva: l' «elevata attività in­ tellettuale» era caratterizzata essenzialmente da astrazione e concettualizza­ zione, e non riguardava ciò che oggi definiremmo la capacità di contatto con il Sé, proprio o altrui. Questo atteggiamento di disincantato realismo ai limiti della riduttività ri­ guardo al senso funzionale dei sogni, e in particolare riguardo al valore di una polifunzionalità complessa e vitale del lavoro onirico, caratterizzerà una certa parte del pensiero psicoanalitico, al punto che ne troviamo sorprendente rie­ mergenza persino in un autore come Meltzer, in altre occasioni ben più in­ cline a investire con toni ispirati le proprie osservazioni sui processi onirici : «l sogni sono prodotti della mente degni di ammirazione? Io credo di no ( ...) I sogni sono le feci della mente, e noi abbiamo una tendenza a idealizzarli nel nostro modo infantile, e nel controtransfert a partecipare a questa idealizza­ zione» (Racconto onirico e continuità dei sogni, in Meltzer, 1977a).

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Un percorso intermedio Esplorando il campo teorico che sembra aprirsi tra questa concezione ri­ duttiva e statico-catabolica del sogno, e quella magico-divinatoria idealiz­ zante antitetica alla Traumdeutung, non è difficile, naturalmente, individuare diverse correnti del pensiero psicoanalitico che sembrano avvalorare una fun­ zione più dinamica e articolata del lavoro del sogno; e che di conseguenza suggeriscono una prospettiva più complessa anche per il corrispettivo lavoro clinico sui e « con» i sogni stessi : non limitata cioè all'aspetto decifratorio e demistificatorio ab externo. Dagli scambi tra colleghi, laboratorio privilegiato di coniugazione fra teo­ ria ed esperienza, ricavo due elementi significativi. TI primo è che, se il sogno non è forse più inteso in modo assoluto come via regia all'inconscio, esso re­ sta pur sempre nella clinica un ghiotto boccone per l'analista, che si ridesta e drizza le orecchie al suo apparire, al di là di ogni assunto ideologico. TI secondo è che in molteplici occasioni il lavoro sui sogni cede il posto a un multiforme lavoro con i sogni: sicché spesso non ci limitiamo a una «tra­ duzione dal latino al tedesco», ma mettiamo le mani nei sogni, li risogniamo da svegli insieme al paziente, entriamo in essi e li lasciamo entrare in noi. Capita, per la verità, che ci lascino indifferenti; più spesso siamo portati dal loro potere evocativo ad associare, a ricordare, a reagire emotivamente, a volte concordando con la soggettività del sognatore, a volte immedesiman­ doci completamente con i suoi interlocutori oggettuali. Nei casi migliori di esperienza condivisa, i sogni ci lasciano intravedere, senza che ce lo aspettassimo, territori inesplorati del mondo interno e della relazione; e a volte può accadere che li «reinterpretiamo» esperienzialmente nell' hic et nunc, senza per questo ripetere né agire (come cercherò di eviden­ ziare in conclusione di questo scritto, con un frammento clinico). Ma procederò con ordine, riflettendo dapprima sul concetto classico di «lavoro onirico».

Il lavoro onirico In riferimento agli scritti freudiani (1 899, 1 900, 1 9 2 2 b), designiamo tradi­ zionalmente come «lavoro onirico» il processo di trasformazione del conte­ nuto latente in contenuto manifesto, basato su tre meccanismi fondamentali: condensazione, spostamento, rappresentatività. Un quarto, l'elaborazione secondaria, proposto nella Traumdeutung, verrà scorporato dal lavoro onirico nel 1 92 2 . Scopo del lavoro di mascheramento (cap. 6 della Traumdeutung) dei con­ tenuti latenti è di legame gli eccitamenti in modo idoneo a consentire la pro­ secuzione relativamente indisturbata del sonno.

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Il lavoro del sogno consiste solo, dunque, nel lavoro di mascheramento, per quanto vario, complesso e - come Freud stesso ci ha mirabilmente dimo­ strato - percorso da miriadi di nessi associativi dotati di senso? Non potreb­ bero rientrare nel concetto di lavoro anche aspetti funzionali che più spesso definiamo in generale come «elaboratività»? Nella nota aggiunta nel I9I4 alla Traumdeutung (p. s z 8) Freud lo esclude categoricamente: contestando le considerazioni di Maeder ( I 9 I z) sulla fonc­ tion ludique del sogno (che può contenere tentativi di risolvere conflitti, e che, sulla falsariga del gioco, può essere inteso come esercizio preparatorio a suc­ cessive realizzazioni), e quelle di Adler ( 1 9 1 I) sulla «funzione di premedita­ zione» del sogno, liquida queste funzioni «secondarie» come «prestazioni dell'attività inconscia e preconscia dello spirito, che può prolungarsi nello stato di sonno come residuo diurno». Insomma, come dire: non sono funzioni del sogno, bensì resti del pensiero vigile conscio e preconscio, casomai inglobati nel sogno. In realtà diversi autori moderni sono apparsi perplessi di fronte a questa restrittività concettuale. Resnik (I982) afferma che parlare del lavoro onirico soltanto in tennini di «meccanismi» gli sembra riduttivo rispetto alla complessità reale di un di­ scorso che è «irriducibile». Matte Bianco (1984), considerando il campo onirico come multidimensio­ nale, ha riproposto lo spostamento come un'apertura verso luoghi, tempi e apparenze imprevedibili, e la condensazione come un tentativo di integra­ zione di categorie spaziotemporali diverse. Kramer (1993) ha studiato gli effetti dell'attività onirica sulla funzione di regolazione dell'umore; Hartmann ( I995) si è occupato della funzione adat­ tativa, «quasi terapeutica» dei sogni. Numerosi autori (Greenberg e Pearlman, I 99 3 i Fiss, I 99o; De Koninck, Proul e altri, 1977) hanno dimostrato un significativo aumento di sonno REM in situazioni di apprendimento complesso; gli stessi Greenberg e Pearl­ man hanno evidenziato funzioni integrative e di problem-solving. Fosshage (1983, 1988) rivaluta la funzione sintetica generale del processo primario, che prevale nel sogno utilizzando immagini visive e sensoriali a in­ tensa colorazione affettiva, e - in contrasto con il modello classico, in cui i conflitti sono visti presenti nei sogni con scarso movimento verso una risolu­ zione - individua nel sogno una tendenza funzionale alla risoluzione di con­ flitti, anche se essa non raggiunge il successo come nell'attività di veglia. Sempre Fosshage (I997) fornisce molto materiale clinico per sostenere l'esistenza di una «funzione evolutiva» dell'attività onirica, materiale basato sull'emergere di nuove configurazioni psicologiche utili al cambiamento e allo sviluppo del paziente. De Monchaux (I978) ipotizza una funzione reintegrativa del sogno ri-

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spetto al trawna; e la grande linea di pensiero che va da Winnicott a Masud Khan a Bollas valorizza con significato funzionale forte la dimensione espe­ rienziale del sogno, già in sé ricca di senso e di efficacia. E l'elenco potrebbe continuare. Ma è soprattutto da Bion in poi che noi non possiamo più prescindere dal considerare l'importanza di una funzione metabolica del sogno, e che - te­ nendo ben presenti i rischi di idealizzazione cui ho accennato all'inizio - ci possiamo permettere di spingere anche un po' oltre il nostro sguardo: imma­ ginando la possibilità di un'area onirica potenzialmente e occasionalmente creativa per le sue possibilità di scomposizione e ricombinazione degli ele­ menti in gioco nel mondo interno del soggetto, grazie all'effitto solvente e rico­

niugante del processo primario. Rovistando tra la sterminata letteratura psicoanalìtica sui sogni, ho recu­ perato l'interessante studio di Grinberg e altri ( r96 7) i quali, sviluppando i concetti di Bion, parlarono di «un apparato per pensare i pensieri e sognare i sogni», che consente di ricordare, sognando, invece di ripetere con agiti. Essi individuarono tre categorie funzionali di sogni: sogni evacuativi, mi­ sti ed elaborativi. Gli evacuativi, sempre presenti in psicotici e psicopatici, evacuano mate­ riale bruto, morto, catabolico, che può o meno trovare scarica diurna in un analista o in un altro ascoltatore, ma che possiamo immaginare grosso modo come destinato all'espulsione non comunicativa in un'area di discarica (den­ tro o fuori il sognatore). In analisi, il progressivo aumento della capacità di tollerare un certo do­ lore depressivo, e la crescente introiezione della capacità di reverie dell'anali­ sta e della sua funzione, consentono al paziente di apprendere progressiva­ mente a sognare i suoi sogni. Si costituisce una relazione di conoscenza autentica verso la realtà interna, con un atteggiamento di comprensione più che di scarica notturna nello «schermo del sogno». I sogni elaborativi compaiono con l'integrazione, hanno spesso una valenza riparativa pur persistendo difese maniacali, e mostrano la crescente capacità del paziente di prendersi cura di sé stesso. Partendo da questi presupposti teorici, chiedo al lettore di seguirmi in una breve parentesi clinica, non particolarmente originale ma adatta a proporre alcuni interrogativi.

Esempio di lavoro «non difensivo» del sogno Alessandra, una giovane donna che ha sofferto di attacchi di panico, lau­ reata in filosofia, aspira a entrare in un prestigioso gruppo di ricerca post-uni­ versitario che, tra le varie attività, gestisce un seminario quindicinale aperto al pubblico.

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Partecipare a esso con continuità è il primo, necessario gradino per acce­ dere ai successivi livelli di affiliazione e compartecipazione; ma è anche ine­ vitabile fonte di paura, di conflitti, di fantasmi di indegnità, di inadeguatezza, di castrazione, di esclusione e via dicendo; Alessandra si muove in un am­ biente senz'altro difficile, concorrenziale e ipercritico, cui si sovrappongono però i suoi accentuati problemi proiettivi. n breve sogno è della notte precedente a questo per lei tribolatissimo ap­ puntamento; prima di addormentarsi aveva pensato, in preda a sconforto, che non ci sarebbe andata.

È al seminario: come le è accaduto nella realtà, hafreddo ai piedi e alle gambe (ci sono degli spifferi); si ripara con le gambe dietro a un tendaggio e lì, con calma e de­ terminazione, indossa calze e calzettoni. Dopodiché sta meglio. Dopo il sogno Alessandra si è alzata di buon umore; alla sera è andata ve­ ramente al seminario e, nel complesso, si è sentita abbastanza bene.1 Potremmo dire, in modo un po' descrittivo, che nel sogno è riuscita a prendersi cura di sé per quel tanto che serviva a proteggerla dagli «spifferi»­ attacchi-maldicenze così temuti, insidiosi e persecutori, e a provvedere a una certa «termoregolazione emotiva» necessaria ai fini di un progresso. Io intenderei anche lo svolgersi delle operazioni di autotutela e cura «die­ tro a un tendaggio» come una rappresentazione del carattere preconscio di esse: il non farsi vedere (da altri, nel sogno) è a mio avviso un non farsi ve­ dere consciamente, alla luce dell'Io, da me e da lei, un non « avvedersi» in re­ gime di consapevolezza. È implicito come questa capacità di cura sia strettamente correlata al pro­ cedere dell'analisi (penso che Grinberg e colleghi, nel più ampio ambito del processo psicoanalitico, avrebbero ascritto questo sogno alla categoria degli «elaborativi»); e non mi dilungherò sul complesso significato delle «gam­ be», per la paziente, in questo specifico momento in cui deve trovare la forza di star su, di andare avanti, di recarsi a queste preziose occasioni professio­ nali ecc. Voglio invece proporre alcuni interrogativi. Si può affermare che questo sogno «sia servito a qualcosa», che abbia avuto una funzione? Da un certo punto di vista esso sembra non solo aver protetto il sonno, non solo aver rappresentato un desiderio. Sembrerebbe aver messo in scena con efficacia un know-how concreto (mettersi addosso di­ fese opportune e adeguate, calze e calzettoni) che in qualche modo è poi ri­ trovabile nel successivo assetto interno della paziente. L'elemento della concretezza non corrisponde solo a una semplificazione 1 Questo sogno sembrerebbe confermare le osservazioni più recenti di Fosshage ( 1 997) sull'emergere di una nuova configurazione onirica come passaggio evolutivo, che può promuo­ vere lo sviluppo.

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condensativa: trovo valide le considerazioni di Atwood e Stolorow (1984) ri­ guardo al fatto che la simbolizzazione concreta e l'uso nel sogno di imma gini percettive concrete dotate di vividezza allucinatoria consentono di rappresen­ tare pensieri astratti, sentimenti e stati soggettivi con una sensazione convin­ cente per il sognatore rispetto alla validità e realtà di queste configurazioni. Insomma: percepire è credere, e ciò contribuisce al senso di «verità» e di « esperienza» del sogno. Ma, sempre tenendo presente il rischio di idealizzare e sopravvalutare il potere, l'utilità, il senso e la funzione del sogno, mi sentirei di affermare con certezza che Alessandra è andata con serenità al seminario poi che ha fatto quel sogno? A stretto rigore di logica direi di no. Io posso constatare che c'è andata poi che (cioè: dopo che) ha fatto quel so­ gno; il che sul piano della logica secondaria non ci dice granché. Ma spesso ciò che è logico non è psicologico, e noi analisti, a differenza degli altri stu­ diosi, siamo portati a rispettare in certi casi - oltre che a demistificare, in altri ­ la logica «illogica» del processo primario. Così, in questo caso, l'ingenuo post hoc: ergo, propter hoc! (il «poi che» che diventa «poiché») ci permette non già di confermare un rigoroso nesso cau­ sale, ma di tenere aperta la continuità di uno sviluppo di eventi e di senso, con quella felice indefinitezza che rende perplessi una certa parte degli epistemo­ logi, e che viceversa ci consente alle volte di lanciare ardite passerelle tibe­ tane là dove sembrava impossibile procedere in base alla sola logica razionale del processo secondario.

Assetto dell'analirta e lavoro con il sogno Questa felice indefinitezza temporanea ci caratterizza spesso quando lavo­ riamo con il sogno: ad esempio, «mettendo le mani» in un sogno di cui non abbiamo capito niente, cominciando a parlame ad alta voce con il paziente, a volte si realizzano sviluppi imprevisti, in noi e in lui, e - rinunciando in questi casi alla politica di dare corso esclusivo all'oro psicoanalitico dell'interpreta­ zione compiuta - accade che da cosa nasca cosa, nel campo mentale condiviso. In altre occasioni è la sospensione - compresa !'« astinenza rappresenta­ zionale» (Giaconia, Pellizzari e Rossi, 1 997; Racalbuto, 1 994) - a produrre in noi la lievitazione di movimenti interni creativi: trascriviamo un po' osses­ sivamente il sogno che il paziente ci narra, come certi monaci medievali che forse si fecero amanuensi anche per sospendere il pensiero; come una tessi­ trice la cui attenzione conscia è catturata dalla pratica dell'ordito; o alla ma­ niera di un saggio zen che prepara un tè secondo regole minuziose per rassi­ curare e al contempo stordire l'Io difensivo . . . e il nesso non logico spunta come un bucaneve, da noi o dal paziente, trovato proprio perché paziente­ mente e fiduciosamente non cercato.

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Questa felice indefinitezza temporanea, «sognante » o «sospesa», non è certo l'unico registro secondo il quale ci compete funzionare: ricordo con emozione le vibranti parole di Franco Fornari (un decifratore, in un certo senso) al Congresso SPI del 1976 a Venezia, su «Realtà psichica: mondo in­ terno e mondo esterno». Fornari auspicava con energia, in quell'occasione, il formarsi di «analisti ben svegli» e non troppo trasognati, affinché non perdessero il senso della realtà nel condurre il paziente attraverso la lunga e complicata vicenda psicoanalitica. Questa dialettica tra i diversi assetti funzionali dell'analista, ben prospet­ tata dagli studi analogici di Kris ( 1 952) sul ricorso alternato a processo pri­ mario e secondario nella creazione artistica, è stata ripresa da Riolo (1983) nel suo lavoro sul sogno, configurando l'analista come «non confinato in una dimensione sognante, ma capace di riemergerne ogni volta verso lo stato di coscienza», con oscillazione del pensiero tra investigazione e reverie. L'analista, insomma, lavora con armonica alternanza tra avventura e ri­ gore, tra la deregulation del processo primario e la ricomposizione orientativa del processo secondario. Così, ad esempio, nel lavoro sul sogno con il paziente oscilliamo spesso tra la modalità freudiana di farlo associare sui vari elementi, e altri modi più in­ tuitivo-empatici di cogliere senso e nessi (Ferretti, 1 990). Lo stesso autore ci propone ulteriori declinazioni tecniche di questa alter­ nanza: da un lato, il giocare con le fantasie connesse al sogno; dall'altro, con stile più cognitivo, l'analizzare come il sogno viene presentato: ad esempio «ho fatto un sogno» (senso creativo attivo); «ho avuto un sogno» (senso pas­ sivo); «finalmente ho un sogno! » (tipico dei pazienti intellettualizzanti, ma consci dei propri ostacoli al contatto con l'interno); e così via. Nel lavoro con il sogno noi entriamo in funzione interpersonalmente nell'area « muta» corrispondente, nell'intrapsichico, a quella del risveglio del paziente dopo il sogno: l'area in cui l'Io difensivo inconscio e la censura chiu­ dono il contatto del soggetto con il proprio modo interno. L'analista, percepibile portatore di una più fluida e pacificata relazione tra i propri spazi e livelli funzionali interiori, e progressivo creatore di un rapporto e di un'atmosfera intersoggettivamente condivisibili e più praticabili, riaccom­ pagna il paziente sul luogo della dimenticanza e della perdita di senso: e là, mi piace pensare, accende un focolare, qualcosa che illumina e che scalda. L'effetto benefico sarà dovuto più alla sua luminosità, che aumenta la pos­ sibilità di «vedere» Qavoro sul sogno), o al suo calore, che consente il disgelo degli affetti (lavoro con il sogno)? Nel lavoro psicoanalitico con l'lo prevalgono le funzioni visivo-decifratorie, nel lavoro con il Sé prevale la condivisione parziale dei livelli di esperienza (Bo­ lognini, 1990, 199 1 , 1 995); l'analisi è il frutto di un'integrazione di questi modi di funzionare.

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Esempio de/ lavoro «Con» il sogno Gianna è una paziente quarantenne lamentosa, sfiduciata e agorafobica. Nella seduta in questione produce 3 5 pesanti lamentele, riferendo malessere, apatia, non-voglia di vivere, e mi fa sentire appesantito a mia volta; come lei, non vedo prospettive. Aggiunge che stamattina le pare di non sentire, a tratti, il braccio destro. Dopo una pausa stagnante, mi racconta un sogno di stanotte, cominciando con tono un po' distaccato. PAZIENTE: Eravamo io e lei, dottore, e lei mi teneva sulle ginocchia; mia madre era di là in cucina che sfaccendava (informazione necessaria: la paziente ha da

sempre un robusto rapporto di alleanza con una madre assertiva, forte e indi­ pendente; il padre, deceduto da diversi anni , è poco citato anche in analisi, quasi nascosto). Lei mi bacia appassionatamente; io prima sono molto stupita, ca­ pirà .. (penso che questo «capirà ... » è un piccolo capolavoro strategico: per eludere l'assunzione di responsabilità del proprio desiderio, la paziente mi convoca in una posizione di concordanza egosintonica nel riprovare le male­ fatte dell'analista seduttore attivo del sogno).. e comunque la situazione va avanti... come dire?... sempre meglio... in realtà gradisco . (movimento reintroiet­ tivo: riassunzione del desiderio come proprio)finché mi sveglio (silenzio). ANALISTA (con aria molto seria): «Una situazione insostenibile . » L'analista, già ingaggiato dalla regia onirica nei ruoli di oggetto del deside­ rio e di attivo seduttore, sceglie di «interpretare», nell' hic et nunc, un terzo ruolo: decide cioè di impersonare consapevolmente, nella scena interpersonale, il Super-io della paziente, proponendo tale personaggio-istanza in modo che esso sia percepibile e affrontabile. Una lieve «ingessatura » caricaturale, con conseguente venatura ironica, ne neutralizza in buona parte la pericolosità. Qui si verifica un viraggio emotivo, cambia l'atmosfera della seduta. PAZIENTE (ridendo): « Sì, chissà dove saremmo arrivati! (si crea un 'atmosfera calda e giocosa, non maniacale; libidica, non erotizzata). Lei gradiva molto, come me . (pausa) . . mah, mi sa che prima o poi non mi sveglio, e continuo il sogno fino alla fine!» Gianna ride con piacere, tranquilla: il Sé è ricontattato, ricomposto e confortato libidicamente, non più escluso e interdetto dalle strozzature dell'lo difensivo inconscio. A questo punto si può iniziare un lavoro di ricognizione psicoanalitica alla luce dell'Io di lavoro di entrambi, riguardo a quanto è accaduto; in questo la­ voro può rientrare anche la comprensione della parziale anestesia al braccio destro, come equivalente corporeo del non essere in contatto, del non sentire una parte interna di sé. .

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Non approfondirò l'analisi di questa sequenza clinica, che io definirei di lavoro «con» il sogno.

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Mi limito a segnalare alcuni punti indicativi, collegabili al materiale pre­ sentato, senza la pretesa di proporre particolari novità, né di codificare in modo forte uno schema teorico: a) nel lavoro con il sogno analista e paziente recuperano, condividono parzial­ mente e protraggono in seduta configurazioni e sviluppi della realtà onirica; b) come nel gioco e nella creazione artistica, essi sperimentano e utilizzano in modo non casuak l'alternarsi del processo primario e del processo secondario: il senso del loro alternarsi è dato, in un buon lavoro psicoanalitico, dall'uti­ lità di seguire sintonicamente le modalità di pensiero del paziente, passo dopo passo, per inserirvisi dialogando al livello consonante; c) ciò può consentire interventi mirati che, nel caso di una compartecipazione del senso di «verità» del sogno, possono avere un'incidenza e un'efficacia del tutto particolari. Ritengo facciano parte di questo ambito le interpretive ac­ tions descritte da Ogden (1 994), che non sono agiti; à) la compartecipazione parziale e articolata, da parte dell'analista, delle fasi di processo primario, durante il lavoro con il sogno, riduce il rischio di fun­ zionare ab externo con ragionamenti, astrazioni e scherni intellettualizzanti, che torneranno utili invece nelle ricognizioni e ricostruzioni successive; e) nel lavoro con il sogno, la caratteristica riformulazione dell'intrapsichico in interpersonale, giocata tra paziente e analista, può essere fonte di agiti se l'analista si identifica (regime inconscio) con uno o più elementi della scena; di trasformazioni se, viceversa, l'analista si immedesima (regime conscio e preconscio) con essi; f) sia nell'analista che nel paziente, una buona pervietà dei canali preconsci facilita un certo «pescaggio» in profondità, pur mantenendo il baricentro nell'Io di lavoro cosciente. Questo assetto necessita, a monte, di un lavoro di tranquillizzazione e di ammorbidimento dell'Io difensivo. Del resto, durante un trattamento psicoanalitico non ci interessa soltanto liberare il prigioniero (cioè portare alla luce il contenuto rimosso), ma anche umanizzare il carce­ riere O'Io difensivo, appunto); g) il lavoro con il sogno è comunque possibile solo quando lo stato della rela­ zione psicoanalitica lo consente. In questo senso, attribuirei più importanza al «clima» complessivo (Viederman, 1991) della fase psicoanalitica in corso, che all'atmosfera della singola seduta.

Un'immagine conclusiva Mi rendo conto, ripercorrendo queste note, di aver operato un'eccessiva sintesi rispetto alla complessità dei concetti proposti, e di aver presentato due frammenti clinici elementari, che con una certa benevolenza potrebbero forse essere definiti «minimalisti», in accordo con la dimensione familiare evocata dall'usanza delle sei bamboline guatemalteche.

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D'altra parte, questa è forse anche la dimensione più appropriata per il la­ voro psicoanalitico con il sogno: una dimensione «cameristica», intima e per­ sonalizzata di collaborazione con il paziente, in cui la scienza e l'istituzione psicoanalitiche costituiscono una presenza basilare ma non incombente, che aiuta e non schiaccia, che fornisce strumenti e consente la riflessione condi­ visa tra colleghi. Con questo spirito, da un secolo a questa parte, gli psicoanalisti esplorano i segreti della vita mentale notturna. E siccome i sogni sono costituiti soprattutto da immagini, vorrei conclu­ dere que�e note evocandone una che, per noi analisti, potrebbe avere un alto potere condensativo. È un'immagine zeitlos, senza tempo, in realtà poco nota, e che io amo molto: la foto di Sigmund Freud, seduto in giardino, assorto in un silenzioso e ravvicinatissimo colloquio di sguardi con il suo cane. In essa il grande scienziato e il suo devoto amico animale si guardano negli occhi, confermando reciprocamente la profondità del loro sodalizio. I cani - non tutti lo sanno - li si può guardare negli occhi se c'è un rap­ porto amorevole con loro: sennò è una sfida. Così è per il contatto con il Sé e, nell'interpersonale, per l'esperienza di condividere passaggi mentali primitivi, concreti, efficaci e significativi come quelli onirici: è la qualità del rapporto a determinare l'imbocco della via della violenza e della paura o di quella della creatività. E Freud, pensatore insigne e scrittore lucidamente ricco e complesso, sa­ peva anche guardare negli occhi il suo cane.

La via freudiana: riletture, riconsiderazioni, revisioni

I due lavori di questa sezione sono esemplari di un processo odierno di ripensamento critico della visione freudiana del sogno, operato attraverso una colta e attenta rivisitazione dei testi originari. Un approccio accurato, competente, riflessivo, che anche attraverso la sua cifra stilistica consente una rilettura non celebrativa ed encomiastica, ma neppure sbrigativa e iconocla­ sta, dell'opera di Freud.

Sergio Molinari, in Tempi e vie della Traumdeutung, ricostruisce lo scenario fantasma­ tico-relazionale entro il quale si svolgeva la vita del Freud ricercatore, e nel quale prendeva forma la sua opera: la splendid isolation creativa conseguente a perdite e separazioni (la morte del padre Jacob, innanzi tutto; ma anche la separazione da Breuer, le che «notturna» del sognatore che riflette su di sé. Occorre ulteriormente notare che, mentre il pensiero indirizza la tensione del desiderio (amore, successo) verso un inter­ locutore esterno e indefinito che si propone come un potenziale destinatario del messaggio di protesta (>. I sogni self-state e la concezione del sogno nella psicologia psicoanalitica del Sé di Heinz Kohut, il lavoro di Franco Paparo e Lucia Pancheri, prende in esame la concezione dei sogni di Heinz Kohut, teorizzata in modo esplicito nelle sue opere, ma anche implicitamente con­ tenuta nelle interpretazioni di sogni da lui riportate. Nella prima parte viene esaminato il contributo teorico più noto di Kohut all'interpre­ tazione dei sogni, la nozione di self-state dream, proponendo una precisazione su ciò che Kohut intendeva con questo termine. Nonostante Kohut abbia definito in La guarigione del Sé (1 977) questo tipo di sogno come la reazione d'allarme del Sé di fronte all'ipersti­ molazione o all'angoscia di frammentazione, in altri passi delle sue opere mostra di rite­ nere che i sogni raffiguranti un pericolo rientrino in realtà in una categoria più ampia di sogni, comprendente l'obiettivazione di stati del Sé che possono essere non solo negativi,

ma anche positivi. Nella seconda parte gli autori espongono i risultati di una loro ricerca condotta su tutte le interpretazioni di sogni date da Kohut nelle sue opere, da cui traggono le seguenti con­ clusioni: r ) Anche se in teoria Kohut parla di due tipi di sogni (quelli che devono essere interpre­ tati secondo il metodo proposto da Freud e i self-state dreams), in pratica interpreta sempre i sogni come sogni sulla condizione del Sé. L'unica eccezione sarebbe l'interpretazione del «sogno dei doni>>, che Kohut avrebbe dato nella prima analisi del signor Z: cosa che sembra una prova a favore della tesi, ormai accreditata, che non si sarebbe trattato di un vero caso clinico di Kohut, ma di una finzione letteraria che adombra il caso stesso di Kohut. 2.) Inoltre, nel modo di interpretare egli anticipa alcune delle idee più interessanti suc­ cessivamente elaborate sul sogno dagli psicologi del Sé post-kohutiani, cogliendone la fun­ zione di mantenimento, reintegrazione e sviluppo del Sé; rivalutando il contenuto manife­ sto, che viene letto come una metafora, e superando l'interpretazione basata sulle singole associazioni in favore di un'interpretazione basata sulla globalità. In realtà, il contributo di Paparo e Pancheri sintetizza con grande chiarezza, in poche pagine, uno dei più importanti sviluppi della psicoanalisi contemporanea: quello per cui l'esperienza psichica del paziente è alla ricerca di comprensione strutturante, oltre che di traduzione conoscitiva.

Grandi autori a confronto: il sogno In Ferenczi, Bion, Kohut

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Nel lavoro sono anche presentate brevi ma stimolanti note sullo sviluppo in prog;ress del pensiero di Kohut: un autore troppo spesso «fotografato una volta per tutte», statica­ mente, magari in riferimento univoco a qualcuno dei suoi saggi più popolari, e di rado co­ nosciuto nella sofferta complessità del suo percorso teorico. E in questo senso l'accosta­ mento editoriale al saggio su Ferenczi non paia casuale: pur con tutte le differenze del caso, il problema di un'integrazione progressiva di contributi scientifici eterodossi rispetto al corpus classico (eppure già influenti e a volte assimilati in modo naturale ma non ufficiale nella pratica clinica) si è posto e si pone, con tempi diversi, per entrambi questi autori; così come la questione di una conoscenza non vignettistica e superficiale delle trasformazioni evolutive dei loro apporti teorici individuali, e delle articolazioni successive scaturite dalla loro opera.

Capitolo 5 Sandor Ferenczi e il sogno: immagini e pensieri tra passato, presente e futuro1 Franco Borgogno

I fanatici hanno i loro sogni, con i quali intessono l un paradiso per una setta, anche il selvaggio l dall'alto delle più nobili forme del suo sonno l indovina il cielo; peccato che essi non abbiano l tracciato su pergamena o su foglia di cinnamomo / le ombre di un melodico enunciato. l Ma nudi di lauro vivono, sognano e muoiono l perché solo la Poesia può dire i suoi sogni l con il bell'incanto delle parole lei sola può liberare / la fantasia dalla fo­ sca fatturai e dalla muta malia. Chi fra i vivi può dire: l l Poiché ciascuno cui l'anima non sia zolla di terra l ha visioni, e parlerebbe, se avesse amato / la madre lingua e da lei fosse stato ben allevato. Keats,

The Fai/ ofHyperion

Perché questo titolo? Esordisco con un commento sul titolo che vuole sottolineare il carattere

di work in progress della riflessione di Ferenczi. Una riflessione oggi da pon­ derare con rinnovato impegno e da rivisitare: sospesa fra il tempo degli inizi della psicoanalisi e un'assoluta modernità, poco riscontrabile nei suoi con­ temporanei e nelle generazioni di analisti immediatamente successive. In oscillazione fra un pensiero già metabolizzato ma in parte ancora visivo­ visionario e metaforico e un discorso di fine elaborazione, Ferenczi accoppia nelle sue idee sul sogno l'enfasi antica sulla catarsi e una prospettiva precorri­ trice che vede nei suoi contenuti un luogo di «messa in scena», di «n-presenta­ zione» e «rappresentazione»: uno spazio, cioè, di potenziale trasformazione non solo della storia passata, ma di quella psicoanalitica, anche quella più recente/ 1 Questo scritto costituisce pressoché integralmente il capitolo

1 1 del volume F. Borgogno,

Psicoanalisi come percorso, Bollati Boringhieri, Torino 1 999· 2 Per Ferenczi, fin dai suoi primi scritti, ciò che viene messo in scena e rappresentato «Ìconi­

camente» e >, i suoi genitori, ponendosi do­ mande sulla loro vita psichica (Ferenczi, 1 9 2 3) e sui comandi e le direttive che essi hanno imposto al figlio per vie ipnotiche e suggestive (Ferenczi, 1908, 1 9o9a, c). L'analista che può comprendere la «bramosia di oggetti» e di affetti del paziente, la sua dipend en za e suggestionabilità, anche quando queste sono scomparse dalla scena e dalla rappresentazione cosciente, che può vedere nei suoi stessi interventi e comportamenti l'inconscia trasmissione surrettizia di me­

tacomunicazioni dense di valore che prescrivono intenzioni, pensieri, senti­ menti desiderabili o n on, e come affrontarli e praticarli, è - sembra conclu­ dere Ferenczi - nella disposizione più adatta per cogliere l'intelligente «enun­ ciato» che il sogno offre rispetto al presente. Da questa piattaforma, costituita dal sogno divenuto «parola viva nel­ l'esperienza presente», gli sarà possibile risalire ai motivi remoti che possono averlo sollecitato, restituendo lentamente al paziente una > dell'oggetto fa­ cendo attenzione alla sua onerosa ricaduta sui processi psichici personali del bambino e del pa­ ziente. Riporto qui la significativa poesia di Winnicott L 'albero, che Phillips (p. 3 8) commenta nella sua biografia di quest'ultimo, sottolineando come «Woods>> fosse il cognome da signorina della madre e ricordando come nel 1 9 5 7 Winnicott avesse descritto il senso della propria conce­ zione dicendo che «posso già vedere quanta parte è stata giocata nel mio lavoro dalla necessità di trovare e riconoscere una buona madre ( . . .) è alle madri che ho avuto sempre il profondo bisogno di parlare>>: «Sotto mamma sta piangendo l piangendo l piangendo l In questo modo la cono­ scevo l Una volta, steso sul suo grembo l come ora su albero morto (dead wooà) l hnparai a farla sorridere l a fermare le sue lacrime l ad annullare la sua colpa l a guarire la morte che aveva den­ tro l n rallegrarla era la mia ragione di vita.» 9 Ferenczi descrive questo fenomeno nel 1920 chiamandolo «riscoperta criptomnestica di una teoria>>. Bisogna, però, altrettanto porre in rilievo che, seppure WUU1icott abbia citato poco Fe­ renczi rispetto alla grande influenza che hanno avuto su di lui i suoi scritti, in particolare gli ul­ timi, nel passo che ho riportato nomina solo due autori (Freud e Ferenczi) come «suggeritori sommessi e dimenticati di idee sue>> (Carloni, 1 997).

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Franco Borgogno

vertici essenziali suggeriti da Ferenczi, dopo averli soffusi - come ha fatto lo stesso Racker - di una Melanie Klein meno rigida e assertiva, già molto fil­ trata dalla metabolizzazione iniziata dalla Heimann con il suo doloroso e im­ portante percorso. Un tale addolcimento delle tesi kleiniane, «ribagnate» in Ferenczi, che fu in buona misura la loro matrice originaria, lo si ritroverà in Bion, che è alquanto vicino a lui nel suo pensiero dopo la «svolta» del 1967, quando non diversa­ mente da Ferenczi medesimo anch'egli sosterrà - cito un unico punto -10 che l'interpretazione non è ciò che il paziente vuole, poiché ha bisogno di sapere che anche l'analista ha attraversato quella crisi emotiva ch'egli sta vivendo per con­ statare come questi l'ha lavorata nel tentativo di uséirne superandola (Borgogno e Merciai, 1997). Rosenfeld stesso diviene ferencziano quando, alla fine della sua vita, spezza una vigorosa lancia in favore della relazionalità cooperativa del paziente, che cercherebbe comunque di trasmettere all'analista informazioni sulla sua malattia e sulla sua sofferenza, monitorandone, seppure in modo crip­ tico e nascosto, con la sua risposta, interventi e silenzi. Ma è nella Faimberg, nel suo «ascolto dell'ascolto», che vede la luce nel I 98 I , che Ferenczi per molti aspetti ritorna pienamente e si ripresenta al me­ glio nella figura di analista emozionalmente e mentalmente raffinato ch'ella mette in opera coniugando gli autori citati più un pizzico di Lacan (grande estimatore di Ferenczi, che parla di lui come dell'indagatore eccelso di ciò che è richiesto alla persona dell'analista per raggiungere responsabilmente le finalità della cura). La Faimberg è sulla scia di Ferenczi allorché descrive che il paziente narra di come l'analista l'ha ascoltato, sostenendo che è questa la strada per pervenire, nel gioco delle identificazioni inconsce sottoposte al working through psicoanalitico, al destinatario immaginario cui egli si rivolge, ora momentaneamente incarnato dall'analista che lo personifica perché senza remare e riserve lo contiene. Anche Ferenczi - lo rammento - similmente a come va prospettando la Faimberg (1 996), riteneva già negli anni venti che, per la futura più robusta in­ tegrazione e identità del soggetto, fosse necessario aiutare il paziente a ricono­ scere nelle «parole», nei «brandelli di parole», nei «sintomi corporei», nelle «immagini delle visioni», nelle «voci delle allucinazioni uditive», i «perso­ naggi patogenetici principali della storia del paziente» e i loro messaggi e mo­ dalità relazionali inconsci, ridivenuti vivi nell'hic et nunc (1926b, p. 365). Detto questo per non dimenticare la diaspora a cui sono andate incontro le sue idee e per rendere omaggio all'autore che l'ha subita, lascio la parola a Ferenczi, ricordando ancora come il suo pensiero sia emigrato, riscuotendo 10 Sull'interconnessione tra Ferenczi e Bion si veda Chasseguet-Smirgel ( 1 987); Samo ( 1 998) e, soprattutto, Sosnik (1 998) per il suo descrivere l'ampia somiglianza di pensiero comparando brani integrali di entrambi gli autori. Sui rapporti tra Melanie Klein e Ferenczi, credo che oggi si potrebbe in parte ci scrivere l'influenza ch'egli ha avuto sul pensiero della Klein.

Sandor Ferenczl e

Il sogno

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ampia fortuna, negli Stati Uniti, dove è stato alla base dell'interpersonalismo di Clara Thompson e di Harry Stack Sullivan e di parte del culturalismo (Erich Fromm e Frieda Fromm-Reichmann) - a lungo svillaneggiati da una supponente profondità europea, che il più delle volte non li ha letti basandosi su una frequente superficialità americana del materiale e dei casi clinici - e ha ispirato nettamente Searles (che qui non possiamo approfondire ma è l'elet­ tivo prosecutore di Ferenczi in America) e le più recenti teorie del «Sé» (Kohut, ad esempio) e della contemporary psychoanalysis, che solo oggi tuttavia riscoprono in lui l'autentico progenitore11 facendo ammenda per l'imperdo­ nabile silenzio passato; e come anche presso di noi il suo orientamento di ana­ lisi sia proseguito in autori come Luciana Nissim Momigliano, Eugenio Ca­ burri e soprattutto Antonino Ferro, senza che essi ne abbiano intravisto com­ pletamente certe similarità di percorso e di problemi che denunciano, oltre alla lungimirante opera editoriale di Carloni e Molinari che ne hanno tra­ dotto i lavori sottraendoli «all'internazionale destino di oblio organizzato» assai prima che nel resto dell'Europa. Il sogno come transito di due inconsci che dialogano Nei due sogni che riferirò, il primo dei quali accompagnato da uno scam­ bio di battute tra Ferenczi e un suo collega, voglio essenzialmente far risal­ tare la specificità del suo lavoro clinico, che si focalizza sul dialogo degli in­ consci e avvicina i sogni non soltanto come «espressione simbolica di ten­ denze» inconsapevoli, ma tentativo di trascrizione e di working through di eventi attuali, i cui resti diurni, da lui felicemente chiamati «resti di vita» (Ferenczi, 1934), coinvolgono in prima persona l'analista e la sua tecnica individuale perché il presente e il passato possano essere nuovamente resi accessibili e «ri-animati» nei loro residui traumatici, angosciosi e dolorosi. Studiando la varietà dei sogni a partire dal momento e dal contesto in cui vengono comunicati (secondo Ferenczi, I 9 1 3a, i sogni vengono raccontati alla 11

Segnalo al lettore un recente lavoro di Joseph D. Lichtenberg (1 997), che descrive il lungo percorso ch'egli ha dovuto fare per riconoscere nelle sue idee e nella sua pratica (teoria dei sistemi motivazionali; enfasi sulle modalità empatiche della percezione; creazione di scene modello; at­ tenzione alla Infant Research) schiette e rilevanti radici ferencziane, prima oscurate e non consi­ derate, per allinearsi alle regole dei suoi mentori e dell'establishment, che escludevano Ferenczi dall'ufficialità e dai programmi di studio come compagnia reietta da non nominare e citare, poi­ ché si sarebbe finiti male anche col solo frequentarla nella lettura. Una posizione comune negli Stati Uniti, ma - lo ribadisco - altrettanto maggioritaria in Europa. Basti pensare all'Inghilterra terra d'esilio di numerosi suoi allievi dove molte opere di Ferenczi circolavano segretamente; e alla sua patria - l'Ungheria - in cui il suo pensiero censurato è addirittura sparito del tutto ed è stato dimenticato. Le vicende, che sinteticamente Lichtenberg espone descrivendo la «doppia ve­ rità » di sé e del suo analista (analizzato da Ferenczi e da Clara Thompson), sono analoghe a quelle presentate da Sue Shapiro (1 993) su Clara Thompson come «messaggera» in America di Fe­ renczi, che ha dovuto mascherare e dissociare «metà del suo messaggio>> per sopravvivere nella sua comunità.

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persona «a cui il contenuto latente del sogno si riferisce»), egli esplora in modo ra­ dicalmente innovativo i cambiamenti nella dinamica freudiana pulsione-di­ fesa attraverso l'intergioco di transfert e controtransfert, aprendo un nuovo capitolo della loro interpretazione centrato sulle trasformazioni indotte dalla relazione. Lo scritto pilota a questo riguardo è Sintomi transitori nel corso dell'analisi (191 2 a), che a mio avviso per lo spirito psicoanalitico che trasfonde è un gioiello di procedura, che incastona il « Freud del piccolo Hans» e molto pensiero futuro. In esso Ferenczi - lo ripeto ancora una volta - riconduce le azioni sintomatiche dei pazienti, sogni inclusi, non soltanto all'accadere en­ dopsichico illustrato da Freud ma a eventi interpersonali suscitati da elementi inconsci dell'analista che ne costituiscono la scatenante origine esogena in connessione alla loro storia singolare. TI primo esempio, tratto da Sog;ni di «profani» del 191 7, rende vividamente pur nella sua elementarità, forse un po' rozza e cruda, lo stile di Ferenczi. L'ho scelto appositamente non potendo commentare dettagliatamente il So­ gno del pessario (Ferenczi, 1 9 1 5) che offrirebbe sicuramente un'immagine più densa e sostanziosa della sua creatività psicoanalitica, in quanto Ferenczi ri­ porta per esteso e in modo didattico, nel lavoro interpretativo che mostra, la completa autoanalisi di un sogno, immaginando un fittizio dialogo fra pa­ ziente e analista in cui vengono mirabilmente a collegarsi, da un lato, i resi­ dui diurni, gli episodi infantili e pezzi di relazione psicoanalitica in corso e, dall'altro, associazioni del paziente, suoi ricordi, e interventi più o meno ap­ propriati dell'analista. Proprio per queste caratteristiche di ricchezza e com­ plessità questo sogno merita dunque uno studio a parte. 12 Un collega che soggiornava nella stessa località mi raccontò una mattina: «Questa notte ti ho sognato, tu lottavi con un malvivente in un canale, e quello voleva tenerti la testa sott' ac­ qua. Io sono corso a chiamare la polizia. >> Non ho potuto trattenermi dal chiedergli: « Che cosa ti ho fatto di male perché tu sia così in collera con me? >> «Ma nulla! ero certamente molto disturbato stanotte quando ho fatto il sogno, perché soffrivo di violente coliche. >> «Forse questo fattore è intervenuto nella formazione del sogno>> risposi. «Il canale nel quale dovevo annegare è un'allusione al tuo tubo digerente, che però nel sogno faceva sof­ frire me e non te. Ti ripeto, sei certamente in collera con me per qualche motivo ! >> «Non

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Il sogno del pessario va letto insieme alla corrispondenza con Freud, dove è al centro di più lettere. In esso Ferenczi presenta molto lucidamente i problemi che saranno argomento della sua analisi e motivo di sofferenza per tutta la vita (la severità e anaffettività della madre troppo presa da altro, l'ambivalenza verso la futura moglie Gizella, il desiderio e il timore di avere dei figli) e mostra la sua divisione interna tra farsi portavoce delle idee di Freud e seguire una linea di pensiero più autonoma. Riguardo a quest'ultimo aspetto, nel lavoro interpretativo che egli qui descrive è evidente un'oscillazione fra il promuovere le associazioni del paziente valoriz­ zando il suo preconscio e il dichiarare attraverso questi l'intenso bisogno di aiuto psicoanalitico, che non sia tuttavia troppo invadente e occlusivo. Tutto ciò acquista un più rilevante significato se si tiene presente che il sogno è comunicato a Freud e che in quel momento Freud si stava ri­ fiutando di prenderlo in analisi dicendogli che non gli era necessaria e che non doveva sottova­ lutare le sue proprie capacità.

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penserai davvero che io volessi annegarti perché ieri mi hai rifiutato Wl piccolo favore; non posso crederlo.» Ma io invece ero costretto a ritenere che quel sogno fosse il frutto di Wl n fantasma di vendetta (Ferenczi, 1 9 1 7, pp. 246 sg.).

li secondo esempio (Ferenczi, 1926d) ripropone in forma più matura e raf­

finata, e indubbiamente elegante e moderna (sembra di assistere a una super­ visione dei nostri giorni), la lettura psicoanalitica già implicita nel commento del precedente sogno. Qui Ferenczi mostra la risposta emozionale e ideativa del paziente alla perentorietà presuntuosa dell'analista (in questo caso di Rank ana­ lista, ma tutti potremmo trovarci nella sua posizione) e sottolinea con vigore che sono le associazioni e gli affetti del paziente che l'analista deve ascoltare («bisogna percorrere pazientemente il cammino che il suo personale destino prescrive a lui e a noi», p. 3 84) prima che le sue teorie e preferenze ideologi­ che, se vuole raggiungerlo nella sua storia idiosincratica dandogli strum enti consoni di elaborazione della «sua» fantasia inconscia. Queste ultime sono per lui, comunque, in sé stesse decisamente meno importanti rispetto a come vengono emozionalmente utilizzate nell'assistere un'altra mente, al punto che egli nota: « Si può infatti guarire con tutte le tecniche possibili: con interpre­ tazioni tanto paterne quanto materne, con spiegazioni storiche, mettendo in rilievo la situazione analitica, e finanche con la vecchia, buona suggestione e l'ipnosi» (p. 3 83). Ritrascrivo per l'agio del lettore il sogno della paziente di Rank: Ero in analisi e giacevo sul lettino. Conoscevo l'analista, ma non so dire chi fosse. Dovevo raccontargli il sogno di un viaggio fatto con amici comuni. Avevo appena cominciato quando fui interrotta da rma vecchia seduta su un ceppo di legno, che pretendeva di interpretare il mio sogno in maniera più popolare (come fanno le vecchiette). Dissi all'analista che io ero in

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Un altro esempio di sogno interpretato da Ferenczi in chiave relazionale lo si può trovare in prima di darvi un senso, di chie­ dere al paziente di associare e di approfondire le sue affermazioni. In Controindicazioni della tecnica psicoanalitica attiva (192 6a) Ferenczi riconosceva a Rank e a Groddeck la priorità di questo stile in­ terpretativo bipersonale, che in realtà - come anche altri colleghi hanno evidenziato (Balint, Hay­ nal, Cremerius) - è di Ferenczi prima che di Rank e di Groddeck. ln particolare, egli attribuirà in questo scritto a Groddeck l'uso sistematico di connettere all'a tteggiamento dell'analista la reazione del paziente: «Devo comunque aggiungere che, volendo essere imparziali, la priorità al riguardo spetta in effetti a Groddeck, il quale, quando lo stato del malato peggiorava, gli rivolgeva invariabilmente questa domanda: "Che cos'ha contro di me? Che cosa le ho fatto?" Egli sostiene, infatti, che at­ traverso la risposta a questo interrogativo è sempre stato in grado di eliminare il peggioramento, ed è inoltre riuscito, con l'aiuto di siffatti artifici analitici, a capire più a fondo il passato del pa­ ziente» (p. 346). Questa tendenza di Ferenczi ad attribuire ad altri i suoi concetti può essere vista sia come risultato della sua lotta tra dipendenza e indipendenza, per cui è possibile che Rank e Groddeck utilizzassero più liberamente questa tecnica mentre lui continuava a essere anche le­ gato agli strunienti della psicoanalisi classica, sia come espressione del suo essere portato ad assi­ stere e sostenere le idee altrui più che a farsi bello con le proprie. A quest'ultimo proposito si col­ legherebbe pure il fatto che già in questi stessi anni egli vedeva nel ricondurre tutto al transfert il pericolo di creare un'atmosfera paranoide dove l'analista, in modo megalomane, si pone al centro della scena, finendo per attribuire al paziente e pretendere da lui sentimenti che magari non si sono ancora realmente formati, e per sbarazzarsi così della scomodità di non capire subito le sue manifestazioni affettive, rifugiate e dissociate.

La tecnica psicoanalitica ( 1 9 1 9b), dov'egli parla dell'importanza,

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grado di raccontare meglio il sogno, se solo la vecchia non mi avesse interrotta. Allora egli la invitò a tacere, si alzò e, afferrando con entrambe le mani l'amaca sulla quale ora mi pareva di giacere, mi sollevò e mi scosse violentemente. Poi disse: «Quando lei è nata era tutta rossa (in viso); poi è stata messa su un divano e suo padre si è seduto accanto a lei.» Nel sogno mi meravigliai della spiegazione e pensai: « Sono cose così lontane . » (p. 381). .

.

Il pensiero di Ferenczi è il seguente: Rank interpreta questo sogno come un confronto dell'esperienza analitica con la nascita vera e propria, nel quale l'analista compie il lavoro dell'ostetrico: egli scuote la paziente finché questa viene al mondo tutta rossa in viso. Non è molto più verosimile interpretare questo frammento di sogno in relazione alla situazione analitica, dicendo che «le carenti interpretazioni della situazione materna dell'analisi» date in precedenza alla paziente erano bastate a risvegliare in lei tutto lo scherno e il dileggio nei confronti di quelle stesse interpretazioni? Essa definisce l'analista una vecchia che interpreta al modo delle vec­ chiette, non la lascia parlare, la interrompe continuamente e la scuote finché non accetta l'interpretazione materna (essere partorita dall'analista). Rank si è dunque lasciato abbin­ dolare dalla paziente, dal momento che ha preso sul serio il suo consenso ironicamente esa­ gerato e lo ha utilizzato come base per la sua teoria della nascita (ibid.).

È facilmente intuibile che Ferenczi si rivolge con questo suo commento alla vigilanza autocritica dell'analista, che deve sorvegliare eventuali suoi at­ teggiamenti narcisistici che il sogno puntualmente fotografa. Ferenczi de­ nuncia inoltre l'idea piuttosto usuale, e non solo di Rank, che sia l'interpreta­ zione profonda - quella che frequentemente corrisponde alla «teoria scelta» a far sbocciare rapidamente il paziente, non curandosi di investigare «con at­ tenzione ugualmente sospesa» «come e perché una cosa si è svolta in quel modo», da più angolature e da più livelli di lettura. Contrariamente a Rank, che afferma - con leggerezza e superficialità, ri­ balde secondo Ferenczi - che all'analisi non interessa «il raffreddore del pa­ ziente» o «dove questi se l'è buscato», egli sarebbe partito proprio da questo punto esplorandone l'origine nella situazione psicoanalitica presente, perché è attraverso la delucidazione del sintomo e dei motivi della sua comparsa nella rela­ zione attuale che si può capire il transfert primitivo in modo autentico, e non li qui­ dandolo con dotte interpretazioni precoci prima che si sia «regolarmente in­ stallato e sia stato coscientemente realizzato». Non è sufficiente quindi - si può dire con Ferenczi a conclusione di que­ sto secondo esempio - che l'analista abbia in mente la nascita del paziente. Essa è successiva a un fertile e prolungato accoppiamento mentale e deriva da una consistente gestazione psichica, che - come lo stesso «sogno del pes­ sario» ben evidenzia - «chiede all'analista» di farsi responsabile dei movi­ menti generativi o occlusivi, contenitivi o abortivi impliciti nei suoi interventi e nelle azioni emotive che sempre li accompagnano, suscitando modi di essere e contesti di apprendimento, ed escludendone altri. Per analizzare il transfert materno non bastano - sostiene F erenczi in de­ finitiva - interpretazioni che parlano di madre. Occorre vedere chefunzione si sta realmente esplicando nelle vicende in atto e volgere uno sguardo coraggioso

Slindor Ferenczi e Il sogno

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alla pragmatica delle proprie comunicazioni, pronti a riconoscere eventuali man­ canze rispetto ai bisogni e ai desideri del paziente in quel momento. Ferenczi, in simili circostanze, era particolarmente acuto a cogliere le in­ versioni di ruolo mobilitate da lassità e incongruenza psicoanalitica, oltre a sintonizzarsi con la protesta e la rimostranza non consapevoli manifestate in modo occulto nel materiale, come è palese nelle sue osservazioni sul sogno di Rank. Sapeva ad esempio - per ritornare al raffreddore - com'esso fosse uit sintomo tutt'altro che blando per il paziente-bambino piccolo e rinviasse ad abbandono, senso di rifiuto, prostrazione e perdita di speranza ai livelli in­ fantili della mente (Ferenczi, 1929). l segni e i simboli del trauma: la revisione dell'interpretazione psicoanalitica

dei sogni È una parte, questa, che non svolgerò se non a grandi tratti. Ho tralasciato d'altronde anche il Ferenczi che interpreta in maniera classica i sogni: quello che ha fatto dire a Freud ( 1 9 3 3 ) che ciascuno di noi, lui compreso, «è ed è stato suo allievo» e a Melanie Klein che egli era a man of unusual gift per la comprensione dell'inconscio, del simbolismo e della psicologia del bambino piccolo. Vorrei - ma non lo farò - nominare i molti suoi scritti al proposito a uno a uno e parlare della sua fervida immaginazione, capace di costruire un «pon­ te»: metafora che amava più di altre per il suo «congiungere e separare>> ren­ dendo il transito percorribile e per il suo immettere «nella vita l'essere non an­ cora nato» (Ferenczi, 192 1). Un ponte soprattutto con l'animo infantile del sognatore, che necessita in linea di principio di essere «trattato alla pari» con sensibilità e rispetto, e non con sufficienza e distanza altezzosa: che vuol dire, per l'ultimo Ferenczi, non attribuire tassativamente al p aziente le cangianti, mutevoli e mai uniche identificazioni che abitano i suoi sogni, senza aver prima riconosciuto e distinto chi parla realmente in nome suo e dei suoi biso­ gni e desideri e chi impone la propria voce e presenza da luoghi di non-apparte­ nenza personale del soggetto.'4 14 In questa concezione del sogno come luogo che comprende le «parti costitutive della perso­ nalità>>, non tutte di provenienza certa del soggetto poiché di possibile derivazione introiettiva e proiettiva primitiva (per suggestione, contagio, mimetismo), Ferenczi è particolarmente vicino a ciò che teorizzerà Fairbairn nel 1 944 vedendo i sogni come « drammatizzazione o short (in senso cinematografico) di situazioni esistenti nella realtà interiore» (p. 1 2 8). Anche per Fairbairn, come per il F erenczi del Diario clinico (vedi in particolare i suoi appunti su Elizabeth Severn del 7 luglio 193 2), i personaggi dei sogni sono parti dell'Io o oggetti interiorizzati, spesso cattivi, che il sog­ getto ha posto dentro di sé identificandovisi sia perché non ne poteva fare a meno (anche se lo tra­ scuravano e maltrattavano) sia a fine di controllo nella speranza di sopravvivere. Entrambi lavora­ vano su un livello ben antecedente l'Edipo classico, prima di qualsivoglia separazione e separa­ tezza. Lucio Russo, nel suo recente libro L 'indifferenza dell'anima ( 1 998b), affronta lui stesso que­ sto livello, che chiama «livello della mimesis tragica e della forma poetica».

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«Bambini», «identificazioni primitive», «bisogni legittimi da non disat­ tendere» saranno componenti prioritarie del suo nuovo sfondo terapeutico, che verrà a coinvolgere anche l'interpretazione dei sogni con una revisione della teoria e della tecnica. Essi saranno infatti da lui spiegati, come ho ac­ cennato all'inizio di queste riflessioni, non più nei termini prevalenti di esau­ dimento di desideri pulsionali (una prospettiva, a suo avviso, troppo evoluta), ma come ricerca incessante di riconoscimento e tentativo di soluzione di vicende di vita indigente e traumatiche che non possiedono parole per essere espresse sentitamente e consapevolmente, né uno spazio interno atto a condividerle. Vicende che - lo risottolineo - possono in partenza non riguardare il sog­ getto che le vive ma i genitori e anche le generazioni precedenti, che «ri­ mandano alla discendenza l'onere penoso di liquidarle» (1924, p. 2 79) com­ parendo nei sogni come «revenants» e «memorie sepolte».15 Per questo Ferenczi, il sognatore poteva essere giunto, per sopravvivere a un dolore troppo grande vissuto, a e cioè vestigia arcaiche del nostro passato animale che continuano a ripresentarsi nei nostri modi di agire attuali. D lettore interessato al confronto Ferenczi-Bion trova qui nessi e convergenze soprattutto con la trilogia bioniana Memflria delfuturo e con la riflessione sugli «assunti di base>>. In molti passi dell'opera di Ferenczi si possono rinvenire stimolanti osservazioni su comportamenti primi­ tivi di sopravvivenza e di lettura dell'esperienza, che in buona parte saranno riprese da Hermann, da Bowlby e dalla moderna Infant Research. Parte sempre di qui (e dal suo scritto del 1909 sull'in­ troiezione) l'interessante riletrura di Nicolas Abraham e Maria Torok (1 976, 1 987) dei fenomeni incorpora rivi e introiettivi, che riprende il concetto di Ferenczi di «monumento storico>> e di re­ venants estendendo il suo intuitivo ampliamento transpersonale in termini squisitamente transge­ nerazionali di «monumento commemorativo», «fantasmi>> e «cripta» che contengono l'incon­ scio non elaborato dei genitori, sentito dal soggetto «estraneo e non appartenente a sé>>. 16 In un frammento datato 1o/8II930 Ferenczi segnala che nei sintomi e negli stessi sogni que­ ste condizioni traumatiche possono essere rappresentate nel modo seguente: lo stato di inco­ scienza successivo al trauma come «sensazione di avere recisa o perduta la testa»; lo stato confu­ sionale che lo accompagna come «sensazione di vertigine>>; quello di dolorosa sorpresa come «sensazione di essere travolti da un ciclone»; il deliquio della morte come «proiettato su un og­ getto senza vita, animale o essere umano»; la scissione della personalità come «una lacerazione subita»; la frammentazione come «esplosione» ( 1 92o- 3 2 , pp. r 66 sg.). In altri passi, sempre nei

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ripudiata e resa, per così dire, autistica dalle difese autoplastiche estreme. Di

offrire - innanzitutto - con l'analisi quel contenitore, qui inesistente, che per­ mette di guardarsi e di sentirsi in modo emotivamente riverberativo e, a li­ vello di rappresentazione, significativo, trovando i mezzi ottimali per toccare e scongelare i sognatori facendoli rientrare nei loro sogni e nella loro pelle dal loro essere «fuori di sé» ed «esterni» ai loro accadimenti onirici. Ma come si può ottenere questo? Qual è la via che permette di superare una condizione diffusa di «anestesia » e di «passività »? Che cos'è che può modificare la «paralisi assoluta della motilità» che «comporta la cessazione della percezione e con essa del pensiero stesso» lasciando «del tutto indifesa la personalità»? (26, ill , I9J I , in 1 920- J Z , p. 1 85). Come si può dare «inizio» a un nuovo «abbrivio» che consenta ai nostri pazienti di credere a ciò che essi hanno sperimentato e di riappropriarsi dei propri ricordi allontanati e dimenticati, e forse mai registrati in parole con­ sapevolmente sentite? Come si può aiutarli a svincolarsi da sottomissione e dipendenza nei confronti di oggetti impropri e a far rifiorire un apprezza­ mento sano di sé, che è stato «mortificato» e «sequestrato », in un ambiente - quello psicoanalitico - che non deve essere «aggiuntivamente traumatico»? La sua risposta - sintetizzandola il più possibile - è che l'analista ha come suo compito inalienabile quello di dar credito alle percezioni e alle sensazioni del paziente e di esplorarle, anche quelle che traspaiono nei sogni, con una teoria ma soprattutto uno spirito profondo che consideri che nella vastità del vivere si possono dare situazioni di crescita per nulla adeguate. Queste potranno cambiare, interiormente al paziente e nei suoi futuri rapporti, solamente se l'analista non ne negherà l'esistenza, nemmeno in sé stesso, riuscendo a «ma­ terializzare», dandone prova, qualcosa di diverso mediante l'analisi. Le vicende trawnatiche, come ormai si sarà capito, devono secondo Fe­ renczi essere riattualizzate nella seduta al fine di portarle «per la prima volta alla percezione e alla scarica motoria in condizioni più favorevoli» (ibid. , p. r 86), dove sostanzialmente sarà l'atteggiamento dell'analista a fungere da «effetto di contrasto» rispetto a quello del genitore di un tempo. Egli introdurrà nella conversazione psicoanalitica altre visioni, altri valori, altre qualità di soccorso ai bisogni e alle angosce dei pazienti, che pro tempore vicarieranno uno sguardo parentale e una cura di base che non sono stati, nella speranza di so­ stituirsi lentamente al potere attrattivo delle strutture protesiche e autarchi­ che che ne hanno preso il posto. Frammenti e annotazioni ma anche negli ultimi scritti (soprattutto Le analisi infantili sugli adulti e Confusione delle lingue tra adulti e bambim) e nel Diario clinico egli descriverà nei sogni dei suoi pa­

zienti: « teste staccate dal corpo che camminano su proprie gambe»; «teste collegate al corpo da un esile filo>>; «persone che lievitano o guardano dal soffitto>>, «da un albero o da una torre»; «fardelli sulle spalle>>, «gobbe», «tumescenze>>, che quali «abbracci mortali>>, talvolta di persone, tormentano bambini e adulti, travestiti sotto abiti materni e paterni; inseguimenti e assalti da parte di bestie feroci e di banditi, a cui si sopravvive intonsi come se niente fosse successo e così via; e offrirà numerosissimi esempi di sogni che rinviano a possibile stupro e abuso emozionale.

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Maggior calore e partecipazione, indica Ferenczi; maggior fiducia nella «reversibilità dei processi psichicì, e cioè di tutto ciò che non è puramente ereditario» ( r 93 2 a, p. 2 79) e, specialmente, instancabilità nel ritrovare ricordi scissi nelle tracce che gli affetti a essi collegati hanno lasciato17 e nell'appren­ dere nella relazione «l'origine esogena di ogni emozione, sensazione o rea­ zione di difesa» (1 920-p, p. 1 79). Muoversi su questo piano di accettazione e di accoglimento della regressione im­ plica nella pratica di Ferenczi potersi assumere transitoriamente la responsabilità del dolore psichìco che il paziente sperimenta (l'analista letteralmente - egli dice ­ viene richiesto di «prenderlo su di sé»)/8 attuando ad esempio una sistematica e aggiornata ricognizione per individuare se fra gli «assassini » dei sogni, gli «indifferenti», gli «autisti pazzi», gli «irraggiungibili» e gli «ottusi » non pos­ sano essere visualizzati aspetti di discontinuità e interruzione di impegno e at­ tenzione psicoanalitici; forse qualche riserva ad accollarsi la persecuzione del metodo; qualche antipatia verso debolezze e anormalità del paziente per noi fastidiose; qualche elemento di rivolta e ripulsa di fronte a quote di impotenza, rabbia, disperazione e malessere che questi al momento non può vivere. So­ stare nella difficile situazione in cui si trova il paziente aumentando l'ascolto e il coinvolgimento diviene così indispensabile, per Ferenczi, come altrettanto in­ dispensabile è per lui indossare i suoi panni prima di restituirglieli, poiché - al­ l'opposto - spingerlo anticipatoriamente a una diversa collaborazione all'im­ presa comune lo renderebbe unicamente un'altra volta quel «poppante sag­ gio», che probabilmente già è stato su pressioni non modificabili dei suoi ge­ nitori, raggiungendo una forma di autocontrollo «compiacente>> e «come se», non effettivamente maturata e integrata.19 17 Scrive Ferenczi: « I l fatto d i essere scisso può rendere impossibile i l ricordo conscio, m a non può impedire che l'affetto che è ad esso legato si apra un varco sotto forma di umori, di crisi emo­ tive, di suscettibilità, sovente sotto forma di depressione generalizzata, o di un'allegria compensa­ toria imm otivata o, più spesso, attraverso wrie sensazioni fisiche e diversi disturbi funzionali» ( 1 9 � z a, p. 2 79). 8 Mi riferisco a uno specifico esempio clinico di Ferenczi in cui egli parla di un paziente che voleva farlo diventare «Giulio Cesare» nell'accogliere le sofferenze agoniche da lui provate. Evento che Ferenczi legge come richiesta urgente del paziente che l'analista si prenda lui su di sé l'assenza di capacità e di voglia di vivere ch'egli sente, a partire dal fatto che la parola Caesar, pro­ nunciata in inglese da questo paziente, suonava parimenti come «prendila>> (seize ber). E Ferenczi - per come continua l'esempio - descrive di «essersela>> alla lettera «presa su di sé>> giungendo a perdere l'attenzione finché il paziente non parlò attraverso un sogno di un «analista addormen­ tato». Riconoscendo l'esattezza della percezione del paziente, Ferenczi replicò un po' innervo­ sito: «0 sono Giulio Cesare o non lo sono. Non posso, contemporaneamente, avere crisi epiletti­ che (l'agonia del paziente si manifestava in questa forma) e prestare consciamente attenzione a tutte le comunicazioni del paziente. » Il paziente trovò ragionevole questa sua affermazione ma poi rilanciò che anche Ferenczi aveva bisogno di un pezw di analisi e Ferenczi acconsentì, salvo a ricredersi e a ritornare sui suoi passi subito dopo ritenendo ciò un aggravio di tensioni e di peso per il paziente, ch'era tuttavia servito a lui per capire più a fondo i sentimenti di sfiducia da questi provati nei suoi confronti e rispetto al dipendere più sostanziosamente dall'analisi ( 1 9 3 2a, pp. 1 3 6 sg.). Sono chiaramente presenti i n questo esempio gli indubbi pregi del suo intuito clinico come le carenze trasformative di quanto recepiva e capiva. 19 Va detto che a conti fatti Ferenczi finirà per incorrere nello stesso errore che avrebbe voluto

Slindor Ferenczi e il sogno

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È su quest'onda di intendimenti che Ferenczi critica la teoria di Freud dei sogni come realizzazione attiva di desiderio. Questa imputerebbe inevitabil­ mente al paziente, anzitempo e in modo moralistico, ciò che è raffigurato nei sogni, rendendolo regista delle sue immagini e di quanto è destato in noi dal loro racconto e in generale dal comportamento prima, durante e dopo il so­ gno. Sarebbe invece utile nella sua ottica - tanto più con questo tipo di pa­ zienti - che fosse l'analista a elaborare supplementarmente gli eventi onirici nel senso che ho detto, con-cedendo e con-sentendo quelle condizioni di risa­ namento e di ricostituzione di cui necessitano, che prevedono anche quella che Ferenczi chiama «giocoanalisi»: un'analisi - in sostanza - dove vi sia po­ sto per la sicurezza e per il piacere della scoperta e del ritrovamento, e non solo per richieste da esaudire e compiti maturativi da portare a termine.20 Nasce da questa inquieta e stimolante fucina di idee, che Ferenczi da solo non riuscirà a trasformare in un nuovo assetto analitico davvero soddisfa­ cente, il suo appello a «minor suggestione di contenuti» e «maggior suggestione di coraggio»/1 che significa nei suoi propositi l'esigenza di una più consistente apertura mentale e affettiva e di una diminuzione del «terrorismo della sof­ ferenza», implicito nel procedere classico. Ferenczi, in altri termini, si interevitare con i pazienti, poiché con l'analisi reciproca favorirà egli stesso la ripetizione delle loro vi­ cende di «poppanti saggi>>. Permettendo infatti ch'essi diventassero (seppure in modo alternato) un analista per lui, li invitò a continuare a curare la depressione e i bisogni di riconoscimento dei genitori e a capire le loro mancanze e in ciò ostacolò l'autentico processo di autonomizzazione fa­ vorendo a sua volta il loro destino di figli che si sono dovuti occupare pressoché da soli di sé stessi. Ferenczi sembra rendersi conto di questo aspetto ma gli manca la forza trasformativa necessaria per elaborare la loro storia complessa di pazienti-bambini per molti versi deprivati, che intende tuttavia assai meglio e ben più profondamente dei colleghi del suo tempo. Limitarsi a sottolineare unicamente e prevalentemente questo lato del suo lavoro è, comunque, fargli tono perché così si dimentica che egli fu disponibile a introiettare, nel rovesciamento di ruoli riattualizzato in quelle analisi, la posizione del bambino capendo per questa via sia gli affetti e le reazioni di questi sia le tecniche manipolative e narcisistiche usate dal genitore in quelle situazioni. Non fu invece capace di metabolizzare una sufficiente separazione fra sé stesso e il paziente, dal momento che si tro­ vava, per la reviviscenza di propri traumi, troppo identificato nel poppante saggio. n che lo ponò da un lato a giustificare ad oltranza le proteste e le nchieste dei pazienti addossandosi il compito di risolverle, dall'altro a finire per richiedere lui stesso una cura di sé, ritenendo, nell'accettarla, di rinsaldare la loro precaria fiducia in sé stessi e di rivalorizzare il loro Sé sacrificato.

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L'idea di Ferenczi è che l'interesse per la realtà diventi saldo se l'infanzia è vissuta a fondo e non è compromessa da una tabella di marcia rigida: se si lascia che il bambino «giochi a sazietà>> e medi così il suo adattamento alle inevitabili esigenze dei genitori e della crescita. Sono questi ritmi e questo spirito ch'egli cercava di ricreare in analisi. Un esempio noto di questo clima, non «se­ rioso» ma al contempo capace di sintonizzarsi con la vergogna di aprirsi e il desiderio di farlo, fu il suo rispondere a un paziente che titubante gli parlava dei suoi «timori di panorire un bambino>> con lo stesso suo tono bisbigliato: «Beh, che cosa te lo fa pensare? >>, adattandosi - senza interpretare il significato del transfen - alla «mentalità» presente al momento che si riferiva a nonno e nipote (19 1 � pp. 400 sg.). 1 E una distinzione importante e centrale questa, nell'ultimo Ferenczi, che compare per la prima volta nel I 93 I in Le analisi infantili sugli adulti. Preoccupato di sviluppare «l'attitudine alla produzione autonoma>> del paziente, egli sostiene che l'analista deve usare il suo inevitabile in­ flusso «favorendo gli sbocchi dell'ipnosi dall'interno all'esterno>> e non viceversa (p. 406). Ciò sa­ rebbe per lui possibile rinunciando al proprio sapere e incoraggiando il paziente a provare e pen­ sare sostenendo ogni suo piccolo passo in quella direzione e la speranza nel futuro. Per Ferenczi comunque la suggestione è ineliminabile e l'analista deve riconoscere che la sua panecipazione e la sua qualità di lettura dell'esistenza influenzeranno il paziente nel bene e nel male.



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rogherà in questi ultimi anni se la nostra amata teoria, che proclama con ec­ cessiva certezza che la crescita mentale sorge da dolore, frustrazione e assenza, riabiliti e convalidi realmente il paziente umiliato e negato nel suo valore e

è ritirato dalla vita subordinandosi all'autorità cui non si può prescindere per esistere. Se sia questo ciò che assi­

nella sua autonomia, che si emotiva da

ste fecondamente la mente che si vuole far crescere (e, in certi casi, nascere) o se non vi sia l'urgenza di aumentare la risposta

emotiva e di conquistare umiltà in discussione il nostro narcisismo e il nostro

e impeg;no più disponibili, ponendo «comfort», come lui li definisce opportunamente e vantaggiosamente per noi,

se possiamo riconoscere la validità di queste sue osservazioni critiche al di là della stessa realizzazione difettosa dei suoi nobili e ideali propositi. 22

Ricordo, per finire, ch'erano dello stesso tipo i punti di contesa affettiva con Freud. Freud aveva sovente disatteso le sue richieste di riconoscimento e i suoi bisogni di cura, fraintendendone la natura e sbrigativamente liquidan­ doli come non opportuni e infantili. Ferenczi glieli aveva ripetutamente ci­ proposti e, poiché Freud non li aveva sostenuti, vi aveva in apparenza rinun­ ciato, mettendosi nella posizione di nutrire e curare le menti altrui, anche quella di Freud, nei loro difficili parti.

In tale posizione era arrivato lui stesso,

non poche volte, a sacrificare il proprio nome e le proprie intuizioni e a po­ sporli a favore del pensiero e delle medesime carenze di metabolizzazione di colleghi e pazienti. Ma per chi ne legge l'opera oggi, permettendosi di immedesimarsi in lui,

è ineludibile ch'essa parli

di «voce violata » e « impedita » che l'analisi deve

riscattare. Quella che via via iniziò nel suo percorso a prendere fiato per dire la «SUa » e che traspare chiaramente in tutti i suoi ultimi scritti, che si allon­ tanano da Freud per proporre nuovi vertici di riflessione da lui scartati e in­ dicare un'alternativa di osservazione.21 Non poteva più, come aveva fatto in passato, abdicare a «propri figli » per la psicoanalisi, e gli era perciò diventato impossibile accondiscendere nuova­ mente a Freud, che esigeva una volta ancora che mettesse da parte qualcosa che sentiva proveniente da sé stesso per diventare, quale presidente della In­ temational Psychoanalytical Association, genitore di tutti i colleghi. Quelli che per Freud erano soltanto «figli dei suoi sogni» e « della sua fantasia » (vedi la lettera del 1 2 maggio

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erano ora per lui il frutto della sua vita di anali-

2 2 Sarà simile la lezione dell'ultimo Bion sintetizzabile in «+L» e «+H», che in Italia viene ri­ presa fra gli altri da Lussana, che parla - per bonificare il dolore - di « arricchimento di inter­ azione e contatto» e di mutualità con interventi di , anche ( 1987). 21 Freud in Analiri terminabile e interminabile avrà molto in mente Ferenczi quando sottolineerà che nel futuro della psicoanalisi andrà ripresa dagli analisti una robusta riflessione sui fattori di cura. Russo (1 99Bb) offre un'interessante ricerca, nei testi freudiani, di questo importante aspetto della psicoanalisi che richiede modificazioni metapsicologiche, facendo risaltare come Freud avesse ben intravisto il livello preso a cuore da Ferenczi, seppure l'avesse poi trascurato a favore di livelli mentali più evoluti e differenziati.

Séndor Ferenczi e Il sogno

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sta e il prodotto dell'incontro di cuore, di pancia e di testa con i suoi pazienti e con la comunità, e vera follia sarebbe stata rimandame la nascita e annullarla.24 Non aveva forse indicato Freud che la comprensione parte dal contatto con la propria esperienza, qualunque essa sia? O che l'elaborazione proficua sorge dal prendere in considerazione le personali immagini scaturite dalla re­ lazione in corso, anche quando non si accordano con come e quanto si do­ vrebbe pensare? È a questa impresa, di alto impegno etico oltre che professionale, che Fe­ renczi si avvia col Diario clinico, maturando l'assunto tecnico, ancora per certi aspetti immaturo poiché teorico, del 1926 (che recitava - lo ricordo - «ogni sogno, ogni gesto, ogni lapsus, ogni peggioramento o miglioramento delle condizioni del paziente» va metabolizzato nel presente esplorando il proprio «reciproco» transfert e resistenza, 1926a, p. 346) in esercizio vivo e duraturo, che richiede un consistente coinvolgimento nel processo dell'analisi per po­ ter emergere a viva conoscenza delle dinamiche in corso. Certo gli è accaduto ripetutamente di perdersi per ritrovare la coscienza vi­ gile necessaria al nostro ruolo, ma la comunità psicoanalitica - anziché recepire la portata straordinaria del suo magistrale contributo - l'ha trasformato in torto e, secondo la classica tradizione che miti e drammi greci insegnano (Haynal, 1997), ha punito l'audace «eroe sognatore» stigmatizzandolo come psicotico, discreditando in questo modo ogni innalzarsi intrepido e nuovo della mente al di là della vanità e della sottostante patologia del pensiero istituzionale. La sua vicenda può forse, però, aumentare e attrezzare in modo più solido il nostro lavoro sui sogni e invitarci - come lui suggeriva - a rendere onore e giustizia alle doti e abilità dei loro sognatori (1 9 1 5 , p. 1 5 7), che possono con essi aprire un varco ri-presentativo e rappresentativo di aree dissociate della mente, la cui chance di comprensione passa attraverso l'affetto e la partecipa­ zione emotiva prima che tramite la cognizione. Affetto e partecipazione emo­ tiva devono comunque prima o poi giungere a parola e narrazione elaborata per sciogliere effettivamente il legato suggestivo e ipnotico in direzione di una simbolizzazione, che promuova utile separatezza nell'indispensabile mu­ tualità di incontro.

24 Mi riferisco al fatto che ai tempi dell'«affare Ehna» Freud spinse chlaramente Ferenczi a spo­ sare Gizella (che non avrebbe più potuto dargli figli) poiché, in quanto più vecchla e matura di lui, l'avrebbe aiutato in quelli che vedeva come suoi aspetti infantili e sarebbe stata una garanzia rispetto al timore che Ferenczi si disperdesse in altri amori (quello per Elma-fìglia di Gizella, ad esempio) che non fossero la «causa psicoanalitica». Non ho approfondito l'«affare Elma>> di cui tutti parlano perché farlo richlederebbe di uscire dal sensazionale e dal pettegolezw superficiale e calunnioso, per studiare a fondo le lettere di Ferenczi e Freud, più gli altri carteggi (come quello con Groddeck), le recenti interviste di Ehna stessa e i ricordi «più a freddo>> di colleghl, amici e «vicini».

Capitolo 6 Il sogno tra cl inica e teoria nel modello bionlano. Una linea di lettura del sogno dell 'uomo dei lupi

Giovanni Hautmann

Come è noto, il lavoro teorico-clinico di Freud sull'uomo dei lupi, analiz­ zato prima della guerra mondiale e scritto nel 1914, è incentrato su un sogno ripetitivo fatto dall'uomo dei lupi a quattro anni e raccontato a Freud dal pa­ ziente agli esordi della sua analisi. Ecco il sogno: Sognai che era notte e mi tro­ vavo nel mio letto (il letto era orientato con i piedi verso la finestra e davanti ad essa c'era un filare di vecchi noci; sapevo ch 'era inverno mentre sognavo, e ch 'era notte). Improvvisamente la finestra si aprì da sola, e io, con grande spavento, vidi che sul grosso noce proprio di fronte alla finestra stavano seduti alcuni lupi bianchi. Erano sei o sette. I lupi erano tutti bianchi e sembravano piuttosto volpi o cani da pastore, perché avevano una lunga coda come le volpi, e le orecchie ritte come quelle dei cani quando stanno attenti a qualcosa. In preda ai terrore - evidentemente di esser divo­ rato dai lupi - mi misi a urlare «e mi svegliai» (Freud, 1914a, p. 506). TI paziente, tra l'altro, aggiunge: «Passò un bel po' di tempo prima che mi convincessi che era stato soltanto un sogno, tanto naturale e nitida mi era parsa l'immagine della finestra che si apre e dei lupi che stanno seduti sull'al­ bero. Finalmente mi tranquillizzai, mi sentii come liberato da un pericolo, e mi riaddonnentai. L'unica azione contenuta nel sogno fu l'aprirsi della fine­ stra, poiché i lupi stavano seduti tranquilli e immobili sui rami dell'albero, a destra e a sinistra del tronco, e mi guardavano. Era come se avessero rivolto su di me tutta la loro attenzione. Credo che questo sia stato il mio primo so­ gno d'angoscia» (ibid.). Dice Freud: «TI giovane aggiunge quindi un disegno dell'albero coi lupi che conferma la sua descrizione» (ibid.). Freud fece un'analisi minuziosa del sogno a cui l'uomo dei lupi finì di collaborare. Ma intanto voglio richiamare subito come Freud nel suo lavoro scritto introduce il sogno: «La dilucida­ zione ulteriore del nostro caso clinico fu dovuta al ricordo, affiorato con estrema chiarezza, della seguente circostanza: nessuna sensazione d'angoscia era comparsa fra i segni di alterazione del suo carattere prima che si fosse ve-

Il sogno tra clinica e teoria nel modello bioniano

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rificato un certo avvenimento; prima, a quanto pare, l'angoscia non c'era; im­ mediatamente dopo quell'evento essa si manifestò nel modo più tormentoso. Questa trasformazione - a quanto si poté accertare con sicurezza - si verificò immediatamente prima del quarto compleanno. Grazie a questo punto di ri­ ferimento l'epoca infantile di cui intendiamo occuparci può dividersi in due fasi: una prima fase di "cattiveria" e di perversità che va dai tre anni e tre mesi (epoca della seduzione) al compimento del quarto anno, e una seconda più lunga fase nella quale prevalgono i sintomi della nevrosi. L'avvenimento che consente questa separazione non fu un trauma esogeno, ma un sogno da cui il bambino si risvegliò in stato d'angoscia» (ibid. , pp. 505 sg.). Freud, quindi, pone subito il sogno a segnare un cambiamento strutturale nella personalità del paziente. Si addentra poi, attraverso le associazioni del paziente, le interpretazioni ricostruttive del passato, le congetture ipotizzanti certi possibili eventi, la riflessione teorica, nell'analisi del sogno e quindi nell'inconscio del paziente-bambino. Qui, ovviamente, debbo darla per co­ nosciuta. Sottolineo però degli aspetti, quali intanto il materiale fiabesco che Freud per prima cosa indica come costitutivo della scena manifesta del so­ gno. E cioè la novella di Cappuccetto rosso, la novella del Lupo e dei sette capret­ tini, la novella del Sarto e de/ lupo. Questo materiale è investito di particolare interesse da parte dell'uomo dei lupi-bambino, come poi, un po' più grande, tutta la materia mitico-religiosa oggetto di meditazione e critica. Alcune fi­ gure, come il nonno, la madre, un precettore, sono legate a questa dimen­ sione narrativa e suggeriscono quanto il lavoro ricostruttivo di Freud potesse essere vissuto alla luce del transfert di questa esperienza narratologica. A sua volta questa, nell'infanzia, ci si prospetta come un contenitore ricercato, di esperienze concrete, a indicare una tensione con probabili intenti evolutivi del pensiero, a livello di passaggi tra rappresentazione di cosa e rappresenta­ zione di parola. Del resto, oltre che la visualizzazione sintetizzante nella scena del sogno, della mitologia fiabesca e delle sue connessioni con le correnti libidiche e gli eventi della storia infantile, l'elemento transferale più appariscente è dato proprio dalla connessa storia del lupo e dei sette caprettini, perché Freud ci dice che nelle prime sedute di analisi, e quindi già prima del racconto del so­ gno, il paziente guardava ora Freud dietro di lui, ora il grande orologio a muro che aveva davanti. E l'espressione suggeriva l'intenzione di rabbonire Freud, che tempo dopo si rese conto che il più piccolo dei sette caprettini si era nascosto nella cassa dell'orologio mentre i sei fratelli venivano divorati dal lupo. La temporalizzazione dei vissuti, anche inconsci, della propria vita, così per­ vasiva dell'analisi di Freud, sembra conferire un particolare senso al nascon­ dersi nell'orologio e dare alla funzione temporalizzante ricostruttiva di Freud

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Giovanni Hautmann

il senso di un contenitore buono, che fa crescere, arrovesciando il terrore del padre-lupo che nell'immobilità ferma il tempo e paralizza il pensiero. Se il sogno a quattro anni, nel giorno di Natale, che era anche il giorno del compleanno, realizza un'elaborazione di certi assetti mentali che introdu­ cono il paziente nell'esperienza dell'angoscia e nel sintomo della fobia, il rac­ conto del sogno nei primi tempi dell'analisi tenta probabilmente un cambia­ mento nel processo psicoanalitico che si andava organizzando e, attraverso di esso, nella qualità del pensiero che sosteneva la relazione oggettuale nel trans­ fert. Infatti, mentre nei pochi accenni al transfert Freud descrive atteggia­ menti o condotte che sono vicini al piano dell'azione, come quando dice che di fronte alle difficoltà della cura il paziente «minacciava di divorarmi», «op­ pure, ma questo più tardi, di usarmi ogni sorta di altri maltrattamenti: vo­ lendo tuttavia con queste minacce esprimere soltanto la sua tenerezza» (ibid. , p. 578) e, secondo quanto Jones racconta, l'uomo dei lupi «dette inizio alla prima seduta offrendo a Freud di avere rapporti anali con lui e poi di defe­ cargli in testa» (Jones, 1 9 5 3 , p. 3 3 7), e che sono in certo qual modo un vero e proprio agire se il «paziente riuscì, grazie al dubbio, a trincerarsi dietro una rispettosa indifferenza e a mantenersi per anni impermeabile ad ogni sforzo terapeutico ( . . . ) [e non] si verificava alcun mutamento» (Freud, 1 9 14a, p. 549), le cose cambiano con il racconto del sogno. Esso e la sua connessione con il transfert, almeno al livello della favola del lupo e dei sette caprettini, ma anche tutta la dimensione elaborativo-narrato­ logica connessa, indicano come, attorno al racconto del sogno, si sia espressa una modificazione qualitativa del processo di simbolizzazione che Freud aveva subito messo in evidenza notando le modificazioni strutturali della persona­ lità del paziente dopo fatto il sogno nel Natale del suo quarto anno di vita Come sappiamo, Freud procede nella ricostruzione dei dettagli della scena primaria quale evento reale, cui il paziente-bambino avrebbe assistito all'età di un anno e mezzo. E dice anche che il bambino comprende il processo e il suo significato, ma precisa in nota: «Intendo dire che lo comprese all'epoca del sogno, a quattro anni, non al momento dell'osservazione. In altre parole, a un anno e mezzo egli raccolse impressioni la cui comprensione differita fu poi resa possibile dal suo sviluppo, dall'eccitamento sessuale e dall'esplora­ zione sessuale infantile» (p. 5 1 5 , n. 4). In particolare Freud, poco più avanti nel suo scritto, precisa che il sogno, sintetizzando le impressioni della scena primaria con la storia dei lupi, la favola dei sette caprettini, rispecchia l'evo­ luzione del pensiero durante la formazione del sogno: desiderio di soddisfa­ cimento sessuale ad opera del padre, ma comprensione che la castrazione ne costituisce la condizione, e quindi emergere dell'angoscia: paura del padre. Più avanti Freud dice: «Con il sogno il bambino attinse un nuovo stadio di organizzazione sessuale» (p. 5 2 2). Fino ad allora i contrari sessuali erano stati attivo e passivo dai tre anni e tre mesi, per la seduzione della sorella era stato pas-

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sivo (farsi toccare i genitali) e per regressione sadico-anale si era fatto masochi­ sta (farsi battere sul pene). «Ed ecco che la riattivazione onirica della scena pri­ maria ricondusse il paziente all'organizzazione genitale. Scoprì la vagina e il si­ gnificato biologico della mascolinità e della femminilità. Comprese che attivo equivale a maschio, passivo a femmina» (p. 52 3). Dibattendo un po' più avanti il problema generale della reale esperienza della scena primaria o della sua costruzione fantastica, riferendosi al suo dis­ senso dall'idea che per il fatto di tornare come ricordi nei sogni le scene pri­ marie debbano essere pure fantasie necessariamente, Freud scrive: «Mi sem­ bra assolutamente equivl1lente al ricordo se esse - come nel nostro caso - ri­ tornano sotto forma di sogni la cui analisi ci riporta invariabilmente alla stessa scena ( . . . ) Del resto anche sognare è un modo di ricordare, anche se un ri­ cordare soggetto alle leggi ( . . . ) della formazione onirica» (p. 52 7). Il sogno di cui si parla è quindi riguardabile come uno spazio di elabora­ zione mnesica oltre che di elaborazione cognitiva. Accade, come tutti noi sap­ piamo, che il sogno sia alle volte uno spazio di risoluzione della rimozione e ripresentazione di un ricordo in sé. Qui, invece, si ha che il ricordo è elabo­ rato in un nuovo sistema di simbolizzazione che integra, a un livello di mag­ giore complessità del pensiero, l'elemento mnesico, quello ideativo, quello affettivo. Proseguendo un discorso che noi ora possiamo leggere secondo quest'ot­ tica di costruzione di un pensiero più complesso, Freud ipotizza inoltre, a partire dall'aspetto più di cani che di lupi degli animali, anche disegnati, sull'albero, che il bambino sotto i quattro anni avesse assistito a coiti tra cani e li avesse proiettati all'indietro su esperienze di effusioni variamente spinte, viste praticate dai genitori. Il sogno, sotto la corrente emotiva del desiderio e dell'attesa dei doni di Natale, avrebbe quindi costruito anche questa sintesi proiettiva tra il coito dei cani e la riattivazione di impressioni suscitate dalla coppia genitoriale. Tornando alle modificazioni di personalità operate dal sogno, Freud indica il movimento che il sogno aveva tentato di avviare, ma anche i limiti, in un certo senso il suo fallimento parziale rispetto a una possibile realizzazione completa. Freud infatti dice che il paziente-bambino «si trovava dunque in pieno in quella fase dell'organizzazione pregenitale in cui io ravviso la disposizione alla nevrosi ossessiva. In virtù del sogno che lo aveva riportato sotto l'influsso della scena primaria, egli avrebbe potuto compiere il passo che lo separava dall'organizza­ zione genitale e trasformare il suo masochismo verso il padre in un atteggia­ mento femminile verso di lui, ossia in omosessualità. Ma il sogno non permise questo passo giacché si risolse in angoscia» (p. 5 3 8). La corrente affettiva e relazionale che quindi il sogno elabora coinvolge il livello istintuale delle relazioni sadomasochistiche implicate nella fenomeno­ logia anale, nelle verbalizzazioni, nei comportamenti, nel transfert, oltre che

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nell'infanzia, che il paziente presenta, e il tentativo di trasformazione istin­ tuale in senso più genitale che il sogno progetta, interrotto dall'irruzione di un più primitivo livello di angoscia (essere divorato) che interrompe l'elabo­ razione simbolica dell'angoscia di castrazione. Mentre questo livello (orale) avrebbe dovuto aspettare la descrizione delle costellazioni fantasmatiche e delle angosce relative al loro strutturarsi nelle primitive relazioni oggettuali evidenziate da Melanie Klein, Freud in questo continuo rifarsi, durante la ri­ costruzione a partire dal sogno e gli eventi attraversati dall'uomo dei lupi nell'infanzia, con la sua relativa organizzazione inconscia, al sogno come mo­ mento trasformativo della personalità del bambino, ci offre un collegamento diretto e anticipatorio del suo pensiero con la concezione del sogno di Bion. Freud del resto arriva a ipotizzare che nel sogno non solo sia stata messa in atto la rimozione dell'omosessualità come identificazione femminile e pas­ sività verso il padre, per cui quell'«importante impulso fosse riservato all'in­ conscio, mantenendosi per ciò stesso orientato verso l'oggetto che ne costi­ tuiva la meta originaria, e sottraendosi dunque a tutte le sublimazioni di cui altrimenti sarebbe stato suscettibile» (p. 545), ma che sia stata anche rimossa la scoperta operata pur essa durante il sogno, secondo cui la penetrazione della donna non avveniva attraverso l'ano, ma attraverso la vagina. Questa intuizione ipotizzata da Freud, per cui l'uomo dei lupi-bambino avrebbe, nel sogno, affiancato alla teoria cloacale una più evoluta rappresen­ tazione dell'anatomia e delle funzioni del corpo femminile e del rapporto ses­ suale, mantenendole però scisse e rimuovendo nell'inconscio la concezione più genitale, indica la propensione di Freud a considerare il sogno una modalità di costruzione del pensiero che Bion svilupperà. Ma c'è un contenuto di questo sogno che è particolarmente suggestivo per immaginare un ponte tra la lettura di Freud e gli sviluppi del pensiero di Bion sul sogno. Ricordiamo che l'uomo dei lupi racconta che era notte e stava nel suo letto con i piedi rivolti verso la finestra, quando improvvisamente questa si apre da sé, e vede con spavento diversi lupi assisi sul grande noce di fronte. Durante lo svolgimento del suo scritto Freud aveva più di una volta inteso l'aprirsi della finestra come l'aprirsi degli occhi, una sorta di sogno del risve­ glio, del resto sulla scorta di quanto in tal senso era stato autointerpretato dal paziente. Questo risveglio rimanda all'aprirsi della porta e alla visione dell'al­ bero di Natale, il giorno del suo compleanno, carico di luci e di strenne e di doni e, inconsciamente, alla scena primaria. Ma ormai sul finire dell'analisi, prossimo al congedo, Freud collega l'aprirsi improvviso della finestra con l'esperienza sintomatologica del paziente di sentirsi squarciare il senso di un velo che abitualmente si frappone tra lui e la realtà, velo che per brevissimo tempo si dilacera nel transito espulsivo di un enteroclisma praticatogli da un uomo e in seguito da sé stesso. Il ricordo associato dal paziente di essersi sen­ tito raccontare di essere «nato con la camicia», permette a Freud di collegare ·

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il dilacerarsi del velo, e quindi l'omosessualità connessa all'enteroclisma, a fantasie di rientrare nel corpo della madre e a fantasie di rinascita che il pa­ ziente-bambino ha tentato di elaborare con il sogno. Nella misura in cui questa elaborazione, assieme a quella di tutti gli altri aspetti trasformativi ricordati, che configura una polidimensionale organiz­ zazione simbolica dei movimenti dinamici istintuali e della strutturazione della propria mente, con un nuovo assetto delle relazioni oggettuali che si in­ scrive in un nuovo modo di «pensarsi» e quindi in un nuovo assetto del Sé, si manifesta nel sogno con l'intensità subitanea di una sottolineata esperienza visiva quale l'aprirsi improvviso della finestra, la nostra riflessione va proprio al primo Bion, quello del gemello immaginario, che propone l'idea che il primo formarsi del Sé comporti la contemporaneità di un'esperienza intellettiva e di un'esperienza visiva. Del resto la centralità dell'esperienza visiva è forse richiamata anche nel transfert dal fatto che l'uomo dei lupi ne fece a Freud, dopo raccontato il so­ gno, un disegno illustrativo. Freud non ne ha parlato se non per notare che in esso i lupi sono cinque e non sei o sette come raccontato. E vi ha visto un richiamo alle ore cinque del pomeriggio, correttivo dell'affermazione conte­ nuta nel sogno «era notte». Questione della collocazione temporale della scena primaria e riferimento alle febbri malariche e alle variazioni depressive dell'umore. Ma anche rinforzo alla scena primaria medesima e all'angoscia di castrazione, perché il «cinque» in numeri romani si connette alla fobia della farfalla, che per altra via si connette alla scena con Grusa. Scena importante, perché nell'ottica kleiniana apre l'orizzonte dell'interpretazione di una possi­ bile erotizzazione sadico-anale di un seno persecutorio che denega la bontà del «seno-dolci-pere striate» forse perduto a tre mesi, epoca della malattia e dei disturbi alimentari. Ma i cinque lupi, così come posizionati nel disegno, fanno ipotizzare un'al­ tra cosa, che serve per completare una lettura integrativa dell'interpretazione del sogno, sulla base della teorizzazione di Bion. I tre lupi sul lato destro del tronco e i due sul sinistro mi sembrano poter raffigurare le cinque dita della mano aperta, potenzialmente racchiudibili intorno al tronco-pene. Tutta la minuziosa interpretazione di Freud, attraverso il disegno del sogno, può es­ sere riportata a una fantasia masturbatoria che ci suggerisce come, a un certo livello, desideri e angosce siano proiettati e realizzati nel corpo e nell'eccita­ zione, che la sua masturbazione attiva, e che nel sogno reiterativamente ripe­ tuto e poi reiterativamente raccontato tentano di guadagnare una mentaliz­ zazione che dalla corporeità, con la sua possibile confusione soggetto-og­ getto, cerca di collocarsi nella gamma dei livelli di simbolizzazione del pen­ siero. La differenza tra il racconto del sogno e il suo disegno non sta soltanto nel numero dei lupi, sta nel fatto che solo il racconto ci fa imbattere nell'im-

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provviso spalancarsi della finestra che conferisce alla scena dei lupi sull'al­ bero, vista dall'interno della stanza, uno statuto diverso rispetto al disegno, ove lo spazio dell'osservatore e lo spazio dell'oggetto osservato non sono di­ stinti e definiti. Questa condizione di illuminazione rende ragione dell'aprirsi al pensiero di un'esperienza mentale che potrebbe intendersi altrimenti col­ locata nel corpo e che Bion, concettualizzandola in termini di indistinzione tra corporeo e mentale, animato e inanimato, conscio e inconscio, avrebbe potuto indicare come un'aggregazione di elementi beta. La mente del pa­ ziente-bambino che è attraversata dal suo primo sogno di angoscia e la mente dell'uomo dei lupi adulto che racconta il sogno e fa il disegno, in fondo diffe­ renziandoli, per Freud equivale all'aprirsi della finestra che distingue e con­ nette l'interno della stanza e il fuori come a istituire la distinzione e la con­ nessione tra mente e corpo, cioè un pensiero capace di pensarne il diverso statuto e la complementarità. La simbolizzazione, che si è introdotta a trasformare l'elemento beta in elemento alfa attraverso un momento iniziale di illuminazione, ci richiama le trasformazioni in O, e con la formazione globale del sogno attraverso vari li­ velli di integrazione PS'D e di funzioni contenitrici di vari contenuti rintrac­ ciabili nei minuziosi elementi messi in luce da Freud, a configurare un pen­ siero complesso K ricostruttivo della propria vita e della propria personalità. L'aprirsi della finestra come affacciarsi sul pensiero fuoriuscendo dalla condizione mentale masturbatoria, recupera allo squarciarsi del velo, alla fan­ tasia di nascere, all'uscire dall'onnipotenza fetale e all'affrontare la relazione con gli oggetti fin dalla loro persecutorietà (i lupi), la realizzazione di sé come capacità di pensare coscientemente e inconsciamente la propria istintualità, le proprie angosce, la propria condizione intrapsichica e intersoggettiva. Ma questo squarciarsi del velo e questo prendere contatto con la propria realtà psichica, questo oggettivare sé stesso assieme alla propria identifica­ zione soggettiva, è una dimensione nuova della propria mente, forse la più profonda motivazione dell'angoscia che spaventa il bambino che fuoriesce dalla sua difesa masturbatoria. Ma con il sogno una nuova rappresentazione della propria istintualità, della propria strutturazione, della propria modalità relazionale si inserisce nella mente a riorganizzare il sentimento di sé.

Capitolo 7 l sogn i «self-state» e la concezione del sogno nella psicologia psicoanalitica del Sé di Heinz Kohut Franco Paparo e Lucia Pancheri

Questo lavoro prende in esame la concezione del sogno di Heinz Kohut, mettendo a fuoco nella prima parte l'apporto teorico più noto di Kohut all'in­ terpretazione dei sogni, il concetto di self-state dream, e, nella seconda parte, mettendo a confronto le idee espresse da Kohut sul piano teorico con ciò che egli faceva in concreto, esponendo i risultati di una ricerca da noi condotta su tutte le interpretazioni di sogni riportate da Kohut nelle sue opere, più il Ca­ sebook (Goldberg, 1 978) scritto con la sua collaborazione. l self-state dreams

Pur utilizzando ampiamente l'interpretazione dei sogni nelle sue opere, Kohut non ha lasciato una teoria del sogno. li suo contributo più noto su que­ sto argomento è la nozione di self-state dream, definita in La guarigione del Sé (1977). Qui Kohut afferma: «Fondamentalmente esistono due tipi di sogni: quelli che esprimono contenuti latenti verbalizzabili (desideri pulsionali, con­ flitti e tentativi di soluzioni del conflitto) e quelli che tentano, con l'aiuto di immagini oniriche verbalizzabili, di fissare le tensioni non verbali di stati traumatici Oa paura di una stimolazione eccessiva, della disintegrazione del Sé (psicosi)). I sogni di questo secondo tipo raffigurano la paura del sogna­ tore di fronte a un aumento incontrollabile della tensione o la sua paura della dissoluzione del Sé. L'atto stesso di raffigurare queste vicissitudini nel sogno costituisce un tentativo di controllare il pericolo psicologico coprendo pro­ cessi indefiniti e spaventosi con immagini visive definite» (p. 107). Questo secondo tipo di sogni è denominato da Kohut «self-state dreams» (traducibile in italiano come «sogni sullo stato del Sé»). Kohut afferma che la tecnica interpretativa è diversa nei due tipi di sogni: la differenza principale consiste nel fatto che, mentre nei sogni del primo tipo è compito dell'analista seguire le associazioni finché venga rivelato il signifi-

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cato inconscio, secondo il metodo teorizzato da Freud nell 'In terpretazion e dei sogni (1 899), nei sogni del secondo tipo le associazioni non conducono ai con­ tenuti latenti, ma forniscono immagini che rimangono allo stesso livello del contenuto manifesto del sogno, servendo a focalizzare l'angoscia del paziente (Kohut, 1977). In questo caso l'interpretazione spiega il sogno sull a base della conoscenza generale del paziente e delle informazioni riguardanti la situa­ zione specifica (vicende relazionali nella vita del paziente e nella relazione psicoanalitica). Secondo Kohut questi sogni sono simili ai sogni dei bambini (Freud, 1 899), ai sogni delle nevrosi traumatiche (Freud, 192ob), che Freud distingueva dagli altri sogni, e ai sogni allucinatori che si verificano negli stati di intossicazione o nelle febbri alte. Kohut afferma che nei self-state dreams l'esame del contenuto manifesto e delle associazioni permetterà di riconoscere che i settori sani della psiche rea­ giscono con angoscia a un mutamento disturbante nella condizione del Sé - una sovrastimolazione maniacale o una caduta depressiva dell'autostima ­ o alla minaccia di dissoluzione del Sé. 1 Gli esempi che Kohut cita in questo passo per illustrare la nozione di self­ rtate dreams riguardano l'angoscia del Sé di fronte all'iperstimolazione, e nes­ suno sembra rappresentare un serio pericolo. Uno è il sogno di Dio del si­ gnor C, riportato in Narcisirmo e analisi del Sé (Kohut, 197 1). In un periodo in cui il paziente desiderava essere onorato e celebrato pubblicamente, il signor C aveva fatto il seguente sogno: Era stato sollevato il problema di trovarmi un successore. Io pensavo: e perché non Dio? (p. 1 50). Secondo Kohut questo sogno mostra l'angoscia del paziente di fronte all'emergere degli antichi deliri di grandiosità (il sogno condusse a fantasie infantili di essere Dio), riaccesi da eventi recenti, tra i quali la separazione dall'analista, ma aggiunge che anche nel sogno il paziente sembrava dar prova della sua capacità di padroneggiarli attraverso l'umorismo (Kohut, 1 977). Un altro esempio di self-state dream ci­ tato da Kohut è il sogno dell'altalena della signorina F. In un momento in cui si sentiva angosciata dalla stimolazione derivante dal suo intenso esibizioni­ smo arcaico, mobilitato dal lavoro psicoanalitico, la signorina F aveva so­ gnato che si trovava su un 'altalena, che dondolava avanti e indietro sempre più in alto, ma senza reale pericolo di poter essere sbalzata via o di poter compiere un giro completo (Kohut, 197 1). Esempi di self-rtate dreams che rappresentino l'angoscia di frammentazione si possono trovare in altri passi dell'opera di Kohut. Citiamo ad esempio una serie di sogni della signora R, in cui la paziente guidava una macchina lungo l'autostrada, poi scendeva per una strada scoscesa. Quindi si accorgeva con terrore che lo sterzo della macchina si rtava rompendo oppure che ifreni erano guasti e lei 1 È da notare, come giustamente afferma Fosshage (1997), che queste formulazioni implicano l'idea, in contrasto con la visione del sogno di Freud, che nel sogno possa essere presente un fun­ zionamento cognitivo sofisticato.

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era sul punto di schiantarsi (Goldberg, 1 978). Di fatto è soprattutto in quest'ul­ tima accezione che i sogni se/f-state vengono comunemente intesi. Kohut afferma che esistono anche forme miste di sogni, intermedie tra i due tipi. Nelle opere successive alla Guarigione del Sé (1 977) Kohut torna solo occa­ sionalmente sui self-state dreams. In Four Basic Concepts ofSelfPsycholcgy (1979b) aggiunge un'importante precisazione. Afferma che il sogno self-state in ana­ lisi non riguarda lo stato del Sé in isolamento, ma ha sempre a che fare con l'esperienza di base della relazione con l'analista (cioè riflette le vicissitudini della relazione psicoanalitica). In Selected Problems in Self Psychology (r 98o) precisa ulteriormente la tecnica interpretativa nel caso dei self-state dreams. Discutendo un caso clinico presentato da Anna Omstein, afferma che non basta interpretare al paziente che si tratta di un sogno di questo tipo, ma è ne­ cessario offrire un'interpretazione accurata e dettagliata dello stato del Sé, perché solo quando questo viene profondamente compreso dall'analista il pa­ ziente si sente sufficientemente sicuro per andare oltre nella comprensione di sé. li paziente della Omstein aveva fatto il seguente sogno: C'era una barca nel mare e c'era un grande pericolo, perché tutte le giunture che tenevano insieme le varie parti della barca si erano allentate e c'era il timore che la barca si rovesciassse. L'analista aveva detto che il sogno rappresentava l'angoscia di frammenta­ zione che il paziente sperimentava in relazione alla prospettiva, recentemente emersa, di concludere l'analisi. Kohut nota che è necessario capire le me­ tafore specifiche utilizzate dal sogno: in questo caso le metafore usate dal pa­ ziente per esprimere il pericolo (giunture e chiodi allentati) potevano riguar­ dare il Sé corporeo, che poteva andare in pezzi, e in particolare le ansie ipo­ condriache del paziente, fino ad allora inespresse, e suggerisce la possibilità di suscitare nel paziente ricordi infantili specifici (analogamente a quanto emerso a proposito delle fantasie infantili di essere Dio del signor C). Kohut cioè propone di usare le metafore del sogno per approfondire la natura delle carenze specifiche degli oggetti-Sé nell'infanzia e la loro influenza sullo svi­ luppo del paziente, nell'ottica di individuare specifici deficit alla base di spe­ cifici disturbi. L'accuratezza di Kohut nel cogliere i dettagli delle immagini oniriche è confermata dalla testimonianza di Jules Mill er ( r985), analista di­ datta dell'Istituto psicoanalitico di Saint Louis, in un articolo relativo alla sua esperienza di supervisione con Kohut. Così com'è teorizzato in La guarigione del Sé (Kohut, 1 977) il concetto di self-state dream sembra riferirsi a una categoria abbastanza ristretta di sogni, caratterizzati dalla reazione dei settori sani del Sé di fronte al pericolo di uno squilibrio nella condizione del Sé (iperstimolazione o caduta dell'autostima) o addirittura di fronte al pericolo di frammentazione, che è il senso in cui, come dicevamo, viene generalmente inteso. Noi vorremmo però proporre una precisazione circa il modo con cui

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Kohut intendeva questo concetto. Infatti si possono trovare nella sua opera dei passi in cui appare evidente come egli avesse intuito che i sogni che espri­ mono un pericolo rientravano in realtà in una categoria più ampia, compren­ dente l'obiettivazione di stati del Sé, che potevano essere non solo negativi, ma anche positivi. Questa idea è espressa abbastanza chiaramente nel passo sopracitato di Four Basic Concepts in SelfPsychology (Kohut, 1 979b), quando, parlando del fatto che i self-state dreams in analisi non rappresentano il Sé in isolamento, ma hanno a che fare con la relazione psicoanalitica, egli aggiunge fra parentesi, riferendosi alla condizione del Sé, le seguenti parole: « Sia esso indebolito, caotico, frammentato; forte, armonioso, intero» (corsivo aggiunto), dando quindi per scontato che esistano self-state dreams nei quali vi è l'espe­ rienza di un Sé di tipo positivo (forte armonioso, intero) (p. 462). Ma l'idea che esista una categoria di sogni relativi a stati del Sé di tipo po­ sitivo (oltre che negativo) è presente in Kohut da molto tempo. Prima del 1977, nella Lezione 10 del 2 5 ottobre 1 974 ai candidati dell'Istituto di Psi­ coanalisi di Chicago, parlando dei pazienti con disturbi del Sé, egli parla di un tipo di sogno definito come «espressione di ciò che la persona sente su sé stessa» (non appare ancora la denominazione self-state dream), in cui «viene descritta la disgregazione del Sé, gli alti e bassi della ricostruzione e del ri­ consolidamento del Sé» (Kohut, 1 97 2-76, pp. 1 49 sg.). Come esempio di quest'ultimo tipo di sogni per così dire positivi, Kohut cita sogni che conten­ gono immagini relative all'edificazione di case. Come si vede, qui egli ha chiaramente in mente un'ampia categoria di sogni che obiettivano lo stato del Sé in varie condizioni e non solo quando il Sé è minacciato. Questa idea è stata in seguito teorizzata da esponenti della psicologia del Sé come Tolpin (1983), Ornstein (1987) e Fiss (1 989), apparentemente senza menzionare il fatto che essa era già presente in Kohut. Nella seconda parte di questo lavoro mostreremo come l'idea espressa ne­ gli ultimi passi citati sia coerente con le interpretazioni che di fatto Kohut dava. Se esaminiamo le interpretazioni di sogni sparse nell'opera di Kohut, vediamo che egli dava in genere interpretazioni che si riferivano allo stato del Sé del paziente, anche se non si tratta nella maggior parte dei casi della rea­ zione a un mutamento disturbante della condizione del Sé o dell'angoscia di frammentazione. Nel lavoro concreto di interpretazione, cioè, Kohut sem­ bra avere in mente, oltre ai sogni self-state, intesi nel senso specifico di sogni che raffigurano la reazione del Sé di fronte a una minaccia, soprattutto l'esi­ stenza di altri sogni sulla condizione del Sé, raffiguranti stati positivi oppure volti a descrivere lo stato del Sé in rapporto agli oggetti-Sé (quelli che Tol­ pin, 1983, p. 2 70) denomina seif-selfobject dreams.

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Come Kohut in concreto analizzava i sogni Per vedere come in concreto Kohut analizzava i sogni, indipendentemente dalle idee espresse sul piano teorico, abbiamo preso in esame tutti i sogni ana­ lizzati nelle opere di Kohut e anche nel Casebook (Goldberg, I 978), scritto con la partecipazione di Kohut, il quale comprende l'analisi di sei pazienti (signor I, signor M, signora Appie, signor E, signora R e signor B) condotta da psi­ coanalisti esperti con la supervisione di Kohut, e include molte interpreta­ zioni di sogni, a volte riportate anche in altre opere di Kohut/ La nostra analisi ha incluso circa I I 6 sogni interpretati o di cui comunque viene indicato un significato/ relativi a 29 casi clinici identificati con lettere dell'alfabeto o in altri modi oppure a pazienti non ulteriormente menzionati, a familiari di pazienti, oppure a sogni tratti dalla letteratura, dalla storia o da altre fonti. Una prima cosa che ci è apparsa evidente è il fatto che, anche se in teoria Kohut parla di due tipi di sogni, quelli che vanno interpretati secondo il me­ todo suggerito da Freud nell'Interpretazione dei sogni (1 899) e i self-state dreams, in pratica tende a interpretare sempre i sogni come sogni sulla condi­ zione del Sé (come self-state dreams oppure come sogni che ritraggono stati del Sé nel senso allargato sopraindicato). Ciò significa che in pratica Kohut, pur sostenendo da un punto di vista teorico la validità dell'interpretazione dei sogni di Freud, sembra aver implicitamente proposto un nuovo modo di leg­ gere tutti i sogni e non solo alcuni di essi. Ciò derivava del resto come logica conseguenza dal nuovo modello teorico da lui proposto, che non poneva più al centro dell'indagine le pulsioni, ma il Sé e le sue vicissitudini. È interessante notare che nelle opere di Kohut questa modalità di vedere il sogno è presente fin dall'inizio, come si può vedere nel suo primo lavoro psicoanalitico, il saggio su Morte a Venezia di Thomas Mann (Kohut, 1 948). Ci riferiamo all'interpretazione del sogno di Aschenbach, descritto da Tho­ mas Mann in Morte a Venezia. Nel sogno, che riassumiamo sommariamente, in un 'atmosfera allucinata e paurosa, il sognatore assiste al sopraggiungere di un cor­ teo di personaggi invasati e lascivi, mentre la scena si trasforma a poco a poco in un 'orgia. Secondo Kohut il sogno, che raffigura il cedimento di Aschenbach di fronte al desiderio sessuale per il giovane Tazio, rappresenta «la distru­ zione dell'intera struttura culturale di una vita » (p. 1 2 5). Kohut afferma: 2 Va precisato che il Casebook è stato pubblicato nel 1978 e comprende casi trattati in un pe­ riodo in cui Kohut andava ancora sviluppando la teoria e la tecnica della psicologia psicoanalitica del Sé. ll passaggio dall'analisi classica alla psicologia del Sé è drammaticamente descritto nell'analisi della signora Appie, la cui interruzione è scongiurata per l'influenza della supervisione di Kohut. 3 Sono compresi i casi in cui l'interpretazione è proposta dal paziente e implicitamente confer­ mata dall'analista e anche casi incerti, come il sogno della tanica di benzina del signor X, riportato nelle Leziuni (1972 -76) e successivamente considerato da Kohut (1977) come una fantasia.

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«Noi riconosciamo il ritratto della disintegrazione della personalità di Aschenbach: esso trova espressione specifica in relazione al desiderio sessuale per Tazio, ora non più nascosto » (ibid.). Come si vede, pur usando una ter­ minologia di tipo pulsionale, già alla fine del 1 948 Kohut esprime l'idea che questo sogno rappresenti quella che in seguito definirà come disintegrazione del Sé. La categoria più frequente di interpretazioni date da Kohut è costituita da interpretazioni che riportano il sogno all'esperienza dell'analisi, leggendolo come un commento puntuale a quanto è avvenuto in seduta e come una raf­ figurazione dello stato del Sé in rapporto con l'oggetto-Sé. Un esempio è of­ ferto da un sogno del signor M, che raffigura il benessere che il paziente prova nel transfert gemellare con la sua analista (Goldberg, 1978). Nel sogno appariva una vista laterale di due gemelli siamesi, legati insieme, la bambina da­ vanti, il maschio dietro, in modo molto armonioso. Un altro esempio è costituito dall'interpretazione del sogno del signor I, successivo a una delusione che il paziente aveva provato, perché gli era parso che l'analista non mostrasse suf­ ficiente interesse per i diari che lui gli aveva portato (Kohut, 1 97 1). Nella se­ duta successiva il paziente racconta questo sogno: Suo padre non mostra am­ mirazione per il pesce che il figlio ha pescato. Nella scena successiva il paziente vede Cristo in croce che si lascia cadere e muore. TI paziente associa la delusione per la mancata risposta dell'analista ai diari. L'analista interpreta il fatto che il pa­ ziente, deluso per la mancata approvazione del suo progresso psicologico, si era ritirato da un rapporto di tipo speculare a una fantasia di fusione arcaica (Cristo che morendo si unisce a Dio). Kohut tendeva a dare interpretazioni centrate sul Sé (cioè di tipo non pul­ sionale) anche nel caso di sogni a contenuto manifesto espressamente ses­ suale. Un esempio sono i sogni incestuosi del signor I, uno dei casi clinici de­ scritti nel Casebook, interpretati in rapporto al transfert (Goldberg, 1978). Ad esempio, dopo essere stato mandato via cinque minuti prima per un errore dell'analista, il paziente sogna una vicinanza incestuosa con la sorella, a cui tocca il seno. Poi ingurgita una quantità di pasticche. Le associazioni del paziente ri­ portano al fatto che, quando i genitori lo lasciavano solo, trovava conforto nella vicinanza della sorella e nei tranquillanti. L'analista riporta il sogno al proprio lapsus della seduta precedente ed evidenzia il tentativo di trovare sol­ lievo ripetendo modalità passate (la ricerca di intimità con la sorella, l'assun­ zione di tranquillanti). A volte i sogni possono esprimere convincimenti profondi del Sé, come quelli riportati nel saggio Il coraggio (Kohut, inizio anni settanta), fatti da eroi della resistenza antinazista in Austria e in Germania. Ad esempio il contadino austriaco Franz Jaegerstaetter, che si rifiutò di militare nell'esercito tedesco per motivi religiosi, arrivando a preferire la morte, sognò che una folla di adulti e bambini seguiva un bellissimo treno, senza che niente potesse fermarli. Egli

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sentiva una voce che diceva: «Questo treno è diretto all'inferno.» Jaegerstaetter giunse alla conclusione che il sogno rappresentasse l'invasione nazista: vi era accorrere collettivo verso il vincitore, ma quel movimento era male e avrebbe portato alla distruzione, interpretazione che Kohut assume come va­ lida senza cercare altri significati. In quanto rappresentazioni di stati del Sé e del suo rapporto con gli og­ getti-Sé, i sogni possono naturalmente esprimere anche dei desideri, come il sogno di fine analisi del signor M, esprimente il desiderio che la sua analista condivida il suo dispiacere per la fine dell'analisi: Si trovava a un ballo, con un

molte persone di razza ebraica. La sua analista piangeva esprimendo tristezza per la sua partenza (Goldberg, 1 978).

Con ciò non stiamo naturalmente affermando che Kohut non abbia dato interpretazioni di sogni di tipo «tradizionale », perlomeno inizialmente (ri­ cordiamo che era soprannominato «Mr. Psychoanalysis»), ma solo che di fatto non ha ritenuto di riportarle nelle sue opere, a parte un'eccezione di cui parleremo tra breve, probabilmente perché non voleva essere ricordato per quelle interpretazioni. L'eccezione a cui ci riferiamo è costituita dall'interpretazione del noto so­ gno dei doni discusso in Le due analisi del signor Z (Kohut, 1 979a), che Kohut dice di aver interpretato nella prima analisi in termini pulsionali e nella se­ conda, condotta cinque anni dopo la fine della prima, quando ormai aveva cominciato a sviluppare il suo pensiero in maniera originale, nei termini della psicologia del Sé.

Il sogno dei doni (le due analisi del signor Z) Nel sogno, fatto dal signor Z sei mesi prima del termine della prima ana­ lisi, egli era in una casa, sul iato interno di una porta aperta solo per uno spiraglio. Il

padre si trovava all'esterno, carico di pacchi (si trattava di regali) e voleva entrare. Il paziente era molto spaventato e tentava di chiudere la porta per tener/o fuori (Kohut, 1979a, p. 30). Nella prima analisi Kohut aveva interpretato il sogno in base all'ambiva­ lenza nei confronti del padre, all'angoscia di castrazione di fronte all'uomo forte e alla tendenza del paziente a ritirarsi dalla competizione e dall'affer­ mazione virile al vecchio attaccamento preedipico alla madre e a un atteggia­ mento omosessuale di sottomissione passiva nei confronti del padre. Nella seconda analisi, l'inizio della fase finale è segnato dal ritorno del pa­ ziente al sogno dei doni. Ma con grande sorpresa di Kohut il paziente ora pre­ sentava associazioni che gettavano una nuova luce sul significato del sogno. Questo nuovo significato del sogno era la descrizione dello stato mentale di un ragazzo che, per essere rimasto a lungo senza il padre (partito quando il paziente era piccolo e tornato quando aveva cinque anni), non aveva potuto

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formarsi gradualmente un Sé mascolino indipendente, mentre la sua esi­ stenza psicologica era rimasta profondamente radicata all'attaccamento alla madre. Il ritorno del padre lo aveva esposto a uno stato traumatico a causa dell'offerta troppo improvvisa dei doni psicologici a cui aveva segretamente anelato. Il sogno rappresentava lo squilibrio a cui la psiche del ragazzo era stata esposta a causa del ritorno di suo padre, mentre non riguardava l'omo­ sessualità, che semmai sarebbe stata interpretabile come una risposta sessua­ lizzata a uno stato traumatico. Anche se Kohut non lo dice, il sogno dei doni può essere visto come un self-state dream in senso specifico, in particolare un self-state dream da sovra­ stimolazione. Come Kohut aggiunge in seguito, si trattava di un sogno di transfert, le­ gato alla fine dell'analisi e correlato a esperienze genetiche cruciali del pe­ riodo edipico (Kohut, 1980). In particolare il sogno rifletteva la considera­ zione di quanto ancora l'analista doveva fare in un arco di tempo troppo breve per finire l'analisi (Kohut, 1984). Potremmo chiederci come mai Kohut abbia dato la prima interpretazione di questo sogno basandosi sul modello pulsionale, quando già nel 1 948, come abbiamo visto a proposito del sogno di Aschenbach, tendeva a interpretare i sogni in modo diverso. In realtà è quasi certo che non si sia trattato di un vero caso clinico trattato da Kohut, ma di una finzione letteraria, che adombrava il caso stesso di Kohut, il quale aveva effettuato l'analisi didattica secondo il modello classico e probabilmente in seguito l'aveva riesaminata nella sua autoanalisi secondo i princìpi della psicologia del Sé. Saremmo tentati di dire che proprio la sche­ maticità delle interpretazioni di tipo tradizionale riportate in quest'opera, in particolare nel sogno dei doni, potrebbe essere un elemento in più a soste­ gno dell'ipotesi che non si tratterebbe di un vero caso clinico, in quanto tali interpretazioni contrasterebbero troppo profondamente con il tipo di inter­ pretazioni riportate nelle altre opere di Kohut. In conclusione, l'unica interpretazione di un sogno di tipo pulsionale ri­ portata da Kohut è probabilmente solo una finzione letteraria. Anticipazione di successive posizioni sul sogno In quest'ultima parte del nostro lavoro vorremmo illustrare un'altra con­ clusione che abbiamo tratto dal nostro esame di tutte le interpretazioni di so­ gni date da Kohut, e cioè il fatto che, pur non proponendo una teoria del so­ gno, Kohut tuttavia anticipa alcune delle idee più interessanti successiva­ mente elaborate dagli psicologi del Sé post-kohutiani sul sogno. In partico­ lare, oltre all'idea di fondo che i sogni riguardino sempre lo stato del Sé, di cui abbiamo parlato, è rintracciabile a nostro avviso in Kohut la compren-

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sione della funzione del sogno come volto al mantenimento, alla reintegra­ zione e allo sviluppo del Sé, teorizzata da Fosshage (198 3 , 1 997; Fosshage e Loew, 1 987), e alla soluzione di problemi (Greenberg e Pearlman, 1978; Fos­ shage, 1 983, 1 997). Da questa visione conseguono differenze nella tecnica in­ terpretativa rispetto a quella utilizzata da Freud, evidenti nel tipo di interpre­ tazioni che Kohut dava e a volte anche definite sul piano teorico, in linea con le teorizzazioni successive degli psicologi del Sé, come la rivalutazione del contenuto manifesto del sogno (Fosshage e Loew, 1987; Fosshage, 1983 , 1 997), letto come una metafora, e il superamento dell'interpretazione basata sulle singole associazioni in favore di un'interpretazione basata sulla globa­ lità (Fosshage, 1983, 1997). Funzioni del sogno: mantenimento, reintegrazione e sviluppo del Sé, problem-solving Nell 'Interpretazione dei sogni (1 899) Freud afferma che la funzione del so­ gno consiste nell'esaudimento di un desiderio.4 La psicologia del Sé, partendo da un modello teorico diverso da quello da cui partiva Freud, ha ipotizzato che il sogno abbia funzioni diverse. Tra i mo­ delli del sogno elaborati dagli psicologi del Sé dopo Kohut, il più esaustivo e articolato è quello di Fosshage (1983), per il quale «la funzione sovraordinata del sogno è lo sviluppo, il mantenimento (regolazione) e, quando necessario, la rein­ tegrazione dei processi, della struttura e dell'organizzazione psichica » (p. 657). Collegata alla funzione di sviluppo del sogno, denominata anche funzione evo­ lutiva, è la capacità di risolvere problemi. Secondo Fosshage «i sogni conti­ nuano gli sforzi consci e inconsci della veglia per risolvere i conflitti intrapsi­ chici, attraverso l'utilizzazione di processi difensivi, attraverso una compen­ sazione interna o attraverso una riorganizzazione creativa appena emer­ gente» (ibid. , p. 658)/ Noi riteniamo che, quando Kohut interpretava in concreto i sogni, avesse in mente il fatto che il sogno poteva svolgere queste funzioni, tesi che vor­ remmo esemplificare con alcuni esempi tratti dalle sue opere. La funzione evolutiva del sogno, che possiamo definire come l'emergere di nuove configurazioni psichiche, è una delle funzioni del sogno che la psico­ logia del Sé sottolinea maggiormente, in questo contrapponendosi alla vi­ sione di Freud. ·Questa funzione è continuamente evidenziata nelle interpreSi tratta di un desiderio di tipo pulsionale, riconducibile a un desiderio infantile. È interes­ sante notare però che, quando Freud analizza i propri sogni nell' lnterpretazime dei sogni, non trova mai alla base di essi dei desideri pulsionali, ma solo desideri che hanno a che fare con la regola­ zion� dell'autostima. L'esempio più famoso è il sogno di Irma. 5 E interessante notare che i dati della ricerca di laboratorio di cui disponiamo attualmente sono coerenti con questa visione del sogno, mentre non lo sono con il modello di Freud (Fiss, 1 989; Greenberg, 1 989; Fosshage, 1 997).

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tazioni di Kohut. Possiamo prendere ad esempio una sequenza di sogni tratti dall'analisi del signor I (Goldberg, 1 978). A un certo punto il paziente sogna che c'era un bambino malato di epilessia. Ma se qualcuno lo abbracciava, non aveva attacchi epilettici. Ilpaziente abbracciava il bambino e stava per adottarlo. n sogna­ tore aveva associato il bambino epilettico a sé stesso, malato e bisognoso di affetto. L'interpretazione offerta al paziente è che il sogno rappresenti la ca­ pacità che il paziente cominciava ad acquisire di prendersi cura di sé stesso. In un altro sogno lo stesso paziente aveva preso un grosso pesce e cercava di ti­ rar/o in barca. Qualcuno gli gridava dei consigli dalla riva, ma lui riusciva a pren­ dere il pesce da solo (ibid.). n paziente aveva associato il fatto che ora doveva in­ terpretare i suoi sogni senza contare soltanto sull'aiuto dell'analista, inter­ pretazione confermata da quest'ultimo. Lo stesso paziente presenta un'inte­ ressante sequenza di sogni di transfert che mostrano secondo Kohut il pas­ saggio da un'incorporazione grossolana dell'analista, sia pure venata da una nota di umorismo (i raggi X rivelano che l'analista dimora negli intestini del pa­ ziente, Kohut, 197 1 , oppure il paziente ingoia un clarinetto che continua a suo­ nare nel suo interno, ibid.), a un sogno di fine analisi che esprime un'identifica­ zione con l'analista meno arcaica e disturbante, che Kohut definisce «inte­ riorizzazione trasmutante allo stato nascente»: In una nuova scuola il paziente indossa dei pantaloni da ginnastica. Si chiede se sono suoi o dell'analista. Poi pensa che non fa differenza (Goldberg, 1 978). Per quanto riguarda la funzione di mantenimento o regolazione del sogno, che secondo Fosshage si riferisce alla modulazione e conservazione dell'organiz­ zazione psicologica in corso, essa è esemplificata da tutti i self-state dreams in senso specifico, in quanto, come abbiamo detto, la funzione di questi sogni è per Kohut proprio quella di circoscrivere l'angoscia e di attivare i settori sani del Sé per reagire alla minaccia e ripristinare la coesione del Sé. A proposito di questi sogni, Stolorow (1 989) ha sottolineato che per Kohut le vivide immagini percettive del sogno servono a sostenere l'integrità del mondo soggettivo minacciato di disintegrazione: «Reificando vividamente l'esperienza di essere in pericolo, le immagini del sogno portano lo stato del Sé a una consapevolezza focale con un sentimento di convinzione e realtà che può solo accompagnare le percezioni sensorie» (p. 35). Ciò consentirebbe di vedere la caratteristica distintiva dell'esperienza onirica, cioè l'uso di imma­ gini percettive concrete dotate di vividezza allucinatoria per simbolizzare pen­ sieri astratti e stati soggettivi, in una luce diversa rispetto a Freud. Anche Freud aveva notato che il sogno sostituisce i concetti astratti con immagini concrete, ma, secondo Stolorow, non avrebbe compreso l'importanza vitale di questo processo ai fini del mantenimento della struttura psichica. Per Sto­ lorow la simbolizzazione concreta del sogno con la sua vividezza allucinatoria è al servizio di un intento vitale, la cui comprensione può illwninare la neces­ sità stessa di sognare. Lo scopo fondamentale della simbolizzazione concreta

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del sogno va rintracciato nel bisogno sovraordinato di mantenere la propria organizzazione di esperienza, che la simbolizzazione del sogno soddisfa in due sensi: da una parte le immagini oniriche contribuiscono a consolidare le parti­ colari strutture soggettive del sognatore attualizzandole in specifiche configu­ razioni di sé e dell'altro, dall'altra le vivide immagini del sogno servono diret­ tamente a reintegrare e sostenere l'integrità e la stabilità delle strutture di un mondo soggettivo minacciato di disintegrazione, come nel caso dei self-state dreams. In questo senso Stolorow afferma che i sogni sono «i guardiani della struttura psichica» (ibid. ) La funzione di reintegrazione del sogno, che interviene negli stati più gravi di disorganizzazione psicologica, è individuabile meno frequentemente nelle interpretazioni di Kohut. Un esempio è costituito dai sogni del signor K, il quale durante i week end sognava spesso macchine complesse e impianti elet­ trici (Kohut, 197 1). In queste rappresentazioni il paziente esprimeva la re­ gressione, dovuta alla separazione dall'analista, a una rappresentazione infan­ tile di parti del corpo isolate, ma contemporaneamente anche il tentativo di mantenere la coesione del Sé facendo ricorso a simboli che ricordavano la sua competenza nel manovrare i giocattoli meccanici fin dall'infanzia, cosa che aveva contribuito al mantenimento della sua autostima. Un esempio più esplicito di sogno che mostra la reintegrazione del Sé in seguito a una «rot­ tura» con l'analista è il sogno del signor B, il quale, dopo aver chiesto all 'ana­ lista di pagare in ritardo senza avere ottenuto risposta, sogna un afflusso di sen­ timenti sessuali perversi e sadici nei confronti di ragazze, condensati con l'angoscia di ricostruire la sua barca rotta. Questa ricostruzione avviene sotto lo sguardo benevolo di un ingegnere navale, che il paziente sente essere l'analista (Goldberg, 1 978). L'interpretazione mette in luce il tentativo di riparare il Sé distrutto (la barca rotta) dalla mancanza di sensibilità dell'analista mediante fantasie erotizzate, sotto lo sguardo benevolo dell'analista. Per quanto riguarda la funzione di problem-solving svolta dal sogno, pur es­ sendo difficile trovare interpretazioni di Kohut che mettano specificamente in evidenza questo aspetto del sogno, possiamo però dire che nel complesso si ricava l'impressione che i sogni per Kohut siano sempre volti a risolvere problemi, nel senso che c'è un aspetto sano del Sé che cerca, attraverso varie strategie psicologiche connesse alle relazioni tra Sé e oggetto-Sé, di superare angosce e preoccupazioni. Questo del resto è affermato chiaramente a pro­ posito dei self-state dreams. .

Rivalutazione del contenuto manifesto Come è noto, per Freud il contenuto manifesto del sogno rappresentava l'esito di un processo di mascheramento, che andava svelato attraverso il pro­ cesso di interpretazione, consistente nel ripercorrere all'inverso il percorso

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compiuto dal lavoro onirico. Tale mascheramento era compreso nell'ambito del modello pulsione-difesa, come una serie di travestimenti effettuati dal desi­ derio inconscio per esprimersi, eludendo la censura. ll modello della psicologia del Sé non ha bisogno di postulare il maschera­ mento. Secondo Kohut il Sé tende sempre a realizzarsi e a esprimersi. Ciò comporta una rivalutazione del contenuto manifesto, la quale collima con le opinioni di analisti appartenenti a diverse scuole di pensiero (Fosshage e Loew, 1987) e si incontra con le osservazioni di ricercatori, come Hobson (1 988), che studiano il sogno da altre angolature (quella della funzione biolo­ gica del sogno). Per la psicologia del Sé le immagini del sogno vengono lette come metafore e non come mascheramenti, per cui non debbono essere «tradotte», ma comprese. Questo modo di considerare il contenuto manifesto risulta evi­ dente dal tipo di interpretazioni che Kohut dava, ma è anche affermato espli­ citamente nel Casebook (Goldberg, 1978), in un commento, posto tra paren­ tesi quadre, probabilmente da attribuirsi a Kohut, in cui leggiamo che il so­ gno va letto come una serie di metafore dell'esperienza vissuta dal paziente e non come una serie di immagini mascherate che devono essere svelate. È in­ teressante che Kohut abbia usato proprio il termine «metafora», anticipando concezioni più recenti sul sogno (Lakoff, 1993). Le metafore sono qualcosa che spesso è immediatamente evidente, perlo­ meno nell'ambito di una medesima cultura, e la cui comprensione non ri­ chiede un lungo lavoro di interpretazione. Anche i simboli non vengono intesi in senso freudiano (riferiti in gran parte alla sessualità), ma vengono compresi secondo le linee che descrivono lo stato del Sé e le sue reazioni (Gabel, 1994). Precisiamo che la rivalutazione del contenuto manifesto non comporta per Kohut una sottovalutazione degli aspetti inconsci rivelati dal sogno, anche se l'attenzione è focalizzata prevalentemente su aspetti inconsci diversi da quelli evidenziati dall'interpretazione classica. Superamento dell'interpretazione basata sulle singole associazioni Fosshage afferma che «piuttosto che richiedere ripetutamente al paziente di associare i singoli elementi del sogno, isolati dal contesto del sogno stesso,

i quali tendono a interrompere e a frammentare l'esperienza del sogno da parte del sognatore, noi dobbiamo generalmente comprendere la serie di im­ magini come se fossero le parole di una frase e il complessivo dramma del so­ gno come se si trattasse di frasi che formano una storia» (Fosshage, 1 989, p. 5). Ciò è coerente con il modello della psicologia del Sé, che, differentemente dal modello pulsione-difesa, tende a vedere sempre la globalità dell'esperienza del Sé.

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Questo modo di interpretare è teorizzato esplicitamente da Kohut a pro­ posito dei self-state dreams, ma a nostro avviso è sempre applicato nell'analisi dei sogni da lui effettuate. Conclusioni Kohut non ha lasciato una teoria del sogno, ma la sua opera contiene le basi per una visione del sogno diversa da quella proposta da Freud. Questa visione, teorizzata a proposito dei self-state dreams, ed espressa nelle interpre­ tazioni di sogni da lui riportate nelle sue opere, vede il sogno come una serie di rappresentazioni relative a stati del Sé in rapporto ai suoi oggetti-Sé. Possiamo chiederci perché Kohut non abbia sviluppato fino in fondo le sue scoperte sul sogno. Egli desiderava sottolineare la propria continuità con la tradizione psicoanalitica perché voleva salvare la coesione del Sé psicoanali­ tico di gruppo, come emerge anche dal fatto che mantenne fino all'ultimo la distinzione tra le due classi di disturbi analizzabili e dal fatto che, nella teo­ rizzazione della cura, ha cercato di difendere il valore dell'insight accanto ai nuovi fattori terapeutici da lui compresi (Kohut, 1984). È inoltre possibile che, preso dal compito di sviluppare e difendere il suo modello dagli attacchi talvolta violenti da parte della main-stream psychoanalysis e, a partire da un certo momento, consapevole del tempo limitato che la malattia gli concedeva (ricordiamo i ripetuti by-pass e il tumore linfatico di cui soffriva), egli abbia tralasciato lo studio teorico del sognò per privilegiare l'approfondimento di temi come l'empatia, che aveva suscitato tante polemiche, e come i fattori te­ rapeutici in psicoanalisi, che riteneva prioritari.

Riflessioni sul sognare

Tre diversi approcci stilistico-metodologici contrassegnano i lavori contenuti in questa sezione, che è incentrata sull'osservazione generale della funzione onirica e sui suoi rap­ porti più specifici con il processo psicoanalitico: linearmente teorico-clinico il contributo di Mangini, decisamente teorico quello dei Meotti, esplorativo quello della De Toffoli. Li accomuna l'ampiezza del campo osservato, il sognare nel suo svolgersi generale e nel suo costituirsi come elemento dinamico fondamentale della situazione psicoanalitica. Il lavoro di Enrico Mangini (l/ sogno arme «fotografia» dell'apparato psichico del sognatore e della n:/azione psicoanalitica) descrive e analizza in modo assai convincente il passaggio dal «non-sogno>> al sogno «reale>>, da questo al sogno traumatico, al sogno d'angoscia, fino ai sogni ricorrenti: fino, cioè, al recupero di una funzione onirica metabolica, ricca, evoluta e necessaria, corrispondente a una vita mentale bene integrata. Mangini ripercorre il cammino freudiano del pensiero come sostituto della scarica mo­ toria pre-rappresentazionale; considera i passaggi intermedi dei «sogni evacuativi>>, o, ap­ punto, «sogni-scarica>>, e li antepone, nella catena psicoevolutiva, ai sogni traumatici, che Freud stesso riteneva facessero eccezione alla regola del sogno come appagamento di desi­ derio, e in cui la scena del trauma viene n-presentata più che rappresentata. Già in questi ultimi sogni egli ravvisa però una funzione autocurativa e cicatrizzante, fornita dal «con­ tatto» (in senso bioniano) con gli elementi psicosensoriali n-presentati, che possono es­ sere ri-affrontati dal soggetto. Mangini ci ricorda la povertà onirica dei pazienti psicosomatici, che tendono a non sen­ tire e a non rappresentare gli affetti. n riferimento clinico, di grande efficacia, riguarda la difficile analisi di una paziente che, a fronte di una sintomatologia somatica varia che l'aveva messa realmente a rischio, per i medici non aveva «niente>>; e anche nella sua mente pensava di non avere «niente»; usava l'intercalare «niente>>, e «non aveva mai sognato in vita sua». Mangini prende sul serio il «niente>> della paziente, guidato dal concetto base che non di rimozione si tratti (poiché questa, per sua natura, fallirebbe di tanto in tanto), ma di uno psichismo elementare, improntato più alla scarica che alla rappresentazione. Non voglio togliere al lettore il gusto di scoprire dove va a parare l'analisi di questa pa­ ziente, il cui sviluppo onirico conduce a una delle storie cliniche più toccanti di tutto il vo­ lume (anche se Mangini la presenta con discrezione e con intenzionale understatement emo­ tivo); voglio invece segnalare come questo autore integri la lezione di base freudiana con un costante senso dello sviluppo della relazione psicoanalitica, in un'ottica complessiva che, attraverso l'assimilazione dei contributi bioniani e winnicottiani, sembra a me una felice caratteristica compositiva della psicoanalisi italiana di oggi.

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Stefano Bolognini

ll lavoro di Alberto e Franca Meotti (Il sogno: mancanza, oblio, ricordo) merita, a mio av­ viso, un'osservazione preliminare di tipo storico, stilistico e genetico-derivativo: anch'esso rappresenta un valido esempio di integrazione italiana - rigorosa ma libera - di concetti comparsi in epoche successive nelle teorizzazioni psicoanalitiche, qui utilizzati in modo funzionale e pertinente, senza timori e senza forzature. In questo lavoro il lettore viene inizialmente posto a contatto con il concetto freudiano (192 1) di Objektvermeidung (evitamento dell'oggetto), movimento necessario al periodico ritiro narcisistico corrispondente al sonno, che consente di reintegrare il Sé e, con ciò, di mantenere l'equilibrio della mente; esso serve a fornire la ricarica energetica, che potrà poi essere nuovamente «spesa nell'investimento oggettuale». Dal Bion di Cogitations (1992), passando per la Klein, i Meotti mutuano invece il riferi­ mento alla posizione depressiva e ai disturbi funzionali legati al suo mancato consegui­ mento: carenze simboliche (e quindi difficoltà di astrazione), e di rappresentazione ed esperienza emotiva associata. Questi concetti, nati in contesti teorici differenti, vengono coniugati in modo fertile e originale. L'incapacità di vivere il lutto nella relazione oggettuale, affermano i Meotti, produce una difficoltà rappresentazionale nel dispositivo di formazione del sogno: il sogno ricor­ dato segnalerebbe infatti un parziale fallimento della funzione di soddisfare, esaurire e obliare il desiderio del soggetto verso i suoi oggetti (scopo, viceversa, raggiunto dal sogno «perfettamente riuscito e quindi dimenticato») . Per la verità - aggiungono gli autori - non tutti i sogni che vengono portati in analisi sono sogni «perfettamente riusciti», testimoni dell'efficacia di processi autopoietici, auto­ ricreativi (svolti durante il ritiro onirico) di parti private del Sé: talvolta il sogno non viene raccontato perché viene invece percepita una difficoltà dell'analista a lavorare con i sogni (magari per una sua inconscia invidia verso la creatività del paziente, o per ulteriori diffi­ coltà controtransferali) . Ciò non sminuisce l'importanza degli aspetti regolatori di sintesi e di oblio dinamico del sogno ben riuscito, e induce gli autori a segnalare la funzione propulsiva in tal senso di «fi­ gure interne idealizzabili>>, fantasmi prevalentemente femminili che, specie nella lettera­ tura, sembrano da sempre favorire lo svolgimento e la privatezza di questi processi autorga­ nizzati notturni e segreti: la Matelda di Dante, la Euridice di Rilke e di Bonnefoy, la Laura del Petrarca, la Clizia montaliana, figure deputate a contenere e a proteggere tali processi. Là dove manca o fallisce questo equivalente materno, si richiede la presenza dell'anali­ sta, terzo separatore ma anche potenziale ricompositore, col tempo, della difettuale fun ­ zione onirica.

Lo scritto di Carla De Toffoli, Coscienza onirica e coscienza della veglia: specificità dell'in­ terpretazirme psicoana/itica, è forse il più enigmatico e, con quello di Goretti Regazzoni, il più impegnativo di tutto il volume; e non a causa del suo ambito di indagine, che è invece chiaro e ben definito. L'autrice si propone infatti di esplorare la soggettività onirica e le sue potenzialità nel contesto psicoanalitico. Analista e analizzando sono presentati come poli di esperienza e di intelligibilità che si riflettono reciprocamente, e che oscillano - a volte in modo alternato, a volte in sincronia tra coscienza onirica e coscienza della veglia, tra «scoperta», «interpretazione » e « inven­ zione>> di sé e dell'altro, in analogia con quanto intercorre tra madre e infante negli scambi formativi primari. Piuttosto chiara ed evidente è anche la tesi sostenuta nella conclusione: se l'analista è in grado di sostenere l'incognita che si apre tra queste due forme di conoscenza («onirica>> e «della veglia»), difficilmente integrabili nel e dal singolo individuo, diventa possibile - gra­ zie ai fenomeni di transfert - tessere nella realtà del « qui e ora>> le dinamiche dell'immagi­ nario che aprono per entrambi una potenzialità generativa. · Dove risiedono allora, in questo scritto, gli aspetti enigmatici e impegnativi che avevo segnalato al lettore all'inizio di questo commento introduttivo?

RHiesslonl sul sognare

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Risposta: nella forma dello scritto stesso, e nel livello di coscienza evocato e richiesto al lettore per seguire lo sviluppo del discorso originale dell'autrice. In un alternarsi di citazioni fondanti e di immagini suggestive, di concettualizzazioni che inaspettatamente lasciano il posto a descrizioni altamente simboliche di quanto avviene in un'analisi, il lettore è impegnato in un frequente, non facile passaggio di registro tra pro­ cesso primario e processo secondario. Curiosamente, l'alternanza di coscienza onirica e coscienza della veglia viene, in questo lavoro, non solo descritta e studiata, ma anche fatta sperimentare al lettore: il quale, se ri­ gido, resterà irritato; se disponibile, si lascerà « portare», dal flusso dell'immagine e dei pensieri, fino a essere intrigato, spiazzato e «toccato».

Capitolo & Il sogno come «fotografia>> dell'apparato psichico del sognatore e della relazione psicoanalitica

Enrico Mangini

Premessa La teoria del sogno è rimasta negli anni sostanzialmente invariata. Questo almeno era il pensie.�;o di Freud nel 1 9 3 r , quando nella prefazione alla terza edizione inglese e americana della Traumdeutung sottolineava come fosse, «anche secondo il mio giudizio di oggi, la più valida di tutte le scoperte che io abbia mai avuto la fortuna di fare». Tuttavia, appena un anno dopo, la Klein (1932) sosteneva sì che occorreva analizzare il gioco infantile «nel modo in cui Freud ci ha insegnato a trattare il linguaggio dei sogni», ma inau­ gurava anche un nuovo modello metapsicologico che avrebbe progressiva.,. mente cambiato la modalità di accostarsi al sogno, con interpretazioni via via più sature e codificate, a detrimento di quell'aspetto di «narrazione impreve­ dibile » (Bezoari e Ferro, 1 997) costitutivo del pensiero freudiano. Successi­ vamente, con Bion ( 1962 ), il sogno prenderà un nuovo respiro creativo all'in­ terno della coppia psicoanalitica, nella specifica «funzione di trasformare le esperienze (emotive e sensomotorie) della veglia in pensiero del sogno e di dare continuità alla vita mentale» (Mancia, 1 994), ma inevitabilmente per­ derà quell'alone magico di «finestra sull'inconscio» (che faceva desiderare ai surrealisti l'ora di andare a dormire), o di «via regia che porta alla conoscenza dell'inconscio» (che ha fatto sognare generazioni di pazienti e analisti). Quindi il sogno, da materiale ad alto tasso rappresentativo e a basso tasso di comunicazione (Freud, 1 899), è diventato una «modalità particolare della co­ municazione tra paziente e analista» (Bezoari e Ferro, 1994). Personalmente, grazie anche agli analisti con cui ho un debito di ricono­ scenza, sono ancora affezionato all'idea che il sogno sia un materiale del tutto «speciale», da una parte perché è l'oggetto di un lavoro interpretativo aperto e insaturo (livello ermeneutico) e dall'altra quale epifenomeno del funziona­ mento psichico (livello epistemologico), a partire dalla convinzione che la

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Enrico Manglnl

presenza o l'assenza del sogno testimoni di un particolare funzionamento di quell'apparato psichico in quel particolare momento, e che il sogno, quindi, possa nella sua modalità espressiva evidenziare variazioni e modificazioni ma­ croscopiche della struttura psichica, ad esempio attraverso l'oscillazione «non sognare/sognare», o l'oscillazione «sognare e dimenticare/sognare e ricordare», oppure variazioni microscopiche che si evidenziano nelle moda­ lità del lavoro onirico o per la particolare costruzione narrativa, o tematica, del sogno stesso. Ma non c'è solo il livello intrapsichico: il sogno è anche «inserito in una logica relazionale» (Giaconia, 1 993) e sono noti i legami che il sogno instaura a livello interpersonale, o transgenerazionale, come nel caso dei discendenti di persone scampate all'olocausto che sognano, al posto dei loro genitori, le persecuzioni naziste (Barocas e Barocas, 1979). Tutto ciò rinvia più diretta­ mente «alla funzione che il sogno ricopre nel processo della cura» (Pontalis, 1 977) e che Didier Anzieu ha metaforizzato nel concetto di «involucro psi­ chico», una struttura che comprenda «sia gli aspetti di funzionamento men­ tale del paziente, sia gli aspetti del setting analitico, sia gli aspetti del contro­ transfert» (Anzieu e altri, 1 987). Il sogno può dunque essere il risultato di un processo di simbolizzazione che nasce dall'incontro paziente-analista (Nis­ sim Momigliano e Robutti, 1992). In base a questa idea che il sogno dica del funzionamento psichico non solo del singolo ma dello spazio psichico in cui avviene, se si pensa a modalità di pensiero peculiari che circolano all'interno di un sistema, come può esserlo una coppia o una famiglia o la stessa relazione psicoanalitica, ecco che i sogni che vi compaiono possono consentire, e in alcuni casi favorire, lo scambio af­ fettivo tra soggetto e oggetto (Missenard, 1987). Si potrebbe pensare che se Freud non avesse desiderato i sogni dei suoi pazienti questi avrebbero smesso di sognare, Dora non avrebbe fatto e ricordato i suoi sogni ricorrenti, l'uomo dei lupi non avrebbe fatto il suo celebre sogno, e non ci sarebbe stato pro­ gresso nella teoria del sogno se questi stessi pazienti, a un certo punto, non avessero fatto dei sogni che «desideravano» smentire la teoria che il sogno nascesse dal desiderio, di cui si faceva un gran parlare cent'anni fa a Vienna. Lungo questo filo, di un sogno testimone del funzionamento psichico e del soggetto e dello spazio psicoanalitico, tra «non-sogno », sogno trauma­ tico e sogni ricorrenti, tra funzione autopoietica, curativa e creativa, intendo svolgere questo lavoro. Dal «non-sogno» al sogno Un paziente adulto ricorda ancora vividamente un sogno fatto all'età di cinque anni circa, che l'aveva svegliato di soprassalto: aveva sognato di essere stato rapito e di trovarsi in un carro al buio. Risvegliatosi, nel buio della stanza,

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permaneva in lui la convinzione della «realtà» del sogno, tanto da non rico­ noscere, procedendo a tentoni, la sua stanza e trovandovi invece elementi che lo rimandavano al carro sognato. Non sapendo più come dominare l'ango­ scia, si mise sommessamente a piangere finché, a un certo punto, si accese una luce e senò la voce consolatoria di sua madre che lo strappava dall'incubo. Questo sogno, nonostante il contenuto angosciante, veniva sentito dal pa­ ziente come un punto di svolta nella sua esistenza dato che, da quel momento, non ebbe più paura di dormire da solo. Questo racconto mi ha fatto pensare a un celebre passo della Recherche di Marcel Proust che ho già commentato in un'altra occasione (Mangini, 1993) e che recita così: « Svegliatomi nel pieno della notte io non sapevo più dove mi trovassi e, in un primissimo momento, nemmeno chi fossi; avevo nella sua semplicità primaria soltanto il sentimento dell'esistenza così come può fre­ mere nella profondità di un animale; ero più privo di tutto dell'uomo delle caverne; ma a quel punto il ricordo - non ancora del luogo dove mi trovavo, ma di alcuni dei luoghi dove avevo abitato e avrei potuto essere - veniva a me come un soccorso dall'alto per strapparmi dal nulla al quale da solo non sarei riuscito a sfuggire; in un secondo scavalcavo secoli di civiltà e le immagini, confusamente intraviste (... ) ricomponevano a poco a poco i tratti originali del mio io (... ) "Guarda, ho finito per addormentarmi anche se la mamma non è venuta a dirmi buonanotte."» Queste due situazioni si assomigliano: entrambe rinviano a una primaria angoscia di separazione dall'oggetto, con un senso di spaesamento al risve­ glio. Ma differiscono per un particolare importante: la prima ha un sogno alle spalle e la seconda no. Nel passo di Proust non c'è sogno, e il senso di spaesa­ mento impegna il soggetto, strappato a una notte senza sogno, nella ricom­ posizione di un Io che il sonno aveva dissolto, rimettendo in moto un appa­ rato psichico fino a quel momento annullato. Ma come avviene questa ri­ composizione? Avviene attraverso una serie di operazioni che, partendo da impressioni affettivo-sensoriali, trovano nelle tracce Innestiche quelle inte­ grazioni che consentono, dopo un faticoso lavoro psichico, di ricompattare l'Io nello spazio della camera in cui si era addormentato. Nel sogno del rapimento, invece, il sogno funge da trama narrativa che, se da un lato resiste in modo allucinatorio al confronto con la realtà (anche qui la stanza non viene subito riconosciuta), dall'altro, nella drammatizzazione propria del sogno, favorisce un tentativo di elaborazione della relazione og­ gettuale e una rappresentazione della sua perdita, fino a consentire con il suo ritrovamento, e dopo il pianto, una forte espressione degli affetti legati alla separazione. ll risveglio da un sonno senza sogni rimanda invece a una situazione di più indifferenziata e fusionale relazione con la madre, la cui assenza coincide con uno smarrirsi dell'Io del soggetto (la stessa assenza di sogno è indicativa della

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scomparsa di un contenitore-madre). L'assenza di un sogno che funzioni da involucro psichico impone poi che la ricostruzione dell'identità avvenga at­ traverso esperienze affettivo-sensoriali che appartengono a un'area di «non­ pensabilità» (Racalbuto, 1994) e che troveranno poi nelle tracce Innestiche una prima traccia di rappresentazione e di pensiero. Anche al termine di que­ sto percorso si arriva al riconoscimento dell'assenza materna, che rinvia il sog­ getto allo spaesamento di una mancanza originaria più drammatica; ma tutto ciò avviene su un piano scisso, dove questo riconoscimento, e le esperienze so­ matopsichiche del risveglio, sembrano appartenere a due mondi diversi. La frase conclusiva: «Guarda, ho finito per addormentarmi anche se la mamma non è venuta a dirmi buonanotte>> sembra del tuttO incidentale, ma Sta fi proprio a ne­ gare gli affetti legati alla separazione. Non vi appare dolore per l'assenza ma­ tema, c'è invece un risveglio traumatico da una notte senza sogni. Il sogno, spartiacque tra psichico e somatico Fin dal Progetto di una psicologia (Freud, 1 895) il sogno entra a far parte del funzionamento di un apparato psichico, il più semplificato possibile. Nel sonno, per l'appunto, venuto meno il controllo del sistema omega, il flusso delle cariche energetiche accumulate dal sistema, e il cui aumento porta al di­ spiacere, può percorrere regressivarnente la via che nella veglia porta alla sca­ rica motoria utilizzando come punto di scarica il polo percettivo, e concre­ tizzandosi così in immagini visive. Come per l'allucinazione. In questo modo, pur all'interno di un modello neurofisiologico abbando­ nato ma che continua a Inio parere a funzionare come metafora, viene da su­ bito posta un'adiacenza, e insieme una contrapposizione, tra scarica motoria e attività psichica, 1 con la supposizione che anche quella psichica sia in ori­ gine una scarica che segue il principio di piacere (come nell'allucinazione pri­ maria), ma anche che il pensiero non possa nascere che come sostituto della scarica motoria, e quindi della scarica tout court, che rimane quindi a un li­ vello pre-rappresentazionale.2 1 È impossibile citare rutti gli autori che dopo Freud si sono occupati di questo problema. B a­ sti ricordare il Ferenczi di Pensiero e innervazione muscolare ( 1 9 1 9a) fino al concetto di «atto-sin­ tomo» nelle nevrosi attuali della McDougall ( 1 982. ). Vorrei però ricordare una notazione di Gior­ gio Sacerdoti sull' «isolamento motorio» quando ricorda «l'estrema limitazione della motilità in due situazioni: quella del sogno e quella dell'analisi» ( 1 977). «La scarica motoria, che durante il dominio del principio di piacere era servita a liberare l'apparato psichico da un aggravio di stimoli, e che assolveva a questo compito mediante le inner­ vazioni che si diramano nell'interno del corpo (mimica, espressioni emotive), acquistò ora una nuova funzione, in quanto fu impiegata per un 'appropriata trasformazione della realtà. Essa si trasformò in azione. A trattenere, come ora era divenuto necessario, la scarica motoria (l'azione), provvide il processo di pensiero, che si venne formando dall'attività rappresentativa. n pensiero fu dotato di proprietà che resero possibile all'apparato psichico di sopportare l'aumentata tensione degli stimoli durante il differimento della scarica. Esso è essenzialmente un'azione di prova » (Freud, 1 9 1 1c).

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Ora, dato che l'apparato psichico è destinato a elaborare funzioni sempre più comples;;e ma, almeno nel sonno, può ritrovare modalità di funziona­ mento più primitive, possiamo veramente pensare al sogno come a «una forma particolare del nostro pensiero, resa possibile dalle condizioni dello stato di sonno» (Freud, 1 899, nota aggiunta nel 1 92 5) e che, proprio per que­ sto, possa essere espressione di una vasta gamma di possibilità espressive e di funzionamento di quell'apparato psichico, o di quello spazio psichico condi­ viso, in quel particolare momento. n sogno quindi testimonierebbe del funzionamento dell'apparato nei suoi diversi gradi di complessità (dalla scarica di un eccitamento che non ha tro­ vato una funzione paraeccitatoria, al tentativo di padroneggiare il trauma, fino alle più complesse elaborazioni simboliche per venire a capo di un con­ flitto) e in più mostrerebbe una specifica funzione autopoietica, come se il so­ gnare (come attività simbolica complessa più che come scarica) plasmasse a sua volta l'apparato psichico e ne arricchisse le potenzialità. Concetto non nuovo, se anche Fichte, che Freud cita nella Traumdeutung, parlava di «sogni di integrazione», che considerava «uno dei misteriosi benefici di natura au­ toterapeutica dello spirito». Non è facile dire se esista veramente un «sogno-scarica». Vicini alla por­ tata metaforica di questo termine mi sembrano i sogni «evacuativi» descritti tra gli altri da Segai ( 1 99 1 ) e da Mancia (1987), o i sogni «crudi» di Marty (1 984). Per ragionare su questo punto ripenserei a ciò che Freud aveva esplo­ rato riflettendo, come al solito, sulle eccezioni alla regola, e cioè sui sogni traumatici, gli unici a sottrarsi alla regola generale che il sogno sia un appa­ gamento di desiderio. Nei sogni traumatici, infatti, la scena del trauma viene n-presentata più che rappresentata, e ciò sta a dire di un bisogno dell'appa­ rato psichico di scaricare una tensione non elaborabile con meccanismi di di­ fesa e processi di pensiero più evoluti. Da quando ha subìto un trauma ses­ suale nella preadolescenza, una mia giovane paziente sogna ripetutamente la figura sempre uguale e immediatamente riconoscibile del profilo dell'uomo che l'ha aggredita. Giustamente Missenard (1 987) ha notato che «il sogno ri­ pete non l'incidente in sé stesso, ma gli istanti che l'hanno preceduto, ed è un tentativo per collegare i due tempi: quello del prima e del sentimento di in­ vulnerabilità, e quello del dopo o la realtà della morte (...) il sogno [dunque] è un tentativo di riparare la breccia, non solo una prova di dominio dell'afflusso di eccitazione, prospettiva economica da sola insufficiente». Quindi il sogno traumatico funziona in parte come «scarica» (e ciò si vede dal prevalere degli elementi percettivi), ma anche come «barriera di contatto» (Bion, 1 962), quale tentativo di riparare la lacerazione narcisistica del trauma, attraverso una funzione essenzialmente autocurativa e cicatrizzante che all'interno della cura psicoanalitica trova il terreno più favorevole. Queste considerazioni (contrapposizione e consequenzialità tra scarica

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motoria, scarica psichica ed elaborazione simbolica) hanno trovato più di una conferma nei pazienti in cui prevale un funzionamento psicosomatico,' i quali mostrano un'inibizione fantasmatica, un pensiero «operatorio» (Marty e M'Uzan, 1 963) e una preferenziale attività di scarica cortocircuitata nel so­ matico. Che questo funzionamento sia determinato da una sorta di deficit originario o da una particolare organizzazione difensiva è, ai fini del mio di­ scorso, una questione di lana caprina. Ciò che mi importa sottolineare è che un tale paziente, che si impedisce qualsiasi contatto con gli affetti, scarica nel somatico affetti intollerabili e impensabili e che, non a caso, nel corso della cura psicoanalitica, la possibile evoluzione passa attraverso la penosa speri­ mentazione di un'ansia anticipatoria, vera testa di ponte tra il somatico e lo psichico. Ora, uno degli aspetti clinici più interessanti del funzionamento psicoso­ matico è dato proprio dall'assenza di sogni, e dall'osservazione che nel corso della cura compaiono proprio dei sogni, i quali inizialmente hanno la parti­ colarità di essere molto «reali» (tipo pensiero operatorio) e non accompa­ gnati da associazioni. Così, grazie al trattamento psicoanalitico, si può assi­ stere a una progressiva modificazione dell'apparato psichico, evidenziabile proprio nei sogni, la cui struttura narrativa si fa via via più complessa e sim­ bolica. Questi possono configurarsi come sogni «reali», ma poi anche trau­ matici o d'angoscia (all'interno di una modificazione della struttura psichica tipo nevrosi attuale) e successivamente, nei casi più favorevoli, per un pro­ gressivo processo di isterizzazione della struttura, nella formazione di sogni ricorrenti. Rimanendo per il momento su questi sogni «reali», questi più che altri pongono il complesso problema del rapporto tra immagine e parola e cioè tra sogno come esperienza in sé e racconto del sogno, che poi è l'unico livello che ci è dato conoscere, e che consiste nella sua costruzione, attraverso il pro­ cesso secondario, mediante il linguaggio parlato. Vi è un irrinunciabile slit­ tamento tra immagine e parola, che segna il passaggio dal processo primario a quello secondario. Ora, dato che il racconto del sogno, e le eventuali asso­ ciazioni, è anche l'unica possibilità che abbiamo per avere accesso, con l'atti­ vità onirica, al funzionamento dell'apparato psichico, questo è quindi «foto­ grafabile» anche attraverso la struttura del racconto del sogno e la ricchezza o la povertà dei contenuti e degli affetti che vi abitano, ragion per cui ci si può chiedere se un sogno così «reale» dipenda da una disabilità a utilizzare l'ap­ parato psichico (nello specifico il preconscio) o se sia il risultato dell'elabora­ zione secondaria, attraverso la quale il paziente tenderà a eliminare dal rac­ conto qualsiasi elemento che non si inserisca in esso con logicità, per una l Utilizzo questo termine in accordo con Semi, che sottolinea come «all'interno di una conce­ zione monistica, la formazione di malattie fisiche [faccia] parte delle possibilità regressive che eia­ scun individuo ha a propria disposizione» ( 1 993).

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sorta di allergia preconscia ai lati enigmatici del sogno. Ma queste potreb­ bero anche essere le due facce della stessa medaglia. Nascita del sogno: riferimenti intrapsichici e re/azionali A. è una giovane paziente, sposata, con due figlie di otto e quattro anni. Inizia l'analisi come ultima spiaggia dopo diversi ricoveri per tachicardia e sintomi gastrici, con un progressivo dimagramento che l'ha messa in una si­ tuazione di grave rischio per la sopravvivenza. La sua analisi è difficile perché se per i suoi medici alla fin fine non aveva « niente», neanche in analisi ha niente (nessuna motivazione per farla, niente da dire ecc.). Inizia le sedute, per l'appunto, con l'intercalare «niente», non associa liberamente, racconta solo qualche «fatto concreto» e, sta qui l'interessante, sostiene di non sapere cos'è un sogno non avendo mai sognato in vita sua. D'altra parte, dice, come potrebbe sognare se la figlia- più piccola la sveglia più volte ogni notte da quando è nata? Ebbene, dopo circa due anni di un'analisi portata avanti con un'assenza pressoché totale di desiderio, dove però aveva potuto frammentariamente parlare della morte del padre, per il quale non aveva pianto, e di una madre certamente fredda ma che aveva fatto bene a crescerla in modo «spartano», un bel giorno, come se niente fosse, A. porta il suo primo sogno. Bella forza, dirà qualcuno: tutti sappiamo che c'è il sonno REM e che è in questa fase che tutti sognano. Se in tutti i dormienti c'è un'attività elettrica che corrisponde all'attività onirica, forse chi sostiene di non sognare sempli­ cemente non ricorda, essendo soggetto a un potente meccanismo di rimo­ zione. Però in molti casi, come in questo, non possiamo pensare che c'entri la rimozione, sia perché non è un meccanismo di difesa consueto per la pa­ ziente, sia perché la prima regola della rimozione è che qualche volta fallisce, per cui avremmo avuto qualche frammento o impressione di sogno. Quando non ci sono sogni, e non c'è rimozione, dobbiamo pensare che vi sia un'attività psichica elementare, non rappresentativa, improntata alla sca­ rica, paragonabile, per quel poco che riusciamo a rappresentarceli, agli ele­ menti beta di Bion (emozioni senza significato, cose in sé, forme prelingui­ stiche non rappresentabili, che non arrivano alla significazione). Oppure, forse a un livello rappresentativo leggermente più evoluto, ai significanti for­ mali di Anzieu (Anzieu e altri, 1987) che, simili ai pittogrami, e prima tappa verso la simbolizzazione, sono presenti nei pazienti psicosomatici rappresen­ tandone «la lotta per la sopravvivenza psichica». Si tratta presumibilmente di immagini propriocettive, tattili, d'equilibrio, che hanno a che fare con una rappresentazione del Sé legata all'integrità narcisistica, difficilmente espri­ mibili se non in uno spazio bidimensionale. È presumibile quindi che, in un paziente psicosomatico «puro», l'appa-

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rato psichico funzioni proprio come Freud l'aveva pensato nel Progetto, cioè come l'apparato muscolare, con funzione di scarica, e che quindi non pos­ sano esserci sogni che possono essere raccontati. 4 Sappiamo però, per for­ tuna, come l'analisi tenda ad azzerare ogni purezza. Ora, prima ancora di riportare il sogno, la questione è: come mai A. ha so­ gnato? Se il sogno esprime il livello di funzionamento dell'apparato psichico del sognatore, in quel dato momento della sua vita di fronte a determinati stimoli esterni e interni, nel caso si tratti di un paziente in analisi, è pensabile che il sogno sia anche funzione della relazione psicoanalitica. In questo caso il primo sogno corrisponde a una specie di nascita psicologica del soggetto, che può utilizzare l'apparato psichico, e non solo scaricare la tensione lungo le vie somatiche, ma è anche una nascita psicologica per la stessa relazione psicoanalitica. È a tutti gli effetti un regalo, e in questo senso è già simbolico in quanto tale, prima ancora che per i simboli che vi compaiono. Questo so­ gno diventa così figlio dell'analisi, testimone del funzionamento dello spazio psicoanalitico, o del funzionamento dell'apparato psichico del soggetto in quanto è dentro lo spazio psicoanalitico, ben più della sospensione dei sintomi cardiaci e gastrici che nel frattempo si erano risolti e del recupero del peso corporeo. Questo sogno è etimologicamente un synbolon: è la metà della moneta che il paziente porta, e che porta al riconoscimento della relazione; la seconda metà è in mano all'analista nel momento in cui è disposto a dare precedenza agli elementi affettivi su quelli conoscitivi, in altre parole se lascia al paziente l'illusione di aver «creato» il sogno da solo, come il bambino con il seno, astenendosi dal farlo suo attraverso l'interpretazione. Solo ora ci si può chiedere qualcosa sul significàto del sogno, che era il se­ guente: Sono in una strada con mia figlia più grande, so che manca la più piccola. Fine. Nessuna associazione (segno questo della prevalenza del timbro alluci­ natorio e percettivo, e di una limitata capacità rappresentativa). La paziente, una «donna manager», aveva cominciato a star male proprio con la seconda gravidanza, che l'ha costretta a letto per nove mesi «per non perdere la bambina», che da quando è nata è sempre stata molto irrequieta tanto da procurarsi seri incidenti (due volte al Pronto Soccorso per suturare ferite) e non dormire quasi mai la notte. Un sogno dunque che, pur nella sua essenzialità, fotografa l'apparato psichico della paziente: non vi si trova trac­ cia di affetti, specie aggressivi, purtuttavia si dispone a una prima narrazione, rappresentativa, per il fatto di partecipare al funzionamento psichico com­ plessivo della relazione psicoanalitica. li «SO che manca la più piccola» appare allora come il riconoscimento, che 4 «Se il paziente non è in grado di trasfonnare la propria esperienza emotiva in elementi alfa, non può neanche sognare» (Bion, 1 962 ).

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nasce dall'allucinazione negativa, a indicare a chi sono rivolti gli affetti che non ci sono, e di chi si sta parlando. La paziente sa che manca la più piccola ma non sa perché, e non ne è preoccupata. Non glielo si può dire ora: è troppo distante da questo. Ciò che è evidente è che nel sogno c'è l'ammis­ sione di un buco di non-pensiero in cui è precipitata la bambina. Ecco la Verwerfung (tradotta come preclusione, forclusione, ma in questo caso mi sembrerebbe preferibile il termine « esclusione»), esclusione della bimba e delle idee e affetti inaccettabili su di lei. Perché la paziente ha potuto fare il suo primo sogno? Esattamente come ha fatto il primo figlio, senza accorgersene, o senza volerlo, ma evidente­ mente con qualcuno e con una certa procedura. Bion ha mostrato la funzione strutturante dell'apparato di pensiero della madre su quello allo statu nascendi del bambino, e in particolare su quello del linguaggio (Racalbuto e Giaconia, 1 990); così la funzione strutturante dell'apparato di pensiero dell'analista agi­ sce su quello allo statu nascendi della paziente psicosomatica. Non le si può in­ terpretare il sogno perché l'analista, come la madre, ha in questo caso anche una fondamentale funzione paraeccitatoria, e la paziente che ha appena fatto il suo primo sogno non ha bisogno di ricevere una sovrasignificazione al so­ gno stesso. Indubbiamente tra le funzioni di questo sogno c'è anche il fatto che vivi­ fica la relazione psicoanalitica, e una relazione vivificata produrrà altri sogni, ovvero un funzionamento migliore dell'apparato psichico condiviso nell'ana­ lisi produrrà un funzionamento migliore dell'apparato psichico della pa­ ziente. Nell'analisi, a differenza dell'allucinazione e dell'allucinosi, il sogno è curativo in sé, è autoplastico, potendo innescare nuovi circuiti e favorire nuove soluzioni di elaborazione e di pensiero. Ciò non significa che, soprat­ tutto all'esterno e di fronte a stimoli non totalmente metabolizzabili, la pa­ ziente non possa riprendere a scaricare. Quel che importa è che si sia inne­ scato una sorta di processo «educativo» e affettivo che, come è possibile in­ segnare a leggere e a scrivere, consenta di insegnare a qualcuno, per l'ap­ punto, a sognare. Dopo circa due anni dal primo sogno, in seguito a un trasloco vissuto con grande ansia, la paziente porta ben due sogni: Sono in una casa strana, ci sono scatoloni, la baby sitter mi dice: dov'è la C. ? (la bambina più piccola). Guardo giù: era dentro al canale a pancia in giù. All'allucinazione negativa del primo sogno segue una rappresentazione drammatica, ma pensabile, di una bambina morta. Il giorno dopo - questo non è sogno ma realtà - mentre salivano le scale C. (sempre la bambina più piccola) si sporge dalla balaustra e la baby sitter dopo averla richiamata dice alla mia paziente che la notte prima aveva sognato che la piccola era caduta giù dalle scale proprio da quel punto. Ve­ dendo la faccia spaventata della mia paziente, che ancora pensava al sogno ap­ pena riferito che aveva fatto la notte stessa e di cui non aveva parlato con nes-

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suno, la baby sitter si sente in dovere di dirle: «Signora non si preoccupi, i sogni non si avverano.» In tutto ciò c'è una profonda verità: da un lato per la mia paziente non vi era mai stata differenza tra sogno e realtà, tant'è che non aveva mai sognato preferendo la scarica motoria (l'agire o il fuggire), o la scarica nel somatico, al dolore psichico. Ora che può permettersi di far funzionare l'apparato psi­ chico, può capire che è vero che i sogni non si realizzano, anche perché C. (la bambina) ha avuto gli incidenti proprio quando la madre non sognava. Ora invece dorme ed è più tranquilla. Evidentemente i sogni della madre sono an­ che i custodi del sonno della bimba. Vi è inoltre in questa coppia - la baby sitter e la mia paziente, che sogna incidenti mortali per la bambina - una prima organizzazione di coppia (che ripete quanto avviene nel rapporto psicoanalitico) in cui i sogni funzionano come involucri psichici. Se la bambina muore nel sogno, la madre sarà più preoccupata, in senso winnicottiano, per lei. In questa paziente, dopo che l'apparato psichico impara a sognare, vi è una produzione ricorrente di un tema, quello della bambina in pericolo mortale, che probabilmente ripropone ad anni di distanza e in forma pensabile i gravi timori per la sopravvivenza della bambina vissuti nel corso di una gravidanza difficilissima e pericolosa anche per la madre e che erano stati del tutto ne­ gati e forclusi. Poco tempo fa dice di aver fatto ben tre sogni: i primi due riguardano la figlia maggiore, ma li ha dimenticati (qui sì la rimozione); il terzo, l'unico che può raccontarmi, è un altro sogno «reale», in cui lei è a tavola con sua madre. Però, mangiando con la madre, può dire che nei due sogni dimenticati le pa­ reva che ci fosse «qualcosa di brutto». Non si tratta più della seconda, ma della prima figlia, quella che non le ha mai dato problemi, neppure in gravi­ danza («ho fatto tutto come se non fossi incinta»), e che ora va a occupare nei suoi sogni un posto molto simile a quello della sorellina. Questa presa in esame di affetti fino a quel momento impensabili è avve­ nuta lungo un filo onirico che nelle differenze nella struttura del sogno (dal «non-sogno», al sogno «reale», al sogno traumatico, d'angoscia, e ai sogni ricorrenti) ha anche consentito di avere una «fotografia» sufficientemente attendibile del funzionamento dell'apparato psichico della paziente e della relazione psicoanalitica.

Capitolo 9 Il sogno: mancanza, oblio, ricordo

Alberto e Franca Meotti

La vita diurna sì svolge fra gli oggetti animati e inanimati cui dedichiamo la nostra attenzione, che investiamo delle infinite fonne di amore o di odio di cui siamo capaci, cui ci avviciniamo o che sfuggiamo concretamente. li con­ tatto con gli oggetti è naturalmente indispensabile e vivificante, ma è altresì quanto di più difficile e faticoso per la continua limitazione e regolazione che impone all'espansione illimitata del Sé. Per questo motivo la vita mentale è pensabile anche come continua alternanza tra investimenti sugli oggetti e in­ vestimenti sul Sé che hanno lo scopo di reintegrare quanto il contatto ogget­ tuale ha consumato. Freud (192 1 , p. 3 1 7) scrive: «Con la nascita abbiamo compiuto il passo dal narcisismo assolutamente autosufficiente alla percezione di un mondo ester­ no mutevole e agli inizi del rinvenimento dell'oggetto, e da ciò dipende ilfatto che non sopportiamo durevolmente il nuovo stato, che periodicamente io facciamo rece­ dere e torniamo, durante il sonno, al precedente stato di assenza di stimoli e di elu­ sione dell'oggetto» (corsivo aggiunto). Il termine tedesco scelto da Freud è esplicito: Objektvermeidung rinvia all'evitamento dell'oggetto e di qui al ten­ tativo di ricostituzione di un universo che dovrebbe consentire espansioni illi­ mitate del Sé. A questo proposito, lo studio da un punto di vista psìcoanalitico del concetto di spazio nel pensiero di Pascal e dì Newton (A. Meotti, 1 997) sembra confortare a sufficienza l'ipotesi che, a partire dalla mancanza o dalla perdita di un oggetto primario (il padre o la madre), lo spazio interno ed esterno tenda a presentarsi come un'espansione infinita vuota di oggetti (Pa­ scal) o abitata da un oggetto regolatore onnipotente (Newton), il cui ricono­ scimento presenta difficoltà estreme. Al dì là della possibilità di condividere oggi le tesi teoriche sul narcisismo primario, importa qui ricordare Freud quando indica che, dopo gli iniziali contatti con gli oggetti, una quota di ritiro narcisistico (di cui il sonno e il so­ gno sono gli esempi per eccellenza) è necessaria per l'equilibrio della mente

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e per il mantenimento e lo sviluppo della capacità di contatto con gli oggetti. Ciò continuerà a essere vero anche nella vita adulta: a questa continuità si riferi­ sce anche Bion (1 965, p. 7 3 ; corsivo aggiunto) quando afferma: «Se l'amore narcisistico è insoddisfatto, risulta disturbato lo sviluppo dell'amore che non riesce a estendersi all'amore per gli oggetti. » Dunque, nell'adulto l'equilibrio narcisistico viene disturbato quando vi siano difficoltà nel ritorno a quote sufficienti di isolamento narcisistico. Con­ tatti con gli oggetti e successivi evitamenti devono essere elaborati e adegua­ tamente bilanciati nel corso della crescita maturativa, al fine di costituire un equilibrio narcisistico-oggettuale come fondamento di una vita mentale ac­ cettabile. In questo quadro, risulta essenziale l'effettività dell'evitamento degli og­ getti nel sonno, oltre che in una quota dei tempi della veglia. L'evitamento (necessario alla ricostituzione del Sé) potrebbe essere disturbato se, una volta elusi gli oggetti esterni, il Sé si trovasse confrontato nel sonno con oggetti interni la cui presenza fosse così intensa da compromettere una soddisfacente costruzione del sogno, l'unica che consentirebbe al sognatore di non ricor­ darlo al suo risveglio. Vogliamo qui introdurre l'ipotesi che ii ricordo diurno del sogno sia indice di una reintegrazione narcisistica non perfettamente riuscita. Disturbi di sonno e sogno possono presentarsi in analisi con gli aspetti estremi dell'insonnia o del sonno mancante di sogni. Bion afferma che l'im­ possibilità di formare elementi alfa, gli elementi base del sogno, porta a diffi­ coltà nella formazione dei sogni. Non si formano immagini visive' prodotte da emozioni, sensazioni, percezioni, indispensabili alla costruzione del so­ gno. Le modalità di costruzione del sogno restano impedite: emozioni, per­ cezioni, sensazioni restano in uno stato non utilizzabile per la costruzione di sogni, con la conseguenza che chi non può sognare può talvolta essere co­ stretto ad avere l'allucinazione di sognare.2 In Cogitations ( 1 992, p. 1 1 1 ; corsivo aggiunto) Bion afferma: «Di certo nella personalità psicotica vi è una difficoltà a sognare e ciò sembra in paral­ lelo con l'incapacità di raggiungere per intero la posizione depressiva. Si po­ trebbe dire, allora, che la capacità di sintesi si manifesta in due eventi princi1 «Ho posto in rilievo che è essenziale per la capacità della mente essere in grado di "sognare" un'esperienza emotiva in atto, sia che abbia luogo mentre la persona è sveglia, oppure mentre dorme. Con ciò intendo che i fatti, così come sono rappresentati dalle impressioni sen.�oriali della persona, devono essere trasformati in elementi quali sono le immagini visive comunemente pre­ senti nei sogni e che ci vengono abitualmente riferite» (Bion, 1 992 , p. 2 1 6). «Suggerisco che un'incapacità di sognare è una cosa tanto grave che il paziente è cosn·etto ad avere un sogno, un "sogno strano" che è la controparte, per quel che riguarda il pensiero oni­ rico, della gratificazione allucinatoria sperimentata nella vita vigile quando una vera gratificazione è impossibile» (Bion, 1 992 , p. 1 n).

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pali: 1 ) le costruzioni logiche, e cioè una formula, un enunciato matematico ecc.; 2) un sogno. » L a posizione depressiva è qui pensabile come un condensato in cui l'og­ getto intero è prodotto da capacità di sintesi proprie dell'Io. Con gli oggetti interi ci si confronta e si assumono responsabilità, principale contrassegno della posizione depressiva: tra le prime responsabilità, quella di lasciare all'oggetto la sua libertà rinunciando a controllarlo in modo onnipotente. Il lutto relativo fornisce poi alla mente l'accesso all'astrazione (la matematica, la logica), nonché a immagini ed esperienze emotive che derivano dalla sepa­ razione dall'oggetto e possono essere usate nella costruzione del sogno. Quella costruzione che può riuscire difficile allo psicotico. L'insufficienza nel conseguimento della posizione depressiva comporta una duplice carenza: simbolica (astrazioni) e onirica (carenza di immagini vi­ sive associate a esperienze emotive). Certamente processi di sintesi, produzione di sogni, responsabilità verso gli oggetti sono di competenza non del soggetto isolato, ma del soggetto in quanto interagente con altri soggetti con i quali costituisce gruppi di vario tipo, nonché campi dinamici. Questo è di grande importanza quando si ri­ cordi che la funzione alfa è pur sempre un introietto. In conclusione, sia il sogno dimenticato che l'elusione dell'oggetto rin­ viano alla duplice, lenta gradualità dell'apprensione di sé e dell'altro come oggetti interi, fondamentalmente liberi nonché portatori di pulsioni contra­ stanti. Dopo la «seduzione» originaria e le esperienze dell'ambiente materno primario, intermittenti elusioni degli oggetti, lavoro del sogno e capacità di sintesi conducono nel tempo alla costruzione degli oggetti come liberi e in­ teri. Dal narcisismo al mondo degli oggetti separati il passaggio è lungo, fati­ coso e incerto, e comporta una frequente oscillazione all'indietro verso l'uni­ verso narcisistico da cui attingere e continuamente riemergere. Quando ci si riferisce al processo psicoanalitico, è opportuno fare riferi­ mento alla capacità di sintesi che contraddistingue l'Io del paziente, nonché ai processi profondi di sintesi che si collocano in parti inaccessibili del paziente e non vengono quindi comunicati. Qui l'autopoiesi sostituisce l'eteropoiesi per­ ché «I'autorganizzazione è nei sistemi complessi un fenomeno del tutto spon­ taneo» (Garella e Napolitano, 1 996, p. 2 5 3 ; corsivo aggiunto), per cui appar­ tiene agli aspetti costruttivi della complessità l'emergenza spontanea delle strut­ ture psichiche. «Freud era del tutto consapevole di questo fondamentale ca­ rattere di autorganizzazione dello psichico, se il 3 o luglio I 9 I 5 scriveva a Lou Andreas Salomé: "Di rado avverto il bisogno della sintesi. L'unità di questo mondo mi sembra qualcosa di ovvio, che non merita di essere sottolineato. Quel che mi interessa è la separazione e l'articolazione (...) In breve: evidente­ mente sono un analitico e penso che la sintesi non presenti difficoltà, quando sia compiuta l'analisi"» (ibid. , pp. 2 5 3 sg.).

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Queste premesse potrebbero in parte spiegare come in analisi vi siano pa­ zienti che riferiscono di non sognare mai; altri che si dicono certi di sognare, ma che non ricordano i sogni ; altri che, forse, ricordano i sogni, ma non li raccontano . In tutti questi casi l'atteggiamento dell'analista oscilla dalla fidu­ ciosa attesa iniziale a sensazioni di deprivazione e di esclusione da quello che suppone sia il mondo più importante e segreto del paziente, fino alla consi­ derazione dell 'assenza di sogni come una caratteristica della relazione che ri­ chiede spiegazione. Si può forse escludere a priori un'unica ipotesi sulla mancanza di sogni in analisi; le situazioni cliniche sono troppo diverse e rinviano a quadri sotto­ stanti assai lontani tra loro. Di certo i sogni non arrivano all'analisi non per uno soltanto , ma per diversi motivi. Proviamo ad avanzare qui alcune ipotesi: a) i sogni non ricord ati fanno parte di nuclei privati del Sé (molto simili alla privatezza della parte adulta della sessualità, che pure spesso non ha necessità di entrare in analisi, e non per motivi di resistenza). Possono non giungere all'analisi perché pa:rte di processi autorganizzativi e autopoietici in corso o già com­ piuti, pertanto inaccessibili anche al paziente. Analisi e sintesi procedono di con­ serva e la cura psicoanalitica nel suo complesso comprende ovviamente sin­ tesi, integrazioni, trasformazioni. Queste hanno luogo in seduta e fuori della seduta, si disten dono all'intero arco sonno-veglia e sono in genere segrete, inaccessibili al pazi ente. Solo qualche ostacolo nel lavoro di sintesi, qualche problema nuovo o insufficientemente elaborato possono far sì che il sogno sia ricordato e raccontato; b) talvolta il sogno non viene ricordato o raccontato perché il paziente percepi­ sce una difficoltà dell'analista a lavorare con i sogni. Allora il paziente non rac­ conta o non ricord a addirittura; queste difficoltà sono dovute sia alle ragioni indicate da Meltzer (di cui parleremo in seguito), sia alla seguente ragione: nel sogno si esplica un' attività creativa del paziente che l'analista può non riuscire a riconoscere e ad accogliere a causa di invidia inconscia. L'invidia può essere ricondotta, tra l'altro, all'incapacità di staccarsi dalle proprie ipotesi interpreta­ rive, cogliendo e riconoscendo il nuovo che il sogno può contenere e che co­ stringerebbe l'analista a un cambiamento più o meno catastrofico. Ciò confi­ gura una situazione di impasse, e di fatto molte situazioni di impasse sono ca­ ratterizzate dal fatto che l'analista è incapace di abbandonare linee interpreta­ rive obsolete anche se il paziente è già altrove da tempo. Qui, ovviamente, pos­ sono introdursi anche altri aspetti, che fanno capo alla patologia privata dell'analista, a sue zone d'ombra non raggiunte dall'analisi o dall'autoanalisi; c) un altro punto riguarda la difficoltà di ricordare i propri sogni da parte dell'analista, e potrebbe essere connesso a un meccanismo analogo. Il fine sa­ rebbe quello di rendere inaccessibile all'autoanalisi materiale trasparente, ma scomodo. Oppure di perpetuare nell'autoanalisi ipotesi risapute.

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La ricerca di un possibile common g;round circa la presenza (o assenza) di so­ gni in analisi si potrebbe invece organizzare sull'ipotesi di Meltzer, il quale ricorda che «la frequenza con la quale i pazienti presentano sogni varia diret­ tamente con l'interesse, con l'immaginazione e, in larga misura, con l'effica­ cia mediante i quali l'analista li accoglie. Chiaramente si tratta di un problema nell'area transfert-controtransfert (... ) "Resistenza" nella psicoanalisi attuale significa (...) resistenza ad approfondire il coinvolgimento emotivo nella pro­ cessualità transfert-controtransfert. Bion dà una formulazione efficace del problema dove dice che molti pazienti non hanno bisogno di resistere poiché sanno bene come mobilitare la resistenza dell'analista a una partecipazione più profonda» (1983, pp. 1 56 sg.). Per un verso, queste osservazioni possono essere ricondotte alla nota si­ tuazione del campo dinamico quale viene costituito dalla coppia psicoanali­ tica, della dialettica transfert-controtransfert tra analista e paziente, delle at­ tribuzioni e assunzioni di ruolo, delle identificazioni e delle controidentifica­ zioni proiettive ecc. Per altro verso, le considerazioni di Meltzer sulla limita­ zione e della presenza e dell'analizzabilità dei sogni in analisi sembrerebbero rinviare anche al fatto che esistono limiti non superabili nella relazione e nel coin­ volgimento dei protagonisti. Questi limiti, oltre a costituirsi come resistenza, possono, come abbiamo detto, proteggere aree narcisistiche di isolamento dinamico (rimozione fisio­ logica) con funzioni di integrazione del Sé indispensabili all'equilibrio men­ tale. In altri termini, determinate vicende di soddisfacimento di desiderio (fu­ sionale o pulsionale) rivolto all'oggetto primario oppure, in termini più at­ tuali, lo sviluppo della fantasia inconscia, devono poter restare confinati nel­ l'inconscio rimosso. Giustamente la sparizione dei sogni dalla memoria e dall'analisi sembra quindi a Meltzer (1983, pp. 1 58 sg.) «solitamente» riconducibile «a un im­ portante aspetto dell'organizzazione del narcisismo del paziente». Ma Melt­ zer intende qui la funzione del narcisismo del paziente in modo diverso dal nostro. ll narcisismo del paziente lo renderebbe incline a delegare la respon­ sabilità di «sporcarsi le mani» che inevitabilmente i sogni richiedono a causa del pesante materiale di cui sono costituiti. «ll fattore decisivo è l'intimità in­ tensa che l'analisi dei sogni comporta. » Anche «per l'analista esperto il grande rischio lavorativo di questa attività sta nell'esposizione a materiale ra­ dioattivo, per usare un'analogia» (codvo aggiunto). Freud (1 899, p. 42 8), cer­ tamente ben lontano da notazioni controtransferali, scrive tuttavia: «Non ci si può trasferire nei pensieri del sogno senza una profonda emozione.» Di qui la resistenza dell'analista, che può impedirgli di analizzare il sogno del pa­ ziente e che può risalire a paura, invasione, senso di impotenza.

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ll nostro punto di vista è che anche il paziente ha le stesse paure di essere in­ vaso, e che tale timore può derivare dalla necessità di preservare le proprie aree di sintesi autopoietica. Anche questo può essere a volte un ottimo motivo di as­ senza di sogni.1 Ma, mentre il timore dell'analista va affrontato come «patolo­ gico», quello del paziente sarebbe «fisiologico». Freud (ibid. , p. 2 1 8), come è noto, sosteneva che il sogno è guardiano del sonno e che i sogni che non arri­ vano in analisi sono talmente ben riusciti da non lasciare tracce nella coscienza e nella memoria, una volta ottenuti i loro scopi primari di proteggere il sonno e l'appagamento allucinatorio con una costruzione onirica ben riuscita. Tuttavia, se oggi è lecito sostenere che la teoria del sogno come guardiano del sonno è una delle parti più datate della Traumdeutung e che anche l'appa­ gamento allucinatorio non è che una (e forse non una delle più importanti) tra le funzioni del sogno, la spiegazione freudiana del sogno ben riuscito e perciò dimenticato sembrerebbe portare sostegno all'ipotesi che il desiderio e la funzione del sogno sia l'oblio totale delle vicende del desiderio del Sé verso i suoi oggetti, interni ed esterni.

Fino a questo punto abbiamo ripercorso la distinzione freudiana tra sogno perfettamente riuscito e quindi dimenticato e sogno non perfettamente riu­ scito e quindi ricordato ed eventualmente portato in analisi. È una distinzione che possiamo ulteriormente esaminare oggi che da più parti (vedi, ad esempio, Alvarez, 1995) viene proposto il rovesciamento della formulazione freudiana. In forza di tale rovesciamento, è il sonno che viene ad avere la funzione di rendere possibile il sogno e di proteggerlo. Si po­ trebbe allora pensare che il sogno ricordato sia l'indice di due fattori: a) un conflitto tra necessità di elusione notturna e ripresa onirica di contatti incan­ descenti, «radioattivi», con gli oggetti; b) un funzionamento imperfetto del sonno come cassaforte del sogno: il ricordo indica porte che non proteggono interamente ciò che dovrebbe restare segreto. Seguendo questa linea di pensiero, non è un caso che si giunga ad affermare che «un sogno significa ciò che il sogno è in grado di dire nel contesto della se­ duta. Ancora di più, la massa dei sogni che riesce ad arrivare alla veglia è di­ versa dall'enorme numero di sogni che vengono sognati e poi dimenticati in ogni notte fin quando dura la vita. Alcuni acquistano significato e si colorano di emozioni perché vengono ricordati; altri vengono ricordati perché sono co­ lorati di emozioni e dicono qualcosa che deve essere conosciuto. Qui sta la pre­ messa di base dell'analisi: quando un paziente racconta un sogno sta dicendo 3 A proposito della particolare incidenza di questo fenomeno nelle analisi, Meltzer cita i pa­ zienti che vengono in analisi per motivi professionali: proprio quelli, aggiungiamo, che, a causa dell'asimmetria nell'analisi, più potrebbero nutrire timori profondi di invasione, confusione, im­ potenza qualora aprissero all'analista la parte più «creativa e appassiunata>> (Meltzer, 1 9 8 3 , p. r 59; corsivo aggiunto) della loro mente, quella dalla quale traggono origine i loro sogni.

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indirettamente (corsivo aggiunto) all'analista qualcosa di urgente che non può dirgli direttamente. n sogno può essere enigmatico, ma non necessariamente parla per enigmi. Piuttosto, parla per immagini; il suo linguaggio è obliquo e metaforico» (Alvarez, 1 995, pp. 145 sg.). n sogno portato in analisi può dare inizio a una complessa procedura che può sfociare nel disvelamento del significato della relazione nel contesto della seduta. Che nella seduta un sogno sia consegnato all'oblio e un altro alla me­ moria e alla narrazione dipende forse dal fatto che il secondo tipo di sogno, a differenza del primo, contiene «materiale radioattivo» che è già presente o potrebbe essere introdotto nella seduta. Questo materiale radioattivo, incan­ descente, non è altro che la parte più appassionata del paziente: l'architettura del sonno, in combinazione con la «scienza delle costruzioni» del sogno a di­ sposizione del sognatore, non è sufficiente a contenere il sogno durante il sonno e nemmeno in seduta. Di qui la necessità di un oggetto che lo riceva e lo contenga. Questo oggetto può essere anche una parte dell'Io (la memoria) nella vita vigile, oppure l'analista. n pericolo contenuto nell'incandescenza del sogno è che l'analista, «Se­ dotto» dal sogno, potrebbe perdere l'astinenza, la neutralità, nonché la di­ stribuzione uniforme dell'attenzione su tutto il resto del materiale. Concen­ trandosi troppo sul sogno, potrebbe dar luogo, insieme al paziente, a una sorta di scena primaria genitale, a una o più sedute di appassionante, eccitato lavoro creativo. Oppure potrebbe, ove il sogno avesse una qualità «porno­ grafica» o quasi pornografica (nel senso che le sue immagini tendono a inca­ tenare, vincolare l'attenzione che non riesce a liberarsene abbastanza in fretta, Meltzer 1983, p. 1 60), non riuscire a collocarlo sullo stesso piano delle altre comunicazioni del paziente. D'altra parte, potrebbe essere stato lo stesso Freud, con la sua teoria del sogno come via regia, con il fatto che la Traumdeutung era la sua prima grande opera, quella alla quale affidava le sue speranze di fondare una nuova scienza, a gravare il sogno di un ruolo fatale, a introdurre, cioè, una sorta di infelice opposizione alla regola dell'attenzione fluttuante: un'accentuazione dell'atti­ vità consueta di fronte al sogno, come se questo imponesse qualcosa di spe­ ciale da parte del paziente e dell'analista. Non è quindi affatto un caso che nello sviluppo e nell'affinamento succes­ sivi delle tecniche psicoanalitiche la presenza e la funzione del sogno nella se­ duta psicoanalitica si siano a poco a poco venute omologando ed equiparando a quelle delle altre comunicazioni. Pare chiaro che con queste successive cor­ rezioni si sia presa la via della ricerca di una distribuzione più bilanciata ed equilibrata del lavoro psicoanalitico tra i vari elementi della comunicazione. Distribuzione che gli inizi della psicoanalisi (e forse anche gli inizi del lavoro individuale di ogni analista) avevano visto decisamente sbilanciata a favore dell'analisi del sogno.

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Proprio }'«incandescenza» dei sogni che devono arrivare all'analisi sem­ bra essere all'origine dell'impostazione clinica moderna, che consiste nel trattare il sogno come le altre parti del materiale. Attività, tono, ritmo dell'analista dovrebbero opportunamente non variare troppo di fronte all' «incandescenza» dei materiali. Un analista che lavorasse sui sogni in modo eccessivo o mirato rischierebbe di intrudere mediante configurazioni esterne sue proprie (teorie, formazione, suo proprio transfert ecc.) in un'area che dovrebbe essere caratterizzata dall'assenza di qualsiasi oggetto esterno. In altri termini, l'equidistanza dell'analista rispetto a qualunque tipo di ma­ teriale è il miglior preludio al segreto inaccessibile che avvolge le successive sintesi personali del paziente. Tornando al sogno durante il sonno, pare allora che ben riuscito sia quello che riesce a consegnare all'oblio l'intera vicenda legata alla fantasia inconscia e non permette che nemmeno i suoi derivati giungano alla coscienza. Questa dimenticanza testimonia la riuscita dell'elaborazione. Il risveglio trova, in questo caso, il sognatore dimentico, circondato dai suoi abituali oggetti diurni, perfettamente libero dagli incandescenti contatti notturni con le im­ magini interne degli stessi oggetti. E a proposito di processi di sintesi autorganizzanti e di spazi privati inac­ cessibili, ci piacerebbe accennare alla particolare funzione propulsiva di fi­ gure interne idealizzabili (prevalentemente femminili, ad esempio in illustri tradizioni letterarie come quella italiana). Torna qui a proposito il riferi­ mento a Kohut e alle funzioni dell'idealizzazione non patologica nei processi di stabilizzazione e collocazione di materiali incandescenti in sedi opportune grazie a oblio dinamico e a rimozione fisiologica. In particolare Matelda nella Commedia è una potente figura femminile che succede a quelle diverse precedenti e introduce al vasto campo dei simboli più elevati, all'astrazione e alla sublimazione. Promuove la virtus di Dante, la realizzazione della sua umanità di uomo, anche e soprattutto attraverso l'oblio, in quanto contrapposto al ricordo del «peccato» e dei «peccati». Nel Lete Dante viene lavato all'esterno e all'interno:4 viene immerso nell'acqua e la beve. Così dimentica i «peccati», i prodotti delle instabili incandescenze che 4

Nella mitologia il Lete è fonte o fiume della dimenticanU� nell'oltretomba: secondo Platone le anime destinate a nuovi corpi dovevano abbeverarsi a ques!3 fonte o fiume. La divinità Lete è figlia di Eris, la Discordia, e sorella della Morte e del Sonno. E ricordata da Dante, che colloca il Lete nel Paradiso terrestre, ove le sue acque danno l'oblio dei peccati (e solo dei peccati) trascorsi. Ma­ telda immerge Dante nel Lete (Purgatorio XXXI , roo- 102 ) per renderlo degno di «salire alle stelle»: «La bella donna nelle braccia aprissi, l Abbracciommi la testa, e mi sommerse l Ove con­ venne che io l'acqua inghiottissi. » Commenta Scartazzini nel r 896: «Dante era nell'acqua sino alla gola; adesso Matelda ve lo immerge sino sopra il capo, sede della mettwria, perfargli inghiottire

l'acqua dell'oh/w. L 'immersi011e significa il /avacro esterno, l'inghiottir l'acqua l'interno. »

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hanno richiesto una guida capace di compensare l'insufficiente capacità di sintesi e di oblio dinamico. Conseguito l'oblio della rimozione fisiologica, l'uomo può accedere alla visione dei medesimi oggetti della notte nella luce piena del giorno e vederli nella loro dignità e nel loro splendore. Una figura femminile interna idealizzabile in modo fisiologico si presenta qui come un preludio, un'introduzione ai successivi, autonomi processi di sintesi, nei quali il segreto inaccessibile, l'oblio dinamico governano la co­ struzione di oggetti interi e del Sé come coesione e organizzazione. Al con­ trario, l'analisi si presenta come necessaria quando quantità e qualità delle in­ candescenze eccedono le capacità di sintesi dell'Io in quanto date e costituite dalle esperienze acquisite. Nell'analisi ricordo, narrazione, ripetizione, ela­ borazione introducono la presenza transitoria dell'altro. n sogno ricordato rinvia a un lavacro imperfetto, a qualcosa di non com­ piutamente elaborato che richiede una guida capace di avviare le prime sin­ tesi. I residui « radioattivi» rendono la memoria del sogno simile alla memo­ ria di Orfeo per Euridice, alla memoria di Clizia nel protagonista delle mon­ taliane Occasioni. Si rende necessario l'intervento risolutore dell'analista come regolatore di incandescenze che minacciano di rendere il paziente per sem­ pre schiavo dei suoi oggetti. Il sognatore che da solo si volgesse verso l' og­ getto a fatica ricondotto verso la luce del giorno dalle tenebre del profondo sarebbe destinato a riperderlo nella notte dell'inconscio, eternando un le­ game nefasto di natura divorante, esattamente come accade a Orfeo mangiato dalle Menadi. La precisione del mito (saldo possesso dei poeti) narra che, per ordine di Plutone e sotto la sorveglianza di Mercurio, Orfeo può riportare sulla terra Euridice a condizione di non guardarla prima di aver raggiunto la luce del mondo dei vivi, dei terzi rispetto alla coppia. Rilke (1907) vede e descrive Eu­ ridice (traendola dal suo interno) come colei che, mentre viene ricondotta alla luce, si mostra stanca, affaticata, sempre più distante. Rinvia, più che a un'amante, a una madre che ha terminato il suo compito, che accetta senza impazienza (ohne Ungeduld), passata da tempo la stagione incandescente delle seduzioni reciproche, di rientrare nel rimosso dinamico del figlio, creato dalla legge del padre. La vicenda del recupero e della perdita definitiva dell'oggetto proibito può solo accadere perché è presente il terzo, i terzi. La catabasi, la discesa, il ten­ tativo di recupero di Euridice dalle profondità dell'Ade e il suo fallimento al­ ludono all'impossibilità del lutto e della perdita in situazione duale. L'analisi, l'analista, l'analisi del sogno sono forme di manifestazione del terzo e della sua funzione di introdurre la ragione che sostituisce la follia dell'impossibi­ lità di separarsi dagli oggetti originari. L'oggetto che sempre si ripresentasse dall'inconscio al solitario eroe lo porterebbe alla rovina definitiva: la realtà circostante, rifiutata, negata, divora l'eroe, lo distrugge definitivamente nel suo essere contro la legge del padre.

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È ancora da notare che Euridice risulta colei che «svia dal retto sentiero nella misura in cui - signora della luna di miele - rappresenta la minaccia dell'eccesso anche all'interno di una relazione matrimoniale» (Bonnefoy, 1 98 1 , p. 1 I x o). D'altra parte, con il suo: «La gondola che scivola in un forte l bagliore di catrame e di papaveri, / la subdola canzone che s'alzava l da masse di cordame, l'alte porte l rinchiuse su di te e risa di maschere l che fug­ givano a frotte », Eugenio Montale rievoca la ricerca di una moderna Euri­ dice in « una sorta di Ade dove la "subdola canzone" insidia il viaggio di Or­ feo alla ricerca dell'Amata»: così Dante lsella nel suo commento (in Mon­ tale, 192 8-39· p. xos). E Montale, commentando sé stesso, dice significativamente: «Le porte erano alte. Certo, separavano da lei. Ma tutto è separazione nei Mottetti e al­ trove.» La «subdola canzone», invece, è quella stessa che insidia e insegue Orfeo nel suo destino fatale, che solo potrebbe essere interrotto dalla separa­ zione e dalla perdita dell'oggetto. V'è un'insidia che potrebbe essere letale, una canzone subdola che sempre alletta e richiama verso l'oggetto dal quale non ci si può separare se non attraverso un ultimo, fatale sguardo di congedo definitivo alla presenza di chi è il rappresentante del reggitore. Non maledi­ zione finale lo sguardo, ma salutare conclusione di una vicenda potenzial­ mente mortale, che potrebbe anche essere quella del paziente con i suoi og­ getti incandescenti e l'analista come terzo che deve promuovere la perdita e il lutto. La separazione non pienamente raggiunta propone e ripropone l'oggetto come oggetto persecutorio della memoria: «Uno smorto groviglio», «un morto l viluppo di memorie», «un lugubre risucchio l di assorbite esi­ stenze», richiamati da !sella (ibid. , p. 107, nota 9), rendono colui che non di­ viene immemore «eguale a quell'assorto pescatore d'anguille dalla riva». Torna e ritorna la contrapposizione tra: «Lo sai: debbo riperderti e non posso» (p. 78) e il verdiano (carissimo a Montale): «Ma se m'è forza perderti» del Ballo in maschera. Invece, l'avvenuto raggiungimento della posizione depressiva, per restare nell'ambito delle Occasioni montaliane, risplende nel celebre «attacco di ferma scansione giambica » (così Dante Isella, ibid. , p. 103): il «Ti libero la fronte dai ghiaccioli», con il suo maestoso seguito: «che raccogliesti traver­ sando l'alte nebulose». Si apre qui l'immenso panorama di un sogno libera­ torio, «il vasto spazio dell'oltrecielo al primo periglioso volo di Clizia». Non Orfeo scende nelle profondità alla ricerca dell'antico oggetto incandescente della passione, ma l'oggetto liberato spontaneamente viene verso il protago­ nista estatico, come oggetto trasfigurato in «donna salutifera», oggetto fem­ minile idealizzabile. La Clizia montaliana si collega qui a Matelda, a Beatrice

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e a Laura, alla donna che salva, non perde. L'oggetto è l'oggetto libero, vivo, che dà vita, non l'oggetto tratto dal profondo da una memoria implacabile, come Euridice, come l'anguilla dal pescatore. Nel sogno liberatore della visitazione l'oggetto della salvazione è lo stesso della perdizione («l'altre ombre che scantonano l nel vicolo non sanno che sei qui», ibid. , p. 104), ben celato dalla sapienza della costruzione poetica, del tutto simile a quella onirica. Ma tornerà, incandescente, in altri sogni del so­ gnatore ridivenuto Orfeo. Oggi la « cultura di massa» provvede quotidianamente alla reificazione della donna, alla sua riduzione a prodotto di serie funzionale alla produzione di massa, e quindi alla compromissione delle condizioni di possibili processi idealizzanti in senso fisiologico. Nel materiale clinico, invece, spesso ricor­ rono importanti riferimenti a tratti femminili idealizzabili, simili a quelli della Clizia montaliana, poiché di fatto è femminile il primo oggetto di ogni esperienza. La funzione strutturante della donna nobilitante è così evidente nella produzione poetica, forse perché di fatto una o più figure femminili in­ teme per prime introducono al funzionamento mentale nelle righe della gri­ glia che partendo dal sogno si spingono verso la teoria e l'astrazione genera­ lizzante. Ci pare, in conclusione, che il sogno possa appartenere a due aree e possa di volta in volta essere espressione di una di esse. Da un lato, il sogno sembra appartenere all'area dell'elevazione nobilitante, ovvero delle sintesi autopoie­ tiche occulte all'insegna dell'oblio, le quali non richiedono che il sogno ri­ cordato giunga all'analista. Dall'altro lato, il sogno può appartenere all'area di quel desiderio che Meltzer, sulle orme di Freud, definisce «incandescente» o peccaminoso (in senso erotico o distruttivo). Qui si pongono ostacoli non superabili alle sintesi personali necessarie per proseguire nel percorso matu­ rativo, e si richiedono narrazioni, ricordi onirici, e poi interventi, disvela­ menti da parte dell'analista come terzo separatore, essenziale alla prosecu­ zione del faticoso percorso.

Capitolo 1 0 Coscienza onirica e coscienza della veglia: specificità dell'interpretazione psicoanal itica

Carla

De Toffoli

Un insufficiente riconoscimento della soggettività onirica era stato rimpro­ verato alla psicoanalisi da Foucault nella sua acuta analisi critica della Traum­ deutung, «sforzo dell'uomo per rientrare in possesso di sé stesso nel proprio significato» (Foucault, 1 9 54, p. 2 1), in cui obiettava a Freud di non aver sa­ puto riconoscere il sogno come forma assolutamente specifica di esperienza, non riducibile a un'analisi psicologica o a un'ermeneutica dei simboli. Il sogno, sostiene Foucault, non è una rapsodia di immagini, ma un'espe­ rienza dell'immaginario, cioè una forma specifica di conoscenza. Non avendo riconosciuto questo, la psicoanalisi, anziché mettere in piena luce la soggetti­ vità onirica, presupporrebbe «un'aggettivazione radicale del soggetto che so­ gna, il quale verrebbe a giocare il suo ruolo in mezzo ad altri personaggi su uno sfondo in cui assumerebbe un significato simbolico. Il soggetto del so­ gno, nel senso di Freud, è sempre una soggettività inferiore, delegata, per così dire, proiettata e rimasta punto intermedio ( ... ) sospesa da qualche parte tra il sogno e ciò di cui sogna». Nell'appassionata difesa del sogno sostenuta da Foucault contro il suo appiattimento sulla dimensione ermeneutica che sa­ rebbe stato operato dalla teoria freudiana, il sogno «non può avere per sog­ getto il soggetto quasi oggettivato di una storia passata ( ...) già questo avve­ nire che si fa, il primo momento della libertà che si libera, la scossa ancora segreta di un'esistenza che rientra in possesso di sé stessa nell'insieme del suo divenire ( ... ) il soggetto del sogno non è tanto il personaggio che dice "io" ( ... ) la prima persona onirica è il sogno stesso» (p. 59). «Nel sogno tutto dice "io", anche gli oggetti e le bestie, anche lo spazio vuoto, anche le cose lontane e strane (. . .) Il sogno è il mondo all'alba della sua prima esplosione quando esso è ancora l'esistenza stessa e non è ancora l'uni­ verso dell'oggettività ( . . . ) è per il soggetto che sogna la maniera radicale di fare l'esperienza del proprio mondo» (p. 6r). Esula dagli scopi di questo lavoro discutere quanto la critica di Foucault si

Coscienza onirlca e coscienza della veglia

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fondi su una corretta lettura degli scritti freudiani; può però essere di stimolo raccoglieme la sfida per verificare se il pensiero psicoanalitico oggi definisca l'immaginario onirico come segno di negazione della,realtà, lo riduca a luogo di soddisfacimento allucinatorio del desiderio, o riesca a cogliere il momento costitutivo della soggettività onirica, nella sua presenza e nel suo divenire. Del resto lo stesso Freud era consapevole di aver solo aperto delle porte su orizzonti ancora inesplorati: «La psicoanalisi cambia: comunque, ripeto, siamo solo all'inizio. lo sono soltanto un principiante. Sono riuscito a estrarre monumenti sepolti dal sostrato della mente. Ma dove io ho scoperto un paio di templi, altri potrebbero scoprire un continente intero» (intervista a G. S. Viereck, 1 93 0). Dice: monumenti, templi. Non dice: case, o rifiuti. Quelli che dopo di lui si sono avventurati in quei sostrati della mente, si sono interrogati e hanno scoperto altri luoghi, con gratitudine, ma senza grette fedeltà alle formalizzazioni del loro maestro. Certo il continente non è stato attraversato, anche perché ora ci appare, più che un continente, un uni­ verso in espansione di cui cominciamo a intuire l'esistenza e le sconosciute dimensioni. Possiamo soprattutto aver imparato a non distruggere i territori a cui ci affacciamo, per conquistarli, se i loro templi sono diversi da quelli che già conosciamo, o comunque non rientrano nelle nostre capacità di tolleranza o immaginazione. A questo proposito, ricorderò soltanto come un'esplicita attenzione al sogno in quanto forma specifica di conoscenza ed esperienza di sé si sia im­ posta dagli anni settanta in poi agli autori inglesi che si ispirano al pensiero di Winnicott. Al Congresso internazionale di psicoanalisi di Londra, nel 197 5 , Masud .Khan presentava il suo lavoro Al di là dell'esperienza onirica, poi pubblicato nello «lntemationalJ oumal» del 1 976 col titolo Il cambiamento nell'uso dei so­ g;ni nella pratica psicoanalitica, in cui avanzava l'ipotesi che «bisognerebbe di­ stinguere tra l'esperienza onirica e il significato del testo onirico che viene ri­ cordato (...) il sognare è un'esperienza psichica del tutto diversa da quella for­ nita dal testo onirico rievocabile. Nella letteratura psicoanalitica il sognare e il testo onirico ricordato non vengono sufficientemente distinti (... ) L'espe­ rienza onirica non è simbolica nel senso in cui, come sappiamo, lo sono i vari elementi del sogno». Egli ritiene che il processo primario svolga il ruolo principale nel prodursi dell'esperienza onirica, e di conseguenza non consi­ dera la funzione del processo primario come antitetica a quella del processo secondario, o esclusivamente guidata dal principio di piacere. Afferma espli­ citamente che «oggi è possibile ipotizzare l'esistenza di stati psichicì che am­ pliano e completano l'esperienza del Sé prevalentemente tramite il processo primario» (pp. 52 sg.). Marion Milner racconta che Pontalis le scrisse per in-

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vitarla a contribuire al dibattito congressuale su questo articolo di Masud Khan, adducendo il fatto che la Milner stessa non considerava il sogno tanto come un testo da decifrare, né un compromesso tra desideri rimossi e mecca­ nismi di difesa dell'Io, quanto «una testimonianza di uno stato dell'essere». La Milner rispose che vedeva nei sogni non l'una cosa piuttosto che l'altra, ma entrambe le cose: «Considero fondamentale l'impulso a entrare in con­ tatto con il Sé, a conoscere il Sé, come pure a non conoscerlo, e non soltanto pezzetti, ma la totalità del Sé. » Sia per lei che per Masud Khan l'esperienza del sognare riguarda dunque «la conoscenza di chi, di cosa si è» (Milner, 1 975, p. 347), però la Milner dissente dall'affermazione di Masud Khan che nel testo del sogno non vi sia traccia dell'esperienza del sognare. Se il pro­ cesso primario è inafferrabile dal processo secondario non solo per la rimo­ zione di contenuti inquietanti, ma per la sua stessa natura e struttura, proprio questa peculiare struttura «può adempiere a compiti di integrazione che su­ perano di molto le capacità dell'attività mentale conscia di superficie. Inol­ tre, e questo è il punto, la sua attività viene percepita dalla mente di superfi­ cie come una lacuna della coscienza ». La Milner quindi suggerisce che gli spazi vuoti, i silenzi o le lacune del testo onirico, al di là dell'ovvio tema della separazione e della perdita, possano esprimere «il desiderio del sognatore di un contatto diretto con il proprio senso dell'essere» (p. 346); siano cioè la traccia di un vissuto onirico inafferrabile dal testo della veglia. Non è raro che il sognare sia per un individuo l'unica testim�nianza della sua sussistenza psichica: «Non so se esisto ... se solo sapessi di essere me stesso ! Ma se sogno, allora c'è un qualcosa, un qualcuno dentro di me che vive ancora, anche quando ho il terrore di essermi perso, c'è un me stesso che io non so.» Oppure: «Una notte non è sufficiente per traghettarmi in un nuovo giorno, se non ho afferrato qualche immagine onirica. Sono solo ombre, senza un contenuto o una forma dicibile ... al risveglio mi ritrovo con un Sé informe, e cado nel panico. » Bollas ha osservato qualcosa di simile, quando si è trovato còme analista a doversi interrogare su quella cosa che chiamiamo Sé: «Forse non è conosci­ bile, ma il fatto stesso di sentirla dà all'individuo la sensazione di essere l'ar­ tefice della propria esistenza. n contatto intrapsichico con questa parte fon­ dante dell'essere, è assente in un soggetto perseguitato· dalla paura. Ma .se (...) gli si può dimostrare che i suoi sogni sono diversi dai sogni di chiunque altro, non è forse possibile rimetterlo in contatto con l'intelligenza fondante e unica che è in lui, e che elabora il tessuto della sua vita? » (Bollas, 1 99 5 , p . 1 2 4). Così, inoltre, l'analista potrà fargli sentire che per lui quei sogni hanno un valore di unicità e verità. Con questi autori, non pensiamo al Sé come a una sostanza, o a una strut­ tura con una forma che si possa rappresentare, ma piuttosto come alla poten...

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zialità di porsi in rapporto «con ciò che viene avvertito come non-essere e fa parte del processo che porta all'essere» (Milner, 1 97 5 , p. 346), come «la presenza del senso, un desiderio che evoca il suo oggetto» (Bollas, 1 995, p. 1 2 1). L'incognita che forse ha le potenzialità per generarlo. L'O di Bion. Secondo l'affermazione di Freud, si comprende facilmente che il sogno non sia altro che il soddisfacimento di un desiderio, perché soltanto il deside­ rio può indurre il nostro apparato psichico a lavorare. Solo che per Freud il sogno ha origine nel passato, nel desiderio rimosso, mentre per questi autori, come per Foucault, esso può dare forma all'esperienza di sé come soggetto che si conosce e si immagina nel proprio divenire. Non quindi una particolare rappresentazione onirica, ma la globalità del sogno e la sua stessa natura ci offrono qualcosa di quanto riusciamo a cono­ scere del nostro Sé, «né più né meno che la nostra forma di quanto non co­ nosciamo» (ibid. , p. r 2 5). E in effetti non conosciamo il me stesso che ha fatto il sogno né ciò che ci propone. Lo incontriamo al risveglio, e ci sorprende, ci incuriosisce, ci spaventa, o ci attrae e suscita desiderio. A volte prevarica le strutture dell'Io e dilaga nello stato di veglia rendendoci folli. L'interessante contributo di Resnik sul «teatro del sogno» (Resnik, 1982) coglie sia il valore del sogno come rappresentazione, sia la drammatizzazione che può esserne fatta nel lavoro psicoanalitico; ma non mi sembra evidenziare in modo esplicito come, nel passaggio dal teatro del sogno al teatro della si­ tuazione psicoanalitica, nel gioco delle parti paziente-analista/conscio-incon­ scio, si possa animare una realizzazione, si possa tessere per entrambi, nel «qui e ora», un divenire: «Le interpretazioni dipendono dal fatto di "di­ ventare". L'interpretazione è un evento effettivo in uno sviluppo di O che è comune all'analista e all'analizzando» (Bion, 1 970, p. 41). Sviluppando il pensiero di Bion, Meltzer ha sottolineato che «colui che sogna è colui che pensa, e l'analista è colui che comprende il suo pensiero» (Meltzer, 1 984, p. 67). Possiamo aggiungere che è anche colui che desidera conoscere ciò che è, e spera con l'analista di realizzare le sue potenzialità nel divenire. I fili sottesi a questi contributi di pensiero, se organizzati in una trama coe­ rente, che ne valorizzi le implicazioni, suggeriscono l'opportunità di interro­ garsi sul concetto di coscienza. La sua definizione come organo di percezione delle qualità psichiche, strumento o struttura individuale operante limitata­ mente allo stato di veglia, non può contenere le espansioni che questo con­ cetto ha guadagnato nel tempo, parallelamente allo sviluppo del pensiero psi­ coanalitico. «La coscienza è un processo - pur elusivo - e non una sostanza. » «Quel che è disarmante, della coscienza, è che essa semplicemente è : scintilla che va e viene con la luce, molteplice e simultanea nei suoi modi e oggetti, ine­ luttabilmente nostra. È un processo, e anche difficile da seguire» (Edelman, 1 992, pp. 66, 1 73). n pensiero psicoanalitico ha acquisito ormai l'esistenza pa-

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radossale di un sapere inconscio, e il fatto che sia nello stato di veglia che in quello di sonno e sogno realizziamo modi e livelli di coscienza che in genere al singolo individuo non è dato realizzare contemporaneamente nel signifi­ cato della loro unità integrata. Come osserva Bezoari, rifacendosi a Bion, la «conoscenza» di un individuo comprende infatti non solo «quello che sa», ma anche «quello che non sa» (Bezoari, 1 998, p. 98) o non sa di sapere. Il primo volume della trilogia bioniana Sogno, nota Meotti, può essere visto come il rovesciamento del rapporto padrone-servo nella psicoanalisi: «La ca­ pacità anticipatoria del sogno (o del quasi sogno) corrisponde a un antico as­ sunto di Bion: che una trasformazione in atto può essere non conosciuta, ma anticipata nel sogno mediante immagini visive» (Meotti, 1998, p. 70). Nel loro contributo all'approfondimento del pensiero clinico di Bion, i Symington con­ siderano che persino gli elementi beta possono avere una qualche forma di proto-coscienza, che si esprime in una ricerca di esistenza. «La consapevolezza di una mancanza di esistenza che esige un'esistenza», «una psiche che ricerca una dimora fisica che le dia esistenza (Bion, 1 965, p. 1 5 3)» (Symington e Symington, 1996, p. 1 3 5). Se attribuiamo, con Bion, una proto-coscienza agli elementi beta, come potremmo escludere il sogno, che ha la stessa natura dei pensieri e dei miti, dal campo della coscienza? «Ma perché lo stato mentale in cui si è svegli (... ) viene considerato equi­ valente all'essere in possesso di tutte le nostre facoltà, quando si tratta di averne a disposizione solo la metà? » (Bion, 1 987, p. 245). La coscienza individuale nella sua messa a fuoco oscilla, o per meglio dire «pulsa », illuminando alternativamente e in modo complementare una con­ sapevolezza della realtà in quanto esteriore, o realtà di fatto, condivisibile so­ cialmente, durante la veglia, e una consapevolezza della realtà in quanto inte­ riore o soggettiva, prodotto della vita mentale e affettiva, durante il sonno. Coscienza onirica, coscienza della veglia, pensieri onirici della veglia (Ferro), reverie, hanno quelle caratteristiche delle prospettive reversibili per cui la to­ talità rappresentata nell'immagine è coglibile solo da vertici multipli di os­ servazione reciprocamente escludentisi, che ci propongono illusoriamente come realtà separate forme diverse e complementari della realtà. Il lavoro psicoanalitico, grazie all'assetto corporeo, affettivo e mentale della coppia psicoanalitica, ha a disposizione un campo di coscienza allargato, in quanto almeno bipersonale, in cui coscienza onirica e coscienza della ve­ glia sono contemporaneamente presenti nel campo, testimoniate e sostenute in modo complementare dall'uno o dall'altro dei membri della coppia, che ne assumono a vicenda la responsabilità. Questo consente alcune realizzazioni del conoscere e dell'essere specifi­ che del metodo psicoanalitico. Nel contesto psicoanalitico la coscienza, come realizzazione individuale, di coppia o gruppale, risiede non in una particolare «materia», ma nel modo in cui elementi precedentemente sparsi vengono legati e organizzati me-

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diante estensione «nel campo del senso, del mito e della passione» (Bion). La possibilità di espansione della coscienza dipende dalla natura di questi legami. La verità quindi diviene per noi in molteplici forme di consapevolezza evolventisi (Neri, 1 998, p. 2 3), non è il già dato, o conosciuto. Potremmo dire che è, o diviene, a diversi livelli di coscienza. La coscienza, intesa come scopo e significato del lavoro psicoanalitico, è un concetto limite. La coppia psicoanalitica attiva e partecipa di un campo di coscienza in di­ venire almeno bipersonale, che si esprime mediante pensieri della veglia e rappresentazioni ed esperienze oniriche, attingibile dal singolo individuo per squarci e frammenti di insight, mediante realizzazioni parziali e successive nel tempo, legate alla capacità e alla storia personali. Illustrerò il punto di vista sostenuto finora attraverso i pensieri e le imma­ ginazioni speculative suscitatimi da un sogno che, pur intessuto della singo­ lare identità storica del sognatore, può essere estrapolato come prototipo dei sogni che rappresentano il desiderio e la lotta sostenuti per la propria realiz­ zazione. La seduta ha inizio con questo racconto: «Ho fatto un sogno: Ero affacciato a unafinestra e provavo una g;rande nostalgia per il mio Sé. Da lì potevo vedere come si era perso nelle pastoie, nella violenza, nell'hascisc, nel deserto. Nel deserto c'era un posto verde dove ci si poteva sedere. Ho pensato: nell'analisi ho sperimentato qualcosa di me. » Con quale speranza la «grande nostalgia del Sé» ha veicolato l'esperienza onirica fino allo stato di veglia, e alla stanza d'analisi? Finestra sono all'ori­ gine gli occhi a cui lo sguardo si affaccia per cogliere lo spazio «fuori» e un riflesso di sé rinviatogli da un altro volto. La faccia del mondo, della natura, della storia, attraverso il volto della madre gli sarà apparsa così: un panorama in cui a volte potersi sedere nel verde, ma più spesso sentirsi soffocare tra i lacci dei legami, perdere nel viluppo delle reciproche violenze, nella sedu­ zione confusiva, nella solitudine. Questo potrebbe vedere anche uno psicoterapeuta, o il sognatore stesso, se avesse appreso a leggere le proprie immagini oniriche come rappresenta­ zioni dello stato del Sé e della sua storia. Oltre a questo, un analista, per la specificità della sua funzione, dovrà es­ sere avvertito dal sogno che ciò di cui il paziente ha bisogno, ciò di cui è ca­ pace, è uno spazio verde in cui sostare comodamente seduto, non ancora affi­ dato all'altro, presenza non ancora personalizzabile (l'impersonale «SÌ po­ teva»): spazio relazionale in cui semplicemente essere e percepire con nostal­ gia le potenzialità della propria esistenza. Dovrà prendere atto dei luoghi della mente e degli affetti in cui insieme entrambi potrebbero perdersi ed errare, pericolosi territori della vita del pa­ ziente, ma anche di quella dell'analista a cui il paziente si affaccia: possibili

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disattenzioni, o assenze, o costruzioni comuni errabonde, scivolose o avvi­ luppanti. Su tutto ciò il sogno attiverà l'attenzione, e anche sul fatto che il deserto non ha inghiottito la vitalità dell'oasi, che il paziente cioè è capace di fare tesoro di esperienze seppure parziali, di assaggi e prefigurazioni del Sé. L'analista ne ha una consapevolezza implicita, come del terreno che so­ stiene i suoi passi, ma non di questo pensa sia utile parlare, un po' perché il paziente intuitivamente lo sa, e sarebbe soltanto una pedanteria in più, ma soprattutto perché ciò per cui l'analista si è sentito impegnato, dal racconto del sogno, è quella nostalgia del Sé, quel desiderio che qualcosa trovi realiz­ zazione nel «qui e ora». Nostalgia che non è qui ripiegamento rassicurante sul passato, ma rivela piuttosto le tracce di un'esperienza significativa di po­ tenzialità originarie. Come si può fissare e sostenere questa nostalgia? Ora l'analista si accorge che la seduta non è cominciata con il racconto del sogno, ma con un sensibile silenzio. Percepisce ora quel silenzio accosto a questo, e la loro diversa natura. Questo sembra sostenere uno spazio espanso, e più denso, in cui anche l'analista è compreso, e richiesto di catalizzare gli elementi di un Sé potenziale senza attributi. Forse se ne spaventa, e si chiede se non dovrebbe dare un segnale di «rice­ vuto». Le capacità del paziente, e la solidità già sperimentata del legame, lo sconsigliano: sarebbe un calo di qualità nella tensione del desiderio, attestarsi sul piano di una semplice rassicurazione di presenza. Ma cos'è ciò a cui il paziente ha dato un nome così chiaro e insieme diffi­ cilmente definibile: «li mio Sé»? Cosa ne pensa l'analista? Che esperienza ha del proprio Sé, e soprattutto immagina che vi sia qualcosa di comune tra il proprio Sé e quello del pa­ ziente? E se sì, lo immagina come un dato, come una convergenza o come un divenire della coscienza? «Gli psicoanalisti che valutano questa parola e quel che designa, si soffer­ mano sul valore della domanda, più che sulla risposta: nella parola "Sé" abbiamo trovato, infatti, la parola che contiene il non pensato al suo grado più alto» (Bollas, 1995, p. 1 3 r). Potremmo dire: il non pensato che cerca un soggetto pensante (Bion); op­ pure: qualcosa (ciò-Es) che afferrato da un soggetto pensante assume il nome e la forma di Sé. Abbiamo ascoltato un sogno: «Non ti preoccupare, è stato soltanto un so­ gno. » Oppure: «Che peccato! È soltanto un sogno.» Ma come psicoanalisti dobbiamo compiere un passaggio che il paziente stesso ha compiuto, passaggio sconcertante per la logica, ma ben noto alla nostra esperienza: il sogno è la realtà psicoanalitica, la seduta è lo spazio verde, non solo la sua rappresenta­ zione: «Nell'analisi ho sperimentato qualcosa di me.» La rappresentazione del Sé qui coincide, o corrisponde, o converge con la rappresentazione della se-

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duta. La finestra da cui si può riconoscere il panorama dei propri Sé perduti, quell'affacciarsi specifico in cui ci si espone al desiderio e all'esperienza del Sé, sono lo spazio e il lavoro psicoanalitico. Ciò che è apparso al mondo della ve­ glia come immagine onirica, sostanza evanescente di un'ombra, si incarna dun­ que nel transfert, grazie al quale il significato delle immagini travalica la soglia del mondo fantasmatico, e trova nell'analista come supporto e interprete uno specchio significante che assume su di sé la realtà dell'esperienza onirica, la tra­ ghetta e la connette con la luce e la realtà del giorno. La personifica. L'analista sperimenta l'essere Finestra, Oasi, Deserto, Droga, l'essere vian­ dante di sé e dell'altro. Sperimenta il costituirsi tra loro di uno spazio poten­ ziale per il divenire a cui assieme possono aspirare, e sperimenta nello stesso tempo la paura, le difese e le immaturità di entrambi (De Toffoli, 1996). L'esperienza onirica si fa storia e non solo narrazione nel lavoro psicoana­ litico, realizzandosi come il bene e il male di cui i due attori sono capaci, nel modo in cui il bambino incontra sé stesso e diviene reale attraverso lo sguardo della madre. Winnicott ha colto forse meglio di qualsiasi altro questo aspetto del lavoro dell'analista, che rievoca la complessità della funzione materna da lui descritta come rispecchiamento, parzialmente assimilabile a quella di reverie, secondo Bion. L'intuizione di Winnicott riconosce appieno le potenzialità, il rischio e la sfida inerenti alla struttura dialogica dell'essere umano. «Cosa vede il lattante quando guarda il viso della madre? Secondo me di solito quello che vede è sé stesso. In altre parole la madre guarda il bambino, e ciò che appare è in rap­ porto con ciò che ella scorge» (Winnicott, 197 x a, p. 191). Egli non allude qui a una relazione di identità: lo specchio materno rimanda ciò che la madre vede nell'infante, il modo in cui lo conosce e se lo assume, le categorie entro cui lo progetta e lo limita. Da questa immagine attingerà per riconoscersi e costruire sé stesso sia come soggetto che come oggetto della propria riflessione ed esperienza. «L'esistenza dell'lo come soggetto richiede l'esistenza del Me (lo come oggetto), altrimenti la propria esistenza è senza forma. Ugualmente il Me come oggetto presuppone l'Io come soggetto che mi riconosce. Perciò Io e Me non hanno significato se non in relazione uno all'altro. Ciascuna espe­ rienza di soggettività crea l'altra, e dall'altra è completamente dipendente. Per di più, Io e Me non possono essere creati dall'infante in isolamento dalla madre. L'infante ha bisogno della relazione di rispecchiamento con la ma­ dre, per potersi vedere come altro da sé. In questo modo si crea uno spazio di riflessione tra i due poli della dialettica Io e Me, nella quale il soggetto che sperimenta la riflessione è allo stesso tempo costituito e decentrato da sé me­ desimo» (Ogden, 1 992). È questo me stesso che egli ha conosciuto come confermatogli dalla ma-

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dre che potrà essere sentito reale, entrare nel mondo e nella storia. L'lo e questo me stesso potranno riconoscersi a vicenda se lo specchio materno non è stato inesistente, troppo angusto o deformante. Altrimenti la persona sarà per sé stessa irreale, collocata fuori da questo tempo e da questo spazio, im­ possibilitata a realizzarsi. Dirà, parlando di sé: «Oh! Non io ho fatto questo, ma quel me stesso n. » Parafrasando Bion, la madre dà la sua interpretazione del bambino, e que­ sta interpretazione è un evento effettivo nello sviluppo di entrambi, in quanto i vissuti e le potenzialità dell'altro vengono appresi come realtà propria, nell'esperienza di essere all'unisono. È qui che il livello di coscienza e le possibilità di espansione dell'insight di cui la coppia è capace si embricano e convergono con il divenire del Sé indi­ viduale, tessendo nel reale «qui e ora» di una concreta relazione intuizioni, progetto vitale e forme dell'immaginario. Anche l'interpretazione della madre e quella dell'analista hanno almeno una radice in un loro sogno. «La coscienza di ordine superiore dipende dalla formazione del Sé, che si realizza grazie a scambi affettivi con altri individui. » « È paradossale che il Sé sia l'ultima cosa a essere compresa da chi ne è dotato, anche se dispone di una teoria della coscienza (... ) L'ancoraggio al corpo impone vincoli inelutta­ bili» (Edelman, 1 992, pp. 2 3 3 , 2 1 1). Così l'analista è costantemente implicato in ciò che è, nell'incontro con il paziente, e solo ciò che è comune a entrambi, o condiviso, può essere oggetto di trasformazione e non solo di conoscenza (De Toffoli, 1 996). L'interpreta­ zione, quale che sia la sua formulazione verbale e non, avrà il valore del luogo della mente in cui l'analista si è fatto interprete, nel senso in cui l'attore in­ terpreta il suo personaggio, sostenendone le parti. Qual è dunque la funzione dell'analista nei confronti di questo sogno? Ampliare le zone verdi, riconoscere e vegliare sul transfert, sulle qualità e le vicende del legame, ma anche rispecchiare la percezione di ciò che tra­ scende la sua conoscenza, la «nostalgia del Sé», lasciando spazio alla soggetti­ vità onirica come incognita generativa comune. Le affermazioni così radicali di Bion a questo proposito, se condivise, espandono la concezione del lavoro psicoanalitico dal piano della conoscenza e della creazione di senso a quello del divenire del Reale. C'è qualcosa di nuovo che diviene dalle potenzialità del Sé, o semplice­ mente diventiamo consapevoli che è lo stesso Sé che si muove da una riva all'altra di due mondi che a vicenda si rispecchiano e si creano, grazie al gioco di due diversi stati di coscienza? O è la Coscienza la Realtà che diviene? Se un uomo in sogno attraversasse il Paradiso e gli dessero un fiore come prova d'esserci stato, e al risveglio si trovasse con quel fiore in mano... e allora? (Coleridge)

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E allora non sappiamo. « È un fattore strano, ma essenziale, dell'attività dell'analista il fatto che egli percepisca ciò che trascende la sua conoscenza» (Bollas, 1 995, p. 1 3 2). Quando un rapporto con l'altro significativo ha avuto una capacità psichica generativa, si dice: «Con quell'uomo, con quella donna, ho avuto una sto­ ria. » Storia nel senso della vita. Di un'analisi si dovrebbe poter dire: «Ho avuto una storia con me stesso, che continua ancora. Quel me stesso che mi accadeva nei sogni, e che prima non riconoscevo. Ora lo riconosco, anche se non ne ho esaurito la conoscenza.» In questa vicenda tra me e me stesso, «chi» e «dove» era «allora» l'anali­ sta, e «dove» posso riconoscere «ora» la sua presenza? Egli è stato testimone dell'uno e dell'altro dei due mondi, e delle loro connessioni. Nel sostenere l'incognita aperta tra coscienza della veglia e coscienza onirica, nel desiderio e nel rischio dell'incontro con l'altro inteso anche come aspetto di sé; nella capacità di stupore, armonia e luminosità del gioco tra l'io e il tu, tra me e il me stesso che dice «io» anche negli oggetti e nelle bestie, nello spazio vuoto, nelle cose lontane e strane, «esistenza che si scava in spazio deserto, che si frantuma in caos, che esplode in baccano, impigliandosi nelle reti della morte» già «all'alba della sua prima esplosione, quando non è ancora l'uni­ verso dell'oggettività» (Foucault, 1 9 54, p. 6o): l'analista si trovava lì e lì ancora lo ritrovo.

Sogno e preverbale

I due lavori scelti per questa sezione sono accomunati dall'area della loro ricerca: il corpo e con esso il preverbale, in rapporto alla funzione rappresentazionalmente più arti­ colata e complessa del sognare. n fascino di questa tematica è evidente: siamo nell'ambito delle fonti primitive della vita mentale, e nell'area arcaica dell'esperienza primaria con il Sé e con la madre. Vediamo nel loro specifico le proposte formulate dai due autori. La traiettoria teorica che Riccardo Lombardi disegna in questo scritto (Le narrazioni oniriche e la rete di contatto corpo-mente) parte idealmente dal Freud di Introduzione al narcisi­

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(1914b), e in particolare dalle osservazioni sull'investimento autoerotico del proprio corpo, sul quale si fonda il narcisismo primario: necessaria fase di passaggio in vista del rap­ porto con l'oggetto esterno. Non sfuggirà al lettore che questa base di partenza coincide con quella da cui prese le mosse la scuola gaddiniana . Ma nel contributo di Lombardi tale base si coniuga strada facendo con altre tre linee di pensiero: quella di Wilfred Bion (in particolare per l'attivazione della funzione alfa e per il modello contenitore-contenuto); quella di Ignacio Matte Bianco, per il movimento tra­ sformativo del sogno eh� tenta di tradurre l'indivisibile e l'irrappresentabile dell'Inconscio strutturale (unità omogenea indivisibile) nel divisibile e rappresentabile del pensiero allo stato nascente; e quella di Armando Ferrari, che propone il corpo come oggetto originario concreto - vero e proprio oggetto primario della mente - e che attribuisce al sogno una spe�ifìca funzione di legame nella relazione mente-corpo. E questa la trama concettuale che accompagna Lombardi nell'elaborazione di un'affa­ scinante sequenza di sedute con Aria, una paziente che reagisce dapprima con fantasie sui­ cide e con l'erotizzazione; e poi con una labirintite vertiginosa, alle angosce di morte e di perdita scatenate dalla grave malattia del padre. Nei sogni di Aria l'autore riesce a inten­ dere e a evidenziare con notevole efficacia le configurazioni e gli sviluppi del rapporto tra la mente e il soma dell'analizzanda, fino al progressivo raggiungimento della vivibilità delle emozioni e della pensabilità. Particolarmente fine è il lavoro concettuale sviluppato sul sogno 4 - di cui lascio al let­ tore il gusto della scoperta - che permette all'analista di cogliere un progresso nelle capa­ cità di astrazione mentale della paziente, attraverso la lettura di una configurazione onirica bizzarra, sulle prime piuttosto scoraggiante per la sua ermeticità. Gli sviluppi psicoanalitici di Aria sono infine confrontati da Lombardi con quelli di un altro paziente, l'ingegnere quarantenne, che condivide con Aria l'angoscia per la malattia del proprio padre e la sede del danno organico (organi di senso - occhio e orecchio - attac-

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Stefano Bolognini

caci da vìrosi non rispondenti ai farmaci): ma l'evoluzione del secondo paziente appare senz'altro più difficoltosa, per vìa di una problematica attivazione della funzione onirica, che sottrae alla rete di contatto mente-corpo un fondamentale fattore integntivo: il corpo stenta così a entrare nell'orizzonte della mente. Può forse stupire, nel contributo di Antonio Di Benedetto (Onirismo vocak. Accostarsi ai Sog!li sttraverso i segnifunetici del raccunto), la parte relativamente più ampia destinata dall'au­ tore alla descrizione della modalità vocale-acustica della comunicazione preconscia, ri­ spetto a quella più specificamente dedicata al tema di questo volume: il sogno, e - in parti­ colare - il concetto di «onirismo vocale>>. In realtà Di Benedetto ci accompagna, in modo originale, convìncente e comprensibile, a una lettura (anzi, a un ascolto! . . . ) «musicale » del sogno di Luigi: un paziente incollerito con l'analista che gli ha cancellato una seduta, ma che per timori persecutori tende a celare a sé e all'altro i segni della sua collera. L'ipotesi di Di Benedetto è che molto spesso l'inconscio del paziente si preannunci all'analista attraverso una lingua segreta, isomorfa a quella del corpo, che induce per vìa sensoriale una « precognizione» e allestisce nell'interprete (l'analista stesso) un'area di ri­ sonanza interiore finalizzata alla percezione e comprensione di ciò che fino ad allora è ri­ masto «non udito>>. Noterete, nella scena clinica presentata, che l'analista si dispone all'ascolto delle parole del paziente come se queste costituissero : rinunciando tempora­ neamente e deliberatamente alla decifrazione del e del > della si­ gnificazione verbale, e concentrandosi piuttosto sull'aspetto comunicativo sensoriale, più intrinseco all'area materna, dove il latente è fortemente impregnato di affettivìtà ancora irrappresentata; là dove la rappresentazione è potenzialmente in fieri, al confine tra sin­ tomi e simbolo. Di Benedetto fa parte del gruppo di autori italiani che da anni si occupano dei concetti di empatia e controtransfert, e - in accordo con questo interesse - ha scritto molto e bene sui rapporti profondi che intercorrono tra psicoanalisi e musica. ll suo è quindi, a pieno titolo, un contributo sull'ascolto del sogno: per consentire l'ac­ cesso al profondo, l'elaborazione teorica (pur necessaria) deve essere preceduta da una fase percettiva fine e articolata, cui l'analista contemporaneo dovrebbe essere disponibile per am­ pliare i propri mezzi di comprensione.

Capitolo 1 1 Le narrazioni oniriche e la rete di contatto corpo-mente

Riccardo Lombardi

Tutto può accadere. Tutto è possibile e verosimile. TI tempo e lo spazio non esistono. Su una base insignificante di realtà, l'immaginazione fila e tesse nuovi disegni. Sttindberg, Il sogno

Premessa Questa citazione bene illustra con concisione estrema, e non senza una certa visionarietà rispetto alla posteriore ricerca freudiana (Freud, r899), le caratteristiche più essenziali della narrazione onirica. Ingmar Bergman ha voluto inserire queste parole alla fine del suo ultimo film, Fanny e Alexander (1982), quasi un'epigrafe del suo lungo itinerario crea­ tivo, dove ci confronta con la morte del padre di due preadolescenti, passando poi a narrare delle disposizioni interne e delle imago che segnano l'itinerario del lutto. I morti, e in primo luogo il padre morto, abitano durante il film la realtà rompendo la discontinuità tra il sogno e la veglia, imprimendo alla nar­ razione un'assoluta preminenza del mondo interiore sulla realtà concreta. Nel passo di Strindberg la creatività del poeta o dell'artista denuncia la sua origine in una disposizione attiva verso la tolleranza della dimensione dell'in­ certezza e dell'ignoto, o in altri termini verso quella che Bion (1970) avrebbe chiamato «capacità negativa» (Keats). Ma i disegni dell'immaginazione che si costruiscono a partire da basi insi­ gnificanti di realtà sono anche quelli appartenenti alla creatività spontanea del sogno, che tanta importanza ha all'interno dell'esperienza psicoanalitica, al punto da poter permettere una ricostruzione dello sviluppo dell'elabora­ zione psicoanalitica grazie all'utilizzo dei sogni. Essi tessono una vera e pro­ pria trama narrativa che si avvantaggia della plasticità e della libertà unica del loro linguaggio, addentrandosi nelle profondità, non escluse quelle somari­ che, del processo in corso. Nell'assumere questo vertice faccio riferimento al contributo di Bion (r962), che è partito dalla sua esperienza con la psicosi e dalla constatazione che la psicosi coincide con un annientamento dello spazio onirico, per postu­ lare che il sogno è un'espressione dell'attivazione della funzione alfa che per­ mette di tradurre le impressioni sensoriali, di per sé irrappresentabili, in ele-

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menti rappresentabili e pensabili (vedi anche Lombardi, 1985, per un'esem­ plificazione clinica del passaggio dalla psicosi al sogno). Sviluppando l'impo­ stazione di Bion, recentemente Ferrari (1998, pp. 1 2 0 sg.) ha collocato il so­ gno nell'ambito della rete di contatto che tiene in connessione il corpo con la mente, sottolineando così nell'attività onirica un ruolo principe di attività di legame nella relazione mente-corpo. Ci limitiamo qui a rammentare che le ipotesi di questo autore collocano il corpo nel ruolo di oggetto primario della mente, rinviando, per ovvie ragioni di spazio, alle pubblicazioni origi­ nali per le molteplici implicazioni di questo vertice (Ferrari, 1 99 2 , 1 994, 1 998; o una concisa sintesi in Ferrari e Lombardi, 1 998). L'aspetto più origi­ nale che deriva da questa prospettiva sta nel tentativo, in una cultura psico­ analitica come quella attuale, eminentemente orientata sul vertice oggettuale­ intersoggettivo, di rilanciare e sviluppare le intuizioni freudiane (Freud, 1914b) che collocavano l'investimento autoerotico del proprio corpo, e la successiva organizzazione di un narcisismo primario, a momento cardine irrinunciabile dello sviluppo individuale che prelude alla relazione oggettuale esterna. Da questo angolo prospettico il quale valorizza la relazione che il soggetto intrattiene con sé stesso, il sogno appare indissolubile dalla vita pulsionale dell'individuo e dalle «necessità di lavoro», Arbeitsanforderungen - e non le «operazioni», come dice la traduzione italiana ufficiale - che sono poste «alla sfera psichica in virtù della sua connessione con la sfera somatica » (Freud, 1 9 1 5 a): necessità di cui si fa carico di traduzione ed espressione il lavoro oni­ rico, Traum Arbeit (Freud, 1 899). La psicoanalisi è oggi in possesso anche di strumenti epistemologici che permettono di ampliare la concezione freudiana del lavoro onirico come ca­ muffamento per sfuggire alla censura della coscienza, verso una considera­ zione di tale lavoro come un tentativo di traduzione dell'Inconscio struttu­ rale, di per sé inconoscibile e irrappresentabile. L'opera di Ignacio Matte Bianco (1975, 1988) è in tal senso determinante perché esplicita e formalizza lo sfondo logico-matematico che caratterizza il funzionamento dell'Incon­ scio: il sogno può allora essere letto come un momento fondamentale nel pas­ saggio dal livello dell'essere in quanto unità omogenea indivisibile, livello an­ cora estraneo al pensiero, verso una fase che si connota come rappresenta­ zione che apre all'autocoscienza, attraverso una modalità che è connotata dall'insieme delle strutture bi-logiche e multi-dimensionali del pensiero allo stato nascente (Matte Bianco, 1 984). Quando allora parlo di creatività spontanea del sogno, intendo la sponta­ neità in un senso che non esclude affatto un preciso ruolo attivo di funziona­ mento e costruttività dell'attività mentale, né esclude un'importante compo­ nente di disposizione responsabile dell'analizzando già nello stato di veglia verso un'assunzione della sua esperienza interna e delle difficoltà che vi si ri­ trovano: ed è dei riflessi di questa disposizione che noi prendiamo poi atto di

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fronte ai risultati del lavoro onirico e degli sforzi degli analizzandi per por­ tarli in seduta e fame oggetto di elaborazione. È infatti nel più vasto oriz­ zonte elaborativo della relazione psicoanalitica in cui si collocano i sogni, che verifichiamo come la loro elaborazione narrativa sia tessuta in modo indisso­ lubile con la trama, non sempre visibile, ma assolutamente essenziale, dell'esperienza del dolore. Vorrei allora, nel corso di questo lavoro, presentare una sequenza di ma­ teriale clinico in cui i sogni svolgono il ruolo preminente di organizzatori delle dinamiche mentali e dei vissuti emozionali, in un particolare momento di un'analisi che si connotava per le necessità interne poste dalla concreta mi­ naccia di morte di un genitore. Alle narrazioni oniriche farò seguire gli sviluppi interpretativi che ne po­ tevo di volta in volta derivare sulla base delle associazioni libere e delle peri­ pezie della relazione di transfert. In particolare, desidero anticipare che il transfert sembrerà restare sullo sfondo rispetto ad altri elementi. Questo appare connesso al tipo di vertice che ho eletto per questa presentazione: vertice che tende a privilegiare nell'elaborazione scientifica il livello più interno della relazione corpo-mente e dell'organizzazione formale della mente. Va però sottolineato che il pro­ cesso elaborativo si colloca eminentemente all'interno del contesto della re­ lazione psicoanalitica e sarebbe impossibile pensarlo al di fuori di questo con­ testo, come renderà molto evidente uno dei sogni da me presentati. Infine un breve riferimento a una diversa situazione clinica, osservata nel contesto di una consultazione, offrirà la possibilità di visualizzare la diversità di sviluppo evolutivo che, pur partendo da condizioni di partenza assai simili, può realizzarsi in assenza di una reverie psicoanalitica. Un lutto impossibile Comincerò direttamente in medias res, considerando subito il problema posto alla nostra analizzanda da una grave malattia dell'anziano genitore, che lo ha mantenuto per un lungo periodo in concreto pericolo di morte. Dovrò fare a meno di soffermarmi su una presentazione generale del caso per evitare di tradire il diritto alla riservatezza. Conosceremo la situazione clinica non nei suoi connotati di ricostruzione storica, né nelle sue implica­ zioni traumatiche, ma fondamentalmente per le modalità di disposizione in­ tema e per la processualità di crescita delle funzioni pensanti, cercando di uti­ lizzare il dato personale per avvicinare il più possibile gli universali che pos­ sono interessare un vertice scientifico. È la tensione verso forme astratte e metapersonali di invarianti (Bion, 1965; Ferrari e Garroni, 1 979) che ci spin­ ge all'elaborazione pubblica di dati inerenti la relazione psicoanalitica, che altrimenti giudicheremmo più conveniente tacere.

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Vediamo il primo sogno, che arriva dopo il primo ricovero ospedali ero del padre per una situazione già molto pericolosa. Sogno I. Mia sorella era incinta di un bambino. Telefono al lavoro e mi dicono: «Come? Non sa che sua madre si è suicidata insieme aJJa figlia incinta, buttandosi dalla finestra?» Il secondo sogno arriva dopo un secondo ricovero, e viene introdotto da Aria, questo è il nome che daremo alla nostra analizzanda, con il commento: «È stato il primo sogno edipico della mia vita.» Sogno 2. Stavo - come amante - insieme a mio padre e l'occasione per incontrarci era quella di vederci alfunerale di un bambino. Poi giacevamo insieme sulla tomba. Eravamo vestiti. Poi arrivavano dei bambini e noi ci alzavamo, per non farci ve­ dere. Poi arrivava mia madre, ma eravamo già in piedi. Questi sogni introducono alla presa di coscienza delle modalità di reazione di fronte all'evenienza della morte: da una parte abbiamo una fantasia autoag­ gressiva di suicidio che permette di fronteggiare la morte attraverso il controllo e il rivolgimento contro di sé dell'evento angosciante, mentre nel secondo caso abbiamo un'altra forma di negazione che rivolta l'evento luttuoso in fattore ec­ citatorio ed erotizzato. In entrambi i casi il bambino interno è attaccato e uc­ ciso: insieme alla relazione interna madre-bambina scompare anche la funzio­ nalità della relazione contenitore-contenuto (Bion, 1970). Spostando il vertice possiamo osservare che anche la relazione corpo-mente appare interrotta in un contesto che oscilla tra una scomparsa del corpo (so­ gno 1 : la mente uccide il corpo) e una scomparsa della mente (sogno 2 : il corpo viene assolutizzato con l'erotizzazione ed esclude la mente). Inoltre, non si può dar torto alla paziente riguardo al contenuto edipico di questi sogni, che contemplano un'eliminazione delle figure femminili a fa­ vore di un rapporto totalizzante con il padre. C'è da sottolineare, però, la componente positiva di questi sogni che, oltre che aprire a importanti perce­ zioni sul proprio assetto interno, per la prima volta fanno trasparire un in­ tenso attaccamento alla figura patema, altrimenti negato e seppellito da una ostentata ostilità risalente all'infanzia. Le associazioni in seduta privilegiano il rapporto con il tema della morte. Aria enuncia un ostinato rifiuto al suo riconoscimento: «Per me la morte è come un'offesa, come uno schiaffo in faccia. Io la rimando indietro, come se fossi una tartaruga che si difende con la sua corazza.» n livello della risposta emozionale si pone su un livello per cui il limite og­ gettivo della morte viene vissuto come un attacco-offesa a cui reagire con uno schermo rigido e impenetrabile. Desidero sottolineare che il rifiuto-controllo della morte procede accanto al rifiuto della relazione tra la mente e il corpo. Elimi­ nando il corpo, Aria elimina però, non la morte, bensì la vita, ovvero tutte le pro­ prie potenzialità costruttive: un elemento che appare evidente nella gravida coinvolta nel suicidio, che simboleggia, in modo pertinente, la sua capacità di generare vita e pensiero che viene confusivamente condotta a morte.

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In tale contesto di chiusura e di impasse del metabolismo mentale, è il corpo a reagire con la spinta a un'erotizzazione cieca e incondizionata, quale tentativo di affermazione della vita. In assenza di un legame di collaborazione con la mente e di convivenza pacifica con i limiti della realtà, questa spinta del corpo crea, però, solo configurazioni disarmoniche che non contribui­ scono affatto ai problemi posti dal lutto.

Relazione corpo-mente ed elaborazione degli affetti Sorvolerò su una fase di lavoro molto interessante che aveva potuto met­ tere a fuoco un'apertura al riconoscimento e alla registrazione di intensi sen­ timenti di odio insieme al confronto con i limiti posti dalla realtà, non ultimi quelli temporali in occasione delle separazioni dall'analisi. La ripresa del lavoro dopo un'interruzione invernale porta in primo piano una sintomatologia di vertigini e giramenti di testa, diagnosticata da un esame medico come labirintite, che viene ad aggiungersi alla partecipazione intensa e sofferta all'analisi. Di questo periodo è il sogno seguente. Sogno 3. Mia madre si prendeva cura di mio padre che stava per morire e veniva a parlare con me dicendomi quanto fosse pesantefarlo. Era così stanca che aveva dei giramenti di testa e cadeva. lo la prendevo nelle mie braccia e le dicevo che mi sarei presa cura di lei. Questo sogno ci colloca in un clima emotivo più maturo dei precedenti per il rispetto della realtà, del dolore e dei rapporti familiari. Colpisce subito la continuità tra la sintomatologia fisica della labirintite avvertita durante la ve­ glia e le immagini cariche di affettività del sogno. Dal punto di vista della re­ lazione corpo-mente infatti il sogno assume l'evento somatico e lo sviluppa in un clima di significazione emozionale, permettendo dì creare un collegamento tra il dato fisico delle vertigini e la rappresentazione dell'angoscia di morte e del dolore della perdita. In altri termini, sulla scia dell'elaborazione realizzata nel contesto della relazione psicoanalitica, viene attivata una relazione tra il corpo e la mente, per cui la rete di contatto del sogno può partire dalla trac­ cia somatica dell'Affikt e tradurla in Vorstellung, attivando una rappresenta­ zione che è funzionale all'elaborazione del lutto. In questo sogno assistiamo a un contenimento del padre da parte della ma­ dre, e poi della madre da parte dell'analizzanda: una condizione che può es­ sere rappresentata in termini più astratti come un rapporto contenitore-con­ tenuto di tipo simbiotico (Bion, I 970), che si connota in modo originale per la presenza di un doppio livello di contenimento degli oggetti interni. Un contenimento di primo livello (madre-padre) beneficia infatti di un ulteriore secondo livello di contenimento (analizzanda-madre). Se teniamo presente che avevamo già incontrato una situazione di due li­ velli di rapporto nel sogno I (madre-figlia e figlia-bambino in utero), diventa

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possibile riconoscere nel sogno 3 una versione aggiornata di un tema che ri­ corre e mostra gli sviluppi realizzati nel corso dell'elaborazione psicoanalitica. Proverei a dipanare la disposizione mentale che è contenuta nei sogni par­ tendo da una domanda: come mai nel sogno del suicidio la madre-conteni­ tore si uccide insieme alla figlia, che è a sua volta contenuta e contenitrice, dove invece nel secondo sogno il rapporto con una minaccia di morte risulta maggiormente contenibile? Avendo già segnalato la rilevanza del ruolo della relazione corpo-mente, utilizzerei questo vertice osservativo ipotizzando una correlazione tra l'attiva­ zione dell'elaborazione pensante in Aria e la disposizione operante all'interno della sua relazione corpo-mente; la presenza della partecipazione somatica all'esperienza mentale apparirebbe in questo senso determinante per permet­ tere un metabolismo del lutto. Il collegamento operato dal sogno tra il dato fisico concreto e il dato affettivo permette di leggere la labirintite come espressione della partecipazione del corpo al lavoro di trasformazione (Bion, 1965) della mente. L'ammalarsi del corpo nell'organo di senso deputato al «sentire» denoterebbe la presenza di un contributo del corpo così rilevante da collocare il corpo in primo piano nell'assunzione della tensione sensoriale che fa rischiare il collasso del metabolismo interno con paralisi del lutto. Ovviamente il corpo non ha le capacità trasformative e simboliche che sono proprie alla mente, ma il materiale che stiamo considerando sembra proporci che il corpo può cooperare all'orientamento elaborativo assumendo quel sovrappiù che la mente non è in grado di smaltire. Secondo questa prospettiva, il corpo contribuisce alle dinamiche trasformative della mente proprie alla relazione contenitore-contenuto di tipo simbiotico, sino ad assumere un rilevante ruolo facilitante nei confronti della mente: un ruolo per cui la relazione corpo-mente si pone come contenitore del rapporto contenitore­ contenuto. Il sogno 3 è infatti accompagnato da una partecipazione che attraversa i diversi livelli dell'esperienza dell'analizzanda dal dato corporeo a quello men­ tale: un itinerario che permette di effettuare un importante passaggio dal dato corporeo grezzo, privo di significati mentali, della labirintite, a un giramento di testa indice di un forte coinvolgimento e disorientamento emotivo, come quello che può legittimamente vivere una figlia di fronte alla scomparsa di un padre. Grazie al funzionamento della rete di contatto corpo-mente del sogno, l'elemento somatico trova una collocazione nel contesto di un'esperienza mentale e relazionale. In tal modo il dato somatico è coinvolto nell'elabora­ zione mentale e viene trainato verso un polo capace di astrarre simbolica­ mente quella vertigine che appariva inizialmente come fatto concreto. Dov'era finita invece la relazione corpo-mente quando il lutto sembrava impossibile?

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Abbiamo già visto nella prima sequenza di sogni che il corpo era rinnegato e ucciso o assolutizzato in una disposizione sensoriale ipereccitata: questa di­ sposizione saturava lo spazio mentale e precludeva ogni potenzialità di regi­ strazione mentale dell'esistenza della morte. In questo modo il corpo veniva escluso dalle peripezie di una relazione contenitore-contenuto in grado di condensare il metabolismo mentale. La contenibilità emozionale che viene espressa dal sogno 3 diventa allora l'espressione della ricomposizione della relazione mente-corpo; una ricomposizione che oltretutto procede parallela­ mente alla ricomposizione della triangolazione edipica. Nei primi due sogni, infatti, il corpo era dissociato dagli eventi mentali come la madre era disso­ ciata dal padre, mentre nel sogno 3 con l'assistenza alla morte del padre assi­ stiamo a una globale ricomposizione delle matrici del senso di identità. In tale orientamento la relazione mente-corpo procede !Jarallelamente ai destini della triangolazione edipica, con la ricomposizione dei legami tra madre, pa­ dre e figlia. In questo contesto mi sembra che diventi riconoscibile un 'ipotesi per cui sa­ rebbe l'armonizzazione della relazione corpo-mente a permettere il metabolismo del pensiero (Ferrari, 1 992): in quest'ottica diventa impossibile pensare a una cre­ scita e a una maturazione degli affetti al di fuori di una considerazione di que­ sto livello primario del funzionamento interno. Un punto di vista molto di­ verso da quello che viene enunciato dai sostenitori del vertice della relazione oggettuale intersoggettiva, per i quali sarebbero l'onnipotenza, l'odio e il controllo sull'altro-analista a detenninare la mancata elaborazione dei senti­ menti e la non-comunicazione degli affetti (Rosenfeld, 1 965; Modell, 1 980). In particolare, sarebbe l'elaborazione del lutto a diventare impossibile per il diniego della separatezza e per le rigide difese dalla frammentazione e confu­ sione che derivano dagli impulsi distruttivi (Steiner, 1 990). TI vertice della re­ lazione corpo-mente accetta invece di mettere momentaneamente in se­ condo piano le dinamiche di livello intersoggettivo, per realizzare un'espan­ sione dell'indagine psicoanalitica sul versante delle matrici che organizzano il funzionamento del pensiero, e sulle implicazioni del legame tra pensiero concreto e funzioni simboliche (Freud, 1 9 1 5b; Sega!, 1957). Propongo a questo punto un sogno ulteriore, in cui il tema del corpo e della concretezza nella sua possibile relazione con la mente e il simbolico viene declinato in una formula interessante. Sogno 4· C'era mia nipote con un piccolo triangolo di pelle sull'occhio e accanto sulla pelle un piccolo triangolo mancante che aveva la stessa forma di quello che c'era sull'occhio. C'era un uomo che aggrediva la madre della bambina e la stessa donna che si ribellava con forza e sembrava che lottasse soprattutto per difendere la bam­ bina che era minacciata. Aria associa di non sopportare le scene di violenza, anche solo rappresen­ tate o narrate, notando subito dopo che da poco ha cominciato a leggere un

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libro giallo con violenza e omicidi, lettura che fino a poco tempo fa avrebbe creduto per lei impossibile. Nel sogno l'organo di senso della vista appare impegnato da un triangolo di pelle, che corrisponde a un'area mancante della pelle del viso. In questo dettaglio la pelle appare quasi tatuata sull'organo di senso, come a stabilire una relazionalità elettiva dettata da una necessità di prelazione della visione della pelle rispetto alla visione del mondo esterno. ll modello contenuto nel sogno ci riporta all'importanza degli organi di senso per la funzione mentale, come contemplato nella teoria di Freud (191 1c), che descrive la nascita della mente a partire dalla messa in moto della co­ scienza collegata agli organi di senso. Visto nella prospettiva degli organi di senso, il passaggio dal sogno 3 al so­ gno 4 contiene uno spostamento dall'orecchio all'occhio, e, in termini fun­ zionali e simbolici, un passaggio dal sentire al vedere. In questo spostamento ipotizzerei un'evoluzione nel senso di un aumento della capacità di astrazione della mente, con conseguente miglioramento della capacità di contenimento rispetto alle tensioni emozionali: il vedere è infatti più articolato e differen­ ziato rispetto al sentire, e più collegato alla percezione e al simbolo. Anche la pelle è un organo deputato al sentire (organo di senso del tatto), anche se con connotati di minore specializzazione rispetto all'udito e alla vi­ sta. La pelle inoltre ha una connotazione di confine che avvolge e contiene la totalità del corpo del soggetto: in questo senso, ipotizzo che si presti a rap­ presentare il corpo e la funzione di registrazione sensoriale del sentire. Collocato in questa prospettiva, questo sogno diventa la rappresentazione dell 'apparizione del corpo (pelle), insieme agli elementi sensoriali che ne deri­ vano, nell'orizzonte osservativo del pensiero (occhio). Passando a considerare la seconda scena del sogno, contenente l'attacco alla madre con la bambina, potrei ipotizzare che l'apparizione del corpo e delle sensazioni si ponga per la mente come una minaccia concreta che ne­ cessita di una risposta di protezione e contenimento. È infatti una difficoltà oggettiva quella che incontra la mente nel sorreg­ gere la spinta disorganizzante di sensazioni ed emozioni (Ferrari, 1 992), che si pongono per loro natura costitutiva come strutturalmente violente e infi­ nitizzanti. Matte Bianco ha mostrato come la logica delle emozioni concida con il funzionamento di un principio Oogica simmetrica) che viola le leggi aristote­ liche della non-contraddizione, che permettono il funzionamento del pen­ siero. In questo senso l'apparizione del corpo e delle sue emozioni di livello marasmatico può essere legittimamente vissuta come una minaccia per la lu­ cidità pura del pensiero; un attacco che richiede l'attivazione di uno «scudo protettivo» (Freud, 192oa, p. 2 1 5), come quello che può essere offerto dagli organi di senso rispetto all'irruzione di quantità indifferenziate di sensazioni.

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E tale funzione protettiva della mente diventa legittimamente assimilabile alla protezione che una madre può attuare verso il proprio figlio (Winnicott, 1 96oa). «Gli organi di senso - scrive Freud ( 1 92oa, pp. 2 1 3 sg.) - comprendono anche dispositivi particolari atti a proteggere ulteriormente l'organismo da­ gli stimoli in quantità eccessiva, nonché a respingere gli stimoli di qualità ina­ deguata. Gli organi di senso hanno la caratteristica proprietà di elaborare solo piccole quantità dello stimolo esterno, di assumere il mondo esterno in pic­ cole dosi . » Dal materiale che segue apparirà inoltre evidente che questo sogno si pone come anticipatorio rispetto a uno sviluppo che contiene il confronto con una di­

mensione totalizzante che sente estranea a sé qualsiasi forma di limitazione e distin­ zione, qualcosa quindi che si avvicina a quanto descritto da Matte Bianco circa i livelli più profondi dell'Inconscio strutturale, in prossimità del punto ultimo dell'unità omogenea indivisibile. Incidentalmente, possiamo anche aggiungere che il fatto che la pelle abbia la forma di un triangolo, suggerisce un legame tra la messa in moto di una re­ lazione tra mente e corpo e una riappropriazione della preconcezione edi­ pica, che è alla radice della propria identità. La messa in moto di una consa­ pevolezza degli istinti di odio e dei pericoli della distruttività stimola inoltre la crescita della funzione riparativa e la tolleranza del conflitto.

Verso il cambiamento Il lavoro psicoanalitico si sta avviando verso la pausa di fine anno, allorché Aria mi racconta un sogno.

Sogno 5· Lei come analista mi consigliava difare delle trasfusioni di sangue. Dopo mi ricoveravano in ospedale e mi facevano una trasfusione totale di tutto il sangue. Al sogno, associa subito parlando delle dolorose necessità che la stanno

sollecitando a pensare al cambiamento, ponendola di fronte all'ignoto e all'incertezza in diversi aspetti della sua vita. Aria piange. Richiama la nostra attenzione il fatto che la possibilità di cambiamento è pensata dal lavoro onirico come qualcosa che è strettamente inerente al corpo: il corpo in sé non può certo cambiare, ma può cambiare un diretto de­ rivato del corpo che vi circola dentro. Se con il riferimento al sangue il sogno si disponesse a segnalare le organizzazioni profonde della mente, che ruotano in­ torno allo zoccolo duro, immodificabile, della struttura fzsica della personalità, do­ vremmo supporre di essere in rapporto a un nucleo molto arcaico della per­ sonalità che si dispone a essere modificato. Presuntivamente siamo di fronte allo stesso nucleo arcaico che era emerso nel sogno del triangolo di pelle, anticipando il confronto con una dimensione che tende a essere vissuta come immodificabile, perché sentita aliena alla di-

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stinzione e al cambiamento. Tale dimensione può ben essere rapportata a quanto proposto da Ferrari ( 1 992) con la sua ipotesi che intende il corpo come oggetto originario concreto, nonché ai livelli profondi dell'Inconscio dell'unità omogenea indivisibile descritta da Matte Bianco ( 1 988): un livello che si pone come meramente concreto e impensabile prima di essere eclis­ sato dall'intervento della mente. Nell'ultima seduta precedente una vacanza di Natale Aria racconta un al­ tro sogno.

Sogno 6. C'era un gatto che mi saltava addosso e io mi spaventavo perché aveva una gamba amputata ed era tutto sanguinante. In seduta proposi all'analizzanda che si disponeva ad accettare l'amputa­ zione della relazione tra noi andando incontro alla separazione: che ne tolle­ rava lo spavento e il dolore, accettando di ridimensionare la sua disposizione a considerare me più come un pezzo del suo corpo che come una persona realmente separata da sé. Dalla reazione di Aria ebbi per la prima volta l'impressione che l'introdu­ zione del tema della differenziazione all'interno del nostro rapporto non si ponesse come una forzatura dettata dalla mia ansia di non trascurare l'elabo­ razione del transfert, ma che in quel momento lei si ritrovasse nella mia pro­ posizione che cercava di ridefinire i confini delle nostre reciproche identità. Accanto all'aspetto relazionale non va però trascurato il livello di funzio­ namento interno, per cui il riconoscimento di un limite coincideva con un ri­ dimensionamento dell'area di competenza del corpo (amputazione della gamba); o meglio di un ridimensionamento di ciò che era sentito - secondo il modo di essere indivisibile (Matte Bianco, 1988) - come corpo, ma che - se­ condo il modo di essere dividente - non è riducibile al corpo. Le sensazioni e le emozioni, infatti, emergono dal corpo, ma contengono una componente di rappresentabilità e autopercezione per cui sono già «altro» rispetto al dato fisico concreto; in questo senso le emozioni e i sentimenti si pongono come dati mentali autonomi rispetto al corpo, tanto da essere capaci di una costante presenza rappresentativa, anche dopo che il dato corporeo, che inizialmente le ha generate, si è estinto. Questo tipo di processualità interna, che parte dal corpo e porta, attraverso la percezione del limite, alla differenziazione dei fenomeni emozionali e men­ tali come «altro» rispetto al corpo, è stato battezzato da Armando Ferrari (1992) «eclissi del corpo». La castrazione simbolica della dimensione etolo­ gica originaria del corpo crea le condizioni per l'apparire di fenomeni men­ tali che possano accompagnare e ridimensionare il dato sensoriale. L'uscita dal monopolio fisico che vincola alla concretezza, o dal monopolio mentale che esclude le emozioni, apre a una forma di integrazione interna in grado di generare un pensare in presenza di emozioni (Bion, 1 962), e quindi un'ela­ borazione degli affetti, compresi quelli inerenti il lutto.

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Dopo le vacanze Aria mi raccontò rm altro sogno. Sogno 7· Eravamo qui in analisi e lei cercava di avere un rapporto sessuale con me e mi metteva le mani in mezzo alle gambe. Io restavo scandalizzata, mentre lei invece era tranquillo. Aveva un 'espressione sul viso per indicare che non era poi una cosa così grave. Io andavo via con l'idea che non sarei più tornata. Questo sogno riprende il tema dell'amputazione del corpo, che noi ab­ biamo letto nel senso di rm avvio di «eclissi del corpo» (Ferrari, 1 992), pro­ ponendo rm orientamento che sembra ripristinare la precedente condizione di indifferenziazione; riaffiora la spinta verso il rinnegamento della separa­ tezza tra fisicità ed emozione e tra sé e l'altro, che sembrava superata con l'in­ troduzione di rm limite. Al tempo stesso, però, il sogno segnala rma compo­ nente affettuosa, che viene dissimulata e travisata dall'estrema concretezza degli atteggiamenti. Dissi ad Aria che stava mettendo in me il suo desiderio di avere rm rap­ porto totalizzante che non fosse soggetto a nessun limite e nessrma separa­ zione, come avevamo già visto dal suo modo di vivere le vacanze come rma amputazione concreta, quasi come se noi fossimo rm solo corpo, che andando incontro alla separazione si amputava. In questo senso non c'era nulla di scan­ dalizzante nel sogno perché con il sogno lei stava elaborando l'amputazione della perdita, dando rm posto al nostro rapporto anche quando concreta­ mente questo era assente, e riuscendo a pensare il rapporto tra di noi come in una dimensione molto intima, in cui lei può trovare rm conforto per il suo dolore, sentendosi fisicamente accolta da me come un bambino è accolto dalla sua mamma. Aria risponde che le era capitato di pensare al lungo protrarsi del nostro rapporto in analisi, con la paura di avere rm rapporto distorto con me, come è distorta un'amicizia a pagamento. Replicai dicendole che dava questa lettura svalutativa che faceva pensare a un rapporto mercenario, perché rischiava di confondere gli aspetti concreti legati alla professione e all'onorario con gli aspetti umani: aspetti che si pon­ gono invece su un altro livello, un livello distinto. La dimensione professio­ nale del nostro rapporto può allora arrivare a lirilltare il nostro rapporto umano, ma senza per questo distorcerlo: altrimenti saremmo costretti a pen­ sare che gli unici rapporti umani sono i rapporti senza alcun limite. Cosa poco verosimile, perché ogni rapporto reale ha dei limiti, se non altro perché gli esseri umani sono mortali. E l'unico modo per sottrarsi al limite sarebbe al­ lora non avere alcun rapporto: che equivarrebbe a introdurre rm limite an­ cora peggiore. Mi sembra significativo che questo sogno, in cui appare centrale il ricono­ scimento dell'altro da sé, si collochi dopo rma sequenza di sogni che affron­ tano il problema della dualità a partire dalla relazione corpo-mente e dalla tolleranza del conflitto (sogno 4). Una discriminazione all'interno del corpo

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aveva potuto poi differenziare tra un nucleo fisico immodificabile e una parte concreta dotata di mobilità, che può essere soggetta al cambiamento (sogno 5). L'elaborazione di questa discriminazione era determinante, perché apriva alla possibilità di riconoscere un limite all'interno del proprio «sentire»; dove la funzione mentale del «sentire » è assimilata, in un contesto di pen­ siero concreto, alla matrice fisica (il corpo etologico) che la genera (sogno 6). Infatti solo nel caso in cui il «sentire» fosse solamente concreto, come è con­ creto il corpo, sarebbe realmente immodificabile, in quanto estraneo alla mo­ bilità e ai cambiamenti che caratterizzano il pensiero. A quanto proposto da me all'analizzanda nella seduta del sogno 7, potrei aggiungere che era la tensione verso un 'assenza di limiti (il dominio del modo di essere indivisibile estraneo al pensiero dividente) che la portava a oscillare tra l'assenza completa di rapporti, come era stato di fatto nella relazione con il pa­ dre, a un rapporto molto concreto, fisico, che non ammetteva distanziamento e separazione, come era rappresentato nel sogno. Solo che nel sogno il rap­ porto fisico era non un fatto fisico, ma una rappresentazione, e questo per­ metteva di utilizzarlo come un trampolino verso il mondo simbolico degli af­ fetti e del pensiero. Accettare infatti di convivere con una relazione che tende all'assenza di limiti, ma che poi i limiti li trova (nel senso di non passare a un agito di fatto), e accettare di restarci senza precipitarsi ad andar via (come an­ dava via la paziente nel sogno) significa accettare anche la triangolazione edi­ pica, in cui la presenza della madre rappresenta il limite che preclude l'ince­ sto. O, in maniera più pertinente al tema della morte e del lutto, significa an­ che accettare che una relazione reale e una vita reale sono indissociabili dal li­ mite della morte, e che l'accettazione di questo limite può portare con il ri­ cordo alla sopravvivenza della relazione anche al di là della morte concreta, anche al di là del venir meno della presenza concreta dell'oggetto esterno. Le sedute successive mostrarono che l'accettazione dei limiti aveva determi­ nanti implicazioni nel rapporto stesso di Aria con la vita: l'elaborazione del li­ mite portò infatti all'elaborazione del «no» che la morte dice alla vita, con la possibilità di rispondere a questo «no» non più con la rappresaglia di un al­ tro «no», implicante chiusura all'esperienza e al nuovo, ma con un «SÌ », che implica l'accettazione di una sua collocazione all'interno dei confini dell'es­ sere. Di questa elaborazione può testimoniare un altro sogno di poco poste­ riore, raq::ontato anch'esso in un periodo immediatamente precedente a una separazione.

Sogno 8. Ero a una festa di fine d'anno e c'era dentro di me e nelle persone in­ torno un 'atmosfera serena. In questo sogno il limite, il confine, la finitudine non evoca più violenza ma serenità: una serenità che è una diretta emanazione della messa in moto del pensiero attraverso l'elaborazione.

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Conclusioni We are such stuff as dreams are made on,

and our little life is rounded with a sleep. (Noi siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni e la nostra piccola vita è circondata da un sonno.) Shakespeare, La

tempesta, Atto IV, scena 1

ll sonno è un dominio fisiologico e transitorio della fisicità che si accom­

pagna a una perdita di coscienza. In tale contesto del riaffiorare del corpo l'apparizione ciclica dell'attività onirica riporta in primo piano il funziona­ mento mentale, che emerge in un contesto altrimenti di pura fisicità e appa­ gamento istintuale. Non dovrebbe stupire, quindi, un'ipotesi che vede nel so­ gno «un paradigma della presenza e del ruolo della rete di contatto tra corpo e mente», i cui connotati di elaborazione sono «in tutto simili ai processi che sottendono l'immaginazione, la forza creativa e persino l'opera d'arte in quanto finzione» (Ferrari, 1 998). Nello svolgersi del materiale clinico che ho presentato mi è sembrato co­ stante nei diversi sogni il riferimento alla presenza del corpo: il che può es­ sere letto come un'espressione della disponibilità delle narrazioni oniriche a trovare modi e forme per rappresentare le vicissitudini della dimensione cor­ porea. Può accadere alla corporeità di essere collocata in un ambito molto re­ moto, o addirittura di essere rinnegata del tutto. In certi casi è solo con l'af­ fiorare di una vera e propria malattia organica che gli eventi somatici ritor­ nano a imporsi all'attenzione del soggetto; e anche in questa eventualità, all'evento somatico può non esser riservato che un riconoscimento reificato e deprivato di ogni possibile connessione con gli accadimenti emotivi. Mi sembra viceversa che le esemplificazioni cliniche presentate permet­ tano di valorizzare il ruolo del sogno nella restituzione del corpo all'orizzonte della mente sino a un recupero globale della fisicità al punto da permettere un'ela­ borazione del limite in presenza del dato sensoriale: un passaggio che per­ mette di fondare la possibilità di operazioni pensanti in grado di operare fun­ zioni di contenimento emozionale e ritardo della scarica motoria (Freud, 1 9 1 r e; Bion, 1 962). Allo scopo di valorizzare il significato del percorso delle narrazioni oniri­ che presentate come esemplificazioni del funzionamento della rete di con­ tatto, vorrei affiancare a quanto �onsiderato sinora alcune osservazioni ope­ rate su un altro caso clinico ricevuto per poche sedute di consultazione. Si tratta di un elegante ingegnere sulla cinquantina che mi consulta, così dice nel primo incontro, a causa di una serie di dubbi e preoccupazioni circa l'avvio di una relazione extraconiugale. Non mi risulta facile cercare di allar-

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Riccardo Lombardi

gare l'esplorazione alla sua situazione interna e a una contestualizzazione più generale della sua situazione di vita. Vengo così a scoprire che la fiammata erotica si colloca in un periodo drammatico in cui si è trovato confrontato con una gravissima malattia dell'anziano genitore insieme a un tentato suici­ dio del fratello. A queste situazioni aveva cercato di porre rimedio con una delega ad altri familiari e un'intensificazione dell'attività lavorativa. Questa situazione ci riporta alla spinta del corpo all'erotizzazione di fronte all'affiorare della percezione della morte che abbiamo osservato nel caso di Aria; nel suo caso però la spinta somatica ha la possibilità di essere traslata e tradotta in un'attività rappresentativa in cui la correlazione con l'evento lut­ tuoso è parziahnente riconoscibile e di conseguenza soggetta all'elaborazione posteriore in seduta. Ben diversa sembra invece essere la situazione del nostro ingegnere: emerge infatti che, al di là delle sue perplessità superficiali circa la relazione con la sua giovane amica, è molto preoccupato per il suo stato di salute. Vengo a sapere che dall'esordio della malattia paterna è stato affetto da due malattie degli organi di senso specializzati, diagnosticate come virali e incu­ rabili. In una prima occasione ha perso in maniera fulminante e irreversibile l'udito dell'orecchio destro, e poco tempo dopo ha sofferto di una coriocon­ giuntivite virale a un occhio che, insensibile all'intervento dei farmaci, si è prolungata con un decorso molto lungo. Attuahnente è preoccupato perché l'orecchio funzionante soffre di fasti­ diosi acufeni che gli fanno temere la possibile perdita anche di questo se­ condo orecchio. Se torniamo quindi al caso di Aria, potremmo cercare di collegare la labi­ rintite da cui era stata affetta a una minaccia al funzionamento del corpo e degli organi di senso: non sembrerà casuale che la funzionalità dell'orecchio rimandi al «sentire», con la duplice accezione di attività sensopercettiva e di accoglimento emozionale. Una situazione per cui la scomparsa del sentire sensoriale rimanda anche alla scomparsa del sentire emozionale, seppellito dalla reazione concreta del corpo verso l'erotizzazione. Partendo entrambi i casi dalla medesima situazione di erotizzazione e di minaccia alla funzione del sentire, essi però giungono a esiti differenti so­ prattutto a causa del diverso modo di funzionare della rete di contatto mente­ corpo. Nel caso dell'ingegnerè abbiamo una mancata attivazione della fun­ zione onirica, che si associa a una degenerazione delle performance anatomo­ funzionali dei suoi sensi specializzati. Nel caso di Aria, invece, i sogni, soste­ nuti dalla reverie psicoanalitica, hanno permesso di dare un posto ai messaggi provenienti dal corpo e di elaborarli nella direzione di un riconoscimento e di un'elaborazione del proprio sentire, contrastando la disposizione al rinne­ gamento del corpo, delle emozioni e della dimensione relazionale.

Le narrazioni oniriche e la rete di contatto corpo-mente

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Nell'ambito dei sogni che potremmo dire percettivi, e quindi coerenti con un corretto funzionamento dell'organo della vista, e in questo senso antago­ nisti rispetto alla spinta alla negazione e al rinnegamento, potrei per esempio ricordare, accanto a quello dell'accoglimento del padre morente, un altro so­ gno in cui Aria chiede al medico curante come stia ilpadre e questi le risponde: «Non vede che è un morto che cammina?» Dove l'accento del sogno cade proprio sul «Non vede? » come una creazione narrativa che enfatizza l'importanza e la funzione dell'organo della vista, anche quando si tratta di vedere cose dolo­ rose che si preferirebbe non vedere. Ma desidero arrestare qui le considerazioni evocate dal paragone tra que­ sti due casi, che spero sia risultato opportuno per una migliore messa a fuoco delle nostre ipotesi, anche se a prezzo di una piccola deviazione rispetto alla presentazione clinica principale. Tornando a bomba e passando al sogno della trasfusione e delle possibilità di cambiamento, proverei a introdurre un altro aspetto della funzione oni­ rica, come quello inerente l'originalità del suo linguaggio, o meglio ancora del «registro di linguaggio» (Ferrari, 1 998), che si esplica come creatività narrativa. n rinnovamento e la rinascita attraverso l'apporto di nuovo sangue è una costante di molti riti sacrificati o iniziatici, non escluso il rituale cristiano della transustanziazione del sangue di Cristo nella comunione. Come pure è una costante della narrativa di alcuni miti come quello delle Baccanti, o quello dell'apporto di sangue che permette a Ulisse di accedere al regno dei morti. Ma è soprattutto nel mito del vampiro, a partire dal Dracula di Bram Stocker, che ritroviamo la possibilità di un'emancipazione dalla morte attra­ verso un parassitamento della vita altrui tramite l'acquisizione del sangue (vedi anche Camporesi, 1997). n collegamento con il mito o con la tradizione narrativa mi sembra inte­ ressante per poter vedere come si esplicano la specificità del linguaggio oni ­ rico e la sua forza di irradiazione verso un ambito più allargato che investe il campo più generale dell'antropologia, della cultura e della creatività artistica. Anche nell'ultimo sogno della serenità nella festa di fine d'anno mi sem­ bra possibile ritrovare un collegamento con detta dimensione culturale, in questo caso con un rimando alla letteratura, ovvero al clima sereno e raccolto della festa di Natale dell'ultimo racconto di Gente di Dublino di James Joyce, I morti: racconto che John Huston ha voluto fosse il soggetto del suo ultimo bellissimo film, The Death (1987). Ed è anche in questa consapevolezza della continuità che esiste tra la crea­ tività privata e nascosta del singolo e le creazioni immortali dello spirito umano che risiede il fascino dell'esperienza e della ricerca psicoanalitica.

Capitolo 1 2 Onirismo vocale. Accostarsi ai sogni attraverso i segn i fonetici del racconto Antonio Di Benedetto

Con il metodo psicoanalitico si cerca di far sì che sogni e fantasie, apparte­ nenti a una sorta di teatro privato, vengano in qualche modo rappresentati su un 'altra scena, quella del «transfert», sul piano cioè di una rappresentazione che, uscendo da un ambito autistico, coinvolga due persone, per passare poi sul piano comunicativo verbale, accessibile a tanti altri. Potremmo anche dire che con la psicoanalisi si cerca di operare un passaggio di registro, da quello intrapsi­ chico, di carattere iconico, a quello intersoggettivo, di carattere verbale. Tra i due c'è un livello intermedio, prelinguistico, che chiama in causa la voce. Non tutta l'esperienza psichica viene rappresentata con le parole. Gran parte di essa, quella che non è ancora in condizione di essere tradotta in sim­ boli verbali, viene segnalata con varie modalità corporee, tra le quali la voca­ lità. Ogni essere umano suona il suo strumento vocale, per trasmettere qual­ cosa che va oltre il testo verbale. Nel comunicare con la parola sviluppa un suo specifico linguaggio sonoro, suonando sé stesso e risuonando al contatto con il suo ambiente. Oltre a esprimersi vocalmente, danza e mima i suoi stati af­ fettivi attraverso la postura, lo stile dei suoi movimenti, la mimica del viso. Cerca di andare a tempo con il suo mondo e di vivere in armonia con i suoi simili, utilizzando nel comportamento, del tutto inconsapevolmente, strut­ ture ritmiche che consentano di trovare l'accordo con gli altri. Una termino­ logia musicale è presente, non a caso, in tutti i discorsi sull'empatia (sintonia, sincronia, accordo, risonanza, unisono ecc.). Qualunque comunicazione contiene insomma aspetti non verbalizzati, aspetti emozionali non elaborati, che si inserivano in significanti infraverbali ed extraverbali (Schust-Briat, 1991). Ciascuno usa mezzi espressivi che si ap­ poggiano al corpo. Julia Kristeva (1986) sostiene la presenza di un continuum fra corpo e lin­ guaggio. li corpo confluisce nel linguaggio, costituendo sotto ogni discorso un pre-senso, denominato «significanza». Legami arcaici si stabiliscono, e

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fungono da indicatori di «significanza», a questo livello infralinguistico, tra i nostri corpi e quelli degli altri, sotto forma di tracce olfattive, tattili, visive, uditive ecc. Lungo tali tracce si svolge una parte essenziale della comunica­ zione affettiva inconscia. Prestando attenzione ai segnali cinetici, coreografici e mimici, nonché ai suoni vocali dei nostri interlocutori, si può ampliare perciò la gamma delle co­ municazioni interpersonali e accedere a quella parte dell'inconscio che, non avendo trovato posto nel codice simbolico corrente, parla attraverso il soma. Nell'ambito di una simile ricettività somato-psichica va collocato un ascolto che privilegi i significanti verbali e l'alone sonoro degli enunciati. Un ascolto siffatto può aiutare l'analista a scovare risvolti inauditi dell'altrui mondo affettivo. Dalle inflessioni vocali dell'analizzando, intese come la co­ lonna sonora delle sue associazioni libere, egli può trarre indizi acustici sui moti affettivi profondi di una sequenza clinica. E può cominciare a stabilire nessi tra il contenuto manifesto di un sogno, costituito sostanzialmente da immagini visive, e un'affettività latente, annunciata dai suoni della voce, prima che si riesca a trovare le parole per dirla. L'ascolto «al di là delle parol e» prepara l'accesso al simbolico. Accoglie in un pensiero preorganizzato ciò che è destinato altrimenti a essere espulso dalla mente. li non ascoltato viene escluso dalla catena associativa che con­ duce alla pensabilità e rimane incistato nell'inconscio. Sintonizzandosi con la musicalità della voce, mentre si favorisce l'integra­ zione nel pensiero di alcuni frammenti dell'affettività inconscia, promuo­ vendo quindi un percorso evolutivo, si compie nello stesso tempo un movi­ mento regressivo, avvicinandosi a un'area in cui si riattivano esperienze co­ municative preverbali. Si salta il «Verbo» e il livello «paterno» dello sviluppo psichico e si tocca l'area più antica di un'affettività impregnata di sensorialità non rappresentabile, pertinente ai rapporti con l'oggetto primario. Gli elementi melodici, ritmici e timbrici della parola sono tra i mezzi che più efficacemente concorrono a quell'arcaica comunicazione somato-psi­ chica, dai connotati prevalentemente «amodali», cioè intersensoriali. Quan­ do nella prima infanzia viene stimolato dalla voce della madre un registro so­ noro, si attivano anche registri olfattivi, tattili, cenestesici ecc., ovvero l'in­ sieme delle sensazioni prodotte dalla vicinanza del corpo di lei (Stern, 1 985). Con la mediazione della vocalità si va insomma verso il corpo dell'altro e verso il «corpo della parola» (Barthes), ai punti d'origine del linguaggio. Si torna nei luoghi germinali dello sviluppo psichico.

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Suoni e linguaggio In genere i linguaggi umani tentano di andare dal corpo alla parola, di in­ scrivere qualcosa che non parla nei simboli. La musica fa un percorso inverso. A partire da simboli estremamente sofisticati e astratti procede verso il corpo, dalla nota scritta sul pentagramma all'esperienza fisica di ascolto. Ci fa retro­ cedere dal mentale verso una sensorialità asimbolica e verso il piacevole uso non linguistico dei suoni. Si tratta di un linguaggio sui generis, che non parla al nostro intelletto, per mancanza di contenuti intelligibili, ma al nostro corpo, affinché diventi sensibile al potenziale semantico dei suoni puri, ana­ loghi a quelli delle voci senza significato ascoltate nel periodo prenatale e neonatale (Di Benedetto, 1989). I suoni della musica, così come le voci udite nella prima infanzia, non hanno significato preciso, hanno tuttavia un ordine, una loro organizzazione interna, una trama di relazioni paragonabili alle relazioni grammaticali e sin­ tattiche di una lingua. Essendo priva di vocabolario, tale struttura linguistica suggerisce una possibilità di discorso piuttosto che un discorso, trasmette un messaggio aperto a molteplici significati, un messaggio insaturo che si riem­ pie di significato mediante una donazione di senso nell'atto dell'ascolto. Rivolgendo l'attenzione al suono più che al contenuto di un discorso, si consegue pertanto un livello di segni, i quali non sono organizzati secondo una logica verbale, ma lo sono comunque in maniera tale da configurarsi come pre-linguaggio. Nell'ambito della coppia paziente-analista il dialogo viene ad assumere una fisionomia spiccatamente musicale, quando lo psicoanalista accoglie le parole del paziente come se fossero vocalizzi simili a quelli che un infante ri­ volge alla madre, quando tra i due si avvia una specie di gioco vocale, fatto di combinazioni fonetiche prive di significato, ma ricche di senso comunicativo. Si sviluppa allora quello che pare un vero e proprio colloquio, ma in realtà ne è solo il preludio. Un pre-discorso fatto solo di elementi connotativi e total­ mente privo di elementi denotativi, qualcosa di molto simile a un fraseggio musicale (Di Benedetto, 1 998). Attenzione fluttuante come ascolto musicalmente orientato Che esistano segrete correlazioni tra lo psichismo e i suoni ce lo dice il fatto che certe assonanze tra le parole esercitano, più dei loro significati, una particolare attrazione su determinate rappresentazioni psichiche, favoren­ done l'emergenza, come accade nei giochi di parole o nei doppi sensi. A tal proposito Freud ricorda, nel capitolo 6 dell'Interpretazione dei sog;ni, un'espe­ rienza personale, che sta a testimoniare quale potere evocativo avesse anche per lui l'arte dei suoni: «Se si eseguono un paio di battute e qualcuno, come

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avviene nel Don Giovanni, dice è dalle Nozze di Figaro di Mozart, tutto in una volta fluttuano in me i ricordi, niente di isolato giunge alla coscienza: la frase significativa serve da punto di irruzione» (Freud, 1 899). E qualche anno dopo cita Shakespeare, per prendere a prestito una me­ tafora musicale e dire che gli affetti hanno un loro linguaggio sonoro. Amleto (atto m, scena 2) si fa beffe di Guildenstern, incaricato dallo zio e dalla madre dì carpire il segreto del suo malumore: «Voi vorreste sonare su di me (...) vorreste strappare il cuore del mio mistero; vorreste sonarmi dalla mia nota più bassa fino alla cima del mio registro; c'è molta musica, una voce eccellente in questo piccolo organo, e pure voi non potete farlo parlare ( ... ) credete che io sia più facile da sonare di un piffero? ( ... ) benché voi mi pizzi­ chiate, non potete sonarmi.» I sentimenti più profondi e segreti («il cuore del mio mistero»), sembra volerci dire Freud, non parlano, ma suonano. Anzi, possono esser fatti «so­ nare» solo da chi abbia la tecnica di un eccellente musicista. La citazione è utilizzata per sottolineare le difficoltà del compito psicoanalitico («lo stru­ mento psichico non è affatto facile da sonare», Freud, 1904, p. 433). Da essa traspare l'analogia analista-interprete musicale. Come se lo psicoanalista fosse chiamato a leggere uno spartito nell'inconscio dell'analizzando e a con­ vertire, in un certo senso, i segni di un pentagramma inconscio, ricevuti me­ diante identificazioni proiettive, messaggi empatici o transferali, in qualcosa di ascoltabile (Di Benedetto, 1997, 1998). Dovrebbe quindi trattare i suoi di­ scorsi come se portassero inscritti i segni di un testo silenzioso e nascosto, il quale va reso percepibile. La percezione di questi segni, che trapassano nel linguaggio, oltre che at­ traverso i lapsus, anche attraverso suoni infraverbali, è frutto di una partico­ lare qualità d'ascolto, denominata da Freud «attenzione fluttuante»1 e ribat­ tezzata da Theodor Reik «terzo orecchio» (Reik, 1 948). L'attenzione diventa «fluttuante» quando l'analista riesce a disattivare le componenti più coscienti e critiche del suo ascolto e a utilizzare piuttosto la componente figurativa o sonora, il ritmo e l'intonazione delle parole. Quanto detto non appartiene a un'esplicita teoria freudiana sui nessi esi­ stenti tra musica e inconscio, ma piuttosto a una criptoteoria. È frutto di in­ tuizioni sporadiche, idee frammentarie, che stanno in ogni caso a testimo­ niare l'attenzione riservata al valore espressivo dei suoni da parte del fonda­ tore della psicoanalisi e ne smentiscono la presunta non-musicalità. Esistono vari altri indizi, raccolti e analizzati con meticolosa cura da Che1 «Si stia ad ascoltare e non ci si preoccupi di tenere a mente alcunché» (Freud, 1 9 1 2 , p. 53 3). È consigliabile lasciarsi sorprendere «con mente sgombra e senza preconcetti>>, oscillare da un atteg­ giamento psichico a un altro, senza «indulgere a speculazioni e a elucubrazioni>> (ibid., p. 53 5). L'at­ teggiamento mentale più vantaggioso per l'analista è quello di «abbandonarsi alla propria attività mentale inconscia con una attenzione fluttuante uniforme, evitando la meditazione e la formulazione di aspettative coscienti e senza fissare nella memoria alcunché » (Freud, 19z za, p. 443).

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shire (1 996), a favore di un'attenzione riservata alla musica da parte di Freud, che pure si dichiarava refrattario a quest'arte inaccessibile all'indagine intel­ lettuale (vedi l'Introduzione a Il Mosè di Michelangelo, 1 9 1 3 c).2 Nel 1 90 1 , ad esempio, in una lettera a Fliess, egli paragona l'analista a un abile musicista che suona sulla psiche del paziente in modo tale da creare una composizione armoniosa. E adopera un'altra metafora musicale per descrivere il progresso di un caso clinico: «Tutto va liscio e lo strumento risponde volentieri al si­ curo tocco dello strwnentista.» La migliore smentita della sordità musicale di Freud ce la dà comunque la sua stessa teoria. Che ci ha difatti insegnato come alla scena clinica e onirica ri­ sulti perfettamente funzionale un registro uditivo. Purtroppo però, dopo aver messo una certa qualità di ascolto al centro dell'attività clinica, Freud ha poi trascurato di esaminarla a fondo, quale mezzo ricettivo dell'inconscio, concedendo un indubbio privilegio al logos, al pensiero interpretativo verbale («portare l'Io laddove era l'Es»). Un'altra ra­ gione della mancanza di un'adeguata teoria dell'ascolto sta nella priorità ac­ cordata alla fantasia visiva rispetto a quella acustica. Teoria e clinica psico­ analitica hanno infatti abitualmente trattato le fantasie inconsce come un ma­ teriale organizzato in immagini visive. Si è dato più rilievo a un atteggia­ mento ricettivo-sognante e a concetti, come quellì bioniani di reverie e di fun­ zione alfa, sostanzialmente basati sull'immaginazione visiva.3

Contributo della musica all'attenzione libera e fluttuante Invitando l'analista a esercitare un ascolto eccentrico, decentrato rispetto ai contenuti, alle tracce mnestiche e alle aspettative coscienti, Freud lo ha di fatto invitato a cortocircuitare temporaneamente il pensiero razionale, a svi­ luppare capacità percettive libere da pregiudizi conoscitivi e a emancipare l'attenzione da tutto ciò che normalmente la vincola. La musica in qualche modo favorisce un simile affrancamento dalle con­ suetudini uditive, facendo sì che la nostra attenzione si sposti dal significato al significante sonoro, dal contenuto ai risvolti fonetici del discorso. Sensibi2 Mentre è impegnato nella stessura dell'Interpretazione dei sogni e nella lettura di un lavoro di Lipps, in una lettera a Fliess del J I!8/ 1 898 Freud fa cenno al suo non facile approccio ai suoni, dicendo: «Mi sto avventurando nel capitolo delle relazioni tra i suoni con i quali mi sono sempre trovato a disagio, mancandomi la più elementare conoscenza del soggetto a causa della mia scarsa sensibilità acustica.» Pochi anni dopo tuttavia, nei saggi dedicati al lapsus e al motto di spirito, di­ mostrerà la sua sensibilità alla componente fonetica delle parole. 3 Bion afferma esplicitamente che «la funzione alfa trasforma le impressioni sensoriali in ele­ menti alfa i quali hanno somiglianza - se addirittura non sono la stessa cosa - con le immagini vi­ sive che ci sono familiari nei sogni>> ( 1 96 2 , p. 2 8). Successivamente correggerà questo punto di vista, dicendo: «L'analista deve essere in grado di ascoltare non solo le parole, ma anche la mu­ sica, per riuscire a cogliere un commento che ha significati diversi se è fatto in toni di sarcasmo, o in termini di affetto e comprensione, o da persona autoritaria, pur essendo le stesse parole in cia­ scun caso» (Bion, 1 979).

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lizza l'orecchio ai ritmi, alla melodiosità, in una parola, al fraseggio di un di­ scorso. In fondo potenzia quell'attitudine, di cui siamo tutti naturahnente do­ tati, a trarre dalle intonazioni della voce informazioni sullo stato affettivo dei nostri interlocutori. Affinando la sensibilità per le componenti sonore del parlare, addestra l'udito dello psicoanalista ad accogliere i messaggi trasmessi involontariamente attraverso la vocalità. Inoltre, così come favorisce movimenti di danza, favorisce movimenti del pensiero o, si potrebbe dire, un pensare ballerino, una mobilità delle idee verso aree psichiche poco frequentate e verso percorsi mentali alternativi a quelli usuali. Abitua così la nostra mente a sintonizzarsi con quelle voci inaudite dell'inconscio che, sotto forma di segni espressivi e inflessioni canore, si in­ filtrano nella lingua parlata, sfuggendo, al pari dei lapsus, all'elaborazione co­ sciente. Per toccare affetti profondi, prima che possano essere detti, e per adden­ trarsi nel campo del preverbale, occorre dunque integrare un ascolto musi­ cale tra le funzioni psicoanalitiche della mente. Dal pensare musicale-arti­ stico la psicoanalisi può trarre preziose indicazioni sulla possibiltà di pre-con­ figurare gli affetti non ancora pensabili, in un contesto prevalentemente udi­ tivo, che prescinda momentaneamente da un assetto raziocinante. In virtù di un simile atteggiamento ricettivo, l'intonazione della voce, il respiro e il ritmo del discorso, il registro di petto o di testa della voce, le pause ecc., cioè tutte le componenti musicali del dialogo, acquistano un particolare rilievo e svelano un senso ulteriore rispetto ai contenuti delle comunicazioni verbali. L'ascolto, oscillando tra ciò che si è organizzato verbalmente e ciò che che si inscrive musicalmente nel verbale, si accosta alla parte non ancora simbo­ lizzata dell'esperienza e ai segni minimali dell'inconscio, fungendo da stru­ mento precognitivo di quest'ultimo. Tale tipo di ascolto, sensibilizzato ai va­ lori fonici e alle figure emergenti dal suono, scova nella musicalità del parlare un risvolto pre-rappresentativo che giace nell'inconscio in condizione di la­ tenza verbale. Sotto questo aspetto il latente non è solo un'altra scena sotto quella manifesta, ma anche tutto ciò che sta annidato nei suoni della voce a costituire l'ordito sonoro di un discorso a venire (Di Benedetto, 1 993). Fanno riflettere a questo proposito le osservazioni di Racker ( 1 95 1), il quale considera il piacere procurato dalla musica correlato al piacere provato dall'infante nell'udire i segnali acustici preannuncianti l'arrivo della madre, prima di poterla vedere. Piacere riattualizzato da un'«erotizzazione del­ l'udito». Il senso profondo della musica sarebbe quello di segnalare in anti­ cipo un oggetto e una relazione con esso, di creare cioè le condizioni psichi­ che per poterne sentire uno non visibile e per esplorare cose non ben rappre­ sentabili mentalmente. Qualunque suono si presta perciò, meglio di qualun­ que altro segno, a significare la realtà invisibile di oggetti interni e affetti, anti­ cipandone la forma simbolica verbale.

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L'ipotesi che scaturisce da quanto detto sopra è che nell'udito dell'analista venga elaborata una struttura significante, prelinguistica, una quasi-lingua, del tutto privata e segreta (Di Benedetto, 199 1 , 1996), che fa diventare ascol­ tabile ciò che l'analizzando non dice. L'inconscio di questi comincia allora a parlare con la mediazione di un sensibile ascolto. La sua caotica comunica­ zione riesce a trovare nella sfera sensoriale di un altro i primi elementi inte­ grati di una lingua, che sono di carattere sonoro. Nella stanza d'analisi l'ascolto musicalmente orientato dei suoni infraverbali funziona, tutto som­ mato, da primo strumento linguistico, al servizio di una realtà interna che non parla. Compito essenziale dell'ascolto psicoanalitico è, anche nell'opinione di Pettella (1998), «l'apprendimento di questa lingua sommersa e frammenta­ ria o addirittura l'invenzione di tale lingua» che esprima il livello non verbale della comunicazione. Così come il pittore e il musicista riescono a scovare tra le realtà del mondo invisibili segreti e suoni inauditi, lo psicoanalista, appellandosi a un pensare musicale-artistico, cerca in qualche modo di dare una forma preliini­ nare, sonora, a stati psichici non ancora rappresentabili concettualmente, sì da pre-figurare o ascoltare ciò che non sappiamo dire.

I segni fonetici delle emozioni4 «Non è necessario andare a cercare molto lontano per osservare che, se io parlo di argomenti elevati, l'innervazione della mia voce si modifica, la mia mimica cambia, tutto il mio contegno cerca di mettersi al diapason con la di­ gnità di ciò che io rappresento»: così scriveva Freud nel Motto di spirito (1905b). Ma già mezzo secolo prima Spencer (Origine e funzione della musica, 1857, cit. in Bagni, 1993) aveva fatto interessanti osservazioni sui rapporti tra musica e discorso quotidiano. All'origine di ogni musica vi sarebbe l'innata forza espressiva della voce umana, e nelle intonazioni del parlare corrente sta­ rebbero i germi di un linguaggio naturale delle emozioni. Il canto non fa­ rebbe altro che amplificare l'originaria musica vocale. Le sue tipiche compo­ nenti (timbro, volume, altezza, intervalli, dinainica) appaiono le stesse di un discorso emozionale. «Ogni discorso è composto da due elementi: le parole e i toni, con cui esse vengono pronunciate, cioè i segni delle idee e i segni dei sentimenti.» Le idee si articolano in pensieri verbali, i sentimenti in segni musicali. Questo dop­ pio versante della lingua parlata è spontaneamente percepito da tutti, «ognuno sa che che il più delle volte in un discorso il tono vale più delle pa­ role (...) l'esperienza quotidiana ci insegna inoltre che vi sono casi ancor più 4

Questo paragrafo e il successivo sono tratti, con alcune modifiche, da Di Benedetto (z ooo) .

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evidenti in cui le parole e il tono sono in aperta contraddizione (...) Tutta la musica è un'idealizzazione del linguaggio naturale delle passioni (...) assume come materia prima le varie modificazioni della voce che sono le risultanze fisiologiche di un'eccitazione del sentimento, le intensifica e le organizza a un livello di maggior complessità (...) le modificazioni della voce che vengono prodotte dai sentimenti sono i mezzi che permettono di suscitare sentimenti simili anche negli altri. Unite ai gesti e alle espressioni del viso, esse infon­ dono vita alle parole con cui l'intelletto esprime le proprie idee, che altri­ menti sarebbero morte; quindi permettono a chi ascolta, non solo di capire lo stato d'animo che accompagna le parole, ma anche di partecipare a questo stato» (Spencer, 1 8 5 7). Praticamente musica e canto nascono enfatizzando gli elementi di un parlare appassionato. Riescono perciò ad aggiungere ai contenuti da far «capire» un far «partecipare» emozionalmente, ovvero una comprensione dall'interno, susci­ tando le stesse passioni in chi ascolta. La coincidenza di «capire» e «partecipare» è uno dei nessi esistenti fra i territori della musica e della psicoanalisi. Una decina d'anni prima di Spencer, nel 1 847, Manuel Garcia, in un fa­ moso Traité complet de l'Art du Chant, aveva cercato di definire un sistema espressivo delle emozioni mediato dalla vocalità. I timbri, le sfumature, chiare o scure, della voce «rivelano il sentimento intimo che le parole non sempre esprimono a sufficienza e che talvolta tendono a contraddire» (ad esempio, il timbro scuro e metallico trasmette odio e minaccia, quello chiaro comunica invece riso e gioia, quello cavernoso dolore disperato). Ogni pas­ sione «intacca a modo suo l'organo vocale e ne modifica la capacità, la forma, la rigidità, in una parola, tutte le condizioni fisiche. L'organo allora è uno stampo che si trasforma incessantemente sotto l'azione delle diverse passioni e comunica la loro impronta ai suoni che lascia sfuggire (...) contribuisce inol­ tre alla descrizione degli oggetti esterni (... ) Se si tratta, ad esempio, di rap­ presentare un oggetto cavo, esteso o sottile, l'organo produce, per un movi­ mento mimico, dei suoni cavi, estesi o sottili». Come se, nell'esprimere un'emozione, si svolgesse una specie di rappresentazione drammatica all'in­ terno dell'apparato vocale (Montanari e Secchi, 1 993). Molti autorevoli studiosi del simbolismo fonetico hanno rivalutato le anti­ che convinzioni di Platone (Crati/o)i sulle relazioni naturali tra suono e senso, contro l'assunto di Saussure dell'arbitrarietà del segno linguistico. I primi ri­ tengono che le parole originarie si siano formate per un processo, potremmo dire, di mimetismo vocale, ossia per imitazione delle cose significate da parte dei suoni della voce. 5 Platone (Crati/o, 42 2 b) affermava: «Nome è imitazione della cosa mediante la voce.» Tom­ maso d'Aquino era anch'egli convinto, in linea con Platone, che «nomina sunt consequentia re­ rum», mentre Guglielmo di Occam, precorrendo Saussure, sosteneva l'opinione contraria, che cioè «nomina sunt flatus vocis».

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Se è vero che alle radici del linguaggio la voce tendeva a somigliare alla cosa che intendeva nominare, bisogna dire che tale somiglianza sembra es­ sersi conservata più nei segni dei sentimenti che nei segni delle idee. In altri termini, la voce tende a conformarsi ai vissuti del parlante più che ai conte­ nuti dei suoi pensieri. Le più recenti indagini fonologiche di lvan Fonagy (1993) hanno eviden­ ziato come le consonanti dure t, k, r, d siano più frequenti nelle formulazioni aggressive, mentre le consonanti dall'emissione morbida come la l o la m pre­ valgono nelle espressioni di tenerezza. Fonagy individua due fondamentali emozioni, la collera e la tenerezza, che si traducono in parametri fonatori op­ posti. La collera induce contrazione della glottide e intensa attività respira­ toria, con relativa compromissione della melodicità a vantaggio del ritmo e predominanza delle consonanti sulle vocali. La collera e l'odio determinano un incremento della tensione muscolare a tutti i livelli (addominale, toracico, glottideo, faringeo, linguale ecc.), producendo quindi movimenti contratti, irrigiditi, a scatti, anche nella lingua, nella faringe e nelle labbra. li che predi­ spone a suoni tesi e duri, a movimenti bruschi e repentini, che si riflettono in una curva melodica dalla configurazione angolosa, mentre quella dei senti­ menti affettuosi è arrotondata. L'angolarità della curva melodica è dovuta a una prevalenza delle consonanti sulle vocali (in tal caso il rapporto CN è molto elevato, cioè la durata del suono consonantico risulta maggiore di quella dei suoni vocalici) e all'elevata frequenza dei «colpi di glottide». Nella situazione di collera trattenuta, la contrazione dei muscoli espira­ tori, che indurrebbe all'emissione di una voce forte, è controbilanciata da una altrettanto energica contrazione dei costrittori glottidei. Le corde vocali si irrigidiscono e la voce «si strangola». Allorché si esprime tenerezza, al con­ trario, la tensione espiratoria è minima, la glottide rilassata, aperta, e tutto ciò comporta un'articolazione vocale sciolta, melodiosa, senza spigoli. L'ascolto musicalmente orientato favorisce la percezione di simili feno­ meni di mimesi vocale, e delle emozioni inconsce da essi preannunciate. Lo «stile vocale» è di solito occultato dal messaggio cosciente. La configura­ zione fonica viene ·mascherata dal contenuto degli enunciati. Occorre dun­ que far diventare trasparente il significante, svuotarlo della sua sostanza, per renderlo significativo di un'altra realtà, quella emozionale. Prestando atten­ zione a simili informazioni contenute nella vocalità dei pazienti, l'analista può ricavare utili orientamenti per le interpretazioni. Il Convitato di pietra

Vorrei ora illustrare con una breve sequenza clinica in che modo messaggi emozionali inconsci, inscritti nell'atto verbale, possono essere raccolti da un ascolto attento alle modificazioni prosodiche e timbriche del discorso. L'ipo-

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tesi è che il sognatore, nel raccontare un sogno, tenda a riviverne le emozioni e a riprodurle, non solo attraverso una rappresentazione visiva, ma anche, in una certa misura, attraverso una rappresentazione vocale. In altri termini, ho provato a immaginarmi l'analizzando come se fosse un interprete canoro dei suoi sogni, e mi sono disposto a seguirlo, più che nella narrazione della sua vicenda onirica, nelle possibili manifestazioni di un onirismo vocale. Dall'idea di un sogno che continua attraverso i segni fonetici della voce che lo racconta ho tratto preziose indicazioni sull ' affettività inconscia del sognatore e tracce significative di rappresentazioni che stentano a transitare sul piano visivo. Luigi, dopo una seduta cancellata dall'analista, sogna la scena seguente.

Sto aspettando il treno alla stazione Termini... Mi sento piuttosto inquieto nell'attesa. . . Tutt'a un tratto mi trovo lei davanti... e... mentre sta arrivando il treno... col braccio destro ingessato vengo incontro a lei, che resta sorpreso, come impietrito. Prima di raccontare il sogno, c'è stato un insolito, lungo silenzio. Mi chiedo innanzitutto che senso dare a questo silenzio, in contrasto con la sua abituale loquacità: se il senso di un'attesa fiduciosa o il senso di un comporta­ mento ostile. A dirimere il dubbio mi soccorrono alcune annotazioni fatte durante l'ascolto del resoconto. La voce è tesa, il timbro metallico, quasi ta­ gliente, le frasi brevi e intervallate da lunghe pause, l'andamento ritmico del fraseggiare in un primo tempo è assai lento, esitante, e poi invece, nel con­ cludere, diviene precipitoso, concitato. Formulo allora tra me e me un'ipo­ tesi interpretativa, piuttosto scontata: è arrabbiato con l'analista, che, annul­ lando la precedente seduta, ha mostrato poca compassione per il suo stato. Ma è in conflitto con questa emozione e non osa esprimerla. Usa quindi il si­ lenzio come difesa, per inibire qualunque manifestazione aggressiva, per «in­ gessare» il suo impulso a colpirlo rabbiosamente.6 Sorge a questo punto un altro dubbio: che cosa gli impedisce di comuni­ carmi i suoi sentimenti ostili? Si tratta di un'angoscia persecutoria (se aggre­ disco l'analista, lui si incattivisce e mi distrugge)? O è un'angoscia depressiva (se lo aggredisco, potrei fargli tanto male da essere io a distruggere lui e quindi perderlo)? Ancora una volta è il connotato sonoro delle verbalizzazioni di Luigi che mi suggerisce un indirizzo interpretativo. Oltre all' improvvisa accelerazione, simile a una frustata o a un pugno secco, che arriva dopo una fase· prudenziale di studio, appare evidente un prevalere di suoni duri (soprattutto post-den­ tali occlusive, t e d, e post-dentali vibranti, r. Tali elementi fonetici rivelano un comportamento motorio non visibile, una tendenza a chiudere secca­ mente il contatto con l'esterno, a rompere, più che mantenere aperto, il rap­ porto sociale (alta incidenza di suoni consonantici occlusivi e ritmo precipi6 Per inciso vorrei far notare che la scena onirica descritta, considerata nei suoi aspetti iconici, non fornisce particolari indizi sullo stato emotivo del sognatore, che mi è stato invece segnalato da alcuni elementi fonici della voce narrante.

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toso nel concludere il discorso), a incontrare l'altro più che a rendersi dispo­ nibile. Se ci fosse una preoccupazione depressiva per l'analista, sarebbe meno guardingo e timoroso nel muoversi e userebbe un timbro meno pungente, suoni più dolci e affettuosi, più aperti, più conformi a un atteggiamento di autocritica e apertura sociale. Gli chiedo quindi, per verificare la mia ipotesi, che cosa gli suggerisce l'an­ dare incontro all'analista, nella situazione del sogno, con un movimento che sembra tanto repentino e pieno di foga, in contrasto con la situazione di poco prima, statica, di attesa. Mi parla a questo punto della sua passione per la pal­ lavolo e della sua abilità nello «schiacciare>> con la mano destra la palla ad­ dosso agli avversari, nonostante la bassa statura. Provava una gioia trionfante. Batteva gli avversari sul tempo, prima che loro battessero lui, una specie di «mors tua, vita mea». Li sorprendeva con un movimento secco, uno scatto, che nessuno si aspettava da uno come lui, «}asciandoli di stucco». «Come impietriti», aggiungo io, alludendo all'analista del sogno. «Sì, proprio così, immobilizzati, come blocchi di pietra, dalla sorpresa», ribatte lui. «E a proposito di blocchi di pietra che altro può dire?» «Mi viene in mente il "Convitato di pietra", il Commendatore, che Don Giovanni uccide, ma che poi torna alla fine dell'opera per vendicarsi.» Decido allora di adottare l'ipotesi interpretativa di una collera inibita da angosce persecutorie: vorrebbe scaricarmi addosso la sua rabbiosa frustra­ zione, ma non osa colpirmi, poiché, colpendomi, potrebbe sì neutralizzare un nemico, }asciandolo «impietrito» per la sorpresa, ma dovrebbe poi te­ rnerne la ritorsione (il Convitato di pietra) e un'altra probabile mortifica­ zione, non meno dolorosa del tradimento e dell'abbandono subiti il giorno precedente. Desidererebbe «schiacciare» l'analista, così come faceva con gli avversari di pallavolo, ma, temendone troppo la reazione vendicativa, si «in­ gessa» il braccio con cui dovrebbe eseguire il colpo. Tuttavia la rabbia, ingessata nel braccio, trapela nel suo atteggiamento si­ lenzioso e nelle componenti fonetiche delle verbalizzazioni, che esprimono un movimento ostile trattenuto. La tendenza a colpire è rappresentata da suoni duri, mimanti azioni repentine, rigide, contratte come quelle, sbriga­ tive e brusche, che si compiono per far capire a qualcuno che non si desidera trattenersi con lui e per escluderlo dal proprio contesto relazionale. La rab­ bia, inibita nei movimenti degli arti, che avrebbero comportato un'aggres­ sione troppo esplicita e troppo colpevolizzata, si traduce in altri movimenti, quelli dei muscoli articolatori della parola. In conclusione, esistono gesti frmatori che mirnano altri gesti espressivi più visibili.

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Discussione Se l'approccio al sogno è tale da privilegiare i suoni della voce che lo rac­ conta, invece delle immagini oniriche, pian piano risulta possibile identifi­ care le emozioni e i pensieri impliciti nei gestifonatori che ne accompagnano la descrizione. Se ne fa sfumare così il significato «manifesto», legato a un'evidenza visibile, e lo si prepara a conseguire un altro ordine di significati, quelli >. Rossi ha selezionato, in una lunghissima lista di nomi possibili, quattro autori: Sinesio di Cirene, Keplero, Newton e Descartes. E dei primi tre in particolare ci presenta le sug­ gestive evoluzioni culturali in materia di sogni, integrandole con elementi biografici perti­ nenti, coloriti e spesso illuminanti. Non senza aver precisato, preliminarmente, che prima di essere intesi come messaggi che provengono dal mondo interno o dalla psiche, per molti millenni i sogni sono stati in­ terpretati come messaggi che provengono dall'esterno: «Ad esempio, i Greci non parla­ vano di avere o difare un sogno, ma di vederlo. >> n sogno visitava il sognatore, o gli stava sopra. In linea con tutto questo, Sinesio di Cirene (3 70-41 5) era impegnato a sostenere che i sogni rivelano il futuro, e che l'oniromanzia è una nobile arte divinatoria. Ma la storia più sorprendente e sconcertante è quella di Keplero, figlio di una «strega>> e autore di un libro-sogno che segna il passaggio dalla letteratura fantastica sulla luna a una letteratura fantastico-scientifica: uno strano miscuglio di fantaSia fantascientifica, realismo cognitivo (Keplero teneva saldamente il punto, con autentica competenza post-coperni­ cana, sugli effettivi rapporti sole-terra-luna) e allusività autobiografica, resi forse ancora più criptici dalla durezza repressiva della cultura retriva allora dominante. Non anticiperò altro, lasciando al lettore il gusto della scoperta di questo notevolissimo saggio; al termine del quale Rossi spezza con decisione una lancia in favore della «visione moderna o non magica del sogno», che ci segnala essere un frutto recente e ancora relati­ vamente instabile dell'evoluzione culturale occidentale: il magico tende continuamente ad affiorare. E, come un ricorrente rimpianto del mondo magico, egli ci segnala in particolare «le interpretazioni di Freud come esponente di un atteggiamento acritico verso il sapere scien­ tifico, come l'invecchiato rappresentante di una mentalità illuministica e positivista >>: ri­ gurgito antiscientifico di molteplici settori «culturali» che reclamano la restaurazione di una visione puhblica del sogno, in luogo di quella individuale e privata che la psicoanalisi ha proposto «chiudendo le porte fra la notte e il giorno>>.

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Riusciremo - si chiede infine Rossi, con una netta e coraggiosa presa di posizione - a far sì che la perdita delle illusioni possa non coincidere con il desiderio di una regressione? Con un agile, sensibilissimo gioco di rifrangenze e di riconoscimenti dell'esperienza inte­ riore, il filosofo Remo Bodei, con Il paesaggio tki sogni, ci accompagna in una perlustrazione inusuale, per noi analisti, della «infrarealtà, intermundia o Zwischemoelten» in cui sogno e arte abitano la nostra vita. È una perlustrazione inusuale perché utilizza strumenti descrittivi diversi dal formula­ rio scientifico cui facciamo convenzionalmente ricorso; e anche perché, senza utilizzare casi clinici, rimanda a una più generalizzata universalità dell'esperienza, descritta con mae­ stria nelle sue innumerevoli sfaccettarure e nel suo divenire dinamico. Bodei fa riferimento a tre concetti metapsicologici (condensazione, spostamento, la­ voro onirico), che gli servono come punti di aggregazione del discorso: attorno a essi svi­ luppa le sue «riflessioni libere» sull'incremento di perspicuità, la compresenza di identità e diversità, lo sporgere di aspetti nuovi e multipli, il troppo ricco e la polisemia dei sogni; il loro far credere nell'incredibile, «giocando alla roulette dei possibili» e «ruminando» gli eventi inelaborati, in un lavoro conoscitivamente più utile per il lungo periodo che per l'immediato. E ancora, l'affascinante problema del: «Chi sogna?», dato che nel sogno «sperimen­ tiamo l'alterità e la pluralità dentro di noi»; pur percependo al contempo, dentro di noi, la presenza di un proustiano «ornino di piombo», stabilizzatore dell'identità. La «deformazione di un luogo a noi ben noto» è l'esperienza onirica emozionante da cui parte il discorso di Bodei. In effetti, è ciò che ci fa vivere lui con il suo scritto. In esso noi psicoanalisti vediamo raffigurati «luoghi» teorici ed esperienziali che ci sono familiari, ma che la sua modalità descrittiva, libera ed elegante, ci presenta sotto una luce diversa, con inconsueti chiaroscuri: la « fiamma della candela» di Bachelard, da lui evocata, fun­ ziona anche per noi. Partendo invece da un punto di vista strettamente psicoanalitico, Antonio Alberto Semi in Il sogno altrui: un interrogativo sull'individuo ci riporta alla natura profondamente ano­ mica e selvaggia del sogno, «polo di una coppia al cui altro estremo sta la civiltà>>, e alla difficile dialettica del soggetto con tale coppia di opposti. Semi segue due piste iniziali, quella del «sogno altrui>> riferito in analisi o nella quoti­ dianità, e quella del «il mio sogno è di . . . >>, desiderio individuale prospettico. Egli nota acutamente che il primo, il sogno altrui, è di solito riportato e ambientato spa­ zio-temporalmente con una certa precisione; il secondo, il «desiderio del cassetto», con notevole vaghezza atemporale: il definirsi soggettivo, evidentemente, non è compito age­ vole, per vari motivi. Ma non lo è nemmeno il riconoscere gli «altri noi stessi>> che sono contenuti nell'«al­ tro che ci racconta un sogno>>: e questo mi fa tornare in mente la rappresentazione dell'In­ conscio nella Lettera a Groddeck: «Quel signore dal loden verde di cui non riesco a vedere la faccia>>; o l'inquietante, frammentata incertezza sulla pluralità del singolo messa in scena da Pirandello; e l'elenco potrebbe continuare. La modernità ha esaltato e al tempo stesso posto in crisi il soggetto come tale; e Semi ci segnala anche che esistono contemporaneamente due «civiltà», due livelli di convivenza comunicativa tra gli umani: «Quello basato sulla comunanza e sulla comunicazione dei de­ sideri inconsci e dei loro derivati, e quello basato sulla regolamentazione, la simbolizza­ zione e la metaforizzazione delle relazioni materiali. » n cammino integrativo verso un a soggettività articolata, m a sufficientemente coesa, re­ sponsabile e - in fondo - tollerante verso un'inafferrabilità di buona parte del Sé, non può essere né facile, né mai realmente completabile. Inoltre Semi, ben conscio dei cambiamenti in atto nella nostra civiltà, si chiede quale sarà il destino del desiderio in un mondo che sta organizzandosi, per certi aspetti, per po­ terne fare a meno; si riferisce soprattutto alle nuove tecniche di procreazione assistita, che bypassano la sessualità e il desiderio, in un certo senso rendendoli inutili.

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E la psicoanalisi stessa, svelatrice e comunicatrice di desideri individuali e comuni, sarà tollerata? Lo stile di Semi propone al lettore un impatto freudianamente disincantato, a tratti in­ quietante nel suo cogliere il mondo che cambia, segnalandone tendenze e mutazioni ai com­ pagni di viaggio : come una vedetta lungimirante, ci richiama a un assetto psicoanalitico nell'indagare la realtà contemporanea con i suoi imprevedibili sviluppi e scarti, dimostrando un costante e autentico interesse - che definirei «sociale» - per la condivisibilità della co­ noscenza. n saggio di Domenico Chianese (Sogno, visione, 11UJdernità) contiene un appassionante détour culturale, realizzato attraverso la citazione di letture evocanti il confine - o, in molti casi, il « chiasma» - c4e separa e al contempo unisce il passato e il presente, il sogno e la ra­ gione, l'interno e l'esterno, il visibile e l'invisibile: il confine tra Antico e Moderno, in rela­ zione al sogno. Chianese prende le mosse dal famoso sogno con autointerpretazione di Cartesio, che fu commentato da Freud nel 1929: se Freud colse in quell'interpretazione la realizzazione di un conflitto pulsionale di Cartesio, altri Oa commentatrice Clara Gallini) sottolineano la scelta del filosofo di non intendere il proprio sogno secondo un criterio di universalità ri­ velatrice e sacra, ma come il riflesso sull'individuo di una sua situazione contingente: un «processo di dissacrazione dell'esperienza onirica - scrive Chianese - in nome di una ci­ viltà della veglia», basato sulla ragione. Ciò in contrapposizione alle «civiltà di sogno » (mondo antico e culture non occiden­ tali), che assegnano al sogno una funzione conoscitiva non solo riguardo al mondo interno, ma anche riguardo a quello esterno. Eppure, nota l'autore, l'approccio antico al sogno persiste: nella subcultura (il sogno per il gioco del lotto), nell'ambito religioso, nella cultura generale e perfino nella psico­ analisi. Gli «oggetti interni» della scuola kleniana possono essere paragonati con le figure de­ gli «antenati>> delle antiche civiltà, «potenze atemporali che in senso salvifico o terrifico determinano la vita delle persone». Chianese riprende poi alcuni temi a lui molto cari, come quelli dello spazio psicoanali­ tico come «luogo della visione>> e del dispositivo psicoanalitico come « apparato per ve­ dere>>; egli nota che ciò che distingue il sogno dalle altre formazioni dell'inconscio è il vi­ sivo, ma in realtà il sogno ci permette di «vedere» ciò che, nella veglia, sfugge alla «vista>>. Per converso, si chiede «cosa cerca di vedere lo psicoanalista impegnato nella "ricerca empirica", quando è portato a introdurre la cinepresa nella stanza d'analisi>>; e, sempre in tema di perplessità, si augura che la psicoanalisi «moderna>> non cada nell'«abisso del pre­ sente» con un'enfasi radicalizzante su hic et nunc e «presenza dell'analista>>, perdendo la sua funzione interrogante sul passato, l'alterità, l'altrove, l'assenza.

Capitolo 1 8 Sogni d i filosofi

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Premessa In un libro di Clifford Geertz ( 1 992) ho trovato raccontata una breve sto­ ria tratta da Sakuntara di K.alidasa, uno dei testi più famosi della letteratura sanscrita. La storia racconta di un saggio accovacciato davanti a un grosso ele­ fante in carne e ossa che sta proprio davanti a lui. TI saggio dice: ��Questo non è un elefante. » Solo più tardi, quando l'elefante si è girato e ha cominciato ad allontanarsi, il saggio comincia a chiedersi se dopotutto non poteva esserci in giro un elefante. Alla fine, quando l'elefante è ormai completamente scom­ parso dalla sua vista, il saggio osserva le orme dei piedi che la bestia si è la­ sciata dietro e dichiara con certezza: «Un elefante era qui.» Forse anche la storia delle idee, come l'antropologia, assomiglia a questo: cercare di ricostruire elefanti elusivi, ormai del tutto andati via, partendo dalle orme che hanno lasciato. Se uno dedica la sua vita a una ricerca di que­ sto tipo, non ne ricava certo grandi sicurezze, né un senso di completezza e neppure la sensazione di sapere con certezza a che cosa stia dando la caccia. Ma sono d'accordo con Geertz: si tratta di un modo interessante, disorien­ tante, utile e divertente di passare una vita (Geertz, 1 992, p. 200). Ho raccontato, a guisa di premessa, questa breve storia perché, in un libro intitolato Il sogno cento anni dopo, parlerò di sogni e di discorsi sui sogni di molti secoli prima.

I sogni, ilpassato, gli psicoanalisti Ci si può laureare brillantemente in fisica (e si può anche vincere un pre­ mio Nobel per la fisica) senza aver mai letto una riga di Galilei, di Newton o di Maxwell. Si può diventare biologi (anche famosi) senza aver mai avuto da­ vanti agli occhi una pagina di Darwin o di Pasteur. Per i cultori delle cosid­ dette scienze umane accade il contrario: per laurearsi in lettere bisogna aver

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letto direttamente Dante e Ariosto e Pirandello, per laurearsi in filosofia Ari­ stotele e Kant e Husserl. Credo che la grande letteratura sui sogni, che ha ca­ ratterizzato la tradizione dell'Occidente cristiano, non occupi molto del tempo che gli psicoanalisti dedicano alla loro formazione. Non so bene a che punto siano arrivati gli epistemologi nei loro discorsi sull'appartenenza della psicoanalisi alle scienze umane o a quelle naturali, ma da questo punto di vi­ sta (che è quello di chi è attento, più che alle teorie, ai comportamenti dei mem­ bri delle comunità intellettuali) gli psicoanalisti si comportano più come gli scienziati che come i letterati o i filosofi. Sono interessati ai processi tempo­ rali, e il tempo è una dimensione costitutiva e non marginale della loro vi­ sione del mondo. Ma, da circa un secolo, dispongono di una teoria e la fanno crescere mediante la pubblicazione di libri e di articoli scritti per gli addetti ai lavori. Ciò che sta prima della teoria «scientifica» - vale a dire ciò che sta prima di Freud - non li interessa molto. A differenza, per esempio, di quanto fanno i filosofi, scrivono dei manuali. Via via che la ricerca procede, li riscri­ vono. Fanno i conti con una pluralità di tendenze, di orientamenti, di scuole. Ma, come tutti gli altri scienziati, tendono a dimenticare il passato dei loro problemi. Ci sono degli psicoanalisti che si sono occupati della storia del so­ gno e ci sono anche fisici che hanno scritto pagine importanti su Galileo e su Newton. Ma le pagine storiche dei fisici, così come quelle degli psicoanalisti, servono di abbellimento alla professione, non costituiscono elementi neces­ sari alla padronanza della professione. È vero che, a differenza dei biologi che non leggono più Darwin, tutti o quasi tutti gli psicoanalisti leggono diretta­ mente almeno alcune opere di Sigmund Freud, ma è anche vero che, come i biologi non sono affatto interessati a ciò che sta prima di Darwin, gli psico­ analisti non sono tenuti a frequentare i testi che precedono quelli di Freud. A leggere il paragrafo dedicato a Lectures and Seminars del saggio di Anne­ Marie Sanders intitolato On the Transmission of Psychoanalysis today, si può avere addirittura l'impressione che anche gli psicoanalisti si avviino a com­ portarsi esattamente come fanno i biologi con Darwin. Quando ero candi­ data - ha scritto la Sanders - le lezioni di Freud erano considerate «la basi­ lare e più importante introduzione alla psicoanalisi». Oggi le cose non stanno più così. Molti candidati trovano scarsamente interessante la diretta lettura di Freud per le esigenze immediate del loro lavoro con i pazienti. «Un inte­ resse reale - prosegue la Sanders - si affaccia quando si parla degli analisti in­ glesi "moderni", Melanie Klein, Winnicott e Bion. Ciò naturalmente non viene mai pubblicamente riconosciuto, ma viene apertamente detto fra i candidati. Di fatto, come risultato del nostro insegnamento in anni recenti, molti mem­ bri della Società, e anche alcuni membri anziani, hanno solo una scarsa co­ noscenza (scanty kn(fUJ/edge) dell'opera di Freud» (Sanders, 1998, pp. 70-72).1 1 Debbo l'indicazione di questo testo a Mario Rossi Monti.

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In tutto questo non c'è davvero nulla di strano. Come fu già affermato da Ludwik Fleck nel lontano 193 5, quanto più un detenninato campo del sapere si presenta come fortemente strutturato, tanto più i concetti che in esso sono presenti diventano coerenti con l'insieme e suscettibili di definizioni recipro­ che che rinviano di continuo l'una all'altra. Quella rete di concetti dà luogo, nelle cosiddette scienze «mature», a una sorta di intreccio inestricabile, a qualcosa che assomiglia non a una raccolta di frasi, ma alla «struttura di un or­ ganismo». ln quella struttura tutte le singole parti adempiono a una specifica funzione e nessuna parte può essere tolta senza danno per l'insieme. Le parti sono in continua reciproca interazione e l'organismo deriva da uno sviluppo comune. A una certa distanza dalla sua nascita e al tennine di un ciclo di svi­ luppo, quando una scienza si è assestata nella sua specificità e come tale viene riconosciuta, le fasi iniziali dello sviluppo non appaiono più facilmente com­ prensibili: l'inizio viene compreso ed espresso in modi assai diversi da come era stato compreso ed espresso agli esordi del processo (vedi Fleck, 1 993). Gli scienziati riscrivono continuamente i loro manuali, ma riscrivono con­ tinuamente «una storia all'indietro». Perché mai dare valore a ciò che attra­ verso la costanza e l'intelligenza di generazioni di ricercatori è stato possibile abbandonare? Perché collocare fra le cose degne di essere ricordate gli innu­ merevoli errori e le molte superstizioni di cui è piena la storia umana? Nella ideologia della professione scientifica - ha scritto una volta Thomas Kuhn - è profondamente radicata una svalutazione della storia. Rispetto al loro proprio passato artisti e scienziati hanno reazioni nettamente divergenti: «li successo di Picasso - ha scritto ancora Kuhn - non ha relegato i dipinti di Rembrandt nelle cantine dei musei d'arte. I capolavori del passato prossimo e di quello più lontano giocano ancora un ruolo vitale nella formazione del gusto del pub­ blico e nell'iniziazione di molti artisti al loro mestiere. Si vedono pochi scien­ ziati nei musei della scienza, la cui sola funzione è, in ogni caso, o di comme­ morazione o di reclutamento, non di produrre padronanza della professione. A differenza dell'arte, la scienza distrugge il suo passato» (Kuhn, 1985, p. 38 1). Vale la pena di fermarsi su questo punto che ha un'importanza decisiva. Anche quando si usa una stessa parola e il referente sembra lo stesso, l'og­ getto di una scienza non coincide affatto con l'oggetto di cui parla la storia della scienza. Un'opera storica come The Meaning ofFossils di MJ.S. Rudwick ( 1976) non parla dei fossili nello stesso modo in cui ne parla un trattato di geologia del ventesimo secolo. Quel libro prende in considerazione discorsi sulla natura dei fossili che non coincidono affatto con quelli nei cui termini i fossili sono divenuti oggetti della geologia una volta che essa si è costituita come scienza e ha costruito, sulla base di una specifica definizione-teoria, il suo specifico oggetto. Lo stesso vale, ovviamente, per la caduta dei gravi o l'evoluzione delle specie viventi, per gli elementi della chimica o la nozione di cristallo (vedi Canguilhem, 1 908, pp. 1 6 sg.).

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Esistono connessioni fra il linguaggio scientifico e il mondo, ma quelle connessioni non sono date una volta per tutte. Terra, Marte, Luna, Venere vennero distribuiti in modo diverso, attraverso mutamenti nelle teorie, «en­ tro differenti famiglie di oggetti naturali». La Terra diventa simile alla Luna e a Venere dopo Copernico, non prima. La Luna appartiene alla famiglia dei pianeti prima di Copernico, non dopo. Un aspetto saliente delle rivoluzioni scientifiche, ha scritto Kuhn, è «la redistribuzione di individui tra famiglie e tipi naturali con la conseguente modificazione dei caratteri salienti per il ri­ ferimento» (Boyd e Kuhn, 1983, pp. 107, 1 09). Il significato dei termini è una funzione dell'apparato teorico che lo so­ stiene. Tale significato varia nel tempo e variano corrispondentemente nel tempo anche gli «oggetti» o le «entità» delle quali parlano le scienze. Quello che ho detto fin qui per le nozioni di fossile, di cristallo e di pianeta vale an­ che per la nozione di sogno. Per riprendere contatto con quell'oggetto dimenticato (non dagli storici, ma dagli psicoanalisti) che è il sogno prima di Freud converrebbe cominciare con il Libro dei sogni di Artemidoro (n sec. d.C.) che distingue fra i sogni che sono il preavviso di accadimenti futuri e le visioni che rispecchiano le condi­ zioni presenti del corpo. Il Somnium Scipionis occupava le ultime pagine del De Republica di Cicerone. li Commentarius in somnium Scipionis di Macrobio (morto attorno al 42 2 d.C.) sarà alla base della rinascita di un pensiero sui so­ gni nel pensiero cristiano del xn secolo, accanto al De spiritu et anima dello pseudo-Agostino. Un indice di argomenti Non farò l'errore di addentrarmi in una biblioteca sulla storia dei sogni che comprende alcune migliaia di titoli. Il mio titolo Sogni di filosofi è (volu­ tamente) ambiguo, e può far riferimento ad ambiti differenti. Ci sono mol­ tissimi filosofi che hanno parlato della natura o dell'essenza del sogno, del suo essere legato al corpo o alla mente o a entrambi, della sua capacità pre­ dittiva, dei rapporti tra fantasia e sogno, dei pericoli e dei vantaggi del so­ gnare. Ci sono stati filosòfi che hanno presentato i loro propri pensieri come pensieri sognati in un sogno (uno dei più celebri è Denis Diderot, un altro è Keplero). Ci sono filosofi che hanno interpretato sogni o hanno pensato ai sogni come capaci di contenere messaggi decisivi per la storia e il destino del genere umano. Infine ci sono stati filosofi che hanno sognato dei sogni e Crac­ contandoli) li hanno consegnati alla posterità: il più famoso, ma certo non l'unico o il più significativo è, come tutti sanno, René Descartes. Ho scelto, in una lunghissima lista di nomi possibili, quattro nomi. Il primo (Sinesio di Cirene) serve a dare un'idea di che tipo di discorso sia stato quello svolto dai filosofi sui sogni tra la fine del mondo classico e i primi se-

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coli dell'era cristiana. ll secondo nome, quello di Keplero, è esemplare delle presentazioni di teorie e di idee come sogni all'inizio dell'età moderna. Tra i filosofi che hanno visto nei sogni (o in un particolare sogno) messaggi deci­ sivi per la storia del genere umano ho scelto di accennare a quel filosofo na­ turale al quale viene concordemente attribuita la qualifica di padre fondatore della fisica moderna e della scienza moderna e che risponde al nome di Isaac Newton. Penso che il loro lavoro e le loro letture non spingano gli analisti a frequenti contatti con Sinesio di Cirene, con Keplero, con Newton. A De­ scartes, dato che tutti conoscono le pagine di Freud sui suoi sogni, dedicherò invece solo poche righe.

I sogni: messaggi dall'interno e messaggi dall'esterno «Poiché in generale anche alcuni animali, oltre l'uomo, sognano, i sogni non possono essere mandati da dio, e non esistono in vista di tale scopo: sono quindi opera demonica, perché la natura è demonica, non divina. Ed ecco la prova: uomini veramente semplici sono capaci di prevedere e hanno vividi so­ gni: ciò dimostra che non è dio che manda i sogni, ma tutti quelli che hanno natura ciarliera e atrabiliare vedono visioni di ogni sorta. Dal momento che essi sono soggetti a stimoli numerosi e di ogni sorta, riescono ad avere ca­ sualmente visioni simili agli eventi e indovinano in questo come chi gioca a pari e a dispari, perché anche a questo proposito si dice: "A furia di tirare, una volta o l'altra ce la farai. " Lo stesso succede qui» (Aristotele, Div. per somm. 46Jb, 1 2- 2 2 ) / I sogni, le allucinazioni dei malati di mente, le illusioni dei sani di mente (come avviene quando si scambia uno sconosciuto con la persona che si d esi­ dererebbe incontrare) hanno, per Aristotele, un'origine comune. I testi di Aristotele non cessano di stupirei per la loro modernità. Ma l'affermazione di Aristotele che i sogni, anche se non sono inviati dagli dei, sono tuttavia de­ monici perché la Natura è demonica piacque molto a Sigmund Freud (ibid. , 1 5 sgg.; 464, zo sgg.; vedi Dodds, 1 959, p. 1 5 5). Lo stesso sguardo spregiudicato e irriverente tornerà più e più volte e ac­ compagnerà nei secoli il discorso sui sogni. Basteranno due esempi attinti al mondo latino del primo secolo avanti Cristo e del primo dopo Cristo. Per Lucrezio (De rerum natura, IV, 1 0 1 1 -46) i sogni non sono messaggi di prove­ nienza divina ma curiosi fenomeni che creano terrori e illusioni così forti e persuasivi da suscitare quegli stessi moti del corpo che vengono suscitati dalle esperienze del mondo della veglia:

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Tuttavia nell'Etica Eudemia ( 1 2 46a) Aristotele attribuisce ai temperamenti malinconici la possibilità di sogni che prevedono il futuro.

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Anche le menti degli uomini, che nei loro ingenti moti producono grandi imprese, spesso le compiono anche in sogno: i re combattono, cadono prigionieri, provocano battaglie, e nel loro stesso letto gridano come se qualcuno li sgozzasse. Molti si dibattono, emettono gemiti di dolore, e come se fossero sbranati dai morsi d'una pantera o d'un feroce leone, riempiono tutte le stanze di urli laceranti. Molti svelano nel sonno gravi segreti, e spesso sono essi stessi gli accusatori d'una propria colpa. Molti affrontano la morte. Molti, come se da un'alta montagna precipitassero a terra con tutto il peso del corpo, sussultano di terrore, e dal sonno, quasi dissennati, ritornano a stento in sé sconvolti d'una corporea tempesta. Parimenti l'assetato si sofferma presso un corso d'acqua o un'amena sorgente, e gli sembra di trangugiare tutto il ruscello. Spesso dignitose persone, se avvolte nel sonno credono di alzare la vesta davanti a una latrina o a un vaso, spargono il liquido filtrato da tutto il corpo e ne sono bagnate le coltri babilonesi di magnifico splendore. E a quelli in cui nel varco dell'adolescenza si insinua per la prima volta il seme, quando il tempo maturo l'ha fatto secernere dalle membra, accorrono dall'esterno sirnulacri da vari corpi, messaggeri d'affascinanti volti e d'un leggiadro incarnato, che eccita stimolando le parti turgide di molto seme, in modo che, quasi avessero goduto d'un pieno amplesso eiaculano larghi fiotti di liquido e ne macchiano la veste.

Anche Petronio (che si uccise nel 66 d.C.) nega ogni origine divina ai so­ gni. Vede in essi solo un libero divagare della mente, quando il corpo è pro­ strato dal sapore. E fa una precisazione importante: Somnia sibi quisque facit, vale a dire: ciascuno costruisce per sé i suoi sogni. Il sogno è un fatto privato: Né i templi degli dei, né le luci dall'etere mandano i sogni che illudono la mente con ombre fugaci. Ciascuno si costruisce i suoi sogni. Infatti quando le membra languono nel sonno, la mente, senza peso, è libera di vagare.

La posizione così persuasivamente scettica espressa da Aristotele e quella così freddamente descrittiva che è presente in Lucrezio e in Petronio non sono tuttavia quelle dominanti nel mondo antico. Prima di essere interpre­ tati come messaggi che provengono dal mondo interno o dalla «psiche», per molti millenni, i sogni sono stati interpretati come messaggi che provengono dall'esterno. Questo esterno ha a che fare con lo spazio: i messaggi provengono da altri abitanti della Terra oppure dai demoni e dagli dei che sono presenti nel nostro stesso mondo. Questo esterno ha a che fare con il tempo: i mes­ saggi provengono dal passato o provengono dal futuro: sono le improvvise riemergenze e i segni di verità perdute oppure sono profezie, capacità di ve­ dere al di là degli apparentemente insuperabili confini del tempo. Ci sarebbe quasi da meravigliarsi che il punto di vista del privato o del mes-

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saggio che proviene dall'interno abbia finito per trionfare. Come scrisse Eric R. Dodds, in un libro che è diventato un classico, «il mondo allo stato di ve­ glia ha sì alcuni vantaggi di concretezza e continuità, ma le sue possibilità so­ ciali sono molto strette: vi incontriamo soltanto i nostri conoscenti, mentre nel mondo dei sogni si possono avvicinare, sia pure di sfuggita, gli amici lon­ tani, i morti, gli dei; normalmente è l'unica esperienza che ci sottrae alla ti­ rannia penosa e incomprensibile del tempo e dello spazio. Non è quindi sor­ prendente che si sia esitato ad attribuire realtà ad uno solo di questi mondi, liquidando l'altro come mera illusione» (Dodds, 1 959, p. I I 9). Ai sogni è infatti connesso il tema dell'andare nell'aldilà e del tornare dall'al­ dilà. «Questo nucleo narrativo elementare ha accompagnato l'umanità per mil­ lenni. Le innumerevoli variazioni introdotte da società diverse, basate sulla cac­ cia, l'allevamento, l'agricoltura, non ne hanno modificato la struttura di fondo. Perché questa permanenza? La risposta è forse semplicissima. Raccontare si­ gnifica parlare qui e ora con un'autorità che deriva dall'essere stati (letteral­ mente o metaforicamente) là e allora» (Ginzburg, 1 989, pp. z 88 sg.).) L'anima, troviamo in Senofonte, mostra la sua natura divina nel sonno. Nel sonno gode di un certo intuito circa l'avvenire. E questo accade perché nel sonno gode della massima libertà (vedi Dodds, 1 959, p. 1 60). Platone de­ finisce il sogno come l'azione dell'immaginazione nel sonno (Timeo 45e), ma pensa anche che nel sonno l'anima percepisca cose che non sapeva prima, sia nel passato e nel presente, sia nell'avvenire (ibid., p. 160 n. z ) . I Greci, come ci ha ricordato Eri c R. Dodds, non parlavano mai di avere o fare un sogno, ma sempre di veder/o. In Saffo, Eschilo, Euripide, il sogno visita il sognatore o, come in Erodoto, gli sta sopra (epistenat) (ibid., pp. 24 sg.). La distinzione fondamentale fra i sogni è quella fra sogni significativi e non significativi. Il sogno divino, che reca un messaggio degli dei, può anche essere provocato servendosi dell'isolamento, della preghiera, del digiuno, del dormire in un luogo sacro o sulle pelli di animali sacrificati. Come nell'Eneide (Vll, 88-9 1): Si sdraia sui velli distesi delle pecore sgozzate e si immerge nel sonno. Vede vagare molti fantasmi in forme strane. Ode molte voci. Può entrare a colloquio con gli dei. Interroga Acheronte nel profondo Averno.

Nel libro dei Numeri ( 1 2 , 6-8) dell'Antico Testamento è presente una di­ stinzione importante, quella fra i sogni e le visioni: «Ascoltate le mie parole! Se ci sarà tra di voi un Profeta del Signore, in visione gli apparirò o in sogno J Ginzburg richiama, a proposito della risposta sernplicisssirna, l/ narratore di Walter Benja­ min . Sulla geografia ultraterrena dei viaggi nell'aldilà (l'aldilà sottoterra o nei cieli o a oriente o a occidente), sulle coordinate alto-basso, est-ovest vedi C. Segre, FUIJri dal 11l01llkl. I modelli nellafol­

lia e nelle immagini dell'aldilà, Einaudi, Torino 1 990; }. Amat, Songes et visions. L 'au-tklà dans la littérature latine tardive, Paris 1 985. Sui sogni nel mondo classico: G. Guidorizzi, Il sogno in Gre­ cia, Laterza, Roma-Bari 1 988; R.G.A. van Lieshout, Greeks on Dreams, Utrecht 1980.

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parlerò con lui. Non così per il mio servo Mosè che è il fedelissimo in tutta la mia casa: bocca a bocca parlo con lui, in visione e non per enigmi ed egli vede il Signore non attraverso enigmi e figure.» Apparire in visione è diverso che apparire in una visione sognata. E solo agli eletti spetta il privilegio di parlare direttamente, bocca a bocca, con Dio. A Mosè e ai patriarchi Dio parla con chiarezza. I re e i profeti sono destinatari di sogni enigmatici, i re pagani ri­ cevono sogni oscuri. Come era scritto nell'Oneirocriticon ovvero Chiave dei so­ gni di Artemidoro (n sec. d. C.): «Tra i sogni alcuni sono teorematici, gli al­ tri allegorici. Sono teorematici quelli il cui compimento ha una piena rasso­ miglianza con ciò che essi fanno vedere. Sono allegorici quei sogni che signi­ ficano certe cose per mezzo di altre cose. In questi sogni, l'anima, attraverso certe leggi naturali, lascia intendere oscuramente un avvenimento» (cit. in Gregory, 1985, p. 1 7 3). Sia in Artemidoro, sia nelle tribù dei Pellirosse studiate da J.S. Lincoln (1 935), anche mozzarsi la falange di un dito serve a ottenere questo tipo di sogni (vedi Dodds, 1959, pp. 143 , 145). I sogni: libertà, illusioni, terrore Nella nostra tradizione, i sogni che si sono presentati come fonti di mes­ saggi divini sono anche apparsi come fenomeni pericolosi, che ispirano diffi­ denza. Dio può parlare attraverso i sogni, ma ci sono diffusori di sogni che di essi si servono per trasmettere e diffondere menzogne: «Il Signore mi ha detto: i profeti hanno predetto menzogne in mio nome. lo non li ho mandati, non ho dato loro ordini né ho loro parlato. Vi annunziano visioni false, ora­ coli vani e suggestioni della loro mente» (Gereinia, 14, 14). Non è facile di­ stinguere tra i veri e i falsi profeti: «Qualora si alzi in mezzo a voi un profeta e un sognatore ( . . . ) ed egli ti dica seguiamo dei stranieri ( . . . ) tu non dovrai ascoltare le parole di quel profeta o di quel sognatore, perché il Signore vo­ stro Dio vi mette alla prova ( . . . ) Quanto a quel profeta o quel sognatore, egli dovrà essere messo a morte» (Deuteronomio, I J , z -6). In tutta la letteratura sui sogni, anche là dove si sostiene la tesi di uno stretto legame tra il sogno e la fisiologia, è presente la constatazione dell'alto grado di libertà dei sogni. Come dirà Sinesio di Cirene, «è caratteristica peculiare dei so­ gni annullare lo spazio ed agire al di fuori del tempo ( . . . ) Non c'è nessuna legge di Adrastea che ci impedisca, mentre dormiamo, di spiccare il volo dalla terra con più successo di Icaro e di volare più in alto delle aquile, di giungere ancora più in alto delle sfere celesti. E da lontano cerchiamo di scorgere la terra e, se non è visibile, la individuiamo per mezzo della luna. Ci possiamo intrattenere con gli astri, possiamo incontrare gli dei invisibili che abitano il cosmo ( . . . ) Pos­ siamo conversare con le pecore, i loro belati sono per noi parole e ci pare di in­ tendere ciò che esse dicono» (pp. 85, 83).

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Ma la libertà del sogno è anche distacco dalla realtà, abbandono alle false speranze, vicinanza all'illusione. «Non bisogna fidarsi dei sogni, anche se hanno apparenza di verità - scrive Tommaso di Froidmont alla fine del se­ colo xn. Chi ripone la propria speranza nei sogni o nei presagi non ha fidu­ cia in Dio; chi è così è come chi segue il vento e cerca di catturare l'ombra. I presagi sono fallaci, i sogni sono illusori: entrambi sono vani» (cit. in Kru­ ger, 1 996, pp. 145 sg.). Petrus Berchorius (xiv sec.) definisce il sogno come una amplexatio umbrae, pro re (in Opera omnia, IT, p. 77). E in quell'abbraccio i segni stanno al posto dei significati, le immagini prendono il posto della ve­ rità, il falso si sostituisce al vero.4 La libertà che è presente nel sognare, l'abbandono del principio di realtà suscita anche terrore e sgomento. Scrisse papa Innocenza lll nel De contemptu mundi (1 196): «Non ci è concesso che sia di riposo il tempo che concediamo al riposo: i sogni ci atterriscono e le visioni ci abbattono » (cit. in Le Goff, 1 985). li sogno può configurarsi come la premessa a quell'inclinazione verso il basso e verso la terra che rende gli uomini folli e incapaci di staccarsi dalle cose mortali. Per questo l'oracolo esorta a non inclinare verso il basso per non precipitare nell'abisso o precipizio della materia. Recitano i versi degli Ora­ -

coli caldaici: Non volgerti verso il basso, verso il mondo che splende d'un cupo bagliore sotto di esso si ap re un abisso informe, indeterminato, avvolto dalle tenebre, folle e sozzo, che si compiace di vani simulacri. 5

Nell'Hymnus ante somnum di Prudenzio (348-410 circa d. C.) viene invocato Cristo affinché ci difenda dai sogni: Procul, o procul vagantum portenta somniorum procul esto pervicaci praestigiatur astu. O tortuose serpens, qui mille per meandros fraudesque flexuosas agitas quieta corda, discede, Christus hic est, hic Christus est, liquesce.

(Lontano, lontano da noi ombre mostruose di sogni vagabondi; lontano stia l'impostore con la sua astuzia ostinata. O serpente sinuoso che per infi­ niti meandri e per inganni flessuosi, agiti i cuori quieti, vattene: qui c'è Cri­ sto, qui c'è Cristo, sparisci) (cit. in Kruger, 1996, pp. 97 sg.). 4 Ma lo stesso autore riconosce una vasta tipologia: i sogni possono provenire a volte da Dio per ispirazione, a volte dalla libertà dell'anima che si è sciolta dal corpo, a volte dal demonio, a volte dalla mente per eccesso di concentrazione su qualcosa, a volte dai vapori che passano dal coryo al cervello. Vedi Opera omnia, VI, p. I I 2, cit. in Kruger (1996) p. 1 60. I vv. 1-3 del frammento 163 degli OrlllXIIi caldaia sono citati in Sinesio di Cirene, I sogni, p. 59·

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I sogni di Sinesio Sinesio di Cirene visse fra il 3 70 e il 4r 5 d.C. e dopo i1 4o6 fu vescovo di Tolemaide. Nei suoi Innifilosofici sono presenti, accanto ai temi del neoplato­ nismo e alle dottrine della filosofia greca classica, consistenti tracce di filoso­ fie orientali, gnostiche, ermetiche, cristiane. ll libro Sui sogni (Perì enupnìon), scritto prima della conversione al cristianesimo, fu tradotto in latino da Mar­ silio Ficino attorno al 1490. Esso tende soprattutto a mostrare che i sogni ri­ velano il futuro e che l'oniromantica è una nobile forma di divinazione. Sinesio ha tratto personali benefici dalla divinazione. Essa ci chiarisce completamente o ci dà modo di risolvere molte delle difficoltà che ci si pre­ sentano durante il giorno: «La mia vita è tutta dedita ai libri e alla caccia, ec­ cezion fatta per il periodo in cui sono stato ambasciatore [a Costantinopoli] . Oh, non avessi mai vissuto quei tre anni maledetti! E proprio allora trassi in­ numerevoli e grandissimi vantaggi dalla divinazione. Essa mandò a monte le insidie di stregoni evocatori di spiriti, me le appalesò e da tutte mi trasse in salvo; mi aiutò a trattare i pubblici affari nel modo più vantaggioso per le città, e al cospetto dell'imperatore mi rese più coraggioso di quanto non lo siano mai stati i Greci prima di me. Chi si cura di una cosa chi di un'altra. Ma la divinazione per mezzo dei sogni viene in aiuto a tutti poiché essa è il buon demone di ognuno e trova sempre un qualche rimedio alle preoccupazioni che ci affliggono quando siamo desti» (I sogni, p. 45). L'esordio del trattato è caratteristico: nell'opera verrà adottato un atteg­ giamento che nasconde i maggiori problemi filosofici entro discorsi che hanno un'apparenza di futilità. Questo serve da un lato a facilitare nella con­ servazione della memoria del genere umano ciò che è stato faticosamente raggiunto, dall'altro lato serve a impedire che ciò che è stato conquistato venga a impuro contatto con il volgo profano. I sogni hanno un potere divi­ natorio, ma in essi gli eventi vengono presentati in modo enigmatico. La sa­ pienza contenuta nei sogni è priva di perspicuità e i sogni vanno pertanto de­ cifrati. Grazie alla divinazione l'uomo può conseguire più di quanto spette­ rebbe alla sua natura, che è legata all'immediatezza del presente (ibid. , p. 47). All'idea, tipicamente ermetica, di un sapere che va riservato agli eletti, si associa, in queste pagine, il tema (anch'esso dominante in tutta la tradizione magico-ermetica) dell'universo vivente, dell'unità dell'Uno-tutto e della con­ nessione universale: «Tutte le cose si danno come segni le une delle altre in virtù della parentela che tutte le unisce in quell'essere vivente che è il co­ smo. » Le cose sono come lettere di diverso genere e di lingue diverse scritte in un libro. I sapienti sono in grado di decifrare quel libro e possono leggere una delle lingue in cui è scritto. Per questo è possibile indovinare il futuro leggendo lingue diverse: per mezzo delle stelle fisse o delle comete, delle vi­ scere degli animali o del volo degli uccelli (ibid., p. 5 1).

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Caratteristica di tutte le forme di divinazione è l'oscurità, ma l'oscurità è venerabile esattamente come è venerabile il mistero nel caso dei riti inizia­ tici. Anche gli oracoli non risultano intelligibili a tutti, «di conseguenza non si deve rigettare nemmeno la divinazione per mezzo dei sogni in base al fatto che essa condivide la caratteristica dell'oscurità con gli oracoli » (ibid. , p. 67). L'arte divinatoria coincide quindi con un'«ascesa dell'anima» e con «una sorta di esercizio della pietà religiosa». Per acquisirla non è necessario intra­ prendere un lungo cammino o un viaggio per mare: «basta mettersi a dormire dopo essersi lavati le mani ed osservato il silenzio rituale». Tutti, anche i po­ veri, possono sognare (ibid., p. 69). Non ci sono armamentari necessari all'arte della divinazione: «Per mezzo dei sogni siamo noi stesso lo strumento sicché non è possibile lasciare l'oracolo anche volendolo. Se rimaniamo a casa esso re­ sta con noi; se partiamo ci accompagna. » TI sonno non può essere bandito e per nessun tiranno il sognare e il prestare attenzione ai sogni potrebbe configurarsi come un reato. Nessun tiranno potrebbe mai proibire di avere sogni. La divi­ nazione mediante i sogni «non fa discriminazione di nascita, età, fortuna o pro­ fessione; è disponibile a tutti dappertutto, sempre pronta a dispensare vaticini, consigliera affidabile e discreta» (ibid. , p. 7 1). Un'arte presentata come una misteriosa e difficile decifrazione di enigmi si configura anche come una tecnica che è alla portata di chiunque. Perché i sogni, agli occhi di Sinesio, hanno una caratteristica fondamentale: raffor­ zano e rendono più salde le speranze: «Le speranze hanno una forza tale che un uomo avvinto in ceppi, quando consente alla sua volontà di sperare, di­ venta libero, fa il soldato, è capo di mezza compagnia e dopo poco capo di compagnia e poi comandante: combatte, vince, offre agli dei sacrifici di rin­ graziamento, porta la corona e fa imbandire, a suo piacere, una mensa sici­ liana o una mensa persiana. E dimentica i ceppi fino a quando vuole essere comandante. Tutto questo è la realtà di chi sogna e il sogno di chi è desto. » La parte fantastica della nostra natura ci aiuta a sperare. Quando ciò accade spontaneamente mentre dormiamo «possiamo dire allora di avere nella pro­ messa fattaci dai sogni un pegno di dio». La divinazione per mezzo dei sogni serve a rendere la speranza più salda (ibid. , p. 5 5). Non vorrei aver dato l'impressione di uno scrittore un po'ingenuo. La teo­ ria sinesiana dell'immaginazione è fondata sulla raffinata teoria di uno pneuma phantasikòn che si trova in una posizione intermedia fra la ragione e il suo contrario, fra il corporeo e l'incorporeo e che è, per così dire «il confine comune a entrambi» (ibid. , p. 5 7). La fantasia, per Sinesio, è «una forma di vita che sussiste secondo una sua propria particolare natura». Essa ha sue pro­ prie facoltà sensoriali tanto che vediamo colori, udiamo suoni, tocchiamo cose anche quando i vari organi del corpo sono inattivi. Questa forma di per­ cezione sta su un piano più alto di quella comune: « È una forma di perce­ zione più sacra e nobile, grazie ad essa spesso entriamo a contatto con gli dei i quali allora ci ammoniscono e ci danno oracoli» (Bundy, 1927, pp. 1 50-52).

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La fantasia, e su questo Sinesio ritorna più volte, ha una natura paradossale: media fra la materia e lo spirito, fra l'anima e il cosmo; è insieme fonte di errore e mezro di una visione spirituale (in Susanetti, 1962, p. 83). Come la fantasia e l'immaginazione, anche i sogni e la distinzione sogno-veglia sono, per Sinesio, cose molto complicate: «A volte sogniamo di dormire e di fare un sogno; ci sem­ bra poi di alzarci e di scrollarci di dosso il sogno - mentre stiamo in realtà dor­ mendo e stiamo distesi - e di star lì un po' ad esaminare, così come siamo ca­ paci, il sogno apparsoci: anche quest'ultimo è un sogno, mentre quello di prima era un sogno nel sogno. Ma poi siamo presi dal dubbio e ci sembra di essere sve­ gli e che quanto ci appare sia vivo. Perciò si ingenera in noi un contrasto feroce. Sogniamo di lottare contro noi stessi, di venire meno, di svegliarci e di ripren­ dere possesso di noi stessi e di scoprire l'inganno» (ibid. , p. 85). Le favole, che sono un luogo nel quale gli animali parlano, hanno, per Si­ nesio, la loro prima origine nei sogni. Per Sinesio, afferma il suo traduttore e acuto commentatore italiano, i miti (e quindi la letteratura) traggono origine dai sogni e dalle immagini oniriche e hanno in comune con queste la viola­ zione del principio di realtà (ibid. , p. r 8o). Il sogno di Keplero Il XII secolo è pieno di sogni filosofici. Quando Cartesio era ancora un bambino, attorno al r6oo, il poeta inglese John Donne scrisse uno dei testi più intensi che conosca la letteratura occidentale attorno al rapporto fra so­ gno e amore. L'intelletto angelico e divino, per Tommaso d'Aquino, «statim peifecte totam rei cognitionem habet» (Summa Theologiae, l, 85, se). Ma angeli e demoni non possono leggere nelle menti umane. Solo di fronte a Dio le menti assomigliano a libri aperti e leggibili. Nei versi di The Dreame, John Donne dice tuttavia all'amata: «Sapevi i miei pensieri oltre l'arte di un an­ gelo.» Ella è in grado di leggere non solo entro i suoi pensieri, ma dentro i suoi stessi sogni e per questo è più di un angelo. Quella donna è la verità (thou art so truth). Infatti lo risveglia nel preciso momento in cui lo avrebbe destato la troppa gioia che era presente in quel sogno beato: lo ti credetti sulle prime un angelo, ma quando vidi che mi vedevi in cuore, sapevi i miei pensieri oltre l'arte di un angelo, quando sapesti il sogno, quando sapesti quando la troppa gioia mi avrebbe destato e proprio allora giungesti, confesso che profano sarebbe stato crederti qualcos'altro da te. n venire, il restare ti rivelò: tu sola. Ma ora il levarti mi fu dubitare che tu non sia più tu. 6 6 L'originale suona: «Comming and stayng show'd thee, thee» vale a dire: «TI venire e il re­ stare hanno mostrato che tu eri tu. >> La traduzione di Cristina Campo è bellissima, ma il tu sola

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Turbamenti, dubbi, esitazioni, conflitti, dissonanze caratterizzano la scrit­ tura dei cosiddetti poeti metafisici dell'Inghilterra del Seicento. Fra quei poeti John Donne era colui che meglio aveva colto la frattura epocale rappre­ sentata dalla nuova astronomia copernicana, che aveva fatto crollare il mito della perfetta circolarità dei moti celesti. Dal nuovo cielo scoperto da Galilei e dai copernicani era derivata per Donne una grande crisi, anche morale: La nuova filosofia richiama tutto in dubbio l'elemento Fuoco è per intero spento, il Sole è perduto e la Terra; e in nessun uomo la mente gli insegna più dove cercarla. Spontaneamente gli uomini confessano che è consumato questo mondo, quando nei pianeti e nel firmamento cercano in tanti il nuovo. E vedono che il mondo è sbriciolato ancora nei suoi atomi. Tutto va in pezzi, ogni coerenza è scomparsa, ogni giusta provvidenza, ogni relazione: principe, suddito, padre, figlio son cose dimenticate, perché ogni uomo pensa d'esser riuscito, da solo, a essere una Fenice ...

L'abbandono del dogma millenario della perfetta circolarità dei moti cele­ sti, la sostituzione al cerchio di un'ellisse, con il Sole a uno dei fuochi, furono opera di Keplero al quale la scoperta del moto ellittico apparve come l'accen­ dersi improvviso di una luce. Nel 1 634, tre anni dopo la morte di John Donne, vide la luce il Somnium seu opus posthumum de astronomia lunari di Ke­ plero, forse il più grande fra gli astronomi seguaci di Copernico. Esso segna il passaggio dalla letteratura « fantastica » sulla Luna (ispirata a Luciano e all'Ariosto) a una letteratura «fantastico-scientifica». li Somnium non è il frutto di una breve parentesi di riposo letterario: nato da un progetto che risale a una perduta dissertazione giovanile del 1 593, fu composto nel 1 609 e poi arricchito di numerosissime (e talora assai lunghe) note fra il 162 2 e il 163o. li viaggio descritto da Keplero è una singolare me­ scolanza di fantasia e realismo. Gli abitanti della Luna hanno dimensioni enormi e «natura serpentina». Hanno vita brevissima e si crogiolano al tre­ mendo calore del Sole per poi rifugiarsi in fredde caverne e in crepacci. Nella descrizione del mondo fisico cessa la fantasia e ci troviamo all'interno di quell'universo che è stato rivelato dal telescopio: «A voi abitanti della Terra la nostra Luna, quando sorge piena e avanza sopra le case più lontane, sem­ bra che assomigli al cerchio di una botte, e quando si alza in mezzo al cielo, sembra l'immagine di un volto umano. Per i subvolvani invece la loro Volva appare sempre in mezzo al cielo, grande poco meno del quadruplo del diasuscita ambiguità e taglia ogni legame con i due versi che seguono. n testo inglese si trova in ]. Donne, Liriche sacre e profane. Anatomia del 'fiWTUio. Duello sulla morte, a cura di G. Melchiori, Oscar Classici Mondadori, Milano 1983. ·

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metro della nostra Luna, così che paragonando i due dischi la loro Volva è quindici volte più grande della nostra Luna (...) Per gli abitanti della Luna è evidente che la nostra Terra, che è la loro Volva, ruoti, ma che la loro Luna è immobile. Se si afferma che i sensi selenici della mia popolazione lunare si ingannano, con egual diritto rispondono che i sensi terrestri degli abitanti della Terra sono privi di ragione» (Caspar, 1948, pp. 249-65). Fonte per tre secoli (fino a Jules Verne e a Herbert George Wells) di innu­ merevoli testi di viaggi lunari, l'opera di Keplero è piena di velate allusioni au­ tobiografiche e di riferimenti alle tragiche vicende dell'avventurosa vita del suo autore. Nella cittadina di Leonberg, in Svevia, nel corso dell'inverno del 1 6 1 5-16 vennero bruciate sei streghe. In un paesotto vicino, Weil (oggi Weil der Stadt), la cui popolazione non superava le duecento famiglie, fra il 1 6 1 5 e il 1629 ne verranno bruciate trentotto. Una vecchia un po' pettegola e strana, di nome Katharine, che viveva a Leonberg, venne accusata dalla moglie di un vetraio di aver fatto ammalare una vicina con una pozione magica, di aver get­ tato il malocchio sui figli di un sarto e di averli fatti morire, di aver trafficato con un becchino per procurarsi il cranio di suo padre che voleva regalare come calice a uno dei suoi figli, astrologo e dedito alla magia nera. Una bambina di dodici anni che portava dei mattoni a cuocere al forno, incontrò per la strada quella vecchia e provò al braccio un terribile dolore che le tenne il braccio e le dita come paralizzati per alcuni giorni. Non per caso lombaggine e torcicollo vengono ancora oggi chiamati in Germania Hexenschuss, in Danimarca Hekse­ skud e, in Italia, colpo della strega. Quella vecchia, che aveva allora settantatré anni, venne accu�ta di stregoneria, fu tenuta per mesi in catene, fu chiamata a discolparsi da 49 capi di accusa, fu sottopo�ta alla tmitio, ovvero all'interro­ gatorio con minaccia di tortura di fronte al boia e al seguito di un'accurata de­ scrizione dei molti strumenti a disposizione del medesimo. Dopo più di un anno di prigione, venne finalmente assolta il 4 ottobre del 162 1 , a sei anni di distanza dalle prime accuse. Non le fu possibile tornare a vivere a Leonberg perché sarebbe stata linciata dalla popolazione (ibid. , p. 36). n figlio di quella vecchia era diventato famoso. Era il nostro Johannes Ke­ pler, il quale si era impegnato spasmodicamente nella sua difesa e, negli anni del processo, oltre a un centinaio di pagine scritte per difendere sua madre dalla tortura e dal rogo, scriveva anche le pagine dello Harmonices mundi nelle quali è contenuta quella che viene chiamata, nei manuali, la terza legge di Ke­ plero. Alla radice del mondo c'era, per Keplero, una celestiale armonia che gli appariva (come è scritto nel quarto capitolo del quinto libro) «simile a un Sole che splende attraverso le nuvole». Keplero era ben consapevole del fatto che quella stessa armonia non regnava sulla Terra. Nel sesto capitolo del li­ bro dedicato ai suoni prodotti dai pianeti scriveva che, essendo le note pro­ dotte dalla Terra Mi-Fa-Mi, se ne poteva concludere che sulla Terra regna­ vano la Miseria e la Fame. Aveva terminato la stesura del testo tre mesi dopo

Sogni di filosofi

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che gli era morta la figlia che si chiamava Katharine, come la nonna. La ma­ dre di Keplero morì il 1 3 aprile del 1 62 2 . All'inizio del Somnium, Keplero sogna di leggere un libro. All'inizio del sogno compare, sotto il nome di Fiolxhilde, la madre di Keplero: «Mia ma­ dre era Fiolxhilde e la sua morte recente mi ha consentito di scrivere ciò che da tempo ardentemente desideravo, poiché da viva era sempre riuscita a im­ pedirmelo. » Diceva infatti che erano molti i nemici incapaci di comprendere le cose nuove i quali avevano fatto emanare infami leggi. La madre viveva rac­ cogliendo erbe «che cuoceva con particolari riti» e che vendeva, nel porto, ai padroni delle navi. Un giorno il piccolo Keplero apre una delle borse e ne di­ sperde il contenuto. «Mia madre, accecata dall'ira, mi vendette, in luogo della borsa, al capitano. » Nel corso di lunghi viaggi Keplero incontra Tycho Brahe che tutte le notti studiava la Luna con macchine straordinarie «e ciò mi ri­ cordava mia madre, che era solita parlare con la Luna». Cinque anni dopo ri­ torna in patria: > della mente lo si ritrova non simbo­ lizzato nel reale; «personaggi» interni sono così confusi con persone esterne. Alcuni pazienti non hanno la possibilità di «uscire di scena», e «uscire di scena», ai fini della rappresentazione, è importante tanto quanto starei. Per­ ché lo psichico possa vivere, c'è bisogno di quell' «altra scena» di cui aveva parlato Fechner, e che Freud (1 899, pp. 54, 489 sg.) utilizza nel settimo ca11 « Tutò i guaritori seri del Veneruela e del Madagascar si rifiuterebbero di praticare la pro­ pria arte se non si trovassero sulla terra dei propri antenati e/o su quella degli antenati del proprio paziente. Riflettendo sono indotto a constatare che la psicoanalisi è una delle rare tecniche psico­ terapeuticbe che non ha bisogno dei resti mortali degli antenati. Mi sembra chiaro che la psico­ analisi possa essere inscritta in maniera logica nella continuità delle tecniche terapeutiche che l'hanno preceduta: esorcismo, magnetismo, spiritismo, ipnosi, per citare solo le più recenti. Tut­ tavia essa si adatta a una nuova realtà che è quella degli spostamenti in massa di popolazioni ob­ bligate ad abbandonare i loro morti sul posto» (Nathan, 1 986, p. 3 5).

Sogno, visione, modernità

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pitolo dell'Interpretazione dei sogni. li lavoro orunco proietta su questa « scena» sequenze e immagini a partire da un testo che è ignoto allo stesso sognatore; in tal modo le scene oniriche rappresentano per il sognatore-spet­ tatore un suo doppio e insieme un'alterità, qualcosa di visibile ma non avvi­ cinabile. Si ha così identificazione e distacco, differenziazione e partecipa­ zione. Ciò che è così rappresentato e «realizzato » nel sogno è anche «scon­ giurato» (Petrella, 1 985). Attraverso il sogno posso seguire i tanti perso­ naggi, i tanti me stesso, senza perdermi: «Palcoscenico che accoglie la realtà fantastica dei personaggi», scriveva Pirandello nella prefazione a Sei perso­

naggi in cerca d'autore. Vi è un'intima relazione tra lo spazio psichico, lo spazio onirico e lo spazio ·

psicoanalitico, costruito per far vivere, rappresentare, «mettere in scena» la realtà psichica. 11 Paul Klee: «L'arte non riproduce ciò che è visibile. Rende visibile. » Pon­ talis (1 977), riprendendo Klee: «Dunque l'avevamo perduto quello che pen­ savamo di avere davanti a noi. Forse non lo avevamo mai avuto, mai visto, mai visto nascere. La visione del pittore, il transfert nell'analisi darebbero un luogo a tutto ciò. » Lo spazio psicoanalitico analogo allo spazio onirico inteso come «luogo della visione». Nella mia ricerca ho cercato di pensare al dispositivo psico­ analitico come a un « apparato per vedere>>; lo spazio psicoanalitico come «spazio virtuale», località ideale di tutti gli apparecchi ottici, compreso l'oc­ chio umano, essenziale per la visione. Paziente, analista, teoria, come lenti ri­ flettenti. Lo spazio psicoanalitico come sfondo su cui vediamo svolgersi gli eventi e i mondi dell'analisi, eventi e mondi altrimenti «invisibili». Gli «oggetti» psicoanalitici sono oggetti «assenti»: è fuorviante, come si è soliti fare, definirli «ineffabili», perché, anche se inconsci, producono ef­ fetti reali, e determinano profondamente la vita del soggetto; necessitano di un dispositivo, un apparato scenico che li renda >, ma forse anche per la prospettiva auspicabile di integrazioni e di n-coniugazioni fruttuose - ci si chiede da più parti se la storica diversione di percorsi tra psicoanalisi e neuroscienze possa essere resa meno assoluta e antagonistica, se e come possa essere riaperto un dialogo che ai tempi di Freud (come si vedrà dai contributi che seguono) apparve di fatto impraticabile. Il sogno, indagato negli studi psicoanalitici e nei laboratori neurofisiologici, costituisce uno straordinario terreno comune di ricerca, sia pure relativamente ad aspetti, dimensioni, metodologie e ambiti di senso radicalmente specifici per ogni disciplina. Quali sono, oggi, i rapporti possibili, e quali quelli di fatto, tra psicoanalisi e neuro­ scienze? Quali le acquisizioni sul mondo onirico, dall'una e dall'altra parte, che possono essere comunicate con vicendevole interesse? Quali le prospettive di scambio, di convalida, e di eventuale intersecabilità concettuale e metodologica? Con l'autorevolezza che gli deriva dalla sua peculiare funzione-ponte interdisciplinare, quale docente di psicoanalisi e di neurofisiologia, Mauro Mancia in Psicoanalisi e neuro­ scienze: un dibattito attuale sul sogno delimita con molta chiarezza i territori di competenza dei diversi gruppi di ricerca. La psicoanalisi è interessata al significato del sogno e alla possibilità di contestualizzarlo nella relazione psicoanalitica, collegandolo alla storia affettiva del sognatore e al transfert; le neuroscienze sono interessate a conoscere quali strutture partecipano alla produzione del sogno, e come questo evento può organizzarsi ed essere narrato. Mancia passa inizialmente in rassegna i più recenti sviluppi della ricerca neurofisiolo­ gica (l'ipotesi di «attivazione-sintesi>> di Hobson, il ridimensionamento delle differenze funzionali tra sonno REM e sonno non-REM, i dati neuropsicologici di Solms sul fatto che sogni e sonno REM si sviluppano da strutture anatomiche diverse ecc.). Di seguito, ricostruisce sinteticamente le tappe della ricerca psicoanalitica, che si di­ staccò di fatto dall a neurofisiologia già dal 1 895, data del Progetto di una psicologia, in cui Freud usò «un linguaggio apparentemente neurofìsiologico ma nella realtà metaforico per entrare come un cavallo di Troia nella cittadella chiusa del mondo universitario viennese>>. Passando attraverso le rivoluzionarie concezioni della Klein, basate sulle analogie tra il linguaggio del gioco e quello del sogno e sulla tensione dinamica tra gli oggetti interni, che dà luogo a un teatro onirico privato, Mancia approda alla formula del sogno come espres-

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Stefano Bolognini

sione di una «teologia della mente»: come manifestazione drammatizzata delle relazioni tra gli oggetti interni, stabili e «sacri», che popolano il profondo dell'individuo. Di fatto, Mancia si assume la responsabilità di indicare ambiti nettamente separati per i due generi di ricerca, e sembra che questa netta e rigorosa formalizzazione distintiva sia resa possibile proprio dalla sua autentica e riflettuta esperienza scientifico-professionale nei due campi in discussione. In una prospettiva a lungo termine tendenzialmente diversa, Franco Scalzone e Gemma Zontini (Il sogno tra psicoanalisi e neuroscienze) considerano l'attuale periodo storico cultu­ ralmente favorevole per ristabilire l'antica alleanza tra psicoanalisi e neuroscienze, i due saperi forti nei rispettivi ambiti scientifici, attraverso un lavoro comune e non mediante un semplice «dialogo a distanza». C'è invece bisogno, essi affermano, di uno scambio conti­ nuo, e di «permettere a più menti di dialogare fra loro». Scalzone e Zontini concordano sostanzialmente con Solms sull'opportunità di collegare gradualmente la psicoanalisi con le neuroscienze su una solida base clinica, mettendo a punto una metodologia adeguata: e il metodo della «localizzazione dinamica», che serve a identificare le diverse componenti di un sistema funzionale complesso (nella fattispecie, il «sognare»), sembra uno strumento di partenza assai promettente. Naturalmente questo riguarda lo studio dell'esperienza cosciente del sogno, mentre l'indagine del contenuto profondo resterà compito della psicoanalisi, nell'ambito di una relazione personale. La prima parte del contributo di Scalzone e Zontini è un'affascinante carrellata sugli sviluppi neurofisiologici, costellata di agganci del tutto plausibili e pertinenti con dati ed elementi dell'osservazione psicoanalitica. Particolarmente emozionanti sono i passaggi confrontativi con alcune concettualizza­ zioni freudiane sul sognare, che trovano conferma, e quelli con l'idea di «organizzazione mentale di base» (la mente primitiva di cui l'individuo dispone al momento della nascita psicologica) formulata da Eugenio Gaddini. In effetti, io penso che il contributo di Scalzone e Zontini costituisca già, in sé, un mo­ dello nascente di lavoro integrativo interdisciplinare, di indubbio interesse da entrambi i versanti scientifici coinvolti . E se, da un lato, non riesco a immaginare con sufficiente attendibilità l'effetto d'im­ patto che una simile proposta può suscitare nel lettore di formazione neurologica, posso invece riferire che, dal punto di vista di uno psicoanalista, il ricco e commentato reportage degli autori apre scenari affascinanti, e stimola un'intensa curiosità per gli auspicabili capi­ toli futuri di questa ricerca interdisciplinare.

Capitolo 22 Psicoanalisi e neuroscienze: un d ibattito attuale sul sogno Mauro Manda

Inizierò questo rrùo lavoro con una nota di carattere storico: la psicoana­ lisi si è occupata di sogno e ha usato il sogno e la sua interpretazione a favore della teoria pulsionale della mente e per dimostrare la forza deterrrùnante dell'inconscio, fin dal 1 895· Le neuroscienze (in cui includerei la neurofisio­ logia, la neurochimica, la neuropsicologia e la psicofisiologia) si sono occu­ pate di sogno molto più tardi e solo a partire dagli anni cinquanta, quando i neurofisiologi hanno scoperto il sonno REM, cioè una fase di sonno che si differenzia dal sonno con onde EEG sincrone o non-REM per la presenza di un tracciato elettrico corticale fortemente desincronizzato come la veglia (da cui il termine di sonno paradosso), atonia dei muscoli posturali, movimenti oculari rapidi (da cui la sigla REM, Rapid Eye Movements), comparsa di onde monofasiche nel sistema visivo (chiamate onde PGO, ponto-genicolo-occipi­ tali) e burrasche neurovegetative caratterizzate da aritrrùa respiratoria e cardiaca con variazioni della pressione arteriosa sistemica. In quegli anni cinquanta, il gruppo di Kleitman (Aserinsky e Kleitman, 1 95 3 ; Dement e Kleitman, 1 957; Dement, 1 965) a Chicago poteva studiare le attività mentali nel sonno risvegliando i soggetti in coincidenza con epi­ sodi di sonno REM o di sonno non-REM. Quando il risveglio avveniva alla fine di un episodio REM, il soggetto narrava un'esperienza che per le carat­ teristiche allucinatorie, autorappresentative ed emozionali, poteva essere de­ finita come sogno. Quando il risveglio avveniva in fase non-REM, l'attività mentale appariva caratterizzata da frammenti di realtà e da pensieri non or­ ganizzati né narra bili. TI sogno entrava così nel dominio delle neuroscienze. Subito venivano po­ ste le basi psicofisiologiche per un modello dicotorrùco REM/non-REM come equivalente elettrico di un'attività mentale differenziata. Nell'ambito degli episodi REM, inoltre, è stata correlata la durata di un singolo episodio con la quantità di materiale onirico raccolto (Wolpert e Trosman, 1958), la

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Mauro Mancia

quantità di movimenti oculari con i contenuti del sogno (Dement e Wolpert, 1 958) e la direzione specifica dei movimenti oculari in rapporto all'organiz­ zazione spaziale degli eventi del sogno (Dement, 1 965; Molinari e Foulkes, 1 969)· Queste esperienze psicofisiologiche hanno creato la convinzione che il sonno REM costituisca la base neurofisiologica, o meglio la «cornice neuro­ biologica», all'interno della quale è possibile al sogno di organizzarsi e di es­ sere narrato. La desincronizzazione EEG che caratterizza il sonno REM co­ stituisce in questa ipotesi la base per un'attivazione neocorticale indispensa­ bile a un'attività percettiva e cognitiva e, ad un tempo, al recupero della me­ moria, eventi questi necessari perché il sogno si realizzi. Gli stessi movimenti oculari sono stati considerati come l'equivalente motorio di un'attività allu­ cinatoria capace di per sé di creare uno spazio onirico, e le onde monofasiche PGO che si registrano nel sistema visivo sono state considerate come l'espres­ sione elettrica di un processo di decodificazione e lettura delle informazioni che nascono nel sistema nervoso e che sono vissute dal soggetto come alluci­ nazioni visive (vedi Mancia, 1 996). Inoltre, esperienze psicofisiologiche fatte in fase REM hanno dimostrato che l'organizzazione del sogno nei suoi aspetti geometrico-spaziali e nella sua componente emozionale coinvolge di preferenza l'emisfero destro (Antro­ bus, 1977; Bertini e Violani, 1984), mentre l'emisfero sinistro parteciperebbe essenzialmente agli eventi secondari legati alla narrazione del sogno. Sulla base di questo modello dicotomico REM/non-REM, molte ipotesi sono state avanzate, tese a dimostrare la natura biologica dell'evento onirico al di là della storia personale e affettiva del sognatore. Tra queste ipotesi, mi interessa discutere qui, per la sua radicalità, quella avanzata da Hobson e McCarley (1977) e recentemente ripresa da Hobson, Stickgold e Pace Schott (1 998). Questa ipotesi è stata definita di attivazione­ sintesi, per cui il cervello in sonno REM è considerato un vero e proprio ge­ neratore dello stato di sogno. L'attivazione delle strutture pontine sollecite­ rebbe il cervello dall'interno producendo informazioni che, proiettate sul proencefalo e il sistema limbico, verrebbero da questi elaborate per il recu­ pero della memoria, la costruzione della trama del sogno e la partecipazione emozionale al sogno stesso. Da questa teoria deriverebbe che: a) la forza pri­ maria che produce il sogno è fisiologica e non psicologica, in quanto prodotta da un generatore interno pontino determinato genotipicamente; b) l'elabo­ razione delle informazioni e la loro sintesi compiuta dal proencefalo sareb­ bero finalizzate all'organizzazione delle percezioni, delle emozioni, della me­ moria e dell'attività cognitiva tipiche del sogno; c) il cervello in sonno REM potrebbe essere paragonato a un sofisticato computer in cerca di parole chiave con il compito di adeguare dati fenotipici derivati dall'esperienza a sti­ moli genotipici; d) in sostanza, non è la censura (Freud, 1 899) che deforma il

Psicoanalisi e neurosclenze: un dibattito attuale sul sogno

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contenuto inconscio perché possa farsi strada verso la coscienza, ma è un «processo caotico di autoattivazione» a rendersi responsabile della bizzarria e del lavoro del sogno. Più recentemente, nel riprendere questa vecchia teoria, Hobson, Stickgold e Pace Schott (I 998) hanno elaborato dati provenienti da ricerche umane con la tecnica della positron emission tomography (PET). In particolare, Maquet, Péters e altri (1996) hanno osservato in sonno REM nell'uomo l'attivazione del tegmento pontino, dell'anùgdala bilaterale, del talamo di sinistra, della corteccia del cingolo e dell'opercolo parietale di destra, una regione, que­ st'ultima, importante per la costruzione spaziale, mentre l'attivazione limbica potrebbe costituire il substrato fisiologico della partecipazione emozionale al sogno. Braun, Balkin e altri (I 997) hanno contribuito a differenziare a livello strutturale i meccanisnù della veglia da quelli del sonno REM, confermando l'attivazione, in sonno REM, delle aree limbiche e paralimbiche, inclusa l'in­ sula, la corteccia del cingolo e quella temporalè mesiale. Più recentemente, Braun, Balkin e altri (1 998) hanno osservato un aumento di attività, in sonno REM, dell'ippocampo e del giro paraippocampale insieme alla corteccia extrastriata. Per contro, la corteccia striata è deattivata durante il REM, e così la corteccia prefrontale dorsolaterale e orbitale. Quest'ultima osservazione potrebbe costituire il substrato fisiologico per la dimenticanza dei sogni (Hobson, Stickgold e Pace Schott, 1 998). L'ipotesi di Hobson e McCarley e quella più recente di Hobson, Stickgold e Pace Schott non reggono tuttavia a una critica all'interno della stessa neu­ robiologia e psicofisiologia. Innanzitutto il sonno REM non è indotto sol­ tanto dall'attivazione di strutture pontine: altre strutture, come l'anùgdala (Sanford, Tejani-Butt e altri, 1995; Mariotti, Gritti e Mancia, 1 994), l'ipota­ lamo posteriore (Sallanon, Sakai e altri, I 988) o nuclei talanùci (Mancia e Marini, 1 990), possono partecipare alla produzione e al controllo del sonno REM Inoltre, la dimostrazione con la PET che deternùnate aree cerebrali si attivano nel sonno REM rispetto alla veglia e al sonno non-REM permette di collegare la funzione di queste aree con deternùnati aspetti e fasi del sonno, ma non ci dice quale rapporto di causalità può esserci tra queste funzioni ce­ rebrali e l'esperienza mentale del sogno. Ma la critica più interessante viene dalla psicofisiologia (Bosinelli, Cavallero e Cicogna, 1982; Bosinelli e Cico­ gna, 1 99 1 ; Foulkes, 1 962 , 1 98s). n groppo di Bosinelli ha dimostrato la pre­ senza di un'attività mentale del tutto comparabile a quella che si registra in fase REM anche nelle fasi non-REM e all'addormentamento. Protocolli rac­ colti durante o alla fine di queste diverse fasi appaiono del tutto sinùli e tutti rientrano nella categoria dei sogni. Esiste dunque un'attività mentale di tipo onirico durante tutte le fasi del sonno, dall'addormentamento al risveglio. Esistono tuttavia delle differenze qualitative nell'attività mentale nelle diverse fasi del sonno. Ad esempio, la strutturazione spaziale del sogno, il livello di .

Mauro Mancia

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partecipazione personale del sognatore al sogno,

il maggior numero delle pa­

role usate per raccontare il sogno, alcune caratteristiche del sogno stesso come la bizzarria, sarebbero maggiori nelle fasi REM che non in quelle non­

REM. Inoltre, in sonno REM sembra che esistano le migliori condizioni di in grado

attivazione corticale per poter garantire un recupero della memoria

di permettere resoconti di una certa lunghezza (Antrobus, 1 983). La presenza di un'attività corticale rapida fino a 40 Hz in fase

REM (Llinas e Ribary,

1 99 3 ) suggerisce una maggiore disponibilità di questa fase di sonno per un'at­ tività cognitiva, e anche l'organizzazione linguistica dei protocolli che pro­ vengono da fasi REM appare maggiore rispetto ai protocolli che provengono da fasi non-REM. Questi dati permettono l'ipotesi che la ridotta attivazione corticale in sonno non-REM comporti la produzione di sogni con una mi­ nore capacità elaborativa dei materiali immagazzinati nella memoria e una minore capacità narrativa. Tuttavia, nei due tipi di sonno (REM e non-REM) operano modalità elaborative e mentali del tutto simili che suggeriscono un unico sistema di produzione dell'attività onirica attivo anche se in misura diversa durante tutte le fasi di sonno. Tale sistema è attivo indipendentemente dalle fasi di sonno REM e non-REM e può essere considerato una prova indiretta di una separazione tra attivazione di strutture cerebrali (il sonno nelle sue di­ verse fasi) e organizzazione dell'evento mentale (il sogno). Si inserisce in questa critica all'ipotesi di Hobson, Stickgold e Pace Schott (1 998) anche l'osservazione di Solms (1 995), neurobiologo e psicoanalista in­ glese, eseguita su 3 3 2 pazienti cerebrolesi. Solms ha potuto dimostrare che i sogni e il sonno REM si sviluppano da strutture anatomiche diverse e inte­ ressano meccanismi psicologici diversi. In particolare, gli organizzatori del sogno non sono regolati dalle sole strutture del ponte poiché i sogni sono presenti in pazienti con lesioni anche estese del tronco encefalico, mentre sono aboliti dopo lesioni del cervello anteriore

iforebrain) e delle

corrispon­

denti cortecce associative. Sogni, ma con una perdita della componente allu­ cinatoria, sono presenti in soggetti con lesioni della corteccia associativa temporo-occipitale, mentre individui con una compromissione delle strut­ ture associative limbiche diventano incapaci di distinguere i sogni dalla realtà e possono esperire una situazione pressoché continua di sogno.

I dati neuro­

psicologici più recenti (Solms, 1999) suggeriscono una dissociazione tra il so­ gno e i vari stati di attivazione cerebrale. li sogno infatti avviene quando si attivano circuiti dopaminergici del cervello anteriore

(ventromesialforebrain).

Sono questi circuiti la via finale comune che produce il sognq, a partire dalle varie forme di attivazione cerebrale nel sonno. Presi nel loro insieme, dun­ que, questi risultati confutano l'ipotesi di attivazione e sintesi e pongono il problema neuropsicologico dell'attivazione delle aree associative (parietali, frontali e limbiche) per le funzioni mnemoniche, semantiche, simboliche ed emozionali necessarie all'organizzazione del pensiero onirico.

Psicoanalisi e neuroscienze: un dibattito attuale sul sogno

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n contributo delle neuroscienze al sonno e al sogno ha facilitato anche la ricerca cognitivista sull'attività onirica. Per autori come Antrobus ( 1 978), Arkin, Antrobus e Ellman (1978), Foulkes (1985) e Cavallero (199 1), il sogno è un processo cognitivo la cui intelligenza rappresentazionale si sviluppa a partire dal secondo anno di vita attraverso la memoria evocativa o simbolica. n modello cognitivista, tuttavia, è interessato non tanto a che cosa viene so­ gnato o al significato del sogno, quanto piuttosto a come il sogno si forma e si organizza. E per organizzare il sogno, i cognitivisti sottolineano le seguenti condizioni: a) l'attivazione fisiologica del cervello e in particolare della cor­ teccia cerebrale; b) la maturazione delle strutture associative che presiedono all'organizzazione simbolica dell'esperienza; c) la possibilità che ha il cervello di creare nel sogno un'esperienza multimediale simile a quella della veglia. Sembra in linea con questo modello cognitivista l'ipotesi proposta recente­ mente da Llinas e Paré ( 1 99 1), due neurofisiologi secondo i quali il sonno REM e il sogno a esso collegato possono essere interpretati come uno stato di attenzione modificata, diretta non verso l'esterno ma verso l'interno e verso i propri ricordi. Anche per lo psicofisiologo Antrobus ( 1986) il sogno necessita di un'attivazione corticale e avviene in virtù di una sintesi che con­ siste in un legame neurocognitivo specifico tra attivazione corticale e orga­ nizzazione cognitiva.

Fin qui, le neuroscienze e la ricerca cognitivista. Ma possiamo domandarci: che relazione esiste tra il sogno studiato dai neuroscienziati e dai cognitivisti e il sogno studiato dalla psicoanalisi? Dobbiamo innanzitutto riconoscere che lo stesso Freud si era posto il problema di che relazione poteva esistere tra funzioni neurologiche e funzioni mentali cui il sogno appartiene. Mi riferi­ sco al Progetto di una psicologia del 1 895, un lavoro che costituisce una base es­ senziale per capire il pensiero di Freud in tema di sogno. Come è noto, il mo­ dello mente-cervello che Freud propone nel 1 89 5 usa un linguaggio appa­ rentemente neurofisiologico ma nella realtà metaforico per entrare come un cavallo di Troia nella cittadella chiusa del mondo universitario viennese por­ tandovi una concezione della mente diversa rispetto a quella del positivismo imperante in Austria e in Germania alla fine del secolo (Mancia, 1 983). Molto sinteticamente, in questo modello Freud propone dei sistemi neuro­ nali che interagiscono tra loro (i sistemij, y, w), il primo (J) collegato alla per­ cezione, il secondo (y) depositario della memoria, delle pulsioni e del deside­ rio rimosso, il terzo (w) espressione del principio di realtà. L'energia che dal mondo della percezione si porta alla motricità dopo aver attraversato il sistema y, ha un percorso progressivo nella veglia sotto l'influenza del principio di realtà o sistema w. Ma nel sonno, quando il sistema w è eliminato in quanto siamo deafferentati e la motricità è inibita in quanto siamo paralizzati, l'ener­ gia accumulata nel sistema y deve trovare un suo percorso regressivo (regres-

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Mauro Mancia

sione topica) verso le porte della percezione che, colpite dall'interno, creano una percezione senza oggetti, cioè un'allucinazione, attraverso la quale viene soddisfatto il desiderio rimosso accumulato nel sistema y. Da qui la definizione di sogno che Freud non abbandonerà mai nel corso della sua vita, di «soddi­ sfacimento allucinatorio di un desiderio rimosso nell'infanzia». Ma le teorie del sogno, a partire dagli anni trenta, si modificano perché cambia la teoria della mente. Alla Klein ( 1 9 3 2) va il merito di aver intuito le profonde analogie esistenti tra il linguaggio del gioco e quello del sogno, in quanto ambedue arcaici e capaci di esprimersi per immagini. Con la teoria degli oggetti interni, inoltre, non sarà solo il rimosso la molla inconscia che fa lavorare in sogno la mente dell'uomo, ma una tensione dinamica tra og­ getti interni, rappresentazioni di figure significative dell'infanzia fortemente investite di affetti. Il sogno acquista allora una funzione centrale all'econo­ mia della mente: quella di rappresentare le varie fasi cui la mente va incontro nel suo sviluppo. Infatti, con la teoria degli oggetti interni la mente umana può essere rappresentata come un teatro privato con personaggi in relazione tra loro, con conflitti e difese da cui scaturisce un significato che è proiettato nel mondo esterno e nelle relazioni interpersonali. La metafora del teatro privato ci fa vedere il sogno come una messa in scena o presentazione di rap­ presentazioni cariche di affetti dove gli oggetti interni del sognatore sono in relazione tra loro (quella che chiamiamo la dimensione intrapsichica del sogno) e in relazione con il Sé e gli oggetti della realtà (quella che chiamiamo la di­ mensione intersoggettiva del sogno). Questa presentazione primaria assolve il suo compito in quanto messa in scena di eventi affettivi e non è conoscibile se non attraverso una sua narrazione che tuttavia implica, in quanto evento secondario, una sua trasformazione e interpretazione (Mancia, 1 996). La differenza fondamentale, dunque, che la psicoanalisi propone relativa­ mente al sogno rispetto alle neuroscienze è di vedere il sogno come espres­ sione di una teologia della mente (Mancia, 1 988), nel senso che si riferisce a quelle figure o rappresentazioni che hanno acquisito dentro di noi sognatori una dimensione sacrale in quanto relazionate ai nostri oggetti interni. La dif­ ferenza, dunque, sta nella storia affettiva del soggetto che la psicoanalisi, di­ versamente dalle neuroscienze, considera centrale al significato del sogno. Può essere interessante, a questo riguardo, ricordare con Eco ( 1 9 8 1 ) che dietro a ogni strategia del mondo simbolico esiste a legittimarla una teologia. Ed è a partire da questa legittimazione che ho cercato una possibile analogia tra sogno e religione, intesa nell'accezione di re-ligare, cioè unire in una com­ plessa relazione gli elementi più significativi che nel mondo interno dell'in­ dividuo hanno acquisito un significato sacrale (Mancia, 1 987). Ma il vero grande privilegio della psicoanalisi rispetto alle neuroscienze è il suo modo intersoggettivo di operare e il suo fondare il lavoro interpreta­ rivo del sogno sul transfert, inteso come una situazione relazionale partico-

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lare e specifica, trasferita dal passato al presente, ma anche come una proie­ zione nel presente e nella figura dell'analista degli oggetti interni del sogna­ tore nelle loro dinamiche intrapsichiche e intersoggettive Qoseph, 1985). È in virtù del transfert che il paziente può rappresentare attraverso il sogno lo stato attuale dei propri oggetti interni in relazione alla storia dei suoi affetti primari e in relazione all'analista. All'analista il sogno permetterà di ricono­ scere le scissioni, le identificazioni, le difese, le paure, le negazioni, le idealiz­ zazioni, le seduzioni attivate nel paziente e di usarle per un lavoro sul sogno fatto di tante cose: interpretazioni, decodificazioni e traduzioni dal manifesto al latente, ma anche ipotesi, elaborazioni, mosse e attese da giocatore di scac­ chi, tutte tese ad acquisire e far acquisire al paziente conoscenza sui suoi og­ getti interni e le loro dinamiche, sulle difese indotte dalla sollecitazione trans­ ferale e sulle azioni rivolte ad mondo esterno. È il modello epistemologico del sogno di cui ci hanno parlato Money-Kyrle (196 1 ) e Bion (1962). Questo aspetto epistemico del sogno pone il problema della necessità che ha l'uomo di sognare, perché sognare, attraverso l'oggettualizzazione delle proprie dinamiche interne, significa darsi uno strumento di conoscenza di sé e dei propri oggetti interni di cui la mente ha bisogno per mobilitarsi e per crescere. Produrre conoscenza attraverso il mondo delle rappresentazioni può dunque essere considerata una delle funzioni del sogno. L'aveva intuito anche Freud (1 899) quando paragonava il sogno a un giornale in un regime dittatoriale: deve uscire ogni notte ma non può dire la verità ed è costretto a dirla tra le righe. Noi oggi pensiamo che il sogno è un giornale che esce ogni notte e dice la verità, anche se in forma distorta, ma il lavoro in analisi per­ mette di ridurre l'operazione retorica del sogno, cioè lo scarto tra contenuto manifesto e contenuto latente, e mettere il sogno in condizione di radiogra­ fare lo stato relazionale della coppia in analisi con riguardo sia alla mente del paziente e ai suoi oggetti, sia alla mente dell'analista con i suoi affetti contro­ transferali. In questa linea di pensiero, possiamo definire oggi il sogno come un' espe­ rienza reale che, in quanto rappresentazione del mondo interno del sogna­ tore, nel suo immediato presente esprime il transfert nella sua totalità. Ciò non significa che il sogno non sia anche altro o non assolva altre funzioni, ad esempio quella di comunicare all'analista qualcosa di non comunicabile altri­ menti, oppure l'esaudimento di un antico desiderio rimosso o addirittura una premonizione, come si pensava nell'antichità (Mancia, 1 998), o anche un agito in seduta, come nel caso di sogni portati in forma evacuativa in grande quantità solo per riempire lo spazio psicoanalitico. Quello che comunque va sottolineato è il ruolo attivo e insostituibile del sogno nel processo di dram­ matizzazione della relazione, teso a costituire un pensiero condiviso dalla cop­ pia. Un processo cioè di teatralizzazione degli affetti in gioco nella relazione in quel particolare fuggevole momento transferale.

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La conoscenza che scaturisce dal sogno deriva anche dal fatto che, conte­ stualizzato nella relazione psicoanalitica, il sogno stesso permette un recupero e una presenti:ficazione di antiche esperienze cui è possibile attribuire un nuovo senso, operazione che fa considerare il sogno come il protagonista più accreditato e l'artefice più affidabile di quella che Freud definisce Nachtriiglich­ keit, intesa come riattribuzione di significato a un'esperienza passata attraverso una ritrascrizione della memoria. La memoria che il sogno recupera non va intesa soltanto come memoria storica, cara ai cognitivisti, ma essenzialmente come memoria affettiva legata alla riattivazione di una processualità (macra­ traumatica e microtraumatica) che ha caratterizzato le tappe più significative dello sviluppo della mente infantile e permette l'integrazione delle esperienze passate con quelle presenti, della realtà affettiva attuale attivata dal transfen con quella dell'infanzia recuperata appunto nella memoria. Sogno quindi che, in virtù della memoria, diventa un pontifèx che, collegando e saldando le espe­ rienze attuali con quelle di un tempo, fa da ponte tra inconscio passato e in­ conscio presente (Sandler e Sandler, 1 984) dando così unità all'esperienza in­ conscia e permettendo una sua storicizzazione. La memoria che opera, quindi, nel sogno diventa parte integrante del transfen e del lavoro costruttivo e rico­ struttivo che sul transfert la coppia psicoanalitica compie. Un altro aspetto del sogno in analisi, che lo differenzia nettamente da altri vertici di osservazione, è quello clinico. TI sogno infatti può assolvere nume­ rose funzioni nell'ambito della relazione psicoanalitica. Ad esempio, può es­ sere il rivelatore più attendibile di sentimenti che non possono essere espressi altrimenti oppure di situazioni di stalla in cui è incappata la coppia psicoana­ litica. Il sogno può far capire al paziente la natura del suo rapporto con i suoi oggetti interni e lo responsabilizza per le relazioni che questi oggetti hanno tra loro. Inoltre, il sogno può essere la rappresentazione privilegiata per sve­ lare situazioni masturbatorie criptiche di tipo anale (Meltzer, 1 966). Infine, una funzione del sogno in analisi da non dimenticare è la possibilità che ha di prevenire gli acting-out. Esiste infatti una proporzione inversa tra la capacità di sognare e di elaborare i sogni da parte del paziente e le sue tendenze al­ l'agire. In conclusione, questi sono i problemi più rilevanti posti dalla dialettica tra psicoanalisi e neuroscienze: Qual è il contributo che le neuroscienze pos­ sono dare allo studio del sogno in campo psicoanalitico? Che relazione può esistere tra le neuroscienze come metodo di studio del cervello e delle sue funzioni (sinapsi, neuroni, vari sistemi operativi responsabili dei vari stati di coscienza) e la psicoanalisi come metodo antropologico che allarga il suo obiettivo sulle funzioni della mente e sulle rappresentazioni affettive che nella narrazione del sogno vanno incontro a un processo di significazione lin­ guistica?

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Da quanto detto, appare chiaro che le neuroscienze si occupano essenzial­ mente degli eventi fisiologici del sonno nelle sue varie fasi REM e non-REM, e quindi delle «comici» biologiche all'interno delle quali il sogno può orga­ nizzarsi; le neuroscienze sono un supporto alla ricerca psicofisiologica, inte­ ressata alla correlazione tra eventi fisiologici ed eventi mentali durante le di­ verse fasi del sonno. I cognitivisti e i neuropsicologi sono impegnati a cono­ scere come il sogno si organizza e quali strutture cerebrali partecipano alla sim­ bolizzazione, alla memorizzazione, alla codificazione semantica e alla narra­ zione del sogno. n setting sperimentale di questi metodi di ricerca presuppone un soggetto che studia l'oggetto, ne valuta le risposte e le elabora sul piano qualitativo e quantitativo. La psicoanalisi invece si interessa al significato del sogno e a una sua possibile contestualizzazione all'interno di una relazione specifica caratterizzata dal transfert e dal controtransfert. n setting psicoanali­ tico, diversamente da quello neuroscientifico, si basa sul rapporto tra due sog­ getti ed è essenzialmente interessato alla qualità degli affetti consci e inconsci che entrano in gioco nella relazione (vedi Longhin e Mancia, 1998). È necessario infine precisare che, anche se il sogno è comunque un pro­ dotto del cervello, in quanto funzione rappresentativa trascende il cervello e si pone a un livello epistemologico profondamente diverso rispetto alle fun­ zioni cerebrali. n sogno e il suo significato restano il referente della psico­ analisi, mentre le funzioni cerebrali nel sonno sono i referenti delle neuro­ scienze, che tuttavia, sull'esperienza onirica profondamente legata alla storia affettiva del soggetto, non possono dire nulla di interessante.

Capitolo 23 Il sogno tra psicoanalisi e neu roscienze Franco Scalwne e Gemma Zontini

Dobbiamo ancora resistere alle facili dicotomie e batterci per una teoria integrata, che non trascuri né gli aspetti fisiologici, anatomici e biochimici dell'uomo, né quelli sociali, culturali e filosofici. In un mondo in cui le psicologie dominanti ap­ paiono così marcatamente riduzioniste e in cui lo sforw ridu­ zionistico e disumanizzante della scienza spinge sempre più gente a rifiutare l'intera impresa scientifica, una teoria psico­ logica veramente adeguata, urnanistica e scientifica nel senso migliore dei termini, probabilmente potrebbe fornire un contributo così essenziale alla risoluzione di problemi di tale gravità da rappresentare un obiettivo sufficientemente degno da meritare un impegno particolare. Holt (1972) pp. 107 sg.

Premessa n sognare è un'attività mentale alla quale corrispondono dimostrabili atti­ vità cerebrali di ordine neurofisiologico, in individua bili circuiti nervosi e re­ lative strutture anatomiche, che generano epifanie prevalentemente mediante immagini visive. Il cervello è un sistema autopoietico aperto energeticamente all'esterno, ma chiuso operazionalmente (informazionalmente e cognitivamente) al fine di mantenere l'omeostasi interna e l'identità del sistema stesso. Edelman scrive: «Si può dire che il cervello sia in contatto con sé stesso più che con qualsiasi altra cosa» (1992 , p. 40). La maggior parte dei tessuti cerebrali in­ fatti ricevono e inviano segnali, cioè dialogano, pressoché unicamente, con le altre aree del cervello, senza alcuna interferenza con il mondo esterno, me­ diante il processo di rientro che serve a scambiare segnali tra mappe cerebrali. Il concetto di rientro, diverso da quello di foedback che designa una funzione solo correttiva e non costruttiva, rappresenta l'attività ricorsiva cerebrale che è alla base dei processi di selezione, categorizzazione, creazione di giudizi e di valori, che guidano i comportamenti. Lo psichismo umano, a sua volta, può essere descritto come un sistema rappresentazionale costruito su una rete au­ toreferente di categorie: anch'esso sarebbe perciò in relazione soprattutto con altre sue parti più che con l'esterno. Già Freud, a tal proposito, scriveva nel Progetto: «In realtà sappiamo dall'anatomia che vi è un sistema di neuroni (la sostanza grigia del midollo spinale) il quale è il solo che sia in contatto con il mondo esterno, e un sistema sovrapposto (la sostanza grigia del cervello) che non ha collegamenti perife­ rici diretti, ma da cui dipendono lo sviluppo del sistema nervoso e le funzioni

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psichiche. D cervello primario non contraddice le caratteristiche che abbiamo attribuito al sistema y, solo che si supponga che il cervello abbia vie dirette e indipendenti da j verso l'interno del corpo. L'origine e il significato biolo­ gico originario del cervello primario non sono conosciuti dagli anatomisti; in base alla nostra teoria esso non sarebbe altro, per esprimerci direttamente, che un ganglio de/ simpatico» (Freud, 1 895, pp. 208 sg.). Freud ipotizzò che la comunicazione interna tra le varie parti del cervello fosse compito del sistema y e in particolare dei «neuroni nucleari» (Kern­ Neurone) collegati a sistemi biochimici. Questo sistema diventerà in seguito l'Es della seconda topica. Un'altra funzione del cervello, la memoria, non solo quella procedurale non simbolica basata su schemi sensomotori, ma an­ che quella simbolica, è fondamentale per il mantenimento della stabilità dell'ambiente interno e dell'individualità del sistema. Essa riveste un'impor­ tanza cruciale nel processo onirico per quanto attiene la possibilità di fornire il materiale mnestico inunagazzinato nelle tracce mnestiche per la costru­ zione del sogno: desideri e ricordi infantili, ricordi traumatici ecc. Inoltre, per la funzione del sistema nervoso e per il comportamento in par­ ticolare, sembra che sia fondamentale l'attività interna di fondo autogenerata piuttosto che il reagire a stimoli. Skarda e Freeman (1977), ad esempio, studiando le percezioni degli odori nei conigli rilevarono l'esistenza in gruppi di neuroni di onde autogenerate pur in assenza di stimoli, per cui nel tessuto cerebrale si passava repentina­ mente da uno stato di inattività a uno stato di attività.1 Un esempio di una tale 1 L'esperimento condotto da Skarda e Freeman sui conigli consente di far luce sul funzionamento dell'apparato olfattivo. Conigli assetati erano condizionati a rispondere a un certo odore con il lecca­ mento, poiché tale odore era seguito dopo due secondi dal rilascio di acqua, mentre rispondevano ad altri odori con il semplice annusamento, poiché questi ultimi non erano seguiti dal rilascio di acqua. Nel cervello di tali conigli erano impiantati permanentemente, a livello della superficie laterale del bulbo olfattorio sinistro, 64 elettrodi. Rilevando, amplificando e mi surando le 64 traroe elettroence­ falografiche gli autori trovarono che la specificità dell'informazione circa l'odore percepito era colle­ gabile al pattern spaziale dell'ampiezza dell'onda di oscillazione del potenziale elettroencefalogra­ fico, comune a tutte le 64 tracce degli elettrodi, e cioè all'intero bulbo. Quindi tutti i neuroni bulbari partecipavano a ogni risposta olfattiva discriminativa. Tutto ciò che distingueva il pattern elettroen­ cefalografico di un odore da quello di un altro era l'intensità media di un evento in un determinato periodo di tempo. Gli autori hanno ipotizzato, sulla base di questi dati, che il funzionamento della corteccia cerebrale olfattiva potesse essere simile a quello di un sistema dinamico. L'attività di fondo dei neuroni, mai eliminabile dal tessuto cerebrale, è simile a un'attività caotica la cui funzione è pro­ prio quella di evitare eccessive sincronizzazioni di tale attività, forse per evitare che il sistema cere­ brale cada in stati che gli possano essere dannosi, come ad esempio l'epilessia, che in un certo senso si può interpretare come un eccesso di sincronizzazione. Da questa attività caotica emerge il pattern odorifero specifico quando arriva un input esterno alla corteccia. A questo stimolo esterno, la cortec­ cia olfattiva non risponde secondo la selezione di vie prestabilite, corrispondenti in qualche modo allo stimolo, né secondo un procedimento di manipolazione di simboli e di applicazione di regole, procedimento dettato da istruzioni corticali, ma secondo un funzionamento selettivo del tipo bottum­ up. I neuroni del bulbo olfattivo sembrano reagire allo stimolo esterno secondo un procedimento di aumento e generalizzazione dell'attività di tutti i neuroni bulbari, connessi da complessi meccanismi di feedback e da interconnessioni sinaptiche multiple, finché non raggiungono un nuovo stato sta­ bile, descritto dal pattem elettroencefalografico, specifico per quell'odore. n sistema corticale, cioè, raggiunge una biforcazione e, quindi, una nuova configurazione che può essere descritta da un att:rat-

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attività neuronale autogenerata, sebbene di tipo patologico, lo troviamo nelle epilessie; infatti la crisi epilettica ha inizio spontaneamente. Persino quando gli animali sono a riposo e immobili, i loro cervelli incessantemente gene­ rano un'attività, temporaneamente senza pattern, che viene riflessa nei loro elettroencefalogrammi. Anche Freud parlava di un «principio della non-su­ scettibilità all'eccitamento dei sistemi non investiti» (191 se, p. 94) proprio a indicare la necessità di postulare un'attività di base che precedesse l'eccita­ mento vero e proprio. Ma qui si pone la questione se egli teorizzasse modelli della mente che implicavano un isomorfismo mente-cervello o meno; gli au­ tori sono notevolmente discordi su questo punto. Possiamo ora chiederci se in Freud esisteva l'idea di un'energia psichica autoctona, o se per lui l'energia proveniva sempre dall'esterno dell'apparato psichico; dal mondo esterno mediante le sensazioni o come energia fisica, dall'interno dell'organismo mediante le pulsioni (o gli istinti). Come spesso accade, non c'è chiarezza circa questo punto, ma certamente egli si pose il problema e, seppure nei suoi primi scritti lo psichismo si comportava come un semplice «arco riflesso», in seguito si accorse che senza l'esistenza di un'energia di fondo (un'eccitazione sessuale somatica) l'organismo non avrebbe potuto funzionare/ A questo proposito egli ipotizzava (vedi lo schema della sessualità in Freud, 1 892-97, Minuta G) l'esistenza di un'ener­ gia sessuale somatica che, solo nel caso in cui superasse un certo valore so­ glia, era in grado di eccitare l'energia psichica (libido). Sull'argomento si è sviluppato un articolato dibattito di cui non possiamo occuparci in questa sede; ci limitiamo a ipotizzare l'esistenza di un'attività neuronale di base (energia quiescente di Breuer, energia libera di Freud). Preci­ siamo però che le cose cambiano se consideriamo l'apparato psichico come un sistema isolato o se lo consideriamo come un sottosistema dell'organismo in toto. Nel secondo caso diventa meno importante fare una differenza tra due tipi di energia: quella fisica e quella psichica, e sarebbe artificioso non consi­ derare il complesso mente-corpo come un tutt'uno, viste le ricche connestore caotico del tipo ciclo limite, in quanto un determinato stato che il sistema raggiunge se esposto nuovamente a un determinato odore è all'incirca lo stesso che raggiunge se esposto nuovamente allo stesso odore (ciò spiega perché l'attrattore caotico in questo caso è del tipo ciclo limite). In seguito all 'esposizione a un altro tipo di odore, il sistema si attiva di nuovo globalmente, raggiunge nuova­ mente una biforcazi01le e quindi si stabilizza in un nuovo sistema descrivibile da un altro pattem elet­ troencefalografico e da un altro attrattore caotico del tipo ciclo limite e così via. L'efficacia di questo modello sta nel suo eliminare la necessità di una corrispondenza topografica tra stimolo e risposta neuronale, di un deposito della memoria, e nel garantire un accesso più rapido alle informazioni le­ gate a un'esposizione precedente allo stimolo, in quanto una tale pre-esposizione non è altro che una configurazione funzionale. 1 Sottolineiamo a questo proposito la differenza ben nota tra il principio di costanza, assimila­ bile al concetto di omeostasi, secondo cui l 'energia nel sistema psichico tenderebbe a rimanere a un valore costante, e il principio di inerzia neur011ica, poi principio del Nirvana, secondo cui il livello d'energia tenderebbe al valore zero. Oggi invece possiamo pensare a un sistema psichico aperto termodinamicamente verso il mondo esterno, ma chiuso operazionalmente, informazionalmente e cognitivamente (sistema autopoietico).

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sioni esistenti tra i due sistenù mediante varie vie nervose come ad esempio le vie ipotalamo - sistema nervoso autonomo - (simpatico e parasimpatico) - si­ stema endocrino - sistema immunitario. C'è comunque ancora molto da capire sul ruolo e sul funzionamento del sistema nervoso in generale e di quello autonomo in particolare (collegato alle cortecce prefrontali ventromediane, amigdala, cingolato, ipotalamo e midolbJ allun­ gato e alle componenti chinùche del funzionamento dell'apparato nervoso), intimamente connesso al corpo e all'espressione somatica delle emozioni. Questo sistema riveste grande importanza nel fondamentale processo di co­ municazione interna tra le parti del Sé, di conoscenza di sé e di organizza­ zione delle risposte viscerali agli stimoli interni ed esterni. Proprio sul fun­ zionamento di questi sistenù Damasio ha recentemente fondato la sua ipotesi del marcatore somatico.3 Ritornando all'attività neuronale cerebrale autogenerata, dobbiamo a que­ sto proposito chiederci: cos'è allora che mette in moto il sistema nervoso cen­ trale? Cos'è che provoca quella variazione di potenziale sufficientemente alta da dare l'avvio alla successione di eventi chiamata impulso? Che cosa precede l'impulso? Ebbene, per la maggior parte dei neuroni del cervello la risposta è che il prinùssimo potenziale d'azione all'inizio dell'assone è provocato dall'effetto cumulativo, sul corpo cellulare del neurone, delle variazioni di potenziale indotte dai neurotrasmettitori provenienti da altri neuroni posti «a monte». Ciò potrebbe far pensare che il flusso dell'attività neuronale del cervello proceda in modo lineare. In realtà, le configurazioni del flusso neu­ ronale di norma sono tutt'altro che lineari e formano anelli dinamici che mu­ tano continuamente.

3 I marcatori somatici sono degli stati corporei che «contrassegnano» un'immagine mentale. Quando bisogna prendere una decisione i marcatori somatici sono importanti perché escludono automaticamente delle scelte che possono avere esiti futuri sfavorevoli, indirizzando l'individuo verso scelte con esiti futuri favorevoli. Per questo motivo essi sono collegati a inunagini mentali che contrassegnano percorsi decisionali possibili. Per esempio, se una determinata decisione ri­ chiede una scelta, tra le varie possibili quella sfavorevole viene segnalata da uno stato somatico particolare, quale può essere una costrizione dello stomaco, e viene così automaticamente evitata senza ulteriore elaborazione logico-razionale. Decidere con la sola razionalità è un procedimento , in quanto bisognerebbe sottoporre a un'analisi logico-razionale tutte le alter­ native possibili di scelta collegate con tutti i tipi di immagini mentali connesse a quella determi­ nata scelta. Perciò, anche per una decisione semplice, sarebbero necessari tempi molto lunghi e dispendi operativi psichici molto elevati, senza peraltro avere la certezza di giungere poi a una de­ cisione. Ci potrebbero essere, infatti, dal punto di vista logico, alternative ugualmente buone, o ci si potrebbe perdere nell'analisi costi-benefici che va eseguita per ogni alternativa. L'intervento del marcatore somatico automatizza la scelta, almeno fino a un certo punto, e consente al ragio­ namento logico di operare su un numero molto più ridotto di alternative e, quindi, in tempi brevi. I marcatori somatici sono connessi alle e71WZioni secrmdarie. Le emozioni secondarie sono l'insieme dei cambiamenti corporei indotti dalle cellule nervose, sotto il controllo del sistema cerebrale che risponde al contenuto dei pensieri relativi a una particolare entità o evento: «In breve, i marcatori somatici sono esempi speciali di sentimenti generati a partire dalle emozioni secrmdarie. Quelle emozioni e sentimenti sono stati connessi, tramite l'apprendimento, a previsti esitifuturi di certi scenari» (Dama­ sia, 1994, p. 2.46).

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Il sogno nel neonato e il suo sviluppo Le brevi note sull'ontogenesi dell'attività onirica, che seguiranno, si ba­ sano su alcune ipotesi di lavoro molto generali, e le esponiamo al solo scopo di introdurre i temi di cui ci occuperemo; una loro disamina più approfon­ dita esulerebbe dall'argomento di questo lavoro. Evidenze indirette di ordine soprattutto neurofisiologico permettono di avanzare ipotesi sulla possibilità che nel feto, e in seguito nel neonato, da una originaria indifferenziazione funzionale somato-psichica, si differenzino pro­ gressivamente queste due stesse funzioni attraverso un processo affidato a or­ ganizzatori che si vanno formando nel sistema nervoso del feto parallelamente all'evolversi e al definirsi dei processi epigenetici di sinaptogenesi nelle popo­ lazioni neuronali. Questa attività sinaptogenetica, specie quella corticale, è in gran parte il risultato di influenze ascendenti (bottom-up) delle strutture reti­ colari pontine che, a loro volta, sono in stretta relazione causale con il sonno tipo REM del feto. La sinaptogenesi (plasticità sinaptica), che come sappiamo si sviluppa nel corso dell'embriogenesi e in seguito dell'epigenesi, costituisce un processo fondamentale nella formazione dei circuiti cerebrali, come af­ ferma anche Edelman a proposito della formazione dei repertori secondari nella sua teoria della selezione dei gruppi neuronali (TSGN),4 i quali si trasformano 4 La TSGN di Edelman è una teoria del funzionamento del cervello basata sul concetto di ri­

conoscimento. In

altri termini, per produrre nell'individuo comportamenti adattativi rispetto all'ambiente, le cellule neuronali non vengono istruite (teoria istruttiva) da una qualche entità ce­ rebrale, tipo homunculus, che raccoglie tutte le informazioni sensoriali in arrivo e produce una ri­ sposta motoria che, a sua volta, dà luogo a un comportamento. Piuttosto, le cellule cerebrali e le loro connessioni avrebbero attività ampiamente variabili e il loro funzionamento verrebbe sele­ zionato a posteriori allorquando si presenta un fatto esterno (darwinismo neurale). La TSGN si basa su tre princìpi fondamentali: 1) durante lo sviluppo le cellule cerebrali si aggregano per for­ mare i repertori primari, cioè gruppi di neuroni geneticamente collegati tra loro, ma con una certa variabilità individuale. Le cause di tale parziale variabilità sono la regolazione dinainica delle CAM (molecole di adesione cellulare, che facilitano l'adesione tra cellule) e delle SAM (molecole di adesione al substrato, che facilitano il legame tra cellule e substrato), la variabilità stocastica dei movimenti cellulari, dell'estensione dei prolungamenti e della morte delle cellule durante lo svi­ luppo, e l'accoppiamento delle connessioni tra neuroni durante lo sviluppo stesso; 2) la forma­ zione di repertori secondari mediante il rinforzo e l'indebolimento selettivo delle connessioni si­ naptiche tra neuroni. La formazione di repertori primari influenza la formazione di repertori se­ condari e viceversa; 3) il processo del rientro, cioè la connessione tra gruppi neuronali organizzati in mappe, in modo che segnali generati da mappe cerebrali diverse possano essere coordinati tra loro in parallelo. I segnali sensoriali in arrivo, perciò, vengono elaborati e categorizzati in mappe cerebrali da essi selezionate. Le mappe sono, poi, collegate tra loro dal meccanismo del rientro. Le mappe locali, a loro volta, sono connesse in una struttura di ordine superiore, detta mappa glo­ bale, in grado di mettere in correlazione gli eventi selettivi che hanno luogo nelle sue mappe lo­ cali con il comportamento motorio, con nuovi campionamenti sensoriali del mondo esterno e con altri eventi successivi prodotti dal rientro. Ciò garantisce la creazione di un ciclo dinamico glo­ bale che mette continuamente in corrispondenza i gesti e la pastura con il campionamento di vari tipi di segnali sensoriali. Perciò la categorizzazione dei segnali sensoriali, mediante l'attività di gruppi neuronali di mappe locali selezionate dall'evento esterno nella mappa globale, seleziona, a sua volta, la risposta in uscita di altri gruppi neuronali che fornisce il comportamento adeguato. Per comportamento adeguato si intende. un comportamento attuato in risposta a una categorizza­ zione riferita a criteri di valore interno.,Tali criteri !iinitano i doinini di appartenenza delle cate-

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sotto la spinta degli stimoli e dell'esperienza formando mappe cerebrali rien­ tranti, e mappe di mappe, collegate tra loro da connessioni a parallelismo mas­ siccio. Questi processi neurofìsiologici sono alla base dei processi di catego­ rizzazione e perciò della creazione di concetti, valori e giudizi. Possiamo immaginare dunque che il feto sia dominato inizialmente dalle sue funzioni sensomotorie e vegetative volte a stabilire e perfezionare un rap­ porto sempre più stretto con la madre, intesa come sorgente continua di sti­ moli (madre-ambiente) in grado di assicurare al feto la costanza del suo mezzo interno. Questo insieme di funzioni sarà attivo per tutta la durata della gravi­ danza. La relazione materno-fetale permetterà quindi alla madre di trasmettere al prodotto del concepimento gli elementi del proprio stato biologico, forse mediante variazioni del funzionamento sensomotorio e biochimico, nonché, ma in modo meno chiaro, elementi attinenti alla propria sfera emotiva e men­ tale. Vediamo come già da questa fase le due componenti, quella biologica e quella affettiva, coesistano e si influenzino reciprocamente. In particolare, i processi neurofìsiologici che compaiono nel sonno attivo/ che corrisponde al sonno REM dell'adulto, in quanto processi organizzatori, con il progredire di questo stadio diventano sempre più complessi e indicano un grado parallelamente crescente di integrazione in termini neuropsicolo­ gici. Possono essere considerati come processi molto arcaici dove il biologico e lo psichico sono confusi. In questa particolare situazione biologica fattori interni di natura istintuale ereditati potranno essere trasmessi al feto e inte­ grarsi con le esperienze sensoriali che legano il feto alla madre, così da costi­ tuire un nucleo protomentale. Probabile caratteristica di questo nucleo è l'es­ sere permeabile agli stimoli che provengono dall'interno e alle esperienze sensoriali che lo raggiungono dal mondo esterno, compreso quello materno, le quali si integrano attraverso un processo edelmaniano di categorizzazione e ricategorizzazione continua. Il particolare stato di sonno attivo in cui si trova il feto può essere conside­ rato una cornice biologica essenziale per un'esperienza mentale di tipo proto­ onirico capace di contribuire alla fondazione e allo sviluppo di quel nucleo pro­ tomentale di attività che vive una temporalità frammentaria. Il ruolo centrale in questo processo di trasformazione delle informazioni sensoriali in espegorie, sono evolutivamente fissati e sono preposti alla regolazione delle funzioni corporee. In que­ sti ambiti biologicamente ed evolutivamente fissati, avvengono durante l'epigenesi i processi di cat�orizzazione per selezione di mappe cerebrali, postulati dalla TSGN. ll sonno attivo è contraddistinto da movimenti lenti o rapidi dei globi oculari a palpebre chiuse, semichiuse o aperte, presenza di movimenti grossolani e fini del corpo e di attività mi­ mica-espressive del volto, respiro irregolare e frequente alternato a brevi pause di apnea, perdita del tono antigtavitario, polso più rapido e irregolare, pressione sistolica più alta con ampie flut­ tuazioni, frequenza cardiaca caratterizzata da una variabilità di base. I riflessi propriocettivi sono diminuiti o assenti, cresce il volume delle urine, crescono la pressione intracranica, la circolazione cerebrale e la temperatura cerebrale.

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rienze emotive - il passaggio cioè dal fisico al protomentale frammentario sarà affidato al complesso processo di integrazione che avviene nel sonno tipo REM di cui il sogno è la spia e di cui , in seguito, la narrazione mediata dall'in­ tervento dell'elaborazione secondaria costituirà la comunicazione cosciente. Dovremo perciò differenziare la narrazione del sogno, in cui è operante an­ che l'apparato del linguaggio che utilizza la rappresentazione di parola, dal processo di formazione del sogno così come avviene nelle strutture cerebrali: differenziare, cioè, la rappresentazione cosciente dalle presentazioni incon­ sce (vedi Solms, 1 995, 1997). Le considerazioni di ordine neurofisiologico e psicoanalitico fin qui fatte permettono di vedere la vita prenatale, almeno negli ultimi mesi della gesta­ zione, come un insieme di funzioni indifferenziate che mettono il feto in re­ lazione con il contenitore materno e con il mondo esterno; da questa matrice comune tenderanno progressivamente a differenziarsi una funzione somatica e una funzione psichica. La funzione somatica e vegetativa del feto, che si evolve sotto il controllo del sistema nervoso centrale in fase di sviluppo, darà origine al Sé neurofisiologico (Mancia, 1 984, p. 144), che sarà fondamental­ mente un Sé sensomotorio e vegetativo. Esso si avvarrà del particolare stato di sonno REM atipico per essere integrato in un Sé progressivamente più com­ plesso che permetterà, alla nascita, nell'incontro che il feto farà con una realtà oggettuale separata, la formazione di un Sé mentale distinto (vedi Mancia, 1 996). A questo punto dello sviluppo troviamo quella che Gaddini chiamava «organizzazione mentale di base » (OMB): «Per "organizzazione mentale di base" intendo la mente primitiva, così come si è venuta organizzando nel pe­ riodo che va dal processo biologico della nascita al processo mentale della se­ parazione incluso, processo a cui è stato dato il nome di "nascita psicologica". Per questa ragione, l'organizzazione mentale di base si può anche definire come l'organizzazione mentale di cui l'individuo dispone al momento della sua nascita psicologica» (Gaddini, 1989, p. 6 1 8). Essa è «il risultato dell'ap­ prendimento mentale del corpo, vale a dire dei vissuti sensoriali relativi a de­ terminati funzionamenti del corpo. Sotto questo aspetto, corrisponde a quella che in origine avevo chiamato area sensoriale della mente. L'attività sensoriale prescinde dalle percezioni, usa le sensazioni, e implica perciò un funzionamento imitativo» (ibid., p. 62 r). n funzionamento imitativo, come sappiamo, è un funzionamento mentale magico e onnipotente che prescinde dalle percezioni e usa le sensazioni, specie quella da contatto. Ipotizziamo dunque che lo stato neurofisiologico di base sia il sonno (evi­ denziabile elettroencefalograficamente), mentre la veglia «emerge» dal sonno. Quando nel neonato fallisce l'onnipotenza, e ad esempio la fame (sti­ molo interno) diventa insopportabile, il sogno non sarebbe più in grado di assolvere al compito di «custode del sonno». Così il bambino si sveglia ed è

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costretto a riconoscere l'esistenza del mondo esterno; si avranno allora le condizioni per il passaggio dal funzionamento mentale secondo il processo primario a quello secondo il processo secondario. Si intuisce allora l'importanza della fase REM del sonno in questo pro­ cesso. In mancanza di stimoli esterni forti, il neonato è comunque sottoposto agli stimoli interni. Forse all'inizio egli non sogna o produce un proto-sogno, privo cioè di rappresentazioni figurate, una sorta di sogno subsimbolico di natura energetica unicamente «quantitativo», al quale non corrispondono un'«immagine» e un «pensiero». Tutto ciò si collega alle presentazioni d'og­ getto inconsce, di cui Freud già parlava nell'Interpretazione delle afasie, che non sono rappresentazioni mediante immagini ma presentazioni sensoriali e cenestesiche. Alla nascita le modalità percettive sono diffuse (transmodali) tra i vari si­ stemi percettivi e tra questi e i sistemi centrali. All 'inizio le impressioni sen­ soriali interne sono probabilmente «grezze» e aspecifiche, o meglio è così che il neonato è in grado di percepirle a causa dell'immaturità del sistema nervoso, e perciò sono terrifiche e difficilmente controllabili tanto da esporlo a ondate massicce di angoscia alle quali sono stati dati vari nomi: terrore senza nome, agonie impensabili, angoscia catastrofica ecc. Questi termini caratterizzano tale angoscia come conseguenza di un trauma puro, meramente economico (energetico), scollegato dalla possibilità di rappresentazione e, perciò, di ela­ borazione mentale: «Nei sogni di persone adulte, si possono ancora trovare i vissuti di quell'angoscia originaria. Sogni, ad esempio, in cui si prova con ter­ rore la sensazione di cadere per sempre in abissi senza fondo, o di andare in pezzi e dissolversi nello spazio esterno illimitato. Sono sogni che hanno in genere molto più a che fare con i vissuti sensoriali di sé, di norma primitivi, che non con le esperienze percettive degli oggetti nel mondo esterno» (Gad­ dini, 1 989, P· 575). Solo in un secondo momento quei vissuti sensoriali di sé si collegheranno nella memoria a esperienze sensoriali provenienti dall'esterno le quali, es­ sendo più strutturate, e a volte in grado di gratificare i bisogni (ad esempio fame), metteranno la mente in grado di «creare» i simboli, i quali sono stret­ tamente collegati all'attività nervosa spontanea di origine centrale. Nascerà allora il pensiero, che con l'aiuto del linguaggio trasformerà la «pensabilità» inconscia in pensabilità cosciente. n sogno appare perciò una funzione fon­ damentale nel complesso passaggio dalla dimensione subsimbolica a quella simbolica del mentale. Esso, come abbiamo già visto, si sviluppa come conse­ guenza di una proprietà sistemica quale è l'attività spontanea a partenza dal tessuto nervoso del cervello: lo stato di attivazione neurofisiologica che so­ praggiunge regolarmente ogni 90 minuti durante il sonno, cioè lo stato REM che proviene dalle strutture profonde del tronco encefalico. La funzione primaria del sogno è quella di legare energia fisica alle rap-

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presentazioni e rendere così l'esperienza corporea disponibile per la pensabi­ lità. Potremmo anche dire che questo processo sovraintende al passaggio che conduce dalla presentazione d'oggetto inconscia alla rappresentazione conscia, dal processo primario a quello secondario. Scrive Freud a proposito del la­ voro onirico: «Questo prodotto, il sogno, dev'essere prima di tutto sottratto alla censura e a questo scopo il lavoro onirico si serve dello spostamento delle intensità psichiche, fino alla trasmutazione di tutti i valori psichici; i pensieri debbono essere resi, esclusivamente o prevalentemente, come tracce mnesti­ che visive o acustiche e da quest'esigenza sorge per il lavoro onirico la consi­ derazione della rappresentabilità, cui esso risponde mediante nuovi . spostamenti » (Freud, 1 899, p. 46 3). Bisogna, comunque, sia differenziare lo studio dell'attività del sonno REM da quella del sogno, sia studiare le varie componenti e le modalità con cui i pazienti «completano» i sogni al fine di costruire un racconto che risente for­ temente dell'intervento dell'elaborazione secondaria, la quale riempie i vuoti tra le rappresentazioni mediante i «pensieri di saldatura», che legano in modo significativo le varie parti staccate del sogno: essa, per così dire, tra­ sforma un patchwork in un arazzo. Il sogno ha anche altre funzioni. Come abbiamo già visto a proposito del neonato, anche nell'adulto durante il sogno, a causa della regressione onirica, si ricreerà una situazione di transmodalità e i sisteini percettivi diventeranno facilmente permeabili ai sistemi centrali che funzionano in modo top-down. Per questo motivo la ricerca dell'appagamento allucinatorio del desiderio in­ fluenzerà, anzi determinerà, la formazione del sogno, e quest'ultimo costi­ tuirà la «via regia» per accedere all'inconscio. Anche i sisteini linguistici, durante il sogno, possono essere influenzati da quelli centrali e possono dar luogo, mediante i meccanisini della condensazione e dello spostamento, alle «formazioni verbali bizzarre e inconsuete » o, durante la veglia, alle parafosie delle isteriche.

Solms e i recenti studi sull'attività onirica Possiamo dire che per Freud il sogno è un tentativo di appagare un deside­ rio infantile inconscio in forma allucinatoria. « Spesso il sogno sembra avere più di un significato ( ... ) sinché alla fine s'incontra l'appagamento di un desiderio della prima infanzia» (Freud, 1 899· p. zos). Questo processo è l'essenza del sogno, e cioè quello che Freud chiamava il processo onirico. Egli fu consapevole del pericolo che avrebbe corso nel formu­ lare la sua ipotesi in modo perentorio: «Ho formulato un'affermazione ge­ nerale che liinita il senso dei sogni a una singola forma di pensiero, al raffi­ guramento di desideri, e in tal modo ho attizzato l'universale propensione a contraddirini» (Freud, I901b, p. 35 6).

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Nonostante fosse convinto dell'importanza delle determinanti psichiche nella formazione del sogno, Freud comunque restò sempre fedele all'idea che le attività psichiche presupponessero sottostanti determinanti biologiche, an­ che sotto forma di processi fisico-chimici. A proposito delle funzioni cerebrali, inoltre, Freud era un convinto antilo­ calizzazionista. Ciò che gli permise di capire che non poteva esserci una collo­ cazione delle funzioni mentali in aree anatomiche discrete furono le osserva­ zioni fatte nello studio di due diversi tipi di patologia: le afasie e le nevrosi, e l'isteria in particolare. Le afasie dimostravano che il linguaggio e i suoi disturbi prevedevano funzioni distribuite su più aree del cervello e i soggetti affetti da nevrosi, dal canto loro, non presentavano lesioni anatomiche cerebrali dimo­ strabili all'autopsia. Come sappiamo, perciò, egli abbandonò le idee localizza­ zionistiche della scuola francese e tedesca di afasiologia del suo tempo, e si volse verso le idee olistiche del neurologo inglese Hughlings Jackson per co­ struire un modello dell'apparato del linguaggio che costituì la base del suo modello distribuito e parallelo delle funzioni dell'apparato psichico. Dopo Freud molti autori, analisti e non, hanno aggiunto nuove concezioni del sogno e a volte hanno proposto mutamenti radicali delle sue teorie. Un contributo originale allo studio del sogno viene attualmente dato da un au­ tore, da anni interessato alla riunione della psicoanalisi alle neuroscienze, il quale ha proposto l'uso di un metodo neuroscientifico per individuare l'or­ ganizzazione cerebrale delle funzioni mentali: Mark Solms. Utilizzando una procedura stabilita dal neuropsicologo russo Aleksandr Romanovic Lurija, che quest'ultimo chiamava analisi sindromica (o analisi della sindrome), Solms ha indagato le variazioni del processo onirico dovute ad alterazioni lesionali del cervello. Seguendo questo tipo di indagine, è stato in grado di individuare una serie di alterazioni del sogno correlate a lesioni di determinate aree cere­ brali (Solms, 1 995, 1 997). La localizzazione dinamica è un metodo di correlazione clinico-anatomica che serve a identificare le diverse componenti di un sistema funzionale complesso: nel nostro caso «il sognare». Si articola in due momenti successivi: la qualifica­ zione (o identificazione) del sintomo e l'analisi sindromica. Nella prima parte della procedura si valutano le diverse modalità in cui la funzione in esame è lesa e poi si esamina la struttura psicologica di ciascun sintomo mediante metodi psi­ cologici di analisi per ciascun caso clinico. li secondo passo consiste nell'ana­ lizzare, sempre con metodi psicologici, quali altre funzioni, oltre a quelle pri­ marie, siano disturbate, al fine di scoprire l'esistenza di un fattore sottostante unico che spieghi le varie manifestazioni cliniche: questo fattore unico sarebbe la funzione psicologica elementare di una specifica parte del cervello. Lo studio completo dei modi in cui una facoltà psicologica complessa è lesa da danni in varie parti del cervello svelerà la sua organizzazione dinamica neurologica e il sistema funzionale complesso che sottende questa facoltà. La funzione psicolo-

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gica elementare ovviamente non sarà localizzabile in nessun luogo particolare del cervello ma sarà distribuita su varie aree cerebrali. Come già diceva Freud, ci troviamo qui di fronte a «un interrogativo dif­ ficile perché trascende i limiti della psicologia pura e va a sfiorare le relazioni dell'apparato psichico con l'anatomia. Sappiamo che in senso molto generale e grossolano tali relazioni esistono. La ricerca ha provato in modo inconte­ stabile che l'attività psichica è legata al funzionamento del cervello più che ad ogni altro organo. Un tratto più avanti (non sappiamo quanto) porta la sco­ perta dell'importanza disuguale delle diverse aree del cervello e del loro par­ ticolare rapporto con determinate parti del corpo e attività mentali. Ma tutti i tentativi di scoprire, su questa base, una localizzazione dei processi psichici, tutti gli sforzi intesi a stabilire che le rappresentazioni sono accumulate in cel­ lule nervose e gli eccitamenti viaggiano lungo le fibre nervose sono comple­ tamente falliti. La stessa sorte toccherebbe a una dottrina che volesse, po­ niamo, individuare nella corteccia la sede anatomica del sistema C, dell'atti­ vità psichica cosciente, e localizzare i processi psichici inconsci nelle aree sub­ corticali del cervello. Si apre qui uno iato che per il momento non è possibile colmare; e colmarlo non appartiene comunque ai compiti della psicologia. Per il momento la nostra topica non ha niente da spartire con l'anatomia; non si riferisce a località anatomiche, bensì a regiòni dell'apparato psichico, a pre­ scindere dalle parti dell'organismo in cui dette regioni possano esser situate. Da questo punto di vista il nostro lavoro è dunque libero, e può procedere secondo i propri bisogni » (Freud, 1 9 1 5c, pp. 5 7 sg.). Recenti studi di Solms e di altri ricercatori, effettuati su più di 360 soggetti con lesioni organiche in differenti aree cerebrali coinvolte nella funzione del sognare, hanno dimostrato che il sonno REM e l'attività onirica apparten­ gono a differenti strutture anatomiche, e che i meccanismi fondamentali del sognare non sono regolati dalle strutture cerebrali profonde del tronco ence­ falico, le quali invece regolano i meccanismi fisiologici del sonno REM, ma da aree del cervello anteriore e in particolare della parte inferiore dei lobi pa­ rietali e di quella medio-basale dei lobi frontali. Pertanto il controllo del sonno REM è appannaggio di strutture filogeneticamente più antiche, men­ tre l'attività onirica ha sede in aree del cervello di più recente sviluppo filoge­ netico. Nei pazienti che hanno lesioni nelle aree parietali inferiori e medio­ basali frontali l'esperienza conscia del sognare si arresta completamente. Se invece è colpita la regione centrale del tronco encefalico, benché il danno di questa parte del cervello alteri intensamente il processo del sonno REM, l'esperienza cosciente del sognare rimane presente. Ciò suggerisce l'esistenza di un'inattesa dissociazione tra il processo fisiologico del sonno REM e l'espe­ rienza cosciente dei sogni, e mostra che le aree anteriori del cervello sono di fondamentale importanza per il processo del sognare mentre le strutture troncoencefaliche non lo sono altrettanto. Quindi la deprivazione dell'atti-

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vità di sonno REM non è la stessa cosa della deprivazione del sognare, anche se è difficile differenziare gli effetti causati dai due tipi di deprivazione. No­ tiamo che questi rilievi sperimentali evidenziano come non sia più possibile abbandonare lo studio dell'attività onirica a favore dello studio del sonno REM , come avevano fatto alcuni ricercatori, perché restano due attività non del tutto sovrapponibili. Diventa allora lecito studiarle separatamente, pur non disconoscendo le reciproche relazioni. Non è possibile in questa breve esposizione elencare gli altri risultati della ricerca che contemplano un'ana­ lisi dettagliata di tutte le aree cerebrali che entrano nella determinazione < dell'attività onirica e del sonno REM , ped quali si rimanda a Solms ( 1 995, 1 997). Ritorniamo tuttavia brevemente a questo autore rilevando che, dall'analisi dei casi clinici di cui sopra, egli ha visto che l'esperienza cosciente dei sogni comprende tre diverse componenti: 1) controllo mentale di tipo inibitorio; z) pensiero spaziale; 3) operazioni simboliche. Tutto ciò appare molto più complesso del semplice fattore di attivazione o risveglio (arousal) che costi­ tuisce il fondamento del sonno REM e che, come sappiamo, è causato dalla desincronizzazione che avviene nella sostanza reticolare posta nel tronco en­ cefalico. n sognare è un processo mentale regressivo, nello stesso tempo elicitato e dipendente da stati notturni di attivazione neurofisiologica. Questi stati di at­ tivazione si verificano contemporaneamente all'inibizione dei sisteini che con­ trollano i comportamenti diretti a uno scopo (punto 1). L'attività è quindi de­ viata dai sisteini motori, e diretta verso i sisteini percettivi. I sisteini percettivi più elevati rappresentano tali processi di attivazione sotto forma di sintesi sim­ bolica e spaziale (punti 2 e 3), a loro volta proiettate regressivamente nelle zone visive inferiori. In questo modo, lo stato di sonno è preservato. Se però il processo notturno di attivazione neurofisiologica è eccessivo, allora questo meccanismo di protezione del sonno fallisce e il sognatore è disturbato, sia dall'ansia sia dall'innervazione dell'attività motoria volontaria. Questo esame dell'organizzazione neurologica del sognare, quindi, forni­ sce impressionanti conferme della teoria classica di Freud, permettendo inol­ tre di utilizzare ancora le sue teorie psicologiche sui sogni senza doverle sa­ crificare in favore di quelle fisiologiche. Secondo Solms, sarebbe proprio il metodo della localizzazione dinamica su descritto a fornire un accesso concettuale in grado di mettere in comunica­ zione l'indagine psicoanalitica e quella neuroscientifica. Questa procedura salvaguarda la conservazione del metodo psicoanalitico applicato a patologie organiche accertate. Se le ricerche si estendessero a un gran numero di sog­ getti, sarebbe possibile nel tempo tentare di disegnare una mappa dell'orga­ nizzazione neurologica degli strati profondi della mente e correlare la psico-

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logia del profondo ai danni cerebrali focali usando una versione psicoanali­ tica dell'analisi sindromica. Procedendo su questa linea si potrebbero analiz­ zare pazienti che hanno subìto lesioni cerebrali, ad esempio quelli affetti da patologia afasica (peraltro già studiati negli anni ottanta), e indagare quali conseguenze queste lesioni hanno provocato nel profondo della psiche e nell'attività onirica in particolare: « Questo è il motivo per il quale sto insi­ stendo sul fatto che il metodo della localizzazione dinamica fornisce alla psi­ coanalisi un passaggio concettuale verso le neuroscienze di base, e di qui verso gli enormi progressi della conoscenza che innovazioni tecnologiche in questi campi hanno apportato negli anni recenti. I potenziali benefici per la psico­ analisi sono così ovvi che ho a malapena bisogno di enumerarli » (Solms, 1997 , p. 57). Solms tiene a precisare anche che quanto detto si riferisce solo al contenuto manifesto del sogno, e cioè all'esperienza cosciente del sogno. L'indagine della parte inconscia resterà dominio della psicoanalisi operante all'interno di una relazione personale.

Funzione del sogno come dia-gnosi della mente È ben nota l'affermazione di Freud che il sogno è il « guardiano del sonno». Ciò trova le sue premesse nel concetto di «soglia», per cui uno sti­ molo che provenga dall'esterno o dall'interno, come nei sogni d'angoscia delle nevrosi traumatiche, e in grado di interrompere il sonno se supera una certa intensità può, fino a un certo punto, essere inglobato in un sogno che si occupa di trasmettere al dormiente un messaggio che, contraddicendo il pre­ cedente, quello dello stimolo, ne dilazioni gli effetti che potrebbero sve­ gliarlo. Tutto ciò vale per stimoli di intensità non eccessiva; in caso contrario il dormiente si sveglia. Potrebbe essere lecito ampliare la portata di questo concetto e considerare il sogno, non solo come il guardiano del sonno, ma come il guardiano dell'appa­ rato mentale tout court; esso si occuperebbe della «manutenzione», o comunque della gestione, del sistema nonché del mantenimento del suo assetto interno. A questo proposito dobbiamo tenere sempre presente che per il buon fun­ zionamento del processo onirico non è necessario né che i suoi contenuti raf­ figurativi raggiungano la coscienza o il ricordo cosciente, né che ne venga fornita un'interpretazione. Anche la terapia psicoanalitica, quale elemento perturbatore proveniente dal mondo esterno, può modificare l'assetto psichico degli individui, perché le parole (dell'analista) sono in grado di apportare modificazioni al cervello/ e 6 A questo proposito Pally ha scritto recentemente: «Vorrei terminare, tuttavia, con una nota speculativa sulla psicoanalisi. Da quando si è appreso che l'applicarsi coscientemente a qualcosa e il verbalizzare qualcosa può aumentare l'attivazione corticale, si può teoricamente ipotizzare che trattamenti come l'analisi aumentino il funzionamento corticale, e utilizzino la plasticità corti­ cale, per modulare profondamente le risposte emotive» (Pally, 1997, p. 593).

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il sogno effettua un continuo monitoraggio di questo processo all'interno del transfert. li nostro apparato mentale, quindi, produce il sogno quale dia-gnosi di sé stesso in modo autoreferente. L'attività dia-gnostica è un aspetto dell'at­ tività onirica come fase attiva complementare e inconscia. Già Freud, rife­ rendosi agli effetti del «narcisismo proprio dello stato di sonno» nei con­ fronti delle « sensazioni corporee», scrisse: «Parimenti diventa comprensi­ bile la capacità "diagnostica" dei sogni» (191 5c, p. 90). I componenti la cop­ pia psicoanalitica, da parte loro, possono interpretare il sogno come dia-gnosi della loro stessa relazione, la quale a sua volta ha cooperato a produrre il so­ gno (il tutto è nella parte che è nel tutto). È un processo cognitivo che pro­ duce elaborazioni, ed elaborazioni di elaborazioni, di stati mentali e di rap­ presentazioni della realtà psichica, con possibilità di essere successivamente narrate mediante l'uso del linguaggio. Ciò costituisce un processo cognitivo non basato né sui dati sensoriali direttamente né sul ragionamento logico: esso proviene da un «terzo stato». È inoltre evidente la ricorsività (autorefe­ renza) senza fine del processo che incontriamo, che ci fa dire, parafrasando Calder6n de la Barca, che la vita, vista dal vertice dei processi onirici, non è sogno ma è «sogno di un sogno». Questa sorta di introspezione che si effettua mediante l'attività onirica, e il sogno manifesto, non condiziona esplicitamente il funzionamento del si­ stema psichico, ma continuamente ne dà conto. Pertanto si può considerare la riflessione come la capacità del sistema di agire sul processo interno mede­ simo in base all'attività introspettiva operata con il sogno e, inoltre, che la mente che descrive il mondo sta, attraverso ciò, descrivendo sé stessa. Tro­ viamo qui il concetto significativo, e non ancora chiarito, di metalinguaggio autoreferenziale e quello di sistema autorganizzante che, nel nostro caso, è rap­ presentato dal cervello stesso nonché dalla mente. Possiamo anche osservare che l'interpretazione psicoanalitica tratta i sogni alla stregua di segni. Se il processo dia-gnostico serve a conoscere attraverso i segni, questo processo diventa un conoscere attraverso i sogni. I sogni perciò, in quanto segni, servono anche a comunicare, e l'attività dia-gnostica può essere svolta per mettere in comunicazione tra loro sia le varie parti dell'apparato psi­ chico (comunicazione intrasoggettiva), sia le persone; ad esempio i compo­ nenti la coppia psicoanalitica (comunicazione intersoggettiva). In analisi, inoltre, noi continuiamo a sognare «sogni di sogni » in un pro­ cesso interminabile che costituisce una rappresentazione del fluire del men­ tale nel e del processo psicoanalitico; questo flusso onirico resta sempre stret­ tamente collegato, mediante la memoria procedurale e quella semantica, alla storia emozionale, sia del soggetto che della coppia psicoanalitica, che si svolge parallelamente alla storia della loro interrelazione.

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Considerazioni conclusive Solms scrive: « È mia opinione che la causa del fallimento di Freud nell'in­ tegrare le sue scoperte cliniche con le neuroscienze del suo tempo, era do­ vuta non solo alla scarsità della conoscenza neuroscientifica che era a sua di­ sposizione negli anni novanta dell'Sco, ma anche all'assenza di una metodo­ logia adeguata che mettesse in relazione i vari dati neurologici e psicologici disponibili. lo credo inoltre che, nonostante l'incremento rapido ed espo­ nenziale della nostra conoscenza in tutte le branche delle neuroscienze, ogni successivo tentativo di correlare la conoscenza psicoanalitica e neuroscienti­ fica si è imbattuto nello stesso problema basilare in cui si imbatté Freud cent'anni fa, cioè l'impossibilità di sviluppare una valida metodologia per cor­ relare le scoperte cliniche della psicoanalisi con le forme di conoscenza gene­ rate dalle varie scienze neurologiche. lo mi spingerei ancora oltre dicendo che tutti i ricercatori che hanno scritto su questo argomento a partire da Freud - nonostante l'acutezza di alcune loro intuizioni - si sono basati sullo stesso fondamento metodologico di Freud, relativamente al modo in cui cor­ relavano i due campi di ricerca, cioè la speculazione. Gli enormi progressi che abbiamo fatto sia nella psicoanalisi che nelle neuroscienze, benché separata­ mente, hanno solo ampliato il campo d'azione e la complessità di queste spe­ culazioni, ma non ci hanno avvicinato a valide basi scientifiche per correlare i due campi» (Solms, 1 997, p. 4 1 ). Come sappiamo, Freud tentò di correlare le sue osservazioni psicologiche all'attività neuronale cerebrale. Nel Progetto di una psicologia egli partì dallo studio dell'attività cerebrale «autogenerata» che, mediante l'interazione adattativa con l'ambiente, e utilizzando le perturbazioni da questo prodotte, attiva il processo di autorganizzazione dell'apparato neuronale. Proseguì poi fino a ipotizzare l'origine e il funzionamento della coscienza. Partì proprio dal livello della rete neuronale, in cui sarebbero presenti movimenti di quan­ tità (di energia), un'attività cerebrale di fondo di tipo caotico e « autogene­ rata», per giungere poi all'emergere della coscienza quale organo di senso capace di riconoscere la qualità del mentale, ma egli stesso non ebbe la pre­ sunzione di aver risolto il problema: «Naturalmente è impossibile tentare di spiegare come mai i processi di eccitamento nei neuroni w comportino la co­ scienza. Si tratta soltanto di far coincidere le proprietà della coscienza che ci sono note con processi nei neuroni w varianti parallelamente. E non è diffi­ cile farlo con una certa precisione» (Freud, 1 895, p. 2 16). Freud, dopo un estremo tentativo, con il Progetto, di realizzare il sogno di sviluppare una psicologia scientifica collegata alla neurofisiologia, non all'anatomia - e cioè la «psicologia per neurologi», come la chiamò - abban­ donò questo disegno per affrontare i problemi da un punto di vista psicolo-

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gico. Già nel settimo capitolo dell'Interpretazione dei sogni tutto lo scenario cambiò ed egli dichiarò: «Intendiamo tralasciare completamente il fatto che l'apparato psichico in questione ci è noto anche come preparato anatomico e vogliamo evitare con cura la tentazione di determinare in senso anatomico la località psichica» (Freud, x 899, p. 489). La rappresentazione del corpo che egli utilizzò a partire da questo momento sembra molto più simile a quella che si organizza nell'isteria, la quale «si comporta come se l'anatomia non esistesse per nulla o come se essa non ne avesse alcuna conoscenza» (Freud, 1 89 3 , p. So). Sempre nell'Interpretazione dei sogni, Freud paragonò lo strumento depu­ tato all'attività psichica a un microscopio - modello ottico - e la località psi­ chica a un «punto virtuale», posto al suo interno, in cui si formano gli stadi preliminari dell'immagine. Inoltre non parlò più di sistemi di neuroni, ma di sistemi psichici (P-C, Prec e !ne) sebbene si affrettasse a specificare che i si­ stemi «di per sé non sono affatto psichici e non diventano mai accessibili alla nostra percezione psichica» (Freud, 1 899, p. 5 56). Usando infine il concetto di dependent con comitant (Freud, 1 89 1 , p. 1 1 2), che risaliva al tempo degli studi sulle afasie, cioè postulando il parallelismo psicofisico, e teorizzando l'aspetto psichico dell'organico, cioè l'inconscio, poté sia fondare la psicoanalisi come tecnica terapeutica sia redigeme il correlato teorico: la metapsicologia. Tornando a Solms, egli scrive: «Stranamente, dobbiamo lo sviluppo di una procedura clinica di analisi di questi strati psichici più profondi al fatto che Freud abbandonò i metodi neuroscientifici di ricerca quando capì che essi non erano in grado (a quel tempo) di dar conto della natura dinamica dei pro­ cessi mentali umani. Ora sembra essere giunto per noi il tempo di reintro­ durre il frutto del suo lavoro nel campo neuroscientifico da cui essi origina­ riamente si svilupparono. Facendo ciò - benché non voglia sottovalutare l'enormità del compito che abbiamo di fronte - credo che saremo in grado di collegare gradualmente la psicoanalisi con le neuroscienze, su una solida base clinica, in modo che entrambi i campi ne traggano vantaggio, senza ignorare nessuna delle valide lezioni per apprendere le quali i pionieri della psicoana­ lisi lottarono così a lungo e tanto duramente» (Solms, 1997, p. 58). Terminiamo questo lavoro con una riflessione che è anche un auspicio. Siamo in un periodo storico culturalmente favorevole, visto l'enorme svi­ luppo attuale della ricerca neuroscientifica, per ristabilire l'antica alleanza tra psicoanalisi e neuroscienze, i due saperi forti nei rispettivi ambiti scientifici, attraverso un lavoro comune e non mediante un semplice «dialogo a di­ stanza», come ci si limita di solito a fare, perché in tal caso si tenderebbe piut­ tosto ad accentuare le differenze, spesso eccessivamente enfatizzate, e a sot­ tovalutare i numerosi punti di contatto. C'è invece bisogno, non solo di uno scambio continuo che metta in comunicazione e integri le rispettive cono­ scenze, senza che per questo gli analisti debbano rinunciare alla specificità

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del metodo psicoanalitico, ma anche che gli analisti si riapproprino di quel sapere neurofisiologico che era già di Freud. Egli stesso infatti faceva dialo­ gare dentro di sé le due anime della psicoanalisi, la neurologica e la psicolo­ gica, mentre oggi, invece, bisognerebbe affrontare un compito ben più diffi­ cile: permettere a più menti di dialogare tra loro. Si avverte il bisogno di ri­ prendere il cammino interrotto iniziato dallo stesso Freud negli anni novanta dell'Ottocento, partendo proprio dalle sue opere «minori» come i lavori sulle paralisi motorie e isteriche, le lettere a Fliess, le Minute teoriche per Wilhelm Fliess e, soprattutto, L 'interpretazione delle afasie e il Progetto di una psicologia, per ripensare tutti quei problemi che egli dovette necessariamente lasciare insoluti. La psicoanalisi e la neuropsìcologia così Lurija chiamò la sua disciplina - come ci mostra Solms possono collaborare per identificare le strutture cerebrali e i relativi sistemi funzionali coinvolti nei singoli processi psicologici emozionali. Dobbiamo avere la possibilità di «compiere un passo indietro» con l'intento di effettuare una ripresa in avanti; cioè riprendere il percorso dal quale Freud, sebbene per un destino del tutto singolare, fu co­ stretto a «deviare». -

Sogno e cinema

Non poteva mancare, in questo volume, una sezione specifica (ancorché ridotta nelle dimensioni, per motivi di spazio) dedicata al sogno nel cinema, e alle analogie e ai rapporti in generale intercorrenti tra il sogno e la più «onirica» fra tutte le arti. Pazienti e analisti condividono in seduta con grande frequenza un lapsus comunissimo: chiamare «film» il sogno o viceversa (specie dopo essersi profondamente immersi in una narrazione intensa ed evocativa, o durante un colorito e partecipato lavoro associativo e in­ terpretativo sul film o sul sogno in questione). Gli autori di cui riportiamo i contributi sono noti in campo nazionale per la cultura, la passione e la competenza con cui da anni trattano l'argomento; ma non sono i soli a occu­ parsene. Esiste in Italia un vivace e qualificato «gruppo trasversale» di psicoanalisti cinefìli, per­ lopiù in fruttuoso contatto tra loro pur risiedendo in differenti regioni, che da anni orga­ nizza cineforum, anima dibattiti e produce lavori di analisi applicata di eccellente livello, pubblicati anche su riviste estere. Si tratta di un movimento culturale assolutamente spontaneo, eppure talmente vitale che alcuni Centri psicoanalitici (Milano, Padova, Bologna) hanno ormai istituzionalizzato in modo stabile un'attività annuale di cineforum aperti al pubblico, sempre molto frequen­ tati. ll lavoro di Paolo Boccara, Giuseppe Riefolo e Andrea Gaddini propone una visione teorica d'insieme, di carattere generale (Cinema e sogno nello spazio psicoanalitico), che passa in rassegna il «vedere in analisi»; il livello sensoriale-visivo come registro comunicativo regredito più prossimo ai livelli del funzionamento inconscio; i concetti di «Sceneggiatura comune» e di «storia originale» costruite congiuntamente dalla coppia psicoanalitica du­ rante le sedute: elementi di analogia e di raccordo tra analisi e cinema. Più specificamente, riguardo al sogno, gli autori notano come la comparsa del sogno attivi in modo del tutto particolare la coppia al lavoro; e come gli scenari visivi interni, co­ stituitisi nei soggetti come rappresentazione iconica conseguente alle narrazioni dell'altro, una volta instauratisi non cambino sostanzialmente più, quasi per una sorta di imprinting iniziale. Lo scritto è completato da un esempio clinico molto evocativo, e da alcune osservazioni particolarmente stimolanti su due film: I soliti sospetti (1995) e Il silenzio degli inn(Jcenti

( 1 991). Simona Argentieri, in La >, bensì: «E cresciuto a sufficienza.»

Cinema e sogno nello spazio psicoanalitico

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un sogno si trova in una particolare posizione ricettiva, come se esclamasse: «Ah. . . finalmente un sogno! » Paziente e analista si dispongono ad ascoltare (vedere) il sogno come due spettatori, fianco a fianco, in una sala cinemato­ grafica. 6 7) La comunicazione verbale e la comunicazione mediata dalle immagini hanno però livelli di specificità e potenzialità differenti. Se riportate alla relazione psicoanalitica, anche le proprie immagini che l'analista mette a disposizione del paziente si pongono inizialmente nell'area dell 'attenzione fluttuante/ Le scene proposte attivano subito un clima, un'at­ mosfera, ma non riescono - per sé stesse - a organizzare un pensiero se non attraverso una loro sedimentazione in un interlocutore sensibile. I film più riusciti sono, in fondo, proprio quelli che toccano le emozioni e le immagini interne dello spettatore !asciandolo libero di farvi aderire poi una propria tesi. 8 Il livello visivo è pertanto un livello di comunicazione evocativa, quindi non specifica, ed è proprio questa la caratteristica dell'immagine rispetto al pensiero e alla parola. 9 6 Al tempo stesso potremmo paragonare l'effetto che produce un sogno rappresentato nel film a quello evocato nella stanza di analisi quando un sogno viene raccontato in modo trascrittivo (senza una possibile evocazione visiva), così come avviene quando i pazienti «invece di descrivere gli eventi di un sogno, si comportano come dei cattivi cronisti, fornendo l'editoriale e non la no­ tizia>> (Meltzer, 1 9 8 2 a). Non a caso René Clair affermava che il sogno costituisce spesso, in un film, un cattivo tema drammatico. Un film, come il sogno, quindi autorizza (permette di avvici­ nare e rendere consce) ogni tipo di fantasia, e infatti molto spesso ci si sente sollevati quando, dj fronte a immagini terrifiche di un film o a fantasie angoscianti di un sogno, si può esclamare: «E

solo un film! (è solo un sogno!)»

7 «ll patrimonio personale (dell'analista) di elementi sensoriali di categoria C - miti, imma­ gini ecc. - viene tenuto fuori dalla seduta psicoanalitica >> (Bion, 1 974, p. p). Siamo certamente d'accordo con la posizione di Bion, il quale tiene a precisare che si tratta di «elementi sensoriaii di categoria C>>, mentre la nostra riflessione riguarda fenomeni che andrebbero collocati nella fila B : il racconto del paziente (fila A) può essere «visto>> (fila B ) dall'analista. In C s i considera già la partecipazione interattiva dell'analista (ovvero i propri modelli interpretativi). Lo stesso Bion si è posto in più occasioni il problema della differenza «strutturale>> fra i sogni e le immagini visive pur mantenendo queste ultime fra gli elementi della fila C: «Ritengo che occorra pensare che i sogni appartengano a una categoria C molto più estesa, di gran lunga più estesa di una categoria che comprenda soltanto imm agini visive o altre imm agini sensoriali » (Bion, 1 992, p. 3 2 5). Ci ren­ diamo conto, peraltro, che il passaggio fra B e C non può essere netto, essendo una continua in­ tersezione di livelli, e che, quindi, la discussione che proponiamo è soprattutto su un piano teo­ rico in cui si cerchi di individuare un «livello zero>> dove la storia personale dell'analista non debba essere considerata necessariamente «da evitare>>, ma invece possa essere considerata posi­ tivamente come «livello zero», inevitabile, da cui partire per un «nuovo inizio>> (Balint, 1 968). 8 Questa è stata per noi un'altra esperienza verificata durante la proiezione di video nei semi­ nari: puntualmente il clima dell'intero gruppo che assisteva alla proiezione diveniva intenso e par­ tecipato, ma il discorso portato dal nostro progetto rimaneva sospeso. Ciascuno dei partecipanti si sentiva libero di interpretare in modo personale sia le immagini osservate che il nostro progetto comunicativo: più volte abbiamo dovuto riconoscere, con grande emozione, che le ipotesi che ci venivano attribuite erano le più varie e, spesso, fra loro contraddittorie. Alle immagini che veni­ vano proposte, pur aventi la funzione di potenti agenti provocatori, non poteva essere affidato il preciso progetto comunicativo della parola per l'ambiguità che l'immagine stessa custodiva. 9 «Se riesco a richiamare l'immagine visiva, allora, nello stesso modo, la sto anche falsificando. Questa formulazione verbale di un'immagine visiva è più comprensibile e, probabilmente, più falsa » (Bion, 1 974, p. I 1 1).

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La parola, d'altro canto, sacrificando l'ambig;uità dell'immagine (Bollas, 1 995), seleziona i significati e si pone più propriamente nell'area dell'inter pretazione. Si inserisce allora nel momento in cui l'analista prova a cogliere il progetto inconscio specifico del paziente che, ora non più comunicabile solo come immagini, si formula anche come pensiero. È il momento in cui nel ci­ nema lo spettatore o il critico provano a esprimere le proprie impressioni su un film, considerato da quel punto in poi anche come supposto progetto co­ municativo del regista. 8) Un possibile corollario al punto precedente potrebbe segnalare che la modalità comunicativa mediata dall'immagine si fonda su configurazioni ico­ niche piuttosto che sulla linearità associativa e simbolica del discorso, e che in questo senso la comunicazione iconica è più prossima allo stato affettivo, mentre quella simbolico-associativa si avvicina soprattutto al polo cognitivo.1 0 ­

Immagini La capacità di «sognare a occhi aperti» è per Bion la funzione alfa, che permette alle sensazioni di divenire emozioni e pensieri condivisi: «L'anali­ sta - propone Bion ( 1 963) - è, e pensa di essere, in una stanza di consulta­ zione dove conduce un'analisi. n paziente considera lo stesso fatto (cioè il suo seguire l'analisi) come un'esperienza che gli fornisce la materia prima per dare sostanza a un sogno a occhi aperti ( . .) n sogno è qualcosa che emerge­ rebbe nella seduta come un'allucinazione se la capacità del paziente di fare sogni a occhi aperti si indebolisse.» .

Giacomo, un paziente molto giovane, in analisi da oltre tre anni, propone il frammento di un sogno. Ero in treno, verso un paese del sud. Il treno sifermava in una stazione... forse Napoli, o Caserta. Questa comunicazione necessaria­ mente attiva nell'analista le immagini che possiede: la stazione di Caserta o di Napoli per come lui le ha conosciute, magari (chissà perché?) in un pre­ ciso momento della giornata, con una particolare intensità di luce che cono­ sce e, durante la seduta, fa l'esperienza visiva di osservare il treno che si ferma. In un'altra occasione lo stesso paziente comunica un'acuta emozione: «Mi rendo conto adesso di non averle mai detto di essere nato prematuro. Mia madre mi ha sempre raccontato che non riuscivo a succhiare al seno e che mi addormentavo. Per me è sempre stato ovvio che davvero fossi un po' lento e stanco come mia madre mi ha sempre detto. Ora, pensavo invece che fosse normale per un bambino prematuro non sapere succhiare e quindi addor1 0 «Il film, con la semplice accelerazione della componente meccanica, ci ha indotò a passare

dal mondo della sequenza e delle connessioni a quello della configurazione e della struttura crea­ tiva. Il messaggio del medium consiste nella transizione dalle connessioni lineari alle configura­ zioni ( ...) E torniamo così alla fonna onnicomprensiva dell'icona» (McLuhan, 1 964).

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mentarsi: forse bastava che mia madre avesse aspettato qualche settimana... » Anche in questo caso, parallelamente al racconto, l'analista segue immagini che si compongono, necessariamente, in una sua personale scenografia: bam­ bini prematuri visti in ospedale; alcune scene familiari di allattamento che in parte si sovrappongono con quelle registrate durante un training di infant ob­ servation . le scene, numerose, di una madre che stimola la guancia del suo bambino durante una pausa della suzione ... Queste immagini procedono automaticamente e si impongono parallele al racconto concreto del paziente prima ancora che, attraverso quel discorso, nella stanza d'analisi possa sedimentarsi per entrambi un'emozione discreta, un pensiero. Perché l'analista si trova a prestare alle parole del paziente quella determinata «sua» immagine della stazione, o quella tonalità di luce? Perché proprio quelle «sue» immagini di allattamento o di bambini prematuri in ospedale? Anche se il training psicoanalitico ci permette di cogliere in tali ca­ sualità elementi sospesi del paziente capaci di attivare risonanze controtrans­ ferali, non possiamo sfuggire alla responsabilità di aver chiuso con le nostre immagini i mille altri destini possibili del discorso del paziente, consapevoli che proprio in questa sedimentazione si compie l'esperienza originale della relazione. Dal caso riportato sembra proprio che il discorso del paziente giunga prima di tutto come scene di fronte alle quali l'analista si trova, passivamente, spettatore di un film che ha una propria trama e un proprio progetto, ma che può essere colto, in un primo tempo, solo attraverso le immagini che gli cor­ rispondono. La dinamica è quella ribadita da Bion in più occasioni, ma con alcune pic­ cole particolarità che vorremmo sottolineare. Il paziente è il regista che at­ traverso la trama del suo racconto tenta di svelare l'autentico progetto comu­ nicativo inconscio. L'analista è, in quel momento, nella posizione dello spet­ tatore che, costretto nella trama del «film», si sintonizza però con il progetto del regista attraverso proprie immagini, riuscendo spesso a cogliere signifi­ cari che la sceneggiatura ufficiale nemmeno sospettava.11 .

11

.

Anche Eugenio Gaddini (1985) adotta lo stesso registro visivo nel suggerire «l'immagine del cerchio» come «una prima rappresentazione di sé». Riteniamo che per Gaddini «l'immagine del cerchio» sia la prima immagine resa possibile dal raggiunto «senso di sé»: non un pensiero ma la rappresentazione visiva di uno stato della mente. In questa linea è anche importante rilevare come le teorizzazioni della infant research privilegino il registro dell'immagine come dato complemen­ tare dell'esperienza da cui procede l'organizzazione mentale. Una «scena modello» (Lichtenberg, 1 989) oppure una «rappresentazi011e mterattiva generalizzata» (Stern, 1985) sono degli stati affet­ tivi che - tiene a precisare Stern - «non si sono mai verificati prima esattamente in quella forma, ma che, tuttavia, non contengono nulla che non sia veramente accaduto una volta». Questi stati affettivi non sono semplicemente «simbolizzati» attraverso immagini, ma esistono nel Sé in quanto

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che dopo il risveglio. Le scene dei sogni appaiono all'analista come immagini molto dense, facenti parte di un'atmosfera cupa a cui anche in analisi è diffi­ cile sfuggire e che, in quanto tali, vengono accolte nella sua mente con incer­ tezza e confusione. In questa fase l'analista sperimenta acute difficoltà a in­ terpretare il discorso di Matteo, riuscendo soltanto a condividerne le penose sensazioni. Dopo qualche settimana Matteo racconta, con emozione, di es­ sere andato con il fratello alla tomba della madre e di aver sentito, nel cam­ biare i fiori rimasti lì per troppo tempo, «proprio quello stesso odore del sogno>>, e di aver ricordato così quando da piccolo, tornando al cimitero dopo una lunga assenza, si sentiva in colpa per non esserci andato prima. Colpito e commosso da quel ritrovamento, l'analista si sente esposto a chiare immagini che appartengono alla sua esperienza. È la possibilità di vedere quelle imma­ gini a permettergli di rappresentare la precedente sensazione penosa e so­ spesa e di sognar/a insieme al paziente. Coglie così in quella scena sulla tomba anche la sua presenza, gli ritornano le immagini dei precedenti sogni, vede al­ tre scene al cimitero, e vede la difficoltà di Matteo a contenere i propri lutti. Da quel momento l'analista si trova in un luogo più prossimo al dolore del paziente, ascolta i suoi sogni diversamente, non si sente più incapace, nei mo­ menti angosciosi, di avvicinarlo anche con alcune interpretazioni. A propo­ sito di un successivo sogno in cui lui e Matteo stanno sul bagnasciuga a inse­ gnare a un bambino come andare in windsurf, l'analista segue l'immagine della sua spiaggia abituale in cui passa le vacanze. Può ricordare così la trepi­ dazione con cui osserva ogni vela spinta dal vento e, successivamente, sugge­ risce a Matteo l'eventualità di percorrere insieme quel viaggio in windsurf, senza rimanere a riva come spettatori passivi e un po' intimoriti. Nell'analista accade quindi qualcosa che è analogo all'emozione di uno spettatore di fronte a un film molto toccante: sensazioni sospese, fino ad al­ lora ben conosciute sul piano razionale, possono divenire emozioni forti ca­ paci anche di commuovere. Dal racconto di un sogno, si evocano nell'anali­ sta immagini, poi associazioni, poi ancora pensieri più immediati, e solo a un certo punto lui stesso si chiede di cosa si stia parlando, per poter proporre poi considerazioni che coivolgono la coppia psicoanalitica nel suo insieme. Qualcosa di originale e di nuovo viene allora costruito da analista e pa­ ziente, che possono progressivamente rielaborare proprio quegli elementi della relazione psicoanalitica ora interpretabili e riconoscibili anche grazie alle emozioni condivise. La fine della seduta (come i titoli di coda di un film) riporta progressiva­ mente verso la realtà: l'uscita del paziente dallo studio (come la luce nella sala cinematografica) avvicina di nuovo lentamente analista e paziente alla loro vita, con in più la consapevolezza di poter riproporre altre nuove immagini nelle sedute e nei sogni successivi. Qualche tempo dopo Matteo racconta un ulteriore sogno in cui si trovava

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ad assistere, come medico, una donna straniera che, ricoverata in ospedale, veniva allontanata dagli altri pazienti per quello stesso odore evocato nelle immagini oniri­ che dei mesi precedenti, ora subito riconoscibile. Matteo non sapeva come curare quella strana persona dall'aria vagamente familiare, ma era sicuro di poter/a avvi­ cinare per darle il suo aiuto. L'inconscio si rappresentava così come qualcosa di perturbante, di estra­ neo, di respingente, che gradualmente si animava, sotto la forza del lavoro psicoanalitico dei mesi precedenti, attraverso oggetti ora affrontabili e avvici­ nabili. Le immagini del paziente e dell'analista avevano svolto la loro fun­ zione, le parole erano riuscite finalmente a rendere pensabili le oscure sensa­ zioni di entrambi i partecipanti a quella relazione. Conclusioni Nel portare a termine queste note vorremmo «tornare al cinema», dove spesso ci sembra di verificare il processo che qui abbiamo cercato di descrivere. Nel recente film I soliti sospetti14 troviamo, per esempio, il protagonista im­ merso in un racconto in cui la sua versione dei fatti è talmente ricca di parti­ colari da stimolare nell'ispettore di polizia che lo ascolta la produzione di im­ magini e scene, per noi rappresentate sullo schermo. Le immagini acqui­ stano, via via, un potere evooativo molto intenso e diventano così il terreno attraverso cui si articola, per tutto il film, la relazione fra il testimone, il suo attento ascoltatore e noi, spettatori in sala. Presi dall'incalzare delle scene e dal loro comune progetto di costruzione e ricostruzione della possibile realtà, ci accorgiamo solo alla fine, attraverso un classico colpo di scena, che le immagini, a cui abbiamo tutti partecipato, non sono frutto di ricordi veri, ma di una realtà solo contingente. Ci ren­ diamo conto solo allora che l'ispettore, nel rimanere coinvolto dalla vivezza di quelle scene, non era riuscito poi a coglierne il significato tutto interno all'obiettivo del narratore di eludere una relazione sentita come troppo peri­ colosa. Solo quando l'ispettore si libera della pesante interferenza del potente desiderio del suo interlocutore, da poco congedato, può recuperare le stesse im­ magini evocate precedentemente per ricomporle in una nuova e, questa volta, più autentica storia. li valore dell'interpretazione nella fase successiva alla condivisione delle

immagini è invece pienamente descritto, a nostro parere, nel film Il silenzio degli innocenti. 15 Durante l'ultimo colloquio tra lo psichiatra Hannibal e la sua particolare paziente Clarissa, viene evocato per immagini il racconto che dà 14

The USUlll Suspects (1 995), di ]. Demme. Quasi una versione moderna del più classico e già

citato Rashomon. 15

The Si/ence ofLambs (1991), di

B.

Singer.

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poi il titolo al film: i due protagonisti costruiscono insieme la storia, espri­ mono nei loro primi piani la grande partecipazione emotiva del momento e ci fanno immaginare come le scene cominciano a palesarsi nelle loro menti, tanto da poterle vedere insieme senza che siano rappresentate sullo schermo cinematografico. Ed è proprio il dottor Lecter, terapeuta improvvisato ma certamente acuto, che, a quel punto, riesce a dare significato alle emozioni attuali, a col­ legarle alle immagini del passato rievocate nel sogno a occhi aperti e a per­ mettere, infine, di trarre da quel lavoro comune il senso di un cambiamento del mondo interno di Clarissa e anche della relazione tra loro. Sognare, raccontare per immagini, condividere le varie scene evocate nella mente, raccogliere nel dialogo i diversi significati di passate e presenti rela­ zioni interpersonali, diventano così un esempio, in questi film come in ana­ lisi, di una particolare caratteristica dello spazio psicoanalitico. Uno spazio che, attraversato inizialmente da immagini , si riempie progressivamente delle esperienze emotive che colgono paziente e analista, fino a comporsi nelle «infinite storie possibili» (Ferro, 1 996c) della stanza d'analisi.

Capitolo 25 La « messa in scena» del sogno 1 Simona Argentieri

Cinema e psicoanalisi - lo abbiamo ormai sottolineato e celebrato tante volte - nascono pressoché insieme; fra tutte le arti quella cinematografica è la più vicina al linguaggio delFinconscio e del processo primario. Radici storiche, percorsi narrativi, forme espressive . . . perfino le terminologie (setting e set, « schermo del sogno », «ricordo schermo », rappresenta­ zione . . . ) propongono continui parallelismi e suggestioni speculari. Le pa­ rentele si fanno ancora più strette se - in chiave psicoanalitica - accostiamo cinema e sogno: tutto il cinema, è stato affermato, è sogno, e la condizione stessa di spettatore, nel buio della sala, è di per sé propizia a un'esperienza simil-onirica. Sullo sfondo, inoltre, c'è un'intricata e consolidata rete di analogie che in chiave poetico-filosofica invocano ulteriori equivalenze: «la vita è sogno», il sogno come «teatro notturno» . . . mentre solidi psicoanalisti, per parte loro, sostengono che «il sogno è vita» e che la mente stessa è il teatro dove i pro­ cessi psichici si inscenano. C'è da chiedersi, peraltro, se non rischiamo di abusare della seduzione del

registro analogico. L'esercizio di intrecciare arte figurativa e psicoanalisi, i nostri sogni e i no­ stri film prediletti, è infatti affascinante, ma non è semplice. Esonerati dalle responsabilità dell'operare clinico, possiamo sentirei liberi di far correre la fantasia, consentendoci arbitri metodologici e scorciatoie teoriche che non sono così innocue come potrebbe apparire a prima vista. 1 Nel corso degli anni, ho abitato con frequenza e delizia la terra di mezzo tra cinema e psi­ coanalisi, insieme ad altri amici appassionati: storici del cinema e del teatro, critici cinematogra­ fici, letterati, qualche raro psicoanalista. Li ringrazio tutti cumulativamente per i tanti seminari e convegni durante i quali abbiamo parlato di cinema e sogno. Un piccolo libro ne dovrebbe di­ scendere. Il titolo comunque è già pronto, pressoché obbligato: Sogni che il denaro può comprare.

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Tanto più che nell'arco di questi cento anni è mutato il cinema, è mutata la psicoanalisi ed è anche mutato forse lo statuto stesso del sogno all'interno della psicoanalisi.

I sogni nei film n tema che desidero affrontare è più circoscritto, ma conduce all'estremo

il gioco dei riflessi speculari, in una sorta di collasso simbolico: parlerò infatti dei sogni nei film; che sono un po' come sognare di sognare! Ho «collezionato» dunque nella mia memoria una quantità spropositata di film - dal dramma al musical, dalla commedia al western, dal giallo all'hor­ ror - nei quali la sceneggiatura prevede la messa in scena di un sogno. Naturalmente, non possiamo avere l'ingenuità di equiparare i sogni in cel­ luloide a quelli della vita quotidiana, né di decifrarli con i nostri consueti stru­ menti clinici; non dimentichiamo che sono materiali eterogenei, multideter­ minati (ne sono autori in varia misura lo sceneggiatore, il regista, il direttore della fotografia . . . ) e che si articolano secondo variabili registri di rapporto (gli autori tra loro, l'opera con il pubblico, la critica con l'opera e con lo spet­ tatore . . . ). Altri approcci, tuttavia, si possono tentare. Ad esempio, penso che l'analisi comparata di tutti questi sogni «artificiali» offra interessanti opportunità di visualizzare concretamente le «teorie» im­ plicite sul processo onirico di un autore, o come mutano le concezioni domi­ nanti di una cultura sul significato e la funzione del sogno nei diversi mo­ menti storici. Pensiamo agli incubi «surrealisti» di Io ti salverò di Alfred Hitchcock (che se li faceva disegnare da Salvador Dali); mentre in Agonia sui ghiacci del grande David Wark Griffith, del 1 920, non c'è nessuna differenza tecnica tra sogno e realtà. Così pure, si possono comparare i diversi sogni filmici secondo l'uso espressivo che di volta in volta viene loro affidato. Come «finestra sull'inconscio», nelle opere di vertiginosa profondità in­ trospettiva (Il posto delle fragole di Ingmar Bergman, Accattone di Pier Paolo Pasolini). Come espediente narrativo per giustificare salti logici, sviluppi magici e irreali della trama: nel film musicale, nella favola o nel giallo ingenuo degli anni cinquanta (La signora in ermellino di Ernst Lubitsch/Otto Preminger, La donna del ritratto di Fritz Lang). Come rappresentazione dell'alterazione degli stati di coscienza (Repulsion di Roman Polanski, A/l thatJazz di Bob Fosse). Come una sorta di flashback o di anticipazione dello sviluppo del racconto (Notte senzafine di Raoul Walsh, L 'uomo di Laramie di Anthony Mann).

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Ancor più significativa, poi, la scelta della tecnica adottata per rappresen­ tare le esperienze oniriche: dal buio espressionista di Pabst alla fotografia so­ vraesposta di Bergman, a quella sottoesposta di Fellini; dal «flou», alla neb­ bia, all'alterazione figura/sfondo; fino al beffardo rifiuto di Luis Buiiuel di utilizzare - come abbiamo detto - un qualsivoglia espediente, in modo da la­ sciare indecidibile lo statuto di realtà della narrazione (ad esempio, in Bella di giorno). Il genere comico, invece, che a sua volta fa largo uso del sogno, da Totò a Fantozzi, ricorre più spesso al trucco del «ralenti». A volte, è il pas­ saggio dal bianco e nero al colore che segnala allo spettatore che sta assi­ stendo a un sogno (citiamo Il mago di Oz di Victor Fleming, che inaugura lo stratagemma per economizzare il technicolor, ma anche il più moderno e am­ bizioso Lucida follia di Margarethe Von Trotta, che ribalta i termini, «sco­ lorando» il sogno) . ll geniale Stanley Kubrich, invece, in un film di azione - /(jller /(jss (ll bacio dell'assassino) - fa sognare il suo protagonista in fuga utilizzando il negativo della pellicola. Altre volte ancora è la colonna sonora a suggerire l'incubo per mezzo della dissonanza. Va almeno sottolineato che - dagli esordi del cinema fino agli anni ottanta tutti gli autori e tutti i generi utilizzano le stesse tecniche e gli stessi linguaggi sia per mettere in scena i sogni, sia per rappresentare delirio e follia. Ma su questo punto ritorneremo più avanti.

Ricordo schermo e scena primaria Lasciando sullo sfondo queste osservazioni di ordine generale, propongo ora un ricco e specifico filone, a mio parere di particolare interesse per noi psicoanalisti: quello dei sogni cinematografici, che - secondo la mia lettura sono una puntuale, seppure inconsapevole, rappresentazione non di un'espe­ rienza onirica, ma di «memorie di copertura » o - per adottare una dizione che meglio si coniuga con il nostro discorso - di «ricordi schermo». Come è noto, un ricordo schermo è una deformazione al tempo stesso di­ fensiva e creativa di un'esperienza in varia misura traumatica; è uno pseudo­ ricordo risalente all'infanzia, di contenuto assai variabile, talora assurdo o ap­ parentemente insignificante in ragione del lavoro di compromesso tra rimo­ zione e coscienza. Sempre però è lucidissimo e - paradossalmente - caratte­ rizzato da una forte sensazione di verità. È come il coagularsi nella vita psichica e nella memoria di una rappresenta­ zione prevalentemente visiva, di una «messa in scena» intrapsichica che è assai spesso in relazione con il processo di scena primaria.2

2 Nella linea della Greenacre e di Gaddini, intendo la scena primaria non come un evento, ma come un processo.

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Ricordiamo ancora che le esperienze del processo di scena primaria - pro­ prio in quanto in senso lato traumatiche, declinate in direzione della separa­ tezza e della differenziazione, all'insegna dell'angoscia e dell'aggressività - si accompagnano sempre a un acuirsi delle capacità percettive. Non ci occuperemo, in questo contesto extraclinico, della qualità normale o patologica di tali vicissitudini; ci basterà sottolineare che comunque si mette in moto un meccanismo al tempo stesso difensivo e conoscitivo, soste­ nuto dalla spinta a organizzar/e in scenari e a conferire loro significato nach­ triiglick, «a posteriori», creando elaborazioni fantasmatiche personali. Phyllis Greenacre, nel suo basilare saggio La scena primaria e il senso di realtà (1973), ha autorevolmente sostenuto l'importanza della vista nel primo anno di vita per integrare i vari registri sensoriali e ha appunto segnalato come le iniziali percezioni uditive e cenestesiche vengano poi trasformate in scene visive. In questa linea, Alberto Schon (in Sulla madrelingua, 1 993) osserva che Sigmund Freud ci ha consegnato una brillante intuizione, non più sviluppata, a margine del caso dell'uomo dei lupi; quando ha scritto che la scena prima­ ria - vera e fantasticata - influisce molto sulla qualità del phantasieren e del linguaggio. E anche, aggiungo, ci consente di capire come ciascuno, a partire dai suoi talenti naturali, imposti le sue proprie modalità espressive e creative: musi­ cali, figurative, corporee . . . (A margine, Ini chiedo se non si potrebbe esplo­ rare a livello di questo nodo evolutivo anche il fenomeno delle cosiddette si­ nestesie e delle «trascrizioni» da un registro sensoriale all'altro, così interes­ sante nella psicologia dello sviluppo e poi nella creatività artistica.) Utilizzando gli stessi meccanismi del sogno, gli stessi codici simbolici, il ricordo schermo ri-crea la scena primaria, in chiave prevalentemente visiva, risignificandola a posteriori. È in questa chiave che, seguendo il filo del Inio pensiero, si possono tentare delle proficue intersezioni tra cinema, psicoanalisi e sogno. D'altronde, come ha molto ben sottolineato anche Cesare Secchi, tanti aspetti del cinema, per chi crea come per chi guarda, sono riconducibili alle vicissitudini della scena primaria, a partire dall'innocente scopofilia di ogni buon cinefilo. Secchi ana­ lizza Lo sguardo che uccide di Powell e Pressburger; io voglio a Inia volta citare La finestra sul cortile, mirabile esercizio di voyeurismo, che Hitchcock trae da un racconto di Comell Woolrich, ancor più intriso di fascinosa nevrosi infan­ tile, tra l'eccitazione e l'angoscia persecutoria del guardare. Un'altra fondamentale coincidenza mi sembra si trovi nell'ossequio alle tre celebri regole aristoteliche dell'unità di tempo, luogo e azione, che acco­ muna la tragedia greca classica, i ricordi schermo e i sogni nei film dei quali intendo parlarvi.

La «messa in scena• del sogno

Luce, spazio e punto di vista Tornando sul terreno psicoanalitico, possiamo trovare ulteriori elementi di riflessione a proposito del «velo» che offusca lo sguardo dell'uomo dei lupi. Nel momento in cui emerge il ricordo schermo, c'è un temporaneo schiarimento della visione, come l'aprirsi di un sipario, in relazione all'effetto luminoso che si accompagna all'emergere dell'emozione repressa. Un altro celebre esempio freudiano, tratto dall'Interpretazione dei sogni, è quello del giovane paziente che nella fantasia - commenta Freud - approfitta perfino dell'occasione intrauterina per spiare l'amplesso dei genitori:

Si trova in un pozzo profondo nel quale c'è una finestra ( ) Attraverso questa finestra egli vede dapprima un paesaggio vuoto, poi dipinge in esso un quadro che ap­ pare immediatamente e riempie il vuoto. Il quadro rappresenta un campo che viene profondamente sokato dallo strumento e l'aria limpida, l'idea de/ lavoro a fondo che vi viene svolto, le zolle di colore blu-nero fanno una bella impressione. Poi va avanti, vede un trattato di pedagogia aperto. . . .

Non potremmo trovare una sequenza più eloquente per mettere in evi­ denza il rapporto tra scena primaria, funzione della vista e creatività figura­ tiva; tra emozione e colore. Mi sembra inoltre di grande interesse la configu­ razione degli aspetti «inanimati» della scena e del «punto di vista» del so­ gnatore; ulteriori elementi che rimandano alla tecnica e al linguaggio espres­ sivo filmico. (Marta Vigorelli, nel suo bel libro Lo sguardo di Psiche, 1 986, fa molte inte­ ressanti considerazioni su percezione e fantasma nei processi della visione e della figurazione artistica, coniugando psicologia della percezione ed estetica.) Prima di proporre alcuni specifici esempi cinematografici, mi sembra però doveroso ammettere che, ben prima del cinema e delle sue fascinazioni, esi­ ste la dimensione rappresentazionale della mente. Freud stesso descrive la psiche come un teatro e considera la funzione rappresentativa come il lavoro costitutivo dell'apparato psichico. In questa chiave vanno anche intesi lo «schermo del sogno» sul quale - se­ condo Lewin ( 1 946) - sono proiettate le immagini visive oniriche, i del so­ gno: ciò che conta non è tanto il sogno «sognato» del paziente, quanto il so­ gno raccontato in seduta, nella dimensione relazionale, del quale sono autori - al plurale, come in un film! - sia l'analista che l'analizzando. Così pure - come ha osservato Giorgio Corrente (comunicazione perso­ nale) - nei gruppi c'è la possibilità che uno sogni per tutti. Personalmente, sono affascinata da tutte queste speculazioni, che consen­ tono un magico fluire tra vita e sogno, tra film e seduta psicoanalitica; tutta­ via, continuo a sentirmi vincolata all'esigenza di non ridurre tutto all'omo­ logo e all'equivalente. Proprio come diffido dell'eccesso di cinefilia, che finisce con l'equiparare cinema e vita.

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Peraltro - come sostiene Jorge Canestri (1984) - il problema è vivo anche all'interno del processo di pensiero dello stesso Bion, che nei tardi anni di Co­ gitations, proprio per rispettare la specificità del lavoro onirico nei termini freudiani, per non confondere tutto, ha voluto distinguere il day dreaming dal night dreaming . . . Lascerò necessariamente aperta la questione. Ma voglio segnalare un cu­ rioso fenomeno parallelo: anche sul versante neurofisiologico (in genere così in contrasto con la nostra disciplina!) si sfilacciano i confini, si mette in di­ scussione addirittura il vincolo di specificità assoluta tra sonno REM e sogno; si ridimensionano le distinzioni sostanziali tra i processi onirici e le altre atti­ vità cognitive notturne. Per parte sua, il cinema - per vie misteriose e puntuali - segue la stessa ten­ denza: non in un genere «alto», ma in quello assai popolare dell'horror d'au­ tore, vediamo che, sia nella narrazione che nella tecnica espressiva, non c'è più distinzione tra realtà - sia pure la realtà fittizia del film - e sogno; anzi, incubo. Sia in Night:mare di Wes Craven, nelle sue plurime versioni, sia in Il seme della follia (ma assai più efficace è il titolo originale In the Mouth ofMad­ ness) di John Carpenter, l'espediente drammatico, che incrementa la paura dello spettatore (soprattutto dello spettatore adolescente), è proprio l'indeci­ dibilità del passaggio da uno stato di coscienza all'altro. Non è più l'ingenuità di Griffì.th, o la satira del sublime di Bufiuel, a generare l'effetto perturbante, ma un irreversibile collasso del senso. Dopo tante suggestioni e tanti magici intrecci, è forse giusto ascoltare an­ che qualche autorevole voce psicoanalitica di dissenso: J ean-Bertrand Ponta­ lis (1 990) dice che la psicoanalisi è contro l'immagine, poiché l'operazione freudiana consiste in fondo «nel sostituire l'ascolto di un racconto alla visione di immagini». Nicos Nicolaldis (1 984) aggiunge speculannente che il mondo dell'imma­ gine è contro la rappresentazione, perché inibisce e impoverisce la creatività. Ma per concludere forse val meglio una citazione teatrale, comunque bel­ lissima e molto nota: « Siamo fatti della materia dei sogni . . » È vero. Ma siamo fatti anche di tante altre cose e i sogni stessi sono fatti di tanti livelli e funzioni non riducibili a una singola teoria, compresa quella psi­ coanalitica. Rimane però in assoluto il valore del sogno come spia preziosa dei processi inconsci, teatro della mente, beneficio notturno, costruzione di sé, compenso per le frustrazioni del reale, delizioso pretesto narrativo. .

Prospettive psicoanalitiche sul sogno

In questa sezione conclusiva sono raggruppati alcuni lavori che schiudono, in realtà, promettenti orizzonti di ricerca in ambito teorico-clinico, e gettano uno sguardo affasci­ nante su alcuni possibili sviluppi di una psicoanalisi futura. Si tratta di lavori assai eterogenei, del resto, accomunabili solo nella prospettiva suindi­ cata: ma è una prospettiva fortemente stimolante, che può legittimare l'assemblaggio. Con l'efficacia e la bravura che gli sono consuete, Antonino Ferro esplora in Il rogno tklla veglia: teoria e clinica le implicazioni dell'idea bioniana di un processo onirico sempre in corso, sia nel sonno sia nella veglia, che si sviluppa e si orienta nell'ambito di una vicenda relazionale di base, e dà continuamente segno di sé in analisi attraverso le comunicazioni del paziente, che possono essere intese come «derivati narrativi degli elementi alfa». A partire dal concentrato («il dado», nel senso di dado da brodo, come lo chiama - giu­ stappunto con divertente sincretismo - l'autore stesso) costituito dagli elementi alfa, che si offrono attraverso immagini visive riferite direttamente dal paziente o suggerite alla reve­ rie dell'analista, si può via via sviluppare una narrazione che «scioglie>>, libera e rende ap­ prezzabili per esteso i temi e l'esperienza emotiva prevalenti in ogni momento della seduta, istante per istante, «in tempo reale>>. n lavoro stesso di Ferro è di per sé un ottimo esempio di concentrato ad alta solubilità: in poche pagine, con poche formule (i sunnominati «derivati narrativi alfa>>, la sequenza­ Memury «fiore-ciliegia-zanzara», i «flash visivi>>), e con quattro rapidissime vignette clini­ che peraltro deliziose, ci rende testimoni di uno stile di lavoro sensibile, creativo e raffi­ nato, e ci comunica in modo chiaro e convincente un versante teorico fondamentale per la comprensione dell'attualità del campo emotivo nella seduta psicoanalitica.

n contributo di Alessandra Ginzburg, La trasformazione tkOe strategie difensive nella tra­ duzione onirica si inscrive, a mio avviso, in una tendenza contemporanea della ricerca psi­ coanalitica che io definisco «ecologica>>: che si occupa cioè di differenziare adeguatamente, nelle manifestazioni patologiche dei pazienti, le componenti parziali di esse che hanno o hanno avuto una funzione in qualche modo protettiva o evolutiva, del tutto inapparente a uno sguardo dall 'esterno. Ciò consente la bonifica e il recupero costruttivo di una parte di tali elementi degenerativi. Validi esempi di questa tendenza « ecologica>> sono le riscoperte del narcisismo e dell'idealizzazione «necessari>> in Kohut, la regressione come new beginning in Balint o, più recentemente, il «feticcio virtuale>> di Marocco; e l'elenco potrebbe continuare a lungo. La Ginzburg propone di esaminare con specifica attenzione la qualità delle strategie di-

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Stefano Bolognini

fensive prescelte dai pazienti, e segnala come molto spesso alcuni personaggi ad alta caratte­ rizzazione (persecutori onirici come stranieri, brigatisti, mafiosi, nazisti, extraterrestri, vam­ piri, tossici ecc.) compaiano nella scena onirica come espressione di diversi livelli di funzio­ namento mentale, implicati nella difesa di uno status quo che il lavoro psicoanalitico rischia di trasformare. L'autrice, ispirandosi al modello di lgnacio Matte Bianco, non fa riferimento a «parti scisse>>, ma a sistemi difensivi corrispondenti a livelli arcaici di funzionamento mentale, che avevano svolto uno specifico ruolo sostitutivo, vicariante un'insufficiente capacità ge­ nitoriale. Su questa base, la Ginzburg si differenzia dalle posizioni della Klein, di Rosenfeld e della Segal, perché - al di là dell'aspetto patologico del narcisismo distruttivo, dell'invidia e della distruttività primaria - valorizza l'aspetto inizialmente protettivo di queste rappre­ sentazioni funzionali interne, evitando di addebitare all'intrinseca natura del paziente, già gravato di difficoltà, una culpa ab ovo che può invece essere analizzata geneticamente nelle sue componenti relazionali. La parte più drammatica del processo psicoanalitico è allora quella del conflitto di cam­ biamento: i paziente odia l'analista, temendo di essere spinto verso una catastrofica tra­ sformazione se l'analisi fa emergere, disarmare e dissolvere alla luce dell'lo i persecutori­ protettori ai quali egli si è illusoriamente e segretamente affidato per tutta la sua vita. Si tratta di un passaggio delicatissimo, caratterizzato spesso da angosce di morte e da pericolose manifestazioni invalidanti. Siamo nell'ambito, a mio avviso fruttuosissimo, della cura intesa non solo come «libe­ razione del carcerato (il rimosso), ma anche come trasformazione del carceriere (l'lo di­ fensivo inconscio)>> (Bolognini, 1997a). Quando questo lavoro riesce, i personaggi interni conoscono una trasformazione, vengono acquisiti nuovi livelli di funzionamento, e il ri­ sparmio energetico pone ulteriori risorse a disposizione dell'individuo. Paolo Roccato (/sogni di trasmissime della patok!gia mentalefra le generaziom) sviluppa in modo originale un tema caro alla psicoanalisi di ispirazione francese, il «transgenerazio­ nale>>, collegandolo in modo assai chiaro al disturbo nel senso di sé di alcuni pazienti por­ tatori di una «saga familiare>> inelaborata specificamente patogena. Egli mostra come i so­ gni di questi pazienti forniscano una rappresentazione, a volte affascinante e terribile, di un «incantesimo» di cui il paziente è preda: inconsapevolmente, il paziente porta avanti un compito esistenziale sostitutivo e restaurativo (non riparativo! . . . ) che gli è stato subli­ minalmente assegnato da genitori o nonni, a suo tempo incapaci di elaborare perdite, lutti e sconfitte. Viene anche mostrato come durante il trattamento anche l'analista sia tendenzialmente irretito in una «lucida cecità condivisa>>, per cui la conoscenza e la comprensione del gro­ viglio transgenerazionale risultano a lungo impedite da un sistema di difese trasferito all'in­ terno dell'analista stesso. «ll transfert da cogliere - scrive Roccato - è la spinta a tenere inaccessibile la conoscenza del legato ricevuto dagli antenati. >> Rendere consce queste «prescrizioni» transgenerazionali è dunque il compito del la­ voro psicoanalitico. Io suggerisco al lettore di cogliere, nello scritto di Roccato, una certa atmosfera di avventura gotico-medievale: come nella Bella addormentata nel bosco o in fiabe consimili, oscure presenze e sortilegi pervasivi condizionano in modo drammatico gli sce­ nari di una vicenda esistenziale impoverita o raggelata. I sogni dei pazienti consentono al cavaliere-analista di gettare uno sguardo in un pas­ sato che è divenuto profondità atemporale; l'avventura della conoscenza condivisa può re­ stituire vitalità e dignità a chi del proprio Sé - per l'incantesimo anti-lutto dei progenitori ­ era stato tragicamente espropriato. Giovanna Goretti Regazwni (Paradigma interattivo e sogno) riflette, con l'acutezza e l' ele­ ganza che le sono proprie, sui rapporti tra sogno e interazione in analisi. E lo fa senza preclusioni e senza obblighi di allineamento scolastico di ordinanza, for­ nendo a mio avviso un esempio di valutazione italiana matura sul controverso tema

Prospettive pslcoanalitiche sul sogno

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dell'inevitabile contributo attivo, più o meno conscio, che l'analista mette in campo con le sue scelte tecniche: spesso derivanti a loro volta da fattori soggettivi e da reciproche indu­ zioni nella relazione con il paziente, non meno che da un'adesione dichiarata a questa o a quella appartenenza teorica. L'autrice coglie l'aspetto più promettente, sul piano della ricerca, di questi nuovi ap­ porti teorici: e cioè l'attenzione disincantata e sensibile a ciò che comunque vi è di sogget­ tivo (che si sia o no intersoggettivisti), a ciò che comunque viene creato insieme (che si sia o no costruttivisti), a ciò che comunque viene - con le parole - fatto o fatto fare (che si sia o no interattivisti) nella relazione psicoanalitica, e che tenderebbe invece a restare celato, non pensato, non detto. In fondo, si tratta di ulteriori estensioni e approfondimenti della consapevolezza, e la po­ sizione della Goretti Regazzoni potrebbe forse essere intesa (e condivisa, credo, da diversi psicoanalisti italiani) più o meno così: la psicoanalisi non è solo o soprattutto questo (posizione west coast nordamericana di tendenza forte), ma è certamente anche questo, se e quando le aree sunnominate risultano difficoltose per il riconoscimento e l'elaborazione mentale (con buona pace dei «ristrettivisti» che di tali aree vorrebbero negare l'importanza). ll materiale clinico (sogni) è toccante; e una peculiarità che vi invito ad assaporare, nel leggere questo lavoro, è quella del crescendo emotivo, dell'intensificarsi dell'affetto nelle pagine finali: quando appare sempre più chiaro che la comprensione psicoanalitica di ciò che accade in seduta produce trasformazioni anche nell'analista. Trasformazioni nella sua conoscenza di sé, nella sua tecnica e nelle sue teorie; e il so­ gno diventa, in quest'ottica, una rappresentazione originale, inaspettata e comunicativa de­ gli aspetti meno noti della reciproca convivenza.

Capitolo 26 Il sogno della veglia: teoria e clinica Antonino Ferro

Credo che l'interesse per l'onirico in seduta non debba essere inferiore a quello che abbiamo per i sogni della notte raccontati in differita. L'«onirico in seduta» è uno dei pilastri del pensiero di Bion: anche da sve­ gli vi è un «sognare», che è ciò che consente di formare elementi alfa, di for­ mare la barriera di contatto, di discriminare Conscio da Inconscio (Bion, r 96z, 1 963, 1 965). Prima di addentrarmi in questi contenuti, vorrei sottolineare come questo mio lavoro sia l'ideale prosecuzione e approfondimento di un lavoro che ri­ tengo ancora attuale, scritto con Bezoari (Bezoari e Ferro, 1 992). In esso prendevamo in esame in rapida successione i principali modi di in­ tendere il «sogno» in psicoanalisi, a partire dal celebre sogno dell'uomo dei lupi (Freud, 1914a), rispetto al quale segnalavamo esistere per noi «la tenta­ zione di considerarlo come la puntuale descrizione, dal vertice assunto dal paziente in quel momento, di quanto e di come questi vive ciò che accade nella stanza d'analisi», riconoscevamo la straordinaria capacità di Freud di raccontare una storia al paziente e - pur non cogliendo quanto violento fosse il rapporto nell'oggi (dal vertice del paziente) - il suo essere capace di com­ piere una trasformazione narrativa (Corrao, 1 99 1 ) che dà una forma credi­ bile, digerita e assumibile ai terrori e al panico del paziente che >; che si sentiva «inetto a vivere », «senza eredità», «senza consistenza», «inade­ guato», «senza capacità d'imparare come si fa a vivere»; tremendamente dif­ fidente verso ogni mio avvicinamento affettivo, ma estremamente angosciato se non percepiva la mia presenza; che molto raramente m'ha portato dei so-

l sogni di trasmissione della patologia mentale fra le generazioni

41 9

gni in quella che era la sua seconda analisi (nella prima, durata più di dieci anni, il suo analista l'aveva preso per un perverso, senza accorgersi dell'ango­ scioso, terrifico vuoto psicotico nel nucleo centrale del Sé); un giorno mi disse: «Ho fatto un sogno curioso, stanotte»: Stavo lavorando a un vecchio mo­

bile di casa, per riparar/o, nel salotto della casa di mamma. La mamma stava par­ lando sommessamente con sua cugina, seduta sulla poltrona. Mentre lavoro, sento improvviso uno schianto, come fa il legno quando si spacca, e con stupore e sgomento vetk che il legno, sotto, è vuoto. Guardo mia madre, spaventato, per vedere se se n 'è accorta. Il suo sguar4o severo, di rimprovero muto, mi rende di pietra. lo mi sento molto colpito da questo sogno, e sento un particolare tremore nella voce del paziente. Penso a come egli tenda ad affrontare con attività di «bricoleur» le tensioni emotive. Ho una strana impressione, di sospensione e di attesa, come se stesse per svelarsi un mistero. Ricordo che nell'ultima se ­ duta della settimana precedente il paziente, venendo da me, s'era trovato a cantare, fra sé e sé: «TI mio mistero è chiuso in me, il nome mio nessun sa­ prà» (sic). Intanto, le sue associazioni vertono sul fatto (a me finora scono­ sciuto) che questa cugina era quasi una sorella gemella della mamma: nate lo stesso giorno da due sorelle, sono vissute sempre insieme, con un profondo legame. TI mobile era appartenuto alla nonna materna del paziente, che aveva avuto un figlio primogenito, maschio, nato morto, così che la mamma del pa­ ziente era stata concepita con l'intento di sostituirlo. Se non che, la mamma del paziente ebbe la sventura di nascere femmina e, per di più, di restare fi­ glia unica. I nonni del paziente non si diedero mai pace. E il mio paziente, primogenito della loro unica figlia, era per loro l'erede della famiglia. «Mi amavano come un loro figlio! », aggiunse, con una commozione strana. Poi, fattosi pensoso: «Dev'essere stato tremendo, per mia mamma, sentirsi sem­ pre strutturalmente inadeguata alle aspettative dei suoi genitori. E non po­ terei far niente. Ma che colpa ne aveva, lei? Cosa c'entrava? » «Beh, l a mamma ha potuto offrire, in risarcimento ai propri genitori, lei, suo figlio primogenito .. » Restiamo entrambi ammutoliti, per un certo tempo. Resto commosso, di fronte a questo ex bambino che prova compassione per la madre, ma che non vede il danno che su di lui è venuto a ricadere. Penso a quanto i figli siano sol­ leciti nel soccorrere i bisogni più profondi dei genitori, e come essi spesso siano misconosciuti in questi sforzi enormi, in cui arrivano perfino a tradire sé stessi pur di tentare di salvarli. «La poltrona era della nonna, come il mobile che stavo restaurando. Era roba toccata a mia mamma in eredità. » «E da sua mamma lei ha ricevuto - segretamente - il compito di restau­ rare l'eredità che la mamma s'è trovata a dover gestire: la nonna, depressa, col suo vuoto dentro, perché il bambino che aveva dentro la pancia era morto. Così lei ha dovuto impersonare quel bambino morto. Non poteva essere sé, .

Paolo Roccato

420

ma doveva essere lui. Doveva essere un altro. Non poteva vivere, perché do­ veva dare vita a un morto. Ma guai a svelare il segreto mortale, come qui in analisi con me sta facendo! C'è da rimanere impietriti, trasformati in pietra tombale dallo sguardo della mamma.» Nel lungo silenzio che segue, mi suonano nella mente i versi lontani:

O nonna o nonna! deh com'era bella quand'ero bimbo! ditemela ancor, ditela a quest'uom savio la novella di lei che cerca il suo perduto amor! - Sette paia di scarpe ho consumate ( ) sette lunghi anni , di lacrime amare: tu dormi a le mie grida disperate, e il gallo canta, e non ti può svegliare. Deh come bella, o nonna, e come vera è la novella ancor, proprio così. E quello che cercai mattina e sera, tanti e tanti anni in vano, è forse qui ( ) forse, nonna, è nel vostro cimitero tra quegli altri cipressi ermo là su, ...

...

mentre il paziente, commosso e grato, mi dice che non ci aveva mai pensato e che, per la prima volta, s'accorge che non è possibile a un bambino vivo im­

personarne uno morto. Io contribuisco ad

allargare l'insight, dicendogli che

doveva essere terribile sentirsi, con i nonni, «come il loro figlio », cioè, ap­

punto, morto: trasparente, senza gravità, senza peso specifico, inetto a vivere, senza consistenza. Finita la seduta, pensai che la «novella» delle « Sette paia di scarpe» po­ teva ben rappresentare il lungo cammino compiuto in analisi per raggiun­ gere, finalmente, il senso del nucleo centrale vuoto del mio paziente. Ma poi, con quello strano stupore che accompagna la percezione di qualcosa di nuovo che si ha l'impressione d'avere però sempre saputo senza mai accorgersene, ho ripensato a quella poesia come a un'espressione poetica della trasmissione della patologia fra le generazioni: parla di un lutto mancato di un'antenata (la nonna stessa?) che non si dava pace per « il suo perduto amor»; e dei richiami alla vita da un lato («com'è allegro de' passeri il garrire »), e alla morte dall'al­

tro (il cimitero, «tra quegli altri cipressi ermo là su»). Accenna a una cono­

scenza scissa, inutilizzabile («ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse l che ra­ pisce de gli uomini il sospir, l come dentro al tuo petto eterne risse l ardon che tu né sai né puoi lenir»). lnvita a non seguire «i rei fantasmi che da' fondi neri l dei cuor vostri battuti dal pensier l guizzan come dai vostri cimiteri l putride fiamme innanzi al passegger». E tutto ciò, mentre l'Io conscio non s'accorge di nulla, «e a brucar serio e lento seguitò».

l sogni di trasmissione delia patologia mentale fra le generazioni

421

Conclusioni Ricevere (e in modo subdolo, non esplicitato) dai propri antenati diretti il compito esistenziale di esentarli dall'elaborazione del lutto comporta un in­ sieme di identificazioni e contrapposizioni con l'oggetto (d'amore) da loro perduto, e un vincolo a essere vivo, sì, ma come lui, cioè morto. Morto, quanto meno, nella propria individualità e identità. Come dire: «alienato», in senso letterale; che realizza sé come altro da sé. Ho richiamato l'attenzione del lettore su un tipo molto particolare di so­ gni, che sembrano segnalare che il paziente conosce gli effetti su di lui di eventi avvenuti ancor prima della sua stessa nascita e del suo stesso concepi­ mento. Egli sembra conoscere per filo e per segno, anche se in modo incon­ sapevole, i vincoli alienanti che la sua esistenza ha ricevuto. Ma come s'è potuta strutturare nella sua mente questa conoscenza? La do­ manda ha un'evidente importanza teorica, oltre che clinica. Credo che non sia necessario ipotizzare eventi relazionali misteriosi, come a tutta prima vorrebbe lo stupore incredulo suscitato in noi da queste osser­ vazioni. A questo punto conviene introdurre il concetto di saga familiare, da distin­ guere da romanzo familiare. ll secondo (il «romanzo familiare») è costruito dal soggetto, nel tentativo di darsi una ragione di certe incongruenze fra al­ cune percezioni di sé e alcune percezioni relazionali, o fra differenti perce­ zioni relazionali (per esempio: «Non sono figlio di quei due lì, a me così e­ stranei, ma di un principe meraviglioso che mi sta cercando in giro per il mondo»). La prima (la «saga familiare »), invece, è strutturata dai familiari del soggetto, ed è una specie di trasmissione orale eroico-mitologica di rac­ conti sugli eventi fondamentali del nucleo familiare, soprattutto su quelli che di fatto avranno un impatto significativo (quasi sempre inconscio) per i di­ scendenti. Attraverso accostamenti, contrasti, somiglianze, significati etio­ logici (spiegazioni « causali») ed exempla, questi racconti veicolano più com­ piti, definizione di vincoli, ruoli, che non conoscenza. Per esempio: «Quando sei nata tu, la mamma s'è messa a gridare: "Mi è nato un mostro! Mi è nato un mostro! ", perché tutta pelosa eri, come il nonno, che aveva un barbone così! », mentiva la madre segretamente adottiva d'una mia paziente, per ga­ rantirle che era figlia sua. Ma non sempre si tratta di bugie costruite a bella posta. Anzi, quasi sem­ pre si tratta di costruzioni in cui il senso di verità e di evidenza è condiviso da tutti i membri del gruppo, sia da chi ha un ricordo diretto dei «fatti» sia da chi ne ha un «ricordo» mediato dai racconti. Spesso questi fenomeni diven­ tano lampanti quando vengono indicate somiglianze «originarie» con pa­ renti, soprattutto defunti («tu, appena nato, eri identico al mio povero fra-

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Paolo Roccato

tello. Anche come carattere ! »): sembra trattarsi più di prescrizioni che non di

descrizioni. Spesso anche il soggetto dà un proprio contributo alla costruzione della saga familiare, ma sempre innestandosi sulle costruzioni che altri prima di lui hanno strutturato. Entrambi questi tipi di racconto (« saga» e «romanzo») occultano e sve­ lano ad un tempo una qualche verità

emotivo-re/azionale:

del soggetto rispetto

al nucleo familiare il «romanzo »; del nucleo familiare rispetto al soggetto la « saga». Non è dunque necessario ipotizzare eventi misteriosi, per spiegare le co­ noscenze tanto remote e improbabili che questi sognatori sembrano aver ac­ quisite. Credo che le informazioni sugli eventi determinanti siano arrivate al soggetto negli usuali racconti della «saga familiare »; mentre credo che le informazioni su quelle che a posteriori possiamo riconoscere come conse­ guenze dell'impatto emotivo-relazionale di quegli eventi sulla strutturazione del Sé, derivino dalla diretta percezione di sé nel tessuto interazionale delle relazioni fondanti di base. Il fatto è che questi due insiemi di conoscenze ri­ mangono scissi, per il paziente come per i suoi familiari e, fino all'ultimo, an­ che per l'analista. La paziente del primo sogno sapeva dalla saga familiare di aver dovuto condividere con una persona morta lo spazio corporeo della pancia della mamma; e così dalle stesse fonti sapeva che la mamma aveva ricevuto dai pro­ pri genitori il mandato di sostituire il loro primogenito morto. E sapeva che i nonni erano mortalmente delusi perché la mamma aveva fatto lei, e non un maschio; e sapeva che la mamma era sia depressa per la sorellina morta sia delusa perché lei, sopravvissuta, era una femmina. Credo, invece, che fossero non la saga familiare, ma la

percezione di sé

e la

percezione re/azionale

nel­

l'interazione con la madre le fonti di un altro, più personale sapere che la pa­ ziente aveva strutturato: « sapeva » di non poter esistere, di non avere il di­ ritto di essere viva, di aver trovato lo spazio

mentale della mamma occupato

da un morto (lo zio, non la gemellina), tanto da sentirsi come costretta a di­ struggere ogni possibilità di realizzazione di sé. Ma questi « saperi » erano non integrabili, perché scissi. Fu attraverso questo sogno, recuperato a di­ stanza di anni dal suo presentarsi, che l'integrazione divenne possibile, allor­ ché l'assidua relazione psicoanalitica rese tollerabile l'angoscia connessa all'accorgersi del compito esistenziale ricevuto.

E così il terzo paziente si sentiva « trasparente, senza gravità, senza peso specifico», perché si sentiva come deve sentirsi uno spirito, un morto. E que­ sto gli derivava dalla diretta percezione di sé negli angusti spazi relazionali en­ tro i quali aveva potuto strutturarsi. Era dalla saga familiare, invece, che sa­ peva che la mamma avrebbe dovuto risarcire i nonni per la perdita del loro fi­ glio primogenito, e che aveva affidato a lui il compito di esentarli dall'elabora-

l sogni di trasmissione della patologia mentale fra le generazioni

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zione del loro lutto. Ma non sapeva connettere tra di loro queste conoscenze, che rimanevano scisse, così da proteggersi dall'angoscia legata alla consapevo­ lezza del danno subìto in un progetto alienante che lo trascendeva. Torna alla mente l'angoscia esistenziale di Kierkegaard (la sua «scheggia nelle carni»), e la saga familiare del padre di lui che maledice Dio sulla collina. Una sola precisazione, per concludere, sulla necessità di « andare al di là del transfert». È chiaro che tutti questi sogni avrebbero potuto essere interpretati come rappresentanti lo stato emotivo attuale nella relazione con l'analista: il bam­ bino che fa marameo sugli sci come un tenere in scacco l'analista attraverso la maniacalità; il ragno mortifero come la seduttività del pensiero dell'anali­ sta; il legno vuoto come la delusività dell'analisi. . . Ed è probabile che essi contenessero anche, per così dire, delle onde, degli echi di tali risonanze emotive transferali. Ma il soffermarsi solo su quelle onde avrebbe, forse, impedito di cogliere quella che, a posteriori, sembra la sostanza centrale del messaggio proveniente dal paziente: la conoscenza pre­ conscia del vincolo patogeno che segretamente tende a legarlo ai propri an­ tenati. Bisogna, allora, letteralmente andare oltre il transfert? Letteralmente no, perché si potrebbe, forse, dire che in questi casi ciò che viene ri-attualizzato nel transfert non è un contenuto della mente (come po­ trebbe essere un «oggetto interno» o una fantasia), ma sono gli aspetti re/a­ zionali di un modo difunzionare della mente: è, in definitiva, la spinta alla condi­ visione delle difese dall'angoscia di percepire la dipendenza alienante. Per cogliere la quale è necessario guardare oltre il «qui e ora»: in questi casi, cioè, sembra che solo la percezione chiara del «là e allora» delle relazioni fondanti di base possa condurre a percepire l'inconsapevole condivisione delle difese del «qui e ora». Il transfert da cogliere, dunque, è la spinta a tenere inaccessibile alla co­ scienza la conoscenza de/ legato ricevuto dagli antenati. n paziente a suo tempo ha dovuto subire la pressione re/azionale che gli ha impedito la conoscenza con­ scia del compito esistenziale che gli veniva affidato; e ora a quella stessa pres­ sione re/azionale egli sottopone, inconsapevolmente, l'analista stesso. Ma, con­ temporaneamente, egli, come il Pollicino della fiaba, dissemina il percorso anche di sassolini che possano funzionare da traccia per essere ritrovato. E quando i tempi sono maturi e i percorsi abbastanza conosciuti, ecco che il pa­ ziente sboccia in un sogno, che può allora diventare rivelatore per le due menti impegnate nell'analisi, perché esse sono ormai sufficientemente pre­ parate ad accogliere i messaggi con il loro carico di angoscia. Se in quel momento il paziente non verrà riconosciuto nei suoi sforzi di venire a capo della propria dipendenza originaria patogena, egli si ritirerà progressivamente in uno stato di perdita della speranza. E l'analisi tenderà a divenire interminabile.

Capitolo 29 Paradigma interattivo e sogno

Giovanna Goretti Regazwni

L'incerta collocazione del concetto di interazione nel panorama culturale della nostra disciplina richiama alla mente il passo iniziale di Pulsioni e loro de­ stini (191 sa). In esso Freud, più filosofo della scienza che in ogni altro scritto e certo estraneo alla concezione positivista che gli viene tradizionalmente attri­ buita, descrivendo il procedere dell'attività scientifica a partire da alcune idee che, lungi dal derivare dall'esperienza, la delimitano, la organizzano e le sono in un certo senso sovraimposte, assegna a una fase avanzata, che fa seguito a in­ dagini più approfondite del campo di osservazione, il momento delle defini­ zioni, anche se riconosce che, quello delle definizioni, è il momento in cui forte può essere il rischio di rigidità e ossificazioni che di una teoria finiscono per de­ cretare il tramonto. ll concetto di interazione, pur essendo un concetto che se­ gna la psicoanalisi odierna, sembra collocato nelle fasi poco più che iniziali di questo percorso: il termine interazione non gode ancora di una definizione uf­ ficiale e certo non compare nei diversi dizionari dei termini psicoanalitici, ep­ pure attorno al concetto di interazione si stanno scrivendo molti articoli, sono stati organizzati convegni a livello internazionale, gli è stato dedicato un intero numero di «Psychoanalytic lnquiry» (ma nell'avvicinare quella topica, gli au­ tori che hanno scritto sull'argomento, ha commentato Angela Richards nella sua funzione di discussant, «sembravano sentire di muoversi in acque non car­ tografate�>) e, come ovvio, si sono formati schieramenti: passo avanti, per al­

cuni e pericolosa deviazione e inaccettabile riduzionismo per altri (pensiamo a quel Manifesto contro il concetto di interazione che

è la relazione di André

Green al Congresso di Amsterdam), si tratta di una concezione - e forse po­ tremmo considerarla un paradigma, ricordando che Kuhn non ha mai usato questo termine come sinonimo di teoria ma piuttosto di qualche cosa di più ampio della teoria stessa e che ideologicamente la precede- che si limita a ren­ dere esplicite implicazioni peraltro presenti e riconoscibili in molti «luoghi» della teoria psicoanalitica: la dinamica transferale-controtransferale, struttura

425

Paradigma interattivo e sogno

portante della singola seduta o dell'intero trattamento psicoanalitico; la ro/e-re­ sponsiveness (Sandler, 1 976), cioè l'area teorica che considera la relazione psi­ coanalitica il luogo nel quale la relazione oggettuale interna del paziente tende a esteriorizzarsi e a riproporsi nella relazione analista-paziente; l'identifica­ zione proiettiva, soprattutto nella rivisitazione operata da Bion, che ne sottoli­ nea ripetutamente la componente realistica; perfino, e abbastanza imprevedi­ bilinente, rispetto alla geografia degli indirizzi teorici, il concetto di fantasia in­ conscia di Susan Isaacs («la fantasia inconscia ha effetti reali non solo nel mondo interno, ma anche nel mondo esterno dello sviluppo corporeo e del comportamento del soggetto e a partire da lì, nello psichismo e nel corpo di al­

tri soggetti »), sono i «luoghi» della teoria che contemplano la possibilità di azioni reciprocamente influenzanti tra analista e paziente.

È vero anche

che,

per quanto riguarda l'azione dell'analista, contemplata come possibile, ma con­ siderata una

défaillance

rispetto a un corretto operare, è prevalsa per molto

tempo la convinzione che la sua analisi, le sue competenze teoriche e tecniche e la sua esperienza permettessero all'analista di bonificare integralmente lo stato mentale creato dalla relazione, di trame l'enorme potenziale euristico e di offrire attraverso le parole un pensiero puro, un pensiero privo di ogni sco­ ria di azione: convinzione nella quale c'era - e nelle aree ove perdura c'è - una forte irrinunciabile idealizzazione dell'identità e della funzione psicoanalitica e un sostanziale disconoscimento dell'irriducibilità di uno stato mentale che - essendo sempre in varia misura confinante e radicato in aree inaccessibili al pensiero - è suscettibile di tradursi in varie forme di «agiti ». Nel concetto di interazione, che comprende il riconoscimento di altera­ zioni costruzionistiche di entrambi i partecipanti, vuoi per interrelati livelli di difese di carattere, vuoi per l'appagamento di aspettative di ruolo, vuoi per effetto di identificazioni proiettive incrociate, l'apollinea visione che vuole l'analista sempre capace di liberarsi dagli impacci di reazioni emotive distur­ banti è approdata alla consapevolezza di uno scarto temporale ineliminabile tra il percepire in maniera incoata uno «stato» disurbante e l'averne cogni­ zione e padronanza, e ha visto in quell'intervallo temporale, più o meno lungo, secondo la capacità dell'analista o l'intensità dello stato suscitato, lo spazio per un'azione dell'analista, che sarà in parte una reazione all'azione del paziente, ma sarà organizzata secondo schemi operativi e difensivi idio­ sincratici dell'analista. n modello semplificato che propongo - il paziente agi­ sce, l'analista in qualche forma e misura re-agisce - non rispecchia una realtà che è certamente più complessa, comprendendo un analista portatore egli stesso di bisogni, desideri, aspettative che il paziente è chiamato a soddisfare (Bacai,

1 997). Il transfert, scriveva Balint nel 1 9 39, è facile da dimostrare

quando investe un oggetto inanimato, ma diventa «disperatamente imbro­ gliato» quando investe un oggetto vivente, perché questi reagisce alle emo­ zioni transferali e ha egli stesso emozioni da trasferire.

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Sul tipo di azioni che l'analista può incontrare in seduta, rinveniamo os­ servazioni interessanti in quegli appunti inspiegabilmente sottratti alla di­ struzione che riguardano l'analisi del dottor Leher, il famoso «uomo dei topi» della letteratura psicoanalitica. Leggiamo: «Egli aveva identificato sé stesso con sua madre, nel suo comportamento e nel trattamento-traniferen­ ces. Comportamento: Sciocchi commenti tutto il giorno, incaricandosi di dire cose sgradevoli a tutte le sue sorelle, commenti critici su sua zia e cugina. Transferences: Egli aveva l'idea di dire che non mi capiva e che aveva pensato che zo corone erano troppe per un poveraccio ecc. Egli confermò la mia co­ struzione dicendo che egli usava le stesse parole che usava sua madre nei con­ fronti della famiglia del cugino ( ... ) sembra anche che egli si identificasse con sua madre nelle sue critiche verso suo padre.» Acutamente (quando finirà di stupirei?) Freud riconosce che dire cose sciocche o sgradevoli è un comportamento; che questo comportamento ri­ specchia un processo inconscio della più fondamentale importanza, quale l'identificazione con la madre; che la seduta è il luogo dove questo compor­ tamento ha tutte le possibilità di manifestarsi in quel fenomeno ubiquitario che è il transfert: infatti si manifesta nel dire cose sgradevoli e svalutanti dell'analista e all'analista (e se l'analista è nelle condizioni mentali e fisiche di funzionamento sufficientemente buono, non potrà non sentirsene modera­ tamente offeso e urtato). Freud poi dimostra che la seduta è anche il luogo nel quale esiste qualche possibilità che un atteggiamento insistentemente cri­ tico e svalutante possa essere «letto» e compreso nelle sue radici genetiche inconsce; premessa, questa, e condizione di un suo depotenziamento, così che, anziché suscitare risposte prevedibili re-attive nell'area della contro-cri­ tica, della giustificazione, della depressione di segno narcisistico o del ritiro, possa generare un'esperienza in qualche misura trasformativa: esperienza che da quelle reazioni prenderà comunque l'avvio e di esse conserverà una forse non del tutto cancellabile traccia. Gli appunti mettono a fuoco che l'azione con cui il paziente esercita una influenza sull'analista è prevalentemente un'azione verbale - un'azione che si compie parlando - immanente al transfert e di esso costitutiva. n paziente di Freud criticava e diceva cose sgradevoli e offensive, ma si può, parlando, lo­ dare, incuriosire, interessare, annoiare, confondere, confessare, tenere a di­ stanza, mettere a tacere, insinuare, ingelosire, opporsi, resistere, compia­ cere ... Scopo di queste azioni verbali - è la linguistica che lo ha compreso, an­ che per noi - non è di veicolare un contenuto informativo, ma di suscitare, nel contesto relazionale da esse presupposto e istituito, stati mentali com­ plessi che con molta probabilità avranno la tendenza a tradursi in più o meno organizzati comportamenti: l'analista parlerà - o tacerà - perché si è sentito offeso, urtato, sedotto, respinto, incuriosito, ignorato, accecato, confuso, di­ vertito, troppo divertito, gratificato, eccessivamente gratificato, accusato o

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mortalmente annoiato: in qualche misura, e con qualche specifica caratteri­ stica, insomma, disturbato in quello che conosce essere il suo assetto abituale mentale e perfino fisico; parlerà, spinto dall'urgenza - di dire, di sedurre a sua volta, di divertire, di accecare o gratificare - o tacerà, intrappolato in un'im­ potenza confusa, che può progressivamente caricarsi di ostilità: e sarà il di­ ventare consapevole di quell'urgenza o di quell'impotenza che permetterà di cominciare a pensare a quanto sta accadendo. In questo pensare, che può compiersi in pochi secondi o richiedere anche parecchie sedute, tra gli strumenti che l'analista userà un posto particolare avranno le sue teorie e la relazione che egli manterrà con le sue teorie: per­ ché, come è rilevabile dall'esperienza descritta da Freud, non sarebbe stato sufficiente che egli avesse un'esperienza emotiva che potesse essere ragione­ volmente collegata a un comportamento del paziente; doveva disporre anche di concetti teorici - quali il concetto di transfert e quello di identificazione per non parlare di quell'attività creativa che gli permetteva di supporre che il paziente stesse forse ricreando con l'analista il conflitto e gli alterchi che si sviluppavano tra i genitori. Tanto più l'analista saprà lavorare attraverso il suo stato mentale combinando competenza emotiva, conoscenze teoriche, at­ tività creativa e rigore tecnico, tanto minori saranno le possibilità di inqui­ nare troppo a lungo il campo psicoanalitico con agiti più o meno vistosi. Sap­ piamo peraltro quanto sia frequente che l'analista parli, poco o tanto, lo spe­ cifico idioma degli oggetti del paziente o del suo (del paziente) Sé o di aspetti (del suo proprio) Sé - quelli che più entrano in risonanza con specifici tratti costitutivi dell'analista e della specifica coppia che essi formano - prima che questo idioma risulti alle orecchie stesse dell'analista, per il suo ricorrente ca­ rattere di estraneità, il segno di un'avvenuta occupazione di sé stesso, e da n possa partire un lavoro di recupero del proprio Sé e dei propri oggetti. E spesso sarà il sogno, quello che il paziente racconterà in seduta o quello dell'analista stesso, a segnalare i momenti e i modi in cui la sua identità è stata inglobata nel disegno drammaturgico del paziente, regista del sogno. Dal vertice proposto dal paradigma interattivo i sogni emergono come esperienze emozionali relative alle molte possibilità di rapporto suscettibili di svilupparsi nella coppia analista-paziente e possono costituire una validazione dell'evol­ versi di un processo psicoanalitico o segnalare momenti di arresto e di non­ evoluzione. E il lavoro sul sogno accorda più attenzione agli aspetti palesi del sogno stesso, ritenendoli il prodotto di un processo di conoscenza, che non a quanto si suppone vi sia celato o distorto a scopo di difesa o resistenza. In un sogno un paziente apriva una porta e «coglieva» la vista dei genitori sul

letto matrimoniale: ilpadre si masturbava e la madre rasseg;nata, umiliata, lo guar­ dava impotente a impedirlo. Mi era sembrato, quando lo avevo ascoltato, che si trattasse di uno di quei sogni che non richiedono associazioni, le associazioni essendo da ricercare nel contesto delle esperienze delle ultime sedute. Era su

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quelle esperienze che il sogno apriva una possibilità di pensiero, con imma­ gini che di esse erano un precipitato, ma che anche precorrevano un più ma­ turo pensare. Come uno spaccato, aperto su un continuum, il sogno ripren­ deva una coppia in uno sterile stare, una coppia senza amore e senza la spe­ ranza di ritrovarlo. Sapevo che il paziente mi aveva stancata, annoiata, in un certo senso spenta con il suo modo di parlare fumoso, pseudointrospettivo, autointerpretante. Sapevo di averlo, per un certo tempo, abbandonato a sé stesso. Ora il racconto del sogno rendeva evidente ai miei occhi l'intensità e la qualità della mia reazione, espressa in una passività impotente che di quel comportamento solitario, masturbatorio, insultante finiva per essere un ali­ mento: e alimentandosi nella mia passività, quel comportamento insultante diventava anche punizione per la mia distanza e il mio ritiro. n sogno mo­ strava anche il sognatore che, di quello stare, diventava il testimone e il rive­ latore. Era lui che aveva aperto la porta, per sé stesso e per me, su una situa­ zione che ci stava mortificando, e penso che non sia troppo speculativo sup­ porre che avesse avuto un improvviso ripiegamento, o sussulto, introspettivo - aprire la porta come guardare improvvisamente dentro di sé - nel momento in cui aveva percepito («da inconscio a inconscio», come diceva Freud) che io avevo smesso non tanto di parlargli, quanto di pensare a lui, di lui e della situazione; quando io avevo smesso di sperare - una speranza che in certi mo­ menti, lo sappiamo, è più simile alla fede - che le cose potessero cambiare. Visto da un vertice interattivo, è un sogno che svela all'analista come il pa­ ziente lo percepisce, ma anche, monitor impietoso, gli permette di ricono­ scere i modi e le forme di cui la sua identità e funzione psicoanalitica si è, per un certo tempo, rivestita. E mentre dà all'analista gli strumenti per ricollo­ carsi nella relazione, gli permette anche di conseguire, grazie al suo paziente e alla relazione con il suo paziente, un quanto in più di conoscenza su sé stesso: perché il modo di reagire a un solipsismo masturbatorio non può non colorarsi di quella che Renik (1 993) ha chiamato «l'irriducibile soggettività dell'analista», soggettività che del modo di reagire condiziona il percorso e i tornanti risolutivi. Si tratta infine di un tipo di sogno che richiede che l'ana­ lista compia un lungo lavoro mentale, prima di essere nella condizione di po­ terlo interpretare: perché spesso, per l'analista, interpretare può corrispon­ dere a una manovra difensiva, a un modo di curare lo smacco e la ferita, di ri­ trovarsi prigioniero delle identificazioni proiettive del paziente o prigioniero delle proprie abituali organizzazioni difensive e adattative (e le due condi­ zioni quasi sempre coincidono). Un esempio letterario di quanto bruciante possa essere quello smacco e quella ferita si rende evidente nella rivisitazione dell'episodio biblico di Giuseppe e i fratelli condotta da Thomas Mann . Nel romanzo Il giovane Giuseppe leggiamo infatti che i fratelli esplodono di rab­ bia, abbandonandosi alle più selvagge aggressioni verbali nei confronti del fratello minore quando questi ha l'ardire di raccontare la scena di un sogno

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che lo aveva reso felice. Un sogno la cui grammatica aveva cominciato ad ac­ cendere un oscuro sospetto nei fratelli da quando si era andata delineando una contrapposizione tra Giuseppe e tutti loro, contrapposizione che nelle ultime parole del racconto prendeva una forma fin troppo evidente: Il mio co­

vone sta diritto nel mezzo, e i vostri, che glifanno corona, si inchinano in cerchio da­ vanti a esso. Si inchinano, si inchinano, e il mio resta là, diritto, nel mezzo. Furi­ bondi i fratelli, perché sembrano sapere che se Giuseppe sogna i covoni che si inchinano davanti al suo, questo non significa il futile desiderio di un futile ragazzo. Significa che il desiderio di quel ragazzo li ha già piegati, e il sogno è un'occasione per loro di scoprirsi in un atteggiamento reverenziale nei con­ fronti di quel fratello così diverso, di vedersi in un atteggiamento così perico­ loso per la loro identità da far loro progettare una precipitosa fuga, come se solo la distanza potesse loro garantire la possibilità di sottrarsi a quella perni­ ciosa influenza che li umilia. Dilatato, accentuato dalla trasfigurazione arti­ stica, il vissuto di quei fratelli mostra il vissuto che ci procura il vederci nel sogno di un altro come un altro ci ha voluti e ci ha resi, ma anche il vederci come siamo, in quella camera segreta a cui pochi hanno accesso. Precluden­ doci la fuga nella non-conoscenza, il sogno del paziente ci indica che cosa do­ vremmo cambiare, in noi stessi, perché cambi il rapporto o almeno perché si creino le condizioni per un cambiamento. Il paradigma interattivo ci ha resi più consapevoli dell'esistenza di dimen­ sioni operative ineliminabili della seduta, quali parlare o tacere, parlare molto o parlare poco, concludere la seduta, fare domande o non fame nessuna, ri­ spondere alle domande o non rispondere, lasciar parlare o interrompere: azioni che si offrono a una continua soggettiva significazione, diventando al­ tro, rispetto a quello che semplicemente sono, o pensiamo - ci illudiamo? che siano. A causa di questa significazione, l'analista non può trascurare di valutare come il paziente reagisca a questi aspetti del lavoro, ed è nei sogni che spesso si manifestano la soggettiva rappresentazione di certi eventi e il personale linguaggio con cui vengono trascritti. Un paziente aveva sognato di trovarsi per le scale di un edificio, in una situazione di profondo disagio: cercava

con difficoltà di tenersi su i pantaloni slacciati, anche la cintura era slacciata, sapeva di essere dovuto uscire precipitosamente da un bagno, senza il tempo di lavarsi e di mettersi in ordine. D opo aver raccontato il sogno, aveva detto che il giorno prima la fine della seduta lo aveva colto molto di sorpresa. Poi si era messo in silenzio: avendo offerto con quella breve notazione che aveva accompagnato il racconto del sogno - associazione a un evento per lui emozionalmente im­ portante, o se vogliamo dirlo in altro modo, associazione che del sogno in­ corporava il residuo diurno - quello che era necessario dire perché io potessi cominciare a pensare. Al vissuto generato dalla fine della seduta, di cui il sogno mi appariva, in quell'unica immagine che lo costituiva, una non velata espressione, un vis-

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suto caricato di una dolorosità che sembrava raggiungere la concretezza di un'esperienza fisica, come concreti, concreti in maniera perfino disturbante, erano quei pantaloni che non si reggevano, che il paziente teneva su a stento. L'immagine avrebbe potuto evocare la farsa, ma c'era, nelle parole del pa­ ziente, un tale abisso di disagio che era la tragedia, piuttosto, a essere sugge­ rita o anticipata. Tanto che, nel sogno che avevo sognato sul sogno del pa­ ziente, secondo quella modalità che Meltzer aveva una volta suggerito per trovare - creare? - consonanze, risonanze, echi tra i mondi diversi del pa­ ziente e dell'analista, era la ferita, la disperata vergogna, l'incerto procedere dei protagonisti della Cacciata dal Paradiso terrestre, nella Cappella del Car­ mine a Firenze, che avevo visto disegnarsi e prendere forma: cacciati, ma per­ ché? per quale colpa tremenda, da quale Giustizia implacabile? E nel mio so­ gno c'era anche un bambino asmatico che tante volte era stato lasciato in ospedale e poi, per tanti anni mandato - mandato, non cacciato - in alta mon­ tagna per curarsi; ma anche un adolescente che una volta era stato effettiva­ mente cacciato da un collegio per cattiva condotta e si era ritrovato su una strada innevata senza i soldi sufficienti per telefonare alla famiglia. Nel mio sogno avevo sognato, nel paradigma di un evento che, nella tradizione, ha se­ gnato l'umanità, quei momenti che conoscevo, della vita del paziente, in cui era stato «attraversato » da esperienze di separazione e distacco che lo ave­ vano sovrastato, che non era stato lui a determinare e di cui sembrava non avesse posseduto neppure le coordinate per comprenderle: come nel sogno raccontato in seduta, nel quale il paziente era dovuto uscire da un bagno, ma sembrava non sapere perché, né su richiesta di chi. Incrociando in un punto nevralgico la storia del paziente, potevo doman­ darmi se era stata la fine della seduta, in sé, che era stata vissuta come una brutale mancanza di sintonia con una sua condizione mentale o meglio so­ matopsichica, oppure se qualche cosa, di quella breve formula con cui chiudo la seduta, aveva dato all'evento una connotazione insolita, il tono forse, o un'ombra di precipitosità che riduceva di impercettibili attimi quell'inter­ vallo che abitualmente intercorre tra le ultime parole dette dal paziente e le mie parole di congedo: piccoli segni, e quelle parole erano diventate per il paziente: «Vattene, non un minuto di più, non ce la faccio più a sopportarti. » E, d'altra parte, quelle piccole note anomale nel tono e nel tempo potevano ben essere una re-azione, un'azione in risposta all'azione del paziente, l'epi­ fania di una mia insofferenza - o sofferenza - di un soprassalto dettato da un'improvvisa urgenza separativa, in un'esperienza di cui anch'io dovevo pur aver perso la dimensione temporale, se il paziente ·l'aveva persa E, di nuovo tornando al mio sogno, vedevo la spada fiammeggiante dell'Angelo, nell'af­ fresco del Carmine. Che cosa avevo fatto, quando lo avevo congedato? Mi ero sottomessa alla legge del tempo, o avevo fatto di quella legge un fallo ta­ gliente cui affidavo la possibilità di separarci? Dalla mitologia familiare del ...

Paradlgma lnteraHivo e sogno

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paziente, sapevo che il padre aveva forzato la decisione di mandarlo a vivere nell'aria rarefatta delle montagne svizzere e la madre non aveva potuto op­ porsi: perché forse era così soffocante, quel bambino, con la sua soffocante fame d'aria ... Rispetto a quella situazione precaria, nella quale il paziente sentiva di non aver avuto «il tempo di lavarsi, di mettersi in ordine», ricostruivo che, al mo­ mento del congedo, potesse aver sentito che era mancato il tempo per un ac­ coglimento e un'iniziale gestione di ciò che aveva detto, per cui ciò di cui stava parlando sembrava gli fosse rimasto addosso, non più dentro di lui, ma neppure fuori di lui, contenuto in una mente che se ne fosse fatta saldamente carico (non succede di sentirsi così, più o meno, quando parliamo e qualcuno ci interrompe?), ma anche, quei pantaloni slacciati, mi richiamavano la me­ tafora dello «sbottonarsi », nel suo significato di «palesare i propri senti­ menti, i propri pensieri», e quindi evocavano uno stato emotivo di apertura e confidenza, che, per come erano andate le cose, aveva finito per acquistare il significato di una cosa inappropriata e un po' indecente di cui vergognarsi. Sembrava che il punto di vista del paziente su quella fine della seduta che lo aveva colto così di sorpresa fosse di non aver avuto il tempo per mediare il passaggio da una condizione, quella sul lettino, che condivideva, dello stare in bagno, la privatezza, ma anche quell'iniziale possibilità di «lasciarsi an­ dare» che cominciava a caratterizzare il suo andare in bagno - che stava di­ ventando una cosa possibile, dopo anni di stipsi pietrificata e pietrificante - a una situazione pubblica, pubblica soprattutto nel senso di rendere lui stesso improvvisamente palese ai suoi stessi occhi, nella vergogna «di essersi lasciato andare» e poi nei suoi goffi, autarchici tentativi di «riprendersi» e di «tenersi SU». ll sogno nù richiamava, per analogia e per contrasto, il sogno di un'altra paziente che, in una caduta vertiginosa nel vuoto, tentava disperatamente di reggersi per i capelli: un sogno che mi sembrava teso a catturare un vissuto che potrebbe appartenere al margine estremo della stessa area di esperienza del paziente all'uscita dalla seduta, essendo diversa ovviamente la percezione dello spazio ove avveniva la caduta - spazio finito e spazio infinito - e diverso l'impegno antologico di ciò che cade: l'intero Sé o una sua parte periferica. Forse entrambi i sogni potrebbero rientrare in quel gruppo di sogni che Kohut definisce «sogni sullo stato del Sé», il cui scopo principale, secondo Kohut, è di rendere nominabili processi psichici altrimenti senza nome: «Rappresentando nel sogno questi stati del Sé piuttosto arcaici in una forma pochissimo mascherata, si trasformano dei processi psicologici densi di una paura senza nome in immagini visive che perlomeno sono nominabili. » Per contro, potremmo pensare che quel tipo di sogni sia la testimonianza di una condizione mentale che non è quella di una paura senza nome, ma di una paura già in parte contenuta e resa più tollerabile precisamente dalla possibi­ lità di chi sogna di darle dei contenuti rappresentativi e quindi potenziai-

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mente un nome; contenuti che danno indicazioni forti sulla percezione in­ trapsichica del pericolo temuto, sulle risorse del Sé, e indirettamente sulla funzione o non-funzione dell'oggetto, mentre nella sua forma estrema la paura senza nome è interamente collocata nel regno del non dicibile e del non rappresentabile.

I sogni riportati - dell' «uomo sulle scale» e della « donna che si regge per i capelli» - suggeriscono una riflessione su certe metafore in uso nel linguag­ gio comune, quali «afferrare per i capelli», nel suo noto significato di salva­ taggio in extremis, o « tenersi su», «sbottonarsi » « lasciarsi andare » ecc. : considerata la forte corrispondenza tra ciò che le metafore suggeriscono con le parole e ciò che i sogni riportati dicono tramite rappresentazioni, non è forse troppo azzardato pensare che immagini oniriche possano essere state, nei tempi lunghi della formazione di una lingua, la matrice generativa di molte metafore, contribuendo da sempre alla funzione non marginale di ar­ ricchire il linguaggio, mantenendo un suo ancoraggio con stati arcaici della mente. Non si può non notare che il sogno è senza oggetto. Se c'è qualcuno che impone al paziente di lasciare quel bagno, se qualcuno non provvede a man­ darlo fuori in ordine, si tratta di qualcuno che, secondo la grammatica del so­ gno, sembra non godere dei requisiti della rappresentabilità, condizione che priva il paziente perfino dell'ausilio di una difesa paranoide, che lo lascia cioè senza la possibilità di prendersela con qualcuno: e questo aspetto del sogno

mi faceva pensare

agli eczemi devastanti di cui il paziente aveva sofferto da

lattante e alle crisi di prurito che ancora lo lasciavano sanguinante e spossato. Quell'unica immagine di sogno sembrava rinarrarmi la storia della vita del paziente e delle sue patologiche scansioni, con un linguaggio che, diverso ri­ spetto a quello che il paziente aveva usato per narrarmela in seduta, risultava di una forse maggiore, più condensata efficacia. Come tutti i paradigmi, anche il paradigma interattivo tende ad allargarsi e a includere fenomeni di complessità crescente. Siamo stati per molto tempo orgogliosi di una prassi fondata sulla convinzione di garantire al paziente una possibilità di sviluppo autonomo, solo assistendolo nel compito di guada­ gnare un quanto in più di conoscenza su sé stesso. Oggi questa stessa convin­ zione si sta sottilmente erodendo: abbiamo cominciato a riflettere (Strenger, 1 99 7) che abbracciare un modello teorico vuoi dire assumere il modello di normalità che esso propone e adoperarsi perché il paziente vi si avvicini, per­ ché le scelte teoriche che facciamo riflettono e «sposano » qualcosa di profondamente radicato in noi ed esprimono, forse più di quanto abbiamo finora pensato, nostri bisogni, desideri, aspettative e timori. È lo stesso Stren­ ger a segnalare che l'idea di un trattamento che non indottrini il paziente non può non continuare a essere un ideale regolativo - cioè, in senso kantiano, un ideale cui tendere - ma considerarlo suscettibile di una letterale realizzazione

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rischia di risultare sotterraneamente e perniciosamente manipolativo, perché l'analista che professa questa convinzione mostra di non essere consapevole di quanto le sue concezioni teoriche, i suoi modelli di sviluppo della persona­ lità, giacciano in un sistema di valori e veicolino sistemi di valori a cui si pro­ pone di condurre il paziente: si tratti della genitalità rispetto alle varie con­ dotte pregenitali, della dipendenza rispetto all'autonomia, della gratitudine rispetto all'appropriazione astuta, della separatezza rispetto a dimensioni fu­ sive e confusive dei rapporti, della depressione e della colpa e della ripara­ zione rispetto al diniego e alla maniacalità, della superiorità del pensiero ri­ spetto all'azione, del rigore freudiano di un principio di realtà cui sentiamo di doverci sottomettere rispetto alla disponibilità ad accogliere e coltivare le aree dell'illusione. E sarà ancora nei sogni che andremo a cercare il timore del paziente di essere colonizzato dai valori e dai modelli di normalità del­ l'analista: una volta fu incontrando in un sogno un testimone diJehova - di quei tipi strani che rifiutano ostinatamente ogni tipo di analisi e di cura psichia­ trica - che fu possibile, con un paziente, incominciare a parlame.

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Barocas C., r 30 Barocas H., r 30 Barthes R., r 7g Bastide R., 2 g4fl., 3 1 8, p8 Bayle G . , 2 r 3 Benjarrrin W., 2 7gn. Bergman 1., r63, 374 sg. Bergson H., 3 2 r n. Berlin 1., 2g4 Bernanos G., 32 rn. Bernays M., 67 Bernheim H., 64 Beròni M., 3 34 Bezoari M., 1 2 g, 1 54, 242, 362 sg., 3 83 , 3 8g Binswanger L., 2g3n. Bion W. R., 20, 2 2 , 2 8 , 3 7 , 5 3 , 6 r , 68-7o, B r sg., g 2 e n., g8n., ro2n., 108- ro, 1 26, ng, I J 3, 1 3 5 , 1 3 6n., 1 3 7, 1 40 e n., 141, 143, 1 5 3 ·56, 1 58, r6r, !63 -68, 1 7 2 , 1 75. r 82n., I g2, 2 3 5 , 2 3 g, 274 1 3 2 7, 3 3 g, 360, J 62, 363 e n., 364, 365n., 366 sg., 3 8 1 , 3 84, 38g-g3, 3g8 e n., 3g7 e n., 402, 407, 42 5 Blanchot M., 304 Boccanegra L., 86n. Baccara P., 2 2 , 3 5g Bodei R., 24, 2 70 Bollas C., 44, 5 3 , g r , 1 5 2 sg., r 56, r 5g, 2 2 6, 2 J I , 2 3 5 sg., 240, 366 Bolognini s., 1 3 , 2 3· 2 7 sg., 56, 2 36n., 260, 386 Bonanrinio V., 2 2 , 2 3 1 , 236n., 241 Bonaparte M., 226 Bond A.H., 2 20 sg. Bonnefoy Y., n6, 1 48, 2g8 Borges ].L., 36n. Borgogno F., z z , 8 r , 85n., 86n., 87, gr sg. Bosinelli M., 3 3 5 Botella C., rg2, 2 1 2, 2 14 Botella S., 2 1 2, 2 14 Bowlby J ., g8n. Boyd R., 276 Braun A. R., 335

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Caillois R . , J 2 2 , 3 2 9 Calasso R., 3 2 6 Calder6n d e l a Barca P . , 36, 3 5 5 Calvino 1., 268 Campo C., 2 84". Camporesi P., 1 77 Canestri ]., 3 78, 3 84 Canguilhem G., 2 7 5 Carloni G., 8 1 , 9 1 n. , 93 Carpenter ]., 3 84 Caspar M., 285 sg. Catone, 295 Cavallero E., 3 3 5 , 3 3 7 Cavenar ] . , 2 2 0 Cervantes M. de, 2 9 8 Chaitin G. D., 7 9 Charcot J.-M., 64, 3 2 6 Chasseguet-Srnirgel ]., 92n. Cheshire N. M., 1 8 r sg. Chianese D., 2 2 , 2 7 1 , 3 2 3 , J 2 5 Cicerone, 2 76 Cicogna P. C., 33 5 Clair R., 3 6 5n. Clarac P., 298n. Claudel P., J 2 I n. Clausewitz.K. von, 3 04 Coleridge S. T., 87n., r ; B Colombo C., r B Conrotto F., 6 9 sg. Copernico N., 1 8, z 76, 285, 292 Corrao F., 2 I , 389 Corrente G., 383 Courtès J . , 204, 207 Craven W., 3 84 Cremerius ]., 95n. Croce B., 29

Eco U., 3 3 8 Edelrnan G.M., I 5 3 , I 5 8 , 342, 3 46 e n. Einstein S., 3 77 Eisenstein S., 3 77 Ellman S.]., 3 3 7 Eraclito, 299 Erikson E. H., 245 Erodoto, 2 7 , 279 Eschilo, z 79 Euripide, 2 79

Dali S . . 3 74 Damasio A. R., 345 e n. Darwin C., I B , 2 7 3 sg., 292 De Koninck )., 5 2 Della Casa G . , 3 8n. Del Rio M. A., z88 De Marchi A., 22, I9I sg. De Martino E., 293 e n., p 6n. Dement W. C., 3 3 3 sg. Demrne J . , 3 7 r n. De Monchaux C., 5 2 D e Polo R . , 2 2 , 6 I sg. Descartes R., 2 69, 2 7 1 , 2 76 sg. , 2 84, 2 89, 2 9 2 e n., 2 94, 3 I4, 3 1 5 e n., 3 1 6, 3 1 7 e n., p 8, 329

Faimberg H., 92, 2 2 4 Fairbaim W. R. D., 4 5 , 97n. Fechner G. T., 3 2 4 Fellini F . , 3 7 5 Ferenczi S . , 2 2 , 8 I , 8 3 , 85 e n., 86 e n . , 87 e n., 88 e n., 89 e n., 90 e n., 91 e n., 92 e n., 93 e n., 94 e n . , 95 e n., 96, 97 e n., 98 e n., 99 e n., 1 00 e n., IOI e n., I 02 e n., I03 e n., I 3 2n., 2 I 6 Ferrara Mori G., 1 9 3 , 22 r Ferrari A., r 6 r , 1 64 sg. , 1 69 sg. , I 7 2 sg., 1 7 5 , 1 7 7· 3 97n. Ferraro F. , 2 2 , I 9 I sg. , 2 1 8n., 2 1 9, non., 2 24fi., 2 2 8 Ferré A., 298n. Ferretti E., 56 Ferro A., I 8, 2 2 , 4on., 70 s g., 93, 1 29, 1 54, 242 , 362 sg., 3 7 2 , 3 8 3 , 3 8 5 , 3 89 sg. Fichte }. G., 1 3 3 Fink G . , 3 8o Fiss H., 5 2 , 1 1 4, 1 1 9n. Fleck L., 2 7 5 Fleming V., 3 7 5 Fliess R . , 65 Fliess W., 1 7, 2 7 , 3 3 n., 6 r , 63-67, 75 e n., 1 8 2 e n . , 209, 3 5 8 Flournoy 0 . , 2 2 9 Fonagy 1., r 86 Fomari F., 2 r , 36, 56, 62, 76, 79 sg. Fosse B., 3 74 Fosshage J. L., 5 2 , 54"·· r n n., I I 9 e n., 1 2 0, 1 2 2 , 245 sg., 267 Fossi G. , 78 sg. Foulcault M., r ;o, 1 5 3 , 1 5 9 Foulkes D., 70, 7 8 , 3 3 4 sg., 3 3 7 France A-, 66 Freernan W.J., 343 e n. French T. M., 245 Freud A., 66 sg. Freud ]., 6 I , 6 3 , 66, 68

Indice degli autori

Freud S., 1 3 , 1 7 sg., 2 2 , 2 7-29, 30 e n., 3 r e n., p , 33 e n., 35 e n., 3 7-39, 40 e n., 41 e n., 42, 43 e n., 44 sg., 47 sg., 50-52, 59, 61-74, 75 e n., 77-79, 8 2 , 8sn., 87, 88n., 89 e n., 91 e n., 94 e n., 97, r o r , 1 02 e n., 103 e n., 104- l l , 1 1 2 e n., 1 1 5 , 1 1 9 e n., 1 2 0 sg., 1 2 3 , 1 2 5, 1 2 9 sg., 1 3 2 e n., 1 3 3 , 1 3 6, 1 3 9, 1 4 1 , 143-45 , 149-5 1 , 1 5 3 , r 6 r , 1 6 3 sg., 1 69-7 1 , 1 7 5 , r 8o, 1 8 I e n., I 82 e n., I 84, 1 89-92, I95 sg., 202 sg., 205n., 206- 1 3 , 2 1 7 sg� 2 1 6, 2 2 9, 1 3 1 , 2 3 6, 2 4 I , 245, 266 sg., 2 69, 2 7 1 , 2 74> 276 sg., 2 88, 2 9 2 , 2 94, 2 96 sg., 308- 1 4, 3 1 5n., 3 I6 e n., 3 2 0 sg. , 3 2 2 e n., 3 2 3 sg., 3 2 6 sg., 3 3 1 , 3 34, 3 3 740, 342 -44, 349-58, 3 76-78, 3 8 2 , 3 89, 398, 4 I 0, 424> 426-2 8

Alcune aggiunte d'insieme alla Interpretazione dei sogni, 3 8, 241 Alcune considerazioni per uno studio crrmparato delle paralisi 111ltori l e organiche e isteriche, 3 5 7 Al di là del principio di piacere, r 7 0 sg. Analisi termmabile e interminabile, 68, r o m . , 218

Autobiografia, 6 r , 63, 68 Crrmpendio di psicoanalisi, 1 7 , 1 I 1 Crrmplementi alla teoria delsogno, n 2 Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico, r 8 m. Costru:z.ioni nell'analisi, 68 Dalla storia di una nevrosi infantile (Caso cli­ nico deiJ'urrmo dei lupi), 104- ro, 389 Due voci di enciclopedia: «Psicoanalisi» e «Teo­ ria della libido», r 8 m. Etiologia dell'isteria, 64 Frammento di un 'analisi d'isteria (Caso clinico di Dora), 65, 3 50 Il delirio e i sogni nella «Gradiva» di Wilbelm Jensen, 36n., 1 9 2 , 209 Il disagio della civiltà , 3 r 1 Il Mosè di Michelangelo, r 81 Ii 111ltt l o di spirito e la sua relazione con l'inconscio, 66, r 84 Il sogno, 50 sg., 62, 68, 7 3 -80 Il miei rapporti con JosefPopper-Lynkeus, 69 Inibizione, sint0111ll e angoseùl, 209, 2 I 2, 2 I 7 Introduzione alla psicoanalisi, 1 9 1 , I 9 5 sg., 202, 209, 296 sg.

Introduzi011e al libro «Psicoanalisi deiJe nevrosi di guerra», 208 Introduzi011 e al na�o, r 6 I , 1 64 ]osefPopper-Lynkeus e la teoria delsogno, 68 La disposizione alla nevrosi ossessiva. C07ltributo alproblema della scelta della nevrosi, 2 I O La negazione 3 sn. ' L 'inconscio, 169 L 'interpretazione dei sogni, I7 sg., 1 7-29, 30 e n., 3 r sg. , 33 e n., 34 sg., 3 8 e n. , 39, 40 e n., 4 1 , 43 e n., 44, 45 e n., 48, 51 sg., 61 sg., 65-7 1 , 77 sg. , 85n., I I 2 , n s, I I 9 e n., 1 2 9, I 3 J , 143-45 , 1 50, 1 64, r 8o sg., r 82n., 1 9 I , 1 9 5 , 207, z n , 2 1 3 , 2 2 9, 2 4 1 , 267, 308- ro, 3 2 1 , 3 2 3 - 2 5 , 3 34, 3 3 9, 350, 3 5 7 sg., 3 7 7

L 'U0111ll Mosè e la religione monoteistica: tre sag­ gi, 208 sg., 2. 2 6

453

Minute teoriche per Wilhelm Fliess, 358

209, 344,

Necrologio di Stintkrr Feremzi, 9 7 Osservazioni suli'll111lel'f' di traslazione, 3 09 Osservazioni sulla teoria e pratica dell'interpretazione dei sogni, 50 sg., 3 I 6n. Per la storia del movimento psicoanalitico, 1 7 Precisazioni sui due princìpi dell'accadere psi­ chico, 1 pn., 1 70, I 75 Progetto di una psicologia, 30, 1 3 2 , 1 3 6, 3 3 1 , 3 3 7, 342 sg., 3 56, 3 5 8

Psicologia delle masse e analisi deii'Io, I 3 9 Psicopatologia della vita quotidiana, 66 Psitoterapia, I 8 I Pu/sioni e loro destini, r 64, 424 Recensione a «L 'ipnotismo» di August Forel, 64 Studi sull'isteria, 65 Supplemento metapsicologico alla teoria del so­ gno, 2 66 sg., 344, 3 5 2 , 3 5 5

Tecnica della psicoanalisi, r 8 1 Totem e tabù: alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici , 2 92 Tre safJJI!. sulla teoria sessuale, 64 sg., 209 Una dijjicoltà della psicoanalisi, 2 9 2 Un sogno di Cartesio: lettera a Maxime Leroy,

3 14. J I 5 e n. Friederich G. D., 3 26 sg. Fromm E., 9 3 , 245 Fromm-Reichmann F., 93

Gabel S., 1 2 2 Gaburri E., 93 Gaddini A., l l , 359 Gaddini E., 2 1 sg., 1 9 2 , 2 1 1 sg., 2 I4, 3 3 2 , 348 sg., 367n., 3 75n. Galilei G., 2 73 sg., 2 8 5 , 2 9 1 Gallini C., 2 7 1 , 3 16, 3 I 9 Garcia M., 1 85 Garella A., 2 2, 141, 1 9 1 sg., 2 1 8n., 2 1 9, 2 2 on., 2 24fl. Garroni E., r65 Geertz C., 2 7 3 Gessner S., 3 2 2 Giaconia G., 5 5 , 1 30, 1 3 7 Giannakoulas A., 240 Gill H. S., 267 Ginzburg A., 22, 385 sg. , 398n. Ginzburg C., 2 79 e n., 3 r6, p6 Goethe W., 3 1 , 74, 3 2 3 GoJdberg A., I I I , 1 1 3 , 1 1 5 - 1 7, 1 2 0-2 2 GOngora L. de, 2 98 Goretti Regazzoni G., 2 2 , 1 26, 386 sg. Gori E. C., 2 2 , 191 sg., 209, 2 1 3 sg., 2 1 6 Gray S., 3 2 2 Green A., 2 14 sg., 2 29, 2 3 5, 3 2 5n., 3 6 3 n. , 3 64> 414 Greenacre P., 3 75n., 3 76 Greenberg R., 5 2 , I I 9 e n. Gregory T., 2 8o, 3 1 7 Greimas A.J., 1 9 1 , 207 Griffith D. W., 3 74, 3 84 Grinberg L., 53 sg. Grinstein A., 2 1 0

454

Gritti 1., 3 3 5 Groddeck G., 95n., ro3n. Grunebaum G. E., 3 1 8n., 3 1 9 Guglielmo di Occam, I85n. Guidorizzi G., z 79n. Halbwachs M., 2 99 Hartmann E., 52 Hartmann H., 2 3 1 Hartocollis P., 2 2 m. Hautmann G., 2 2 , 82, I93, 229n. Haynal A., 95n., I03 Heimann P., 9 1 e n., 92, 2 3 5 Hermann 1., g8n. Hemandez M., 240 Hervey de Saint-Denys, 70 Hitchcock A., 3 74, 376 Hobson Y. A., 1 2 2 , 3 3 1 , 3 34-36 Holt R. R., 342 Husserl E., 274 Huston )., 1 7 7 Innocenzo m , 2 8 1 lsaacs S . , 4 2 5 Isakower 0., 377 !sella D., 148 Jackson J. H., 3 5 1 Jacobson E., 2 3 1 Janik A., 67 Jay M., 3 2 6 Jensen W., 36n. Jiménez P., 398 Jones E., gr, w6, 209 Joseph B., 339 Joyce J., 1 77, 298 Jung C. G., so, p I , 32 3 Kafka F., 36n., 3 79, 3 8 1 sg. Kalidasa, z 73 Kant l., 2 74 Kanzer M., 245 Keats J., 85, 163 Keplero J., 269, z 76 sg., 284-88 Khan M.M. R., 5 3 , I 5 1 sg., 2 3 1 , 234 sg., 2 3 94I, 397 e n. Kierkegaard S., 42 3 Klauber J., 245 Klee P., 3 2 5 Klein M., 2 I , 3 5 , 9 2 e n., 97, 1 08, 1 2 6, 1 2 9, 2 3 I 1 2 74, 3 J I 1 3 J 8, J 86, J 89 Kleitman N., 3 3 3 Klingerman C., 2 1 I Kluzer G., 209 Koestler A., 288 Kohut H., 20, 2 2 , 81 -83, 93, I I I - 14, I I 5 e n., u6-z 3, 146, 246, z6r, 385, 43 1 Krafft-Ebing R. von, 6I, 64 sg. Kramer M., 52 Kris E., 56, 2 I 9, 245 Kristeva J., 1 78 Kruger S. F., 281 e n. Kuhrick S., 375

Indice degli autori

Kuhn T. S., 2 7 5 sg., 424 Kurosawa A., 36o, 369n., 3 79 Lacan J., 41, 92, 204fi., 2 3 4 Lacoste P . , p 6 Lakoff G., 42n., 1 2 2 Lang F., 360, 3 74> 3 79 Lantemari V., p 8 e n., 3 1 9n., 3 20, 3 2 1 e n. Laplanche J., 228 Lavagetto M., 3 1 9n. Lehovici S., 362 sg. Le GoffJ., 2 8 I , 3 1 8n., 3 2 7 Leroy M., 292, 3 1 5n., 3 16 Lévi-Sttauss C., 1 9 1 , 195, z oo, 203, 204 e n., 205 e n., zo6 e n., 207, 320 e n. Lévy-Bruhl L., 3 z o Lewin B. D., 47, 240, 377 Lichtenherg J. D., 93n., 367n. Liébeault A.-A., 64 Lincoln J. S., 2 80 Lipps T., r 8zn. Little M., 9 1 Llinas R., 3 3 6 sg. Loew C.A., 1 1 9, 1 2 2 Loewald H., 2 16 Lombardi R., 2 2 , r6r, 164 Lombardozzi A., 3 1 6n. Longhin L., 341 Lopez D., 2 1 , 2 3n. Lotman 1., 46 Lowenfeld L., 64 Lubitsch E., 3 74 Luciano, 285 Lucrezio, 2 7 7 sg. Lullo R., 3 r 7 Lurija A. R., 3 5 1 , 3 5 8 Lussana P . , 102n. Lyotard J.-F., 3 2 8n. Macrohio, 2 76 Maeder A., 5 2 Magli l . , 3 2 m. Mamiani M., 290-92 Mancia M., n , 1 29, 1 3 3 , 245, 3 2 3 sg., 3 3 1 sg., 3 34 sg., 3 3 7 - 39, 341, 348 Mangini E., 22, 1 2 5 , 1 3 1 Mann A., 3 74 Mann T., n s , 42 8 Maquet P., 3 3 5 Marini G., 3 3 5 Mariotti M., 3 3 5 Marsilio Ficino, 282 Marty P., 1 3 3 sg. Marocco N., 385 Masson J.M., 63-67 Matte Bianco 1., 2 1 sg., sz, r 6 r , 1 64, 1 70-72 , 2 97• J 86, 397• 398n., 407 Maxwell J. C., 2 7 3 McCarley R. W., 3 34 sg. McDougall J., r pn., 2 1 5 McLuhan M., 364fl., 366n. Melchiori G., 2 85n.

455

Indice degli autori

Meltzer D., 30n., 40 e n., so, 69, 141 sg., 14411., 145, 149, 1 5 3 , 142, 340, 365n . , 383, 390 sg., 397 e n., 430 Meotti A., 2 2 , 125 sg., 1 39, 1 54 Meotti F., 2 2 , 1 2 5 sg. Merciai S. A., 92 Merleau-Ponty M., 3 1 7 Metz C., 362 Meynert T., 61, 64, 66 Miegge M., 295 Miller ]., II 3 Milner M., 1 5 1-53, 2 39 sg. Missenard A., I JO, 1 3 3 Mitra.ni J., 4oon. Modell A., 1 69, 168 Molinari E., 8 1 , 93 Molinari S., 2 2 , 6 1 , 68-70, 3 2 3 , 3 3 4 Morrrigliano A., 290 Money-Kyrle R., 3 39 Montale E., 148 sg. Montanari G., 1 8 5 Montgomery J . W., 29zn. Morin E., 361 sg. Mozart W., 1 8 1 M'Uzan M. de, I 34

Petrella F., 2 3 , 2 7 sg., 30n., 44, 45 e n., 1 84, 3 1 5· 3 78 Petronio, 2 78 Petrus Berchorius, 281 e n. Phillips A., 9m., 242 PiagetJ., 204 Piana G., 3 m. Picasso P., 275, 298 Pirandello L., 2 70, 2 74, 3 2 5 Pitagora, 3 1 5n. Platone, 146n., 185 e n., 2 79, 300, 3 1 7 Polanski R., 374 PontalisJ.-B., I 3o, 1 5 1 , 240, 3 2 2 , 3 1 5 sg., 3 84 Popper-Lynkeus J., 6 1 , 67 sg., 70 sg. Powell M., 3 76 Pozzi F., 2 2 , 191 sg. Preminger O., 3 74 Pressburger E., 3 76 Propp V.J., 205 Proul G., 52 Proust M., I J I , 298 e n., 304 Prudenzio, 1 8 1 Pseudo-Agostino, 2 76

Napolitano F., I4 I , 3 2 7 Nash J., 220 Nathan T., 3 24 e n. Neri C., I 5 5 · 232 Nerval G. de, 298 Newton l., I 39, 2 69, 2 7 3 sg., 277, 289-92 Nicolaidis N., 3 84 Nietzsche F., 39, 3 2 m. Nissim Morrrigliano L., 93, I 30, 3 90 Novelletto A., 6I

Racalbuto .A.. , 55, I J Z , 1 3 7 Racker H., 9 I sg., I83 Rank 0 . , 95 e n., 96 sg. Rayner E., 9 I , 398n. Regosa M., 3 77 Reik T., 1 8 1 Reita.ni L., 6 7 Rembrandt H . , 275, 198 Renik 0., 428 Resnik S., 43 sg., p , 1 5 3 Ribary U., 3 36 Richards A., 424 Rickman J., 89, 91 Ricreur P., 2 2 7 Riefolo G., 2 2 , 359 Rilke R.M., 1 26, 147 Riolo F., I 8, 56 Robutti A., 1 30 Roccato P., 2 2 , 386, 41 I sg. Rodis-Lewis G., 19zn. Rodrigué E., 91 Rosencreutz C., 292 Rosenfeld H., 86n., 92, I69, 386, 400 e n. Rossi P., 55 Rossi Monti M., 2 74"· Rossi Monti P., 24, 269 sg., 294"· Rubino LA., 22, 19I, 1 I 1 Rudwick M.J. S., 275 Russo L., 97n., 102n.

Ogden T. H., 58, 1 57 Orenùand J.D., I93, 2 1 1 , 224 Ornstein A., I I 3 Ornstein P. H., 1 1 4 Pabst G. W., 360, 375, 378 Pace Schott E. F . , 334-36 Pallier L., 2 J 2 Pally R., 3 54"· Palnlleri M.A., 2 2 , 2 J 2 Pancheri L., 2 2 , 82 Paolo, 3 2 m. Paparo F., 2 2 , 82 Paracelso, 300 Paré D., 3 3 7 Pascal B., I 3 9 Pasolini P. P., 3 74 Pasteur L., 273 Pazzagli A., 193, 2 2 9n. Pearlman C., 51, 1 1 9 Pellizzari G., 55 Perec G., 301 Petacchi G., 13 2 Peterfreund E., 79 Péters ].-M., 3 3 5 Petrarca F., 1 16, 195, 298

Quinodoz J.M., 2 1 9

Sacerdoti G., Ipn. Sachs H., 378 Saffo, 279 Sakai K., 3 3 5 Sallanon M., 3 3 5 Sanders A.-M., 2 74 Sandler A.-M., 340

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Indice degli autori

Sandler] . , 340, 42 5 Sanford L. D., 3 3 5 Sarno L., 92n. Saussure F. de, I 8 5 e n. Scalzone F., 2 2 , 3 3 2 Scartazzini G . A. , 1 46n. Schnitzler A., 6 I , 6 7 sg., 70 Schon A., 3 76 Schopenhauer A., 3 I e n., 3 2 m. Schust-Briat G., 1 78, 3 7 8 Searles H. F., 93 Secchi C., 185, 376 Segai H. , I 3 J , 1 69, 2 1 3 , 3 86, 3 97 e n., 400 e n. Segre C., 2 79n. Semi A. A., 20, 2 2 , l 3 4ll·• 2 70 sg., 3 8 1 Senofonte, 2 7 9 Shakespeare W., 1 75, 1 8 I Shapiro S . , 93n. Sharpe E. F., 40o., 42 Shea W., 292n. Silber A., 19 2 , 2 m, 2 1 6 sg. Silberer H., 3 2 , 45, 85n., 3 7 7 Sinesio di Cirene, 2 69, 276 sg., 2 80, 2 8 m., 282 -84 Singer B., 3 7 m. Skarda G.A., 343 e n. Soavi G. C., 2 p Solms M., 3 3 2 , 3 3 6, 348, 3 5 1 - 54, 3 5 6- 58 Sosnik R., 92n. Spencer H., 1 84 sg. Steiner ]., 1 69, 400 e n. Stekel W., p, 40 Stendhal, 305 Stern D.N., 1 79, 263, 367n. Steveoson R., 3 9 3 , 409 sg. Stickgold R., 3 34-3 6 Stocker B . , 1 7 7 Stolorow R . D . , 5 5 , 1 2 0 sg., z6o Strenger C., 43 2 Strindberg A., I 6 3 Sullivao H. S., 9 3 Symingron ]., I 54 Symingron N., I 54 Tabucchi

A.,

3 6n.

Tagliacozzo R., 2 2 , 2 3 2 , 247, 3 970. Tejani-Bun S.M., 3 3 5 Teresa d i Lisieux, 3 2 1 e n . Thompson C., 93 e n. Tolpin P. R., n4 Tommaso d'Aquino, 1 85n., 2 84 Tommaso di Froidmoot, 2 8 1 Torok M., 98n. Toulmin S., 67 Trosman H., 3 3 3 Turillazzi Manfredi S., 362 Valéry P., 304 Van Lieshout R. G.A., 2 7 9n. Vergine A., 3 2 9 Vermeer ) . , 298 Verne J., z 86 Verticchio G., 2 2 , 2 3 2 Vìederman P., 5 8 Viereck G., 67, 1 5 1 Vigorelli M., 3 7 7 Violani C., 3 34 Virgilio, 2 79 Von Trotta M., 3 7 5 Waelder R., 2o6 Walsh R., 3 74 Webb W. B., 4zn. Wells H. G., z 86 Westfall R. S., 2 89 Whitman R. M., 2 2 0 WiJder ) . , Z I I Winnicon D . W., 2 1 , 46, 5 3 , 89n., 90n., 9 1 e n., 1 5 1 , 1 5 7, 1 7 1 , 2 1 2 , 2 3 1 , 2 34- 36, 2 40 42, 2 74· 3 2 7 Winson )., 248 Wingenstein L., 30n., 4m. Wolpert E.A., 3 3 3 sg. Woolrich C., 3 76 Ynng E., 3 2 2 Zapparoli G . C., 2 1 Zontini G., 2 2 , 3 3 2 Zweig S . , p zn.

FRONTI ERE DELLA PSICHE l.

Francesco Mancuso , Domenico Resta , L 'adolescente in persona

2.

Laura Fontecedro , Psicologia clinica in età evolutiva

3.

Valentino B raitenberg , l veicoli pensanti. Saggio di psicologia sintetica

4.

Luciana Cursio, Genitorialità biologica e genitorialità adottiva

5.

Giulia S agl iocco (a cura di) , Hikikomori e adolescenza: fenomenologia dell 'autoreclu­ sione . Seminario di studi e approfondimenti per un 'ipotesi di cura

6. 7.

Luciana Cursio, "Ascoltami attentamente " . Voci e parole per raccontare l 'adozione Diana Fosha, Daniel J . S iegel , Marion Solomo n , Attraversare le emozioni, Volume l. Neuroscienze e psicologia dello sviluppo

8.

Claudio Migliol i , Raffaella Roseghini, Sulle orme di Winnicott

9.

Manfredo Massironi , L 'Osteria dei Dadi Truccati: arte, psicologia e dintorni

1 0 . Cecilia Pecchiol i , Giada Pietrabissa, EDS psicologia . Manuale per la preparazione dell 'esame di Stato per psicologi I l . Davide Lopez e Loretta Zorzi (a cura di) , La sapienza del sogno . Nuova edizione ri­

veduta e corretta

1 2 . Francesco Comel l i (a cura d i ) , Psicopatologia e politica 1 3 . Diana Fosha, Daniel J . Siegel , Marion F. Solomon , Attraversare le emozioni, Volume

Il. 1 4 . Massimo Schneider, La presenza nella stanza di analisi 1 5 . Armando Ciriello (a cura di) , L'oblio del pensiero nell 'istituzione psichiatrica

1 6 . Marta Tagliabue , Autismo e relazione 1 7 . Franco Maiullari , L 'inferiorità e la compensazione . Principi di analisi adleriana per il terzo millennio 1 8 . Giacomo Gaggero , Comprendere l 'Altro 1 9 . Secondo Giacobbi , Vecchiaia e morte nella società fetalizzata . La psicoterapia dell 'anziano 20 . Gaetan G. De Clérambaul t , Il tocco crudele . La passione erotica delle donne per la seta 2 1 . Michele Giannantonio , Trauma , attaccamento e sessualità . Psicoterapia integrata­ corporea e bodywork per le ferite invisibili

22. Ludwig B i nswanger, La psichiatria come scienza dell 'uomo , a cura di B ianca Maria d ' l ppol ito 23 . Adriano Voltol i n , Il rifugio e la prigione. La psicoanalisi tra clinica e critica 24 . Alessandra Sala e Egidia Albertini (a cura d i ) , Psicoterapia psicoanalitica dell 'età evolutiva: clinica e formazione

25 . Suzette Boon , Kathy S teele , Onno Van der Hart , La dissociazione traumatica . Com­ prenderla e affrontarla , a cura di G. Tagl iavini e G . Giovannozzi

26 . Luisa Grosso (a cura di) , Memofilm . La creatività contro l 'Alzheimer 27 . Concetta Russo , M ichele Capararo, Enrico Valtellina (a cura d i ) , A sé e agli altri. Storia della manicomializzazione dell 'autismo e delle altre disabilità relazionali nelle cartelle cliniche di S. Servolo

28 . M ichele Giannantonio, Memorie traumatiche . EMDR e strategie avanzate in psico­ terapia e psicotraumatologia , Prefazione di Alessndro Vassal l i , Nota introdutti va di

Roger M. Solomon 29. Eugenio Gaburri , Laura Ambrosiano , Ululare coi lupi. Conformismo e reverie 30. Eugenio Gaburri , Navigando L ' inconscio . Scritti scelti, a cura di Paolo Ch iari e Marco Sarno. Introduzione di Claudio Neri 3 1 . Antonietta Curci , Vincenzo de Michel e , Antonella B ianco , Figli contesi e alienazione parentale . Dalla sindrome alla patologia

3 2 . Maria Clotide G islon , Vincenzo D' Ambrosio, Avvicinarsi al sogno . Guida all 'uso cli­ nico dei sogni in psicoterapia , Una lettura integrata

3 3 . Elena Riva, Il mito della perfezione . Fragilità e bellezza nei disturbi del comportamento alimentare

34. Pau! Wil l iams , Il quinto principio , a cura di Paola Capozzi 3 5 . Matteo Bonazzi (a cura d i ) , l. L'inconscio è la politica 3 6 . Matteo Bonazzi (a cura d i ) , Il. Quel che sfugge allo sguardo 37 . Matteo Bonazzi (a cura d i ) , III . Col crimine nasce l 'uomo 3 8 . Jon Kabat-Zi n n , Mindfulness per principianti , a cura d i Anna Lucarel l i , Franco Cuc­ chio, Lorenzo Col ucc i , Gherardo Amadei 39. Mariateresa A l iprandi , Eugenia Pel anda , Tommaso Senise , Psicoterapia breve di indi­ viduazione. La metodologia di Tommaso Senise nella consultazione con l 'adolescente 40 . Pietro Roberto Goi s i s , Costruire l 'adolescenza . Tra immedesimazione e bisogni , Pre­

sentazione di Stefano Bolognin i , Postfazione di Vittorio Lingiard i 4 1 . Elena S imonetta (a cura d i ) , Il corpo che apprende . Per una nuova teoria dei DSA , I ntroduzione di G i ovanni Tagl iavini 42 . El isa Faretta, Trauma e malattia . L'EMDR in psiconcologia 43 . Enrico Gandol fi , Generazione nerd. Gioco , tecnologia e immaginario di una subcultura mainstream 44 . Ronald Britton , Suzanne Bl undel l , B iddy Youel l , Il lato mancante . L 'assenza del padre nel mondo interno , a cura di Adriano Vol to! i n , trad uzione di Tiziana I skander 45 . Ricky Emanuel , Marcus Johns , /1 padre e il padre interno . Fantasie inconsce e paternità ,

a cura di Sara Dael l i , traduzione di El isa Giul iana 46 . Karl Marx , Lettera al padre , a cura d i Aurelia Delfino 47 . Giovanni Casartel l i , Daniel N. Stern . Sviluppo e struttura dell 'esperienza umana in una prospettiva intersoggettiva

48 . François Grosjean , Bilinguismo. Miti e realtà , edizione ital iana a cura di Andrea G i l ardoni , traduzione di Andrea Gilardoni e Roberta Scafi 49 . Luciano Marchino , Monique M izrahil , Counseling . Una nuova prospettiva 50. Antonino Ferro , Ful v io Mazzacane , Enrico Yarran i , Nel gioco analitico . Lo sviluppo della creatività in psicoanalisi da Freud a Queneau

5 I . Rossella Val drè , Sulla sublimazione . Un percorso del destino del desiderio nella teoria e nella cura 5 2 . Lorena Preta, La brutalità delle cose . Trasformazioni psichiche della realtà 5 3 . Carla Gianotti , Il respiro della fiducia . Pratica di consapevolezza e visione materna 54 . Giul iana Kantzà, Teresa fra angoscia e godimento . Psicoanalisi di una santa 5 5 . Antonio Caruso , Il sesso in terapia . Teoria e tecniche di terapia sessuale 56. Tal Croitoru , EMDR Revolution . Cambiare la propria vita un ricordo alla volta . Una guida per pazienti

5 7 . Loretta Zorzi Meneguzzo , Luisa Consol aro , Francesco Gardel l i n , Luisa Panarotto (a cura d i ) , Come melograni. Dialogo interdisciplinare su dissociazione e persona 5 8 . Roberto Yiganon i , A tu per tu col Minotauro . Ansia e panico , una lettura psicoanalitica 59. G iuseppe Ruggiero , Domenica B runi (a cura di) , Il ritmo della mente . La musica tra scienza cognitiva e psicoterapia

60. Angela Gesuè, Un futuro a ciascuno . Omosessualità , creatività e psicoanalisi 6 1 . Salomon Resni k , Vedo cambiare il tempo . Metafisica del macchinismo e le passioni dell 'anima 62 . Paolo Cotrufo, Zoe , Mia madre odia le carote . Corrispondenza psicoanalitica tra sconosciuti. Anoressia, corpo , sessualità

6 3 . Luciano Marchino, Risvegliare l 'energia . Psicoterapia corporea e buddismo, introduzione di Monique M i zrahil

64 . Federico Ferrari , La famiglia i nattesa . l genitori omosessuali e i loro figli , Prefazione di Paolo Rigl iano 65 . Laura Ambrosiano , Marco Sarno , Corruttori e corrotti . Ipotesi psicoanalitiche 66 . Giovanna Cantarella Giulio Gasca (a cura di), Il gruppo come strumento formativo per il lavoro psicoterapeutico . Cesare Freddi e gli studenti di Area G

67 . Giorgio Piccinino, Siamo nati per amare . Deterioramento e riattivazione della pulsione affettiva

68 . Elena R i va (a cura d i } , Ferite e ricami nella clinica dei disturbi alimentari. L ' arte del Kintsugi 69 . Riccardo Dal le Luche , Angela Palermo , Psicoanalisi immaginaria di Frida Kahlo

70. Eugenia Trotti , Chiara Odobez , S i l via R i nal d i , S imona Bennardo , G i ul iano Tinel l i (a cura di) , Manuale di lntervisione . L 'arte del confronto tra pari in psicoterapia e nelle professioni d 'aiuto

7 1 . Giovanna Maggioni , Una Storia Raccontata . !l mio lavoro con Dina Va/lino. Prefazione di Antonino Ferro , Postfazione di Antonella Granieri 72. D. Alessi , L . Bergamasch i , F. Codignola, G. Gal l i , A . l . Longo , A . Moroni , F. Picc i n i n i , A. Vian i , Ragazzi non pensati . Esperienze di cura con gli adolescenti: un contributo psicoanalitico

7 3 . Bjom Salomonsso n , Terapia psicoanalitica con bambini e genitori . Pratica, teoria e risultati

74. Emi l i o Fava, Gruppo Zoe , La competenza a curare . ll contributo della ricerca empirica , prefazione di Franco Del Como

75 . Sara M i cotti , La scatola degli attrezzi . Esperienze emotive, unisono, trasformazioni