Il discreto e il continuo. Complementarità in matematica 9788833901541

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Il discreto e il continuo. Complementarità in matematica
 9788833901541

Table of contents :
Il discreto e il continuo......Page 1
Colophon......Page 6
Indice......Page 7
Prefazione all’edizione italiana......Page 9
Prefazione all’edizione originale......Page 11
1. Introduzione al calcolo dei predicati elementare senza identità......Page 15
1.......Page 17
2.......Page 18
2. Interpretazione semantica del calcolo proposizionale......Page 22
3. Interpretazione semantica del calcolo dei predicati elementare......Page 25
4. Procedura di decisione per il calcolo dei predicati elementare......Page 28
5. Calcolo dei predicati. La teoria Z......Page 34
6. Teorema di incompletezza di Gödel......Page 43
7. I teoremi di incompletezza e la semantica......Page 49
8. Osservazioni sulla matematica non standard......Page 54
9.1 La matematica greca......Page 59
9.2 Dalla filosofia ellenestica al razionalismo moderno......Page 71
9.3 Gli inizi della filosofia moderna......Page 73
Cartesio (1596-1650)......Page 74
Newton (1642-1727)......Page 76
Leibniz (1646-1716)......Page 78
Kant (1724-1804)......Page 84
10. Transizione al secolo attuale......Page 88
11.1 Logicismo......Page 91
Frege (1848-1925)......Page 92
Russell (1872-1970)......Page 95
Poincaré (1854-1912)......Page 99
Brower (1881-1966)......Page 105
Il gruppo ‘Bourbaki’......Page 108
11.3 Formalismo......Page 111
12. Aspetti e metodi di una filosofia della matematica......Page 116
13. Due tipi di esistenza matematica......Page 121
14. Linguaggio, teoria degli insiemi e complementarità matematica......Page 128
15. Lineamenti di una teoria degli insiemi complementarista......Page 134
16. L’unità della matematica: algebra e topologia......Page 140
17. Un ponte sull’abisso tra il discreto e il continuo......Page 146
Cap. 4 - Complementarità degli aspetti soggettivi e oggettivi della matematica......Page 155
Bibliografia......Page 177
Capitolo 1 (Logica)......Page 182
Capitolo 3 (Filosofia e matematica)......Page 183
Capitolo 4 (Didattica)......Page 184
Indice analitico......Page 185

Citation preview

WILLEM IL DISCRETO EIL CONTINUO COMPLEME NTARITA IN MAT EMATICA BORINGHIERI

PrO'IJe

Willem Kuyk

Il discreto

e

il continuo

Complementarità in matematica

© 1982 Editore Boringhieri società per azioni Torino, corso Vittorio Emanuele 86 Stampato in Italia dalla tipografia Gravinese di Torino CL 61-8878-8 Titolo originale Complementarity in Mathematics A First Introduction to the Foundations of Mathematics and Its History © 1977 Reidel Publishing Company - Dordrecht

Traduzione di Simona Panattoni

Marzo 1 982

Indice

l

Prefazione all'edizione italiana

7

Prefazione all'edizione originale

9

Aspetti semantici e sintattici delle teorie matematiche ele­ 13 mentari 1. Introduzione al calcolo dei predicati elementare senza identità 2. In­ terpretazione semantica del calcolo proposizionale 3 . Interpretazione se­ mantica del calcolo dei predicati elementare 4. Procedura di decisione per il calcolo dei predicati elementare 5. Calcolo dei predicati. La teo­ ria Z 6. Teorema di incompletezza di Godei 7. I teoremi di incom­ pletezza e la semantica 8. Osservazioni sulla matematica non standard

2

Rassegna storica degli aspetti epistemologici della mate­ 57 matica 9. La filosofia della matematica nella storia 10. Transizione al secolo attuale 1 1 . Indirizzi principali nella filosofia della matematica del ven­ tesimo secolo

3

Lineamenti di una concezione complementarista della ma­ 114 tematica 1 2. Aspetti e metodi di una filosofia della matematica 1 3 . Due tipi di esistenza matematica 14. Linguaggio, teoria degli insiemi e complemen­ tarità matematica 1 5 . Lineamenti di una teoria degli insiemi comple­ mentarista 1 6. L'unità della matematica: algebra e topologia 17. Un ponte sull'abisso tra il discreto e il continuo

4

Complementarità degli aspetti soggettivi e oggettivi della 153 matematica

Bibliografia

175

Ulteriori letture

180

Indice analitico

183

Prefazione all'edizione italiana

La presente edizione italiana si distingue dall'edizione originale per due caratteristiche. Innanzitutto i primi tre capitoli, rispetto all'edizione inglese, sono stati corretti e leggermente estesi perch é risultino di più facile lettura allo studente. In secondo luogo, è stato aggiunto il quarto capitolo, che è nuovo e tratta della relazione tra gli aspetti soggettivi e quelli oggettivi del fare matematica con riferimento a problemi didat­ tici. Si tratta in sostanza del contenuto di una comunicazione presentata al congresso dell'ICMI a Helsinki nell'estate del1978. E nella natura delle cose che il lavoro dei docenti di matema­ tica contrasti con l'attività e l'interesse dei ricercatori nella pra­ tica matematica. Mentre il didatta tratta della "fondazione" della conoscenza matematica collegando, nella mente dello studente, ogni nuova nozione ad altre vecchie e familiari, il ricercatore in­ daga nuove nozioni per presentare fatti vecchi e familiari in una nuova luce e in un nuovo contesto (nella propria mente) . Per anni, durante il regno delle ormai classiche filosofie dei fondamenti della matematica (logicismo, formalismo ecc.), i do­ centi di matematica potevano tranquillamente riecheggiarne gli slogan fondamentali se volevano instillare negli studenti l'idea che la matematica è la sola branca sicura e indubitabile della conoscenza. Ma diventava sempre più chiaro che nessuna di que-

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Prefazioni

ste filosofie era in grado di soddisfare una simile opinione e che la matematica rientrava pertanto tra le altre scienze (perché an­ ch'essa fallibile), sicché un numero sempre crescente di docenti di matematica doveva cercare nuove motivazioni. Il quadro è ulteriormente complicato dal fatto che, a partire dalla seconda guerra mondiale, la matematica si è sviluppata così rapidamente che, per quanto riguarda la stesura dei programmi scolastici, si sono dovuti porre e risolvere problemi di fondo. L'atteggiamento prevalente tra i ricercatori, tuttavia, che è quello di considerare la didattica matematica nient'altro che una parte della matematica in posizione subordinata rispetto alla ricerca, non porta a un giusto rapporto fra insegnanti e ricercatori. Ciò di cui c'è più bisogno è una (ri)valutazione del fare mate­ matica nella sua globalità, dei suoi scopi e delle applicazioni cui è destinata così come dell'interazione "dialettica" che ha luogo tra il matematico (con il suo linguaggio, la sua logica e creatività) e i "campi oggettuali" o "modelli" ed esempi (che devono la loro definizione al matematico il quale, a sua volta, dalla loro osser­ vazione cerca di derivare conoscenza teorica). I capitoli 3 e 4 offrono, mi auguro, qualcosa di più che una terminologia con cui compiere tale rivalutazione. In essi si af­ ferma che ogni attività matematica presenta un certo numero di aspetti soggettivi contrastanti (culturali e mentali) che, unita­ mente a quelli oggettivi (e complementari) del discreto e del continuo, ne formano il lato analizzabile. Ci sono molti modi di fare (di scoprire) e presentare la matematica e ciascuno comporta una scelta degli aspetti che si ritiene svolgano un ruolo predo­ minante, scelta che può dipendere dall'intento didattico che si ha in mente. La filosofia che sottende questi capitoli è un primo tentativo di concezione complementarista della matematica; deve essere ulteriormente elaborato sia da un punto di vista storiogra­ fico sia allo scopo di giungere a un modo più soddisfacente di considerare le questioni didattiche e quelle della matematica in quanto opera del pensiero. W.K.

Prefazione

all'edizione

originale

Questo libro trae origine da una serie di lezioni che tenni alla McGill University di Montreal, alla Libera Università di Amster­ dam e all'Università di Anversa, e che dovevano rivolgersi con­ temporaneamente a studenti di matematica e a studenti di filo­ sofia. Poiché non trovai, nella letteratura esistente, un testo introduttivo adatto allo scopo, che fondesse cioè la prospettiva filosofica, quella storica e quella puramente matematica, decisi di provare a buttar giù io stesso degli appunti, dai quali poi il libro si è sviluppato. Mi auguro che esso possa offrire sia informazioni matematiche espresse in termini non matematici sia informazioni sulla filosofia della matematica di un qualche interesse per la ma­ tematica intesa come scienza specialistica. Un libro che si propone lo stesso obiettivo è l'enciclopedico The Foundations of Mathematics del mio vecchio professore, il defunto E. W. Beth. Ricordo molto chiaramente e con gratitu­ dine alcuni suoi corsi. Egli affermava spesso che se soltanto i giuristi e i politici e, più in generale, gli studiosi delle artes humaniores si sforzassero di pensare maggiormente in termini di logica matematica (e formale), il mondo sarebbe un posto mi­ gliore per viverci. Forse è proprio così; questo libro, comunque, riserva un ruolo più modesto al metodo formale e agli schemi generali creati dal pensiero matematico. Secondo il punto di

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Prefazioni

vista espresso nel libro, la logica matematica e i metodi formali sono modi specifici di operare della mente umana quando vuole comprendere gli aspetti spaziali e quantitativi del mondo. Così, dopo aver formato, attraverso un complicato processo di appren­ dimento, i concetti di continuo (le "entità" geometriche) e di discreto (le "entità" dei numeri naturali), la mente umana gode di una grandissima libertà nell'operare con essi come "materiale base" per la costruzione di "strutture" quali, ad esempio, parti­ colari geometrie o gruppi, anelli e campi. Quindi scoprire gli aspetti spaziali e quantitativi del mondo significa non solo appren­ dere ma anche creare. Poiché c'è libertà di scelta per quanto riguarda gli assiomi delle strutture, dalla natura della materia base e dall'informazione che deriva dall'esperienza generale la nostra mente è guidata verso strutture che sono utili sia all'in­ terno della matematica stessa sia per applicazioni ad altri campi di indagine quali la fisica. Il metodo formale può essere consi­ derato un mezzo per esprimere in simboli sulla carta le ipotesi logiche e matematiche (assiomi ecc. ) e i processi di pensiero che vengono utilizzati in una teoria matematica spontanea. Così non è impossibile che, per esempio, certe parti della scienza giuridica possano essere formalizzate. Data però l'attuale tendenza a tener conto dell'uomo, stando bene attenti al rischio che gli elabora­ tori e altri strumenti scientifici regnino sulla sua vita, sembra appena necessario definire ridicole le applicazioni formalizzate delle teorie giuridiche. Il libro consta di tre capitoli. Il secondo, che è il più ampio e tratta della storia dei fondamenti della matematica, si inserisce tra il primo, che descrive le teorie formali, e quello finale, che delinea la concezione "complementarista" dell'autore. In quest'ul­ timo, infatti, si sostiene che un "principio di complementarità" sta alla base della matematica e della fisica. Si tratta del principio, noto in fisica come "principio di complementarità di Bohr" , che afferma tra le altre cose che il discreto e il continuo sono due differenti aspetti del mondo, tra loro in competizione, considerati dal punto di vista delle scienze matematiche e fisiche (come pure

Prefazioni

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delle altre scienze). Perciò le sottodiscipline matematiche si clas­ sificano in due categorie, e precisamente la categoria di quelle che hanno la loro origine epistemologica e il loro scopo finale nel dominio del discreto e della teoria dei numeri e la categoria di quelle discipline che sono originate dal dominio del continuo e della geometria (e ad esso si indirizzano). Nello stesso capitolo si sostiene, più in generale, che nel pensiero matematico sponta­ neo ci sono parecchi aspetti (l'aspetto psicologico, quello appli­ cativo, quello di teoria degli insiemi, di logica ingenua, di logica formale, l'aspetto costruttivo ecc.) complementari uno all'altro e tutti contribuiscono a comporlo nella sua globalità; sono aspetti che nessuna filosofia della matematica dovrebbe ignorare senza correre il rischio di peccare di un qualche tipo di riduzionismo. La filosofia del logicismo, la filosofia del formalismo e quella del neointuizionismo sono descritte appunto come riduzioni di questo genere. Viene dato un sistema di assiomi di teoria degli insiemi che, si spera, corrisponda il più possibile alla concezione complementarista. Nel primo capitolo vengono trattati a grandi linee i teoremi di completezza e incompletezza di Godel che rappresentano i risultati più incisivi degli ultimi quarant'anni per i fondamenti della matematica. Di questi teoremi sono disponibili versioni sem­ plificate (si veda ad esempio La prova di Godei di Nagel e New­ man). Abbiamo descritto tutto l'apparato logico necessario per le dimostrazioni di Godel tranne la numerazione godeliana e quindi è stato possibile dare anche una descrizione della stessa dimo­ strazione finale. L'autore ritiene che non siano state ancora per­ fettamente elaborate tutte le conseguenze filosofiche generali di questi teoremi: nel testo si trovano solo alcune conclusioni che è possibile trarre da essi. Nello stesso capitolo si accenna anche alla matematica non standard, che è un argomento ricorrente nell'at­ tuale dibattito sui fondamenti della matematica. Nel secondo capitolo diamo un quadro della storia dei fon­ damenti della matematica da Talete fino ad oggi, prendendo in considerazion e tutta, o in parte, l'opera delle figure più impor-

12

Prefazioni

tanti. A questo proposito ci siamo attenuti al criterio che gli autori stessi hanno adottato nel render conto dei diversi aspetti complementari dell'attività matematica menzionati in precedenza, ma non è stato possibile entrare in certi particolari cercando di comporre le ben note controversie esistenti sull'interpretazione di queste figure: ad esempio, ci sono differenti interpretazioni della concezione kantiana della matematica per quanto riguarda i suoi giudizi analitici e sintetici a priori (si veda l'opera citata di Beth). Bisogna quindi considerare il presente testo come una prima let­ tura da sviluppare. W.K.

Capitolo

1

Aspetti semantici e sintattici elementari

delle teorie matematiche

... come se i discorsi abbiano qualche parentela con le cose, delle quali sono interpreti. Pertanto quelli intorno a cosa stabile e certa e che risplende all'in­ telletto, devono essere stabili e fermi e, per quanto si può, inconfutabili e immobili, e niente di tutto questo deve mancare. Platone, Timeo, 29b

l. Introduzione al calcolo dei predicati elementare senza identità Il nostro linguaggio familiare (naturale) è, da un punto di vista scientifico, impreciso e i pensieri che con esso esprimiamo sono generalmente plurivoci. Per questa ragione il linguaggio familiare non è adatto per la formulazione precisa di teorie scien­ tifiche. Inoltre, discipline scientifiche differenti usano ciascuna il proprio linguaggio specialistico. Si tratta di linguaggi che si di­ stinguono da quelli naturali per la loro maggiore precisione con­ cettuale e, molto spesso, per il fatto che limitano notevolmente il campo familiare a cui specificamente si riferiscono. In generale, in un linguaggio si possono distinguere diversi aspetti (a questo proposito si veda Morris, 1 93 8) : l ) sintassi, cioè la grammatica; 2 ) logica, cioè la teoria del ragionamento conclusivo (teoria del­ l'inferenza) ; 3 ) semantica, detta anche "teoria del riferimento" (Quine) ; Tarski così descrive questo aspetto: "Intenderemo per seman­ tica la totalità delle considerazioni riguardanti quei concetti che, grosso modo, esprimono certe connessioni tra le espres-

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Capitolo primo

sioni di un linguaggio e gli oggetti e stati di cose cui queste espressioni si riferiscono" (Tarski, 1 956, p. 40 1 ) ; 4) pragmatica, cioè l'uso che si fa del linguaggio. In un linguaggio naturale tutti questi aspetti si intrecciano in modo molto complesso. Essi sono presenti anche in un linguag­ gio specialistico come quello matematico; ciò che però distingue un linguaggio matematico da quello naturale è non soltanto la sua maggior precisione, ma anche il fatto che esso nasce dal­ l'eliminazione di tutto quanto nel vocabolario familiare non è matematicamente pertinente. Inoltre, abbastanza spesso si cerca di eliminare uno o più degli aspetti menzionati; all'interno della matematica, per esempio, si distingue una matematica pura, tra­ scurando l'aspetto pragmatico (applicativo) . Si potrebbe anche escludere l'aspetto semantico del linguaggio matematico e otte­ nere così quel che viene chiamato linguaggio formale. Ammettendo che tutto ciò che viene comunemente denotato dal termine "matematica" possa essere espresso all'interno di un linguaggio formale, sarebbe possibile dire che la matematica è una scienza puramente formale e che, per conseguenza, la ve­ rità matematica non è altro che "derivabilità formale da un certo insieme di assiomi". Ipotesi rigorosamente formaliste di questo tipo eliminano l'aspetto semantico e l'aspetto pragmatico del lin­ guaggio matematico complessivo, non tanto a scopo di ricerca o per un rinnovamento dell'attività matematica, ma per ridurre la matematica ai suoi aspetti formali. Il formalismo, inteso in questo senso (filosofico) , non esiste quasi più per le difficoltà che ha generato (vedi oltre, i paragrafi 5, 6 e 1 1 . 3 ). Quindi, lo scopo per cui noi eliminiamo gli aspetti semantici e pragmatici della matematica è solo quello di ottenere una maggiore penetra­ zione dell'aspetto formale del linguaggio matematico. Eliminare la semantica da una teoria matematica significa creare un lin­ guaggio formale senza un concetto di verità perché in un linguaggio formale non si può dire se una cosa è vera o no. Compito della logica non è determinare ciò che è vero, in quanto

Teorie matematiche elementari

essa, essendo solo una "teoria dell'inferenza", esplica le modalità secondo cui un ragionamento arriva a conclusione a partire da enunciati dati, prescindendo dalla loro verità o falsità (ad esem­ pio modus ponens, modus tollens ecc.) . Il vecchio formalismo filosofico ha ridotto la ricerca (semantica) della verità di una teoria matematica alla ricerca (logica) della coerenza intrinseca di quella teoria, cioè alla verifica del fatto che la teoria non giunga a conclusioni contraddittorie. In questo paragrafo presenteremo un linguaggio formale, nel secondo e nel terzo vi aggiungeremo l'aspetto semantico. Il lin­ guaggio risultante, fatto di aspetti sintattici, logici e semantici, sarà detto, per semplicità, linguaggio logico. Prima di attuare il nostro programma, dimostreremo, con due esempi, che esistono differenze essenziali tra il linguaggio natu­ rale, il linguaggio formale e quello logico, facendo riferimento ai risultati di Noam Chomsky e Alfred Tarski.

l. Accade spesso che la struttura di un linguaggio formale venga programmata per un elaboratore (vedi Cohen, 1 966, p. 1 1 ) . Il linguista Noam Chomsky, nel suo Le strutture della sintassi ( 1 957), esamina alcuni modelli di grammatiche, tra cui la prima è la cosiddetta "grammatica a stati finiti", presentata nel 1 949 da Shannon e Weaver come un modello capace di generare le frasi di un linguaggio naturale, ad esempio l'inglese. Il modello si basa su un procedimento stocastico e produce frasi (catene di Markov) nel modo seguente: dopo aver liberamente scelto un primo simbolo, le scelte possibili per il simbolo successivo sono sempre funzioni del simbolo iniziale o dei simboli iniziali e del loro ordine. Una grammatica che produca frasi seguendo questo modello si può programmare per un elaboratore. Chomsky però dimostra che tale "grammatica a stati finiti" non riesce a generare neppure tutte le frasi grammaticalmente corrette di un linguaggio collo­ quiale (ad esempio l'inglese) . Egli deriva questa convinzione dal fatto che in una "grammatica a stati finiti" si può produrre solo

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Capitolo primo

un numero finito di formule, dato che le frasi vengono costruite necessariamente in modo lineare. Egli dice: "Se una grammatica di questo tipo producesse tutte le frasi dell'inglese, produrrebbe anche molte non-frasi. Se producesse solo frasi dell'inglese, pos­ siamo essere sicuri che vi sarebbero un numero infinito di frasi vere, di frasi false, di domande ragionevoli ecc., che essa sempli­ cemente non produrrebbe" (Chomsky, 1957, p. 3 0 ; vedi anche Nivette, 1 970) . In modo analogo sembrano essere inadeguati anche altri tipi di modelli per generare un linguaggio naturale. Generalizzando, potremmo dire che il nostro linguaggio colloquiale è così "ricco" da non potersi riprodurre con mezzi meccanici. Anche Chomsky condivide questa opinione quando mette in luce il sostanziale abisso qualitativo esistente tra la capacità di linguaggio dell'uomo e quella di un automa (Chomsky, 1 968, p. 1 3 7) . In questo libro non seguiremo oltre le ricerche di Chomsky. 2. Rifacendoci al concetto tarskiano di "linguaggi semantica­ mente chiusi", possiamo mettere in luce una differenza essen­ ziale tra linguaggio naturale e linguaggio logico. Ogni linguaggio naturale ha la proprietà di poter analizzare dall'interno il signi­ ficato dei suoi termini e delle sue frasi, cioè un linguaggio natu­ rale ci permette di formulare o esprimere la sua semantica con i suoi stessi termini. Tarski definisce un linguaggio di questo genere, cioè contenente la propria semantica, "semanticamente chiuso" (in Tarski, 1 969: "semanticamente universale" ) . Egli di­ mostra che tali linguaggi, nel caso sia possibile formalizzarli, sono incoerenti (vedi Tarski, 1 944; si veda anche oltre, il paragrafo 7 ) . (La possibilità d i formalizzazione è i n questo caso u n requisito necessario perché la coerenza, in un linguaggio colloquiale, impreciso, onnicomprensivo, non è un concetto ben definito.) Esporremo più avanti in questo capitolo il risultato di Tarski. All'interno di un linguaggio logico si possono distinguere di­ versi "sottolinguaggi", quale il linguaggio del calcolo proposizio­ nale, quello del calcolo dei predicati ecc. Presenteremo ora la

Teorie matematiche elementari

17

sintassi (grammatica) del calcolo dei predicati (o classi) elemen­ tare, del quale il calcolo proposizionale è una parte. DEFINIZIONE 1 . 1 . Il linguaggio del calcolo dei predicati ele­ mentare comprende i simboli seguenti:

(1) (2) (3) (4) (5)

connettivi proposizionali o enunciativi: quantificatori: 3, V; parentesi: (, ) ; variabili: x, y, z, . . . ; predicati: A, B, C, . . .

....

, 1\, V, �.-;

In teoria, sarebbe sufficiente in un linguaggio formale intro­ durre semplicemente questi simboli; tuttavia, per rendere più chiara la nostra discussione su di essi e per mostrare la relazione tra linguaggio formale e linguaggio naturale, esprimeremo il si­ gnificato di questi simboli: " " ( negazione) e " A " ( congiun­ zione) significano rispettivamente "non" ed "e" ; il simbolo "V" (disgiunzione) viene descritto nel modo migliore come "o" . Nel linguaggio naturale, tuttavia, la parola "o" viene usata in due sensi distinti e, precisamente, in senso esclusivo e in senso non esclusivo: la logica usa quest'ultimo senso. La parola latina vel ha pressappoco il significato di "o" in senso non esclusivo e noi conveniamo, una volta per tutte, di servirei del segno "V" per la disgiunzione non esclusiva. Il simbolo "�" (detto implica­ zione) può essere descritto nel linguaggio naturale con "se ... allora ... " Nel linguaggio naturale noi intendiamo di solito con ciò un'implicazione formale, mentre la logica usa questo con­ nettivo nel senso di un'implicazione materiale. (La distinzione tra queste due forme di implicazione diverrà evidente quando avremo presentato le "tavole di verità" del calcolo dei predicati elementare.) Il simbolo "-" è il segno per il bicondizionale, cioè un'implicazione nei due sensi che nel linguaggio naturale si può descrivere con "se e solo se ... " (vedi Suppes, 1 964, cap. l , per una descrizione più esplicita di tutto quest'argomento) . ,..,

18

Capitolo primo

Questi connettivi e le parentesi, insieme ai simboli come P, , Q . . . , che denotano proposizioni o giudizi, formano l'insieme di simboli della logica proposizionale o enunciativa. (Nel para­ grafo 2 presenteremo la semantica della logica proposizionale.) I quantificatori " V " e " 3 " significano, rispettivamente, "per tutti" ed "esiste". Vengono introdotte le parentesi per garantire univocità di lettura alle espressioni, eliminando ogni pericolo di confusione. Mostriamo ora come, con questi simboli, si possano formare le formule. Servendoci di una definizione ricorsiva, saranno suf­ ficienti poche regole precise per definire una formula ben formata (che abbrevieremo in fbf) . Dato che, in questa sede, ci interessa solo l'univocità di let­ tura, l'uso delle parentesi può essere talora soppresso. DEFINIZIONE 1.2. Le seguenti regole determinano quando una serie di simboli forma una fbf del calcolo dei predicati elementare:

Regola l. Se A è un simbolo di predicato e t è una variabile, allora A(t) è una fbf. Regola 2. Se U e V sono fbf, allora lo sono anche ...... U, (U 1\ V), ( UVV), ( U�V) e ( U�V) . Regola 3 . Se U è una fbf, x è una variabile, allora (Vx) U e ( 3 x) U sono Thf. Si noti che nel calcolo dei predicati elementare un predicato A può essere una funzione con al massimo una variabile, cioè A è della forma A (t) . Nel calcolo dei predicati (paragrafo 5) un predicato A può essere una funzione con più di una varia­ bile, ad esempio A(x, y, z) . Questo significa tra l'altro che nel calcolo dei predicati sono esprimibili relazioni quali x