Il papavero da oppio nella cultura e nella religione romana 9788822265074

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Il papavero da oppio nella cultura e nella religione romana
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BIBLIOTECA DELL' «ARCHIVUM ROMANICUM» Serie I: Storia, Letteratura, Paleografia ----- 469

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LORENZO FABBRI

IL PAPAVERO DA OPP IO NELLA CULTURA E NELLA RELIGIONE ROMANA

LEO S. OLSCHKI EDITORE M MXVII

Nell'antica Roma il papavero da oppio era molto conosciuto, essendo d'uso comune in campo culinario, ma apprezzato an­ che come ornamento dei giardini e come rimedio per la cura di diverse malattie. Il volume si propone di analizzare non solo gli aspetti pratici del suo utilizzo nel mondo romano, ma soprattutto la sua valenza simbolica tanto nella letteratura quanto nell'arte. Autori quali VIrgilio e Ovidio testimoniano la pluralità semantica del simbolismo della pianta usandola come metafora poetica, mentre altri ne fanno elemento cen­ trale di celebri episodi della tradizione annalistica romana. Fulcro centrale della monografia è la connessione tra il papa­

ver somniferum e numerose divinità (prima f ra tutte Cerere), particolarmente evidente soprattutto in campo iconografico come attestano i numerosi reperti esaminati, che spaziano da opere monumentali quali l'Ara

Pacis o la grande statuaria per

giungere sino all'arte funeraria, alla glittica e alla numismati­ ca. La presenza della pianta in contesti così vari e differenti di­ mostra come il suo simbolismo non sia univoco, ma si colori di diverse sfumature semantiche non certo secondarie per il linguaggio simbolico romano.

In copertina: Disegno del papaver somniferum.

LORENZO FABBRI è uno storico delle religioni del mondo classico, autore di una serie di articoli sulla mitologia e sulla religione greca e romana. Laureato presso l'Università degli Studi di Milano, ha conseguito la specializzazione in Scienze della Cultura presso la Scuola Internazionale diAlti Studi di Modena e il dottorato inAnti­ chistica presso l'Università degli Studi di Milano. Nel2013 ha parte­ cipato al PRIN "Moneta e identità territoriale: dalla polis antica alla civitas medievale". Dal2013 è titolare del laboratorio "Mitologia e

rnitografia del mondo greco e romano" presso l'Università degli Studi di Milano e oggi è assegnista di ricerca presso la Fondazione Fratelli Confalonieri di Milano. Il suo principale interesse è rivolto allo studio della simbologia botanica in relazione alle religioni clas­ siche, con particolare attenzione per quella romana.

BIBLIOTECA DELL' «ARCHIVUM ROMANICUM» Serie I: Storia. Letteratura. Paleografia -------

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LORENZO FABBRI

IL PAPAVERO DA OPPIO NELLA CULTURA E NELLA RELIGIONE ROMANA

LEO S. OLSCHKI EDITORE M M XVII

Tutti i diritti riservati CASA EDITRICE LEO S. 0LSCHKI Viuzzo del Pozzetto, 50126 Firenze www.olschki.it

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ISBN 978 88 222 6507 4

Ai miei genitori

RINGRAZIAMENTI

Il presente lavoro è frutto della rielaborazione della ricerca effettuata per gli anni di dottorato in Antichistica presso l'Università degli Studi di Milano, 2013-20 15. Pertanto vorrei esprimere la mia più sentita e sincera gratitudine alla Professoressa Giampiera Arrigoni per il costante aiuto, per i puntuali consigli, per avermi insegnato un metodo di ricerca che va oltre la mera trattazione del singolo dato e per avermi introdotto allo studio della simbologia vegetale nel mondo antico. Ringrazio inoltre il Professar Massimo Gioseffi per la sua collaborazione, per la massima disponibilità e per le preziose indicazioni; un affettuoso ringraziamento va alla Dottoressa Anna Però, per la pazienza dimostratami nell'ascoltare i problemi circa la conduzione del mio lavoro, fornendomi all'occorrenza spunti per la loro stessa risoluzione. Desidero infine ringraziare il Dottor Daniele Olschki, la Dottoressa Georgia Corbo e la Dottoressa Erika Marchetti per la professio­ nalità e la cortesia che mi hanno sempre riservato in tutte le fasi del lavoro editoriale.

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VII

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PREFAZIONE

È nota ormai da tempo l'importanza del linguaggio vegetale nel mon­ do antico, testimoniata dalle numerose fonti di tipo letterario e iconogra­ fico a noi pervenute. L'argomento è stato oggetto di studio con la finalità di portare a conoscenza i molteplici significati simbolici utilizzati dagli an­ tichi. Gli studiosi hanno rivolto il loro interesse in modo particolare verso alcune specie di piante e fiori che, nell'iconografia classica, sono spesso associati a diverse divinità: basti pensare alla rosa per Afrodite / Venere, al giglio per Hera / Giunone, all'ulivo per Atena / Minerva o all'edera e alla vite per Dioniso / Libero. Per contro, altre specie sono state piuttosto tra­ scurate; spesso si è limitata la loro trattazione al mero riconoscimento del presunto significato simbolico, dandone una spiegazione a volte fin troppo sommaria e superficiale, sulla falsariga di quelle che sono le nostre attuali associazioni metaforiche. È questo il caso del papavero da oppio (non di rado confuso con la melagrana, almeno in ambito iconografico), cui è stata riservata scarsa importanza negli studi di settore, nonostante esso appaia spesso rappresentato o citato in diversi contesti, da quello politico-ufficiale a quello celebrativo-religioso o letterario, che hanno di volta in volta modi­ ficato il suo significato in sfumature non certo secondarie. Seguendo un filone di ricerca ben documentato da esempi illustri nell'ambito degli studi italiani di storia delle religioni classiche (quali i la­ vori 'botanici' di Angelo Brelich e Ileana Chirassi Colombo), 1 il presente volume è finalizzato all'analisi letteraria, iconografica, religiosa e simbolica del ruolo del papaver somniferum all'interno della cultura romana. Oggi le principali pubblicazioni inerenti sono il libro fl fiore degli Inferi. Papavero da oppio e mondo antico (Roma 2004), del farmacologo Paolo Nencini, e un ampio articolo di Germaine Guill aume-Coirier (pubblicato nei Mélanges de l' École Française de Rome del 200 1), intitolato Le pavot fertile dans les mondes ' A. BRELICH, Offerte e interdizioni alimentari nel culto della Magna Mater a Roma, «Studi e Materiali di Storia delle Religioni», XXXL I, 1956, pp. 27-42; l. CHIRASSI, Elementi di culture prece­ reali nei miti e riti greci, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1 968. -

IX

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PREFAZ I O N E

mycénien, grec et rom.ain: réalité et symbolique. 2 Que sti lavori, pure sse ndo una pre ziosa base di parte nza pe r affrontare lo studio de lla pianta ne ll'antichi­ tà, si limitano a dare una panoramica parziale de i proble mi. Sia l'articolo di Guillaume -Coirie r sia la monografia di Ne ncini rise ntono de ll'e cce ssiva e ste nsione cronologica de lla loro rice rca, che spazia dall'e poca mice ne a (ne l caso di Ne ncini pe rsino da que lla e gizia) sino a giunge re agli ultimi se ­ coli de ll'impe ro romano. Allo ste sso modo, l'analisi simbolica di e ntrambi gli studi rise nte di alcuni limiti, dovu ti anche all'utilizzo di cate gorie inte r­ pre tative ormai de sue te o supe rate. Già dai titoli si può e vince re quale sia stato il ve ttore e se ge tico che caratte rizza le ope re de i due studiosi: Guillau­ me -Coirie r ha individuato in un ge ne rico conce tto di fe rtilità la chiave di le ttura de l significato simbolico de l papave ro, me ntre Ne ncini ha pre fe rito me tte re in risalto pre sunte caratte ristiche 'infe re ', pur re cupe rando al con­ te mpo il simbolismo le gato alla fe condità.3 Ugualme nte scarsi sono i rife ri­ me nti re lativi al papave ro ne gli studi più spe cializzati riguardanti spe cifiche fonti le tte rarie o iconografiche : anche quando la pre se nza de lla pianta è me ssa in e vide nza (fatto che non se mpre accade ), rarame nte ve ngono in­ dagati i motivi de l suo inse rime nto e i suoi possibili significati. Di norma ci si è limitati a risolve re il proble ma rimandando sbrigativame nte a que i conce tti di fe rtilità e fe condità troppo fre que nte me nte utilizzati, talvolta non te ne ndo conto de l conte sto di rife rime nto e de l pe rsonaggio (o pe rso­ naggi) cui il papave ro è associato tanto ne lla le tte ratura quanto ne ll' arte. Il pre se nte lavoro si propone pe rtanto di e saminare più ne l de ttaglio il ruolo de l papaver somniferum e i dive rsi aspe tti che caratte rizzano il suo impie go ne l mondo romano; al riguardo, dopo una bre ve ma dove rosa in­ troduz ione circa le caratte ristiche botanico-morfologiche de lla pianta, si è sce lto di suddivide re l'analisi in due ampie se zioni: la prima rise rvata ai te sti le tte rari in cui e ssa vie ne me nzionata, la se conda de stinata ai mate riali iconografici. Be nché le due branche di studio siano stre ttame nte corre late , la de cisione di trattarle se paratame nte dipe nde dall'e sige nza di ordinare l'inge nte mole di mate riale raccolto e di offrire al le ttore un'e sposizione chiara de i vari argome nti e un'agile consultazione de l te sto. Pe r que sto si è pre fe rito ripartire ogni se zione in più capitoli, allo scopo di e ntrare ne llo spe cifico di ogni singola fonte (tanto le tte raria quanto iconografica) pe r z Si segnala l'esistenza di altri due brevi articoli esplorativi: J.M. B LAZQUEZ, Simbolismo fUnerario del ramo y adormidera en Etruria y en las antiguas religiones mediterrtineas, in J. Bibauw (éd.), Hommages à Marcel Renard, Il, Bruxelles, Latomus 1 969, pp. 97·104 e D. BECERRA RoMERO, La importancia de la adormidera en el mundo romano, «Latomus», LXVIII, 2009, pp. 340·349. 3 Il simbolismo funebre era già stato evidenziato da BLAZQUEZ 1 969, in particolare pp. 103-104.

-X-

PREFAZ I O N E

e vide nziarne le dive rse proble matiche , a ognuna de lle quali è stata de dicata un'analisi d'insie me non limitata alla me ra trattazione de l papave ro. Ciò de riva dal fatto che la compre nsione de i significati a e sso le gati non può pre scinde re dall'e same comple ssivo di ogni conte sto. La se zione le tte raria è suddivisa pe r singolo autore (se condo un crite rio di importanza che non se mpre rispe tta la succe ssione cronologica), ognu­ no de i quali ne lle proprie ope re utilizza il papave ro con spe cifiche finalità, non di rado simb oliche. Si discostano da que sti parame tri il primo capitolo e que llo de dicato alla dipe nde nza dall'oppio, che offrono una panoramica ge ne rale de lla conosce nza de l papave ro, otte nuta grazie all'e same di tutte que lle fonti che forniscono informazioni te cniche e pratiche sulla pianta e sui suoi usi. Un discorso dive rso me rita la se zione iconografica, dove l'analisi spe ­ cifica de lla singola ope ra è stata rise rvata e sclusivame nte a monume nti di straordinaria importanza, quali la villa di Livia a Prima Porta e l'Ara Pacis. Tutti gli altri re pe rti sono stati ge ne ralme nte raggruppati se condo gli am­ biti artistici di apparte ne nza, anche se talvolta l'individuaz ione di un te ma comune ha fornito l'occasione di trattare assie me varie ope re d'arte affe ­ re nti a conte sti dive rsi. Data l'amplissima quantità di mate riale a disposi­ zione , il pre se nte studio non ha ce rto la pre te sa di e sse re un catalogo com­ ple to de i manufatti in cui compare il papave ro: si è pre fe rito al contrario conce ntrarsi sulla trattazione di que i re pe rti in massima parte prove nie nti da Roma o te rritori limitrofi e giudicati particolarme nte significativi ai fini de l pre se nte lavoro, se nza pe r que sto e sclude re ne ssuno de i diffe re nti se t­ tori iconografici. Al riguardo, ove non ne ce ssaria, si è e vitata un'analisi stre ttame nte ar­ che ologica e storico-artistica, pe raltro già abbondante me nte condotta da­ gli studiosi, così come l'approccio alle fonti le tte rarie non è focalizzato alle proble matiche filologiche o di critica te stuale re lative ai singoli autori. In e ntrambi i casi, lo studio è stato condotto dal punto di vista de llo storico de lle re ligioni e si è dunque pre fe rito adottare un me todo di tipo stori­ co-antropologico, allo scopo di e vide nziare e compre nde re i significati ge ­ ne rali alla base di ogni te stimonianza (sia e ssa le tte raria o iconografica) e , ne llo spe cifico, la funzione e la simbologia de l papave ro da oppio. Pur riconosce ndo che l'utilizzo pratico e simbolico de lla pianta non è ce rto un'inve nzione romana, ma trova illustri pre ce de nti, in particolar modo in Gre cia, non si è rite nuta indispe nsabile un'analisi capillare de gli ante ce de nti. Infatti, se da un lato non si vuole in alcun modo ne gare la comprovata e siste nza di nume rosi punti di contatto tra le due civiltà, né la possibilità che uno studio comparatistica tra Gre cia e Roma possa e vi­ de nziarne continuità e discre panze , dall'altro rite ngo de l tutto le gittimo -

XI

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PREFAZIO N E

rivendicare una certa autonomia culturale romana, derivante da una rie­ laborazione mai passiva dei precedenti greci. Ne sono un chiaro esempio l'istituzione di feste religiose, quali i Compitalia o quella in onore di Venere Verticordia, che non trovano corrispettivi nel mondo greco, così come la stessa Cerere, pur avvicinandosi sempre più alla figura di Demetra, non viene quasi mai identificata con la dea greca, mantenendo ininterrotta­ mente una sua peculiare specificità, soprattutto a livello cultuale. Non potendo certamente condurre un'indagine che tenga conto delle molteplici evoluzioni di questo particolare fenomeno culturale attraverso i secoli, si è preferito focalizzare l'attenzione al mondo romano, senza per questo ignorare completamente il problema: infatti, ave ritenuto necessa­ rio, non manca il rimando a fonti greche o l'inserimento di brevi accenni circa quei modelli iconografici o letterari utili a chiarire la funzione del papavero a Roma o a sottolineare evidenti parallelismi.

- X II -

INTRODUZIONE CARA TTERISTICHE BOTAN ICO-MORFOLOGICHE DEL PAPAVERO DA OPPIO

Se condo le mode rne classificazioni, il papave ro (inte so come pianta ne l suo insie me , se nza distinzione di sorta) fa parte de lla famiglia de lle Pa­ paveraceae, la quale compre nde circa 23 ge ne ri e più di 450 spe cie . 1 Esso è inse rito ne l genus Papaver, uno de i ge ne ri compre si ne lla famiglia de lle Papaveraceae, che è a sua volta composto da circa 1 1 0 spe cie di papave ro diffe re nti: que ste sono ge ne ralme nte annuali (ma e sistono anche varie tà pe re nni) e caratteriz zate da un singolo fiore apparisce nte , me ntre il frut­ to è formato da una capsula al cui inte rno si trova un e lavato nume ro di se mi, de ntro i quali è conte nuto un piccolo e mbrione sotto forma di e ndo­ spe rma ole oso. 2 Tutte le spe cie apparte ne nti alla famiglia de lle Papaverace­ ae conte ngono lattice (a volte situato in vasi laticife ri che accompagnano il siste ma vascolare , come ne l caso de l papave ro, oppure in sacche , come ne lla sangu.inaria canadensis), caratte rizzato dalla pre se nza di alcaloidi, che possono variare ne l nume ro e ne l tipo. 3 Gli studiosi di botanica hanno e ffe ttuato un'ulte riore suddivisione de lla famiglia in quattro sotto-famiglie , a cui sono state asse gnate le dive rse va­ rie tà: le Chelidonioideae (9 ge ne ri e 20-30 spe cie ), le Escholzioideae (3 ge ne ri e 1 7 spe cie ), le Platystemonoideae (4 ge ne ri e 15 spe cie ) e infi ne le Papaveroide­ ae (9 ge ne ri e oltre 150 spe cie ).4 A que st'ultima sub-famiglia apparte ngono il papaver rhoeas, ossia il papave ro comune (o rosolaccio ), noto a tutti pe r il 1 Generi e specie hanno spesso subito variazioni a seconda delle differenti classificazioni condotte dai tassonornisti: cfr. MERLIN 1 984, p. 28. 2 l>, qualifica che non implicherebbe necessariamente la messa in atto della proprietà so­ porifera della pianta all'interno del passo in esame, 16 chiarendo inoltre che la parte utilizzata nella preparazione della mistura non era certo la capsula, ma i semi, i quali non producono effetti narcotizzanti. 1 7 Egli quindi prose­ guì comparando il preparato antico con una serie di dolci caratteristici del Sud Tirolo (in cui i semi di papavero sono abbondantemente utilizzati), 1 8 al fine di dimostrare che essi potevano essere impiegati in ambito alimentare senza alcun pericolo, concludendo che i commentatori e i lessicografi anti­ chi mal interpretarono il passo virgiliano a causa della loro scarsa conoscen­ za della pianta. 19 Secondo Henry infatti, essi legarono il soporiferum papaver alla capsula e non ai semi, commettendo così un errore nell'intendere un semplice epiteto descrittivo come un'indicazione della funzione svolta dalla pianta; tuttavia, tale fraintendimento spiegherebbe al contempo il loro stu­ pore davanti alla presenza dell'aggettivo. 20 A dire il vero, la critica di Henry non tiene conto dell'effettiva conoscenza che gli antichi avevano delle pro­ prietà del papavero e dei suoi semi: infatti, se era pratica comune l'utilizzo di questi ultimi nell'alimentazione quotidiana,21 al contempo i medici met­ tevano in guardia dal loro consumo smodato, poiché avrebbero potuto cau­ sare torpore e letargia.22 Non è quindi del tutto corretto sostenere che per gli antichi i semi di papavero non avevano proprietà soporifere; al contem­ po, non è certo ammissibile pensare che ogniqualvolta i Romani ingerivano alimenti preparati con i semi della pianta accusassero sonnolenza. Una differente interpretazione dei versi venne fornita da Richard Hein­ ze: la sacerdotessa virgiliana avrebbe utilizzato miele e papavero per rende­ re il rettile inoffensivo, sul modello di quanto fatto dalla Medea descritta da Apollonia Rodio, la quale fu in grado di addormentare il serpente custode 15

HENRY 1 878, pp. 761 ·762. HENRY 1 878, p. 762. Lo studioso riportò anche il caso di Ov. Trist. V 2, 23, dove l'epiteto soporiferum compare legato al papavero in un contesto completamente diverso (il poeta associa le sue infinite pene al numero dei semi di papavero); Henry considerò il termine «merely a descriptive epithet». 1 7 HENRY 1 878, p. 763 . Egli sottolineò che i semi di papavero sono «sweet, esculent and nutritive». Se gli ultimi due aggettivi sono perfettamente pertinenti, qualche dubbio sorge sulla dolcezza dei semi, che al contrario sono poco saporiti. 1 8 HENRY 1 878, p. 764. 1 9 HENRY 1 878, p. 764. 20 HENRY 1 878, p. 766. 21 Sull'utilizzo alimentare dei semi cfr. supra, pp. 1 6-19. 2 2 Cfr. GALEN. De alim. facult. I 32 Wilkins. 16

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3 . VIRG I L I O del vello d'oro. 23 Tuttavia, lo studioso precisò che questo gesto non deve essere inteso letteralmente, cioè ipotizzando che la donna addormentasse il guardiano dell'albero delle Esperidi, ma al contrario fosse una prova del potere di cui la sacerdotessa era in possesso, un potere tanto grande da renderla l'unica in grado di controllare il serpente.24 Dal canto suo, john William Mackail mise in evidenza l'inconsistenza dello stupore (definendolo «really frivolous») espresso dai commentatori antichi e moderni del passo virgiliano (da Servio in avanti), sostenendo che il termine soporiferum è perfettamente comprensibile se si considera che un animale pericoloso come il serpente doveva essere tenuto a freno diminuendone l'aggressività. 25 Colui che più si dedicò al commento dei versi in esame fu Arthur Stan­ ley Pease, che analizzò e verificò le teorie espresse dai suoi predecessori. Egli intese il verbo spargens nello stesso modo in cui lo aveva letto Coning­ ton, sostenendo quindi che il miele e il papavero erano spalmati sul cibo riservato al rettile.26 Rigettò la proposta di espungere il verso 486 formu­ lata in precedenza da Schrader, così come il suo spostamento dopo il 5 1 7 avanzato da Ribbeck, ma concordò con Heinze nel ritenere l'immagine dell'addormentamento del serpente un espediente per evidenziare le capa­ cità magiche della sacerdotessa. Nondimeno, si unì a coloro i quali intesero l'aggettivo soporiferum come «a mere epitheton ornans», asserendo che non sempre Virgilio scelse gli attributi migliori per i suoi sostantivi, affermazio­ ne che oggi appare non poco azzardataP Pease espresse ineccepibili dubbi circa la teoria avanzata da William Francis Jackson Knight,2 8 che intese i semi di papavero come un originario simbolo di fertilità e il serpente come lo spirito dell'albero della vita.29 Accettò invece l'ipotesi di H. de la Ville de Mirmont, 30 il quale sostenne che il soporiferum papaver avrebbe avuto il ruolo di narcotizzare il serpente, prevenendo così possibili danneggiamenti ai rami dell'albero, dovuti alla sua incontrollata aggressività.31 Roland Gregory Austin si concentrò invece sul termine soporiferum: considerò inaccettabile l'idea, già espressa da Servio, che Virgilio avesse 23 24 25 26 27 28 29 30 31

APOLL. RHoo. IV 145- 1 6 1 . HEINZE ( 1 903) 1993 , p. 1 1 9, nota 56. MACKAIL 1 930, p. 1 53 . PEASE 1935, p. 396. PEASE 1935, p. 397. KNIGHT 1 933, p. 204, nota 3 1 . PEASE 1935, p. 398. LA VILLE DE MIRMONT 1 894, p. 1 53 , nota l . PEASE 1935, p. 398.

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S E Z I O N E I - IL PAPAVERO N ELLA CULTURA E NELLA LETTERATURA ROMANA

utilizzato un vocabolo senza un preciso significato e rigettò la teoria che lo interpretava come un «gradus-epithet» (epiteto esornativo o accesso­ rio).32 La spiegazione offerta dallo studioso richiama quella già preceden­ temente avanzata da Heinze: l'uso del papavero sarebbe legato al contesto 'magico' del passo e avrebbe il ruolo di enfatizzare il potere della sacerdo­ tessa, la sola capace di placare il serpente e di risvegliarlo in caso di emer­ genza. Egli però si spinse oltre e si domandò se la presenza del miele e del papavero avrebbe potuto rimandare a una sorta di medicinale utilizzato quando il rettile era malato.33 Una simile interpretazione appare piuttosto audace e fantasiosa: l'uso del papavero è effettivamente testimoniato per la cura di alcune malattie veterinarie,34 ma in quei casi si fa riferimento all'oppio e non ai semi. Il lattice veniva sì impiegato per curare malattie quali la rabbia e la pazzia, allo scopo di sedare gli animali, ma le informa­ zioni pervenute riguardano solamente quelli domestici e non certo i ser­ penti. Ritenere la sacerdotessa una sorta di medico personale del dracon va ben oltre le indicazioni fornite da Virgilio e appare una speculazione poco felice dello studioso. In tempi più recenti Robert Joseph Edgeworth ha semplicemente inte­ so la presenza del papavero come «a vegetative oxymoron», in ironico con­ trasto con il significato complessivo dei versP5 Gigliola Maggiulli ha invece letto l'aggettivo in senso letterale, legandolo al sonno indotto al serpen­ te.36 Infine, Michael Paschalis ha aderito alla corrente che considera il so­ poriferum papaver una prova dell'abilità e della potenza della sacerdotessa, 37 mentre Filomena Giannotti ha considerato l'aggettivo come un elegante epiteto che mirava a mettere in risalto la caratteristica più nota della pianta, cioè la sua proprietà narcotica, senza che questa avesse necessariamente implicazioni nell'economia del racconto. 38 Non tutti coloro che esaminarono il passo legarono spargens humida mella soporiferumque papaver alle epulae del verso 484 : Johann Christian Jahn propose di intendere il composto di miele e papavero come uno strumento utilizzato per preservare l'incolumità dell'albero sacro. Egli infatti mise in relazione il verbo spargens con l'azione di spargere la mistura in terra, così 32

AusTIN 1955, p. 1 44. AusTIN 1 955, pp. 145-146. Lo studioso ha riportato alcune ricette mediche che prevede· vano i semi di papavero fra gli ingredienti. 34 Cfr. le ricette mediche: supra, pp. 22-28. 35 EDGEWORTH 1 992, p. 29. 3 6 MAGGIULLI 1995, p. 391 . 37 PASCHALIS 1997, p. 1 66. 3 8 GIANNOTTI 20 12, p. 662. 33

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3 . VIRGILIO da indurre il sonno a coloro che si fossero avvicinati troppo.39 Amédée 11defonse Trannoy riprese l'intuizione avanzata da Jahn di non riconoscere miele e papavero come cibo del serpente, ma non ritenne esatta la conclu­ sione fornita dallo studioso tedesco. Trannoy evidenziò due tipi di pericoli ai quali l'albero poteva essere soggetto: il primo era costituito dagli esseri viventi, uomini o animali, ai quali avrebbe provveduto il serpente. Il se­ condo consisteva negli attacchi di spiriti maligni, che lo studioso identificò nei Venti e nelle Tempeste; essi sarebbero stati neutralizzati dal composto, dotato di una funzione magica. 40 Per quanto ingegnose, entrambe le teorie sono state confutate dagli studiosi: l'ipotesi dijahn non tiene conto del ruo­ lo di guardiano svolto dal serpente, privandolo così della sua funzione e di conseguenza della sua ragion d'essere,4 1 mentre l'interpretazione di Tran­ noy, influenzata chiaramente dalla corrente animista, oltre a mettere in secondo piano lo stile virgiliano collegando spargen.s humida mella soporife­ rumque papaver alla custodia esercitata dalla sacerdotessa, non spiega come la mistura potesse avere effetto sugli spiriti dei Venti e delle Tempeste. La sua ipotesi risulta di conseguenza artificiosa e priva di oggettività. 42 A ben vedere, il passo virgiliano rimane ancora oggi di complessa spie­ gazione, soprattutto a causa della presenza dell'aggettivo soporiferum. Si è già evidenziato come sia difficilmente sostenibile che Virgilio abbia uti­ lizzato tale termine senza una precisa ragione, tuttavia svelarne il motivo resta un'impresa piuttosto ardua. Sul fatto che esso sia un attributo qua­ lificante e connotativo non ci sono dubbi; personalmente però non trovo corretta l'idea di coloro che non hanno dato valore all'epiteto all'interno del contesto della narrazione. La precisa specificazione attuata da Virgilio in relazione al papavero non può essere intesa solamente come un mero attributo ornamentale o poetico, ma mira probabilmente a rendere chiara la specie alla quale egli sta facendo riferimento, cioè il papaver somniferum. L'aggettivo soporiferum avrebbe quindi la funzione di indicare la varietà della pianta piuttosto che metterne in risalto i suoi effetti. La precisazio­ ne non è di secondaria importanza poiché, come si è già visto, i Romani conoscevano diverse tipologie di papavero, ma solo i semi del somniferum erano utilizzati per la preparazione di alimenti.43 Nel caso specifico, Virgi39 40 41

jAHN 1 825, p. 410. TRANNOY 1 928, pp. 1 3 8- 140. CosÌ HENRY 1 878, p. 766; CONINGTON 1 863 , pp. 303-304

=

CONINGTON-NETTLESHIP 1 884,

p. 3 0 1 . 42

Cfr. AusTIN 1 9 5 5 , p . 1 4 5 ; PEASE 1 9 3 5 , p . 398. MAGGIULLI 1995, p. 393 ha concordato nel ritenere la specie di Aen. IV 486 il papaver somniferum, ma ha affermato che anche i semi del rhoeas possono essere utilizz ati in cucina. 43

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lio dimostra la sua erudizione in campo culinario e botanico, essendo con­ sapevole delle differenze tra le specie e volendone richiamare alla mente una ben precisa. La mistura composta dai semi e dal miele era nota già da lungo tempo e comunemente impiegata nell'alimentazione romana come glassa dolce particolarmente apprezzata; 44 il cibo destinato al ser­ pente si configura dunque come una prelibatezza, ma non ha lo scopo di addormentarlo. Non pare corretta nemmeno l'interpretazione che consi­ dera l'offerta della sacerdotessa un gesto mirato a mettere in risalto i suoi prodigiosi poteri. Infatti poco più avanti Didone enumera brevemente le capacità magiche della donna, descrivendola in tal modo alla sorella Anna (vv. 487-49 1 ) : Haec se carminibus promittit solvere mentis quas velit, ast aliis duras immittere curas, sistere aquam fluviis et vertere sidera retro; nocturnosque movet manis; mugire videbis sub pedibus terram et descendere montibus ornos. Questa promette con i suoi incantesimi di liberare le anime che vuole, oppure di inviare in altre duri affanni, di arrestare l'acqua alle correnti e invertire il moto degli astri; e di notte evoca i Mani, vedrai mugghiare la terra sotto i piedi e discendere gli orni dalle montagne. (trad. di R. Scarcia, con leggere modifiche)

Quanto appena riportato appare più che sufficiente per esaltare e ren­ dere chiare le abilità della sacerdotessa, 45 molto più che addormentare o narcotizzare il serpente attraverso il papavero. La figura della maga mas­ sila, custode del templum Hesperidum, menzionata da Virgilio non trova paralleli nella letteratura antica, configurandosi così come un'invenzione del poeta. La tradizione relativa alle Esperidi considerava queste ultime custodi e guardiane dell'albero dai pomi dorati e allo stesso tempo riser­ vava loro il compito di sfamare il serpente. Non è mai menzionata una sacerdotessa né tantomeno un tempio dedicato alle Esperidi: tuttavia, il termine templum può indicare l'edificio templare vero e proprio, ma anche Tuttavia questa informazione non può essere estesa al mondo antico, in cui i semi impiegati nell'alimentazione sono sempre quelli del papavero da oppio. Esiste una testimonianza circa la commestibilità del papaver rhoeas (THEOPHR. Hist. plant. IX 1 2, 4), ma è probabilmente riferita alle sue foglie, usate come cicorie. 44 Cfr. supra, pp. 1 6- 1 8 . 4 5 Sulle competenze magiche della sacerdotessa cfr. TuPET 1 970, pp. 235-236. -

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3 . VIRG I L I O

più in generale il santuario.46 D'altronde già Apollonia Rodio fa esplicito riferimento a un ispòv nÉoov quando gli Argonauti giunsero nel giardino delle Esperidi, 47 alle quali assegna il ruolo di guardiane, senza nominare mai la presenza di una sacerdotessa.48 Non è nemmeno lecito pensare a una scomparsa delle antiche custodi o all'abbandono del proprio compito: infatti Apollonia narra che, alla vista degli Argonauti, le figlie di Atlante si tramutarono in polvere e terra ma, dopo la preghiera di Orfeo, esse si mu­ tarono dapprima in alberi (un pioppo, un olmo e un salice) e poi ripresero la loro forma originaria. 49 Stando al racconto di Apollonia, fu il serpente a essere ucciso con una freccia avvelenata per mano di Eracle, venuto per rubare i pomi dorati; secondo Heinze, Virgilio era debitore di questa tra­ dizione, come dimostrerebbero i verbi al passato dabat e servabat, relativi ai compiti della sacerdotessa. Essi farebbero riferimento a un momento in cui il dracon era ancora in vita e necessitava di nutrimento, ma dopo la sua morte tale funzione sarebbe venuta meno.5 0 La spiegazione potrebbe anche avere un fondamento, dal momento che Apollonio Rodio fu sicu­ ramente uno dei modelli utilizzati da Virgilio per la stesura dell'Eneide,5 1 ma forse appare più semplice ricondurre il tempo verbale all'occupazione cui era preposta la sacerdotessa prima della sua venuta a Cartagine e non necessariamente alla morte del serpente. È comunque innegabile la dipen­ denza della figura della maga massila da quella di Medea: entrambe sono in grado di utilizzare potenti arti magiche e sono poste sotto la tutela della dea Ecate; 52 tuttavia, se il paragone regge per quanto riguarda le loro abili­ tà, altrettanto non si può dire per le azioni da esse compiute. Medea addor­ menta il serpente guardiano del vello d'oro invocando Hypnos e ricorren­ do a un filtro magico, con il preciso fine di permettere all'amato Giasone di recuperare il prezioso cimelio, mentre la sacerdotessa virgiliana non ha alcun motivo per indurre sonnolenza al rettile tramite la mistura di miele e papavero. I commentatori antichi dell'Eneide non giungono in soccorso circa possibili spiegazioni relative alla presenza della sacerdos e ai suoi legami 4 6 Circa i complessi significati del termine templum cfr. CIPRIANO 1 983, in particolare pp. 1 1 -45 e 1 2 1 - 142. 47 APOLL. R.Hoo. IV 1396. 4 8 Le Esperidi erano considerate le custodi dei pomi e degli alberi sacri già in HEs. Theog. 2 1 5-2 16. 4 9 APOLL. R.Hoo. I V 1407- 1430. 5 0 HEINZE ( 1 903) 1 993, p. 1 1 9, nota 56. 5 1 A tal proposito cfr. D. SERV. Aen. IV l . 5 2 Cfr. HEINZE ( 1 903) 1 993 , p. 1 05 e p. 1 1 9, nota 56; NELIS 200 1 , pp. 1 4 1 - 143.

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S E Z I O N E I - IL PAPAVE RO N ELLA C U LT U RA E NELLA LETTERATURA ROMANA

con le Esperidi, ma si limitano soltanto a sottolinearne la provenienza e a riassumere brevemente l'impresa di Eracle, che riuscì a impadronirsi dei pomi. 53 Tuttavia, esiste un documento tanto interessante quanto enig­ matico: si tratta di una patera apula, opera della bottega del Pittore del sakkos bianco e databile intorno all'ultimo ventennio del IV secolo a.C . , sulla quale è raffigurato l'albero sacro, su cui è attorcigliato il serpente, un piccolo Eracle in miniatura posto ai piedi del tronco (riconoscibile dall' ar­ co, dalla clava e dalla pelle di leone) e due Esperidi. Quella di sinistra è seduta sopra una hydria e pare in procinto di staccare un pomo, mentre quella di destra è stante e tiene nella mano quella che sembra essere una capsula di papavero.54 Il reperto attesterebbe quindi una tradizione che potrebbe confermare la presenza del papaver all'interno del mito relativo alle Esperidi; è però arduo chiarire il ruolo che esso rivestiva nell' econo­ mia del racconto. È lecito supporre un qualche tipo di collegamento tra le informazioni fornite da Virgilio e il manufatto? La capsula tenuta in mano dalla fanciulla potrebbe essere uno degli ingredienti che componevano il cibo del serpente, tanto più che alle sue spalle è visibile una seconda hydria, vaso utilizzato per contenere liquidi. Ipotizzare che in essa vi fosse miele liquido è decisamente troppo azzardato, data la mancanza di ulte­ riori dettagli. 55 In realtà sorge un dubbio comparando la scena con quelle di altri manufatti in cui il serpente viene chiaramente sfamato: il gesto è compiuto direttamente da una delle Esperidi, che porge al rettile una patera o una phiale.5 6 Ciò implica che l'alimento era liquido, così come nella descrizione virgiliana, il che rende ancora più problematico capi­ re l'eventuale sostituzione del recipiente con la sola capsula di papavero nella mano dell'Esperide rappresentata sulla patera in esame. Si potrebbe anche azzardare una seconda interpretazione dell'immagine: in un passo dell' Hercules furens di Seneca si fa menzione del sonno che colpì il serpente e della conseguente possibilità da parte dell'eroe di portare a termine la 53 Cfr. SE RV. Aen. IV 483 e 484. Servio, e in maniera particolare il Danielino, riporta la spiegazione razionalistica del racconto (già narrata in esteso da Dmo. S 1 c. IV 26 ) : le Esperidi sarebbero state nobili fanciulle, figlie del re Espero, il quale possedeva un gregge di pecore particolarmente prezioso. Il custode era un pastore di nome Dracon, al quale le giovani forni­ vano il cibo; poiché i Greci chiamavano le pecore llfiÀa, nacque la leggenda con protagonisti il serpente (dracon), le Esperidi e i pomi. 54 McPHEE 1 990, n. 4 1 . Lo studioso ha interpretato l'oggetto come un secondo pomo, ma la forma allungata fa propendere per una capsula di papavero. 55 È assai più probabile che il vaso contenesse acqua, come dimostra la scena dipinta su una pyxis (ca. 470 a.C.) che rappresenta le Esperidi mentre riempiono le hydriai a una fonte: McPHEE 1 990, n. l . 5 6 Cfr. McPHEE 1 990, nn. 2-5; 36-39.

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3. VIRG I L I O

sua impresa. 57 L'autore non specifica il nome di colui che riuscì ad addor­ mentare il rettile (Ercole stesso? Le Esperidi?), né come ciò sia avvenuto; tuttavia la capsula di papavero presente sulla patera a pula potrebbe allu­ dere al suo utilizzo per indurre sonnolenza. Allo stesso tempo, il gesto dell'Esperide potrebbe avere lo scopo di distrarre il guardiano, permetten­ do così alla sorella di staccare un pomo dall'albero. Allo stato attuale, qualsiasi ulteriore congettura circa la funzione del papavero ricadrebbe nel dominio dell'ipotetico, ma è importante sottoli­ neare la sua possibile attestazione iconografica in una scena raffigurante le Esperidi. Se esisteva davvero una tradizione orale che legava la pianta alle custodi dell'albero sacro, con tutta probabilità di creazione apula, Virgilio avrebbe potuto trarre da essa il particolare del papavero, dimostrando così una volta di più tutta la sua erudizione in campo mitico.58 Egli dunque creò ex novo la figura della sacerdotessa-maga, facendo confluire in essa il mo­ dello della Medea tratteggiata da Apollonia Rodio e le funzioni caratteristi­ che delle Esperidi, cioè la custodia dell'albero e la nutrizione del serpente, e riservandole una ben precisa finalità all'interno dell'inganno ordito da Didone, che mirava a celare i suoi propositi di morte. Una volta stabilita la funzione svolta dalla maga massila, rimane ancora da chiarire la ragione per cui Virgilio volle esplicitamente specificare gli ingredienti di cui era composto il cibo riservato al dracon: assodata l'inconsistenza delle ipotesi che considerano la mistura di miele e papavero un 'alimento soporifero', si potrebbe al contrario supporre che il preparato fosse offerto per le sue pro­ prietà energetiche (sia il miele sia i semi di papavero hanno infatti un alto valore nutrizionale), perfettamente adatte a mantenere vigile il guardiano dell'albero sacro. Un passo di poco successivo a quelli sin qui presi in esame potrebbe testimoniare un secondo riferimento al papaver somniferum in connessione 57 SEN. Her. fur. 530-532: deceptis referat mala sororibus, lcum somno dederit pervigiles genasl pomis divitibus praepositus draco. I versi di Seneca sono l'unica reale attestazione dell'addormen­ tamento del serpente. A tal proposito, alcuni studiosi a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento proposero un'azzardata teoria, prendendo come punto di partenza l'analisi iconografica di alcune pitture vascolari: a loro giudizio, dalle immagini rappresentate sarebbe stato possibile ricostruire una nuova versione del mito. Essi ipotizzarono l'infatuazione amorosa delle Espe­ ridi nei riguardi di Eracle: queste avrebbero favorito l'impresa dell'eroe, addormentando il serpente attraverso una pozione servita su una patera o una phiale, scena che ricorre con fre­ quenza nelle rappresentazioni vascolari (cfr. McPHEE 1990, nn. 36-40). Tale teoria è stata oggi giustamente confutata (cfr. McPHEE 1990, p. 405), poiché l'offerta della patera al serpente deve essere intesa come una semplice procedura per nutrirlo. 5 8 È indubbio che Virgilio conoscesse ampiamente la cultura della Magna Grecia, dal mo­ mento che vi soggiornò in diversi momenti della sua vita.

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SEZIONE I - IL PAPAV E RO N ELLA C U LTURA E NELLA LETTERATURA ROMANA

con la sacerdotessa. Questa, intrapreso il rito magico, inizia a compiere gesti preparatori (vv. 5 1 2-5 1 4) : Sparserat e t latices simulatos fontis Averni, falcilms et messae ad lunam quaeruntur aenis pubentes herbae nigri cum lacte veneni . . . Aveva sparso anche linfe che simulassero le fonti dell'Averno, e si cercano a lume di luna, mietute con falci di bronzo, erbe mature con lattice di nero veleno . . . (trad. di R. Scarcia, con leggere modifiche)

In questo caso non viene esplicitamente menzionata la pianta, ma le pubentes herbae nigri cum lacte veneni si prestano perfettamente a essere in­ terpretate come papaveri. Infatti il termine lacte richiama alla mente il lat­ tice contenuto nella capsula (l'oppio), i cui effetti dannosi erano abbondan­ temente conosciuti all'epoca del poeta, ragione per cui viene qui definito velenoso. Anche l'aggettivo nigrum riferito a venenum è perfettamente com­ prensibile: Servio afferma che in questo caso è utilizzato per sottolineare l'effetto tossico della sostanza, poiché la pelle degli uomini avvelenati di­ venta livida. Il commentatore riporta anche una seconda spiegazione, cioè la possibilità che Virgilio abbia voluto intendere herbae nigri lactis.59 L'in­ formazione è tutt'altro che secondaria: prima di essere raccolto, il lattice del papavero viene lasciato defluire dalla capsula sino a che prende una co­ lorazione bruno-scura. Il poeta poteva essere a conoscenza del metodo di raccolta dell'oppio e di conseguenza evidenziarne la gradazione cromatica. Il sostantivo herba sembra mettere in discussione la possibilità che il vege­ tale in questione possa essere effettivamente il papaver somniferum, ma non deve trarre in inganno: potrebbe infatti avere il significato di «pianta», più confacente al papavero, e non quello letterale di «erba». D'altronde, quale erba possiede un lattice velenoso? A questo proposito, merita attenzione l'epiteto pubentes connesso a herbae: è ancora una volta Servio a spiegarne il significato, asserendo che alcuni lo intendono come siccae (secche), altri come viridiores (verdi).60 Quest'ultima interpretazione è particolarmente interessante, poiché si è già osservato come l'oppio venga estratto dalle capsule poco prima della maturazione, quando sono ancora verdi. A con­ clusione del proprio ragionamento, Servio riferisce la notizia secondo cui Virgilio, attraverso la perifrasi in esame, avrebbe voluto indicare l'agreste 59 60

SERV. Aen. IV 5 1 4. SERV. Aen. IV 5 1 3 . -

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3. V I RG I L I O

papaver. 61 L'aggettivo agreste può significare tanto «campestre» quanto «sel­ vatico», ma in questo caso è preferibile leggervi un riferimento al papaver somniferum, poiché da esso si ricava la miglior qualità di lattice. Se dunque è possibile che dietro le pubentes herbae virgiliane si celi il pa­ pavero da oppio, si può escludere che un passo della Pharsalia di Lucano, in cui viene messo in relazione il veleno di un serpente con quello ricavato da non meglio precisate piante tossiche che si raccoglievano nei pressi di Sais (località situata alla foce del Nilo), faccia implicita allusione al papaver. 62 Il poeta specifica infatti che la sostanza velenosa veniva ricavata nel periodo della maturazione e direttamente dallo stelo: queste informazioni sembra­ no confutare la possibilità che si possa trattare del papavero, poiché il suo lattice si estrae dalle capsule immature e non dal gambo. 63

LA MORTE m EuRIALO (AEN. IX 433-43 7) Quando Eurialo, ormai braccato dalla cavalleria rutula, viene minac­ ciato di morte da Volcente, Niso esce allo scoperto e prega il nemico di risparmiare la vita all'amato compagno. Tuttavia il guerriero latino cerca vendetta per l'uccisione di due suoi commilitoni e, snudata la spada, col­ pisce Eurialo al petto, infliggendogli una ferita mortale.64 A questo pun­ to, Virgilio delinea un'immagine di straordinaria efficacia, paragonando il corpo del giovane che si abbandona alla morte a un fiore purpureo reciso dall'aratro o ai papaveri, che piegano il capo flettendosi sullo stelo a causa della pioggia (vv. 433-43 7) : Volvitur Euryalus leto pulchrosque per artus it cruor inque umeros cervix conlapsa recumbit: purpureus veluti cum flos succisus aratro languescit moriens lassove papavera collo demisere caput, pluvia cum forte gravantur. Eurialo cade riverso nella morte, e lungo le belle membra cola il sangue, e il capo si adagia reclino sulle spalle: come quando un fiore purpureo, reciso dall'aratro,

61 SERV. Aen. IV 62

5 1 4. LuCAN. IX 8 1 5-82 1 : . . . stipite quae diro virgas mentita Sabaeas l toxicafatilegi carpunt matura

Saitae. 63

Con la sola eccezione di PLIN. Nat. Hist. XX 1 98: cfr. supra, p. 14, nota 19. 394-432.

64 VERG. Aen. IX

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appassisce morendo, o come i papaveri che chinano il capo sul collo stanco, quando l'abbondante pioggia li appesantisce. (trad. di L. Canali, con modifiche)

La metafora non è una pura invenzione virgiliana, poiché il poeta tras­ se l'immagine da illustri precedenti: già Omero aveva paragonato il capo appesantito dall'elmo di Gorgizione morente al papavero, che si piega su se stesso sotto il peso del proprio frutto e della pioggia.65 Successivamente Stesicoro, in un frammento della Gerioneide, riprese l'immagine omerica, modifìcandola in parte: il poeta siceliota paragona il mostro Gerione ucciso da Eracle al fiore di papavero che perde i suoi petali. 66 Il modello al quale si ispirò l'autore dell'Eneide per l'immagine della capsula di papavero appe­ santita e reclinata è chiaramente Omero, cosa peraltro già nota nell' anti­ chità: ne danno infatti conferma sia Macrobio sia .Servio. 67 Le similitudini delineate da Virgilio e dai suoi modelli sono state recen­ temente oggetto di studio da parte di Massimo Lazzeri, il quale ha esami­ nato i rapporti che intercorrono tra loro dal punto di vista stilistico-lettera­ rio. Per tale ragione, in questa sede si è deciso di concentrare l'attenzione sul significato complessivo del passo virgiliano e sulla sua simbologia, ri­ mandando il lettore all'ottimo lavoro svolto da Lazzeri per la disamina di tutte le altre questioni. 68 Dal punto di vista semantico, la metafora virgiliana si rivela perfetta­ mente adatta a dipingere la morte dello sfortunato Eurialo, il cui capo re­ cumbente si presta a essere assimilato al fiore del papavero che, a causa del peso della capsula e della pioggia, inclina leggermente la sommità del gambo. 69 Alcuni studiosi hanno individuato precisi significati reconditi nei versi virgiliani: è il caso di Philip Hardie, che ha voluto riconoscere nella morte violenta dell'eroe, cui fa seguito poco dopo quella di N iso, «the 'con­ summation' of a love story, in which the two lovers are united in death».7° Roberto Cristofoli ha invece preferito mettere in relazione il passo di Virgi­ lio con i versi di Catullo e Teocrito, dove la similitudine floreale è utilizzata per segnalare la fine dell'amore, nel primo caso del poeta stesso per la sua 6 5 HoM. n. VIII 306-308. Gorgizione era figlio di Priamo e Castianira: cfr. H oM R. VIII 303-305 . 66 STEs. F S 1 5 col. II 1 4- 1 7 Davies. 67 MACROB. Sat. V 10, 1 3 ; SERV. Aen. IX 436. 68 LAZZERI 2006, in particolare pp. 145- 1 5 1 . 69 A tal proposito cfr. l a corrispondenza tra il termine cervix (che indica l a testa di Eurialo) e caput (riferito alla capsula di papavero). 70 HARDIE 1 994, p . 1 50. .

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3 . VIRG I L I O amante, nel secondo di un pastore non ricambiato da Amarilli . 7 1 Lo studio­ so ne ha dedotto che la metafora della morte di Eurialo «segnava la fine di quello che era stato un rapporto d'amore oltre che di profonda amicizia».72 Entrambe le teorie, in particolare quella avanzata da Hardie, appaiono for­ zate e poco pertinenti se messe in relazione al contesto dell'episodio: per­ ché mai segnalare il legame affettivo, o addirittura la 'consumazione' di tale relazione, ricorrendo a una metafora vegetale scevra di connotazioni erotiche? 73 È pur vero che i due giovani sono stati presi come modello per indicare una coppia di amanti,74 ma nel caso specifico l'attenzione del poeta è rivolta in modo particolare alla tragica fine di Eurialo. Certamente l'affetto di Niso nei confronti dell'amico viene ribadito anche in questa occasione,75 ma l'immagine floreale sembra essere priva di qualsiasi riferi­ mento al rapporto di amicizia, o amoroso, che legava i due. Mi pare quindi più appropriato leggere la similitudine virgiliana soltanto in relazione alla gestualità del corpo di Eurialo, che ha lo scopo di mettere in evidenza il forte patetismo che permea la triste vicenda.76 Dal canto suo, Gigliola Maggiulli ha espresso il proprio stupore nel constatare la totale mancanza di riferimenti cromatici a proposito del pa­ pavero: la studiosa ha sottolineato come la presenza del sangue che sgorga dalla ferita dell'eroe avrebbe dovuto suggerire a Virgilio un parallelo con il colore rosso del fiore della pianta.77 Questo perché ella ha identificato il 7 1 CATULL.

XI 2 1 -24; THEOCR. III 28-30. In entrambi i casi non si fa menzione del papavero. 1996, pp. 262-263 . Anche jENKYNS 1 998, p. 13 ha riscontrato «a lighdy erotic colouring in the similes describing the dying Euryalus and the dead Pallas». 73 Non mi sembra corretta l'ipotesi di MAKOWSKI 1 989, pp. 13- 14, secondo cui la similitu­ dine avrebbe una velata sfumatura erotica. Lo studioso ha portato come prova il commento di Servio (Aen. IX 435 ) , il quale mette in relazione Eurialo con Giacinto, di cui è nota la relazione amorosa con Apollo. Tuttavia, il paragone serviano si riferisce all'immagine con la quale viene descritta la morte dei due giovani (per la fine di Giacinto cfr. infra, pp. 60-6 1 ) e non implica necessariamente alcun risvolto erotico. Infatti nulla viene specificato in merito al rapporto omoerotico che intercorreva tra Giacinto e Apollo. Per la completa disamina dei passi dei com­ mentatori antichi di Virgilio (Servio e Tiberio Claudio Donato) circa Eurialo e Niso cfr. GI O SEFFI 2005-2006, in particolare pp. 1 94-205. 74 Non entrerò qui nel dettaglio circa il rapporto che intercorreva tra i due eroi, poiché porterebbe il discorso troppo lontano dal proposito iniziale, cioè l'analisi semantica della si­ militudine. Tra l'ampia bibliografia al riguardo (cfr. a tal proposito FRATANTUONO 2010, p. 43, nota 4 ) , cfr. FRATANTUONO 2010, in particolare pp. 43-45 e pp. 50-53; MEBAN 2009, in particolare pp. 252-257; PEROTTI 2005, pp. 63-65; MAKOWSKI 1989, pp. 1 - 1 2 . 7 5 Cfr. i n particolare VERG. A en . I X 424-430. 76 Cfr. HEuzÉ 1985, p. 499, nota 38: «L'attitude de la tete inclinée possède donc [ . . . ] un net rapport avec l'échec et la mort». Cfr. anche la condivisibile osservazione di DoMENICUCCI 1 985, p. 246: «[ . . . ] Virgilio tende ad eliminare il dato della pederastia, relativo a personaggi del mito»; tra questi lo studioso ha menzionato Eurialo e Niso. 77 MAGGIULLI 1995, pp. 390-3 9 1 . n

CRISTOFOLI

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papaver del verso 436 nel papaver rhoeas e ne ha spiegato i motivi collegan­ do la pianta con il purpureus [. . . ]flos succisus aratro del verso precedente: 78 dal momento che si fa menzione dell'aratro, Maggiulli ha ipotizzato che il papavero possa essere il rosolaccio, che cresce spontaneo nei campi colti­ vati.79 Il riconoscimento proposto dalla studiosa è plausibile, ma personal­ mente propendo per l'eventualità che il poeta volesse riferirsi al papaver somniferum, o tutt'al più al setigerum. 80 Infatti il papavero da oppio, comu­ nemente coltivato negli orti come attesta lo stesso Virgilio nell'episodio del vecchio di Corico,8 1 possiede una capsula più grande di quella del rhoeas e del setigerum e meglio si presta a essere utilizzata come termine di para­ gone per il capo dell'eroe morente, che si reclina come il fiore sullo stelo sotto il peso del proprio frutto (senza per questo dimenticare il ruolo svol­ to dalla pioggia). 82 L'assenza di un aggettivo che specifichi la varietà della pianta può forse trovare giustificazione nel fatto che la similitudine ricreata da Virgilio era un topos letterario e non mirava a riprodurre fedelmente la realtà: non era interesse del poeta evidenziare una specie piuttosto che un'altra, ma soltanto richiamare un'immagine che godeva già di preceden­ ti illustri. Qualunque sia il tipo di papavero sottinteso, l'assenza di elementi coloristici evidenziata da Maggiulli potrebbe essere spiegata proprio con la presenza del fiore purpureo menzionato in precedenza: 83 il sangue di Eurialo poteva infatti trovare il suo corrispettivo cromatico nell'aggettivo purpureus, facendo così venir meno l'esigenza di una seconda ripetizione, conformemente alla tecnica virgiliana che evita affermazioni superflue, esornative o già date e quindi duplicate se fornite nuovamente.84 Lo specifi­ co richiamo alla capsula sembra confermare questa teoria: non solo il fiore 78 È stato osservato che Virgilio ricavò l'immagine del fiore tranciato dall'aratro dai versi di Carullo (Xl 2 1 -24) e di Saffo (F 1 05b Voigt). 79 MAGGIULLI 1995, p. 393 . 80 DINGEL 1 997, p. 1 76 ha sottolineato la discrepanza tra la similirudine omerica (dove era presente un Kiin:oç) e quella virgiliana, in cui non è specificata la collocazione della pianta. Se in Omero il riferimento al giardino presupporrebbe la varietà coltivata, cioè il papaver somniferum, lo srudioso ha proposto, in via del rutto ipotetica, di riconoscere nel papaver rhoeas l'esemplare di Virgilio. 8 1 VERG. Georg IV 1 3 1 . Cfr. anche la presenza della pianta nel giardino di Tarquinia: Liv. I 54, 6. 82 Non è forse un caso l'utilizzo dell'aggettivo lasso (stanco, affaticato) riferito a collo: DINGEL 1 997, p. 1 76 ha affermato che il termine mette in evidenza la flessione della pianta e ha osservato che è tipico del papavero piegarsi sullo stelo durante la pioggia. 8 3 Non sembra possibile giungere a una conclusione circa il riconoscimento di tale fiore: DINGEL 1 997, p. 1 76 ha notato come altrove Virgilio abbia definito purpureus il narciso (VERG. Bue. V 38) e forse il giglio (VERG. Aen. VI 884, dove però sono citati generici purpureos flores). 84 Ringrazio il Prof. Massimo Gioseffi per il suggerimento in merito alla tecnica virgiliana. .

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3 . VIRG I L I O

del papavero sarebbe l'oggetto della similitudine virgiliana, ma soprattutto il suo frutto (caput), in accordo con la precedente tradizione omerica dove si fa specifico riferimento al Kap1t6ç. 85 Infine, Paolo Nencini ha proposto di scorgere dietro la presenza della pianta un'allusione agli effetti narcotizzanti del suo lattice: egli ha collegato la similitudine tra il piegamento del collo di Eurialo e quello della pianta all'azione letale dell'oppio. Per la verità, la proposta esegetica dello studio­ so riguarda il passo omerico dell' fliade che narra la morte di Gorgizione, ma è evidentemente estesa ai modelli successivi e di conseguenza anche a Virgilio.86 Personalmente, credo che l'ipotesi di Nencini di voler a tutti i costi riferire la presenza del papavero alle proprietà del suo lattice sia un'a­ bitudine molto in voga tra gli autori moderni, ma che trova scarsi riscontri in quelli antichi. L'immagine creata da Omero, e ripresa poi da Virgilio, non necessita affatto di una spiegazione che ricerchi fuori da essa possibili rimandi nascosti o implicite allusioni. In definitiva, Virgilio inserisce la si­ militudine al solo scopo di richiamare alla mente un'immagine familiare a tutti, al contempo ricercata grazie ai modelli poetici di riferimento e di grande effetto drammatico e patetico. Virgilio aggiunge però un ulteriore elemento alla figura retorica già omerica e stesicorea, cioè il purpureus jlos: è stato osservato dagli studiosi come il poeta abbia ripreso l'immagine del fiore tranciato dall'aratro dai versi di Catull o e di Saffo. 87 Al di là dei prece­ denti, il fiore reciso rimanda chiaramente alla morte inaspettata e violenta di Eurialo, ucciso nel pieno della sua giovinezza; Virgilio dunque arricchi­ sce la similitudine introducendo un secondo termine di paragone che non ha però una relazione diretta con il papavero reclinato su se stesso, come sottolinea anche la particella disgiuntiva -ve.88 A dimostrazione della fama di cui l'espediente retorico godeva nella tradizione letteraria, la sua fortuna non si esaurisce con Virgilio: altri due autori infatti, Ovidio e Quinto di Smirne, lo hanno utilizzato inserendo al85

HoM. ll. VIII 306-308. NENCINI 2004, pp. 72-73 . Il riferimento a Virgilio è già menzionato dallo stesso autore. Egli ha affermato addirittura che i versi omerici possono essere considerati uno dei più chiari indizi della conoscenza degli effetti narcotici del lattice di papavero. La teoria di Nencini è stata riportata anche da LAZZERI 2006, p. 146, nota 4 il quale, benché non abbia espresso opinioni al riguardo, sembra in qualche modo accettarla. 8 7 CATULL. XI 2 1 -24; SAPPH. F 1 05b Voigt. Cfr. DINGEL 1 997, p. 1 75 ; MAGGIULLI 1 995, p. 39 1 ; HARDIE 1994, p. 1 50. 88 Già DINGEL 1 997, p. 1 75 ha ravvisato la doppia narura della similirudine. Tale teoria sembra confermata anche dal commento di TIB. DoNAT. Interpr. Verg. Il, p. 247 Georg: duo ge­ nera comparavit funeri, purpureum jlorem toto corpori praeter cervicem et caput, papaveri cervicem et caput, quia sic itiflectitur, cum maturitate lassatur aut umoris onere praegravatur. 86

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cune varianti. Il poeta latino descrive così la morte di Giacinto, il giovinetto amato da Apollo, ucciso per errore dal disco lanciato dallo stesso dio (Met. x 1 90- 195):

Ut, siquis violas rigu.oque papaver in horto liliaque infringatfolvis haerentia virgis, marci.da demittant subito caput illa gravatum, nec se sustineant spectentque cacumine terram, sic vultus moriens iacet et defecta vigore ipsa sibi est oneri cervix, umeroque recumbit. Come quando qualcuno, in un giardino irriguo, recide viole, papaveri o gigli da cui sporgono fulvi pistilli , e quelli, appassiti, subito chinano il capo appesantito, non stanno più ritti e con la corolla guardano il suolo, così il volto del morente si abbandona, il collo, perso ogni vigore, è di peso a se stesso e ricade sulla spalla. (trad. di G. Chiarini, con leggere modifiche)

Si nota subito come la similitudine ovidiana sia modellata sull'esempio di quella virgiliana, dalla quale recupera anche alcuni termini (ad esempio caput, cervix, umeroque recumbit ecc.).89 Tuttavia si discosta dal suo prede­ cessore per la presenza di una variatio circa il numero dei fiori: essi sono la viola, il giglio e il papavero. Quest'ultimo non sembra rivestire un ruolo di spicco all'interno della similitudine, ma si configura soltanto come un esempio floreale di uguale importanza rispetto alle altre due specie.90 L'at­ tenzione di Ovidio è incentrata sull'appesantimento della testa di Giacinto morente, che si reclina sulle spalle come le corolle dei fiori citati, ma la scelta di questi sembra collegata più alla loro bellezza che non a una precisa volontà di sottolinearne altre caratteristiche. Come la grazia dei fiori sva89 L'analogia tra il passo virgiliano e quello ovidiano fu riscontrata già da SE RV. Aen. IX 435, che sottolinea come l'immagine utilizzata per la morte di Eurialo fosse in tutto simile a quella descritta per Giacinto. Forse il commentatore dell'Eneide allude anche a una versione del mito di Giacinto, probabilmente di epoca ellenistica (il perduto Giacinto di Euforione? Cfr. EuPHOR. F 40-43 Powell), oggi perduta: cfr. REED 20 1 3 , p. 210. Ad ogni modo, Virgilio non è l'unico modello da cui Ovidio trae ispirazione: cfr. B5MER 1 980, p. 79; LAZZERI 2006, p. 1 52 e nota 29; REED 20 13, p. 210. In merito alle fonti utilizzate da Ovidio per narrare l'episodio di Giacinto cfr. CAZZANIGA 1958, in particolare pp. 1 49- 1 5 8 . Per l'analisi della similitudine ovidiana in relazione ai suoi precedenti cfr. LAZZERI 2006, pp. 1 53-155. 9 0 Non concordo con l'ipotesi di LAZZERI 2006, p. 1 53 che, sulla scorta di B5MER 1 980, p. 80, ha considerato il papavero la più importante tra le specie menzionate, come dimostre­ rebbe anche l'utilizzo del termine al singolare. Infatti gli studiosi non tengono conto della possibilità che Ovidio abbia utilizzato il singolare per questioni metriche.

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3 . VIRG I L I O nisce non appena vengono recisi dal gambo, così lo sfortunato eroe viene privato della sua bellezza e della sua giovinezza da un atto violento.9 1 Lo specifico utilizzo del verbo inftingat spiega il motivo per il quale i fiori si pie­ gano su se stessi e il loro conseguente appassimento: 92 per questo motivo il papavero è equiparato al giglio e alla viola, a prescindere dalla sua tipica conformazione con la corolla rivolta verso il basso. Per quanto riguarda Quinto di Smirne, egli paragona la morte di Troilo alla spiga o al papavero che, non ancora maturi, vengono tagliati da una falce, impedendo così il loro completo sviluppo.93 Il modello di riferimento è chiaramente Omero, ma la presenza della spiga è un'invenzione del poe­ ta smirneo; è probabile che essa non sia stata menzionata a caso, data la sua frequente associazione con il papavero da oppio sia nelle coltivazioni, sia nell'iconografia.94 Dal punto di vista semantico, la similitudine vuole mettere in evidenza ancora una volta la tragica morte di un giovane eroe, privato della vita prima che questa fosse giunta alla sua pienezza. L OFFERTA

FLOREALE DELLE NINFE PER Al.ESSI (Bue. Il 45-50)

Nella seconda Egloga, il pastore Coridone, innamorato del giovane Alessi, descrive un'offerta vegetale che le Ninfe, e in particolare una Naia­ de, stanno preparando per il fanciullo (vv. 45-50): Huc ades, o formose puer: tibi lilia plenis ecceferunt Nymphae calathis; tibi candida Nais, pallentis violas et summa papavera carpens, narcissum etjlorem iungit bene olentis anethi; tum, casia atque aliis intexens suavibus herbis, mollia luteola pingit vaccinia calta. Vieni qui, oh bel fanciullo: per te le Ninfe portano canestri pieni di gigli; per te la bianca Naiade,

9 1 REED 20 1 3 , p. 210; HARorE 2002, pp. 64-65 e BARKAN 1986, pp. 20-2 1 hanno ipotizzato che la similitudine ovidiana avesse il compito di anticipare la metamorfosi in fiore di Giacinto. Cfr. anche GAI.Asso 2000, p. 1 294. 92 Ovidio tuttavia non specifica la causa né il mezzo con cui i fiori vengono recisi: cfr. REED 201 3 , p. 2 1 1 . 93 QurNT. SMYRN. I V 423-432. Su Troilo, non sempre delineato come un giovanetto inge­ nuo, cfr. ALONI 20 1 1 , pp. 1 -4. 94 Per la relazione tra spighe e papaveri in ambito iconografico mi permetto di rinviare a FABBRI 2009, in particolare p. 336.

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cogliendo pallide viole e i più alti papaveri, lega il narciso e il profumato fiore dell'aneto; poi, intreccia la cassia con altre erbe soavi e orna i fragili giacinti con calendule dorate . (trad. di M. Cavalli, con leggere modifiche)

Nella raccolta floreale, elemento che ricorre con frequenza in associa­ zione a giovani fanciulle di bell'aspetto,95 compare anche il papavero: la pri­ ma e più ovvia considerazione circa la sua presenza riguarda la bellezza del fiore, meritevole di essere menzionato tra quelli generalmente più apprez­ zati (giglio, viola, narciso ecc.).96 Il termine summa utilizzato dal poeta per descrivere il papavero risulta per certi aspetti ingannevole: letteralmente do­ vrebbe far riferimento all'altezza della pianta (quindi «gli alti papaveri»), ma in questo caso pare più corretto riferirlo alla zona terminale dove sboccia il fiore (quindi «la sommità dei papaveri»).97 Se così fosse, Virgilio puntualizze­ rebbe che la parte del papavero offerta consiste nella sola corolla e non nella pianta nella sua interezza, compreso il gambo. Era infatti consuetudine rac­ cogliere i papaveri staccando con un'unghia la loro sommità, come testimo­ niato da Ovidio e Properzio.98 Risulta comunque singolare che nemmeno in questo caso il poeta abbia connotato coloristicamente il fiore: alle pallentes violae non corrisponde alcun dato cromatico riferito al papavero. 99 È tuttavia assai probabile che la specie qui indicata possa essere riconosciuta nel papa­ ver rhoeas o nel setigerum: infatti la raccolta dei fiori operata dalla Naiade av­ viene in campi non coltivati, dove crescono piante selvatiche e spontanee. 1 00 95 Cfr. i casi di Kore (HoM. Hymn. II 6-8), Europa (MoscH. II 63-71), Creusa (EuR. Ion. 885-890). L'offerta di mazzi di fiori è tipica della poesia amorosa: cfr. GEYMONAT 1 98 1 , p. 1 22. 96 Per l'analisi di questi fiori mi permetto di rimandare a un mio lavoro sulle piante del prato di Kore, di prossima pubblicazione. Sul passo virgiliano cfr. JONES 201 1 , pp. 34-35. Sui fiori, in particolare sul narciso, cfr. GIOSEFFI 2004, pp. 94-96. Non concordo con l'affermazione di DELLA CoRTE 1 985, pp. 42-43 , che ha considerato modesti sia le viole che i papaveri; secondo lo studioso, di quest'ultimi verrebbe messa in evidenza la «disadorna bellezza», connessa alle loro «rosse teste». 97 Sembra per certi aspetti fuori luogo il commento di ScHOL. BERN. Bue. II 47: herba quae in summo granum habet. 9 8 Ov. Fast. IV 438; PRoP. I 20, 38-39. Per maggiori dettagli sull'argomento cfr. infra, pp. 1 12- 1 1 8. 9 9 CoLEMAN 1977, p. 1 0 1 ha ipotizzato che la colorazione del fiore fosse gialla, definen­ do lutea i papavera; tuttavia una simile interpretazione non trova riscontri nel testo virgiliano. L'aggettivo riferito alle viole è connesso da SERV. Bue. II 47 al colore che caratterizza gli amanti (amantum tinctas colore), in questo caso le Ninfe: cfr. già HoR. Carm. III 10, 14. Cfr. anche CLAu­ SEN 1 994, p. 79. Curiosa la nota di ScHOL. BERN. Bue. II 47, in cui pallentes viene interpretato come micantes (brillanti, scintillanti). 100 MAGGIULLI 1 995, p. 393.

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3 . VIRG I L I O

Stando a quanto riportato da Servio, al papavero, al narciso e all'aneto venne dato il nome di fanciulli dalla bellezza straordinaria; 1 0 1 è possibile che Virgilio abbia qui menzionato le piante in riferimento a questi giovani con il preciso scopo di associare loro Alessi, la cui avvenenza non era certo inferiore. 1 02 Tuttavia, il commentatore suggerisce che la presenza dei fiori fosse legata anche a una sorta di ammonimento rivolto ad Alessi, che non corrispondeva i sentimenti di Coridone: l'amante avrebbe così esortato il ragazzo affinché nessuno soffrisse per amore. 1 03 L'ipotesi è sostenuta dal­ le storie metamorfiche che caratterizzano la nascita delle specie vegetali, connesse spesso con bellissimi giovani morti tragicamente. È questo il caso della viola, nata dal sangue di Attis, del narciso, comparso dopo la morte dell'omonimo fanciullo, e del giacinto, sbocciato dal corpo dell'omonimo ragazzo amato da Apollo. Meno nota è invece la storia riguardante il papa­ vero: essa è testimoniata solo da Servio, il quale però deve aver riportato una tradizione piuttosto diffusa, anche se è impossibile risalire all'origine della creazione del racconto. La leggenda proveniva probabilmente dal­ la Grecia e forse da Atene: se infatti Servio menziona il nome Papaver, il Danielino riassume brevemente la sua vicenda in un passo del commen­ to delle Georgiche. Il fanciullo, chiamato in questo caso non più Papaver, ma Mecone (quindi con il nome greco del papavero), era un giovane ate­ niese amato da Demetra, la quale lo trasformò nell'omonimo fiore e lo pose sotto la sua tutela. 1 04 Purtroppo non si è a conoscenza di ulteriori dettagli in merito alla vicenda, né le cause della trasformazione operata dalla dea; ciononostante, anche per il papavero è testimoniata una storia metamorfica, dai chiari rimandi erotici e tragici. Il fatto che Virgilio abbia voluto richiamare alla mente specie floreali legate a episodi drammatici e luttuosi può effettivamente essere associato alla volontà di ammonire il giovane Alessi, sprezzante dell'amore di Coridone, ma gli elementi a favore di questa teoria sono comunque piuttosto scarsi. In mancanza di ulteriori informazioni, mi sembra più opportuno collegare l'offerta dei fiori, che si configura come un topos letterario della poesia amorosa, alla bellezza e alla giovinezza del ragazzo cui erano destinati, al fine di sottolinearne ancor più le qualità. 1o1 SERV. Bue. II 47: Sane Papaver, Narcissus, Anethus pulchenimi pueri fuerunt quique in jlores suorum nominum versi sunt. 1oz Una simile idea è stata già espressa da MAGGIULLI 1 995, p. 390. 1 0 3 SERV. Bue. II 47: . . quos ei offerendo quasi admonet, nequid etiam hic tale aliquid umquam ex amore patiatur. 104 D. SERV. Georg. I 212: Meconem Atheniensem dilexerit Ceres et transfiguratum in papaverem tutelae swze iusserit reservari. .

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IL CEREALE PAPAVER E IL VECCHIO DI CORICO (GEORG. l 2 1 2 E IV 127- 1 33)

L'associazione del papavero con Cerere risulta evidente da un passo delle Georgiche, dove il poeta definisce la pianta Cereale papaver. 1 05 Oltre alla storia riassunta da Servio appena riportata, il papavero è legato alla dea poi­ ché, secondo una tradizione, in seguito al rapimento della figlia ella avrebbe posto involontariamente fine al suo digiuno ingerendone i semi. 106 La pian­ ta era inoltre un attributo iconografico caratteristico di Demetra / Cerere, come testimoniato già da Teocrito e Callimaco, 107 e la dea era considerata anche la sua scopritrice, avendola trovata nei pressi di Mekone (Sicione). 108 I commentatori antichi di Virgilio spiegano il termine Cereale in vari modi, non ultimo affermando che la divinità aveva utilizzato il papavero per di­ menticare il dolore causato dalla perdita della figlia. 109 Accanto a quest'uso 'analgesico', peraltro assente nel mito, 1 10 Servio sottolinea l'utilizzo ali­ mentare della pianta, quasi certamente in riferimento ai suoi semi: 1 1 1 ciò fa ragionevolmente supporre che la specie indicata sia riconoscibile con il papaver somniferum. Gli altri commentatori del passo virgiliano spiega­ no l'aggettivo osservando la presenza del papavero nei campi coltivati, 1 12 nei quali era possibile trovarlo tra il frumento. 1 1 3 I commentatori moderni hanno ripreso perlopiù le informazioni fornite dagli autori antichi; 1 14 Ro­ ger Mynors tuttavia ha sottolineato come la Cerere romana abbia derivato molte delle sue caratteristiche e dei suoi attributi dalla Demetra greca, 1 1 5 1 0 5 VERG. Georg. I 212. 1 06 Ov. Fast. I V 53 1 ·534. Cfr. anche Ov. Fast. IV 547·548, dove l a dea somministra al pic­ colo Trittolemo una mistura di latte e papavero. Per il commento ai passi ovidiani cfr. in.fra, pp. 1 0 1 - 108. 10 7 THEOCR. VII 155-1 57; CALLIM. Hymn. VI 43-44 (in questo caso Demetra prende le sembianze della sua sacerdotessa). 108 Etym. Magn. s. v. M'fKW V1f. 1 09 D. SERV. Georg. I 212; Brev. exp. in Verg. Georg. I 212; SCHOL. BERN. Georg. I 2 1 2. 1 10 Ovidio non specifica nulla circa il dolore di Cerere, ma si concentra solo sull'interru­ zione del digiuno. m SERV. Georg. I 212: vel quod est esui, sicut .frumentum. D. SERV. Georg. I 2 1 2 aggiunge: vel quia pani aspergatur. 1 12 Ps. PROB. Georg. I 2 1 2 : Cereale papaver ait, quia in segete nascitur. 1 1 3 Brev. exp. in Verg. Georg. I 2 1 2: Cereale vel quod sit interfrumenta vel quod eo Ceres curas le­ vaverit lugens filiam somno inpleta; ScHOL. BERN. Georg. I 212. MAGGIULLI 1 995, p. 393 ha espresso dubbi sull'identificazione della specie di papavero (rhoeas o somniferum) «data l'interpretazione

anfibologica dell'attributo». 1 1 4 Cfr. CONINGTON 1 858, p. 166 1 1 5 MYNORS 1 990, p. 49.

=

CONINGTON-NETTLESHIP 1 88 1 , p. 1 9 1 .

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3 . VIRG I L I O

mentre Richard Thomas ha osservato che i semi di papavero, essendo di fatto «a grain», si confacevano perfettamente a Cerere e così l'aggettivo Cereale è inserito per definirne lo status. 1 16 È indubbio che Virgilio abbia voluto evidenziare la stretta connessione tra la dea e la pianta, ponendo quest'ultima sotto la sua giurisdizione: di certo il poeta era a conoscenza delle differenti tradizioni che riguardavano il papavero e la sua scopritrice. Inoltre, essendo seminato insieme all'or­ zo, 1 1 7 il papaver somniferum si prestava perfettamente a essere definito Cerea­ le, in virtù anche delle sue proprietà nutritive che ben si adattavano alla dea dispensatrice delle messi. Non è forse un caso che Columella, certamente seguendo l'esempio di Virgilio, abbia utilizzato la medesima espressione per descrivere il papavero. 1 18 Il valore alimentare della pianta risulta ancora più chiaro ed evidente nell'episodio del vecchio di Corico, il quale trae sostentamento dai prodotti ricavati da un piccolo appezzamento di terra (IV 1 27- 133): Corycium vidisse senem, cui pauca relicti iugera ruris erant, nec fertilis illa iuvencis nec pecori opportuna seges nec commoda Baccho. Hic rarum tamen in dumis olus albaque circum lilia verbenasque premens vescumque papaver regum aequabat opes animis, seraque revertens nocte domum dapibus mensas onerabat inemptis. Vidi un vecchio di Corico, che aveva pochi iugeri di campo abbandonato; e non era fertile al lavoro dei giovenchi, né adatto alle greggi né favorevole a Bacco. Costui, nonostante tutto, piantando rade file di erbaggi in quel terreno da sterpi, e all'intorno bianchi gigli e verbene e gracile papavero, pareggiava con il suo spirito le ricchezze dei re e tornando a casa, a tarda notte, ricopriva la sua tavola con cibi non acquistati. (trad. di A. Barchiesi).

Pur da un terreno non particolarmente fertile, inadatto alla pastorizia e alla coltivazione della vite, l'anziano contadino riesce comunque non solo a ottenere quel tanto che basta per nutrirsi ma, attraverso il duro lavoro quotidiano, anche a imbandire la propria tavola con i prodotti dell'orto, fatto che lo faceva sentire al pari dei re. 1 1 9 È stato ampiamente dimostrato 1 16 THOMAS 1 988, p. 105. 1 1 7 C fr. VERG. Georg. I 2 1 0-2 12. 1 1 8 C oLUM. X 3 14. Cfr. anche STEPH. TAURIN. ( 1 485- 1 5 1 9) Staurom. I V 125 Juhasz. 1 1 9 Secondo LA PENNA 1 977a, p. 60, proprio questa sua autarchia lo rende pari ai re . Sull'argomento cfr. anche THIBODEAU 200 1 , pp. 1 76-1 77, il quale ha affermato, a mio avviso

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come il vecchio di Corico sia la' rappresentazione ideale e idealizzata del perfetto agricola, che si accontenta di ciò che gli viene offerto dalla terra e si impegna duramente affinché questa lo ricompensi. 120 L'esplicita menzione del papavero testimonia ancora una volta la sua importanza nell' alimen­ tazione romana: attraverso il suo consumo era possibile sfamarsi a suffi­ cienza. Da un lato, la presenza della pianta in un orto così misero implica come essa non fosse annoverata tra i cibi più raffinati, né tra i più ricercati; dall'altro però viene fatta allusione alla sua funzione di cibo sostitutivo. Il papavero è quindi un vegetale utile, particolarmente adatto a essere colti­ vato in un campo infecondo e poco produttivo come quello descritto da Virgilio; si potrebbe anche osservare come al contempo i suoi splendidi fio­ ri, cui dovevano aggiungersi quelli del giglio e della verbena, contribuissero ad abbellire l'arido appezzamento di terra. 12 I Per quanto riguarda il passo in esame, ci sono pochi dubbi circa il riconoscimento della varietà: si tratta certamente del papaver somniferum, specie coltivata da cui il vecchio poteva ricavare i semi necessari al suo sostentamento. I22 Il termine vescum connesso al papavero ha dato luogo a diverse spiega­ zioni: se dai commentatori moderni è stato inteso prevalentemente con il significato di «piccolo» o «gracile», I23 secondo il Danielino poteva indicare sia le piccole dimensioni (il commentatore non specifica se della pianta o giustamente, che la ricchezza del contadino è un sentimento puramente spirituale. L'orto del vecchio di Corico può essere interpretato come il luogo in cui le ambizioni del contadino tro­ vano la loro completa realizzazione: cfr. THIBODEAU 200 1 , p. 1 89. Cfr. l'elogio della frugale vita contadina di TIBULL. I l . 12o Cfr. SALVATORE 1982, pp. 1 3 5 - 1 3 6 (che ha definito il senex «l'uomo sereno e intimamen­ te felice del poco che possiede»); LA PENNA 1977a, pp. 59-62; PERKELL 1 98 1 , pp. 1 7 1 - 1 72. SERV. Georg. IV 1 2 7 ipotizza che il contadino fosse uno dei pirati cilici sconfitti da Pompeo e insediati in Magna Grecia; l'informazione è tuttavia stata oggetto di molte riserve da parte degli studio­ si. Sul tema cfr. le osservazioni di MARASCO 1 990, pp. 402-407 (con discussione della bibliografia relativa); THoMAS 1 992, pp. 58-67. 12 I Eccessiva la teoria estetizzante di PERKELL 1 98 1 , p. I 72, secondo cui le specie men­ zionate dovevano simboleggiare un ideale di bellezza che prescinde dalle loro mere funzioni materiali e dalle stagioni (cfr. una simile interpretazione in STRAUSS CLAY 1 98 1 , pp. 60-6 1 ) . Al contrario, mi pare evidente che Virgilio abbia voluto inserire una serie di vegetali utili in primo luogo alla vita quotidiana: anche il giglio e la verbena erano piante comunemente utilizzate, soprattutto per ricavare olio e aromi. Cfr. BIOTTI 1 994, p. 1 28; MYNORS 1 990, p. 276; THOMAS 1988, p. 1 3 1 ; CoNINGTON 1 858, p. 3 1 6 CoNINGTON-NETTLESHIP 1 8 8 1 , p. 35 1 . 122 MAGGIULLI 1 995, p. 393 ha sostenuto che il papavero qui menzionato potrebbe essere sia il rhoeas, sia il somniferum, ma il fatto che la pianta sia coltivata fa propendere per l'identifi­ cazione con quest'ultimo. 123 CONINGTON 1 858, p. 3 1 6 CONINGTON-NETTLESHIP 1 88 1 , p. 3 5 1 ; THOMAS 1 988, p. 1 72; MYNORS 1 990, p. 276. Più articolata e problematica l'analisi del termine condotta da BIOTTI 1 994, p. 1 29, il quale alla fine ha optato per il significato di «commestibile>>, poiché più adatto al contesto del passo. =

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dei semi), oppure la sua proprietà alimentare, o ancora il grande numero dei semi. 124 Dal canto suo Servio distingue nettamente il papavero utilizza­ to nell'alimentazione (quo vesdmur) da quello che era impiegato per indur­ re il sonno (nam est aliud lethaeum, quo non utimur), riconoscendo nel primo quello citato nell'episodio del senex Corydus. 12 5 La ripartizione delle varietà suggerita da Servio deve probabilmente essere riferita alle specie stesse del papavero da oppio, cioè quella bianca (papaver somniferum album), da cui Plinio afferma che si ricavavano i semi, e quella nera (papaver somniferum nigrum), da cui si otteneva l'oppio. 12 6 Gli Scholia Bernensia alle Georgiche forniscono altre preziose informa­ zioni in merito al passo in esame: oltre a riprendere la distinzione avanzata da Servio, lo scollaste interpreta l'espressione vescum papaver con vescendo saturum, cioè «pieno di nutrimento», e afferma che il termine vescum era utilizzato per tutti quei cibi che si consumavano senza bisogno di cottura. Infine è riportata la notizia secondo cui alcuni scindevano la parola sepa­ rando l'avverbio ve (valde), che significa «molto», e il sostantivo esca, che significa «cibo»; ne consegue che vescum indicasse multa esca. 127 Anche le aggiunte degli Scholia sembrano dunque confermare che la specie indicata sia da considerarsi proprio il papaver somniferum: infatti a questo può essere ricondotta sia l'espressione vescendo saturum sia multa esca, poiché esso con­ tiene un alto numero di semi nella capsula. Da quanto riportato, risulta evidente la volontà degli esegeti antichi di sottolineare a più riprese la caratteristica di commestibilità del papavero che, come ha notato giustamente Alessandro Biotti, è certamente quella più adatta al contesto dell'episodio, in cui il senex Corydus coltiva laboriosa­ mente ciò che l'aspro terreno permette di seminare. 12 8 L'oFFERTA INFERA A ORFEO (GEORG. IV 545)

Quando il pastore e apicoltore Aristeo, lamentandosi per la perdita del­ le sue api a causa di una carestia e di una malattia (morboquefameque), giun­ ge alla dimora della madre Cirene, 129 le chiede il motivo della sua sciagura. 1 24 D. SsRv. Georg. IV 1 3 1 : vescum tria signijìcat: minutum, edule, multum. 1 2 5 SsRv. Georg. IV 1 3 1 . La distinzione è stata notata anche da Brorrr 1 994, p. 1 29 . 1 26 P u N. Nat. Hist. XIX 1 68- 1 69 . 1 21 ScHOL. BERN. Georg. I V 1 3 1 . 1 2s Cfr. Brom 1 994, pp. 1 28- 1 29. 1 29 Per la figura di Cirene cfr. ARRI G ONI 1 984, pp. 796-798. -

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La Ninfa, non essendo a conoscenza dell'origine del male, invia il figlio alla ricerca di Proteo, il dio marino che, grazie alle sue facoltà divinatorie, è il solo in grado di dare spiegazione dell'accaduto. Dopo aver teso un agguato e sconfitto il dio nella lotta, 1 30 Aristeo viene informato delle ragioni della sua sfortuna (vv. 453-459): Non te nullius exercent numinis irae; magna luis commissa: tibi has miserabilis Orpheus haudquaquam ob meritum poenas, ni fata resistant, suscitat, et rapta graviter pro coniuge saevit. ma quidem, dum te fugeret per.flumina praeceps, immanem ante pedes hydrum moritura puella servantem ripas alta non vidit in herba.

È l'ira di qualche nume che ti perseguita; tu sconti gravi colpe: contro di te Orfeo, immeritatamente disgraziato, suscita questa punizione, se i fati non si op­ pongono, e aspramente infuria per la sposa a lui rapita. Quella, fuggendoti a pre­ cipizio lungo il fiume, non vide, fanciulla destinata alla morte, uno spaventoso serpente ai suoi piedi, appostato sulla riva tra l'erba alta (trad. di A. Barchiesi, con leggere modifiche).

Venuto a conoscenza della causa dei suoi tormenti, Aristeo viene istrui­ to dalla madre circa il modo per placare l'ira delle Ninfe compagne di Euri­ dice e di Orfeo. 1 3 1 Queste le disposizioni di Cirene (vv. 534-547): . . . Tu munera supplex tende petens pacem, etfacilis venerare Napaeas; namque dabunt veniam votis, irasque remittent. Sed modus orandi qui sit prius ordine dicam: quattuor eximios praestanti corpore tauros, qui tibi nunc viridis depascunt summa Lycaei, delige, et intacta totidem cervice iuvencas. Quattuor his aras alta ad delubra dearum constitue, et sacrum iugulis demitte cruorem, corporaque ipsa boum frondoso desere luco. Post, ubi nona suos Aurora ostenderit ortus, inferias Orphei Lethaea papavera mittes et nigram mactabis ovem, lucumque revises; placatam Eurydicen vitula venerabere caesa. I 3 o VERG. Georg. IV 3 1 5-452. 1 3 1 Sorprende per certi aspetti il ribaltamento attuato da Virgilio: in questo caso le Ninfe qui considerate la causa della sventura di Aristeo, hanno una posizione prevalente rispetto � Orfeo, la cui ira era in precedenza considerata la ragione della perdita delle api.

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3 . VIRG I L I O Tu, supplice, offri doni, chiedendo la pace, e prega le indulgenti Napee; per­ ché esse concederanno il perdono alle tue invocazioni e rimetteranno la loro ira. Ma prima ti dirò con ordine il modo della preghiera: scegli quattro tori eccellenti per la bellezza dei corpi, che ora, tua proprietà, pascolano sulle cime del verdeg­ giante Liceo, e altrettante giovenche dal collo non domato. Colloca per questi quattro are presso l'alto santuario delle dee e versa il sangue dalle loro gole, poi abbandona i corpi dei buoi nel bosco frondoso. Più tardi, quando la nona Aurora avrà mostrato la sua prima luce, dedicherai a Orfeo papaveri letei come offerta funebre e sacrificherai una nera pecora e tornerai a visitare il bosco; immolando una vitella renderai onore alla placata Euridice (trad. di A. Barchiesi).

Portato a compimento il rito, Aristeo viene ricompensato con un nuo­ vo sciame di api, nate dalle carcasse dei tori e delle giovenche sacrifica­ te: si tratta della cosiddetta bugonia, cioè la nascita delle api dagli animali mortLl3 2 Thomas Habinek, a mio avviso giustamente, ha osservato come il pro­ cesso rituale messo in atto da Aristeo abbia le caratteristiche, perlomeno quelle principali, del classico sacrificio cruento comunemente praticato. 1 33 Di parere opposto Richard Thomas, che non ha ritenuto sufficienti gli ele­ menti presentati da Habinek; lo studioso ha rilevato la mancanza della spartizione e della consumazione della carne e ha aggiunto che Virgilio, quando davvero ha voluto descrivere un sacrificio, lo ha fatto con cogni­ zione di causa e nei minimi dettagli. Tuttavia, anche Thomas ha ammesso che i gesti compiuti da Aristeo sono «fully recognizable as conventional instances of sacrifice». 1 34 È evidente che nel caso specifico Virgilio non aveva nessun interesse nel rappresentare minuziosamente la pratica sacri­ ficale, poiché non si era prefissato di redigere un trattato sul sacrificio: le offerte donate da Aristeo devono essere considerate a tutti gli effetti doni sacrificali, finalizzati a placare la collera delle Ninfe e di Orfeo. Il li­ mite di Habinek sta però nell'aver completamente tralasciato la presenza dell'offerta incruenta, concentrandosi solamente sull'immolazione degli 1 3 2 Già in precedenza il poeta aveva fatto riferimento a tale pratica: VERG. Georg. IV 28 1 3 14. Secondo CoNTE 1 984, p . 32 1 , l a figura di Aristeo s i caratterizza per l a sua totale adesione ai dettami di Cirene, dimostrandosi così un modello positivo (in contrapposizione a Orfeo) che osserva le disposizioni impartitegli, divenendo una sorta di 'eroe didascalico'. Ps. AlusT. Mir. Ausc. 838b definisce Aristeo yeropyttccina>. 1 5 8 FANTHAM 2002, p. 39. LE BONNIEC 1958, pp. 420-422 ha messo bene in luce che il sacrum anniversarium non corrisponde esattamente né con le Tesmoforie né con le celebrazioni del culto eleusino. 1 59 Liv. XXII 56, 4-5 (cfr. anche XXXIV 6, 1 5). Trattando della disastrosa sconfitta subita a Canne per mano di Annibale, l'autore afferma che il sacrum anniversarium Cereris venne inter­ rotto a causa delle perdite familiari che avevano colpito la maggior parte delle donne parte­ cipanti, le quali non avrebbero potuto officiare i propri riti mentre erano in lutto. Per evitare

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era considerata a tutti gli effetti un culto greco. 160 Essa durava più giorni e prevedeva l'astinenza dal cibo e la totale castità delle partecipanti; 161 stando a Servio, le donne dovevano prendere parte a una riproposizione rituale della ricerca di Proserpina: esse vagavano con fiaccole accese e chiamavano a gran voce il nome della dea, così come aveva fatto la madre. 162 Poco o nulla è dato sapere circa il rito che commemorava il momento del ricon­ giungimento di Cerere con la figlia Proserpina: 163 con tutta probabilità era comunque una festa che doveva concludersi in modo gioioso, celebrando la riunione delle due dee, ed era legata alla mietitura del raccolto. 164 In ogni caso, ciò che qui è necessario sottolineare è la stretta affinità che connetteva il racconto mitico narrato da Ovidio a proposito del 1 2 aprile e la riattualizzazione delle vicende riguardanti le due divinità. Pur essendo innegabile che il mito ovidiano fosse decisamente più pertinente al sacrum anniversarium Cereris piuttosto che ai ludi Ceriales, il poeta decise ugualmen­ te di perlo a seguito di questi ultimi. Essendo i Fasti un poema incompiuto che descrive le festività romane sino al mese di giugno (l'autore completò infatti soltanto i primi sei libri), non è possibile accertare che cosa Ovidio avesse in programma per il sacrum anniversarium, che veniva celebrato con buona probabilità in estate. 16 5 Tuttavia, ci sono sufficienti elementi per ipoche altre cerimonie fossero sospese, un senatus cunsultum stabilì che il periodo di cordoglio fosse limitato a trenta giorni. VAL. MAX. I l , 1 5 riporta la stessa notizia, ma enfatizza la pietas del popolo romano e in particolare delle donne che, seppur gravate dal dolore per la morte dei loro cari, non trascurarono di onorare Cerere. Cfr. NEPOTIAN. I 1 6 . FEST. s. v. Graeca sacra, p. 86 Lindsay sostiene che il periodo di lutto fu ridotto a cento giorni. 1 60 Ciò è confermato da FEST. s. v. Graeca sacra, p. 86 Lindsay: Graeca sacra festa Cereris ex

Graecia translata, quae ob inventionem Proserpinae matronae colebant. 1 6 1 La castità è confermata da Ov. Am. III 1 0 , 1 - 1 6, dove il poeta si lamenta per essere stato lasciato solo dalla sua amata, la quale aveva dovuto prendere parte alla festa in onore di Cerere. Secondo LE BoNNIEC 1 958, pp. 408-4 1 1 , il digiuno e la castità erano osservati per nove giorni; lo studioso ha ricavato il numero da un passo delle Metamorfosi (X 43 1 -436 ) in cui la moglie di Cinira si allontana da casa per celebrare la festa di Demetra, che durava appunto nove giorni. Le Bonniec ha ritenuto che Ovidio abbia preso come modello per la festa greca il suo 'corri­ spettivo' romano. 162 SERv. Aen. IV 609. 1 63 È probabile che le donne agitassero le fiaccole in segno di gioia: LE BoNNIEC 1 958, p. 4 1 5 . 1 64 Per una disamina più approfondita circa il sacrum anniversarium Cereris cfr. L E BoNNIEC 1958, pp. 400-4ZO; SPAETH 1 996, pp. 107- 1 1 3 (la studiosa tuttavia ha interpretato la festa come un rito finalizzato a propiziare la fertilità). 1 6 5 Mommsen (CIL I', p. 3Z4 ) ipotizzò che la festa venisse svolta nel mese di agosto (forse il I O ) ; anche WISSOWA 1 899, pp. 1 976- 1977 propose di collocarla in piena estate, differenziando­ la nettamente dai Cerialia. Egli tuttavia si astenne dal fornire informazioni più precise, a causa della mancanza di dati su cui formulare un'ipotesi. LE BONNIEC 1958, pp. 403-404, confutando

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tizzare che il poeta non avrebbe affatto menzionato tale festa all'interno della sua opera: infatti è stato notato che il sacrum anniversarium, ricorrenza che doveva essere celebrata annualmente (come dice il nome stesso), non è citato in nessuno dei calendari pervenuti. La ragione alla base dell' omis­ sione deve essere probabilmente ricondotta al fatto che esso era a tutti gli effetti una festa greca (come dimostrato chiaramente da Pesto) 166 e quindi estera, a differenza di altri culti importati a Roma (come ad esempio quello di Cibele), che erano stati romanizzati e inclusi nella tradizione civica. Il suo carattere straniero avrebbe quindi impedito ai Romani di inserirlo tra le celebrazioni ufficiali della città; oltre a ciò, non è da scartare l'ipotesi che esso fosse un rito per il quale non era stabilita una data fissa. 16 7 Se dun­ que si dà credito a tali ipotesi, è facilmente comprensibile il motivo per il quale Ovidio decise di narrare il più celebre racconto riguardante Cerere e Proserpina ad aprile, in concomitanza con la più antica festa della dea: non avendo la possibilità di descrivere il sacrum anniversarium Cereris nel suo poema, che doveva commemorare rigorosamente il calendario festivo romano, il poeta colse l'occasione di introdurre il mito greco alla prima e unica festività romana dedicata a Cerere. 168 LA RACCOLTA DEI FIORI DI PROSERPINA (FAST.

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Sempre all'interno del racconto relativo al rapimento di Proserpina e alla ricerca intrapresa dalla madre per ritrovare la figlia, Ovidio si sofferma lungamente sul momento della raccolta dei fiori da parte della giovane dea e delle sue compagne prima che il Signore degli Inferi porti a termine la sua impresa. Anche in questo caso, l'episodio era già stato narrato nell'Inno Omerico a Demetra, ma il poeta latino rielabora la tradizione precedente creando un paesaggio idilliaco e rigoglioso. Infatti nel poema pseudo-ome­ rico il catalogo floreale è ristretto a sei tipi di piante e una in particolare, il le teorie degli studiosi precedenti, ha invece suggerito di porre la celebrazione intorno alla metà di giugno. 166 FEST. s. v. Graeca sacra, p. 86 Lindsay. A conferma di ciò si ricorda che la sacerdotessa pubblica di Cerere doveva provenire dalla Campania (quindi dalla Magna Grecia), più pre· cisamente da Napoli o da Velia: cfr. C1c. Balb. 24, 5 5 ; VAL. MAX. l l , l . Cfr. SCHEID 1 9973, pp. 433-434. 1 67 Cfr. LE BoNNIEC 1 958, p. 403 . Se si rivelasse esatta l'ipotesi dello studioso di collocare la celebrazione della festa nel mese di giugno, si avrebbe la certezza del fatto che Ovidio abbia volutamente escluso il sacrum anniversarium dal suo calendario, perché nel sesto libro (dedicato appunto a giugno) non ne viene fatta alcuna menzione (cfr. PoRTE 1985, p. 1 65). 1 68 Dello stesso parere PoRTE 1 985, p. 1 65 .

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narciso, svolge il ruolo principale nella vicenda, focalizzando l'attenzione di Kore su di esso e favorendo così l'intervento di Ade. 169 Ovidio, che utilizza la versione siceliota del mito ponendo l' avvenimen­ to nei prati presso Enna, 1 70 enumera una lunga serie di fiori e piante, mol­ te delle quali assenti nei modelli a lui precedenti: 1 7 1 fra queste, compare anche il papavero, la cui sommità viene recisa con l'unghia da una delle compagne di Proserpina (illa papavereas subsecat ungue comas). 1 72 n poeta latino è il solo autore a inserire nell'anthologia il papaver, che deve essere inteso con tutta probabilità come papaver rhoeas oppure come setigerum, dal momento che la raccolta avviene in un prato selvatico e lussureggiante. 1 73 In ogni caso, è chiara la volontà di Ovidio di mettersi in competizione con i suoi modelli, richiamando alla mente un luogo di straordinaria bellezza, una sorta di meraviglioso locus amoenus in cui sono presenti tutti i colori della natura, degna località riservata allo svago delle dee. 174 La presenza del papavero non può prescindere dal contesto dell'intero racconto: esso infatti non ha valore proprio, ma condivide la sua funzione con il resto della vegetazione. n prato, già nella tradizione pseudo-omerica, ha lo scopo di affascinare le fanciulle e spingerle alla raccolta dei fiori, in modo tale che le giovani si distraggano e non si accorgano dell'imminente pericolo. 1 75 Non a caso la maggior parte dei poeti ha insistito sullo splendo­ re del luogo e della sua vegetazione: il papavero, con la sua corolla graziosa 1 69 HoM. Hymn. II 5-2 1 . Gli altri fiori menzionati sono: la rosa, il croco, il giglio, l'iris e la viola. Quest'ultima sostituisce il narciso quale fiore 'dell'inganno' nella tradizione siceliota: DIOD. S1c. V 3, 2. Già secondo NICAND. Georg. F 74, 60-61 Gow-Scholfield la viola era la pianta più odiata da Persefone, in quanto causa del suo rapimento. 1 70 Ov. Fast. IV 42 1 -422. 1 7 1 Cfr. Ov. Fast. IV 435-442. Le altre piante citate sono: il vimine, la calendula, la viola, il giacinto, l'amaranto, il timo, la cassia, il meliloto, la rosa, il croco e il giglio. Inoltre Ovidio afferma che erano presenti anche fiori senza nome (sunt et sine nomine Jlores). Lo stesso autore aveva già trattato in precedenza l'episodio nelle Metamorfosi, menzionando soltanto la viola e il giglio: Ov. Met. V 3 9 1 -392. 1 72 Ov. Fast. IV 43 8 . Da notare come il poeta non faccia qui menzione del sostantivo papa­ ver per connotare la pianta, ma faccia uso dell'aggettivo papavereus, termine per il quale non si hanno ulteriori riscontri nella letteratura latina. 1 73 La pianta non compare nemmeno in Claudiano, che pure dedica ampio spazio al cata­ logo di piante e fiori (cfr. CLAuo. De rapt. Pros. II 105- 1 3 3 ) . 1 74 Ciò è particolarmente evidente in Ov. Fast. IV 429-430: Tot.fuerant illic, quot habet na­ tura, colores, lpictaque dissimiliflore nitebat humus. Cfr. DELLE GRAZIE 2009, p. 78, nota 12 (meno convincente la teoria secondo cui il paesaggio descritto da Ovidio sarebbe un «paesaggio dell'anima»). 1 75 Dello stesso avviso MuRGATROYD 2005, p. 2 1 8 . Molto è stato scritto a proposito della simbologia del prato di Kore: mi permetto quindi di rimandare a un mio lavoro di prossima pubblicazione, che tratta diffusamente e in modo specifico la questione.

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ed elegante, si presta perfettamente a essere incluso tra le specie botaniche che andavano a comporre il prato. Di questo dà conferma anche Manilio, il quale sostiene che i nati sotto il segno della Vergine sono per natura por­ tati alla cura dei giardini e alla coltivazione di fiori, tra i quali il papavero «che imita le luci di Tiro» (Tyrias imitata papavera luces). 1 76 L'espressione utilizzata dal poeta degli Astronomica mira a mettere in risalto la bellezza del fiore in riferimento al suo colore porporino, qui paragonato alle luces Tyrias, cioè alla porpora che veniva prodotta nella città fenicia. Nei versi maniliani si potrebbe forse scorgere un'allusione a Proserpina e alla sua raccolta floreale: infatti i fiori menzionati dal poeta sono esattamente gli stessi che compaiono nella tradizione pseudo-omerica, con l'unica diffe­ renza del papavero in sostituzione del croco e la mancata presenza dell'iris. Il segno zodiacale della Vergine è in precedenza definito dallo stesso autore come spicifera Virgo Cereris, 1 77 espressione che suggerisce di interpretare la perifrasi in riferimento a Kore / Proserpina. A questo punto si sarebbe ten­ tati di collegare la cura dei giardini, precedentemente menzionata, alla dea e alla raccolta dei fiori cui era intenta prima di essere rapita; tuttavia, nel passo in questione Manilio identifica la costellazione con Erigone, 1 78 figlia di Icario, interpretazione questa che esclude qualsiasi rapporto con la figlia di Cerere. Il legame che intercorre tra Proserpina e i fiori non può comunque es­ sere messo in discussione: nel passo ovidiano è lei stessa a spronare le sue compagne alla raccolta floreale; 1 79 queste, una volta portato a termine il compito, vorrebbero fare dono alla dea dei risultati della loro ricerca, ma ciò è impedito dal rapimento della giovane. 180 L'anthologia di Proserpina e delle sue compagne può ragionevolmente essere letta come un simbolo erotico-seduttivo, che prefigura le nozze della dea con Ade: cogliere fiori era un'attività particolarmente adatta a quelle fanciulle che volevano mi­ gliorare il proprio aspetto fisico, poiché «è naturale per coloro che sono 1 76 MANIL. v 254-259. 1 77 MANIL. II 442. Manilio recuperò l'associazione della spiga con il segno della Vergi­ ne dalla tradizione greca, che più volte ricorda una nap9&voç maXIJT]q>6poç: ARAT. Phean. 97; DoROTH. p. 398 Pingree. Cfr. anche ERATOST. Catast. 9 Pàmias-Geus; NoNN. Dion. XLVII 248; HEPHAEST. p. 286 Pingree; LYD. De ost. 9; CAMATER. Introd. in astron. 63 Weigl. 1 78 MANIL. V 25 1 . Gli avvenimenri che riguardano Erigone e la sua successiva trasforma­ zione nel segno della Vergine dovevano essere già noti a Eratostene, come conferma ScHOL. Horn. n. XXII 29 Heyne. Circa la storia della fanciulla cfr. HYGIN. Fab. 1 30; NONN. Dion. XLVII 1 48-255 (cfr. anche APOLLOD. Bibl. III 14, 7, dove tuttavia non si fa menzione del catasterismo). 1 79 Ov. Fast. IV 43 1 -432: «comites, accedite» dixit [sci!. Proserpina] «et mecum plenosjl.ore re­

ferte sinus». 1 8o Ov. Fast . IV 45 1 -454.

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4 . OVI D I O belli ornarsi con le bellezze della natura». 181 Nella versione ovidiana, il pa­ pavero rientra dunque tra le specie particolarmente apprezzate dalle fan­ ciulle. Ben più difficile stabilire se dietro alla presenza della pianta vi sia una consapevole allusione al destino infausto che avrebbe colpito la dea di lì a poco. Secondo Paul Murgatroyd, la menzione delle varie specie floreali sot­ tintende un preciso significato collegato o all'eros (la rosa, legata a Venere) o alla morte. Egli infatti ha sottolineato come la viola fosse impiegata per ornare le tombe, così come il croco e il giglio; il giacinto invece era legato al mito metamorfico dell'omonimo fanciullo ucciso per errore da Apol­ lo. 182 A quanto dichiarato dallo studioso, si potrebbe aggiungere che anche al croco e al papavero stesso era associato un racconto di metamorfosi, che si concludeva con la tragica morte del protagonista e la conseguen­ te trasformazione in fiore. 1 83 In ogni caso, Murgatroyd ha espresso pochi dubbi circa la simbologia del papaver nel contesto del prato di Proserpina: i papaveri infatti «were supposed to cause death». 1 84 Benché l'affermazione sia piuttosto categorica, egli non ha portato alcuna prova a sostegno di tale interpretazione, dando per scontata un'associazione tra la pianta e la morte che forse non era così immediata nel mondo romano, soprattutto ai tempi di Ovidio. 1 85 Inoltre, non vi sono riferimenti che riconducano gli altri elementi vegetali citati nell'episodio (cassia, meliloto, timo, calendula, vimine) a una simbologia funebre: è dunque ammissibile l'eventualità che Ovidio sia ricorso soltanto in parte a fiori 'funerari' per alludere all'infelice sorte della dea e ne abbia invece menzionati altri senza un preciso motivo? Il fatto appare molto improbabile e, per certi aspetti, inverosimile: la lettu­ ra dell'intero passo e la simbologia floreale proposta dallo studioso devono essere al momento considerate nulla più di una semplice congettura. Più interessante invece concentrare l'attenzione sul gesto con il quale la compagna di Proserpina stacca le papavereas comas. La fanciulla infatti ta­ glia con l'unghia la sommità della pianta, che nel caso specifico deve essere intesa come la corolla del fiore e non certo la capsula. 186 L'azione ha illustri 1 8 1 CLEARC. F 25 Wehrli. Maggiori dettagli nel mio lavoro di prossima pubblicazione. 1 82 MuRGATROYD 2005 , p. 79. 1 83 Per quanta riguarda il croco cfr. Ov. Met. IV 283; NONN. Dion. XII 85-86. Sul papavero cfr. SERV. Bue. II 47. 1 84 MuRGATROYD 2005 , p. 79. 1 8 5 Il legame tra il papavero e la sfera funebre è testimoniato a Roma da alcuni sarcofagi (II-III d.C.) in cui il defunto tiene nelle mani alcune capsule, come si vedrà più oltre: cfr. infra, pp. 286-287. 1 86 Ov. Fast. IV 43 8 . L'identificazione è confermata dall'attività cui sono intente le giova­ ni, per l'appunto la raccolta di fiori.

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precedenti: richiama alla mente un passo di Catullo 1 87 e soprattutto quello di Properzio, dove Ila, giovanetto amato da Eracle, è descritto mentre stac­ ca con l'unghia candidi gigli e purpurei papaveri (l 2 0 , 3 7-40): 188 et circum irrigu.o surgebant lilia prato candida purpureis mixta papaveribus; quae modo decerpens tenero pueriliter ungu.i proposito jlorem praetulit officio . . . e intorno su un irriguo prato spuntavano candidi gigli misti a purpurei papaveri; spiccandoli puerilmente con la tenera unghia antepose il fiore all'incarico che si era proposto . . . (trad. di L. Canali, con leggere modifiche)

Difficile stabilire con certezza se esso sia stato un modello per la rap­ presentazione ovidiana, ma di certo non si può escluderne la possibilità. 1 89 Nei due episodi si riscontrano comunque molte similitudini: così come le fanciulle del corteo di Proserpina vengono attratte dalle bellezze natura­ li, anche il giovane ragazzo indugia in attività giocose che distolgono la sua attenzione dal compito affidatogli, cioè quello di raccogliere l'acqua, e dagli eventuali pericoli in agguato. 1 90 La vegetazione si configura quindi come un elemento che non ha soltanto uno scopo ornamentale, legato alla bellezza dei protagonisti, ma anche un preciso ruolo nello svolgersi dei fatti. Nel caso specifico di Properzio, gli studiosi hanno evidenziato la differenza che intercorre nella descrizione paesaggistica del poeta latino rispetto a quella presente nel XIII Idillio di Teocrito, dedicato anch'esso alla sfortunata storia di Ila. 1 9 1 Se il cantore siceliota tratteggia un paesaggio per 1 8 7 CATULL. LXII 43 non specifica quali fiori vengono recisi, ma usa l'immagine come metafora per la perdita della verginità. 1 88 Il mito di Ila rapito dalle Ninfe viene utilizzato da Properzio come exemplum e admo­ nitio nei confronti del suo amico Cornelio Gallo (sull'identità del personaggio, ancora oggi dibattuta, cfr. CAIRNs 2004, pp. 76-78), esortato a non separarsi mai dal suo compagno, pena la perdita dell'innamorato: cfr. GAZICH 1 995, pp. 292-296; FEDELI 1 980, p. 455. L'utilizz o del mito di Ila come exemplum era già presente in THEOCR. XIII 1 -9. DRACONT. Hylas 1 3 5 afferma che le Ninfe avrebbero coronato Ila con i fiori del giglio, della viola e della rosa. 1 89 Intersezioni di varia natura tra le Elegie di Properzio e i Fasti di Ovidio sono state ana­ lizzate da SANTINI 2004, in particolare pp. 1 63- 1 72; tuttavia lo studioso non ha mai riscontrato legami tra l'episodio di Ila e quello ovidiano di Proserpina. 1 90 PROP. I 20, 39-42. Cfr. in particolare DIMUNDO 1 994, p. 1 75 . 1 9 1 LA PENNA 1 95 1 , p. 1 3 8 h a considerato il componimento del poeta latino come un'ele­ gia alessandrina. Successivamente LA PENNA 1 977b, p. 198 ha ribadito l'influenza della poesia alessandrina e di poeti quali Callimaco, Teocrito e derivati (Apollodoro ). Per una discussio-

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4 . 0VIDIO certi aspetti più selvatico, privo di veri e propri elementi decorativi, 1 92 Pro­ perzio delinea un luogo particolarmente attraente e idillic o, dove i giochi coloristici e il rigoglio naturale sono le caratteristiche principali di quello che può considerarsi a tutti gli effetti un locus amoenus. 1 93 Particolarmente interessante si rivela l'avverbio pueriliter con cui il poe­ ta elegiaco latino connota il passatempo cui si stava dedicando lo sfortuna­ to ragazzo. 1 94 Lo staccare i calici dei fiori con l'unghia è dunque un'attività riservata ai giovani e, come si è già accennato poc'anzi, in particolar modo a coloro che sono belli. La corrispondenza tra la bellezza del paesaggio e quella dei protagonisti delle vicende sembra essere un topos ricorrente, soprattutto nella poesia amorosa; questa relazione ha lo scopo di esaltare l'avvenenza dei fanciulli, associando loro le più belle specie vegetali che la natura può offrire. 1 95 Più difficile stabilire se nel passo properziano si pos­ sa nascondere un'implicita allusione all'imminente destino di Ila, come ha suggerito Hélène Casanova-Robin. A giudizio della studiosa, la mescolan­ za di gigli e papaveri (sottolineata dal termine mixta) prefigura il rapimen­ to del giovane a opera delle Ninfe: 1 96 tuttavia, a mio avviso non vi sono sufficienti elementi nel testo per affermare con sicurezza tale volontà da ne sui modelli e sull e fonti properziane cfr. anche LA PENNA 1 95 1 , pp. 139-143 ; FEDELI 1 980, pp. 454-458 ; PINOTII 2004, p. 9 1 . Per Partenio di Nicea come fonte di Properzio cfr. CAIRNs 2004, pp. 86-96. 1 92 Le piante elencate da THEOCR. XIII 40-42 non sono certo considerate tra le più belle che la natura possa offrire; esse sono infatti il giunco (9,Uov), la celidonia (XEÀtMvtov), l'adianto (àoiavroç), l'apio (crtì..tvov) e l'agrostide (liyproanç). Sul passo teocriteo cfr. anche MuRGATROYD 1 992, pp. 89-90. MONTELEONE 1 979, pp. 3 9-40 ha escluso la possibilità che Properzio abbia rica­ vato la sua descrizione del luogo da Teocrito e ha proposto di considerare VERG. Bue. II 45-48 come suo modello. Di parere contrario MuRGATROYD 1 992, p. 9 1 , che ha sostenuto (insieme ad altri studiosi: cfr. nota 30) la dipendenza di Properzio da Teocrito, sebbene il poeta latino abbia inserito elementi indipendenti dalla composizione del suo predecessore. 1 93 Cfr. il contrasto cromatico reso dal biancore dei gigli, al quale si contrappone il rosso dei papaveri: PRO P I 20, 3 7-3 8 lilia prato candida purpureis mixta papaveriùws. CAsANOVA-ROBIN 2010, p. 7 1 7 ha collegato i colori dei fiori alle tinte tipiche degli amanti. Il rigoglio miracolo­ so della natura è invece sottolineato dal poeta quando menziona alberi che producono frutti rugiadosi (roscida poma) senza l'intervento umano, quasi a voler indicare che il luogo godesse ancora di una sorta di età dell'oro: PRO P. I 20, 35-36. Cfr. MuRGATROYD 1 992, p. 92; PINOTTI 2004, p. 9 1 ; CASANOVA-ROBIN 2010, pp. 7 1 6-7 1 7. BoucHER 1 965, p. 327 ha considerato la descrizione properziana come rappresentazione di un giardino romano e la presenza di gigli e papaveri come rimando alle aiuole delle ville più sontuose. Suggestiva l'opinione di DI STEFANO 1 9921 993 , pp. 244-245 , che ha ipotizzato una possibile influenza dell'iconografia (in particolare di un affresco pompeiano raffigurante il ratto: 0AKLEY 1 990, n. 7) per la rappresentazione del paesaggio. 1 94 PRO P. I 20, 39. 1 95 Cfr. CAsANOVA-ROBIN 2010, p. 718, che ha ravvisato nei fiori un chiaro simbolo erotico. .

1 96 CASANOVA-ROBIN 20 1 0 , p. 7 1 8 .

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parte del poeta. 197 Il papavero, nella sua varietà di rhoeas o setigerum, doveva comunque essere un fiore particolarmente apprezzato se due autori quali Properzio e Ovidio decisero di utilizzarlo nei loro componimenti. 1 98 L'occupazione alla quale erano intenti Ila e la compagna di Proserpina deve essere considerata una sorta di intrattenimento cui i ragazzi si abban­ donavano nei loro momenti di svago. A questo proposito, si è a conoscen­ za di un particolare 'gioco' in cui era previsto l'impiego del papavero: ne dà testimonianza Teocrito, quando descrive un pastore innamorato della Ninfa Amarilli, la quale però non ricambia il suo amore. Il poeta presenta lo sfortunato amante intento a verificare le sue possibilità amorose: egli sa ormai che non ci sono più speranze, perché il papavero non è scoppiato quando è stato schiacciato, ma anzi si è afflosciato sul suo braccio. 1 99 Il procedimento consisteva nel mettere sulla mano o sul braccio il petalo o la foglia del papavero, piegati per formare una piccola sacca: se questi, una volta colpiti, si laceravano ed emettevano uno schiocco, l'amore era ricam­ biato; se, al contrario, non veniva emesso alcun rumore, era segno che non si era corrisposti. 20° Con le dovute differenze, si potrebbe quasi affermare che il passatempo menzionato sia una sorta di antenato del più moderno 'm'ama, non m'ama' , per il quale si utilizzano comunemente i petali della margherita. Il poeta siceliota utilizza il termine TllÀtq>\Àov, che secondo Polluce e lo scollaste di Teocrito può indicare tanto la procedura appena descritta quan­ to la foglia o il petalo della pianta; 201 tuttavia è testimoniato anche l'impie­ go della parola 7tÀ.aTayrula, che designava il passatempo, e 7tÀaTayrovwv, che indicava le parti del vegetale.202 Le fonti generalmente concordano nell'i19 7 MuRGATROYD 1 992, p. 93 ha considerato ancora una volta la presenza delle specie ve· getali un riferimento alla morte del fanciullo. Egli ha sostenuto che i gigli «were a symbol of transience>> e i papaveri «were supposed to cause death as well as sleep». Ha concluso afferman· do che «fruit, lilies and poppies were offerings to the dead», portando come prova l'offerta di papaveri a Orfeo in VERG. Georg. IV 545. Le convinzioni dello studioso hanno tuttavia deboli basi e non sembrano giustificate dal contesto del racconto properziano. Non vi è nulla infatti che possa sostenere l'ipotesi che Properzio abbia qui utilizzato gli elementi naturali per deli­ neare «a malignant ambience of eros and thanatos». 1 98 Pochi dubbi sul fatto che anche la specie menzionata da Properzio sia la varietà spon· tanea della pianta. 199 THEOCR. III 28·30. 2oo Gow 1 950, p. 70. Cfr. anche A.P. V 296, dove il petalo di papavero è applicato a una coppa. 201 PoLLUX IX 1 27; ScHOL. Theocr. III 29. 202 Sum. s. v. lrÀ.araywvwv; HESYCH. s. v. �rÀ.araywvzov Hansen. LEMBACH 1 970, p. 1 63 ha con­ cluso che 1tÀ.aTaY11 11a e TTJÀ.Écpù..ov erano due diversi nomi che indicavano la medesima cosa. Cfr. anche le considerazioni di Gow 1 950, p. 7 1 .

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dentificare la specie con il papavero, ma alcuni sostengono che possa trat­ tarsi anche dell'anemone o di una non meglio specificata pianta chiamata essa stessa TTJAZcptÀOv. 203 In realtà, questo passatempo 'giocoso' , che veniva attuato in mancanza della persona amata, è caratterizzato da una sfuma­ tura oracolare che sembra porlo tra le pratiche della cleromanzia privata, assegnando quindi al procedimento un valore intrinseco nelle questioni amorose. 204 La scelta del papavero come strumento di una sorta di 'oracolo d'amore' testimonia un legame tra la pianta e la sfera erotica: oltre a mo­ tivi strettamente 'utilitaristici' (la possibilità di formare un palloncino con i petali o con le foglie), alla base di tale scelta vi potrebbero essere anche ragioni di tipo estetico, non ultimo il colore rosso del papaver rhoeas che ben si sposa con tematiche amorose.205 Nox E SoMNUS (FAsT. IV 66 1 E MET. XI 605-607) Trattando della festa dei Fordicidia, celebrata il 1 5 aprile in onore di Tellus, Ovidio inserisce il mito eziologico alla base del sacrificio: durante il regno di Numa Pompilio, Roma fu colpita da una grave carestia, mentre il bestiame era falcidiato da parti immaturi che spesso causavano la morte della madre. Il re decise quindi di recarsi nel bosco sacro al dio Fauno e chiedere consiglio a quest'ultimo sul da farsi. 206 Una volta giunto sul posto, 203 Per il papavero: ScHOL. Theocr. III 29a e 29e; Sum. s.v. �rÀ.arayciJVIov; HESYCH. s.v. �rÀ.arayciJvwv Hansen. Cfr. NICAND. Georg. F 74 Gow-Scholfield, dove il termine :n:A.a-rayc.Ovta indica i petali del papavero, così come in THEOCR. XI 57. Per l'anemone e il Tll À.ÉcplÀ.ov: ScHOL. Theocr. III 29b ("tTlÀ.ÉcplÀ.ov); Sum. s. v. 1rÀ.arayciJvwv; HESYCH. s. v. 1rÀ.arayciJvzov Hansen (ane­ mone) . 204 Il termine Tll À.ÉcplÀ.ov significa letteralmente «amore lontano», probabilmente da col­ legarsi alla pratica dìvinatoria amorosa. LEMBACH 1 970, p. 1 63 ha considerato la pratica come un vero e proprio Liebesorakel. In A.P. V 296, il poeta utilizza il procedìmento per accertarsi dì essere amato: per fare ciò si serve dì una coppa (Klcrm'>�tov) definita &ta utilizzato dall'oracolo indicava tanto gli uomini quanto le luci.2 Dopo aver udito tale spiegazione, interviene Albino Cecina, un altro dei convitati, il quale riscontra che anche il rito dei Compitalia aveva subito un mutamento analogo. Egli narra che la festa, celebrata in onore dei Lari e della loro madre Mania, era stata reintrodotta da Tarquinia il Superbo su ordine di un oracolo di Apollo delfico, che aveva stabilito di «offrire teste in favore di teste» (quo praeceptum est ut pro capitibus capitibus supplicaretur). Il re osservò quanto gli era stato prescritto e stabilì che, per la salvezza della famiglia (pro familiarium sospitate), fossero immolati fanciulli per placare Mania. Dopo la caduta della monarchia e la cacciata di Tarquinia, Giunio Bruto interpretò il responso di Apollo in maniera differente e decise di mo­ dificare il sacrificio (Sat. I 7, 34-35): Nam capitibus alii et papaveris supplicaTi iussit ut responso Apollinis satis fieret de nomine capitum remoto scilicet scelere infaustae sacrificationis . . . l SABBATUCCI 1 9992, pp. 424-425. 2 MACROB. Sat. I 7, 28-32.

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Infatti ordinò di rivolgere suppliche con teste di aglio e di papavero per soddi­ sfare il responso di Apollo circa le teste, naturalmente senza macchiarsi di sacrifici empi . . .

Grazie all'intuizione di Bruto, il rito venne mutato e le teste dell'aglio e del papavero sostituirono la scellerata pratica del sacrificio umano. Sin qui dunque il racconto eziologico che stava alla base dei Compitalia; tuttavia, c'è da chiedersi in che cosa consistesse la cerimonia vera e pro­ pria, attuata annualmente dagli abitanti di Roma. Per rispondere a questa domanda è necessario analizzare, almeno nelle coordinate fondamentali, le informazioni relative ai Compitalia. Malauguratamente, sono giunte scar­ se notizie circa le pratiche rituali della festa: 3 di certo era conceptiva, cioè non cadeva in un giorno fisso dell'anno, ma la data (generalmente tra gli ultimi giorni di dicembre e i primi di gennaio) era proclamata annualmen­ te dal pretore.4 L'origine del culto è fatta risalire dalla tradizione a Servio Tullio il quale, secondo la leggenda, era nato da un rapporto prodigioso che vede protagonista Ocrisia, una serva di Tanaquil (moglie di Tarquinia Prisco), e il dio Vulcano o il Lar Familiaris. 5 La discendenza di Servio Tullio dal Lare domestico è particolarmente importante poiché, come sottolinea Plinio, fu per questo motivo che il futuro re istituì la festa dei Compitalia, celebrata in onore dei Lari. 6 Varrone offre maggiori dettagli in merito ai Lari venerati durante tale ricorrenza e specifica che essi erano chiamati Lares Viales, mentre Svetonio testimonia l'esistenza di Lares Compitales. 7 Il rito era celebrato nei compita (da cui il nome della festa), cioè gli incroci delle strade che delimitavano i quartieri dell'Urbe (ma anche fuori città), 3 Il commediografo Lucio Afranio (II-I secolo a.C.) compose una commedia togata inti­ tolata Compitalia, oggi perduta: AFRAN. SRP II', FF 1-5, pp. 1 68- 1 69 Ribbeck (cfr. MACROB. Sat. VI l , 4). Anche il mimo Laberio (I secolo a.C.) compose un'opera dal medesimo titolo: LABER. FF 1 -4, pp. 46-47 Bonaria (cfr. AuL. GELL. XVI 9, 4). 4 AuL. GELL. X 24, 3: Dienoni populo Romano Quiritibus Compitalia erunt; quando concepta fuerint, nefas. Cfr. MACROB. Sat. I 4, 27. Per la data di ricorrenza non fissa cfr. VARRo De !ing. Lat. VI 25; MACROB. Sat. I 16, 6; Au soN. Eclog. XXIII (Defer. Rom.) 1 7- 1 8 Prete. Solo i Fasti Silvii (CIL I2, p. 257 DEGRASSI 1 963, p. 264) riportano una data precisa per i Compitalia, celebrati dal 3 al 5 gennaio. I Fasti Furii Filocali (CIL I', p. 256 DsGRASSI 1 963, p. 239) testimoniano giochi dal 3 al 5 gennaio: essi sono da considerarsi ragionevolmente come ludi Compitalicii. Cfr. RAMOS CRESPO 1988, p. 2 1 1 . s La vicenda è narrata per esteso da DION. H AL . Ant. Rom. IV 2 , 1-3, il quale però sottolinea l'inverosirniglianza della storia. Cfr. P LUT. Fort. Rom. 323A-C. PuN. Nat. Hist. XXXVI 204 non fa menzione di Vulcano e ritiene Servio Tullio figlio del Lar Familiaris. 6 D i oN. HAL. Ant. Rom. IV 14, 3; PuN. Nat. Hist. XXXVI 204. 7 VARRO De !ing. Lat. VI 25; Svet. Aug. 3 1 . L'esistenza dei Lari Compitali è confermata an­ che da alcune iscrizioni: ILS nn. 3634-3635; 9252. =

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dove sorgevano piccoli santuari in cui venivano portate le offerte. 8 Dionigi di Alicarnasso utilizza il termine 1tsA.av6ç per qualificare i doni, sostantivo che qui indica una sorta di focaccia (composta da farina, miele e olio) da bruciare sull'altare.9 La festa doveva possedere un carattere gioioso ed era con buona probabilità finalizzata a favorire la pace, la solidarietà e i buoni rapporti tra i vicini. 10 Secondo lo storico greco, i Romani celebravano i riti «nella maniera più solenne e sontuosa» ( crs�VJÌV tv 'toiç 1tavu Kaì 1tOÀ.U'tEÀ:fl) e gli schiavi vi giocavano un ruolo di fondamentale importanza: infatti sol­ tanto loro potevano assistere alle cerimonie sacre. 1 1 Dionigi, che considera non meglio specificati 'flpcosç 7tpovoomot (letteralmente «gli eroi che stanno davanti alle porte di casa») i destinatari della festa, spiega la presenza degli schiavi sostenendo che agli eroi era particolarmente gradito il loro servi­ zio. 12 I Romani potevano quindi propiziare la benevolenza degli 'flpcosç tra­ mite i propri servi, cui concedevano ampia libertà eliminando ogni segno s 010N. HAL. Ant. Rom. IV 14, 4. SCHOL. Pers. IV 28: Compita sunt loca in quadriviis quasi turres ubi sacri.ficia finita agricultura rustici celebrant: merito pertusa quia per omnes quattuor par· tes pateant. Sulla possibile ricostruzione dei santuari dei Lares Compitales cfr. HoLLAND 1 937, pp. 433-434; RAMos CRESPO 1 988, p. 210. Meglio conosciuti i larari compitali di Pompei: cfr. GIACOBELLO 2008, pp. 1 06-1 10; VAN ANDRINGA 2000, pp. 68-70. 9 DioN. HAL. Ant. Rom. IV 14, 3. Cfr. CHANTRAINE 1968, pp. 872-873 (in origine il termine xd.av6ç indicava un'offerta agli dei ctoni e ai morti). RAMos CRESPO 1 988, p. 2 1 0 ha inteso il termine greco come «tortas y pasteles». Cfr. WissowA 1 9 1 22, p. 1 67 («Opferkuchen»); FRAZER 1 929, p. 455 («cakes»); 0UMÉZIL 1 96 1 , p. 264 («galettes»); MASTROCINQUE 1 988, p. 60 («focacce col miele»); FRASCHETTI 1 990, p. 205 («focacce»). L'impiego di focacce o dolcetti è effettivamente attestato da una serie di mosaici (tutti di epoca tarda, intorno alla metà del IV secolo d.C.) che sono stati interpretati come raffigurazioni del rito compitalico: cfr. MESLIN 1 970, pp. 48-50. Al contrario, su alcune pitture parietali pompeiane è presente l'offerta di una libagione: cfr. VAN ANDRINGA 2000, p. 78. Io FRASCHETTI 1 990, p. 209; WissowA 1 9 1 22, p. 1 67. PERS. IV 26-32 e ScHOL. Pers. IV 28 testimoniano che durante i Compitalia i proprietari terrieri appendevano il giogo ai crocicchi: ciò segnava la fine dei lavori agricoli. Cfr. MASTROCINQUE 1 988, pp. 1 53 - 1 54. Poco convincente la lettura di HoLLAND 1 937, p. 43 1 che, in base a un passo di VITRuv. X 8, 19, ha interpretato il termine iugum come trave trasversale o come qualunque costruzione formata da due pali e

un architrave. Non è da escludere che la festa fosse celebrata in maniera leggermente diversa a seconda del luogo: in sostanza i Compitalia urbani potevano differire da quelli rurali. I l DION. HAL. Ant. Rom. IV 14, 3-4. Cfr. WARDLE 20 1 1 , p. 285. La madre di Servio Tullio, Ocrisia, era stata in precedenza schiava di Tanaquil, la quale in seguito la affrancò e la accolse nella propria casa; fu proprio nel periodo di cattività che ella partorì il futuro re di Roma, il quale mantenne il suo legame con la condizione servile nel suo stesso nome: Servio per l' ap­ punto. Cfr. DION. HAL. Ant. Rom. IV l, 2-3 . Già FRAZER 1 929, p. 454 ha collegato il ruolo svolto dagli schiavi nella celebrazione alla discendenza di Servio Tullio. Liv. I 39, 5-6 si sente in dovere di screditare la teoria che voleva Servio Tullio figlio di una schiava e schiavo lui stesso: ciò testi­ monia che tale leggenda era comune all a tradizione romana. 1z 0ION. HAL. Ant. Rom. IV 14, 3. In base a un passo di PoLLUX II 53, HoLLAND 1 937, p. 432 ha sostenuto che l'espressione di Dionigi sia da interpretarsi con «gli eroi che stanno nei pressi dei cancelli che demarcano i confini». -

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della loro condizione, cosicché essi si sentissero un poco alleviati dal loro triste destino e fossero riconoscenti verso i propri padroni. 13 I Compitalia quindi, oltre a favorire i rapporti di buon vicinato, avevano anche lo scopo di mitigare l'eventuale ostilità che poteva verificarsi tra liberi e schiavi. 14 Tuttavia, durante il corso dei secoli, i Compitalia non riuscirono sempre a conservare il loro intento pacificatore: accanto al rito vero e proprio, si celebravano anche i ludi Compitalicii che, non essendo regolamentari, co­ stituivano un contesto potenzialmente pericoloso: essi infatti prevedevano l'organizzazione di collegia, talvolta manovrati da esponenti politici romani per sobillare la plebe e propagandare il loro messaggio politico. 15 Questi giochi erano considerati antichissimi perché risalenti già alle disposizioni date da Servio Tullio; non a caso Svetonio li colloca tra le antiquae caerimo­ niae cadute in disuso e ripristinate da Augusto. 16 La testimonianza del bio­ grafo però rivela che, almeno a partire da un certo periodo, la consuetudi­ ne di celebrare i ludi era venuta meno: in realtà ciò accadde probabilmente per due volte, in due momenti distinti. Il primo risale all'epoca regia, quan­ do Tarquinio il Superbo fece abrogare una serie di leggi emanate da Ser­ vio Tullio, modificò la tassazione e proibì le assemblee (tanto in campagna quanto in città) in occasione delle feste pubbliche, per paura che durante le riunioni il popolo tramasse per spodestarlo. 1 7 Dionigi di Alicarnasso, che racconta tali eventi, non specifica il nome delle celebrazioni soppresse, ma fra queste rientravano con buona probabilità anche i ludi Compitalicii, dal momento che Tarquinio, dopo il responso di Apollo, reintrodusse i giochi e modificò il sacrificio dei Compitalia. 18 Il secondo caso è meglio conosciuto e ampiamente studiato dagli storici: intorno al 64 a.C. un senatoconsulto abolì quei collegi quae adversus rem publicam videbantur esse e tra questi vi erano senza dubbio anche quelli Compitalicii. 19 Ciò non significa che la festa 13 14

OION. HAL. Ant. Rom. IV 14, 4. Cfr. FRASCHETTI 1990, p. 2 1 0. CATo MAioR De agr. XII 5, 3 sostiene che solo durante que­ sta festa i servi potevano compiere sacrifici senza il permesso del loro padrone; essi ricevevano anche una razione più abbondante di vino (cfr. LXVI 57). 1 5 Cfr. FRASCHETTI 1 990, p. 2 1 0 : « . . .i Compitalia erano divenuti a Roma giornate sediziose e gonfie di eversione, occasioni di tumulto per i ceti subalterni: ''l'infima plebs" , i libertini e gli schiavi». Cfr. MASTROCINQUE 1 988, p. 6 1 . Per maggiori dettagli sui collegi compitatici cfr. MASTROCINQUE 1 988, pp. 6 1 -63 e FLAMBARD 1 98 1 , pp. 1 56- 1 58. 1 6 Per l'origine dei giochi cfr. PuN. Nat. Hist. XXXVI 204 (Ob id Compitalia ludos Larilnts primum instituisse); MACROB. Sat I 7, 35. Cfr. SVET. Aug. 3 1 . 1 7 DION. HAL. Ant. Rom. IV 43 , 1 -2. 1 8 Cfr. MACROB. Sa t. I 7, 34-35 . Cfr. FRASCHETTI 1 990, p. 2 1 5 . 1 9 AscoN. Pis. p. 7 Clark. Per l a relazione tra i Compitalia, l a politica degli ultimi decenni della Repubblica e la successiva riforma augustea cfr. FRASCHETTI 1 990, pp. 2 1 0-265, al quale si .

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fosse stata completamente annullata: infatti il provvedimento riguardava soltanto i giochi e l'organizzazione dei collegia, non il sacrificio da com­ piersi presso i crocicchi.20 Un importante passo di Svetonio testimonia che, tra le riforme religiose promosse da Augusto, vi fu il ripristino di alcune pratiche fino a quel momento trascurate: tra queste il biografo fa specifica menzione dei ludi Compitalicii. 21 L'imperatore diede avvio a una riforma dell'antico culto dei Compitalia, cui venivano associati gli antenati della fa­ miglia imperiale, i Lares Augusti . 22 Lo scopo è abbastanza chiaro: la riorga­ nizzazione del culto mirava a prevenire possibili tumulti e focolai di rivolta, instaurando pratiche riservate alla venerazione della dinastia regnante e in particolare del suo capostipite, ormai unico detentore del potere a Roma P Le vicende dei Compitalia sono dunque fortemente connesse con la po­ litica interna romana; ma in che cosa consisteva il sacrificio vero e proprio e quali tipi di giochi erano offerti al pubblico? Purtroppo è difficile dare una risposta precisa a queste domande, a causa della scarsità di materiale a disposizione. Tuttavia, grazie alla scoperta avvenuta intorno all'inizio del secolo scorso di una serie di pitture parietali a Delo (datate tra la fine del II e l'inizio del I secolo a.C.) raffiguranti la celebrazione dei riti compitalici,24 è possibile avanzare qualche ipotesi in merito. In alcuni di questi affreschi è rappresentato con buona probabilità il momento precedente il sacrificio: tre o cinque personaggi (di cui almeno quattro in toga) sono riuniti accan­ to a un altare decorato con ghirlande . Uno dei togati è a capo scoperto e rimanda per maggiori dettagli e per la discussione dell'ampia bibliografia precedente. Per le ragioni che portarono all'abolizione dei collegi cfr. AscoN. Mil. p. 45 Clark; Corn. p. 65 Clark; Dro CAss. XXXVI 4Z, Z-3 (per gli avvenimenti del 67 a.C.). Per la cosiddetta 'prima congiura' di Catilina, avvenuta tra il 66 e il 65 a.C. durante il periodo dei Compitalia (da non confondersi con la più celebre congiura del 63 a.C.), cfr. Crc. Cat. I 1 5 ; SALL. Cat. 1 8, 5 . 2o AscoN. Pis. p. 7 Clark: qui ludi sublatis collegiis discussi sunt. Per i successivi tentativi di ripristinare i ludi cfr. Crc. Pis. 8 (nel 6 1 a.C.); AscoN. Pis. p. 7 Clark (nel 58 a.C., con protagonista Publio Clodio: cfr. LEwrs Z006, pp. Z0 1 -ZOZ). Nel secondo caso il ripristino andò a buon fine, ma ebbe vita breve. Non si conosce il destino dei Compitalia dopo gli avvenimenti del 58 a.C. , m a è assai probabile che la festa fosse comunque celebrata annualmente, come dimostrano i riferimenti al rito presenti in Varrone e in Dionigi di Alicarnasso: cfr. FRASCHETII 1 990, p. Z50; DELATIE 1 937, pp. 1 1 2· 1 14. 2 r SVET. Aug. 3 1 . L'autore non precisa la data in cui ciò avvenne, forse nel 1 Z o nel 7 a.C.: cfr. FRASCHETII 1 990, p. Z6 1 ; MASTROCINQUE 1988, pp. 1 64- 1 65 . 2 2 FRASCHETII 1 990, p . Z63 . L a riforma promossa d a Augusto s i configura come un'asso· ciazione cultuale tra i Lares Compitales e i Lares Augusti, non certo come un rimpiazzo dei primi in favore dei secondi, come ha inteso PALMER 1 974, p. 1 1 6. La ben nota attenzione del principe alla tradizione e al mos maiorum non gli avrebbe mai permesso di modificare in maniera così drastica un culto la cui antichità risaliva agli albori della storia di Roma. 2 3 Maggiori dettagli in FRASCHETII 1 990, pp. Z63-Z65. Cfr. WARDLE ZOl l , p. Z86. 24 Cfr. HASENOHR Z003 , p. 168. -

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sta suonando il doppio flauto, mentre gli altri due o tre sono ritratti . capite velato e reggono una phiale per la libagione o recitano una preghiera. Ai piedi dell'altare o, in un altro caso, dietro gli uomini in toga, sono visibili uno o più servi che stanno conducendo un maiale, chiaramente la vittima sacrificale.25 Anche per quanto riguarda i ludi Compitalicii, le pitture delle offrono alcune probabili riproduzioni: essi erano di carattere agonistico e in particolare si configuravano come gare di lotta (cui forse se ne affian­ cavano alcune di carattere burlesco) e probabilmente come gare ippiche; accanto agli agoni, è possibile che venissero allestiti spettacoli teatrali. 26 Questo dunque sarebbe il fulcro delle pratiche celebrate durante i Compi­ talia a Delo; tuttavia bisogna tenere conto che, come ha ben sottolineato Claire Hasenohr, la festa avrebbe potuto subire alcune modifiche dovute al contatto con le tradizioni locali e dunque gli affreschi non possono essere considerati rappresentazioni esatte del rito officiato a Roma,27 ma sarebbe quantomeno curioso che le scene non rispecchiassero almeno in parte le pratiche dell'Urbe. Di certo i documenti iconografici mostrano una parte del rito così come veniva celebrato prima della riforma augustea, quindi sostanzialmente nella loro forma originaria. Lo stesso discorso vale per la testimonianza offerta da Dionigi di Alicarnasso che, come ha ben dimo­ strato Augusto Fraschetti, descrive il culto non riformato, poiché non fa menzione dei Lares Augusti. 28 Alcuni studiosi hanno ipotizzato che i Com­ pitalia fossero una festa di lustratio, di purificazione, sulla base di un verso di Properzio in cui il poeta, che sta rievocando un passato semplice e puro, afferma che parva saginati lustrabant compita porci. 29 Infine, le fonti fanno menzione di un rito piuttosto particolare: secondo Macrobio, durante la 2 5 HASENOHR 2003, pp. 1 72- 1 74. La questione relativa alle pitture delle è di grande interes­ se, ma porterebbe troppo lontano il discorso dall'argomento in esame. Per maggiori dettagli cfr. l'ampio lavoro di HASENOHR 2003, che ha raccolto tutto il materiale (anche bibliografico) e ha affrontato approfonditamente i problemi sollevati dalle testimonianze iconografiche e dalla relativa committenza. Scene simili sono visibili anche sugli affreschi dei larari di Pompei: cfr. VAN ANoRINGA 2000, p. 70; ANNIBOLETI'I 2010, pp. 88-92 (con la quale non concordo circa l'interpretazione dei Lari e delle altre divinità). 26 Gare di lotta e ippiche: LYD. De mens. IV 9. Spettacoli teatrali: PROP. II 22, 3-4; SVET. Aug. 43 . Sul tipo di giochi organizzati durante i Compitalia di Delo cfr. HASENOHR 2003 , pp. 1 76- 1 8 1 . BRUNEAU 1 970, p . 6 1 7 e MASTROCINQUE 1 988, p . 6 3 hanno ipotizzato che fossero praticati anche giochi simili al nostro «albero della cuccagna». Dubbi in merito sono stati sollevati da HASB­ NOHR 2003 , p. 1 8 1 . A Pompei venivano probabilmente eseguiti anche giochi gladiatori, come testimoniano alcune pitture: VAN ANDRINGA 2000, pp. 70-7 1 ; ANNIBOLETTI 20 10, p. 88. 2 7 HASENOHR 2003 , p. 1 70. 2s FRASCHETTI 1 990, pp. 206-207. Tuttavia Dionigi non fa menzione dei ludi, poiché questi erano stati proibiti dal senatoconsulto del 64 a.C. 29 PRoP. IV 1 , 23 . Cfr. RAMos CREsPo 1 988, p. 2 1 0; MASTROCINQUE 1 984, p. 215; FLAMBARD 198 1 , p. 1 56; DuMÉZIL ( 1 974) 200 1 , p. 303; DuMÉZIL 1961, p. 264. -

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festa era consuetudine pgrre sulle porte effigi di Mania per proteggere la casa da possibili pericoli. 30 Anche Festo testimonia una simile usanza, ma fornisce maggiori dettagli, affermando che durante la notte 31 era necessa­ rio apporre palle ed effigi di lana rassomiglianti a uomini e donne agli in­ croci: 32 le palle simboleggiavano gli schiavi, mentre gli uomini liberi erano rappresentati dalle figure intere. Questi simulacri erano doni riservati ai Lari Compitali, che avrebbero dovuto accontentarsi di quell'offerta senza arrecare ulteriori danni alla comunità.33 Le informazioni fin qui riportate testimoniano che, durante il rito effet­ tivo dei Compitalia, non venivano impiegate né le teste d'aglio né le capsule di papavero menzionate da Macrobio nel racconto tradizionale. Secondo juan Maria Ramos Crespo, Macrobio avrebbe adattato un espediente tipico della tradizione romana al racconto che stava alla base della festa, cioè quel­ lo di sostituire teste umane con elementi vegetali. Lo studioso ha portato come prova un passo di Ovidio, in cui Numa cerca un rimedio per allonta­ nare la pioggia di fulmini che ha colpito Roma, causata da Giove adirato. Il re riesce a ottenere udienza con il Padre degli dei, il quale richiede una testa in offerta sacrificale: Numa risponde dicendo che avrebbe tagliato una cipolla dal suo orto.34 Secondo lo studioso spagnolo, Macrobio avrebbe po­ tuto rielaborare il racconto ovidiano per spiegare il passaggio dal sacrificio 30 31

MACROB. Sat. I 7, 35. PEST. s.v. Laneae, p. 108 Lindsay. Pesto si limita a usare il termine noctu, senza specificare altro: SYS KA 1 993, p. 232 e RAMos CRESPO 1 988, p. 2 1 4 hanno ritenuto che tale pratica avvenisse la notte precedente la festa, mentre PRASCHETTI 1 990, p. 208 ha fatto semplicemente riferimen­ to alla «notte della festa». 3Z Probabilmente esse venivano appese alle pareti del santuario: RAMos CRESPO 1 988, p. 2 1 4. Il fatto che secondo Macrobio le offerte erano posizionate sulle porte è stato spiegato da HoLLAND 1 937, p. 435 : in città non ci sarebbe stato abbastanza spazio sulle pareti dei santuari per contenere le dediche di tutte le persone appartenenti al vicus. Particolarmente interessanti alcune pitture parietali a Pompei, che raffigurano le palle e le effigi: cfr. VAN ANDRINGA 2000, p. 77. 33 PEST. s. v. pil.ae et effigies, pp. 272-273 Lindsay. RADKE 1 983 , p. 1 74, riprendendo una teoria formulata da Orro 1908, pp. 1 1 4- 1 1 5 (cfr. anche TABELING 1 932, pp. 1 6- 1 8 ) , ha sostenuto che un frammento di VARRO Sat. Menipp. F 477 Cèbe deve essere messo in relazione con il rito com­ pitalico. Esso recita: su.spendit Laribu.s fmannast mollis pilas, reticula ac strophia. Gli studiosi che hanno collegato il passo ai Compitalia hanno emendato il termine marinas con manias, che ri­ chiamerebbe le figure di lana (o farina) menzionate da Pesto. Tuttavia la dedica di pilae, reticula e strophia (palle, retine per capelli, fasce pettorali) ai Lari Compitali non appare pertinente alla celebrazione della festa. Sembra più corretto legare il frammento varroniano a un rito di pas­ saggio femminile (non, come credeva WissowA 1 904, pp. 54-55, dall'infanzia all'adolescenza, ma dall'adolescenza all'età adulta, forse prima del matrimonio) riservato al Lar Familiaris. Cfr. CÈBE 1 996, pp. 1 879- 1 880; PRAZER 1 929, p. 455, nota 3 ; SAMTER 1 907, pp. 378-380. 34 Ov. Fast. III 285-340. L'aneddoto è testimoniato anche da PLUT. Num. 15 e da .ARNos. Adv. nat. V l , 4-8. La storia era conosciuta già da VALER. ANT. 25 P 8 Comell, storico di età sillana. -

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umano imposto da Tarquinia il Superbo al suçcessivo cambiamento a opera di Bruto. 35 Ramos Crespo ha inoltre sottolineato l'accostamento forzato tra la sostituzione di teste umane con quelle di aglio e di papavero e la pratica di apporre effigi di Mania sulle porte, accostamento che a suo giudizio non sarebbe stato spiegato dall'erudito latino e che getterebbe discredito sull'uti­ lizzo degli elementi vegetali.36 Personalmente ritengo che la teoria dello stu­ dioso spagnolo dia adito a qualche dubbio: mi chiedo perché mai Macrobio avrebbe dovuto elaborare una storia così artificiosa, traendola per giunta da altri episodi della tradizione romana. Mi pare più ragionevole supporre che l'autore latino conoscesse un racconto eziologico proprio delle vicende che portarono a una revisione del rito dei Compitalia nella sua forma civilizzata. Purtroppo non si è a conoscenza delle pratiche originarie stabilite da Servio Tullio per la celebrazione dell'intera cerimonia (compresi i ludi): le sole informazioni in merito sono fornite da Dionigi di Alicarnasso.37 Come già accennato, in un momento che non è possibile precisare i ludi Compita­ lidi furono aboliti per un certo periodo; secondo Macrobio, fu Tarquinia il Superbo a reintrodurre i giochi, modificando però il rito alla base dei Com­ pitalia e adattandolo al responso di Apollo delfico, che aveva ordinato di sa­ crificare teste in favore di teste. 38 Tuttavia l'autore non spiega i motivi che portarono alla reintroduzione del culto, così come non specifica la ragione per la quale venne consultato l'oracolo di Apollo delfico. A questo proposi­ to Attilio Mastrocinque ha avanzato un'ipotesi di ricostruzione dell'intera vicenda: secondo Dionigi di Alicarnasso, durante il dominio del tiranno scoppiò una terribile pestilenza, che colpì in particolar modo i bambini, le madri e i figli appena partoriti. Per questo motivo il re decise di inviare a Delfi un'ambasceria, capitanata dai suoi due figli, Arrunte e Tito (ai quali si aggiunse il cugino Lucio Giunio Bruto), per chiedere all'oracolo le cause della malattia e il modo per debellarla.39 Anche Livio tratta della spedizione delfica inviata da Tarquinia, ma si discosta da Dionigi per quanto riguarda il motivo che lo spinse a chiedere consiglio ad Apollo. Lo storico latino non fa infatti menzione del morbo, ma riferisce di un prodigio accaduto nella 35 Secondo MASTROCINQUB 1 987, p. 1 63, le modifiche del rito compitale apportate da Bru­ to coincisero con lo sviluppo urbanistico di Roma, con la conseguente creazione di un numero maggiore di compita Larum. 3 6 RAMos CRBSPO 1 988, p. 220. 37 DION. HAL. Ant. Rom. IV 14, 3 descrive il rito in conformità alle disposizioni di Servio Tullio. 3 8 MACROB. Sat. I 7, 34. L'autore utilizz a il termine restituti in riferimento a ludi, il che fa ragionevolmente supporre che essi caddero in disuso per un certo tempo. 39 DION. HAL . Ant. Rom. IV 69, 2.

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6 . MACRO B I O regia: da una colonna di legno comparVe un serpente, che seminò terrore per tutta la dimora; il sovrano non si spaventò, ma fu fortemente turbato dall'accaduto, tanto da affidarsi all'oracolo di Delfi per scoprire il significa­ to dell'apparizione. 40 A questo punto del racconto, entrambi gli autori non si soffermano sul responso fornito da Apollo, ma spostano la loro attenzio­ ne su Bruto e sulla profezia legata alla successione di Tarquinio.4 1 Mastro­ cinque ha quindi proposto di riconoscere nel passo di Macrobio il tassello mancante e in particolare ha considerato l'ordine impartito dal dio, che prevedeva di placare Mania attraverso l'offerta di teste per la salvezza delle teste, come la risposta alla richiesta circa il prodigio del serpente o circa il modo per eliminare la peste. 42 In mancanza di prove certe, la ricostruzione avanzata dallo studioso, benché affascinante e verosimile, è allo stato at­ tuale ipotetica, ma confermerebbe la conoscenza da parte di Macrobio di un racconto tradizionale alla base dei Compitalia. 43 Secondo la tradizione romana, Tarquinia avrebbe preso alla lettera il responso del dio delfico, istituendo quindi l'odioso sacrificio di fanciulli per il bene della comunità e dimostrando ancora una volta la sua indole di despota sanguinario.44 Solo grazie all'intervento e alla sottile intelligenza di Bruto fu possibile inter­ rompere l'atroce pratica e sostituire le teste dei giovani con quelle dell'aglio e del papavero.45 Come nel caso dello stratagemma che condannò a morte l'élite di Gabii, in cui l'abbattimento dei capita papaverum doveva alludere alla sorte loro riservata, anche nel caso specifico del racconto alla base dei Compitalia vengono utilizzati due vegetali che potevano supplire meglio di ogni altro alla rappresentazione di teste, di cui sia la pianta dell'aglio sia quella del papavero sono provviste.46 L'espediente escogitato da Bruto è 40 Liv. I 56, 4-5. Cfr. Ov. Fast. II 71 1-713. Cfr. PARKE-WORMELL 1956, p. 1 79, n. 438 . 4 1 S i tratta del celebre episodio i n cui i figli del r e consultano per una seconda volta

l'o­ racolo di Apollo, chiedendogli a chi sarebbe spettato il governo del regno. Il dio rispose che avrebbe ottenuto il trono colui il quale per primo avesse baciato la propria madre. Soltanto Bruto capì il criptico messaggio della Pizia e, simulata una caduta, baciò la terra: LIV. I 56, 1 01 3 ; DION. HAL. Ant. Rom. IV 69, 3-4. Cfr. anche PARKE-WORMELL 1 956, p. 1 79, n. 439. 42 MACROB. Sat. I 7, 34-35 . Cfr. MASTROCINQUE 1984, p. 220. 43 FRASCHETTI 1 990, p. 2 1 5 , nota 20 non ha concordato con Mastrocinque, senza specifica­ re il motivo per il quale non ha ritenuto valida tale interpretazione. 44 MASTROCINQUE 1 984, p. 2 1 9 ha constatato che il regno di Tarquinio è caratterizzato da azioni scellerate sia sul piano sociale sia su quello religioso; ne sono prova la barbara uccisione di Servio Tullio (LIV. I 48; DION. HAL. Ant. Rom. IV 39), la sua mancata sepoltura (Liv. I 49, l ; DION. HAL . Ant. Rom. IV 40, 5-6) e la violenza subita da Lucrezia da parte di Sesto Tarquinio (LIV. I 58; DION. HAL. Ant. Rom. IV 64-67). 45 Per un approfondimento sulla figura di Bruto, eroe civilizzatore che cela la sua intelli­ genza sotto una coltre fittizia di stupidità, cfr. MASTROCINQUE 1 984, pp. 214-2 1 9 . 46 Cfr. SYS KA 1 993, p . 83 . -

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quindi perfettamente coerente con la conformazione fisica del bulbo e del frutto delle due piante citate; il riferimento alla capsula fa ragionevolmente pensare che la specie menzionata nel passo debba coincidere con il papaver somniferum, il solo a possedere un frutto di ampie dimensioni. È chiaro che Macrobio ha attinto alla tradizione per narrare le vicende che portarono all'istituzione del rito compitale nella sua forma incruenta e che il presunto sacrificio di fanciulli deve essere confinato alla sola sfera leggendaria.47 Soltanto dopo aver trattato del racconto eziologico, l'autore descrive brevemente le pratiche cultuali effettive che dovevano compiersi durante la festa: esse prevedevano la dedica delle già menzionate effigies di Mania. 48 Per questo motivo non mi trovo particolarmente d'accordo con la teoria avanzata da Ekkehart Syska, secondo cui Macrobio avrebbe me­ scolato due tradizioni differenti che non avevano nulla a che fare l'una con l'altra. 49 Se da un lato lo studioso ha giustamente ritenuto che l'erudito latino inserì aglio e papavero poiché assolutamente confacenti a rappresen­ tare teste umane e ha correttamente notato come le piante non avessero alcun ruolo nel rito vero e proprio, dall'altro non convince l'affermazione secondo cui Macrobio, non potendo utilizzare le effigies per sostituire il sa­ crificio umano, aVTebbe inserito l'aneddoto delle teste vegetali. In questo modo Syska sembra svalutare l'informazione fornita da Macrobio, consi­ derandola un puro espediente per spiegare il problema della sostituzione delle teste. Egli ha inoltre avanzato alcune ipotesi circa l'interpretazione simbolica dell'aglio e del papavero, assegnando loro non meglio specificati significati apotropaici. 5° Ci si potrebbe domandare quale valore apotropai­ co potessero avere le due piante se attraverso il loro impiego era stato pos­ sibile sostituire la pratica del sacrificio umano: esse non allontanano alcun male, ma servono soltanto come rimpiazzo (Ersatz) per impedire una pras­ si crudele.5 1 La richiesta dell'offerta di capita pro capitibus e il conseguente sacrificio umano (e poi vegetale) si configura più come un rito sostitutivo (successivamente incruento), finalizzato a placare Mania piuttosto che a neutralizzare possibili pericoli. 52 Allo stesso modo non si capisce perché 47 48

Dello stesso parere già FRAZER 1 929, p. 456. MACROB. Sat. I 7, 35. 49 SYSKA 1 993, p. 232. 5 0 SYSKA 1 993, p. 232. 5 1 A mia conoscenza, il papavero non è mai impiegato come strumento apotropaico né gli vengono attribuiti simili significati. 5Z Macrobio non fornisce notizie in merito alla ragione di un simile sacrificio: era forse collegato alla pestilenza menzionata da Dionigi di Alicarnasso o al prodigio dell'apparizione del serpente citato da Livio? Il sacrificio umano ricordato dal racconto tradizionale sembra -

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Macrobio avrebbe dovuto mescolare due riti diversi e privi di rapporti, for­ zando un collegamento che sarebbe apparso singolare agli occhi dei suoi contemporanei.53 Credo invece che l'autore latino abbia voluto richiama­ re alla mente tanto il racconto eziologico quanto l'azione rituale vera e propria in occasione della celebrazione della festa. La mancata presenza del papavero (e dell'aglio) nella pratica rituale può trovare una semplice spiegazione se si considera come di norma la pianta venisse seminata a Roma durante i primi mesi dell'anno (da fine gennaio a marzo) 54 e quindi i Romani non avrebbero potuto avere a disposizione capsule di papavero durante il periodo in cui cadevano i Compitalia. La differenza fra tradizione e rito è riscontrabile anche nei destinatari delle offerte: secondo Macrobio, i fanciulli e le teste vegetali erano vota­ ti alla dea Mania, mentre non viene specificato nulla in merito alle effi­ gi, che però rappresentavano Mania stessa.55 Pesto, che descrive l'usanza concreta di apporre sui crocicchi pilae et effigies, considera i Compitalia una celebrazione destinata ai Lari (e, si potrebbe aggiungere, in particolare ai Lares Compitales).5 6 Per capire il motivo di queste offerte è necessario soffermarsi sulle peculiarità che caratterizzano le differenti entità divine. Mania sembra rivestire un ruolo di spicco soltanto nel racconto tradizio­ nale, poiché mai essa viene nominata a proposito dei Compitalia se non da Macrobio. Riguardo alla sua figura si è in possesso di scarsissime notizie, ma una tradizione, seguita anche dall'autore dei Saturnalia, la considerava Mater Larum. 57 Sono attestate anche forme del nome al plurale, Maniae, e avvalorare l'ipotesi di un rito rivolto a placare la divinità: nel corso della storia, i Romani ricor­ sero, sebbene molto di rado, all'offerta di vittime umane, come nel caso del sacrificio di due Galli e due Greci ordinato dai Libri Sibillini per redimere l'empietà di alcune Vestali dopo la sconfitta di Canne: LIV. XXII 57, 2-6; PLUT. Quaest. Rom. 284A-C. Un simile sacrificio fu attuato già nel 228 a.C. all'inizio della guerra contro gli Insubri: PLUT. Marcel. 3, 6. I sacrifici umani fu­ rono aboliti dal Senato nel 97 a.C. (PuN. Nat. Hist. XXX 1 2), ma vennero praticati in momenti di estrema crisi sino all'epoca di Plinio (dr. Nat. Hist. XXVIII 12): dr. SCHEID 2009, p. 93. Cfr. anche PRESCENDI 2007, p. 241 . La consacrazione della vita di un essere umano alla divinità era considerato il dono più prezioso; i racconti che presentano l'offerta di un sacrificio umano (in seguito generalmente sostituito da oggetti inanimati) sono stati interpretati da PRESCENDI 2007, pp. 200-202 come storie finalizzate a stabilire i limiti che intercorrevano tra gli uomini e gli dei. n Circa l'interesse e la diffu s ione della cultura pagana ai tempi di Macrobio cfr. l'ampia disamina di CAMERON 201 1 , pp. 23 1 -272. 54 PuN. Nat. Hist. XVIII 205. Cfr. supra, pp. 1 2- 1 3 . H MACROB. Sat. I 7 , 35. 5 6 FEST. s.v. pilae et effigies, pp. 272-273 Lindsay; cfr. anche s. v. Laneae, p. 1 08 Lindsay. Cfr. DuMÉZIL ( 1 974) 200 1 , p. 303 ; WISSOWA 1 9 1 2z, p. 1 67, nota 6. 57 VARRO De !ing. Lat. IX 6 1 ; Antiq. rer. div. F 209 Cardauns; MACROB. Sat. I 7, 35. Non con­ cordo con l'affermazione di R.ADKE 1 983, p. 1 75, il quale ha negato una connessione tra Mania e i Lares Compitales: tale teoria è smentita dal passo stesso di Macrobio. Almeno a partire dal -

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queste erano considerate spauracchi per bambini, tanto che le nutrici le utilizzavano per spaventarli.58 Inoltre si credeva fossero le anime dei morti e i fantasmi che uscivano dagli inferi per raggiungere il mondo dei vivi; Mania stessa era ritenuta madre o nonna degli spettri. Altri ancora consi­ deravano le Maniae come figure composte di farina e raffiguranti fattezze umane, ma sempre terrificanti; infine, Pesto afferma che esse sono turpes deformesque personae. 59 Dato il carattere spaventoso tanto di Mania quanto delle Maniae, entrambe considerate divinità o entità crudeli, non è un caso che Macrobio menzioni proprio la dea in qualità di destinataria dei fanciulli sacrificati: nella tradizione, solo grazie all'espediente messo in atto da Bru­ to fu possibile mitigare la sua natura spietata, mentre nel rito le venivano dedicate effigies Maniae. 60 Per quanto riguarda i Lares, mi sembra più opportuno focalizzare l'at­ tenzione sulla loro relazione con i Compitalia piuttosto che redigere un'in­ dagine tout court sulle loro caratteristiche. 6 1 È innegabile che già i Romani considerassero tali entità divine nei modi più vari: infatti Varrone sostiene che i Lari coincidevano con i Manes, ma erano ritenuti anche dei ed eroi o ancora, secondo l'opinione degli antichi (antiquorum sententias sequens), regno di Commodo, i fratres arvales sacrificavano due pecore alla Mater Larum (non meglio specificata) e due montoni ai Lari (intesi come divinità totalmente benigne; in questo caso essi non possono essere intesi come Lares Compitales): SCHEID-TASSINI-RtiPKE 1998, n. 94, II, 3; 1 05b, 10; 1 07, II, 7; 1 14, I, 1 5 . s s Cfr. MASTROCINQUE 1 984, p . 224, che h a ravvisato una similitudine tra l e Maniae e le striges. S9 FEST. s. v. Manias, p. 1 1 5 Lindsay: Manias dicuntjìcta quaedam exfarina in hominum.figuras, quia turpes .fiant, quas alii maniolas vocant: Manias autem, quas nutrices minitantur parvolis pueris, esse larvas, id est manes, quos deos deasque putabant, quosque ab inferis ad superos emanare credebant. Sunt, qui Maniam larvarum matrem aviamve putant. MART. CAP. II 1 63 Willis: si autem depravan­ tur ex corpore, Larvae perhibentur et Maniae. Cfr. TABELING 1 932, pp. 1 9-20; RADKE 1 983, p. 1 75 . FEST. s .v. Maniae, p . 1 29 Lindsay: Maniae turpes deformesque personae. TABELING 1 932, p. 1 9 ha convincentemente tradotto il termine personae con «Masken». ScHOL. Pers. VI 56 testimonia l'esistenza di un'entità maschile chiamata Manius, che presenta le medesime caratteristiche del suo corrispettivo femminile: Manium dicit deformem et ignotum hominem eo quod maniae dicuntur indecori vultus personae, quibus pueri terrentur. 60 TABELING 1 932, p. 22 ha proposto di considerare tali simulacri «fratzenhafte Masken». Per il carattere spaventoso di Mania cfr. TABELING 1 932, p. 39: «Freilich haben wir auch die ma­ ter Larum bisher nur als finstere Gestalt der Unterwelt kennen gelernt». 6 1 PICCALUGA 196 1 , pp. 88-89 ha criticato l'abitudine di «scindere il carattere dei lares» e ha rivendicato lo studio di tali entità nella loro completezza e complessità, poiché ha considerato illegittimo frazionare «arbitrariamente un tema religioso». Dal mio punto di vista, una simile visione presta il fianco ad altrettante critiche: ferma restando la natura intrinseca dei Lari, non si capisce perché essi non debbano essere studiati nella loro specificità, dal momento che gli stessi Romani riservarono loro epiteti distinti l'uno dall'altro (Lares Viales, Lares Compitales, Lares Familiares ecc.) per sottolinearne le loro differenti funzioni e caratteristiche. -

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6 . MACRO B I O fantasmi, anime dei morti. 62 Dionigi di Alicarnasso li qualifica come flproEç xpovromot, forse da intendere, sulla scorta dell'intuizione del dotto lsaac Casaubon, come coloro che stanno davanti alla porta di casa, quindi nei crocicchi.63 Di contro, Cicerone avanza cautamente l'ipotesi secondo cui i oaiJlOVEç platonici sarebbero potuti coincidere con i Lari, ammessa e non concessa la possibilità, già rilevata dallo stesso oratore, di condurre simili equazioni. 64 Infine, le speculazioni filosofiche più tarde differenziano le ani­ me dei morti a seconda della loro funzione: quelle pacifiche, preposte alla cura e alla protezione della casa, erano chiamate Lares Familiares, mentre altre, a causa delle malefatte commesse in vita, erano costrette a vagare senza meta sulla terra e prendevano il nome di Larvae. Quando invece non si era in grado di stabilire se gli spiriti erano benigni o malevoli, essi erano considerati Mani. 6 5 La complessità della natura dei Lari è dunque di per sé evidente; è necessario a questo punto cercare di capire in che modo erano intesi i Lares Compitales. 66 A questo proposito Pesto offre preziose informa­ zioni: egli sostiene che il giorno della festa era consacrato agli dei inferi, che erano chiamati Lares. 67 Per quanto i Lari Compitali fossero preposti alla protezione degli incroci e dei quartieri urbani, favorendo in tal modo i rapporti di buon vicinato, essi possedevano anche una natura spaventosa e pericolosa,68 probabilmente ereditata dalla loro madre. Si sono già os62 VARRo Antiq. rer. div. F 209 Cardauns .Aro10s. Adv. nat. III 4 1 , 1 : esse [sci!. Lares] Manes et ideo Maniam matrem esse cognominatam Larum, nunc aerios rursus deos et heroas (pronuntiat) appel­ laTi, nune antiquorum sententias sequens Larvas esse (dicit) Lares, quasi quosdam genios et functorum animas mortuorum. Stando a Corp. gloss. lat. VI, s. v. Compitalia, p. 244 Goetz la festa aveva un evi· dente collegamento con le anime dei defunti: 9erov àyuairov top·rai ai ytvÒuJ.!m tv -raiç òooiç imò TÒJV 7tp001]KOVT(J)V TOiç VEKpoiç. Cfr. PICCALUGA 196 1 , p. 87; MASTROCINQUE 1 988, p. 59, nota 7. 63 DION. HAL. Ant. Rom. IV 14, 3 . Cfr. TLG s. v. 1rpovw1C1a, pp. 1 79 1 - 1 792. Secondo DELATTE 1 937, p. 105 da intendersi come Lares Viales e Compitales. MASTROCINQUE 1 988, p. 64 ha interpre­ tato i Lares Compitales come le anime dei defunti eroizzati. 64 C1c. Tim. 38 Ax: Reliquorum autem, quos Graeci oaipovaç appellant, nostri opinor lares, si modo hoc recte conversum videri potest, et nosse et nuntiare ortum eorum maius est quam ut pro.fiteri nos scire audeamus. 6 5 APuL. De deo Socr. 1 52- 1 53 Beaujeu. MART. CAP. II 1 55 Willis (cfr. anche 1 62- 1 63 Willis) considera i Lari entità assolutamente positive. 66 PuN. Nat. Hist. III 66 testimonia che ai suoi tempi esistevano duecentosettantacinque incroci in cui erano venerati i Lares Compitales. 6 7 FEST. s. v. Pilae et effigies, pp. 272-273 Lindsay: . . . hunc diem festum esse deorum inferorum, quos vocant Lares. 68 Le caratteristiche terrificanti e la possibile pericolosità dei Lari Compitali è stata ravvi­ sata da numerosi studiosi: cfr. FRAZER 1 929, p. 455; PICCALUGA 1 96 1 , pp. 87-88; RAMOS CRESPO 1988, p. 2 1 8 ; FRASCHETTI 1990, p. 208; GIACOBELLO 2008, p. 52. Non mi sembra condivisibile la posizione di HOLLAND 1 937, pp. 437-438, che ne ha negato la natura pericolosa e spaventosa. Recentemente anche ScHEID 1 990, pp. 589-593 (seguito da CoARELLI 20 12, p. 1 75) si è schierato =

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servate le caratteristiche che contraddistinguevano la figura di Mania, che veniva generalmente considerata una dea terribile. Anche le tradizioni che assegnavano la maternità dei Lari ad altri personaggi testimoniano un loro legame con il mondo infero. Ciò è particolarmente evidente in un passo di Ovidio, il quale narra il racconto alla base del sacrificio per Tacita Muta: Giove si era invaghito della Ninfa Giuturna, la quale evitava ogni volta le sue attenzioni. Così il Padre degli dei decise di convocare tutte le Ninfe del Lazio per chiedere loro aiuto nel bloccare le vie di fuga alla loro sorella, di modo che lui fosse in grado di raggiungerla e farla sua. Tuttavia, una Naiade di nome Lara disubbidì al comando, avvisò Giuturna del pericolo e successivamente rese nota a Giunone l'infedeltà del marito. Venuto a co­ noscenza del tradimento, Giove strappò la lingua alla Ninfa (da qui il nome Muta, o Tacita Muta) e convocò Mercurio affinché la conducesse ad Manes, cioè nel Regno dei Morti, poiché quello era un luogo adatto ai silenziosi: da quel momento in avanti ella sarebbe sì stata una Ninfa, ma della palude stigia (sed infernae nympha paludis erit). Mercurio, dal canto suo, si invaghì di Lara e le fece violenza: da quell'unione nacquero due gemelli, i Lari, qui compita servant et vigi.lant nostra semper in Urbe. 69 Ovidio dunque testimo­ nia chiaramente la funzione di protettori e guardiani svolta dai Lares (in modo particolare dei crocicchi), ma allo stesso tempo attribuisce loro una discendenza infera, poiché la loro madre era strettamente connessa con l'Oltretomba. A questo punto diventa comprensibile il motivo che spinse i Romani a offrire ai Lari Compitali pilae et effigi.es: tali doni avevano lo scopo di proteg­ gere i vivi dall'azione potenzialmente nefasta di queste entità divine. Nes­ sun membro della comunità era escluso, dal momento che donne, uomini e schiavi avevano il compito di porre agli incroci delle strade figure uma­ ne e palle di lana, di cui i Lari si sarebbero dovuti accontentare, evitando contro una possibile natura infera dei Lari, sostenendo che le testimonianze di VARRo Antiq. rer. div. F 209 Cardauns e di Festo debbano essere intese solo come speculazioni erudite. Dal mio punto di vista, questa teoria solleva qualche dubbio, poiché Varrone, quando identifica i Lares con le Larvae, afferma chiaramente di seguire la credenza antica (antiquorum sententias sequens). L'informazione fornita dall'autore non può quindi essere considerata semplicemente una sua considerazione personale, ma deve essere rapportata a una tradizione preesistente. È comun­ que possibile che la natura infera non fosse estesa necessariamente a tutti i Lari: infatti, come ScHEID 1990, pp. 587-598 ha ben dimostrato, i Lares venerati dai .fratres arvales non sembrano avere nessuna sfumatura maligna. PALMER 1974, pp. 1 1 5- 1 1 7 si è dimostrato scettico nel consi­ derare i Lari (in particolare quelli Compitali) come le anime degli antenati, ma non ha negato la possibilità che essi fossero considerati larvae. 69 Ov. Fast. II 585-6 16. PALMER 1 974, p. 1 1 7 ha sostenuto che «The Lares resemble the Greek hermai and Hermes in this context»: personalmente non capisco le ragioni all a base di tale affermazione. -

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al contempo di nuocere alla popolazione.7° Come Mania era stata placata dapprima con sacrifici umani e in seguito attraverso le teste d'aglio e di pa­ pavero nel racconto tradizionale, nel rito compitalico gli uomini dedicava­ no ai destinatari del culto oggetti sostitutivi di se stessi. A questo proposito, Georges Dumézil ha convincentemente sostenuto che la prassi di dedicare pilae et effigi.es aveva la funzione di rimpiazzare il sacrificio umano ricordato dalla tradizione.7 1 Per concludere, non rimane che analizzare il valore delle pilae et effi­ gi.es menzionate da Pesto: al riguardo Ramos Crespo ha cercato di fornire una possibile spiegazione. Lo studioso, rifacendosi a quanto precedente­ mente sostenuto da H.J. Rose, ha connesso le due differenti offerte allo status sociale dei loro dedicatari: solo gli uomini liberi avevano il diritto di rappresentarsi attraverso una figura intera, per quanto stilizzata, mentre gli schiavi, che non godevano di uno statuto giuridico, avrebbero dovuto essere raffigurati dalle palle. Rose tuttavia ha evidenziato che lo scarto tra un'offerta e l'altra era dovuto alla presenza della testa, che sarebbe com­ parsa solo nei simulacri dei cittadini romani. Egli inoltre ha sostenuto che il termine caput indicava in campo giuridico la capacità legale esercitata da quanti erano liberi, capacità questa interdetta agli schiavi, i quali non era­ no considerati persone dalla legge.72 Tale interpretazione è stata criticata da Ramos Crespo, a mio parere giustamente: egli infatti si è domandato il motivo per il quale le pilae non avrebbero potuto simboleggiare la te­ sta umana, tanto più che Pesto è esplicito nell'affermare che tot pilae, quot capita servorum. 73 Si potrebbe dunque ipotizzare che la differenza di status tra liberi e schiavi doveva essere espressa mediante la presenza dell'inte­ ro corpo e non attraverso i capita: 74 i servi infatti erano sì esseri viventi, 70 FEST. s. v. Pilae et effigies, pp. 272-273 Lindsay: Pilae et effigies viriles et mulieùres ex lana Com­ pitalibu.s suspendebantur in compitis, quod hunc diem festum esse deorum inferorum, quos vocant Lares, putarent, quibu.s tot pilae, quot capita servorum; tot effigies, quot essent liberi, ponebantur, ut vivis parce­ rent et essent his pilis et simulacris contenti. Cfr. anche FEST. s. v. Laneae, p. l 08 Lindsay: Laneae effigies Compitalibu.s noctu dabantur in compita, quod lares, quorum is erat dies festus, animae putabantur esse hominum redactae in numerum deorum. Simile la spiegazione di MACROB. Sat. I 7, 35, il quale affer­ ma che le effigi (in questo caso di Mania) avevano il compito di proteggere la famiglia: factumque est ut effigies Maniae suspensae pro singulorumforibu.s periculum, si quod immineretfamiliis, expiarent. 7 1 DuMÉZIL 1 96 1 , p. 264. Poco persuasiva l'osservazione di MASTROCINQUE 1 988, pp. 64-65, che ha ravvisato come le offerte sostitutive di sacrifici umani siano spesso dedicate a potenze infere. Lo studioso ha inoltre riconosciuto un collegamento (a mio parere molto dubbio) tra il culto compitalico e il culto dei morti. n RosE 1 948, p. 39. Cfr. ScuLLARD 198 1 , p. 58; MASTROCINQUE 1988, p. 59. 73 FEST. s. v. Pilae et effigies, pp. 272-273 Lindsay. Cfr. RAMos CRESPO 1 988, p. 2 1 5 . 7 4 Tanto più che FEST. s .v. Pilae e t effigies, pp. 272-273 Lindsay. quando associa l e effigi agli uomini liberi, non menziona la parola caput.

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ma privi della possibilità di utilizzare liberamente se stessi. La questione non è comunque sufficientemente chiara per formulare teorie definitive in merito; quel che appare più comprensibile è la funzione svolta da pilae et effigies. Oltre a propiziare i Lari Compitali attraverso il sacrificio di un maiale, libagioni e offerte alimentari, era necessario neutralizzare la loro natura pericolosa: ecco dunque la donazione dei simulacri, che avevano lo scopo di allontanare i mali portati dalle entità divine e salvaguardare la comunità. Si rintraccia dunque una corrispondenza tra il racconto tradizio­ nale narrato da Macrobio e la prassi rituale effettiva: in entrambi i casi si fa ricorso a una pratica di Ersetzung, ma probabilmente con finalità differenti. Se nella tradizione alla base dei Compitalia è possibile supporre che il rito fosse finalizzato a placare Mania (la dea destinataria del sacrificio), nella pratica concreta della festa era necessario rendere inoffensiva l'eventuale minaccia rappresentata dai Lares Compitales, intesi in questo caso non più come benevoli protettori (che rimane comunque la loro funzione prima­ ria), ma come spiriti dei morti e discendenti da una madre i cui legami con gli Inferi erano ben attestati. 75 In tali circostanze, le offerte delle palle e delle effigi avrebbero avuto una funzione purificatrice e apotropaica, come sembra suggerire anche il materiale con il quale erano composte, cioè la lana. 76 Bende di lana erano infatti usate per ornare i corpi dei defunti, i quali erano considerati impuri; inoltre si credeva che tale materiale avesse la capacità di allontanare mali e pericoli.77 È possibile che con la riforma dei Compitalia promossa da Augusto, che associava ai Lares Compitales i Lares Augusti e il Genius dell'imperatore, gli antichi destinatari del culto venissero 75 ScHEID 1 990, pp. 596-597 ha giustamente rilevato che i Lari erano considerati protettori delle loro zone di competenza e divinità generalmente benevole, come dimostra anche la loro iconografia. Essi sono spesso rappresentati danzanti e felici: cfr. TAM TINH 1 992, in particolare pp. 2 1 1-212. Tuttavia, almeno per quanto riguarda i Lares Compitales, credo sia necessario am­ mettere la loro effettiva natura infera e pericolosa accanto alla loro funzione di guardiani dei crocicchi. 76 Cfr. in particolare RAMos CRESPO 1 988, pp. 2 1 5-22 1 . MASTROCINQUE 1 984, p. 225 ha considerato i Compitalia un culto che aveva lo scopo di «placare gli spiriti malefici dei morti». HoLLAND 1 937, p. 439 ha sostenuto che la dedica di pilae et effigies non avesse alcun valore apotropaico, ma servisse unicamente per censire la popolazione. Tale spiegazione mi pare dia adito a molti dubbi: benché Servio Tullio abbia effettivamente promosso un censimento du­ rante il suo regno (DION. HAL. Ant. Rom. VI 1 5 ) , non credo che l'usanza descritta da Macrobio e Pesto possa essere semplicemente ricondotta a tale pratica. l due autori latini offrono infatti spiegazioni ben diverse. La teoria di Holland è stata già criticata da FRASCHETII 1 990, p. 208. RAMos CRESPO 1 988, pp. 2 1 2-2 1 3 non ha escluso che la festa potesse avere una doppia funzione: culto per i Lari Compitali e censimento. FLAMBARD 1 9 8 1 , p. 156 si è dichiarato a favore della teoria censoria. 77 Su questo tema cfr. in particolare PLEY 1 9 1 1 , pp. 80-94, dove è raccolta anche una buo­ na quantità di fonti.

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privati di quell'aurea spaventosa che li aveva caratterizzati sin dalle loro origini: infatti il principe dispose che i Lari Compitali venissero ornati con fiori primaverili ed estivi due volte l'anno. 78 Ritornando al papavero, in ultima analisi è possibile osservare come la riabilitazione dell'intero rito dei Compitalia messa in atto da Bruto nel racconto tradizionale romano abbia in parte caratterizzato anche la pianta: da mero strumento allusivo di morte, atto a simboleggiare la triste fine stabilita per i dignitari di Gabii nell'episodio dello stratagemma di Tarqui­ nia, essa ora si configura, insieme all'aglio, come offerta sostitutiva che mise fine alla crudele pratica del sacrificio umano a favore di un sacrificio incruento. Benché la simbologia del papavero non cambi (anche in questo caso la capsula rappresenta teste umane), si passa da un suo utilizzo negati­ vo, incentrato sulla ferocia dell'ultimo re di Roma, a uno del tutto positivo, grazie al quale è possibile sovvertire la brutalità del tiranno salvando così la vita di fanciulli innocenti.

78 SVET. Aug. 3 1 : Compitales Lares ornari bis anno instituit vernis jloribu.s et aestivis.

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PLAUTO E APULEIO

LA SIMILITUDINE DELLO SPERPERO DI DENARO E TRIN. 406-4 10 E APuL. AsiN. AUR . VI 1 0)

LA

PROVA DI PSICHE (P LAUT.

Un passo del Trinummus plautino desta particolare interesse per il sin­ golare utilizzo che l'autore fa del termine papaver: Lesbonico, un giovane gaudente dalle mani bucate, ha da poco venduto la propria casa per qua­ ranta mine e, data la sua natura, ha sperperato in poco tempo (quindici giorni) tutto il denaro. Discutendo con il servo Stasimo, si chiede come sia stato possibile dilapidare una somma tanto cospicua in così breve tempo e il servitore gli illustra prontamente i motivi (406-4 10): Comessum, expotum, exutum, elotum in balineis; piscator, pistor apstulit, lanii, coqui, holitores, myropolae, aucupes: con.fit cito; non hercle minus divorse distrahitur cito, quam si tu obicias formicis papaverem. Mangiato, bevuto, volatilizzato in profumi, ripulito nei bagni. Se lo son preso il pescatore e il mugnaio, i macellai, i cuochi, gli erbivendoli, i profumieri, i cacciatori di uccelli; si esaurisce [alla svelta. Per Ercole! Piglia tu che piglio io, sparisce più alla svelta che se gettassi semi di papavero alle formiche. (trad. di M. Scandola, con leggere modifiche)

I due versi finali fanno evidentemente parte di una similitudine tratta da un modo di dire, un motto di uso comune: seppur poco per volta, il denaro è stato dilapidato alla stessa velocità con la quale le formiche sono solite 'tesaurizzare' i semi del papavero. Questa immagine permette di avanzare alcune considerazioni: Plauto testimonia un'ampia conoscenza, condivisa con il proprio pubblico, del papavero, come dimostra anche il passo del - 1 71 -

S E Z I O N E I - IL PAPAVERO N ELLA CU LTURA E N E L LA LETTERATURA ROMANA

Poenulus, già trattato in precedenza, nel quale si fa menzione dei semi di se­ samo e di papavero, che in quel caso costituiscono una deliziosa leccornia. 1 Al di là delle questioni puramente alimentari, è necessario soffermarsi sui motivi che hanno spinto il commediografo a utilizzare una similitudine che mettesse in relazione il papaver e la pecunia. Più che a un rapporto di tipo qualitativo, secondo cui i semi dovrebbero essere considerati prezio­ si in quanto paragonati al denaro, la metafora deve essere intesa in senso quantitativo: la piccola fortuna spesa dal giovane Lesbonico poteva essere facilmente assimilata ai semi di papavero, presenti in gran numero nelle singole capsule. Essi si prestano perfettamente a illustrare allo spettatore la rapidità con la quale il protagonista della commedia dilapida il proprio capitale, immagine che trova il corrispettivo nella velocità con cui le for­ miche, di cui è rinomata la laboriosità, trasportano i piccoli e leggeri semi. A sostenere l'interpretazione della similitudine in senso quantitativo contribuisce anche il gesto di gettare i semi alle formiche: infatti l' espres­ sione sembra far riferimento all'atto di sciupare qualcosa di utile, anche se non particolarmente prezioso, in modo tale da mettere in risalto la scon­ sideratezza del giovane che, al contrario, ha sperperato denaro sonante. I semi di papavero si configurano quindi come un elemento di facile reperi­ bilità e di cui si disponeva in abbondanza, tanto da poter essere utilizzato come termine di paragone per alludere a un'ingente ricchezza. Infine, merita una riflessione il tipo di espressione utilizzata da Plauto: la critica ha messo in luce che la costruzione del dialogo plautino fa ab­ bondante utilizzo di un linguaggio proverbiale o di carattere sentenzioso. Tale espediente garantiva un'espressività di tipo popolare, facilmente com­ prensibile e di sicuro effetto; non stupisce quindi che un abile commedio­ grafo del calibro di Plauto sia ricorso frequentemente a motti, metafore e similitudini ingegnose. 2 L'enunciato in esame deve essere inserito di diritto in questa categoria di espressioni idiomatiche e modi di dire, se non di pro­ verbi veri e propri, che stavano alla base del serm.o cotidianus degli abitanti di Roma.3 L'inserimento del papavero nel linguaggio proverbiale dimostra una volta di più come la pianta fosse nota a tutti e abbondantemente utiliz­ zata: lo spettatore della commedia plautina doveva infatti comprendere im­ mediatamente il significato dell'espressione, poiché simili espedienti aveval

PLAUT. Poen. 326. PAPONI 2010, p. 6 1 . 3 Orro 1 890, p. 1 4 1 , s. v. formica 3 inserì l a similitudine tra i proverbi. PAPONI 2010, p. 6 1 ha però sottolineato che il linguaggio plautino era sì di uso comune, ma sempre filtrato da una patina letteraria precisa e di alto livello. La lingua di Plauto non può essere identificata total­ mente con quella comune. 2

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7 . PLAUTO E APULEIO no il compito di evocare una serie di immagini familiari, legate spesso alla vita comune e quotidiana.4 Il fatto che Plauto abbia scelto specificatamente il papavero e non un'altra specie vegetale deve essere considerato una sua precisa volontà, legata sia alla costruzione della similitudine, per la quale i semi si prestavano perfettamente, sia probabilmente alla consapevolezza di riferirsi a qualcosa conosciuto da tutti. Come si è visto, l'espressione in esame mette in relazione i semi di papavero con le formiche, le quali li fanno sparire rapidamente portandoli nella propria tana. Tale connessione ricorre una seconda volta nella lette­ ratura latina, più precisamente nell'Asino d 'oro di Apuleio. All'interno del racconto delle vicende di Amore e Psiche, si narra che la giovane venne sottoposta a una serie di difficili prove ideate da Venere, infuriata con lei per essere diventata la moglie di suo figlio senza il suo consenso. La prima impresa che dovette affrontare consisteva nel dividere, in breve tempo e secondo il loro genere, una moltitudine di legumi e semi mischiati tra loro, tra i quali sono menzionati quelli di papavero.5 La poverina rimase attonita e incapace di compiere il più piccolo gesto, ma una formichina, impietosi­ ta, chiamò a raccolta le sue compagne e in men che non si dica esse porta­ rono a termine l'immane lavoro.6 È stato ormai ampiamente dimostrato che la novella di Amore e Psiche ha molte delle caratteristiche della fiaba di tradizione orale, alla quale si conforma in parte anche per struttura.7 Le prove che Psiche deve affrontare rientrano perfettamente tra le 3 1 funzioni codificate da Vladimir Propp, più precisamente nella numero 25, la quale prevede che l'eroe (o l'eroina) debba portare a termine un compito particolarmente difficile. A questa funzione fa seguito la numero 26, cioè il superamento della prova, che può avvenire anche grazie a un aiuto esterno. 8 Tornando al papavero, i suoi semi costituiscono qui uno degli ogget­ ti dell'incarico assegnato a Psiche da Venere: certamente la loro menzio­ ne deve essere ricollegata ancora una volta all'abbondante numero e alle 4

PAPONI 2010, p. 74.

5 APuL. Asin. aur. VI

10. Gli altri semi sono quelli di grano, miglio, orzo, cui si dovevano aggiungere ceci, fave e lenticchie. 6 Cfr. VERG. Aen. IV 402·407, dove si paragonano gli uomini troiani intenti a trasportare il legname per riparare le navi con le formiche che trasportano rapidamente il grano. 7 Cfr. SwAHN 1955, p. 3 77; WALSH 1 970, p. 198; MANTERO 1 973, pp. 1 79-1 82; GATTO 2006, pp. 6 1 -63 . s GATTO 2006, p. 1 2 1 ; Cucus1 2003 , p. 283 ; WRIGHT 1971, p. 277; MANTERO 1 973, p. 147. RoNCALI 1 98 1 , pp. 8 1 -82 ha sottolineato la differenza che intercorre tra la prima prova (dividere i semi) e le successive: questa è infatti la sola in cui Psiche rimane del tutto passiva e l'azione risulta statica.

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piccole dimensioni che li caratterizzano e che li rendono perfettamente adatti a costituire un ostacolo difficilmente superabile in relazione all' ar­ dua spartizione che la giovane doveva compiere. La presenza delle altre sementi e dei legumi, oltre a rinforzare l'impossibilità dell'impresa, per­ mette di constatare che il papavero era considerato un alimento comune, al pari del grano, dell'orzo, del miglio, dei ceci, delle fave e delle lenticchie: di nuovo quindi il valore alimentare della pianta viene reso manifesto dalle fonti antiche. La presenza delle formiche, che richiama in un certo senso il passo plautino, è funzionale alla trama del racconto, poiché grazie al loro intervento la giovane è in grado di portare a termine il proprio compito. Si è già sottolineata la laboriosità degli insetti e la loro consuetudine nell'im­ magazzinare ingenti scorte di cibo, tanto che lo stesso Apuleio dichiara che essi erano ben consapevoli della difficoltà dell'impresa, senz'altro perché abituati a questo tipo di operazioni.9

9 APuL. Asin. aur. VI 10. Secondo PARATORE 1 995, p. 1 79, le formiche sono simbolo della fides; purtroppo però lo studioso non ha motivato tale affermazione.

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PRIAPEA

L OFFERTA

DI PRIMIZIE A PRIAPO (PRIAP. 85, 1 2)

All' interno del corpus dei Carmina Pri.apea, spiccano tre componimenti inseriti comunemente nell'Appendix Vergiliana; in uno di questi è menzio­ nato il papavero. 1 Vale la pena riportare il testo del carme per intero (85 Callebat = 86 Biicheler): 2 Hunc ego, o iuvenes, locum villulamque palustrem tectam vimine iunceo caricisque maniplis quercus arida, rustica formitata securi, nutrior, magis et magis ut beata quotannis. Huius nam domini colunt me deumque salutant pauperis tuguri, pater.filiusque adulescens, alter assidua colens diligentia ut herbae asper aut rubus a meo sint remota sacello, alter parva manu ferens semper munera larga. Florido mihi ponitur picta vere corolla, primitus tenera virens spica mollis arista, luteae violae mihi lacteumque papaver pallentesque cucurbitae et suave olentia mala, uva pampinea rubens educata sub umbra. Sanguine haec etiam mihi - sed tacebitis - arma barbatus linit hirculus cornipesque capeZZa. I Per il loro inserimento nell'Appendix Vergiliana cfr. RICHMOND 1 966, pp. 1 3 1 -133. Cir­ ca i tre priapei cfr. in particolare RICHMOND 1974, pp. 300-304. Per l'attribuzione dei carmi a Virgilio, oggi considerata assai poco credibile, cfr. SALVATORE ( 1 963) 1 994, p. 69. L'inclusione del componimento nella raccolta dei priapei non si ritrova in tutte le edizioni, poiché esso si discosta dai Carmina Priapea propriamente detti sia per tematiche che per origine e stile: cfr. CALLEBAT 2012, p. IX (il quale lo ha inserito nella raccolta, ma non ne ha redatto il commento). 2 Per la ricostruzione del testo originale (che ha sollevato numerosi dibattiti tra i filologi: cfr. SaLVATORE ( 1 963) 1 994, pp. 62-66) si è scelto di seguire l'edizione di CALLEBAT 20 12.

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Pro quis omnia honoribus hoc necesse Priapo est praestare et domini hortulum vineamque tueri. Quare hinc, o pueri, malas abstinete rapinas: vicinus prope dives est neglegensque Priapus. Inde sumite, semita haec deinde vos feret ipsa! Questo luogo, o giovani, e questa casetta palustre ricoperta di esile vimine e fasci di carice, io, quercia secca scolpita da rustica scure, nutro, affinché ogni anno diventino sempre più prosperi. Infatti i padroni di quest'umile casa, il padre e il figlio adolescente, mi venerano e mi chiamano dio: l'uno curandosi con assidua diligenza di rimuovere le erbacce o l'aspro rovo dal mio tempietto, l'altro recando spesso doni modesti in grande quantità. Durante la fiorente primavera mi viene offerta una ghirlandetta [colorata, il tenero grano con la flessibile spiga appena verde, a me gialle viole e latteo papavero e pallide zucche e pomi dal profumo soave, uva rossa cresciuta sotto l'ombra dei pampini. Inoltre queste armi - ma non ne farete parola - mi bagna col sangue il capretto barbato e la capretta dal piede di corno. In cambio degli onori è necessario che Priapo si prenda cura di tutto e protegga l' orticello e la vigna del padrone. Perciò, o fanciulli , astenetevi dai disonesti furti. Proprio qui vicino c'è un ricco e negligente Priapo: da lì prendete, questo stesso sentiero vi d conduce. (trad. di E. Bianchini, con ampie modifiche)

Priapo è generalmente conosciuto per la sua sfrenata sessualità e per l'irrefrenabile impulso all'accoppiamento, ma queste non sono le sue uni­ che caratteristiche. La sua genealogia è piuttosto insolita e ricca di varian­ ti: Diodoro Siculo, Pausania e Stefano di Bisanzio lo considerano figlio di Dioniso e Mrodite, 3 probabilmente seguendo la tradizione di Lampsaco, città in cui il dio godeva di maggiori onori e centro principale del suo cul­ to.4 Tuttavia esistono altre testimonianze che si distaccano dalla tradizione, 3 D10o. S1c. IV 6, l; PAus. IX 3 1 , 2; STEPH. Byz. s. v. Aapl{laKoç Billerbeck. Cfr. anche ScHOL. Lucian. Iupp. trag. 6; ScHOL. Apoll. Rhod. I 932-933a. 4 Cfr. CATULL. F 2; PAus. IX 3 1 , 2. In Priap. 55 è il dio stesso a definirsi «cittadino di Lampsa­ co», mentre LuciAN. Dia!. deor. 23, 2 afferma che in quella città Priapo possedeva una casa. Il culto di Priapo doveva comunque essere molto diffuso nei territori dell'Ellesponto e della Pro-

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8 . PRIAPEA assegnando a Priapo una madre differente, mentre solo raramente varia il padre.5 Assai curiosa la storia narrata dallo Pseudo Nonno Scolastico: dopo la nascita di Mrodite, Zeus si invaghì dell'eccezionale bellezza della dea e, unendosi a lei, la mise incinta. Hera scopri il tradimento e, essendo consapevole che il nascituro avrebbe superato in bellezza ogni altro figlio di Zeus, decise di intervenire per impedire che ciò accadesse. Si recò quindi da Mrodite, appoggiò le mani sul ventre della dea e recitò una formula magi­ ca che avrebbe provocato al bambino estrema bruttezza e un'irrefrenabile lussuria. Fu così che il figlio di Mrodite nacque effettivamente deforme, ragion per cui la madre, inorridita, lo scagliò sul versante di una monta­ gna, dove un pastore lo trovò, lo accudì e gli rese onore.6 Una storia simile è narrata dallo scoliaste di Apollonia Radio, il quale però sostiene che il bambino era figlio di Dioniso.7 Merita di essere sottolineata la frequente associazione di Priapo con quest'ultimo: Diodoro Siculo spiega la relazione sostenendo che gli uomini che hanno bevuto vino sono inclini ai piaceri amorosi e in tal modo egli chiarisce anche il motivo per cui il dio nacque dall'unione del figlio di Semele e Mrodite. 8 Tuttavia il legame con Dioni­ so, anch'egli connesso alla sfera vegetale e al suo sviluppo (basti pensare alla vite e all'edera), permette di comprendere meglio anche le prerogative che caratterizzano il figlio: non stupisce dunque che Priapo sia considerato protettore e garante dei campi e degli orti. 9 Il componimento in esame si discosta dal comune ritratto triviale del dio, rivelandosi piuttosto diverso rispetto al resto dei Carmina Priapea: l' au­ tore infatti tratteggia immagini lontane dall'oscena ironia che permea la raccolta, prediligendo al contrario un'atmosfera idillica, giocosa e raffina­ ta. Come di consueto il dio è sia il protagonista sia la voce narrante: egli pontide, tanto che spesso esso era chiamato Hellespontiacus: cfr. VERG. Georg. IV 1 1 1 ; Ov. Fast. I 440; VI 341 ; PETR. Satyr. 139, 2; ARNOB. Adv. nat. III l O . Cfr. anche CATULL. F 2 (Nam te praecipue in suis urbiùus colit ora /Hellespontia ceteris ostriosior oris). STRAB. XIII l , l 2 testimonia l'esistenza di una città chiamata Priapo, fondata dai Milesii o dai Ciziceni, in cui il dio era onorato a tal punto da diventare eponimo della città. Il culto di Priapo è testimoniato anche a Parlo, città della Misia nei pressi di Lampsaco: cfr. HESYCH. s. v. llap!U.voç Hansen. 5 STRAB. XIII l , 12 (Dioniso e una non meglio specificata Ninfa); ScHOL. Theocr. I 2 1 -22a (Dioniso e Ninfa Chiane); ScHOL. Lucian. Iupp. trag. 6 (Dioniso e Dione); HESYCH. s. v. np,,.,r:iooç Hansen (Dioniso e Perkote). TIBULL. I 4, 7 ricorda Priapo quale figlio di Dioniso, senza specifi­ care la madre. Solo HYGIN. Fab. 160 considera Mercurio padre del dio. 6 Ps. NoNN. Comm. in Greg. Naz. orat. V 29 Nimmo-Srnith. 7 ScHOL. Apoll. Rhod. I 932-933a. 8 DIOD. SIC. IV 6, l . 9 In A.P. VI 2 1 Priapo è definito KTJ1tOUp6ç (custode del giardino). Cfr. Priap. l , 5 ; 24, l ; 63 , 12; 8 1 , l ; Ov. Fas t . I 4 1 5 ; Iuv. VI 375; Anth. Lat. 885, 4 R!. -

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SEZIONE l - I L PAPAVERO N E LLA CULTURA E NELLA LETTERATURA ROMANA

stesso chiarisce il motivo della sua presenza e il ruolo da lui svolto. Egli si configura come una statua lignea posta a guardia di un modesto orticello, fatto che ricorre frequentemente all'interno del corpus priapeo e che tro­ va precedenti già in alcuni epigrammi ellenistici. 1 0 Accanto alla funzione di protettore e spauracchio per i malintenzionati, Priapo è responsabile della prosperità delle piante coltivate: grazie all'azione benefica del dio, il padrone del campo trae il sostentamento per sé e la sua famiglia. 1 1 Per questa sua benevolenza, il figlio di Dioniso è particolarmente venerato e riceve modesti ma continui doni, 1 2 che necessariamente devono coincidere con i prodotti dell'orto. I versi 1 0- 1 4 descrivono quelle che devono essere considerate le offerte per il dio, ovvero le primizie di ciascuna stagione: 1 3 una ghirlanda floreale in primavera, la spiga ancora verde, la lutea viola (da riconoscersi nella più nota viola tricolor L. o viola del pensiero) e il papavero in estate, mentre in autunno zucche, pomi e uva. 14 La mancata menzione di doni ricevuti durante l'inverno è spiegabile considerando come l'orto sia poco produttivo durante i mesi invernali e quindi sia più difficoltoso dedicare offerte al dio. Anche in un altro carme, come il precedente comu­ nemente inserito nell'Appendix Vergiliana (83 Callebat = 84 Biicheler), nulla viene donato a Priapo durante l'inverno ed egli stesso dà conferma della sua avversione nei confronti di questa stagione: IO Era consuetudine porre un statua del dio a protezione dei campi. È stato notato che il Priapo guardiano di orti e campi, temuta minaccia per qualsiasi ladro, è il tipo più frequente all'interno dei carmina che compongono i Priapea (si tratta di poco meno della metà, il 46,3%: cfr. RlcHLIN 1 983, p. 1 20 e nota 19). In Priap. l, 5 il dio è chiamato hortorum custos. Cfr. anche D1oo. S1c. IV 6, 4 ( àJJ..à Kai Ka'tà 1:àç àypouciaç òxropocpuÀ.aKa 1:éiiv àJ.lltEÀ.Ci>vrov àxoliEtKVUV'tEç Kai 1:éiiv Kijxrov); VERG. Bue. VII 34 (custos es pauperis horti); Georg. IV 1 1 0- 1 1 1 (custos furum atque avium cum falce saligna /Hellespontiaci servet tutela Priapi); HoR. Sat. I 8, 3-4 (fùrum aviumque / maxima fonnido); TIBULL. I l , 1 7- 1 8 (pomosisque ruber custos ponatur in hortis); Ov. Fast. I 391 (Caeditur et rigido custodi ruris asellus); I 4 1 5 (At ruber, hortorum decus et tutela, Priapus . . . ); VI 333 (ruber hortorum custos); CoLUM. X 3 1 -34; CoRNUT. 27; CIL V 2803 . Per i precedenti ellenistici cfr. A.P. XVI 236-243 . 1 1 Priap. 85, 1 -4 Callebat. L'uso del verbo nutrire è in questo caso decisamente funzionale al concetto che il poeta vuole esprimere. 12 Cfr. anche Priap. 53. 1 3 L'offerta di frutti a Priapo è testimoniata già da A. P. VI 22. In generale sul sacrificio di primizie cfr. BuRKERT 20032, pp. 1 64- 1 67. 1 4 In Priap. 1 6 si afferma che i pomi dell'orto custodito da Priapo sono degni di rivaleg­ giare con quelli dei più famosi miti (Atalanta e Ippomene, le Esperidi, Nausicaa, Aconzio e Cidippe). Offerte di pomi al dio sono testimoniate anche in Priap. 2 1 , mentre in Priap. 42 il contadino dedica pomi fatti di cera. Per quanto riguarda la viola, essa viene dedicata a Priapo al di fuori della primavera: la sua fioritura, come testimonia THEOPHR. Hist. plant. VI 8, 2, poteva durare tutto l'anno con le dovute cure. Pu N. Nat. Hist. XXI 27 sostiene che la viola gialla era la più pregiata tra le varietà coltivate. NICAND. Georg. F 74, 3 Gow-Scholfield paragona il colore della viola gialla all'oro.

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8. PRIAPEA

Vere rosa, autumno pomis, aestate frequentar spicis: una mihi est horrida pestis hiems! Namfrigus metuo et vereor ne ligneus ignem hic deus ignavis praebeat agricolis. In primavera con la rosa, in autunno con i pomi, in estate con le spighe io sono celebrato: uno solo è per me orrido flagello, [l'inverno. Infatti temo il freddo e ho paura che il dio di legno fornisca materiale per il fuoco agli inoperosi contadini. (trad. di E. Bianchini, con modifiche)

Non solo Priapo non riceve onori, ma è minacciato a causa del ma­ teriale con cui venivano generalmente fabbricate le sue statue, il legno, che offriva ai contadini il mezzo per scaldarsi nei giorni particolarmente freddi. Esiste tuttavia un caso in cui anche durante i mesi invernali vengo­ no riservate offerte al dio. Si tratta del terzo carme presente solitamente nell'Appendix Vergiliana, nel quale si afferma (84 Callebat = 85 Biicheler, vv. 6-9) : Mihi corolla picta vere ponitur, mihi rubens arista solefervido, mihi virente dulcis uva pampino, mihi recocta glauca oliva frigore . . . Mi viene offerta una ghirlandetta colorata in primavera, la spiga rosseggiante sotto il sole ardente, uva dolce nel verde pampino, l'oliva verdastra ricotta nei mesi freddi . . . (trad. di E. Bianchini, con modifiche)

Come si nota immediatamente, le primizie dedicate al dio sono sostan­ zialmente le stesse che compaiono nel carme 85, con la differenza che in quest'ultimo sono presenti altri vegetali, tra cui il papavero. 1 5 Dal momen­ to che Priapo riceve i doni prodotti dall'orto, è ragionevole riconoscere il papaver somniferum nella specie citata nel componimento: ne dà ulteriore conferma l'aggettivo utilizzato per caratterizzalo, ovvero lacteum. Più che 1 5 SALVATORE ( 1 963) 1994, p. 66 ha collegato la presenza dei termini lacteumque papaver con un verso di CATULL. LXI 195 (luteumve papaver), sottolineandone la derivazione. Al di là dei ragionevoli dubbi in merito a tale teoria (lacteum e luteum sono due aggettivi ben diversi), non si tratta qui di stabilire i modelli letterari cui l'autore del carme si ispirò, ma il motivo della specifica menzione del papavero come offerta a Priapo.

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SEZIONE I - IL PAPAVERO N ELLA C U LT U RA E N E L LA LETTERATURA ROMANA

connotare il colore del fiore, il termine richiama il lattice contenuto nella capsula immatura e segnala consapevolmente la specifica varietà di papave­ ro offerta: questa è senza dubbio il papavero da oppio, il solo a poter essere definito «latteo». 16 La pianta si configura dunque come una delle primizie che potevano essere dedicate al dio; questi, in quanto garante della prospe­ rità dell'orto, era particolarmente adatto a ricevere in dono un vegetale di largo uso. La funzione di Priapo, volta a favorire la crescita della vegetazione nei campi e negli orti, è inoltre ben attestata dalle testimonianze iconografi­ che, in particolare da una serie di statuette che lo raffigurano con la veste alzata a formare un recipiente, entro cui sono raccolti una serie di frutti e di elementi vegetali. 1 7 Per certi aspetti si rivelano ancor più interessanti al­ cuni manufatti in cui la statua del dio, generalmente posta su una colonna, riceve sacrifici: in tutti i casi vengono offerti ricchi doni vegetali. 18 Il carme 85 descrive dunque quello che doveva essere il tipico sacrificio in onore di Priapo, al cui interno poteva ben comparire anche il papavero. Purtroppo non è possibile riconoscere le capsule della pianta nelle raffigurazioni di offerte per il dio, tuttavia esiste un documento che ne attesta l' associazio­ ne anche in campo iconografico. Si tratta di un rilievo in terracotta (con­ servato nel Museo Greco-Romano di Alessandria d'Egitto) e databile in epoca tardo-ellenistica: in esso compare il dio imberbe, stante, con il capo coperto da una corona di piume, tipica di Amon-Min. Nella mano destra, alzata, tiene probabilmente un flagello, mentre in basso, ai lati delle gam­ be, si notano capsule di papavero e forse spighe. 1 9 In questo caso Priapo è stato raffigurato nei panni di Amon-Min (come testimoniano la corona di piume e il flagello) con il quale condivide la sua caratteristica principale: in origine infatti esisteva il dio itifallico Min (solo successivamente associato 1 6 GIOMINI ( 1 953) 1 962, p. 240 ha utilizzato il termine «lattiginoso». Del tutto inopportuna la spiegazione fornita da BIANCHINI 200 1 , p. 370, nota 8, il quale ha fatto riferimento a Ov. Fast. IV 1 5 1 e 547-548, dove il papavero viene mischiato con il latte. 1 7 MEGOW 1 994, nn. 76-90. 1 8 Cfr. in particolare MEGOW 1 994, nn. 19; 89; 1 29; 1 5 1 . In due casi (nn. 19 e 1 29) compa· re anche la vittima animale (rispettivamente una capra e un maiale), in accordo con quanto espresso nel carme circa i sacrifici cruenti: cfr. Pri.ap. 85, 1 5- 1 6 Callebat. 19 GRIMM 1 978, n. 1 42; MEGOW 1 994, n. 1 6 1 ha riconosciuto le capsule di papavero (Mohn­ kolben), ma è rimasto sul vago circa l'altro vegetale (Pjlanzen). Su una lekythos in sardonice di epoca claudio-neroniana compare la statua di Priapo in contesto eleusino: secondo MEGOW 1 994, n. 98, sono rappresentati Trittolemo, Kore e Demetra, la quale tiene una capsula di papa­ vero; davanti a loro si trova una piccola statua del dio. Tuttavia non è da escludere che le figure presenti sul vaso debbano essere riconosciute come due donne che partecipano alla processio­ ne insieme a una bambina, recando i simboli del culto eleusino (nel caso specifico due fiaccole, la capsula di papavero e una cesta contenente frutti).

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8. PRIAPEA

ad Amon), particolarmente venerato nell'alto Egitto.20 Esso aveva stretti legami con la prosperità della vegetazione e con la tutela dei campi colti­ vati, come testimoniano vari documenti; 2 1 in sostanza era una divinità che ben si adattava a essere associata a Priapo, data la stretta somiglianza delle funzioni svolte. Il legame di Priapo con divinità egizie è inoltre testimonia­ to anche da Diodoro Siculo, che lo identifica con Osiride e ne racconta la vicenda dello smembramento, mischiando elementi orfici alla tradizione originaria. 22 La presenza delle capsule di papavero, cui devono forse aggiungersi le spighe, 23 sul rilievo fittile di Alessandria potrebbe essere intesa anche in questo caso come un'offerta dedicata alla divinità che, non diversamente da Priapo, aveva il compito di favorire la prosperità delle colture attraverso le sue benevoli azioni. Inoltre va sottolineato che la pianta del papavero era conosciuta e coltivata in Egitto a partire almeno dalla diciottesima dinastia ( 1 5 75- 1 3 67 a.C.) e successivamente il suo utilizzo, in particolare in campo alimentare e medico, non venne meno. 24 Ecco dunque che la raffigurazio­ ne del papaver somniferum ai piedi di Priapo / Amon-Min acquista maggiore significato: al dio non vengono dedicati doni vegetali qualsiasi, ma specifici prodotti dell'agricoltura egizia che dovevano simboleggiare la prosperità elargita dalla divinità. 25

2o

Sul dio Min cfr. WATIERSON 1 984, pp. 1 87- 1 89; ARMouR 1 986, pp. 1 84· 1 87. Cfr. in particolare GAUTHIER 1 93 1 , pp. 230·24 1 . 2 2 Droo. S r c . IV 6 , 3 identifica Priapo con il perduto membro di Osiride, per il quale Iside istituì un culto. La presenza di motivi orfici è ben rintracciabile nella sostituzione operata in merito all'autore dello smembramento: nella tradizione egizia il compito è assegnato a Seth, mentre nel racconto diodoreo avviene per mano dei Titani. 23 L'identificazione potrebbe trovare conferma se si tiene conto che esisteva una festa in cui il grano mietuto era posto davanti alla statua antropomorfica del dio: cfr. WAINWRIGHT 1938, p. 19 e p. 73 . 24 Cfr. in particolare CRAWFORD 1973 , p. 23 1 . Sul papavero in Egitto cfr. anche supra, p. 20. La coltivazione del papaver somniferum è attestata con sicurezza da alcuni papiri di epoca tole­ maica: sull'argomento cfr. l'analisi condotta da CRAWFORD 1 973, pp. 232·25 1 . 2 5 Non concordo con GRIMM 1 978, n . 142, che ha inteso la presenza dei vegetali «als Sym­ bol seiner [scii. di Amon·Min / Priapo] Fruchtbarkeit». 21

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CONCLUSIONI DELLA SEZIONE LETTERARIA

L'analisi delle fonti letterarie ha evidenziato l'esistenza di numerosi ri­ ferimenti al papavero, che si concretizzano in maniera differente a seconda del tipo di testo, sia esso prosa o poesia. L'utilizzo eterogeneo della pianta in ambito letterario non consente di stabilire un unico significato valido per tutti i diversi contesti narrativi in cui viene menzionata: questi ultimi al contrario influenzano il suo simbolismo, che viene ad assumere diverse sfumature e si declina secondo le finalità dell'autore. Sebbene nei passi presi in esame non sempre si faccia specifico riferi­ mento alla varietà di papaver cui si allude, sulla base dell'indagine svolta penso di poter affermare che nella maggioranza dei casi (se non nella quasi totalità) si tratta del papavero da oppio che, per le sue caratteristiche mor­ fologiche e per le sue proprietà, consente senza dubbio un maggior nume­ ro di implicazioni. Dal punto di vista cronologico, le prime citazioni risalgono al 111-11 se­ colo a.C. nei testi di Plauto e Catone il Vecchio, che perlopiù offrono infor­ mazioni pratiche o legate all'ambito culinario. Un primo accenno alla fun­ zione simbolica del papavero è quello offerto dallo stesso Plauto nella sua metafora circa lo sperpero di denaro, ma sarà solo con gli autori di epoca augustea che la pianta verrà impiegata per alludere a precisi significati sim­ bolici, in particolare nelle opere di Virgilio, Ovidio e Livio. I primi due sono senza dubbio i poeti che utilizzano maggiormente il papaver, presente nella quasi totalità delle loro opere in modi e con finalità differenti, mentre per quanto riguarda la prosa Plinio è per ovvie ragioni colui che lo menziona con più frequenza, ma prevalentemente con scopi tecnico-botanici. L'im­ piego della pianta nella letteratura latina non si esaurisce nella prima età imperiale, ma prosegue sino ai secoli tardi dell'impero, soprattutto all'in­ terno degli scritti medici e nei Saturnalia di Macrobio. Al di là dei molti riferimenti al papavero riguardanti il suo utilizzo prati­ co e la sua conformazione fisica, l'impiego simbolico è riscontrabile soprat­ tutto in ambito poetico, talvolta tramite l'uso di figure retoriche quali la metafora e la similitudine. Quest'ultima può essere creazione originale del poeta, come il paragone offerto da Ovidio tra le sue numerose sofferenze - 1 83 -

S E ZI O N E I - IL PAPAVERO NELLA CULTURA E NELLA LETTERATURA ROMANA

e la gran quantità dei semi della pianta, oppure derivare da illustri prece­ denti, come nel caso in cui il reclinarsi del capo di un eroe morente viene accostato a quello del fiore sullo stelo, già presente in Omero e Stesicoro. In particolare a Virgilio si deve l'introduzione del papavero nel contesto letterario di episodi mitid che fino ad allora non ne prevedevano la presen­ za: è questo il caso dell'offerta di cibo da parte della sacerdotessa massila al serpente del giardino delle Esperidi e l'offerta funebre di papaveri letei, compiuta da Aristeo per placare Orfeo. Significativa è anche la sostituzio­ ne, operata da Ovidio nei Fasti e adottata da autori successivi, dell'alimento con cui Cerere spezza il digiuno: dal ciceone dell' Inno Omerico a Demetra si passa ai semi di papavero. Meritano un discorso a parte alcuni testi in prosa nei quali si fa menzione della pianta per ricollegarsi a tradizioni precedenti: è questo il caso del passo di Livio, in cui si narrano le vicende di Tarquinia e di Gabii, e di quello di Macrobio, in cui si riferisce il racconto tradizionale alla base dell'istituzione dei Compitalia. L'indagine sui testi ha permesso di evidenziare come la simbologia del papaver somniferum sia chiaramente collegata alle caratteristiche fisico-bota­ niche e alle proprietà che lo contraddistinguono. A seconda delle peculiari esigenze dei vari autori, viene ad esempio fatto esplicito riferimento alla particolare forma della capsula, che richiama alla mente una 'testa', così come l'abbondante numero di semi in essa contenuti viene utilizzato nel caso in cui si voglia rendere l'idea di grande quantità, sia essa riferibile a cose o sentimenti. La qualifica del papavero come somniferum o soporiferum, oltre a confermare la specie di riferimento, è naturalmente legata alle sue ben note proprietà sonnifere. Nemmeno l'indiscussa e delicata bellezza del fiore viene trascurata dagli autori: ne sono un chiaro esempio il passo di Ovidio relativo alla raccolta di fiori da parte di Proserpina e delle sue com­ pagne e quello di Virgilio circa la composizione della corona floreale che le Naiadi offrono ad Alessi. Anche la similitudine utilizzata dai due poeti per descrivere la morte di Eurialo e Giacinto è esplicativa di quanto la fragile bellezza del papavero si prestasse a essere associata a quella efebica dei due sfortunati giovani. Infine, in qualità di attributo divino, i testi dimostrano come esso non sia prerogativa esclusiva di un unico dio o dea, ma venga associato a diverse divinità: oltre all'abbondante documentazione relativa a Cerere, di cui è messo in evidenza lo stretto legame con la pianta, sono testimoniati riman­ di diretti a Venere Verticordia (il solo caso in cui il papavero è concretamen­ te attestato nel rito romano), Mania, Priapo, Somnus e Nox. Il motivo del­ le diverse associazioni è anche in questo caso riconducibile alle molteplici caratteristiche e proprietà del papavero, che di volta in volta sottolineano i poteri delle differenti entità divine. -

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SEZIONE II IL PAPAVERO NELL' IC ONOGRAFIA ROMANA

l.

LA CAMERA AFFRESCATA DELLA VILLA DI LIVIA A PRIMA PORTA

A pochi chilometri di distanza da Roma, più precisamente al nono mi­ glio della via Flaminia, nella piccola cittadina di Prima Porta (territorio am­ ministrato da Veio in età romana), era collocata una villa suburbana di pro­ prietà di Livia Drusilla, moglie di Augusto. 1 Gli scavi condotti a partire dal 1 863 e quelli successivi hanno portato alla luce buona parte delle strutture dell'edificio, ma soprattutto la celebre statua dell'Augusto di Prima Porta (oggi ai Musei Vaticani) e una camera ipogea, le cui pareti erano interamen­ te ornate da una raffinata e lussureggiante decorazione vegetale (Fig. 4).2 La notevole qualità artistica e la mirabile disposizione spaziale delle pitture fa supporre l'esistenza di modelli di riferimento (ragionevolmente di epoca ellenistica), di cui tuttavia fino a oggi non si ha conoscenza.3 Gli affreschi rappresentano un giardino di straordinaria bellezza, nel quale è presente un'ampia quantità di specie botaniche, sia alberi e arbusti (fra i quali si sono riconosciuti il pino, il cipresso, la quercia, la palma, il melagrana, il coto­ gno, l'alloro, l'acanto, il corbezzolo, il mirto, l' oleandro, il bosso) sia piante floreali (rose, crisantemi, pervinche, viole, iris, camomilla fetida - simile alla margherita).4 Tra queste ultime, in primo piano, compare anche una pianta dal delicato fiore blu slavato, raffigurato con la corolla reclinata, in maniera del tutto simile a quella del papavero (Fig. 5). A un primo sguar­ do, il giardino dipinto non sembra essere soggetto alla mano dell'uomo, poiché la vegetazione nasce rigogliosa e spontanea in un turbinio di forme I SVET.

Galb.

l; Plin .

Nat. Hist. XV 137.

z Cfr. CARRARA 2005, p. 18. Per problemi

di conservazione, nel 1951 gli affreschi furono staccati e portati al Museo di Palazzo Massimo alle Terme, dove sono tuttora collocati. In loco si trovano oggi riproduzioni delle pitture. 3 Cfr. GHEDINI 2015, p. 269; SETTIS 2008, p. 9.

Per la lista completa delle specie presenti cfr. MAZZOLENI 2004, p. 190; CANEVA 1999, p. 65; GABRIEL 1955, pp. 10-11. 4

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SEZIONE I I - IL PAPAVERO N E L L ' I C O N O G RAFIA RO MANA

e colori. Tuttavia, sono presenti almeno due elementi che connotano l' af­ fresco come raffigurazione di un giardino privato: infatti, nella parte infe­ riore delle pareti corre ininterrottamente una piccola staccionata di canne o rami intrecciati e in secondo piano una balaustra marmorea. Quest'ulti­ ma talvolta (più precisamente in cinque occasioni) si snoda verso l'interno dando luogo a un'esedra ospitante un albero (due abeti, una quercia e un pino),5 cui corrisponde un'apertura della staccionata: lo spazio tra le due recinzioni si configura quindi come una sorta di camminamento illusorio che separa la zona del giardino vero e proprio dal pavimento della camera. 6 Infine, tra la vegetazione è distinguibile una numerosa varietà di uccelli che popolano l'intera raffigurazione.7 Appare chiaro sin dal primo sguardo che le pitture avevano lo scopo di riprodurre un giardino di grande bellezza, che doveva evocare serenità e armonia nell'animo dello spettatore che si trovava davanti al meraviglio­ so spettacolo della natura rigogliosa. Tuttavia, la pressoché totalità degli studiosi ha focalizzato l'attenzione sul fatto che la vegetazione ritratta non tiene conto del ciclo stagionale: anzi, essa si caratterizza per la presenza di specie che fioriscono e fruttificano in periodi diversi dell'anno, ma nel dipinto le varietà appaiono tutte nel momento culminante del loro proces­ so biologico.8 A questo proposito alcuni studiosi, constatata l'irrealtà della rappresentazione, si sono posti il problema del significato dell'intera deco­ razione parietale: essi hanno dunque rivendicato un valore simbolico più o meno esplicito alla base delle pitture. Di questo avviso Reinhard Fortsch, il quale ha messo in relazione gli affreschi in esame con il fregio vegetale posto sulla parte inferiore del recinto dell'Ara Pacis e ha sottolineato la vo­ lontà di dare una precisa disposizione alle singole piante e di istituire un evidente schema compositivo che doveva ordinare il complesso figurativo in entrambi i monumenti.9 Secondo lo studioso, l'accurata distribuzione della natura avrebbe un valore significante, poiché strettamente collegato alla rappresentazione dell'aurea aetas così come descritta dalle fonti lettera­ rie latine. 10 Ne consegue che - agli occhi dello studioso - sia l'Ara Pacis sia la 5 Cfr. SANZI DI MINO 1998, p. 209; MESSINEO 2004, pp. 40-41. 6 Per una minuziosa descrizione delle singole pareti, pannello per pannello e scena per scena, si rimanda a GABRIEL 1955, pp. 32-42. 7 Per un catalogo dei volatili cfr. GABRIEL 1955, pp. 43-53. 8 GABRIEL 1955, p. 11; ANDREAE 1969, p. 457; FORTSCH 1989, p. 340; KELLUM 1994, p. 221; SANZI DI MINO 1998, p. 209; CANEVA 1999, p. 66; EVANS 2003, p. 303; MESSINEO 2004, p. 42; MAZ­ ZOLENI 2004, p. 191; SETT IS 2008, p. 6; CROISILLE 2010, p. 90. 9 Cfr. FORTSCH 1989, pp. 333-339. IO In particolare VERG. Bue. N 18-30 e 39-45; Ov. pp. 342-343.

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Met. I

89-112. Cfr. FORTSCH 1989,

l. LA CAM E RA AFFRESCATA DELLA VILLA DI LIVIA A PRIMA P O RTA

villa di Livia sarebbero espressioni della riguadagnata fecondità (neugewon­ nene Fruchtbarkeit) e della miracolosa prosperità proprie dell'età dell'oro che Augusto, attraverso la sua opera di pacificazione, avrebbe riportato e celebrato a Roma. 1 1 Alcune specie botaniche, in particolare l'alloro e l'a­ bete, avrebbero avuto il compito di richiamare alla mente significati sim­ bolici legati al principe e alle sue imprese: il primo sarebbe stato un chiaro rimando ad Apollo nella sua qualità di signore della nuova epoca aurea, 12 mentre il secondo rimanderebbe alla flotta navale di Augusto che aveva il compito di preservare la pace da poco ristabilita. 1 3 Tuttavia, Fortsch ha ri­ tenuto che le piante non debbano necessariamente esprimere sempre pre­ cisi messaggi: infatti esse avrebbero svolto perlopiù una semplice funzione estetico-decorativa. 1 4 Barbara Kellum ha invece affermato che il giardino dipinto debba sot­ tintendere significati più sottili rispetto al puro valore ornamentale: ella, come Fortsch, ha riscontrato la sua composizione sistematica e ha inoltre evidenziato la presenza di elementi ordinatori in primo piano, mentre altri, in secondo piano, contribuiscono a dare un certo qual senso di disordi­ ne.U La studiosa ha però posto l'attenzione sulla dicotomia ordine / disor­ dine che caratterizzerebbe la vegetazione del giardino dipinto: dalla flora ritmicamente ripetuta e coltivata in primo piano, si passerebbe a quella spontanea e aggrovigliata situata sullo sfondo. La lettura proposta per l'in­ tero complesso figurativo è da lei strettamente connessa con l'interpreta­ zione simbolica del fregio del recinto dell'A ra Pacis: in quest'ultimo caso, i girali di acanto, vite e alloro avrebbero avuto la funzione di armonizza­ re la complessità della decorazione, stagliandosi vistosamente sugli altri elementi vegetali. Il principio ordinatore, simbolo dell'azione dello Stato e dell'imperatore, sarebbe così prevalso sul caos, richiamato dalla natura Il A favore della connessione con l'età dell'oro SAURON 1994, pp. 572-573; CROISILLE 2010, p. 90. MAZZOLENI 2004, p. 191 ha riscontrato un'allusione simbolica ai concetti di prosperità, pace e benessere trasmessi anche dall'Ara Pacis.

12 F6 RTS CH 1989, p. 343. Lo studioso ha fatto probabilmente riferimento a VERG. Bue. IV 10 (tuus iam regnat Apollo). SANZI DI MINO 1998, p. 209 ha ravvisato un valore politico-sacrale dell'alloro in relazione al programma augusteo. 1 3 F6 RTS CH 1989, p. 343. Lo studioso è comunque consapevole dell'impossibilità di di­ mostrare concretamente tale allusione: «Es kann daher nicht ausgeschlossen werden, daB auch im Gartensaal die augusteische Hauptbedeutung der Fichten gemeint war». Ha concordato REEDER 2001, p. 95. 1 4 F6 RTS CH 1989, p. 343. 1 5 KE LLUM 1994, pp. 215-217. La studiosa ha considerato elementi ordinatori i fiori in pri­ mo piano e i cinque alberi al centro delle esedre; al di là della balaustra marmorea si sarebbe lasciato spazio alla natura selvaggia composta da piante, arbusti e alberi, che crescono in ma­ niera spontanea.

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SEZIONE I I - IL PAPAVERO NELL'ICONOGRAFIA RO MANA

selvaggia. Secondo Kellum, il medesimo significato vale anche per la deco­ razione della camera ipogea della villa di Livia: «The juxtaposition of the wild and the cultivated in the trompe-1' oeil Garden Room at the Villa of Livia accomplishes the same thing, harmonizing the beneficent world of nature and that of the state under a common rule of organic order». 16 La studiosa ha collegato la presenza di specifiche piante con una sorta di cele­ brazione dell'ideologia propagandistica del principe: la quercia avrebbe di fatto richiamato alla mente la corona civica, che Augusto aveva ottenuto per decreto del Senato, 17 mentre la palma, oltre a configurarsi come simbolo di vittoria, viene connessa con Apollo e con una non meglio specificata rigenerazione dello stato; infine, il posto d'onore è riservato ovviamente all'alloro, pianta apollinea per eccellenza e particolarmente significativa in relazione al messaggio politico augusteo. 18 Poiché esisteva un racconto metamorfico sull'origine dell'alloro (il celeberrimo mito di Apollo e Daf­ ne), Kellum ha creduto che il concetto di generazione avesse un ruolo di primo piano nella simbologia degli affreschi e per questo motivo ha mes­ so in evidenza come molte delle piante rappresentate, così come buona parte degli uccelli, siano connesse a miti di metamorfosi. La studiosa ha concluso il suo ragionamento asserendo che «The metamorphosis theme is invariably coupled with signs of burgeoning fertility» e che in definitiva il giardino della sala ipogea della villa di Livia aveva il compito di alludere e di celebrare la perpetua vittoria di Augusto e l'instaurazione della pace direttamente dipendente dall'azione dell'imperatore. 1 9 Per la verità, l'ipotesi di un certo valore simbolico rivestito dagli affre­ schi è stata avanzata già da M abel Gabriel nel19 55. In un primo momento, ella ha sottolineato la totale mancanza di elementi che potessero alludere direttamente a un contesto sacrale; tuttavia ha messo in evidenza come, nella mentalità antica, il sentimento religioso permeasse ogni cosa e come tutte le piante raffigurate nel giardino avessero un legame diretto con una divinità.20 La studiosa ha dunque proseguito la sua indagine redigendo 1 6 KE LLUM 1994, p. 217. La studiosa è giunta addirittura a paragonare il giardino dipinto della villa di Livia con quello del vecchio di Corico descritto da Virgilio (Georg. IV 125-148). Tale parallelismo sembra piuttosto azzardato poiché, sebbene molte piante presenti nel cam­ po dell'anziano contadino siano le stesse che si ritrovano rappresentate sulle pareti della sala, Virgilio è preciso nell'indicare la modestia dell'orto del senex (che simboleggia il trionfo dell'at­ tività umana su una natura poco favorevole: VE RG . Georg. IV 127·129), fatto che stride con l'abbondanza lussureggiante del giardino di Livia. 1 7 AuG.

Res gest.

34, 2.

1 8 KE LLUM 1994, pp. 218-221. 1 9 l> . 33 RE EDER 200 1 , pp. 92·96. 34 REEDER 200 1 , p. 88. I fiori avrebbero avuto il compito di richiamare le ghirlande nuziali, mentre gli uccellini avrebbero simboleggiato «erotic passion and maritai happiness». 28 CANEVA 1 999,

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l. LA CAMERA AFFRESCATA DELLA VILLA DI LIVIA A PRIMA P O RTA

Ora, si rende necessario fare un po' di ordine all'interno delle interpre­ tazioni avanzate dagli studiosi: in primo luogo, la presunta connessione proposta da Fortsch e Kellum tra il giardino della villa di Livia e l'Ara Pacis è al momento una pura e ipotetica speculazione, che non trova alcuna con­ ferma nelle informazioni di cui si dispone. Bisogna infatti tenere conto che i due monumenti avevano finalità ben diverse: gli affreschi erano situati in un'abitazione privata, mentre l'altare aveva evidentemente una funzione pubblica e propagandistica. Difficile pensare che agli eventuali visitatori della sala, con tutta probabilità appartenenti alla cerchia favorevole all'o­ perato del principe, dovessero essere ribaditi concetti che essi stessi condi­ videvano. Il richiamo alla prosperità e all' aurea aetas, che Augusto avrebbe riportato e magnificato, in un ambiente privato avrebbe avuto scarse ri­ percussioni sulla vita politica dell'Urbe.35 Non è certo un caso che questi concetti siano stati celebrati in un'occasione ufficiale, cioè durante lo svol­ gimento dei Ludi saecu.lares, come testimonia il carme di Orazio composto per tale avvenimento. 3 6 Del tutto fuori contesto risulta anche il richiamo alla flotta augustea proposto da Fortsch e favorito dalla presenza dell'abete: una simile allusione non trova ragion d'essere nel complesso iconografico degli affreschi.37 Difficile inoltre intravvedere una contrapposizione ordi­ ne / disordine, attraverso la quale si sarebbe resa manifesta la condotta poli­ tica del principe, poiché non vi è nulla che possa rimandare esplicitamente a simili significati. La teoria - dal sapore strutturalista - proposta da Barba­ ra Kellum si configura dunque come una semplice congettura, senza prove decisive a suo favore.38 Un discorso analogo vale anche per la constatazione della presenza di molte specie vegetali e di uccelli legati a miti metamorfici: tale riscontro non pare utile a evidenziare particolari significati reconditi all'interno del giardino dipinto.39 35 Una critica all'ipotesi circa l'età dell'oro si trova già in CANEVA 1 999, p. 78, benché for­ mulata con argomenti assai poco convincenti. Eccessiva l'asserzione, per giunta piuttosto ca­ tegorica, di SAURON 1 994, p. 572: «Avec tous ces décors qui furent le cadre de la vie de la domus Augusta après cette date (scii. 30 a.C.) nous sommes sans doute en présence d'une représenta­ tion concertée du retour de l'Age d'Or, d'une illustration adaptée au domaine privé du thème centrai de l'idéologie augustéenne ...». Ricorrere all'età dell'oro per spiegare il significato di ogni opera d'arte augustea appare un espediente semplicistico e per certi aspetti superficiale, che pecca di troppa uniformità e appiattimento di giudizio. In tal modo si evita di analizzare e problematizzare singolarmente i differenti manufatti. 3 6 Cfr. ZANKBR ( 1 987 ) 2006, pp. 180- 1 84. 37 Critiche a tale interpretazione già in CANEVA 1 999, p. 72 . 3s Personalmente penso che sia stato semplicemente raffigurato un giardino dalla flora spontanea. 39 L'improbabilità delle teorie di Kellum è già stata rilevata da CANEVA 1 999, p. 78.

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SEZIONE II - IL PAPAVERO N E LL'I C ONOGRAFIA ROMANA

Per quanto riguarda l'interpretazione espressa da Gabriel, la studiosa ha condotto un'analisi simbolica degli elementi vegetali in maniera sem­ plicistica e meccanica, assai poco pertinente al contesto degli affreschi. Al di là della mera constatazione dei legami tra le varie piante e singole o più divinità (peraltro indiscutibili ed effettivamente attestati), nulla viene espli­ citamente affermato in merito al significato complessivo dell'apparato ico­ nografico. Ella stessa si è trovata in evidente difficoltà nell'avanzare ipotesi concrete, limitandosi ad ammettere la possibilità che le pitture potessero alludere a significati più profondi, senza specificare nulla in merito. Anche le teorie proposte da Caneva sono assolutamente fantasiose e totalmente prive di fondamento: la ripresa, sull'esempio di Gabriel, di una simbologia botanica sbrigativa e superficiale (spesso ancor più immaginifica e del tutto carente di prove attendibili a suo favore), incentrata sul rapporto antinomi­ co tra elementi funebri e rigenerativo-vitali e intesa a esprimere significa­ ti mistico-religiosi, appare a chiunque abbia un minimo di dimestichezza con il mondo antico come una bizzarria inammissibile.40 L'interpretazione avanzata dalla studiosa deve a buon diritto essere annoverata nel filone del­ la 'fantascienza esegetico-mitologica' . Allo stesso modo risultano poco convincenti le idee di Reeder: assegna­ re alla riproduzione di un giardino un valore sacrale in mancanza di ele­ menti o di indizi che possano favorire una simile interpretazione è un' ope­ razione deliberatamente arbitraria. Infatti è certamente vero che i Romani assegnavano al bosco un'aura sacrale, ma ciò dipendeva dalla credenza che una precisa divinità fosse presente e presiedesse a quel luogo. Ella ha svi­ luppato un'interpretazione simbolica delle singole specie che risente della medesima superficialità di quelle condotte da Gabriel e Caneva, benché si sia mostrata consapevole dei limiti intrinseci di tale impostazione.4 1 An­ che l'ipotesi che considera la grotta una manifestazione dell'ubertas e della 40 Trovare all'interno di un articolo scientifico, alle soglie del nuovo millennio, definizioni quali •le dee lunari Core-Persefone» (CANEVA 1999, p. 72) o «l'Eracle mistico»- inteso come simbolo della lotta per il conseguimento dell'immortalità (CANEvA 1999, p. 78) - denotano la profonda inesperienza dell'autrice su questioni mitologico-religiose. D'altronde l'analisi sim­ bolica di Caneva si basa su testi di scarsissima qualità scientifica, quali il Florario di Alfredo Cat­ tabiani e La mitologia degli alberi di jacques Brosse, o!tra al dilettantesco Dizionario dei Simboli di Chevalier-Gheerbrant. 4 1 REEDER 200 1 , p. 95: «Although it is true that the meaning of the painting of Livia's 'garden room' cannot be obtained by a simple listing or sum of the divinities represented by the varieties of trees and vegetation, especially since many of the plants were sacred to more than one deity, but only through a framework for the whole do the individuai species obtained their meaning, it would be foolish to omit the obvious and one may begin with the most important divinities represented». Inaccettabile anche il collegamento dell'intero affresco con Diana Nemoren.sis, che si basa soltanto sulla presenza di alcune specie vegetali associate alla dea.

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securi.tas garantite dall'azione benefica di Augusto risulta del tutto indimo­ strabile e gli indizi portati a suo sostegno sembrano assai fragili e poco significativi.42 Parimenti discutibile è l'affermazione della studiosa secondo cui anche la camera della villa di Livia avrebbe dovuto uniformarsi alla complessità espressiva di qualunque altra opera d'arte augustea.43 Infatti è altrettanto possibile il contrario, cioè che non vi siano ragioni sufficienti per dimostrare la reale presenza di riferimenti a specifici concetti all'inter­ no delle pitture, soprattutto tenendo conto che, a differenza della maggior parte delle opere d'arte commissionate da Augusto, la sala faceva parte di un complesso privato e suburbano, dedicato principalmente allo svago e all'otium. A mio avviso, il limite di coloro che hanno rivendicato tali significati simbolici alla base degli affreschi della villa di Livia risiede nel voler cercare a ogni costo messaggi allegorici in qualunque rappresentazione artistica, senza tenere conto del contesto e della funzione del singolo monumento.44 L'attribuzione meccanica, e per certi aspetti ingenua, di significati simbolici alle singole specie botaniche, a loro volta legate a varie divinità, risulta un procedimento del tutto superfluo e metodologicamente inaccettabile in re­ lazione alle pitture della villa di Livia: stando a quanto sostenuto da questi studiosi, bisognerebbe ammettere che, ogniqualvolta veniva rappresentata una specifica pianta, lo spettatore romano la associasse automaticamente a un dio o a una dea e alla relativa vicenda mitica, seppur in totale mancanza di qualsiasi tipo di elemento che potesse avvalorarne la connessione.45 Al 42 Non convince nemmeno la teoria che vuole collegare la rappresentazione del giar­ dino con le nozze della coppia imperiale: non vi è alcun elemento che possa avvalorare tale congettura. 43 REEDER 200 1 , p. 76. 44 A favore del presunto significato simbolico delle decorazioni della villa di Livia non è rilevante nemmeno il fatto che la celebre statua dell'Augusto di Prima Porta venne ritrovata in loco: infatti essa è con tutta probabilità una copia di un originale in bronzo, che doveva essere collocato in una piazza pubblica: cfr. MiiLLER 1 94 1 , pp. 498-499; KXHLER 1956, p. 346; joHANSEN 1976, p. 49 (anche ZANKER ( 1 987) 2006, p. 200 ha ritenuto l'Augusto di Prima Porta una copia). Ne consegue che il compito di veicolare precisi messaggi propagandistici era assegnato princi­ palmente all'originale bronzeo; la statua marmorea avrebbe dunque rivestito un ruolo simbo­ lico del tutto secondario. A tal proposito, MiiLLER 1 94 1 , p. 499 (seguito da KXHLER 1 956, p. 350) ha ipotizzato che la copia in marmo fosse stata commissionata da Livia dopo la morte del marito, nel 14 d.C., rivendicando come prova lo stile più vicino all'arte del I secolo d.C.; contra SIMON 1957b, pp. 64-65 , la quale però sembra rifiutare tale datazione per l'originale (di simile avviso jOHANSEN 1 976, p. 51). Anche Ki.YNNE-LIIJENSTOLPE 2000b, p. 127 hanno ritenuto che la copia marmorea non rivestisse particolare importanza in relazione alla propaganda augustea. 45 Paradigmatico in tal senso l'esempio della melagrana: GABRIEL 1955, pp. 12-13 ha ri­ levato come il frutto sia connesso nella mitologia tanto a Persefone, ad Afrodite, a Hera e a Dioniso. A questo punto ci si dovrebbe domandare quale fra queste divinità doveva avere la

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contrario, il simbolismo di qualunque oggetto o attributo è strettamente legato alla sua posizione e al contesto generale della rappresentazione. Per redigere un'analisi accurata circa le pitture della sala ipogea e del loro presunto simbolismo, mi pare più corretto partire dalla verifica delle testimonianze fornite dagli autori romani sulla pratica di costruzione e de­ corazione dell'hortus. Le fonti antiche che offrono informazioni in merito ai giardini sono piuttosto scarse e per di più spesso indirette; tuttavia è pos­ sibile, almeno in parte, venire a conoscenza delle specie particolarmente apprezzate e utilizzate. 46 Una lettera di Plinio il Giovane si rivela di grande importanza in tal senso: trattando della sua villa preferita, situata nella cit­ tadina di Tusci (nella Val Tiberina, nei pressi di San Giustino), egli afferma che il suo giardino era composto da piante quali il platano, l'edera, il bosso, l'alloro, il cipresso e l'acanto. 47 Molte di queste varietà botaniche compaio­ no anche negli affreschi della villa di Livia. Oltre a ciò, Plinio testimonia la presenza di rose e di alberi da frutto (di cui non vengono fornite maggiori specificazioni),48 in conformità con quanto raffigurato nelle pitture. Plinio il Vecchio, dal canto suo, inserisce tra le piante topiariae l' adianto, l'acanto, la pervinca, il mirto e il cipresso.49 Lo stesso autore sostiene infine che la parola hortus indica ormai soltanto luoghi piacevoli, dedicati allo svago. 5° Da quanto emerge dalle fonti, sembra che la maggior parte della flora presente nel giardino dipinto corrisponda a quella effettivamente utilizzata precedenza sulle altre agli occhi di un Romano e favorire così la corretta interpretazione sim­ bolica. La preminenza attribuita da CANEVA 1 999, pp. 72-73 a Cibele in relazione alla melagrana si configura come una scelta puramente arbitraria attuata dalla studiosa, così come il suo sim­ bolismo legato alla morte, alla fecondità e alla rigenerazione, concetti che non trovano alcun supporto a loro favore nella rappresentazione del giardino in esame. 46 Cfr. in particolare GRIMAL ( 1 944) 1 990, pp. 274-278. 47 PLIN. MIN. Epist. V 6, 32-33 (Medius patescit statim que intrantium oculis totus offertur, platanis circumitur; illae hedera vestiuntur utque summae suis ita imae alienisfrondibus virent. Hedera truncum et ramos pererrat vicinasque platanos transitu suo copulat. Has buxus interiacet; exteriores buxos circumvenit laurus umbraeque platanorum suam confert. Rectus hic hippodromi limes in extre­ ma parte hemicyclio frangitur mutatque faciem: cupressis ambitur et tegitur densiore umbra opacior nigriorque. . . ) e 36 (Post has acanthus hinc inde lubricus et jlexuosus . . . ) HoR. Carm. II 1 5 , 1 - 1 2 si lamenta di come il terreno delle ville non venisse più utilizzato per coltivare piante utili, come voleva l'antica tradizione romana, ma fosse riservato al lusso e a specie decorative. Tra queste ultime il poeta fa menzione del mirto, dell'alloro, del platano e delle viole. MARTIAL. III 58, 1 -5 inserisce tra le piante da giardino l'alloro, il mirto e il bosso. 48 PLIN. MIN. Epist. v 6, 34-35. 4 9 PuN. Nat. Hist. XV 122 (mirto); XVI 140 (cipresso); XXI 68 (pervinca); XXII 62 (adianto); 76 (acanto). Cfr. GRIMA L ( 1 944) 1 990, p. 275. Differenti varietà di mirto e alloro sono consigliate anche da CATO MAIOR De agr. VIII 2. s o PLIN. Nat. Hist. XIX 50: lam quidem hortorum nomine in ipsa urbe delicias agros villasque possident. .

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per la realizzazione degli horti romani. È quindi assai improbabile che que­ ste specie vegetali avessero la funzione di esprimere un messaggio simbo­ lico legato al mito, alla politica o alla sfera funebre all'interno del contesto topiario: come applicare il significato funebre al cipresso o al melograno in relazione alla realizzazione di un giardino? Di certo sarebbe stato di cattivo gusto (oltre che di cattivo auspicio) decorare i propri viridaria con piante che avrebbero dovuto rievocare concetti lugubri e legati alla morte. Infat­ ti Plinio il Giovane, trattando della presenza nel suo giardino di alberi da frutto alternati a piccole colonne, afferma che essi dovevano richiamare alla mente una sorta di ricostruzione della campagna all'interno di un pre­ ciso contesto ornamentale, 5 1 al fine di creare suggestivi scorci paesaggistici. Non è quindi così fuori luogo ipotizzare che la flora dipinta sulle pareti della villa di Livia sia stata scelta prevalentemente in conformità con la tra­ dizione topiaria romana: la funzione delle pitture era quella di rimandare a un vero giardino, idealizzandolo ed elevandolo alla massima potenza. A tal proposito, va sottolineato come gli archeologi abbiano individuato ben quattro zone della dimora extraurbana dell'imperatrice che possono essere considerate a tutti gli effetti degli horti veri e propri: la prima, definita 'pic­ colo giardino', si trovava all'interno dell'abitato, dietro l'atrio e al di là di un ambulatorium. Esso doveva esistere già a partire dalla fine dell'epoca re­ pubblicana (probabilmente intorno ai primi anni del quartultimo decennio del I secolo a.C.) e conteneva certamente piante con funzione decorativa, dal momento che è stato rinvenuto un buon numero di ollae peiforatae, vasi utilizzati come contenitori della flora. 5 2 La seconda zona è stata individua­ ta intorno a un peristilio circondato da un portico, ma la presenza di un giardino è al momento congetturale, poiché l'ipotesi della sua esistenza si basa sul confronto con altre ville situate in Campania. 53 La terza doveva collocarsi nel punto in cui oggi sono visibili i resti del ftigidarium delle ter­ me create in età severiana, in parte costruite su quello che doveva essere un ninfeo di epoca tardo-repubblicana. 54 Infine, accanto al complesso abitati5 1 PLIN. MIN. Epist. V 6, 35. Anche LONG. SOPH. IV 2, 1 -6, nel descrivere un meraviglioso giardino, menziona sostanzialmente le medesime piante: alberi da pomo, mirti, peri, melogra­ ni, fichi, olivi, viti, cipressi, allori, platani, pini. Non manca nemmeno una lunga lista di fiori. 5 2 Purtroppo non è possibile stabilire quali specie crescessero nel giardino, poiché le ollae furono esposte agli agenti atmosferici dopo il loro dissotterramento e quindi un'analisi del pol­ line risulterebbe completamente inutile: cfr. LILJ ENSTOLPE-KLY NNE 1997- 1998, pp. 130-1 3 1 . Per maggiori dettagli circa il 'piccolo giardino' e i vasi in esso ritrovati cfr. LILJENSTOLPE-KLY NNE 1997- 1 998, pp. 128-135; R. EEDER 200 1 , pp. 9-10. Cfr. anche KLY NNE-LILJENSTOLPE 2000a, pp. 223225, dove si ipotizza che l'hortus fosse composto sia da piante floreali sia da piccoli alberi. 53 LILJENSTOLPE-KLYNNE 1 997- 1 998, p. 128. 54 LILJENSTOLPE-KLY NNE 1 997- 1 998, p. 128.

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vo, sorgeva un'ampia terrazza adibita a giardino, che con buona probabilità doveva contenere al suo interno una zona destinata a un giardino pensile.55 È quindi manifesto l'amore dei nobili proprietari della villa per la na­ tura e ciò è testimoniato anche dalle fonti letterarie: Svetonio sostiene che Augusto prediligeva ornare le sue dimore extraurbane con colonnati e bo­ schetti, piuttosto che con statue e quadri.56 È altrettanto vero però che la residenza di Prima Porta è costantemente legata al nome di Livia, essendo quasi certamente un suo possedimento ancor prima del matrimonio con il futuro imperatore.57 Questo fatto apre un problema di cui forse si sono ignorate le ripercussioni: se la villa era una proprietà di Livia, non è da escludere che la committente degli affreschi debba essere individuata pro­ prio nella futura imperatrice. 58 Per confermare una simile opportunità bi­ sognerebbe essere certi della data di realizzazione delle pitture, con buona probabilità eseguite tra il 40 e il 20 a.C .59 Se fosse possibile datare i dipinti nei primi anni del ventennio, verrebbero meno tutte le presunte implica­ zioni politiche e propagandistiche che gli studiosi hanno voluto assegnare alle immagini, poiché probabilmente Augusto non prese parte alla scelta del soggetto. Allo stato attuale tale teoria rimane soltanto una congettura impossibile da dimostrare, ma di certo è una possibilità non così remota dal momento che la proprietaria della villa era per l'appunto Livia e l' edi­ ficio era già stato edificato prima del suo secondo matrimonio. 60 A soste55 C fr. in particolare KLYNNE·LILJENSTOLPE 2000a, pp. 225-23 1 ; REEDER 200 1 , pp. 1 0- 1 1 . 5 6 SVET. Aug. 72. 57 SVET. Galb. l afferma che, dopo il matrimonio, Livia si recò nella villa di Prima Porta che era già di sua proprietà (Liviae olim post Augusti statim nuptias Veientanum suum revisenti . . ). Difficile stabilire se essa fosse patrimonio dell' imperatrice pervenutole in eredità dalla propria famiglia o se fosse entrata a far parte dei suoi possedimenti grazie all' unione con il suo primo marito, Tiberio C laudio Nerone. C fr. CARRARA 2005 , p. 1 7, il quale sembra propendere per la prima ipotesi, e RE EDER 200 1 , pp. 29-34. BARRETT (2002) 2006, p. 256 ha ipotizzato che Livia non possedesse particolari beni prima del 39-38 a.C . , a eccezione forse della villa di Prima Porta. .

5 8 Mi trovo particolarmente d' accordo con quanto affermato da RE EDER 200 1 , p. 12: «She

[scil. Livia] must have had the larger role in the decoration of her villa and th e planning of garden there». Ancora più esplicita REEDER 200 1 , p. 76: «Livia undoubtedly commissioned th e painting of the garden room . . >>. Inoltre Livia aveva la possibilità di amministrare direttamente il suo patrimonio: cfr. RE EDER 200 1 , p. 34. 59 SETTIS 2008, p. 5 (tra il 40 e il 20 a.C .); SANZI DI MINO 1 998, p. 213 (tra il 30 e il 20 a.C .). C fr. anche RE EDER 200 1 , p. 28. ANDREAE 1 969, p. 458 e MAZZOLENI 2004, p. 191 si sono schierati a f avore di un arco cronologico compreso tra il 20 e il lO a.C ., mentre CARRARA 2005, p. ZZ ha ipotizzato la realizzazione negli anni immediatamente successivi al 3 8 a.C . Infondata l' ipotesi di CAGIANO DE AzEVEDO 1953, p. 46, che ha ritenuto gli affreschi espressione dell' arte propria della prima metà del I secolo d.C . GABRJEL 1955, p. 6 ha preferito non prendere posizione, limi­ tandosi a notare l' appartenenza degli affreschi al secondo stile pompeiano. .

60 ANDREAE 1 969, p. 454 ha ritenuto ch e la sala ipogea fosse già esistente prima ancora

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l. LA C A M E RA AFFRESCATA DELLA VILLA DI LIVIA A PRIMA PORTA

gno di questa ipotesi, Svetonio testimonia i luoghi in cui Augusto amava maggiormente ritirarsi e trascorrere il suo tempo: le località marittime (in particolare le isole della Campania) e le cittadine vicine a Roma, fra le quali Preneste, Lanuvio e Tivoli, ma non Prima Porta. 6 1 Tale località non doveva essere annoverata tra le favorite del principe e quindi mi pare azzardato assegnare alle pitture che decoravano l'abitazione un valore tanto impor­ tante in relazione alla propaganda politica augustea. Sembra inoltre che, anche dopo le nozze, la villa veientana fosse considerata ancora proprietà privata di Livia; certamente non si vuole negare che suo marito vi abbia soggiornato e abbia potuto intervenire nelle decisioni di 'restyling' , ma la figura principale legata al complesso abitativo è certamente la moglie. In­ fatti ella fu la protagonista di un celebre avvenimento che accadde proprio nel territorio della dimora extraurbana: recatasi nella sua proprietà appe­ na dopo aver sposato Augusto, Livia vide un'aquila che, volando sopra di lei, le lasciò cadere in grembo una gallina bianca che teneva nel becco un ramoscello d'alloro. L'imperatrice interpretò l'evento come un prodigio propizio e decise di piantare il rametto, da cui nacque un boschetto rigo­ glioso, le cui fronde erano utilizzate da tutti gli imperatori giulio-claudi per la creazione delle corone trionfali. Si prese inoltre cura del volatile e ne al­ levò altri: proprio dalla presenza delle galline bianche prese il nome la villa, spesso definita ad Gallinas A lbas .62 Va inoltre sottolineato come Livia fosse profondamente appassionata di giardinaggio e di piante, tanto da dare il nome a una varietà di fico che ella stessa fece introdurre; anche il particola­ re alloro che ella piantò a Prima Porta prese il nome di «Augusta».63 Al fine di una valutazione del significato attribuibile agli affreschi non è di secondaria importanza stabilire la funzione che la camera sotterranea doveva rivestire nel complesso abitativo. Purtroppo non vi sono elementi dirimenti in tal senso, ma la maggior parte degli studiosi ha sostenuto che si trattasse di un triclinio, utilizzato forse durante la calura estiva per go­ dere del fresco.64 Questa eventualità sembra trovare conferma in un passo che Livia ereditasse la villa. Tuttavia lo studioso ha optato per una datazione degli affreschi piuttosto tarda (20· 1 0 a.C.). 6 1 SvET.

Aug. 72. Galb.

62 Cfr. SvET.

l; PLIN.

Nat. Hi.s t. XV 1 3 6- 1 3 7 ; DIO CAss. XLVIII 52, 3-4; LXIII 29, 3 . Nat. Hi.st. XV 70; CowM. V 1 0, 1 1 ; MACROB. Sat. I I I 20, l. Cfr. anche REEDER 200 1 , p. 1 2 . Per l'alloro: PLIN. Nat. Hi.st. XV 1 29; XVII 60. Cfr. BARRETT (2002) 2006, p. 1 73 . Livia fu eponima anche di un tipo di carta ricavata dal papiro: PLIN. Nat. Hi.st. XIII 74. 64 Di q uesto avviso SAURON 1 994, p. 572 (triclinium aestivum); EVANS 2003 , p. 303; MESSINEO 63 Per il fico: PuN.

2004, p. 4 1 ; MAZZOLENI 2004, p. 1 90; CARRARA 2005, p. 22; CROISILLE 20 10, p. 89 («sans doute un triclinium»). SETTIS 2008, p. 6 ha preferito non sbilanciarsi, limitandosi a constatare l'impossibilità di stabilire la funzione originaria della sala. L' idea di CANEvA 1 999, p. 78 di riconoscervi una ca-

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SEZIONE II - IL PAPAVERO NELL'I C O N O G RAFIA ROMANA

di Plinio il Giovane, dove si menziona un criptoportico sotterraneo il cui clima refrigerante poteva persino risultare rigido durante l'estate. 65 Reeder ha inoltre convincentemente dimostrato la possibilità che la sala affrescata di Prima Porta facesse parte di un criptoportico, poiché era collegata con altre stanze sotterranee.66 La studiosa ha osservato che tali complessi era­ no solitamente assegnati all'otium nelle ville più lussuose: il criptoportico avrebbe avuto la funzione di ambulatio che avrebbe permesso l'accesso a un triclinium. Quest'ultimo è stato individuato nella camera dipinta che, nella sua configurazione di pseudo-grotta, avrebbe rivestito a buon diritto la funzione di sala da pranzo. 67 Gli archeologi hanno dimostrato che tale ambiente venne pesantemen­ te danneggiato con buona probabilità durante il terremoto che colpì il ter­ ritorio nel 1 7 a.C . : esso venne quindi interamente colmato con terriccio e macerie, per potervi costruire al di sopra la sala più ampia e prestigiosa del­ la villa . 68 Come conciliare dunque l'estrema importanza attribuita al locale e in particolare alle sue pitture, espressione di precisi significati simbolici, con la decisione di interrarla, condannandola all'oblio? Se davvero gli affre­ schi avessero avuto il compito di promuovere un messaggio propagandi­ stico-ideologico, i proprietari non avrebbero dovuto quantomeno cercare di limitare i danni e tentare di riportarli alla luce? Accadde invece l'esatto contrario, fatto che deve necessariamente ridimensionare il valore riser­ vato alla camera, da intendersi probabilmente come un semplice (seppur raffinatissimo) ambiente di svago. A questo punto mi pare si possa ragionevolmente affermare che la de­ corazione della sala ipogea debba essere collegata al particolare gusto e all'amore dei proprietari (o della proprietaria) per la natura e per le dif­ ferenti specie botaniche. 69 Perché dunque non ammettere semplicemente mera dalla funzione misti co-religiosa risulta completamente inverosimile: i Romani non erano certo soliti costruire una sorta di 'cappella privata' per celebrare q ualsiasi tipo di culto. GABRIEL 1955, p. 15 non ha avanzato ipotesi, ma ha riportato q uelle degli studiosi precedenti, doman­ dandosi infin e se l'ambiente fosse davvero dedicato soltanto allo svago e all'intrattenimento. 65 PLIN. MIN. Epist. v 6, 30. 66 REEDER 200 1 , p. 49. 67 REEDER 200 1 , pp. 48-5 3 . Cfr. RE EDER 200 1 , p. 44: «The designation of the room as grottol nymp haeum does not rule out other uses of this kin d of room, preminently for dining

(triclinium)». 68 Dà notizia del terromoto luL. 0BSEQ. 7 1 , il q uale cita espressamente la villa di Livia: Sub Appennino, in villa Liviae uxoris Caesaris, ingenti motu terra intremuit. Per l'interramento della sala cfr. CARRARA 2005, p. 22; RE EDER 200 1 , p. 48; MESSINEO 1 992- 1993, pp. 20-2 1 . SuLZE 1 932, p. 190 ha posticipato l'evento agli anni sessanta del I secolo d.C. 69 Cfr. in particolare BARRE'IT (2002) 2006, p. 1 72, dove si sottolinea «il suo [scii. di Livia] appassionato interesse e il suo impegno sistematico per diversi aspetti dell'orticoltura». Lo

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l. LA CAMERA AFFRESCATA DELLA VILLA DI LIVIA A PRIMA P O RTA

che la vegetazione raffigurata non avesse altro scopo che quello di allietare gli spettatori con uno scorcio pseudo-naturale di straordinario impatto vi­ sivo? 70 A questo proposito Salvatore Settis ha convincentemente dimostra­ to come la realizzazione di un giardino sotterraneo dovesse risultare «uno stridente, intenzionale contrasto»: 71 esso aveva lo scopo di meravigliare l'osservatore, di porlo davanti a un'illusione ottica che mirava a sfondare le pareti per 'aprire' lo sguardo su un incantevole giardino, immaginario e irreale. 72 La minuziosa perizia descrittiva della decorazione doveva favorire questo straniamento e doveva fare in modo che l'occhio si soffermasse sulle singole specie vegetali, soprattutto su quelle in primo piano, ritratte con tanta abilità da sembrare quasi reali.73 La particolare attenzione al dettaglio delle singole piante lascia ragionevolmente pensare che gli artisti abbiano potuto osservare in maniera diretta gli esemplari effettivamente presenti nei numerosi giardini che si trovavano all'interno o nelle immediate vici­ nanze della villa/4 Di certo questo non significa che sia stato rappresentato esattamente uno o parte degli horti esistenti, come in una fotografia, ma solo che essi abbiano fornito materiale in abbondanza per la decorazione della sala.75 Non è nemmeno da escludere che la maggior parte delle specie botaniche apparisse concretamente tra la flora che componeva i giardini. Come si è già osservato in precedenza, essa non era scelta a caso, ma era costituita da precise varietà che formavano una sorta di motivo ricorrente: in particolare era data grande importanza al fogliame e alla verzura, che aveva lo scopo di svolgere un'evidente funzione decorativa. L'impiego di studioso ha inteso il giardino dipinto di Prima Porta come la testimonianza più significativa dell'amore dell'imperatrice per la natura. 70 Le pitture della villa di Livia differiscono sensibilmente sia per magnificenza sia per soggetto da q uelle descritte da VITRUV . VII 5, 2: infatti l'autore afferma che era uso comune decorare le pareti con rappresentazioni di paesaggi, all'interno dei q uali tuttavia erano presenti anche elementi artificiali creati dall'uomo (porti, templi) oppure greggi e pastori. 7 1 SETTIS 2008, p. 5 . n SETTIS 2008, p . 24. Cfr. anche CAGIANO D E AzEVEDO 1953, p. 3 4 ; GABRIEL 1955, p . 7; MESSINEO 2004, p. 42.

73 L'altissima q ualità delle pitture è stata rilevata dalla q uasi unanimità degli stu diosi: CA­ GIANO DE AzEVEDO 1953, p. 34; GABRIEL 1955, pp. 1 8- 1 9 ; SANZI DI MINO 1 998, p. 209; REEDER 200 1 , p. 76; MAZZOLENI 2004, p. 1 90; SETTIS 2008, pp. 5-6; CROISILLE 2010, pp. 89-90. 74 Certamente non si tratta dell'opera di un unico artista, ma di una bottega con a capo un singolo maestro che doveva coordinare il lavoro degli allievi: cfr. la dettagliata analisi stili­ stica di GABRIEL 1 955, pp. 28-3 1 . 7 5 Cfr. GRIMAL ( 1 944) 1 990, p. 284: « . . . ogni foglia è raffigurata con cura, le specie sono riconoscibili e l'artista si ispira con ogni evidenza alla natura». Cfr. anche CAGIANO DE AzEVEDO 1953, p. 34: «Si guardino ad esempio gli alberi più vicini allo spettatore, le frutta, specie i melo­ grani, le incannucciate di bordura, le nervatu re rosse delle piante ai piedi di q uesta, sono tutti esempi che mostrano nel pittore un vivace senso di osservazione . . . ».

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SEZIONE I I - IL PAPAV E RO NELL'ICONOGRAFIA ROMANA

piante sempreverdi (alloro, bosso, cipresso, oleandro, edera ecc.) era quindi strumentale: delineare l'immagine di una natura rigogliosa, non soggetta al mutamento delle stagioni, contribuiva a mantenere inalterato il valore or­ namentale dell'intero complesso vegetale.76 Nondimeno i Romani amava­ no i fiori e i loro colori, che inserivano all'interno dei giardini per spezzare la monocromia. 77 I:hortus romano si caratterizzava dunque per la grande abbondanza di fogliame intervallato da sporadiche macchie variopinte of­ ferte dalle piante floreali, utilizzate generalmente per decorare i bordi e col­ locate in primo piano. 78 Tali informazioni sono perfettamente coerenti con la rappresentazione fornita dagli affreschi della villa di Livia, che possono quindi essere considerati una meravigliosa riproposizione in chiave idealiz­ zata del giardino. Certamente le pitture offrono un'immagine irreale della natura, poiché le varie specie sono tutte ritratte nel momento culminante del loro ciclo vitale.79 Tuttavia una simile scelta non deve essere necessaria­ mente collegata a precisi significati simbolici, quanto più al gusto per ciò che è bello e allieta la vista. 80 È assai probabile che Livia e Augusto volessero ottenere proprio un'immagine di straordinaria bellezza, che non aveva altro scopo se non quello di stupire e ammaliare l'osservatore attraverso la resa minuziosa dei dettagli e di catturarne lo sguardo, immergendolo all'interno di una vegetazione tanto rigogliosa quanto illusoria. 81 Ciò sembra essere confermato ancora una volta da Plinio il Giovane il quale, trattando di una camera della sua villa di Tusci, sostiene che le pareti erano decorate da uno zoccolo in marmo e da un affresco che raffigurava rami su cui erano appol­ laiati alcuni uccelli. Particolarmente interessante il giudizio espresso dall' au­ tore: le pitture avrebbero contribuito tanto quanto il marmo a delineare un senso di grazia e raffinatezza che permeava l'intero ambiente. 82 Alla luce di quanto riportato, mi pare dunque che la volontà di attribuire uno specifico 76 Cfr. GRIMAL ( 1 944) 1 990, p. 277. n Già CATo MAIOR De agr. VIII 2 consigliava di piantare fiori da ghirlanda nel proprio giardino extraurbano. Cfr. PLIN. Nat. Hist. XXI l .

78 Cfr. GRIMAL ( 1 944) 1 990, pp. 277-279. 79 Cfr. SETT IS 2008, p. 6: «Il viridarium di Prima Porta è così q uasi un 'catalogo botanico', e in nessun modo il 'ritratto' di un giardino determinato in un momento determinato». Cfr. SLAVAZZI 20 1 5 , p. 232. 80 Concordo pienamente con SETTIS 2008, p. 27 q uando afferma che: « . . . se la scelta cade

[ ] su una pittura di giardino, essa deve riflettere i gusti e l'intenzione del dominus di q uella . . .

casa>>. 8 1 Cfr. SETTIS 2008, p. 3 1 . GRIMAL ( 1 944) 1 990, p. 284 ha rilevato che proprio in epoca augustea la vegetazione presente in pittura «acq uisisce una peculiarità e un realismo nuovi». 82 PLIN. MIN. Epist. V 6, 22. Il valore puramente estetico-ornamentale delle pitture men­ zionate da Plinio è già stato sottolineato da SETTIS 2008, p. 27.

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l. LA C A M E RA AFFRESCATA D E L LA VILLA DI LIVIA A PRIMA PO RTA

simbolismo legato alle singole specie vegetali nel contesto della villa di Livia risulti un'operazione del tutto arbitraria e un'inutile sovrainterpretazione. Forse l'unico elemento dietro il quale è possibile si nasconda una specifica allusione può essere l'all oro, non tanto per la sua connessione con Apollo e con la propaganda augustea, quanto più con l'aneddoto relativo a Livia: come già accennato, dal ramoscello tenuto nel becco della gallina bianca, l'imperatrice fece coltivare il celebre boschetto di lauri.83 Anche la tanto rivendicata disposizione degli elementi vegetali e la sim­ metria che caratterizza gli affreschi della sala ipogea trova una sua ragion d'essere al netto di particolari significati simbolici. Infatti una delle princi­ pali peculiarità dell'arte classica sta nella sua estrema attenzione all' equili­ brio spaziale e all'ordinamento delle sue forme, che dovevano contribuire alla creazione di un'immagine armonica e gradevole alla vista. Le pitture della villa di Livia, con la loro rigorosa e accurata ripartizione, non fanno eccezione: una diversa rappresentazione avrebbe interrotto l'ordinata pro­ porzione inserendo elementi di squilibrio che sarebbero risultati fastidiosi all'osservatore. 84 A questo punto, appare chiaro che la presenza del papavero all'interno della decorazione parietale della camera sotterranea deve essere messa in relazione all'intero programma figurativo. La pianta non si caratterizza per alcun significato simbolico preciso, ma trova il motivo della sua riproduzio­ ne nella grazia e nella bellezza del suo fiore, particolarmente adatto a sot­ tolineare la raffinatezza del giardino immaginario. La specie ritratta è stata frequentemente riconosciuta nel papaver somniferum e tale identificazione appare pertinente alla sua raffigurazione, che mostra il tipico reclinare del­ la corolla sullo stelo. 85 Tuttavia, mi pare interessante porre l'attenzione sul colore dell'infiorescenza: essa si presenta di un insolito blu chiaro con tenui sfumature violette. 86 Tale particolare non è del tutto irrilevante: infatti il 8 3 Già SETIIS 2008, pp. 6-7 ha ammesso tale possibilità. Tuttavia lo studioso non ha esclu­ so l'eventualità che la pianta avesse un «valore augurale per la stirpe di Augusto» e che alcuni elementi della villa potessero essere strumentali alla propaganda augustea. 84 SETIIS 2008, p. 3 7 . Le fonti letterarie testimoniano l'esistenza di alcuni trattati specifici (chiamati Kl]ltOUptKa) circa la coltivazione e la creazione di giardini: purtroppo nessuno di q ue­ sti è giunto sino a noi, ma SETIIS 2008, p. 3 5 ha ragionevolmente ipotizzato che essi contenesse­ ro istruzioni tecniche, che fornivano precise regole di ordine e simmetria per l'organizzazione spaziale dell'hortus (è ad esempio il caso del giardino descritto da LoNG. SoPH. IV 2, 5). 8 5 Cfr. in particolare GABRIEL 1 955, p. 1 1 , nota 23; CANEVA 1 999, p. 65. Il papavero è stato riconosciuto anche da SANZI DI MINO 1 998, p. 209; EVANS 2003 , p. 303; MAZZOLENI 2004, p. 1 90; MESSINEO 2004, p. 42, benché nessuno di q uesti studiosi abbia specificato la varietà. 86 La sola a rilevare con precisione il colore del fiore è stata GABRIEL 1 9 5 5 , pp. 1 1 ; 20-2 1 e in particolare p. 26: «The blue poppies are exq uisitely rendered; a soft, pale, pinkish white in the light, mauve and blue in the shadows».

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SEZIONE I I - IL PAPAVERO NELL'ICONOGRAFIA RO MANA

fiore del papaver somniferum si caratterizza per varie tonalità (dal bianco al viola scuro, passando per il rosa, il violetto, il rosso più o meno carico; non mancano nemmeno esemplari screziati),87 ma non è noto un esempla­ re dai petali simili a quelli raffigurati. A questo proposito si può avanzare l'ipotesi che in origine si trattasse di una gradazione di violetto che, con l'andare del tempo e attraverso reazioni chimiche, si sia via via trasforma­ to nel blu slavato che è possibile ammirare ancora oggi. Si potrebbe però obiettare che proprio questo fosse il colore originario del fiore, frutto della fantasia degli artisti, il cui intento sarebbe stato quello di inserire elementi irreali per enfatizzare la bellezza cromatica dell'opera. Non vi è però ra­ gione di pensare che tale scelta sia stata riservata unicamente al papavero e non alle altre specie che, al contrario, sono state raffigurate nelle loro effettive caratteristiche morfologiche. 88 Al di là delle problematiche legate alla colorazione, il papaver somniferum (nella tradizione romana già presen­ te nei giardini dall'epoca di Tarquinia il Superbo) 89 offre un'immagine di estenuata bellezza, legata alla brevità della sua vita: la posizione reclinata dell'infiorescenza prelude alla caduta dei petali e alla prossima formazione della capsula. Va infine segnalato che il papavero da oppio, più precisamente le sue capsule, dovevano essere presenti nei festoni vegetali, retti da alcuni eroti, che costituivano le decorazioni architettoniche della villa, 90 a dimostrazio­ ne forse dell'alta considerazione attribuita al papaver da Livia, che peraltro era solita farsi rappresentare ornata con tale attributo.9 1 La consuetudine di porre il papavero come motivo decorativo all'interno degli elementi ar­ chitettonici è dimostrata anche da alcuni rilievi (databili alla tarda età adria­ nea) provenienti dal Canopo di Vill a Adriana a Tivoli.92 Essi mostrano ben cinque capsule e sei spighe che spuntano da un piccolo vaso, al di sotto del quale sono visibili altri racemi di quercia (riconoscibile dalle ghiande) e di ulivo.93 È probabile che questa decorazione non avesse solo uno scopo 8 7 Cfr. KAPOOR 1 995, pp. 22-3 1 . 88 Cfr. SETIIS 2008, pp. 5-6. D'altronde i botanici che hanno studiato gli affreschi non hanno rilevato alcuna incongruenza nella rappresentazione della flora. 8 9 Liv. I 54, 6. Cfr.

supra, il capitolo dedicato.

9 0 VITIORI-ZACCAGNINI 200 1 , p. 1 1 4, n. 75, fig. 1 3 5 . 9 1 Sull'argomento cfr. più avanti nel testo:

infra, pp. 23 7-23 8.

92 Cfr. MOESCH 2000, p. 204, n. 20; MATHEA-F6RTSCH 1 999, p. 1 8 3 , n. 245 . I pilastri, la cui

decorazione richiama i modelli dell'arte augustea, dovevano sostenere con buona probabilità una struttura a pergola. 93 Cfr. MoESCH 2000, p. 204, la q uale tuttavia non ha menzionato la presenza di papaveri e spighe. MATHEA-F6RTSCH 1 999, p. 1 83 ha frainteso l'identificazione del vegetale, poiché vi ha riconosciuto Granatiipfeln.

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l. LA C A M E RA AFFRESCATA DELLA VILLA DI LIVIA A PRIMA PO RTA

ornamentale finalizzato a mettere in evidenza l'aspetto idillico e piacevo­ le della vegetazione,94 ma alludesse anche a significati beneauguranti vei­ colati soprattutto dall'associazione tra capsule di papavero e spighe. Una simile iconografia trova precedenti già in età augustea, come dimostrano alcuni pilastri la cui decorazione è composta, tra gli altri vegetali, proprio da spighe e capsule di papavero.95 Appaiono leggermente diversi i moti­ vi ornamentali presenti su una lastra proveniente da Perugia e datata al primo quarto del I secolo d.C . : la composizione è chiaramente ispirata al fregio esterno del recinto dell'Ara Pacis, ma qui si è scelto di inserire tra le volute vegetali anche due capsule di papavero.96 Una rappresentazione simile è riscontrabile anche su una seconda lastra proveniente da Falerii e conservata oggi a Palazzo Primoli a Roma. Il rilievo è di qualità superiore al precedente e anch'esso certamente ispirato dal modello fornito dall'Ara Pacis; in questo caso le capsule di papavero sono inserite all'interno del fregio vegetale insieme a molte altre specie, tra cui non potevano mancare le spighe.97 È assai probabile che queste raffigurazioni avessero lo scopo di creare immagini rigogliose e piacevoli, adatte ad allietare l'occhio degli osservatori, ma al contempo esse potevano alludere a significati beneaugu­ ranti legati alla floridezza del mondo naturale. Infine, l'utilizzo ornamentale del papavero è chiaramente riscontrabile nella decorazione della cornice del cosiddetto 'emblema da Priverno' (fine II secolo a.C.), un mosaico di cui oggi si conservano solo alcuni tratti della parte esterna.98 Le capsule della pianta compaiono insieme a numerose altre specie vegetali e frutti per comporre un'abbondante ghirlanda, in­ framezzata da maschere teatrali, un connubio fra natura e cultura. Una rappresentazione analoga è riscontrabile anche in un mosaico proveniente dalla Casa del Fauno a Pompei, dove maschere teatrali, frutti e piante (tra cui capsule di papavero) compongono un ricco fregio vegetale.99

94 Così MOESCH 2000, p. 204. 95 MATHEA-Fè>RTSCH 1 999, p. 1 5 1 , n. 1 42; p. 1 20, n. 47. 96 MATHEA-Fè>RTSCH 1999, p. 1 3 8 , n. 1 1 1 (dove tuttavia non si fa menzione del papavero, malgrado sia chiaramente riconoscibile). 97 MAGISTER-SACCHI LODISPOTO 2005 , pp. 3 8-39; NENCINI 2004, p. 1 1 1 , fig. 1 7; GUILLAU­ ME-COIRIER 200 1 , p. 1 02 1 . 9 8 Cfr. CALANDRA 1 998, p. 206. Probabilmente l a zona centrale del mosaico era decorata con q uattro scene mitologiche o legate al mondo del teatro. 99 CAPPELLI-Lo MoNAco 2009, p. 58; GUILLAUME COIRIER 200 1 , pp. 1 02 1 - 1 022.

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2.

IL PANNELLO SUD-ORIENTALE DELL'ARA PACIS AUGUSTAE

A causa della sua intrinseca enigmaticità, pari solo alla sua raffinata bel­ lezza, il pannello sud-orientale dell'Ara Pacis ha da lungo tempo affascina­ to gli studiosi, che sin dall'Ottocento hanno avanzato numerose proposte circa l'identità dei personaggi rappresentati e circa i significati simbolici che l'intera scena doveva esprimere. Nelle seguenti pagine si cercherà di riesaminare brevemente le differenti ipotesi interpretative presentate dagli esperti del settore e di accertarne la veridicità; questa indagine preliminare si rivelerà indispensabile per giungere alla formulazione di un'esegesi che possa chiarire meglio i problemi sollevati dal pannello e in particolare dal personaggio centrale. Innanzitutto, si rende necessaria una descrizione dettagliata dell'imma­ gine in esame (Fig. 6): il centro della scena è dominato da una figura fem­ minile seduta su una roccia, certamente una dea e personaggio principale dell'intera composizione. Essa indossa una lunga veste che la copre sino ai piedi; il capo, velato, è cinto da una corona composta da spighe e cap­ sule di papavero, 1 di cui rimangono poche tracce, mentre in grembo, tra le pieghe della veste, compare una serie di frutti. L'espressione del volto è dolce e materna, perfettamente confacente al ruolo che essa sta svolgendo: il personaggio femminile infatti regge sulle ginocchia un bambino nudo, teneramente tenuto con la mano sinistra, che sembra intento a offrirle un pomo. Un secondo bambino, anch'esso nudo e sostenuto con il braccio destro, si trova dall'altro lato rispetto al 'fratello' e sembra sollevarsi un poco per giocare con la veste della donna o forse per raggiungere il seno. In secondo piano rispetto al personaggio femminile sono visibili altri ele­ menti vegetali, tra cui è possibile distinguere con certezza alcune capsule l Purtroppo la corona è mal conservata, ma sembra possibile distinguere la forma delle spighe e q uella delle capsule di papavero: cfr. SPAETH 1 994, p. 69; DE GRUMMOND 1 990, p. 667. Contra SIMON 1 967, p. 27.

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SEZIONE I I - IL PAPAVERO N E L L' I C O N O G RAFIA ROMANA

di papavero, 2 spighe e fiori (Fig. 7). Ai piedi della donna sono visibili due animali: un bue accucciato e una pecora. A destra della scena centrale è rappresentata una seconda figura femminile, anch'essa panneggiata ma con il busto scoperto; una parte della veste, che sembra quasi mossa dal vento, forma un semicerchio al di sopra del capo del personaggio, posa definita dagli studiosi velificatio. La donna, che doveva avere il capo cinto da una corona vegetale (di cui rimangono scarsissime tracce), sta seduta su un mostro marino serpentiforme che esce dall'acqua e di cui si notano chiaramente il capo e parte del corpo. Infine, sul lato sinistro del pannello, è raffigurata una terza figura femminile del tutto simile alla precedente: anch'essa è panneggiata, ma con il busto nudo, e parte della veste le con­ torna il volto. La più evidente differenza consiste nell'animale cavalcato, in questo caso probabilmente un cigno (o un'oca) che sta spiccando il volo con le ali spiegate. 3 In basso, ai piedi della donna, si nota una serie di ele­ menti vegetali - forse canne e giunchi - e una brocca rovesciata da cui esce acqua; in secondo piano un sottile arboscello frondoso. La complessità dell'immagine ha indotto numerosi studiosi a formula­ re varie ipotesi di interpretazione, proponendo di volta in volta soluzioni diverse per una corretta lettura simbolica. Anche al fine del presente stu­ dio il riconoscimento delle figure riveste particolare importanza, poiché da esso deriva il significato simbolico della presenza del papavero. In un primo momento gli studiosi proposero di riconoscere nella figu­ ra centrale la dea Tellus, considerata la personificazione della rigogliosità della terra, produttrice di frutti e della vegetazione in generale, mentre in quelle laterali due Aurae, personificazioni dell'acqua e dell'aria.4 La rappre­ sentazione di Tellus venne giustificata dal fatto che la terra, e la flora che da lei dipende, prospera solo in tempo di pace, la cui personificazione è desti2 Il riconoscimento delle capsule di papavero è pressoché unanime, salvo per LA RoccA 1 983, p. 43, che ha bizzarramente riconosciuto negli elementi vegetali spighe di grano e me· SPAETH 1 996, p. 128 ha giustamente sottolineato che si trana di lagrane. SPAETH 1 994, p. 70 capsule di papaver somniferum. =

3 L'identificazione esatta dell'animale è resa difficoltosa dal restauro che interessò il collo dell'uccello, anche se con buona probabilità si tratta di un cigno: cfr. SPAETH 1 994, p. 66, nota 4 e p. 79. 4 Il primo a riconoscere Tellus e le Aurae fu il Cardinale Giovanni Ricci da Montepulciano in una lettera datata 1 569 (parte del testo della lettera fu pubblicata da PETERSEN 1 894, p. 225; cfr. più recentemente SEITIS 1 988, pp. 402-403). La teoria fu riproposta in seguito da jAHN 1 864, pp. 1 77- 1 8 5 . PETERSEN 1 894, pp. 202-203 accettò l'identificazione della figura centrale con Tellus, ma scartò l'ipotesi delle personificazioni dell'acqua e dell'aria. Altri studiosi che rico­ nobbero Tellus: Rizzo 1 926, p. 46 1 ; STRONG 1 937, pp. 1 24- 1 26; Rizzo 1 939, p. 1 4 1 ; MoMIGLIANO ( 1 942) 1975, p. 848; MoREITI ( 1 948) 2005, pp. 232-23 7; ScHXFER 1 959, p. 298; LA RoccA 1 983, p. 46; SEIT!S 1 988, p. 414; SAURON 2000, p. 34.

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2. IL PANNELLO S U D -ORI ENTALE D ELL'ARA

PACIS AUGUSTAE

nataria del monumento.5 I due bambini furono connessi alla dea in quan­ to possibili personificazioni dei Kapnoi, cioè dei frutti della terra, adatti a simboleggiare la fertilità del suolo. 6 A riprova del riconoscimento di Tellus e delle Aurae vennero citati alcuni versi del Carmen saeculare di Orazio, che furono considerati il modello letterario dell'iconografia rappresentata.7 Al­ tri studiosi videro nelle Aurae la rappresentazione simbolica della terra (a sinistra) e del mare (a destra), o dell'aria e dell'acqua, o ancora dell'acqua dolce e di quella salata. 8 Pur avendo valide motivazioni a suo sostegno,9 l'identificazione del personaggio femminile seduto con Tellus è stata giustamente messa in di­ scussione da alcuni sia per la mancanza della cornucopia (suo attributo di­ stintivo) sia perché la dea è seduta e non distesa o reclinata, posizione in cui viene generalmente raffigurata. 10 Erika Simon e Karl Galinsky, seguendo un'intuizione di Emanuel Loewy, hanno sostenuto che la presunta relazio5 Per la connessione tra Tellus e Pax cfr. PETERSEN 1 894, pp. 205-209. 6 Di q uesto parere STRONG 1 937, p. 1 1 6 e, più recentemente, LA RoccA 1 983, p. 46; CAN­

CIANI 1 990, n. 1 0 . 7 HoR. Carm. saec. 29-32: Fertilis frugum pecorisque Tellus/spicea donet Cererem corona, /nu­ triantfetus et aquae salubres/ et lavis aurae. PETERSEN 1 894, p. 203 sostenne che l'artista compose il pannello dell'Ara Pacis ispirandosi al celebre carme oraziano. Cfr. Mo RETTr ( 1 948) 2005, p. 232;

Kli.HLER 1 954, p. 86; LA RoccA 1 983, p. 46; ZANKER ( 1 987) 2006, p. 1 89; SAURON 2000, p. 34. Mo RETT r ( 1 948) 2005, p. 234 ha interpretato i due personaggi laterali come le Aurae velificantes descritte da PLIN. Nat. Hist. XXXVI 29. BERCZELLY 1 985, p. 133 ha proposto di riconoscervi allusioni al Tevere e all'Aniene . ScHii.FER 1 959, pp. 300-301 ha azzardato che Orazio in persona abbia direttamente influenzato l'artista. s Terra e mare: VAN BuREN 1 9 1 3 , p. 1 3 8 ; ZANKER ( 1 987) 2006, p. 1 8 7 (venti della terra e del mare); SAURON 2000, p. 34; LAMP 2009, p. 1 9 . Aria e acq ua: STRONG 1 937, p. 122; LA RoccA 1 983, p. 46 (lo studioso ha interpretato le due figure laterali come Horae, simboli degli elementi acq uatici e aerei); SErrrs 1 988, p. 4 1 3 (cielo e mare). Acq ua dolce e acq ua salata: Rrzzo 1 939, p. 141 (il q uale ha interpretato la figura di sinistra come Aura delle acq ue dolci, ma non ha specificato nulla in merito a q uella di destra); MoRETII ( 1 948) 2005, pp. 234-23 7; SrMoN 1 967, p. 27; CANCIANI 1 986, n. 4 e p. 54. 9 I frutti e i due bambini sono presenti anche nell'immagine di Tellus che si trova sulla corazza dell'Augusto di Prima Porta: GHISELLINI 1 994, n. 68. Per altre rappresentazioni della dea con bambini cfr. GHISELLINI 1 994, nn. 8; 1 6; 23 ; 5 1 ; 85. Al contrario VAN BUREN 1 9 1 3 , p. 1 3 5 ritenne insufficienti gli elementi rappresentati per giustificare l'identificazione d i Tellus. IO Per la cornucopia cfr. THORNTON 1 984, p. 620; BOOTH 1 966, p. 874; GALINSKY 1 966, p. 228 GALINSKY 1 969, p. 20 1 . Cfr. già le osservazioni di VAN BuREN 1 9 1 3 , p. 1 3 6 . Poco credi­ bile STRONG 1 937, p. 1 24, che ha ipotizzato la presenza della cornucopia nel rilievo raffigurante la personifìcazione di Roma (posto all'altra estremità del lato orientale del recinto), rilievo di cui sono pervenuti scarsi frammenti. Del tutto immaginaria anche la teoria di ScHii.FER 1 959, p. 295, il q uale ha ipotizzato che il corno dell'abbondanza sia celato dalla roccia sulla q uale è seduta la dea e che da esso fuoriescano gli elementi vegetali visibili in secondo piano. Per la posizione reclinata cfr. THORNTON 1 984, p. 620; BOOTH 1 966, p. 874; GALINSKY 1 966, p. 232 GALINSKY 1 969, p. 2 1 4 . =

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SEZIONE I I - IL PAPAVERO N E L L' I C O N O G RAFIA ROMANA

ne tra i versi del Carmen saeculare di Orazio e il pannello in esame è frutto di una speculazione degli studiosi, ma non vi sono indizi che possano at­ testare la derivazione del secondo dal primo.U Un altro fattore che mette in dubbio il riconoscimento di Tellus è la collocazione stessa del pannello, privo di legami significativi con le altre scene raffigurate sul recinto. La dea Terra non ha alcuna relazione con il sacrificio di Enea presente sulla fronte sud-occidentale, né con l'episodio dell'allattamento di Romolo e Remo, né con il ritratto della personificazione di Roma posto sull'altra estremità del lato orientaleY È infatti ormai consolidata l'opinione secondo cui l'intero programma figurativo dell'Ara Pacis deve essere considerato unitario ed espressione di un significato coerente. 1 3 Per questo motivo altri studiosi hanno avanzato l'ipotesi di considera­ re la figura una rappresentazione di Italia, adatta sia alla connessione con Enea sia a essere affiancata alla personificazione di Roma che fa da pendant al rilievo. 1 4 Il primo a proporre tale interpretazione fu Albert W. Van Buren il quale, pur non negando completamente l'ipotesi di Tellus, si avvalse del famoso passo delle laudes Italiae di Virgilio per dare credito alla propria teoria. 1 5 Lo studioso mise in evidenza alcuni parallelismi che, a suo giudi­ zio, sarebbero stati sufficienti a dimostrare l'identità di Italia sul pannello dell'Ara Pacis. 16 L'interpretazione, pur godendo di largo seguito, non fu im­ mune da critiche, prima fra tutte la considerazione secondo cui le perso­ nificazioni dei territori sono di norma rappresentate con attributi distintivi della loro identità. 17 Oltre a ciò, Galinsky ha giustamente messo in dubbio i 1 1 THORNTON 1 984, pp. 620·62 1 ; SIMON 1 967, p. 27; GALINSKY 1 966, p. 228; LOEWY 1 929, pp. 1 04- 1 09 . Per la critica della presunta connessione tra Tellus e le Iovis Aurae cfr. GALINSKY 1 969, pp. 202-203 ; cfr. anche SPAETH 1 994, p. 78. 1 2 Per maggiori dettagli circa gli altri pannelli cfr. MORETTI ( 1 948) 2005, pp. 2 1 5-2 1 7 (sa­ crificio di Enea), pp. 241 -244 (Lupercale), pp. 248-25 1 (Roma); StMON 1 967, pp. 23-24 (Enea), pp. 24-25 (Marte e i gemelli), pp. 29-30 (Roma); LA RoccA 1 983, pp. 40-43 (Enea), p. 43 (allatta­ mento di Romolo e Remo), p. 49 (Roma) . 1 3 Ne era già consapevole PETERSEN 1 902, p. 78. Cfr. SETTIS 1 988, pp. 4 1 6-4 1 7; GALINSKY 1 992, p. 468; SPAETH 1 994, p. 83. 1 4 A q uesto proposito, cfr. i dubbi sollevati da GALINSKY 1 966, pp. 226-227 1 969, pp. 1 9 7-20 1 . 1 5 VERG.

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GALINSKY

Georg. I I 136- 1 76.

1 6 VAN BUREN 1 9 1 3 , pp. 1 3 7- 1 3 8 . 1 7 Critiche già in STRONG 1 937, pp. 1 22-123; MORETTI ( 1 948) 2005, pp. 233-234. Giustamen­ te BooTH 1 966, p. 875 ha sottolineato la mancanza della corona turrita, elemento distintivo di Italia sulle monete, e l'inesistenza di raffigurazioni di Italia nell'atto di prendersi cura dei bam­ bini: cfr. già STRONG 1 93 7, pp. 1 22- 123; GALINSKY 1 966, p. 225 GALINSKY 1 969, p. 1 96. A favore: TOYNBEE 1953, p. 8 1 ; KAHLER 1 954, p. 88; StMON 1 967, pp. 27-29; BORBEIN 1 975, p. 243 (Tellus / Italia); CANCIANI 1 990, n . 10. =

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2 . IL PANNE LLO S U D - O RI ENTALE D E LL'ARA PACIS A UG USTAE parallelismi suggeriti da Van Buren, considerandoli poco significativi e non sufficienti a sostenere l'identificazione con Italia. 18 Si ipotizzò quindi che la dea rappresentata sull'Ara Pacis potesse essere Pax, destinataria stessa dell'altare. Tale teoria fu avanzata in principio da Vietar Gardthausen già nei primi anni del Novecento, ma non ebbe mol­ ta fortuna sino al momento in cui Paul Zanker e, in particolare, Nancy Thomson De Grummond hanno ripreso l'idea precedentemente formu­ lata, riproponendone la possibilità. 1 9 Entrambi gli studiosi hanno sottoli­ neato come Pax ben si adatti a fare da pendant al pannello raffigurante la personificazione di Roma, poiché il messaggio che l'intera facciata orien­ tale doveva offrire ai suoi spettatori era strettamente connesso alla politica di pacificazione promossa da Augusto. 20 De Grummond ha portato come prova della relazione tra Roma e Pax alcune monete (coniate da Galba nel 68 d.C .) sul cui diritto compare la personificazione della città in una posa simile a quella che doveva essere presente sull'Ara Pacis, mentre sul rovescio si trovano due mani che si stringono in segno di pace e concordia (dextrarum iunctio), il caduceo, due spighe e due capsule di papavero; il tut­ to è sormontato dall'iscrizione PAX. 21 Tuttavia nel caso delle monete non compare affatto la raffigurazione di Pax, ma solo attributi a lei connessi. De Grummond ha utilizzato i reperti numismatici anche per rivendicare il legame che intercorre tra la presunta personificazione della pace sul pan­ nello e gli elementi vegetali che la circondano: poiché spighe e capsule di papavero compaiono sul rovescio delle monete, la studiosa ne ha dedotto che le due piante siano attributi caratterizzanti Pax in quanto simboli della prosperità favorita dalla dea, spiegando in tal modo la loro presenza sullo sfondo della scena e nella corona che le cinge il capo. 22 Se da un lato è del tutto comprensibile il fatto che spighe e papaveri siano associati alla perso­ nificazione della pace, 23 garante del benessere comune, dall'altro bisogna 1 8 Cfr. GALINSKY 1 966, pp. 224-225 critico di THORNTON 1 984, p. 62 1 .

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GALINSKY 1 969, pp. 1 94· 1 96 . Cfr. anche il giudizio

1 9 GARDTHAUSEN 1 908, pp. 1 4 - 1 6 . Cfr. le critiche di MoRETTI ( 1 948) 2005, p. 232. ZANKER ( 1 987) 2006, pp. 1 87- 1 88, pur sottolineando la complessità del pannello, ha comunq ue con· siderato molto plausibile il riconoscimento di Pax Augusta. Più decisa DE GRUMMOND 1 990, p. 664. Wooo 1 999, pp. 1 00- 1 0 1 e GUILLAUME-COIRIER 200 1 , p. 1 028 hanno concordato con De Grummond. 2o Roma simboleggia la virtus delle armi, mentre Pax ovviamente la pace, portatrice di prosperità: ZANKER ( 1 987) 2006, p. 1 88; DE GRUMMOND 1 990, pp. 666-667. 2 1 RIC

I', p. 206, n. 34. Cfr. DE GRUMMOND 1 990, pp. 666-667.

22 DE GRUMMOND 1 990, p. 667. 2 3 Ciò è dimostrato da una serie monetale che raffigura sul rovescio la personificazione della pace con caduceo, spighe e papaveri: RIC 1', p. 2 1 2 , nn. 1 1 4- 1 1 5 ; RIC IF, p. 1 5 1 , n. 1 300;

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SEZIONE I I - IL PAPAVERO N E L L' I C ON O G RAFIA ROMANA

sottolineare come essi non siano attributi esclusivi di una singola divinità. In particolare, seguendo il percorso tracciato dalla stessa De Grummond, la medesima iconografia monetale menzionata dalla studiosa si ritrova sul rovescio di altre monete (coniate tra il 69 e il 73 d.C.) in cui l'iscrizione PAX è sostituita da FIDES PUBL. 24 Non è quindi sufficiente portare come efficace prova per il riconoscimento della dea dell'Ara Pacis la relazione tra Pax e gli elementi vegetali presenti sugli esemplari numismatici. Oltre a ciò, è sta­ to giustamente osservato come il caduceo, uno degli attributi principali e caratterizzanti la personificazione della pace, sia totalmente assente nel ri­ lievo. Le spiegazioni fornite da De Grummond per ovviare al problema ap­ paiono poco convincenti e del tutto indimostrabili: ella infatti ha sostenuto che non fosse da escludere la presenza dello scettro nella mano destra della dea nella scena originale, poiché il braccio è frutto di restauro. In secondo luogo la studiosa ha ipotizzato che gli autori del pannello non avrebbero inserito il caduceo poiché non ritenevano necessario evidenziare l'identità del personaggio, già manifesta di per sé. 2 5 Un ulteriore motivo ha suscita­ to perplessità nell'accettare l'identificazione con Pax: la figura femminile dell'Ara Pacis è rappresentata insieme a due bambini, mentre le sicure raf­ figurazioni di Pax e dell'Eirene greca ne presentano sempre soltanto uno. 26 Anche in questo caso le spiegazioni di De Grummond danno adito a più di un dubbio: ella ha sottolineato come la presenza dei bambini e i gesti stessi della divinità la configurino come una kourotrophos e ha collegato tale rap­ presentazione alla celebre statua di Eirene scolpita da Cefisodoto, in cui la dea si prende cura di Pluto. 2 7 Barbette Stanley Spaeth ha convincentemen­ te dimostrato come l'iconografia della Pax romana non sia affatto identica a quella dell'Eirene greca e come, di conseguenza, la relazione sostenuta da De Grummond si regga su fragili basL2 8 Anche il chiarimento della studio­ sa in merito al raddoppiamento dei neonati risulta infondato: «>. 86 !GR IV, n. 1 80 (Lampsaco); SEG IV ( 1 929), n. 5 1 5 (Efeso); SEG XXXIII ( 1 983), n. 1 055 (Cizico ); SEG XXX ( 1 980), n. 1 244 (Mrodisia - la datazione dell'epigrafe oscilla tra l'età tiberia­ na e quella claudia). Già le regine ellenistiche avevano associato la loro figura a diverse divinità, in particolare Berenice II e Cleopatra II si fecero rappresentare nelle vesti di Demetra (Berenice II: CLAYMAN 20 14, pp. 84-89. Cleopatra: VOLLENWEIDER 1 995, n. 1 05). 8 7 CIL X, n. 750 1 (Malta); IRT n. 269 (Leptis Magna - quest'ultima era incisa sulla base di una statua di Livia posta nel teatro della città). Entrambe le iscrizioni risalgono all'epoca tiberiana. 88 CIL XI 3 1 96. Benché priva del nome dell'imperatrice, l'iscrizione è oggi riferita con buo­ na certezza a Livia: cfr. MIKOCKI 1 995, p. 1 9 . Sulle iscrizioni cfr. anche FABBRI 2009, pp. 329-330.

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SEZIONE I I - IL PAPAV E RO NELL' IC O N O G RAFIA ROMANA

della famiglia imperiale e con gli esponenti della corte. In questo caso il si­ gnificato alla base delle rappresentazioni assumeva sfumature leggermente differenti rispetto a quelle promosse dalla statuaria: fermi restando i con­ cetti di prosperità e abbondanza, che certamente dovevano trovare spazio anche nella simbologia veicolata dalla glittica, l'associazione tra Livia e Ce­ rere poteva alludere a precisi messaggi di propaganda politico-dinastica. In particolare ciò sembra riscontrabile nel Gran Cammeo di Francia (databile tra il 23 e il 29 d.C.), dove all'imperatrice viene riservato un ruolo di spicco all'interno del complesso figurativo, addirittura paritario a quello dell'im­ peratore, poiché ella appare seduta in trono al centro della composizione, accanto al figlio Tiberio. In questo caso Livia è stata ritratta nel suo ruo­ lo ufficiale di Augusta, con l'aggiunta non casuale di un mazzo di spighe e capsule di papavero, che non ha la funzione di identificarla totalmente con la dea, 89 ma di renderne manifesta l'associazione senza alterare la sua identità. All'interno della scena raffigurata sulla gemma, in cui compare la famiglia imperiale al gran completo, Livia si configura come la capostipite della dinastia giulio-claudia, progenitrice dell'imperatore regnante e conse­ guentemente di quelli successivU0 Se da un lato l'augurio di prosperità e benessere simboleggiato da spighe e papaveri può certamente essere rivol­ to alla propria discendenza, dall'altro è forse possibile scorgere un preciso messaggio propagandistico incentrato sulla figura dell'imperatrice.9 1 Non va infatti dimenticato che Livia poteva più o meno legittimamente riven­ dicare un potere non soltanto morale, ma anche velatamente politico: se Tiberio era riuscito a ottenere la porpora, lo doveva in buona parte al genio diplomatico della propria madre.92 Un simile discorso può essere esteso anche al cammeo con i capita iuga­ ta di Livia e Tiberio, conservato al Museo Archeologico di Firenze (primo quarto del I secolo d.C .): la presenza dell'imperatrice potrebbe essere stata 8 9 Come invece ha proposto BARTMAN 1 999, p. 1 1 2. 90 Cfr. ERCOLANI CocCHI 2005, p. 1 59; BARTMAN 1 999, p. 1 1 2; SPAETH 1 996, p. 1 22. Non è casuale che l'anonimo autore della Consolatio ad Liviam (81 -82) abbia esaltato il ruolo di madre dell'imperatrice, da cui dipendono molti benefici (Nec genetrice tua fecundior ulla parentum, l tot bona per partus quae dedit una duos). Già Wooo 1 999, p. 75 ha considerato Livia come la vera fondatrice della dinastia giulio-claudia. 9 1 Per maggiori dettagli circa i significati simbolici espressi dal Gran Cammeo di Francia cfr. FABBRI 2009, pp. 330-332. 92 Cfr. SPAETH 1 996, p. 1 22. SVET. Cal. 23 testimonia come Caligola fosse solito definire sua nonna (di cui non aveva una buona opinione) Wixes stolatus, a conferma della scaltrezza e dell'ingegno della donna. L'importanza del ruolo di Livia nella successione è ben dimostrato dal fatto che il Senato avrebbe voluto aggiungere ai titoli di Tiberio non solo quello di Augusti .filius, ma anche quello di Liviae.filius: SVET. Tib. 50.

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3 . IL PAPAVERO E C E RERE NELLA STATUARIA E N ELLA G LITTICA DI EPOCA I M P E RIALE

funzionale alla legittimazione del potere del nuovo imperatore. Notevole che anche in questo caso si sia voluto associare l'immagine dell'Augusta con quella di Cerere, come dimostra la presenza della ghirlanda di spighe e papaveri.93 In definitiva, grazie ai suoi meriti e all'influenza esercitata, Livia poteva a buon diritto porsi come la 'Cerere' della famiglia imperiale, fautri­ ce e garante tanto del benessere e della prosperità pubblica quanto di quelle all'interno della dinastia regnante.94 Ciò non esclude affatto una sincera devozione per la dea da parte di Livia che, oltre a godere di tutti i privilegi riservati alle sacerdotesse pubbliche di Cerere, si fece probabilmente inizia­ re ai misteri eleusini insieme al marito il quale, come si è già avuto modo di osservare, diede particolare rilevanza al culto della dea.95 Le successive imperatrici e le altre principesse della stirpe giulio-claudia guardarono certamente al modello offerto dalla loro celebre antenata, la quale godette di un prestigio eccezionale mai più eguagliato.96 Negli esem­ plari glittici che raffigurano le esponenti della famiglia imperiale che non divennero mai Auguste, l'associazione con Cerere è naturalmente priva di significati allusivi di carattere politico-dinastico,97 ma sottolinea comunque la volontà di enfatizzare le virtù morali delle dame. È forse questo il motivo che sta alla base della realizzazione del cammeo raffigurante probabilmen­ te Giulia (la figlia del princeps), velata e con corona di spighe e papaveri: certamente si potrebbe obiettare che una simile associazione fosse quanto­ meno curiosa, considerando il carattere ribelle e libertino di quest'ultima, ma l'apparenza doveva vincere sulla realtà. Marie-Louise Vollenweider ha messo in relazione la gemma con il matrimonio di Giulia e Tiberio; se così fosse, il gioiello potrebbe celebrare le virtù della sposa e al contempo augu­ rare la buona riuscita delle nozze. In tal caso il richiamo a Cerere potrebbe alludere anche al ruolo di patrona che la dea svolgeva in quanto garante del matrimonio, sul modello della Demetra Thesmophoros. 98 Costituiscono un caso particolare i tre cammei raffiguranti il busto di Livilla con corona di spighe e papaveri. L'insolita presenza dei due neona­ ti, variamente interpretati, potrebbe essere connessa al parto gemellare di 93 Cfr. FABBRI 2009, pp. 332-3 3 3 . 9 4 WREDE 1 9 8 1 , p . 1 1 2 h a sottolineato come l'associazione di Livia con Cerere avrebbe

rispecchiato il desiderio dell'imperatrice di porsi come perfetto esempio di materfamilias. 95 Cfr. FABBRI 2009, pp. 328-329. Per quanto fatto da Augusto in favore del culto di Cerere cfr. supra, p. 222. 9 6 Cfr. MIKOCKI 1 995, p. 1 8 . 9 7 Dello stesso parere SPAETH 1 996, p . 1 2 1 . 9 8 VoLLENWEIDER-AVISSEAU-BROUSTET 2003, p . 63 . Per l a funzione di Cerere nel matrimo­ nio cfr. SPAETH 1 996, pp. 44-47.

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SEZIONE II - IL PAPAV E RO N E LL' I C O N O G RA F I A RO MANA

Livilla, che nel 1 9 d.C. mise al mondo Germanico e Tiberio; 99 in tal caso ella verrebbe esaltata nel suo importante ruolo di madre prolifica, funzione fondamentale all'interno della famiglia imperiale per assicurare la conti­ nuità della dinastia. 1 00 L'associazione con Cerere è prevalentemente incen­ trata sul ruolo di dispensatrice di benessere attraverso la generazione di figli, senza che per questo si debbano tracciare particolari legami con una presunta funzione di madre feconda rivestita dalla dea. 1 0 1 Alludono a un contesto differente le gemme in cui Agrippina Minor compare nelle vesti di Cerere: l'esemplare del Cabinet des Medaille s e il vaso in sardonice di Brunswick sono certamente riconducibili a rappresen­ tazioni eleusine. L'imperatrice è in questi casi quasi totalmente identifi­ cata con la dea, i cui attributi sottolineano il suo ruolo di dispensatrice di nutrimento, abbondanza di raccolto e prosperità per gli uomini, ai quali garantisce il passaggio dallo stato selvaggio a quello civilizzato tramite l'in­ troduzione dell'agricoltura. 1 02 Come per Livia, anche per Agrippina sono attestate iscrizioni provenienti dall' Oriente che la onorano come Deme­ tra. 1 03 Accanto all'Augusta è in entrambi i casi raffigurato l'imperatore nei panni di Neos Triptolemos: nella prima gemma, la presenza di Claudio po­ trebbe essere spiegata dalla sua devozione per il culto eleusino, che tentò addirittura di introdurre a Roma. 1 04 A ciò si aggiunga la sua particolare attenzione ai problemi sollevati dalla cura annonae, 1 05 fatto che avrebbe giu99 Cfr. VOLLENWEIDER-AVISSEAU-BROUSTET 2003 , p. 90; MIKOCKI 1 995, p. 34. Nel caso in cui ciò fosse confermato, i cammei non potrebbero risalire a prima di questa data. I neonati tengo­ no in mano rispettivamente un serpente e una cornucopia: difficile accettare la spiegazione di KOZAKIEWICZ 1 998, p. 1 40, che li ha identificati con Libero e Libera, considerati figli di Cerere da CIC. De nat. deor. Il 24, 62 e con i quali la dea costituiva la triade aventina. Gli attributi pre­ senti sulla gemma non corrispondono a quelli delle due divinità proposte; inoltre i gemelli di Livilla erano entrambi maschi. 1 00 Cfr. MIKOCKI 1 995, p. 145; PoMEROY ( 1 975) 1 997, p. 3 1 7. Augusto promosse un'insisti­ ta rivalorizzazione del matrimonio liberorum creandorum causa, cioè a scopo procreativo: cfr. D'AMBRA 2007, pp. 50-53; CENERINI 2002, p. 76; BALSDON 1 962, pp. 76-78. A tal fine, fu l'ispirato­ re di una serie di leggi nel campo del diritto di fainiglia, emanate con evidente intenzione mo­ ralizzatrice, e che ebbero come fine principale quello di porre un freno alla denatalità dei ceti elevati: cfr. in particolare MAcLACHLAN 20 1 3 , pp. 125- 1 29 . Cfr. anche HALLETT 20 12, pp. 3733 74; CENERINI 2002, p. 74; POMEROY ( 1 975) 1 997, pp. 282-284. 1o1 Sull'argomento cfr. supra, p. 2 1 9 . I OZ Cfr. ARR! G ONI 201 5 , pp. 1 23 - 1 26; GINSBURG 2006, p . 1 02. I 03 Cfr. in particolare l'iscrizione proveniente da Cos: MIKOCKI 1 995, p. 1 78, n. 1 9 1 .

Cfr. anche MIKOCKI 1 995, pp. 38-39 . Sull'associazione Agrippina/ Cerere cfr. GINSBURG 2006, pp. 99- 102. 1 04 SVET. Claud 25: Sacra Eleusinia etiam transferre ex Attica Romam conatus est. Cfr. GINS­ BURG 2006, p. 93 . .

1 05 SVET.

Claud. 1 8-20. -

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3. IL PAPAVERO E C E RERE NELLA STATUARIA E N ELLA G LITTICA DI EPOCA I M PERIALE

stificato una sua associazione con Trittolemo, mitico dispensatore delle se­ menti dei cereali. Nella seconda gemma, in cui è rappresentato Nerone in giovane età, la presenza della madre Agrippina / Cerere potrebbe rafforzare la rivendicazione del trono imperiale da parte del figlio, non diversamente da quanto già osservato per Livia e Tiberio. 106

IL CERESTYPUS E L ' ASSOCIAZIONE DELLE IMPERATRICI CON C ERERE NELLA STATUA­ RIA DI II E III SECOLO D. C . Dopo la dinastia giulio-claudia, l'associazione tra le imperatrici o le dame delle famiglie regnanti con Cerere si concretizza in maniera legger­ mente differente rispetto al passato. Si assiste infatti alla pressoché totale scomparsa di ritratti glittici in favore della realizzazione di statue più o meno monumentali, la maggior parte delle quali realizzate seguendo il mo­ dello del Cerestypus. La costante rimane in ogni caso il ruolo fondamentale riservato alla dea che, nonostante venga associata sempre più a significati di carattere beneaugurante e connessi con l'agricoltura, è ben lungi dal perde­ re la propria valenza politica. 1 07 Se da un lato è innegabile che con l'avvento del principato si riduca drasticamente la funzione politica di Cerere in rela­ zione alla plebe, che aveva caratterizzato le 'lotte di classe' durante il perio­ do repubblicano, 1 0 8 dall'altro la dea assume un nuovo significato all'interno della propaganda imperiale, con risvolti sia sul piano sociale sia dinastico. In sostanza, il ruolo politico della dea non appare affatto perduto o sminuito, ma solamente modificato e per certi aspetti arricchito, come dimostrano incontrovertibilmente le numerose opere d'arte qui prese in esame. 109 Gli esemplari statuari di II-III secolo d.C. provengono esclusivamente dall'Italia, dal Nord Africa e dall'Asia Minore: 1 1 0 al riguardo Claudio Don1 06 Agrippina discendeva sia dai Claudii sia dai Giulii, essendo figlia di Germanico (un Claudio) e Agrippina Maior (una Giulia); pertanto suo figlio aveva il diritto di regnare in quan­ to discendente legittimo di entrambe le famiglie. Cfr. GINSBURG 2006, p. 1 04; BARRETI 1 996, p. 96. La giovinezza dell'imperatore rimanda al periodo in cui i suoi rapporti con la madre era­ no ottimi. Come giustamente ha sottolineato BARRETI 1 996, p. 1 50: «The early days of Nero's reign represented the acme of Agrippina's achievement». 1 0 7 Come al contrario ha sostenuto CHIRASSI CoLOMBO 1 98 1 , pp. 422-425 . 1 08 I n particolare durante l e secessioni della plebe, che culminarono con il celebre episo­ dio di Spurio Cassio: C1c. De re publ. II 3 5 , 60; L1v. II 4 1 , 1 - 1 2 ; DroN. HAL. Ant. Rom. VIII 77-79; VAL. MAX. VI 3, 1 6 . Per maggiori dettagli sul ruolo di Cerere nei secoli della Repubblica cfr. SPAETH 1 996, pp. 6-20 e soprattutto LE BONNIEC 1 958, in particolare pp. 342-3 78. 1 09 Simili considerazioni già in SPAETH 1 996, pp. 22-23 ; MIKOCKI 1 995, p. 9 1 . I l O A questo proposito cfr. la preziosa cartina dei ritrovamenti in DoNZELLI 1 998, fig. 1 0 .

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zelli ha convincentemente spiegato le ragioni di tale fenomeno, sottoline­ ando come l'Italia e il Nord Africa erano al centro del commercio frumen­ tario dell'epoca; non a caso i più abbondanti rinvenimenti di sculture sono attestati a Ostia (porto e granaio di Roma) e a Roma stessa. 1 1 1 Per quanto riguarda l'Asia Minore, l'abbondanza di attestazioni scultoree è stata messa in relazione alla probabile (ma non certa) esecuzione del modello originario proprio in quei territori. 1 1 2 Non bisogna tuttavia sottovalutare la concreta possibilità che la realizzazione di simili statue sia legata all'importanza del culto di Cerere nelle specifiche località, fossero esse orientali o occidentali (in particolare l'Africa). 1 1 3 Buona parte delle statue (almeno quelle non ace­ fale) ritraggono il volto delle imperatrici dell'epoca: per alcune di loro sono pervenute attestazioni dirette della loro assimilazione a Cerere / Demetra. È questo il caso di Sabina, per la quale si conoscono almeno due iscrizioni che la onorano come «Nuova Demetra», 1 1 4 e Faustina Maior, cui è riconducibile l'iscrizione della statua di Regill a (moglie di Erode Attico), dove vengono celebrate l'antica e la nuova Demetra, ovvero l'Augusta stessa. 1 15 Secondo Claudio Donzelli, le numerose sculture del Cerestypus realiz­ zate durante il II e il III secolo d.C . devono essere ricondotte alla crescente importanza che il culto eleusino andava via via acquistando a Roma, dove fu favorito in modo particolare da Adriano che, come molti dei suoi succes­ sori, si fece iniziare ai misteri. 1 1 6 L'importanza dei riti misterici di Demetra e Kore può sicuramente aver incentivato la realizzazione di tali sculture, 1 1 1 Cfr. DONZELLI 1 998, p. 88. Da Ostia provengono cinque esemplari, da Roma undici. Altre località italiche da cui furono recuperate statue del Cerestypus: Terracina, Pozzuoli, Pre­ neste, Cave, Scolacium, Centuripe. Per l'Mrica: Cartagine, Bulla Regia, Cesarea, Madauros, Lambesis, Thamugadi, El Kef, Tebessa, Kasserine. 1 1 2 Cfr. DoNZELLI 1 998, p. 88. Le località microasiatiche sono: Efeso, Cnido, Mrodisia, Acmonia, Antiochia, Side, Salamina. 1 1 3 Cfr. già MIKOCKI 1 995, p. 93 . 1 14 m

IG VII, nn 73-74; I GR l, n. 785 . IG XIV, n. 1 3 89 . Cfr. MIKOCKI 1 995, p. 60. .

1 1 6 DoNZELLI 1 998, p. 88. Cfr. già MIKOCKI 1 995, p. 94 e p. 1 46. Per l'iniziazione di Adria­ no, che raggiunse il grado di epoptes, cfr. HisT. AuG. Hadr. 1 3 , l ; GALIMBERTI 2007, pp. 128- 1 3 1 ; LIPPOLIS 2006, p. 254; CLINTON 1 989, pp. 1 5 1 6- 1 5 1 8 . È probabile che Adriano abbia introdotto gli Eleusinia sacra nell'Urbe: AuREL. VICT. 14, 4. Cfr. GALIMBERTI 2007, p. 1 3 1 , secondo cui la notizia è fededegna. Per gli altri imperatori: IG 112, nn 1 773 - 1 774; 3592; 3 620 (Lucio Vero - cfr. CLINTON 1 989, pp. 1 529- 1 530); PHILOSTR. Vit. soph. 562-563; 588; HIST. AuG. Mare. Aur. 27, l ; I G IF, nn 3 4 1 1 ; 3 620; 3632 (Marco Aurelio e Commodo - cfr. CLINTON 1 989, p. 1 53 1 ). Per la probabile iniziazione di Gallieno cfr. CLINTON 1 989, p. 1 53 5 . Antonino Pio non venne iniziato: cfr. CLINTON 1 989, p. 1 525. Dubbi sull'iniziazione di Settimio Severo: cfr. HIST. AuG. Sett. Sev. 3, 7, secondo cui egli partecipò ad Atene a non meglio specificati riti sacri (cfr. CLINTON 1 989, p. 1 534). Sull'iniziazione dei vari imperatori cfr. anche LIPPOLIS 2006, pp. 254-258; SPAETH 1 996, p. 27. .

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ma la ragione principale della rappresentazione delle imperatrici nelle vesti di Cerere deve essere a mio avviso ricondotta al messaggio di propaganda politico-dinastica. 1 1 7 Un elemento accomuna la quasi totalità delle sculture, raffiguranti o meno le imperatrici: si tratta della posa della mano sinistra, con la quale il personaggio solleva leggermente la veste e, in alcuni casi, regge le spighe e le capsule di papavero. Generalmente le prime tre dita sono distese, mentre l'anulare e il mignolo sono flessi; tale gesto si ritrova con frequenza nelle rappresentazioni iconografiche più varie e, a giudizio di Claudio Donzelli, esso sarebbe di origine molto antica ed esprimerebbe un preciso signifi­ cato, di volta in volta risemantizzato in relazione all'epoca e al contesto. Lo studioso ha individuato una simbologia costante, legata a un «senso magico-religioso della salvezza in relazione alla morte», collegando il gesto al culto eleusino di Cerere / Demetra e Proserpina / Kore (inteso come «reli­ gione della salvezza») e attribuendo a esso un valore apotropaico finalizza­ to a scongiurare il timore per l'ignoto destino dell'uomo dopo la morte. 1 1 8 Personalmente, ritengo poco convincente l'impianto esegetico costruito dallo studioso, che non è esente da alcuni limiti intrinseci: se la spiegazione proposta da Donzelli potrebbe aver senso per le statue ritrovate in tombe o in contesto funebre, non può dirsi altrettanto per quelle provenienti da luo­ ghi molto differenti tra loro, come terme, piazze, ginnasi, teatri ecc. Come conciliare possibili significati misteriosofici e soteriologici con ambienti la cui funzione era ben lontana dal favorire simili interpretazioni? Anche la concezione dei misteri eleusini come «religione della salvezza» è oggi con­ siderata obsoleta e priva di qualsiasi tipo di fondamento. 1 19 Tornando ora al significato del gesto in questione, se da un lato Don­ zelli è ben consapevole del fatto che Apuleio lo connette esplicitamente all'ambito oratorio, facendone il segno indicativo dell'adlocutio, dall'altro ha utilizzato alcune testimonianze letterarie di Marcello Empirico e di Ago1 1 7 Così già MIKOCKI 1 995, pp. 1 44· 145. Anche DoNZELLI 1 998, p. 87 è consapevole dei risvolti propagandistici di simili immagini. 1 1 8 DONZELLI 1 998, pp. 90-9 1 . 1 1 9 Nel culto eleusino si fa riferimento a una non meglio specificata beatitudine o felicità

post mortem per gli iniziati (il termine utilizzato è oA.�toç, felice, beato: cfr. HoM. Hymn. II 480; PINO. F 1 3 1 a Snell-Maehler; F 137 Snell-Maehler; SoPH. F 837 Radt; lsocR. IV 28; C1c. De leg. II 14, 3 6), ma non si fa mai menzione di alcun tipo di salvezza. ScHOL. Aristoph. Pax 3 75a Holwer­ da sostiene soltanto che gli iniziati dimoreranno tra i pii e godranno di maggiori privilegi nell'Oltretomba. Circa il destino degli iniziati concordo in toto con BowoEN 2010, pp. 22-23 e pp. 47-48, secondo cui la beatitudine promessa è dovuta al contatto diretto con la divinità. Di simile avviso BREMMER 20 14, p. 20; PARKER 2005 , pp. 367-368; BURKERT ( 1 987) 1 99 1 , pp. 32-33 («La parola chiave non è "liberazione" o "salvezza" ma 'beatitudine"»).

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stino per sostenerne una simbologia magico-rituale e apotropaica. 120 Biso­ gna però sottolineare come gli autori citati dallo studioso per dar credito alla sua ipotesi siano più tardi rispetto ad Apuleio; 121 non è quindi da esclu­ dere che essi abbiano fatto riferimento al gesto modificandone il significato originario. Dal mio punto di vista, data la mancanza di elementi che possa­ no favorire ipotesi concrete, ritengo sia più prudente sospendere il giudizio in merito a un possibile significato simbolico del gesto. Al momento mi pare più ragionevole intendere la posizione della mano del tutto funzionale all'azione che doveva svolgere, cioè reggere contemporaneamente le spi­ ghe, le capsule di papavero (la cui simbologia, ave presenti, rimane invaria­ ta richiamando i concetti di prosperità e abbondanza dipendenti dalla dea) e il lembo della veste. La sua ripetizione pressoché costante nelle statue appartenenti al Cerestypus potrebbe semplicemente dipendere dal modello statuario dal quale furono ricavate le copie, che evidentemente non dovet­ tero subire particolari trasformazioni, conformandosi in toto all'archetipo. Costituiscono un caso per certi aspetti particolare due esemplari scul­ torei ritraenti le imperatrici Sabina e Giulia Domna come Cerere: 122 1 ' ecce­ zionalità consiste nel fatto che entrambe furono realizzate dopo la morte delle due Auguste, a differenza delle altre che generalmente furono esegui­ te mentre le sovrane erano ancora in vita. Se queste ultime possono legit­ timamente essere considerate come una manifesta volontà di celebrare la propria persona attraverso una sorta di 'apoteosi privata', 12 3 con tutte quel­ le implicazioni politico-dinastiche osservate in precedenza, non altrettanto si può dire per le statue postume di Sabina e Giulia Domna, che dovevano commemorare le imperatrici defunte. Dal momento che per entrambe è ben nota l'avvenuta divinizzazione dopo la morte, 124 si sarebbe tentati di 1 20 MARC. EMP. 8, 1 90, p. 89 Helmreich; AuGUST.

aur.

Epist. 1 7,

l . Per

!'adlocutio cfr. APuL. Asin.

II 2 1 . 1 2 1 Curioso come DoNZELLI 1 998, p. 9 0 abbia considerato Marcello Empirico

(floruit fine

IV - inizio V secolo d.C.) un predecessore di Apuleio (II d.C.). 122 Sabina: ALEXANDRIDIS 2004, p. 1 80, n. 1 72; DoNZELLI 1998, n. A9; MIKOCKI 1 995, p. 195, n. 309; DE ANGELI 1 988, n. 1 99; BIEBER 1 977, p. 1 65 ; CALZA 1 964, p. 79, n. 1 27; KRusE 1 975, p. 239, n. A12; CARANDINI 1 969, p. 195. Giulia Dornn a : ALEXANDRIDIS 2004, p. 20 1 , n. 223 ; DoN­ ZELLI 1 998, A32; MIKOCKI 1 995, p. 209, n. 4 1 0 ; DE ANGELI 1 988, n. 1 9 1 ; GHEDINI 1 984, pp. 1 3 5 136; BIEBER 1 977, p . 1 66; KRusE 1975, p . 2 5 8 , n. A45 ; CALZA 1 978, p . 50, n. 63 ; CALZA-FLORIANI SQUARCIAPINO 1 962, pp. 48-49, n. 4. 1 2 3 Come giustamente ha sottolineato GINSBURG 2006, p. 98, tale apoteosi non implicava l'esistenza di un culto in onore delle imperatrici associate a Cerere, ma «may simply be mani­ festations of honors granted to members of the imperlai farnily». 1 24 La divinizzazione di Sabina è documentata da una serie di monete ( 1 3 7- 1 3 8 d.C.) con il ritratto dell'imperatrice e l'iscrizione DIVA AUG SABINA sul diritto, mentre sul rovescio è inserita l'iscrizione coNsEcRAno: cfr. RIC II, p. 479, nn . 1 05 1 - 1 052. CIL XI, n. 408 testimonia l'esistenza di

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collegare le rappresentazioni in esame con l' innalzamento delle due so­ vrane allo status di diva. Era infatti prassi comune, nel processo di diviniz­ zazione femminile, assimilare le esponenti della dinastia imperiale a una divinità, in particolare a Cerere. 1 2 5 L'associazione delle Auguste con la dea delle messi avrebbe reso più chiara la loro avvenuta apoteosi, mettendole in rapporto con una divinità che meglio di ogni altra era adatta a esprimere le virtù della perfetta matrona romana e a celebrarle quali figure benevole, portatrici di prosperità per i propri sudditi. Tale fenomeno trova un illu­ stre precedente in Livia, divenuta diva per volere del nipote Claudio, che fece coniare una serie monetale in cui alla testa radiata del divo Augusto sul diritto corrisponde sul rovescio una figura femminile seduta in trono, con lunga fiaccola nella mano sinistra e spighe e capsula di papavero nella destra. 1 26 L'iscrizione DIVA AUGUSTA chiarisce incontrovertibilmente l'identità del personaggio: non può trattarsi che di Livia, ma in maniera significativa ella viene qui raffigurata con i consueti attributi di Cerere e non attraverso il suo reale ritratto. 1 27 È tuttavia importante non confondere il concetto di assimilazione con quello di identificazione: le imperatrici non dovevano essere percepite come una sorta di 'doppione' della dea, ma al contrario conservare la propria identità, indispensabile al loro riconoscimento. Il ri­ chiamo a Cerere va dunque inteso come la volontà da parte delle Auguste di uniformarsi a un preciso modello divino, cui guardarono per almeno tre secoli, ricco di implicazioni tanto durante la loro vita quanto post mortem. STATUE RESTAURATE CON INSERIMENTO DI SPIGHE E CAPSULE DI PAPAVERO

Oltre alle statue appartenenti al Cerestypus, esiste un'altra serie di scul­ ture che ritrae figure femminili (prevalentemente imperatrici) con gli at­ tributi caratteristici di Cerere, nelle quali la presenza di spighe e capsule una sacerdotessa della diva Sabina. Il medesimo discorso vale per Giulia Domna, la cui effigie, circondata dall'iscrizione DIVA IUUA AUG USTA , compare sul diritto di alcuni esemplari numismatici, mentre sul rovescio è raffigurato un pavone, contornato dall'iscrizione CONSECRATIO: RIC IV. I , p. 275, n . 396; p. 3 1 3 , n . 609 (dopo il 2 1 7 d.C.); RIC IV.2, p. 127, nn . 7 1 5·716 (emissioni comme­ morative della divinizz azione dell'imperatrice). 12 5 Cfr. anche SPAETH 1 996, p. 1 20. La prima dama a godere di onori divini fu Drusilla, il cui fratello Caligola fece erigere in suo onore una statua nel tempio di Venere, decretando che la sorella venisse venerata con i medesimi riti della dea: cfr. Dm CAss. LIX 1 1 , 2-3 . Cfr. FABBRI 201 1 , p. 1 78. 1 26 RIC 1 2 , p .

128, n. 101; DE ANGELI 1 988, n. 1 79.

12 7 Per maggiori dettagli sulla serie monetale s i rimanda a FABBRI

pp. 1 78- 1 79 per i significati dell'associazione tra Livia divinizzata e Cerere.

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201 1 , in particolare

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di papavero è frutto di restauri moderni che hanno interessato le braccia. Poiché è praticamente impossibile risalire alla composizione originaria, è assai probabile che gli oggetti oggi visibili nelle mani delle statue non fos­ sero quelli previsti dalle maestranze antiche, ma siano dovuti alla libera scelta della committenza successiva o del restauratore. Ne è un esempio la cosiddetta 'Cerere Vaticana', una statua colossale femminile (cui è stata applicata una testa non pertinente) che regge con la mano sinistra un lungo scettro e con la destra spighe e capsule di papavero. 1 28 Si è oggi concordi nel considerarla una copia romana (databile intorno al II secolo d.C.) di una statua cultuale greca degli ultimi decenni del V secolo a.C . , forse opera della cerchia fidiaca. Sebbene restaurata come Cerere tra il 1 783 e il 1 784 da Giovanni Pierantoni, è assai probabile che il tipo statuario sia da ricondurre a una rappresentazione di Hera / Giunone. 1 29 Anche la celebre 'Cerere Borghese' trae la sua denominazione dai re­ stauri che la interessarono: in realtà la scultura è un ritratto colossale di Livia (età tiberiana), che appare riccamente panneggiata, velata e con una corona floreale a ornamento del capo (Fig. 1 7); la cornucopia, le spighe e i papaveri sono aggiunte moderne. 1 30 Purtroppo è difficile stabilire se l'imperatrice sia stata originariamente ritratta nelle vesti di una divinità, nello specifico di Cerere, poiché il non perfetto stato di conservazione del­ la corona vegetale non consente di riconoscere in essa la presenza di spi­ ghe e capsule di papavero, che ne avrebbero rivelato l'associazione con la dea delle messi. Medesimo discorso vale per una statua, oggi conservata a Holkham Hall (Norfolk, Inghilterra), riconducibile a una ritratto di Livia (epoca claudia), la cui associazione con la dea è segnalata dagli attributi di restauro. 1 3 1 La figura non presenta la corona vegetale, sostituita qui da un semplice diadema; è dunque possibile che in origine il soggetto non pre­ sentasse particolari segni riconducibili a sfere di competenza di Cerere. Ol­ tre a quelle di Livia, anche una serie di statue raffiguranti altre imperatrici furono interessate da restauri che le assimilarono alle immagini della dea: ciò vale per Agrippina Minor, Faustina Minor, Crispina e Giulia Domna. 1 32 1 28 SPINOLA 1 999, p. 25 1 , n. 6; LA RoccA 1 990, n. 1 92; BESCHI 1988, n. 60. 1 2 9 Cfr. SPINOLA 1 999, pp. 25 1 -252, che ha ipotizzato la derivazione dal modello della 'Hera Borghese' , il cui originale era un bronzo di produzione attica realizzato verso la fine del V secolo a.C. 1 3 0 FABRÉGA-DUBERT 2009, p. 141, n. 289; Al. EXANDRIDIS 2004, p. 1 26, n. 28; BARTMAN 1 999, p. 146, n. 3; MIKOCKI 1 995, p. 1 59, n. 5 1 ; BIEBER 1 977, p. 23 ; CHARBONNEAUX 1 963, p. 1 42. 1 3 1 Al.EXANDRIDIS 2004, p. 1 2 1 , n. 14; BARTMAN 1 999, p. 1 52, n. 1 5 ; MIKOCKI 1 995, p. 1 67, n. 1 1 6; POULSEN 1 923, p. 53; MICHAELIS 1 882, p. 3 1 3 , n. 34. 1 3 2 Agrippina Minor: ALEXANDRIDIS 2004, p. 1 63 , n. 1 1 5 ; MICHAELIS 1 882, p. 598, n. 3 . Fau­ stina Minor: ALEXANDRIDIS 2004, p. 1 93 , n. 202; MIKOCK! l 995, p. 206, n. 386; BRINKE 1 99 1 , p. 73 ;

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3 . IL PAPAVERO E C E RERE N E L LA STATUARIA E N E LLA G LITTICA DI EPOCA I M PERIALE Un caso particolare è costituito da un esemplare statuario colossale di Antinoo (favorito di Adriano), ritrovato a Ostia e già conservato a Marbury Hall (oggi perduto). Il giovane compare con il busto nudo, mentre la par­ te inferiore del corpo è coperta da un mantello che, formando una conca all'altezza dell'addome, contiene una serie di frutti. 1 33 Nella mano sinistra alzata, parzialmente di restauro, sono visibili spighe e capsule di papavero, la cui presenza contribuisce a connotare Antinoo come una sorta di divini­ tà agraria (forse Trittolemo?), dalla cui azione dipende la produttività dei campi. 1 34 Se da un lato è assai raro ritrovare spighe e papaveri nella mani di un uomo, dall'altro è testimoniata la loro presenza nell'iconografia di Bonus Eventus, come conferma Plinio nella descrizione di due prestigiose sculture del dio a Roma. La prima, collocata sul Campidoglio ed eseguita da Prassitele, non viene descritta dal naturalista, 1 35 mentre per la seconda, opera dello scultore greco Eufranore, viene specificata espressamente la presenza nella mano destra di una patera e nella sinistra di spighe e papave­ ri. 1 3 6 Benché nella statua di Antinoo essi siano frutto del restauro moderno, non può essere esclusa la possibilità che il modello di riferimento per la loro rappresentazione sia stata proprio la descrizione pliniana del Bonus Even­ tus di Eufranore, con tutta probabilità conosciuta dal committente o dal · suggeritore dell'integrazione. Per quanto riguarda la scultura nel suo com­ plesso, Adolf Michaelis ha proposto di interpretare l'intero soggetto come un'associazione tra Antinoo e Vertumno, cui ben si adattano i frutti tenuti in grembo. 1 37 Al di là del riconoscimento del personaggio divino, la conFITI'SCHEN-ZANKER 1983, p. 23, n. 22; FITISCHEN 1 982, p. 60. BIEBER 1 977, p. 48 ha riconosciuto Lucilla nella figura femminile. Crispina: ALEXANDRIDIS 2004, p. 1 98, n. 2 1 5 ; FITISCHEN 1 982, p. 85. Giulia Domna: ALEXANDRIDIS 2004, p. 202, n. 225; MIKOCKI 1 995, p. 2 1 0, n. 4 1 1 ; GHEDINI 1 984, pp. 1 3 5 - 1 36; FITI'SCEN-ZANKER 1 983 , p. 27, n. 28; BIEBER 1 977, p. 243; KR.USE 1 975, p. 403 , n. D 1 39 . 1 33 MEYER 1 99 1 , p. 9 2 , n. I 7 1 ; CALZA 1 964, p. 8 2 , n. 1 3 1 ; MICHAELIS 1 882, p. 509, n. 2 0 . MI­ CHAELIS 1 882, p. 5 1 0 ha riconosciuto i frutti come grappoli d'uva, prugne, mele e mele cotogne. 1 34 Da Ostia proviene una seconda statua (oggi ai Musei Vaticani) del tutto simile a quella in esame, ma senza spighe e papavero: CALZA 1 964, p. 8 1 , n. 130. Su Trittolemo cfr. ARRIGONI 20 1 5 , pp. 1 28-130. m PLIN. Nat. Hist. XXXVI 23 . Alcune gemme potrebbero forse riprodurne l'immagine: cfr. ARIAs 1 986, nn 2-5 e p. 1 2 5 . 1 3 6 PuN. Nat. Hist. XXXI V 7 7 . La statua compare forse ritratta su una serie di aurei e de­ nari fatti coniare da Galba, da Vespasiano e da Tito: RIC I', p. 232, nn 4-6; p. 234, n. 34 (Gaiba, zecca di Tarraco); RIC n•, p. 1 58, nn 1 3 74- 1 3 75 (Vespasiano, zecca incerta); p. 204, n. 89 (Tito, zecca di Roma). Secondo FuRTWANGLER 1 893 , pp. 580-58 1 , la scultura avrebbe rappresentato Trittolemo e non Bonus Eventus. 1 37 MICHAELIS 1 882, p. 5 1 0. Di medesimo parere CALZA 1 964, p. 83, la quale ha inoltre ipotizzato che la scultura (insieme a quella vaticana) fosse una statua cultuale conservata nel santuario di Antinoo a Ostia. MEYER 1 99 1 , p. 93 ha invece proposto di considerare l'opera come .

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nessione tra il giovane e la sfera vegetale è ampiamente attestata dai suoi ritratti: in particolare merita menzione una testa conservata agli Uffizi, che mostra una ghirlanda di spighe a ornamento del capo, cui con buona pro­ babilità dovevano essere associate capsule di papavero. 138 La presenza della pianta insieme ai cereali, lungi dall'essere un rimando a qualsivoglia tipo di sostanze oppiacee utilizzate a Eleusi, 1 3 9 doveva connotare Antinoo come benevolo portatore di prosperità, fors'anche quale novello Trittolemo, in questo caso rappresentato con la corona spicea caratteristica di Cerere. 140 L'insistita realizzazione di integrazioni a carattere 'cereale' su statue mutilate pone il problema circa le ragioni che portarono a tale scelta: è davvero credibile che i restauratori, gli eruditi e i collezionisti del Settecen­ to e dell'Ottocento abbiano agito senza un preciso criterio, modificando a piacimento quelle stesse sculture che tanto apprezzavano? A questo pro­ posito si rivela preziosissimo un manualetto, diviso in tre libelli, scritto da Bartolomeo Cavaceppi e intitolato Raccolta d'antiche statue, busti, bassirilievi ed altre sculture restaurate da Bartolomeo Cavaceppi, scultore romano (pubblica­ to tra il 1 768 e il 1 772). Caro amico di Johann Joachim Winckelmann, 141 fu senza dubbio uno dei principali restauratori vissuti nel Settecento, respon­ sabile delle integrazioni di centinaia di statue antiche facenti parte delle più importanti collezioni dell'epoca: fu infatti al servizio del Cardinale Albani, dei Musei Vaticani e di quelli Capitolini. 142 Nel caso specifico delle sculture qui prese in esame, a lui si devono le aggiunte visibili oggi nella Cerere Bor­ ghese, nella Cerere di Holkham Hall e della Agrippina di Petworth House (di cui si conserva anche il disegno autografo: cfr. Fig. 1 8). 1 43 Nel primo volume della Raccolta, Cavaceppi illustra il suo metodo di lavoro da lui conun'allegoria della.fèlicitas temporum del regno di Adriano. Va detto infine che i frutti compaiono anche nell'iconografia di Bonus Eventus: cfr. ARIAS 1 986, nn. 3-5; 1 5- 1 6; 20. 1 3 8 GALLI 20 1 2 , p. 55, fig. 24; MEYER 1 99 1 , p. 43 , n. I 1 9 . La testa è stata oggetto di restauro, ma non vengono specificate le parti interessate. GALLI 20 12, p. 49 ha riscontrato la presenza di presunti fiori di papavero, ma essi (ammesso che siano effettivamente papaveri, dato che han­ no più di quattro petali) sembrano integrazioni successive. Più interessante la presenza di un oggetto ovoidale tagliato a metà, che potrebbe essere riconosciuto come una capsula. A favore della presenza di capsule MEYER 1 99 1 , p. 43 . 1 39 Così ha creduto GALLI 20 1 2 , pp. 49-5 1 . 1 40 L'associazione tra Trittolemo, spighe e papaveri è piuttosto rara, ma una gemma di epoca romana di I secolo d.C. sembra attestare tale connessione: ScHWARZ 1 997, n. 29. 1 4 1 Lo stesso scultore rende conto del viaggio in Germania intrapreso con l'amico nel 1 768 nell'appendice posta alla fine del secondo volume della Raccolta: CAVACEPPI 1 769, pp. 3 1 3 9 . Per una disamina più approfondita sul viaggio cfr. MEYER 20 1 1 , pp. 56-8 1 . 1 42 Cfr. HowARD 1 979, pp. 549-550. 1 43 Cerere Borghese: MIKOCKI 1 995, p. 1 59 . Holkam Hall: PouLSEN 1 923, pp. 1 3 - 1 4; MI­ CHAELIS 1 882, pp. 3 12-3 1 3 . Petworth House: MICHAELIS 1 882, p. 598.

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3 . IL PAPAVERO E C E RERE NELLA STATUARIA E N ELLA G LITTICA DI EPOCA I M PERIALE

siderato, non senza un certo legittimo autocompiacimento, «la maniera [ . . ] non dirò la più convenevole, ma l'unica e vera»: pur ammettendo la superiorità del giudizio del pubblico, con tutta probabilità dovuta a ragioni di convenienza legate alla necessità di vendere le statue da lui restaurate, particolarmente interessante si rivela la pratica di chiedere consiglio agli studiosi e agli specialisti. Il restauratore non operava per capriccio, ma do­ veva attenersi alle indicazioni di coloro che conoscevano meglio di lui la mitologia, poiché era ben consapevole dei rischi in cui si poteva incorrere in questo campo. Addirittura Cavaceppi giunge a sostenere, con grande anticipo rispetto ai tempi, che le statue di cui non era sicuro il soggetto non avrebbero dovuto essere integrate con alcun attributo. 144 Ovviamente, come spesso accade, la teoria non dovette corrispondere alla pratica, poiché lo stesso scultore fu oggetto di aspre critiche per le aggiunte apportate ad alcuni monumenti, tanto che la sua reputazione fu messa in discussione. 145 Cavaceppi eseguì più volte restauri integrativi di spighe e capsule di pa· pavero, come dimostrano alcuni disegni pubblicati nella Raccolta, ed eseguì ex novo una statua raffigurante Cerere, nella quale comparivano i medesimi attributi (Fig. 1 9). 146 Data la frequente ripetitività, l'inserimento degli og­ getti non può sempre essere imputata a una libera interpretazione da parte dell'artista, ma deve corrispondere a una visione comune dell'iconografia della dea. Dal momento che molte statue femminili erano velate e carat­ terizzate soltanto da un ampio panneggio, era ragionevole interpretarle come una possibile raffigurazione di Cerere. Infatti, mentre le altre dee hanno generalmente segni caratteristici che ne facilitano il riconoscimento anche in mancanza di specifici attributi (ad esempio la nudità di Venere, l'e­ gida o l'elmo di Minerva, il chitonisco o i calzari di Diana ecc.), la dea delle messi si contraddistingue solamente per la sua figura severa e matronale. Accanto ai motivi strettamente iconografici, non vanno sottovalutate le informazioni offerte dalla letteratura artistica, in particolare dal trattato intitolato Le imagini con la spositione de i dei de gli antichi raccolte per Vincenzo .

1 44 CAVACEPPI 1 768, pp. 8-9. Sulle teorie di restauro di Cavaceppi cfr. PivA 201 1 , in parti­ colare pp. 3 9-40 e p. 50. 1 45 PIVA 20 1 1 , p. 39. A sua parziale discolpa, non è da escludere che la committenza in­ sistesse per aggiungere le integrazioni, al fine di connotare specificamente il soggetto della scultura posseduta: cfr. PIVA 201 1 , p. 50. 1 46 CAvACEPPI 1 768, p. 4 afferma di voler inserire nelle tavole brevi didascalie per segnalare le parti di restauro, differenziandole dall'originale. Tuttavia lo scultore non mantenne fede al suo proposito, fatto che scatenò le dure critiche di Christian Gottlob Heyne: cfr. PIVA 201 1 , p. 48. Una copia della Raccolta di proprietà di johann Gottfried Herder doveva forse contenere annotazioni autografe dello stesso Cavaceppi che segnalavano le integrazioni, ma il libello andò distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale: cfr. PIVA 201 1 , p. 26.

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Cartari, pubblicato per l'appunto da Vmcenzo Cartari a Venezia nel 1 556, poi ristampato nel 1571 con l'aggiunta di incisioni ad opera di Bolognino Zaltieri. 1 47 Il testo ebbe una fortuna eccezionale e divenne il punto di ri­ ferimento per le arti figurative dei secoli successivi, una sorta di manuale d'uso sull'iconografia degli dei antichi. Trattando delle rappresentazioni di Cerere, Cartari sostiene esplicitamente che «fu la sua statua fatta in forma di matrona con ghirlande di spiche in capo, & teneva un mazzetta di pa­ paveri in mano, perché questo è segno di fertilità», 1 48 seguendo con buona probabilità l'affermazione di Porfirio (tramandata da Eusebio di Cesarea), che considera le capsule simbolo di fecondità. 1 49 Ugualmente Natale Con­ ti, nelle sue Mythologiae, sive explicationis Fabularum libri decem pubblicate nel 1 568, riporta la notizia secondo cui Erant etiam papavera Cereri sacra, spiegandone anche le ragioni. In primo luogo, la pianta era generalmente legata alla dea a causa della fecondità dei suoi semi (obferacitatem seminum), ma altri preferivano chiarire la connessione constatando come essa cresces­ se frequentemente nei campi seminati. Infine, il mitologo afferma che altri ancora, tra i quali lo storico argivo Derkylos, 1 5 0 collegavano il papavero al mito della ricerca di Proserpina: dal momento che Cerere non riusciva a prendere sonno a causa dell'angoscia per la perdita della figlia, decise di utilizzarlo per poter finalmente riposare. 1 5 1 Un racconto simile era già pre­ sente nel De genealogiis deorum gentilium ( 1 3 50- 1368) di Giovanni Boccaccio: l'umanista, che segue quasi certamente la narrazione contenuta nei Fasti di Ovidio e soprattutto nel commento alle Georgiche di Servio Danielino, 152 aggiunge che per ben due volte la dea fu persuasa da Giove a consumare il papavero. 1 53 Si rivelano per certi aspetti ancor più significative le informa­ zioni tramandate da Giglio Gregorio Giraldi, umanista ferrarese che nel 1 548 pubblicò De Deis Gentium varia et multiplex Historia, anticipando di un ventennio i più noti manuali di Conti e di Cartari. Il mitologo italiano di­ mostra di conoscere i lavori di Virgilio, di Eusebio di Cesarea e di Anneo Cornuto, citati puntualmente nel suo testo: egli riporta l'espressione virgi­ liana Cereale papaver e utilizza Eusebio (menzionato due volte in relazione 1 47 Cfr. PALMA 1 977, pp. 794-795 . 1 48 CARTARI ( 1 5 7 1 ) 1 963, p . 1 2 1 . 1 49 PORPH. D e imag. F 6 , p . 8 0 Maltomini. Improbabile che Cartari conoscesse direttamen­ te il testo di Porfìrio; più ragionevole supporre che trasse l'informazione da EuSBB. Praep. evang. III 1 1 , 6 . 1 5 0 Si conosce assai poco in merito a questo autore: cfr. ScHWARTZ ( 1 905) 1 999, p . 243 .

v. p. 5 1 4. Fast. IV 53 1 -534; D. SBRV. Georg. I 78; 212. Cfr. supra, pp. 1 0 1 - 1 03 . BoccACCIO De gen. deor. gent . VIII 4 , p. 830 e pp. 832-834 Zaccaria.

1 5 1 CONTI ( 1 568) 1 602, lib. 1 5 2 Ov. 1 53

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alla pianta) per documentare le ragioni del legame che unisce Cerere, le spighe e i papaveri; Cornuto viene invece impiegato per attestare l'usanza di offrire capsule della pianta alla dea. 1 54 Trattando specificatamente dell'i­ conografia, Giraldi sostiene che le statue di Cerere rappresentavano figure femminili matronali, cum spicarum & papaverii manipulo e sostiene di aver visto in prima persona sculture simili mentre si trovava a Roma. 1 55 Ciò testimonia che già intorno alla metà del Cinquecento era noto un certo numero di statue antiche che mostravano spighe e capsule di papavero, per questo motivo interpretate come raffi.gurazioni di Cerere. Ancora nel 1 820 Filippo Aurelio Visconti e Giuseppe Antonio Guattani considerano a buon diritto «la corona graminea, le spighe, i papaveri, le faci» quali simboli caratteristici della dea delle messi. 1 5 6 Non può dunque destare alcun stupore se i restauratori settecenteschi e successivi si sentirono autorizzati a inserire i consueti attributi 'cereali' per integrare particolari sculture: essi avevano a disposizione, e conoscevano certamente, i modelli scultorei provenienti direttamente dall'antichità che potevano garantire la correttezza del restauro. D'altronde Filippo Aurelio Visconti e Giuseppe Antonio Guattani, che ripresero le teorie espresse da Cavaceppi, testimoniando il favore che queste incontrarono presso gli eru­ diti dell'epoca, 1 57 affermano con assoluta sicurezza che: «Il ristauratore non dee che aggiungere le parti perdute, senza ritoccare quelle che rimangono. Quello che dal ristauratore si aggiunge dee copiarlo, o imitarlo da altro antico monumento, non capricciosamente immaginarlo». 1 58 Le frequenti testimonianze letterarie che attestavano con sicurezza la connessione tra la dea delle messi, le spighe e i papaveri all'interno dei principali manuali di iconografia artistica giustificavano ampiamente le decisioni prese dagli eruditi dell'epoca e successivamente messe in atto dagli scultori. 1 59 Con 1 54 GIRALDI 1 548, syntagma XIV, p. 580 (Virgilio ed Eusebio); p. 585 (Eusebio); syntagma XVII, p. 752 (Cornuto, chiamato Phurnutus). m GIRALDI 1 548, syntagma XIV, pp. 580-5 8 1 : qlUIIem me veterem vidisse recordor, dum Ro­ mae agerem. 1 5 6 VISCONTI-GUAITANI 1 820, pp. 1 3 1 - 132. I l testo è corredato da un bel disegno raffiguran­ te Cerere con spighe e capsule di papavero, opera dello stesso Guattani. I due eruditi erano a . . .

conoscenza delle informazioni tramandate da CoRNUT. 28, citato nella nota al testo e chiamato nel caso specifico «Fornuto». 1 57 VISCONTI-GUAITANI 1 808, p. 75 dimostrano tutto il loro apprezzamento per il lavoro svolto da Cavaceppi nell'elogio postumo che gli riservarono nella propria opera. Diametral­ mente opposto il giudizio espresso da Karl August Bottiger, che ebbe parole dispregiative nei confronti del lavoro di Cavaceppi: cfr. MEYER 201 1 , p. 5 5 . 1 5 8 VISCONTI-GUAITANI 1 808, p . 7 5 . 1 59 Per l'importanza dei manuali iconografici d i Giraldi, d i Conti e di Cartari nella storia dell'arte cfr. l'ancora fondamentale SEZNEC ( 1 9802) 2008, pp. 342-3 8 1 .

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SEZIONE II - IL PAPAVERO N E L L' IC O N O G RAFIA ROMANA

questo non si vuole negare il fatto che le integrazioni apportate nel XVIII e nel XIX secolo non abbiano talora modificato sensibilmente il soggetto originale delle varie statue, ma le scelte effettuate furono comunque in­ traprese con cognizione di causa sulla scorta della tradizione letteraria e storico-artistica, sostenuta dagli esemplari statuari antichi.

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4.

CERERE, LE 'LASTRE CAMPAN.K E L' 'URNA LOVATELLI'

Tra le cosiddette 'lastre Campana' , 1 ovvero una serie di rilievi fittili ret­ tangolari che presentano elementi decorativi o raffigurazioni vere e pro­ prie, 2 sono stati annoverati tre manufatti (conservati rispettivamente al Louvre, alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen e al Museo Nazionale Romano) che riproducono la medesima iconografia. Al centro del bassori­ lievo si nota il busto di un personaggio femminile visto di prospetto, con le spalle scoperte e una leggera veste che ricopre il petto; le due mani alzate stringono un mazzo composto da spighe e capsule di papavero, mentre intorno agli avambracci si avvolgono due serpenti (Fig. 20).3 Purtroppo le informazioni relative a queste lastre sono assai scarse: datate general­ mente all'età augustea, esse dovevano forse essere utilizzate come sime ornamentali. 4 La loro provenienza è parimenti problematica, poiché solo per l'esemplare conservato a Roma si è a conoscenza del luogo di ritrova­ mento (Cinecittà), mentre per i restanti due non si hanno certezze, benché sia stato ipotizzato che il rilievo di Copenhagen provenga da Tarquinia. 5 Gli archeologi hanno ormai stabilito che le cosiddette 'lastre Campana' potevano ornare sia ambienti esterni sia interni, chiusi o aperti. 6 Dal punto l Il nome convenzionale deriva dal marchese Giovanni Pietro Campana ( 1 808- 1 880), pos­ sessore di una preziosa collezione in cui vennero raccolti molti rilievi appartenenti a questa tipologia: cfr. Rizzo 1 976- 1 977, p. 5. Sul marchese Campana cfr. PARISE 1 974, pp. 349-3 5 5 . 2 Cfr. CALDERONE 1 975, p . 65. Sulle 'lastre Campana' cfr. anche ToRTORELLA 1 98 1 , p . 6 1 ; BORBEIN 1 968, in particolare pp. 1 2-42. 3 DE ANGELI 1 988, nn. 5-7; POULSEN 1 949, n. 94; CAPRINO 1 943 , p. 28. 4 Di questo parere CAPRINO 1 943, p. 28. Per una possibile collocazione delle 'lastre Cam­ pana' cfr. CALDERONE 1 975, pp. 65-66. Per la datazione cfr. STRAZZULLA 1 993, p. 299; TORTOREL­ LA 1 98 1 , p. 67. 5 Per il rilievo di Cinecittà, ritrovato casualmente, cfr. CAPRINO 1 943, p. 28. Cfr. anche DE ANGELI 1 988, n. 7; GUILLAUME-COIRIER 200 1 , pp. 1 028- 1 030. Per Tarquinia: DE ANGELI 1 988, n. 5 ; PouLSEN 1 949, n. 94. 6 Cfr. ToRTORELLA 1 98 1 , p. 62.

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di vista dei rinvenimenti, esse sono state ritrovate in prossimità di edifici sacri (tra cui si segnalano per importanza il tempio di Apollo Palatino, il Capitolium di Cosa e il tempio di Giunone Sospita a Lanuvio), ma è stato osservato che il loro impiego in aree santuariali è piuttosto scarso. 7 Esse potevano essere collocate in zone riservate a edifici pubblici (terme, teatri, basiliche, fori) e monumenti funebri (tombe a camera, colombari), ma la maggior parte dei rilievi doveva essere utilizzata per decorare domus e villae private. 8 A tal proposito, Stefano Tortorella ha sottolineato come sia assai difficile stabilire la tipologia di domus o di villa a causa della scarsità di dati di scavo, così come risulta arduo avanzare ipotesi sull'eventuale programma ornamentale o sulle finalità della committenza.9 Nel caso specifico delle lastre in esame, non si è nemmeno a conoscenza del tipo di edificio cui esse appartenevano, fatto che infida non poco la possibilità di condurre una corretta analisi finalizzata alla spiegazione del significato e dello scopo dei monumenti. 10 Allo stato attuale, vale certamente la pena concentrarsi in primo luogo sul riconoscimento del personaggio femminile raffigurato, che gli studiosi sono abbastanza concordi nel considerare una rappresentazione di Cere­ re. 1 1 Tale identificazione sembra essere confermata dalla presenza degli at­ tributi caratteristici della dea, tra cui spiccano in modo particolare spighe e capsule di papavero. Oltre a ciò, la connessione tra la divinità e i serpenti è attestata da Ovidio, quando afferma che il suo carro è trainato da serpenti alati, 12 e dall'iconografia romana, che testimonia incontrovertibilmente il legame tra il rettile e la dea, poiché su un buon numero di manufatti (tra i quali si segnalano per importanza l"urna Lovatelli', un'ulteriore 'lastra 7 Cfr. STRAZZULLA 1 993, p. 300; TORTORELLA 1 98 1 , pp. 62-63 . Per l'elenco dei siti santuariali da cui provengono 'lastre Campana' cfr. ToRTORELLA 1 98 1 , p. 63 , nota 1 0 . Per un approfondi­ mento sui rilievi del tempio di Apollo Palatino cfr. STRAZZULLA 1 990, in particolare per la de­ scrizione iconografica pp. 1 5-94; Rizzo 1 976- 1 977, pp. 49-5 1 . Per il Capitolium di Cosa, maggiori dettagli in Rizzo 1 976- 1 977, pp. 5 1 -5 5 . s Edifici pubblici: cfr. ToRTORELLA 1 9 8 1 , pp. 63-64, elenco dei siti nota 1 4 . Monumenti fu­ nebri: cfr. ToRTORELLA 1 98 1 , p. 65 e nota 1 8 . Domus e vilùle: cfr. ToRTORELLA 1 98 1 , p. 64, elenco dei siti nota 1 6 . 9 TORTORELLA 1 98 1 , p . 64. I O Più in generale, è difficile studiare le 'lastre Campana' poiché buona parte di esse fa­ cevano parte di collezioni e quindi non si hanno a disposizione i dati di scavo: cfr. Rizzo 19761 977, p. 6. I l Così DE ANGELI 1 988, nn. 5-7. 1 z Ov. Fast. IV 497-498. Il serpente era già un animale associato alla Demetra greca: se­ condo HES. F 226 Merkelbach-West STRAB. IX l, 9, il serpente Cicreide venne 'adottato' dalla dea che lo pose a guardia del santuario eleusino. Sulla connessione tra Demetra e i serpenti cfr. Aiuu G ONI 20 1 5 , pp. 1 2 8- 1 30. =

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4. C E RERE, LE ' LASTRE CAMPANA' E L"U RNA LOVAT E L L I '

Campana' e il sarcofago di Torrenova) Cerere compare raffigurata con un serpente nelle sue vicinanze. 1 3 Ci si potrebbe tuttavia domandare quale sia stato il modello iconogra­ fico utilizzato dagli artigiani: che le terrecotte Campana siano espressione dell'artigianato romano è oggi un fatto comunemente accettato, anzi si è persino pensato che le principali officine fossero situate a Roma o nelle sue vicinanze. 1 4 Tuttavia, non si può escludere che il coroplasta abbia potuto trarre ispirazione da immagini ritraenti Demetra, forse provenienti dalla Magna Grecia o dalla Sicilia: è pur vero che non si è a conoscenza di simili precedenti nell'arte dell'Italia meridionale, ma è altrettanto innegabile che l'associazione tra la dea, le spighe e i papaveri era già nota a Teocrito e CallimacoY In ogni caso, se si esclude il pannello sud-orientale dell'Ara Pacis (dove però la dea porta spighe e capsule di papavero a ornamento del capo), i rilievi in esame devono essere intesi come una tra le prime raffigu­ razioni di Cerere con tali attributi. Alcuni studiosi hanno proposto di interpretare la scena come una ri­ salita (livoooc;) di Cerere, 16 ma coloro che si sono schierati a favore di una simile esegesi non hanno specificato a quale ascesa della dea essi facessero riferimento. Si tratta della risalita dall'Ade? Sulla scorta di una precedente tradizione greca, Virgilio allude a una discesa di Cerere agli Inferi per ri­ portare sulla terra la figlia Proserpina, mentre l'anonimo autore della Bre­ vi.s expositio è ancor più esplicito nel confermare la catabasi; infine Igino, nell'elencare coloro i quali erano tornati dall'Oltretomba, menziona espli­ citamente Cerere. 1 7 1 3 Cfr. DE ANGELI 1 988, nn. 48 (il serpente esce dalla cista mystica, davanti alla quale è po­ sta Cerere); 79; 1 26; 1 3 3 ; 138; 1 76 (carro trainato da serpenti); 1 43- 1 44 (il serpente è posto sulla cista su cui è seduta la dea); 145-147 (Cerere tiene il serpente in grembo). 1 4 È stato notato che lo stile utilizzato per i rilievi è di tipo neoattico, ma i temi raffigurati dovevano essere espressione della cultura romana: cfr. TORTORELLA 1 98 1 , p. 69. CALDERONE 1 975, p. 68 ha considerato le 'lastre Campana' come un prodotto tradizionale romano «per una clien­ tela di poche pretese». Contra STRAZZULLA 1 99 1 , p. 245, la quale ha messo in evidenza come l'im­ piego dei rilievi fosse promosso in primo luogo dai vertici della società romana, come sembrano confermare i ritrovamenti di terrecotte architettoniche nell'area del tempio di Apollo Palatino, della villa di Livia a Prima Porta e delle ville imperiali di Ventotene e Capri. La studiosa ha inol­ tre sottolineato come altre lastre provengano da proprietà private di esponenti della classe se­ natoria favorevoli alla politica instaurata da Augusto. Per i centri di produzione cfr. ToRTORELLA 1 98 1 , p. 67. I ritrovamenti di 'lastre Campana' si concentrano prevalentemente nella zona cen­ trale dell'Italia (in particolare Lazio e bassa Toscana): cfr. ToRTORELLA 1 98 1 , pp. 82-84, figg. 2-3 ; 7. H THEOCR. VII 1 56; CALLIM. Hymn. VI 42-44. La connessione Cerere /papavero era già ben attestata da VERG. Georg. I 2 1 2 ; Ov. Fast. IV 53 1 -534.

1 6 Così juCKER 1 96 1 , p. 205, seguito poi da DE ANGELI 1 988, nn. 5-7. 1 7 VERG.

Georg. I 39; Brev. exp. in Verg. Georg. I 3 8 (In infernum descendit Ceres, ut filiam re-

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SEZIONE I I - IL PAPAVERO NELL' I C O N O G RAFIA RO MANA

È certamente più noto il ritorno dall'Oltretomba della figlia della dea, Proserpina, ma considerare l'immagine raffigurata sulle 'lastre Campana' come un ritratto della sposa di Plutone non trova alcun riscontro a suo favore. Infatti l'attribuzione alla dea di spighe e papaveri è piuttosto rara e limitata peraltro a un territorio ben preciso, ovvero quello di Locri Epize­ phirii, da cui provengono alcuni pinakes che attestano l'associazione, ma sui quali non compare mai il serpente. 18 Ne consegue che il personaggio raffigurato è Cerere: alla luce di queste osservazioni e delle testimonianze fornite dagli autori antichi, la teoria dell' livoòoç, e la conseguente lettura dell'immagine in questo senso, potrebbe trovare conferma, anche in con­ siderazione del fatto che la tradizione della discesa agli Inferi della dea era nota all'epoca della realizzazione delle lastre. 1 9 Tuttavia, in mancanza di elementi probanti, si potrebbe anche ipotizzare che i rilievi non mostrino una figura in ascesa, ma semplicemente il busto di Cerere con i suoi carat­ teristici attributi. Il motivo per cui essa non venne raffigurata per intero potrebbe essere ricondotto alle dimensioni delle lastre, alle quali si adattava meglio la raffigurazione della parte superiore del corpo, soprattutto se si considera probabile il loro impiego come sime di porte e quindi poste in posizione elevata rispetto all'osservatore. A questo punto, sarebbe prezioso conoscere la collocazione dei rilievi per poter dirimere la questione e ipotizzare di conseguenza la loro fun­ zione ma, come si è già sottolineato, non sono pervenute informazioni in merito. Tuttavia, mi pare che i contesti di provenienza possano essere ristretti a due possibilità: escludendo la destinazione per edifici funebri o pubblici, con i quali l'iconografia riprodotta sulle lastre mal si concilia, le terrecotte avrebbero potuto fare parte di un complesso santuariale oppure della decorazione di ville suburbane, tanto all'esterno quanto all'interno dell'edificio. È però difficile andare al di là di una simile constatazione: di certo le immagini dovevano veicolare concetti beneauguranti legati ancora una volta alla floridezza e all'abbondanza, sottolineando il carattere di be­ nevola dispensatrice di prosperità proprio di Cerere. ciperet); HYGIN. Fab. 25 1 . Secondo questa tradizione, la giovane si rifiutò di seguire la madre; cfr. LucAN. VI 698; 739; CoLUM. X 2 7 1 -272. Sul tema cfr. HARRISON-0BBINK 1 986, in particolare pp. 79-80, cui va il merito di aver spiegato il significato del verso virgiliano, già intuito da ZuNTZ 1 97 1 , pp. 400-40 1 . Per i precedenti greci cfr. HARRISON-OBBINK 1 986, pp. 76-78 (con lista delle fonti). In Grecia è testimoniata anche un'livolìoç di Demetra: l'avvenimento è però legato a una precisa festa ateniese, chiamata Stenia. Cfr. EusuL. F 1 46 Kassel-Austin PHOT. s. v. L'vivza Theodoridis (la celebrazione della festa era riservata alle donne e avveniva di notte). Per gli Stenia cfr. DEUBNER 1 932, pp. 52-53 . =

1 8 Cfr. PINAKES III, pp. 105- 1 06; pp. 1 09-1 1 1 ; MEIRANO 2003 , p. 1 5 5 . 1 9 N e d à conferma VERG.

Georg. I 3 9 . -

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4. CERERE, LE ' LASTRE CAMPANA' E L" U RNA LOVATELLI'

Un contesto differente contraddistingue le immagini raffigurate sulla cosiddetta 'urna Lovatelli' , un reliquiario marmoreo trovato in un colom­ bario di schiavi e di liberti della gens Statilia, che si trovava nei pressi della Porta Maggiore sull'Esquilino. 20 Il vaso, datato all'epoca augustea, è isto­ riato per tutta la sua superficie: sono presenti sette personaggi che danno vita a tre scene distinte. 21 La prima mostra una figura femminile panneg­ giata, seduta su una base avvolta da un serpente (probabilmente una cista) e ricoperta da una pelle di animale; ha il capo ornato da spighe e regge con la sinistra una lunga fiaccola, mentre con la destra altre spighe. Il rettile si snoda sino al grembo della sua padrona e alza la testa per raggiungere la mano di un personaggio maschile posto di fronte: egli è imberbe e ha il capo reclinato rivolto verso l'animale. Veste una lunga tunica frangiata che lascia scoperta la spalla e il braccio destro, sotto cui si nasconde un lungo bastone coperto da un drappo (sorretto con il braccio sinistro) che lo ricopre quasi interamente, ma di cui è visibile la parte terminale vicino ai piedi del personaggio. 22 Dietro la figura femminile seduta al centro, ne è riconoscibile una seconda nei pressi di un basso pilastrino, gradiente verso destra. Coperta anch'essa da una lunga tunica e da un mantello avvolto in vita, reca con il braccio sinistro una fiaccola che tiene appoggiata sulla spalla. Pochi dubbi sull'identità dei due personaggi femminili: si tratta con buona certezza di Cerere / Demetra (seduta al centro) e di sua figlia Pro­ serpina / Kore (alle spalle della madre), come confermano gli attributi loro associati. 23 Solleva qualche problema in più il riconoscimento del giovane uomo posto davanti alla dea, sulla destra: da principio ritenuto un iniziato 2o Il nome convenzionale deriva dalla prima studiosa che studiò e pubblicò il reperto, la contessa Ersilia Caetani Lovatelli. Per il ritrovamento cfr. TAGLIETII 1 979, p. 245; BIANCHI 1 976, p. 28; CAETANI LovATELLI 1 879, p. 5. È stato osservato come la lavorazione dell'urna sia di q ualità piuttosto bassa: cfr. TAGLIETII 1 979, p. 248; Rizzo 1 9 1 0, p. 1 42. Secondo TAGLIETII 1 979, p. 247, il modello originario per la rappresentazione doveva essere offerto da un originale ellenistico (così anche BuRKERT ( 1 972) 1 98 1 , p. 1 90), probabilmente proveniente da Alessandria (cfr. già M6sms 1 964, pp. 36-37), mentre Rizzo 1 9 1 0, pp. 1 40- 1 42 si dimostrò del tutto contra­ rio all'origine alessandrina per motivi formali ed escluse categoricamente la possibilità che le scene rappresentate siano riconducibili alla celebrazione dei misteri eleusini praticati nella città egizia. 21 Sull"urna Lovatelli' : DE ANGELI 1 988, n. 1 4 5 ; SINN 1 987, p. 88, n. l ; TAGLIETII 1 979, p. 244, n. 1 54; BIANCHI 1 976, p. 28, n. 50; DEUBNER 1932, pp. 77-78. L'iconografia presente sull'urna è molto simile a q uella raffigurata sul sarcofago di Torrenova: per la comparazione dei due monumenti cfr. Rizzo 1 9 10, pp. 1 06- 1 44. 2 2 Secondo BuRKERT ( 1 972) 1 98 1 , p. 1 9 1 ; BuRKERT ( 1 987) 1 99 1 , p. 126, l'oggetto sarebbe un fascio di verghe. Tuttavia tale ipotesi non mi sembra corrisponda alla raffigurazione, nella q uale si nota abbastanza chiaramente un lungo bastone. 23 Cfr. DE ANGELI 1 988, n. 145; TAGLIETII 1 979, p. 245 ; CAETANI LovATELLI 1 879, p. 1 4 .

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ai misteri eleusini, oggi si crede sia lacco, interpretazione molto probabile poiché favorita da analogie iconografiche. 24 La seconda scena presenta al centro una figura maschile con la testa completamente ricoperta da un manto e seduta su un seggio sopra cui è posta una pelle di animale, probabilmente di leone. Rimangono scoperti parte del busto e il braccio destro, mentre il piede è appoggiato su un cor­ no di ariete; il braccio sinistro tiene una fiaccola appoggiata lateralmente al corpo. All e sue spalle è visibile un personaggio femminile stante, con lunga tunica e sopravveste, le cui braccia alzate reggono una vannus (vaglio, se­ taccio) sopra la testa dell'uomo davanti a lei. L'ultimo episodio (Fig. 2 1 ) si configura come una scena di sacrificio: un giovane imberbe coperto da una pelle leonina è intento a offrire su una sorta di altare un maialino, tenuto fermo per le zampe posteriori con la mano destra, mentre con la sinistra regge una piccola coppa. Davanti a lui sta un uomo barbato, vestito con un lungo chitone frangiato, in procinto di versare da un' oinochoe un liquido sulla testa dell'animale, mentre con la mano sinistra alzata sorregge un piatto contenente quelle che con buona probabilità devono essere ricono­ sciute come tre capsule di papavero. 25 Pare evidente che queste due ultime immagini debbano essere riferite a un preciso rito in onore delle divinità rappresentate nella prima scena descritta. Più di uno studioso ha interpretato i due episodi come altrettan­ ti momenti dell'iniziazione di Eracle ai misteri eleusini: infatti il giovane che sta sacrificando il porcellino è vestito con una pelle leonina, elemento caratterizzante il figlio di Zeus. 26 L'eroe sarebbe stato ritratto una seconda volta, dal momento che il personaggio con il capo totalmente coperto è 24 Per l'iniziato cfr. CAETANI LovATELLI 1 879, p. 14; HARRISON 1 9082, p. 546; BuRKERT ( 1 972) 1 98 1 , p. 1 9 1 ; BuRKERT ( 1 987) 1 99 1 , p. 126. L'identificazione di lacco (cfr. VERG. Georg. I 1 66: my­ stica vannus lacchi) si deve a Rizzo 1 9 1 0, p. 1 3 5 , che escluse categoricamente il riconoscimento con l'iniziato, il quale non avrebbe potuto accostarsi in tale «confidente intimità» alle dee. La teoria dello studioso è stata accettata da DE ANGELI 1 988, n. 145; SINN 1 987, p. 89; TAGLIETTI 1 979, p. 245 ; RoussEL 1 930, pp. 58-59. Anche BoARDMAN-PALAGIA-WOODFORD 1 988, p. 807 e MYLONAS 1 9 6 1 , p. 207 si sono schierati a favore del riconoscimento di lacco, benché il secondo non abbia escluso possa trattarsi di Trittolemo o Eubuleo (eventualità a mio giudizio piuttosto improbabili). SINN 1 987, p. 88 ha menzionato una non meglio identificata ]iingligsfigur, ma ha poi propeso per l'identificazione con lacco (p. 89). Sull'iconografia di lacco cfr. Rizzo 1 9 1 0, pp. 1 0 7- 1 1 6 . 2 5 L e capsule della pianta furono riconosciute già d a CAETANI LovATELLI 1 879, p . 7. Hanno concordato con la Studiosa BECERRA ROMERO 2009, p. 347; NENCINI 2004, p. 146; BLAZQUEZ 1 969, p. 1 04; MYLONAS 1 96 1 , p. 205 ; RouSSEL 1 930, p. 59; HARRISON 1 9082, p. 547. TAGLIETTI 1 979, p. 246 ha preferito rimanere nel vago, menzionando generiche offerte. SINN 1 987, p. 88 si è limitato a rilevare la possibilità che gli elementi vegetali possano essere frutti o capsule di papavero. 26 BoARDMAN-PALAGIA-WoooFORD 1 988, n. 1 4 1 0; SINN 1 987, p. 88; TAGLIETTI 1 979, p. 246; MYLONAS 1 96 1 , p. 205 ; RoussEL 1 930, p. 58.

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seduto su una pelle che sembra essere quella di un leone, attributo che per­ metterebbe nuovamente l'identificazione della figura_ 2 7 Tuttavia, è forse eccessivo considerare l'intera raffigurazione presente sull"urna Lovatelli' come una precisa trasposizione del processo di iniziazione vero e proprio. 28 A questo proposito George Mylonas e Pierre Roussel hanno giustamente sottolineato come la rappresentazione di diversi momenti del rito miste­ neo non potesse essere eseguita a causa del veto imposto agli iniziati di rivelare il contenuto dei riti; in caso contrario si sarebbe compiuto un grave sacrilegio. 29 Ne consegue che le scene del vaso non possono essere intese come parti dell'effettiva celebrazione eleusina, ma come riti propedeutici all' iniziazione. 3 0 Per quanto riguarda il sacrificio del porcellino (la più comune vittima offerta alle dee di Eleusi),3 1 è oggi generalmente accettato che esso avve­ nisse in uno stadio preparatorio alla TEÀ.f:TJl, cui non era vincolato il segreto. Durante il mese di Boedromione, tutti coloro che volevano prendere parte ai misteri dovevano recarsi al Falero e bagnarsi nelle acque del mare, por­ tando con sé un porcellino che in seguito avrebbero sacrificato. 3 2 L'episodio in cui è rappresentata una figura maschile seduta su uno sgabello, con la testa completamente velata, potrebbe rimandare a una seconda lustratio ed è stato riconosciuto da Walter Burkert come il rito della thronosis: 33 la gio2 7 SINN 1 987, p. 88; M6ams 1 964, p. 38; MYLONAS 1 96 1 , p. 205; RoussEL 1 930, p. 58. Secon­ do BuRKERT ( 1972 ) 1 98 1 , p. 1 90 e TAGLIETTI 1 979, p. 247 (che hanno seguito Rizzo 1 9 1 0, pp. 1 3 1 132 ) , l'inserimento della pelle di leone sarebbe un fraintendimento dell'esecutore dell'urna: egli avrebbe mal interpretato la composizione da lui utilizzata come modello, che prevedeva la raffigurazione di un iniziato e non di Eracle. Taglietti ha ravvisato una seconda incomprensio­ ne (ancora sulla scorta di Rizzo 1 9 1 0, pp. 132- 134 ) nella realizzazione del bastone di lacco: al suo posto, l'artigiano avrebbe rappresentato una sorta di clava nodosa, equivocando l'identità del personaggio, forse da lui inteso come Eracle. 28 CAETANI LovATELLI 1 879, pp. 1 4- 1 6 per prima ipotizzò tale eventualità, seguita poi da HARRISON 1 9082, p. 546. Anche DEUBNER 1 932, p. 77 e BIANCHI 1 976, p. 9 e p. 29 si sono schierati a favore della rappresentazione dell'effettivo rito misterico. BuRKERT ( 1987 ) 1 99 1 , p. 126 ha interpretato il fregio come tre momenti distinti dell'iniziazione: sacrificio preliminare, purifì­ cazione e incontro con le dee . Contra già Rizzo 1 9 1 0, p. 136. 29 MYLONAS 1 96 1 , p. 208; RoussEL 1 930, pp. 64-65 . Il divieto trova conferma in HoR. Carm. III 2, 25-32; PAus. I 14, 3; 38, 7; CLEM ALEx. Protrept. 22, 4 Stahlin; TERTULL. Adv. Valent. I l , 1 -2.

Celebre è l'accusa contro Eschilo, che avrebbe divulgato (secondo il poeta inconsciamente) i segreti dei misteri nelle proprie tragedie: cfr. ARISTOT. Eth. Nic. III l , 1 7; Lvs. Contr. Andoc. 5 1 ; AELIAN. Var. hist. V 1 9 ; CLEM ALEx. Strom. I I 1 4 , 60, 3 . 3 0 RousSEL 1 930, p . 64. MYLONAS 1 96 1 , p . 208 h a ammesso l a possibilità che essi fossero riti preliminari per i Piccoli Misteri. 3 1 Cfr. ScHOL. Aristoph.

Achar. 747b Wilson.

3 2 BREMMER 2014, p. 5; BowoEN 20 10, p. 3 3 ; LIPPOLIS 2006, pp. 1 00- 1 0 1 ; BuRKERT 20032,

p. 1 89; MYLONAS 1 96 1 , p. 208; RoussEL 1 930, p. 6 1 . 3 3 Cfr. BuRKERT ( 1 972 ) 1 9 8 1 , pp. 1 89-190.

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SEZIONE I I - IL PAPAVERO NELL' I C O N O G RAFIA ROMANA

vane donna pone la vannus sul capo dell'uomo come atto purificatorio e la presenza del «vello di Zeus» (�tòç Kcpòtov), segnalato dal corno di ariete su cui poggia il piede del personaggio, sembra confermare tale eventualità. 34 Come precedentemente sottolineato, il protagonista di queste due scene deve essere riconosciuto in Eracle: gli avvenimenti non sarebbero ricon­ ducibili tanto alla sua effettiva iniziazione ai misteri, quanto alle pratiche preparatorie cui l'eroe dovette sottoporsi per poter partecipare al rito. 35 In­ fatti egli si era macchiato dell'uccisione dei Centauri (durante le nozze di Piritoo) e il proprio stato di impurità gli impediva di prendere parte alla celebrazione: fu così che si recò da Eumolpo, mitico sacerdote eleusino, il quale lo purificò.3 6 Le scene in esame si riferiscono certamente ai misteri eleusini, come testimonia la presenza di Demetra, Kore e lacco in uno dei tre avvenimenti raffigurati sull'urna.37 Come ha giustamente notato Franca Taglietti, quest'ultima scena non è collegata cronologicamente alle vicende con protagonista Eracle, ma si configura come «punto ideale di riferimen­ to» per l'intero complesso figurativo: l'episodio con la triade eleusina svol­ ge dunque una funzione fondamentale per chiarire il significato del rilievo dell'urna.3 8 Ferma restando la probabile identificazione di Eracle come pro­ tagonista delle due scene rituali,39 è possibile a questo punto avanzare ipo­ tesi sull'identità degli altri personaggi: la donna che pone la vannus sul capo dell'eroe deve essere intesa come una sacerdotessa (la ierofantide?), mentre l'uomo barbato che versa il liquido dall' oinochoe potrebbe essere lo ierofante oppure lo stesso Eumolpo, che aveva accolto e purificato il figlio di Zeus. 40 34 M5srus 1 964, p. 38; MYLONAS 1 96 1 , pp. 205·206; DEUBNER 1 932, pp. 77-78; RoussEL 1 930, p. 62. L'uso del liknon come strumento purificatorio è accettato anche da BuRKERT 2003z, p. 1 84; BIANCHI 1 976, p. 29; RoussEL 1 930, p. 64. L'utilizzo del �tòç KcpOtov a Eleusi è testimoniato da Sum s. v. Lll òç KcjJ010v; PHOT. s. v. Lll òç KcpOIOV Theodoridis. Cfr. anche HESYCH. s. v. L11òç KcjJ010v Latte. 35 Anche la scena della thronosis può essere considerata una sorta di 'inizio dell'iniziazio­ ne' che non svela alcuna informazione sul contenuto dei riti ed era quindi rappresentabile: cfr. BURKERT ( 1 972) 1 9 8 1 , pp. 1 90- 1 9 1 . 3 6 Dmo. S1c. IV 14, 3; APoLLOD. Bibl. Il 5, 1 2 . L'iniziazione di Eracle era nota già a PINo. Dith. Il F 346 e a EuR. Herc. fur. 6 1 0·6 1 3 . Secondo PwT. Thes. 30, fu Teseo a purificare Eracle . THEON SMYRN. p. 1 4 Hiller testimonia come la purificazione era la prima tappa indispensabile per accedere all'iniziazione. Agli omicidi era vietato partecipare ai misteri: LYS. Pan. 1 57; SvET. Ner. 34, 4; THEON SMYRN. p. 14 Hille r; HIST. AuG. Sev. Alex. 1 8 , 2; HIST. AuG. Mare. Aur. 27, l ; PoLLUX VIII 90; LIB. Declam. XIII, 1 9 ; 52. Cfr. BREMMER 20 14, p. 4. 37 BuRKERT ( 1 972) 1 98 1 , p. 1 90 ha scartato l'eventualità che le scene rappresentino i Piccoli Misteri: la thronosis era infatti una cerimonia eleusina, come conferma HoM. Hymn. 11 1 92-197. 3 8 TAGLIETTI 1 979, p. 247. 39 Cfr. Rizzo 1 9 1 0, p. 1 3 9 . 40 Per l a sacerdotessa: SINN 1 987, p . 88; TAGLIETTI 1 979, p . 246; MYLONAS 1 96 1 , p . 204; DEuB­ NER 1 932, p. 78; Rizzo 1 9 1 0, p. 1 3 1 . Per lo ierofante: BOARDMAN·PALAGIA-WOODFORD 1 988, p. 807; SINN 1 987, p. 88; TAGLIETTI 1 979, p. 246; MYLONAS 1 96 1 , p. 205; Rizzo 1 9 1 0, p. 139.

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4 . C E RERE, LE ' LASTRE CAMPANA: E L" URNA LOVAT ELLI' Completato il quadro generale alla base dell'iconografia dell"urna Lo­ vatelli' , rimane da capire il motivo dell'inserimento di tre capsule di papa­ vero all'interno delle immagini e la loro conseguente funzione. In primo luogo, va esclusa l'ipotesi secondo cui gli oggetti sul piatto del sacerdote sarebbero in realtà funghi, utilizzati come sostanze allucinogene per favo­ rire l'esperienza misterica, teoria che non trova alcun riscontro nella realtà dei fatti.4 1 Dal mio punto di vista, credo che l'identificazione dei vegetali con le capsule del papaver somniferum sia al momento la più probabile, pur non implicando ovviamente alcun utilizzo del lattice all'interno del­ le pratiche cultuali. La spiegazione per la presenza della pianta è fornita direttamente dalle fonti antiche che offrono informazioni sull'iniziazione eleusina: se il passo di Clemente Alessandrino si riferisce effettivamente a Eleusi, esso testimonierebbe come durante la celebrazione si facesse uso, fra gli altri oggetti, proprio di capsule di papavero.42 Sono probabilmente riferibili al culto misterico di Demetra e Kore anche due passi di Ammo­ nio di Atene e di Polemone, i quali testimoniano come semi di papavero bianco venissero conservati nelle ciotoline del kernos e come gli alimenti in esse contenuti dovessero essere assaggiati dal portatore del vasoY Se ne deduce che l'utilizzo del papavero nella cerimonia eleusina doveva es­ sere prassi comune e la ben documentata presenza di capsule della pian­ ta sui monumenti rinvenuti nel santuario di Eleusi ne sembra avvalorare l'importanza.44 Più complesso è invece scoprire la funzione riservata al papaver all'in­ terno del rito, poiché nessun autore giunge in soccorso fornendo maggiori informazioni: allo stato attuale è possibile solo immaginare un suo impie­ go come offerta rituale destinata a Demetra, fatto peraltro confermato da Anneo Cornuto.45 Mi pare quindi che la rappresentazione delle tre capsule di papavero sul piatto sorretto dallo ierofante / Eumolpo debba essere inte­ sa in tal senso, cioè come elemento peculiare e distintivo del culto eleusino, 4 1 Il primo a proporre tale bizzarra teoria è stato G RAVES 1 972, pp. 106- 1 07, poi ribadita e sviluppata da WASSON-HOFFMAN-RUCK ( 1 978) 1 996, pp. 1 06- 1 07. Recentemente BOWDEN 2010, p. 43 ha provveduto a confutare queste visioni distorte delle pratiche religiose antiche. 42 CLEM. ALEX. Protrept. II 22 Stahlin. Sulla problematicità del passo cfr. supra, p. 1 04, nota 1 2 1 . 43 AMMON. FGrHist 3 6 1 F 2 ; PO LEM F 8 8 Preller. Tuttavia va segnalato che non tutti gli studiosi connettono l'informazione di Polemone con i misteri eleusini: sulla questione cfr. supra, p. 1 05 e nota 1 26. LIPPOLIS 2006, pp. 98-99 si è schierato a favore della celebrazione di kernophoria all'interno del culto eleusino, ma non ha aggiunto spiegazioni in merito. .

44 Cfr. MYLONAS 1 96 1 , p. 1 59 e p. 2 1 7; MERLIN 1 984, pp. 229-232; NENCINI 2004, pp. 1 0 1 - 1 02. 45 CoRNUT. 28 afferma che le capsule di papavero erano comunemente donate a Demetra, ma purtroppo non specifica il contesto relativo a simili offerte.

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probabilmente in quanto dono riservato alla dea, ma assaggiato con tutto il resto dal portatore del kernos. Per concludere, le scene raffigurate sull'urna devono essere ragionevol­ mente messe in relazione alle convinzioni religiose del defunto, con tutta probabilità un devoto dei misteri eleusini. Difficile stabilire se gli episodi rappresentati si riferiscano alla sua avvenuta iniziazione, ma l'eventualità non può certamente essere scartata a priori. La scelta di inserire proprio il papavero tra gli oggetti utilizzati durante le celebrazioni misteriche potreb­ be avere un preciso significato. Dato il contesto di riferimento dell'urna, si potrebbe azzardare l'ipotesi che le capsule rivestano una duplice valenza: sicuro rimando al culto eleusino e velata funzione funebre. Purtroppo però quest'ultima teoria, pur essendo molto suggestiva, non è sostenuta da alcu­ na prova concreta a suo favore.

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5.

I L PAPAVERO E CIBELE

Si è a conoscenza di alcuni manufatti in cui il papavero compare in as­ sociazione a Cibele, la Mater Magna Deum venerata in modo particolare in Frigia. È questo il caso di una gemma (Fig. 22), conservata al Kunsthistori­ sches Museum di Vienna e realizzata probabilmente tra il 1 4 e il 29 d.C . , 1 in cui è ritratto il busto di un personaggio femminile seduto in trono, con chitone, stola e mantello. Il capo è velato e adorno di un diadema e di una corona turrita; la mano sinistra, che poggia su un tympanum su cui è raffi­ gurato un leone accucciato, regge quattro spighe di grano e due capsule di papavero, mentre la destra sorregge il busto di un personaggio maschile, radiato e velato. 2 Il riconoscimento del soggetto non può essere messo in dubbio: si tratta certamente di Cibele, come dimostra la presenza dei suoi caratteristici attributi. 3 La corona turrita rimanda al ruolo di protettrice di città svolto dalla dea, mentre il tympanum è il tamburello frigio comu­ nemente usato dai suoi sacerdoti, così come i cembali e i flauti. 4 La posa ' Condivisibile la proposta di MIKOCKI 1 995, p. 26 che, concordando con la più consueta datazione di età tiberiana, ha scartato l'eventualità che la gemma debba essere datata in epoca claudia (così BIEBER 1 968, p. 12; BIEBER 1 969, p. 32; SANDE 1 985, p. 1 54 ) . 2 FABBRI 2009, p. 3 3 3 ; ALEXANDRIDIS 2004, p. 1 3 7 , n. 50; Wooo 1 999, pp. 1 1 9- 1 20; BARTMAN 1 999, p. 1 9 3 , n. 1 1 0; MIKOCKI 1 995, p. 1 65 , n. 1 0 1 ; MEGOW 1 987, p. 254, n. 8 1 5 ; SANDE 1 985, pp. 1 5 3 - 1 54. 3 Così già SANDE 1 985, p. 1 54. Alcuni studiosi hanno interpretato l'immagine come una crasi di più divinità: la corona turrita sarebbe un attributo caratteristico di Tyche / Fortuna, la veste che lascia scoperta la spalla rimanderebbe a Venere Genetrix, mentre le spighe e i papaveri alluderebbero a Cerere: cfr. BARTMAN 1 999, p. 1 03 e p. 193; MIKOCKI 1 995, p. 26 (il quale non menziona Venere ma Giunone, cui rimanderebbe il diadema); BIEBER 1 968, pp. 5-6. Benché tali attribuiti siano certamente riconducibili alle divinità menzionate, credo che il soggetto princi­ pale debba essere interpretato come Cibele, alla quale ben si addicono gli oggetti raffigurati. 4 Per Cibele protettrice di città cfr. LucR. II 606-607; Ov. Fast. IV 2 1 9-220. Tale ruolo era probabilmente svolto dall a dea già nella sua concezione originaria orientale (in particolare in Frigia) e venne mantenuto intatto nel corso dei secoli: cfr. 80GH 20 1 2 , pp. 34-38. Per gli stru­ menti musicali cfr. LucR. II 6 1 8-6 1 9 ; Ov. Fast. IV 2 1 3-2 1 4 .

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del leone (accucciato ma con la testa alzata) raffigurato sullo strumento musicale sottolinea l'addomesticamento dell'animale e richiama l'epiteto della dea di domina leonum, testimoniato anche dal fatto che ella è normal­ mente rappresentata su un carro trainato da due leoni.5 Tuttavia, la gem­ ma non ritrae soltanto l'immagine della divinità: nei tratti del volto sono stati infatti riconosciuti quelli di Livia, che in questo caso è stata assimilata a Cibele. 6 Per la verità, l'imperatrice è qui rappresentata sì nelle sembianze della dea, ma anche nel suo ruolo di prima sacerdotessa del culto imperiale del divo Augusto: il busto dell'imperatore divinizzato (come testimonia la presenza della corona radiata) tenuto in mano da Livia allude chiaramente a questa funzione.7 Al contrario, è assai poco probabile che l'Augusta sia qui ritratta nei panni di una sacerdotessa di Cibele: oltre al fatto che non si è a conoscenza di alcun legame sacerdotale tra l'imperatrice e la dea,8 biso­ gna considerare come a quell'epoca il sacerdozio della Mater Magna fosse destinato solamente a uomini e donne provenienti dalla Frigia, escludendo l'adozione della carica per un cittadino romano.9 La raffigurazione di Livia nelle vesti di Cibele trova la sua ragione d'es­ sere nella propaganda politico-dinastica finalizzata a celebrare l'imperatri­ ce e la propria discendenza, in maniera del tutto simile a quanto avviene ; Cfr. LucR. II 60 1 ; VERG. Aen. III 1 1 1 · 1 1 3 ; VI 784·78 5 ; Ov. Fast. IV 2 1 5·2 1 8 . Cfr. in parti­ colare ARRl G ONI 1 982, pp. 7- 1 3 in merito ai leoni, che una tradizione considera essere Atalanta e Ippomene l Melanione, puniti per aver contaminato il santuario della dea e di conseguenza trasformati in animali (cfr. Ov. Met. X 686-704. In altre versioni è Giove l'autore della puni­ zione: cfr. APoLWD. III 9, 2; HYGIN. Fab. 1 85, 6). Secondo DIOD. S1c. III 59, 8, i leoni posti nei pressi delle statue della dea avevano la funzione di richiamare l'infanzia di Cibele che, una volta esposta sul monte Cibelo, fu nutrita dalle fiere (cfr. DIOD. S1c. III 58, 1 ) . Per reperti iconografici cfr. SIMON 1 997, nn 94-98. .

6 Cfr. BARTMAN 1 999, p. 1 9 3 . 7 Cfr. FABBRI 2009, p . 3 3 5 ; BARTMAN 1 999, p . 103; MIKOCKI 1 995, p . 2 6 ; SANDE 1 985, p . 1 54. Il sacerdozio di Livia è testimoniato con certezza da VELL. PAT. II 75, 3 ; DIO CAss . LVI 46, l . s BARTMAN 1 999, p. 9 5 ha giustamente sottolineato come «she [scii. Livia] is not a know pa­ tron of Cybele's tempie or cult». Difficile concordare con BIEBER 1 968, p. 1 2 la quale, ritenendo la gemma una creazione del regno di Claudio, ha ipotizzato che l'imperatore abbia nominato e onorato Livia come prima sacerdotessa di Cibele. I dati a disposizione non giustificano una simile teoria. 9 Ne dà conferma DioN. HAL. Ant. Rom. II 1 9 , 4-5, il quale sostiene inoltre che ai cittadini romani era vietato venerare la dea secondo il rito frigio e prendere parte alle attività comune­ mente svolte dai sacerdoti (fare la questua, danzare al suono del flauto, indossare vesti vario­ pinte). Cfr. FASCE 1 978, p. 1 7. Su questo 'doppio rito', uno riservato ai Frigi e l'altro ai Romani, cfr. BORGEAUD ( 1 996) 2006, pp. 1 0 1 - 1 06. Sul rapporto tra i sacerdoti di Cibele e l'identità roma­ na cfr. ORLIN 2010, pp. 1 0 1 - 1 04. Più tardi, non prima dell'introduzione delle pratiche cultuali di stampo orientale avvenuta probabilmente a partire dal regno di Claudio (così VERMASEREN 1 977c, p. 96; BIEBER 1 969, p. 29), il sacerdozio fu aperto anche a cittadini romani, come sembra­ no confermare alcune iscrizioni: CIL VI, nn 2258-2260. .

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5 . IL PAPAVERO E C I B E L E

nei casi in cui ella viene associata a Cerere. 10 Livia avrebbe potuto commis­ sionare un simile manufatto per esaltare una divinità strettamente legata alla città di Roma e ai propri abitanti, 1 1 ma in particolare alla gens Clau­ dia, di cui faceva parte l'imperatrice prima di essere adottata da Augusto ed essere di conseguenza considerata una Giulia. 12 La tradizione relativa all'introduzione del culto di Cibele a Roma (avvenuta nel 204 a.C . , in piena seconda guerra punica, su ordine dei Libri Sibillini e dell'oracolo di Del­ fi) 1 3 attribuisce un ruolo di straordinaria importanza a Claudia Quinta, a seconda delle versioni una matrona o una Vestale. 1 4 La delegazione ro­ mana che aveva avuto il compito di portare a Roma il simulacro della dea da Pessinunte (secondo Varrone da Pergamo) 1 5 era ormai giunta alla foce del Tevere, ma la nave si incagliò e non ci fu modo di liberarla per ripren­ dere il viaggio. Fu così che Claudia Quinta si avvicinò all'imbarcazione: la donna era accusata ingiustamente di impudicizia e, dopo aver rivolto una preghiera alla Madre degli Dei, si rimise al giudizio della divinità in merito alla propria presunta colpa. Se fosse stata realmente colpevole ella avrebbe pagato con la morte, ma in caso contrario la dea avrebbe dovuto seguirla: così prese una fune e tirò la nave fuori dalla secca senza alcuno sforzo, riabilitando in questa maniera il suo buon nome. 16 Non è quindi da 1 o Cfr.

supra, pp. 242-245.

'' Dal momento che i Romani si credevano discendenti di Enea e quindi dei Troiani, la principale divinità della Frigia era considerata progenitrice e protettrice della popolazione dell'Urbe: cfr. BEARD 2012, p. 327; 0RLIN 2010, pp. 80-82; ROLLER 1 999, p. 270. I Z Marco Livio Druso Claudiano, padre di Livia, era infatti un Claudio (diretto discenden­ te del censore Appio Claudio Cieco), successivamente rimasto orfano e adottato da Marco Li­ vio Druso: cfr. BARRETI (2002) 2006, p. 32. Livia sposò in primo matrimonio un altro esponente della gens Claudia, Tiberio Claudio Nerone. 1 3 Cfr. Liv. XXIX 10, 4-6; Ov. Fast. IV 255-264; D10o. S1c. XXXIV 33, 1-2; HEROD. I 1 1 , 3 . ' 4 C1c. Pro Cael. 3 4 ; De har. resp. 27; Llv. XXIX 1 4 , 1 2 ; Ov. Fast. IV 305; PuN. Nat. Hist. VII 1 20; SVET. Tib. 2, 3; SIL. IT. XVII 33-34; STAT. Silv. I 2, 245-246 la considerano una matrona, men­ tre HEROD. I 1 1 , 4 la ritiene una Vestaie (ma non specifica il suo nome). RoLLER 1 999, pp. 267268, nota 23 ha ritenuto che Silio Italico e Stazio considerino Claudia una Vestale, ma nessuno dei due autori la connota esplicitamente come sacerdotessa di Vesta. D10o. S1c. XXXIV 33, 2 fa menzione di una certa Valeria (ricordata come la migliore tra le matrone romane), che venne affiancata a Scipione Nasica per ricevere il simulacro della dea, mentre PROP. IV 1 1 , 5 1 -52 de­ scrive Claudia come ministra turritae deae. Per maggiori dettagli su Claudia Quinta cfr. ScHEID 1 994, in particolare pp. 3 - 1 1 . 1 5 VARRO

De !ing. Lat. VI 1 5 . Fast. I V 295-328; SVET. Tib. 2 , 3 ; SIL. IT. XVII 1 -47; STAT. Silv. I 2, 245-246; HEROD.

1 6 Cfr. Ov.

I 1 1 , 3-5; juL. Or. VIII 2 Rochefort. Claudia Quinta è ricordata anche da Llv. XXIX 1 4, 12, che tuttavia non fa menzione dell'aneddoto della nave, ma conferma il riscatto della sua reputazio­ ne. L'evento è celebrato anche iconograficamente: cfr. SIMON 1 997, n. 5; VERMASEREN 1 977a, n. 2 1 8 . Per maggiori dettagli sull'introduzione del culto di Cibele a Roma cfr. BEARD 2012,

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escludere che Livia, in quanto discendente dei Claudii, abbia voluto richia­ mare la protagonista del celebre episodio che esaltava la propria famiglia e che era direttamente connessa con Cibele. 1 7 Grazie alla vicenda di Claudia Quinta, la dea divenne anche patrona della pudicizia e della retta condotta delle donne romane, le quali potevano affidarsi a lei per dimostrare la pro­ pria virtù. 18 Di certo simili significati sarebbero stati perfettamente adatti a celebrare quell'integrità morale che doveva costituire un segno distintivo della prima imperatrice. 1 9 Accanto alla celebrazione delle proprie radici, la scelta compiuta da Livia di associare la propria immagine a quella della dea si inseriva per­ fettamente all'interno del recupero e dell'esaltazione del culto della Mater Magna promosso da Augusto, che probabilmente riorganizzò le feste a lei dedicate (Megalensia) nel 22 a.C. e restaurò personalmente il tempio sul Palatino nel 3 a.C. 20 Dal momento che Cibele era una divinità proveniente dalla Frigia, durante il principato augusteo venne enfatizzato il suo colle­ gamento con i Troiani e in particolare con Enea (che venne aiutato e pro­ tetto dalla dea durante il suo viaggio verso l'Italia), in modo da favorire e riaffermare la discendenza del popolo romano da quello frigio, ideologia notoriamente cara al princeps.21 Non rimane quindi che comprendere la funzione svolta dal papavero in relazione all'iconografia della gemma. A un'analisi superficiale del ma­ nufatto, la presenza delle capsule potrebbe essere considerata inusuale, dal momento che esse (in associazione alle spighe) sono generalmente l'attri­ buto distintivo di Cerere. Per questo motivo alcuni studiosi hanno cercato di spiegare la raffigurazione della pianta sul gioiello come un'allusione alla dea delle messi: in sostanza nell'immagine le caratteristiche principali di pp. 326-329; 0RLIN 20 10, pp. 76-79; BoRGEAUD ( 1 996) 2006, pp. 95- 1 0 1 ; RoLLER 1 999, pp. 264266; THOMAS 1 984, pp. 1 502- 1 508; VERMASEREN 1 977c, pp. 38-4 1 . 1 7 I l prestigio dei Claudii venne certamente aumentato grazie all'aneddoto di Claudia Quinta: cfr. ROLLER 1 999, p. 282. VAL. MAX. I 8, 1 1 e TAc. Ann. IV 64, 3 testimoniano la presenza di una starua della donna nel vestibolo del tempio della Mater Magna sul Palatino. 1 s Cfr. ALvAR 2008, p. 1 75 ; BoRGEAUD ( 1 996) 2006, p. 1 1 3 . 1 9 L'esaltazione della castitas poteva essere rafforzata tramite l'allusione a Claudia Quinta, che divenne «symbolic as the embodiment of feminine virtue»: cfr. ROLLER 1 999, p. 267. 20 Per la riorganizzazione della festa cfr. ALvAR 2008, p. 282; THOMAS 1 984, p. 1 5 1 3 e nota 64. Per il restauro del tempio: AuG. Res gest. 1 9 . 21 Cfr. RoLLER 1 999, pp. 270-2 7 1 ; pp. 300-3 0 1 ; WILHELM 1 988, p . 8 0 . SIRAGO 1 979, p . 1 9 8 h a ritenuto possibile che l o scopo d i Livia fosse quello d i sostenere e incrementare il culto di Cibele a Roma. Secondo WILHELM 1 988, p. 93, la gemma viennese dimostra «the imperlai favor that the goddess enjoyed». Per Cibele in aiuto a Enea cfr. VERG. Aen. IX 80- 1 22; X 2 1 9255. WILHELM 1 988, p. 80 ha sottolineato come Cibele sia considerata nell'Eneide una divinità positiva e benefica.

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5 . IL PAPAVERO E C I B E L E Cibele sarebbero state unite con un attributo prettamente 'cereale'. 22 Una simile spiegazione risulta però poco convincente, poiché la scelta dell' ar­ tista, in accordo con la committenza, di inserire il papavero doveva essere funzionale alla rappresentazione iconografica e di conseguenza veicolare un preciso messaggio. Infatti, prima di essere un attributo caratteristico (ma non certo esclusivo) della dea delle messi, la capsula della pianta è un elemento perfettamente adatto a esprimere concetti legati all'abbondanza. Il suo inserimento, in associazione alle spighe, nel contesto iconografico del gioiello esprime il significato beneaugurante connesso alla prosperità. Cibele infatti presiedeva anche a simili concetti, come sembra alludere già Lucrezio quando sostiene che le messi si diffusero per tutto il resto del mon­ do proprio dalla Frigia. 23 Ancor più esplicito Plinio: facendo riferimento all'introduzione del culto della dea a Roma, egli afferma che in quell'anno il raccolto fu eccezionalmente abbondante; il verificarsi dell'avvenimento è dunque direttamente legato alla presenza e alla benevolenza di Cibele. 24 Stando alle informazioni degli autori antichi, la Mater Magna era con­ siderata una dea benefica, dispensatrice di ricchezza e floridezza. 2 5 L'inse­ rimento di una divinità straniera nel pantheon romano comportava anche una differente percezione rispetto alle sue caratteristiche originarie: per poter meglio comprendere il nuovo dio e sentirlo parte della propria tra­ dizione, i Romani potevano rivolgersi a modelli divini già esistenti e ben noti. Non è quindi da escludere che, nel 'costruire la nuova Cibele roma­ na' , gli abitanti di Roma abbiano assegnato alla dea alcune competenze a loro familiari e solitamente svolte da altre divinità. Nel caso specifico della produttività dei campi, il modello divino coincideva con Cerere: l' equipa­ razione della dea delle messi con la Madre degli Dei è incontrovertibilmen­ te documentata da un'iscrizione (databile intorno alla seconda metà del I secolo d.C.) che attribuisce alla dea frigia l'epiteto di Cereri.a.26 In origine 22 BARTMAN 1 999, p. 1 03 e p. 193; MIKOCKI 1 995, p. 26; SANDE 1985, p. 1 54; BIEBER 1 968,

pp. 5-6. 2 3 Lu c R. II 6 1 0-6 1 3 . Il poeta gioca qui con i termini Phrygia e fruges : cfr. RoLLER 1 999, p. 298; VERMASEREN 1 977C, p. 83. 2 4 PuN. Nat. Hist. XVIII 16: Quo vero anno Mater Deum advecta Romam est, maiorem ea aestate messem quam antecedentibus annis decem factam esse tradunt. 2 5 Ancora nel VI secolo d.C . , Gregorio di Tours (Lib. in glor. conf 76) testimonia come

in Gallia fosse consueto trasportare su un carro il simulacro di Cibele attraverso i campi per assicurarne la produttività: cfr. RlcHARD 1 969, p. 1 43 , nota 3. Cfr. LYD. De mens. IV 49. Anche RoLLER 1 999, p. 3 1 8 ha sottolineato la funzione di dispensatrice di prosperità svolta dalla dea. Cfr. VERMASEREN 1 977c, p. 83. 26 CIL V. n. 796. Cfr. LYD. De mens. IV 63 . MACROB. Sat. I 21, 8, seguendo speculazioni filo· sofì.che erudite, non ha dubbi nell'identificare la Mater Magna con la terra.

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il culto metroaco pubblico era celebrato a Roma in maniera assai differen­ te rispetto a quanto accadeva in Frigia: i Romani infatti eliminarono tutti quegli elementi moralmente sconvenienti ed eccessivi che facevano parte delle pratiche cultuali orientali. 27 La Cibele romana si distanziava in parte dal suo corrispettivo venerato in Oriente, per poter così essere inserita e percepita a tutti gli effetti come una divinità civica, tanto che fu subito ac­ colta all'interno del pomerium.28 Essa era quindi ritenuta una dea del tutto rispettabile e assolutamente positiva, a tal punto che Cicerone definì i gio­ chi in suo onore come maxime casti, sollemnes et religiosi.29 A questo punto è facilmente comprensibile il motivo dell'associazione tra la Mater Magna e Livia: l'imperatrice veniva di certo celebrata come capostipite della fami­ glia imperiale, ma al contempo venivano esaltate le sue qualità morali e il suo positivo ruolo di dispensatrice di prosperità. 30 Simili significati ben si adattano anche a un secondo monumento in cui l'immagine di Cibele compare con le capsule di papavero come attributo. Si tratta della celebre statua a grandezza naturale conservata oggi al Paul Getty Museum di Malibu (Fig. 23): una maestosa figura matronale vela­ ta è ritratta seduta in trono, abbondantemente panneggiata con tunica e mantello. Sul capo porta una vistosa corona turrita; la mano sinistra alza­ ta, oggi mancante, doveva reggere con buona probabilità un tympanum,3 1 mentre nella destra, appoggiata sul ginocchio, sono visibili spighe e cap­ sule di papavero. Sul lato sinistro della statua si distinguono una cornu­ copia e quello che sembra essere un timone, mentre sul destro compare un piccolo leone con la testa alzata, intento a guardare la propria signo2 7 Il culto di Attis, seppur certamente noto già in età repubblicana (cfr. CATULL. LXIII. Per maggiori dettagli sull'Attis catulliano cfr. BREMMER 2004, in particolare pp. 5 5 7-569. Su Attis a Roma durante la Repubblica cfr. BEARD 2012, p. 329; RoLLER 1 999, p. 277; SFAMENI GASPARRO 1985, p. 58, nota 1 3 7) , non venne ufficialmente riconosciuto all'interno delle solennità religiose romane almeno sino al I secolo d.C.: FASCE 1 978, pp. 1 9-2 1 . 28 Cfr. THOMAS 1 984, p. 1 506: «It was a s a Roman and national goddess that Cybele en­ tered Rome and occupied her niche in Roman politics». Cfr. anche FASCE 1 978, p. 14 e nota 22. La dea orientale era generalmente avvertita come selvaggia e feroce: cfr. B0GH 2 0 1 2 , pp. 32-3 3 . 29 C1c. De ha r. resp. 2 4 . Il carattere fortemente romano delle celebrazioni in onore di Ci­ bele è confermato anche da DIDN. HAL. Ant. Rom. II 1 9 , 3-4. Ciò non significa che i Romani abbiano dimenticato l'origine straniera della dea: VARRO De ling. Lat. VI 1 5 e C1c. De har. resp. 24 sostengono che il nome della festa deriva dal greco, mentre D. SERV. Geo rg. II 394 afferma che gli inni in onore della Mater Magna erano cantati in greco. Sui Megalensia cfr. BEARD 2012, p. 33 1 ; ALVAR 2008, pp. 282-284; ROLLER 1 999, pp. 288-289; FASCE 1 978, pp. 83-88; WILHELM 1 988, pp. 8 1 -82; VERMASEREN 1 977c, pp. 1 24- 1 2 5 . 3 0 D i simile giudizio Woon 1 999, p . 1 20. 3 1 Così ROLLER 1 999, p. 3 1 3 ; SIMON 1 997, n. 54; THOMPSON 1 996, p. 97; VERMASEREN 1 977a,

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5 . IL PAPAVERO E C I B E L E ra. 3 2 Nessun dubbio sul fatto che la scultura sia un'evidente rappresentazio­ ne di Cibele, come confermano gli attributi presenti. 33 Gli studiosi hanno però osservato che i tratti del volto della donna non corrispondono a un ritratto ideale della dea: essa infatti appare leggermente in là con gli anni, circostanza che secondo loro confermerebbe l'ipotesi della raffigurazione di un personaggio femminile di alto rango realmente vissuto. 34 Tuttavia, sono state numerose le difficoltà incontrate per stabilirne l'identità: Mar­ garete Bieber, che ha dedicato una breve monografia alla statua in esame, ha proposto di riconoscervi il ritratto di Livia. La studiosa ha ritenuto che l'esecuzione della scultura sia da collocare in età antonina, periodo in cui si volle celebrare la prima coppia imperiale (Augusto e Livia) in quanto modello di riferimento per tutte le dinastie successive. Nel caso specifico l'Augusta sarebbe stata commemorata in qualità di Mater Magna, con chia­ re allusioni al suo ruolo di progenitrice della stirpe imperiale. 35 La teoria di Bieber è però attualmente ritenuta poco credibile: in modo particolare i tratti somatici che compaiono in opere d'arte attribuibili con maggiore certezza a Livia non sembrano corrispondere a quelli presenti nella statua di Malibu. 3 6 Oggi si è più propensi a pensare che il personaggio raffigurato sia una non meglio identificata matrona romana, mentre alcuni studiosi hanno considerato probabile la possibilità che si tratti del ritratto di una sacerdotessa di Cibele.37 Dal mio punto di vista, tale eventualità è piuttosto remota: la scultura è chiaramente una rappresentazione della dea e ammettere un'associazione così marcata (quasi un'identificazione) tra la divinità e la propria sacerdo­ tessa, per giunta rappresentata in trono, sembra essere un'ipotesi azzardata e poco convincente. Personalmente, penso che al momento sia preferibile sospendere il giudizio in merito al riconoscimento della figura femminile, ferma restando l'eventualità che si tratti del ritratto di una dama della fami3 2 SIMON 1 997, n. 54; THOMPSON 1 996, p. 97, n. 64; WREDE 1 98 1 , p. 220, n. 78; VERMASEREN 1 977a, n. 3 1 1 ; BIEBER 1 968, pp. 3-5; MICHAELIS 1 882, p. 498, n. 68. 33 Cfr. THOMPSON 1 996, p. 97. 34 Cfr. THOMPSON 1 996, p. 98; BIEBER 1 968, p. 6. 35 Cfr. in particolare BIEBER 1 968, p. 1 7. ROLLER 1 999, p. 3 1 3 e WILHELM 1 988, pp. 93-94 hanno concordato con la studiosa nel riconoscimento del personaggio. 3 6 In particolare BARTMAN 1 999, p. 222, n. 8 ha inserito la statua tra i monumenti erronea­ mente attribuiti a Livia. Cfr. WREDE 1 98 1 , p. 220. SANDE 1 985, pp. 228-229 ha escluso l'identifi­ cazione di Livia, di Agrippina e di Antonia. 37 A favore della matrona SIMON 1 997, n. 54 («Eine noch nicht identifizierte vornehme Romerin»); THOMPSON 1 996, p. 98. Per la sacerdotessa cfr. BARTMAN 1 999, p. 222, n. 8; WREDE 1 98 1 , p. 220 e soprattutto BIEBER 1 969, p. 40. Ha ammesso la possibilità anche THOMPSON 1 996, p. 98.

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glia imperiale. 38 Infatti una rappresentazione così prestigiosa, addirittura una stretta associazione con la dea, ben si adatterebbe alle esigenze propa­ gandistiche di un'esponente della stirpe regnante, alla quale era concesso farsi assimilare alle divinità. Intendere la statua come una raffigurazione celebrativa di una semplice matrona romana, per quanto di alto rango, pre­ suppone che questa godesse di onori pari a quelli di un'imperatrice, cosa alquanto improbabile.39 Gli attributi associati alla dea nella statua in esame confermano la con­ cezione di Cibele quale divinità benevola, cui sono strettamente collegati concetti positivi quali la prosperità dei campi, simboleggiata dalle spighe e dalle capsule di papavero, e più in generale l'abbondanza, il benessere e la ricchezza, cui rimanda la presenza della cornucopia. Il timone, general­ mente attributo consueto di Tyche / Fortuna, potrebbe essere un'allusio­ ne alla facoltà di rendere favorevole la sorte per coloro che veneravano la dea: 40 il suo arrivo in città era finalizzato all ' ottenimento del trionfo sul nemico cartaginese e dunque Cibele, sin dall'origine del suo culto in Roma, era connessa con la vittoria e con la buona riuscita delle impre­ se.4 1 Quindi la divinità ritratta nella statua di Malibu non coincide affatto con la spaventosa domina leonum venerata in Oriente, ma piuttosto con la dea matronale e benevola tipicamente romana. 42 Tale constatazione non è priva di ripercussioni circa la datazione della scultura: infatti, malgrado Margarete Bieber abbia considerato la statua un prodotto dell'età antonina e Henning Wrede si sia schierato a favore di una sua realizzazione tra il 90 e il 1 20 d.C . , gli studiosi sembrano oggi concordi nel collocare la data 3 8 SANDE 1 985, pp. 229-23 1 ha ipoteticamente individuato in Domizia Lepida (suocera di Claudio e madre di Messalina) la destinataria del ritratto della statua, ma le prove portate a favore della sua teoria rimangono poco probanti. Tale riconoscimento non ha incontrato particolare favore tra gli studiosi. 39 Non ha invece escluso questa possibilità THOMPSON 1 996, p. 98. 40 Per il timone cfr. VILLARD 1 997, nn. 28-43 ; 5 8-72; 8 1 -86 (Tyche); RAusA 1 997, nn. 399 1 (Fortuna). WILHELM 1 988, p. 95 ha preferito considerare il timone come simbolo di buon governo. 4 1 LIV. XXIX 10, 4-8. Cfr. WILHELM 1 988, p. 8 1 . Non a caso il simulacro della dea prove­ niente da Pessinunte venne collocato nel tempio della Vittoria prima che le venisse innalzato il santuario: cfr. L1v. XXIX 14, 1 4 . 42 Non sarebbe stato appropriato raffigurare i l ritratto d i un'importante nobildonna nelle fattezze di una divinità straniera e poco rassicurante, le cui pratiche di culto orgiastiche erano avvertite come riti aberranti dalla morale romana. Cfr. THOMAS 1 984, p. 1 5 10; VERMASEREN 1 977c, p. 96. Il piccolo leone presente accanto alla dea (che doveva certamente rendere ancor più chiara l'identità della figura divina) non è affatto minaccioso, ma al contrario è mansueto, quasi fosse una sorta di animale domestico; ARRI GONI 1 982, p. 9 ha giustamente sottolineato come il leone svolga la funzione di guardiano.

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dell'esecuzione intorno alla metà del I secolo d.C . , più precisamente tra il 50 e il 60 d.C .43 Il periodo coincide grossomodo con il regno di Claudio il quale, stando a quanto riportato da Giovanni Lido, avrebbe riformato il culto metroaco pubblico introducendo una nuova festività (celebrata qual­ che settimana prima dei Megalensia, tra il 1 5 e il 27 marzo) basata su una serie di riti di stampo orientale. 44 Collegare l'esecuzione della statua con la nuova politica religiosa promossa da Claudio non sembra essere un' ope­ razione particolarmente motivata: nella rappresentazione della dea non ci sono elementi che possano avvalorare il suo collegamento con la divinità di matrice frigia, anzi l'immagine corrisponde a quella della Cibele matro­ nale e rispettabile propria dell'originario culto romano. Purtroppo non si è a conoscenza della collocazione del monumento, ritrovato a Roma e con tutta probabilità inserito in una nicchia, come dimostra la mancata rifinitu­ ra della parte posterioreY In mancanza di maggiori dati relativi all'antico contesto della scultura, non è possibile avanzare ulteriori ipotesi sulla sua funzione, benché l'accurata realizzazione faccia pensare a una destinazione piuttosto prestigiosa. La gemma del Kunsthistorisches Museum e la statua del Paul Getty Museum non sono le uniche testimonianze dell'associazione tra Cibele e il papavero, benché siano certamente le opere di maggiore importanza dal punto di vista artistico e le più ricche di implicazioni politico-religiose. Esi­ stono altri manufatti, seppur piuttosto rari, che danno conferma del feno­ meno: è il caso ad esempio di un'ansa bronzea frammentaria conservata al Musée Calvet di Avignone. Sulla parte bassa del manico è visibile il busto di una figura femminile con corona turrita, la quale regge una patera nella mano sinistra e nella destra due capsule di papavero e una spiga.46 Purtrop­ po nulla è dato sapere sulla provenienza e sulla datazione di tale oggetto e quindi è assai difficile condurre un'analisi puntuale del reperto. Verma43 Età antonina: BIEBER 1 968, p. 1 5 ; WREDE 1 98 1 , p. 220. Metà del I secolo d.C.: SIMON 1 997, n. 54; THOMPSON 1 996, p. 98; SANDE 1 985, p. 228; VERMASEREN 1 9 77a, p. 85. 4 4 LYD. De mens. IV 59. Cfr. D'ALESSIO 201 3b, p. 44 1 ; RoLLER 1 999, p. 3 1 5 . SVET. Claud. 22 testimonia come l'imperatore abbia introdotto nuove celebrazioni religiose, ma purtroppo non specifica quali. Non tutti gli studiosi hanno accettato che la riforma del culto metroaco si sia verificata durante il regno di Claudio e hanno proposto di spostare tale evento all'età degli Antonini. In merito alla questione cfr. SFAMENI GASPARRO 1 985, pp. 57-58; FASCE 1 978, p. 22. Sulle tappe che scandivano la festa cfr. BoRGEAUD ( 1 996) 2006, pp. 1 43 - 1 48; FASCE 1 978, pp. 237 1 ; VERMASEREN 1 977c, pp. 1 1 3- 1 24. Di recente BEARD 2012, pp. 332-333 ha espresso riserve sulla ricostruzione delle pratiche rituali proposte dagli studiosi, sottolineando come esse siano «based on rather unspecifìc ancient allusions to the cult of the goddess, which may not have anything directly to do with this spring festival at ali». 45 Cfr. BIEBER 1 968, pp. 3-4. 46 VERMASEREN 1 977b, n. 1 2 .

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SEZIONE I I - IL PAPAVERO N E L L' I CONOGRAFIA ROMANA

seren ha sottolineato come non vi sia certezza che l'immagine riprodotta possa essere ricondotta a Cibele; tuttavia, gli attributi presenti sembrano autorizzare tale riconoscimento.47 Parimenti enigmatica risulta l'iconografia di una lamina bronzea che doveva fare parte di un diadema o di una placca pettorale, ritrovata a Roma e oggi nell'Antikesammlung di Berlino.48 La composizione è decisamente più complessa rispetto al manufatto precedente: una figura femminile pan­ neggiata e ornata da una corona turrita è seduta su un trono riccamente decorato, ai cui lati inferiori erano posti due piccoli leoni (oggi quasi total­ mente perduti). Sulla sommità sono visibili due personaggi in miniatura che reggono una ghirlanda sopra il capo della dea, la quale tiene in grembo un piccolo leone accucciato e quella che sembra una capsula di papavero nella mano destra alzata. 49 Ai lati del trono compaiono due figure maschi­ li: a destra un giovane in abiti orientali e con il berretto frigio tiene nella mano sinistra un bastone da pastore (pedum) rovesciato, mentre nella de­ stra alzata un fiore (di loto?). Dall'altra parte si distingue un uomo nudo, con un mantello che gli copre le spalle, copricapo e calzari alati; con la sinistra regge il caduceo, mentre con la destra una piccola sacca per i de­ nari. Sulla parte superiore del rilievo è ritratto il volto radiato di Sol, sotto cui sono posti quattro cavalli, mentre nel campo sono visibili i cembali e due flauti incrociatU 0 In questo caso il riconoscimento dell'identità dei personaggi risulta piuttosto semplice: si tratta con buona certezza della Mater Magna, del suo compagno Attis e di Mercurio, come confermano gli attributi a loro connessi.5 1 Al contrario, è assai meno agevole proporre una lettura dell'intera immagine, poiché non si è a conoscenza né della data né della funzione dell'oggetto in esame. 5 2 Si potrebbe ipotizzare che il rilievo dovesse decorare un gioiello appartenuto a un devoto della Madre degli Dei (forse un iniziato ai suoi misteri), come sembrerebbe suggerire anche la presenza di Attis e del dio Sol, oppure a un sacerdote della dea. 53 47 VERMASEREN 1 977b, p. 4. 48 Cfr. LANE 1985, p. 39 (placca pettorale). PICARD 1 957, p. 60 non ha escluso che possa trattarsi di un occalms (una sorta di bracciale o collare) di tipo metroaco. 49 Probabilmente Cibele compare con capsula di papavero anche su un rilievo conservato al Fitzwilli a m Museum di Cambridge: cfr. GUILLAUME-COIRIER 200 1 , pp. 1 039- 1 040. Sul leone accucciato in grembo alla dea cfr. ARRI G ONI 1 982, p. 9 . 5 0 GUILLAUME-COIRIER 200 1 , p . 1 038; LANE 1985, p . 39, n. 8 1 ; Lane 1 980, p . 1 7; VERMASEREN 1 977a, n. 304; PICARD 1 957, pp. 59-6 1 . 5 1 Cfr. LANE 1985, p. 39. 5 2 La difficoltà di proporre un'esegesi convincente è già stata sottolineata da PICARD 1 957,

p. 6 1 . 53 A favore del devoto / iniziato PICARD 1 957, p. 60. Per il sacerdote cfr. LANE 1 989, p . 1 7.

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5 . IL PAPAVERO E C I B E L E L'oggetto prevedeva inoltre una seconda placchetta bronzea in cui è raffi­ gurato Sabazia circondato da simboli di vario genere.54 Difficile stabilire il significato legato al papavero in un simile contesto, ma la presenza del fiore nella mano destra di Attis e della ghirlanda sopra il trono suggerisce come gli elementi vegetali dovessero rivestire qualche ruolo all'interno del culto metroaco.55 Stando alla sola raffigurazione presente sul rilievo bronzeo è azzardato ipotizzare l'uso del papavero durante le celebrazioni in onore della dea, ma esiste un monumento che potrebbe forse confermare tale eventualità. Su un bassorilievo marmoreo di epoca adrianea, proveniente da Lanuvio e oggi ai Musei Capitolini, è chiaramente distinguibile il ritratto di un ar­ cigallo, il principale sacerdote di Cibele.5 6 L'uomo porta i capelli lunghi e ha il capo ornato da una corona a tre dischi, sui quali sono rappresentati il busto barbato di Zeus (disco centrale) e due busti di Attis con berretto frigio (dischi laterali). Il sacerdote, che ha un torques con protomi leonine intorno al collo e orecchini, indossa una veste lunga e sottile, mentre al centro del petto è posta una lamina a forma di naiskos sulla quale compare il busto di Attis in abiti orientali. 57 Con la mano sinistra regge un cestino pieno di frutta (probabilmente compare anche una pigna, poiché il pino era l'albero sacro ad Attis), mentre nella destra alzata reca una capsula di papavero e tre rametti (d'ulivo o di mirto).58 Nel campo del rilievo sono vi­ sibili un tym.panum, due flauti, due cembali, un contenitore cilindrico (cista mystica) e un flagello.59 54 Sull'iconografia di Sabazio nel rilievo cfr. LANE 1 989, p. 1 7; LANE 1985, p. 39; LANE 1 980, p. 1 8 . Cfr. anche VERMASEREN 1 977a, p. 82. 55 LANE 1 989, p. 16 ha preferito vedere un'allusione all'uso di sostanze stupefacenti nel culto della dea, senza fornire maggiori dettagli. 5 6 Secondo PIETRANGELI 1 95 1 , p. 20 (il solo a datare il monumento in età antonina), un semplice gallo. Almeno a partire dall'età antonina, l'arcigallo era considerato il più elevato mi­ nistro del culto della Madre degli Dei, come conferma un· epigrafe in cui il sacerdote è definito sacerdos Phryx maximus (CIL VI, n. 508). Cfr. VERMASEREN 1 977c, p. 98. 57 L'immagine corrisponde abbastanza fedelmente alla descrizione dei seguaci di Cibele (molto spesso spregiativa: cfr. BEARD 20 1 2 , pp. 323-324 e soprattutto pp. 343-345; 0RLIN 20 10, p. 101) offerta dalle fonti letterarie: cfr. VARRo Sat. Menipp. 1 3 5 Cèbe; LucR. II 608-609; DION. HAL. Ant. Rom. II 1 9 , 5; A.P. VI 234; Ov. Fast. IV 244; LucAN. I 566; VAL. FLAcc. VII 635-636; APuL. Asin. aur. VIII 27; STAT. Theb. X 1 74; LuCIAN. Tragod. 1 1 4; FIRM. MAT. De err. prof rei. 4, 2. 5 8 Gow 1 960, p. 89 ha equivocato l'identificazione del papavero, ritenendo l'oggetto una melagrana. Il pino aveva un ruolo centrale nel culto di Cibele e Attis: cfr. D. SERV. Aen. IX 1 1 5 ; ARNos. Adv. nat. V 7, 4. Sul pino impiegato durante una tappa della festa (Arbor intrat) cfr. BORGEAUD ( 1 996) 2006, p. 1 44; FASCE 1 978, pp. 49-5 1 . Cfr. anche il pino nell'iconografia di Attis: VERMASEREN-DE BoER 1 986, nn . 89- 1 00a. 59 FITTSCHEN-ZANKER 2012, n. 1 1 0; GUILLAUME-COIRIER 200 1 , p. 1 040; SIMON 1 997, n. 122; CASSIERI-GHINI 1 990, pp. 1 70- 1 72; VERMASEREN 1 9 77a, n. 466; VERMASEREN 1 977C, pp. 99- 1 00;

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SEZIONE Il - IL PAPAVERO N E L L' I C O N O G RAFIA ROMANA

Considerando che tutti questi oggetti facevano parte degli strumenti utilizzati dal sacerdote durante la celebrazione del culto, 60 è possibile inse­ rire tra essi anche il papavero? Personalmente non condivido l'opinione di Vermaseren, che ha preferito intendere la capsula non come un elemento vegetale vero e proprio, ma come un aspergillum in forma di frutto di papa­ vero. 61 In questo caso tuttavia è difficile accettare il consueto simbolismo beneagurante come spiegazione per la presenza della capsula nella mano dell' arcigallo, dal momento che il contesto iconografico è piuttosto diffe­ rente dalle immagini esaminate in precedenza e nel rilievo in esame non viene sottolineata l'associazione tra papavero e spighe. Il problema è quin­ di stabilire il motivo per il quale un sacerdote della Mater Magna avrebbe dovuto utilizzare e inserire il papavero tra gli oggetti del culto. A questo proposito, bisogna ricordare che le azioni rituali orientali prevedevano una buona dose di autoviolenza, espressa abbastanza chiaramente nel rilievo dalla presenza del flagello. I sacerdoti della Madre degli Dei dovevano in­ fatti eseguire l'autoflagellazione e l'automutilazione, che si configurava dapprima nella pratica di infliggersi profondi tagli alle braccia, per poi culminare talvolta nell'autoevirazione. 62 Simili operazioni comportavano SIMON 1 966, p. 25, n. 1 1 76; PIETRANGELI 1 95 1 , p. 20, n. 29; Gow 1 960, p. 89. Per gli strumenti musicali cfr. BÉLIS 1 986, in particolare pp. 22-24. 60 HoM. Hymn. XIV 3; CALLIM. F. 76 1 Pfeiffer; VARRo Sat. Menipp. FF 132; 139-140 Cèbe; LucR. II 6 1 8-620; CATULL. LXIII 27; STRAB. X 3, 1 3 ; Dioo. Sic. III 7; PROP. III 1 7, 3 5 ; IV 7, 6 1 ; Ov. Fast. IV 1 8 3 ; 2 1 2 ; 342; VAL. FLAcc. I 3 1 9; II 582-583; III 23 1 -233; SEN. Epist. 1 08, 7; AuGusT. De civ. dei VII 24. CAssiERI-GHINI 1 990, p. 1 72 hanno ritenuto gli oggetti come attributi di Cibele, ma non hanno portato prove a sostegno della loro tesi. 6 1 VERMASEREN 1 9 77a, p. 1 53 ; VERMASEREN 1 977c, p. 99. PIETRANGELI 195 1 , p. 20 ha ipotiz­ zato che i rametti siano inseriti all'interno di un oggetto cilindrico tenuto in mano dall'uomo, formando una sorta di aspersorio. Cfr. SIMON 1 966, p. 26. 62 CALLIM. F. 76 1 Pfeiffer; LucAN. I 567; MARTIAL. XI 84; VAL. FLAcc. III 233-234; STAT. Theb. X 1 70- 1 72; APuL. Asin. aur. VIII 27; LuciAN. Tragod. 1 1 3- 1 1 6; D. SERV. Aen. IX 1 1 5 ; CLAUD. De rapt. Pros. II 269; TERTULL. Apol. 25; PRUD. Peristeph. X 1 06 1 . Tali pratiche dovevano probabilmente avvenire durante il dies sanguinis (24 marzo): cfr. BEARD 20 1 2 , p. 3 3 3 . I sacerdoti eunuchi di Ci­ bele sono ricordati da numerose di fonti: A.P. VI 5 1 ; 2 1 7-220; 234; 237; LucR. II 6 1 5 ; VARRo Sat. Menipp. F 1 40 Cèbe; CATULL. LXIII 12; 34; VERG. Aen. IX 6 1 7; HoR. Sat. I 2, 1 20; Ov. Met. III 537; Fast. IV 1 8 3 ; 221 -244; SEN. Epist. 108, 7; SIL. IT. XVII 20; MARTIAL. III 92; Iuv. VI 5 1 1 - 5 1 3 ; LuciAN. Cronosol. 1 2 ; ATHEN. IV 1 34b; HIST. AuG. Elag. 7, 1 -3 ; LACT. Div. inst. I 2 1 ; V 9; ARNos. Adv. nat. V 7; AuGUST. De civ. dei II 7; VII 24; 26. Tuttavia è difficile stabilire se gli arcigalli di origine romana praticassero la castrazione: infatti l'emasculazione era proibita per legge ai cittadini romani, a partire almeno dall'epoca di Domiziano (cfr. SVET. Domit. 7, 1 ; Digest. XLVIII 8, 4, 2; D'ALESSIO 201 3b, p. 445). ARNos. Adv. nat. V 7 fa riferimento a unafilia galli, confermando che l'evirazione non era coercitiva. Già Varrone (Sat. Menipp. F 236 Cèbe) condannava tale pratica. Cfr. anche D'ALESSIO 201 3b, p. 458; BEARD 20 1 2 , p. 324 («Castration was certainly off-limits») e FASCE 1 978, p. 1 5 . VERMASEREN 1 977c, p. 98 ha ritenuto che solo i galli (e arcigalli) provenienti dall'Oriente avrebbero potuto praticare l'eviratio, mentre essa sarebbe rimasta vietata per sacerdoti di ori­ gine romana. Sui galli a Roma cfr. D'ALESSIO 201 3b, in particolare pp. 444-448 e pp. 455-458.

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5 . IL PAPAVERO E C I B E L E

naturalmente un intenso dolore per coloro che si sottoponevano a tali sup­ plizi e, dal momento che la conoscenza dell'azione analgesica dell'oppio era a quel tempo assai nota, 63 la presenza del papavero è probabilmente da ricondursi all 'utilizzo del suo lattice, che avrebbe alleviato in maniera sensibile la sofferenza. Essendo il rilievo di epoca adrianea, un periodo in cui i riti di matrice frigia erano stati ormai riconosciuti pubblicamente an­ che a Roma, era quindi possibile raffigurare il sacerdote di Cibele con tutti gli strumenti che caratterizzavano la celebrazione del culto, tra cui poteva evidentemente essere annoverato anche il papavero.

63 Cfr. ad esempio CELS. II 33, 2; V 23, l ; V 25, l ; PLIN. Nat. Hist. XXX I I 77. Per maggio­ ri dettagli sull'uso anestetico del papavero cfr. la sezione dedicata alle sue proprietà, supra, pp. 22-28 .

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6. IL PAPAVERO IN CONTESTO FUNEBRE

I

SARCOFAGI RAFFIGURANTI IL MITO DI ENDIMIONE E DI ARIANNA: SOMNUS E IL SONNO DELLA MORTE

Nel corso di un centinaio di anni, a partire da poco prima della metà del II secolo d.C. (età tardoadrianea) sino alla metà del III secolo d.C. (intorno all'inizio del regno di Gallieno), si assiste alla produzione di un ampio nu­ mero di sarcofagi (circa centodieci) che presentano sul lato lungo l'episodio mitico del sonno di Endimione e il conseguente arrivo di Selene in visita al giovane addormentato. 1 Tale iconografia venne utilizzata in campo fune­ rario soltanto durante l'età imperiale: non si è infatti a conoscenza di alcun precedente greco. 2 Il più noto mito di Endimione è ambientato sul monte Latmo, situato nelle vicinanze di Mileto, in Caria: 3 secondo gli abitanti di Eraclea al Latmo, l'eroe era un pastore che si era ritirato sulla montagna con i suoi buoi; per tale ragione in quel luogo, oltre alla sua tomba situata in una caverna, gli venne dedicato un liOUTov.4 Si credeva che questa stessa regione fosse teatro degli amori tra il giovane e Selene, di cui fa già menzio­ ne Saffo: 5 proprio nella grotta sul Latmo discendeva ogni sera la dea della l ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 3 1 7. 2 LOCHIN 1 990, p. 608. 3 Endimione viene definito Latmius Endymion da Ov. Ars amat. III 83 e da NONN. Dion. XLVIII 668 (AcitJ.uoç 'EvlìuJ.lirov), mentre VAL. FLACC. VIII 28 lo considera Latmius venator, tra­ sformandolo così da pastore a cacciatore. Ov. Trist. II 299 lo chiama Latmius heros. Esiste anche una tradizione peloponnesiaca delle vicende di Endimione: cfr. AGAPIOU 2005 , pp. 1 9-2 1 (con fonti antiche relative). 4 Per la tomba nella caverna: STRAB. XIV l, 8 . L'antro dell'eroe è ricordato anche da APOLL. RHoo. IV 57; QmNT. S MYRN. X 1 27- 128; ScHOL. Theocr. III 49-5 lb. Per l'lilìUtov: PAus. V l, 5 . PMG 1 1 9 F Adesp. 1 03 7 testimonia l'esistenza di una tradizione che considerava Endimione come il vero e proprio fondatore della città. s SAPPH. F. 1 99 Voigt. Cfr. anche NICAND. F 24 Schneider; APOLL. RHoo. IV 5 7-58; PRoP. II 1 5 , 1 5- 1 6; ARTEM. IV 47; HYGIN. Fab. 271 ; ScHOL. Theocr. III 49-5 lb. Cfr. anche Anth. Lat. 33 R!.

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SEZIONE II - IL PAPAVERO NELL' I C O N O G RAFIA ROMANA

luna, per poter incontrare quotidianamente il suo amato pastore. 6 Secon­ do la versione più comune, Selene pregò Zeus di concedere al giovane un desiderio: questi decise di dormire in eterno, rimanendo così immortale e perennemente giovane.7 Questa variante del mito di Endimione godette di grande fortuna nell'antichità: il sonno in cui egli sprofondò divenne infatti proverbiale. 8 Secondo un'altra versione del racconto, lo stesso dio del son­ no, Hypnos, si innamorò del giovane: per questa ragione lo addormentò con gli occhi aperti, in modo da poter godere sempre della bellezza del suo sguardo.9 La scena generalmente rappresentata sui sarcofagi romani mostra l' ar­ rivo di Selene che, intenta a scendere dal carro, si appresta a raggiungere il suo amato, di solito raffigurato disteso e profondamente addormenta­ to (Fig. 24). 10 Accanto ai personaggi principali ne compaiono sovente altri che contribuiscono ad arricchire la composizione: 1 1 tra le numerose figure presenti (la personificazione del monte Latmo, quella di Gaia-Tellus, paf­ futi Amorini, Ninfe del luogo, uno o più compagni di Endimione ecc.), spicca quella di un uomo solitamente giovane, a volte alato, che regge in una mano una pianta di papavero (riconoscibile dalla presenza di una o più capsule), mentre con l'altra è intento a versare il contenuto di un corno sulla testa del giovane. 12 Il suo riconoscimento è ormai pressoché certo: si tratta di Somnus, che si accosta a Endimione per favorirne il sonno eter­ no. 1 3 Ciò è sottolineato in modo particolare dalla presenza del papavero, 6 Ps. THEOCR. XX 3 7-39; SCHOL. Apoll. Rhod. IV 5 7-58; ScHOL. Theocr. III 49-5 1 a; CIC. Tusc. I 92; Ov. Am. I 1 3 , 43-44; Her. 18, 6 1 -66; VAL. FLAcc. VIII 28-3 1 ; LuCIAN. Dia!. deor. 1 1 ; QUINT. S MYRN. X 128-132; NoNN. Dion. XIII 554-556. Scettico PAus. V l, 4: secondo alcuni Selene si sa­ rebbe innamorata di Endimione; da questa unione sarebbero nati cinquanta figli. 7 APoLLOD. Bibl. I 7, 5; ZENOB. III 76 Lelli. Secondo Ov. Am. I 1 3 , 43-44, il sonno fu causato dalla stessa dea della luna. s Oltre a ZENOB. III 76, cfr. DIOGENIAN. IV 40. Il sonno di Endimione è ricordato anche da PLAT. Phaed. 72c; AlusTOT. Eth. Nic. X 8, 7; THEOCR. III 49-50; A.P. V 1 65 ; C1c. Tusc. I 92; De .fin. bon. et mal. V 20, 5 5 ; Sum. s. v. 'EvdvjJiwvoç V7rVOV Ka8e6&1ç. In un epigramma dell'Anthologia Lati­ na (I 33 R.Z), che tratta dell'incontro di Selene ed Endimione, si chiede alle Muse di favorire un lentum carmen, probabilmente per non svegliare il giovane. Sul sonno proverbiale cfr. AGAPIOU 2005, pp. 29-30. Anche SORABELLA 200 1 , pp. 71 -72 a favore della grande popolarità del mito. 9 LICYMN. PMG 77 1 ; DIOGENIAN. IV 40; Sum. s. v. 'Ev8vjJiwvoç v1rVov Ka8e6&1ç. I O ZANKER-EWALD (2004) 2008, pp. 103; 3 1 7. I l In modo particolare ciò avviene negli esemplari di epoca più tarda: ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 1 07. 1 2 Un personaggio simile con gli stessi attributi compare in più di un esemplare: cfr. Lo­ CHIN 1 990, nn . 68; 72-74; 79; 83 ; 94; 99; GABELMANN 1 986, nn. 52; 6 1 ; 66; 70; 78; 80; ROBERT ( 1 897) 1 969, nn. 49-5 1 ; 53; 58; 65; 7 1 '-712; 72; 79; 80-8 1 ; 83 . 1 3 GABELMANN 1 986, p. 740 ha sottolineato come l'aggiunta di Somnus nei sarcofagi di Endimione sia una novità iconografica riscontrabile solo a partire dalla prima età imperiale.

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6 . IL PAPAVERO IN C O NTESTO FUNEBRE che ovviamente deve essere qui inteso come papaver somniferum, e del cor­ no, al cui interno era contenuto il liquido soporifero. La connessione tra il dio del sonno e la pianta è perfettamente comprensibile, dal momento che entrambi sono in grado di provocare sopore: l'uno attraverso la sua azio­ ne divina, l'altro grazie al suo lattice. Esistono numerose rappresentazioni iconografiche che testimoniano chiaramente tale associazione: in alcune di queste, databili variamente tra il I e il IV secolo d.C . , Somnus è raffigurato nelle sembianze di un erote alato profondamente addormentato, che gene­ ralmente reca nella sinistra due capsule di papavero. 1 4 Alcune riproduzioni bronzee del dio (databili tra il I e il II secolo d.C.) lo ritraggono nelle sem­ bianze di un giovinetto nudo, con un paio di piccole ali poste sulle tempie; nella mano sinistra sono visibili una o più capsule di papavero, mentre con la destra è intento a rovesciare il liquido dal corno. U Le maestranze che decorarono i sarcofagi con il mito di Endimione, uniformandosi ai cano­ ni dell'epoca, ritrassero il dio del sonno attenendosi alla sua iconografia più consueta. Anche le fonti letterarie testimoniano la stretta relazione che intercorreva tra il papavero, il corno e Somnus: Ovidio ricorda i fecunda papavera che si trovavano nei pressi dell'antro del dio, mentre Luciano, de­ scrivendo il paesaggio intorno alla città dei sogni (nella quale regna Hyp­ nos), menziona papaveri e mandragore. 16 Si rivela ancora più interessante un passo di Silio Italico, in cui Giunone dà incarico a Somnus di indurre ad Annibale un sonno profondo: il dio dunque raggiunge l' accampamen­ to cartaginese, portando con sé alcuni papaveri, che pone all'interno del suo corno. 1 7 Stando alle informazioni fornite dal poeta latino, si potreb­ be avanzare l'ipotesi che il liquido contenuto nel recipiente sia il lattice ricavato dalla capsula della pianta, ovvero l'oppio. 18 Ciò motiva la rappre­ sentazione sui sarcofagi del dio munito di corno: egli provoca il sonno di Endimione attraverso l'utilizzo del succo soporifero, di cui si conoscevano 1 4 Cfr. LocHJN 1 990, 1 5 Cfr. LOCHIN 1 990,

nn nn

.

2-4; 1 1 -3 1 ; 34; MANSUELLI 1958,

nn

.

1 06- 1 09.

44; 49; 5 1 -52; 55-56. La statua più celebre, databile all'età adria­ nea, è quella conservata al Museo del Prado, ma le quattro capsule oggi visibili sono frutto del restauro moderno (LOCHIN 1 990, n. 4 1 ) . Una sardonice mostra la medesima iconografia: cfr. LOCHIN 1 990, n. 58. La studiosa ha inoltre proposto di distinguere le raffigurazioni di Sornnus sotto forma di Amorino (sulle quali è posta un'iscrizione che ne attesta l'identificazione) da quelle di semplici eroti con gli attributi del dio: LOCHIN 1 990, p. 607. .

1 6 Ov. Met. XI 605; LuCIAN. V. H. II 33. Anche nella tradizione orfica il profumo assegnato a Hypnos è proprio quello del papavero: 0RPH. Hymn. LXXXV. 1 7 SIL. IT. X 340-3 52. Per l'esame del passo cfr.

supra, pp. 127- 1 29 .

1 8 WiiNSCHE 20 1 2 , p . 3 6 8 , descrivendo u n sarcofago con il mito d i Endirnione conservato

nella Glyptotek di Monaco di Baviera, ha considerato il liquido del corno come Mohnsaft. Cfr. già KocH-SICHTERMANN 1 982, p. 1 4 5 .

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SEZIONE I I - IL PAPAVERO NELL' I C O N O G RAFIA ROMANA

da tempo le proprietà narcotiche. 1 9 L'insolita raffigurazione sui sarcofagi dell'intera pianta nelle mani di Somnus, al posto delle più consuete capsule normalmente rappresentate nell'iconografia del dio, potrebbe trovare giu­ stificazione nella volontà di enfatizzare a fortiori il ruolo del papavero, cui era riservato il compito di addormentare Endimione per l'eternità, cosa che avrebbe richiesto un'ingente quantità d'oppio e quindi l'utilizzo di più capsule. 20 Ovviamente la presenza di Somnus e il sonno stesso in cui cade il gio­ vane innamorato devono essere messi in relazione con la morte, 21 in parti­ colare con quella del defunto cui era dedicato il sarcofago. Tuttavia, a mio giudizio, tale sonno non era concepito in maniera negativa: il sopore favo­ rito dal papavero doveva configurarsi piuttosto come un benefico e sereno torpore, un riposo placido e quieto, che avrebbe eternamente accompa­ gnato Endimione (e allo stesso tempo il defunto), privandolo degli affanni e delle preoccupazioni della vita. 22 Fermo restando lo stretto legame tra sonno e morte, 23 è possibile ipotizzare una simbologia del papaver somnife­ rum legata alla morte stessa? A mio parere, senza negarne l'evidente signifi­ cato funebre, la pianta non deve essere intesa come vero e proprio simbolo di morte (alla stregua ad esempio del teschio cristiano), ma piuttosto come allusione al sonno eterno. 24 Per questo motivo, sui coperchi di alcuni sar­ cofagi (Il-III secolo d.C.) compare il ritratto del defunto che regge in una mano alcune capsule di papavero, che dovevano alludere all'eterno riposo favorito dal sonno della morte, 2 5 in qualche modo 'esorcizzata' attraverso 1 9 Al riguardo cfr.

supra, pp. 22·28.

2o Esistono tuttavia sarcofagi in cui Sornnu s compare con il solo corno, senza papaveri:

cfr. LOCHIN 1 990, nn. 70-7 1 ; 78; 1 04; 1 07. 2 1 La stretta relazione tra il sonno di Endirnione e la morte è testimoniata da C 1 c . Tusc. I 92; De fin. bon. et mal. V 20, 5 5 . 2 2 Cfr. in particolare LucR. I I I 904-905 . 2 3 Già HES. Theog. 2 1 1 -2 1 2; 756 considera Hypnos fratello di Thanatos (cfr. anche AELIAN. Var. hist. II 3 5 ) , mentre HoM. n. XIV 23 1 ; XVI 672 sostiene che essi sono fratelli gemelli. Per il le·

game che intercorre tra sonno e morte cfr. 0GLE 1933, pp. 8 1 ·86; pp. 1 1 4· 1 1 7 (indice delle fonti); MAINOLDI 1 987, pp. 1 0·22; SORABELLA 200 1 , p. 70, nota 23 . Sulla base delle testimonianze antiche raccolte, OGLE 1 933, p. 84 ha inteso la metafora del sonno della morte come espressione di una convenzione puramente letteraria e ha escluso la sua diffusione a livello popolare. Contra MAI· NOLDI 1 987, p. 9 e soprattutto TuRCAN 1 999, p. 93 (coi quali concordo): «[Il mito di Endimione] devait correspondre à une idée commune de la mort comme dormitio». TAILLARDAT 1 9652, p. 56 ha considerato ARISTOPH. F 504 Kassel-Austin come una prova dell'uso comune della metafora. 24 L'oppio è mortale solo se assunto in dosi eccesive: cfr. già NICAND. Alex. 433-464 e in particolare D10sc. IV 64, 3: GALEN. XIII 273 Kuhn; APuL. De mag. 32. 2 5 Cfr. CuMONT 1 942, pp. 398-399. Cfr. MORENO-VIACAVA 2003 , n. 209 (tuttavia la mano destra che regge i papaveri è frutto di restauro). CuMONT 1 942, pp. 396-397 ha considerato la

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6 . IL PAPAVERO IN C O NTESTO FUNEBRE la calma quiete dell'addormentamento cui si abbandonavano i defunti. 26 n coperchio di un sarcofago commissionato per un bambino, conservato ai Musei Capitolini (datato agli inizi del IV secolo d.C.), mostra il ritratto del fanciullo con in mano due capsule di papavero (Fig. 25): 27 i genitori scelsero probabilmente questa iconografia per augurare al loro sfortunato bimbo una sorte benevola nell'aldilà, dove avrebbe dormito serenamente senza patire alcun dolore. n mito di Endimione, di cui si è precedentemente parlato, si adatta per­ fettamente a essere raffigurato su monumenti funebri, poiché il giovane pa­ store si presta a essere assimilato al defunto. 28 Paul Zanker ha giustamente sottolineato come l'episodio mitico si caratterizzi per la sua ambivalenza, offrendo la possibilità di una doppia lettura: da un lato il morto, come il dormiente, non è più in grado di percepire il mondo esterno, dall'altro però si lasciava aperta la possibilità che egli, proprio perché addormentato, si potesse prima o poi risvegliare. 29 n valore consolatorio di un simile rac­ conto dà spazio alla speranza di un nuovo incontro: benché la condizione di Endimione sia irreversibile, l'utilizzo del mito alleggeriva il dolore della perdita, aiutando così i membri della famiglia ad accettare il triste evento. 3 0 La 'soporifera prigione' cui è costretto Endimione permette infatti al giovane di preservare la sua bellezza che non verrà mai meno, rendendolo così simile agli immortali.3 1 A questo proposito, Maria Vìttoria Cerotti ha riconsiderato il significato del mito di Endimione, nel senso che egli non gode di una sorta di immortalità, bensì viene privato della propria mortali­ tà. L'impossibilità di destarsi dal sonno lo rende immune dallo scorrere del presenza del papavero come la prova che i defunti sono realmente morti e intenti a dormire il loro ultimo sonno. Secondo VERG. Georg. IV 541 -546, i Lethaea papavera sono un'offerta infera per Orfeo: cfr. supra, pp. 69-77. 26 Cfr. TuRCAN 1 999, p. 9 1 . MAINOLDI 1 987, p. 45 ha sostenuto che, se da un lato il sonno rende la morte meno atroce e pericolosa, dall'altro esso subisce in parte l'influsso negativo della 'sorella'. 2 7 Fn"I'SCHEN-ZANKER Z0 14, pp. 168- 1 70, n. 195; ZANKER-EWALD (Z004) Z008, fig. 40. 28 Così già jAHN 1 847, pp. 5 1 -5Z, con il quale hanno concordato TuRCAN 1 978, p. 1 7 1 3 e p. 1 7Z8; GABELMANN 1 986, p. 74Z. Cfr. ZANKER-EWALD (Z004) Z008, p. 1 04. C1c. Tusc. I 9Z; De.fin. bon. et mal. V ZO, 55 considera il sonno di Endimione simile alla morte. 29 ZANKER-EWALD (Z004) Z008, p. 1 0Z; ZANKER ZOOZ, p. 1 76. 3 0 Il valore consolatorio fu riconosciuto già da BOYANCÉ 1 9Z8, p. 97. GABELMANN 1 986, p. 74Z ha sostenuto che la rappresentazione funeraria del mito di Endimione sarebbe legata a una sorta di speranza escatologica, di cui non ha offerto ulteriori spiegazioni. Per l'irreversibi­ lità del sonno cfr. TuRCAN 1 978, pp. 1 7 1 4- 1 7 1 5 . Spesso sono presenti all'interno del fregio tom­ bale uno o più Amorini che reggono una fiaccola rovesciata in segno di lutto: ZANKER-EWALD (Z004) Z008, p. 1 04; ZANKER ZOOZ, p. 1 76. 3 1 Cfr. KooRTBOJIAN 1 995, p. 66.

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tempo, interrompendo «il fluire della vita verso l'ineliminabile (per gli altri uomini) vecchiaia e morte»: Endimione quindi ricade in una condizione che esclude tanto la morte quanto il processo vitale, che prevede il risveglio e la partecipazione attiva alla vita quotidiana.3 2 Anche ai defunti cui erano riservati i sarcofagi rappresentanti l'incontro tra la dea della luna e il suo in­ namorato poteva essere augurata questa sorta di 'salvezza' dal destino mor­ tale. L'addormentamento fa cadere il morto stesso in uno stato di sospen­ sione tra la vita e la morte: né trapassato del tutto, né certamente vivo. Tale sorte gli avrebbe permesso di sfuggire all'annichilimento, alla distruzione del corpo: in sostanza egli non sarrebbe mai divenuto cadavere, ma sarebbe sempre stato preservato dalla sua condizione di eterno dormiente.33 Infine, Franz Cumont ha avanzato un'interpretazione 'filosofica' del mito di Endimione: secondo lo studioso belga, la storia d'amore tra Se­ lene e il bel pastore doveva essere letta in chiave stoica e neopitagorica. Una volta conclusa l'esperienza terrena, l'anima era finalmente libera di raggiungere la sua sede celeste, che coincideva con la luna. Egli ha dunque concluso il suo ragionamento con la proposta di estendere tale concezione anche ai sarcofagi, considerandoli espressione della religiosità romana. 34 Tuttavia una simile esegesi, benché effettivamente attestata da certe fonti letterarie,35 non sembra particolarmente calzante per spiegare le immagini raffigurate sui monumenti sepolcrali: bisognerebbe infatti ammettere che i centodieci sarcofagi che presentano il mito di Endimione siano stati com­ missionati da personaggi aderenti alle dottrine filosofiche stoiche e neopi­ tagoriche, fatto difficilmente dimostrabile.3 6 3 2 CERUTII 1 986, p. 1 34. 33 Cfr. in particolare CERUTII 1 986, pp. 1 3 7- 1 3 8 . A favore di tale ipotesi, la studiosa ha

richiamato alla mente A.P. II 554, dove si afferma che attraverso il sonno è possibile sfuggire alla morte. Nel caso specifico in cui il sarcofago fosse destinato a una donna, ZANKER-EWALD (2004) 2008, pp. 1 04 e 1 06; ZANKER 2002, pp. 1 77-1 78 hanno proposto un'associazione tra la dea della luna e la defunta che, durante la notte, sarebbe tornata a trovare il marito in sogno. Cfr. KOORTBOJIAN 1 995, pp. 1 09- 1 10; CUMONT 1 942, p. 247. 34 CUMONT 1 942, pp. 248-250. Un'ipotesi simile già in BoYANCÉ 1 939, p. 32 1 . Cfr. anche NILSSON 1 9884, p. 545. 35 Cfr. PLUT. Defac. in orb. !un. 945A-B; TERTULL. De anim. 55. L'amore di Selene starebbe a indicare l'attrazione che la luna esercita sulle anime dopo che queste hanno lasciato il corpo: cfr. TuRCAN 1 978, p. 1 705. Alcuni studiosi (in particolare BoYANCÉ 1 939, pp. 3 1 9-32 1 ) hanno riconosciuto in una satira menippea di Varrone, intitolata Endymiones (FF 1 0 1 - 1 07 Cèbe), riferi­ menti alla migrazione delle anime e al loro ritorno sulla luna. La teoria di Boyancé è stata oggi molto ridimensionata: cfr. AGAPIOU 2005, p. 40. Per un'analisi dell'interpretazione filosofica del mito cfr. AGAPIOU 2005 , pp. 39-44. 3 6 Concordo pienamente con NocK 1 946, p. 1 54 circa l'improbabilità di tale ipotesi. Gli studiosi hanno ormai considerato poco condivisibile la lettura di Cumont, sottolineando come egli sia partito da testi di elevata speculazione filosofica, per giunta piuttosto tardi, per spiegare

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6. IL PAPAVERO IN C O NTESTO FUNEBRE

Esaminate le principali interpretazioni relative al mito letto in chiave funeraria, è necessario addentrarsi nell'analisi più specifica dei singoli mo­ numenti: ognuno di essi possiede la propria storia e può offrire informazio­ ni preziose in merito al motivo della scelta dell'immagine e dei personaggi raffigurati. In un sarcofago conservato nella chiesa di San Paolo fuori le Mura a Roma 37 (primi decenni del III secolo d.C.) compare al centro della scena una figura femminile nuda (seduta su un carro trainato da due tori) che è stata riconosciuta come Afrodite / Venere. Sulla destra, accanto alla dea, si nota un secondo personaggio femminile riccamente panneggiato e con il capo velato mentre si precipita verso Endimione dormiente, coricato in basso a destra. Ovviamente tale personaggio è Selene, il cui atteggia­ mento e il cui abito si discostano dall'iconografia consueta, che prevede un movimento più composto e una veste leggera che talvolta lascia scoperto un seno. 38 Inusuale è anche la presenza della dea dell'amore: 39 a tal pro­ posito è stato suggerito di leggere l'immagine come il ricongiungimento tra marito (Endimione) e moglie (Selene), incontro che avviene sotto il pa­ trocinio di Venere, mentre la veste che avvolge Selene è stata interpretata come un abito da sposa. 40 Più complessa l'esegesi di un sarcofago conservato al Metropolitan Mu­ seum of Art di New York (inizi del III secolo d.C . - Fig. 26).4 1 L'iscrizione sul lato lungo testimonia come il monumento tombale fosse riservato a una donna di nome Claudia Arria, morta all'età di cinquant' anni, e le fosse stato donato dalla figlia, Aninia Hilara.42 Sulla parte superiore del fregio, in corrispondenza con la raffigurazione di Selene, venne inserito il ritratto delun fenomeno che deve essere invece collegato al sentimento e alla conoscenza mitica comune: cfr. TuRCAN 1 978, pp. 1 707· 1 708 e soprattutto pp. 1 7 1 2- 1 7 1 3 . Cfr. anche le perplessità espresse da NocK 1 946, pp. 1 44· 145; 1 52. LOCHIN 1 990, p. 609 ha invece ritenuto attendibile l'interpre­ tazione filosofica. 37 ZANKER-EWALD (2004) 2008, fig. 89; LOCHIN 1 990, n. 72; GABELMANN 1 986, n. 80; ROBERT ( 1 897) 1 969, n. 8 1 . 3 8 Cfr. ad esempio GABELMANN 1 986,

nn . 64; 69; 73; 78; 8 1 .

39 ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 1 05 ; GABELMANN 1 986, p. 74 1 ; KocH·SicHTERMANN 1 982,

p. 146. 40 ZANKER-EWALD (2004) 2008, pp. 1 05- 1 06. KooRTBOJIAN 1 995, pp. 75-78 ha messo in evidenza il valore amoroso-matrimoniale del mito nel contesto funerario, intitolando emble­ maticamente Perpetuae nuptiae il paragrafo dedicato a questo tema. Cfr. anche TuRCAN 1 978, p. 1 730; GABELMANN 1 986, p. 742. Si potrebbe però ipotizzare un rovesciamento dei ruoli, leg­ gendo la scena come l'incontro di una giovane sposa col proprio marito defunto. La presenza di alcuni Amorini deve probabilmente sottolineare il legame amoroso tra i personaggi. 4 1 ZANKER-EWALD (2004) 2008, fig. 37; KoORTBOJIAN 1 995, p. 77; PAPASTAVROU 1 992, n. 8; GABELMANN 1 986, n. 8 1 ; RoBERT ( 1 897) 1 969, n. 83. 4Z Cfr. SORABELLA 200 1 , pp. 67-69.

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la deceduta: ciò ha fatto ragionevolmente supporre che l'intenzione della dedicataria fosse quella di associare la madre alla dea della luna.43 In questo caso non è ammissibile pensare alla manifestazione di un sentimento amo­ roso in senso stretto, ma piuttosto a un'allusione all'amore filiale.44 Forse Aninia Hilara scelse il mito di Endimione per augurare alla propria ma­ dre una sorte felice nell'aldilà, dove avrebbe potuto godere anch'ella della continua visione del proprio amato. Come ha correttamente rilevato Paul Zanker, tale racconto non era forse il più adatto per manifestare l'affetto tra congiunti dello stesso sesso, ma «le circostanze che possono aver porta­ to a questa scelta sono così svariate che sarebbe futile discuterne».45 L'ar­ tista che realizzò il bassorilievo decise di inserire una variante all'interno dell'ormai consolidata tradizione iconografica: in secondo piano rispetto a Endimione è visibile il busto di una figura femminile che regge nella mano sinistra una rigogliosa pianta di papavero, mentre con la destra sta rove­ sciando il liquido dal corno sul giovane addormentato. È evidente che qui non si è in presenza di Somnus, benché siano raffigurati i suoi caratteristici attributi: il personaggio è stato identificato come Nox, la personificazione della notte (Fig. 27).46 In questo caso è dunque la dea a svolgere il compito di indurre l'eterno sopore; tale raffigurazione è perfettamente logica se si tiene conto che la notte, immaginata da Ovidio con il capo cinto da papave­ ri, è portatrice del sonno.47 La consueta presenza di Somnus con papavero si ritrova invece nuovamente su un sarcofago dedicato a un bambino; 4 8 in questo caso il mito di Endimione è utilizzato come espressione dell'amore genitoriale: paragonare il piccolo al pastore del Latmo equivaleva ad au­ gurargli un destino di sereno riposo, privo di ogni genere di turbamento. 49 Merita menzione un altro sarcofago conservato al Louvre (circa 230 d.C .), in cui i volti della dea della luna e del suo innamorato furono lasciati incompiuti, con tutta probabilità per ritrarre successivamente le fattezze di una coppia di sposi. 50 Essendo la tomba presumibilmente riservata a con43 ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 1 06. 4 4 Cfr. ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 324. Cfr. anche SORABELLA 200 1 , p. 78. 45 ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 1 06 non hanno escluso l'eventualità che il sarcofago sia stato commissionato da un altro cliente per un defunto maschio; in seguito il ritratto del morto venne rielaborato e l'intero monumento riutilizzato per la sepoltura di Claudia Arria. 46 ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 322; PAPASTAVROU 1 992, n. 8. Nox compare all'interno del mito di Endimione in Anth. Lat. 8 1 , 2 1 -24 R.Z. 47 Cfr. Ov.

Fast. IV 66 1 -662. Sul passo cfr. supra, pp. 1 1 9- 1 2 1 .

48 ROBERT ( 1 897) 1 969, n . 49. 49 HUSKINSON 1 996, p. 1 02; ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 1 06. 5 0 ZANKER-EWALD (2004) 2008, fig. 9 1 ; LOCHIN 1 990, n. 73 ; GABELMANN 1 986, n. 70; ROBERT ( 1 897) 1 969, n. 72. ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 3 1 9 hanno notato come Endimione goda di

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6 . IL PAPAVERO IN C O NTESTO FUNEBRE tenere le spoglie di un uomo, l'immagine si configurava come un auspicio di ricongiungimento tra i due amanti: 5 1 si tratta dunque della celebrazione di un legame amoroso eterno, che nemmeno il sonno della morte poteva spezzare. A tali significati allude anche la schiera di Amorini che circon­ dano Selene e la guidano verso il suo innamorato. 5 2 La scena in sé non si discosta molto dalle consuete rappresentazioni del mito: anche in questo caso appare la figura di Somnus, nudo, con la pianta di papavero e ritratto nell'atto di rovesciare il corno sulla testa del giovane. Tuttavia Endimione appare qui nelle vesti di cacciatore,53 come testimonia la presenza di due lance tenute dall'eroe con il braccio sinistro, mentre solitamente in con­ testi funerari egli veniva raffigurato nei panni di un pastore oppure nudo, intensificando così la componente erotica insita nel racconto.54 Nel caso specifico invece si è optato per un cambiamento di status: per la verità tale variante è ben attestata dalle fonti letterarie che, da mandriano, trasforma­ no il giovane in cacciatore. 55 A questo proposito, è stata fornita una con­ divisibile spiegazione: esso sarebbe «un'evoluzione in senso aristocratico del tutto conforme alle esigenze di rappresentanza di questi sarcofagi».5 6 Il pastore era considerato il rappresentante di una classe sociale piuttosto bassa e culturalmente inferiore, mentre il cacciatore si prestava meglio a rendere manifeste le virtù che caratterizzavano il defunto, probabilmente una dimensione leggermente maggiore rispetto agli altri personaggi, probabilmente allo sco­ po di concentrare l'attenzione sul defunto. 5 1 Cfr. ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 3 1 9, dove si sostiene che la figura di Selene con fiaccola avrebbe potuto alludere alle frequenti visite della vedova o dei familiari alla tomba del defunto. 5 2 ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 204. 53 Cfr. AGAPIOU 2005, p. 28. Endimione è raffigurato come cacciatore già sul celebre rilie­ vo di I secolo d . C . , conservato ai Musei Capitolini (GABELMANN 1 986, n. 7) e su due affreschi pompeiani databili intorno alla seconda metà del I secolo d . C . (GABELMANN 1 986, nn. 14; 1 9). 54 La sfumatura erotica del mito di Endirnione è sottintesa dalla frequente nudità del giovane e, in alcuni casi, da quella parziale di Selene (cfr. ZANKER-EWALD (2004) 2008, fig. 37; KooRTBOJIAN 1995, fig. 40). L'incontro notturno tra i due innamorati presuppone infatti una notte d'amore, come lascia implicitamente intendere LuCIAN. Dia!. deor. 1 1 . Tale episodio è raffigurato su alcune stele funerarie provenienti prevalentemente dal Norico e dalla Pannonia: cfr. GABELMANN 1 986, nn. 86-87; KooRTBOJIAN 1 995, fig. 38. Esplicita la scena su un frammento di sarcofago proveniente da Augusta Raurica (GABELMANN 1 986, n. 87a), dove è rappresentato l'atto d'amore dei due amanti, mentre su un secondo frammento (ZANKER-EWALD (2004) 2008, fig. 1 8 5 ; LOCHIN 1 990, n. 107) si nota Endimione sveglio, che aspetta l'arrivo della sua divina compagna. Sulla questione cfr. ZANKER-EWALD (2004) 2008, pp. 204-207. Per un'analisi più ap­ profondita circa i monumenti del Norico e della Pannonia cfr. DIEZ 1 9 6 1 - 1 963, in particolare pp. 53-59. 5 5 Cfr. VAL. FLACC.

VIII 29 (Latmius venator); LuCIAN. Dia!. deor. 1 1 ; ScHoL. Theocr. III

49-5 1 a. 5 6 ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 108.

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appartenente a un ceto elevato. Ecco dunque che, pur mantenendo il pae­ saggio bucolico idilliaco, espressione della vita felice in armonia con la na­ tura e priva degli affanni della quotidianità, con l'andare del tempo si scelse di farsi rappresentare sotto la nuova veste di cacciatore. 57 Il monumento sepolcrale del Louvre fu realizzato insieme a un secon­ do sarcofago, sul quale venne scolpito il ritrovamento di Arianna da parte di Dioniso. 58 Tale mito si configurava come perfetto pendant in relazione a quello di Endimione: come il giovane era eternamente unito alla dea della luna, così la figlia di Minasse venne salvata dal figlio di Zeus, che ne fece la propria sposa. 59 Con tutta probabilità il sepolcro era destinato a contenere le spoglie di una donna, da identificarsi con la moglie del defunto seppellito nel sarcofago di cui si è parlato in precedenza. 60 Anche nel mito di Arianna la giovane viene trovata dal dio mentre dorme profondamente: così come il sonno di Endimione, anche quello della fanciulla simboleggiava il torpore della morte; a recare conforto sarebbe quindi intervenuta una divinità, per garantire una sorte felice nell'aldilà in unione con la persona cara. La nota­ bile differenza che intercorre tra i due miti sta nella possibilità di risveglio della protagonista: mentre il giovane del Latmo sarà destinato a dormire per sempre, la figlia di Minasse viene risvegliata e sposerà il suo salvatore. 61 In ogni caso il racconto secondo cui Dioniso sorprende Arianna dormiente contribuiva, al pari di quello di Endimione e Selene, a evocare e veicolare un messaggio di amore eterno tra gli sposi. 62 Se nel sarcofago del Louvre non vi è traccia della personificazione del sonno per sottolineare lo stato della defunta, in altri esemplari Somnus (tal­ volta raffigurato anziano) è invece chiaramente distinguibile grazie agli or­ mai consueti attributi: pianta di papavero e corno rovesciato. 63 Va da sé che 57 Cfr. ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 320. Per il paesaggio bucolico cfr. KooRTBOJlAN 1 995, pp. 78-84. 5 8 ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 32 1 . 59 HES. Theog. 947-949; DIOD. S1c. V 5 1 , 3-4; CATULL. LXIV 25 1 -255; Ov. Ars amat. I 527-564; Met. VIII 1 76-1 77; PLUT. Thes. 20, 8; PAus. I 20, 3; X 29, 3-4; APOLLOD. Epit. I 9; HYGIN. Fab. 43 ; NoNN. Dion. XLVII 426-469. 60 ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 1 09 e soprattutto p. 32 1 . A.P. VII 330 testimonia la prati-

ca da parte del marito di commissionare il sarcofago per sé e per la propria moglie. 6 1 La differenza è già stata notata da SORABELLA 200 1 , p. 78. 62 TuRCAN 1 978, p. 1 730. 63 LOCHIN 1 990, nn . 1 1 7; 120 (solo pianta di papavero); 1 2 7 (altare funerario di Tiberio Claudio Fileto - 60-75 d.C. - dove compare Somnus nudo, con ali che spuntano dalle tem­ pie; reca nella mano destra una pianta di papavero e nella sinistra il corno: cfr. KLEINER 1 987, pp. 123-125, n. 1 7). Cfr. anche il frammento di sarcofago conservato in Vaticano: TuRCAN 1 962, fig. l e p. 599 («Le 'baton' que tient la figure barbue [scii. Somnus] est, en effet, à n'en pas dou-

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6 . IL PAPAVERO IN C O NTESTO FUNEBRE la simbologia riservata al vegetale e alla sostanza da esso ricavata non varia all'interno del mito di Dioniso e Arianna rispetto a quanto detto per i monu­ menti raffiguranti Endimione: il papaver somniferum svolge di nuovo il com­ pito di richiamare alla mente il sonno e di conseguenza allude alla morte fittizia del personaggio mitico e a quella reale del destinatario della tomba. Carl Robert ritenne probabile la presenza della pianta di papavero nella mano sinistra di Somnus anche su un sarcofago (inizio III secolo d.C.) raf­ figurante la scoperta di Rhea Silvia addormentata da parte di Marte. 64 Seb­ bene oggi non siano più visibili, lo studioso tedesco rivendicò l'originaria presenza delle capsule, successivamente sostituite dal restauratore con un semplice bastone. 65 In mancanza di informazioni più precise, è purtroppo difficile stabilire che cosa fosse rappresentato inizialmente; nell'eventualità in cui l'ipotesi di Robert venisse confermata, tale sarcofago sarebbe l'unica testimonianza dell'inserimento del papavero nel mito di Marte e Rhea Sil­ via. È tuttavia ben documentata la presenza di Somnus nelle raffigurazioni tombali del racconto mitico, dove il dio è spesso intento a versare il liquido dal corno: 66 benché in tutti questi casi il papavero non compaia, sulla base di quanto precedentemente osservato è ragionevole supporre che si tratti di una sostanza oppiacea. Comunque, il significato simbolico dell' episo­ dio non cambia rispetto ai monumenti sepolcrali raffiguranti Endimione e Arianna: infatti il dio della guerra trova la giovane Vestale profondamente addormentata, non diversamente dai personaggi dei miti sin qui esami­ nati. 67 Somnus e il papavero (oppure il corno) avrebbero dovuto quindi alludere e favorire il sonno, collegandolo probabilmente con la morte del defunto l a. 68 Infine, merita menzione un sarcofago conservato al Louvre e databile all'inizio del II secolo d.C . : sul lato lungo si nota una pianta (forse una pal­ metta) posta al centro, ai cui lati sono visibili due amorini alati che offrono con buona probabilità due capsule di papavero a due uccelli posti davanti a loro. 69 Le dimensioni del monumento (circa un metro e mezzo di lunghez­ za) fanno pensare che il destinatario fosse un bambino: è quindi possibile ter, une branche de pavots»). Sulla rappresentazione di Sornnus nei rilievi del ritrovamento di Arianna cfr. TURCAN 1 966, pp. 5 1 4·5 1 7. 64 ROBERT ( 1 904) 1 969, n. 190. 6 5 RoBERT ( 1 904) 1 969, p. 233. 66 Cfr. LocHIN 1 990, nn. 128· 1 3 3 . 6 7 LOCHIN 1 990, p . 608 h a giustamente ravvisato l e forti similitudini tra l o schema compo· sitivo di questi sarcofagi e quello raffigurato sui monumenti di Endimione e Arianna. 68 Cfr. LocHIN 1 990, p. 609. 69 BARATIE-METZGER 1 985, n. 87.

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che tale raffigurazione sia stata scelta per la sua spensieratezza, che poteva alludere a giochi praticati in giovane età, come quello di dare da mangiare ai volatili semi di papavero, di cui essi sono particolarmente ghiotti. 70 l SARCOFAGI RAFFIGURANTI IL MITO DI MEDEA E CREUSA: LA MORTE INASPETTATA E INEVITABILE

L'episodio della tragica morte di Creusa (figlia di Creante, re di Corin­ to, e seconda sposa di Giasone) 71 è raffigurato, insieme alla premeditazione dell'uccisione dei figli da parte di Medea e della sua successiva fuga, su circa quattordici sarcofagi, tutti databili all'epoca del regno degli Antonini ( 1 3 81 92 d.C.).72 L'iconografia di questi esemplari è generalmente standardizza­ ta e prevede la presenza di quattro momenti distinti del mito: da sinistra a destra si riconosce l'offerta dei doni nuziali da parte dei figli di Giasone e Medea a Creusa, la morte della sfortunata fanciulla davanti al padre impo­ tente, il momento della decisione della maga di assassinare i propri figli e la partenza di quest'ultima sul carro alato trainato da serpenti (Fig. 28).73 La prima scena rappresentata alla sinistra del lato lungo è quella che qui interessa maggiormente: la vicenda è ben nota dalle fonti letterarie, in par­ ticolare dalla tragedia euripidea Medea e da quella omonima senecana, che 70 ARISTOPH. Av. 1 59-1 60. Cfr. il pappagallo di Ov. Am. II 6, 3 1 . Tra i giocattoli dei bambini vi erano animali in terracotta, fra i quali anche uccellini: cfr. ad esempio DE FRANCEsco 2012, p. 75. BARATTE-METZGER 1985, p. 1 78 hanno constatato che l'iconografia di questo sarcofago è insolita e priva di paralleli nell'arte funeraria a noi pervenuta; pertanto non hanno scartato l'eventualità che la tomba non sia autentica. 7 1 Spesso nella tradizione letteraria la principessa prende il nome di Glauce: D10o. S1c. IV 54, 5; PAus. II 3, 6; APoLLOD. Bibl. I 9, 28; A.P. V 288; VII 354; XI 4 1 1 ; XVI 137; ATHEN. XIII 556c; 560d; PHILOSTR. Heroic. 53, 4; HYGIN. Fab. 25; DRACONT. Rom. X 369; MYTH. VAT. I 25 Kulcsar. 72 ZANKER·EWALD (2004) 2008, p. 344. 73 Una versione differente in PAus. II 3, 6, dove i bambini furono lapidati per aver portato i doni avvelenati; ai tempi del Periegeta era ancora visibile la loro tomba. CREOPHILUS FGrHist 4 1 7 F 3 testimonia un'ulteriore variante: Medea sarebbe stata la regina legittima di Corinto, ma gli abitanti non la accettarono e uccisero i suoi figli (in questo caso sette maschi e sette fem· mine) nel santuario di Hera Akraia, dove i piccoli avevano cercato rifugio, facendo ricadere la colpa del delitto sulla maga. L'efferatezza del loro gesto generò una terribile pestilenza: un non meglio specificato oracolo impose ai Corinzi di inviare sette giovani e sette fanciulle provenien· ti dalle più nobili famiglie locali al santuario di H era Akraia, dove per un intero anno avrebbero dovuto compiere sacrifici per placare l'ira della dea e dei bambini assassinati. Secondo PAus. II 3, 7, erano le anime adirate di questi ultimi a uccidere i figli della popolazione. Cfr. PARMENISC. in ScHOL. Eu r Med. 1 0 ; AELIAN. Var. hist. V 21 (dove si afferma che l'uccisione dei figli da parte di Medea sarebbe un'invenzione euripidea su richiesta dei Corinzi) e PHILOSTR. Heroic. 53, 4. Per l'analisi del culto di Hera Akraia cfr. BRELICH ( 1 968) 20 1 3 , pp. 385-395; ]OHNSTON 1 997, in particolare pp. 46-52. .

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6 . IL PAPAVERO IN C O NTESTO FUNEBRE prende come modello il celebre precedente greco.74 Euripide, che dedica all'episodio quasi cento versi, descrive nel dettaglio l'orrenda morte della giovane principessa, senza tuttavia menzionarne mai il nome.75 Seneca in­ vece la chiama esplicitamente Creusa e fa raccontare alla stessa Medea la triste sorte di cui la fanciulla sarà vittima.76 I fatti principali coincidono nei due drammi: Medea cerca vendetta contro Giasone e decide di inviare una corona dorata e una veste, entrambe avvelenate, alla novella sposa, asse­ gnando il compito del trasporto ai propri figli. 77 Una volta indossati i doni, Creusa inizia a bruciare viva e si dimena violentemente a causa dell'insop­ portabile dolore, ma non vi è rimedio contro il sortilegio della maga. Così la principessa si spegne lentamente tra infiniti tormenti, consumata dal fuo­ co vorace del veleno. Il padre, straziato dalla disperazione, si getta sul corpo ormai esanime della figlia nel vano tentativo di salvarla, ottenendo come risultato la sua stessa morte causata dal contatto con il filtro di Medea. 78 L'episodio dell'offerta dei doni è chiaramente riconoscibile nelle deco­ razioni sepolcrali: su un sarcofago conservato a Berlino, si nota un giovane con il busto scoperto e la parte inferiore del corpo coperta da una veste, oggi normalmente interpretato come Giasone.79 Egli sembra intento a osserva­ re i suoi due bambini (avuti dal precedente matrimonio con la maga della Colchide) posti in primo piano, che reggono nelle mani i doni che Medea invia a Creusa per le imminenti nozze. Quest'ultima è raffigurata seduta, 74 Per la tragedia senecana cfr. ARCELLASCHI 1 990, pp. 324-4 1 5 . Le vicende di Medea a Corinto sono riassunte anche da DIOD. S1c. IV 54; APOLWD. Bibl. I 9, 28; APuL. Asin. aur. I 1 0 ; MYTH. VAT. I 25 Kulcsar. DRACONT. Rom. X 366-569 narra gli eventi con dovizia d i particolari, collocandoli non più a Corinto ma a Tebe; la furia omicida di Medea colpirà non solo Creusa / Glauce, Creonte e due bambini, ma anche lo stesso Giasone. 75 EuR. 76 SEN.

Med. 1 1 3 6- 1 230. Med. 8 1 7-848 . Un'allusione al destino di Creusa / Glauce anche in Ov. Her. 1 2 , 1 79-

1 80; A.P. V 288; XI 4 1 1 . n In EuR. Med. 1 1 44- 1 1 5 5 la figlia di Creonte è diffidente davanti ai due bambini e disto­ glie da loro lo sguardo; solo grazie alle parole di Giasone ella è convinta a fidarsi di loro. Tale episodio è invece assente in SEN. Med. 820-832, il quale però si dilunga sull'estrema pericolosità del veleno utilizzato. Lunga descrizione degli ingredienti velenosi anche in DRACONT. Rom. X 484-493 . Cfr. APoLWD. Bibl. I 9, 28; HYGIN. Fab. 25. Secondo DRACONT. Rom. X 5 1 0-5 1 6 , è Medea stessa a donare la corona avvelenata e a porla sul capo della principessa.

78 Così EuR. Med. 1 204- 1 22 1 ; SEN. Med. 879-882; PLUT. De amic. mult. 96C . H o R. Epod. 5, 6 1 6 6 descrive solo l a morte di Creusa e non quella del genitore. Secondo Dmn. S1c. I V 54, 5 , Me­ dea stessa si introdusse di nascosto nel palazzo reale per dare fuoco all'edificio; nell'incendio trovarono la morte Creusa / Glauce e Creonte. Lo storico siceliota non fa menzione dell'offerta dei doni. CREOPHILUS FGrHist 4 1 7 F 3 sostiene che la maga uccise soltanto Creonte per mezzo di un filtro magico, eliminando completamente la figura della figlia. 79 ZANKER-EWALD (2004) 2008, pp. 82 e 345; GAGGADIS-ROBIN 1 994, p. 1 3 1 ; BERGER-DOER 1 992, n. 3; LOCHIN 1 990, n. 1 3 9 .

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con una lunga veste trasparente e il capo velato, come conviene alle spose: ella guarda benevola i due bimbi, felice di ricevere i doni nuziali. In secondo piano, tra Giasone e Creusa, sono presenti altri due personaggi: il primo è una figura femminile anziana con un panno che le copre il capo, elemento che ha facilitato la sua identificazione con la nutrice della figlia del re; 80 il secondo appare invece come un giovane uomo, con il capo rivolto verso il basso ornato da una benda, e con la veste che lasàa scoperta la parte destra del busto e il relativo bracào, mentre le mani sono incroàate all'altezza dell'addome e la sinistra regge due capsule di papavero (Fig. 29). 81 Tale personaggio, e gli attributi da lui recati, si ritrova nelle rappre­ sentazioni dell'episodio sui fregi dei sarcofagi: se ne contano almeno una decina scarsa di esemplari. 82 Tuttavia, la sua identificazione ha sollevato qualche problema: Catherine Lochin ha sostenuto che si tratti di Somnus, soprattutto per la presenza delle capsule di papavero che richiamerebbe­ ro l'azione soporifera del dio. 83 L'ipotesi sembra però basarsi su elementi troppo fragili, poiché il giovane non possiede alcun segno distintivo che permetta di riconoscerlo come tale: non compaiono le ali (siano esse di piu­ me o di farfalla), né il corno, attributi che lo caratterizzano nella maggio­ ranza delle sue rappresentazioni. La presenza del dio del sonno all'interno dell'episodio mitico sarebbe inoltre poco pertinente e del tutto inadeguata in relazione alla sorte che di lì a poco avrebbe colpito Creusa: ella infatti non verrà addormentata, né potrà godere di una morte priva di dolore. Al contrario subirà un destino tragico, orrendo e straziante, in cui gioca un ruolo di primaria importanza la sofferenza sia fisica che psicologica. 84 Nei precedenti casi di Endimione, di Arianna e di Rhea Silvia, Somnus svolge una funzione benevola nei confronti dei protagonisti, mentre all'interno del mito in esame la sua azione risulterebbe del tutto fuori luogo; ne con­ segue che la spiegazione offerta dalla studiosa francese si rivela infondata. Secondo Paul Zanker e Bjorn Christian Ewald, il personaggio andrebbe riconosàuto con «il giovane incaricato di scortare la sposa», una sorta di «testimone di nozze».85 L'episodio rappresenta infatti il momento che pre80 ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 345; LOCHIN 1 990, n. 139. 8 1 ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 345; GAGGADIS-ROBIN 1 994, pp. 1 26-127. 82 GAGGADIS·ROBIN 1 994, nn 2·4; 8; 10; 13; 20-2 1 ; BERGBR-DOER 1 992, nn 2- 1 0 ; LOCHIN 1 990, nn 138·143. La posizione del giovane sul sarcofago di Berlino (accanto a Creusa) è rara, poiché solitamente si trova tra la nutrice e Giasone: cfr. GAGGAms-RoBIN 1 994, p. 1 3 3 . .

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83 LOCHIN 1 990, p . 607. 8 4 Ciò è particolarmente visibile in EuR.

Med. 1 1 67· 1 203 .

8 5 ZANKER·EWALD (2004) 2008, pp. 345-346. Cfr. già RoBBRT ( 1 904) 1 969, pp. 207; 209-2 1 1 ;

2 1 3 ·2 1 5 ; KocH-SICHTBRMANN 1 982, p. 1 60.

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6 . IL PAPAV E RO IN C ONTESTO FUNEBRE cede la celebrazione del matrimonio, come dimostrano anche le decora­ zioni vegetali a ornamento delle colonne che inquadrano la scena, raffigu­ rante una sala interna del palazzo di Corinto. 86 I due studiosi hanno inoltre osservato come i doni recati dai bambini non coincidano sempre con quelli descritti dai testi letterari, poiché nel rilievo di Berlino essi sono una sem­ plice ghirlanda posta su un piatto e diversi fiori che il bimbo di destra tiene raccolti nelle pieghe della propria veste, appositamente alzata. 87 Sulla scor­ ta di un'intuizione di Carl Robert,88 essi hanno interpretato l'intera scena come un evidente richiamo all'effettiva prassi matrimoniale romana, dove giocavano un ruolo importante le corone floreali, i fiori e persino i due bambini, da intendersi non tanto come i figli di Medea quanto più come i patrimi e matrimi pueri che dovevano scortare la sposa. 89 Se in quest'ultimo caso le osservazioni di Zank.er ed Ewald trovano più di una giustificazione, risulta meno convincente l'interpretazione del personaggio con papaveri. Allo stesso modo è difficile concordare con Gratia Berger-Doer, la quale ha interpretato la figura maschile come lmeneo-Somnus: tale entità divina avrebbe dovuto alludere sia alle nozze imminenti sia alla prossima morte della sposa e dei bambini. Secondo la studiosa, i papaveri avrebbero evo­ cato l'addormentamento dei figli di Giasone e il conseguente decesso. 90 Anche in questo caso, la proposta di riconoscere nel giovane uomo accan­ to a Creusa il dio patrono del matrimonio è poco convincente, a causa della mancanza di attributi caratteristici. Infatti, a mia conoscenza, non è testimoniata alcuna connessione tra il papavero e Imeneo, fatto che rende­ rebbe le raffigurazioni di questi sarcofagi un caso isolato nell'arte antica. D'altronde nel mondo romano la presenza della pianta non è testimoniata nella celebrazione del rito matrimoniale vero e proprio, ma solo in quello prematrimoniale in onore di Venere Verticordia, 9 1 dove le partecip anti dove­ vano assumere un composto di latte, miele e semi di papavero. E però assai difficile ammettere un collegamento tra il culto della dea e la scena rappre86 ZANKER·EWALD (2004) 2008, p. 82 e p. 345. 8 7 ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 345; GAGGADIS·ROBIN 1 994, p. 1 3 6 . SCHMIDT 1 967, p. 20 ha considerato la corona vegetale come un attributo dei morti che doveva richiamare una non meglio precisata speranza di vita ultraterrena, teoria poco convincente, come già dimostrato da FITTSCHEN 1 992, p. 1 053. 88 ROBERT ( 1 904) 1 969, p. 207. 89 ZANKER-EWALD (2004) 2008, pp. 345-346. Proprio per questo motivo Creusa non sareb­ be ritratta nell'atto di all ontanarsi dai bambini, ma li accoglie con gioia. Anche GAGGADis-Ro· BIN 1 994, p. 1 3 5 ha sottolineato la mancanza di attributi mitologici o simbolici relativi ai piccoli. Per le corone floreali cfr. anche GAGGADIS-ROBIN 1 994, p. 1 29 . 90 BERGER·DOER 1 992, p . 1 26. 9 1 Ov.

Fast. IV 1 5 1 - 1 54. Sul tema cfr. supra, pp. 92-99. -

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sentata sul sarcofago, che non ha evidentemente alcun legame con la festa del primo aprile. È parimenti arduo assegnare alle capsule una simbologia beneaugurante di nozze felici e prospere: 92 a questa interpretazione si con­ trappone il contesto stesso del monumento (un rilievo funerario) e quello dell'episodio mitico, che prevede una fine tragica tanto per la giovane fan­ ciulla quanto per i bambini. Entrambe le ipotesi di riconoscimento del personaggio maschile ac­ canto a Creusa risultano pertanto insoddisfacenti,93 così come non è stato compreso il significato della frequente presenza del papavero, la cui simbo­ logia deve essere utile alla lettura complessiva della scena. A mio giudizio, l'operazione di individuare l'identità del giovane è abbastanza superflua ai fini della comprensione dell'immagine.94 Si potrebbe ipotizzare che egli sia il nunzio che compare tanto nella tragedia euripidea quanto in quella senecana (il quale assiste sia all'offerta dei doni sia alla morte della giovane e ne dà in seguito notizia a Medea) 95 o più probabilmente un semplice servo, ma anche un simile riconoscimento non è avvalorato da alcun dato concreto. Più interessante e chiara è la funzione che egli doveva svolgere: a questo proposito si rivela preziosa l'osservazione del suo atteggiamento e l'espressione del volto, nonché la presenza delle capsule di papavero. Il giovane è rivolto verso Creusa in un gesto di intima e rassegnata tristezza: le braccia incrociate e soprattutto il capo reclinato in segno di lutto confer­ mano tale lettura. La mestizia che caratterizza la figura è certamente col­ legata all'infelice destino cui andrà incontro la fanciulla, vittima innocente dell'odio di Medea. La rappresentazione delle capsule di papavero appare a questo punto comprensibile: a differenza di quanto osservato per i sarcofagi raffiguranti il mito di Endimione e di Arianna, dove esse hanno la funzione di alludere al sonno eterno, nelle scene in esame il papavero simboleggia in maniera diretta la morte, rimandando all'imminente scomparsa di Creusa.96 È in­ fatti ben attestata dalle fonti antiche la pericolosità dell'oppio, che assunto in dosi massicce ha effetti letali: ne danno conferma Plinio, che lo conside­ ra un terribile veleno, e Apuleio, mentre Galeno e Dioscoride mettono in 92 RosERT ( 1 904) 1 969, p. 209 collegò la presenza del papavero alle nozze. 93 Inaccettabile la sicura identificazione di Eros proposta da BARATTE-MBTZGER 1 985, p. 92. Insoddisfacente anche la proposta di Musso 1 985, p. 280 di riconoscervi una non meglio speci­ ficata personificazione funebre assimilabile al genio delle nozze. 94 Cfr. GESSERT 2004, p. 227, che ha preferito non azzardare ipotesi, limitandosi a osserva­ re la presenza di «male and female attendants», così come GAGGADIS-ROBIN 1 994, p. 1 34. 95 EuR.

Med. 1 1 3 6- 1 230; SEN. Med. 879-890.

9 6 Così anche GAGGAms-RosiN 1 994, p. 134.

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6. IL PAPAVERO IN CONTESTO FUNEBRE

guardia dal consumo eccessivo della sostanza, pena un coma mortale.97 Il simbolismo di morte è ulteriormente confermato da quattro rilievi funebri raffiguranti il medesimo episodio, dove il giovane regge, oltre alla pianta, una fiaccola accesa e rovesciata, chiara metafora di morte nel suo sottinten­ dere lo spegnimento del fuoco della vita.98 n personaggio maschile ha dun­ que la funzione di prefigurare i tragici eventi ormai prossimi (rappresentati nelle successive scene dei sarcofagi), inserendo sin dal primo episodio, di per sé felice e gioioso, l'elemento centrale del lutto e della morte. Chiarito il motivo della presenza del papavero all'interno dell'imma­ gine, vale la pena di soffermarsi sul significato complessivo veicolato dai rilievi dei sarcofagi. La scelta di raffigurare le vicende di Medea su un mo­ numento che generalmente doveva commemorare il defunto appare di primo acchito poco adatta.99 A questo proposito, Michael Koortbojian ha interpretato l'intero complesso figurativo come la rappresentazione degli aspetti caratterizzanti la natura femminile, portati all'estremo ed esempli­ ficati da Medea, in contrapposizione con la virtus maschile, simboleggiata da Giasone. 100 Tale esegesi si rivela però del tutto ipotetica e non pertinente in relazione alle scene raffigurate, dove ad esempio il ruolo dell'eroe delle Argonautiche è secondario. 101 Margot Schmidt ha avanzato un'ipotesi del tutto differente: la studiosa, analizzando il significato complessivo della decorazione di un sarcofago conservato a Basilea, 102 ha sostenuto che la maga fosse figura di primo pia­ no nel contesto figurativo e fosse collegata direttamente alla persona dece­ duta, di cui simboleggerebbe l'apoteosi raggiunta dopo la morte, ipotesi questa già oggetto di critica e oggi superata. 103 Una simile interpretazione 97 PuN. Nat. Hist. XX 1 99 ; Dm sc. IV 64, 3; .APuL. De mag. 32; GALEN. XIII 273 Kiihn. Mag­ giori dettagli nel capitolo dedicato agli usi medici: supra, pp. 25-26. 9 8 GAGGADIS-ROBIN 1994, nn 8-9; 15; 2 1 ; LOCHIN 1 990, nn 1 4 1 - 1 42a. Cfr. LOCHIN 1 990, p. 607. Non convince l'idea di RoBERT ( 1 904) 1 969, p. 207, condivisa successivamente da GAGGA­ ms-RoBIN 1 994, p. 134 e da BERGER-DOER 1 992, p. 1 26, che ravvisò nella presenza della fiaccola un rimando al matrimonio tra Creusa e Giasone. .

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99 Fatto già sottolineato da KooRTBOJIAN 1 995, p. 8; GESSERT 2004, p. 2 1 7; BucHANAN 2012,

p. 1 44. 1 00 KOORTBOJIAN 1 995, p. 9 . 1 0 1 Già GESSERT 2004, pp. 229-230 h a giustamente espresso dubbi i n merito alla teoria di Koortbojian. Poco condivisibile anche la lettura di TuRCAN 1 999, p. 43, secondo cui «C'est J'amour meurtrier qui est au centre de la représentation». 1 02 ZANKER-EWALD (2004) 2008, pp. 347-349; BERGER-DOER 1 992, n. 1 1 ; GAGGADIS-ROBIN

1 994,

n.

24.

1 03 L'apoteosi sarebbe legata in particolare all'episodio che vede fuggire Medea sul carro

alato trainato dai serpenti: ScHMIDT 1 967, p. 33. Cfr. BARATTE-METZGER 1 985, p. 94, dove la parten­ za di Medea è letta come speranza «d'une immortalité astrale» contrapposta alle sofferenze della

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S E Z I O N E I I - IL PAPAVERO N E L L' I C O N O G RAFIA ROMANA

è stata avanzata anche da Gratia Berger-Doer, la quale tuttavia non ha fat­ to menzione dell'apoteosi, ma ha inteso gli episodi raffigurati (soprattutto quelli in cui è protagonista Medea) come un rimando all'immortalità, lega­ ta a non meglio specificate speranze escatologiche. 104 Diametralmente opposta rispetto alla teoria di Schmidt si rivela l'inter­ pretazione fornita da Klauss Fittschen il quale, oltre ad aver riconosciuto Creusa come la vera protagonista delle vicende rappresentate, ha escluso qualsiasi tipo di riferimento ad apoteosi o a concetti escatologici, asserendo che il tema principale di questi sarcofagi «ist allein der Tod». 10 5 Ciò sem­ bra trovare conferma nel fatto che ben quattro personaggi perderanno la vita nel corso degli eventi (Creusa, Creonte e i due bambini): tutti i mezzi espressivi sarebbero finalizzati a sottolineare il dolore causato dalla morte che, secondo Fittschen, non fu mai espresso in modo tanto intenso e ricco di pathos. 1 06 Recentemente due studiose hanno in parte criticato tale teoria e, sulla scorta dell'intuizione di Margot Schmidt, hanno rivendicato la centralità di Medea all'interno del rilievo funebre. Genevieve Gessert ha preso le distanze dall'interpretazione conclusiva dell'archeologa tedesca, escludendo riman­ di a qualsiasi tipo di apoteosi. La studiosa americana, riprendendo teorie in parte già espresse da Gratia Berger-Doer, ha assegnato maggior impor­ tanza all'ultima scena rappresentata sul fregio rispetto alle altre, in quanto espressione più concreta delle credenze escatologiche del committente. 107 Ne consegue che i sarcofagi di Medea non fornirebbero alcun exemplum di mors immatura, ma al contrario un exemplum di mors permatura. 108 Gessert ha vita terrena, simboleggiate da Creusa. La maga è inoltre intesa come «représentante d'un destin superior, [ . . . ] symbole du triomphe sur la mort». Contra in particolare FnTSCHEN 1 992, pp. 1 0551 056; TuRCAN 1 999, pp. 42-43 e BucHANAN 20 12, p. 1 54, che ha giustamente osservato come l'analisi di Schmidt sia influenzata dall'interpretazione simbolica dell'arte funeraria di Franz Cumont. Parimenti inaccettabile la teoria esegetica proposta da BARATIE-METZGER 1 985, p. 94. 1 04 BERGER-00ER 1 992, p. 126. 1 05 FITISCHEN 1 992, p. 1 056 ha proposto di modificare il nome convenzionale assegnato a questi monumenti da «Medea-Sarkophage» a «Kreusa-Sarkophage» (cfr. ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 82) e ha considerato Medea un «demone della morte» ( «Sie ist Todbringerin, sie tritt wie ein Todesdamon in Erscheinung»). Secondo ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 83 e p. 346, la pre­ senza della maga avrebbe la sola funzione di rendere più chiaro il mito rappresentato e al con­ tempo quella di personificare il concetto di morte ineluttabile. Contra BucHANAN 20 12, p. 1 53 . 1 06 FITISCHEN 1 992, p. 1 056. Concordi ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 345. 1 0 7 GESSERT 2004, pp. 232-23 5 . 1 0s GESSERT 2004, pp. 240-243 h a considerato Medea come una sorta di fantasma o spirito malvagio (larva), causa di sciagure per tutti coloro che le stanno accanto. Le sventure da lei causate sarebbero una diretta conseguenza della sua mancata morte nel momento in cui que­ sta sarebbe dovuta sopraggiungere (GESSERT 2004, pp. 238-239 ha portato come prova Ov. Her. 12, 5-6; 1 1 6; 1 1 9- 1 26).

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6. IL PAPAVE RO IN C O NTESTO FUNEBRE

costruito la propria esegesi sull'antitesi che si sarebbe instaurata tra l'eroina del mito e il defunto: quest'ultimo, al contrario di Medea, avrebbe goduto di una sorta di 'morte ideale' (avvenuta nei tempi prestabiliti dal destino), che avrebbe favorito l'accettazione del lutto da parte dei familiari. 109 Per dare sostegno a tale teoria, la studiosa ha utilizzato le cosiddette consolatio­ nes, in particolare la Consolatio ad Marciam di Seneca e la Consolatio ad Apol­ lonium di Plutarco. Tuttavia, mettere in rapporto le immagini scolpite per un monumento funebre con composizioni letterarie erudite e imbevute di teorie filosofiche (soprattutto di neoplatonismo e stoicismo) è un'iniziativa del tutto arbitraria, non avvalorata dagli autori antichi che mai si riferiscono a Medea come esempio negativo di morte permatura. Impossibile inoltre stabilire il ceto sociale e le credenze filosofiche dei destinatari e dei commit­ tenti dei sarcofagi. Instaurare quindi un'antitesi tra la persona scomparsa e Medea appare un'operazione un po' troppo artificiosa, lontana dal senti­ mento che l'uomo prova istintivamente davanti alla morte. Anche Sophie Buchanan ha ravvisato in Medea il personaggio princi­ pale del fregio sepolcrale, considerandola come colei che causa la morte e contempla successivamente l'irreversibilità delle sue scellerate azioni.U 0 Ella ha sostenuto che le immagini scolpite non avrebbero altro significato se non quello di rappresentare la morte di Creusa nella sua forma più terri­ bile, 1 1 1 tanto da essere percepita dall'osservatore come grottesca e irreale. Secondo la studiosa, proprio questa esasperata raffigurazione della morte, paragonabile a una sorta di messinscena teatrale, escluderebbe qualsiasi tipo di partecipazione emotiva e non consentirebbe l'identificazione tra il defunto e la figlia di Creonte. 1 12 Buchanan ha quindi letto l'intero rilievo come una sorta di strumento che avrebbe dovuto favorire una non meglio specificata catarsi attraverso la macabra contemplazione delle scene: 1 1 3 come questo processo potesse avvenire rimane però del tutto incompren­ sibile. Al contrario di quanto ha ritenuto la studiosa, a mio avviso la rap­ presentazione con forti toni patetici della tragica fine di Creusa avrebbe 1 09 Cfr. GESSERT 2004, pp. 243-246. 1 1 0 BuCHANAN 2012, pp. 1 55- 1 5 7 ha ritenuto Medea simbolo dell'incomprensibilità della morte e, poiché condannata a convivere con i suoi misfatti, dell'impossibilità di superare il dolore e di ottenere requie. m Secondo BucHANAN 20 1 2 , p. 1 52, la tragica fine di Creusa avrebbe addirittura dovuto richiamare alla mente il disfacimento del cadavere nella tomba. La studiosa è partita da EuR. Med. 1 1 95 - 1 202 per dare conferma alla sua teoria: il tragediografo descrive la giovane morente mentre la sua carne si sta staccando dal corpo a causa dell'effetto del veleno della veste e della corona donatele da Medea.

1 1 2 BucHANAN 20 1 2 , pp. 1 5 1 - 1 53 . 1 1 3 BucHANAN 20 1 2 , pp. 1 56- 1 5 7.

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indotto nell'osservatore un sentimento di umana pietà e di intensa com­ passione: 1 1 4 è difficile sostenere che egli non avrebbe dovuto partecipare emozionalmente al dramma della morte ingiusta e atroce della giovane principessa. Per quanto riguarda le proposte interpretative avanzate dagli altri stu­ diosi, ritengo che il loro limite sia stato quello di cercare a ogni costo il protagonista centrale delle scene rappresentate sui sarcofagi. Coloro che hanno 'parteggiato per Creusa' hanno analizzato soltanto le prime due scene a discapito delle successive, considerando Medea come un personag­ gio secondario. 1 1 5 I 'sostenitori della maga' hanno fatto in sostanza l'esatto contrario, asserendo che la marginalità della principessa corinzia, soprat­ tutto all'interno delle fonti letterarie, è prova sufficiente per assegnarle mi­ nore importanza. 1 16 Personalmente non vedo l'utilità di attribuire il ruolo principale a Creusa o, viceversa, a Medea: non si tratta qui di stabilire un primato tra le due, ma di spiegare la loro presenza all'interno del contesto figurativo e comprenderne il significato. Appare pertanto più ragionevole l'ipotesi formulata da Margot Schmidt, secondo la quale entrambe le don­ ne, cui sono dedicati due episodi a testa, giocano un ruolo preciso nell'eco­ nomia del racconto. 1 1 7 Zanker ed Ewald hanno avanzato una spiegazione certamente condi­ visibile in merito agli episodi relativi a Creusa: la fine della giovane sposa sarebbe il perfetto simbolo della morte improvvisa e inaspettata, «metafora della peggiore disgrazia che possa abbattersi su una famiglia». 1 18 Secondo tale interpretazione, il defunto sarebbe strettamente collegato con Creusa, la cui tragica scomparsa richiamerebbe quella del destinatario della tomba, mentre Creonte personificherebbe la manifestazione del dolore dei genito­ ri e dei familiari. 1 1 9 1 1 4 I versi di Euripide e di Seneca delineano sì con estrema crudezza lo svolgersi degli eventi, ma il loro scopo era proprio quello di promuovere la partecipazione del pubblico che, come ben noto, veniva a conoscenza dei fatti solo tramite il racconto del nunzio e non per diretta osservazione. Cfr. BERGER-DOER 1 992, p. 1 26. 1 1 5 Cfr. FITISCHEN 1992, p. 1 056; ZANKER-EWALD (2004) 2008, pp. 82-83 . 1 1 6 Cfr. GESSERT 2004, pp. 240-246; BucHANAN 2012, in particolare p. 1 57. 1 1 7 ScHMIDT 1 967, p. 32. La studiosa non ha precisato il motivo della sua affermazione, come ha fatto notare FITISCHEN 1 992, pp. 1050- 1 05 1 . Ferma restando la parità di importanza delle scene rappresentate, a mio giudizio ha maggiore risalto visivo l'episodio della morte di Creusa, a causa della sua centralità all'interno della composizione. 1 1 8 ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 345. Così anche BERGER-DOER 1 992, p. 1 26. 1 1 9 L'accentuazione del patetismo è particolarmente evidente nel sarcofago di Basilea, dove sono rappresentati altri cinque personaggi dolenti oltre a Creonte. A ragione ZAN· KER-EWALD (2004) 2008, p. 347 hanno letto la scena come un'intensa «mobilitazione degli af-

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Per quanto riguarda la seconda parte del fregio, che raffigura il pro­ posito di Medea di uccidere i figli e la successiva partenza sul carro alato trainato da serpenti, 120 troppo spesso si è fatta passare sotto silenzio la pre­ senza dei bambini. Essi sono sempre rappresentati ai piedi della madre, in­ tenti a giocare, e compaiono anche nell'ultima scena: 121 uno di loro, ormai morto, è chiaramente visibile sulla spalla della madre, che lo regge con una mano per non farlo cadere; l'altro è situato all'interno del carro, ma è possibile scorgere una gambina che spunta fuori da esso. 122 Non è remota la possibilità che i due episodi si concentrino prevalentemente sui piccoli e sul loro crudele destino, così come avviene per la morte di Creusa. Tale lettura renderebbe unitario il significato del rilievo funebre: sia la giovane principessa come i bambini sono vittime incolpevoli di un destino avverso e ineluttabile, che va oltre ogni possibile azione umana. Chiarito il significato simbolico delle immagini, rimane infine da capire la ragione che spinse i committenti a scegliere il mito di Medea e Creusa come tema centrale dei sarcofagi, prodotti esclusivamente durante il II se­ colo d.C . 12 3 Buchanan ha giustamente fatto notare che i gesti delle scene del fregio (in particolare la morte di Creusa) richiamano alla mente gli atteggiamenti di una rappresentazione teatrale a causa della loro marcata enfasi. 124 Tale caratteristica rivela la concreta possibilità che gli artisti ab­ biano attinto il modello per le proprie creazioni dal teatro: infatti le vicen­ de di Medea erano ampiamente conosciute dai Romani e particolarmente apprezzate e utilizzate per gli allestimenti di spettacoli teatrali. 125 Oltre alla fetti». Meno giustificata l'ipotesi (ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 345) secondo cui i destinatari dei sarcofagi erano giovani fanciulle morte prematuramente: non esistono prove concrete al riguardo. Contra anche BucHANAN 2012, p. 1 56. 1 2o GESSERT 2004, pp. 23 1 -233 ha convincentemente evidenziato che il carro alato è spesso presente nelle scene che decorano i sarcofagi (ad esempio compare in quelli raffiguranti il mito di Endimione e il ratto di Proserpina): esso sarebbe lo strumento che permette il passaggio dal mondo terreno a quello ultraterreno. 1 2 1 Soltanto nel sarcofago conservato a Basilea i bambini sembrano allontanarsi dalla don­ na quasi spaventati: cfr. ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 348. Non concordo con GESSERT 2004, p. 235, quando afferma che l'episodio della fuga della maga è espressione di non meglio specifi­ cate credenze escatologiche del committente. Il fatto che solo sul sarcofago di Basilea compaia la figura di Tellus nel gesto della benedictio Latina non è una prova sufficiente per collegare la scena a presunti significati legati al culto di Sabazio, come sostenuto da GESSERT 2004, pp. 233· 235 e da GAGGADIS-ROBIN 1 994, pp. 1 83 - 1 84. TuRCAN 1 999, p. 43 ha giustamente confutato tale teoria. Cfr. anche BucHANAN 20 1 2 , pp. 1 59- 1 60, nota 40. 122 Cfr. GAGGADIS-ROBIN 1 994, p. 1 82. 1 23 Cfr. ZANKER-EWALD (2004) 2008, p. 344. 1 24 BucHANAN 20 1 2 , pp. 1 52- 1 53 . Cfr. anche GAGGADIS-ROBIN 1 994, p. 128. 1 2 5 Nell'esemplare conservato a Basilea compaiono maschere teatrali che ornano il trono su cui è seduta Creusa e il letto della scena centrale: BERGER-DOER 1 992, n. 1 1 e n. 22. Sui mo-

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tragedia senecana, il mito della maga della Colchide era alla base di nume­ rose opere drammaturgiche: essa era il soggetto di due drammi di Ennio (di cui sopravvivono solo pochi frammenti), uno dei quali, intitolato Medea exul, trattava proprio degli avvenimenti svoltisi a Corinto. 126 Significativa la testimonianza di Luciano, che conferma l'importanza riservata al mito di Medea nelle pantomime di epoca antonina, 12 7 periodo in cui furono realiz­ zati i sarcofagi in esame. Le rappresentazioni tombali rispecchiano quindi il gusto dell'epoca e in particolare l'apprezzamento per le vicende di Medea; probabilmente non a caso iconografie simili non vennero più utilizzate nell'arte funeraria romana dopo il regno di Commodo.

delli offerti da teatro e pantomime per le immagini sepolcrali cfr. in particolare TuRCAN 1 978, pp. 1 72 1 - 1 726; GAGGADIS-ROBIN 1 994, pp. 1 9 1 - 1 92. 1 26 ENN. FF 1 03- 1 1 6 jocelyn. Per maggiori dettagli sulle due tragedie cfr. jocELYN 1 969, pp. 342-350 e soprattutto ARCELLASCHI 1 990, pp. 44-99. Cfr. BoYLE 20 12, pp. 6-10, dove viene sottolineato come la tragedia divenne una tra le più celebri opere di Ennio durante la tarda Repubblica. Per gli altri drammi con protagonista Medea (tra cui quelli di Pacuvio e Accio) cfr. 80YLE 20 1 2 , pp. 1 0- 1 9 ; ARCELLASCHI 1 990, pp. 1 06- 1 6 1 (Pacuvio); pp. 1 63 - 1 95 (Aedo). Non va di­ menticata nemmeno un'importante tragedia di Ovidio con protagonista Medea, oggi perduta: sul tema cfr. ARCELLASCHI 1 990, pp. 247-267. 1 2 7 LuCIAN. De salt. 40. Cfr. BERGER-DOER 1 992, p. 127. DRACONT. Rom. X 1 6- 1 9 testimonia il successo dei drammi di Medea ancora nel V secolo d.C.

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LA NUMISMATICA TRA OCCIDENTE E ORIENTE

La numismatica antica è ricca di un alto numero di esemplari monetali in cui le capsule di papavero compaiono raffigurate sia come attributo di diverse divinità sia come simbolo a sé stante. 1 Bisogna però sottolineare come le iconografie tendano a ripetersi con frequenza e a standardizzarsi sempre più con l'avanzare dei secoli, tanto da giungere in età imperiale a veri e propri modelli fissi utilizzati per la realizzazione di particolari ico­ nografie. Ciò vale in linea di principio tanto per le emissioni coniate in Occidente quanto per quelle prodotte nelle province orientali dell'impero benché, come si avrà modo di osservare in seguito, questi territori godes­ sero di una specifica autonomia che si rifletteva in parte anche sulla mone­ tazione locale. 2 A essa erano riservate finalità e signifi cati diversi rispetto al corrispettivo occidentale, dove al contrario l'emissione di moneta era sotto il controllo dello stato. 3 È ormai consolidato il fatto che le singole poleis dell'Asia Minore potevano inserire sulle proprie monete elementi ca­ ratteristici del luogo o della città, divinità e simboli che avrebbero esaltato l'orgoglio cittadino, il proprio retaggio mitico-culturale e l'appartenenza alla comunità civica.4

l In alcuni casi il riconoscimento della pianta è reso particolarmente difficile dal cattivo stato di conservazione delle monete e dalle loro piccole dimensioni. 2 Cfr. WEISS 2005, pp. 58-67; HEUCHERT 2005, pp. 40-44. 3 A questo proposito cfr. in particolare RPC I, p. 43 e RPC Il, p. 3 3 . 4 Per u n approfondimento sull'argomento cfr. TRAVAINI-ARRI G ONI 20 1 3 , pp. 8-9; How­ GEGO 2005, in particolare pp. 5-7 (per quanto riguarda l'utilizzo del mito); WILLIAMSON 2005, pp. 25-26 (sul concetto di cittadinanza e identità); HARL 1 987, pp. 35-36.

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LA NUMISMATICA DI EPOCA REPUBBLICANA Sono pervenuti scarsi reperti relativi a questo periodo che tuttavia, per la particolarità delle iconografie raffigurate, pongono non pochi interroga­ tivi circa la loro corretta interpretazione. Il più antico esemplare è un dena­ rio (Fig. 30) coniato nel 127 a.C. da Quinto Fabio Massimo, sul cui diritto è rappresentata la testa di Roma cinta da un elmo alato e ornata da orecchini a tripla goccia; sul rovescio è raffigurata una cornucopia (contenente frutti e capsule di papavero), posta su un fascio di fulmini incrociati. 5 Il bordo è ornato da una ghirlanda di spighe e da quelli che Michael Crawford ha interpretato come non meglio specificati frutti, mentre Gian Guido Bello­ ni ha preferito considerarli capsule di papavero. 6 La scarsa leggibilità della moneta non aiuta certo a dirimere la questione, tuttavia considero prefe­ ribile il riconoscimento proposto da Belloni rispetto a quello avanzato dal numismatico britannico, poiché in alcuni esemplari è possibile scorgere la caratteristica forma panciuta della capsula con la coroncina terminale. La presenza del papavero si adatta perfettamente al contesto figurativo del­ la moneta, essendo il complemento iconografico tradizionale delle spighe che formano la corona vegetale del bordo, mentre l'associazione di frutti con spighe è decisamente meno documentata. L'inserimento del papavero tanto nella ghirlanda quanto nella cornucopia si presta a rafforzare il mes­ saggio di abbondanza e prosperità veicolato dal contesto. La raffigurazione di Roma sul diritto è quella tradizionale della monetazione repubblicana, mentre appare più difficile interpretare l'associazione tra la cornucopia e il fascio di fulmini, che come noto è il segno distintivo di Giove, di cui sim­ boleggia il potere.7 Un denario coniato nel 69 a.C. da Marco Pletorio Cestiano raffigura sul diritto il busto di un personaggio femminile drappeggiato e ornato da una collana, tra i cui capelli raccolti sono poste capsule di papavero; sul ro­ vescio è rappresentato un caduceo.8 Un'iconografia del tutto simile si ritro­ va su un denario coniato nel 68 a . C . , sul cui verso sono invece raffigurate una oinochoe e una fiaccola accesa. 9 La figura femminile è stata interpretata s

CRAWFORD 1974, n. 265 / 1 ; BMC Rep I, n. 1 1 5 7; BELLONI 1 960, n. 555.

6 Frutti: CRAWFORD 1 974, n. 265 / 1 . Papavero: BELLONI 1 960, n. 555. Cfr. anche GUILLAU­

ME-COJRIER 200 1 , p. 1 028. 7 Infondata l'ipotesi di GUILLAUME-COJRIER 200 1 , p. 1 028, che ha considerato la cornuco­ pia un'allusione al ritorno dell'età dell'oro. 8 CRAWFORD 1 974, nn . 405 / 3 a-b. 9 CRAWFORD 1 974, nn . 405 / 4a-b. Benché dalle immagini a mia disposizione la presenza

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IL PAPAVERO NELLA NUMISMATICA E NELLA GLITTICA PRIVATA

da Michael Crawford come Proserpina e l'intera raffigurazione è stata da lui connessa con un culto cui il monetiere era legato. 10 L'iconografia di en­ trambi i denari potrebbe trovare un precedente in una serie di tetradram­ mi (4 13-409 a.C.) coniati a Siracusa, sul cui diritto compare il capo di una giovane donna ornato da un serto di capsule di papavero, spighe e foglie di quercia. 1 1 Secondo Giulio Emanuele Rizzo, la fanciulla sarebbe Kore l Persefone a causa degli attributi vegetali che la caratterizzano, mentre Pe­ ter Frank.e e Max Hirmer la hanno considerata una rappresentazione di Artemide-Arethusa; 12 tuttavia, a mio giudizio il riconoscimento della figu­ ra tanto nelle monete romane quanto in quelle siracusane non può essere stabilito con sicurezza. Gli elementi che compongono la ghirlanda non sono caratteristici di Kore l Persefone (che raramente è ritratta con capsule di papavero), quanto più della madre Demetra. Il fatto che il volto del per­ sonaggio sia giovane non può essere una discriminante, dal momento che la dea delle messi non viene mai raffigurata anziana. In sostanza, è mol­ to difficile decretare l'identità in mancanza di dati concreti: se da un lato non può essere escluso a priori che si tratti di Kore / Proserpina, dall'altro gli attributi presenti sembrano suggerire l'identificazione con Demetra / Cerere. 1 3 Un denario, anch'esso coniato da Marco Pletorio Cestiano e databile al 67 a.C . , raffigura sul diritto un busto femminile drappeggiato, recante sul capo una corona d'alloro e un elmo crestato, da cui fuoriescono nella parte anteriore una serie di elementi: corna bovine che racchiudono il sole (il simbolo di Iside), uno stelo di difficile identificazione (fiore di loto, spi­ ga?) e quella che è stata interpretata come una capsula di papavero; dietro le spalle compaiono le ali, un arco e una faretra. Sul verso è rappresentata un'aquila ad ali spiegate che tiene tra gli artigli un fulmine. 1 4 Prima di esa­ minare l'iconografia monetale nella sua complessità, bisogna sottolineare come la presenza della capsula di papavero sul capo del personaggio non sia affatto sicura: dall'esame degli esemplari a disposizione è pressoché imdelle capsule di papavero non sembri affatto sicura, esse sono state riconosciute come tali dal numismatico britannico e in questa sede si è deciso di affidarsi al suo autorevole giudizio. IO

CRAWFORD 1 974, p. 4 1 8 . 1 1 CACCAMO CALTABIANO 2008, p. 1 24. 12 Kore: Rizzo ( 1 946) 1 968, p. 205 , nn . 1 1 - 12; così già BMC Sicily, p. 1 7 1 , n. 1 73 . Artemi­ de-Arethusa: FRANKE-HIRMER 1 964, p. 5 1 . 1 3 Per quanto riguarda l'identità del personaggio della moneta siracusana, va sottolineato che sono noti collegamenti anche tra la quercia e Demetra: cfr. Ov. Met. VIII 74 1 -779; PAus. VIII 42, 1 2 ; VIII 54, 5 . 1 4 CRAWFORD 1 974, n. 409 / 1 ; BELLONI 1 960, n. 1 673 ; B M C Rep I, n. 3596.

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possibile stabilire con certezza la natura dell'oggetto che spunta dall'el­ mo. 1 5 L'identificazione della figura femminile risulta parimenti problema­ tica: alcuni studiosi hanno supposto che si tratti di Vacuna, antichissima divinità sabina che aveva un santuario presso la villa di Orazio a Licenza, vicino a Roma. 16 Questa tesi sembra sostenuta dalla presenza di segni di­ stintivi delle divinità cui Vacuna veniva associata: l'arco e la faretra riman­ derebbero a Diana, l'elmo a Bellona e Minerva, le ali a Vittoria e il presunto papavero forse a Cerere. 17 Tuttavia, tale interpretazione è stata giustamen­ te confutata da Crawford, a causa della mancanza di indizi documentari che possano sostenerne l'identificazione; inoltre la presenza del simbolo caratteristico di Iside non è affatto pertinente con Vacuna, mai identificata con la dea egizia. 18 Lo studioso, concordando con Andreas Alfoldi, 1 9 vi ha riconosciuto Iside stessa, a causa soprattutto della presenza dell'aquila con il fulmine, che richiamerebbe l'iconografia monetale tolemaica. 20 Se da un lato tale ipotesi sembra confortata da un passo di Apuleio (Il d.C.), il quale affer­ ma che Iside veniva identificata, tra le altre, anche con Minerva, Cerere e Diana, 21 dall'altro l'informazione non può essere considerata valida per il periodo in cui la moneta fu emessa, cioè quasi due secoli prima. Mi doman­ do inoltre come sia giustificabile una raffigurazione tanto inconsueta della dea egizia in contesto pubblico, dal momento che all'epoca il culto di Iside non era ufficialmente riconosciuto dallo stato romano. Ne consegue che l'ipotesi di Crawford si regge su basi assai fragili e non risulta al momento convincente, tanto quanto la precedente identificazione con la dea sabina Vacuna. La soluzione dell'enigma circa l'identità della figura è al momento ben lontana, poiché mancano completamente dati oggettivi (ad esempio 1 5 Per questo motivo, alcuni studiosi hanno preferito non menzionare la pianta tra gli attributi che caratterizzano il personaggio: cfr. CRAWFORD 1 974, n. 409 l l . BELWNI 1 960, n. 1 673 e BMC Rep l, n. 3 596 hanno invece inserito la capsula di papavero nella loro descrizione. 1 6 HoR.

Epist. I 1 0, 49. Cfr. BABEWN 1 886, p. 3 1 2, n. 4; BELWNI 1 960, n. 1 673 ; BMC Rep l,

n. 3596. 1 7 Ps. AcRo Epist. I 10, 49: Vacunam alii Cererem, alii deam vacationis dicunt, alii Victoriam, quafavente curis vacamus [. . .] Vacunam apud Sabinos plurimum cultam quidam Minervam, alii Dian­ am putaverunt, nonnulli etiam Venerem esse dixerunt; PoMP. PoRPH. Epist. I 1 0, 49: Vacuna in Sabinis dea, quae sub incerta specie est formata. Hanc quidam Bellonam, alii Minervam, alii Dianam dicunt.

L'associazione del papavero con Cerere è certa in età imperiale, non altrettanto in età repub­ blicana ma, non essendo pervenute le statue cultuali della dea, non si può escludere che tale associazione fosse già presente. 1 8 CRAWFORD 1 974, p. 43 7. 1 9 ALFOLDI 1 954, pp. 30-3 1 . 20 Cfr. a titolo esemplificativo WEISER 1 995, n . 60. 2 1 APuL.

Asin. aur. XI 5. -

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IL PAPAV E RO NELLA NUMIS MATICA E NELLA G LITTICA PRIVATA

raffigurazioni certe di Vacuna) che possano aiutare a dirimere la questione. La standardizzazione dei ritratti femminili monetali repubblicani complica ulteriormente le cose e la mancanza di un'iscrizione chiarificatrice non ren­ de possibile una presa di posizione sicura. È quindi opportuno limitarsi a constatare come l'immagine debba essere ricondotta a una dea che poteva associare a sé diversi attributi (tra cui forse il papavero), comuni general­ mente a più divinità. Merita infine menzione un denario coniato nel 43 a.C. da Publio Acco­ leio Lariscolo, sul cui diritto è raffigurato un busto femminile drappeggia­ to, con i capelli acconciati in una doppia treccia raccolta intorno al capo. Sul rovescio sono rappresentate tre figure femminili stanti frontalmente, mentre sullo sfondo spuntano cinque alberi; il personaggio di destra tie­ ne nella mano un vegetale di difficile riconoscimento, quella di sinistra un arco.22 Il primo a formulare un'ipotesi interpretativa in merito a que­ sta moneta fu Pirro Ligorio, illustre artista e letterato cinquecentesco, il quale riconobbe l'immagine di Venere sul diritto e quella delle Grazie sul rovescio, 23 teoria oggi decisamente superata e non più accettabile. Più re­ centemente Giovanni Pansa ha sostenuto che il personaggio sul diritto sia Acca Larentia, eroina romana connessa a Ercole e alle vicende di Romolo e Remo, ritenuta anche madre dei Lari e dalla quale, secondo lo studioso, deriverebbe il nome della gens Accoleia. 24 Le figure sul verso si riferirebbero invece alle Nymphae Querquetulanae, divinità femminili legate alle querce e preposte alla guardia del bosco, sacro ai Lares Querquetulani. 25 Questa tesi è stata giustamente confutata da Andreas Alfòldi, in quanto le piante raf­ figurate dietro le tre figure sono chiaramente cipressi, alberi strettamente connessi a Diana.2 6 Sulla base di queste considerazioni, Alfòldi ha identi­ ficato la raffigurazione sul diritto della moneta come Diana Nemorensis, divinità venerata ad Ariccia dove si trovava un bosco a lei sacro, nel quale è stata ritrovata un'iscrizione dedicatoria consacratale dalla gens Accole­ ia. 27 È noto dalle molte fonti antiche pervenute che Diana, in particolare la Nemorensis, era considerata a Roma una divinità triforme e prendeva 22 CRAWFORD 1 974, n. 486 / l . 23 PIRRO LIGORIO XXX

libri delle antichità, XX 1 57. Rom. 4-5 . Secondo ARIAs 1 98 1 , p. 10, il pre­ nome Acca, dalla radice Akka, ha il signifi cato di madre e per tale ragione Acca Larentia può 24 PANSA 1 9 1 0, p. 473. Romolo e Remo: PLUT.

essere considerata madre o progenitrice dei Lari. 2 5 PANSA 1 9 1 0, pp. 474-475 . Per le Nym.phae cfr. FBST. s. v. Querquetulanae virae, p. 3 1 4 Lind­ say; VARRo De !ing. LAt. V 49. 26 Cfr. VBRG.

Aen. III 679-68 1 .

2 7 CIL XIV, n . 22 1 3 .

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l'epiteto di Trivia: la dea era infatti cacciatrice, divinità della luna e da ultimo era identificata con Ecate. 28 Secondo Alfoldi, la moneta in questio­ ne riprodurrebbe l'arcaica statua cultuale della dea situata nel bosco a lei sacro, a dimostrazione dell'esistenza di tale simulacro ancora nel 43 a .C., anno di coniazione del denario. 29 L e figure sul verso altro non sarebbero quindi che i tre aspetti della dea: quella di sinistra con l'arco sarebbe Dia­ na cacciatrice, quella al centro Ecate, quella a destra che regge l' elemen­ to vegetale Selene.3 0 A giudizio dello studioso ungherese, che ha accolto le descrizioni dei cataloghi monetali, quest'ultima divinità terrebbe nella mano un papavero. Personalmente ritengo tale identificazione piuttosto dubbia, in quanto la raffigurazione della pianta non risulta compatibile con le sue caratteristiche. Peraltro il fiore strettamente legato a Selene non è il papavero, bensì la peonia, come testimonia un passo di Dioscoride nel quale si afferma che i profeti chiamavano questa pianta m:À.TJV6yovoç, «nata da Selene».31 L'interpretazione dell'oggetto sorretto dalla presunta dea della luna è comunque decisamente complessa: a un'attenta analisi, esso sembra somigliare al fiore di una liliacea a causa del caratteristico ca­ lice con petali 'a campana' , ma non si può escludere che si tratti di un'altra varietà floreale. Allo stato attuale delle conoscenze, si può solo constatare con buona certezza che non si tratta di un papavero; di conseguenza l'in­ terpretazione avanzata da Alfoldi, che pure possiede alcuni elementi a suo sostegno, non può essere al momento considerata del tutto soddisfacente, poiché rimane ancora inspiegata la relazione tra l'elemento vegetale e la presunta Selene. LA NUMISMATICA DI EPOCA IMPERIALE: CERERE E L ' APPROVVIGIONAMENTO ALIMENTARE

Durante l'età repubblicana non si hanno testimonianze dell' associazio­ ne tra il papavero e Cerere in ambito numismatico, in maniera non dissimi­ le da quanto accade per gli altri manufatti artistici (statue, gemme ecc.) che attestano la pianta come attributo consueto della dea prevalentemente in epoca imperiale. Tuttavia, desta un certo stupore la mancanza di immagini 2s VERG. Aen. IV 5 1 1 ; VI 35 e 69; VII 5 1 6; X 537; HoR. Carm. III 22, 1 ·4; CATULL. XXXIV 1 5 ; MARTIAL. I X 64, 3 ; STAT. Silv. III l , 5 5 . 2 9 ALFOLDI 1 960, p. 1 4 1 . 3 0 ALFDLDI 1 960, p. 1 42. Concorda CRAWFORD 1 974, p. 497. 3 1 DIOSC. III 1 40.

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monetali (coniate nelle zecche occidentali) che contemplino la presenza del papavero durante il regno di Augusto il quale, come già ampiamen­ te osservato, fu tra i primi a far raffigurare le capsule su un monumento pubblico di grande importanza politico-propagandistica come l'Ara Pacis. 32 Tale 'silenzio iconografico' perdura ininterrottamente durante il regno di Tiberio e quello di Caligola, malgrado la quantità di gemme e busti in cui compare il papavero prodotta in quest'epoca sia rilevante. Bisognerà at­ tendere l'ascesa al soglio imperiale di Claudio per trovare la prima rappre­ sentazione della capsula nelle emissioni del principato. Si tratta di un du­ pondio coniato nel 42 d.C . (quindi poco dopo la presa del potere da parte del nuovo imperatore) in cui al busto radiato di un personaggio maschile sul diritto corrisponde sul rovescio una figura femminile panneggiata e se­ duta su un trono; con la mano sinistra essa regge una lunga fiaccola o uno scettro, mentre con la destra alzata tiene un mazzo di spighe e papaveri. 33 Le iscrizioni poste sulle due facce della moneta, rispettivamente mvvs AVGV­ STVS e DIVA AVG VSTA , attestano con certezza l'identità dei personaggi: si tratta infatti di Augusto divinizzato e di sua moglie Livia, anch'essa divinizzata proprio nel 42 d.C . per volere di Claudio.34 In questo caso l'imperatrice non compare nelle sue effettive fattezze, ma viene raffigurata nelle sem­ bianze di Cerere, cui ella stessa associò la propria immagine.35 Per quan­ to riguarda l'analisi della moneta, da me già ampiamente trattata in altra sede, basti qui sottolineare che il presente esemplare costituisce la prima rappresentazione numismatica occidentale in cui Cerere (benché nella sua effigie si celi Livia) tiene in mano capsule di papavero insieme alle caratte­ ristiche spighe. 3 6 L'esemplare però non è in assoluto il primo del suo genere: infatti già nel 2 a.C. a Tralles (che, dopo il violento terremoto del 27 a.C., venne im­ mediatamente riedificata per volere di Augusto, prendendo così il nome di Cesarea) fu coniata una serie monetale del tutto simile a quella emessa da Claudio circa mezzo secolo dopo. Si tratta di monete di bronzo sul cui diritto è raffigurata la testa di Augusto, mentre sul rovescio compare Livia 3 2 Cfr.

supra, pp. 207·208.

33 RIC I', p. 128, n. 1 0 1 ; GIARD 1 988, p. 1 07, n. 256 (cui si deve il riconoscimento del

papavero). 34 SVET. Claud. 1 1 ; Dio CASs. LX 5, 2. Gli Actafratrum arvalium testimoniano che il 1 7 gen· naio (anniversario del matrimonio tra Ottaviano e Livia, celebrato nel 3 8 a.C.) venivano offerti sacrifici alla coppia divina: cfr. ScHEID·TASSINI·RiiPKE 1 998, p. 48. 35 Sul tema cfr.

supra, pp. 23 7-238 e 242·245 .

3 6 Sui motivi politici che indussero Claudio a far coniare una simile immagine cfr. FABBRI

20 1 1 , in particolare pp. 1 75 - 1 80.

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nei panni di Demetra, in questo caso stante ma con spighe nella mano sini­ stra e una capsula di papavero nella destra alzata.37 L'identità della figura è confermata incontrovertibilmente dall'iscrizione, che recita KAIEAPEQN A (E)I­ BIA , ma non per questo si deve ritenere la moneta di Tralles un diretto mo­ dello per il dupondio coniato da Claudio. Certamente esso costituisce un precedente, ma è difficile pensare che un esemplare provinciale, peraltro emesso in un territorio molto lontano da Roma, abbia potuto costituire il prototipo di riferimento per le successive iconografie romane. 38 Mi pare più corretto evidenziare come la moneta testimoni il conferimento di ono­ ri divini o semidivini a Livia nelle province orientali già nel 2 a.C., assimi­ landola non casualmente a Demetra. Tornando ora alla monetazione romana occidentale, a partire dal re­ gno di Nerone l'iconografia di Cerere viene caratterizzata con buona fre­ quenza dalla presenza di una o più capsule di papavero in associazione alle spighe. Il successore di Claudio fece coniare una serie di aurei (databili tra il 60 e il 63 d.C.) in cui sul rovescio compare la figura della dea stante, drappeggiata (in un caso velata), che regge nella destra due spighe e un papavero, mentre nella sinistra una lunga fiaccola (Fig. 3 1 ).39 Simili imma­ gini (con alcune lievi differenze) compaiono nelle serie monetali romane sino all'età antonina: ne sono conferma un'asse coniato da Galba, monete d'oro, d'argento e di bronzo emesse da Vespasiano, da Tito, da Adriano e da Marco Aurelio. 40 La frequente raffigurazione di Cerere nella monetazione imperiale è giustificata dall'assodata importanza, con relativi risvolti politico-propa­ gandistici, che la dea riveste durante i primi due secoli dell'impero: 4 1 la sua principale funzione è senza dubbio quella di protettrice delle messi e di garante del raccolto, ruolo che la rendeva preposta al benessere alimentare 3 7 RPC I, n. 2647. Esistono altri esemplari pressoché identici alla moneta in esame, con l'unica differenza che sul diritto è ritratta l'effigie di Gaio Cesare : RPC I, n. 2648. 3 8 La connessione tra papavero e Demetra nel mondo greco è ben attestata in campo letterario e soprattutto iconografico già secoli prima dell'emissione del bronzo e dunque il possibile modello per entrambe le immagini deve essere ricercato in opere d'arte precedenti e di più ampia fama. 39 RIC I', p. 1 5 1 , n. 23; p. 1 52, nn. 29; 3 5 . 40 Galba: RIC I ' , p . 246, n. 292. Vespasiano: RIC II', p . 7 7 , n. 260; p . 1 2 8 , nn. 967; 969; p. 1 29, nn. 973 ; 975; p. 1 3 5 , n. 1061 (aurei); p. 128, nn. 968; 970; p. 129, nn. 974; 976; p. 1 3 5 , nn. 1 062- 1 063 (denari); p. 1 3 1 , nn. 998- 1 000; pp. 1 3 2- 1 33 , nn. 1 025- 1 027; p. 1 34, nn. 1 044; 1 05 1 ; p. 1 3 7, nn . 1 092; 1 096; p. 1 3 8 , n . 1 1 00 (dupondi e assi). Tito: RI C II', p. 200, n . 2 1 ; p. 205 , n . 90; p. 20 1 , n. 3 9 (aurei); p. 1 99, nn. 3; 6; p. 200, nn. 22-23 ; p. 20 1 , nn. 40-41 (denari). Adriano: RIC II, p. 400, n. 486; p. 3 88, nn. 409; 4 1 1 (denari). Marco Aurelio: RIC III, p. 344, n. 1 623 . 4 1 Cfr. SPAETH 1 996, pp. 47-48 e pp. 1 1 9- 1 23 (con esclusione dei continui accenni alla ferti­ lità). Per il caso di Livia cfr. FABBRI 2009, pp. 327-3 3 3 .

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IL PAPAVERO NELLA N U M I S MATICA E NELLA GLITTICA PRIVATA

di Roma e dell'impero in generale. Provvedere all'alimentazione di una metropoli come Roma (si ricorda che sotto Augusto la popolazione si ag­ girava intorno al milione di abitanti) era un'impresa ardua.42 Sin dall'epoca repubblicana, a Roma il problema alimentare fu sempre tra le principali preoccupazioni dello stato: per sfamare il popolo, il Senato diede avvio a distribuzioni gratuite o a basso prezzo (le frumentationes) di beni di prima necessità, in particolare di frumento.43 Non di rado l'approvvigionamento e la distribuzione di cibo vennero utilizzati dai magistrati come mezzo per aumentare il proprio prestigio agli occhi della plebe che, grata per le misu­ re intraprese a suo favore, avrebbe di conseguenza favorito la loro ascesa nella res publica. 44 Durante l'epoca imperiale, l'approvvigionamento alimentare fu cen­ trale nella politica dei vari imperatori: 45 in primo luogo Augusto riformò l'istituto dell'annona, affiancando agli aediles ceriales (o cereales) di epoca cesariana la nuova carica dei praefecti frumenti dandi. 4 6 Tale assetto rimase inalterato durante il regno dei due imperatori successivi; fu solo a partire dal principato di Claudio che le spese per gli approvvigionamenti alimenta­ ri passarono gradualmente dalla cassa statale (l' aerarium) a quella imperiale (il jiscus), facendo ricadere ufficialmente la responsabilità dei rifornimenti sull'imperatore, che si sarebbe fatto garante in prima persona delle distri­ buzioni di grano alla plebe, con le conseguenti implicazioni a livello politi­ co. 47 Lo stesso Claudio intraprese nuove misure per favorire l' approvvigio42 I cereali erano senza dubbio il primo genere di consumo, ma la dieta dei Romani era piuttosto varia e comprendeva l'utilizz o di olio, vino, carne, legumi e formaggi: cfr. VIRLOUVET 2000, pp. 1 05- 1 06. Sul fabbisogno necessario per sfamare Roma cfr. VIRLOUVET 2000, pp. 1 051 07; PAVIS o'EscuRAc 1 976, pp. 1 66- 1 75 . 4 3 Per l a centralità del problema alimentare a Roma e in generale nel mondo antico cfr. FRÉZOULS 1 99 1 , pp. 1 -4. 44 Per l'approfondimento delle problematiche alimentari in età repubblicana cfr. VIRLOU­ VET 2000, pp. 1 09- 1 12; RICKMAN 1 980, pp. 26-54; VAN 8ERCHEM 1 939, pp. 1 5-3 1 . 45 Ciò è confermato anche da TAc. Ann. III 4-5 : s e le scorte di cibo provenienti dalle pro­ vince fossero risultate insufficienti, l'imperatore doveva farsi carico del problema; in caso con­ trario lo stato sarebbe caduto in rovina. 46 Il prefectus annonae aveva il compito di supervisionare il trasporto e provvedere all'im­ magazzinamento delle derrate alimentari provenienti dalle province dell'impero, ma non ave­ va alcun ruolo nell'organizzazione delle frumentationes. L'imperatore non gestiva in prima per­ sona l'istituto dell'annona, ma delegava il suo potere al praefectus annonae; RlcKMAN 1 980, p. 92 ha acutamente osservato che: «if there was success, the Emperor took the credit; if there was failure, the praefectus might receive the blame». Sulla riforma augustea cfr. VIRLOUVET 2000, pp. 1 1 2-1 1 5 ; RICKMAN 1 980, pp. 60-66; PAVIS o'ESCURAC 1 976, pp. 2 1 -32; VAN BERCHEM 1 939, pp. 67-7 1 . Cfr. SVET. Aug. 41; DIO CASS. LV 26, 3 , oltre alle maligne (ma probabilmente fondate) insinuazioni di TAc. Ann. I 2, l . 47 Di questo avviso MOMIGLIANO 1 9 6 1 2, pp. 49-50; VAN BERCHEM 1 939, pp. 7 1 -74. Questa

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namento delle derrate a Roma, ampliando il porto di Ostia ed edificando numerosi silos (horrea) per lo stoccaggio del grano.48 Non è quindi un caso che il popolo considerasse rimperatore il garante della prosperità e dell'abbondanza di cibo, tanto che nell'opinione comune la sua assenza da Roma era considerata causa di possibili carestie.49 La storia romana riporta alcuni esempi che aiutano a comprendere la vastità della portata del fenomeno: durante una grave carestia scoppiata nel 22 a.C . , la popolazione individuò le ragioni della sciagura nella mancata assegnazione del consolato ad Augusto, costringendo i senatori a concedere al sovrano la dittatura e l'amministrazione straordinaria dell'annona, con la minaccia di incendiare la Curia se ciò non fosse accaduto. 5° Augusto rifiutò la dittatura, ma si fece carico del rifornimento alimentare, assumendosi in prima perso­ na le spese e scongiurando così la fame. 5 1 Nel 19 d.C. Tiberio dovette rende­ re conto dell'eccessivo costo dei beni alimentari e dispose di fissare un basso prezzo del grano, garantendo ai venditori un indennizzo pari a due sesterzi a modio.52 Anche Claudio, sebbene particolarmente attento al problema ali­ mentare, venne ritenuto responsabile dal popolo della scarsità di cibo che afflisse Roma nel 5 1 d.C . : il principe venne insultato nel Foro dalla folla, che non mancò nemmeno di gettargli addosso tozzi di pane.53 Per ovviare alla crisi, Claudio intraprese misure atte ad assicurare il vitto anche durante rin­ verno, stagione in cui le navi non prendevano il largo per consegnare i cari­ chi di grano a Roma a causa del frequente maltempo: garantì agli equipaggi un guadagno certo, accollandosi le eventuali perdite dovute a tempeste, e di­ spose la distribuzione di premi speciali per gli armatori delle navi da carico. 54 Persino Nerone dovette rinunciare a un auspicato viaggio in Oriente perché i cittadini erano scontenti e rattristati dalla notizia della sua imminente parteoria è stata ridimensionata per la mancanza di prove concrete che attestino il passaggio delle spese annonarie dall 'aerarium al jìscus: cfr. LEVICK ( 1 990) 1 993 , p. 84 e in particolare R!CKMAN 1 980, p. 77. Si è quindi preferito ipotizzare un graduale aumento delle responsabilità del princi­ pe, senza che il potere del Senato fosse bruscamente esautorato: Cfr. R!CKMAN 1 980, pp. 77-78. 48 Cfr. VIRLOUVET 2000, p. 109; LEVICK ( 1 990) 1 993 , p. 1 1 0; VAN BERCHEM 1 939, p. 82. I lavo­ ri del porto di Ostia furono continuati da Nerone, mentre Traiano ne fece costruire uno nuovo e migliore nella stessa città: cfr. VAN BERCHEM 1 939, p. 82. 49 Cfr. VIRLOUVET 2000, p. 1 1 3 ; VAN BERCHEM 1 939, p. 83. 5 o Dio CAss. LIV 1, 2-3 . Con l'assunzione della cura annonae Augusto provvide anche a riformarla: cfr. Dio CASS. LIV 1 7, l ; LV 3 1 , 4; SVET. Aug. 3 7 5 1 AuG.

Res gest. 5 ; D I O CAss. LIV l , 4-5. Ann. II 87. n TAC. Ann. XII 43, l; SVET. Claud. 1 8, 2. S VET. Claud. 18, l testimonia la cura dell'impe­ ratore per l'approvvigionamento (Urbis annonaeque curam sollicitissime semper egit). Cfr. anche 5 2 TAc.

LEVICK ( 1 990) 1 993 , p. 1 09. 54 SVET.

Claud. 18, 2; GAius Inst. I 32c; ULPIAN. 3 , 6. -

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IL PAPAVERO NELLA N U M I S MATICA E NELLA GLITTICA PRIVATA

tenza: essi infatti temevano che l'assenza del principe avrebbe comportato la sospensione delle distribuzioni di grano. 55 A ragione Catherine Vrrlouvet ha potuto affermare che «la preoccupazione dell'approvvigionamento rientra in prima linea nel ritratto convenzionale del buon imperatore» e addirittura che «a Roma cattivo principe fa rima con affamatore». 56 I fatti appena riportati esemplificano bene l'attenzione riposta dagli im­ peratori alla politica frumentaria; a questo scopo furono probabilmente uti­ lizzate le iconografie monetali rappresentanti Cerere con papavero. Infatti, come la dea era la garante divina della prosperità dei raccolti e vegliava sul benessere del popolo, così l'imperatore si configurava come il suo corri­ spettivo terreno, svolgendo il ruolo di colui che assicura cibo ai suoi sudditi: l'associazione della sua immagine con quella della dea in ambito nurnisma­ tico era quindi volta a veicolare chiaramente tale messaggio.57 Per questo motivo non è raro imbattersi in iscrizioni che aggiungono al nome della dea l'epiteto di Augusta, che mette in evidenza gli stretti legami con il principe. 5 8 Il tipo di funzione svolta da Cerere appare particolarmente evidente su alcuni denari coniati durante il regno di Adriano: in questi casi la dea è raf­ figurata sopra una cista, probabile riferimento alla cista mystica eleusina. 59 Il papavero e le spighe compaiono non solo nella sua mano destra, ma anche all'interno di un modio posto davanti a lei: anche se il contesto iconogra­ fico mostra una Cerere 'eleusina', il suo ruolo di garante del benessere e della prosperità non viene meno. Ovviamente la monetazione raffigurante Cerere è molto più abbondante rispetto a quella qui riportata, che prende in considerazione solo le rappresentazioni con papavero; tuttavia, la realiz­ zazione di esemplari in cui alle spighe si aggiungono le capsule della pianta sono un testimonianza piuttosto chiara del rafforzamento della simbologia di abbondanza espressa dall'immagine. 60 55 TAc. Ann. XV 36, 1 -4 mette in evidenza come l'interruzione delle frumentationes era ritenuta la principale preoccupazione (quae praecipua cura est). 5 6 VIRLOUVET 2000, p. 1 1 6. 57 Cfr. anche PENNESTRi 1 989, pp. 299-300. 5 8 L'epiteto compare durante il regno di Claudio (cfr. RIC F, p. 1 27, n. 94), ma solo con Gaiba esso viene associato a una rappresentazione in cui Cerere regge il papavero: RIC F, p. 246, n. 292. Altri esemplari coniati sotto Vespasiano (RIC II', p. 77, nn. 260-26 1 ; p. 128, nn. 967-970; p. 1 29, nn. 973-976; p. 1 3 1 , nn. 998; 1 000; pp. 132- 1 33 , nn. 1 025- 1 027; p. 134, nn. 1 044; 1 05 1 ; p. 1 3 7 , nn. 1 092; 1 096; p. 1 3 8 , n. 1 1 00) e Tito (RIC II', p. 1 99, n. 3; p. 205, n. 90). Il signifi­ cato della connessione tra Cerere e l'imperatore è già stato rilevato da SPAETH 1 996, p. 26; DE ANGELI 1 988, p. 907; RicKMAN 1 980, p. 257 e pp. 260-26 1 . 59 RI C II, p. 388, nn. 409; 4 1 1 . 60 In una serie di aurei coniati da Otone nel 69 d.C. (RIC F , p. 26 1 , n . 20), agli attributi di

Cerere si aggiunge la cornucopia.

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SEZIONE I I - IL PAPAV E RO NELL' I C O N O G RAFIA ROMANA

Oltre alle monete con iconografia 'cereale' , ne esistono numerose altre che possono essere messe in diretta connessione con l'approvvigionamento alimentare e le frumentationes. A partire dal regno di Vespasiano si assiste all'emissione di esemplari sul cui rovescio è raffigurato un contenitore cilin­ drico (modius) da cui fuoriescono sette spighe e due capsule di papavero. 61 Il modio era l'unità di misura utilizzata per distribuire il grano ed è dunque facile il collegamento tra l'immagine e le elargizioni frumentarie gratuite o a prezzo ribassato. In ogni caso il tipo iconografico vuole mettere in risalto l'opera del principe, che assicura cibo al suo popolo: la presenza di spighe e papaveri ne è la concreta conferma. Durante il principato di Adriano, e in seguito sotto Antonino Pio e Marco Aurelio, 62 il significato alla base della rappresentazione viene ulteriormente reso esplicito dall'aggiunta dell'iscri­ zione ANNONA AVG sul rovescio delle monete. 63 Altrettanto chiaro è il messag­ gio veicolato da alcune monete coniate durante il regno di Nerva (Fig. 32), dove al modio contenente spighe e papaveri corrisponde l'iscrizione PLEBEI VRBANAE FRVMENTO coNSTITVTO : l'iconografia scelta per accompagnare l' iscrizio­ ne doveva apparire immediatamente comprensibile alla popolazione. 64 Il modio con spighe e papaveri ritorna in immagini monetali più com­ plesse: è questo il caso di una serie di esemplari emessi da Adriano e da Marco Aurelio, sul cui diritto è effigiato il ritratto dell'imperatore con coro­ na d'alloro. Il rovescio mostra una figura femminile stante, drappeggiata, che tiene alcune spighe con una mano mentre con l'altra sorregge una cor­ nucopia; ai suoi lati si distinguono a sinistra un modio con spighe e papave­ ri, a destra una prora di nave (Fig. 33). 6 5 Il personaggio è stato riconosciuto come la personificazione dell'annona, come conferma l'iscrizione ANNONA AVG posta sul rovescio delle monete. 66 Gli attributi a lei connessi sono fina6 1 RIC IF, p. 129, n. 980. Monete simili furono coniate da Nerva (RIC Il, p. 230, nn 1 1 01 1 1 ) e da Antonino Pio (RIC III, p. 30, n. 40; p. 3 1 , n. 44; p. 1 1 8, n. 7 1 3 ) . .

6 2 Sull'esempio di Traiano (cfr. PuN. MIN. Paneg. 26-28; Lo CAscio 2000, pp. 265-283 ; BEN­ NE1T 1 997, pp. 2 1 0-2 1 1 ; RICKMAN 1 980, p. 1 89), i due imperatori istituirono gruppi di giovani (maschi, ma anche femmine) cui doveva essere assicurato un quantitativo prestabilito di ali­ menti in occasioni particolari: HisT. AuG. Ant. Pius 8, l ; HIST. AuG. Mare. Aure!. 7, 8; 26, 6. 63 RIC II, p. 367, n. 230 (Adriano); RIC III, p. 3 3 , n. 62 (Antonino Pio); RIC III, p. 302, n. 1 122 (Marco Aurelio). 64 RIC Il, p. 229, n. 89; p. 230, n. 103. Cfr. GUILLAUME-COIRIER 200 1 , pp. 1 032- 1 03 3 ; SPAETH 1 996, p. 29 ha anche ipotizzato che queste monete alludessero al legarne tra la plebe e Cerere, tesi un po' forzata, dal momento che l'imperatore aveva tutto l'interesse nel celebrare la pro­ pria munificenza in ambito alimentare. 6 5 RIC II, p. 408, nn 548-549; p. 409, n. 555 (Adriano); RIC III, p. 302, n. 1 1 28; p. 304, n. 1 1 54 (Marco Aurelio). Cfr. anche RIC IV.2, p. 8 1 , n. 1 3 1 (Severo Alessandro). .

66 La personificazione di Annona compare per la prima volta sulla monetazione neronia­ na (senza papavero): cfr. RIC F, p. 1 6 1 , nn 1 3 7- 1 42; p. 1 73 , n. 3 72; p. 1 74, nn 389-39 1 ; p. 1 77, .

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7 . IL PAPAVERO NELLA NUMIS MATICA E NELLA G LITTICA PRIVATA lizzati a esaltare l'abbondanza di cibo, mentre la nave allude alle importa­ zioni di grano dalle province dell'impero, assicurate dall'organizzazione e dal buon funzionamento dell'istituto annonario. 67 Ciò è reso ancor più manifesto in alcuni esemplari coniati all'epoca di Antonino Pio dove, ac­ canto alla personificazione di Annona (questa volta con timone al posto della cornucopia), compaiono due prore di nave, una delle quali trasporta il m odio contente spighe e papaveri. 68 La volontà di celebrare il rifornimen­ to di derrate alimentari è talmente evidente che non necessita di ulteriori spiegazioni; tuttavia, è presente un elemento che potrebbe forse alludere alla provenienza delle navi cargo. Alla sinistra di Annona è posto infatti un faro acceso, che potrebbe richiamare alla mente l'Egitto e in particolare Alessandria, città in cui si trovava il celebre faro, considerato una delle sette meraviglie del mondo antico. 69 Rientrano nel medesimo contesto propagandistico alcune monete co­ niate a partire dal regno di Domiziano, benché la simbologia sia legger­ mente differente rispetto agli esemplari sin qui esaminati. Si tratta di una serie di quadranti che mostrano sul rovescio un mazzo di spighe e papa­ veri, spesso legati insieme con un nastro. 70 Essendo presente sul diritto la raffigurazione della testa di Cerere coronata di spighe, il messaggio veico­ lato dalle piante era perfettamente comprensibile alla maggior parte della popolazione: esso è collegato a quella prosperità che l'unione di spighe e papaveri comunemente simboleggiava.7 1 In questo caso le immagini non sembrano riferirsi all'approvvigionamento alimentare garantito tanto dalla dea quanto dall'imperatore, ma probabilmente alludono al benessere di cui potevano godere i sudditi a quel tempo. La monetazione romana provinciale annovera al suo interno tipi mone­ tali quasi identici agli esemplari sin qui elencati, sebbene spesso precedano nn . 430-43 1 ; p. 1 80, nn . 493-497; p. 1 83 , nn . 566-572. L'iconografia di questi esemplari, conside­

rata una tra le più belle creazioni monetali romane, verrà spesso utilizzata (seppur con alcuni cambiamenti) almeno sino all'epoca severa: cfr. SPAETH 1 996, p. 25; RlcKMAN 1 980, pp. 260-26 1 . 6 7 Cfr. PAVIS n'EscuRAc 1 98 1 , p. 798. 68 RIC III, p. 123, n. 757. 69 L'Egitto era una provincia da cui Roma traeva buona parte del suo approvvigionamen­ to: stando a Ps. AuREL. VICT. Epit. de Caesar. l , 6, durante il regno di Augusto l'Egitto forniva venti milioni di modii di frumento. FLAv. IOSEPH. Beli. Iud. II 1 6, 3 83-386 sostiene che l'Africa provvedeva a due terzi delle derrate necessarie per Roma, mentre il restante veniva importato dalla terra dei Faraoni. Per un approfondimento cfr. RlcKMAN 1 980, pp. 1 1 3 - 1 1 8 ; PAVIS n'Escu­ RAC 1 976, pp. 134- 1 3 9 . 70 RIC n • , p . 2 8 2 , nn . 243-244; p . 2 8 6 , n. 3 1 7; p . 2 9 9 , nn . 502-502A. 7 1 Sul rovescio di bronzi coniati in Oriente (Tracia?) da Tito e da Domiziano (raffiguranti sul diritto le teste degli imperatori) il papavero è inserito tra due cornucopie incrociate: RIC IF, p. 23 5 , n. 5 1 3 ; p. 328, n. 835.

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SEZIONE I I - IL PAPAVERO NELL' I C O N O G RAFIA ROMANA

cronologicamente le emissioni occidentali. Ad esempio il mazzo di spighe e papaveri compare già a partire dall'epoca post-cesariana delle guerre civili (circa 39-38 a.C.) su esemplari emessi ad Antiochia, e poco dopo a Cirene (3 7-34 a.C.) e a Dora (34-32 a.C.).72 Particolarmente interessante si rivela il caso della città di Elaea che, a partire dall'età augustea e per tutto il perio­ do di governo dei giulio-claudi, coniò una serie di monete con il rovescio raffigurante una capsula di papavero tra due spighe. 73 Sembra quasi che per circa un secolo l'autorità civica abbia adottato tale iconografia come simbolo caratteristico della città: infatti, se è indubbio che spighe e papaveri compaiono in numero variabile sulla monetazione di molte altre po leis,74 è soltanto Elaea a riproporre l'immagine con frequenza, così come quella di una semplice cesta (kalathos) con all'interno spighe e papaveri (Fig. 34), la cui iconografia è del tutto simile a quella del modio riprodotto sugli esemplari occidentali.75 Tali monete non potevano celebrare le distribu­ zioni di grano gratuite o a prezzo ribassato in voga a Roma, poiché nelle province non è attestata l'istituzione di misure frumentarie direttamente controllate dallo stato romano. Al contrario, si può dire che le città doveva­ no affrontare il problema delle derrate alimentari contando solo sulle loro risorse; 76 per questo motivo, la presenza del kalathos con spighe e papaveri doveva probabilmente veicolare un messaggio beneaugurante, legato alla prosperità agraria del luogo e alla speranza di buon raccolto. Non è però da escludere che le monete facessero riferimento a specifiche donazioni di magistrati locali, i quali in determinate situazioni potevano elargire ingenti somme di denaro per ovviare al problema alimentare. 77 72 RPC I, n. 4228 (Antiochia); RPC I, n. 9 1 3 (Cirene); RPC I, n. 4754 (Dora). 73 RPC I, nn 2398-2403 ; 2405; 2407-2409. In seguito monete simili furono coniate in età antonina: RPC IV, nn 1 800; 2479. .

.

74 Cfr. ad esempio RPC I, nn . 5079; 5086; 5 1 92 (Alessandria); RPC I, nn . 2079; 2082 (Ni­

comedia); RPC I, n. 2 1 02 (Bitinia, zecca incerta); RPC II, nn 5 1 0; 543 (Tracia, zecca incerta); RPC II, n. 1 059 (Cilbia Nicea); RPC III, n. 778 (Torni); RPC III, n. 1 52 1 (Cizico); RPC III, n. 1 968 (Srnirne); RPC IV, nn 1 1 04; 1 1 09 (Erythrae). .

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75 Elaea emise queste serie monetali a partire dal regno di Claudio per continuare sino

all'età antonina: RPC I, nn 2404; 2406; 241 1 ; RPC II, n. 957; RPC IV, nn 2 1 6 ; 2 1 9; 22 1 -222; 1 80 1 1 802; 2472; 2609; 2 6 1 4 ; 3300; 9535; 1 0896. Tale iconografia compare anche altrove: RPC III, nn 4267; 6 1 86; RPC IV, nn 1 3 947; 1 4899; 1 5 647; 1 5683 ; 1 5882; 1 6093 ; 1 6232; 1 6459 (Alessandria); RPC II, n. 366; RPC Iv; nn 3905; 8690 (Bisanzio); RPC III, nn 725-727 (Perinto). Raffigurazio­ ni simili da altre località: RPC II, n. 1 1 69 (Cos); RPC III, nn 1 05 - 1 06 (Creta); RPC III, n. 73 8 (Bizya); RPC Iv; n. 6 1 29 (Tium); RPC Iv; nn 3 7 1 ; 2786 (Ereso); RPC IV, n. 1 1 76 (Apollonis). .

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.

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.

.

.

76 Cfr. FRÉzouLS 1 99 1 , p. 4. L'importazione di grano era a carico dei cosiddetti

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