Il potere della fisica

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Il potere della fisica

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Citation preview

Titoli originali

Experiment and Theory in Physics At the University Press - Cambridge - 1943

Physik und Politik Vandenhoeck

& Ruprecht - Gottinga - 1960

Traduzione di Maria Ferretti

Max Born

Il potere della fisica

1962

Paolo Boringhieri

© 1962 Editore Boringhieri società per azioni Torino, via Brofferio 3

Indice

I.

Esperimento e teoria, 9

2. Il concetto di realtà, 50 Ambiguità del concetto di realtà Estensione dei concetti

Positivismo e materialismo

Invarianti

Gli invarianti fisici

Il positivismo Il materialismo

Conclusione

3· I limiti della rappresentazione fisica del mondo, 75 Principio d'impossibilità. Termodinamica latività generale e cosmologia atomiche e quantistiche

Teoria della relatività ristretta

Prevedibilità e precisione di misura

La complementarità

Le scienze affini

Re­

Teorie Limiti so­

ciali ed etici

4. La fisica di oggi nello specchio di ieri,

I I I

5. Fisica e politica, 1 2 5 Crisi della scienza etica

Fisica e tecnica

Uno sguardo alla storia

Le piaghe dell'umanità

Conclusione

Guerra ed

Il potere della fisica

I.

Esperimento e teoria

:t naturale che un uomo consideri importante e utile il lavoro delle sue mani e del suo cervello, e perciò nessuno vorrà rimprove­ rare il focoso sperimentatore che si compiace delle sue misure e guarda un pochino dall'alto in basso la fisica fatta a tavolino dal suo collega teorico; il quale, da parte sua, è fiero delle sue idee ele­ vate e disprezza le dita sporche dell'altro. Non molto tempo fa però, questa specie di rivalità amichevole si è trasformata in qual­ cosa di piu serio. In Germania una scuola di sperimentatori estre­ misti, capeggiata da Lenard e da Stark, andò tanto avanti da rifiu­ tare tutta la teoria come un'invenzione degli Ebrei, e da dichiarare che il solo metodo di scienza genuinamente ariano è l'esperimento. C'è anche un movimento in direzione opposta, il quale, benché non razzista, non è meno radicale nell'affermare che per la mente bene allenata alla matematica e all'epistemologia le leggi della natura sono manifeste senza far ricorso all'esperimento. Due noti astro­ nomi, Milne ed Eddington, seguono questa corrente di pensiero, anche se apparentemente essa li porta in direzioni piuttosto diffe­ renti.

IO

CAPITOLO PRIMO

Non è mia intenzione discutere alcuna delle affascinanti teorie di costoro; ma voglio richiamare l'attenzione sulla filosofia di Edding­ ton, che proclama il trionfo della teoria sull'esperimento. lo sono un fisico teorico (di origine ebraica) e ci si potrebbe aspettare che mi rallegrassi di questa teoria. Ma non me ne rallegro. Al contrario considero queste teorie un notevole pericolo per il sano sviluppo della scienza, ed è per questa convinzione che m'ac­ cingo a trattare questo difficile argomento. Non voglio tuttavia di­ scutere con Eddington di profondi prindpi filosofici, né gareg­ giare con lui nella sua insuperata padronanza della dialettica della discussione. Ciò che voglio mostrare in modo semplice sono le mu­ tue relazioni tra teoria ed esperimento nell'attuale sviluppo storico della scienza, e offrire un giudizio equilibrato sulla presente situa­ zione e sulle possibilità future. Ma anche questo modesto programma non è facile, perché uno scienziato attivo ha poco tempo per la storia della scienza. Ho letto molto poco, veramente troppo poco, della letteratura originale, e la maggior parte delle mie conoscenze è di seconda mano, presa da manuali ed enciclopedie. Ci sono però due fatti che m'incorag­ giano: conosco alcuni dei grandi e classici capolavori della mate­ matica e della fisica, abbastanza per non avere incertezze sullo sfondo storico e personale su cui si sono sviluppate; in secondo luogo, sono abbastanza vecchio per poter dire di aver assistito du­ rante il corso della mia vita allo sviluppo della fisica moùe rn a, che è una considerevole parte di tutta la fisica. Mi sembra che ciò fornisca sufficiente materiale per formarsi un'opinione. Osservando attentamente la storia della scienza, noI i alli o lIna spe­ cie di ciclo, periodi di sviluppo sperimentale che si alternano con periodi di sviluppo teorico. Le teorie tendono :l divenire sempre piu astratte e generali; culminano in principi, che sono inizial-

Il,

ESPERIMENTO E TEORIA

mente combattuti dai filosofi, ma' piu tardi assimilati; appena essi diventano parte di un sistema filosofico, comincia un processo di dogmatizzazione e di petrificazione. Questa caratteristica è già av­ vertita nelle piu vecchie scienze quantitative, la matematica e l'astronomia: non c'è alcun dubbio che la prima conoscenza geo­ metrica, scoperta dai Sumeri, dai Babilonesi e dagli Egiziani, era puramente empirica. I Greci scoprirono l'interdipendenza logica dei fatti geometrici e fondarono la prima scienza deduttiva, com'è formulata nell'opera di Euclide. Un matematico moderno può na­ turalmente considerare la geometria come un prodotto del puro pensiero, prendendo gli assiomi e i postulati come definizioni e tutto il sistema come un giuoco divertente. Ma questo non è certo quello che i filosofi greci intendevano fosse la loro geometria: essi pensavano di avere a che fare con proprietà di cose reali. Il fatto che le predizioni delle loro teorie erano confermate in ogni caso dall'esperienza, portò alla convinzione che gli assiomi della geome­ tria euclidea contenessero la verità assoluta. Il sistema di Euclide è vissuto duemila anni; è sopravvissuto al de­ clinare e alla caduta della civiltà greco-romana e ai successivi scon­ volgimenti della storia. È passato attraverso tutte le fasi di dogma­ tizzazione, piu o meno consapevole. Anche dopo l'alba dell'età scientifica moderna, con la sua revisione critica delle opinioni tra­ dizionali, la reale validità delle affermazioni di Euclide non si po­ neva in dubbio, ma era fatto oggetto d'indagine filosofica il come tale assoluta validità fosse possibile. Secondo Kant noi abbiamo una conoscenza in certo modo diretta ed esatta di alcune cose - spazio, tempo, causalità, ecc. -, ed egli spiegava ciò con l'ipotesi che in realtà noi non abbiamo a che fare con le cose stesse, ma con le forme della nostra intuizione di queste cose. È plausibile che queste forme di pensiero ci siano date a

priori,

cioè prima dell'esperienza.

Il

CAPITOLO PRIMO

Il principale esempio che Kant ponava di conoscenza a priori erano

i teoremi di geometria, intendendo con ciò il canone di Euclide. L'idea che possiamo avere una conoscenza a

priori

ha le sue ra­

dici nel fatto storico della persistenza della geometria greca, che è stata sostituita da una teoria piu generale solo nel nostro tempo. La vera ragione della longevità della geometria greca è la precisione con cui essa descrive il componamento dei corpi nel nostro am­ biente terrestre; i primi dubbi furono sollevati non a causa di fatti sperimentali, ma su fondamento logico. Alcuni matematici trova­ rono uno degli assiomi di Euclide (quello delle parallele) meno evi­ dente degli altri, e cominciarono a domandarsi se non sarebbe stato possibile dedurlo da quelli. Tutti gli sforzi per riuscirci risulta­ rono vani, e alla fine si fece un tentativo (prima da Gauss, non pubblicato, e poi da Bolyai e da Lobacevskij) per dimostrare l'indi­ pendenza del postulato delle parallele, costruendo ,un sistema geo­ metrico in cui esso non valesse. Queste costruzioni di geometrie non euclidee ebbero successo. Gauss fece perfino delle misure per trovare quale geometria è valida nel mondo reale. Egli e il suo suc­ cessore Riemann si resero chiaramente conto del carattere empirico della geometria. Riemann creò i fondamenti matematici sui quali Einstein, in tempi recenti, riuscl a ridurre la geometria a una parte della fisica, mediante la teoria della relatività generale. La storia dell'astronomia è parallela a quella della geometria, con la differenza che alcuni filosofi greci avevano già chiara l'idea della forma sferica della Terra, della posizione centrale del Sole nel si­ stema planetario, delle reali distanze dei corpi che ne fanno parte; idee tutte che andarono perdute o furono cancellate nell'oscura età successi'la. La Chiesa accettò la scienza e la filosofia greca nella forma data loro da Aristotele e da Tolomeo. Guardando a questo

ESPERIMENTO E TEORIA

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fenomeno storico dal nostro punto di vista, possiamo dire che la stasi della scienza nel Medioevo è dovuta a un'eccessiva venera­ zione per lo spirito in contrapposizione ai fenomeni naturali, e che ciò portò a una preferenza per la speculazione teorica rispetto al­ l'esperimento. L'inizio della scienza moderna nel Rinascimento consistette in una nuova filosofia, che considerava sistematicamente l'esperimento come la principale sorgente di conoscenza. Francesco Bacone fu il suo profeta, Galileo e Newton i suoi reali fondatori. La filosofia scolastica era già stata minata da Descartes e da altri filosofi, che usavano principalmente argomenti logici e metafisici; tuttavia le teorie cosmologiche di questi razionalisti non ci sembrano convin­ centi, perché non sufficientemente basate su prove dedotte da espe­ rimenti o osservazioni. Infatti la distinzione essenziale tra il nostro tempo e il Medioevo consiste nella rinuncia alla tradizione, e nel­ l'affermazione dell'esperimento come vera sorgente di conoscenza. Il Rinascimento significò non solo la riscoperta della letteratura greca, ma la resurrezione dello spirito greco, del carattere scettico e

nello stesso tempo costruttivo della filosofia greca. Fu stabilito

allora il metodo del ragionamento induttivo, che conduce da sin­ gole osservazioni a leggi generali. Questo metodo stesso può essere sottoposto ad analisi filosofica; è chiaro che esso presuppone non solo una fede fondamentale nell'esistenza di leggi naturali, ma an­ che i criteri per distinguere le regolarità genuine da quelle acci­ dentali, e altri principi di questo genere. Senza approfondire questi problemi astratti, voglio solo affermare che la rivoluzione che ha sostituito la Scolastica con la scienza moderna ha detronizzato il metodo deduttivo dalla sua posizione dominante, e lo ha messo al suo giusto posto. Galileo e Newton affermarono entrambi in modo

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CAPITOLO PRIMO

assolutamente chiaro il carattere induttivo della nuova filosofia; le teorie che essi fonnularono dalla sintesi di risultati sperimentali erano usate per suggerire nuovi esperimenti, e se questi davano ri­ sposta favorevole la teoria si considerava confennata. Questo è il legittimo metodo scientifico, un accoppiamento d'induzione e di deduzione, quale è descritto in innumerevoli libri. Ma la storia non è tutta qui. Galileo e Newton erano entrambi preoccupati di evitare le spe­ culazioni metafisiche

(hypotheses non fingo).

Ma poco piu tardi,

quando le leggi della meccanica furono note del tutto, troviamo tentativi di derivarle da principi la cui fonnulazione suggerisce ori­ gini non empiriche. Il piu fortunato di questo principi è quello della minima azione. Maupertuis vi giunse certamente partendo da un'idea teleologica; la Natura doveva comportàrsi come un essere umano, con uno scopo definito che essa tende a raggiungere con la minore possibile qu�ntità di "azione". Perché l'espressione mate­ matica da lui fornita per questa azione dovesse riuscire cOSI cara alla Natura da dover essere spesa con parsimonia, è evidentemente difficile da spiegare. Noi sappiamo oggi che i moti reali non cor­ rispondono a reali minimi di azione, eccetto che per brevi inter­ valli di tempo, ma a stati stazionari, e consideriamo il principio di minima azione solo uno strumento molto utile e molto potente per riassumere in brevi espressioni equazioni differenziali complicate. La potenza di questo principio, nella fonna datagli da ll:Ullilton,

si vede dal fatto che col suo aiuto si può fonnulare

non

solo la

meccanica classica delle particelle e dei corpi rigidi, 111:1 anche l'elasticità e l'idrodinamica, l'elettromagnetismo e nme le lIIoderne teorie dei campi connesse con le recenti particelle (elellrone, pro­ tone, mesone). Per dare un esempio, riferiamoci all'e1euromagne­ tismo.

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ESPERIMENTO E TEORIA

A questo scopo, aSsumiamo l'esistenza di un potenziale scalare iI! e di un potenziale vettore A, e per brevità introduciamo i vettori l

E= -grad i.f!-c

aA

-

at

,

H=rotA .

Allora il principio di azione per l'elettrodinamica nel vuoto è dato da

[2]

dove dv è l'elemento di volume, l'integrazione va estesa allo spazio e al tempo considerati, e il simbolo a significa una piccola varia­ zione dei potenziali. I risultati di queste variazioni sono condizioni in forma di equa­ zioni differenziali, e si. trova che esse sono proprio le equazioni di Maxwell

I aE rotH=--c

at'

. I aH rotE= ----

c

at

per il vuoto, purché s'interpretino E ed H come i campi elettrico e magnetico. Il principio variazionale ha qualcosa di convincente, con la sua possibilità di concentrare un ampio dominio di fenomeni in una breve espressione, e la sua perfezione è ancora aumentata se esso è considerato con l'occhio del matematico che ha imparato il prin­ cipio di relatività e sa che E e H insieme formano un cosiddetto esavettore, con proprietà di trasformazione definite per cambia­ menti del sistema di riferimento, cioè per trasformazioni di Lorentz dello spazio-tempo. Poiché esistono solo due invarianti E2_H2 e (E.H)2, e l'azione elettrodinamica dev'essere invariante, que­ st'azione può essere soltanto una funzione di essi; aggiungendo il postulato che le equazioni risultanti devono essere lineari, l'azione

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CAPITOLO PRIMO

deve avere fonna quadratica, e si è condotti immediatamente al­ l'espressione data sopra. Questa sembra una diretta deduzione da prindpi primi. Date le conoscenze e l'acuta mente del nostro matematico, le equazioni di Maxwell sono il risultato di una pura speculazione, e gli apparec­ chi degli sperimentatori risultano antiquati e superflui. Non ho bisogno di spiegarvi la fallacia di questo punto di vista. Essa consiste nel fatto che nessuna delle nozioni usate dai matema­ tici, per esempio potenziale, potenziale vettore, vettori di campo, trasfonnazione di Lorentz, senza contare il principio di azione stesso, sono evidenti o dati a

priori.

Anche se un matematico estre­

mamente dotato le avesse costruite per descrivere le proprietà di un mondo possibile, né lui né alcun altro avrebbe avuto la minima idea di come applicarle al mondo reale. Il problema della fisica è di trovare come i fenomeni reali, osservati mediante i nostri sensi aiutati da strumenti, possono essere ridotti a nozioni semplici, con­ venienti per esprimere il risultato di misure precise, e usati per la fonnulazione di leggi quantitative. È stato necessario un lungo cammino dalla prima osservazione di un semplice fenomeno elet­ trico, come l'attrazione di piccoli corpi o l'osservazione di piccole scintille, al concetto di campo elettrico e di potenziale, e un cam­ mino ancora piu lungo fino all'interazione di questi con le corri­ spondenti forze magnetiche e al sistema di equazioni di Maxwell che le legano. Quando ero studente, verso il 1 900, l'idea del campo nel vuoto ci appariva estremamente strana, e assimilabile solo con difficoltà. Da questo punto al compiuto sviluppo della relatività col suo apparato fonnale di trasfonnazioni di Lorentz, i suoi invarianti, tensori e vettori covarianti, è ancora necessario un lungo e noioso viaggio. La relativizzazione del tempo ci è stata imposta: la pubblicazione

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di Einstein è posteriore agli esperimenti di Michelson e Morley, e perfino Lorentz era riluttante a rinunciare al suo etere assoluto sta­ zionario e ad accettare l'equivalenza di tempi diversi ammessa dalla sua trasformazione. L'ordine degli eventi storici mostra chiaramente la vera posizione del principio variazionale: esso sta alla fine di una lunga catena di ragionamenti, come una bella e soddisfacente espressione unificata dei risultati. Può anche avere aiutato a trovare questi risultati (ben­ ché io ne dubiti nel caso ora considerato dell'elettromagnetismo), ma ha poco a che fare con la formazione dei nuovi concetti fonda­ mentali che sono il caratteristico aspetto dell'elettrodinamica. La concezione rivoluzionaria che distingue l'elettrodinamica dalla meccanica classica è il concetto di campo. Si può vedere nell' opera di Faraday come esso scaturl dalle sue osservazioni delle proprietà dielettriche, paramagnetiche e diamagnetiche; ma fu necessaria la possente matematica di Maxwell per formularlo. Tuttavia, quella non era matematica pura e semplice, ma un sorprendente atto di divinazione. I fatti noti a quel tempo avrebbero portato ( per il vuoto) non alla serie compiuta delle equazioni [ 3 ] ma, invece della prima, alla rotH = o. Il passo decisivo di Maxwell è consistito nel­ l'aggiungere il termine mancante ( l / C) aE / at , senza un adeguato fondamento empirico, guidato dapprima dai modelli meccanici del­ l'etere, poi da ragioni di perfezione e di bellezza matematica, in­ somma da un atto di genio. È quel termine che conduce alla pre­ dizione di onde con velocità finita c, alla teoria elettromagnetica della luce, alla radio e a tutto quello su cui si basa la moderna radiotecnica. Effettivamente questo è un brillante esempio delle possibilità del fisico teorico: egli può scoprire le deficienze nella perfezione di una teoria e può cercare di correggerle mediante quello che si po2

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CAPITOW PRIMO

trebbe chiamare " intuizione matematica ". Se ci riesce, se la teoria modificata predice fenomeni confermati da nuove esperienze, pos­ siamo chiamare queste predizioni " sintetiche ". Questo tipo di pre­ visione è piu raro, ma fa molta piu impressione - almeno secondo me - ed è in generale di molto maggiore importanza del tipo nor­ male, " analitico ", di previsione scientifica, basata su teorie ben sta­ bilite. Gli esempi di quest'ultimo tipo sono tanti che è difficile dirne uno caratteristico. Si presentano nella vita quotidiana di ogni fisico e di ogni ingegnere, che progetti un apparecchio e si aspetti che funzioni " secondo le previsioni ". Se entrate in una stanza e vedete la testa e il corpo di un uomo dietro uno scrittoio, siete sicuri che avrà anche le gambe, benché non le vediate, e non siete meravigliato se risulta che effettivamente la vostra predizione era giusta (ahimè, potreste anche esservi sba­ gliati perché potrebbe trattarsi di uno storpio). Bene, questo è esat­ tamente quello che accade nell'ordinario corso della scienza, con la differenza che le forme, non osservate ma presumibili, sono meno ovvie di quelle del corpo umano e devono essere dedotte con al­ cuni calcoli. D'altra parte, ciò che io intendo qui per predizione sintetica può essere illustrato ricorrendo all' '' altra faccia" della luna, che è invi­ sibile come le gambe dell'uomo dietro il tavolo. Supponiamo che al tempo della scoperta della forma sferica della parte visibile della luna ci fosse stata una scuola filosofica che insistesse sull' opportunità di formulare in ogni caso le ipotesi piu semplici e ritenesse che un piano è la superficie piu semplice. Allora gli astronomi avrebbero di­ chiarato che la luna è una semisfera con una parte posteriore piana, in perfetto accordo con le osservazioni allora possibili. Tuttavia sotto l'influenza di altre esperienze le idee di ciò che è semplice si modi­ ficano. Un giorno qualcuno trovò che lo spigolo circolare lungo

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il quale il piano e la sfera s'intersecano era contrario all'idea che egli si era fatta della semplicità, e che un'intera sfera era una super­ ficie pili perfetta. lo non vi riferirò la prolungata e violenta discus­ sione sull'idea filosofica di perfezione e semplicità che ne seguI, e che condusse, all'epoca del Governo " superficista ", al processo del modernista davanti all'Inquisizione e alla sua condanna al rogo. Ma qualche tempo dopo nuove osservazioni misero in luce l'esistenza di piccole oscillazioni della luna, che resero visibili piccole aree del lato invisibile e mostrarono l'assenza dello spigolo, la continuità della superficie. Ora, la nuova teoria fu generalmente accettata, e il suo autore celebrato come martire della verità; e quando i mode­ rati Lunscevfchi furono vinti dai radicali Pallscevfchi, diventò pe­ ricoloso negare che la luna era una perfetta palla, benché ancora nessuno avesse visto la parte centrale dell'altra faccia. L'aggiunta fatta da Maxwell del termine mancante è proprio come lo smussamento delle irregolarità di una forma, benché que­ sta forma sia qui una struttura matematica di un tipo pili raffinato di una sfera. Permettetemi di dilungarmi un poco su questo concetto di forma che ho usato. Quello che intendo è l'idea che alcuni moderni psi­ cologi (von Ehrenfels, Kohler, Wertheimer, Katz e altri) hanno introdotto col termine tedesco di Gestalt, per descrivere il pro­ cesso elementare connesso con la percezione delle impressioni dei sensi. Il fatto sperimentale è che impressioni sensoriali simultanee non sono indipendenti, come in un mosaico, ma formano un'unità psichica di forma definita. Non si vedono pezzetti colorati da com­ porre poi mediante un processo secondario, ma si vede l'uomo die­ tro al tavolo. Un buon esempio di forma è una melodia; essa è udita insieme alle note che la compongono, ma ovviamente è pili di queste note componenti. Ora io ho un'idea favorita, quella se-

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CAPITOLO PRIMO

condo cui alla domanda: " Che cosa è la realtà descritta dalle for­ mule della fisica teorica? " si può rispondere applicando la stessa concezione, con l'osservazione supplementare che le " fonne " degli oggetti della fisica sono gli invarianti delle equazioni: essi hanno lo stesso genere di realtà, intendo realtà oggettiva nel mondo esterno, come ogni fonna delle cose familiari, per esempio quelle del corpo umano. E non posso vedere come la predizione analitica nelle scienze differisca molto dal procedimento quotidiano senza il quale non potremmo vivere, mediante cui ci aspettiamo che una forma, riconosciuta mediante alcuni criteri, sia compiuta e abbia tutte le sue proprietà caratteristiche. Una predizione sintetica, invece, è basata sull'affermazione ipotetica che la forma reale di un feno­ meno parzialmente noto è diversa da come appare. Se ciò è con­ fermato dall'esperienza produce nuova conoscenza, ed è un me­ todo legittimo, anche se ipotetico. Ma il suo successo dipende molto dall'intuito, e molto difficilmente questo metodo può essere appreso. lo credo che la distinzione sia utile per apprezzare il valore delle scoperte scientifiche. Illustriamola con qualche esempio. Uno dei casi piu celebri è la scoperta del pianeta Nettuno fatta da Galle, secondo le predizioni teoriche di Adams e, indipendente­ mente, di Leverrier, basandosi su piccole perturbazioni del moto di altri pianeti. Questa è un'ammirevole impresa di abilità matema­ tica, di pazienza, e di fiducia nei risultati. Ma anche senza volerIa diminuire, si può dire che questo non allargò il campo visuale della teoria; è stata una predizione analitica, un'applicazione delle fonne ben note della meccanica newtoniana. Una situazione molto simile si ha rispetto alla celebre predizione d ella rifrazione conica di Hamilton, che spesso si cita come esem­ pio della potenza della teoria. Non nego affatto questa potenza, ma

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non c'è dubbio che questa scoperta è basata su una teoria data, e che è consistita· nel districare abilmente le proprietà riposte delle superfici d'onda di Fresnel. È diverso il caso per la predizione di Einstein riguardo alla de­ flessione della luce per effetto del sole, derivata dalla sua teoria della relatività generale; perché questa teoria è una generalizza­ zion fondamentale della teoria di Newton. Voglio usare questo esempio per mostrare che se Einstein ha indovinato, aveva una base molto solida per le sue ipotesi nei fatti fisici, ed è pertanto giusti­ ficabile usare per essa la parola " sintesi ". L'arte dell'immaginazione scientifica consiste nell'indovinare l'importanza di un fatto, che in questo caso era noto sin dai tempi di Newton, ma che non aveva eccitato la curiosità dei fisici per molte generazioni. Questo fatto è la proporzionalità tra la massa misurata mediante l'inerzia e quella misurata mediante la gravità, che era stata sup­ posta da Newton e piu tardi confermata da Bessel, Eotvos e altri, con un grado di precisione estremamente elevato. Il problema di spiegare questo fatto era al di là della portata di Newton e dei suoi successori; ma la cosa strana è che per due secoli non si è presen­ tato affatto come un problema a questi successori. La possibilità di una soluzione dipendeva da una lunga serie di ricerche: la sosti­ tuzione della idea di forza agente a distanza col concetto di campo propagantesi con velocità finita; la definizione di relatività lineare, e infine, ma non meno importante, la generalizzazione ipotetica della geometria euclidea fatta da Gauss, Riemann, Ricci, Levi-Ci­ vita e altri. Ci voleva tutto questo, e che fosse messo a fuoco nella mente di Einstein dall'enigma dei due aspetti della massa. La nuova teoria è una sintesi gigantesca di una lunga catena di risultati empi­ rici, non un colpo di testa improvviso. La relatività generale esprime le leggi fisiche in un linguaggio geometrico, e nello stesso

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tempo fa della geometria una parte della fisica. Essa ha un aspetto aprioristico come o anche piu della geometria euclidea. Ciò è do­ vuto alla sua perfezione matematica, senza la quale noi non la rico­ nosceremmo come una teoria. Ma se ne siamo tanto soddisfatti da considerarla come definitiva, ci sbagliamo. Ci si accorse subito che la relatività generale non era definitiva: non serviva a comprendere la natura della materia, né l'esistenza di diverse particelle elemen­ tari, né quella dei campi. Furono tentate generalizzazioni da parte di Einstein, Eddington e altri. Ma la probabilità di un'intuizione corretta sembra piccola. Fino ad ora niente di definito ne è venuto fuori, tranne il fatto che vi è ampio campo per possibili teorie oltre il modello originario di Einstein. Consideriamo l'altro ramo fondamentale della fisica moderna, la teoria dei quanti. Essa fu preceduta da una serie di scoperte speri­ mentali : i raggi catodici, i raggi X, la radioattività, eccetera, molte delle quali risultarono al di là delle possibilità della meccanica clas­ sica e dell'elettrodinamica. Ma nessuna di esse condusse diretta­ mente alla scoperta del quanto di energia. Planck nel 1900 vi fu condotto - dovrei dire " per disperazione " - dal fallimento delle leggi classiche nella spiegazione delle proprietà del calore rag­ giante. Egli scopri la sua formula per la radiazione attraverso un'interpolazione di leggi semiempiriche per le lunghezze d'onda molto grandi e molto piccole, e suggeri poi come ipotesi di lavoro la sua interpretazione per mezzo dei quanti di energia. Il lungo pe­ riodo di venticinque anni trascorsi prima dell'apparire della mecca­ nica quantistica è caratterizzato dall'accumularsi di sempre piu numerose dimostrazioni empiriche della realtà di questi quanti e dell'assoluta insufficienza dei concetti classici per trattarli. Rife­ rirò solo le scoperte piu importanti: la spiegazione di Einstein del­ l'effetto fotoelettrico; la sua teoria riguardo ai calori specifici dei

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solidi; l'interpretazione di Bohr del principio di combinazione di Ritz per gli spettri di righe e la verifica sperimentale da parte di Franck e Hertz, seguita dalla teoria generale di Bohr sulla struttura atomica e la tavola periodica degli elementi; gli effetti Compton e Stern-Gerlach; la soluzione degli spettri di bande e la scoperta in essi di regole quantichej e innumerevoli altre. Le idee vaghe at­ torno ai quanti divenivano sempre piu chiare a ogni nuova sco­ perta: piccole modificazioni dei principi fondamentali non basta­ vano; ma si andava compiendo una rivoluzione generale. La meccanica quantistica che fu il risultato di questo processo ha due radici apparentemente indipendenti: la meccanica delle matrici e le sue generalizzazioni (Heisenberg, Born, Jordan, Dirac), e la meccanica ondulatoria (de Broglie, Schrodinger). Prima di di­ scutere. queste idee dal punto di vista della fisica, permettetemi di dire alcune parole a proposito degli strumenti matematici. En­ trambi gli aspetti della meccanica quantistica sono largamente ba­ sati sul lavoro di Hamilton, e ciò viene spesso riconosciuto per la meccanica ondulatoria: Hamilton ha preparato la strada distri­ cando le relazioni tra ottica geometrica e teoria ondulatoria, e dimostrando la stretta analogia tra il principio di Fermat in ottica e la formulazione di Hamilton stesso del principio della minima azione in dinamica. Ma anche l'altra forma della meccanica quan­ tistica, caratterizzata dall'uso di matrici e operatori, deve essere fatta risalire alla concezione fondamentale di Hamilton. Nel 1 843 Hamilton inventò i " quaternioni ", che sono il primo esempio di algebra non commutativa. Quest'espressione incolore non eccita l'immaginazione come la frase " geometria non eucli­ dea ", che chiaramente rappresenta la rottura con un'antica tradi­ zione di pensiero e l'alba di una nuova epoca. Ma il lavoro di Ha­ milton rappresenta una svolta della stessa importanza: egli tentò di

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generalizzare la rappresentazione dei vettori nel piano mediante i numeri complessi z = x + iy, estendendola a vettori nello spazio. L'idea era di ottenere un corrispondente analitico alle costruzioni geometriche (per esempio: la " somma geometrica " di due vettori a, h è rappresentata dal procedimento analitico a + h). Hamilton trovò una generalizzazione naturale degli ordinari numeri com­ plessi, avente quattro termini ( quaternioni), per cui tutte le leggi dell'algebra sono valide tranne una, la legge commutativa della moltiplicazione: ah è diverso da ha. Questo fu il principio dell'algebra moderna, che può a buon di­ ritto essere paragonata alla geometria di Riemann nella sua in­ fluenza non solo sulla matematica ma anche sulla fisica. I quater­ nioni in' se stessi non sono stati cosi fecondi come Hamilton ed alcuni dei suoi entusiasti allievi avevano sperato. Una costruzione piu generale, le matrici di Cayley, si sono mostrate lo strumento veramente adatto a innumerevoli ricerche fisiche e matematiche. lo appresi il loro uso da giovane studente (ebbi Rosanes e Min­ kowski per insegnanti d'algebra) e le ho applicate a diversi pro­ blemi di fisica teorica (per esempio nella teoria reticolare dei cri­ stalli). Ebbi COSI la fortuna di riconoscere la moltiplicazione sim­ bolica di Heisenberg (che ora discuterò) come un esempio del ben noto calcolo delle matrici, e di essere il primo, per quanto ne so, che mai scrisse una strana equazione come pq - qp = h / 27ti (pub­ blicata in collaborazione con Jordan), in cui i simboli non commu­ tativi sono vere rappresentazioni di quantità fisiche (coordinata q e quantità di moto p). Quasi contemporaneamente Dirac ha stabi­ lito la meccanica non commutativa in una forma molto generale e soddisfacente. Oggi tutta la fisica teorica è basata su questi metodi matematici. Si dice spesso che fu un'idea metafisica a condùrre Heisenberg al

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principio della meccanica delle matrici, e questa affermazione è usata come un esempio in loro favore da quanti credono nel potere della pura ragione. Bene, se domandaste ad Heisenberg, egli sa­ rebbe decisamente contrario a questo punto di vista; e poiché ab­ biamo lavorato insieme, io credo di sapere che cosa c'era nella sua resta. A quel tempo eravamo tutti convinti che la nuova meccanica doveva essere basata su nuovi concetti, con una soltanto debole connessione coi concetti classici, come era espresso dal postulato di corrispondenza di Bohr. Heisenberg aveva l'impressione che si dovessero eliminare tutte le quantità che non avevano diretta re­ lazione con l'esperienza: voleva fondare sull'esperienza la nuova meccanica, il piu direttamente possibile. Se questo è un principio " metafisico ", bene, non posso contraddire; voglio solo dire che esso è esattamente il principio fondamentale della scienza moderna nel suo complesso, ciò che la distingue dalla scolastica e dai sistemi fi­ losofici dogmatici. Se però ciò si prende - come molti lo hanno preso - nel senso che si debbano eliminare dalla teoria tutte le quantità nori osservabili, allora si arriva ad assurdità. Per esempio la funzione d'onda di Schrodinger è una quantità non osservabile, ma fu accettata naturalmente in un secondo tempo da Heisenberg come un concetto utile. Egli affermò un principio non dogmatico, ma euristico: trovò con un atto d'intuizione scientifica i concetti spuri che andavano eliminati, e tenterò di descrivere come. Secondo Bohr, gli elettroni si muovono attorno al nucleo con or­ bite simili a quelle dei pianeti attorno al Sole. La meccanica classica usa il metodo di Fourier per descrivere tali moti quasi-periodici. Ogni coordinata è analizzata in una somma di moti armonici, il primo dei quali ha frequenza VI, fondamentale, e gli altri multipli di questa, V2 = 2VI, V3 = 3VI, ... , che sono le armoniche superiori. Gli spettri di righe degli atomi, tuttavia, non mostrano tracce di

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queste armoniche Vn = nVI; ubbidiscono invece a una legge scoperta da Ritz. Tutte le frequenze di uno spettro possono essere espresse mediante una serie di " termini " T l, T2, della formula Vnm = = Tn Tm; essi si dispongono perciò secondo una matrice quadrata e sono individuati da due indici •••

-

o V2I

VI2

V13

o

V23

In spettroscopia sperimentale i risultati delle misure di gruppi di righe, i cosiddetti multipletti, venivano disposti in tabelle simili a quella riportata, e sembra strano ora che queste tabelle non abbiano mai suggerito l'idea di una matrice a un fisico pratico di matema­ tica. Ma ciò non avvenne, e il progresso fu di fatto molto piu indi­ retto e basato su molte piu prove sperimentali. Dapprima si ebbe l'identificazione suggerita da Bohr dei termini Tn coi valori del­ l'energia degli stati stazionari, applicando la legge di Planck nella forma En = hTn. Poi segui una lunga serie di considerazioni che derivavano le formule quantistiche da quelle classiche, mediante una sorta d'intuizione matematica guidata dalla corrispondenza (Bohr, Heisenberg e Kramers, Born). Queste formule, ben confer­ mate dall'esperienza, suggerirono a Heisenberg la possibilità di esprimerle mediante una specie di moltiplicazione simbolica. Il bandolo di questa formulazione è l'osservazione che dalle regole di Ritz segue la legge della composizione additiva delle frequenze: Vnk + Vkm = Vnm,

e da qui la legge per la composizione moltiplicativa exp(ivnkt).exp(ivkmt)

=

exp(ivnmt).

Questo porta subito alla moltiplicazione di Heisenberg, che fu ben

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presto identificata col noto calcolo delle matrici (Born e Jordan). La prima conferma della nuova teoria e le sue generalizzazioni ( numeri q di Dirac, operatori di Schrodinger) si ebbero nella iden­ tità di risultati, in casi semplici, con le formule ottenute in modo ovvio mediante il principio di corrispondenza. Fu perciò una linea di ragionamento essenzialmente induttiva che condusse alla teoria piu astratta che sia nota in fisica, in cui le osser­ vabili sono rappresentate da quantità non commutabili (matrici o operatori) e i loro valori numerici dalle loro radici latenti o auto­ valori. Diversa fu l'origine della meccanica ondulatoria. Il carattere cor­ puscolare dei raggi catodici parve definitivamente stabilito dagli esperimenti di J. J. Thomson, e nessuno si aspettava che potessero essere' condotti a dare delle frange di interferenza. L'associazione fatta da de Broglie delle onde coi corpuscoli può a ragione essere ritenuta un trionfo dell'intuizione. Ma anche qui le basi empiriche erano abbastanza chiare. La relatività ristretta aveva dimostrato che: I ) le tre componenti della quantità di moto p e dell' energia e for­ mano un quadrivettore, cioè hanno certe proprietà di trasforma­ zione definite; 2 ) le tre componenti di un vettore onda (un vettore nella direzione della normale all'onda, di lunghezza k = 1 / d'onda) e la frequenza v si comportano ancora come un quadri­ vettore; 3) la teoria dei quanti di Planck, nel frattempo ben stabilita speri­ mentalmente, afferma che a ogni energia e è associata una fre­ quenza, in modo che sia e = bv. Questi fatti suggeriscono fortemente che a ogni particella è asso-

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ciata un'onda, il cui vettore è parallelo alla quantità di moto della particella e soddisfa l'equazione p = hk. Questa è la legge di de Broglie: egli ne ha studiato le conseguenze per le onde piane, e ha indicato l'interpretazione delle condizioni di Bohr con l'aiuto delle onde stazionarie. Ma che cosa predisse? per quanto ne so, nulla. E allora, le frange d'interferenza dei raggi catodici furono scoperte sperimentalmente? Anche questo non è vero. I fatti reali sono questi. Seguendo la direzione di un'osserva­ zione di Einstein, il mio collega Franck ed io ci mettemmo a ri­ flettere sul significato delle onde di de Broglie. Un giorno io rice­ vetti una lettera di Davisson dall'America, che conteneva risultati di misure sulla riflessione degli elettroni da parte di cristalli di nichel, con la richiesta di vedere se potevamo trarre un senso dagli strani massimi e minimi delle sue curve. Come ne venne che noi li mettemmo in relazione con le onde di de Broglie, non ricordo in particolare. Alcune osservazioni di Einstein vi ebbero a che fare; e anche considerazioni sull'effetto Ramsauer (cioè l'aumento del percorso di elettroni liberi in alcuni gas, per velocità decrescenti). In ogni modo, incoraggiammo un allievo di Franck, Elsasser, a lavorarci su; egli trovò la spiegazione corretta, e la formula di de Broglie fu confermata. La dimostrazione finale della diffrazione degli elettroni per mezzo dei cristalli è dovuta a Davisson e a G. P. Thomson. È un fatto storico curioso che il figlio dell'uomo che stabili la natura corpuscolare dei raggi catodici fosse destinato a rivelare i loro aspetti ondulatori. Questa è la vera storia, che non diminuisce per nulla il successo di de Broglie, perché tale è la via naturale del progresso scientifico. La vera fecondità di queste idee fu messa in luce da Schrodinger. Egli scopri la loro connessione col lavoro di Hamilton sulla dina­ mica e l'ottica geometrica, e stabili l'equazione d'onda generale, che

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vale non solo per gli elettroni liberi ma anche per quelli legati negli atomi. A lui si deve la rappresentazione di quantità fisiche mediante operatori lineari. Questo metodo ha il notevole vantag­ gio di trasformare le insolite equazioni della fisica non commutativa in analisi ordinaria. Se per esempio la quantità di moto p è rappred sentata dall' operatore lineare � , la regola di commutazione 2m dq pq - qp = � si riduce alla conclusione ovvia che per ogni fun­ .Z:7rt

zione f(q)

d d = dq qf(q)-qdq f(q) f(q)·

Sostituendo questi operatori differenziali nell'equazione meccanica dell'energia, si ottiene l'equazione d'onda di Schrodinger. Si deve ricordare che questa potente sintesi di teoria ondulatoria e di mec­ canica scaturl indipendentemente anche dalla meccanica delle ma­ trici ; l'equivalenza dei due metodi fu provata piu tardi da Schro­ dinger, assieme a numeroSe applicazioni a vecchi e nuovi problemi. Tuttavia, la nuova teoria era molto formalistica. Nessuno sapeva che cosa realmente significasse la funzione d'onda di Schrodinger. Ancora una volta la soluzione di questa questione non fu libera in­ venzione della mente, ma imposta dai fatti sperimentali. L'interpre­ tazione statistica delle onde di de Broglie mi fu suggerita dalla mia con oscenza degli esperimenti sulle collisioni atomiche, che avevo appreso dal mio collega sperimentale James Franck. Tutto lo svi­ luppo della meccanica quantistica mostra come l'accumularsi di osservazioni e misure produca lentamente formule astratte per la loro descrizione sintetica, e che la comprensione del loro significato si raggiunge piu tardi. Ciò fu compiuto mediante le considerazioni di Heisenberg sulla impossibilità di misure esatte simultanee di posi­ zione e di velocità o di altre coppie di quantità " coniugate " (prin-

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cipio d'indeterminazione), cui fecero seguito un gran numero di ricerche matematiche astratte, confinanti con l'epistemologia e la filosofia (Jordan, Dirac, Neumann e altri). L'essenza dell'interpretazione statistica è questa: il quadrato della funzione 'IjJ di Schrodinger per un insieme di particelle rappresenta la probabilità di trovare la particella in punti (o con velocità, o con energie) rappresentati dai suoi argomenti. Senza dilungarmi su que­ sto tema affascinante, specialmente sul principio d'indetermina­ zione e sulla questione della causalità e del determinismo in fisica, mi limiterò ad alcune osservazioni. Secondo la meccanica classica le configurazioni e le velocità di tutte le parti di un sistema isolato in un dato istante determinano compiutamente il suo moto futuro. Anche nella meccanica quan­ tistica esiste una quantità determinata dal suo valore iniziale, cioè la funzione 'IjJ; tuttavia non si possono ricavare da 1jJ le configura­ zioni e le velocità delle particelle, ma solo la probabilità di una certa configurazione o di un certo insieme di velocità. Perciò, ri­ spetto al determinismo, la situazione è fondamentalmente diversa. I metodi statistici sono stati usati in termodinamica molto prima dello sviluppo della meccanica quantistica. Erano considerati espressione dell'insufficienza della nostra conoscenza, con l'idea recondita che questa limitazione avrebbe potuto essere corretta. Nella nuova teoria vi è un limite naturale al miglioramento della nostra informazione, e la statistica diviene una parte integrante della meccanica stessa. La termodinamica statistica è divenuta una parte centrale della fisica ed è necessario dare un'occhiata al suo sviluppo. La termodinamica è l'esempio classico del metodo induttivo. Le due leggi fondamentali relative alla conservazione della energia, e

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all'esistenza e all'aumento irreversibile dell'entropia, sono espres­ sioni concentrate delle esperienze accumulate, cioè dell'impossi­ bilità di costruire un perpetuum mobile o una macchina che possa assorbire calore da una sorgente (come il mare) e trasformarlo com­ piutamente in lavoro meccanico (moto perpetuo di seconda spe­ cie). Whittaker ha chiamato un'affermazione di questo genere " principio d'impossibilità ", e ha espresso l'idea che pochi principi di questo tipo sono sufficienti per costruire l'intera fisica. La relati­ vità, per esempio, è la conseguenza della nostra impossibilità d'in­ viare segnali con velocità infinita, e la meccanica quantistica può essere ridotta alla nostra impossibilità di misurare contemporanea­ mente coordinate e momenti, eccetera. Comunque sia, voglio ri­ chiamare l'attenzione sul fatto che tutti questi principi, in parti­ colare quelli della termodinamica, non sono dati a priori ma sono il risultato di una lunga esperienza: l'uomo non ha mai accettato la sconfitta, se non dopo una lotta ostinata. Sotto quest'aspetto il caso di Robert Mayer merita speciale attenzione. Egli era un fisico, e la sua immaginazione scientifica era orientata verso il problema del­ l'equivalenza del calore e del lavoro meccanico, mediante osserva­ zioni fisiologiche sulla differenza di colore del sangue umano ai tropici e nei nostri climi temperati. Da questo insolito punto di partenza, egli trovò alla fine un metodo per calcolare l'equivalente meccanico del calore da semplici proprietà dei gas. Ma quando egli presentò la sua memoria, essa fu rifiutata dai responsabili della pubblicazione perché era ampiamente corredata di considerazioni filosofiche e metafisiche: e a quei tempi ciò non era una raccoman­ dazione per una teoria fisica. Le faticose misure di J oule e i ragio­ namenti matematici di Helmholtz furono invece accettati senza difficoltà. Ciò fu duro per Mayer, e forse ingiusto: perché egli aveva dato una dimostrazione convincente, come fu riconosciuto

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piu tardi da Joule ed Helmholtz stessi. Se noi rifiutiamo alcuni ar­ gomenti filosofici, questo non significa che rifiutiamo ogni teoria a cui essi si applichino: vi prego di ricordarvene per quando dovrò criticare alcuni autori moderni. La caratteristica sorprendente della termodinamica è che alcune affermazioni semplici e negative conducono a conseguenze della portata del concetto di temperatura assoluta e di entropia, e a un gran numero di relazioni tra quantità misurabili, come il calore specifico, la compressibilità, la dilatazione termica, i coefficienti gal­ vano- e termo-elettrici, le affinità chimiche eccetera. Però la ter­ modinamica è, a dispetto del suo nome, solo una connessione for­ male tra proprietà termiche e dinamiche. La reale identità tra ca­ lore e moto fu stabilita mediante la teoria cinetica, prima per i gas, poi per i sistemi di natura piu generale: a tutti è nota l'idea fonda­ mentale di questa teoria, secondo cui non è né possibile né neces­ sario conoscere ogni particolare del moto di tutti gli innumerevoli atomi contenuti in una porzione di materia, ma è sufficiente cono­ scere il loro comportamento medio per prevedere i fenomeni os­ servabili. Per questa via s'introduce la statistica nella meccanica. I principi della meccanica statistica si sono sviluppati passo passo, per tentativi, dalla prima formulazione della legge di Maxwell sulla distribuzione delle velocità fino alle generalizzazioni piu complesse di Boltzmann, Gibbs, Fowler e Darwin. Questi principi implicano naturalmente il concetto di probabilità e ne condividono il carat­ tere d'incertezza. Per quanto io vedo, l'unico fondamento della dottrina della probabilità, il quale non è soddisfacente per una mente legata all'idea di " assoluto ", ma almeno non è piu misterioso della scienza nel suo complesso, consiste nell'atteggiamento empi­ rico: le leggi della probabilità sono valide proprio come ogni altra legge fisica, in forza dell'accordo delle loro conseguenze con l'espe-

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rienza. Lo sviluppo della fisica statistica è una dimostrazione di questo punto di vista. Ogni statistica dipende dalla scelta di ciò che s'intende per casi ugualmente probabili, o, piu generalmente, dalla scelta di un peso " per una distribuzione data. È vero che le proprietà d'invarianza delle equazioni della meccanica classica li­ mitano in una certa misura (mediante il cosiddetto teorema di Liouville) questa scelta, ma il risultato che il peso statistico è pro­ porzionale all'estensione nello spazio delle fasi (spazio delle coordi­ nate e delle quantità di moto) può essere giustificato solo dalla con­ cordanza delle conseguenze con le osservazioni. Lo stesso vale per le modificazioni introdotte dalla teoria dei quanti. La descrizione dei pesi statistici è perfino piu semplice per i sistemi quantizzati: ogni stato di data energia che non possa es­ sere con mezzi fisici spezzato in diversi stati ha lo stesso peso. Que­ st'ipotesi è stata controllata con numerose applicazioni; se essa per esempio si applica al caso di oscillatori elettrici che emettono e assorbono radiazione, si ottiene per quest'ultima la legge di Planck. Ma proprio quest'esempio può essere considerato da un diverso punto di vista, e conduce allora a un nuovo risultato sperimentale. Secondo de Broglie la radiazione stessa deve essere equivalente a un gas di quanti di luce o di fotoni, a cui si può applicare diret­ tamente la statistica quantica (senza usare gli oscillatori assorbenti cd emittenti). Se ora si trattano questi fotoni come vere parti­ celle, aventi una propria individualità, non si ottiene la legge di Planck. Si deve invece fare l'ipotesi che due stati che differiscono solo per lo scambio di due fotoni sono fisicamente indistinguibili, c statisticamente devono essere contati come un unico stato. Bose c Einstein hanno esteso quest'ipotesi ad altri gas e hanno dimo­ strato che per temperature estremamente basse e alte pressioni ci devono essere deviazioni dalle ordinarie leggi dei gas. /I

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Sfortunatamente queste condizioni si realizzano difficilmente con l'esperienza, e l'interessante risultato della mancanza d'individua­ lità delle particelle sarebbe rimasto una speculazione teorica se non fosse stato confermato da un modo di ragionare del tutto diverso, che provenne dalla spettroscopia. Il primo passo fu la scoperta dello spin dell'elettrone fatta da Goudsmit e Uhlenbeck (prima dell'epoca della meccanica ondulatoria), che risultava dall'interpre­ tazione di fatti empirici mediante la meccanica dell' elettrone. Tali fatti consistevano nell' osservazione che molte righe spettrali mo­ stravano una struttura fine ( doppietti, tripletti, ecc.) che non po­ teva essere spiegata con l'ipotesi che l'elettrone fosse una particella senza struttura; ma poteva essere interpretata assegnando all'elet­ trone un moto di rotazione, se si trattava questo moto con le regole quantiche già note (effetto Stern-Gerlach). Anche il secondo passo fu legato alla spettroscopia. Il primo in­ dizio per la comprensione degli spettri atomici venne dal principio di combinazione di Ritz, che abbiamo già discusso (p. 26): tutte le righe di uno spettro possono essere ottenute considerando le differenze Vnm = T - Tm di una serie di termini T I T2, Ma ap­ pare evidente fino dal principio che non tutte queste differenze corrispondono a vere linee osservabili, e che si devono dare le co­ siddette regole di selezione e di esclusione. Quando Bohr riuscl a interpretare i termini T.. come livelli energetici di orbite elettro­ niche, e poté assegnare numeri quantici definiti a ogni elettrone, risultò che non solo si dovevano escludere alcune transizioni fra due stati elettronici, ma anche che alcuni stati meccanicamente possibili non si presentavano. Pauli formulò questo principio di esclusione in un modo estremamente semplice: Non esistono stati in cui due elettroni avrebbero la stessa serie di numeri quantici (compresi quelli dello spin); e, inoltre, se due serie di numeri n

•••

ES PER I M ENTO E TEOR I A

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quantici differiscono solo per lo scambio dei numeri di un elet­ trone con quelli di un altro, essi rappresentano soltanto uno e un medesimo stato dell'intero atomo. Qui di nuovo riconosciamo la mancanza d'individualità delle particelle, ma sulla base di prove molto piu dirette. Non dobbiamo infatti dimenticare che il principio di esclusione di Pauli si ap­ poggia su fatti sperimentali, come l'inesistenza dello stato che sa­ rebbe il fondamentale dell'atomo di elio (perché entrambi i suoi elettroni avrebbero allora la medesima serie di numeri quantici, e precisamente la minima), ed è confermato da innumerevoli con­ seguenze. La piu importante è la spiegazione, dovuta a Bohr, del sistema periodico degli elementi, che si basa essenzialmente sul­ l'idea degli strati completi di elettroni derivata dal principio di Pauli. Dal punto di vista della meccanica quantistica la situazione può essere descritta in questo modo. Consideriamo una funzione 1jJ (nl , n2), dove nl, n2 sono numeri quantici di due particelle indi­ stinguibili. Come abbiamo detto piu sopra, il quadrato di 1jJ rap ­ presenta la probabilità di trovare le particelle negli stati nl, n2 , e la mancanza d'individualità è espressa da r(nl, n 2) = 1jJ2 (n2, nl). Ne seguono due possibilità per la 1jJ stessa: o

oppure

1jJ(nl, n2) = 1jJ(n2 , nl) 1jJ(nl, n2) = - 1jJ(n2 , nl).

Il secondo caso implica per uguali valori di nl ed n2 1jJ(n, n) = - 1jJ(n, n) = o , che ovviamente è l'espressione del principio di esclusione di Pauli . Ora è risultato che non questo caso, ma il primo (1jJ simmetrica negli argomenti) corrisponde alla statistica di Bose e Einstein, men-

CAPITOLO PRIMO

tre l'altro ('I/' antisimmetrica) indica un comportamento piuttosto diverso. Le conseguenze statistiche per questo caso, che vale non solo per gli elettroni ma anche per i protoni ( e altre particelle), sono state elaborate da Fermi e Dirac. Queste proprietà delle funzioni d'onda e il principio di Pauli sono una parte essenziale della meccanica quantistica. lo spero di avervi convinto che sono derivate da lunghi ragionamenti indut­ tivi, in cui sprazzi di fantasia si sono alternati con faticose osserva­ zioni e interpretazioni di fatti. Era quello un periodo d'ideale col­ laborazione fra esperimento e teoria; non c'era né lo sperimenta­ tore che si vantava della purezza empirica dei suoi risultati, né il teorico che pretendeva la conoscenza a priori, ma scambievole aiuto e incoraggiamento. Una volta stabilite, la meccanica e la statistica quantistiche hanno naturalmente consentito di fare innumerevoli previsioni analitiche, molte delle quali furono confermate dall'esperienza. Poté essere sottoposta a calcoli la struttura elettronica degli atomi e delle mo­ lecole, come si era fatto per il sistema planetario nel secolo dopo Newton. I risultati piu importanti sono la spiegazione degli spettri di righe e di bande, la natura dello stato metallico e la valenza chimica. La quantità dei risultati previsti o confermati fu travolgente. Una delle previsioni piu ammirevoli fu quella dell'esistenza di due tipi di atomi di idrogeno, para- e orto-idrogeno, fatta da Hcisenberg. La fisica teorica sembrava definitivamente e trionfalmente alla testa dell'esperimento. Ma, ahimè, solo per breve tempo. Di nuovo venne un' ondata di scoperte sperimentali, di cui molte costituirono una vera sorpresa e non erano nemmeno implicitamente contenute nelle teorie accet­ tatc.

E S PERIMENTO E TEORIA

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L a maggior parte d i esse riguardano l a radioattività, i raggi co­ smici e i nuclei atomici. Forse la scoperta piu inattesa fu quella del neutrone (Chadwick). Esso cambiò del tutto le nostre idee sulla struttura del nucleo, e apd la via alla sua trattazione mediante la meccanica quantistica. In generale si può dire che circa dal ' 9 3 0 l e esperienze furono alla testa della teoria. M a ci sono state due importanti predizioni teoriche, cioè quelle di nuove particelle ele­ mentari: il positone e il mesone. Per quanto ammirevoli, queste scoperte non sono il prodotto della pura ragione ma il risultato finale di una lunga catena di ricerche sperimentali. Il positone è legato all'equazione d'onda lineare di Dirac per l'elettrone rotante. Fare la storia di quest'equazione ri­ chiederebbe un'intera lezione; ma, in breve, può essere sufficiente dire che lo spin dell'elettrone, che, come abbiamo già spiegato, fu scoperto mediante una tipica induzione dai fatti spettroscopici, cioè dalla multiplicità di certe righe (Uhlenbeck e Goudsmit), fu adat­ tato alla meccanica quantistica con l'introduzione di un insieme di semplici matrici rappresentanti i due stati direzionali dello spin (Pauli), e che ogni passo dello sviluppo della teoria dello spin fu ispirato e controllato da esperienze spettroscopiche. Dirac le diede l'ultimo tocco, scoprendo che la generalizzazione relativistica na­ turale dell'equazione d'onda di Schrodinger co �duceva automati­ camente allo spino Come la discussione delle soluzioni dell'equa­ zione di Dirac mise in luce gli stati di energia negativa, e come Dirac riuscl a conciliarli con le nostre tradizionali idee sull'energia mediante l'interpretazione degli stati non occupati come posi toni, è troppo tecnico per essere riferito qui. Ma devo ricordare che egli dapprima credette che le particelle positive della sua teoria fossero protoni, e fu corretto dall'esperienza; le riconobbe infatti come

CAPITOLO P R I M O

elettroni positivi quando furono effettivamente scoperte nei raggi cosmici ( Anderson, Blackett). Nel caso del mesone cercherò di esporre alcune delle idee che condussero il fisico giapponese Yukawa all'ipotesi dell'esistenza di nuove particelle con una massa intermedia tra quella dell'elettrone e quella del protone. Il punto di partenza fu l'esistenza di forze di piccolissimo raggio d'azione che tenevano insieme neutroni e pro­ toni nel nucleo. Yukawa osservò che un potenziale della forma e-T/a /r avrebbe avuto le proprietà richieste se la lunghezza costante a fosse stata scelta dell'ordine di grandezza delle dimensioni nu­ cleari ( 1 0- 1 3 cm); questo potenziale è una generalizzazione del po­ tenziale coulombiano I / r delle forze elettrostatistiche (carica I ) , e soddisfa non l'equazione di Laplace A iJj = o ma l'equazione legger­ mente modificata AiJj = iJj / a2 . Ora, proprio come l'elettrostatica può essere considerata un caso particolare della elettrodinamica descritta dall'equazione di Maxwell, si può costruire un campo dinamico di Yukawa che contiene l'espressione data come caso statico. Ogni componente del campo soddisfa,· invece che all'ordiI a 2cp . . . mo d·l ficata � = 0, a Il' equaz10ne d' ond a A iJj - naria equaz10ne c 2 vt di Yukawa

Le equazioni complete del campo possono essere ottenute da un principio di azione che differisce da quello dell' elettrodinamica dato piu sopra ( [ 2 ] , p. 1 5) per un termine Yz ( if> 2 - A 2) aggiunto all'integrando . Ora, queste equazioni hanno soluzioni che rappresentano onde piane proprio come nel caso di Maxwell, e secondo il principio generale di de Broglie vi devono essere particelle associate a

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ESPER I M E NTO E TEORIA

queste onde, nello stesso modo dei fotoni associati alle onde lumi­ nose. Secondo la teoria della relatività l'energia e di una particella di massa m dipende dalla sua quantità di moto p secondo la for­ mula:

l�] sé s'introducono a questo punto le relazioni di Planck e di de Broglie, e = hy, p = hk, si ottiene 16J D'altra parte l'equazione d'onda di Yukawa [4] conduce per un' onda (/J = A sin 2 1l ( yt - kx) alle stesse relazioni fra y e k, purché mc

h

2 1l a

Questa è una relazione tra il raggio d'azione ( - r o - 1 3 cm) delle forze nucleari e la massa m delle particelle associate al campo vibrante di Yukawa, e si ottiene m=

h

-- = 2 1laC

6 X I O- 27 21l X r o - 1 3 X 3 X

I alO

=3 X

1 0- 25 g;

[8]

questo numero è qualche centinaio di volte piu grande della massa dell'elettrone ( 1 0- 27 g), ma certamente molto piu piccolo della massa del protone ( 1 8 00 masse elettroniche). In questo modo Yu­ kawa fu condotto a prevedere una nuova particella, ora chiamata mesone, che fu realmente scoperta poco tempo dopo nella radia. . ZlOne cosmica. Ancora una volta questo non appare un risultato dovuto a prin­ cipi a priori ma una geniale sintesi di conoscenze già ben stabilite, e di una nuova semplice ipotesi.



CAPITOLO PRIMO

Spero che questi esempI SIano sufficienti per mostrarvi in che modo le teorie vengono formulate e usate. Charles Darwin, professore di fisica a Edimburgo, una volta disse press'a poco cOSI: " L'Uomo Ordinario può vedere una cosa a un pollice dal suo naso; alcuni possono vedere cose distanti due pollici; ma chi vede a tre pollici è un uomo di genio. " Ho tentato di descrivervi alcune delle imprese di questi uomini da due o da tre pollici. La mia ammirazione per loro non è diminuita dalla consapevolezza del fatto che essi erano guidati a mettere il naso nel giusto posto dall'esperienza di tutta l'umanità. Non ho nem­ meno tentato di analizzare l'idea di bellezza o di perfezione o di semplicità di una legge naturale, che ha spesso guidato l'intui­ zione. Sono convinto che una tale analisi non condurrebbe a niente, perché queste idee sono esse stesse soggette a evoluzione. Impariamo qualcosa di nuovo a ogni nuovo caso, e non sono di­ sposto ad accettare teorie definitive su leggi invariabili della mente umana. Ma ora devo tornare al mio punto di partenza, e applicare i ri­ sultati ottenuti ai problemi attualmente non risolti, e in partico­ lare alla teoria di Eddington. Nonostante i brillanti successi del­ l'ultimo periodo, la condizione della fisica teorica è altrettanto pro­ blematica quanto lo è stata in ogni tempo, se escludiamo l'orgo­ glioso periodo tardo-vittoriano in cui si credeva che tutti gli enigmi fossero stati risolti. Vi sono parecchie particel l e elemen­ tari : fotoni, elettroni e positoni, neutroni e protoni, mesoni ca­ richi e neutri (neutretti) e forse neutrini. Ognuna di esse è asso­ ciata a una funzione d'onda ed è caratterizzata da costanti ( ca­ rica e massa) che compaiono nell'equazione d'onda. Ma non si sa praticamente mettere in relazione tutti questi campi l'uno con l'altro, e non abbiamo alcuna teoria per spiegare i rapporti adi-

ESPERIMENTO E TEORIA

mensionali tra le differenti costanti (per esempio il rapporto 1 845 fra la massa del protone e quella dell'elettrone). Particolarmente misterioso è un numero adimensionale che a causa del suo primo apparire nella spettroscopia ( Sommerfeld) è chiamato la costante di struttura fine, il rapporto hC/ 2ne2 (e = carica dell'elettrone) che empiricamente risulta vicino a 1 3 7 . Abbiamo una teoria quan­ tistica del nucleo che ha condotto a molti brillanti risultati, ma appare altrettanto provvisoria quanto la teoria quantistica di Bohr prima della scoperta della meccanica ondulatoria. Molto piu grave è la malattia delle " divergenze " . Esse sono di due tipi, rappre­ sentati da due casi semplici : l'energia elettrostatica di una sfera carica di raggio r è, a meno di un fattore numerico, e2/r; e diventa infinita se il raggio tende a zero. Per conseguenza una carica pun­ tiforme ha un'energia infinita (o una massa infinita, secondo la legge di Einstein). Inoltre, l'energia di un oscillatore quantizzato non è hvn ( come Planck aveva supposto in origine), dove n è un intero, ma hv( n + %); ne deriva che esiste, per n = o, un' energia di punto zero % hv, e ogni sistema che può essere considerato ( per il teorema di Fourier) come la sovrapposizione di un numero in-: finito di oscillatori armonici (per esempio una cavità contenente una radiazione) ha per conseguenza un'energia di punto zero infi­ nita. Simili quantità infinite appaiono in molte considerazioni ri­ guardanti le interazioni tra le particelle e la radiazione, e una grande ingegnosità è stata impiegata per tentare di disfarsene. Di­ rac, Pryce e altri hanno modificato le definizioni di energia e di quantità di moto in meccanica e in elettrodinamica per eliminare l'autoenergia infinita. lo per parte mia ho concluso che queste divergenze mostrano una deficienza fondamentale delle equazioni di Maxwell, e le ho sostituite con un insieme di equazioni gene­ ralizzate; benché queste equazioni siano non lineari e apparente-

CAPITOLO PRIMO

mente intrattabili, hanno qualche probabilità di essere pio vicine alla verità, come appaiono in una nuova teoria di Schrodinger, che è una sintesi di gravitazione, elettrodinamica e teorie meso­ niche. L'altro tipo di divergenza prodotto dal numero infinito di frequenze è anche stato affrontato con pio o meno successo da Dirac, Heitler e Peng, e altri. Eddington si è preoccupato di tutte queste difficoltà quanto noi tutti, e ha fatto interessanti tentativi per superarle. La sua idea conduttrice è che una difficoltà essenziale in una teoria può sem­ pre essere ridotta a un errore epistemologico, a un concetto errato o troppo ristretto: e su questo io sono d'accordo. Ma quando egli tenta di correggere questi errori mediante costruzioni su ciò che egli considera prove epistemologiche, io sono riluttante a seguirlo: mi sorgono dubbi sulla visibilità davanti al suo naso. Per esempio egli ottiene valori numerici per due dei numeri adimensionali, cioè per hcJ 21lel e per il rapporto della massa del protone e quella del­ l'elettrone. Questi numeri sono espressi mediante le proprietà di un astratto .. spazio delle fasi ". La teoria matematica di questo spazio di " nu­ meri E" è molto bella, e presentata in modo da suggerire la pio matura costruzione della mente, ma il fatto è che non si può ne­ gare che nessuno ha mai considerato i numeri E prima che fosse stata sviluppata la teoria di Dirac dello spin, a sua volta conclu­ sione di una lunga serie di astrazioni imposteci dall'esperimento. E se i numeri E fossero esistiti prima in matematica, come parecchie simili algebre non commutative, nessuno avrebbe indovinato che avrebbero potuto servire in fisica, né che significato avrebbero po­ tuto avere, prima che fossero state dedotte dalle osse rvazioni l'esi­ stenza e le proprietà dello spino Eddington mette in relazione le costanti fisiche adimensionali col numero n delle dimensioni del suo

ESPERIMENTO E TEORIA

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spazio E, e la sua teoria conduce alla funzione f(n) = >� n2 (n2 + l ), che per numeri pari consecutivi assume i valori l O, 1 3 6, 666 . . . * Ora, al tempo in cui Eddington incominciò il suo lavoro il va­ lore sperimentale di hC/ 2 1lé era vicino a 1 3 6 = f(4). Esperimenti posteriori indicarono un numero piu grande, e oggi esso è molto vicino a 1 3 7 . Per conseguenza Eddington adattò la sua teoria con l'aggiunta di un'unità. Anche il rapporto delle masse fu ottenuto in funzione di questi interi, cioè come il rapporto delle due radici dell'equazione qua­ dratica. I OX2 - I 3 6x + l = 0 , che è

1 847 ,9, vicino al valore sperimentale 1 8 3 6, 5 ( ed è stato an­

cora corretto). Non posso criticare la derivazione di queste espressioni perché non sono riuscito a capirle. Tuttavia alcune coincidenze di questo tipo, che non sono vere previsioni ma espressioni di quantità note sperimentalmente, mi sembrano prove troppo deboli per una va­ sta teoria: e non ci sono quasi altre predizioni. Non è stato previ­ sto né il neutro ne né il mesone, e anche se in questo modo è stato previsto il numero delle particelle dell'universo, c'è una ben debole speranza di poterlo controllare sperimentalmente ; benché io am­ metta che questo possa essere un concetto utilissimo. lo sono ben lungi dall'attaccare le teorie di Eddington o dal porre in dubbio suoi risultati. Se risulteranno giusti, me ne rallegrerò, ma non " Questi sono proprio numeri apocalittici. È stato proposto che alcune ben note righe d ella rivelazione di San Giovanni dovrebbero essere scritte cosi : "E io vidi un animale venir su dal mare con f( � ) corna . . . e il suo numero

è f( 6) . . • " Ma �i può dIscutere se il numero

x nella frase .. '" e gli fu d ato il potere di continuare x mesi ... " si deve interpretare come l o f( 3 ) - 3f( I ) o come X [f( I ) - f( � ) ] .

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CAPITOLO PRIMO

attribuirei questo (possibile) successo alla filosofia di Eddigton come dottrina da seguire, bensl al suo genio e alla sua intuizione personale. Diamo ora un'occhiata alla teoria di Milne, il cui nome ho ricor­ dato all'inizio. Anche lui afferma di aver derivato le leggi univer­ sali della natura da puri principi epistemologici, uno dei quali è il " metodo operativo " di definizione. Questo nome è stato dato da Bridgman a un procedimento abbastanza comune tra i fisici, che consiste nell'imporre che una quantità fisica non sia definita me­ diante una riduzione verbale ad altri concetti familiari, ma pre­ scrivendo le operazioni necessarie a costruirla e a misurarla. Que­ sta è una regola sana in reazione al verbalismo e al feticismo della parola, ed è utilissima in fisica classica, in cui si ha che fare con quantità che possono essere direttamente misurate, come in ter­ modinamica (Bridgman stesso è un esperto in questo campo) o in elettrodinamica. Per esempio, è ragionevole introdurre la tem pe­ ratura descrivendo le operazioni della termometria o definire il campo elettrico mediante la forza su piccoli corpi di prova. Ma una definizione operativa è piuttosto fuori di posto se si vuole estendere l'idea del campo ai nuclei atomici e agli el e tt r o n i e va incontro a dispiaceri nella teoria quantistica. La meccan ica ondu­ latoria ha un elenco di " osservabili ", ma ciò non significa che le quantità corrispondenti siano rappresentate da variabili i c u i valori potrebbero essere misurati ; sono invece rappresen tate da operatori differenziali o integrali, i cui autovalori possono esse re m isu rati . Non posso capire quale " operazione " sperimentale potrebbe cs�ere disposta in modo da definire un operatore matematico. I n o l tre ho già ricordato che vi sono concetti usati nella meccanica ondula­ tor ia che non sono osservabili, per esempio la funzione d'onda di Schrl;dinger: in linea di principio, non c'è alcun modo di osser,

ESPERIMENTO E TEOR IA

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varIa, perciò non esiste una definizione " operativa ". Tuttavia que­ sto può non importare a Milne, perché egli è principalmente inte­ ressato all'astronomia. Vediamo come usa il principio operativo. Tutta la conoscenza empirica sulle stelle è basata sulla luce che viene dal cielo, e sull'interpretazione mediante strumenti terrestri, telescopi, spettroscopi, orologi, dei dati cOSI ottenuti. Milne limita la sua considerazione fondamentalmente all'uso di orologi soltanto; egli rifiuta di considerare la distanza tra gli spazi interstellari come una osservabile e propone di ridurre questo concetto ad afferma­ zioni sull'arrivo di segnali di tempo. A questo scopo suppone l'esi­ stenza di osservatori su altri corpi celesti, che possano procurarsi come noi orologi e segnali di tempo. L'operazione elementare per studiare lo spazio consiste in questo: noi emettiamo un segnale luminoso a un tempo dato ti del nostro orologio. Questo raggiunge un osservatore su un'altra stella, ed è riflesso o rimandato a noi, dove arriva al tempo t2 del nostro orologio, portando con sé in­ formazioni sul tempo 7: di arrivo del segnale letto sull' orologio della stella lontana. Da questi dati, ti, t2 , 7: (spesso ripetuti), Milne si propone di derivare il fondamento della geometria, della cine­ matica e perfino della dinamica dell'universo. Gli orologi e i segnali luminosi di Milne sono evidentemente un'imitazione del ben noto metodo usato da Einstein per dimo­ strare che la simultaneità assoluta è assurda, e per derivare le tra­ sformazioni di Lorentz. Ma c'è una differenza fondamentale: i se­ gnali luminosi di Einstein viaggiavano soltanto tra due stazioni su uno stesso corpo celeste, non da una stella a un'altra. Il suo mo­ dello è solo un'astrazione e una semplificazione di una osservazione reale, espressa dal risultato negativo della esperienza di Michelson e Morley, a parte il fatto che le trasformazioni di Lorentz non si trovarono per questa via (sarebbero state chiamate trasformazioni

CAPITOW PRIMO

di Einstein) ma erano già note, dedotte (da Lorentz) dallo studio delle equazioni di Maxwell e usate per l'interpretazione dell' espe­ rienza di Michelson. Come di solito avviene in fisica, la deduzione epistemologica di Einstein venne dopo la formale scoperta, per aprire gli occhi a quelli che volevano restare attaccati all'idea di un tempo assoluto. Le operazioni di Milne, d'altro lato, non sono la idealizzazione di reali esperimenti: chi ha mai visto una cosa come la luce terrestre riflessa da una stella fissa? o è verosimile pensare che in tutta la storia futura dell'umanità qualcuno la veda? e veda osservatori su altre stelle, con orologi, e orologi illuminati dalla luce proveniente da noi, cosi che noi possiamo leggerli a nostra volta; o osservatori che gentilmente ci dànno il tempo dei loro orologi quando arriva il nostro segnale luminoso? lo non riesco a riconoscere in queste fantasie l'idea realistica della definizione operativa. Ma questo non è tutto: MiIne ha altre ipotesi e principi episte­ mologici. I suoi osservatori sono non su stelle arbitrarie, ma su. nebulose a spirale o galassie, che secondo la moderna astronomia stellare sono universi-isole, innumerevoli e abbastanza uniforme­ men�e distribuiti nello spazio. Ognuna di esse è formata da m ilioni e milioni di stelle, come la nostra galassia. Ma Milne li considera come singole particelle, ossia punti materiali. Poi usa un principio di uniformità, cioè che un osservatore troverà le stesse leggi di na­ tura e gli stessi aspetti generali dell'universo ( con l'aiuto dei suoi orologi e segnali di tempo descritti sopra) su qualsivoglia galassia egli si trovi. Questo è chiamato un principio epistemologico. Ma è anche usato un fatto empirico, e cioè, nella formulazione di Milne, l'esistenza di un'origine assoluta del tempo, un'epoca di creazione. In realtà dietro questa strana ipotesi è un insieme di osservazioni astronomiche, e cioè lo spostamento verso il rosso delle linee spet-

E S PERIMENTO E TEORIA

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trali delle nebulose a spirale. Si è trovato che questo spostamento aumenta all'aumentare della distanza tra le nebulose, e se questo s'interpreta come un effetto Doppler, indica che l'intero sistema delle galassie si espande in tutte le direzioni. Molte speculazioni sono state originate da questo strano fatto, ed è stato mostrato ( da LemaÌtre, Robertson e altri) che la teoria generale della relatività di Einstein conduce a soluzioni delle equazioni del campo che rap­ presentano questo universo in espansione. Ma poiché solo la distri­ buzione istantanea della velocità è osservabile, resta un largo campo d'ipotesi sul passato e il futuro del mondo, e l'universo può vibrare come un tutto o espandersi da uno stato iniziale di enorme con­ centrazione. Milne sceglie la seconda alternativa e la afferma come un fatto: il mondo è stato creato 2 X 1 09 anni fa, come un'accumu­ lazione di massa in un piccolo spazio. La spiegazione di Milne del processo di espansione che ha avuto luogo da quell'epoca consiste nella semplice osservazione che le masse concentrate all'inizio del tempo avevano diversa velocità, e perciò ,erano disposte in ogni momento in modo che quanto pia veloce fosse stata una stella, tanto piu sarebbe stata lontana. Que­ sto infatti è il risultato dell'osservazione dello spostamento verso il rosso delle righe spettrali, se s'interpretano come effetto Dop­ pler. Schrodinger una volta osservò che la situazione gli fa venire in mente quella di un uomo che assiste a una corsa di cavalli e si domanda perché i cavalli che si trovano in testa sembrano i piu veloci; e poi improvvisamente si accorge della ovvia interpreta­ zione " cinematica ". Lo stesso sembra essere accaduto a Milne, a un grado tale che egli ha spiegato un'incredibile ingegnosità per met­ tere d'accordo quest'ipotesi col principio di relatività e per de­ durne, assieme al suo postulato di uniformità, le leggi della natura, compresa la gravitazione e l'elettromagnetismo.

CAPITOLO PRIMO

Un fisico ordinario può a stento seguire questo alto volo di idee. Lo spazio interstellare non è vuoto, e la materia intcragisce con la luce (mediante la dispersione, l'assorbimento e la riemissione); i segnali luminosi che viaggiano attraverso le sterminate distanze tra le galassie potrebbero essere influenzati da queste interazioni. Non pare ragionevole escludere fin da principio questa possibilità, fondando tutta la geometria e la cinematica sui segnali luminosi, anche prescindendo dalle obiezioni fatte prima. Infatti se si am­ mette il metodo di Milne di fare rilevazioni nello spazio con se­ gnali luminosi e orologi solo tra sistemi relativamente vicini ( dove la materia interstellare può essere trascurata), si ottiene, come ha mostrato Robertson, un universo di Einstein del tipo già ricordato (LemaÌtre, Robertson). Si deve inoltre tenere in considerazione il fatto che la in.terazione delle onde luminose con la materia inter­ stellare può contribuire allo spostamento verso il rosso, o anche produrlo. Infine, l'età dell'universo di Milne sembra piuttosto breve rispetto a quella del nostro pianeta. Secondo risultati attendibili basati sulla radioattività, le rocce della crosta terrestre si sono formate 1 , 5 X 1 09 anni fa, cioè solo tre quarti della durata dell'intero universo. Ma io non sono esperto in queste questioni cosmologiche e non voglio insistere su qualche punto debole della teoria. Sarebbe in­ giusto, perché l'audacia di dedurre la struttura del mondo da po­ chi principi, e la bravura nel superare difficoltà formidabili non può che essere ammirata. Non voglio scoraggiare alcuno che si sentisse la vocazione d'imbarcarsi in un viaggio cOSI avventuroso. Non credo però che ci sia alcuna via maestra filosofica nella scienza, con pilastrini epistemologici. No: siamo in una giungla, e troviamo la via per tentativi, costruendo la strada dietro a noi, mano a mano che avanziamo. Noi non troviamo pilastrini ai cro-

ESPERIMENTO E TEORIA

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ciechi, ma le nostre pattuglie avanzate li costruiscono per aiutare gli altri. Le idee di Milne e di Eddington possono essere questi pilastrini: la difficoltà è che esse puntano in direzioni opposte; sono due teorie che affermano entrambe di essere costruite su principi a priori, ma molto diverse e contraddittorie. La mia esposizione avrà raggiunto il suo scopo se il lettore tro­ verà che non c'è affatto da meravigliarsi per questa contraddizione; è proprio quello che uno scienziato empirico deve aspettarsi. Il mio consiglio a coloro che vogliono apprendere l'arte della pro­ fezia scientifica è di non basarsi su ragioni astratte, ma di decifrare il linguaggio segreto della natura sui documenti della natura stessa, cioè sui dati dell'esperienza.

z.

1/ concetto di realtà

Quando andavo a scuola, sessant'anni fa, ci insegnavano che la fisica è quella parte delle scienze naturali che si occupa delle pro­ prietà e delle leggi della materia inanimata. La realtà fisica è costi­ tuita perciò dai corpi e dagli oggetti del mondo che ci circonda, in quanto non siano esseri viventi. Ma già allora questa definizione era molto superficiale. Infatti in ogni testo scolastico di fisica appaiono sin dal primo capitolo, che tratta la meccanica, concetti, come per esempio quelli di forza, di energia e simili, che non si riferiscono a corpi; e nei capitoli seguenti, nella trattazione dell'ottica, dell'elet­ tricità e del magnetismo, del calore, tali concetti si presentano sem­ pre pili numerosi: per ricordarne solo alcuni, l'etere luminoso, i campi elettromagnetici, la temperatura, eccetera. Già da allora molti pensatori, sia fisici che filosofi, si erano sforzati di chiarire se a questi concetti corrisponda una realtà fisica, oppure se essi non siano una sorta di concetti -ausiliari. Nel corso degli anni, l'insuffi­ cienza di quella primitiva definizione di realtà fisica è divenuta sempre pili evidente, e, per precisare, non solo perché il concetto chiaro di materia, di corpo o di oggetto è stato sostituito da idee

CONCETTO DI

REALTÀ

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piit sottili, come quelle di campi, di elettroni, e cOSI via, ma anche perché si è venuta sviluppando una strana dualità o ambiguità della realtà: il fisico, oggi come allora, maneggia in laboratorio apparec­ chi di metallo, di vetro e di altre sostanze usuali; essi sono per lui cose reali come quelle della vita di ogni giorno lo sono per ognuno, e ciò che egli osserva sono modificazioni della posizione o dello stato di tali cose comuni. Ma egli parla delle sue osservazioni con un linguaggio del tutto diverso, in cui questi apparecchi reali non hanno alcuna parte, o ne hanno una del tutto subordinata; egli parla di atomi, di nuclei, di elettroni, di mesoni, di campi, e dei loro stati e delle loro proprietà, che, inoltre, non hanno niente a che fare con quelle dei corpi comuni, anzi spesso dal punto di vista dell'esperienza abituale sembrano del tutto astrusi o impossibili. Non è affatto vero che ora i fisici si dividano in due gruppi, da una parte gli sperimentali, che si servono del concetto comune di " cosa ", e dall'altra i teorici, che parlano quella lingua astratta. È piuttosto vero il contrario. Quando io, che sono un teorico, entro in un laboratorio, la mia difficoltà consiste in questo: un giovane sperimentatore mi mostra i suoi risultati, che sono costituiti da combinazioni di letture di indici, sotto forma di tabelle o di dia­ grammi, oppure dall' annerimento di lastre fotografiche; ma egli ne parla con vocaboli che si riferiscono a qualche processo atomico o subatomico, a salti di elettroni o a trasformazioni nucleari, senza accorgersi che per il visitatore la relazione tra ciò che si vede e ciò che non si vede non è senz'altro chiara. La fisica ha dunque, a quanto pare, una duplice realtà: imparare la fisica non significa solo impadronirsi della tecnica delle sue due attività, esperimento e teoria, ma anche conoscere a fondo le due lingue di cui esse si servono, sapere quando usare l'una o l'altra, ed essere capaci di tradurre l'una nell'altra. Ci sono, per questo, regole

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CAPITOLO SECONDo

che si possono imparare e che si possono usare senza analizzarle. La prassi della ricerca se ne accontenta. Ma è chiaro che una si­ mile duplicità non può soddisfare una mentalità filosofica. Da tempo immemorabile lo spirito umano ha teso verso rappresenta­ zioni unitarie e conchiuse dell' essenza del mondo esterno. La fisica appare al profano come una cosa misteriosa e strana non solo per­ ché produce meraviglie tecniche come la televisione, le bombe atomiche, gli sputnik, e COSI via, ma anche perché introduce a quel duplice mondo costituito da un lato di solidi apparecchi e di mac­ chine, dall'altro di immagini invisibili con incomprensibili pro­ prietà. Quando egli sente il fisico descrivere in certi casi un raggio catodico come u n fascio di particelle dette elettroni, e in altre cir­ costanze come un treno d'onde, si domanda con ragione: che cosa sono allora in realtà qu èsti raggi? Per poter rispondere, il fisico deve abbandonare il proprio piano, e porsi da un punto di vista piu elevato. Egli deve rintracciare i fondamenti gnoseologici e filosofici del suo metodo speculativo, e tentare di fondare filosoficamente il suo modo di pensare appa­ rentemente contraddittorio e oscuro in modo che esso si accordi col normale senso comune. Ambiguità del concetto di realtà Prima di discutere le soluzioni del problema a cui ho accennato, devo venire a un punto che non può essere tralasciato senza dar luogo a malintesi: cioè alla mancanza di univocità della lingua. La parola " vero ", " reale ", si usa nella lingua parlata coi significati piu diversi. Se qualcuno mi racconta qualche cosa, e io a mia volta chiedo: " davvero ? ", intendo: " è vero quello che tu dici? " Quando u n uomo di Stato dichiara di perseguire una politica " realisti ca ",

CONCETTO Dl

REALTÀ

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egli vuoI dire che tiene conto dei moventi e delle forze politiche che gli si presentano, senza pregiudizi. " Realtà " del contadino sono i suoi campi e il suo villaggio; quella dell' operaio la sua fab­ brica e la sua strada, quella del musicista la sua orchestra e i suoni che essa produce. Qui la parola " reale " sta per " importante " o per " centro dell'esistenza " . Non tenterò di definire il concetto di realtà in modo da liberarlo da tali implicazioni logiche. Inoltre vi sono sistemi filosofici e religiosi secondo cui solo il mondo spiri­ tuale è reale, e il mondo fisico è solo un'apparenza, un'ombra senza sostanza. Questo punto di vista è di grande interesse filosofico, ma resta al di fuori dei limiti della nostra trattazione, che ha per og­ getto la realtà fisica. Naturalmente anche di questa realtà fisica noi diveniamo consapevoli mediante un atto di pensiero: ma non è quest'atto intellettuale che qui c'interessa, bensl l'oggetto di quest'atto, le cose, che consideriamo reali anche quando attri­ buiamo loro proprietà che le cose della vita di tutti i giorni, com­ presi gli apparecchi fisici, non hanno. Scopo delle pagine seguenti è chiarire queste difficoltà. Positivismo e materialismo Voglio principalmente contrapporre la mia posizione a quella di due indirizzi filosofici che oggi hanno una parte importante, il po­ sitivismo e il materialismo. Essi sono in un certo senso due conce­ zioni estremamente antitetiche, ognuna delle quali conduce fon­ damentalmente a un particolare punto di vista. Voglio dire subito che io non consento con nessuno dei due sistemi, e mi pongo da un punto di vista che comprende i tratti razionali di entrambi, ma vi immette altri pensieri. Sarebbe ora a proposito che per prima cosa io dessi una breve

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CAPITOLO SECONOO

definizione del positivismo e del materialismo . Ma questo è oltre­ modo difficile, perché questi sistemi, col passare del tempo, hanno subito dei mutamenti. Per quanto riguarda il positivismo è piu possibile dare brevemente l'idea fondamentale della teoria. Esso af­ ferma che le sole cose reali sono le percezioni interiormente speri­ mentate ; tutti i concetti necessari alla loro spiegazione e le costru­ zioni della vita di ogni giorno o della scienza sarebbero prodotti artificiali a cui non corrisponde alcuna realtà, inventati solo allo scopo di stabilire rapporti logici intelligibili tra le percezioni e di predire le future percezioni in base alle precedenti. I seguaci di questa dottrina si suddividono ancora nell'interpretazione di ciò che io ho qui indicato con la parola percezione. Gli uni, e tra questi era anche, per esempio, il noto filosofo e fisico Ernst Mach, da cui trasse ispirazione Einstein, intendono l'impressione sensibile. Da questo punto di vista, già il concetto del tavolo che mi sta davanti non designerebbe alcuna realtà, ma solo un concetto ausi­ liario teorico che mette in relazione tra di loro le impressioni sen­ sibili, innumerevoli e sempre diverse, ma tra loro collegate. Altri ritengono che ciò vada troppo oltre, e che debba essere conside­ rata come realtà immediatamente data il mondo delle percezioni, già ordinate in rapporto alle cose. Altri, ancora, spingono questa definizione piu oltre: cOSI per esempio il fisico Pascual Jordan, che si dichiara enfaticamente positivista, dice che la realtà data con­ siste nei dati di fatto dell' osservazione, sia della vita quotidiana, sia della scienza sperimentale. A me pare che l'ultima versione non abbia piu molto in comune col positivismo vero e proprio; chia­ m erei questo punto di vista empirismo, poiché esso non significa altro che esigere dalle teorie fisiche ch'esse concordino con le os­ servazioni : il che mi sembra abbastanza ovvio. I I positivismo nel suo senso piu stretto deve o negare la realtà

CONCElTO DI

REALTÀ

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di un mondo esterno oggettivo e reale, o almeno la possibilità di fare su di esso asserzioni di qualsivoglia genere. Ci sarebbe da cre­ dere che tali posizioni non possano essere assunte da alcun fisico. Eppure ciò accade, ed è perfino molto di moda. Negli scritti di quasi tutti i teorici pio in vista si trovano giudizi di tipo positi­ vistico. Nelle forme piO. estreme, questa filosofia della fisica mi si presentò alla riunione annuale della " British Association for the Advancement of Science ", tenuta nel 1 95 I a Edimburgo, dove io ero allora professore. In quella circostanza, il professor Herben Dingle, titolare della cattedra di filosofia della scienza a Londra, tenne una conferenza sullo stato presente del pensiero fisico, e in essa affermava: " Le cose di cui si occupa la fisica non sono misu­ razioni di proprietà obiettive di parti del mondo materiale esterno; sono semplicemente i dati che otteniamo quando eseguiamo certe operazioni. " Egli cercò anche di chiarire con esempi quest'affer­ mazione: parlava di atomi e molecole come di " gettoni " o di " con­ trofigure ", negando loro cOSI ogni carattere di realtà. lo presi posizione contro questo punto di vista, e cOSI la mia opinione antipositivistica è stata resa nota nell'Unione Sovietica. Infatti uno scienziato russo, il professor Sergej Suvorov di Mosca, ha divulgato la mia posizione, accompagnandola da un suo articolo critico; mi ha poi inviato questi lavori, completandoli con alcune lettere. Devo confessare che è stata per me una gioia questo di­ retto e amIchevole scambio di pensieri con uno scienziato comu­ nista, e particolarmente in un campo - la zona di confine tra la filosofia e la fisica - in cui si tratta di questioni abbastanza sem­ plici e chiare, almeno rispetto a quelle che riguardano l'economia, la sociologia e la politica. Il professor Suvorov chiama brevemente il gruppo dei fisici occi­ dentali che hanno collaborato a porre le basi dottrinali della teoria

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atomica moderna " la scuola di Copenaghen ", poiché fu il grande fi­ sico danese Niels Bohr che con particolare entusiasmo e successo costruf i fondamenti filosofici della teoria fisica. Suvorov conta anche me tra quelli, benché in realtà io sia stato a Copenaghen solo poche volte e per brevi visite. Il fatto che io concordi con le idee fondamentali di Bohr, e prima di tutto col principio di comple­ mentarità, è il risultato di riflessioni personali, delle cui premesse sono grato a Bohr. L'interpretazione della fisica secondo la scuola di Copenaghen è rifiutata dal professor Suvorov, perché positivistica. Egli si fonda su una serie di citazioni di scritti di Bohr, Heisenberg, Jordan e altri. Tutti costoro, come ho già detto, hanno fatto affermazioni che appartengono alla dottrina positivistica, ma solo pochi, e so­ prattutto fra questi Jordan, si sono dedicati a tale filosofia nella sua totalità. Secondo la terminologia marxista, il positivismo è una dottrina soggettiva e idealistica; e perciò è rigettata dal materialismo. Suvorov approva perciò il mio rifiuto del positivismo, e com­ menta i miei argomenti dal suo punto di vista. Ma egli ammette inoltre con rincrescimento che io rifiuto anche il materialismo: fa risalire ciò al fatto che io conosco solo il rigido, superato, mate­ rialismo " volgare " del principio del secolo, ma non concedo niente al nobile " materialismo scientifico " del nostro tempo, che è un'in­ tèrpretazione soddisfacente della fisica moderna nella vasta cor­ nice della Weltanschauung comunista. Egli spiega, e gliene sono grato, le idee fondamentali di questo materialismo rammodernato. Su questo potrei ora anch'io prendere posizione. Voglio però os­ servare che queste considerazioni, che possono benissimo avere che fare col materialismo o col positivismo, non sono fisica, e gene-

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ralmente non entrano nell'ambito della stretta scienza empmca. Esse sono questioni riguardanti la posizione di base, per dirlo al­ l'ingrosso: personalmente, sono incline a considerare queste cose come problemi della sana ragione. Ne parlerò, perché penso che ci possa servire un poco, senza pretese di profonda filosofia. Ho tentato di completare con ulteriori letture i cenni del professor Suvorov sulle nuove forme del materialismo. Non sono natural­ mente in condizione di appoggiare le mie riflessioni con citazioni di autorità incontestabili, come fanno gli autori comunisti con citazioni di Marx, Engels e Lenin. Ciò che io scrivo è la mia opi­ nione personale, non quella di una scuola. Il positivismo Non eluderemo la domanda se l'atteggiamento pOSltlVlstlCO ri­ spetto alla vita in generale sia contestabile, benché noi abbiamo che fare solo con la fisica. Infatti la fisica consiste non solo in con­ cetti e teorie, ma generalmente in esperimenti eseguiti con so­ stanze comuni, da uomini comuni, che si intendono con parole ( anch'esse comuni) per quanto riguarda il loro lavoro. La fisica come attività è una parte della vita di ogni giorno, e in partico­ lare un'attività collettiva. Il positivismo estremo invece, quello che fa valere come verità solo le percezioni sensibili e spiega tutto il resto come relazioni logiche di queste percezioni, è chiaramente l'opposto di una filo­ sofia di azione collettiva; anzi è in altissimo grado soggettivistico: si può a buon diritto definire solipsistico. È noto che questa posi­ zione non si può né confutare né difendere, almeno in senso stretto; infatti un possibile interlocutore non sarebbe altro che

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una costruzione e non una realtà: per inciso, l'ineccepibilità logica è un criterio di correttezza puramente negativo. Di fatto ogni fisico sperimentale è un ingenuo realista, di fronte ai suoi apparecchi. Egli assume la loro realtà come data diretta­ mente, e non si rompe tanto la testa. Bohr ha posto questo atteg­ giamento a fondamento della sua filosofia della fisica; anzi va anche un passo piu avanti. Egli vede l'applicazione della meccanica clas­ sica agli strumenti come altrettanto intuitiva, immediatamente comprensibile, quanto l'uso del linguaggio ordinario: senza ciò, infatti, i fisici non avrebbero alcuna comprensione della loro pro­ pria attività. Ora però la fisica, come è stato detto una volta, opera non solo coi suoi strumenti, ma anche con concetti, come forze, campi, atomi, elettroni, eccetera, i quali hanno in parte il carattere di oggetti, cose, e in parte no, ma che hanno un carattere in comune: non appartengono al mondo comune, e si devono ricavare solo in­ direttamente da risultati sperimentali. Spesso essi sono dedotti dap­ prima attraverso considerazioni teoriche; in alcuni casi si fanno a mano a mano sempre piu accessibili all'osservazione, e mediante ciò divengono " reali " : si pensi per esempio alle molecole chimiche, che oggi si possono fotografare con l'aiuto del microscopio elet­ tronico. Si presenta qui la domanda: è questa l'esigenza di una posizione positivistica? Si deve negare la realtà delle cose introdotte in mi­ crofisica e considerarle solo costruzioni per il collegamento logico dei fenomeni osservabili? Gli argomenti addotti dai positivisti per questa tesi sono essenzialmente di due specie: per prima cosa, si tratta di dimensioni cOSI piccole che non si può parlare di osser­ vazione e di percezioni dirette: quindi i modelli atomici sono solo modelli pensanti, matematici; secondo: per restare in accordo con

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le osservazioni dei fenomeni che si devono spiegare con questi m odelli, si devono attribuire loro proprietà estranee a qualunque altra cosa dell' esperienza quotidiana. Prima di fare obiezioni a quanto ho esposto qui, vorrei osservare che un positivismo conseguente deve ritenere anche il mondo co­ smico dei corpi celesti come un puro modello. Le stelle fisse sono in ogni caso per l'osservatore solo piccoli punti luminosi, la cui luce può dar luogo a uno spettro. Tutte le affermazioni sulla loro grandezza e le loro proprietà fisiche sono ottenute soltanto attra­ verso la riflessione e il calcolo. E per quanto riguarda il Sole, la Luna e i pianeti, le cose non sono molto diverse. Si sa anche che 'Storicamente il nostro odierno modello è vecchio solo di un paio di secoli, e che prima valevano modelli del tutto diversi. lo so­ stengo che oggi, nell'èra degli Sputnik e degli Explorer, quegli argomenti appaiono sciocchi, perché il viaggio cosmico è già stato intrapreso. Certamente tutte le nostre teorie hanno inizialmente il carattere di modelli, ma il modello ben scelto ha un contenuto di realtà che si afferma sempre di piu nel corso della ricerca. Rivolgiamoci ora nuovamente al microcosmo. Anche qui la teo­ ria, sviluppatasi dall' esperienza, fornisce dapprima modelli rozzi, poi sempre piu raffinati, la cui aderenza alla realtà va crescendo; ma - ed è ciò che piu importa - non ci sono confini netti tra il mondo ordinario delle cose grossolane e il microcosmo. Un granello di sale da cucina appartiene certamente al mondo comune: quello della cucina. Si descrive il sale come una polvere sottile le cui parti­ celle sono troppo piccole per essere viste a occhio nudo: è neces­ saria una lente, e per dimensioni ancora minori un microscopio. Sono perciò i granellini di polvere meno reali, oggettivi? Per par­ ticelle ancora minori, come s'incontrano nei colloidi, si può usare un ultramicroscopio, e se questo è insufficiente si prende un mi-

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croscopio elettronico, che, come ho già detto, raggiunge le dimen­ sioni molecolari. Inoltre vengono realmente osservati gli elettroni diffusi da queste particelle: i dispositivi di ricerca che permettono di penetrare nell'interno delle molecole, degli atomi e infine nei nuclei, e di determinare la loro struttura, si basano proprio su tali osservazioni di diffusione. Dove sono dunque i confini tra il mondo grossolano dei sensi con la sua realtà palpabile, e quel mi­ crocosmo che il positivismo vuole ammettere solo come una co­ struzione? Arriviamo cOSI al secondo argomento del positivista. Egli dirà: Sissignore, tale confine esiste. Per interpretare le osservazioni siamo infatti forzati ad ascrivere alle immagini del microcosmo proprietà che differiscono radicalmente da quelle del mondo abituale, e, ciò che piu conta, inaccessibili a una chiara comprensione. Tanto le leggi del cosmo quanto quelle del mondo atomico sono organizzate in due grandi teorie generali, la teoria della relatività e la teoria dei quanti. Secondo la teoria della relatività, la lun­ ghezza di un ente non è invariabile come per un corpo usuale del mondo ordinario, ma dipende dalla velocità del corpo relativa­ mente all' osservatore. Lo stesso vale per la sua massa. Anche il tempo è relativo; due osservatori che con orologi uguali si muo­ vono l'uno relativamente all'altro, giudicano diversa la durata di uno stesso avvenimento. Il professor Dingle sopra citato ne con­ clude che le lunghezze, le masse, i tempi non sono proprietà di cose reali, ma di modelli, pensati in modo tale da permettere di collegare in modo logicamente corretto le osservazioni. Se ci riferiamo al mondo atomico, la cosa diviene ancor piu chiara, anzi lampante. Ma prima di affrontare questa complicata que­ stione, vorrei confermare il mio punto di vista, che si esprime cOSI: i modelli e le costruzioni fisiche hanno un contenuto di realtà

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molto ben determinato, che non differisce essenzialmente dalle cose della vita di ogni giorno. A questo proposito devo stabilire alcune osservazioni preliminari. Estensione dei concetti La prima osservazione concerne la trasformazione dei concetti, e specialmente la loro estensione. Che molti dei concetti della vita comune si modifichino, è una verità ovvia. Essi si adattano ai tempi. Si pensi alla penna per scri­ vere, che oggi non è piu come una volta una penna d'oca tagliata. Ma lasciamo il campo sconfinato della vita di ogni giorno e rivol­ giamoci alla scienza, e per cominciare alla matematica. Il concetto di numero nel suo significato orginario è ciò con cui si conta: I , 2 , 3 , 4, eccetera: il numero intero. Piu tardi si estese alle frazioni, come %, % eccetera, poi agli irrazionali come V�, ai trascendenti come :rt e agli immaginari come h . Già gli antichi Greci sapevano dimostrare che Yz non poteva essere espresso come una frazione, cioè come rapporto di due numeri interi. È un con­ cetto nuovo, e vale in misura ancora maggiore per :rt e per y- I . Eppure oggi tutto è contenuto nel concetto di numero. Il fonda­ mento di ciò consiste nel fatto che queste sono generalizzazioni di numeri, anche quando non hanno in comune coi numeri interi tU: tte le proprietà. In altre parole, si può mediante tali numeri calcolare con le solite regole, limitandosi a modificare o ad omettere or l'una or l'altra di tali regole. Lo stesso principio si usa in geometria. S'introduce nella geome­ tria analitica del piano una retta a distanza infinita, allo scopo di riunire in una semplice espressione determinati casi particolari. Si trovano anche geometrie non euclidee, che operano con punti,

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rette, piani, ma che per determinati aspetti differiscono dalla solita geometria. Finalmente si arriva a generalizzazioni del tipo della geometria di Riemann, in cui non entra piu in giuoco il concetto di retta, che viene sostituito da quello di piu breve cammino o di geodetica. Si vede cosi che anche il basarsi irremovibilmente sulle vecchie definizioni ha i suoi limiti, i quali vengono chiariti attraverso la struttura delle forme stesse che si studiano. Abbiamo esattamente la stessa situazione in fisica: parliamo di ul­ trasuoni che non udiamo; di luce ultravioletta e infrarossa che non vediamo. Siamo cosi abituati a estrapolare in regioni in cui i nostri organi di senso vengono meno, che non pensiamo piu affatto al si­ gnificato originario del concetto. Ci serviamo di questa libertà per quanto riguarda gli enti del mondo atomico. Indichiamo un elettrone come una particella perché esso ha, se non tutte, molte proprietà delle particelle piu grosse, come i granelli di sabbia. Invarianti La seconda considerazione riguarda il concetto di cosa reale, che dobbiamo comprendere piu profondamente. Per l'uomo normale il mondo non è un seguito caleidoscopico di sensazioni, ma un susseguirsi continuamente variabile di eventi in­ terdipendenti, attraverso il quale le cose determinate conservano la loro identità nonostante il continuo variare delle apparenze. Questa capacità dello spirito di guardare al di sopra della variabi­ lità delle sensazioni e di estrarne qualche cosa di costante, d'inva­ riante, mi sembra una delle caratteristiche piu essenziali della no­ stra mente. Vediamo un uccello vicino, davanti a noi, in tutti i suoi particolari; esso si slancia avanti di ramo in ramo, e improvvisa-

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mente si libra nel cielo, come una piccola ombra nera. Eppure è lo stesso uccello. La moderna psicologia ha compreso questi fatti fondamentali della percezione nella parola Gestalt (psicologia della forma). lo ne so qualcosa perché una volta conoscevo bene i suoi fondatori: Kohler, Hornbostel, Wertheimer. Questa dottrina, secondo cui la percezione ha un carattere di to­ talità tale che il tutto è piu della pura somma delle singole perce­ zioni, ha una corrispondenza nella fisiologia dei sensi. Anche qui, naturalmente, non sono un esperto, ma mi sono soltanto sforzato di informarmi un poco sui risultati della ricerca, per esempio attra­ verso la lettura di un libro del fisiologo inglese Adrian.1 Ogni fibra nervosa, sia ch'essa appartenga al sistema ricettivo o motore, sia ch'essa porti al cervell o sensazioni di gusto, vista, udito o calore o, viceversa, invii stimoli motori ai muscoli, si comporta di fatto nello stesso modo: trasporta una serie regolare di impulsi che non hanno niente, ma proprio niente, che fare con lo stimolo. Queste pertur­ bazioni periodiche, secondo la posizione anatomica delle fibre ner­ vose, pervengono a diverse zone del cervello, dove la loro infor­ mazione monotonamente complicata viene decifrata e in un tempo estremamente breve trasformata in un'immagine cosciente. Anche il cervello compie con enorme velocità un processo che si può bene indicare come la soluzione del problema della determinazione delle proprietà invarianti dei messaggi, trasmessi in codice dai nervi. Pertanto il risultato non è affatto un caos di impressioni di­ sordinate, ma l'intuizione di cose e di strutture. Da tutto ciò si può concludere: le singole impressioni dei sensi non sono quello che la scuola positivistica chiama " dati primari ", ma un'astrazione. In realtà sono dati certi aspetti invarianti delle I Vedi in questa collana E. D . ADRIAN, l fondamenti fisiologici della percezione, tra d . G. Moruzzi.

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sensazioni, che noi indichiamo come oggetti, come cose reali. Solo attraverso la riflessione esse si risolvono come singole impressioni sensoriali. Quando dunque ci accingiamo a costruire una filosofia della scienza, ci dobbiamo ricordare di questo fatto. Il ricondursi alle impressioni sensoriali " disordinate come materiale della fisica non ha alcun senso. Da questo punto di vista non potremmo in­ tenderci una sola volta sul piu semplice apparecchio o sulla piu semplice manipolazione. Bisogna prendere le mosse dalle cose della vita di ogni giorno e dalle parole della lingua comune. Il problema comincia quando usciamo dal dominio dei sensi na­ turali, aiutandoci con apparecchi d'ingrandimento, microscopi, te­ lescopi, amplificatori elettromagnetici in connessione con registra­ tori fotografici. Incontriamo allora nuove situazioni in cui l'espe­ rienza della vita di ogni giorno vien meno e il cervello non è piu capace di filtrare dalle singole osservazioni i tratti invarianti aventi il carattere di cose. Chi una volta si è fatto mostrare da un amico medico qualcosa in un microscopio sa quello che voglio dire: egli vede soltanto una confusione di macchie colorate e di contorni, laddove l'esperto studioso riconosce determinati microbi o cose simili. Questo è precisamente ciò che il ricercatore incontra ogni giorno in domini inesplorati. Egli percepisce qualcosa che da prin­ cipio non ha alcun senso; cerca poi le caratteristiche invarianti, in­ dipendenti dalle particolari osservazioni, e arriva a una spiegazione. Ciò non avviene come per i bambini rispetto alle sensazioni della vita di tutti i giorni, inconsciamente e senza sforzo, ma mediante l'applicazione dei potenti apparati della scienza già accertata, e in fisica soprattutto mediante l'analisi matematica. La matematica da cent'anni a questa parte ha profondamente stu­ diato il problema dell'invarianza, e la fisica matematica ha fatto suoi questi metodi e i risultati. Quando noi per esempio nella geoIl

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metria usiamo il metodo cartesiano del sistema di coordinate, de­ tenniniamo una figura geometrica mediante le sue proiezioni sugli assi o sui piani coordinati. Se prendiamo un altro sistema di assi, otteniamo altre proiezioni. Queste grandezze o numeri determi­ nano la figura che studiamo soltanto molto indirettamente. Dob­ biamo dunque trovare attraverso la riflessione le sue proprietà invarianti, indipendenti dalle coordinate. Il grande matematico Felix Klein ha riordinato e classificato tutta la matematica da que­ sto punto di vista. Gli invarianti fisici Esattamente lo stesso accade in fisica. La meccanica analitica, le teorie dei campi sono formulate in termini di coordinate. Le leggi cosi ottenute si riferiscono a una realtà precedentemente stabilita, ma non sono in sé una descrizione di questa realtà, bensi dei suoi rapporti con i sistemi di riferimento scelti. Le proprietà della realtà fisica indipendenti dal sistema di riferimento sono gli invarianti, che si possono costruire dalle coordinate o proiezioni. Ma in fisica c'è una complicazione, perché grandezze che in una fase della conoscenza valgono come invarianti, e sono considerate come immagini del vero, perdono questa posizione in seguito a nuove scoperte. Un esempio di ciò è il passaggio dalla meccanica classica alla teoria della relatività. Secondo le concezioni di New­ ton le distanze, gli intervalli di tempo, le masse, sono grandezze in­ varianti nel passaggio da un sistema di riferimento opportuno (si­ stema inerziale) a un altro; questi concetti vengono meno nel do­ minio dell'elettrodinamica e dell'ottica. Non posso addentrarmi qui nelle considerazioni che sono alla base della teoria della rela­ tività di Einstein; posso solo dire che anche secondo Einstein esi5

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stono sistemi inerziali, cioè sistemi di riferimento opportuni in cui le equazioni fondamentali della fisica valgono nella loro fonna piu semplice; ma le relazioni tra questi sistemi, le cosiddette equazioni di trasfonnazione, sono diverse da quelle di Newton: il tempo e lo spazio vengono legati indissolubilmente; le distanze, gli intervalli di tempo, le masse, intesi in senso abituale, non sono piu invarianti ma proiezioni: esistono al loro posto altri invarianti che si chia­ mano lunghezza propria ; tempo proprio, massa di riposo: e quando si usano, si hanno di nuovo simboli per la descrizione di una realtà materiale, basata sulle cose. Anche nella meccanica quantistica le cose stanno in questo modo, soltanto che le posizioni sono piu complicate e senza una cono­ scenza specializzata si possono commentare con difficoltà. Voglio t entare di darne almeno un cenno. Si tratta di nuovo di una limi­ tazione della meccanica classica, a un livello molto piu profondo che nel caso della relatività. Nel caso dei sistemi atomici non si possono fare affennazioni del tipo: in queste e queste e queste condizioni avviene questo e questo; ma si può dire soltanto: nelle condizioni date si ha una certa probabilità che avvenga questo, un'altra probabilità che avvenga quest'altro, e cosi via. Le affer­ mazioni della teoria non sono detenninistiche, ma statistiche, e non si riferiscono a un caso obiettivamente pensato come tale, ma a condizioni imposte da un dato modo di sperimentare. Nonostante questi elementi intrinsecamente soggettivi nella formulazione dei problemi, ogni esperimento dà un contributo a una detenninazione obiettiva della realtà; si può dire (e questo esprime esattamente la struttura matematica della teoria) che ogni singolo esperimento è una proiezione della realtà. Si pensi per esempio all'ombra ellittica proiettata da un disco circolare ( un piatto) su una parete. Dall' os­ servazione dell' ombra non si può trarre necessariamente né una

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conclusione sulla circolarità dell'originale, né sulla sua grandezza; ma ci si riuscirebbe con molte di tali ombre su diverse pareti. Ogni singola ombra contiene un contributo per la conoscenza della realtà, e un numero sufficiente di esperimenti sulle ombre con­ terrà l'intera realtà. Questo è di nuovo indipendente dalle proie­ zioni dell'ombra, cioè un invariante. Le cose stanno esattamente cOSI riguardo agli esperimenti atomici e la loro interpretazione mediante la meccanica quantistica. Ogni singolo esperimento in generale non fornisce una proposizione definitiva sulla realtà. Ma da una serie ben meditata di esperimenti si possono poi ricavare grandezze invarianti che possono essere messe in corrispondenza con le cose reali, proprio come inconsciamente fa il cervello coi segnali nervosi. Nella fisica classica, prequantistica, era permesso immaginare di migliorare effettivamente i singoli esperimenti in modo che sa­ rebbe stato possibile scoprire l'intera realtà. Si potrebbe per esem­ pio pensare di proiettare numerose ombre dello stesso piatto su diverse pareti, e ricavarne la forma circolare e il raggio. Ora la novità della meccanica quantistica è la negazione di questa possibilità. Essa afferma per esempio che non si può determinare con la stessa precisione la posizione e la velocità di un elettrone. Quanto piu esattamente si cerca di determinare una grandezza, altrettanto meno esattamente si riesce a determinare l'altra. Questo è il noto principio d'indeterminazione di Heisenberg. Anche di­ versi stati prodotti sperimentalmente sono complementari, secondo Bohr. Non si può mai afferrare l'intera realtà di uno stato. Ma a chi può interessare questo? Attraverso la formazione sistematica di un certo numero di stati, in esperimenti diversi, si scoprono an­ cora caratteristiche invarianti, qualità comuni e valori numerici. Per esempio le esperienze complementari sui raggi elettronici e

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ionici ci dànno la possibilità di metterli in corrispondenza con de­ terminati valori numerici invarianti: la carica, la massa, lo spin, il numero. E questo basta -per permetterci di parlare di particelle di una certa natura, applicando il principio dell'ampliamento dei con­ cetti di cui abbiamo discusso prima: esse non sono proprio parti­ celle nel senso dei granelli di sabbia. Sotto certe condizioni speri­ mentali si possono effettivamente vedere con gli occhi le traiettorie di ogni singola particella; ognuno conosce bene le immagini for­ nite dalla camera di Wilson, o le tracce in strati fotografici a grana fine. Ma le particelle, se in numero maggiore, non hanno alcuna individualità, e per scopi statistici devono venir contate in modo diverso dagli oggetti comuni. Per grandi quantità, poi, il carattere corpuscolare scompare del tutto e si ottengono i fenomeni d'in­ terferenza, che sono caratteristici delle onde. La teoria matematica è sufficiente a dar ragione di tutto, e senza che appaia alcuna con­ traddizione. L'intuizione normale vien certamente meno se ci si aspetta di formare un'immagine unitaria i cui oggetti coincidano in ogni punto con quelli comuni ; ma se ci si rinuncia, la teoria quantistica coi suoi invarianti fornisce una copia della realtà che soddisfa a tutte le ragionevoli esigenze . Il materialismo Vengo ora al materialismo, e precisamente alla posizione del pro­ fessor Suvorov. Egli concorda, come ho già detto, con le mie obie­ zioni al positivismo, ma pensa che l'idea degli invarianti non ri­ sponda al problema gnoseologico fondamentale di che cosa si debba intendere per " realtà ". Egli distingue tra apparenza ed es­ senza (quest'ultima è per lui all'incirca ciò che Kant chiama la " cosa in sé ") e dichiara: " Il materialismo moderno, generalizzando

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a ogni branca del sapere il progresso scientifico, dice: conoscere un oggetto significa scoprirne la natura obiettiva e specifica. " Egli dà poi due esempi fisici che sono stati scoperti sulla base di questo criterio, l'antiprotone e l'antineutrone, e afferma che la mi­ sura di certe proprietà invarianti, come la massa e la carica, non sono sufficienti per l'identificazione, ma occorre dedurre altre re­ golarità specifiche. L'antiprotone, per esempio, è una particella carica negativamente che ha la stessa massa dell'usuale protone positivo; esso potrebbe essere scambiato per lo ione idrogeno nega­ tivo (un protone con due elettroni). Per distinguere le due parti­ celle, si deve osservare che l'antiprotone conserva la sua carica negativa, mentre lo ione idrogeno negativo può perdere piuttosto facilmente uno o entrambi i suoi elettroni. Si può anche apprez­ zare teoricamente la probabilità di questo processo di ionizzazione e giudicare se, sotto le condizioni di ricerca date, sarebbe da aspet­ tarsi tale cambio di carica. Ma è ovvio che anche questa proba­ bilità di ionizzazione è un invariante, non dell'antiprotone ma dello ione idrogeno. Se per la totalità delle affermazioni invarianti sulle particelle si vuole usare il termine " natura specifica ", io non ho niente in contrario, eccetto che esso è un concetto vago e nebuloso che, proprio come il termine " materialismo ", proviene dal secolo sCorso. Allora, al tempo di Marx ed Engels, la moderna fisica atomica e relativistiva non era nota. Solo in chimica si usava il concetto di atomo; ma gli atomi erano piuttosto simboli di calcolo C 't gettoni ", o controfigure, secondo Dingle) che cose reali. Materia era ciò che i sensi percepiscono; le misure fisiche si derivavano dalle pro­ prietà grossolane della materia. Oggi tutto è cambiato; la materia come ci è data dai sensi è un'apparenza generata dall'interazione degli organi di senso con processi la cui essenza può essere chiarita

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solo indirettamente, attraverso la spiegazione della loro coerenza,

dunque attraverso un processo mentale. Mi sembra sbagliato chia­ mare il risultato di questa operazione con la vecchia parola " ma­ teria ". Ho chiamato nebulosa l'espressione " natura specifica " . Posso an­ che commentarla brevemente. .. Specifico " significa chiaramente .. caratteristico di un oggetto determinato ". Nei tempi precedenti c'erano forse diverse " nature " che potevano chiamarsi cosi. La chi­ mica credeva alla stabilità, all'inalterabilità degli elementi. L'ossi­ geno e l'idrogeno avevano anche proprietà specifiche. Oggi questa è un'espressione antiquata. Tutti gli elementi consistono delle stesse particelle elementari, i nucleoni e gli elettroni, e possono trasmutarsi gli uni negli altri. Non c'è piu una natura specifica per ogni atomo; ogni specie di atomi è molto meglio descrivibile teo­ ricamente per mezzo di una soluzione del problema dei molti corpi nella meccanica quantistica. Si potrebbe obiettare che le stesse par­ ticelle elementari, i nucleoni, gli elettroni, e inoltre i fotoni, i neu­ trini, i mesoni e gli iperoni, per il momento si distinguono mediante la loro " natura specifica ". Ma questo è evidentemente solo uno stato provvisorio della scienza. Einstein, Eddington e altri si sono sforzati di creare una teoria unitaria, che abbracci tutte le cono­ scenze. Essi naufragarono perché non possedevano i fondamenti empirici necessari. Oggi è diverso. Si ha un buon panorama delle particelle elementari, delle loro proprietà e delle loro trasforma­ zioni ; e forse abbiamo anche un inizio della teoria che comprende tutto. Mi riferisco alla teoria spinoriale delle particelle elementari, annunciata da Heisenberg e Pauli. Essa ha sollevato tra i fisici del­ l'Unione Sovietica altrettanto chiasso che qui in Occidente. Infatti i fisici di tutto il mondo si comprendono l'un l'altro nonostante gli ostacoli delle ideologie ufficiali. Distinzioni secondo lo schema

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materialismo-idealismo non rappresentano piu la caratteristica del nostro tempo . . Spero di potermi intendere col professor Suvorov su questi pro­ blemi, poiché le nostre divergenze non sono grandi e in parte sono dovute al fatto che egli parla la lingua tradizionale del marxismo, che mi è straniera e mi sembra insufficiente. Del resto solo alla fine della sua trattazione egli si richiama alla pericolosa affermazione della filosofia marxiana " che nella società valgono leggi obiettive, specifiche per una data società, e indipendenti dalla consapevolezza degli uomini ". Questo principio del materialismo storico è la vera radice dei conflitti tra oriente e occidente, poiché su di esso si basa quella fanatica convinzione dei marxisti che ad essi, spontanea­ mente e necessariamente, debba toccare in sorte il mondo. Effettivamente questa convinzione è un derivato del determini­ smo fisico, che è preso dalla meccanica di Newton. Da essa infatti si deduce come le leggi naturali permettano di prevedere con asso­ luta necessità l'avvenire, quando è noto soltanto lo stato iniziale. Negli ultimi anni io mi sono molto sforzato di spiegare come que­ sta interpretazione deterministica della meccanica classica e di tutta la fisica che se ne è sviluppata sia un sofisma, e io credo che le mie argomentazioni siano veramente forti e convincenti. Nessun fisico, né in oriente né in occidente, ha ancora scoperto alcun pa­ ralogismo nelle mie trattazioni. Il determinismo stabilisce infatti che lo stato iniziale sia dato con assoluta precisione. Per la piu pic­ cola variazione delle condizioni iniziali c'è sempre un istante, nel corso del fenomeno, iniziando dal quale non è piu possibile alcuna predizione. Il concetto di assoluta precisione di una misura è as­ surdo per natura, una chimera che è stata inventata dai matematici per la semplificazione logica del loro metodo di pensiero. Ha tanto poco che fare con la fisica quanto alti'e affermazioni che in linea

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di principio non si potevano fondare solidamente, quale per esem­ pio la contemporaneità assoluta della teoria della relatività, o il tempo di rivoluzione di un elettrone nella teoria atomica di Bohr. n principio di eliminazione degli enunciati empiricamente " vuoti " non ha niente che fare col positivismo, benché ciò sia affermato tanto dagli oppositori quanto dai sostenitori di questa filosofia. È un concetto euristico che si è affermato in ogni campo della fisica moderna. Per tornare al determinismo, ho stabilito in un'approfondita ri­ cerca col mio collaboratore dottor Hooton quale tipo di previ­ sione è ancora possibile in sistemi meccanici molto generali, indi­ pendentemente dalla premessa della precisione assoluta, e quale no. n risultato è che non è il caso di parlare di vero e proprio deter­ minismo nemmeno nella piu semplice e classica della scienze, la meccanica, e naturalmente a maggior ragione negli altri campi di ricerca. E ciò vale del tutto indipendentemente dal punto di vista particolare della meccanica quantistica. Con ciò cade però l'idea del determinismo in generale. L'applicazione di questa idea a eventi storici è fantastica. Al tempo di Marx ed Engels si credeva, sotto l'influenza dei calcoli di previsione astronomici, al determi­ nismo meccanico, benché propriamente non ci sia alcuna fondata ragione perché sin da allora il problema non sia stato studiato piu esattamente. Oggi nessuno degli studiosi dei fenomeni naturali po­ trebbe piu accettare le superstizioni deterministiche a cui appar­ tiene il materialismo storico. Conclusione La difficoltà della lingua e l'età mi impediscono di approfondire nella grande letteratura russa questi problemi. Perciò sono parti-

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colarmente grato a Suvorov per il suo tentativo di agire da inter­ mediario. Negli ultimi tempi mi è anche venuta tra le mani un'altra opera. È un libro in francese del 1 95 7, il volume Physique della collezione " Recherches internationales à la lumière du marxisme ", e contiene nuove trattazioni in cui si combatte la cosiddetta inter­ pretazione di Copenaghen della fisica moderna. Quasi tutti questi lavori sono già pubblicati altrove, in parte in altre lingue, e a molti è stato risposto esaurientemente, sicché è superfluo ritornarci su. Vorrei accennare solo a un punto. Il quarto articolo del libro, dell'argentino Mario Bunge, è una polemica contro Leon Rosen­ feld, un tempo mio collaboratore, poi professore a Manchester, ora direttore dell'Istituto per le ricerche nucleari dei paesi scandi­ navi. Rosenfeld è un seguace entusiasta di Bohr, ma ammette anche il materialismo dialettico. Egli ha tentato in molti lavori di stabi­ lire che le idee di Bohr sulla filosofia della complementarità sono una conferma della filosofia marxista. Poiché essa concilia l'anti­ nomia corpuscolare-ondulatoria, egli la ritiene un esempio lam­ pante dello sviluppo dialettico derivato da Hegel: la lotta tesi­ antitesi conduce alla sintesi. Bunge combatte questa idea con la piu grande veemeQza, e precisa che la teoria della complementarità di Bohr è inconciliabile col materialismo dialettico. Ho riportato que­ sto solo per mostrare che il dogma marxista anche tra i suoi seguaci non è esattamente stabilito. E come possiamo raccappezzarci noi che ne siamo al di fuori? Probabilmente le interpretazioni dei maggiori fisici dell'Unione Sovietica sono molto simili alle nostre. Come esempio posso ripor­ tare la pubblicazione dell'eminente teorico V. A. Fock di Lenin­ grado, che attorno al 1 9 2 0 è stato mio collaboratore a Gottinga. Il libro ha il titolo Sull'interpretazione della meccanica quantistica, ed espone il punto di vista della cosiddetta scuola di Copenaghen

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in modo chiaro e inambiguo, rifiutando in modo particolarmente deciso il tentativo di un salvataggio del determinismo come è stato intrapreso da de Broglie e dalla sua scuola, COSI come da altri (per esempio nel libro in francese citato sopra). Senza dubbio egli fa alla filosofia ufficiale la concessione di descrivere i nuovi concetti come uno sviluppo dialettico del materialismo. Lo scopo principale della mia esposizione è - spero di averlo chiarito - dimostrare che i dogmi filosofici nell'interpretazione delle leggi naturali sono fuori di posto, e che viceversa la fisica non è una base conveniente per tali dogmi. La pretesa del marxismo di essere un'interpretazione scientifica del mondo, anzi di essere l'unica interpretazione valida, è un pericolo per l'umanità non meno dell'esaltazione dell'occidente liberale e capitalistico, che si dice cristiano ma che ha disprezzato in politica l'insegnamento di Cristo. In ogni caso non credo che Gesu sia stato capito se si vuole difendere la cristianità con le bombe atomiche. L'antagonismo in atto ricorda tragicamente le lotte teologiche del sedicesimo e del diciassettesimo secolo; ognuno afferma il proprio dogma, stima l'ec­ cellenza del proprio sistema e mette nella massima evidenza l'atro­ cità degli altri. Allora la lotta terminò nella catastrofe della Guerra dei trent'anni e con la devastazione della Germania. Oggi, nell'età della bomba atomica, il mondo andrà in pezzi se si lascerà la pa­ rola soltanto alla politica dogmatica. Ho la speranza che noi fisici possiamo dare inizio a un'intesa, poiché ricusiamo le idee estreme del positivismo e del materiali­ smo, e perché vogliamo farla finita con la favola del determinismo fisico e con lo spettro della necessità storica.

3· I limiti della rappresentazione fisica del mondo

Mentre riflettevo sul tema che mi sono proposto, mi tornarono in mente i versi di Schiller, un ricordo dei tempi di scuola: I pensieri stanno facilmente l'uno accanto all' altro, Ma nello spazio le cose collidono duramente. Essi oggi mi possono servire da motto. Il pensiero crede di non aver limiti, niente gli è vietato, fintanto che rimane puro pensiero. Se però si tratta di riflettere sulle cose del mondo reale, ciò non è piu vero: perché in realtà nello spazio le cose collidono. La fisica, con le scienze che le sono vicine, come l'astronomia, la chimica, la cristallografia, la geologia eccetera, cerca una rappre­ sentazione del mondo delle cose, e perciò entra dappertutto in col­ lisione con barriere. Pensabile e reale non sempre coincidono. Voglio parlare per prima cosa dei limiti scoperti dalla fisica stessa. Ma la fisica è soltanto una delle molte scienze, e tutta la scienza non è che una delle molte attività dello spirito umano. Quali sono, da questo punto di vista piu ampio, i limiti della rap-

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presentazione del mondo immaginato dalla fisica? Sono questioni alle quali non si può rispondere coi metodi speculativi della fisica. Non voglio evitarle, ma dire su di esse la mia opinione . Principio d'impossibilità. Termodinamica Ogni legge naturale stabilisce in un certo senso un limite; ciò che la contraddice è impossibile. Questo comportamento delle cose si è dimostrato in certo modo reversibile: se l'esperienza urta contro una limitazione che non si può superare nonostante ogni sforzo, questa è la chiave di una nuova conoscenza positiva, di una nuova legge naturale, come si dice. Un matematico inglese, Edmund Whittaker, ha ritenuto questo principio euristico cOSI valido da dargli un nome: " principio d'impossibilità" . In tal caso avviene quasi sempre che nella teoria già esistente vi sono affermazioni ba­ sate su concetti (come quello di contemporaneità) che non sono dimostrabili con l'esperienza. Questi concetti quindi non hanno alcun posto nella sistematica della fisica; vengono eliminati o mo­ dificati come richiedono le nuove leggi. I! piu vecchio e abusato esempio di questo principio euristico è il moto perpetuo. Innumerevoli inventori si sono affaticati nella co­ struzione di una macchina che da sola fornisse lavoro: sempre inu­ tilmente. Infine questo insuccesso fu eretto a legge. Nacque COSI il principio della conservazione dell'energia, che fino a oggi è rite­ nuto un principio fondamentale della fisica e si è dimostrato straor­ dinariamente fecondo. È il primo e il piu importante dei cosiddetti " principi di conservazione ", che hanno applicazione in tutti i rami della fisica e inoltre ci sembrano soddisfacenti perché corrispon­ dono ai detti dell'antica saggezza: " Con niente non si fa niente ", oppure " Per ciò che si riceve si deve pagare di uguale moneta " .

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La conservazione dell'energia fu dimostrata sperimentalmente per la prima volta mediante la trasformazione di lavoro in calore da Robert Mayer e da Joule. La sua formulazione generale è dovuta a Helmholtz. Il secondo principio della termodinamica è stato scoperto simil­ mente da Carnot, Clausius e William Thomson ( che divenne pio tardi Lord Kelvin). Essi si basavano su esperienze negative di ca­ rattere generale, come il fatto che il calore non passa spontanea­ mente da un corpo piu freddo a uno piu caldo, o che non si può mai trasformare il calore contenuto in un corpo in lavoro, com­ pletamente e senza altre variazioni. Se ciò fosse possibile si po­ trebbe pompare calore dall'oceano e si avrebbe cOSI una sorgente di calore praticamente illimitata, o, come si dice, un moto per­ petuo di seconda specie. Anche qui un'impossibilità si erige a legge naturale, che si è di­ mostrata altrettanto feconda quanto la legge sull'energia. Il se­ condo principio non stabilisce la conservazione dell'energia, ma specifica soltanto che una certa funzione di stato, l'entropia, non diminuisce mai. È quindi possibile prevedere almeno sommaria­ mente eventi in cui si hanno scambi di calore e che sono irrever­ sibili . A questo punto si è però presentato un nuovo limite alla ricerca, insospettato a quei tempi. Dal secondo principio infatti consegue l'esistenza di una temperatura assoluta, indipendente dalla sostanza termometrica impiegata e che si può determinare mediante misure termiche eseguite su qualsiasi scala empirica; e questa temperatura ha uno zero assoluto. Sulla scala Celsius esso si trova a - 2 7 3 °C. Al di sotto di questo zero non si può mai arrivare, e tutti gli sforzi per un ulteriore raffreddamento sono inutili: che sia cOSI, è stato dimostrato da innumerevoli esperimenti. Anche questa limita-

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zione però è risultata non una restrIZ10ne ma un arricchimento della nostra esperienza. Infatti in vicinanza dello zero assoluto ci s'imbatte in un comportamento delle sostanze che si allontana inte­ ramente dal normale. Ricordo due soltanto di questi fenomeni : l'abbassamento della capacità termica di tutti i corpi a bassissime temperature; e la cosiddetta superconduttività, per cui molti me­ talli diventano totalmente conduttori in vicinanza di I grado asso­ luto, e si può ancora trovare una corrente elettrica in un cir­ cUito dopo ore dall'allontanamento della sorgente. Oggi ci si è avvicinati allo zero assoluto ancor piu che di un grado, circa fino a un milionesimo di grado, ma non posso addentrarmi nella de­ scrizione delle cose sorprendenti che vi accadono. La scoperta di un limite alla possibilità di raffreddamento, che era apparsa tanto misteriosa, divenne ben presto comprensibile dal punto di vista della teoria cinetica del calore. Essa stabilisce che il calore consiste nel moto irreversibile e disordinato delle molecole. Esiste allora certamente uno stato senza calore nel quale tutte le molecole sono in riposo. L'applicazione dell'idea di trattare il ca­ lore come moto disordinato delle molecole conduce all'introdu­ zione nella fisica di metodi e concetti statistici, e primo fra tutti il concetto di probabilità di uno stato. L'entropia è, secondo Boltz­ mann, una certa misura di questa probabilità, e la sua tendenza ad aumentare è abbastanza plausibile se si pensa che l'ordine degenera facilmente in disordine, ma hon avviene mai il contrario. Lo zero assoluto è lo stato del pieno riposo e dell'ordine assoluto. Teoria della relatività ristretta È molto istruttivo investigare la fisica mediante ulteriori esempi

del principio d'impossibilità. Ma non è sempre molto chiaro che

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cosa venne storicamente prima, se il fallimento di ogni tentativo di raggiungere un certo risultato, o la spiegazione di quest'impos­ sibilità mediante una nuova legge naturale. Nella teoria della rela­ tività abbiamo esempi di entrambi i casi. I fenomeni ottici e magnetici si propagano anche nel vuoto. L'ipotesi naturale era che lo spazio non occupato dalla normale materia fosse riempito da una sostanza piu tenue, l'etere, mezzo di propagazione di ogni fenomeno. La luce viene cOSI spiegata per mezzo di onde eteree. La Terra si muove allora attraverso l'etere, e come in un'automobile in moto si avverte una brezza, allo stesso modo dovrebbe spirare sulla Terra un vento di etere, che si do­ vrebbe poter rivelare otticamente. Le onde luminose infatti do­ vrebbero impiegare maggior tempo a percorrere un determinato cammino se si spostano contro il vento di etere, che se si spo­ stano nella direzione opposta. Ma esperienze raffinate (special­ mente di Michelson e Morley) hanno dimostrato che non è cosi. Gli sforzi per spiegare il fatto mediante modificazioni delle leggi note nel campo dell'elettromagnetismo furono, nelle mani di grandi ricercatori come Lorentz e Poincaré, fino a un certo punto fruttuosi. Tuttavia la situazione fu chiara per la prima volta quando Einstein prese come punto di partenza proprio l'impos­ sibilità di osservare il vento d'etere, ed eresse a principio il fatto che la velocità della luce non dipende minimamente dal moto del­ l'osservatore. Questo contraddice naturalmente le concezioni cor­ renti sui moti: ma Einstein osservò che esse sono fisicamente inso- · stenibili, poiché contengono un circolo vizioso. Infatti per la determinazione della velocità della luce sono necessari orologi si­ multanei in luoghi diversi; la simultaneità degli orologi può essere però controllata solo con segnali luminosi, e quindi soltanto se si conosce la velocità della luce.

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CAPITOLO TERZO

Da questa critica del concetto di simultaneità scaturi, attraverso i lavori di Einstein e Minkowski, una revisione delle nostre con­ cezioni delle idee di spazio e di tempo, e anche delle leggi della meccanica e del campo elettromagnetico. Numerose conseguenze di ciò sono state confermate sperimentalmente. Voglio qui ricor­ dare un'esperienza soltanto, perché essa è un esempio di come dalla limitazione di una possibile conoscenza in una direzione pos­ sono seguire ampliamenti in altre direzioni. Si tratta della dilata­ zione del tempo, della quale negli ultimi tempi si è parlato molto in relazione alle ricerche spaziali. Un viaggiatore spaziale lascia la Terra, viaggia con grande velocità fino a una lontana stella fissa. e ritorna di nuovo sulla Terra; può impiegarvi dieci anni della sua vita; quando torna sulla Terra, trova che nel frattempo, secondo le misure di tempo terrestri, sono passati cento anni. Quest'affer­ mazione di Einstein fu da principio ritenuta assurda da molti, e in generale non le si prestò molta attenzione. Ma oggi, poiché è pos­ sibile che i viaggi spaziali siano nel campo della tecnica di domani, l'opposizione è di nuovo forte. Dal punto di vista della fisica è giusta e sperimentalmente confermata l'affermazione che due fra­ telli gemelli, dei quali l'uno compia un viaggio spaziale mentre l'altro rimane a casa, non abbiano piu la stessa età, e il loro corpo e il loro spirito siano invecchiati in maniera diversa. Che un tale viaggio sia ora tecnicamente possibile agli uomini, mi sembra an­ cora molto dubbio. A questo proposito vorrei rifiutare nel modo piu decisivo le os­ servazioni che vanno sotto il nome di critica ontologica.1 Si dice I

Mi riferisco a due libri che ho avuto occasione di conoscere :

F. DES SAUER,

Naturwissenschaftliches Erkennen - Beitrage zur Naturphilosophie ( Francoforte 1 95 9), e N . HARTMANN, Philosophie der Natur - Abriss der spezielle Kategorien­ lehre (Berlino 1 950).

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c h e le osservazioni fisiche e l e leggi che s i basano s u d i esse non hanno che fare con tempo e spazio reali, ma soltanto col modo in cui noi acquistiamo le conoscenze fisiche, cioè attraverso misure per mezzo della luce. Sarebbe perciò d'importanza decisiva un'ac­ curata distinzione tra " metrica " e " ontologia ". Quest'ultima ri­ guarda l'essenza e, per quel poco che ne so, " ontico " è ciò che si conosce per apprensione immediata, o, come diceva il filosofo che fu mio maestro, Edmund Husserl, per Wesensschau. lo credo che la cosa stia esattamente al contrario : si può giungere a enunciati obiettivi sulla realtà, al di fuori del campo accessibile a noi uomini come creature terrene e senza l'aiuto di mezzi artificiali, soltanto attraverso le osservazioni fisiche e le relative misure. In quel campo immediatamente dato che corrisponde all' ontico o alla Wesens­ schau, gli elementi oggettivi e soggettivi, le esperienze fisiche e psicologiche sono legati l'uno all'altro e difficili da districare. Al concetto fisico di spazio-tempo si deve richiedere soltanto che in piccolo, nel campo della vita di tutti i giorni, esso non sia in con­ traddizione con le concezioni soggettive, le forme dell'appren­ sione; il che è garantito nell'ambito della teoria della relatività. Non si ha però alcun diritto di estrapolare lo spazio dell'appren­ sione e il tempo vissuto a grandi dimensioni, che sono accessibili soltanto alla scienza e ai suoi strumenti. La scienza stessa si prende cura che il suo sistema di concetti non contenga alcuna contraddizione. Si potrebbe (e ciò è già accaduto) sollevare contro la teoria della relatività l'obiezione che l'afferma­ zione secondo cui non solo la velocità della luce è diversa per gli osservatori in moto relativo l'uno rispetto all'altro, ma anche non esiste alcun mezzo piu veloce per la trasmissione di segnali (o per la regolazione degli orologi) può essere gratuita. Chi può sapere 6

III

CAPITOLO TERZO

se ricerche furore non supereranno questo limite? A ciò si deve rispondere: Il sistema fisico sviluppato in base a quest'ipotesi non contiene contraddizioni. Le sue leggi prevedono automaticamente che nessun corpo e nessun gruppo d'onde, con cui si possa trasmet­ tere un segnale, possa venir accelerato con velocità superiore a quella della luce, perché la reazione inerziale (la massa) secondo le leggi relativistiche aumenta con la velocità, e quando raggiunge la velocità della luce diviene infinita: e anche quest'affermazione è stata verificata con numerosi precisi esperimenti. Si ha dunque un sistema logicamente ineccepibile e con solide basi empiriche, e se l'avvenire porterà delle novità, non sarà probabilmente nella di­ rezione di un ritorno alle posizioni precedenti, come asserisce quella obiezione. La conclusione che ne deriva, secondo cui un viaggiatore spa­ ziale al suo ritorno sarebbe piu giovane del fratello gemello rima­ sto a casa, non dev' essere considerata un paradosso, ma piuttosto un " miracolo " della scienza, nello stesso senso in cui si parla di miracoli della radio o della televisione, o, in un altro campo, del miracolo economico. Non è niente di logicamente contraddittorio, ma qualcosa di assolutamente sorprendente perché nelle condizioni biologiche normali che il genere umano si è trovato dinnanzi ciò non sarebbe in alcun modo possibile. I fratelli gemelli sulla Terra rimangono della stessa età: ma d'altra parte non si può di norma parlare con i nostri simili o vederli, solo quando sono vicini? e quando mai uno Stato ha aiutato i suoi nemici nel bisogno? Affin­ ché tutte queste cose fossero possibili, dovettero avvenire mira­ coli del pensiero, nel campo della fisica o in quello della politica: penso per esempio al Piano Marshall, concezione di un grande spirito, mediante il quale l'Europa ferita fu aiutata a rialzarsi. Dob-

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biamo dunque essere pronti a riconoscere queste specie di mira­ coli e ad ammirarle. Su ciò che si può ancora dire sui miracoli, per esempio sui fatti che contraddicono le leggi naturali, ritornerò ancora. Dal punto di vista della fisica, la dilatazione del tempo è ben fon­ data teoricamente e sperimentalmente. Dal punto di vista logico è immediatamente derivabile dalla limitazione della velocità dei se­ gnali, con l'aiuto di un semplice diagramma intuitivo: lo disegnerei' volentieri, ma ci porterebbe troppo lontano. Essa è inoltre verifi­ cata mediante esperimenti precisi. E se pure oggi un uomo non può viaggiare ancora abbastanza in fretta, si conoscono particelle l uminose o radioattive dotate di periodo proprio, o di propria vita media, che hanno velocità sufficiente. La difficoltà di un' osserva­ zione diretta consiste nel fatto che all'avvicinarsi o allontanarsi della sorgente luminosa dall'osservatore si produce un fenomeno ben noto, il cosiddetto effetto Doppler, cioè un aumento o una diminuzione della frequenza. Si devono quindi fare le osservazioni in una direzione esattamente perpendicolare alla direzione del mo­ vimento della sorgente luminosa. Questa difficoltà è stata oggi su­ perata ( da Ives e altri) e la variazione relativistica del periodo di vibrazione è stata stabilita in modo ineccepibile. Un metodo del tutto diverso si basa sull'osservazione del tempo di decadimento di una particella radioattiva, il cosiddetto mesone. Si conosce il tempo proprio di questa particella da esperimenti fatti sulla Terra, per velocità relativamente piccole. Queste particelle si originano anche dagli urti dei raggi cosmici negli alti strati dell'atmosfera, e ven­ gono portate quindi ad altissime velocità. Molte di loro raggiun­ gono la superficie terrestre, e il tempo di volo è circa mille volte piu grande della vita media della particella piu lontana, sicché esse

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dovrebbero essere da lungo tempo decadute per via. La soluzione dell'enigma è proprio la dilatazione del tempo. La vita media della particella è fortemente allungata per un osservatore terrestre, pro­ prio come nel paradosso dei fratelli gemelli. Relatività generale e cosmologia È noto che Einstein ampliò ben presto la cosiddetta teoria della relatività ristretta per comprendervi anche i moti gravitazionali. Anche qui si può parlare di un'applicazione del principio d'impos­ sibilità. Si tratta di un'interpretazione del noto fatto secondo cui in assenza di perturbazioni (resistenza dell'aria, ecc.) tutti i corpi cadono con uguale velocità. Einstein la formulò cOSI: un osserva­ tore rinchiuso in una cassa non può in alcun modo decidere se l'accelerazione da lui osservata in un corpo entro la cassa è gene­ rata da un campo gravitazionale esterno, oppure dal fatto che la cassa è accelerata in senso inverso in uno spazio in cui il campo gravitazionale è nullo. In questa affermazione, che si chiama prin­ cipio di equivalenza, le esperienze dirette sono descritte in modo da esprimere l'impossibilità di distinguere tra inerzia e peso. Einstein impone che questa indistinguibilità sia una legge di na­ tura, e arriva cOSI alla relatività generale, che è una delle piu gran­ diose e ardite costruzioni del pensiero umano. Le orbite curve dei pianeti sono interpretate come le geodetiche in una geometria spazio-temporale diversa dalla geometria dei nostri giorni di scuola, cioè quella di Euclide. Lo spazio stesso viene considerato curvo, e la sua curvatura dipende dalla massa dei corpi celesti. Il sistema concettuale di N ewton viene sostituito da uno del tutto diverso. L'unica incongruenza nota nell'astronomia classica, una

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discordanza piccola, ma sicuramente determinata, tra teoria e os­ servazione nell'orbita del pianeta Mercurio, si spiega senza altre ipotesi. Altre conseguenze ottiche della teoria di Einstein sono state verificate con scarsa precisione. La vera fecondità delle idee di Einstein si è dimostrata nella sua applicazione all'origine e alla struttura del sistema stellare. Benché sia seducente parlare di questo argomento, mi devo limitare a una sola idea cosmologica di Einstein, che ha direttamente che fare con l'argomento della limitatezza dell'immagine del mondo. Si tratta del problema discusso fino dall'antichità sui limiti spazio­ temporali del mondo e sulla loro localizzazione. Non parlerò del­ l'antica concezione delle sfere celesti cristalline, a cui le stelle sono attaccate come lanterne. Solo dopo Copernico si discusse seria­ mente se il numero delle stelle fisse fosse finito o infinito: c'erano buoni argomenti per entrambe le opinioni. Per esempio si diceva che uno spazio infinito non potrebbe essere riempito uniforme­ mente di stelle, perché altrimenti il cielo ci sembrerebbe unifor­ memente chiaro. Ma anche l'ipotesi che le stelle siano in numero finito e che riempiano soltanto una parte limitata dello spazio ap­ pare impossibile, e perciò furono introdotte ipotesi fondamentali contraddittorie: gli uni dicevano che un sistema stellare finito avrebbe dovuto contrarsi a causa della gravitazione; gli altri che le stelle si muovono e si comportano come un gas, che, come è noto, se è libero si espande indefinitamente. Un argomento impor­ tante fu portato a questa discussione dal fisico e filosofo viennese Mach : le forze d'inerzia che derivano da variazioni del moto retti­ lineo uniforme (per esempio la forza centrifuga in un moto circo­ lare) sono secondo Newton espressioni fisiche dell'esistenza di uno spazio assoluto. Questo sembrò insoddisfacente a Mach: egli rite-

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ne va che queste forze dovessero essere spiegate come effetti di masse lontane del sistema stellare considerato come un tutto. Que­ sto principio di Mach ha condotto Einstein a un'ardita specula­ zione, e cioè all'idea . di uno spazio illimitato ma finito. Per capire che cosa questo voglia dire, si deve riflettere che se­ condo Einstein allo spazio stesso si deve attribuire una curvatura. Che cosa significa? Immaginiamoci di essere degli esseri non tri­ dimensionali, ma bidimensionali, in un mondo bidimensionale, cioè un piano. Poiché non abbiamo il concetto di una terza dimensione, probabilmente non potremmo immaginarci niente sotto il con­ cetto di " curvatura " del nostro mondo piano. Ma potremmo sta­ bilire che la nostra geometria in un dominio piu ampio potrebbe differire dalla geometria piana di Euclide. Mediante misure di triangoli e cose simili potremmo accertarci che viviamo su una sfera ( infatti la nostra situazione sulla sfera terrestre ha una certa somiglianza con quella di quegli esseri piatti, solo che noi possiamo immaginare la terza dimensione, e quelli no). L'idea di Einstein è ora che il nostro mondo tridimensionale è un simile mondo sferico, per cOSI dire la superficie di una sfera qua­ dridimensionale, curvata in questo spazio di ordine superiore, per noi inaccessibile e chiuso. CosI l'universo verrebbe ad avere un'estensione finita, e ci sarebbe solo un numero finito di stelle con una distribuzione di densità all'incirca uniforme; non ci sarebbero barriere dove il mondo fi­ nisce, - tra cui per cOSI dire esso fosse incastrato, - eppure sarebbe spazialmente limitato. Questa speculazione coincide con una sorprendente osservazione astronomica. L'astronomo Hubble ha trovato che l'intero sistema delle stelle fisse si espande. Questo sistema consiste, come l'osser-

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vazione dimostra, di ammassi stellari enormi, ognuno di miliardi di stelle, uno dei quali è la nostra Galassia o Via Lattea, mentre gli altri sono talmente lontani da sembrarci fiocchi di nebbia. Me­ diante metodi spettroscopici si può misurare molto esattamente la distanza di queste nebulose, che si chiamano tutte galassie. Di piu si può misurare il moto delle galassie nella direzione dell'osserva­ tore abbastanza esattamente mediante l'effetto Doppler a cui si è accennato prima, e che consiste in uno spostamento di tutte le ri­ ghe spettrali verso il rosso o verso il violetto, secondo che la nebu­ losa si allontani da noi o si avvicini. Hubble ha trovato che tutte le galassie si allontanano da noi e precisamente tanto piu velocemente quanto maggiore è la loro attuale distanza da noi. Ora, le equazioni relativistiche di Einstein hanno soluzioni sem­ plici che esprimono questo comportamento. Esse posrulano un universo sferico, press'a poco come nell'analogia bidimensionale un palloncino di gomma che venga gonfiato. Questa riflessione ci conduce subito al problema dell' origine: si può idealmente pensare d'invertire il processo di espansione, e si arriva cOSI a uno stato iniziale dell'universo in cui tutta la materia era concentrata in un piccolo spazio. Dalle misure di Hubble si può calcolare quando ciò avvenne, e dalla teoria di Einstein deter­ minare il raggio dell'universo sferico e la densità media. Per l'età dell'universo si trova circa sei miliardi di anni, per il raggio del­ l 'universo attuale circa sei miliardi e mezzo di anni-luce (l'anno­ luce è una misura di distanza, precisamente quella percorsa dalla luce in un anno), e per la densità media circa trenta atomi di idro­ geno per metro cubo. Come riferimento, si pensi che l'età della roccia piu antica esistente sulla Terra, secondo misure attendibili

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di radioattività, è di circa un miliardo di anni. Abbiamo cOSI limiti assoluti di tempo e di spazio, e una massa finita nell'universo. La cosmologia ora spiegata è ritenuta ben fondata dalla maggior parte dei fisici e astronomi moderni. Ma non è per nulla inconte­ stata. Vi sono teorie rivali, per esempio una ideata dagli astronomi inglesi (Hoyle e altri) secondo cui l'universo è in uno stato sta­ zionario. Invece di un determinato giorno di creazione si deve fare l'ipotesi di una creazione continua di materia, dovunque, nell'uni­ verso in espansione; ne basta in ogni caso una piccolissima quan­ tità, al di sotto di ogni limite di osservabilità. Probabilmente nel prossimo futuro sarà possibile decidere definitivamente tra le di­ verse ipotesi, attraverso l'osservazione. Che cosa c'era dunque prima dell'inizio del mondo? Questa do­ manda ha in generale un senso? Probabilmente no. Secondo Einstein lo spazio e il tempo sono concetti che non si possono separare da quello della materia, e che hanno le proprietà relativa­ mente semplici per noi abituali perché la materia è suddivisa in modo da essere estremamente rarefatta, cioè le distanze tra i corpi celesti sono straordinariamente grandi. È dunque del tutto pos­ sibile che un' estrapolazione a un passato di miliardi di anni e a formidabili densità di materia non abbia significato, dal momento che una descrizione mediante le rappresentazioni spazio-temporali a noi usuali viene in tal caso interamente meno. Qui urtiamo con­ tro un limite della nostra immagine fisica del mondo, talmente al di sopra della nostra capacità di rappresentazione che è meglio per noi restarne lontani. Prevedibilità e precisione di misura Dopo aver discusso i limiti dell'universo nelle sue linee generali

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(spazio, tempo, velocità) vogliamo rivolgerei ora al microcosmo, cioè al mondo dell'atomo e delle particelle elementari. Però è op­ portuno fermarsi un poco a riflettere, domandandoci a che punto siamo coi nostri metodi speculativi e di ricerca, e se mediante que­ sti non urtiamo contro limiti che dovremmo tener presenti prima d'intraprendere nuove avventure nel microcosmo. I metodi matematici della fisica si basano sull'ipotesi del continuo. Si presuppone che ci siano punti senza dimensioni, tempi istanta­ nei, linee infinitamente sottili, e piani. Per la determinazione aritme­ tica di un punto su una retta si dà la sua ascissa, cioè la sua di­ stanza x da un'origine sulla retta, e si stabilisce che questo valore è determinabile con precisione infinita. Quando si tratta di x = l o 2 o 3 unità di misura, o x si può scrivere mediante frazioni come X, %, 110, tutto pare molto convincente. Ma naturalmente si pre­ sentano anche cose come le diagonali dei quadrati, e quando il lato è di un'unità, la diagonale è V2. Ma era già noto fino dagli antichi Greci che y.; non si può in alcun modo rappresentare come una frazione solita. Per poter trattare grandezze di questo tipo si sono trovate le frazioni decimali infinite (non periodiche). Si deve per­ ciò, per essere logicamente coerenti, considerare due di queste frazioni come diverse se differiscono l'una dall'altra per una qual­ siasi cifra decimale. Per esempio due frazioni possono concordare per le prime 1 00 cifre decimali, ma essere diverse per la W l -esima; allora matematicamente sono da considerare diverse. Questo pro­ cedimento rende possibile e relativamente facile una trattazione rigorosa della geometria e della cinematica. Le velocità e le acce­ lerazioni si possono definire esattamente. Le leggi della fisica pren­ dono la forma di equazioni differenziali, e queste permettono di calcolare in precedenza l'andamento del moto quando si conosce

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lo stato iniziale. Quest'arte profetica è stata confermata soprat­ tutto in astronomia. Ci imbattiamo a questo punto nell'idea del determinismo, della predeterminazione, in forma matematica piu precisa. Se si cono­ scesse oggi la posizione e la velocità di ogni particella materiale, e si sapessero eseguire i calcoli abbastanza velocemente, si potrebbe calcolare lo stato futuro della particella per un tempo qualunque. Poiché le capacità di osservazione e di calcolo che si richiedereb­ bero per ciò sono chiaramente al di sopra delle capacità umane, l'astronomo Laplace (alla fine del diciottesimo secolo) parlava di uno spirito o demone che può fare tutto ciò, ed emulare il quale avrebbe dovuto essere l'ideale del fisico. Nonostante che quest'im­ magine del futuro fosse un'utopia, l'idea deterministica ha dominato non solo in fisica ma anche in tutta la scienza naturale, ed ha avuto una grande influenza in filosofia. Si tratta di uno di quei passaggi al limite a cui è propenso lo spirito umano, e da cui generalmente derivano dei guai. In questo caso c'era una fede eccessiva nella potenza del metodo delle scienze positive, passato ad altre scienze come la storia, la sociologia, l'economia politica, che ne avevano molto meno diritto. Queste non possono certo richiamarsi ad equazioni differenziali che permettono previsioni precise e a lunga scadenza; eppure ci furono e ci sono scuole che affermano di poter prevedere esattamente e infallibilmente lo sviluppo dell'umanità. Ma quali riteniamo ora che siano le reali possibilità di previsione? Il demone di Laplace può assolvere il suo compito solo se può effettuare misure con assoluta precisione. Le leggi della fisica clas­ sica hanno una struttura tale che il corso degli eventi ne risulta compiutamente determinato qualora siano noti i dati iniziali con precisione matematica, come è stato chiarito piu sopra. Ma noi

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sI amo solo uomini e non dèmoni: possiamo misurare solo con pre­ cisione finita, e nemmeno tanto grande. Le migliori misure forni­ scono al giorno d'oggi sei o tutt'al piu sette decimali. A prima vista sembra che questo non importi molto: il demone è un lontano ideale, e se ogni generazione riesce ad aumentare la precisione delle misure (come è avvenuto negli ultimi decenni) sembra che a que­ 'Sto ideale ci si possa avvicinare. CosI si è sempre pensato. Ma non è vero. Le cose infatti stanno in questo modo: anche per il piu semplice fenomeno meccanico - una ruota che gira, un pendolo che oscilla - una piccola imprecisione iniziale non rimane piccola, ma va via via crescendo e si arriva sempre a un momento critico in cui essa diviene piu grande dell'intero campo del movimento. Si dice che tali sistemi sono dinamicamente instabili. Se si diminuisce l'imprecisione iniziale, l'istante critico si allontana, ma esiste sem­ pre. Una misura assolutamente precisa sarebbe opera demoniaca e non umana. Essa non è solo concettualmente un'astrazione che si può tranquillamente definire priva di significato, ma è anche in contraddizione con le leggi fisiche stesse, per esempio con la teoria cinetica del calore di cui ho già parlato e che sarebbe assurdo porre in dubbio. Questa afferma che l'energia cinetica media di ogni corpo che si muova liberamente, sia esso un singolo atomo, un gruppo di atomi, una molecola, o un pezzo macroscopicamente visibile, dipende solo dalla temperatura, e precisamente le è proporzionale (eccetto che per le bassissime temperature). Per una temperatura data, questo m oto d'oscillazione termica è tanto piu ampio quanto piu il corpo è leggero (infatti l'energia cinetica è la metà della massa per il qua­ drato della velocità). Misure delicate esigono indici estremamente leggeri (leve o simili); anche le vibrazioni termiche di questi in-

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dici costituiscono un limite di misurabilità che dipende dalla tem­ peratura. Esattamente le stesse osservazioni valgono, mutatis mutandis, per misure elettriche. Anche qui si hanno oscillazioni. spontanee delle correnti che dipendono dalla temperatura: si possono rilevare come rumore mediante un microfono. È chiaro che una corrente è mi­ surabile solo quando è abbastanza intensa da superare questo ru­ more di fondo. Si possono migliorare le condizioni di misurabilità lavorando a basse temperature. Ma lo zero assoluto è irraggiungibile, non si potrà dunque mai eliminare completamente la limitazione termica della misurabilità. Tutto questo è fisica classica; nella fisica atomica sono state sco­ perte altre limitazioni, di cui parlerò piu avanti. Un mio amico francese, Léon Brillouin, racconta che il poeta Paul Valéry soleva fantasticare sulla bellezza poetica del duro e freddo rigore e della potenza incantatrice della matematica. In­ fatti, osserva Brillouin, che cosa sono le immagini della matema­ tica (punti senza dimensioni, linee infinitamente sottili e altre si­ mili cose) se non poesia? lo non andrei cosi lontano; perché questa matematica ci permette di trarre conclusioni esatte e senza con­ traddizioni, e, assieme ai concetti statistici, è utile, anzi per ora indispensabile, in fisica. Ma anche se si vuole definire letteraria­ mente il determinismo, lo chiamerei un romanzo di fantasia: quello che in inglese si chiama fiction. So bene che grandi ricercatori che io ammiro, come Planck e Einstein, hanno aderito all'idea deter­ ministica e che ancora oggi importanti scienziati vi aderiscono. Anch'io mi sono dilettato di questo romanzo, fino a che mi reSl conto che esso non è un'immagine della realtà .

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Teorie atomiche e quantistiche La scoperta della struttura atomica rappresenta di nuovo una li­ mitazione a qualche cosa che pure sarebbe pensabile: la possibilità di suddivisione indefinita. La materia che si trova in una goccia contenente 1 00 molecole di H 20 ha ancora essenzialmente le stesse proprietà di un bicchier d'acqua; ma una singola molecola di H 20 invece no, è una struttura di tipo interamente diverso; consiste, come dice la formula, di un atomo di ossigeno e di due di idro­ geno. Ricerche ulteriori mostrano che anche ogni atomo ha una struttura: nucleo e involucro elettronico, e che il nucleo è costi­ tuito da nucleoni, ognuno dei quali è circa duemila volte pio pe­ sante di un elettrone, e che in parte sono elettricamente carichi (protoni), in parte scarichi (neutroni). Oltre a queste particelle elementari stabili, se ne è scoperta una serie di instabili, chiamati mesoni e iperoni; esse sono prodotte dall'urto di particelle stabili, e decadono come le sostanze radioattive con vite medie piu brevi in altre particelle stabili o instabili. Si presenta naturale la domanda su che cosa basiamo il nostro diritto di chiamare queste particelle " elementari " e che cosa può significare che non possono scindersi in particelle costituenti piu piccole. Ci troviamo qui di fronte a una nuova limitazione del pensiero fisico, che supera l'atomistica in quanto tale. Dai tempi dei filosofi greci Leucippo e Democrito era comune l'idea che sud­ dividendo la materia via via, ci si sarebbe potuti imbattere in par­ ticelle indivisibili, elementari; tale idea fu assorbita e adottata dalla atomistica moderna. D'altra parte è sempre stato considerato in­ tuitivo, e molte filosofie lo hanno preso come assioma, che un'in­ tera grandezza è piu grande di una sua parte. Ma questa afferma-

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zione diviene problematica nel campo delle particelle di maggiore energia, proprio a causa dell'equivalenza tra massa ed energia, de­ rivata dalla teoria della relatività di Einstein: secondo tale princ�pio la massa di un corpo è per cOSI dire energia condensata, che si può calcolare moltiplicando la massa per il quadrato della velocità della luce. Poiché questo fattore è straordinariamente grande, una pic­ colissima variazione di massa rappresenta una grande variazione di energia. Su questo fatto si basa, come è noto, la produzione di energia per fissione e per fusione nucl è are, utilizzata tecnicamente nei reattori e nelle bombe atomiche. Secondo Heisenberg si devono fare a questo proposito le se­ guenti considerazioni. Se due particelle di grande velocità si ur­ tano, l'energia concentrata in una ristretta zona di spazio, al mo­ mento dell'urto, è data non solo dalla massa della particella, ma anche dalla sua energia cinetica, che può essere piu grande, molto piu grande, dell'energia dovuta alla massa. Per le particelle che si originano nell'urto, è dunque disponibile un'energia maggiore della somma delle energie che corrispondono alle masse delle par­ ticelle primarie. Si potrebbero quindi produrre particelle che hanno una massa molto piu grande di quella delle particelle che si sono urtate o anche della loro somma; e questo infatti avviene in molti casi. Con ciò cade l'assioma della suddivisibilità riportato sopra, dato che non si conserva la massa, ma l'energia, che appare solo m parte come massa e per il resto come energia cinetica. È meglio dunque parlare di trasformazioni o trasmutazioni di particelle piuttosto che di scissioni e di fusioni. In questo campo il concetto stesso di particelle diviene problematico. Il dubbio se le particelle trovate siano veramente elementari (perché piu tardi

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si potrebbero presentare come composte) non ha alcun senso. Si chiameranno elementari le particelle che compaiono o spariscono in reazioni ad alta energia. Una definizione precisa sarà possibile quando si avrà una teoria generale delle possibili particelle come agglomerati di energia. Heisenberg ha sviluppato a questo pro­ posito principi molto promettenti. Lo studio dei fenomeni atomici ha talmente progredito fin dal­ l'inizio di questo secolo, che in questo campo la teoria abituale, o classica, della fisica è divenuta insufficiente e ha dovuto essere so­ stituita con qualche cosa di nuovo, la teoria quantistica. Questa è una teoria matematicamente altrettanto chiara e compiuta in sé quanto la fisica classica, ma ne differisce in molti punti. Prima di tutto essa non permette nessuna interpretazione chiara mediante l'uso dei concetti correnti : un raggio catodico, per esempio, si comporta in certe condizioni sperimentali come un fascio di par­ ticelle avente un ben definito numero di particelle per unità di tempo, e in altre condizioni come un treno d'onde con una de­ terminata lunghezza d'onda. Questa dualità onda-corpuscolo appare ovunque, per tutte le particelle elementari o composte : è qualcosa di assolutamente nuovo che supera tutti i limiti del solito modo di pensare. Si è dimostrato che questa difficoltà non si può superare nell'ambito della teoria deterministica, e che è compatibile soltanto con una teoria fondamentalmente statistica. Non ci si deve domandare: " dove è una particella? " ma: " qual è la probabilità che una parti­ cella si trovi in un posto determinato? " In casi semplici l'intensità dell' onda, misurata mediante il quadrato della sua ampiezza, esprime le probabilità di esistenza di una particella. Strettamente legata a queste concezioni è la limitazione che s'in-

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contra volendo contemporaneamente determinare certe coppie di grandezze, che si dicono meccanicamente coniugate, per esempio coordinate spaziali e quantità di moto ( cioè la massa per la velo­ cità) di una particella. Si presume dapprima che ognuna delle due grandezze si possa di per sé misurare con precisione grande a pia­ cere. Ma poi entra in giuoco il principio d'indeterminazione di Heisenberg: Quanto piu esattamente si misura una delle due gran­ dezze della coppia, altrettanto meno esattamente siamo costretti a misurare l'altra; il prodotto dei due errori di misura non può mai essere al di sotto di un limite determinato che, a meno di un fattore numerico, è la nota costante di Planck. La complementarità Si presenta qui un'altra impossibilità, e questa ha davvero su­ scitato molto chiasso. Alla base di essa sta l'idea che ogni inter­ vallo di tempo debba avere una determinata durata, e ogni gran­ dezza spaziale una determinata estensione. Ma è veramente cosi? Si, se non si ha una grande pretesa di precisione. Ha senso dire: " questa conferenza dura un'ora ", " quest'uomo ha vissuto 8 2 anni " ; anche dire " questa nota suona per u n decimo d i secondo " h a an­ cora un senso; ma se voglio essere piu preciso, e dire " questa nota pura, emessa da un organo con 50 vibrazioni al secondo, suona per per un decimo di secondo ", questo in senso stretto non ha piu significato. Infatti una nota musicale pura è una vibrazione perio­ dica; ma quando comincia e finisce non è piu rigorosamente pe­ riodica, cioè non è pura, ma è una sovrapposizione di suoni puri aventi frequenze poco diverse, nel nostro caso da 45 a 5 5 oscilla­ zioni al secondo. In modo del tutto generale l'analisi matematica

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dice che il prodotto dell'intervallo di impurezza della frequenza ( qui I O al secondo) per la durata (qui Yto di secondo) dà proprio uno; se si rende pili piccola una delle due grandezze, l'altra au­ menta. Questo 'fatto sperimentale ha una parte importante nella costru­ zione degli apparecchi che riproducono o trasmettono musica o parole, come il telefono, il grammofono, il magnetofono, eccetera. Un'intera teoria, detta teoria dell'informazione, si è sviluppata per approfondire questi problemi tecnici. Le relazioni d'indeterminazione della teoria dei quanti sono esat­ tamente dello stesso tipo. La loro coerenza si basa su conoscenze fi­ siche fondamentali: la scoperta di Planck che a ogni energia si può far corrispondere una frequenza che le è direttamente proporzio­ nale, e l'analoga scoperta di de Broglie che a ogni quantità di moto si può far corrispondere un treno d'onde con un determinato nu­ mero d'onde. Il fattore di proporzionalità è in ogni caso lo stesso, la costante di Planck che abbiamo detto. Il problema di come ren­ dere comprensibile queste affermazioni della teoria quantistica e di come esprimerle con un linguaggio chiaro e intuitivo è stato un grosso rompicapo. La soluzione accettata dalla maggior parte dei fisici si deve a Bohr. Egli dice che le due grandezze coniugate di una coppia come tempo ed energia, posizione e quantità di moto, devono venir mi­ surate con apparecchi sperimentali molto diversi a seconda della definizione; per i tempi e le lunghezza servono orologi e regoli rigidi; per le energie e le quantità di moto (velocità) si usano con­ gegni di registrazione mobili. Una discussione accurata mostra che queste due esigenze si escludono a vicenda sulla base della legge naturale che si vuole studiare. Bohr chiama complementari due 7

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concetti come questi e gli apparecchi relativi. Essi non sono m contraddizione, ma si completano. l La fisica porta quindi forzatamente a rinunciare all'interpreta­ zione di tutti gli aspetti di un fenomeno mediante osservazioni di uri solo tipo e un sistema di concetti. Ci sono sempre almeno due aspetti di un fatto, e dobbiamo scegliere in ogni singolo caso quale preferire. Qui si mostra particolarmente chiaro l'aspetto soggettivo della fisica statistica moderna, che scandalizza molti dei fisici cresciuti alla vecchia scuola. lo ritengo la complementarità un'idea importante, perché rende comprensibili molte cose anche fuori dalla fisica. Bohr le ha di­ scusse a fondo; io posso solo trattarle brevemente. Si tratta di coppie di concetti come materia e vita, corpo e anima, necessità e libertà. Intorno a questi problemi si sono moltiplicati gli sforzi filosofici e teologici da secoli, perché si vuole a ogni costo riferire tutto a un sistema. Se si dimostra che già nella pili rigorosa e pili I Nella letteratura fisica e filosofica si è molto abusato del concetto di " com-­ plementare", e ne hanno una certa responsabilità alcune formulazioni un po' vaghe di Bohr. In primo luogo si sono considerate complementari le descrizioni dei fenomeni mediante onde o mediante corpuscoli. Questo mi sembra del tutto improprio ; infatti i concetti onda-corpuscolo non stanno nel rapporto di esclu­ sione d i opposti, e di vicendevole completamento, ma sono entrambi necessari per la compiuta descrizione di una situazione mediante la meccanica quantistica. Nel caso piu semplice di una singola particella libera, l'intensità dell'onda ( il quadrato d ell'ampiezza) rappresenta la probabilità di trovare particelle in un de­ terminato punto. Nei casi piu complicati, nei quali le particelle non sono piu considerate libere e possono verificarsi trasformazioni di particelle le une nelle altre, c'è la possibilità di una descrizione " duale " dello stato, mediante onde o­ particelle, ma questo tipo di onde non si possono piu comprendere intuitiva­ mente e non rappresentano la probabilità di uno stato. Questa è determinata in­ vece attraverso una grandezza opportuna, il cui quadrato dà l'ampiezza di proba­ bilità d i uno stato descritto mediante onde o corpuscoli. La maggior parte delle obiezioni filosofiche contro la "interpretazione di Copenaghe n " della teoria quantistica si basa su equivoci tra queste cose che ogni fisico colto tratta correttamente.

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semplice delle scienze, la fisica, questo è impassibile, e che anche qui sono necessarie trattazioni complementari di aspetti diversi, ci si può aspettare che sia cosi dappertutto. In biologia, per esempio, si studia la sostanza vivente con metodi fisici e chimici. Ma la vita stessa viene descritta con un linguaggio del tutto diverso, in cui hanno parte concetti come scopo, volontà, dolore, gioia, abitudine, eccetera. Si può naturalmente credere che siano, questi, fenomeni chimico-fisici del cervello, che ancora non si capiscono correttamente. Bohr pensa invece che quando si pensa di comprenderli fisicamente sperimentando sul cervello di esseri viventi, si disturbano i fenomeni psichici che si vogliono studiare e lo scopo è irraggiungibile, perché precedentemente l'individuo è stato modificato dalla stessa ricerca. Sul libero arbitrio sono stati scritti innumerevoli libri e trattati assai profondi. Senza di esso non vi è responsabilità personale né ragione o torto, né colpa ed espiazione. Le nostre teorie sociali si basano sull'ipotesi che ogni essere umano sia libero delle sue deci­ sioni. Ma come si può conciliare tutto questo con le leggi naturali e con la causalità in generale? Secondo queste leggi ciò che io faccio è semplicemente l'ultimo anello di una catena di cause e di effetti di cui io non posso essere ritenuto responsabile. Quando il determinismo cominciò a vacillare si credette di aver trovato una via di uscita: se nei singoli eventi è il caso che comanda, la vo­ lontà, pensata come attività dell'essere spirituale, ha l'ultima scelta. Questo è però del tutto insostenibile: il demon� Volontà dovrebbe fare continuamente attenzione a non violare le leggi statistiche. Se­ condo Bohr si tratta qui di un problema solo apparente: vi sono due aspetti degli eventi, quello fisico e quello morale, che sono complementari e non si possono ricondurre l'uno all'altro. Devo accontentarmi di queste spiegazioni, e trame soltanto la

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conclusione che allora anche la fisica può essere trattata da punto di vista che è complementare a quello ordinario.

un

Le scienze affini È dunque naturale non considerare la fisica solo come un insieme

di conoscenze e di metodi, ma come una parte della vita dell'uma­ nità. Si presentano perciò problemi d'altro tipo sui suoi limiti e il loro superamento. Non posso trattarne esaurientemente, ma voglio accennare a un paio di punti. Prima di tutto si presenta il pro­ blema dei confini della fisica rispetto alle altre scienze. Per ciò che riguarda la filosofia, l'essenziale è tutto contenuto nelle righe di Schiller che ho scelto come motto. La rappresenta­ zione fisica del mondo (nella quale io comprendo, come ho già detto da principio, tutte le scienze naturali che hanno che fare col mondo inorganico, cioè anche la chimica, la cristallografia, l'astronomia, ecc.) si forma attraverso riflessioni sull'esperienza, sulle dure cose che sono nello spazio. Spesso invece le idee filoso­ fiche si dispongono le une vicino alle altre con facilità, soprattutto quando si presentano come potenti sistemi connessi logicamente. Molto di quello che pensa la fisica è stato anticipato dalla filosofia. Noi fisici gliene siamo grati, perché ciò a cui tendiamo è un'im­ magine del mondo che non soltanto corrisponda all' esperienza, ma soddisfi anche alle esigenze della critica filosofica. La nostra rap­ presentazione del mondo però non si adatta bene ad alcuno dei sistemi noti: non è né materialistica né idealistica, né positivistica né realistica, né fenomenologica né pragmatistica, né di alcun altro sistema si tratti. Da ogni sistema prende ciò che si adatta meglio alle sue scoperte empiriche. Che diritto abbiamo perciò di opporci

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criticamente e schizzinosamente alle profonde costruzioni logiche dei grandi filosofi? Eppure questo diritto deriva dal fatto che noi siamo diventati scettici sulle idee filosofiche per la nostra esperienza fisica, e che con le nostre sole forze abbiamo dato forma a nuove rappresenta­ zioni e a nuovi concetti, nei campi in cui quelli ricevuti non erano sufficienti. Per quanto io ne so, nessun filosofo ha mai posto in dubbio che le affermazioni sulla contemporaneità degli eventi avessero un senso in sé, fino a che Einstein non ebbe dimostrato che questo era un errore, e dedusse una nuova dottrina del tempo e dello spazio dal comportamento delle dure cose. E nemmeno mi consta che qualche filosofo abbia mai posto in dubbio che a ogni evento corrisponda una durata determinata, fino al giorno in cui la teoria dei quanti non confutò questa presunzione (e quelle cor­ rispondenti sull'estensione nello spazio) e giunse a nuovi concetti; e altro ancora. Proprio perché insisto che la fisica non ha soltanto compiti pratici ( come base della tecnica) ma deve anche essere filosofica in senso assoluto, rifiuto le dottrine filosofiche che si basano soltanto sulla autorità di grandi pensatori, si chiamino essi Platone o Aristotele, Tomaso o Kant, Hegel o Marx. Nell'immaginazione dei profani la matematica differisce pochis­ simo dalla fisica teorica. Noi sappiamo invece che le dobbiamo in­ finita riconoscenza, ma che c'è un netto confine. Perché, se è vero che molti rami della matematica devono la loro esistenza allo stimolo della fisica, è però anche vero che ciò che fanno i matema­ tÌci di oggi è una specie di giuoco con concetti astratti, che non ha niente che fare con le dure cose. Essi immaginano sistemi di as­ siomi secondo punti di vista logici ed estetici, e ne sviluppano meravigliose costruzioni. Qualche volta i fisici ci trovano qualche

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cosa di utile e se ne servono; qualche volta lo strumento matema­ tico è cosi efficiente che si crede di avere in mano la soluzione de­ finitiva di ogni problema fisico. Un esempio è l'identificazione dello spazio fisico e del tempo fisico col continuo matematico. Ne ho già parlato prima, e ho mostrato che quest'identificazione va troppo oltre perché non contiene affermazioni verificabili. Anzi questo caso è probabilmente il migliore esempio della distinzione tra le due discipline, nel senso dei versi di Schiller. Veniamo ora alle scienze biologiche. Ciò che ci interessa in esse a questo proposito è già stato discusso piu sopra dal punto di vista della complementarità. Ai metodi della fisica e della chimica non è posto apparentemente alcun limite, l'analisi delle strutture mate­ riali degli esseri viventi si estende e si approfondisce sempre piu. Eppure io credo che essa non giungerà mai a scoprire il segreto della vita, poiché la vita non è solo un evento naturale, come la crescita dei cristalli o il corso dei pianeti, ma si manifesta nei fe­ nomeni del sentimento, della volontà, delle passioni, che nell'uomo arrivano alla completa coscienza di sé, sperimentata da ognuno. Può essere che i fenomeni complicati dell'eredità vengano com­ piutamente chiariti, perché già oggi si è vicini a questa mèta. Si sa che nei cromosomi del nucleo della cellula vi sono formazioni, i geni, che con la loro disposizione a catena determinano l'eredi­ tarietà, e si sono identificati questi geni con molecole chimiche de­ terminate, chiamate acidi desossiribonucleici. La prosecuzione di queste indagini lascia sperare di giungere a ricondurre il processo dello sviluppo organico a un problema generale di disposizioni di file di molecole a catena. Ma potrà questo condurci mai ad affer­ rare che da un certo stadio di sviluppo in poi appare la coscienza, la quale nell'uomo raggiunge un'altezza tale da dargli la possibilità di stabilire il concetto di anima parallelamente a quello di corpo?

LllVUTI DELLA ,RAPP R E S E STAZIONE

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Mi sembra improbabile. lo credo con Bohr che i concetti di corpo ed anima stiano fra loro nel rapporto di complementarità e che non si possano ricondurre l'uno all'altro. Non vorrei addentrarmi in una discussione piu approfondita di questi problemi che toccano la psicologia, perché non mi sento abbastanza competente. Direi solo due parole sulla cosiddetta ri­ cerca parapsicologica, perché essa pone particolarmente in dubbio i fondamenti delle scienze naturali. Si tratta specialmente della trasmissione estrasensoriale del pen­ siero. Si fanno avanti continuamente uomini e intere scuole che affermano di aver accertato con seri esperimenti l'esistenza di tali fenomeni. lo non posso pretendere di giudicare se le loro valuta­ zioni (per lo piu statistiche) siano realmente inconfutabili, ma son4;) scettico per molte ragioni. Prima di tutto l'esistenza di questa pos­ sibilità di comunicazione tra determinati uomini, i medium, li avrebbe avvantaggiati nella lotta per l'esistenza, e invece non ho mai sentito dire che tali persone abbiano avuto particolare suc­ cesso. Secondariamente questa facoltà dovrebbe almeno fino a un certo grado essere ereditaria; ma allora non sarebbe comprensibile come mai, essendo avvantaggiata nella lotta per l'esistenza, essa non si sia ampliata e rafforzata sino dai tempi preistorici. In terzo luogo non si capisce perché si sarebbero sviluppati e completati gli organi dei sensi, se è possibile farne a meno. lo credo che qui si tratti di uno sconfinamento nell'oscuro paese della mistica, an­ che se mascherato scientificamente. Delle scienze dello spirito che spiegano il divenire umano come espressione della coscienza non è qui il caso di trattare, perché in generale non fanno gran conto delle scienze naturali: troppo poco, poiché il corso della storia, soprattutto e specialmente nel nostro tempo, è determinato in alto grado dal livello della tecnica, e que-

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sto a sua volta da quello della scienza. A questo proposito dirò piu tardi ancora qualche parola. Voglio invece approfondire un pro­ blema un po' scabroso al quale ho già accennato: al miracolo nella religione. La generazione di mio padre discuteva ancora questo problema appassionatamente. Da allora si è avuta una specie di tregua negli stati occidentali, mentre negli stati comunisti l'ateismo è assurto a religione di stato. Non è bene attizzare conflitti di questo genere, ma poiché io sto parlando dei limiti della rappresentazione scien­ tifica del mondo, non posso dire altro che io non credo in una violazione delle leggi naturali. Poiché queste leggi sono di natura statistica, e permettono perciò scostamenti dalla norma, devo de­ finire piu esattamente quello che intendo. Le fluttuazioni statisti­ che, cioè, bastano da sole nel caso di certe leggi. Ma i fatti mira­ colosi della tradizione religiosa sono di tutt'altro tipo e stanno su di un altro piano: dimostrano qualche cosa che è al di fuori di tutte le trattazioni scientifiche, forse la forza della preghiera, o l'intromissione di potenze ultraterrene a favore o contro deterini:.. nati popoli o persone. Tutto questo è stato discusso tanto spesso e cOSI a fondo che non ho bisogno di insistervi. Posso solo ripetere ciò che ho già detto a proposito di un'altra cosa: la natura in se stessa mi pare cosi meravigliosa attraverso la sua regolarità, che il credere a una violazione di questa regolarità mi appare una pro­ fanazione dell' ordine divino. Ma questo è un campo lontano, e io mi volgo ora piuttosto ai liiniti della ricerca in relazione ai loro effetti sulla vita umana. Limiti sociali ed etici Quando ero giovane si poteva anche essere uno scienziato puro

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senza occuparsi molto delle applicazioni, cioè della tecnica. Oggi non è pio possibile, perché lo studio dei fenomeni naturali è in­ dissolubilmente legato alla vita sociale e politica; ha bisogno di grandi mezzi, che può ricevere solo dalla grande industria o dallo Stato, e i suoi risultati non possono pereiò mai essere sottratti a tali organizzazioni. Specialmente la fisica nucleare, la missilistica e i viaggi spaziali richiedono somme enormi. CosI ogni ricerca­ tore è oggi un membro del sistema tecnico e industriale in cui vive, e perciò egli ha anche una parte di responsabilità perché delle sue scoperte sia fatto un uso ragionevole. Ciò sarebbe semplice, se il progresso tecnico e scientifico fosse sempre favorevole, ma siamo nel pieno di uno sviluppo tempestoso e non possiamo prevedere dove condurrà. Mi sembra che la tec­ nica per lo piu (purtroppo non posso dire: sempre) voglia il bene, e spesso porti il male. Un paio di esempi: La medicina scientifica ha reso innocue le epidemie e le malattie, ha reso indolori le ope­ razioni, ha sensibilmente elevato l'età media degli uomini. La con­ seguenza è un enorme aumento del numero degli uomini ed è in­ certo se la produzione dei mezzi di nutrizione potrà aumentare in proporzione. In caso contrario, da un bene sarà venuto un male, un " mondo senza spazio ". L'industria ha elevato il tenore di vita dappertutto, ha diminuito il . peso e il tempo del lavoro, portato agi e possibilità di viaggi, e divertimenti a buon mercato mediante la radio, il cinematografo e la televisione. Ma ha allontanato gli uomini dalla natura, li ha rin­ chiusi insieme nelle grandi città, ha sostituito i cibi sani e naturali con prodotti artificiali spesso poco sicuri, ha avvelenato i boschi, i fiumi e l'aria con polvere, gas di combustione e rifiuti, ha fatto estinguere belle razze di animali. Le cattive conseguenze della tecnica potrebbero essere vinte, se

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ogni interessato vi collaborasse : anche noi, persone colte, nei nostri laboratori o ai nostri tavoli di lavoro. Probabilmente saremmo rimasti freddi ed assenti di fronte a que­ sti problemi se un avvenimento non ci avesse scosso: la bomba ato­ mica, che minaccia l'esistenza della civiltà, anzi del genere umano. La fisica nucleare fino alla scoperta della fissione dell'uranio da parte di Rahn e Strassmann era pura ricerca senza la prospettiva di spaventose conseguenze. Ma subito dopo la ricerca nucleare venne implicata nella tragedia della seconda guerra mondiale, e sarebbe assurdo affermare che i fisici vi abbiano avuto solo una parte da comparse. No, collaborarono come patrioti, prepararono la strada ai tecnici, e consigliarono i politici e i militari su come si potesse usare la superbomba. lo non mi permetto di formulare un giudizio su colleghi che hanno agito con scienza e coscienza. La conclusione che io voglio trarre è semplicemente che sarà necessario studiare i limiti morali della nostra immagine del mondo altrettanto accuratamente quanto quelli fisici. Molti di noi lo fanno, ma nessuno lo fa volentieri, non per opportunismo, ma perché nella morale non ci sono me­ todi chiari e criteri precisi per decidere del vero e del falso, come in fisica. Quanto a me la decisione è abbastanza facile, perché non ho mai lavorato in fisica nucleare, e tanto meno ho avuto alcuna parte nella costruzione della bomba atomica; e ho detto il mio parere abbastanza spesso: io ritengo da rigettare l'impiego di tutti i mezzi di distruzione di massa (chimici, biologici, atomici); non credo alla teora dell'intimidazione, perché l'esecuzione delle mi­ nacce significa suicidio; penso che non è pio possibile servirsi della guerra per risolvere questioni politiche, perché con grande probabilità essa porterebbe all'uso di quei mezzi di distruzione di massa e con ciò alla distruzione del genere umano; appunto perciò

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l 'idea della difesa della patria è divenuta senza senso, e ciò va messo bene in testa agli uomini fino a che lo capiscano e costringano i governi ad agire in conseguenza. Per concludere dirò che noi ricercatori, dal cui lavoro è nata la situazione odierna, crediamo di avere il diritto e il dovere di se­ gnare anche i limiti del mondo pratico, cOSI come siamo abituati -a segnare i confini del nostro mondo teorico. Sul punto fonda­ mentale siamo d'accordo, come dimostrano molti manifesti : ri­ cordo le dichiarazioni dei diciotto di Gottinga, l'appello dei no­ vemila di Linus Pauling, il Movimento Pugwash e altri ; ma vi -sono anche tristi eccezioni. Siamo alla ricerca di regole morali, e ci lasciamo volentieri con­ -sigliare da coloro al di fuori della nostra cerchia che hanno capito, -come noi, che si tratta di una situazione nuova, che non si è mai verificata prima. Voglio accennare qui al libro dello scrittore viennese Giinther Anders, Der Mann auf der Briicke [L'uomo sul ponte ], che contiene una profonda analisi del problema dell'èra -atomica sotto forma di diario di un viaggio a Hiroshima. Egli .chiama anno zero quello in cui caddero le bombe su Hiroshima e Nagasaki: inizio di una nuova èra, in cui non bastano piu i prin­ dpi morali che abbiamo ricevuto, e bisogna stabilirne degli altri . Secondo il filosofo Karl Jaspers, invece, la situazione ha tinte piu fosche. Egli spera salvezza dalla ragione, da un'alta istanza intellet­ tuale, che egli descrive e invoca, senza che sia chiaro ciò che essa sia propriamente e in che modo essa possa portare aiuto. Secondo Jaspers infatti possiamo soltanto scegliere tra l'assoggettamento al :sistema totalitario comunista e la difesa della libertà mediante le :armi atomiche, che significano la rovina di tutti noi. Egli esige perciò una disposizione a questo estremo sacrificio; in ciò si trova

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d'accordo coi seguaci di altre ideologie, di cui ricordo solo il ge­ suita Gundlach, che rappresenta il punto di vista cattolico e prefe­ risce l'autodistruzione alla schiavitu, e il giornalista Schlamm, che non esita a raccomandare una guerra preventiva per la difesa della civiltà occidentale, e attacca aspramente noi fisici perché cerchiamo altre vie. Non posso condividere le idee di questi fanatici, e vorrei piut­ tosto richiamarmi a un esperto inglese non impegnato, il professore P. M. S. Blackett. Egli fu ufficiale di marina nella prima guerra mondiale e prese parte attiva alla battaglia navale dello Skagerrak. Dopo l'armistizio si rivolse alla fisica e lavorò con grande successo alle ricerche sui raggi cosmici, sicché gli fu assegnato il premio Nobel. Durante la seconda guerra mondiale rese enormi servizi alla difesa della Gran Bretagna mediante un metodo per la ra­ zionalizzazione nell'impiego delle forze a disposizione, detto di analisi operativa. Il suo interesse per le cose militari si è mante­ nuto, ed egli ha pubblicato due libri I sulla difesa dell'Inghilterra, ove discute i problemi delle armi atomiche da un punto di vista puramente tecnico e politico, senza prestare attenzione al lato umano. Perciò questi libri non mi sembrano soddisfacenti. Nel 1 959 ha esposto in modo breve e condensato il problema della di­ fesa della Gran Bretagna, non trascurando il problema etico. 2 Da un punto di vista di politica militare egli comincia con l'affermare che 1'occidente non può fare a meno di sostenere spese e sacrifici per avere un esercito tradizionale all'altezza di quello dell'altro blocco. Inoltre si volge violentemente contro la strategia prevista dai piani di difesa dell'occidente, di rispondere a ogni attacco delI P. M. s. BLACKETT, Conseguenze p olitiche e militari dell'energia atomica, trad. Anna Maria Levi (Einaudi, Torino 1 949) ; Le armi atomiche e i rapporti fra Est e Ovest, trad. Luciana Pecchioli ( ivi 1 1}( 1 ) . 2 New Statesman, 5 dicembre 1 959.

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l'Vnione Sovietica, anche condotto con armi tradizionali, con armi

nucleari. Egli dice: " In pochi decenni i capi politici, militari, ec­ clesiastici e filosofici dell'occidente sono riusciti a giustificare una dottrina militare che precedentemente essi avrebbero considerato delittuosa, immorale fino alla nausea e semplicemente inammissi­ bile. " Egli dice poi che di fronte alla realizzazione di questa poli­ tica parranno trascurabili i sei milioni di vittime delle camere a gaS di Hitler, e che il civile occidente è moralmente caduto al di sotto d ella morale di Genghizkhan. Per calmare la coscienza degli uo­ mini di fronte a piani militari che mettono sotto gli occhi l'ucci­ sione di molte decine o anche centinaia di milioni di uomini, donne e bambini dell'avversario - e anche dei propri, ma ciò è tenuto nascosto - bisogna considerare quest'avversario essenzialmente per­ verso e aggressivo. Blackett formula questo concetto asserendo che: " Se una nazione per la sua sicurezza fa assegnamento su un'arma assoluta, diviene psicologicamente necessario credere in un nemico assoluto. " lo ritengo che ognuno di noi porti in sé qual­ che cosa di questa convinzione dell'esistenza del nemico assoluto. E non solo noi cittadini qualunque, ma anche molti capi di Stato e uomini politici di entrambe le parti. lo ho avuto contempora­ neamente un lungo scambio di corrispondenza con personalità im­ portanti in oriente e in occidente, il filosofo russo Suvorov e il ministro tedesco della difesa Strauss, ed entrambi seguivano piu o meno la teoria del nemico assoluto, ognuno dalla sua parte. Questa è anche la posizione degli apostoli dell'autosacrificio ricordati prima, Gundlach, Jaspers e Schlamm. Blachett si sofferma anche sull'idea che il suicidio nazionale sia preferibile alla sconfitta, e dice che questa è pura follia. Infatti, se l'espressione " suicidio nazionale " ha un senso, essa significa che poche persone, che costituiscono il governo di un popolo, hanno il diritto di uccidere tutti, piuttosto

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che riconoscere la propria sconfitta. Blackett crede che simili chiac­ chiere abbiano di fatto solo il significato di millanterie e si domanda quante delle persone che affermano ciò sarebbero all'atto pratico disposte a uccidersi : probabilmente pochissime, stando agli am­ maestramenti che si possono dedurre dalla storia. Se ragguardevoli filosofi, teologi, pubblicisti dicono tali cose, gran parte del popolo ne verrà influenzata e appoggerà i governi nella loro politica antiquata. Credo che noi fisici abbiamo il diritto e il dovere di meditare nel nostro modo semplice e disincantato su questi problemi nati dalle nostre ricerche, e di cercare d'illuminare l'opinione pubblica. Non abbiamo ancora una vasta organizzazione mondiale a questo scopo: ma vi stiamo lavorando e già oggi i nostri sforzi hanno avutO' qualche risultato. I capi delle grandi potenze hanno capito il peri­ colo e cercano di agire. I piu popolari generali dell'ultima guerra mondiale, Eisenhower e Montgomery, hanno dichiarato aperta­ mente che di fronte alle armi e ai mezzi di sterminio moderni la violenza e la guerra sono diventati senza senso. Però anche forze contrarie agiscono, e i nostri sforzi per stabilire chiaramente i li­ miti morali della scienza non devono rallentarsi. COSI potremO' sperare che la crisi d'esistenza dell'umanità, che è stata originata dall'incontrollata applicazione dei risultati delle ricerche fisiche, possa essere finalmente risolta.

4· La fisica di oggi nello specchio di lert

Se mi s'interroga sullo stato e sulle prospettive future della fisica,

mi sento come un capitano a riposo che abbia soltanto navigato con battelli a vela e debba dare informazioni sullo stato e sull'av­ venire della navigazione a vapore. Da anni vivo appartato dal corso degli avvenimenti, seguo la scienza solo di lontano e so poco dei piu giovani ricercatori. Posso soltanto esporre un paio di conside­ razioni generali, paragonando la situazione attuale, cOSI come mi è nota, con quella dei vecchi tempi, quando io mi trovavo ancora di persona nell'alto mare della ricerca fisica, e collaboravo al mi­ glioramento dell'arte della navigazione, la fisica teorica. Il cambiamento in questi cinquant'anni è stato travolgente, ep­ pure ho l'impressione che la parte di gran lunga maggiore delll1 ricerca si basi ancora sugli stessi principi fondamentali ai cui svi­ luppi sono stato contemporaneo. Eccetto il fronte piu avanzato, ove si annuncia un nuovo rivolgimento, dominano ancor oggi le teorie dei quanti e della relatività. Ognuna di queste due teorie è caratterizzata da una determinata costante assoluta, la · teoria della relatività dalla velocità della luce,.

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la teoria dei quanti dal quanto d'azione di Planck. Sembra oggi altamente probabile che per la comprensione delle particelle ele­ mentari (elettroni, protoni, neutroni, neutrini, mesoni e iperoni di specie diverse) sia necessario introdurre una nuova grandezza asso­ luta. Per anni mi sono sforzato d'introdurre una modificazione delle leggi del campo elettromagnetico, secondo la quale i campi non si sovrapponessero (si parla dunque di una teoria non lineare) e nella quale comparisse un'intensità di campo assoluta; ma questo tentativo fu frustrato proprio dalle scoperte sperimentali sui pro­ cessi tra particelle ad alta energia. Tra le ultime teorie che trat­ tano convenientemente i quanti, certo quella di Heisenberg è la piu significativa; essa è non lineare e introduce una lunghezza as­ soluta. Non posso osare di giudicare o di discutere questa fisica del futuro. Nel frattempo è stata fatta una serie d'importanti scoperte, che possono ancora comprendersi nella cornice della teoria oggi gene­ ralmente accettata, ma aprono uno spiraglio sugli sviluppi futuri. Ne nominerò soltanto due. Una è la dimostrazione che lo spazio gode di una simmetria minore di quella che ci si aspettava. Di solito si fa l'ipotesi che lo spazio sia omogeneo e isòtropo, cioè che ogni suo punto sia equivalente a ogni altro, e ogni direzione a ogni altra. Oltre ciò si era convinti che valesse la legge della parità, cioè che fenomeni a simmetria speculare - vale a dire ottenibili l'uno dall'altro scambiando la sinistra con la destra - fossero tra loro equivalenti. Ciò è stato negato in seguito a esperimenti convin­ centi sui processi elementari. Ogni teoria futura delle particelle elementari ne deve tener conto. Un'altra serie di scoperte si riferisce alle cosiddette antiparticelle. Secondo la teoria della relatività bisogna aspettarsi che a ogni par­ ticella ne corrisponda un'altra a essa uguale in tutto, ma che pos-

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sieda una proprietà elementare di segno contrario. Questa pro­ prietà può essere la carica elettrica. Si sapeva già da molti anni che oltre all'elettrone negativo ne esisteva anche uno positivo (posi­ tone) e ci si aspettava che anche il pesante protone, che nella no­ stra materia ha sempre carica positiva, avesse un opposto negativo : esso fu scoperto negli ultimi anni. M a anche il neutrone, una particella scarica, ha un'antiparticella, la cui caratterizzazione por­ terebbe qui troppo lontano; anche questa è stata scoperta. Si di­ schiu d ono quindi speculazioni sulla possibilità che vi possano es­ sere lontani sistemi stellari (galassie) costituiti tutti di antimateria. Se materia e antimateria si scontrano, esse si annichilano, sprigio­ nando' enormi quantità di energia, molto pru grandi di tutto ciò che conosciamo oggi nei processi nucleari. Probabilmente certe catastrofi dell'universo (N ovae, stelle nuove) si devono far risa­ lire a ciò. La probabilità di poter utilizzare questi processi a scopi umani è piccola. Per ora abbiamo abbastanza da fare a utilizzare tecnicamente la nota reazione nucleare della fissione e a studiare quella della fusione, da cui si ricava una maggior energia. In questo campo bastano essenzialmente i prindpi noti della fisica, che si vanno sviluppando con grande velocità. A questo lavoro prendono parte fisici di tutti i paesi in concorde e pacifica competizione. Essi sanno esattamente come vanno applicate in ogni caso le teorie della relatività e dei quanti. Si potrebbe quindi pensare che queste fondamentali teorie dopo circa mezzo secolo dalla loro scoperta siano state pienamente ac­ certate e generalmente accettate. Se questo si verifica in generale, pure la discussione sui fondamenti non si è affatto spenta. Dap­ prima, nella mia giovinezza, c'erano filosofi che adducevano contro la teoria della relatività argomentazioni fondate, che si potevano confutare con serie ragioni, ma oggi vi sono soltanto ideologi che 8

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combattono tanto la trasformazione del concetto di spazio e di tempo introdotta dalla teoria della relatività, quanto la trasfor­ mazione del concetto di realtà e di determinismo operata dalla teoria dei quanti. Il materialismo dialettico rifiuta l'interpretazione delle teorie generalmente accettata dai fisici, definendola " ideali­ stica ". In occidente c'è la tendenza a un'interpretazione esagerata­ mente positivistica, che va fino all'estremo della negazione di ogni realtà del mondo esterno. Poiché la scienza non partecipa a tali contrasti, la cosa sarebbe senza importanza se nei paesi orientali il materialismo dialettico non fosse una specie di religione di Stato, ma in questa difficile situazione i fisici sovietici hanno fatto un la­ voro brillante e hanno saputo evitare la sopraffazione ideologica. In occidente, d'altra parte, il positivismo non ha fatto molto male, poiché è chiaramente difficile, sia per i fisici che per gli altri uo­ mini, vivere in un universo alla cui esistenza si afferma di non credere. Il rifiuto delle posizioni estreme e degli irrigidimenti di certi sistemi non significa che si è contrari a ogni interpretazione filo­ sofica della fisica. Al contrario la fisica è vitale soltanto se è consa­ pevole del significato filosofico dei suoi metodi e delle sue sco­ perte. Essa ha attinto molto dalla filosofia tradizionale, ma le ha anche dato qualche cosa, come ho detto nel capitolo precedente. Prima di Einstein nessun filosofo aveva mai pensato di porre in dubbio il concetto di simultaneità di eventi, o che vi potesse essere qualche cosa come la curvatura dello spazio. Lo stesso si può dire della critica alla categoria della causalità, come è avvenuto per mezzo della teoria dei quanti. Ricorderò alcuni campi ove la fisica ha avuto grande impulso negli ultimi anni: i nuclei atomici; i solidi; la scarica elettrica in un gas ad alta ionizzazione, ossia il cosiddetto plasma (impiegato per

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la produzione di temperature molto elevate); il magnetismo dei cristalli (impiegato per la produzione di temperature bassissime). Tutti questi campi sono di grande utilità e strettamente collegati gli uni agli altri, ma si tratta di problemi su cui non posso soffer­ marmi. La rapidità del progresso è enorme: per quanto riguarda le alte temperature oggi si è vicini ai I O milioni di gradi, mentre alcuni anni fa, quando io prendevo ancora parte alla vita accade­ mica, venivano raggiunti circa cinquemila gradi. Per quanto ri­ guarda le basse temperature si è raggiunto oggi un milionesimo di grado al di sopra dello zero assoluto, contro circa un grado asso­ luto ( - 2 7 2 °C) dei miei tempi. La fisica è oggi cosi estesa che nessuno può piu averne una cono­ scenza compiuta: i seguenti dati ne dànno un'idea. Lo Handbuch der Physik nell'ultima edizione comprende 54 volumi, il contenuto dei quali si aggira tra le 3 00 a le 1 000 pagine: nessuno conosce piu di una piccola parte di questa materia gigantesca. Oltre a ciò essa aumenta di giorno in giorno, e alcune parti possono essere già par­ zialmente antiquate al momento in cui esce un volume. Quanto segue è ancora piu sbalorditivo: le comunicazioni tenute al Con­ gresso internazionale sull'impiego pacifico dell'energia atomica nel 1 95 8 a Ginevra comprendono 2 7 volumi, molti di circa 500 pagine, altri di 800. Ogni volume è dedicato agli specialisti di un ristretto campo nel dominio già specializzato della fisica nucleare. Quest'enorme aumento del materiale è comune a tutte le scienze naturali. Esso non dipende soltanto dall'espansione delle vecchie culture nazionali, ma anche dalla partecipazione di sempre nuovi popoli alla ricerca. Si tratta qui di un cambiamento fondamentale del concetto di sapere, che non si riferisce piu al singolo, ma alla comunità. Men­ tre la somma di quello che si scopre e si pubblica cresce a dismi-

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sura, diventa sempre minore, almeno in modo relativo, ciò che il singolo comprende e conosce. In questo modo l'enonne sapere della comunità può andare di pari passo con l'istupidimento indi­ viduale. Ne sono purtroppo già abbastanza evidenti gli indizi. C'imbattiamo qui in uno dei grandi problemi del nostro tempo, di cui - per quel che ne so - non si è ancora trovata alcuna solu­ zione. L'organizzazione può certo aiutare nella tecnica, ma la co­ noscenza vera e profonda è di per se stessa legata allo spirito che ricerca da solo. Da ciò dipende uno dei mutamenti fondamentali nell'ingranaggio della fisica moderna, e cioè il rapporto tra scienza e Stato, o pro­ priamente, tra scienza e società: le dimensioni e il costo degli apparecchi e l'organizzazione richiesta dal lavoro di gruppo fanno SI che la scienza dipenda dallo Stato, e che essa gli sia quindi legata. Allorché io cominciai a studiare, circa nel 1 900, era da poco pas­ sato il tempo in ci si mettevano insieme gli apparecchi con latta, tubi di vetro e ceralacca. L'industria forniva strumenti con l'aiuto dei quali i fisici costruivano i loro apparecchi sempre con tubi di vetro e ceralacca, e il tutto costava circa un paio di centinaia di marchi. C'erano anche apparecchi piu cari, come i grandi reticoli concavi, ma erano riservati a pochi specialisti. Da allora le dimensioni, la complicazione e il prezzo degli stru­ menti sono continuamente aumentati, e non senza ragione. Ciò di­ pende dall' ordine di grandezza delle energie atomiche con le quali si ha che fare. La mia giovinezza coincise col periodo delle ri­ cerche sulla struttura elettronica esterna dell'atomo, da cui dipen­ dono le normali proprietà fisiche e chimiche dei corpi. Le energie che si consideravano allora, misurate nella solita unità di misura, l'elettronvolt, erano dell'ordine dell'unità o della decina. Nel periodo seguente della fisica nucleare si ebbe che fare con

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energie dell'ordine di un milione di elettronvolt, e oggi, con le ri­ cerche sulle particelle elementari, si va sui miliardi di elettronvolt. Poiché il metodo fondamentale di ricerca consiste proprio nel bombardare una particella con un'altra e nell'osservare l'effetto della collisione, i " cannoni " utilizzati, cioè gli acceleratori di par­ ticelle, sono stati costruiti in dimensioni sempre pio grandi, e oggi hanno raggiunto dimensioni fantastiche. Riporterò come esempio alcuni dati sullo strumento per ora pio grande del mondo. Sorge presso Ginevra e appartiene all'organizzazione europea per le ri­ cerche nucleari (C.E.R.N.) della quale fanno parte tredi c i paesi dell'Europa occidentale. L'acceleratore è un tubo in cui è fatto il vuoto, in forma di ciambella, di duecento metri di diametro, cir­ condato da cento magneti deflettori; nell'interno vengono accele­ rati protoni a 29 miliardi di elettronvolt, e precisamente in singoli " fiotti " . Un fiotto di protoni ammonta a un bilione di protoni per giro, che in un secondo percorrono la circonferenza 480 000 volte, il che corrisponde a un quarto della distanza Terra-Luna. La velo­ cità finale raggiunta per 2 5 miliardi di elettronvolt è il 99,99 % della velocità della luce, e l'aumento relativistico di massa del protone è circa 2 5 volte. Il costo della costruzione di questo strumento gi­ gantesco è stato di I 1 5 milioni di franchi svizzeri . L'acceleratore in corso di avanzata costruzione a Brookhaven, negli Stati Uniti, darà prestazioni simili ma un po' maggiori. Per il momento la piu grande macchina americana in questo campo è quella di Berkeley in California. Fornisce 6>3 miliardi di elettronvolt e ha un diametro di 80 metri. Il piu grande e costoso apparecchio costruito nella Repubblica federale te d esca è l'elettrosincrotrone di Amburgo, che con un diametro di 1 00 metri deve fornire 6 miliardi di elettronvolt. Il preventivo di spesa ammonta a 60 milioni di marchi, e il costo di esercizio annuo è di IO milioni di marchi. La comunità dei po-

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poli comunisti ha un grande centro di rice�ca a Dubna, vicino a Mosca, il cui piu grande acceleratore, del diametro di 5 6 metri, fornisce IO miliardi di elettronvolt. È in costruzione uno strumento piu grande, progettato per 50 miliardi di elettronvolt. Anche i grandi telescopi, un tempo gli apparecchi piu costosi di tutta la ricerca scientifica, sono in paragone a buon mercato. Ma certo l'astronomia prenderà di nuovo il sopravvento con la costruzione dei telescopi radar che divengono sempre piu grandi. Naturalmente, installazioni del tipo del C.E.R.N., di Dubna o di Brookhaven richiedono una grande quantità di personale, e non solo fisici veri e propri, ma anche ausiliari di scienze affini, special­ mente ingegneri. Le macchine possono venire completamente uti­ lizzate solo se lavorano senza interruzione, e in esse ogni singola apparecchiatura è talmente complicata che richiede a sua volta il servizio di un gruppo di specialisti. Per conseguenza il lavoro di ricerca non viene piu eseguito da persone singole, ma da squadre. Anche ai miei tempi c'erano inizi di lavoro di squadra; i laureandi di un istituto lavoravano spesso a gruppi su argomenti affini, ogni gruppo sotto la guida di un ricercatore piu anziano, del direttore o di uno dei suoi assistenti. Ma questi capi erano di solito talmente superiori come cultura ed esperienza, che fondamentalmente si trattava ancora di lavorare sulle loro idee personali. Come vadano le cose oggi con le grandi macchine non lo so, perché non ho mai preso parte a questo tipo di lavoro. Posso solo dire che immagino a stento come una personalità scientifica si possa liberamente sviluppare in circostanze simili a quelle di una scuola di alta specializzazione. Per quanto riguarda i risultati, la quantità di buoni, anzi eccellenti lavori, nel quadro del programma stabilito è sorprendentemente grande; ma se in questo modo si

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possa riuscire a fare una breccia in campi di penSiero del tutto . . nUOVi, mi pare pOCO Sicuro. Anche negli istituti piu piccoli delle università e dei politecnici oggi si trovano strumenti COSI grandi e COSI costosi come mai prima si sarebbero nemmeno sognati, e anche qui i laureandi e gli altri collaboratori devono essere organizzati in gruppi di ricerca. Nella fisica teorica stessa si hanno tendenze simili. I metodi mate­ matici sono talmente complicati che la specializzazione è inevi­ tabile: per i compiti piu vasti, che trattano campi diversi della fisica, questo porta di nuovo al lavoro a squadre; e COSI l'uso delle calcolatrici elettroniche, i " cervelli elettronici ", che richiedono personale con preparazione elettrotecnica. Perciò anche il teorico solitario oggi è divenuto una rarità. Einstein ha fatto la sua mag­ giore opera da solo e come hobby , mentre era impiegato all'ufficio brevetti svizzero di Berna. Nelle condizioni odierne possiamo an­ cora aspettarci un Einstein? Mentre le grandi macchine acceleratrici servono solo alla ricerca, i reattori servono tanto alla ricerca quanto alla produzione di energia elettrica, di isotopi e di materiale fissile. Ma sono altret­ tanto costosi, e devono anch'essi essere fatti funzionare con lavoro a squadre. Perché tutti i governi sono pronti a mettere a disposizione i capi­ tali per questo sviluppo gigantesco? Per alcuni, come la Gran Bre­ tagna, è la preoccupazione che le miniere di carbone si esauriscano; per altri il desiderio di essere indipendenti dalla importazione di carbone e di petrolio. Ma in complesso i combustibili fossili baste­ ranno ancora per secoli: quando mai un uomo di Stato si è preoc­ cupato a COSI lunga scadenza? In realtà sono le applicazioni militari dell'energia nucleare, le bombe A e H, che fanno uscire il denaro dalle casse dello Stato. .

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Gli uomini di Stato vedono nella ricerca scientifica una sorgente di potenza e la incoraggiano. Negli Stati Uniti l'esercito, la marina e l'aeronautica sono prodighi mecenati delle scienze fisiche, e abba­ stanza larghi d'idee da non aiutare soltanto le ricerche con appli­ cazioni pratiche immediate, ma anche studi su problemi fonda­ mentali, la cui applicazione non è a breve scadenza: hanno imparato dalla storia della bomba atomica. Ma questa dipendenza della scienza dall'esercito potrà a lungo andare riuscire vantaggiosa? C'è un ramo della ricerca scientifica ancora piu costoso della fisica nucleare: quello delle ricerche spaziali, i cui strumenti prin­ cipali sono i missili. Con essi si è riusciti a vincere la gravità, a trasformare un oggetto terrestre in un oggetto celeste, e a dimo­ strare con ciò sperimentalmente le leggi di Newton della mecca­ nica celeste. Si è raggiunta la Luna e presto anche gli uomini vi arriveranno. Forse si raggiungeranno altri pianeti. Vi sono gli en­ tusiasti dei missili che ritengono possibile perfino un viaggio nel­ l'universo, al di là del sistema planetario. Si sono fatte scoperte d'ogni sorta sullo spazio che circonda la Terra, che sono di qualche interesse per la scienza, ma che per il grosso degli uomini non hanno quasi nessuna importanza. La perfezione tecnica raggiunta . in tutto questo è grandissima e merita l'ammirazione che le è tri­ butata. Ma altrettanto grande è il costo degli apparecchi. Secondo Saenger le spese annuali per lo sviluppo dei missili negli Stati Uniti ammontavano a circa 4 miliardi di dollari, e nell'Unione Sovietica a circa il doppio. (Per confronto sono date alcune cifre sugli aiuti concessi ai paesi sottosviluppati negli anni 1 95 5 -5 8 : dagli Stati Uniti complessivamente 4,4 miliardi di dollari, di cui circa un quarto per scopi militari e il resto per aiuti economici; dal blocco orientale complessivamente 2 ,8 miliardi di dollari, di cui un terzo

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per scopi militari e il resto per aiuto economico; e inoltre una pic­ cola quota annuale per missili e ricerche spaziali.) Perché somme di quest'ordine di grandezza vengono approvate per tali studi? In primo luogo perché i missili sono importanti militarmente. Se possono raggiungere la Luna, possono anche por­ tare bombe atomiche da un continente a un altro. Sono un ele­ mento nella gara di potenza dei grandi Stati, forse il pio importante. I viaggi spaziali hanno poi un grande valore di propaganda. Alcuni anni fa ho partecipato a una riunione di esperti spaziali, in cui non si è discusso solo di problemi di fisica, di tecnica o di medicina, ma anche di teologia e di diritto. Molti erano avvincenti, altri assurdi, COSI assurdi che mi sono lasciato andare a un brevé discorso in cui esprimevo le mie osservazioni e i miei dubbi. Poiché essi nel frattempo non si sono attenuati, vorrei riportare qui alcune frasi di quel mio vecchio discorso, che mi sembrano decisive : " Il viaggio spaziale è una manifestazione del desiderio di avven­ tura degli uomini, dell'istinto di cercare lo sconfinato, di oltrepas­ sare i confini riconosciuti, come la scalata del Monte Everest o le spedizioni al Polo Nord o al Polo Sud. In breve è uno sport, che oggi è militarmente importante, e perciò è incoraggiato da chi de­ tiene il potere politico. Non ci posso vedere alcun altro significato. " Ma è uno sport immensamente costoso, un lusso stravagante, tranne che per grossi affaristi che ci guadagnano. lo non vedo come i viaggi spaziali possano in alcun modo contribuire al benes­ sere dell'umanità, per non parlare della sua vera felicità, della sua sicurezza e della sua gioia. " Non credo che parole come queste arresteranno il corso degli eventi. Ma ritengo che esse devono essere dette, affinché le gene­ razioni future, se ce ne saranno, non giudichino pazza la nostra epoca. lo appartengo alla generazione che ha dovuto distinguere

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tra comprendere e ragionare. Da questo punto di vista i viaggi spaziali sono un trionfo dell'intelligenza, ma una tragica negazione della ragione. " lo ritengo oggi che tutto questo è giusto, ma non esaurisce il problema, come è posto in evidenza dal discorso che lo statista inglese Sir Philip Noel Baker ha recentemente tenuto in occasione dell'assegnazione del premio Nobel per la pace. Egli dice che il piu grave impedimento al disarmo, che è neces­ sario per la conservazione dell'umanità, consiste nel fatto che le bombe atomiche una volta prodotte facilmente si nascondono e si sottraggono al controllo, perché non c'è alcun mezzo per rivelare da una distanza sufficiente la loro debole radioattività. Noel Baker propone perciò di proibire i mezzi per gettare le bombe, cioè i missili, perché la loro produzione e la loro sorveglianza possono facilmente essere controllate. Questo provvedimento impedirebbe però anche i viaggi spaziali. Ci si può immaginare il chiasso che farebbero quei fanatici che continuamente alimentano la volgarizzazione delle imprese e dei progetti spaziali in giornali e libri, specialmente libri per i giovani: " la proibizione delle ricerche sui missili sarebbe lo stroncamento del ramo piu importante della scienza ", " un colpo contro il pro­ gresso ", e cosi via. Poiché costoro rendono con ciò piu difficile una conciliazione delle potenze atomiche sul disarmo nucleare, se pure non la ren­ dono impossibile, dobbiamo spiegarci. In simili problemi gli animi si dividono. Gli uni insistono per la prosecuzione di una politica di potenza nazionale, gli altri cre­ dono che nell' èra atomca questa politica non abbia piu senso, e che debba essere sostituita con qualcosa di meglio. La difesa contro le armi atomiche è impossibile, la guerra è sinonimo di sui-

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cidio nazionale, vera pazzia. La pace di oggi si basa sulla paura vicendevole, ed è del tutto instabile. Del disarmo si è molto di­ scorso e trattato, senza che fino ad ora si sia giunti al piu piccolo progresso. Al contrario ci si arma deliberatamente sempre di piu. I fisici sono consci che l'umanità è stata portata a questi estremi attraverso il loro lavoro : a ciò è dovuto il senso di responsabilità che agita molti di loro. Vogliono non essere puri strumenti in mano alla politica, ma, almeno nelle grandi decisioni, poter avere una parte di consiglieri; cosi in molti paesi hanno formato asso­ ciazioni con lo scopo di far conoscere ai loro membri i problemi politici, di consigliare i governi e di spingerli a decisioni ragio­ nevoli. Negli Stati Uniti è sorta la " Federation of American Scien­ tists " ( F.A. S .), in Gran Bretagna la " British Atomic Scientists Asso­ ciation " (B.A. S .A.) e recentemente nella Repubblica Federale te­ desca la " Vereinigung Deutscher Wissenshaftler " (V.D.W.), che perseguono tutte circa gli stessi scopi. In America c'è inoltre una " Society far Social Responsability of Science " ( S . S .R. S .), che im­ pone ai suoi membri l'obbligo di non prendere parte ad alcun lavoro per gli armamenti o la guerra. Lo scopo di tutte queste società non è a vantaggio della scienza o degli scienziati, ma è quello di scongiurare i pericoli che attra­ verso la scienza possono essere sorti o stiano per sorgere a danno dell'umanità. Le bombe di Hiroshima e di Nagasaki sono consi­ derate come il peccato mortale della libera ricerca. Ognuno com­ prende che non basta piu costringere l'intelligenza ad addentrarsi sempre piu profondamente nei segreti della natura, se ne derivano mezzi di distruzione sempre piu potenti; si deve usare la ragione e domandarsi: a che scopo? e poiché solo l'esperto sa di che cosa si tratta, che cosa si può fare, quali effetti sono da aspettarsi, la risposta non può essere lasciata solo agli uomini di stato e nem-

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meno ai filosofi, ai teologi e agli storici, che ragionano secondo le vie tradizionalmente fissate. Esigiamo di essere ascoltati anche noi. Da questo sguardo retrospettivo e panoramico, si può trarre qualche conclusione sulla fisica dei prossimi cinquant'anni? Lascio ai libri di fantascienza i sogni sugli sviluppi e le scoperte dell'av­ venire. lo ho presenti due estreme possibilità : Se l'umanità sopravviverà i prossimi dieci o vent'anni senza grandi guerre, sorgerà probabilmente un' organizzazione mondiale sovraordinata agli Stati nazionali, che garantirà la pace. Allora la fisica sarà tenuta in grande onore, per aver chiarito l'assurdità della politica di potenza e della guerra, mediante il superamento dei mezzi di sterminio. Ma se scoppia la grande guerra, resterà della fisica altrettanto poco quanto della vita civile in generale: perché dopo un tempo di inimmaginabili mali e rovine seguirà il riposo nella tomba o un nuovo faticoso principio. E quando questo sarà cominciato, si le­ verà una maledizione sulla ricerca scientifica e per lungo tempo non si parlerà pio di fisica. Ma se un giorno essa risusciterà, la nuova umanità potrà fare della sua forza un uso pio saggio di quello che noi facciamo oggi. Il nostro compito è di collaborare per prevenire la seconda alter­ nativa. Questo non è un problema di fisica, ma oggi esso è pio importante dei nuovi trionfi sulle forze della natura.

5· Fisica

e

politica

Discuterò ora la connessione esistente tra le scoperte della fisica e la situazione politico-militare, per quanto io sia consapevole che tanto dal punto di vista della fisica che da quello della politica io espongo soltanto le mie opinioni personali. Il capitolo della fisica in questione, cioè la fisica nucleare, non fu infatti mai al centro dei miei interessi, e io non ho mai avuto niente che fare con la bomba atomica. Per ciò che riguarda la politica, sono nato in Ger­ mania, dovetti emigrare e divenni cittadino britannico. Chi appar­ tiene a due nazioni e oltre a ciò si occupa di una scienza di carattere universale, pensa e sente in modo un po' diverso dal normale uomo della strada. Se si ritiene che un fisico abbia qualche cosa di speciale da dire sulla situazione mondiale odierna, ciò si basa sul fatto che i fisici nella maggior parte dei casi hanno salvato la loro scienza da crisi difficili e apparentemente insolubili, e proprio per la loro capacità di ripensamenti. Il mondo politico è in una tale crisi, e, per quanto ivi si trattino problemi assolutamente diversi da quelli della fisica, pure può a tal proposito valer la pena di gettare un rapido sguardo

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CAPITOLO QUINTO

sui metodi di questa scienza. Noi fisici, d'altra parte, siamo pron­ tissimi a porre la nostra esperienza al servizio della politica, poiché siamo consapevoli che la crisi politica trae origine dalle nostre ricerche, e ne sentiamo pesantemente la responsabilità. Su ciò ritornerò ancora. Crisi della scienza La scienza moderna ebbe ongme sul finire del Medioevo, al­ lorché ci si discostò dalle antiche tradizioni e si cominciò a osser­ vare direttamente la natura e a interrogarla mediante gli esperi­ menti. Fino allora, nella fisica, valevano incontrastate le dottrine di Aristotele, che da tredici secoli avevano prevalso sulla filosofia di Platone e che si erano presto trasformate nella Scolastica. Ari­ stotele affermava che ogni corpo terrestre si mantiene in quiete nel luogo che gli è stato assegnato dalla natura e che tende a tor­ narvi se ne viene allontanato. COSI la caduta dei gravi viene spie­ gata con l'affermazione che il loro luogo naturale si trova al centro della Terra. Rimane perciò incomprensibile perché una pietra o una lancia continuino a volare se su di esse non agisce piu la forza del braccio ; si cercò di spiegarlo mediante la spinta dell'aria spo­ stata, ma questa era un'ipotesi indimostrata e poco credibile. Per i corpi celesti, i moti circolari uniformi erano quelli ritenuti " naturali ". Poiché però di fatto i pianeti sembravano muoversi su orbite non monotòniche, un semplice moto circolare non era suf­ ficiente e si fu costretti a introdurre complicati epicicli (cioè ruote che rotolano su altre ruote). Su questo meccanismo artificiale si basava il sistema cosmologico tolemaico, nel quale la Terra stava al centro. Ma anche il sistema eliocentrico di Copernico non riusc1 a fare a meno degli epicicli.

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Intorno al 1 600 fu distrutta la teoria di Aristotele, vecchia ormai di quasi duemila anni. Galileo fece degli esperimenti per vedere come i movimenti si comportavano in realtà, e trovò le leggi della caduta libera e del moto dei proiettili. Secondo tali leggi, lo stato naturale di un corpo, in assenza di forze, non è la quiete, ma il moto rettilineo uniforme. Le forze generano quindi variazioni di velocità, le accelerazioni. Circa nello stesso tempo, attraverso un'accurata e faticosa analisi delle osservazioni di Tycho Brahe, Keplero scopri che l'orbita del pianeta Marte non è una circonferenza ma un'ellisse, e il suo moto su quest'orbita non è uniforme ma segue un'altra legge (la seconda legge di Keplero). Con questo furono messe sossopra idee vecchie di duemila anni e ormai mummificate. Fu una piena rivoluzione, e se ne mostrò in breve la fecondità. Newton sviluppò la sua meccanica dai risultati di Galileo e Keplero, e questa fu la base della scienza esatta per i successivi duecento anni. Ma in seguito sopravvenne una nuova crisi, ancora una volta in base all'osservazione di fenomeni terrestri e astronomici. Per cominciare dall'ultimo caso, la fisica si trovò impigliata in una difficoltà apparentemente insolubile allorché la propagazione della luce sulla Terra venne studiata con metodi molto precisi. Poiché la luce si propaga anche nel vuoto e attraversa gli spazi vuoti interstellari, si fece l'ipotesi che questi, vuoti soltanto in apparenza, fossero riempiti di una sostanza tenue, imponderabile, l'etere. Ma allora dovrebbe spirare sulla Terra, che si muove sulla sua orbita attorno al Sole attraverso l'etere, un vento d'etere, come il vento in un'automobile aperta in moto. Per quanto questo tra­ scinamento della luce sia molto piccolo, pure si riuscl a costruire apparecchi, i cosiddetti interferometri, abbastanza sensibili da rile-

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CAPITOLO QUINTO

varIo. Ma non si trovò niente. E allo stesso modo rimasero nega­ tive le ricerche per dimostrare l'influsso del moto della Terra sui fatti elettromagnetici. Di qui scatUrl la teoria della relatività, che di nuovo ebbe per conseguenza un totale ripensamento dei concetti fondamentali. Einstein dimostrò che nelle nostre riflessioni si nasconde un cir­ colo vizioso. Per la definizione della velocità della luce è infatti necessaria l'ipotesi che abbia senso considerare orologi sincroni posti in luoghi distanti l'uno dall'altro. Ma per controllare ciò si deve conoscere già la velocità della luce, che secondo la conce­ zione dell'etere dipende a sua volta dal moto incognito dell'osser­ vatore. Einstein risolse questa difficoltà introducendo tempi rela­ tivi, che non coincidono per osservatori su due corpi che si muo­ vono in modo diverso, ma si possono ricavare tutti gli uni dagli altri. In base a queste trasformazioni variano anche le lunghezze dei corpi rigidi. Cadde quindi la teoria dello spazio assoluto sulla quale si basava la meccanica newtoniana. Spazio e tempo diven­ gono, c�me si dice, relativi. Che la teoria della relatività sia giusta, nessun fisico oggi lo mette in dubbio. Infatti le conseguenze che da essa derivano sono state confermate non soltanto da osservazioni astronomiche, ma anche da numerose esperienze di laboratorio. Una di tali conseguenze è l'equivalenza tra massa (M) ed energia (E), espressa mediante la nota formula E = Mc2, dove c è la velocità della luce. Questa legge ha avuto una parte importante nelle reazioni nucleari e nella bomba atomica, e costituisce quindi una sorta di connessione tra fisica e politica. La seconda crisi della fisica moderna va forse ancora piu a fondo. Essa cominciò con una formula in apparenza priva di importanza che Planck ricavò per rappresentare la radiazione emessa da u n

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corpo caldo. Questo fu l'inizio della teoria quantistica, che oggi domina tutta la fisica, specialmente la fisica dell'atomo e delle particelle elementari, cioè elettroni, mesoni, protoni, neutroni, iperoni. :t di nuovo un rivolgimento della meccanica di Newton, ma in un'altra direzione, ed è probabilmente pili sconvolgente che non la rivoluzione del concetto di spazio e di tempo dovuta ad Einstein. Il concetto base che ora viene rigettato è la causalità, come è esattamente formulata dalle leggi di Newton, o con pili precisione, il determinismo. Secondo Newton si poteva calcolare da determinate condizioni iniziali, in base alla legge del moto, ogni ulteriore configurazione di un sistema (propriamente anche ogni configurazione precedente). In luogo di questa teorica possibilità di predeterminazione, subentra oggi una legge molto pili debole. Si può calcolare soltanto la probabilità con la quale ci si può aspet­ tare una data configurazione. Ciò significa che si possono fare solo previsioni statistiche. Le leggi della natura sono cOSI fatte da ren­ dere impossibile un'esatta determinazione degli stati, e quindi anche la previsione di osservazioni future. Questa meccanica quantistica, unitamente alla teoria quantistica dei campi, è stata confermata in modo tale che non vi è alcun fisico che non la applichi o che la ponga in dubbio. Vi è soltanto una differenza di opinioni sui suoi fondamenti filosofici; ma anche qui la maggior parte dei fisici ha accettato la spiegazione dovuta a Bohr. Essa deriva dal noto principio d'indeterminazione di Heisenberg, il quale stabilisce che non è mai possibile misurare esattamente nello stesso istante due determinate grandezze, per esempio la posizione e la quantità di moto (massa per velocità) di una particella. Se si migliora la precisione nella misura di una grandezza, si peggiora l'altra. Bohr spiega ciò mediante il comportamento degli stru­ menti necessari alla misura. Per esempio, per l'esatta determina-

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zione di una posizione è necessario un apparecchio con parti ri­ gide, mentre la misura di una quantità di moto ric�de' un dispo­ sitivo mobile, dallo spostamento del quale si possa ricavare detta grandezza. Come Bohr ha dimostrato, è impossibile costruire un apparecchio che fornisca entrambe le misure. Gli strumenti per misurare posizione e quantità di moto sono necessari entrambi, si completano, sono complementari: termine questo che viene ap­ plicato anche alle grandezze che si devono misurare. Mi sembra che questa idea della complementarità sia valida proprio in quanto può essere applicata anche ad altri campi del pensiero. Non posso approfondire oltre. Lo scopo delle mie considera­ zioni precedenti era di mostrare che la fisica non rifiuta alcun cambiamento rivoluzionario se i fatti lo richiedono. Il successo dimostra che i nostri metodi di pensiero meritano fiducia. Questo ci dà il coraggio di prendere parte al discorso politico, tanto piO. che attraverso le applicazioni delle scoperte della fisica vi siamo implicati. Fisica e tecnica La connessione tra fisica e politica è la tecnica. La politica si basa sulla potenza, la potenza si basa sulle armi, e le armi sulla tecnica. Nei nostri libri di storia a ciò non si accenna che poco o niente. Li sembra sempre che tutto avvenga solo per il valore dei soldati e l'abilità degli uomini di Stato. Ma la spada pio pesante, lo scudo piO. resistente, i carri da combattimento piO. veloci hanno sempre avuto una parte importante, spesso decisiva. Se ciò non fosse sarebbe inconcepibile, per esempio, la vittoria dei piccoli Stati greci sulla Persia gigantesca. La storia dimostra che la supe­ riorità tecnica è stata decisiva, specialmente dopo l'invenzione

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della polvere da sparo. Il pio significativo esempio è certo la con­ quista del Messico e del Pero ad opera di un paio di centinaia di avventurieri europei. Le loro corazze, le loro carabine, i loro can­ noni dettero il colpo di grazia. La fabbricazione delle armi era nell'antichità e nel Medioevo un lavoro manuale. La collaborazione dei dotti veniva citata come una curiosità, come la storia del grande matematico e fisico Ar­ chimede che collaborò alla difesa di Siracusa contro i Romani con l'invenzione di macchine da guerra, e peri durante l'assalto alla città. Nel Rinascimento si affermarono potenti personalità che erano insieme artisti, artigiani, ricercatori, inventori, ingegneri militari, e di essi Leonardo da Vinci fu certo il piu grande. Dopo Newton ebbe luogo per la prima volta un rapido sviluppo, nel quale scienza e tecnica erano strettamente collegate in un'azione comune, come OggI. Si può spiegare questo sviluppo improvviso e travolgente? Vi si cela una legge della storia? Molti pensatori negano in generale l'esistenza di tale legge, altri invece hanno basato su di essa precise affermazioni. Mi riferisco a Oswald Spengler, il quale nel suo libro un tempo famoso Il tramonto dell'Occidente ha cercato di dimostrare che tutte le civiltà percorrono lo stesso ciclo: origine, fioritura, caduta. Anche lo storico inglese Arnold Toynbee vuole dimostrare attraverso l'analisi comparata di molte civiltà l'esi­ stenza di sviluppi paralleli. La filosofia della storia di Karl Marx affe rma che non vi è alcun ricorso, ma un ben determinato pro­ cesso che dallo stato di natura dei primitivi, attraverso il feudale­ simo, il capitalismo, il socialismo, conduce necessariamente al co­ murusmo. Considero queste speculazioni fantastiche e pericolose. Le sole leggi che un ricercatore scientifico può applicare alla società umana

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sono quelle statistiche, che derivano dalle leggi sui grandi numeri ( di individui). Il caso che qui ci interessa, dello sviluppo della tec­ nica, è il problema della rapidità con cui cresce qualcosa che si ri­ produce sempre con un rapporto costante. Un noto esempio di questo è l'interesse composto. Se l'interesse viene sempre sommato al capitale, questo aumenta dapprima lentamente, poi sempre piu rapidamente, diventando infine gigantesco, secondo la legge delle progressioni geometriche o delle funzioni esponenziali. Ma questo comportamento può in principio essere in parte alterato dalla sovrapposizione di oscillazioni casuali, come quando per esempio si fanno versamenti o prelievi irregolari sul conto. Similmente avviene col progresso tecnico. Esso ha tendenza a crescere, poiché ogni scoperta e miglioramento facilita il passo successivo. Però fintanto che le oscillazioni dovute ai fatti politici, alla guerra e alla lotta economica sono preponderanti, non si può prevedere niente del suo incremento. Fu cosi fino circa all'anno 1 600. Poi cominciò quell'incremento che dal 1 800 in qua divenne molto rapido, e oggi è tale da lasciare senza fiato. Proseguirà cosi se una catastrofe non porrà fine a tutto. Poiché ho quasi ottant'anni, ho vissuto per circa la metà della mia vita in questa età della tecnica. Nella mia giovenru la diffe­ renza tra il nostro modo di vivere e quella dei tempi di Cesare ci sembrava enorme; ma la differenza tra il modo di vivere di oggi e quello della mia gioventu è incomparabilmente piu grande, cosi grande che una rassegna anche solo delle cose piu importanti è impossibile. Ne voglio discutere qui solo una. La tecnica è diventata il fattore decisivo della condotta della guerra: già lo era stata della prima guerra mondiale con la bat­ taglia delle materie prime; la seconda guerra era già chiaramente una battaglia di superiorità di macchine e di organizzazione tec-

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nica, e d è finita i n Asia col lancio di due bombe atomiche, che erano uscite direttamente dai laboratori dei fisici. Da allora ab­ biamo la guerra " a pulsante ": mezzi nucleari per la distruzione in massa . che si valgono dei missili, regolati da cervelli elettronici, senza dimenticare i processi chimici e biologici per la distruzione d'interi popoli. Non è affar mio addentrarmi nei particolari della tecnica. Voglio solo dire che le due pio grandi potenze del mondo, Stati Uniti e Unione Sovietica, hanno - secondo stime attendi­ bili - abbastanza bombe all'idrogeno da potersi distruggere com­ pletamente a vicenda, non una sola, ma dieci o venti volte, e il resto dell'umanità per giunta. Infatti la radioattività provocata da una grande guerra combattuta con armi nucleari è sufficiente a distruggere ogni vita sulla Terra. Questa totale e indiretta guerra a pulsante non ha pi6 niente in comune con i vecchi metodi di guerra, non solo tecnicamente ma anche eticamente. Su questo voglio ora soffermarmi. Le piaghe dell'umanità L'umanità ha sempre sofferto piaghe e catastrofi: incendi e inon­ dazioni, malattie e dolori, fame e guerra. Dai tempi della rivolu­ zione scientifico-tecnica alcuni di tali mali si son potuti dominare: gli incendi e le inondazioni nei paesi civili sono molto meno fre­ quenti, e si combattono in modo razionale. La Repubblica popo­ lare cinese si è proposta come uno dei suoi primi compiti di im­ pedire gli spaventosi straripamenti dei suoi grandi fiumi. La lotta contro le malattie e il dolore fisico è perseguita dalla scienza medica con sempre maggiore successo. In Europa e in America le grandi epidemie di peste, colera, vaiuolo eccetera sono sparite, e molte altre sono divenute innocue. Ancora al tempo

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della mia gioventu andare dal dentista, nonostante fosse già usato il protossido di azoto, era un iter penoso. Non molto tempo prima un'operazione chirurgica era un vero inferno. Non ci sono parole di gratitudine sufficienti a ringraziare la medicina per ciò che ci ha donato. Anche la fame nei paesi civili è stata sconfitta, almeno fintanto che sono in pace. Nel mondo, in complesso, c'è ancora molto da fare. Solo un terzo delle popolazioni ha cibo sufficiente. Due terzi sono sotto­ nutriti e se si fa il calcolo degli errori di nutrizione, cioè delle deficienze di proteine, vitamine o simili, si arriva alla spaventosa proporzione dell'ottantacinque per cento. Anche la medicina e l'igiene in una grandissima parte del mondo abitato sono di gran lunga insufficienti. Per citare solo una cifra, la vita media degli uomini in India è al di sotto dei trent'anni, mentre in Europa è vicino ai settanta, e superiore ai settanta negli Stati Uniti d'Ame­ rica. In questo campo si presentano ancora compiti giganteschi, che sono resi piu difficili dal fatto che il numero degli uomini cresce enormemente. Oggi il numero degli abitanti della Terra è di circa 2 ,8 miliardi, e si prevede che nel 2 000 esso sarà arrivato a cinque o sei miliardi. Questi gravi problemi sono però ricono­ sciuti e si studiano. Probabilmente si potrebbero risolvere, se non ci fosse l'ultima e maggiore delle piaghe, la guerra e i giganteschi problemi degli armamenti. Guerra ed etica La guerra e la milizia sono vecchie quanto la storia dell'umanità. Come tutte le attività hanno il loro fondamento etico: infatti noi abbiamo bisogno di una giustificazione etica per ogni nostro agire.

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Sull'etica della milizia voglio solo citare un paio di principi fon­ damentali che mi sembrano appartenere all'essenza dell'etica mili­ tare, e cercare di vedere se si adattano ancora ai metodi di guerra odierni. Nella mia gioventu essi erano considerati in ogni caso intangibili; alcuni erano diventati parte essenziale del diritto dei popoli dopo la Conferenza di Ginevra : I ) la guerra deve essere fatta per la difesa del proprio popolo e per la protezione delle mogli e dei figli; 2 ) si deve esigere comportamento cavalleresco verso il nemico, e specialmente verso i vinti; 3 ) gli inermi, i civili e il patrimonio culturale sono inviolabili. Che cosa ne resta oggi? Già nella prima guerra mondiale poco, ma nella seconda quasi niente. Veramente c'è ancora un resto di cavalleria tra gli aviatori. Ma la condotta delle battaglie non si limita piu agli eserciti, e in numero sempre maggiore divengono obiettivi anche le retrovie, specialmente le città. Cominciò con Varsavia, poi vennero Rotterdam, Coventry e altre innumerevoli città, piu tardi qui in Germania. Le bombe non distinguevano tra soldati e civili; uomini, donne e bambini, vecchi e malati erano tutti ugualmente esposti. Già allora da un punto di vista morale si era raggiunto un punto cOSI basso che non pareva possibile arrivare ancora piu in basso. Eppure ci si arrivò alla fine della guerra, con lo sganciamento delle due bombe atomiche su Hiroshima e su Nagasaki. Lo ster­ minio di intere città, che prima poteva durare un paio di ore e che esponeva gli aviatori a un certo pericolo, fu ora perpetrato in pochi secondi e senza pericolo per l'assalitore. Le bombe usate allora sfruttavano la fissione nucleare dell'uranio o del plutonio. Da allora si sono inventate le bombe all'idrogeno, che utilizzano la fusione dei nuclei di idrogeno. Le bombe gettate

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sul Giappone sono un giuoco da bambini in confronto ai cosid­ detti esplosivi tennonucleari. Già le prime che sono state speri­ mentate corrispondono a mille bombe atomiche, e non c'è prati­ camente alcun limite alle loro dimensioni e alla loro potenza. Poi viene ancora la tecnica dei missili, che annulla il rischio degli aviatori. Ma la cosa fondamentale è che la difesa d el proprio paese, la protezione della propria famiglia è divenuta una frase senza senso. In una grande guerra atomica le truppe al servizio delle macchine della morte ( che non si possono piu chiamare soldati) hanno una miglior probabilità di sopravvivere dei cittadini dei paesi belligeranti (o anche neutrali). lo non posso immaginare che un soldato saluti con gioia un tale sviluppo. I capi vittoriosi dell'ultima guerra si sono immediata­ mente pronunciati contro la guerra come mezzo di decisione po­ litica. La mia università di Edimburgo poco dopo la fine della guerra concesse la laurea ad honorem al capo delle forze annate alleate in Europa, generale Eisenhower. Ricordo molto bene il suo discorso di ringraziamento. Disse che si sarebbe assunto come compito di agire in modo tale che nell'avvenire non ci fosse piu bisogno di uomini che facessero il suo mestiere. Il generale Mont­ gomery, il piu vicino ad Eisenhower sul teatro di operazioni europeo, e il generale MacArthur, il vincitore del Giappone, hanno detto parimente che le anni moderne hanno condotto la guerra, come tale, all'assurdo. Basti questo, per l'etica militare. Sul problema generale, se e fino a che punto la guerra è in ac­ cordo con l'insegnamento della Chiesa e come si può giustificare moralmente, i teologi e i filosofi hanno disputato per secoli e con­ tinuano a farlo. Eccettuati piccoli gruppi come i Quaccheri, la teologia cristiana fino ad ora non ha rigettato la guerra in linea di principio, ma soltanto la " guerra ingiusta ". È una distinzione in-

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comprensibile per il mio cervello di fisico: quando due litigano, ognuno crede fermamente che la sua causa sia quella giusta. Ci dovrebbe dunque essere un arbitro imparziale. Questa funzione potrebbe essere adempiuta dal Papa, fintanto che egli fosse ancora la massima autorità della Cristianità. Ma potrebbe egli essere sempre imparziale? Niente affatto, poiché egli è non solo la mas­ sima autorità spirituale, ma anche un monarca e un sovrano tem­ porale. Durante la Riforma una parte della Cristianità si separò da lui e non volle piu riconoscerlo come arbitro. Da allora sempre pio apparvero sulla scena politica potenze non cristiane. Il concetto di guerra giusta conduce a una confusione per la sua mancanza di chiarezza e per le sue contraddizioni. lo non mi ad­ dentrerò oltre in tali problemi generali. Voglio dire a che punto sono io, e parlare della situazione odierna, dominata dai mezzi di distruzione di massa, le armi ABC (atomiche, biologiche, chimiche). L'umanità è stata colta di sorpresa dallo sviluppo tecnico, ma il suo sviluppo morale non ha tenuto il passo, e oggi ha raggiunto un punto cosi basso come mai prima d'ora. Lo scrittore viennese Giinther Anders si è espresso cosi: " Pos­ siamo produrre piu di quanto possiamo immaginare. Gli effetti che possiamo ottenere con l'aiuto degli apparati prodotti da noi sono cosi enormi (per esempio l'uccisione di milioni di persone con una sola bomba all'idrogeno) che non siamo piu preparati per la loro comprensione. Gli anelli della catena tra intenzione, azione ed effetto sono spezzati. " Queste parole descrivono l'essenza della guerra a pulsante in modo evidente. Si può esprimere la stessa cosa in modo ancora piu lampante: i moderni mezzi di distruzione di masse non meritano piu il nome di armi. Portano a considerare gli uomini come insetti dannosi e a

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stenninarli come insetti. Gli annamenti e i piani strategici odierni si basano su questa concezione. Non posso immaginanni niente di piu immorale e inaccettabile. La distruzione telecomandata, poi, non è solo da rifiutare moral­ mente, ma è piu che discutibile anche dal punto di vista della pura ragione. Infatti quasi tutte le anni ABC e specialmente quelle ter­ monucleari hanno la proprietà di colpire anche chi le usa. Esse conducono irrimediabilmente ad essere ripagate con uguale o mag­ giore misura, e inoltre non si limitano affatto al nemico: la radio­ attività prodotta dalle esplosioni nucleari viene trasportata dal vento e pregiudica tutta la vita sulla Terra senza differenze tra amici e nemici, tra combattenti e neutrali. Gli uomini di Stato e i militari naturalmente sanno bene tutto questo. Le armi nucleari devono perciò, secondo loro, avere solo il ruolo di una vicendevole minaccia. Noi oggi viviamo in questa pace figlia della paura, che evidente­ mente è molto instabile. In ogni caso, un'azione impensata può scatenare la catastrofe: perché è chiaro che l'intimidazione è effi­ cace solo se si è decisi a mettere in pratica le minacce. Ma questo significherebbe un suicidio nazionale, e perciò questa decisione non è credibile. Di questo aspetto della questione · ho già parlato al capitolo 3 (pp. 1 07 - 1 0) e non mi ripeterò qui. Uno sguardo alla storia Prima la guerra era l'ultimo arbitro. Ma la guerra tra potenze atomiche è divenuta impossibile. L'istituzione di un ordine mondiale e di un tribunale mondiale è inutile fino a che non ci sarà un'auto­ rità mondiale che abbia il potere di far eseguire le decisioni prese. Su questa strada non abbiamo fatto molto cammino; e COSI molti

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politici non sanno fare di meglio che continuare nella vecchia po­ litica. Essi sostengono che la natura dell'uomo è immutabile, e che come la guerra c'è sempre stata, cOSI ci sarà sempre. Nessuno può negare che le grandi decisioni della storia del mondo in tutti i periodi storici sono state prese mediante guerre. Si pensi alle guerre persiane, attraverso le quali fu salvata la li­ bertà della Grecia, fondamento della nostra civiltà occidentale; o alle guerre puniche, alla fine delle quali Cartagine fu distrutta e Roma fondò il suo impero mondiale; alle lotte dovute alle invasioni barbariche che abbatterono quest'impero. lo confesso che le piu grandi guerre che ho dovuto imparare nelle lezioni di storia mi sembravano inutili, stolide e senza senso. Quale fu la causa della interminabile guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta? Gelosie e liti qualunque. Ma quale ne fu la conseguenza? Un irrimedia­ bile indebolimento delle città greche, che le diede in balla prima dei Macedoni e poi dei Romani. I sacrifici sono per lo piu inutili, e i risultati del tutto diversi dal previsto. I fini venivano definiti come etfrni e fondamentalmente importanti, orribili sacrifici ven­ nero richiesti e sopportati, e alla fine si dimostrò che i fini erano senza importanza. Oggi protestanti e cattolici convivono pacifi­ camente insieme. Ma non dimentichiamo che meno di trecento anni fa si fece una guerra nell'Europa centrale per gli articoli di fede di queste confessioni, e che essa fu, fino alla moderna barbarie della guerra mondiale, la piu orrenda che mai fosse stata combat­ tuta. E che cosa sono le amicizie e le inimicizie dei popoli? Rap­ porti estremamente variabili e instabili, grazie ai quali milioni e milioni di persone sono andate in rovina, e preziosi patrimoni cul­ turali sono stati distrutti. Che senso ha il sacrificio della parte migliore della popolazione e del patrimonio di una nazione, se entro soltanto una generazione amici e nemici si scambiano?

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Forse leggete con scandalo queste irrispettose interpretazioni sto­ riche di uno scienziato moderno. Ma vi ho avvertito e vi avverto ancora che ciò che faccio è il tentativo di applicare alla politica i metodi già trovati buoni in fisica di un radicale cambiamento nel modo di pensare, e di spiegare contraddizioni apparentemente in­ superabili come situazioni complementari e conciliabili. Mi si obiet­ terà: si, tu sei un razionalista; il mondo però non è razionale, ma spinto dalle passioni che sono di breve durata. Dàcci una ricetta per migliorare il mondo. Fino a che tu non potrai farlo, noi non potremo credere che le cose possano andare diversamente. È ancora piu sicuro l'aver paura, che tutto quello che puoi proporre tu. Conclusione Chi parla cosi immagina la gara per gli armamenti come un tiro alla fune in cui le parti siano circa di pari forza. Di fatto entrambe le squadre tentano continuamente di rinforzarsi con nuovi apporti. Anche se l'equilibrio cosi raggiunto si mantiene, cresce la tensione della fune: fino a che si romperà ed entrambe le squadre cadranno a terra. Non abbiamo infatti piu eserciti permanenti con arma­ menti tradizionali come nei secoli precedenti, ma una gara nella potenza tecnica e nel ritmo di produzione, ancora accelerati dalla paura del nemico. Con ciò non si ha nessuna sicurezza: la corda un giorno si spezzerà. Oltre a ciò la corsa agli armamenti è rovinosa anche per la piu solida economia. Molti raccomandano vivacemente la protezione delle popolazioni su larga scala. Pascual J ordan, che come fisico valuta correttamente l'ordine di grandezza dei problemi, ma non ha pensieri originali e proclama idee vecchissime ingrandendole in modo gigantesco come idee rivoluzionarie, ha proposto la costru-

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zione di città sotterranee. CosI gli uomini vivranno come talpe. Ciò e fantastico. Ma se si pensa solo alla costruzione di ri­ coveri in quantità tali che siano una protezione per una parte con­ siderevole della popolazione, ciò significherebbe un aumento delle spese per la difesa di probabilmente molto piu del doppio, senza che, secondo il mio parere, si ottenga qualche cosa. Si può forse proteggere una parte della popolazione dall'immediato sterminio, ma non dalla lenta distruzione dovuta alla radioattività, alla fame o alla contaminazione dei cibi: oggi ci sono in Giappone 3 0 000 ammalati da radiazione, solo per due piccole bombe. Quando anche il mio giudizio fosse in tutto sbagliato, una con­ vinzione è in me incrollabile, cioè che la politica dell'intimidazione mediante le armi nucleari è profondamente immorale e inaccetta­ bile. In questa convinzione sono d'accordo con molti altri colleghi di tutti i paesi. E poiché ci sentiamo corresponsabili per il sorgere di questa situazione, abbiamo formato dappertutto associazioni per discutere questi problemi e cercare le soluzioni. C'è da qualche anno un' organizzazione di carattere internazionale, assolutamente neutrale politicamente, detta il Movimento Pugwash. Pugwash è il nome di una cittadina canadese, patria dell'industriale americano Cyrus Eaton. Quando alcuni anni fa il filosofo inglese Bertrand Russell, appoggiato da Einstein e da altri scienziati, propose un congresso dei ricercatori di tutti i paesi per la discussione della si­ tuazione creatasi a causa delle armi nucleari, il signor Eaton si offri di finanziare l'iniziativa, e mise a disposizione la sua residenza di campagna a Pugwash: da qui il nome. Vennero scienziati da tutti i paesi, orientali e occidentali. Anche il secondo congresso fu in Canada, il terzo e piu grande fu nel paese tirolese di Kitzbiihel, con un'indimenticabile cerimonia di chiusura a Vienna. Presi parte a questi congressi, dove si raccolsero piu di settanta partecipanti è insensato

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da oriente e da occidente. I discorsi furono utili, perché dimostra­ rono che in un simile ambiente è possibile trattare i problemi piu difficili e delicati. All'inizio ci fu una certa tensione, poiché un delegato russo diresse duri attacchi al governo americano: si alzò allora un inglese, Sir George Thomson, dicendo che egli si ral­ legra sempre quando qualcuno dice male del governo, ma propo­ nendo che tutti si accordassero nel dire ognuno male soltanto del proprio governo. Questa proposta fu accolta con risate, e da al­ lora in poi tutto andò liscio. Le risoluzioni finali circostanziate e precise furono prese all'unanimità. Da allora abbiamo avuto ancora altri congressi del Movimento Pugwash, per esempio uno che ha trattato a fondo il problema dei mezzi di distruzione chimici e bio­ logici. La lettura dei resoconti delle relazioni può infondere ter­ rore anche ai piu audaci. Lo scopo di queste riunioni è di confutare la follia di un'inimi­ cizia assoluta tra sistemi di governo e ideologie diversi, e di stabi­ lire una base comune all'azione di ogni gruppo nazionale per influenzare il proprio governo nel senso della moderazione. Noi vogliamo che la nostra scienza serva di nuovo all'intera umanità, e non sia malamente impiegata per gli scopi di una politica di po­ tenza ormai superata. Vogliiuno anche creare una base affinché la lotta delle ideologie possa essere condotta coi mezzi della discus­ sione e della persuasione. Vi ho già raccontato come la fisica è giunta a sciogliere situazioni, che sembravano contraddittorie, mediante gli aspetti complemen­ tari. Nella politica e nei governi due sistemi si stanno di fronte, uno dei quali proclama come legge fondamentale la libertà dell'in­ dividuo, l'altro l'assoluta preminenza della società organizzata nello Stato. Non potrebbero anche questi essere due aspetti com­ plementari della stessa situazione umana? La corrispondenza a cui

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ho accennato nel capitolo 2 , scambiata tra me e il filosofo russo Suvorov, ha dimostrato che si può discutere oggettivamente di molti gravi e profondi problemi. Con ciò le antinomie politiche ed economiche non sono eliminate dal mondo. Alcuni politici sono fieri di esercitare un'arte (in Ame­ rica si chiama brinkmanship, e brink significa " orlo ") che consiste nell'arrivare sull'orlo dell'abisso della guerra nucleare per qua­ lunque problema di politica corrente. Il precedente ministro degli esteri americano Dulles era un maestro in quest'arte. Ma Dulles è morto e la sua politica anche. Lo dimostrano, come conclusione, alcune frasi di un discorso del suo successore, il Segretario di Stato Christian H. Herter, in un discorso tenuto il 1 6 novembre 1 959 a New York. Nei giornali tedeschi che mi arrivano non le ho lette. Herter dice: " Il signor Khrusciov ha dichiarato che è necessario sviluppare un linguaggio comune nonostante il con­ flitto ideologico, su cui egli ostinatamente si mantiene irremovibile. Molti stenteranno a crederlo dopo tutti questi anni di Babele. Ma io sono ciò nonostante dell'opinione che possiamo trovare un lin­ guaggio comune su determinate basi di vita, perché ne abbiamo l I l I interesse comune. Questo interesse è semplicemente il desidcl'iu di sopravvivere che domina tutti, e che è presente agli uOl 1 l i n i liberi e ai comunisti nello stesso modo. l o credo che l a classe d i r i · gente sovietica sia arrivata ora alla stessa conclusione nostra: l' i . Il­ che entrambi le parti, se durante il corso degli avvenimenti n o n l'i �i accorderà, e presto, si troveranno di fronte all'insopportabi k risl' h i u d i una guerra atomica totale, che equivale a u n doppio s u i c i d i o . " Egli parla poi della sostituzione della corsa agli arm a l l l e n t i l'un una concorrenza pacifica, e finisce cOSI: " Era molto p i tl St'l I I p l i Cl� quando nello schema mentale 'bianco o nero' poteval l l o pl' n S:t rt� al puro confronto con un comunismo nemico al centu p e r l't' i l IO .

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Persino ancor oggi - benché l'attuale corsa agli annamenti sia in­ descrivibilmente pericolosa - sembra molto piu facile continuare per la solita strada, che cercare di scoprirne una nuova. CosI, ci vorranno ancora per lungo tempo grande coraggio e nervi saldi, prima di ristabilire un collegamento tra i sistemi antagonisti. Ma questo deve avvenire, se la civiltà deve perpetuarsi. " Questi pensieri di un politico moderno si accordano perfetta­ mente con quelli che io vi ho esposto come fisico. Possiamo trarre buoni auspici dalla concordanza d'idee di questi due diversi mondi.