Il potere delle idee 8845918300, 9788845918308

Febbraio 1996: l'ottantasettenne Isaiah Berlin riceve una lettera di Ouyang Kang che gli chiede un compendio delle

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Il potere delle idee
 8845918300, 9788845918308

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Isaiah Berlin

IL POTERE DELLE IDEE

�; � ADELPHI

Febbraio 1996: l'ottantasettenne Isaiah Ber­ lin riceve una lettera di Ouyang Kang (do­ cente di filosofia a Wuhan, Cina) che gli chiede un compendio delle sue idee per un volume collettivo sulla filosofia angloa­ mericana contemporanea. Stimolato dalla rilevanza storica, e anche simbolica, dell'i­ niziativa, Berlin decide di rompere un si­ lenzio creativo di quasi un decennio e co­ mincia a dettare, aiutandosi solo con un foglietto di appunti, i suoi pensieri a un re­ gistratore. Il risultato sarà

intellettuale,

Il mio itinerario

ovvero il suo ultimo, memora­

bile saggio, apparso postumo nel 1998. Giustamente posto da Henry Hardy (che ne aveva limato con l'autore la trascrizione finale) ad apertura del

itinerario intellettuale è

Potere delle idee, Il mio

più di una semplice

introduzione al pensiero di Berlin: è una vera e propria cornice che consente di il­ luminarne retrospettivamente il senso e il tragitto. Ridisegnando con esemplare ni­ tidezza discussioni e questioni filosofiche centrali quali il verificazionismo, il moni­ smo, il significato e l'applicazione del con­ cetto di libertà, Berlin ci mostra infatti la complessità di una formazione che doveva portarlo a formulare quel

pensiero plurale

che gli premeva tenere distinto dai facili re­ lativismi della cosiddetta «postmodernità•>. A questo prezioso congedo Hardy ha uni­ to una serie di testi dal carattere limpida­ mente introduttivo, accomunati da un te­ ma cruciale- il ruolo sociale e politico del­ le idee -, e che nel loro insieme paiono corroborare un ammonimento di Heine assai caro a Berlin: «Prendete nota di que­ sto, voi orgogliosi uomini d'azione: voi non siete nient'altro che gli strumenti inconsa­ pevoli degli uomini di pensiero, che nella loro quiete sommessa hanno spesso redat­ to i vostri più precisi piani d'azione••.

«Se il pluralismo è una concezione valida, e il rispetto tra sistemi di valori non neces­ sariamente ostili l'uno all'altro è possibile, allora ne conseguono la tolleranza e un o­ rientamento liberale, come non avviene nel caso del monismo (una sola serie di va­ lori è vera, tutte le altre sono false), e nep­ pure nel caso del relativismo (i miei valo­ ri sono miei, i tuoi sono tuoi, e se ci scon­ triamo, ahimè, nessuno di noi può preten­ dere di aver ragione). Il mio pluralismo po­ litico è un prodotto della lettura di Vico e Herder, e dell'aver compreso le radici del Romanticismo, che nella sua forma violen­ ta, patologica s'è spinto talmente in là da risultare umanamente intollerabile».

Di lsaiah Berlin (1909-1997) Adelphi ha pub­ blicato Il riccio e la volfM (1986), Impressioni pers� nali (1989), Il legno storto deU'umanità (1994), Il mago del Nord (1997), Il senso della realtà ( 1999), Controcorrente (2000), Le radici del Romanticismo (2001). Apparso per la prima volta nel2000, Il potere delle idee raduna saggi che coprono un ar­ co cronologico di oltre un cinquantennio: dal 1947 al1998.

La cornice della copertina è ripresa dal volume di Wilhelmjoker, Farben-und Raumstimmungen, 1908.

SAGGI NUOVA SERIE

44

DELLO STESSO AUTORE:

Controcorrente

Il legno storto dell'umanità Il mago del Nord Il riccio e la volpe Il senso della realtà Impressioni personali Le radici del Romanticismo

ISAIAH BERLIN

Il potere delle idee A CURA DI HENRY HARDY TRADUZIONE DI GIOVANNI FERRARA DEGLI UBERTI

ADELPHI EDIZIONI

TITOLO ORIGINALE:

The Power of /deas

© 1988

THE ISAIAH BERLIN LITERARY TRUST AND HENRY HARDY

per Il mio itinerario intellettuale © 2000

THE ISAIAH BERLIN LITERARY TRUST

per La ricerca dPllo Jtatus © 1947, 1951, 1953, 1954, 1956, 1960, 1962,

1966, 1968, 1969,1972, 1975, 1978, 1979, 1995

ISAIAH BERLIN

per gli al1ri saggi © 2000

HENRY HARDY

per il corredo editoriale © 2003

ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO

WWW.ADt:LI'HJ.IT ISBN HH-459-1830-0

INDICE

Prefazione del Curatore

9

IL POTERE DELLE IDEE Il mio itinerario intellettuale 1.

La filosofia di Oxford prima della seconda guerra mondiale

11.

23

Storia delle idee e teoria politica

23 28

Lo scopo della filosofia

55

I filosofi dell'Illuminismo

71

Uno dei più arditi innovatori nella storia del pensiero umano

94

La storia intellettuale russa

1 15

L'uomo che diventò un mito

130

Un rivoluzionario senza fanatismo

1 43

Il ruolo dell' intelligencija

164

La libertà

175

La filosofia di Karl Marx

181

Il padre del marxismo russo

196

Il realismo in politica

208

Le origini di Israele

220

Schiavitù ed emancipazione degli ebrei

246

La leadership di Chaim Weizmann

280

La ricerca dello status

293

L'essenza del Romanticismo europeo

300

Meinecke e lo storicismo

307

La cultura generale

319

Indice analitico a cura di Douglas

Matthews

333

PREFAZIONE DEL CURATORE

al Wolfson College di Oxford

Più di cent'anni fa, il poeta tedesco Heine am­ m onì i francesi a n o n sottovalutare il potere delle idee: i concetti filosofici coltivati nella quiete dello studio di un professore possono distruggere una civiltà. ISAIAH BERLIN, Due concetti di libertà ( 1 958) 1

Il tema che tiene insieme il contenuto di questa rac­ colta dei testi più brevi e di carattere più introduttivo di Isaiah Berlin è lo stesso delle tre precedenti raccol­ te dei suoi saggi più lunghi, ossia il cruciale ruolo so­ ciale e politico - passato, presente e futuro - delle idee e dei loro progenitori.2 Entro i confini di questo tema troviamo rappresentata una ricca varietà di argomenti, l. In questo stringato compendio, Berlin caratteristicamente ac­ centua il senso del passo originale, la parte più rilevante del quale può essere resa come segue: . L'altro senso centrale della libertà è l a libertà di: se la mia libertà negativa è individuata dalla risposta alla domanda: « In quale misura sono controllato? » , per la seconda accezione della libertà la domanda è: >

IL POTERE DELLE IDEE

li? >> , come faccio a cercare le risposte? Se la domanda è: > ; e tutti sapremmo dove cercare. Ma se un bambino mi chiedesse: > , note come tali perché le loro contrarie sono au­ tocontraddittorie (in quanto distinte dalle « verità di fatto che non possono essere vagliate mediante un qualunque processo puramente formale) -, esse non hanno alcun posto nel regno degli enunciati concer­ nenti il mondo, e sul correlativo assunto che sono sta­ te largamente responsabili dell'esistenza stessa della falsa scienza della metafisica. La necessità e l'identità sono relazioni che non pos­ sono essere scoperte né dall'osservazione del mondo esterno né dall' introspezione, e neppure da una qual­ sivoglia combinazione dei dati di queste > . Es­ se non sono pertanto relazioni reali colleganti entità reali, rinvenibili nel mondo reale. Ne segue che la co­ noscenza deve forzatamente essere di due specie: o si pretende > , nel qual caso poggia su criteri formali e non può fornire alcuna informazione riguar­ do al mondo; o pretende di fornire informazioni sul mondo, e allora non può essere più che probabile, e non è mai infallibile. Non può avere carattere di cer­ tezza, se ciò che intendiamo è il tipo di certezza che '' •

I FILOSOFI DELL ' ILLUMINISMO

può essere raggiunto soltanto dalla logica o dalla ma­ tematica. Questa distinzione tra due specie di asserzio­ ni, strettamente legata alla distinzione tra >, o: > , '' consuetudini sociali >> e " mentalità genera­ le >> , e che il linguaggio ordinario etichetta spesso co­ me i > sono presunte descrivere, analizzare e spiegare. L' esistenza di queste storie è di per sé un sintomo e un prodotto di quella crescita dell 'autoconsapevolezza umana che ha generato distinzioni tra questo ambito - la dimora delle ideologie, delle mentalità, degli at­ teggiamenti, dei miti, delle razionalizzazioni e simili e i meglio ordinati regni popolati dai concetti e dalle proposizioni delle più articolate scienze e discipline esatte. La storia delle idee, in quanto branca del sape­ re, nacque in Italia e crebbe in Germania (e in minor misura in Francia e in Inghilterra) nel corso del Sette­ cento. Col tempo l'interesse per essa si diffuse sia a est che a ovest. In nessun paese c'è stato un grado più ele­ vato di autoconsapevolezza storica, o una più grande o più intensa attenzione per le questioni ideologiche che nella Russia otto e novecentesca.

1 18

IL POTERE DELLE IDEE

È nelle opere russe che si trovano più spesso titoli come > ( obscestvennaya misl') o > . Belinskij gli faceva un po' paura, lo riteneva impresentabile, e manovrò con successo per evitare un incontro diretto. È in effetti in termini dell' arte e della personalità di Puskin che Belinskij , ne fosse consapevole oppure no, cercò di definire le proprie idee circa ciò che un artista creativo è e deve essere. Come critico, Belins­ kij non appartiene alla razza di coloro che puntano essenzialmente all ' analisi critica o storica dei feno­ meni artistici, dispiegando in questo le loro principa­ li capacità. Egli detestava la concentrazione sui parti­ colari e non aveva la minima inclinazione per l' eru­ dizione scrupolosa; leggeva moltissimo ma in manie­ ra asistematica; e leggeva e leggeva e assorbiva ine­ sauribilmente, in una maniera febbrile e forsennata (gli amici lo chiamavano il Bessarione Furioso >> ) , fino all'ultimo momento, e quindi scriveva in uno stato di frenesia per notti e giorni di fila. La qualità che ne fa un critico letterario unico, e che egli pos­ siede in una misura che non ha praticamente l ' egua­ le in Occidente, è la stupefacente freschezza e passio­ ne con cui reagisce a qualsivoglia impressione lette> ed « evoluti­ va>>, contro tutte le Chiese. E empirica e naturalistica, riconosce valori che sono assoluti per coloro che li pro­ fessano, ma anche il cambiamento, e non si fa intimidi­ re né dal determinismo né dal socialismo dogmatico. Ed è eccezionalmente indipendente. Herzen attaccò con particolare vigore coloro che si appellavano a princìpi generali per giustificare selvag­ ge crudeltà, e difendevano il massacro delle migliaia oggi adducendo la promessa che sarebbe servito a ren­ dere felici i milioni in un qualche futuro invisibile, condonando miserie e ingiustizie inaudite in nome di una vertiginosa ma remota beatitudine. Quest'atteg­ giamento è considerato da Herzen una pericolosa illu­ sione, e forse un inganno deliberato: può infatti acca­ dere che i fini lontani non si realizzino, mentre le an­ gosce e le sofferenze e i delitti giustificati in loro nome rimangono fin troppo reali; e siccome sappiamo così poco del futuro, e non possediamo alcun mezzo capa­ ce di predizioni sicure, affermare il contrario e cerca­ re di condonare gli effetti dei nostri atti brutali addu­ cendo siffatte vacue promesse è follia o frode. Non sia­ mo in grado di dire se i milioni raggiungeranno mai la condizione felice che gli abbiamo tanto fiduciosamen­ te assicurato; ma sappiamo che le migliaia periranno

UN RIVOLUZIONARIO SENZA FANATISMO

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oggt, senza che nessuno se ne curi. Per Herzen una meta lontana non è affatto una meta, ma una mo­ struosa illusione: « una meta deve essere più vicina, de­ ve essere almeno il salario dell 'operaio o il piacere del lavoro compiuto! >>. 1 Gli uomini del ventesimo secolo non hanno biso­ gno che gli si rammenti la tirannia dei grandi sistemi altruistici; dei liberatori che schiacciano, dell ' > di ciò che è effettivamente esistente, dei concreti esseri umani con i loro bisogni reali, impegnati a perseguire fini umani raggiungibili entro una Costellazione di cir­ costanze che è possibile visualizzare. E nel corso delle sue analisi usa la lingua russa con un virtuosismo cui nessuna traduzione potrà mai rendere pienamente giustizia. Non per nulla Tolstoj ammirava i suoi scritti, e Dostoevskij riconobbe in lui un poeta . 1 Saggista, agitatore, pubblicista, rivoluzionario, filo­ sofo, romanziere, autore di almeno un' opera di genio, Herzen ha un posto nella storia non soltanto della let­ teratura russa, ma della stessa Russia (come il suo ami­ co, il critico Belinskij , aveva profetizzato quando ave­ vano entrambi poco più di trent'anni) ; ed è un posto che appare oggi unico e consolidato. Molte delle sue predizioni sono state smentite dagli eventi, e i suoi ri­ medi pratici, che non sono stati applicati, ed erano l . Nel suo Diario di uno scrittore Dostoevskij esprime una profonda ammirazione per Dall'altra sponda, e racconta di quando fece per­ sonalmente le sue congratulazioni a Herzen per il libro, dicendo che ciò che lo aveva soprattutto impressionato era il fatto che l'av­ versario dell'autore nel dialogo non fosse un uomo di paglia, ma un formidabile controversista, che riesce a mettere Herzen con le spalle al muro. >

1 65

propria della Chiesa di Roma; conoscenza e dottrina scarseggiavano. La piccola minoranza di coloro che avevano accesso alla civiltà dell'Occidente e una buo­ na capacità di leggere nelle lingue straniere si sentiva relativamente tagliata fuori dalla massa del popolo; es­ si si sentivano quasi stranieri nel loro paese - oggi di­ remmo « alienati '' dalla società. Quelli tra loro provvi­ sti di una viva sensibilità morale erano acutamente consapevoli di un dovere naturale di aiutare i loro si­ mili meno felici o meno progrediti . Queste persone diventarono gradatamente un grup­ po convinto che il fatto di parlare in pubblico, di scri­ vere, di tenere corsi universitari gli imponesse un diret­ to, peculiare obbligo morale. Chi viveva a Parigi negli anni Trenta o Quaranta dell'Ottocento era immerso in un mondo in cui circolavano (e si scontravano) un gran numero di idee: fedi, ideologie, teorie, movimen­ ti cozzavano tra loro e creavano un generale >

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Si tratta, mi sembra, di un tipo di fenomeno che tende a verificarsi in comunità di grandi dimensioni e socialmente ed economicamente arretrate, rette da un governo incompetente e da una Chiesa ignorante e oppressiva. In questo senso, è lecito dire che c'è stata un' intelligencija nella Spagna ottocentesca, e forse nei Balcani e in certi paesi latinoamericani e asiatici. In questa misura, il fenomeno non si è sviluppato neppu­ re in Francia, dove non si è affermata la nozione del­ l' intelligencija come tale, ossia come una formazione sociale indipendente. E ancora meno si è sviluppato in Inghilterra. Non mi interessa esaminare (né ho la competenza per farlo) le radici sociali ed economiche di questo fenomeno; desidero soltanto dire qualcosa sulle sue caratteristiche più ovvie. Uno scrittore attivo nella Francia, o anche nell'In­ ghilterra dell'Ottocento, avrebbe potuto benissimo de­ cidere che era un fornitore di beni non diverso da qualunque altro. E tale era in effetti l'atteggiamento di alcuni degli scrittori francesi che credevano nell'ar­ te per l'arte, pensavano che il loro lavoro consistesse semplicemente nello scrivere in una lingua che avesse tutta la luminosità, l'espressività e la bellezza che era­ no in grado di darle, e si consideravano nient'altro che artigiani, persone che producevano un oggetto e volevano essere giudicate esclusivamente alla sua stre­ gua. Se un uomo fabbrica una tazza d'argento, una so­ la cosa è lecito attendersi da lui: che la tazza sia una bella tazza. La sua vita, le sue convinzioni e il suo com­ portamento privati non debbono interessare il pubbli­ co, e nemmeno i critici. Questo punto di vista fu vio­ lentemente rifiutato dai russi di cui sto parlando. L'i­ dea che un uomo svolga dei ruoli - che se è un orafo si debba giudicarlo qua orafo, e che la sua vita privata non c'entri per nulla; che se è uno scrittore vada giu­ dicato esclusivamente in base ai meriti del suo roman­ zo o dei suoi versi - fu rifiutata dai più famosi letterati russi, i quali erano convinti che l'uomo fosse uno, e che qualunque forma di compartimentazione fosse

1 68

I L POTERE DELLE I DEE

una mutilazione degli esseri umani e una distorsione della verità. Questo tratto differenziale capitale è ciò che distingue l'atteggiamento generale della maggio­ ranza di coloro che consideriamo scrittori russi tipici da tanti scrittori occidentali. Ed esso occupa un posto centrale nel concetto russo dell' intelligencija. Non intendo dire che questo fosse il pensiero di tut­ ti gli scrittori russi importanti. Coloro che erano nati nel Settecento - Puskin e i suoi contemporanei - non possono, in linea generale, essere considerati apparte­ nenti all' intelligencija. Scrittori come Gogol' e Tolstoj (peraltro tra loro diversissimi) rifiutavano l'idea stessa dell' intelligencija. La loro concezione degli esseri uma­ ni era molto diversa da quella, poniamo, di Belinskij o del giovane Herzen, o anche, in certi momenti e umo­ ri, di Turgenev. Essi non credevano nella ragione, nel­ la scienza, nell'Occidente; guardavano con disprezzo a quegli illusi imitatori dell ' > che non inten­ devano la vita interiore dell'uomo, la quale non aveva niente a che fare con il progresso o la scienza o la :a­ gione. Lo stesso è vero, in larga misura, anche di Ce­ chov e, a volte, perfino di Gorkij . Turgenev stava in mezzo. Ora inclinava da una parte, ora dall' altra. Oscil­ lava confortevolmente tra l'adesione con riserva e l 'i­ ronia critica. I veri membri dell ' intelligencija erano i pamphlettisti politici, i poeti preoccupati del bene pubblico, i precursori della rivoluzione russa - perlo­ più giornalisti e pensatori politici che utilizzavano de­ liberatamente la letteratura come veicolo della prote­ sta sociale (e accadeva che scegliessero scrittori me­ diocrissimi ) . Dopo aver definito i l concetto cen trale dell ' intelli­ gencija, vorrei trasferirmi in Occidente. In un suggesti­ vo con tributo a una recente raccolta di conferenze, 1 Northrop Frye fissa u n punto importante. Egli dice che, grosso modo, la tendenza dei pensatori occidenl . The Knowledge ofGood and Evil, in Northrop Frye et al., The Moral­ ity ofScholarship, Ithaca (New York) , 1 967.

IL RUOLO DELL' «INTELLIGENCIJA>>

1 69

tali è stata a fare della scienza il paradigma; e siccome la scienza è oggettiva e fattuale e comporta la libertà da influenze personali o soggettive , e in particolare dai giudizi di valore, tra gli intellettuali si è sviluppata la tendenza a stimare e a sovrastimare l' oggettività e il metodo scientifico, anche quando quest'oggettività di­ venta distacco - un distacco del tipo normalmente at­ tribuito a chi lavora nel campo delle scienze naturali, e che fa sì che uno scienziato atomico liquidi non sen­ za irritazione le domande sulla sua responsabilità so­ ciale: lui - dice - è semplicemente impegnato nella scoperta della verità; quanto all 'applicazione delle sue scoperte, la cosa non lo riguarda più di quanto riguar­ di qualunque altro cittadino dellJ Stato, comunque sia questo governato. Le persone impegnate nella ri­ cerca psicologica o fisiologica sono talvolta altrettanto riluttanti ad ammettere la loro responsabilità, sebbene i loro esperimenti possano condurre a ogni specie di stupefacenti trasformazioni degli esseri umani, e dare a certi individui poteri pericolosi, che li metteranno in grado di con_dizionare gli uomini, di modificare le lo­ ro reazioni. E questo che viene chiamato il distacco o l'oggettività della scienza; e Frye pensa che possa spin­ gersi troppo oltre, che gli scienziati impegnati in ricer­ che che hanno chiare implicazioni sociali non possa­ no semplicemente dichiarare la loro irresponsabilità in queste faccende - benché, tirate le somme, egli non dica quanto grande è la responsabilità di questi uomi­ ni, o che cosa essi debbano fare a suo riguardo. Frye dice altresì che le preoccupazioni sociali, come quelle che ho attribuito ali' intelligencija russa, possono anch'es­ se spingersi troppo oltre. In un momento di crisi, tali preoccupazioni sociali possono facilmente diventare una sorta d'isteria, co­ me avviene nel caso di coloro che cercano di proteg­ gere le nostre società contro perversioni reali o imma­ ginate: un fenomeno responsabile di ogni specie di censure, crociate intellettuali, tentativi di organizzare gli scrittori o gli artisti in difesa del loro paese, contro

IL POTERE DELLE I D EE

il comunismo o contro il fascismo o contro l 'ateismo o contro la religione. L'organizzazione degli scrittori e degli artisti può diventare un pericolo. Il tentativo di aggrapparsi a un ordine costituito e di razionalizzare la sua difesa come una sorta di dovere intellettuale (se non fraintendo Frye) diventa una forma di intolleran­ za, una soppressione della libertà di parola, e anzi del­ la libertà in generale. Quanti hanno a che fare con le idee e con le altre forme della comunicazione umana sono per loro sfortuna costretti a vivere tra questi due poli, e a cercare in qualche modo un equilibrio accet­ tabile. Questi sono i pericoli dell'Occidente. Ma nel paese in cui l' intelligencija è nata, il suo fondamento è stato, grosso modo, l'idea di un' opposizione razionale per­ manente a uno s tatus quo ritenuto costantemente in pericolo di ossificarsi, ul! ostacolo sulla via del pensiero e del progresso umani. E questo il ruolo storico d eli' in­ telligencija quale essa lo vede, adesso come allora. Il ter­ mine intelligencija non designa semplicemente gli intel­ lettuali o gli artisti in quanto tali; e non c'è dubbio che non designi le persone istruite in quanto tali. Le perso­ ne istruite possono essere reazionarie, esattamente co­ me i non istruiti. Lo stesso vale per gli intellettuali e per gl� artisti. Lo vediamo molto bene anche oggi­ giorno. E un malinconico fenomeno che si verifica su entrambi i lati della Cortina di Ferro. Né si tratta della mera opposizione all'establishment in quanto tale. I con­ testatori e i dimostranti, coloro che si oppongono al­ l'uso dell'energia atomica per scopi distruttivi o alla guerra del Vietnam, per quanto si possa simpatizzare con la loro posizione morale, o per quanto ammirevo­ le possa essere il loro senso della responsabilità sociale, non appartengono ali' intelligencija per il solo fatto che protestano contro il comportamento del loro governo. Queste persone non credono necessariamente nella potenza della ragione o nel ruolo benefico della scien­ za, e ancor meno nell'inevitabilità, o magari neppure nella desiderabilità del progresso umano concepito in

IL RUOLO DELL '

171

termini laici e razionali. Alcuni di loro si appellano ma­ gari a fedi irrazionali, o aspirano a evadere dalla società industriale rifugiandosi in un qualche mondo più sem­ plice, ma interamente utopico. La mera protesta, giustificata o ingiustificata che sia, non fa automaticamente di qualcuno un membro del­ l' intelligencija. Occorre una combinazione della cre­ denza nella ragione e nel progresso con una profonda preoccupazione morale per la società: qualcosa che, com'è ovvio, si verifica molto più facilmente nei paesi in cui l'avversario cui ci si oppone è più formidabile e più tenebroso, mentre le probabilità che prenda for­ ma sono minime nelle società non rigide, democrati­ che e relativamente aperte, in cui p ersone che magari in società più reazionarie s'indignerebbero sono incli­ ni a spendere le loro energie in imprese più ordinarie: fare il medico, l'avvocato, il professore di letteratura, senza che questo comporti l'opprimente sensazione che ciò facendo vengono in qualche modo meno al lo­ ro dovere, che non prendendo parte a una collettiva indignazione civica indulgono ad aspirazioni private e abbandonano il loro posto di combattimento nella so­ cietà. L' intelligencija militans - e tale era l' intelligencija originaria, e questo tratto è parte della sua essenza - è generata dai regimi realmente oppressivi. Sebbene esi­ stano indubbiamente molti dispotismi, guardare al­ l'Inghilterra, tra tutti i paesi, come a un esempio di re­ gime dispotico appare una perversione. Ci sono tante cose che non vanno, sul terreno sia sociale sia econo­ mico; ma un paese in cui il governo deve render conto a un ampio elettorato (comunque poi concretamente lo faccia) , e corre il pericolo di venire rovesciato, qua­ lunque altra cosa possa essere, non è un paese dispoti­ co. Dire che la società britannica ha bisogno di questa specie di intelligencija rivoluzionaria saldamente orga­ nizzata, spietata e intransigente, mi sembra quindi un'e­ sagerazione. Altri potranno pensarla in maniera com­ pletamente diversa. Agli occhi della vecchia intelligencija ottocentesca, la

IL POTERE DELLE IDEE

nozione stessa di una classe di persone impegnate in attività intellettuali - professori, medici, ingegneri, specialisti, scrittori - che fuori della loro professio­ ne vivono un'ordinaria vita borghese, professano idee convenzionali e giocano a golf, o magari a cricket, sa­ rebbe parsa assolutamente scandalosa. Nella Russia dell' Ottocento, se uno era un professore, il mero fatto del suo commercio con le idee lo rendeva un avversa­ rio implacabile del regime in cui viveva; e se ciò non avveniva, agli occhi dei militanti era un traditore, un uomo che si era venduto, un codardo o uno stupido. Non c'è dubbio che chi ha a che fare con le idee ab­ bia il dovere di essere razionale e di far seguire l'azio­ ne alle parole, di vivere una vita integrata, di non scin­ dere i suoi pensieri dalle sue azioni (il tipo di cosa di cui i critici russi accusavano Goethe ) , di non dirsi che essere un professore o un artista è un mestiere come quello del fabbro o del contabile, che non impone speciali responsabilità sociali. Ma in una qualunque società occidentale moderna da ciò non segue che la consapevolezza delle proprie responsabilità intellet­ tuali debba necessariamente trasformare il professore o l ' avvocato in un sovversivo permanente, in qualcuno che si oppone sistematicamente allo status quo, per la ragione che colui che vi si trova a suo agio, e la cui vita ne è compenetrata, è per ciò stesso un nemico del pro­ gresso e dell'umanità. Proprio per questo motivo, se non vogliamo annacquare il termine fino a farne uno strumento inutile, non possiamo davvero parlare di un ' intelligencija inglese. Si può parlare di intellettuali inglesi; si può parlare di persone che amano le idee e di altre che non le amano; di livelli d 'istruzione; di progressisti e reazionari; di razionalisti e scettici; si può parlare dei doveri imposti dalla cultura. Ma im­ maginiamo di dire a qualcuno che ha studiato ed è af­ fascinato dalle idee, o quanto meno sa bene che cosa sono (per esempio un personaggio politicamente di­ simpegnato della prima generazione di Bloomsbury, o un seguace, poniamo, di André Gide) , che il fatto di

IL RUOLO DELL' «INTELLIGENCIJA»

1 73

non essere politicamente un ribelle significa che ha moralmente rinunciato al suo ruolo nella società, ac­ cettando pavide illusioni ideologiche; ebbene, egli po­ trebbe rispondere: « Questo è vero soltanto sulla base di certi presupposti >> . Per esempio, presupposti marxi­ sti, i quali implicano che ciascuno appartenga necessa­ riamente alla propria classe, impegnata in una guerra che vede contrapposte una classe che attacca e una classe che contrattacca, una classe progressiva e una classe che è condannata alla distruzione. Se però non accettiamo questi presupposti, allora tali obblighi (in­ tesi come imprescindibili) si vanificano. Una cosa è la critica, la partecipazione volontaria alla discussione; e un'altra supporre che, siccome di 'persone del genere ce ne sono pochissime, esse costituiscano una sorta di force de frappe permanente, pronta a combattere e a morire in una resistenza che non cessa mai, sempre sulle barricate. Le due cose non sono identiche. Lo sono state in Russia, per le particolari ragioni storiche che ho cerca­ to di indicare. Qualcosa del genere è stato, ed è tutto­ ra vero anche di certi altri paesi; è vero di alcuni dei figli degli immigrati est-europei in America e in Israe­ le, e può darsi che sia vero di buona parte dell'Asia e dell'Mrica odierne; ma c'è una certa faciloneria nella diretta e automatica applicazione di questa nozione nel caso di forme di governo che sono in un senso es­ senziale meno oppressive. Attualmente l'America è as­ sillata da discussioni e dubbi proprio su questo punto, e si trova in una posizione singolare. Sono sorte forze gigantesche e oscure, e giustamente in quel paese le si combatte. Ma, per un motivo o per l'altro, in Inghil­ terra i nemici dei Lumi non mi sembrano oggi né così potenti né così sinistri; e gli hippies e gli studenti mili­ tanti, gli oppositori della guerra e gli americanofobi, checché si possa pensare dei loro atti o delle loro me­ te , non assomigliano alla vecchia intelligencija dei suoi bei giorni, se non nel senso che stava (e sta) dalla par­ te dell'umana decenza contro la crudeltà, l'ipocrisia,

1 74

IL POTERE DELLE IDEE

l'ingiustizia e l'ineguaglianza. Lo stesso è vero di tutti i movimenti progressisti della storia; ma non per questo il cristianesimo primitivo era una rivolta dell' intelligen­ cija, né lo era il buddhismo. Non si tratta di una pe­ danteria o di una questione di parole. Le nozioni, e sia pure le etichette, fondamentali, che hanno avuto una parte nella storia degli uomini, hanno qualche diritto a veder rispettata la loro integrità.

LA

LIBERTÀ

Che cos 'è la libertà politica? Nel mondo antico, spe­ cialmente tra i greci, essere libero significava poter partecipare al governo della propria città. Le leggi era­ no valide soltanto se uno aveva avuto il diritto di con­ tribuire a farle e a disfarle. Essere libero significava non essere costretto a obbedire a leggi fatte da altri per me, ma non da me. Questo tipo di democrazia impli­ cava che il governo e le leggi potessero entrare in tut­ te le sfere della vita. L'uomo non era libero, né voleva esserlo, da una siffatta supervisione. Tutto ciò che i de­ mocratici volevano era che tutti gli uomini fossero egualmente soggetti alla critica, all 'indagine, e se ne­ cessario alla messa in stato d'accusa davanti alle leggi o a qualunque altro dispositivo, alla cui istituzione e sal­ vaguardia tutti i cittadini avevano il diritto di parteci­ pare. Nel mondo moderno emerge un'idea nuova, for­ mulata con la massima chiarezza da Benjamin Cons­ tant: ossia che c'è una sfera della vita - la vita privata ­ nella quale l ' intromissione dell'autorità pubblica è ri­ tenuta indesiderabile, salvo circostanze eccezionali. La domanda centrale posta dal mondo antico è: « Chi mi

IL POTERE DELLE IDEE

governerà? ,, . Qualcuno rispondeva: un monarca; altri dicevano: i migliori, o i più ricchi, o i più coraggiosi, o la maggioranza, o i tribunali, o il voto unanime di tut­ ti. Nel mondo moderno, una domanda non meno im­ portante è la seguente: > . Il mondo antico postulava che la vita fosse una, e che nulla in essa sfuggisse alla presa delle leggi e del governo - non c'era alcun motivo di proteggere un qualunque ambito della vita da tale supervisione. Nel mondo moderno, quali che ne siano le ragioni stori­ che - le lotte delle Chiese contro l 'interventismo dello Stato laico, o dello Stato contro le Chiese, o la crescita dell' impresa, dell'industria e del commercio privati , e il loro desiderio di essere protetti contro l'interferen­ za dello Stato, o altri fattori ancora - noi postuliamo che esista una frontiera tra vita pubblica e vita privata, e che, per quanto ristretta possa essere la sfera privata, all' interno di essa io possa fare ciò che voglio. Vivo co­ me preferisco, credo ciò che mi piace credere e dico ciò che mi piace dire - purché tutto questo non in ter­ ferisca negli analoghi diritti degli altri, o non pregiu­ dichi l' o�dinamento che rende possibile questo stato di cose . E la concezione liberale classica, che trova in tutto o in parte la sua espressione in varie dichiarazio­ ni dei diritti dell'uomo in America e in Francia, e ne­ gli scritti di personaggi come Locke, Voltaire, Tom Paine, Constant e John Stuart Mill. Quando parliamo di libertà civili o di valori propri della civiltà, sono, in parte, queste le cose c he abbiamo in mente. L'assunto che gli uomini abbiano bisogno di prote­ zione l'uno contro l'altro e contro il governo è qual­ cosa che non è mai stato pienamente accettato in nes­ suna parte del mondo, e quello che ho chiamato il punto di vista degli antichi greci, o classico, ritorna nella forma di ragionamenti come il seguente: (un 'altra categoria hegeliana) , un inevitabile corollario del doloroso cammino dell'umanità. L' « alienazione ,, è un fenomeno che si verifica quando qualcosa che è stato creato per servire i biso­ gni degli uomini acquista una sua propria vita istitu­ zionale, un'esistenza indipendente, e si presenta agli uomini non come un'arma artificiale da loro forgiata per soddisfare bisogni che sono magari scomparsi da lungo tempo, ma come un'entità oggettiva investita di potere e autorità, come un'inesorabile legge della na­ tura o di un Dio onnipotente. Per Marx, i valori mora­ li e religiosi di quello che chiama il sistema capitalisti­ co del suo tempo, che dominano l'intera società, dai potenti e ricchi giù giù fino agli umilissimi e poverissi­ mi, sono per l ' appunto forme di alienazione, nel sen­ so appena chiarito: valori e istituzioni il cui unico sco­ po (benché la cosa possa essere stata dimenticata) è di puntellare il potere di una determinata classe econo­ micamente dominante hanno finito con l'essere con­ siderati dall'intera società come indipendenti e validi per tutti gli uomini, col risultato che istituzioni che erano state concepite per promuovere l'interesse dei padroni, ridotte ormai a una forma ossificata e cano­ nizzata, distruggono la vita non soltanto degli oppres­ si, ma, in una certa misura, anche degli oppressori. Ciò è altrettanto vero dei sistemi morali e politici, e anzi di tutto ciò che, concepito (inevitabilmente) per promuovere gli interessi di una classe transitoria, in­ consapevolmente deforma le vite delle sue vittime, tal-

LA FILOSOFIA DI K.ARL MARX

ché gli uomini non sono più esposti soltanto alle deva­ stazioni della natura incontrollata, ma diventano dei Frankenstein alla mercé di mostri da loro stessi fabbri­ cati: istituzioni, abitudini, credenze le cui origini sono s tate dimenticate, e le cui funzioni non sono più com­ prese. Gli uomini trattano le merci come se possedes­ sero una propria vita e un proprio valore; il produtto­ re è tagliato fuori dal prodotto che crea, e dagli stessi strumenti, che acquistano un illusorio status indipen­ dente, spesso contro l'interesse dei loro creatori. D ' altro canto, il semplice fatto di intendere , di pe­ netrare questa situazione non la farà svanire. Le idee che distruggeranno queste sopravvivenze debbono, per essere efficaci, come tutte le i dee influenti, essere parte integrante di un'attività rivoluzionaria auto-libe­ ratoria, e perciò pratica, la quale non può aver luogo fintantoché le vittime non abbiano raggiunto un certo stadio dell' organizzazione sociale, e di conseguenza anche intellettuale e morale. L' " alienazione ossia la distruzione della solidarietà umana a opera di istitu­ zioni originariamente concepite per promuoverla, è secondo Marx inevitabile fintantoché la vita umana è dominata dalla guerra di classe - la forma ineluttabi­ le della lotta degli uomini per raggiungere la padro­ nanza della natura e delle loro stesse passioni irrazio­ nali. Soltanto quando l'ultima classe nella gerarchia delle classi, il proletariato, ossia gli uomini che non posseggono nulla, e sono pertanto venduti e comprati come una merce, trionferanno sui loro oppressori, co­ me inevitabilmente avverrà secondo i disegni della sto­ ria - soltanto allora la dialettica storica raggiungerà il suo compimento. La guerra di classe cesserà, e le idee e istituzioni che sono state utilizzate da un gruppo di uomini contro la libertà di altri uomini saranno sosti­ tuite da istituzioni e idee utili all'intera umanità. Se tutto ciò che conta nella vita umana è condizio­ nato dalla classe cui un uomo appartiene, e dalla posi­ zione di questa classe nella guerra di classe, ne segue che le idee di un uomo, per potente che possa essere ''•

IL POTERE DELLE IDEE

la loro influenza, sono necessariamente determinate dal suo status sociale ed economico, e non viceversa. Per Marx le idee costituiscono quindi un elemento della sovrastruttura, la quale è determinata dalla strut­ tura >> di base, ossia dalla costituzione economica di un dato gruppo umano, essa stessa a sua volta determina­ ta dalla natura degli strumenti di produzione in uso, e da chi li controlla. Queste sovrastrutture Marx le chia­ ma ideologie. Talvolta egli parla delle sovrastrutture come se fos­ sero reticoli di finzioni, miranti a razionalizzare - cioè a spiegare in maniera falsa ma consolatoria - fatti da­ vanti ai quali una data classe o sottoclasse recalcitra istintivamente, perché additano la sua inevitabile di­ struzione per mano dei suoi avversari, ossia la classe da essa sfruttata. Così Marx parla delle idee della società borghese come di una consapevole o inconsapevole razionalizzazione dei suoi interessi - ciò che essa vuole che il mondo sia, per potervi sopravvivere - maschera­ ta da ideali universali. Siccome in realtà non sopravvi­ vrà, queste razionalizzazioni sono fallaci e illusorie. Eppure Marx non afferma (diversamente da Engels) che la chimica, per esempio, o la matematica sono pri­ ve di valore perché generate e utilizzate da membri della classe dominante dell'epoca. Egli è disposto a di­ re che le condizioni sociali possono essere sfavorevoli alla comparsa di questa o quella scoperta o invenzione fisica o matematica, le quali debbono attendere il mo­ mento storicamente appropriato (per esempio, la sco� perta della macchina a vapore nell'antica Alessandria, o il sottomarino di Leonardo da Vinci) ; che il progres­ so della scienza è intimamente legato al progresso del­ la tecnologia e alle istituzioni sociali che l'accompa­ gnano; ma non è disposto ad affermare che una data formula chimica o un dato teorema matematico effet­ tivamente deformano la vita degli uomini che appar­ tengono a una classe contrapposta a quella dei loro in­ ventori (come senza dubbio gli sembra che avvenga nel caso delle idee storiche o etiche o giuridiche) . I «

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FILOSOFIA DI KARL MARX

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suoi seguaci cercarono di smascherare specifiche teo­ rie scientifiche, oltre che certe dottrine logiche e filo­ sofiche, come illusioni dietro le quali stava un condi­ zionamento di classe, o come inganni deliberati. Ma Marx rifiuta questa conclusione. Inoltre, egli sembra credere che, sebbene le condizioni oggettive necessa­ rie per la loro efficace applicazione alla società fossero palesemente ancora di là da venire, le sue dottrine fos­ sero nondimeno relativamente libere dall'inevitabile di­ storsione e condizionamento da lui con tanta asprezza denunciati nelle idee dei suoi avversari. Quest'ambivalenza caratterizza anche le sue idee morali e politiche. Talvolta egli parla come se i giudizi morali, e anzi tutti i giudizi di valoré , sia quelli esplici­ ti, sia quelli impliciti nel comportamento e nel modo di vivere, non fossero mai altro che armi, apertamente dichiarate come tali o mascherate, nella lotta per il po­ tere o la sopravvivenza. Se le cose stanno così, allora non occorrerà esaminare l'etica di una data classe poniamo, la , come gli organismi umani o le unità sociali (le società o gli Stati o le Chiese, o le lingue, i sistemi giuridici, le religioni, i sistemi di pensiero) , negli ingredienti > che le costituiscono, perché lascia fuori i legami e i nessi, i disegni e le strutture impalpabili e presso­ ché indescrivibili che tengono insieme queste sarebbero stati in grado di manipolare - e certamente di predire e de­ scrivere - il comportamento degli esseri umani altret­ tanto bene che gli scienziati naturali alle prese con il mondo inanimato. La nuova scienza , ,, genio politico >>, > , > , che non hanno posto giustamente - in un trattato scientifico. Quando Bis­ marck lanciò la sua guerra contro la Francia, o Lin­ coln la sua guerra contro il Sud, o Roosevelt la sua guerra contro i ,, Borboni » dell 'economia, avrebbero trovato difficile, a dire il meno, formulare le proposi-

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IL POTERE DELLE IDEE

zioni generali da cui seguiva deduttivamente, come av­ viene in una scienza debitamente articolata, che pro­ prio quello era il momento giusto e proprio quelli i mezzi adatti all'operazione in questione; difficile nel senso in cui lo scultore trova difficile spiegare perché fa una cosa piuttosto che un'altra con la materia che sta foggiando. Ma naturalmente qui non si tratta né di intuizioni mistiche né di metodi non empirici per divi­ nare la natura della realtà. La capacità di giudizio, l'a­ bilità, il senso del tempo, la comprensione immediata del rapporto tra mezzi e risultati dipendono da fattori empirici come l ' esperienza, l'osservazione, e soprat­ tutto quel " senso della realtà >> che consiste in buona parte di un'integrazione semiconsapevole di un gran numero di elementi apparentemente irrilevanti o im­ percettibili presenti nella situazione; elementi che presi insieme formano un qualche tipo di disegno che di per sé " suggerisce >> ( " sollecita >> ) l'azione appro­ priata. Quest'azione è senza dubbio una forma di im­ provvisazione, ma fiorisce soltanto sul terreno di una ricca esperienza e di un'eccezionale sensibilità per ciò che è rilevante nella situazione - un dono senza il qua­ le né gli artisti né gli scienziati sono in grado di otte­ nere risultati originali. Tale dono sembra totalmente incompatibile con la fede nella supremazia di un qual­ sivoglia modello idealizzato, che nel caso delle ideolo­ gie fanatiche soppianta l'autentica capacità di rispon­ dere alle impressioni. In teoria, non c'è forse alcun motivo per cui un essere onnisciente (o quasi onni­ sciente) non dovrebbe prima accumulare paziente­ mente tutti i fatti rilevanti, e poi, mediante rispettabili metodi scientifici - la normale combinazione di osser­ vazione, analogia, deduzione, induzione, e così via -, delineare un'ipotesi che lo metterà in grado di elabo­ rare correttamente tutte le possibili alternative e le lo­ ro conseguenze. In teoria ciò può avvenire. Ma in pra­ tica i fatti sono troppi, troppo complessi, troppo fuga­ ci, troppo minuti ; le armi teoriche a nostra disposizio­ ne troppo astratte; e i modelli troppo lontani da qua-

IL REALISMO IN POLITICA

lunque situazione che travalichi i limiti di CIO che è meramente ordinario, insolitamente semplice. Ci di­ cono che Leonardo immaginava di raggiungere i suoi effetti mediante misurazioni precise, ma tutti sanno che vi arrivava grazie a una combinazione di doni mol­ to diversi. Analogamente, può darsi che esistano stati­ sti convinti che stanno attenendosi a una qualche fer­ rea teoria, a un piano ben preciso, fondato su dottrine politiche ed economiche; ma in realtà essi raggiungo­ no i loro risultati (se hanno successo) grazie a qualità intrinsecamente diversissime. Questa non è una difesa dell'oscurantismo, o dell'i­ dea che bisogna fare assegnamento sulla saggezza imme­ moriale o sulle voci ancestrali, o sulla bussola interiore. Esistono regioni della vita sociale in cui la teoria scien­ tifica è chiaramente applicabile, e in cui è mera ignoran­ za e pigrizia preferire regolette empiriche e mal digerite credenze ; e ciò perché - si sentiranno dire - le loro vite non gli appartengono, ma appartengono alla loro razza e nazione e Stato. In tal modo l'immensa ondata di passione generosa che in questo momento fluisce così liberamente verso I­ sraele da parte sia di coloro che desiderano vivere en­ tro i suoi confini, sia di quanti vedono giustamente in esso la garanzia della loro personale emancipazione in quanto esseri umani, che si trasferiscano in Israele op­ pure no, rischia di convertirsi in un angusto, letale e totalmente indifendibile sciovinismo, il quale rischie­ rebbe a sua volta, se non venisse tenuto a freno, di condurre a un'inevitabile e probabilmente esagerata rivolta contro queste mostruose pretese. Nessun lea­ der d'opinione responsabile in Israele - l'ultimo figlio del Risorgimento europeo, l'ul timo Stato edificato sul­ la base dei principi umanitari e liberali annunciati dal­ la grande Rivoluzione francese e dalle rivoluzioni eu­ ropee del l 848, concepiti dal pensiero sociale progres­ sista dell'Europa occidentale, denigrati dal bolscevi­ smo e denunciati da Goebbels - nessun leader d'opi­ nione responsabile, in Israele o fuori d'Israele, si pre­ sterebbe consapevolmente a una politica del genere. Se le comunità ebraiche della Diaspora abbiano tutto­ ra quel grande e importante ruolo da svolgere in cui quanti sono profondamente preoccupati per la loro sopravvivenza spirituale sembrano nutrire tanta fidu­ cia, è cosa di cui è lecito dubitare. Ma non si tratta più di un punto essenziale. Il futuro dell' ebraismo inte­ so come collettività appartiene a Israele. La religione ebraica sopravviverà nei cuori di coloro che credono in essa, ovunque si trovino a vivere. E i singoli ebrei ri­ vendicheranno certamente i loro diritti e assolveran-

SCHIAVITÙ ED EMANCIPAZIONE DEGLI EBREI 2 7 7

no senza riserve i loro doveri in quanto esseri umani e cittadini nelle comunità in cui possono finalmente scegliere in piena libertà di vivere - in piena libertà perché sono fisicamente oltre che moralmente liberi di }asciarle, e la loro scelta, se partire o restare, non gli è più imposta, ed è pertanto una scelta autentica. Un bello spirito americano dichiarò una volta che gli ebrei sono un popolo singolare perché sono esatta­ mente come tutti gli altri, solo in una misura maggio­ re. C'è un'amara verità in questa battuta. Non c'è dub­ bio che a nessuno piaccia essere scimmiottato, vedere i suoi tratti caratteristici esagerati talvolta fino alla ca­ ricatura. Ma usare la forza per impedire comporta­ menti del genere, per quanto irri tinti, è una violazio­ ne delle più elementari libertà dell 'uomo. Essere iper­ scettici o ipercritici o insensibili o ipersensibili; man­ care di dignità, o praticare una volgare ostentazione; essere ossequiosi o nevroticamente aggressivi, o man­ care di senso della misura in campo morale o estetico, o di certe forme di tatto spirituale, è senza dubbio po­ co attraente e del tutto deplorevole; ma non è un de­ litto, e né Platone né Maurras né Eliot, né alcuno dei loro seguaci, hanno il diritto di mettere al bando un essere umano per questo solo motivo. Se gli ebrei deb­ bono continuare a soffrire perché comportandosi co­ me scimmie e pappagalli dispiacciono ai loro vicini, perlomeno lo faranno individualmente. Sono esseri umani, e hanno il diritto di comportarsi male entro i limiti consentiti agli esseri umani nelle società libere; e né Koestler, né gli ultranazionalisti le cui pretese egli tacitamente fa proprie, né i ,

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I L POTERE DELLE IDEE

cuni ebrei si renderanno amabili e altri sgradevoli, al­ cuni esibiranno le loro qualità ebraiche e altri le na­ sconderanno, alcuni saranno popolari e rispettati e al­ tri avversati e disprezzati; qualcuno sarà comunista, e qualcun altro invocherà il fascismo per il proprio pae­ se o per l 'intera razza umana. Ma per gli ebrei nella lo­ ro totalità nulla di tutto questo ha più la tragica, dispe­ rata importanza che aveva un tempo. Il destino degli individui, e anche delle singole comunità - se partire o restare - è ora, almeno moralmente, nelle loro ma­ ni, e ciascuno può sciogliere il nodo liberamente, co­ me preferisce, meglio che può, con tutta la saggezza e la buona fortuna che gli sono capitate in sorte. In que­ sto senso, la creazione dello Stato d' Israele ha liberato tutti gli ebrei, qualunque sia il loro rapporto con esso. E ciò rimarrà vero anche se, in un 'ora buia, esso do­ vesse venir rovesciato e perdere la sua indipendenza. È una sciagura da non prendere neppure in considera­ zione; ma quand'anche avvenisse, lo Sta!o avrebbe as­ solto il suo compito di emancipazione. E questa la ri­ sposta a quanti si sono opposti alla creazione di uno Stato d 'Israele perché, dicevano, si sarebbe dimostrato troppo debole e incapace di difendersi per sopravvive­ re, o troppo piccolo per contenere l ' intera Diaspora. Ma in realtà la maggioranza di coloro che usavano porre questioni di questo tipo non credevano davvero, in linea generale, nella loro validità, e le utilizzavano come un pretesto per distogliere il loro pensiero da scelte difficili. Un problema nazionale - anzi, un problema mon­ diale - è stato risolto nella nostra epoca. Sicuramente, malgrado coloro che inventano un terribile dilemma e chiedono tutto o nulla (gli ebrei se ne vadano tutti in Israele, o scompaiano in qualche altro modo dalla nostra vista) , questo è un miracolo abbastanza grande per una sola generazione. Sicuramente, abbiamo il di­ ritto di dire dayenu; 1 ed è lecito domandarsi se le suel . " Questo ci basta » .

SCHIAVITÙ ED EMANCIPAZIONE DEGLI EBREI 2 79

cessive generazioni di ebrei cominceranno a com­ prendere i problemi e le frustrazioni dei loro antenati, e a spiegare a se stessi le ragioni delle anguste e vio­ lente rivendicazioni che, anche nell 'ora del trionfo, sono state avanzate da quei figli della dor ha-midbar1 che hanno vissuto troppo a lungo nelle tenebre per sa­ pere come si vive - e per lasciare che gli altri vivano liberamente, nella piena luce del giorno.

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l. « La generazione del deserto », ossia coloro che, avendo peregri­ nato per quaran t'anni, non si trovavano nella giusta condizione per ricevere l'eredità della Terra Promessa.

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LEADERSHIP DI CHAIM WEIZMANN

Nessuno che abbia passato un po' di tempo in com­ pagnia di Weizmann può dubitare di essere stato in presenza di una personalità prodigiosamente dotata, di un essere umano con un intelletto più formidabile e potente, una volontà più forte e più concentrata, emozioni più ricche e più reattive, e soprattutto una visione delle cose umane più vasta e profonda di quan­ to sia comunemente dato osservare anche negli uomi­ ni più capaci e di maggior successo; in una parola, in presenza di uno statista geniale. Esistono almeno due tipi di grandezza politica, reci­ procamente incompatibili, e anzi talvolta opposti. Il primo è quell'amalgama di semplicità di visione e di acceso, talora fanatico idealismo che troviamo in uo­ mini il cui ventaglio di attributi è più ristretto di quel­ lo normalmente tipico della specie umana; ma questi attributi hanno dimensioni straordinarie. Nel caso mi­ gliore, uomini del genere s'innalzano alla nobile ma­ gnanimità dei grandi e semplici eroi dell' antichità classica. Essi tendono a vedere la vita come una serie di contrapposizioni semplici tra luce e tenebre, bene e male, tra la loro (sacra) causa e la cieca o malvagia op-

LA LEADERSHIP D I CHAIM WEIZMANN

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posizione a essa; attirano i seguaci con l' intensità e la purezza del loro spirito, con il loro carattere impavido e irremovibile, con la semplicità e la nobiltà del prin­ cipio centrale cui dedicano tutto ciò che hanno, con il fatto stesso che impongono alla molteplice diversità della vita uno schema così chiaro, così elementare che altri uomini , più piccoli, più irrequieti e più pavidi, più deboli, a volte più sottili e più intelligenti dei loro capi, si sentono liberati ed enormemente rafforzati proprio dall'immediatezza e dalla schiettezza con cui la disadorna dottrina centrale gli viene presentata. Tal­ volta la dottrina è utopistica; ma la totale autoidenti­ ficazione del leader con essa cur o di « sinistra >> ? Il quesito appare quasi privo di significato. Egli era un leader nazionale, credeva nel Risorgimento degli ebrei. Era una personalità completa e integra dotata di una forza, di una dignità e di una saggezza politica immense; non soffriva delle consuete storture ebraiche: le '' ambivalenze >> , la man-

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canza di equilibrio sociale, l'incertezza riguardo alla propria natura e appartenenza, gli iper-consapevoli va­ cillamenti e dubbi ed esitazioni riguardo alla propria giusta collocazione di classe o mentalità o professione o status. E siccome era così saldo, e capiva gli elementi più minuti del mondo in cui viveva, e si muoveva con sicurezza e straordinaria abilità su un terreno per gli altri buio e pieno di pericoli, ispirava un non comune senso di fiducia in persone quanto mai restie a nutrir­ lo: in quegli ebrei che per un motivo o per l'altro sen­ tivano il restare ebrei come un'oppressione, guardava­ no al proprio giudaismo come a un giogo da soppor­ tare con dignità o di cui sbarazzarsi nel momento più adatto, ma sempre e comunque un giogo. Faceva col­ po su questa gente non come facevano altri ebrei, cioè con il loro status nel mondo gentile, con l'eminenza conquistata nelle arti o nelle scienze o nella vita pub­ blica di un qualche grande paese europeo o transa­ tlantico (benché possedesse anche questi attributi) , ma come un rappresentante - il rappresentante - de­ gli ebrei e di nessun altro. Questa straordinaria capacità di creare l 'illusione che in certo senso esistesse una nazionalità pienamen­ te formata di cui egli era l'autentico rappresentante eletto, che ci fosse non solo una nazione, ma addirit­ tura quasi uno Stato, un edificio sociale, un governo, delle istituzioni legislative (quando tutti sapevano che non era così ) ; il fatto che un singolo individuo sia riu­ scito, semplicemente essendo ciò che era e compor­ tandosi come si comportava, a gettare il suo incantesi­ mo tanto sugli statisti stranieri quanto sugli ebrei assi­ milati, ha creato il più alto paradigma di ciò che un ebreo potrebbe essere se fosse realmente libero. Fu quest'esempio, molto più dei precetti e degli in­ segnamenti di altri, a ispirare gli ebrei di molti paesi e a fargli credere che il sogno poteva diventare realtà. Tremebondi ebrei mezzo assimilati che, lo ammettes­ sero a se stessi oppure no, si vergognavano (almeno in una certa misura) di essere ebrei, alla sua presenza si

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liberavano da questa sensazione, cessavano per un bre­ ve momento di vergognarsi. Gli ebrei che avevano bi­ sogno di indossare i panni di qualcosa di eminente­ mente antiebraico - il comunismo, o lo sciovinismo romantico di uno Stato moderno, o l'uniforme milita­ re di un paese rispettabile, o l'appartenenza a un illu­ stre gruppo sociale o professionale o intellettuale -, questi ebrei, che di solito trovavano la loro liberazione soltanto mediante un violento « travestitismo '' di que­ sto tipo, venivano miracolosamente restituiti alla loro dignità umana, m agari solo per un momento, da que­ st'uomo che gli offriva nient'altro che i loro propri, autentici attributi. Il successo degli ardenti, fanatici crociati nasce mol­ to spesso dal fatto che, armati di una dottrina, di un ' « ideologia >> , anziché di umanità e di realismo, essi si scagliano contro ostacoli apparentemente insupera­ bili perché sentono di non avere nulla di prezioso da perdere: la « causa '' , l'ideologia, compendia tutto ciò che ai loro occhi è sacro; sono lontani dalle sofferenze degli esseri umani che inevitabilmente calpestano; ed essendo moralmente impermeabili a ogni considera­ zione umanitaria, accade talvolta che trionfino contro formidabili svan taggi. Non sono queste le armi usate dal tipo di statista cui apparteneva Weizmann; egli si affidava piuttosto al suo senso della correlazione dei fattori storici reali (le for­ ze e le debolezze, gli scopi e i caratteri degli esseri u­ mani e delle istituzioni con cui aveva a che fare) ; e questi fattori erano a un tempo troppo concreti, trop­ po complessi e troppo mal definiti perché fosse possi­ bile integrarli in > ' in quanto contrapposta all'abnegazione cristiana, ma in una forma collettiva, socializzata. Non c'è dubbio che il grosso dell'umanità sia stato il più delle volte disposto a sacrificare la libertà indivi­ duale ad altri obiettivi: la sicurezza, lo status, la pro­ sperità, il potere, la virtù, le ricompense nell'aldilà; o la giustizia, l'eguaglianza, la fraternità e molti altri va­ lori che sono in tutto o in parte incompatibili con il massimo di libertà individuale, e sicuramente non hanno bisogno per realizzarsi di un tale grado di li­ bertà. Non è una richiesta di Lebensraum per il singolo individuo che ha stimolato le ribellioni e le guerre di liberazione per cui gli uomini sono stati pronti a mori­ re in passato, e invero anche nel presente. Di solito, gli uomini che hanno combattuto per la libertà si sono battuti per il diritto di governarsi da sé o attraverso propri rappresentanti - anche quando si trattava di un governo severo, come nel caso degli spartani, o dei pu­ ritani a Ginevra o nella Nuova Inghilterra, con poca li­ bertà individuale, ma che gli permetteva di partecipa­ re, o quanto meno di pensare che stavano partecipan­ do, ali' opera legislativa e amministrativa che regolava la loro vita collettiva. E molto spesso gli uomini che hanno fatto le rivoluzioni hanno inteso per libertà semplicemente la conquista del potere e dell 'autorità LA RICERCA DELLO STATUS

l . John Stuart Mill, On Liberty, cap. III, in Collected Works ofjohn Stuart Mill, a cura di J.M. Robson, Toron to-London, 1981-, vol. XVIII, p. 266 [ trad. it. Saggio sulla libertà, Prefazione di Giulio Gio­ rello e Marco Mondadori, Il Saggiatore, 1 997, p. 72) .

I L POTERE DELLE IDEE 2 98 da parte di una setta di credenti in una dottrina, o di una classe, o di un qualche altro gruppo sociale. La lo­ ro vittoria aveva l'ovvio effetto di esasperare coloro che scacciavano dal potere, e talvolta essi hanno oppresso, asservito o sterminato moltitudini di esseri umani. Ma questi rivoluzionari hanno in genere ritenuto necessa­ rio sostenere che, ciò malgrado, essi rappresentavano il partito della libertà, o della > unità meccaniche o unifor­ mi, e la corrispondente propensione a metafore e si­ militudini tratte dalle scienze « dinamiche >> - la biolo­ gia, la fisiologia, la psicologia introspettiva - e il culto della musica, che tra tutte le arti appare essere quella meno vincolata a un ordine naturale uniforme e uni­ versalmente osservabile. Di qui, anche, la celebrazione di tutte le forme di « sfida >> dirette! contro ciò che è « dato >> - l 'impersonale, il « fatto bruto >> in morale o in politica - o contro ciò che è statico o accettato, e il va­ lore attribuito alle minoranze e ai martiri in quanto ta­ li, senza riguardo per l'ideale per il quale soffrono. Sta inoltre qui la fonte della dottrina per cui il lavo­ ro è sacro in quanto tale, ossia non in virtù della sua funzione sociale, ma perché è l' imposizione della per­ sonalità ( cioè dell'attività) individuale o collettiva alla materia inerte. L'attività, la lotta è tutto, la vittoria nul­ la; nelle parole di Fichte, « Frei sein ist nichts - frei wer­ den ist der Himmel >> ( « Essere liberi non è niente - di­ ventare liberi è il paradiso >> ) . 1 Il fallimento è più nobile del successo. Ciò che conta è l'autoimmolazione per u­ na causa, non la validità della causa in sé presa, per­ ché è il sacrificio accettato per amor suo che santifica la causa, e non una qualche sua proprietà intrinseca. Questi sono i sintomi dell'atteggiamento romanti­ co. Di qui il culto dell 'artista, comunque si esprima ­ con i suoni o le parole o i colori -, in quanto la più al­ ta manifestazione dello spirito perennemente attivo, e l'immagine popolare dell'artista nella sua soffitta: ocl . Citato senza riferimenti nell'articolo su Fichte deii'Enciklopedice­ skij slovar' [Dizionario enciclopedico] , Sankt-Peterburg, 1 890-1 907, vol. XXXVI, p. 58, col. 2.

IL POTERE DELLE IDEE

chi spiritati, capelli scomposti, povero, solitario, sbef­ feggiato, ma indipendente, libero, spiritualmente su­ periore ai suoi tormentatori filistei. Quest'atteggia­ mento ha anche un lato più oscuro: il culto non già soltanto del pittore o del compositore o del poeta, ma di quell 'artista più sinistro i cui materiali sono gli uo­ mini, di colui che distrugge le vecchie società e ne crea di nuove senza riguardo per i costi umani: il lea­ der sovrumano che tortura e distrugge per costruire su nuove fonda!fienta - Napoleone nel suo aspetto più rivoluzionario. E quest'incarnazione dell'ideale roman­ tico che assunse forme sempre più isteriche, sfociando (nelle sue versioni più estreme) nell'irrazionalismo violento e nel fascismo. Ma questo stesso orizzonte ge­ nerò anche il rispetto per l'individualità, per l'impulso creativo, per ciò che è unico e indipendente, per la li­ bertà di vivere e agire alla luce di credenze e princìpi personali, non prescritti, di bisogni emotivi non di­ storti, per il valore della vita privata, dei rapporti per­ sonali, della coscienza individuale, dei diritti umani. Il retaggio positivo e quello negativo del Romanticismo - da un lato il disprezzo per l'opportunismo, l'atten­ zione per la varietà individuale, lo scetticismo nei con­ fronti di oppressive formule generali e soluzioni de­ finitive, e dall'altro il prosternarsi davanti a esseri su­ periori e l' esaltazione del potere arbitrario, della pas­ sione e della crudeltà - queste tendenze, a un tempo rispecchiate e promosse dalle dottrine romantiche, hanno foggiato sia gli eventi del nostro secolo, sia i concetti alla cui stregua sono stati visti e spiegati, in una misura più grande di quanto venga comunemen­ te riconosciuto nella maggior parte delle storie della nostra epoca.

MEINECKE E LO STORICISMO

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La trasformazione del modo di scrivere la storia avvenuta nel corso dell 'Ottocento è in larga misura l 'opera dei grandi maestri tedeschi: da Niebuhr e Boeckh a Mommsen e Burckhardt, da Savigny e Ranke a Max Weber e Troeltsch. Le idee non nascono dalle idee per partenogenesi. Il processo che condusse alla nuova visione storica e, più ancora, alla sua egemonia su gran parte della vita politica e intellettuale dell 'Oc­ cidente, ha le sue radici in grandi mutamenti sociali e culturali che risalgono al Rinascimento e alla Riforma, se non a un'epoca precedente. L'evoluzione della co­ scienza storica, i cui frutti più noti e famigerati sono le ideologie del nazionalismo e della politica di potenza, venne incontro al bisogno di spiegare e al contempo di giustificare le lotte tra le nazioni e le classi allora apertamente ingaggiate . I suoi inizi possono essere rintracciati in molti paesi, ma essa trovò per la prima volta un'espressione sistematica tra i pensatori tede­ schi, e fu storicamente collegata all'avvento dello Stato nazionale tedesco. l processi politici radicali sono spes­ so preceduti da un fermento nel regno delle idee, ed è nelle terre di lingua tedesca che il nuovo senso dello

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sviluppo storico crebbe fino a diventare una potente e influente corrente d'idee. Prima singoli pensatori, e poi gruppi più ampi - accademici, politici, artistici, re­ ligiosi - cominciarono a concepire tutte le attività umane come elementi di totalità sociali " organiche >> , unitarie: non strutture istituzionali statiche, ma dina­ mici processi di sviluppo di nazioni, culture, classi " organismi >> sociali tenuti insieme dalle complesse, impalpabili relazioni che caratterizzano le totalità so­ ciali viventi, entità quasi- biologiche che sfidano l'ana­ lisi che impiega gli esatti metodi quantitativi della chi­ mica o della fisica. Si sostenne che forme di vita siffat­ te potevano essere percepite, o colte intuitivamente, o comprese mediante una sorta di familiarità diretta; era impossibile smontarle e rimetterle insieme, anche solo nel pensiero, come un meccanismo costituito da parti isolabili che obbedisca a leggi causali universali e immutabili. I pensatori che si ribellarono contro il fondamenta­ le concetto classico e cristiano di un mondo governato da un ' unica, statica legge naturale - in una delle sue numerose versioni: quella stoica, o aristotelica, o tomi­ stica, o i modelli causali meccanicistici dell 'Illumini­ smo francese - erano di rado dei filosofi lontani dal mondo. Erano perlopiù persone profondamente im­ pegnate nelle società politiche e nelle nazioni cui ap­ partenevano; e concepivano la loro attività intellettua­ le come legata all' avvento di un nuovo ordine di cose, in cui i popoli tedeschi svolgevano un ruolo di prota­ gonisti. Erano acutamente consapevoli delle loro radi­ ci tedesche nella Riforma, nel pietismo e nei movi­ menti mistici e visionari che lo precedettero, nella provinciale vita sociale, politica e religiosa, vincolata ai luoghi e alla tradizione, delle città e dei principati te­ deschi. Soprattutto, si rendevano chiaramente conto delle differenze tra il loro mondo e l' universalismo e il razionalismo scientifico profondamente connaturati alla mentalità delle civiltà a ovest del Reno. Come stu­ diosi, critici, storici, indagavano, raccoglievano mate-

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riali, descrivevano, analizzavano, spiegavano; come uo­ mini e cittadini, erano inevitabilmente alle prese con le questioni e le lotte sociali e politiche della loro so­ cietà. Quali che fossero le loro convinzioni, non isola­ vano queste funzioni l'una dall'altra: si identificavano, in varia misura, con le attività di partiti e movimenti, ed erano spesso legati ai loro capi da rapporti perso­ nali diretti. Ciò conferiva una particolare vitalità e for­ za, e a volte anche una considerevole influenza pub­ �lica ai punti di vista che erano ritenuti rappresentare. E l 'impegno politico di alcune delle principali figure della nuova scuola storica che (malgrado la serietà de­ gli sforzi compiuti da taluni di loro per conservare un certo distacco) infonde nelle loro opere il senso di un orientamento morale e politico, sia che si occupino della loro epoca, sia che trattino culture e situazioni remote. Sebbene la cosa sia stata forse altrettanto vera di storici di altri paesi - Macaulay e Grote, Michelet e Guizot non possono essere descritti come autori poli­ ticamente neutrali - in Germania acquistò lo status di una filosofia della storia nazionale, semiufficiale. Mal­ grado tutte le loro differenze, ciò vale per Niebuhr e Mommsen, Droysen e Max Weber non meno che per scrittori violentemente partigiani come Treitschke o Sombart; e malgrado la sua tormentata aspirazione a innalzarsi al disopra di considerazioni immediate ed effimere, è vero anche, in una certa misura, dell' ulti­ mo grande rappresentante di questa tradizione, Frie­ drich Meinecke. Nei suoi tre celebri capolavori , 1 Meinecke affrontò l . I due volumi che precedettero Die Entstehung des Historismus, Miinchen-Berlin, 1 936 ( trad. ingl. di J.E. Anderson, Historism: The Rise of a New Historical Outlook, London, 1 972, di cui il presente sag­ gio costituì originariamente la prefazione [ trad. i t. Le origini dello storicismo, Sansoni, Firenze, 1 967] ) , sono Weltbiirgertum und Natio­ nalstaat: Studien zur Genesis des deutschen Nationalstaates, Miinchen­ Berlin, 1 908 ( trad. ingl. di Robe n B. Kimber, Cosmopolitanism and the National State, Princeton, 1 970 [ trad. i t. Cosmopolitismo e Stato na­ zionale. Studi sulla genesi dello Stato nazionale tedesco, La Nuova Italia, Firenze, 1 975] ) , e Die Idee der Staatriison in der neueren Geschichte,

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alcune delle questioni centrali della sua epoca, rin­ tracciandone le origini e l'evoluzione. In particolare, descrisse con un'erudizione esatta e ineccepibile il gra­ duale declino del più vecchio orizzonte europeo do­ minato dalla nozione di un'atemporale, immutabile legge naturale ( che governanti testardi, singoli o grup­ pi che fossero, potevano certo trasgredire, ma pagan­ do prezzi terribili) , cui subentrò il concetto della na­ zione consapevole della sua individualità unica e del carattere assoluto delle sue rivendicazioni, e chiamata a rispondere soltanto a se stessa. Egli fornì un reso­ conto classico delle tensioni che ciò fece emergere tra i valori umani universali comunemente accettati, i di­ ritti degli individui o dei gruppi e i generali princìpi morali che governano la condotta degli uomini da un lato, e, dall'altro, le rivendicazioni dello Stato, che nei momenti di crisi entra violentemente in conflitto con le regole della comune morale umana - rivendicazio­ ni che è indispensabile soddisfare, a qualunque prez­ zo, se si vuole garantire la sicurezza, la potenza e la grandezza della nazione, cui gli uomini di Stato deb­ bono innanzitutto la loro fedeltà. La discussione che Meinecke fa di tale questione è interamente dominata dalla sua consapevolezza del­ l'irrisolto problema del rapporto tra quelle che Savi­ gny aveva chiamato le " forze che operano in silenzio '' - che determinano in ultima analisi l'orientamento di una società e dello sviluppo dei suoi membri - e quel­ la che egli riconosce come la libertà d'azione, entro li­ miti storicamente determinati, degli esseri umani; e 1

Miinchen-Berlin, 1924 ( t�ad. ingl. di Douglas Scott, Machiavellism: The Doctrine of Raison d 'Etat and its Place in Modern History, Lon­ don, 1 957 [ trad. it. L 'idea della ragion di Stato nella storia moderna, San soni, Firenze, 1 977] ) . [Il termine tedesco Historismus è più spes­ so tradotto con historicism, ma qui Berlin segue naturalmente An­ derson nella sua scelta di historism per rendere il concetto centrale di Meinecke. N. d C. ] l. Friedrich Cari von Savigny, Vom Beruf unsrer Zeit fiir Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, Heidelberg, 1 8 1 4, p. 1 4. .

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del problema che ne consegue, ossia del grado di re­ sponsabilità storica che deve essere riconosciuto, o ne­ gato, a questo o quell'individuo o gruppo o politica. Ma l' idée maitresse che lo ossessiona, come aveva osses­ sionato i suoi predecessori, riguarda le proprietà di quelle associazioni umane (per lui le sole autentiche) che posseggono ciascuna le proprie individuali leggi di crescita, il proprio peculiare carattere « organico " totalità sociali che si sviluppano come piante, obbe­ dendo ciascuna alla propria natura specifica, e che non possono pertanto essere né spiegate né comprese né preservate alla luce di leggi o princìpi che le assi­ milano (falsamente) a un qualche schema generaliz­ ' zante che ignora la loro peculiare essenza, le specifi­ che mete alla cui stregua vivono e agiscono, i valori incommensurabili con quelli di altre società o periodi - nei cui termini soltanto tutto ciò che sono e fanno può essere spiegato o giustificato. Com'era inevitabile, Meinecke finì con l'essere profondamente turbato dall'evidente inconciliabilità del relativismo morale cui ciò sembrava condurre, e del corollario per cui il successo - talvolta il nudo potere - è l 'unico arbitro di ciò che davvero conta e per cui vale la pena di vivere (e, forse, di morire ) , con la necessità di qualcosa che vada oltre un siffatto soggettivismo: qualcosa che supe­ ri i valori rivelati al capriccioso intuito individuale di un singolo pensatore o poeta o statista - la necessità di un terreno comune tra gli uomini, di un fine comune che, seppure non universalmente accettato, sia co­ munque valido per molti uomini per lunghi tratti del­ la vicenda storica, e sia in grado di fornire un accesso all'oggettività nel determinare i valori basilari: gran­ dezza e meschinità, bene e male, progresso e regresso. Meinecke vide nell'avvento della nozione dell'indivi­ dualità e varietà degli itinerari di sviluppo degli Stati (intesi come organismi sociali indipendenti) la più grande rottura nella continuità del pensiero europeo dopo la Riforma. E in effetti, retrospettivamente, è difficile negare che i grandi movimenti che hanno vio-

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lentemente squassato gli ultimi due secoli - il tradizio­ nalismo e il pluralismo, il Romanticismo e la concezio­ ne prometeica dell'uomo, l' anarchismo ma anche il nazionalismo, l 'autorealizzazione dell ' individuo ma anche l 'imperialismo, il razzismo e le varie specie di ir­ razionalismo sociale e politico - discendono tutti, in varia misura, dalla gigantesca rivolta contro quella che Meinecke chiamava ,, la visione generalizzante » : la credenza nelle uniformità scientifiche, o il dominio del diritto naturale, come pure il positivismo, l'utilita­ rismo e il razionalismo nelle loro differenti versioni, ma soprattutto la grande concezione monistica dell'u­ niverso come un sistema unitario e immutabile, intelli­ gibile alla luce della ragione da tutti gli uomini (pur­ ché soltanto abbiano occhi per vedere) in tutti i tempi e in tutte le condizioni, ovunque. Nel volume dedicato alle origini della nuova co­ scienza storica, Meinecke s'impegna a ricostruire l'e­ mergere della nuova concezione a cominciare da Leibniz e Voltaire, Montesquieu, Vico e Burke fino al suo trionfo conclusivo nelle opere dei grandi fondato­ ri tedeschi del nuovo metodo storico. Meinecke era un uomo di immensa e disciplinata erudizione, con uno scrupolo intellettuale e una sensibilità per le più sottili sfumature delle ideologie e delle mentalità non comuni per il loro livello neppure tra i suoi grandi predecessori: i saggi sui suoi tre eroi - Mòser, Herder, e specialmente Goethe - che costituiscono la parte maggiore dell'ultimo pannello del grande trittico, spiccano per un delicato intreccio di descrizione, idee e circostanze storiche, temperamento personale dei singoli pensatori e qualità della vita e della società nel­ la quale e per la quale e intorno alla quale scrivevano, ed esigono pertanto dal lettore un impegno molto maggiore che non le vaste, sommarie generalizzazioni di storici delle idee più arditi, e spesso più superficiali. Il suo stile, come la sua materia, è complesso, a volte opaco, e il metodo in qualche caso fuori fuoco e im­ pressionistico. Meinecke è ansiosissimo di non cadere

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negli errori che censura nell' odiata tradizione enciclo­ pedistica settecentesca, con il suo diritto naturale, il suo meccanicismo e la sua tendenza a livellare ogni co­ sa. Teme le eccessive semplificazioni, i concetti che ta­ gliano la carne viva dei sentimenti o delle ideologie so­ ciali o individuali - che esige l'impegno di tutte le fa­ coltà della più acuminata « osservazione individualiz­ zante per usare le sue parole - teme di vivisezionar­ l_a con il bisturi di una teoria dogmatica o ideologica. E ansioso di trasmettere quella che Mòser chiamava '' l 'impressione totale che non può essere ottenuta mediante la semplice analisi delle parti, e ancor meno mediante l'applicazione di un qualche schema storico che funzioni come un letto di Proc'uste, e che non rie­ sce a comunicare il tono, il colore unico, quello che i pensatori storicisti tedeschi chiamavano lo Zeitstil o il Volksstil che permea tutte le attività di un individuo o di una società, le sue scienze non meno delle sue arti, i dispacci di Richelieu non meno delle sue lettere d'a­ more - egli desidera evitare le formule costrittive e di­ storcenti, la fede fanatica in leggi cui il cambiamento sociale non può non obbedire e cui tutti i fatti debbo­ no adattarsi, non importa quanto la materia prima possa recalcitrare a un siffatto schematismo. Meinecke dipinge i suoi ritratti con innumerevoli minuscole pennellate; e sebbene le linee d'insieme affiorino, a chi sia abituato alle storie delle idee composte da pen­ satori analitici che operano con definizioni nette dei termini, classificazioni in tipi, linee di discendenza ideologiche arditamente e vividamente illustrate, può capitare ogni tanto di perdersi in questa grande fore­ sta, benché in realtà la forma generale disegnata dal­ l'autore sia sempre presente. Chi è disposto a seguire la prosa di Meinecke, con le sue accurate precisazioni, ma mai prolissa né ripetitiva, sarà generosamente ri­ compensato. Questo metodo serve a mantenere viva una percezione integrale della realtà - del flusso della vita sociale, politica, artistica, religiosa e personale e delle sue complesse strutture nell'interazione che la >> ,

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porta a influenzare (e ad esserne al contempo influen­ zata) le credenze, gli ideali e la visione che di se stessi e del loro passato hanno gli individui e le comunità un senso della concreta, multiforme, mutevole e mai compiuta vita delle società. Non c'è dubbio che l'idea della storia come lo svi­ luppo di organismi sociali, politici e morali, di entele­ chie aristoteliche la cui interazione costituisce la cre­ scita dello spirito umano - una visione neoplatonico­ hegeliana - sia soltanto una delle numerose concezio­ ni di ciò di cui gli uomini vivono; ed è probabile che sia giudicata manchevole da chi chiede più rigorosi metodi di verifica mediante l'applicazione di test em­ pirici o scientifici, anche se i risultati così ottenuti non rispondono a tutte le nostre domande, o non lo fanno a un livello s�fficientemente profondo d'indagine im­ maginativa. E tuttavia incontestabile che, a parte la sua influenza storica e politica e il suo impatto trasforma­ tore sulle maniere generali di pensare e di sentire del­ l ' Occidente, quest'approccio (quali che siano le sue manchevolezze metafisiche) contribuì ad ampliare l'o­ rizzonte e le prospettive degli storici più di quanto fa­ cessero le dottrine positivistiche contro le quali reagì con tanto vigore. Meinecke fu educato nella fede pro­ pria di questo movimento, e utilizzò i suoi canoni - co­ me Dilthey (da cui fu profondamente influenzato) , Max Weber e Rickert - per descrivere e risuscitare le sue origini a beneficio di generazioni di mentalità scientifica che avevano cominciato a guardare alla sua validità con un marcato scetticismo. Ciò che conferisce una straordinaria vitalità al reso­ conto di Meinecke della rivoluzione intervenuta nella coscienza storica al principio dello scorso secolo è il fatto che egli prova riguardo ai problemi che tratta un'angoscia non meno profonda di quella di coloro che per primi li avevano affrontati. Egli diventò adulto nel periodo culminante del nazionalismo prussiano, da cui fu profondamente influenzato. Problemi come il rapporto tra i valori ( tanto degli storici quanto degli

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uomini in generale) e i fatti oggettivamente stabiliti e le conclusioni delle scienze naturali; il carattere relati­ vo delle diverse prospettive e dei valori che incarnano; il conflitto tra i diritti reclamati dalla sfera nazionale e internazionale, dallo Stato, e quelli delle altre associa­ zioni, o i diritti dell'individuo; la giustificazione dell'u­ so della forza, e specialmente della guerra; l'apparen­ te incompatibilità tra i metodi delle scienze naturali e quelli degli studi umanistici, e le sue implicazioni per la morale politica e individuale: tutti questi problemi se li trovò davanti non soltanto come storico o studio­ so del metodo in storia, ma come tedesco ed essere umano; e lo tormentarono per tutta la vita. Su questi temi, la sua coscienza non è mai p � rfettamente limpi­ da: egli non tenta di sfuggire le questioni penose; cer­ ca con pazienza le soluzioni; spera di trovare un uomo di genio che sciolga o risolva questi problemi teorici e pratici, per i quali non pretende di aver trovato una ri­ sposta definitiva. Gli anni in cui scrisse Le origini dello storicismo erano un periodo di crisi, che offriva (consapevolmente o meno) un parallelo con una precedente svolta crucia­ le nella storia della Germania, quando il Geist tedesco si era trovato su un lato assediato dallo spirito livellato­ re della centralizzazione e dell' organizzazione razio­ nale francesi (rivoluzionarie e napoleoniche) , con il loro disprezzo per la tradizione e per l ' individualità delle varie società, cui si aggiungeva l'influenza sup­ plementare dell'industrialismo britannico e della sua distruzione degli antichi legami, e sull'altro minaccia­ to dalla paurosa, barbarica grande potenza orientale. Se lo