Grande antologia filosofica Marzorati. Il pensiero contemporaneo. Sezione seconda [Vol. 27]

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Grande antologia filosofica Marzorati. Il pensiero contemporaneo. Sezione seconda [Vol. 27]

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GRANDE ANTOLOGIA FILOSOFICA diretta da coordinata da

MICHELE FEDERICO SCIACCA

MARIA A. RASCHINI

e

PIER PAOLO OTTONELLO

MARZORATI - EDITORE - MILANO

Proprietà letteraria riseroata © Copyright 1977 by Marzorati Editore S.r.l.



Milano

IL PENSIERO CONTEMPORANEO (Sezione Seconda)

Volume Ventisettesimo

INDICE

ALBERTO CATURELLI La filosofia in Argentina, Uruguay, Cile e Perii INTRODUZIONE: l. Argentina Bibliografia essenziale.

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2. U ru gu ay



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3. Cile

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pag.

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4. Peni. -

TESTI: l. ARGEi\TI:o;A l. Frias. 2. J. M. Estrada. 3. M. Esquiu. 4. J. B. Alberdi. 5. F. Ameghino. 6. C. O. Bun gc 7. J, lngcnieros 8. L. Lugoncs. 9. A. Korn. 10. S. Taborda. 11. C. Albcrini. . 12. F. Rom er o 13. L. J Guerrcro. 14. C. Astra­ da.. 15. M. A. V i r as oro . 16. J. M. Li qu eno - 17. R. Martincz dc Espinosa. 18. A. Fragueiro . 19. A. Rougès. . 20. B. Ayhar. - 21. T. D. Casares. 22. O.N. Derisi. . 23. I. Quil es .. 24. V. Fa tone.. 25. A. Vas. sallo. 26. R. Virasoro. - 27. A. Asti Ve ra. II. URUCUAY . l. C. Vaz Ferreira.. 2. E. Oribe. - 3. A. Zum Felde. III. CILE l. V. Lctc. lier. 2. E. Molina. 3. E. Millas. 4. F. Schwartzmann. . 5. C. Fin . layson. - IV. PERi: L A. Deustua. 2. H. Delgado. - 3. F. Miro Que. sada. 1'. A. Wagner de Reyna.

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AGUSTIN FERNANDEZ

BASAVE

DEL VALLE

Il pensiero latino-americano Centroamerica) INTRODUZIONE.

( Messico,

Venezuela,

- Bibliografia essenziale.

TESTI: l. MESSICO: l. G. Barrcda . • 2. J. Vascoucelos. - 3. A. Caso. 4. S. Ra mos. - 5. J. Gaos. - 6. L. Recaséns Siches.. 7. O. Roblcs. 9. E. Garcia Maynez .. 10. A. Gomez Itobledo.. 11. F. 8. E. Nicòl. Larroy o. 12. L. Zea: B. E. De Gortari. 11. A. Ferniindez Basave del Valle. - 15. F. Salmeron.- Il. VENEZUELA: l. J. D. Garcia B acca . • 2. M. Grane!! Muiiiz. . 3. F. Riu Farre. · 1. E. Mayz Vallenilla. III. CENTROAMEfiiCA: l. C. A. Siri. - 2. J. F. Fermindez . . 3. M. Guzman.

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Indice

VIII

GIORGIO GIANNINI La filosofia neoclassica



INTRODUZIONE.: l . Considerazioni generali: neotomismo, neoscola. stica, neoclassica . • 2. Il neotomismo.· 3. La neoscolastica• • 4. La ncoclassica. - Bibliografia essenziale. TESTI: I. IL NEOTOMISMO. - I. L. TAPARELLI D'AZEGLIO: l. L'obbligazione morale . • 2. Origine della società. - II. G. SANSEVE· RINO: l. L 'ente. 2. La facoltà intellettiva. - III. M. L IBERATORE: l. Valore oggettivo della co nosc enza . . 2. Le idee universali. 3. Il neotomismo e i l criticismo kantiano. -IV. G. CoRNOLDI: l. La nozione d i ente e il principio di contraddiz ione . • 2. Atto e potenza; sostanza e accidente. - V. J. KLEUTGEN: Rcl�zione tra la filosofia kantiana e la Scolastica in generale.- II. LA NEOSCOLASTICA.- I. D. MERCIER: l. Caratteri e missione del neotomismo. • 2. Oggettività delle proposi· z ioni immediate. - II. N. B ALTHASAR: l. L'io come esistente. · 2. L'io come valore personale. · 3. La causalità. - III. L. DE RAEYMAEKER: l. La partecipaz ione-analog ia . • 2. La struttura i nterna del finito e il ri· mando all'Essere a ssoluto. - IV. G. ZAMBONI : l. Bilancio finale del metodo della « gnoseologia pura>>. • 2. Prospettive di lavoro. - V. E. CHIOCCHETTI: l . Unità e molteplicità nell'idealismo attuale. 2. L o spirito come nesso d i d istinti e d i opposti. - VI. U. A. PADOVANI: L a s oluzione del problema del male nel Cristianesimo. - VII. F . O L · GIATI: l. Indirizzi storiografici della filosofia c ristiana . • 2. Il concetto di realtà nella storia della filosofia e i l primato della metafisica in un sistema. - VIII. A. D. S ERTILI.ANGF.S: l. Ori,gin i intellettuali d i S. Tom. maso. • 2. Personalità di S. Tommaso. - IX. R. GARRIGOU·LAGRANGE: l. Intuizione dei primi principi. . 2. Impl icazion e dei principi di sostan· za c di identità. • 3. Il principio di causalit à efficiente. -X. J. GEYSER: 2. Presa di po· l. La coscienza come fonte d ella nos tra conoscertza. s izione nei confronti del l'intcllettualismo, della fenomenologia c del· l'int uizionismo. - XI. L. B AUK: l. Il concetto di essere. • 2. L e cale· gorie dell'essere. - XII. J. MARÉCHAL: l. Analisi della finalità nell'in· telligenza. 2. La rifless ione. trascendentale. - XIII. J. MARITAIN: l . 3. L'astra zione metafisica. -XIV. E. L a verità. • 2. Cosa e oggetto. GILSON: l. Esistenza e realtà in S. Tommaso. . 2. La nozione di filoso· fia cristia na. - XV. A. MARC: l. L'astrazione dell'idea di essere. • 2. Lo schcma t ismo. - XVI. J. B. LoTZ : Il giudiz io, l uogo della tra scen· denza. - XVII. J. DE FIN ANCE : Dinamismo to mis ta dell'az ione. XVIII. R. JoLIVET: l . La nozione tomista d i s ostanza . . 2. Aristotele e la creazione. - III. LA NEOCLASSICA. - I. M. B LONDEL : l. Genesi del problema filosofico dell'aj!:ire. 2. Peculiarità della generazione dell'agire . • 3. Dal problema della trascendcnza alle disposizioni reli· giose dcll'aj!:ire. • 4 .' La coscienza della morte. - II. L. L AVELLE: l. S ommario di una metafisica spiritualista. 2. Il d ivenire, la d urata, l'eternità, -III. A. FoREST: l. La spiq�;azione metafisica . . 2. Ordine e valore. - IV. V. LA VIA : L La restituzione del realismo. • 2. Filosofia e fondazione metafisica. - V. M. F. SciACCA: l. La temntica dell' inte· gralità. 2. La d ialettica intellij!:enza -ra j!:ione. • 3. La prova di Dio. • 4. Libertà e finitudine. - VI. D. VoN HII.DEBRA!'iD: Essenza e valore della conosécnza. - VII. A. AMOR RuiBAI.: l. Costituzione, e le menti e ordinazione trascendente della natura. • 2. Spiegazione pluralistica del· l'essere e del d ivenire. - VIII. X. ZUBIRI: l. Il problema dell'essen· za . • 2. Essenza e logos.

pag. 255

ALBERTO CATURELLI

La filosofia in Argentina, Uruguay, Cile e Perù S O MMA R I O

2. Uruguay. 3. Cile F. Frias. - 2. J. M. Estrada

Argentina.

l!'o'TIIODUZIONE: l.

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41. Perù.



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Bibliografia essenziale.

3. M. Esquiu 4. J. B. Alberdi lngenieros 8. L. Lugones 9. A. Korn 10. S. Taborda 11. C. Alberini. - 12. F. Romero 13. L. J. Guerrcro 14. C. Astra­ da 15. M. A. Virasoro 16. J. M. Liqueno 17. R. Martinez de Espinosa .. 18. A. Fra­ I!Ueiro. . 19. A. Rougès. 20 B. Ayhar 21. T. D. Casares 22. O. N. Derisi. 23. I. Quiles. 24. V. Fatone.. 25. A. Vassallo 26. R. Virasoro. . 27. A. Asti Vera. 11. URUGUAY l. C. Vaz Fcrreira. - 2. E. Oribe 3. A. Zum Felde. III. CILE l. V. Letelier. 2. E. Molina. 3. E. Millas 4. F. Schwartzmann. 5. C. Finlayson. IV. PERÙ. l. A. Deustua. - 2. H. Delgado 3. F. Miro Quesada 4. A. Wagner de Reyna.

TESTI: I. ARGENTINA 5. F. Ameghino . .

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6. C. O. Bunge

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7·. J.

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INTRODUZIONE l. ARGENTINA.

La ) venne scoperta dalla coscienza cristiana dell'uomo spa· gnolo del Rinascimento, che portava in se stessa i momenti essenziali della cultura greco-romana. L'assenza di una cultura indigena nell'immenso ter­ ritorio mantenne l'europeità essenziale dei suoi primi abitanti aperti ad una circostanza nuova. Dal secolo XVI al XIX, sotto il dominio spagnolo e in particolare dalla fondazione dell'Università di Cordoba nel 1613, la seconda scolastica spagnol� e i classici greci e latini furono l'alimento del suo pensiero. Dopo le guerre per l'indipendenza ma particolarmente nella seconda metà del secolo scorso, al primitivo ceto patrizio vennero ad ag­ giungersi gJi enormi contingenti di immigrati italiani, spagnoli e francesi e in minori proporzioni portoghesi, tedeschi e inglesi, che conferirono defi­ nitivamente all',Argentina il suo carattere europeo sia sotto il profilo etnico che culturale. Deriva da ciò che un argentino sente come intimamente pro­ pria la tradizione culturale che viene da Omero, passa attraverso Dante e Cervantes e arriva fino a )osé Herniindez, autore del poema nazionale che è il Martin Fierro. Si comprende in tal modo come l'Argentina e l'Untguay siano cosi profondamente diversi dagli altri paesi americani, siano indigeni, meticci o anglosassoni. Separata dal resto dell'America da selve e alte mon­ tagne ed estesa dal tropico al Polo Sud, l'Argentina è una grande isola oceanica,. una nuova Europa australe che cerca la propria espressione spi· rituale sul vecchio tronco della cultura greco-latina.

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ALBERTO

CATURELLI

l. Sebbene la presente antologia abbracci il periodo dalla seconda metà del XIX secolo ai nostri giorni, non è possibile comprendere tutto il pro· cesso del pensiero argentino senza un riferimento sia pure brevissimo ai se· coli precedenti. Gli inizi dovrebbero essere collocati nel Collegio Massimo dci gesuiti di Co1·doba, nel 1610, e quindi nell'Università che apre le sue porte nel 1614, con l'insegnamento di Juan dc Albis, con il quale penetra la Scolastica spagnola e in particolare il suarismo ; ma quasi simultaneamente il secolo XVII ha il neoplatonismo cristiano del cordovese Luis de Tejeda y Guzman (1604-1680), influenzato da Pico della ).iirandola. Nel frattempo la scolastica è proseguita per opera di Miguel de Ampuero, Cristobal Gomez, Lauro Nuiicz, lgnaeio Frias e molti altri i cui scritti sono andati perduti. All'inizio del secolo XVIII, la preoccupazione teologica diventa centrale so­ prattutto nel pensiero di Bruno Morales. L'insegnamento filosofico continua con .losé Angulo, quello scientifico con Ladislao Oroz c Tomas Falkner, quel­ lo teologico con Eugenio Lopez e Gaspar Phytzer. Il rinnovamento filosofico e giuridico è opera dell'insigne pensatore Don Domingo Muriel, special­ mente nella filosofia giuridica ; si debbono però menzionare anche il pen· siero logico di Nicolas Plantich, la dialettica di Mariano Suarez e la cosmo· logia di Benito de Riva. Arriviamo cosi all'espulsione dei gesuiti ( 1 767), gli ultimi dei quali furono J uan Rufo, Ramon Rospigliosi c J osé Manuel Peramas con la sua originale applicazione dei principi della Repubblica di Platone alle Riduzioni gesuitiche. All' Università i gesuiti furono sostituiti dai francescani fra il 1777 e il 1808 ; i principali maestri di questi furono Mariano lgnacio Velazco ( filosofia morale), Gayetano Rodriguez e soprat· tutto Elias del Carmen Pcreyra ( 1 770-1825 ), col suo interiorismo innatista. Fino a questo momento ohre al suarismo, aHo scotismo e al neoplatonismo degli inizi, si è fatta sentire anche l'influenza del cartesiancsimo. L'univo· cismo metafisico de1la scuola ft·ancescana è ancora presente in Manucl Smircz de Lcdesma e Mariano C hambo ; sono invece analogisti c molto mo· derni Nastasio Mariano Suarez, Martin dc Velazqnez e Fernando Braco, mentre sono maggiormente dediti all'etica Francisco de Paula Castaneda e Pantaleon Garcia, ultimo rettore francescano. Invece i professori del col­ legio San Carlos di Buenos Aires (Luis Chorroarin, Melchor Fernandcz, Francisco Scbastiani, Manuel :Mcdrano, Diego E. Zabaleta c Valentin Go­ mez) man tengono con dignità intellettuale e fermezza il tomismo tradizio· nalc. Tutti questi pcnsatori prepararono la mente degli argentini all'auto· coscienza nazionale; ossia all'indipendenza.

2. Nel secolo XIX, a partire dal 1808, l' Università, passata nelle mani del clero secolare, riflette il pensiero europeo e in particolare francese, an­ che se si notano seri tentativi di spiegare filosoficamente il Paese. Gregorio Funes ( 1749-1829) e Pcdro I de Castro-Barros ( 1777-1849), alunni rispetti­ vamente di Rospigliosi e di Pantaleon Garcia, vollero fondare il Paese su un ordine cristiano, nonostante gli influssi illuministi in Funes. La tradi­ zione attraverso Malebranche sta alla base del pensiero di lgnacio dc Go­ rriti c particolarmente della filosofia politica di Miguel Calixto del Cono ( 1775-1851 ), autentico precursore della rivoluzione del maggio 1810. A Bue­ nos Aires, la cui università venne fondata nel 182 1, l'ideologia ed il sensua· lismo (Destutt, Condillac, Cabanis) penetrano per mezzo di Juan Crisostomo Lafinur ( 1797-1824), J uan M. Fernandez de Agiiero ( 1772-1840) e Diego Al­ corta ( 1801-184.2). Il pensiero di radice cattolica, perduta la struttura SCO•

La filosofia in Argentina, Uruguay, Cile e Perù

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lastica, riceve l'influenza del tradizionalismo francese e spagnolo, come si può vedere nella filosofia cristiana di Felix Frias ( 1816-1881) e in Martin A. Pifiero ( 1820-1885), autore della prima filosofia argentina dell'educazione. Il tradizionalismo influenza anche Manuel A. Saez ( 1834-1887), Faustino de Arredondo ( 1839-1908), Tobias Garzon ( 1849-1914), e molti altri, ma assume un sostanzioso contenuto in Manuel Demetrio Pizarro ( 1841-1909). Il tradizionalismo comincia a muoversi apertamente verso la terza scola­ stica, dapprima sotto l'influenza di Balmes ( Francisco de Paula Moreno e Luis Vélez a Cordoba) e nell'opera di de José 1\'Ianuel Estrada ( 1842-1894) a Buenos Aires. Ma sotto l'influenza di Leone XIII e della terza scolastica italiana acquista caratteri francamente tomisti in Fra Mamerto Esquiu ( 18261883 ), il piu importante pensatore cattolico argentino del secolo XIX, � in altri come Luis Fernando Falorni, David Luque, Uladislao Castellano e Pablo J ulio Rodriguez, tutti della fine del secolo. La Facoltà di Filosofia di Cordoba, la piu antica del Paese, cessa di funzionare verso la fine del secolo. Nel frattempo, dai primi decenni del secolo, penetrano lo spiritualismo di Cousin, J ouffroy, Lerminier, e il pensiero di Vico attraverso l'opera cul­ turale di Pe dro de Angelis ( 1784-1859 ), avversario del sainsimonismo di Esteban Echeverria ( 1805-185 1); in particolare il manuale di filosofia di Amadeo J acques ( 1813-1865) ebbe un ruolo notevole nella penetrazione dello spiritualismo eclettico. Ma il piu importante pensatore di questa tendenza liberale fu Juan Batista Alberdi ( 1810-1884) che propose la costituzione di una filosofia americana con caratteri propri. Analoghe tendenze si riscon­ trano in Vicente Fidel Lopez ( 1815-1903), Manuel Quiroga de la Rosa ( 18151844), Adolfo Alsina ( 1829-1877). Lo spiritualismo assume nuovi sviluppi, alla fine del secolo, in José Maria Zubiria ( 1830-1891), e specialmente in Aditardo Heredia, e diventa un'originale filosofia razionalista in Nicomedes Reynal 0' Connor. Come in Spagna, è intanto penetrato anche il krausismo attraverso Luis Caceres ( 1828-1874) e Telasco Castellanos ( 1845-1874), a Cordoba ; ma assume maggiore importanza a Buenos Aires per opera di Wenceslao Escalante ( 1852-1912) e altri scrittori di minor rilievo. Non molto distante da essi si sviluppa un razionalismo laicista nel cordovese Ramon Ferreyra ( 1807-1874) e nel cileno Francisco Bilbao ( 1827-1895 ) ; le ultime influenze arrivano a sfiorare il secolo XX con C arlos Gomez Palacios. 3. Verso gli inizi del secolo XX si distinguono chiaramente in Argen­ tina sia la crisi dell'immanentismo moderno sia la persistente presenza del pensiero tradizionale. Quest'ultimo aveva gÌà criticato il positivismo, il razionalismo e l'agnostiçismo (Esquiu, Estrada, Falorni, Rios), ma esiste una seconda penetrazione del positivismo che si può considerare tardiva: Fiorentino Ameghino ( 1854-19ll), sulla linea dell'evoluzionismo di Haeckel, propone una cosmologia evoluzionista. Il positivismo comtiano si mani­ festa invece in Pedro Scalabrini ( 1848-1916), che passò dall'eclettismo al positivismo ed ebbe notevole influsso attraverso la Scuola Normale di Pa­ rana ; inoltre Maximio Victoria ( 1870-1934) e altri come Victor Mercante, Leopoldo Herrera e Alejandro Carbo influiscono nell'organizzazione del­ l'educazione ; questo movimento raggiunge un certo livello in Alfredo Fe­ rreira ( 1863-1938). Il positivismo scientifista (piu vicino al positivismo an­ glosassone e italiano) si manifesta a B uenos Aires nel biologismo di Carlo� Octavio Bunge ( 1875-1918), Rodolfo Senet ( 1872-1938) e un numeroso gruppo

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di scienziati e medici. La filosofia sociale positivista (Spencer, Comte, Le Bon, Taine) ha notevoli rappresentanti in Francisco Ramos Mejis (184.71893), José Nicolas Matienzo (1860-1936), Ernesto Quesada ( 1858-1934), e in )osé Maria Ramos Mejis ( 1849-1914) con la sua psicopatologia sociale lombrosiana, Alfredo Colmo, Lucas Ayarragaray e l'cc umanesimo laico >> di Agustin Alvarez ( 1857-1914). Anche il positivismo penale, sotto l'influenza di quello italiano (Lombroso, Ferri, Garofalo), ebbe numerosi rappì:esen­ tanti (Luis Maria Drago, Cornelio Moyano, Gacitua, Osvaldo Magnasco, Norberto Piiiero, Antonio Dellepiane). Ma il piu famoso positivista fu )osé lngenieros_ (1877-1925), monista perché sostiene l'unità del mondo reale­ materiale, evoluzionista perché concepisce il mondo come processo di tra­ sformazione e determinista perché lo concepisce obbediente a leggi scien­ tifiche immutabili. Peraltro lngenieros sostenne poi la possibilità di una metafisica in rapporto a ipotesi cc inesperienziali >> ma fondate sull'espe­ rienza. Nel 1890 viene fondata la Facoltà di :Filosofia di Buenos Aires, e ormai alle porte del secolo si può sostenere che esiste una transizione supe­ ratrice del positivismo nel già ricordato Dellepiane, nel c< pessimismo pra­ tico >> di Carlos Baires ( 1869-1920), e soprattutto nella filosofia della storia di Juan Agustin Garcia (1862-1923), nel panteismo di Joaquin V. Gonzalez (1863-1923) e nella concezione ellenica del mondo del geniale scrittore Leo­ poldo Lugones ( 1874-1938). Le esigenze non risolte dell'immanentismo moderno spingeranno la critica in diverse direzioni. Senza tener conto per ora della prima critica del pensiero cattolico ( Nemcsio Gonzalez già nel 1890 ; Juan M. Garro, José M. Liqueno), una direzione trascendentale comincia con Rodolfo Rivarola ( 1857-1942) ; nel 1915, sotto l'ispirazione di Eugenio D' Ot·s, José Gabriel fonda assieme a Casares e a Pcssolano il Collegio Novecentista, antipositi­ vista. A questo punto si può inserire coerentemente il coscienzalismo kan­ tiano di Alejandro Korn ( 1860-1936), che negò la metafisica, o la strana concezione del mondo come sogno di Macedonio Fcrnandez ( 1874-1952). Nel frattempo è stata riaperta la Facoltà di Filosofia di Cordoba ( 1934), e altre ne appaiono nel Paese. In questo ambiente rinnovato si sviluppa il pensiero di Saul Taborda ( 1884-1944), il quale, superando positivismo e idealismo, concepisce la filosofia come pedagogia ; l'ideale argentino deve essere cercato nel fondo volontarista e mistico dello spirito castigliano ed è espresso nell'essenza del genio nazionale che Taborda chiama il cc facun­ dico >> (1). Ancora a Cordoba il neokantismo si apre il passo nella filosofia del diritto di Enriquc Martinez Paz ( 1882-1952) e nella filosofia sociale di Raul Orgaz ( 1888-1948), senza dimenticare Raul Martinez ( 1893-1943). Oltre a quelli di D' Ors, non devono essere dimenticati gli impulsi di Ortega y Gasset e inoltre l'influenza vitalista e bergsoniana; su questa linea appare Coriolano Alberini ( 1886-1960), il quale fonda sulla genesi del valore ( as­ siogenia) una concezione evolutiva del mondo in senso ascendente fino alla comparsa del Logos, nella personalità umana. Nel tempo stesso penetrò a fondo l'influenza del bergsonismo (AHredo Covicllo, a Tucuman), assieme ad altre forme di energetismo. Simultaneamente è da tener presente una tendenza realista a partire da Kant e da Gentile e un impulso ncokantiano (l) c< Facundico », come >, deriva da Facundo Quiroga, comunemente chia. malo Facundo, famoso caudillo delle guerre civili are:entine, nato a La Rioja e morto assassinato nel 1835 a Barranco Yago, in provincia di Cordoba.

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nella filosofia giuridica: la prima grazie al realismo critico del notevole pensatore Alfredo Franceschi ( 1886-1942) e il secondo rappresentato da Alberto J. Rodriguez e da Mario Saenz. Infine si colloca alla confluenza di Kant, Husserl, Heidegger e Kelsen la teoria egologica del diritto, di Carlos Cossio (1903). La fenomenologia, le diver;;e forme dello storicismo e l'assiologia ven­ gono canalizzati nell'attività delle cattedre di Tucuman, Buenos Aires e Cordoba. Alla confluenza di Husserl, Scheler, Hartmann, Dilthey e Rickert, Francisco Romero ( 1891-1962) propone un «monismo della trascendenza >> da uno psichismo pre-intenzionale fino allo spirito ; e un poco nell'ambito dell'influenza di Romero si possono menzionare altri nomi, come quelli di Anibal Sanchez Reulet, Riziari Frondizi, José Juan Bruera, e altri piu gio­ vani come Juan A. Vazquez, Heman Zucchi, Adolfo P. Carpio, e Victor Massuh ( 1924), il quale medita sul nesso interiòre fra la storia, il sacro, l'uomo e il fenomeno della violenza. Tornando di nuovo indietro, il proble­ maticismo storicista di Rodolfo Mondolfo (1877-1976) e l'importanza della sua attività di docente si fanrio sentire a Cordoba dal 1939 e a Tucuman dal 1948 ; ma uno s toricismo che si apre allo spiritualismo è rappresentato in Ar­ gentina dalla serena meditazione di Eugenio Pucciarelli ( 1907). Nel tempo stesso è notevole l'attenzione duratura degli argentini per il problema este­ tico ; l'estetica della Einfiihlung è esposta e interpretata all' Università di Buenos Aires da Ventura Pessolano ( 1893-1944), mentre il suo successore nella cattedra, Luis Juan Guerrero ( 1896-1956), rappresenta a mio avviso il momento di maggiore originalità nella medesima direzione. Guerrero è il creatore della «estetica operatoria n, che parte dall'analisi del compor­ tamento estetico in tre direzioni: ontologica, metafisica e « del compito » ; tali direzioni propongono l'estetica delle «manifestazioni 11, delle cc potenze» e dei cc compiti >> che costituiscono un grande edificio estetico di molto valore, impossibile da riassumersi in qu�ste brevi pagine. II superamento dell'«hegelismo >> fa nascere come problema essenziale quello dell' Esistenza nuda, sia come totalmente slegata (umanesimo ateo), sia chiusa in se stessa (pieno immanentismo), ovvero come cc dialettica n o, al contrario, esserizialmente religiosa. La prima possibilità è rappresentata da Carlos Astrada (1894-1970), il quale, partendo dall'assimilazione di He­ gel, Husserl, Scheler, Hcidegger e Nietzsche, fonda un umanesimo della libertà che si identifica con il materialismo marxista come risultato della progressiva liberazione dell'uomo dalle proprie alienazioni. Anche Nimio de Anquin ( 1896) si decide per un ontismo immanentista anticristiano. Il piu originale resta Miguel Angel Virasoro ( 1900-1966), il cui cc esistenzia­ lismo dialettico 11 concepisce l'essere come impulso e autocreazione, come libertà ; l'intuizione dell' Essere si rivela come trascendenza collaterale (in­ tersoggettiva), zenitale (progetti esistenziali) e frontale . (società), il tutto aperto a un'intuiziòne mistica finale. La fenomenologia è anche alla ·base dell'attività di Emilio Estiu (1914) e di altri piu giovani, come Luis Nousan­ Letry ( 1923), Narciso Pousa ( 1920) e Mario A. Presas ( 1933). Come si è visto finora, tutte le correnti filosofiche del mondo contemporaneo sono presenti in Argentina, acquistandovi modalità " originali come nei casi, ad esempio, del Guerrero e del Virasoro. La filosofia cristiana, la cui tradizione risale agli stessi inizi del secolo XVII, riconosce nel proprio seno una tale varietà di modalità che non ri­ sulta molto facile riassumerle schematicamente in queste brevi pagine. A

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parte i precursori, come Esqhi, Estrada e Pahlo J. Rodriguez, alle porte del secolo vanno ricordati anche Juan M. Garro ( 1847-1927), Manuel E. Rio ( 1872-1912) c altri come mons. Carlos Echenique e Julio Deheza, per me­ rito dei quali penetra il pensiero scolastico c in particolare la terza scola­ stica italiana ( Liberatore, Matiussi, Zigliara). Verso il 1890 Nemcsio Gon­ zalez ( 1866-1929) critica il positivismo penale e sostiene il tomismo come base della t·inascita spiritualista a Cordoba. Nella stessa città si compie l'im-. portantissima attività di rinnovamento tomista del padre José Maria Liqueno ( 1877-1926), specie nella psicologia metafisica e nella questione sociale. A questi precursori che insegnano a Cordoba si accompagna mons. Audino Rodriguez y Olmos ( 1888-1965), soprattutto per la sua tenace critica del positivismo nel 1918 ; e sulla stessa linea va collocata l'opera polimorfe di Luis G. Martinez Villada ( 1886-1959), che fu una sorta di istituzione a Cordoba. Intanto un pensiero mistico che tenta il recupcro del sacro nella metafisica c d è maurrassiano in politica si sviluppa grazie a Rodolfo Mar­ tincz Espinosa ( 1894-1953); a Cordoba il tomismo annovera anche i nomi di :fra Mario A. Pinto ( 1900), di Manucl del Rio che tratta il problema derla libertà sotto l'influenza di Maritain, e di altri quali Filemon Caste­ llano ( 1906), Héctor Luis Torti in psicologia, e il medico tomista Ramon Brandan ( 1891-1968). Cosi come Pcssolano e Gucrrero rappresentano l'esle· tica a Buenos Aires, a Cordoba propone una estetica architettonica, influen­ zata dalla Einfiihlung ma assunta dal tomismo, Angel T. Lo Celso ( 1900). La filosofia tradizionale ha aspetti strettamente tomisti in Alberto Garcia Vieyra, che propone una filosofia delfeducazione sotto la direzione di San Tommaso, c con maggiore apertura verso la fenomenologia in Francisco W. Torres. A Cordoba però conservano vigore il suarismo c la filosofia cri,stiana d'ispirazione agostiniana. In effetti Alfredo Fragueiro {1900), già professore nelle Facoltà di Filosofia c di Diritto, ha nuovamente presentato, con grande umiltà, una filosofia di ispirazione suarista, applicando la teoria delle quattro cause alla spiegazione del diritto e costruendo una filosofia del diritto in base all'analogia dell'atlrihnzione intrinseca, il che gli ha per­ messo di criticare efficacemente le tendenze immanentiste nella filosofia giu­ ridica. La filosofia cristiana di ispirazione agostiniana ha avuto il suo si­ gnificativo rappresentante nel compianto Emilio Gouiran ( 1909-1955), spi­ ritualista pascaliano e blondeliano. Gouiran era francese cd era stato se­ gretario di Blondel. Lo scrivente ha definito il suo pensiero un interiorismo realista, come asse da cui devono emergere tutte le istanze della filosofia. Entro la tradizione culturale della città di Tucuman, con influenze in tutto il Nord dell'Argentina, appare il neoplatonismo cri.�tiano di Alberto Rougés ( 1880-1945), il piu importante filosofo argentino del primo tren­ tennio del secolo presente. Superando meccanicismo e fenomenismo, la vita spirituale si au tocrea ( libertà), e mentre la realtà fisica non è suscettibile di gradi, questi esistono nella vita spirituale (gerarchia) : a un estremo la realtà fisica (istante) e all'altro l'eternità (presente), c fra le due le vite spirituali reali o possibili aperte all'« oggi JJ eterno, doYe non c'è pia filo­ sofia. Nella stessa Tucuman rinasce il tomismo nell'opera di Sisto Teran, e appare inoltre il realismo i,ntztitivo di Benjamin Aybar ( 1896-1970) che parte dall'intuizione preconcettuale, alogica, premetafisica, prepsicologica del mio esse spirituale (che Aybar chiama esseità) come dinamismo ad alium, fondamento di tutto un sistema filosofico cristiano di notevole pe­ netrazione e originalità. Sempre a Tucuman, si può ricordare anche \Verner

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Goldschmidt c il contributo alla filosofia dell'arte del p. Mario Petit de Murat (m. nel 1971), nell'interno di uno stretto tomismo. Sempre entro il tomismo, ma applicandone i principi ai gradi del sapere giuridico e alle immagini storiche dell'uomo, si svolge il pensiero di Edgardo Fernandez Sabaté ( 1926). Hanno inoltre spicco l'acuto senso critico anselm.iano di Adalberto Villecco (intorno al problema dell'ateismo) e l'insegnamento di José Maria Cigiiela e d'altri rappresentanti del pensiero tradizionale nel Nord del paese. Gli antecedenti della scolastica a B uenos Aires risalgono al secolo XVIII, quando si insegnava il tomismo nel Reale Collegio di S an Carlo, e al XIX, con J osé Manuel Estrada. Strettamente legati sono i nomi di Tomas D. Ca­ sares, Carlos Saenz e César Pico : il primo è l'ani� a dei Corsi di Cultura Cattolica ( 1922); il secondo incarna la prima epoca della rivista cc Criterio » ( 1928). Il pensiero di Tomas D. Casares (n. nel 1895) è caratterizzato dalla subordinazione del diritto alla morale e dalla convinzione che la gerarchia delle attività dello spirito (azione-conoscenza-fede) implicano la preminenza dell'ordine speculativo. Il tomismo diventa un vivo dialogo con le istanze della modernità nel pensiero e nell'attività di César Pico ( 1895-1966). In questo momento si rende avvertibile l'influenza di Maritain c di Garrigou­ Lagrange, sebbene in taluni polemicamente, per la reazione di molti catto· lici nei confronti dell'atteggiamento assunto da Maritain davanti alla guerra civile di Spagna. Proseguendo l'opera di Casares, sotto l'influsso di Maritain e di Garrigou e partendo dalla critica di diverse istanze del pensiero mo­ derno, Octavio N. Derisi (n. nel 1907) diventa il tomista di maggior rilievo delJ'America Latina, non solo per la rigorosa sistematicità della sua opera, ma anche per l'estendersi della stessa a tutti i problemi filosofici e per la sua influenza in Argentina e nel resto dell'America ispanica e portoghese. Oltre a esporre i temi fondamentali della filosofia tomista, il Derisi ha di­ mostrato che il Sein heidcggeriano punta verso l'esse tomista, ancorché obnubilato dal metodo fenomenologico ; in ogni caso, non solo non esiste una dimenticanza dell'essere in San Tommaso, ma l'esse e l'essenza sono reali principi dell'essere reale mediante la partecipazione. In tale direzione si muovono le indagini di estetica di Fernando Garay (m. nel 1943), quelle di filosofia politica di Benito Ra:ffo Magnasco (n. nel 1908), di gnoseologia di Abelardo Rossi e di metafisica di Gustavo E. Ponferrada. Sia l'estetica che l'antropologia tomiste si aprono il passo nell'opera ricca e suggestiva di José M. dc Estrada (n. nel 1915), nonché in altri, come Carlos Bertac­ chini (l'artista cristiano c la donna), e nella « discesa e ascesa dell'anima attraverso la bellezza >> dell'insigne scrittore Leopoldo Maréehal ( 1900-1970). D'altra parte, come già si è detto, al momento della crisi dell'immanen­ tismo hegeliano restava nuda l'esistenza singolare ; quando codesta esistenza è concepita come re-legata, appare Kierkegaard col suo cc fratello» argen­ tino Leonardo Castellani (n. nel 1899). Un fermo atteggiamento di difesa della politica cristiana, accompagnato da un'instancabile polemica co�tro i pericoli dell'immanentismo fino al marxismo, ultima tappa della scristia­ nizzazione del mondo, è quello del p. Julio Meinvielle (n. nel 1905). L'Ar­ gentina è ricca di sintesi di filosofia politica, come quella straordinaria di Arturo Enrique Sampay (n. nel 1910), fedelissimo all'ortodossia tomista nella sua teoria dello stato ; invece adotta un certo machiavellismo politico Ernesto Palacio, mentre l'influsso di Maurras è molto evidente nel pensiero coerente e solido di J aime Maria de Mahieu. Cosi, mentre la cc destra » ha

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gli sviluppi piu ricchi, Jorge Garcia Vcnturini si sente preoccupato dall'ac­ celerazione della storia che apre la possibilità all'uomo di una nuova storia. Ancor piu lontano o piu vicini alle piccole cose, altri scrittori cattolici scendono a patti ora col marxismo ora col « peronismo n , spinti forse da un sempre frustrato desiderio di potere. A parte ciò, in Argentina si com· piono anche ricerche di storia della filosofia cristiana, talora ad alto livello, come nei casi del già ricordato Derisi c di Quiles, Sepich e Maria Mercedes Bergada nella storia della filosofia medievale. D'altra parte la lunga tradizione gesuitica che diede vita all'Università di Cordoba nei secoli XVII e XVIII riappare nelle Facoltà di San Michele di Buenos Aires, in cui tutta la filosofia viene ripensata d a una prospettiva suarista, per merito di Antonio Ennis (m. ncl 1947), Enrique B. Pita ( m. nel 1956), Orestes Bazzano e Juan Rossanas. Ma il culmine di questo movi­ mento è oggi nppresentato da Ismael Quiles (n. nel 1906), che ·fa risalire tutto a un'esperienza metafisica prima data nell'atto di massima interioriz· zazione che Quiles non può chiamare « esistenziale n bensi « in-sistenziale JJ : prelogica onticità che, oltre che esperienza unica, è conoscenza e realtà è necessità dell'Assoluto. Di qui parte tutta la filosofia in-sistenziale di Ismael Quiles. Finalmente, fra i teologi e i filosofi formati a San Michele, vanno ricordati gli antropologhi cristiani Joaquin Aduriz e Fernando Boasso, e altri meno importanti o ancora molto giovani. Nel Litorale argentino e nel Sud, sostiene un energico nazionalismo cattolico J ordan Bruno Genta; sal­ tando una generazione ricordiamo un giovane, Raul Echauri, secondo il quale lo sforzo speculativo di Heidegger rinnova la nozione tomistica del­ l'esse. A Bahia Bianca, il p. Osvaldo Francella ha scritto un'opera di vasto respiro nel campo della gnoseologia; Hector Delfor Mandrioni si è dato a conoscere. con una meditazione sulla vocazione dell'uomo. A Cuyo, la regione occidentale dell'Argentina addossata alla Cordigliera delle Ande, si sviluppa la riflessione metafisica di Juan R. Sepich (n. nel 1906), già professore a La Plata e a Buenos Aires, che con grande sforzo e merito speculativo so­ stiene la necessaria ricostruzione dell'Occidente attraverso una metafisica analitico-categoriale che parta da un'acuta esegesi di Aristotele. Appunto a Mendoza hanno insegnato i filosofi spagnoli Angel Gonzalez Alvares e An­ tonio Millan Puentes, nonché altri argentini come Guido Soaje Ramos e Juan C arlos Silva. Quest'ultimo ha pubblicato saggi speculativi assieme al­ l'insigne ricercatore di storia del pensiero argentino che è Diego F. Pro ( n. nel 1915), il quale sta elaborando una storia delle idee in Argentina attraverso la periodizzazione generazionale, atta, a suo parere, alla scoperta della struttura dinamica della cultura nazionale. Nuove sintesi spiritualiste sono possibili, non piu tanto a partire dalla tradizione scolastica, bensi dagli stessi presupposti della crisi dell'imma­ nentismo. Cosi sotto l'influsso simultaneo della mistica orientale ( della quale era dotto conoscitore) e della mistica cristiana, Vicente Fatone ( 1903-1962) pensa che la passione di Dio sia la passione dell'uomo come contatto, sia del filosofo che del poeta, con l'unico Mistero .. A questo si avvia l'uomo lungo le strade del filosofo, dell'asceta, dell'apostolo, che ci conducono al «nulla eterno n . In modo diverso Angel Vassallo ( n. nel 1902), conoscitore di Blondel, Kierkegaard, sant'Agostino e Pascal, parte dalla cc vigilia JJ spi­ rituale che è partecipazione dell'essere (soggettività), che implica la pre· senza dell'essere infinito. Dalla soggettività finita dobbiamo passare all'inog· gettivabile trasccndenza infinita. Si dimostra cosi la presenza di uno spi·

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ritualismo prossimo a Kierkegaard e a Marcel, ma con caratteri propri, come accusano anche la sottile riflessione estetica di J osé Antonio Garcia Martinez e il personalismo morale di Rafael Virasoro {n. nel 1906), pros­ simo al personalismo di Max Scheler che ha profondamente influenzato il suo pensiero. Per Virasoro esiste .un'intuizione a priori dei valori e un modo di preferenza, la vocazione individuale, che è nel fondo amore; per­ sona e vocazione si identificano e fondano la comunione con il prossimo. Da cotesto nucleo centrale si spiegano le possibilità di sviluppo del pen­ siero di Virasoro. Su una linea non lontana si muovono lo spiritualismo di Luis Farré {n. nel 1902), un certo esistenzialismo cristiano di Miguel He­ rrcra Figueroa {n. nel 1915) e la ricerca di un « nuovo pensare ll di Emilio Sosa LOpez {n. nel 1921). Passando alla filosofia della natura, alla logica . e filosofia delle scienze, prima ha una lunga tradizione fin dagli insegnamenti dei Gesuiti a Cor­ la doba (secolo XVII ); nella stessa città dobbiamo ricordare i nomi di Juan Carlos Cervi, legato alla sua critica della disontologizzazione della scienza, di José Alvarez Lopez, e dei gesuiti di S an Michele, come Juan Bussolini e Ricardo Cocito. È ancora legata a un certo positivismo biologico, a Cordoba, la filosofia dell'organico di Alberto Cirelli ; a Buenos Aires invece Juan E. Bolziin fonda su un rinnovato tomismo la filosofia della natura. Tornando indietro di qualche anno, Benjamin Taborga (1889-1918) intese fondare un >,

Tucumiin,

19. ALBERTO RouGÈs Le gerarchie dell'essere e l'eternità

Se riusciamo a penetrare nell'intimità della vita spirituale o ani­ mica, constateremo che il carattere essenziale di essa è la coesistenza, in qualsasi momento la si consideri, di un passato che sopravvive e di un futuro che si anticipa. Futuro e pasE.ato nascono e crescono uniti, formando un tutto indivisihile, una totalità successiva, nella quale am·

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bedue si determinano reciprocamente. La vita spirituale possiede dun­ que in ogni momento una dimensione del tempo, ossia una temporalità, che è ciò che rappresenta la sua interiorità. Non si può mai sorpren­ derla priva di detta dimensione, a differenza dell'accadere fisico che ne è privo o ve lo si consideri solo in un dato istante ( ... ). La realtà fisica o esterna si trova perciò irrimediabilmente reclusa nell'istante in cui si trova, condannata a non possedere mai attualmente un pas­ sato né un futuro. In altri termini : il suo presente è solo un istante, a differenza di quelio della vita spirituale che è padrone in ogni istante di un passato e di un futuro piu o meno ampi. Per questo è lecito affermare che la spiritualità, al contrario della realtà fisica, partecipa sempre, in maggiore o minor grado, dell'eternità. La filosofia di Bergson viene ( . ..) in appoggio alla nostra tesi, sebbene apparentemente la contraddica, giacché anche in essa la so­ pravvivenza del passato caratterizza la spiritualità, anche nei casi in cui sembra che la si attribuisca a una realtà fisica. D'altronde quando Bergson ha cercato di precisare la distinzione fra il corpo e lo spiri­ to, in Matière et Mémoire, ha situato il corpo nel momento attuale (p. 150), nella linea di demarcazione fra il passato e il futuro (p. 62), in un taglio e nel divenire ( 165), vale a dire nell'istante attuale. E ha visto nella sopravvivenza del passato, nella memoria vera, la cosa caratteristica dello spirito ( 68, 165) ( . . . ). lnsomm� il passato sopravvivente, il passato at�uale, non può essere una realtà fi. sica, una realtà spaziale. E ciò appunto perché, d'accordo con la nostra tesi, i momenti dell'accadere fisico non possono coesistere, si escludono vicendevolmente. Chi si rappresep_ta la realtà fisica dotandola di un passato attuale, la concepisce come una realtà spirituale. L'anticipazione del futuro si trova nello stesso caso della sopravvi­ venza del passato ; caratterizza come questa la vita spirituale ed è impossibile nella realtà fisica. Essa manca nella rappresentazione di Bergson. ( . . .) Comproveremo che nella realtà fisica l'essere, cioè l'identità nel tempo di essa, è incompatibile con l'accadere, sicché le concezioni di detta realtà devono scegliere, per essere adeguate, fra un essere senza accadere e un accadere senza essere. Tale principio è valido nelle due concezioni fondamentali che, da quando si è iniziata la riflessione filo­ sofica, si disputano il dominio del sapere del mondo esterno ; conce­ zioni che hanno trovato la loro piu precisa espressione nel mcccani­ cismo e nel fenomenismo scientifici della nostra epoca. Nella spiritua­ lità invece non esiste questa incompatibilità fra l'identità nel tempo e l'accadere ; ambedue si conciliano in una unità superiore, giacché la vita spirituale prolunga il suo passato fino al presente e anticip a in parte nel presente il proprio futuro. La vita spirituale va creandosi

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da sé, senza perdere perciò la propria identità, senza cessare di essere la stessa, a differenza della realtà fisica che non può essere la ste�sa se non a costo di restare invariabile. Il Maritain non percepisce questi caratteri della vita spirituale quando vede nella memoria, senza distinguere se questa allude alla realtà fisica ovvero alla spiritualità, l'immagine di ciò che piu JWn esiste, e quando considera assurda la sopravvivenza -del passato. Di conseguenza il cambiamento, l'accadere, è per Maritain un cessare di essere per essere un'altra cosa, il c4e non è vero ( ... ) se non per quanto riguarda l'accadere fisico ( ... ). Quel filosofo non vede dunque, in questo caso, l'accadere il cui passato non perisce e l'essere che non esclude l'accadere, che non ha bisogno di rimanere invariabile per non perdere la propria identità. In altri termini, Miuitain vede in questo caso l'essere e l'accadere fisici, ma non vede l'essere e l'acca· d ere spirituali ( ... ) . Una volta determinata la natura delle due realtà, quella fisica e quella spirituale, ci sembrerà evidente che la prima non può dar ra· gione della seconda, nonostante un radicato pregiudizio in contrario. L'accadere il cui passato perisce, che è incapàce di conservare il pro­ prio passato e di anticipare il proprio futuro, in altre parole l'accadere fisico, non può spiegare la sopravvivenza del passato e l'anticipazione del futuro della vita spirituale. O in altro modo, l'accadere i cui . momenti non possono co esistere Jion può dar ragione della coesistenza dei momenti dell'altro acca·dere, quello spirituale. Nemmeno può darla l'essere fisico, il cui carattere essenziale è l'invarì.abilità, l'assenza di momenti successivi, di ogni accadere, di ogni diversificazione tempo· rale. La vita animica o spirituale può possedere, consciamente o incon­ sciamente, in maggiore o minor grado, una parte maggiore o minore della pr_opria esistenza e della realtà vivente di cui questa forma parte. In altri termini il presente ·della vita spirituale può essere piu o meno ricco, piu o meno padrone del passato e ·del futuro, del senso che questo darà a quello. In questo, dalla dimensione temporale del suo passato, dipende la gerarchia di ogni essere nella scala degli esseri, il grado della sua capacità di creare, della sua libertà. A un limite estremo di codesta gerarchia sta la realtà fisica, priva di dimensione di tempo, il cui presente non comprende che un istante, per cui non è suscettibile ·di gradi. All'altro estremo sta l'eternità, il presente maEi­ simo, che abbraccia tutto il passato e tutto il futuro, tutta la diver­ sità temporale. Fra i due estremi si trovano tutte le vite spirituali e animiche, tutti gli esseri viventi reali o possibili. A mano a mano che la dimensione temporale del presente di questi è maggiore, piu rap·

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presentato è in esso il divenire dell'universo, dato l'intimo nesso degli esseri viventi con questo. Queste gerarchie dell'essere scandiscono l'ascesa della vita, indicano la via dell'intenzione suprema che questa realizza o frustra in ogni momento. In altri termini, la vocazione suprema di chi vive è l'eter­ nità. Lo sappia o meno, per questa si affanna, soffre, sente ango­ scia. Avvicinarsi all'eternità è la sua vittoria, allontanarsi da essa la sua sconfitta, la sua caduta verso il presente istantaneo, senza passato né futuro, verso l'accadere cieco e fatale della realtà fisica. Ma la vita non può cadere cosi in basso, possiede sempre una dimensione di tempo, partecipa sempre, in grado maggiore o minore, dell'eternità. Quanto piu vicina di questa si trova, tanto maggiore è la sua gerarchia. Gli esseri che piu passato e piu futuro vivono nel proprio presente, sono i piu coerenti, capaci di orientarsi a piu lunga distanza e a piii lungo tempo, tempo che eccede di molto i limiti dell'esistenza j , , d iYi­ duale e comprende quella della realtà vivente di cui essa fa parte, come chiaramente si può vedere nella sollecitudine dei padri per i propri figli. Nella sfera dell'umano, la sopravvivenza del passato e l'anticipa­ zione ·del futuro rivestono forme coscienti, essendo appunto l�;I coscienza una visione nel tempo. Siamo noi esseri viventi che possiamo orien­ tarci a maggior distanza e per piu lungo tempo, che siamo giunti piii lontani lungo la via aspra cd erta dell'eternità. Ma alcuni sono saliti piu in alto di altri, e alcuni invece sono scesi. Le vite umane di mag­ gior gerarchia sono orientate a un raggio di tempo piu ampio delle altre, vivono piu che il loro punto di vista, quello della società a cui appartengono, quello dell'umanità di cui questa forma parte, e in definitiva - se è lecito esprimersi cosi - quello della divinità, che è la gerarchia piu alta di tutto ciò che vive. La rappresentazione della propria morte non ha - almeno per quelle vite - la decisiva impor­ tanza che attribuisce loro Heidegger, da to che il loro pre!icnte ab­ braccia un tempo considerevolmente maggiore di quello della stessa loro esistenza. Essi non sono esseri per la morte, per la loro stessa morte, secondo la concezione dell'esistenza umana di quel filosofo. Sono esseri per la loro patria, o per l'umanità, o per la divinità, sono gli esseri umani che piii vivono neH'cternità, che piu partecipano di essa, eter­ nità che essi in certo modo anticipano nella loro >, dice una lirica rifatta . Ma il merito di aver superato il positivismo spetta a J osé V asconcelos ( 1882 -1959), con la sua conferenza intitolata Don Gabino Barreda y las ideas contemportineas � ero e proprio manifesto intellettuale - tenuta durante le celebrazioni del centenario della nostra indipendenza ; e ad Antonio Caso ( 1883-1946) con il suo corso di conferenze sulla filosofia positivista, tenuto nella « Escucla i\"acional Preparatoria ll nel 1909. I due filosofi, appartenenti alla genera­ zione dell'> , danno al Messico il suo culmine filo­ sofico. Con loro entriamo propriamente nelle correnti universali del pen­ siero. > dell' Università di Nuevo Leon, la > ESTETICO Cosi come nell'a-priori intellettuale abbiamo sostenuto l'inconve­ nienza di separare forma e materia, sensibilità e giudizio, sostenendo che il giudizio è sempre estimativo, nell'a-priori estetico è necessario esaminare il contenuto integro degli elementi e non solo le loro forme. Sono le forme dell'a-priori estetico, melodia, armonia e contrappunto ; ma a queste forme corrisponde sempre un contenuto affettivo, una sostanza sentimentale. Come distinguiamo questa sostanza, questo con­ creto sentimentale dal concreto materiale esteriore che è la base della sensazione ? Non abbiamo bisogno di inventare, cosa che potrebbe ri­ sultare arbitraria, e ci farebbe attenere a quello che insegna la psicolo­ gia. Questa distingue tra sensibili�à e affetto, percezione materiale e sen­ timento nella maniera seguente : la sensibilità si trova predisposta alle percezioni primarie : colore, tono, gusto, dolore ecc. ; l'affettività si trova predisposta al sentimento di gradimento o di sgràdimento : pia-

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cere, dolore, gradimento e sgradimento. La novità, il raggiungi­ mento di un processo vitale che si sviluppa melodicamente corrisponde al godimento : un'esperienza vitale semplicemente armonica produce quiete che compiace ma non soddisfa ; solo nel contrappunto c'è eu­ foria dello spirito. Gli stati d'angoscia si pro-ducono quando 'il vivere sta in crisi drammatica ; in essi non vi è bellezza, né essi rientrano nell'estetica ; costituiscono conflitto che può risolversi in liheraz;•me e bellezza, può terminare in bruttezza. Il senso di orientamento

Il senso d'orientamento è un elemento dell'a-priori. Serve alla co­ scienza per coordinare le cose, le strutture e muoversi all'interno dei complessi. Dispone le cose. Principio piu importante di tutte le sue funzioni perché combina nello stesso tempo l'intelletto, la volontà e il gusto ; dispone sistemazioni spirituali, è armonia vivente, superiore al semplice equilibrio degli atomi in fisica. L'a-priori dell'analogia

Il senso d'orientamento opera per analogia. Si vale dei simboli e delle metafore per avvicinarci al mondo dello spirito e alla sua realtà. Il suo funzionamento è interno, penetra la qualità e d è ri­ colmo di tempo. Dall'identità, l'esistenza del mio essere, la mia co­ scienza, deduco per analogia l'esistenza di altre coscienze e l'esistenza di Dio ; per affinità e analogia, cosi come la carica negativa presup­ pone la carica positiva nell'azione e nella reazione delle strutture ato­ mico-elettromagnetiche. In tutto ciò non vi è nulla di astratto ma anzi tutto è realismo puro ; pensiero dal concreto al concreto, da essere ad essere e di ogni cosa come essere. Cosi Dio non è alcun oggetto, ma il soggetto per eccellenza, il soggetto assoluto. Con l'ana­ logia accostiamo cosa con .cosa, nella poesia ; essere con essere attra­ verso la simpatia e l'amore. Il simile è la forma propria dell'argo­ mento d'analogia. Studieremo phi dettagliatamente l'analogia nel considerarla come metodo speciale di conoscenza. Struttura e organismo

Una struttura è il complesso di fattori indispensabili per integrare un elemento semplice o complesso ; gli elementi astratti sono semplici ; la loro struttura è composta di fattori mentali ; per esempio, il giu­ dizio logico, costituito da soggetto, copula e predicato. Il concreto è sempre complesso ; ma i suoi fattori, i suoi elementi sono semplici ;

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gli elementi dell'atomo, considerati dal punto di vista dell'energia sono : elettrone e protone. Gli elementi della cellula sono concreti, e cioè : nuclei e periferia ; successivamente gli elementi della coscienza sono ancora una volta astratti, o per meglio dire invisibili e mentali, sentimentali e cioè : idee ed emozioni. Per dare connessione c coe­ renza alle strutture ed agli elementi, concepiamo quello che si chiama organismo ; l'organismo non stabilisce solo connessioni ; la sua realtà è inoltre attiva, nel senso che dà coerenza agli elementi che lo inte­ grano, come il corpo ai suoi tessuti e cellule, l'atomo ai suoi elettroni. La coscienza è il superorganismo, in relazione al fatto mentale e a .quello sentimentale, e non solo dà concretezza c coerenza ad en­ trambi, ma anche li subordina a propositi che non stanno nell'emo­ zione particolare, non si trovano nemmeno nell'idea astratta ; la co­ scienza si serve di tutto quello che sta alla sua portata per portare a termine i fini e i destini. L'indole del pensare

Con il pensiero mi trasferisco nel sole o su di una stella in un secondo, mentre la luce per compiere lo stesso percorso impiega migliaia di anni ; si dirà che non copro lo spazio intermedio come fa la luce ; e bisognerà rispondere che questo è un altro vantaggio, poiché non c'è bisogno di fermarsi per arrivare, e d'altra parte il pensiero può fermarsi a suo piacere, nel momento che gli faccia co­ modo. La luce arriva grazie al fatto che si propaga a ttraverso onde e grazie al fatto che si scompone in corpuscoli ; il corpuscolo è la massa, il concreto provvisorio ; l'onda è il salto nel cammino ( . ) ; per questo sono indissolubilmente legate la teoria corpuscolare e quella deWonda. Tutte le forze conosciute dalla fisica si propagano attraverso onde, cioè attraverso salti che fa un corpuscolo, un brano di essere che va lasciando spazi senza percorrerli allo s tesso modo della mente ma con piu lentezza. Il pensiero esercita questo stesso potere con efficacia incrementata. Che cosa sono allora lo spazio kan­ tiano o lo spazio cartesiano, estensioni che nemmeno una tartaruga si degna di percorrere del tutto come già notò Zenone? E che cos'è l'atto mentale se non la negazione dell'estensione ? salto di agilità che trova nelle ali degli angeli un simbolo piu aderente ancora di quello di Achille che sfida la tartaruga ? Questa considerazione ·del volo soprannaturale che c'è in ogni pen­ siero portò Bergson a risolvere in favore del tempo il vecchio tema di Achille e della tartaruga ; il movimento non si trascina per per­ correre punto per punto tutto lo spazio identificandosi con esso ; non finirebbe mai di fondersi nel microscopio, come in un abisso in cui .

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precipita ogni dimensione ; il tempo, sostanza dello spirito, durata della coscienza, non ha la pesantezza dell'estensione ; ma bisogna che a B ergson aggiungiamo che la coscienza non è altro che durata. Il pensiero, ala della coscienza, è una delle tappe finali nel processo della riorganizzazione della forza del cosmo nel suo ritorno al crea­ tore. Da li il fatto che la sua azione è essenzialmente ricostruttrice, sintetica, estetica. È sicuro che analizza, ma solo per lanciarsi nella sintesi ; conta sui passi ·della tartaruga, sui passi di Achille, o sui passi della mente, ma al di sopra di tutti questi ritmi e salti va l'immaginazione creatrice, piu rapida della scintilla elettrica o della luce, dato che un colpo d'occhio comprende la grandezza del cosmo. Pensare organico e teoria dei complessi

La scienza, nel riferire il fatto individuale, il caso del pensiero, a un tutto che non è astratto - non è una idea generale, non è un universale -, esegue un'operazione, un modo d'ordinamento lo­ gico che non si trova sufficientemente in'dicato nei trattati di uso corrente. La logica, fino ad oggi, si è sviluppata {lrincipalmente in estensione, per mezzo di schemi che riferiscono il particolare al generale e viceversa in modo astratto. Questa maniera di ragionare, che è propria dei matematici, non è quella della vita e da ciò pro· viene indubbiamente l'evidente divorzio tra vita e logica. Il fatto che la logica ci appaia come una disciplina di affermazioni ovvie che tuttavia deve essere tenuta in conto per l'esame di fine d-' anno per non ricordarla piu dopo, è causa di un certo discredito di questa disciplina. Vediamo che in tutte_ le grandi questioni deve starsene zitta, limitata alla sua funzione semimeccanica, semicomica (A è A e A non è B ; e se A è A, non è B). L'infecondità di questo gioco verbale richiamò giustamente l'attenzione di empiristi come Mill che credettero di trovare nell'inferenza una fonte piu feconda di verità positive. Ma come è noto il nuovo metodo che prometteva tanto, il metodo induttivo, ricad·de nella serie di esperienze e di casi comprovati, che non danno conto né della loro origine, né della loro causa, né del loro fine ultimo. E si limita alla fine alla modesta dottrina della probabilità, come supposto supremo dei fenomeni conosciuti, proba­ bilità che continueranno a ripetersi fintanto che non si verifichino circostanze impreviste e imprevedibili. Tuttavia, uno studio piu prolungato e piu profondo della na­ tura, soprattutto nel regno biologico, ci ha abituato a un tipo di pen­ siero che differisce radicalmente dal gioco parallelo e sempre astratto di induzione e deduzione - questo studio è quello della maniera

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in cui si comportano in sé e tra di loro i corpi che hanno vita - ; an· che i corpi nùnerali che non sono un insieme di atomi, come imma­ gina il pensiero classico, né oggetti inerti omogenei, come imma gina il logicismo. Da quando esiste la scienza moderna dobbiamo conce· pire la realtà prescindendo da enti logici, oggetti intellegibili, valori e altra schiuma di una metafisica che non sta né in cielo né in terra. Da quando conosciamo il concreto, come realtà analoga all'esistenza dell'io, entrambi unificati, il mondo interiore delle idee e le loro virtti, e il mondo esteriore con il suo peso e misura e colori, unificata la pluralità nella realtà della sua esistenza, noi ci vediamo obbligati a pensare le cose come realtà positive - pensando un po' come sup· poniamo che pensi Dio -, senza l'aiuto, per lui inutile, .delle fin· zioni mentali ( idee, enti, universali) ; riunendo in una sola visione il panorama intero con il suo contenuto di individualità e la sua armonia· di relazioni. Prescindiamo dal concetto per intuire diretta· mente gli esseri, lontano dalla sfera degli universali. Ci aggiriamo, con l'angelico volo della mente, fra gli esseri reali, gli uni fatti di carne e d'ossa, gli altri di struttura cellulare, e quello di cui c'è bi­ sogno per non ingarbugliarsi mentalmente nel concepirli tutti in qual­ che maniera ordinata, è un tipo di ordinamento che non ci si offre nemmeno nella predicazione, nemmeno nella dialettica ; abbiamo biso­ gno di porci piti in là del giudizio e del sillogismo e allora - come già notai nella mia Estetica spieghiamo : pensare non è ragionare, cioè non è riferire il particolare al generale per creare un mondo concettuale fittizio ; pensare in questa nuova maniera è riconoscere ogni oggetto nella sua individualità concreta, e in relazione di si­ multaneità e di separazione nel tempo ; di vicinanza o lontananza nel­ lo spazio, riferendosi a chi pensa. Cerchiamo - cosi la relazione ope­ rante che determina la posizione e il valore relativo di ogni cosa intuita, all'interno del complesso vivente, esistente. La logica biologica che rende possibile questa situazione cosciente opera attraverso un tipo di discorso che non è previsto dalla logica formale : riferisce ogni cosa ad un complesso ; successivamente, come nel caso ·dei sillogismi composti, riferisce ogni complesso a un grado superiore per valore vitale, spirituale e non come nella logica ordi­ naria, superiore per comprensione o per estensione. In questa ma· niera il massimo non si trova in nessun ùniversale ma indubbiamente nella individualità assoluta. Dio è il superessere ; essere concreto e reale, come reale e concreta è la sua creazione. Dio non è un con· cetto, atto puro, legge di una logica formale, ma la gerarchia supre· ma e il personaggio da cui dipende la famiglia cosmica. Questo tipo di pensiero conduce ad un ordine che pone ogni cosa al suo posto ; ogni cosa nella sua misura - se è di ordine corpo· -·

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reo -, e ogni cosa nel suo valòre, se è di ordine morale. Ogni cosa nella sua posizione armonica, se la consideriamo dal punto di vista estetico.

E

il complesso, che cos'è? Il complesso è nel cosmo

quello che per le cellule vive è il corpo. Il complesso si spiega come porzione di un " tutto " e il tutto è concreto e organico. (Logica organica, in Obras completas, vol. IV, Messico, 1961, pp. 568·571, 573-576)

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3. ANTONIO CASO

A Città del Messico (Distretto Federale), il 19 dicembre 1883 nasce Antonio Caso. Suo padre, positivista e liberale dichiarato, e sua madre, una donna profondamente cattolica, lasciarono nel figlio ,--- ognuno a suo modo - un'indelebile impronta. Professò un deismo filosofico, una grande am­ mirazione per Cristo e una morale senza dogmi. Nella Scuola Nazionale di Giurisprudenza riceve il titolo di licenziato in diritto, dopo aver pro­ vato, per compiacere il padre, a seguire gli studi d'ingegneria civile. Fonda, insieme ad altri filosofi e scrittori, l'« Ateneo de la J uventud ll . Nella « Escuela de altos estudios ll , da poco fondata da don Jus lo Sierra, Antonio Caso è il primo professore di filosofia. Insegna nella scuola nazionale pre­ paratoria, nella scuola nazionale di giurisprudenza e nella facoltà di filo­ sofia. È rettore dell' Università nazionale e arriva ad essere designato mi­ nistro plenipotenziario in diversi paesi sudamericani. Muore nella città dove era nato il 6 marzo 1946 : alla vigilia di cominciare un corso al « Co­ legio nacional ll sul tema « El problema de la filosofia de la hist01·ia l> . Antonio Caso fu discepolo di Ezequiel A. Chavez e di J usto Sierra. Si forma, come Vasconcelos, nel positivisrno della scuola nazionale prepara· toria. Bergson, Boutroux e Meyerson - le tre principali influenze sul suo pensiero - Io aiutano a liberarsi dagli angusti limiti del predominante positivismo. In poswsso di una vastissima cultura e di un'incredibile eru· dizione scrive opere sistematiche di filosofia c sociologia ; studi di storia della filosofia ; saggi, conferenze c discorsi. S tanno per essere pubblicate le sue opere complete. Le sue opere fondamentali sono : La existencia como economia, como desinterés y como caridad ( 1919) ; El concepto de historia zmiversal y la filosofia de los valores ( 1923 ) ; Sociologia genética y siste· · matica ( 1928) ; Positivismo, neopositivismo y fenomenologia ( 19 41 ) ; La persona humana y cl estado totalitario ( 1941). Nella storia del pensiero filosofico messicano Caso è il maestro per antonomasia. Meno originale di Vasconcelos e con minor volo speculativo, è tuttavia insegnante migliore, più compiuto conoscitore ed espositore di quello che è s tata fino acl ora la filosofia. L'intuizione è, per Caso, il metodo filosofico per eccellenza. Il suo è un esistenzialismo dell'intuizione e dell'azione che vuole servire a com· pletare i metodi intellettualisti e 1·ende1·e possibile l'instaurazione di una metafisica. La filosofia è, secondo il maestro messicano, visione integrale dell'esistente e valot"izzazio;ne di questa realtà. l\'ello sviluppo della filosofia di Caso si sono distinte tre tappe : l. an­ tintellettualismo, 2. pragmatismo, 3. dualismo. In assiologia Caso respinge il soggettivismo e l'ontologismo. I valori ' si producono nella cultura ed esistono nella societ.j : < < Cerca1·c l'essenza di un valore fuori della società - egli scrive è c,ucare l'essenza della cultura fuori della società, fuori dalla storia ; insomma è contraddirsi ll (El concepto de la historia univer· -

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sal y la filosofia de los valores, Messico, 1923, p. 84). Questo « soggettivismo sociale JJ di Caso è in fondo pragmatista. Ha valore quello che soddisfa o tende a soddisfare un anelito sociale. La verità, la bontà e la bellezza con· sistono in quello che è socialmente utile. Il capolavoro di Antonio Caso - e forse l'unica che è destinata a la­ sciar traccia nel tempo - è La existencia como economia, como desin­ terés y como caridad ( Messico, 1943). Eccone le tesi essenziali. L'attività egoistica o economica è tanto vera che spiega anche le attività appa· rcntemente non legate ad essa. L'industria umana è la definizione stessa dell'intelligenza. II surplus di energia umana fa dell'uomo uno strumento capace dell'azione disinteressata c dell'eroismo. La vita umana potrebbe chiamarsi il progressivo indeficiente. Da questa energia accumulata du­ rante il corso delle età, da questa forza eccessiva, traboccante, brillantis­ sima ; da questa insolita congestione sono sbocciati fiori imprevedibili, ve­ ramente splendidi ; e fra di loro due che sono i piu straordinari e for· mano la suprema distinzione della stirpe : l'arte e lo spirito di sacrificio. L'esistenza come carità è il iovesciamento della scala dci valori dell'esi­ stenza come economia. La legge del sacrificio è : massimo sforzo con mi· nimo profitto. L'esistenza non è solo volontà ùi vivere, non è solo istinto : è anche spirito di sac:� ficio, negazione ,dell'egoismo, buona volontà. I.a fede è la prova che, accanto al mondo retto dalla legge naturale della vita, esiste il mondo retto dalla legge soprannaturale dell'amore. Anche se la visione del mondo cristiana di Caso è, come sintesi, in­ completa e persino slegata nc1le sue p arti - con tratti divergenti e so­ vrapposti -, abbondano le intuizioni certe, le nobili difese di un cristia­ nesimo minacciato da un vitalismo ateo, i validi incitamcnti per fare della vita un'offerta oltre la vita ( « metavitale ll ).

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE l. Di Caso : Los problema,ç filosoficos, Messico, 1915 ; Filosofos y doc­ trinas morale,ç, Messico, 1915 ; La existencia como economia y como cari­ dad, Messico, 1916 ; La filosofia francesa contemporcinea, Messico, 1917 ; El conce_oto de la ley natural en la ciencia y la filosofia contemporcinea (tra d. da Émilc Boutroux), Messico, 1917 ; La existencia como economia, como desinterés y como caridad, Messico, 1919, 19432 ; Drama por musica, in e alla c< Universidad Nacional Auto­ noma de México >> . Nel 1941 acquista la nazionalità messicana. Muore a Città del Messico, l'Il luglio 1969, mentre stava esaminando un aspirante al dottorato. José Gaos è stato prima di tutto c soprattutto, maestro universitario. Ha esercitato con indiscutibile decoro altre attività parallele : pubblicista e tradutto1·e. Le università mes·sicane, cioè la cc Universidad Nacional Auto­ noma de México » , la cc Universidad Autonoma dc Nuevo Leon >> e l'Uni­ versità di Vera Cruz - in queste due ultime fu professore ospite in diverse occasioni - gli sono particolarmente grate per il rigore metodico, l'utiliz­ zazione diretta delle fonti e le tecniche pedagogiche che seppe trasmettere. Come traduttore - dal greco, dal tedesco e dal francese -, realizzò un lavoro colossale e utilissimo per i lettori di lingua spagnola, nel porre alla loro portata, soprattutto, le opere piu importanti della filosofia tedesca contemporanea. Discepolo fedele - e uno dei preferiti - di Ortcga y 'Gas­ sct, Gaos è influenzato dal suo maestro e insieme da Dilthey. Scettico nel campo metafisico, agnostico in religione, convinto della necessità di realiz­ zare - per dovere d'azione - alcuni valori immanenti all'umano, Gaos resterà nella storia dei popoli di lingua spagnola come uno dei migliori storici ed espositori di quello che è stata finora la filosofia. Il suo pensiero personale carente di v.is metafisica, non si regge solidamente e manifesta contraddizioni interne in misura non piccola, come accade a tutti i rclati­ vismi, che in fondo sono degli scetticismi. Gaos pensa che cc nella filosofia ci sono due parti : una parte che si può chiamare " fenomenologica", che riguarda i fenomeni immanenti di questo mondo c di questa vita ; e una parte metafisica, quella che soprattutto si è sforzata di conoscere scientifi­ camente l'al di là, l'altra vita, l'altro mondo >> (Discurso de filosofia, p. 13). Questa parte metafisica culmina nella teologia. Ma la metafisica - a dire di Gaos - è finita decisamente nell'insuccesso. Si tratta di uno sforzo fru­ strato per far · scicnz � degli enti oggetto della fede religiosa. Resta solo la relatività dei valori, quando li si concepisce come predizioni della vita ; c, forse, la metafisica come ragione del cuore. Le opere sistematiche di maggior impegno scritte da Gaos sono : De la fi losofia c Del hombre. Dire filosofia è dire pluralità di filosofie. Queste filosofie che non sembrano avere nessuna unità, hanno tuttavia - insolu­ bil'e contraddizione - una storia. Gaos conclude in una teoria della sto·

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ria della filosofia o - alla maniera di Dilthey - in una filosofia della filosofia. Dopo una fenomenologia dell'espressione verbale, che porta a una fenomenologia della ragione, il cattedratico ispanomessicano giunge alle categ01·ie (o concetti principali) per culmina1·e nell'antropologia filosofica, che spiega l'uomo per la filosofia e la filosofia per l'uomo. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE l. Di Ga os : Dos ideas de la filosofia, Messico, 194.0 (in coli. con Fran­ cisco Larroyo) ; Dos exclusivas del hombre. La mano y el tiempo, Messico, 1944 ; El pensamiento hispanoamericano, Messico, 1944 ; Filosofia de la filosofia y historia de la filosofia, Messico, 1947 ; Un método para resolver los problema dc nucstro tiempo. La filosofia del profesor Northrop, Mes­ sico, 1949 ; lntroducciim a el ser y el tiempo de Martin Heidegger, Messico, 1951 ; La filosofia en la universidad. Ejemplos y complcmentos, Messico, 1958 ; Confesiones profesionales, �fessi co, 1958 ; Pensamiento de lengua espanola, Messico, 19.'5 7 ; En torno a la filosofia mexicana. México y lo me­ xicano, 1952-1953 ; Filosofia mexicana de nuestros dias, Messico, 1954 ; Sobrc Ortega y Gassct y otros trabajos de historia de las ideas en Espafia y la A mérica espafiola, Messico, 1957; Museo de fil6sofos, Messico, 1960 ; Discurso de filosofia, Vera Cruz, 1959 ; Origenes de la filosofia y de la hi­ storia, Messico, 1960 ; ]ntroducci6n a la fenomenologia. Seguida de la critica del psicologismo en llusserl, Vera Cruz, 1960 ; De la filosofia, Messico, 1962 ; Del hombre, Messico, 1964. .

2. Su Gaos : A. Guv, Le langage de la caresse selon ]. G., in « Atti XII Congc. Intero. Filos », Firenze, 1960, vol. XII, pp. 197-203 ; J . SANCHEZ Vn,LASENOR S. J., La crisis del historicismo. G. Mascarones, Madrid, s. d. .

LA TRASCENDENTALITÀ DEL SOGGETTO

L'oggetto della filosofia è l'esistente, nella sua concretezza inte­ grale. Le diverse definizioni e concezioni della filosofia, espresse o pe­ netrate nelle diverse filosofie, non sono altro che differenti maniere di oggettivare tale oggetto. Queste maniere consistono in diversi mo­ di di combinare gli stessi ingredienti di tutti i « sistemi » filosofici. Tutti i sistemi filosofici, cioè tutte le filosofie compiute, perfette, non ridotte ad alcune o a d altre parti o discipline della filosofia, si integrano, in effetti, con i concetti trascendentali e categoriali, con concetti universali, generici e specifici, e per lo meno con un concetto collettivo e singolare, quello ·dell' « esistente » stesso. Che sia questo l'oggetto della Filosofia, è reso necessario dal fatto che ogni filosofia deve contenere almeno il trascendentale « esistente ». I concetti con cui si integrano le filosofie, le integrano, sià nel « concepirsi con essi », sia nel « pensarsi su di essi ». I trascendentali sono i piu astratti di tutti i concreti, per lo meno il trascendentale per eccellenza, « esistente », o « esistenza », e cosi

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è del suo oggetto, l'« esistenza » stessa, il modo della > è un'altra : nel concepir­ si come « esistente » uno si concepisce come un qualsiasi altro indivi· duo esistente, sostanziale e moda le, del trascendentale ; ma nel con­ cepirsi come membro dell'esistente, uno si concepisce come il membro individualmente unico che si è tra la totalità degli esistenti. Per dirla cosi: la concezione del trascendentale è ugualitaria dei suoi individui, come la concezione del qualsiasi universale ; la concezione dei concetti di pluralità « eterogenee >>, collettività o complessi, è tan­ to individualizzante come la concezione dei concetti individuali dei propri « membri ». La stessa esistenza non interessa tanto come esi­ stenza « in generale » , quanto come esistenza « propria », individua­ lizzata ... Biograficamente e storicamente l'uomo passa dal concepirsi come un oggetto tra gli oggetti a concepirsi come il soggetto dei suoi og­ getti, empirico o trascendentale, mosso dall'acquisizione della coscien­ za di sé riflessa, la considerazione della sua evidenza indubitabile, unica tale, la scoperta della costituzione parziale degli oggetti da parte dei concetti e la loro generalizzazione totale, il fatto dell'unificazione dei concetti - psichici o ideali - da parte dell'« io », l'unificazione intersoggettiva di quest'ultimo. Una volta che l'uomo si è concepito con questo modo, può oscil­ lare momentaneamente, biograficamente, storicamente tra entrambe le posizioni, scegliendo sia l'una sia l'altra, per motivi irrazionali, individualismo, gregarismo... Se non l'esistenza dei concetti come fenomeni diversi da quelli fisici e da quelli psichici come le emozioni e mozioni, certo la loro indole meramente psichica o la loro idealità, semhrò costitutiva di un'anti­ nomia. I concetti occupano il posto che abbiamo visto nell'oscilla.

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zione tra l'estremo dell'idealismo trascendentale e l'estremo opposto, e questa stessa occupa il posto che si è visto anche tra il concepirsi del soggetto come un oggetto tra gli oggetti e il concepirsi come il soggetto dei propri oggetti. In ragione di quèste relazioni non si troverà nemmeno sorprendente che queste due concezioni e quei due estremi sembrino essi stessi costitutivi di altrettante antinomie. A rigor di termini si tratta di una stessa antinomia, per la relazione tra i termini di ogni coppia c quelli di ognuna delle altre due : da una parte, la concezione del soggetto come soggetto dei propri og­ getti, costituiti totalmente dai loro concetti. E si pone il problema della relazione tra questa antinomia con quella dei concetti trascen­ dentali e le concezioni metafisiche, che era, riassumendo, quella delle concezioni ·della finitudine o l'infinità dell'esistente fenomenico. È fa­ cile vedere che la concezione stessa dci concetti come esistenti ideali, infiniti, è uno strumento ·di articolazione della concezione idealista trascendentale con la metafisica dell'infinità, come nella prova ago­ stiniana dell'esistenza di Dio attraverso le verità eterne. Gli esistenti ideali, infiniti, sono concepibili, o come i modi della sostanza infinita, nel panteismo, o come modi nella sostanza infinita, nel teismo. A questo antinomismo del soggetto deve volgersi l'antropolo­ gia filosofica. L'oggetto ·di quest'ultima è l'essenza dell'uomo. Que­ st'essenza è la ragione. Questa è soprattutto i trascendentali. Con que­ sti il soggetto razionale concepisce l'esistente, compreso se stesso, in una forma antinomica del soggetto. L'antinomismo dei trascendentali è opera dell'emozionalità. L'uomo è un animale di insoddisfazioni e di soddisfazioni e di un amore o odio per queste che lo spingono a desiderare la propria infinità o la propria inesistenza, cosa che induce a concepire queste ultime con i trascendentali della ragione pura e i generi della ragione pratica. ( . ..) Ma se può dare ragione teorica della sua ragione, teorica e pra­ tica, per la sua moralità non può dare ragione di sé, come l'animale razionale e morale che è, nel mondo che è oggetto della sua perce­ zione, se non con la sua ragione teorica, cioè con i suoi trascenden­ tali meta fisici, scegliendo fra questi secondo la propria . moralità, ragione che è quella teorica che può dare da quella teorica e pra­ tica ; circolo invalicabile della costituzione delJa sua stessa natura che lo forza a riconoscere questa fenomenicamente « finita » - potendo scegliere di concepirla trascendentalmetafisicamente come « finita » o « infinita », i:q. un nuovo giro del circolo che sancisce la sua invali­ cabilità. (Del hombre, Univcrsidad l\acional Autonoma de México, Fondo de Cultura Econo­ 566.567 c 573·575).

mica, pp.

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6. LUIS RECASÉNS SICHES Luis Recaséns Siches nacque nella città di Guatemala nel 1903. Studiò in Spagna fino ad ottenere il dottorato in diritto ( 1927) e il titolo di licen­ ziato in filosofia e lettere ( 1924.), dopo aver seguito i corsi del dottorato in filosofia e lettere (sezione di filosofia) nell'Università di Madrid ( 1924-1925). Fu professore ordinario, per concorso, nelle Università di Santiago de Com­ postela, Salamanea, Valladolid e Madrid. Fondatore ed ex direttore del se­ minario di filosofia del diritto e sociologia giuridica dell'Università di Ma­ drid, vicepresidente dell'Istituto internazionale di filosofia del diritto e di sociologia giuridica di Parigi, membro dell' « Academia Nacional de Juri­ sprudencia y Legislacion ll di Madrid, funzionario tecnico delle Nazioni Unite e professore nella nuova scuola ner la ricerca sociale della città di Ncw Yo;k e neiia scuola di diritto deli'università di New York. Venne in Messico nel 193 7 invitato dall' « Universidad Nacional Autonoma de Mé· xico ll a tenet·e le cattedre di filosofia del diritto e di sociologia. Attua]. mente è ricercatore a tempo pieno nell'Istituto di ricerche filosofiche del­ l'U.N.A.M. Accanto al suo infaticabile impegno di maestro e di ricercatore ha saputo trovare il tempo per tradurre opere dal tedesco, dall'italiano e dall'inglese. I lavori originali di Luis Recaséns Siches superano la settantina. Recaséns Siches, spagnolo .di sangue e per tradizione - solo per caso nato in Guatemala - prese· con piacere la cittadinanza mcssicana e fece ·suo, per cosi dire, il l\'lessico per diritto d'amore e di studio. Senza venir meno alla sua peculiare c irrepetibile personalità filosofica, ha sempre avuto per il suo maestro Ortega y Gasset una fedeltà e una deYozione veramente esemplari. All'Università di Berlino fu disce;polo dei professori Rudolf Stammler, Rudolf Smend e Heinrich l\Iaier ; nell'Università di Vienna se­ gui i corsi dei professori Hans Kelsen, Alfred Verdross, Fri tz Schreier e Felix Kaufmann ; nell'Università di Roma fu discepolo di Giorgio Del Vec­ chio. Non gli manca dunque né scuola né stile. Scrive con un'appassionata abbondanza di forme in un modo suggestivo, inconfondibilc, che colpisce. Intelletto di incredibile trasparenza, scrittore dall'elegante volontà di for­ ma, maestro di riconosciuta efficacia pedagogica, Recaséns Siches ha recato alla filosofia contemporanea in generale e alla filosofia del diritto in p_arti­ colare importanti contributi : a) l'uomo non ha né cessa di avere il libero arbitrio : l'uomo al con­ trario . All'interno della sua vasta e svariata produ­ zione occupano un posto rilevante la sua Filosofia del hombre, la sua Meta­ fisica de la muertc e il suo Ideario filosofico. Si notano, nel filosofare del Basave, prestanza, originalità e sicurezza : > (A. Mu­ fioz Alonso). Il pensiero filosofico di Basave, profondamente personale, lo porta a una nuova visione metafisica dell'uomo - contrappuntuale e ei­ neidetica - e ad una nuova e conseguente via di avvicinamento a Dio. In prosa elegante, sostanziosa e matura, ci offre le ba.si e le linee direttrici di una metafisica dell'uomo concepita come prolegomeno a ogni fenome­ nologia esistenziale. Pensiero vivido e penetrante, uso abile delle tecniche fenomenologiche c dell'analitica esistenziale, vigore c sobrietà, andatura serena e vigilante, tutto questo troveranno i lettori nell'opera di questo filosofo di razza che concepisce il suo integralismo metafisico antroposo­ fico all'interno di una filosofia come propedeutica di salvezza. Nel tema dell'uomo sta - per Basave - il tema principale e decisivo del nostro tempo c il tema capitale della filosofia di tutti i tempi. Questo tema lo ha portato a cerca1·e la concezione antropologica del Chisciotte e del romanticismo tedesco, la visione andalusa della vita e il senso della storia universale. Non si tl'8tta di un filosofo da > . Benché spagnolo di nascita, Garcia B acca è venezuclano per residenza, nazionalità e destino. Ha fatto suo il Venezucla e il Vcnezuela si vanta di averlo come citta· dino. Prova del suo vivo interesse per il pensiero del Venezuela i suoi tre volumi dell'Antologia del pensamiento filosofico venezolano. Si è soliti dividere la produzione filosofica di Garcia 'Bacca in due tappe : la fase europea e il ciclo americano. Nella fase europea figurano produzioni di tipo logistico e di filosofia della scienza, che gli hanno pro· curato una grande fama. Il ciclo ame1·icano della sua produzione filosofica si colloca sul piano della vita e mette in movimento l'uomo completo di carne e d'ossa. Dall'arido altopiano della comprensione pura, Garcia Bacca è disceso sul piano appassionato degli ultimi e piu significativi problemi della vita umana. A fianco di un'estesa produzione di opere filosofiche, figu· rano le traduzioni dci filosofi presocratici, di Platone, Aristotele, Euclide, Senofonte e Plotino. Egli riunisce la brillantezza dell'espressione, la pre· parazione scientifica estremamente cosciente e l'acntézza latina. La vita è per il filosofo ispanovenezuclano - segreto essenziale. Per il Garcia B acca ci sono quattro maniere di vivere umanamente : a) disfacendosi nelle cose ; b) disfacendosi dalle cose ; c) vivendo in se stessi le cose ; d) vivendo da se stessi le cose. Cioè : la vita umana si può vivere come « singolo >> , come « individuo » perfetto o imperfetto - e come « persona n. In ognuno di questi modi e tipi di vivere, le cose « appaiono » con una diversa e originale sfumatura di > di Caracas. Attualmente è di­ rettore dell'> (La vecindad humana, p. 32 1). I.a vici­ nanz� ( « eth,os n -permanenza) emerge dalla nostra tecnica vitale : >, non sotto quella di « comunità ». Già si avverte la gravità dell'impostazione. Naturalmente la « nostrità » an· teriore elimina dall'alto in basso l'autentico problema della storia ; so­ pravviene o discende dall'alto, « non viene elaborato » ; per contro il « noi » atomistico, lungi dal risolverlo, lo esacerba. Nessuna istanza di­ rettrice sosterrebbe l'accadere. Di fatto, si spanderebbe come un risul­ tato cieco, senza previsione né « astuzia », senza freno e sprone, senza coscienza neanche d ei suoi infecondi elementi individuali. Bisogna sfu­ mare, è chiaro, l'iperbolico contenuto in questo schema. Tuttavia, la comprensione dello storico si atterrebbe necessariamente a un concetto supremo, quello di associazione. Il possibile « concerto » di volontà rimanda allora, come fondamento, a un'istanza esteriore allo stesso storico : la forza umana di un gruppo dirigente, il potere di un prin­ cipe, il mandato di un dittatore. Sarebbe comprensibile cosi un certo dominio « in » un dato momento del complessivo tempo storico - non il dominio « di » questo momento - ; e in definitiva, nessuna « sequen­ za » dell'accadere in quanto tale, con vera facies storica. Al posto ·del progressivo autofarsi, una somma inintellegibile di accidenti. « Terza ». Tra le precedenti forme estreme rientra indubbiamente un certo compromesso : un « noi » attuante ed attuale, a suo modo primario, che non trascenda l'ambito proprio dell'individuo né si affacci con stretta funzione di « soggetto >>, quindi solo « all'interno » della mente di ognuno dove si espande per contagio spirituale. Per rendcrlo meglio concettualmente, potremmo servirei di alcune pagine - naturalmente non tutte - del pensiero di Ortega. Sceglierò per l'occasione la tesi di ldeas y creencias del 1936 nella versione -

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tedesca, benché non apparsa fino al 1942 in Spagna -. E ripeto in modo piu esplicito l'avvert imento : mediteremo a partire da essa sen· za dimenticare che lo stesso Ortega precisa la soluzione - come si ve· drà - in altra parte. Per i nostri figli, sarà solo uno strumento espli­ cativo. Secondo questa tesi le credenze « sono » « realtà >>, sempre che si conceda a questa nozione un carattere piu vasto di quello di qual­ cosa di esterno e di « circum-stanziale », e cosi entra in essa questa altra nota : una certa « intus-stanzialità ». Il reale, in questo modo, non sarebbe soltanto quanto si incontra « fuori », ma quest'altro « in­ contrare all'interno » . Non credo che Ortega avrebbe negato questa distinzione, ·dato che in fondo è stato proprio lui a stabilirla : « E questo è il sorprendente ... : che l'uomo esiste in un duplice aspetto, situato nello stesso tempo nella realtà enigmatica e nel chiaro mondo delle idee che gli sono capitate. Questa seconda esistenza è, per la stessa ragione, " immaginaria " ; ma si noti che l'avere un'esistenza immaginaria appartiene come tale alla sua assoluta realtà ». C'è di piu : una realtà strettamente materiale sarebbe di fatto quello che Ortega chiamava la « nuda realtà », la realtà nuda e in sé, senza palpito né veste umana ; cioè qualcosa di inaccessibile per definizione. Orbene, queste « credenze », benché « reali », sono interne all'uomo, immanenti alla coscienza, proprio in quanto credute. Si può quindi domandare : che cosa fonda quest'immanenza ? Si osservi che dirigono e spingono solo in quanto sono in vigore, sono « credute ». In questo senso costituiscono « oggetti » del credere assimilati come « contenuti » di coscienza. Si differenziano dagli altri contenuti, quelli fugaci, per il persistere e per il loro s tile particolare : penetrano tenacemente nella coscienza, invisibili e silenziosi, pregnanti, fino al piu pro­ fondo di noi stessi. Una volta rese intime le credenze, le assumiamo ; e pertanto, « siamo » esse stesse. Bene, ora come intendere quest'ul­ tima espressione? Piu esattamente : fino a che punto noi siamo esse ? Supponiamo in quanto « contenuti », almeno in ragione della loro origine -. Dunque la coscienza si identifica allora con il suo stesso credere : senza dubbio esse si installano nei posti di comando, funzio­ nano da sé liberissimamente ed audacemente. Di piu ancora : ammet­ tiamo senza riserve questa pienezza di possesso, e che si renda impossi­ bile nella coscienza qualsiasi margine di libertà, qualsiasi fess�ra ad un eventuale conflitto. Resterà sempre, tuttavia, il fatto stesso di un'« immediatezza » tanto s tretta. Benché a rigor di termini ormai non si possa dire che io abbia queste credenze, dato che « da esse » procedo, « sono esse stesse » realmente, esse permangono ancora, per la loro stessa immediatezza, in relazione, sono un « para-io ». Il « sog­ getto » che le assume conserva il suo carattere di supporto, in qualche modo sopravanza la sua preliminare s truttura categoriale - esatta·

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mente la struttura che ammette queste · credenze - E « sarà » esse nei vasti limiti suddetti, ma in quanto già erano « sue », ossia « proprie », coerenti, adeguate alla sua preliminare struttura di ap­ prendimento. L'uomo - che in principio potrebbe credere tutto di fatto può credere solo quello che è pertinente alla sua stessa impostazione. Serviamoci allora di espressioni piu tecniche. Benché queste credenze oltrepassino la coscienza empirica, devono accordarsi niente meno che con la coscienza trascendentale. Questa è stata e sarà l'autentico sub-jectum o fondamento di esse. Cosi intese - come contenuti, anche se « immediati » -, le credenze si siedono sul trono del soggetto, comanderanno senza scrupoli, ma non sono il « sogget­ to » stesso. A modo loro ci obbligheranno ad « essere loro stesse » nel nostro procedere ; tuttavia, resta intatto, nonostante questo, l'asse adamantino del soggetto trascendentale. « Mondi interiori » all'uomo, non « l'uomo stesso ». Senza dubbio l'intendeva cosi P Ortega di Las Atlantidas, dato che afferma : « Le categorie della mente umana non sono state sempre le stesse ». Questo riconoscimento dell'ambi­ guità razionale apre l'ultima porta del soggetto al pregnante « as­ sedio » delle credenze. Bisogna concepirle proprio come efficaci cata· lizzatrici degli schemi di apprensione, delle categorie. Se l'uomo fosse identico e universale nella sua struttura di apprensione, se il suo sistema categoriale rimanesse inalterabile - . secondo la filosofia kan­ tiana -, le credenze che noi « siamo » non trascenderebbero l'imme­ diatezza. Ma non anticipiamo. Si tratta ora di una terza forma del « noi », e suppongo che ormai si è chiarito il suo contesto con il giro strumentale della citata tesi orteghiana. Cioè è possibile rilevare una preliminare coincidenza di credibilità, adeguata all'identica struttura categoriale dell'uomo - sempre una e la stessa -, benché di carica variabile e come séguito all'accadere storico. Questo « noi » ormai non si · può definire una m era « somma », eccede essenzialmente il plurale intermonadico : sarebbe una spinta anticipata, una sintesi ori· ginaria di ogni congiuntura storica, un modulo di comportamento. In nessun modo, tuttavia, ci può soddisfare. Resta in piedi questo grave inconveniente : la conoscenza diverrebbe in questo caso relativa al cu­ mulo di credenze. E aspiriamo a superare - assimilandolo - ogni storicismo. « Quarta ». Siamo arrivati, quasi inavvertitamente, a una quarta forma di « nostrità », di fatto quella autentica. Risulta, per di p ili, l'unica capace di aprire la strada ad un superamento - dal forzato riconoscere la storicità umana - di quella deviazione chiamata « sto· ricismo ». Il « noi » da realizzare non solo gode ·dì carattere unita· rio e presenta una ferma tendenza al generale - non dico all'univer­ sale - per determinati gruppi umani, ma di fatto trascende le co· .

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scienze ; a cavallo di ogni moltitudine, funziona come « soggetto trascendentale )), È, quindi, « soggetto » ; e autonomo in quanto ge· nuino rettore : si adegua alle proprie leggi, che impone in ogni appli­ cazione possibile. Queste leggi si chiamano forme categoriali. È chiaro che un procedere cosi assoluto si fa relativo al proprio divenire, dato che impone la sua legalità al ritmo del processo perfezionatore. La nostrità è storica, prende carne come ogni accadere nel tempo. Nei limiti -di questa condizione, e proprio per questo, fino a un certo punto l'uomo potrebbe mettervi mano. E benché non sia di indole « psichi­ ca » , ma « spirituale », non ha niente in comune con « l'uomo uni­ versale nell'uomo » di Montaigne, con la bona mens cartesiana, meno ancora con lo « spirito universale » - scritto con la maiuscola -. proclamato da Malebranche nella « Decima spiegazione » della sua Recherche, dove Io identificà con Dio stesso. Detto in senso lato, il razionalismo si acceca all'inizio alla giusta visione di questo fuggevole e stupefacente atteggiamento umano, dato che parte dal presupposto dell'assolutezza. La prima intuizione della facies spirituale autentica, lungamente nascosta salvo alcune intuizioni di Aristotele, e del resto impossibile da precisare con rigore, a causa della frammentarietà e della genericità dei testi, ·doveva necessariamente procedere dal suo empirismo in intima lotta con il razionalismo. E cosi è stato, in effetti. Per ora non posso insistervi troppo. Basti indicare che fu David Hume l'indovino del caso, benché questa sua scoperta non abbia raggiunta una felice formulazione e sia stata necessaria la sua « traduzione » nella lingua tecnica - con l'inevitabile tradimento - da parte del talento paziente di Kant. E non dobbiamo meravigliarci che questa scoperta - quasi avvenuta per caso, alla cieca - passasse inavvertita per lungo tempo. A rigor di termini, la « versione » kantiana è servita piuttosto per nascondere questo curioso ente reale - la « nostrità » a profitto della clientela razionalista. Per riscoprirlo era necessaria . una critica preliminare a fondo del kantismo che non fu iniziata dai filosofi, e nemmeno ·dagli scienziati in quanto meditatori, ma avvenne per conto proprio sotto la pressione dei fatti, sotto l'impulso degli effettivi avanzamenti delle scienze. E questa critica, per di piti, si dovrebbe assimilare a livello filosofico. Chi ·meglio seppe spiegarla - in data molto recente - è stato Scheler. Tuttavia, lo ha molto disturbato quello che Ortega defini la sua « ubriacatura di essenze ». Questa sua aspirazione di assolutezza - in cui non c'erano solo pres­ sioni fenomenologiche ma anche aspirazioni religiose - è arrivata a tal punto .che la soluzione scheleriana - espressa come vedremo restò accantonata dalla sua opera. Senza dubbio per questo motivo oggi è quasi sconosciuta. Bene esplicita risulta cosi la nostra conformità con questa quarta

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forma. Conviene, di conseguenza, enumerare le sue note essenziali. Per la sua condizione di « reale », è interna al mondo, resta arroccata all'hic et nunc, respira la sua propria vita - anche se invisibile, quasi disincarnata -. Presenta, inoltre, un evidente carattere « storico », cioè con pressioni del passato e sprazzi del futuro, abbarbicata sempre a radici umane, ma in intima connessione con la sua logica propria, quella della sua vivente autonomia. In terzo luogo - e questa nota deve essere sottolineata come merita -, funziona con un modulo esclusivista, pregnante, preliminare c dirigente su tutte le specificazioni possibili di struttura spirituale negli individui subordi­ nati. Insomma, né trascendente né immanente, ma « trascendentale ». È chiaro, non alla maniera kantiana e secondo un uso che passa per classico, cioè sotto il presupposto di « natura umana », in quanto en­ tità universale valida, non solo per gli uomini, ma per tutti gli « esseri razionali in generale » , secondo un'espressione dello stesso Kant. La sua trascendentalità non impedisce che sia fluente in se stessa senza dubbio per un'oscura pressione umana, con un conto aperto al caso e alla libertà volitiva. Per dirlo con una sola parola, è « storica » nel senso forte della parola. E non è superfluo notare che cosi si garantiscono i due versanti della verità che Ortega ha sempre postulato come complementari : quello oggettivo e quello sog­ gettivo. Anche l'unità « è » diversità del mondo proprio come « prodotto logico » - E di sfuggita, toccando un'altra antica pole­ mica, fa vedere che né la storia comanda l'uomo - almeno in quan­ to potenza sovrumana - né per questo va alla deriva, come la teoria del caso e poco tempo fa lo storicismo tendevano a supporre. Anzi, tutto al contrario, l'essenziale è il « senso ». ·

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(La vecindad humana, Madrid, Ediciones

ùe la Revista de Occidente, 1969, pp. 292·297).

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3. FEDERICO RIU FARRE

Naturalizzato venczuelano, Federico Riu Farre è nato in Spagna, a Lé­ rida, il 14 marzo 1925. Arriva in Venezuela molto giovane, studia all'(( Uni· versidad Centrai de Venezucla >> ( 1950-1954), va iri Germania e vi rimane due anni ( 1954-1956) studiando all' Università di Friburgo con una borsa di studio dell'Università venezuelana. Nel 1956 diventa professore all'cc Uni­ versidad Centrai de Venezuela » . Ottiene il titolo di dottore in filosofia pro­ prio nella stessa Università di cui ora è professore titolare. Finora Federico Riu Farre ha scritto solo tre libri : Ontologia del siglo XX, Ensayos sobre Sartre e Historia y totalidad. Ha pubblicato inoltre numerosi lavori in ri­ viste nazionali e sta preparando un'opera su G. Lukacs. Nella facoltà di scienze umane dell'cc Universidad Centrai de Venezuela » ha insegnato tra l'altro storia della filosofia medioevale, filosofia della storia, introduzione al pensiero filosofico. Attualmente è professore di metafisica c dirige un se­ minario sulla filosofia moderna. Ontologia del siglo XX è uno studio - chiaro, rigoroso, comprensivo sulle diverse impostazioni dell'ontologia in Husserl, Hartmann, Heidegger e Sartre. llistoria y totalidad è una ricerca - esposizione c critica dall'in· terno - dell'idea lukacsiana della reificazione. Quest'idea è messa in rela­ zione - molto abilmente - con le idee - non meno significative - di totalità e coscienza di classe. Nello studio di Riu Farre risaltano la preoc� cupazionc storiografica, la critica alle deformazioni del ma terialismo vol­ gare, la presentazione dei principi del metodo storico di Ma1·x e, soprat­ tutto, il tentativo di fondazione ontologica del materialismo storico e l'insuccesso di questo progetto mediante la filosofia di Hegel. Ensayos sobre Sartre è una critica organica all'insuccesso sartriano di integrare l'esistenzialismo al marxismo, al modo di una fondazione antropologica. L'impostazione ontologica è ed è stata essenziale nell'opera sartriana. Nella Critica della ragione dialettica continuano i temi cardinali del­ l' Essere e il nulla. I problemi della soggettività storico-sociale in termini di progetto originale non si possono evitare, nonostante il deliberato pro· posito di eludere i concetti troppo soggettivisti e metafisici. La libertà - sembrando impostata su una dimensione collettiva, oggettiva e storica continua a prodursi all'interno del contesto soggettivista primigenio. Le no· zioni sartriane, aliene al marxismo e irriconciliabili con il sistema del DL\MAT, continuano nella Critica della ragione dialettica. Sarà possibile una fondazione della dialettica che non sia né meramente empirica né meta­ fisica? L'analisi critica che Federico Riu realizza sul tema in questione è una delle piu penetranti che si siano scritte su Sartre. ·

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Di Riu Farre : Ontologia del siglo XX, Caracas, 1966 ; Ensayos sobre Sartre, Caracas, 1968 ; Historia y totalidad, Caracas, 1968.

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PROBLEMI ETICI

L'esistenzialismo sembra ormai essere entrato, cla diverso tempo, in una fase finale ·di decisa decadenza. Il suo territorio spirituale è stato, in generale, sufficientemente esplorato e le sue possibilità di sviluppo sono state abbandonate o sono state giudicate tendenze irrea­ lizzabili. Al margine dei movimenti ormai passati, del barocchismo professorale ed epigonico, che è solito vivere e morire parassitaria­ mente in circoli chiusi, le nuove promozioni rivelano oggi una preoccu­ pazione filosofica, di tipo sociale, molto diversa da quel clima meta­ fisico, individualista, tormentato, che respirarono alcune generazioni tra le due guerre mondiali. A questo bisogna aggiungere l'evoluzione che l'esistenzialismo ha sperimentato nell'opera dei suoi rappresentanti piu importanti. Heidegger, a partire dal suo opuscolo sulla verità, del 1943, andò a poco a poco a perdersi nella nebulosa di un pensiero ultrametafisico sulla « storia · dell'essere >>, che ormai no'n conserva piu nulla o ben poco del coraggioso rigore fenomenologico della sua opera Essere e tempo. Da parte sua Sartre si è definitivamente avviato verso il marxismo, come prova il suo ultimo libro importante Critica della ragione dialettica. Nella decadenza dell'esistenzialismo, tra gli altri aspetti fondamen­ tali, si esprime principalmente il declino dell'ontologia trascendentale, come forma predominante di una certa direzione del pensiero cultu­ rale. Questo è un fatto di singolare importanza culturale. Durante piu ·di trent'anni, la riflessione ontologica ha occupato uno dei primi piani dell'attenzione filosofica mondiale. Sorta, all'inizio, come una reazione al neokantismo, bisogna vedere in essa, prima di tutto, un anelito di radicalità di fronte al formalismo logico e gnoseologico della scuola di Marburgo. Tuttavia, nelle sue tendenze piu palpitanti, in quelle di un Heidegger o di un Sartre, bisogna intravedere qualcosa di piu. Se non la prendiamo in astratto, su un piano atemporale, se, al contrario, la situiamo nelle coordinate dell'epoca; in relazione soprattutto con alcune delle sue preoccupazioni teoriche piu impor­ tanti - nichilismo, materialismo, scientismo, sentimento generaliz­ zato ·di crisi e di decadenza, ecc. -, la riflessione ontologica appare legata al problema dell'autenticità umana. In essa affiora, come ra­ dice storica e vitale, la preoccupazione umanistica per scoprire il vero essere dell'uomo, per indicare alcune delle sue possibilità genuine, in un'epoca giudicata, in generale, negativa e deformante per lo spirito. In questa messa a fuoco di una problematica tecnica e scolastica sulla questione dell'essere, con la vreoccupazione per il destino del­ l'uomo, bisogna cercare le cause della diffusione dell'ontologia, piu in là dei limiti accademici e del1e ragioni che spiegano la sua dege-

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nerazione e perversione in ontologismo. C'è un momento negli ultimi decenni in cui l'ontologia pret�nde di contaminare, come un virus, tutti i rami del sapere umanilltico, e discipline come la storia e ] n sociologia sono vittime della mistificazione che introduce in esse la riflessione ontologica, l'ontologismo, di stile prevalentemente heidegge­ riano. Ricordiamo, solo per citare un caso rappresentativo, anche se estremo, di questa situazione, il fatto che in Messico si sia tentata, in base �i dettami dell ' Essere e tempo di Heidegger, un'« ontologia dell'essere messicano ». Lo stesso Heidegger ha sviluppato questo tipo di pensiero ontologico mistificante nd suoi saggi sulla tecnica e l'opera d'arte, ed anche lo stesso Sartre non rinuncia ad esso nei suoi studi biografici su Baudelaire e Genet, lasciando da parte il merito lette· rario e l'indiscutibile brillantezza intellettuale di questi saggi. Due sono i tratti di questa riflessione ontologica sull'uomo che influiscono in modo decisivo sulla filosofia di Sartre, nel suo periodo etico. Il primo di essi si esprime nella sua definizione dell'uomo come un essere deficitario o « incompleto ». Se vogliamo precisare, in poche parole, la natura di tale ·definizione o incompletezza, basta indicare questo fatto. Per secoli, sotto l'influenza del pensiero greco e nella sua successiva versione cristiana, il filosofo pensa convinto che l'uomo possegga un essere sostanziale, con un complesso di attributi che pre· determinano, in forma generica, un senso invariabile alla vita singo· lare - sociale, politica, pubblica, e privata - di ogni individuo. Non importa ora indicare in particolare la storia della decadenza di questa concezione, che inizia e progredisce a partire dall'epoca mo­ derna e che dal punto di vista tecnico corre parallela alle vicende che attraversa il concetto di sostanza. È sufficiente notare, perché si veda il cambiamento, che se ancora in Descartes l'uomo è definito come un ente fermo e sicuro, in Heidcgger e in Sartre, al contrario, diventa l'essere piu debole e precario dell'universo. Tanto debole e precario che equivale ad una forma intermedia tra· il - nulla c l'es· sere, a una creatura per metà diluita, in permanente pericolo di spa· rizione od estinzione. Ma non crediamo che . questa mancanza di con· sistenza entitativa abbia soltanto un carattere esistenziale, proveniente dal fatto ·della nostra apparizione o sparizione gratuite nel seno del­ l'universo. È di altro tipo. Consiste nel fatto che la nostra vita, man­ cando di senso sostanziale e, pertanto, generico, resta ridotta ad un'avventura singolare che ognuno deve progettare e mantenere per conto suo, a spese della sua responsabilità e del suo sforzo. La defi­ cienza strutturale dell'uomo, che la riflessione ontologica esistenziali­ sta ha notato, si riassume nella tesi che il nostro essere è sempre piu di là da se stesso, proiettandosi intenzionalmente in avanti, in un gioco interminabile di fuga e di inseguimento che non trova riposo

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se non nella morte. È per questo che Heidegger definisce la vita come «preoccupazione » e Sartre la vede come uno sforz(l inutile, anche se costante, per dare al nostro essere, sempre incompleto, gli attributi ·di consistenza, fermezza, che posseggono gli esseri inerti che ci circondano. Insieme a questo primo tratto specifico della riflessione ontologica esistenziale, bisogna indicarne un secondo, non meno importante e chia­ rificatore, che vediamo riflesso nell'ideale umanistico della dottrina. Si rende già perfettamente visibile nella misura in cui Heidegger e Sartre concepiscono rispettivamente il negativo e deformante dell'epo­ ca. Heidegger lo intravvede nell'egemonia del mondo quotidiano e nelle tendenze tecnologiche e sc-ientiste, che oggi si impadroniscono di tutto. Sartre, da parte sua, crede di percepirlo nel dominio del determinismo, tanto di indole religiosa come materialista, e nello spirito di serietà del mondo borghese. La maniera in cui entrambi i pensatori si pon­ gono di fronte a questi caratteri negativi si possono facilmente ve­ dere con l'aiuto di un paragone. Cosi come il marxismo o il pragma­ tismo, nonostante le loro grandi differenze, programmano - uno at­ traverso la lotta di classe, l'altro con il ricorso ad una tecnologia sociologica e psicologica - una trasformazione radicale ·delle forme e dei controlli oggettivi della società, con il fine di raggiungere, attraver­ so di essa, una trasformazione parallela dell'uomo individuale, la ri­ flessione ontologica esistenzialista lascia la realtà sociale intatta e si limita a suggerire, di fronte ad essa, una strada d'interiorizzazione e di isolamento ontologico perché ognuno, in forma singolare, speri­ menti la sua realtà radicale, la sua struttura ontologica di ente sra­ dicato, piccolo naufrago scagliato senza spiegazioni nell'infinito pelago del cosmo, Ciò che con questo si ottiene non rappresenta ancora, è chiaro, nessuna trasformazione del nostro essere sociale, nessuna nuova forma di prassi collettiva. Si ottiene soltanto una risorsa soggettiva per evadere dal mondo quotidiano - sentito e respinto come mondo inautentico - e poter poi cercare, a partire dalla strut­ tura ontologica del nostro essere, suppostamente recuperata, le proba­ bili strade di un'autenticità umana fermamente agognata. Questa ri­ cerca costituisce la seconda fase del programma. Se consideriamo l'esistenzialismo sartriano da questa prospettiva umanistica, la prima cosa che si nota è che questa dottrina, appa­ rentemente pessimista, esaltatrice al massimo della finitezza e della contingenza dell'esistenza umana, è stata concepita dal suo autore, al fianco dei problemi propriamente teorici, in forma positiva, come un ricorso estremo per mettersi a confronto con l'inautenticità del mondo borghese e per superarlo. Nell'opera piu rappresentativa, L'essere e il nulla, questa preoccupazione si esprime in una forma non sempre

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percepita e adeguatamente valorizzata. Si tratta, in fondo, ·di un ten­ tativo per far retrocedere l'esistenza umana al suo punto zero, come passo preliminare ed obbligato per riconquistarla e darle un nuovo senso. l principi antropologici che l'opera mette in rilievo - la fat­ tività, la contingenza del nostro essere, il principio della libertà come sradicamento, l'idea di scelta originale, la negazione di ogni trascen­ denza assiologica - non devono essere intesi solamente come una ten­ denza ossessiva al pessimismo; alla noia o alla disperazione, ma come un mezzo eroico per far esplodere in mille pezzi l'apparente fortezza e sicurezza del mondo quotidiano. Giacché solo se si riconosce il fondo metafisico, libero e gratuito, rispetto a ogni ordine trascendente, del nostro essere, si scopre anche una base legittima per trovare una nuova forma di umanità, con nuovi fini e obiettivi. Nel caso di Sartre, questa seconda fase si imposta sul terreno etico. La grande opera del 1943, L'essere e il nulla, termina annunciando, come prolungamento e culmine della sua tematica ontologica, l'elabo­ razione di una dottrina etica. Vopera che doveva sviluppare questa dottrina non è apparsa, né apparirà. In effetti, nel 1964, in un'in­ tervista concessa a «Le monde» in occasione della pubblicazione di Le parole, Sartre dichiarava che il progetto di creare una nuova mo­ rale era già latente nel suo animo, dall'epoca della composizione di La nausea. « La mia evoluzione - aggiunge - è che ho abbando­ nato questo progetto ». Nelle pagine seguenti intendiamo mostrare che, nonostante que­ sta dichiarazione di Sartre, le vere cause di tale abbandono bisogna cercarle nella difficoltà di dare un fondamento alla nuova morale a partire dalle conclusioni ontologiche e antropologiche de L'essere e il nulla. O, a ·dir meglio : il nucleo del problema consiste, come vedremo, nel fatto che la morale pensata da Sartre non era, né poteva essere, quella che doveva nascere da quei principi. Il primo compito nel dare un fondamento ad una morale - e ci riferiamo tanto alle etiche formali quanto a quelle materiali consiste nello stabilire e nel legittimare uno speciale tipo di dovere o di convenienza per la propria esistenza, sia per motivi eudemoni­ stici, trascendentali, o per semplice amore alla verità della propria vita. Se questo peculiare dovere o convenienza rispetto al proprio es­ sere non può essere fondato, se non c'è possibilità di stabilire che cos'è che dobbiamo o ci conviene essere e perché, non c'è dottrina morale. Si tratta di una condizione teorica indispensabile, che deve essere rispettata qualunque sia il contenuto o la forma che si intenda dare alla dottrina stessa. A partire da questa esigenza si vede immediatamente che ogni etica deve supporre, fin dall'inizio, una differenziazione di stati del·

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l'essere dell'uomo e un criterio che dia a questa differenziazione un significato di valore : bontà-cattiveria, felicità-infelicità, utilità-inutili­ tà, verità-falsità, ecc. Detto in altro modo : ogni etica deve cominciare con lo stabilire un certo stato ·dell'esistenza umana, qualificato come cattivo, inautentico, imperfetto, disgraziato, ecr... per mostrare che a partire da esso e sempre con sforzo è po;;sibil� elevarsi ad nn altro stato che corrisponde a quello che l'uomo d..v., o può essere F).� condo la sua natura, i nropri fini, il vero essere, et� Non ci interessa in questo momento illustrare come si è impostata questa differenziazione di stati lungo la storia dell'etica, quali sono stati i criteri morali che si sono usati per distinguerla e quali i motivi per spiegare quella specie di forza di gravità che ci trascina verso l'imperfezione e l'errore. Per quello che riguarda l'etica sartriana, che è il nostro tema, tanto la differenziazione quanto i suoi motivi si impostano nel seguente modo, che riassumeremo a grandi tratti. Il punto di partenza dell'etica sartriana è la tesi ontologica fon­ damentale che l'uomo è libertà : un essere sra-dicato dalla massa del­ l'essere, senza ordine né ragione trascendente che giustifichino il suo significato. Partendo da tale tesi basilare, Sartre sostiene che la vita umana può adottare due forme, due atteggiamenti esistenziali, due modàlità, s�condo il modo con cui assuma la propria libertà. Può infatti orientare la propria vita verso una dissimulazione di cotesta libertà, cosa che lo porta a una forma di esistenza inautentica, ovvero può, al contrario, riconoscerla e adottarla come valore supremo, nel qual caso si orienta verso la autenticità. Nel primo caso abbiamo un tipo di esistenza o di vita che Sartre denomina in generale « spirito di serietà ». Caratteristica di tale spirito è la ·duplice credenza nei va­ lori trascendenti e nel pensare cotesti valori insidenti come qualità sostanziali nelle cose. È soprattutto la tendenza a comprendersi par­ tendo dal mondo e per mezzo di esso, dissimulando il proprio essere. Lo spirito di serietà non corrisponde solo alle forme di vita borghese, ma anche alle forme di vita ispirate dal marxismo. L'uomo , « vero n. Per tutto il libro si avverte un vero processo di « co­ stituzione oggettiva n a partire dalle strutture non e tico-noematiche, per conquistare i diversi domini trascendentali che « in base alle regioni e ca­ tegorie del campo totale della coscienza, integrano la sfera dell' " oggettività " in totale n (pp. 371-372). Ontologia del conocimiento { 1960) muove non piu dalla « fenomenolo­ gia >> di Husserl, ma dal pensare heideggeriano. Ma il problema che af­ fronta, appena prefigurato in . Heidegger, è svolto cominciando col porre a fondamento della conoscenza l'analitica esistenziale del Dasein, per poi esporre la conoscenza del mondo come esemplare dell'« essere-in >> , consi­ derare il mondo stesso come orizzonte della conoscenza c studiare il « chi >> del Da.�ein come « soggetto >> { « io >> ) della conoscenza. L'analisi scopre cosi le radici esistenziali della conoscenza e la possibilità della stessa conoscenza nel soggetto che si autoconosce; appoggia realtà c verità sull'essere nel mondo e si compie tematizzando la temporalità, l'essere, il tempo in relazione alla conoscenza. El problema de la Nada en Kant { 1965) è visto da Mayz Vallenilla dall'orizzonte del tempo. Il filosofo venezuelano cerca di pensare il Nulla dal tempo, come quello che gli dà il suo senso. E questa tcmporalità pro· pria del Nulla completa la filosofia heideggcriana dell'essere. Per raggiun-

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gere questo obiettivo esamina la quadruplice nozione di Kant sul Nulla, come ens rationis (concetto vuoto senza oggetto), nihil privativum ( oggetto vuoto senza concetto), ens imaginarium ( intuizione vuota senza oggetto) c nihil negativum (oggetto di un concetto che contt·addice se stesso). Oltre ad essere un rigoroso trattatista, Mayz Vallenilla è un agile e stimolante saggista, come nei brevi libri : El problema de A mérica, Del hombre y su alienacion e Hacia un nuevo humanismo. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Di Mayz Vallenilla : La idea de estructura psiquica de Dilthey, Ca­ racas, 1949 ; Formas e ideales en la ensefianza universitaria en A lemania, Caracas, 1952 ; Sintomas de crisis en la ciencia contemporanea, Caracas, 1953 ; La ensefianza de la filosofia en Venezuela, Caracas, 1953 ; Fenome­ nologia del conocimiento, Caracas, 1954 ; De las generaciones, Caracas, 1956 ; Universidad, ciencia y tecnÌca, Caracas, 1956 ; Universidad y humani­ smo, Caracas, 1957 ; Universidad y revolucion, Caracas, 1958 ; El problema de A mérica, Caracas, 1959 ; La formacion del profesorado universitario, Ca­ racas, 1959 ; Ontologia del conocimiento , Monaco, 1960 ; .El problema de la nada e n Kant, Madrid, 1965 ; Del hombre y szt alienacion, Caracas, 1966 ; De la universidad y su teoria, Caracas, 1967 ; Educacion y tecnocracia, Ca­ racas, 1968 ; Diagnostico de la universidad, Caracas, 1968 ; Sentido y obje­ tivos de la ensefianza superior, Caracas, 1970 ; La crisis universitaria y nue­ stro tiempo, Caracas, 1970 ; Hacia un nuevo Ilumanismo, Caracas, 1970 ; Arquetipos e ideales _de la educacion, Caracas, 197 1 ; La Universidad en el mundo tecnologico, C aracas, 1972.

PROGRAMMA DI UNA FILOSOFIA « ORIGINALE »

Compito di una filosofia deve essere que1lo di portare verso la luce - cioè illuminare - l'esperienza dell'Essere. Questa è la strada che abbiamo voluto abbozzare e i cui risultati, qualunque sia la sorte che corrano, saranno sempre i meno importanti. Infatti quello che piu im­ portava indicare era la strada da seguire per trovarli. Sia lecito dirlo, per raggiungere un accesso verso l'interpretazione dell'esperienza del­ l'Essere da parte dell'uomo americano all'interno del suo mondo. Se si riassumono i passi che abbiamo fatto si potrà veder chiara­ mente l'itinerario e la meta perseguita. In effetti, partendo dal « da­ to » che, essendo americani, nel nostro « essere » già abbiamo una comprensione dell'America ( del nostro « essere amèricani >>) - in cui si trova implicito il senso di un essere « nuovo » ( originale) del nostro « Nuovo Mondo » - subito dopo dobbiamo interrogarci sulle condizioni di possibilità di una simile « comprensione ». Cosi si è scoperto il contesto o la struttura di un complesso di atti prospettivi - la cui caratteristica basilare è rappresentata dall'« aspettativa » -

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come fondamento possibilitante di un simile « dato » di estrazione pre­ ontologica. L'« aspettativa » si rivelò allora come la radice della nostra esperienza dell' Essere e solo in base ad essa si rese possibile compren­ dere la nostra concezione del mondo, e, insieme, il « dato » di notare il nostro « essere » come un essenziale « non-essere-sempre-ancora ». Ciò venne a chiarire, e in certo modo a reiterare esistenzialmente, lo sforzo dell'uomo americano di trovare o scoprire l'originalità del suo essere piu intimo. Essendo questo qualcosa che ancora non si ha, che si avverte o si sente che sta per venire, eventuale, ma anche inesora' bile (come un « fine »), l'esistenza tende verso di esso come verso la sua piu propria possibilità di essere. Ma ciò sta dicendo che, se si assume o si concepisce come tale, questa possibilità non è una qualsiasi, o una fra molte, ma è - es­ sendo la 1.,iu propria e peculiare - quella che nello stesso tempo di­ segna il senso che imprime « autenticità » o proprietà all'« esistenza ». L o.aut:ncaiiO sa Cùh un « sapere » preontologìco, che è come dire, « crede » o « tiene in conto », che solo essendo originario raggiungerà il suo essere autentico. Una delle vie abbozzate per avvicinarsi a que­ sto stadio è sta ta ·disegnata : è l'azione. Non ci sono forse altre strade per arrivarvi ? In effetti, ce ne sono, e fra le molte che partono dalla fonte del­ l'« esistenza », forse è il « filosofare » una di quelle che hanno una piu alta dignità e gerarchia. Ma la « filosofia » da fare, se vuole essere una strada che conduca all'« originalità » - vale a dire, fino al­ l'« esistenza autentica >> - deve essere, a sua volta, « originale ». Ma cosa vuoi dire « filosofia originale » ? Ciò non porta in sé un contro­ senso nel suo concetto e addirittura un errore storico ? Effettivamente, è assurdo anche solo pensare che l'« originale » della filosofia americana possa consistere nell'ignorare, dimenticare, o disprezzare, il patrimonio filosofico che, come frutto di un arduo e permanente sforzo,-è oggi un tesoro importante ·dell'umanità. L'Ameri­ ca non può - e non deve, a meno che non assuma un atteggiamento tanto stupido quanto assurdo - concepire o credere per un momento che la sua attività filosofica possa sganciarsi dalle conquiste univer­ sali della filosofia. Se cosi facessimo, piuttosto che a « filosofare », dovremmo dedicarci a costruire caverne e tornare ai tempi primitivi. Al contrario, ogni tentativo che persegua intelligentemente l'« ori­ ginalità » deve contare sul patrimonio totale del tesoro filosofico accu­ mulato dall'uomo. Solo a partire da esso, e in base ai risultati chia­ riti da una scienza rigorosa ed oggettiva, può cominciare il lavoro ' di progettare una « filosofia originale ». Giacché l'« originalità » non consiste nei metodi - e nemmeno nell'intelaiatura formale dei concetti - ma in quello che si illumina

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« originalmente » (vale a dire, nella sua « origine » od « originarie­ là »), anche quando per questo vengono impiegati metodi, nozioni e concetti già saputi e perfettamente conosciuti. Ancor -di piu : quanto piu conosciuti e di piu riconosciuto valore siano i concetti ed i metodi che si utilizzino in simili lavori, tanto piu ciò può aiutare a che quello che è originariamente illuminato raggiunga maggior sicurezza e ri­ gore mediante le comprensioni acquisite. Una volta assicurate que­ ste ultime può succedere che, da esse, si noti la necessità di instau­ rare nuovi metodi per avanzare e penetrare originalmente nella poste­ riore conquista dell'originarietà ; o che, come si è verificato s torica­ mente, le comprensioni originarie obblighino ad una riforma totale d ell'intelaiatura dei concetti c dei significati categoriali finora accet­ tati come validi c comprensibili. Capita cosi che l'« originario » im­ pone allora una filosofia radicalmente « originale » e una rivoluzione nell'ontologia dominante. Ma che cos'è e dove sta l'« originario » che deve proporsi di illu­ minare e di chiarire la filosofia americana ? Come raggiungere un vero accesso per trova rio ? Le vie d'accesso - « metodo » in greco vuoi dire « strada >> sono, come abbiamo detto, molteplici e .secondarie, e una riflessione deve essere cosciente che esse, molte volte, dipendono dalla situa­ zione e dall'altezza dei tempi e dallo stesso oggetto che si vuole ricer­ care. In tutti i modi, senza che per questo cadiamo in un estremo dogmatismo o in una posizione di scuola, crediamo che il metodo del­ l'ermeneutica esistenziale - di chiara ispirazione fenomenologica possegga notevoli vaniaggi per iniziare questo lavoro, dato che ha la virtu di porre la .ricerca, senza altri giri, di fronte al problema chiave che bisogna analizzare. Quello che chiamiamo « problema chiave » è il recinto dove si trova conservata e coperta l'« originarietà ». Scoprirla ed illumi­ narla è proprio il compito da realizzare per ottenere le linee elemen­ tari di un vero « programma filosofico ». L'« originarietà » dell'uomo americano è coperta - e qui dovremo cercarla e scoprirla - nella sua peculiare maniera di sperimentare l' Essere. Essa si rivela e si esprime, in modo eminente, nella sua maniera di vivere la storia, forgiare le sue opere e affrontare il com­ pito di pensare. Dietro tutto questo brilla il fatto che l'esperienza dell' Essere che ha l'uomo americano accusa marcate -differenze con le tradizionali esperienze dell' Essere che hanno avuto gli uomini di altri tempi e culture. Questo vuoi forse dire che tra quelle e questa si apre un abisso di separazione insuperabile ? L'« originarietà » si­ gnifica una rottura radicale con la storia dell' Occidente e dell' Uma­ nità ? Sarebbe una stupidaggine solo supporlo. L'esperienza dell' Es-

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sere dell'uomo americano si trova imparentata con la storia dell'espe­ rienza dell' Essere realizzata dall'umanità in generale e, tuttavia, in essa si accusano tratti di un'originale « originarietà ». L'« originarie­ là » consiste nella diversa forma di « comprendere l' Essere » e, per­ tanto, di oggettivare il suo « senso » e addirittura le sue « significa­ zioni categoriali ». L'esperienza dell'essere si realizza sempre da una determinata « prospettiva » ( Vorblickbahn). Una simile istanza è quella che funzio­ na come fondamento originario di quella « comprensione ». Per questo la « prospettiva » dalla quale si comprende l' Essere nell'esperienza antologica può essere chiamata l'« origine ». Questa « origine » - co� me quella di ogni esperienza antologica è radicata nell'uomo stesso (e da li la somiglianza di ogni « esperienza dell' Essere », qualunque essa sia, greca, medioevale o moderna) ; ma, giustamente essendo l'uo­ mo sottomesso a un'essenziale contingenza di fronte all' Essere, quel­ l'« origine » può assumere modalità c intelaiature diverse lungo la storia provocando una diversa « comprensione dell'Essere » e deter· minando eo ipso la variazione del suo « senso » e il concomitante cambiamento delle sue « determinazioni >> e dei « significati catego· riali ». Qual è questa « origine » d eli'esperienza americana dell'essere? Nello scoprirlo e nel chiarirlo potrebbe radicarsi il vero programma di una « filosofia originale >>. Senza a.l cun dubbio per questo bisognerebbe tenere in conto il factum che l'uomo americano ha trovato se stesso esistente all'interno ·di un « Nuovo Mondo » e che ciò ha svolto un ruolo preponderante nell'apparizione della sua peculiare coscienza stò· rica. Ma accostare cosi il tema sarebbe ridurre tutto questo tentativo a un mero lavoro storiografico. Un simile progetto - di taglio solo storiografico e, infine, riflesso e perfino secondario - dovrebbe an­ dare accompagnato da mia ricerca piu profonda e radicale. Questa sarebbe una vera « storiologia » del nostro essere storico. Rifarsi al­ l'« origine » dell'esperienza dell' Essere, che a sua volta determina la nostra originaria configurazione storica, vuoi dire scoprire e illumi· nare la nostra > dell'uo­ mo e del mondo americani. Forse le idee che abbiamo esposto, abbozzandole rapidamente, po­ tranno servire d'incitamento per l'accurato e rigoroso studio che un simile compito reclama da noi se comprendiamo quello che significa esistere « originariamente ». (El problema de América, Caracas, Dire'ccion de Cultura, Univcrsidad Centrai de Ve­ nczucla, 1969, pp. 103-112).

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III

VALLE

CENTROAMERTCA

l. CARLOS ALBERTO SIRI

Carlos Alberto Siri è nato a El Salvador il 19 aprile 1905. Figlio di genitori di origine italiana, conclude in Italia la sua istruzione primaria e vi compie tutta la secondaria ( 1913-1919). Studia successivamente negli Stati Uniti, a Oakland e a Palo Alto in California ( 1919-1921) e a San­ tander, in Spagna ( 1933-1935). Dal 1921 scrive su giornali e riviste di El Salvador. Fin dall'inizio si nota la sua predilezione per i temi sociali. Co­ fondatore del settimanale « Criterio JJ nel 1932, diretto a promuovere una riforma sociale, continua senza interruzioni la sua lotta ideologica per 25 anni. Nel 1937 fonda a Roma una sezione iberoamericana con la rivista pubblicata in tre lingue (( Lettere da Roma >J. Partecipa nel 1940 alla (( Na­ tional Catholic Welfare Conference JJ ed entra nel servizio diplomatico di :El Salvador nel l�45. Per un quarto di secolo prest� i suoi servizi come diplomatico, fino a diventare ambasciatore di carriera. L'« Organizzazione degli Stati Americani JJ lo ha designato assistente speciale del segretario esecutivo per l'educazione, la scienza e -la cultura. Tra le sue opere emerge, per il suo contenuto filosofico, la Preemi­ nencia de la Civitas y la insuficiencia de la Polis. Non si tratta di un'opera puramente espositiva sulla filosofia politica della Grecia e di Roma, ma cli un messaggio per i nostri giorni, formulato da un pensatore cristiano impegnato che ripropone problemi - sviluppo e sottosvilupo, integrazione e dispersione, umanità e tecnologia, uomo e strumenti economici - e che giudica i problemi contemporanei attraverso l'uomo come creatore· della cultura e protagonista della storia. Si ·propone una politica di convivenza e di sviluppo e si affèrma la supremazia delle azioni comunitarie ·sugli enti politici e sugli organi dell'autorità. (( L'eros umano, lo stesso e l'unico che poi diviene cari t à , è l'amore che l'uomo ha per il proprio essere e per la propria felicità. Ciò è cosi, dovuto al fatto che, prima di riconoscere Dio e di adorarlo, l'uomo comincia col conoscersi e amarsi " ad intra " c.on un " io sono " che nel tempo precede il " tu sei " con cui poi dovrà sottomet­ tersi, nella sua conversione, al1a prima causa e all'ultimo fine di tutte le cose JJ (p. 184). La civitas si fonda su questo primigenio amore egocentrico, ma riceve la forma definitiva dal1a sua pedezione del bene comune as­ soluto. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Di Siri ; La preeminencia de la Civitas y la insuficiencia de la Polis, El Salvador, 1969 ; Hitos en el camino, El Salvador, 1969.

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CIVITAS E Pous La distinzione ontologica tra comunità e società, che noi abbiamo cercato di precisare, ci permette ora di mettere a fuoco alcuni dei corollari che ne derivano. Ci interessa sottolineare, in primo luogo, la differenza che esiste tra il fine immediato della comunità, da una parte, e quello della società, dall'altra, in quanto entrambi i fini costituiscono, rispettiva­ mente, il principio che dà ad ogni realtà in particolare il suo proprio essere specifico e la sua dinamica. Con il riconoscere che, se ci sono fini diversi, ci sono anche ope­ razioni diverse, dato che l'operazione si configura secondo il fine, come si configura la materia secondo la forma, ogni operazione essendo retta dalla sua legge immanente. Tenendo presente che, quando esistono cause diverse, anche gli ef­ fetti sono diversi, ognuno con una forma propria che perfeziona esat­ tamente quello che costituisce nella pienezza dell'essere. La conclusione a cui desideriamo arrivare tende a confermare che le entità che stiamo contemplando, la comunità e la società, diven­ tano, ormai formate, le due realtà che chiamiamo Civitas e Polis ; la Civitas, con destino suprasociale e supratemporale, stabilita dall'in­ tercomunicazione o comunione fruitiva della perfezione umana (il bene comune assoluto dell'umanità), e la Polis, supraindividuale e transitoria, stabilita con funzione strumentale per il conseguimento graduale del bene relativo della società - il fine immedia Lamentc possibile nel farsi della comunità. Il fine ultimo che reclama la natura della comunità coincide con il fine che muove universalmente i soggetti individuali che la integrano finis operantis -, per il conseguimento della propria felicità nella perfezione comune. Il fine ultimo specifico della società finis operis i10n è, di per sé, direttamente, la perfezione degli individui, ma la perfe­ zione, all'interno della cornice della giustizia sociale, del tutto stru­ mentale che essi stabiliscono - la vera pace sociale -, perché possa darsi, hic et nunc, con i mezzi possibili, adeguati e proporzionati, e con le condizioni richi�ste, il conseguimento temporale della massima felicità dei suoi integranti. Il che equival� a dire che prima di tutto il bene della comunità è il bene individuale delle parti, senza il quale non potrebbe esistere il bene del tutto che esse integra no : in éontrapposizione con il bene comune della società, che è, direaamente e primordialmentc, il bene corporativo od organico della soeietà, dal quale dipende strumental­ mente il bene degli individui. -

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Il fine proprio della comunità risulta essere, in tal forma, il bene dei generanti della società. Il fine proprio della società, in cam­ bio, risulta essere il bene specifico della macchina collettiva che sta­ bilisce la comunità - i l bene del generato. In tal maniera, il bene comune degli individui - imprescindi­ bile per il bene comune del tutto -, costituisce l'esigenza primaria della comunità, dalla quale sorge la giustizia sociale come legge suprema assoluta della società. Mentre, in senso inverso, il bene del tutto - imprescindibile per­ ché possa esistere il bene comune delle parti - costituisce l'esigenza primaria della società, da cui sorge la giustizia legale, come legge di supremazia relativa che l'autorità competente impone ai membri dell'organis� o sociale. Nel processo, la fonte ed il soggetto dell'autorità, per quanto ri· guarda la comunità, sono il potere e i diritti essenziali degli uomini in quanto persone, tutti specificamente uguali nel loro essere, nella loro autonomia, nel loro fine ultimo e nella loro dignità spirituale. Cioè il diritto ed il potere naturale dell'iniziativa umana, identica per tutti, nell'esercizio della loro operazione normale, fatto di libertà e di responsabilità, tendente all'assoluta felicità umana, suprasociale e su­ pras�orica, in quanto aspirazione infrustrabile che si ispira alla vo­ lontà di essere quello per cui, a priori, ogni uomo è naturalmente in potenza. Sul piano sociale, l'autorità sorge dalla moltitudine in stato d'indi­ genza e privazione, in ragione di quello che c'è di comune e di uni­ versale negli individ"!li che si associano razionalmente tra loro, e che cooperano e si coordinano con il fine di dare unità ed efficacia allo strumento che creano a posteriori per il conseguimento ·dei mezzi sto­ ricamente possibili, richiesti dall'ulteriore perfezionamento proprio della comunità. Dato che si tratta di un'impresa collettiva per il conse­ guimento ad extra, nell'ordine temporale, di fini intermedi possibili che tutti gli agenti richiedono necessariamente, e che non si potrebbe ottenere senza la effettiva cooperazione ordinata e senza lo scambievole completarsi di tutti, si impone la necessità di un'autorità sovrana stabilita dalla società, con diritto e potere, compreso quello costrit­ tivo, per reggere e governare esternamente i suoi membri, all'interno dei limiti e secondo le esigenze del bene comune suprasociale e supra­ storico - il bene superiore specifico della comunità -. In un'opera­ zione razionalmente artificiosa in cui la giustizia è la norma suprema, e il cui successo dipende ·dall'efficace ed ordinata coordinazione dei mezzi conducenti, il tutto secondo la capacità di disporre, di concreta­ re, di scegliere c di ordinare rettamente, propria della mente umana. Cosi sorge la Polis lo Stato -, che è la moltitudine già orga-

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nizzata e costituita in un'unità d'ordine, con efficacia propria per la promozione e il conseguimento del bene comune storico possibile. Di­ stinta dalla Civitas - la comunità formata -, che è l'unità della �;olidarietà umana, e che rappresenta la somma e l'insieme dei beni di fatto già posseduti e goduti in comune, che arricchiscono e perfe­ zionano nello stesso tempo i membri della comunità, interni ed ester­ ni, spirituali e materiali, sostanziali e accidentali, storici e suprastorici, comunitari e sociali, attuali e virtuali - in sintesi, la civiltà e la cultura, in un dato momento del divenire umano : del suo progresso infrustrabile verso il bene comune assoluto che esige ogni natura spi· rituale come ultima meta. Due enti collettivi - la Civitas e la Polis : l'uno, prodotto dell'amore estatico, contemplativo e fertile, che l'uomo ha essenzial­ mente per il proprio essere e per ogni riduplicazione del proprio esse­ re, senza altra norma che il diritto naturale ; l'altro, prodotto transito­ rio dell'indigenza e dell'interesse esistenziale degli individui umani nel processo ·del loro divenire, generato dall'operazione collettiva della so­ cietà come impresa razionale promotrice e creatrice, atta ed adeguata, per il conseguimento circostanziale di quei beni accidentali che nel­ l'ambito della vita intramondana richiede, nel farsi, la perfezione esistenziale dei suoi membri. Governata, quest'operazione, da un'au­ torità esterna liberamente stabilita e da una legge positiva razional­ mente concertata, che obbliga tutte le sue parti secondo le esigenze del bene comune sociale. Due enti, dei quali la Civitas precede e succede alla Polis, men­ tre la Polis, come la steresi nel divenire ontologico, è soltanto un elemento transitorio nel farsi della comunità, per l'aspirazione natu­ rale della moltitudine verso la sua piena perfezione - ·d estinata a sparire con il sopraggiungimento della perfezione. Con la caratteristica che la Civitas è costituita, come già abbiamo indicato, da persone individuali tutte naturalmente uguali, tutte alla pari - primus inter pares -, tutte inviolabili nella loro integrità e nobiltà essenziale, tutti fratelli per la loro origine comune, tutti figli di Dio, tutti solidali per l'intenzione naturale, infrustrabile, del loro destino eterno. In contrasto con la Polis, che è composta, in un continuo dive­ nire e cambiamento, da .cellule gi à formate da individui, da famiglie, da raggruppamenti primari, da comunità locali, ·da gruppi intermedi, da ceti sociali, da demarcazioni politiche, da una o diverse nazioni, e addirittura da Stati, tutti esistenzialmente individuati, con limiti materiali e storici ; determinati, nel loro essere e nel loro operare, da fini specifici propri, diversi nella loro configurazione e struttura­ zione, caratterizzati da multiformi relazioni, diversi in ragione delle -

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imprese comuni che parzialmente promuovono. Che richiede, nel suo pluralismo, per costituire in un solo corpo, l'unità dell'ordine, razional­ mente artificiosa in base ad un p atto e con una legge ad hoc che regge tutte le sue operazioni esistenziali ad extra, anche quando è senza giurisdizione ad intra sull'essenza dell'uomo - ; una legge inse­ rita all'interno degli imperativi superiori della Civitas, determinata immutabilmente, in ultima analisi, dal diritto naturale degli individui che integrano la comunità, che sono, in essa, l'unica causa sostan­ ziale efficiente di tutta la dinamica umana. Due realtà collettive, ognuna con il proprio e inconfondihile modo di operare : per la Civitas, J' operazione immanente ed espansiva che, basandosi su diritti essenziali comuni, promuove la piu completa diffusione ed intercomunicazione unitaria del bene umano possedu­ to ; per la Polis, quella trascendente assimilativa che, basandosi su diritti esistenziali particolari, dà efficacia all'arte del possibile, per il conseguimento del bene ancora non posseduto, ma socialmente rea­ lizzabile ed accessibile. Quella tende, da una parte, alla formazione massima della Ci­ vitas : la fruizione della perfezione universale nell'amore di tutti gli uomini, senza altre frontiere che l'umano - la comunità di tutto il mondo - ; senz'altra autorità che quella dell'uomo ; senza altra legge che il diritto delle genti, conseguenza del diritto naturale ; senz'altro fine che il suprastorico e suprasociale, della completa e assoluta per­ fezione e felicità di tutta l'umanità. La politica, dall'altra parte, incamminata verso la formazione dello Stato e verso l'organizzazione supernazionale di Stati sovrani, con fini sociali specifici, concretati nell'ordine temporale ; con motivazioni esistenziali parziali che si particolarizzano e si completano all'interno dei limiti delle nazioni c delle patrie ; con diverse idiosincrasie e moda­ lità, temperamenti e culture, strutture ed istituzioni, che sorgono dal­ l'autodeterminazione e dalla dinamica particolari degli individui e dei popoli ; con destini storici propri ; con interessi particolari e collettivi molte volte contrapposti, che si ordinano solo per cooperare tra di loro all'interno del limite dP.lla legge ·dello Stato e di quella interna7ionale, liberamente stabilite secondo le esigenze storiche del bene romune possibile - all'interno di quello che permette e dispone il diritto delle genti -, con la suprema aspirazione che regni nel mondo h pace, fondata sulla giustizia. Due modi operativi sinergetici, scambievolmente complementari, dato che quello civico ispira, dinamizza e muove la società in quanto diversa dallo Stato, per servire i fini che sono propri dello Stato, e in quanto canalizza e modera il potere dello Stato, forma della società, perché serva sempre al profitto ·della comunità e della persona

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umana. In questa maniera, con il maggior influsso civico, l'operazione sociale si consacra al servizio della persona umana - suo fine ultimo e alla perfezione massima della comunità. Con l'avvertenza, in senso negativo, che il male della Civitas - le preponderanze delle disuguaglianze sociali, che provengono da esorbitanti avidità individualiste - degenera nel male proprio della Polis l'abuso del potere, la tirannia, con lo sfruttamento schiaviz­ zante dei piu debqli -. Oppure, usando altre parole, l'assenza del­ l'amore civico e del rispetto dell'uguaglianza comunitaria ·di tutti gli uomini, produce l'ingiustizia, madre del disordine politico e del­ l'odio sociale. -

(La precminencia de la « Civitas ll y la insuficiencia de la llit1ica, San Salvador, Ministerio dc Educaci6n, pp. 119-124).

> è, pertanto, ingrediente metafi s ico indispensabile nella composizione on· tologica degli oggetti reali esterni. Il limite ( sia nello spazio, sia nel tempo), la carenza, l'imperfezione, il vuoto prodotto da quello che non siamo .e vorremmo essere, costituisce, nell'ordine naturale, la fonte pio remota del dolore ; non solo del dolore fisico ma anche di quello spiri­ tuale, dato che la fame d'eternità che è anelito di oltrepassare la tem­ poralità, unita alla sete d'infinito, o ..Jesiderio di essere tutte le cose, è la fonte p iti profonda del dolore dell'anima. ( ... ) 6. La finitezza e la caducità presuppongono od esigono la contin­ genzialità. In effetti, nel suo senso naturale ed ovvio, « essere » signi­ fica esistenza, cioè stare attualmente cd in qualche modo nell'esisten­ za. Secondo ciò, la pienezza dell'« essere » corrisponde unicamente a quell'Essere che esiste di per se stesso, in virtti della sua propria essen­ za, cioè che non ha bisogno di nessun altro ente per esistere, perché in lui essenza ed esistenza si confondono. È chiaro che questo Essere che nella sua propria essenza porta iscritta la ragione della sua esistenza, questo essere sussistente da se stesso è Dio, unico essere necessario. Tutti gli altri esseri che esistono nell'universo non « sono » l'es­ sere, ma « hanno » essere, partecipano dell'essere transitoriamente e per eventualità ; essendo esseri finiti, sono costretti entro limitazioni spazio-temporali ed essendo soggetti a caducità, si trovano esposti a perdere in qualsiasi momento l'essere che attualmente hanno come pre­ stato. In altre parole, gli enti fi niti non esistono necessariamente ; cosi come sono arrivati a possedere una certa forma di partecipazione al­ l'essere, cosi avrebbero potuto anche non essere esistiti ; il loro esistere si fonda su un poter essere, sulla pura possibilità di esistere : sono con­ tingenti. La contingenza, dato che si fonda sulla possibilità di avere esistenza o cessare di averla, porta iscritto nella propria interiorità, come esi­ genza ontologica, il divenire. In effetti, un ente che cessa di « essere »

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non cade nel puro nulla, ma si trasforma in un essere diverso da quello che era prima : assume un'altra forma. Se per effetto ·di una determinata causa efficiente, un ente soffre modificazioni nei suoi ac­ cidenti in grado tale che la stessa porzione di materia perde la forma che aveva prima e ne assume un'altra diversa, diciamo che si è. tra­ sformato, è giunto ad essere un ente diverso da quello che era prima. Questo è possibile, spiega l'aristotelismo, perché, all'infuori dell'> a qucJlo di > . Non è facile, però, stabilire con esattezza che cosa rientra in questa denominazione, es­ sendo essa ancora su�cettibile di accezioni varie. Proporremo una nostra spiegazione che si riferirà comparativamente al contenuto espresso dai ter· mini « neotomismo >> e « neoscolastica >> . Per neotomismo si intende la corrente filosofica che implica il ritorno aJla dottrina di S. Tommaso d'Aquino in opposizione al pensiero moderno ( nei suoi vari aspetti : razionalismo, empirismo, criticismo, hcgelismo, positivismo, sensismo, ccc.), di fronte al quale assume un atteggiamento di condanna. Si tratta, sestanzialmente, di quella che si è chiamata anche la « terza Scolastica >> (intendendosi per « prima >> la medievale e per « secon­ da » quella del periodo della Riforma cattolica). Per neoscolastica si intende la stessa corrente filosofica, non in quanto pe:r:ò è vista unicamente in opposizione al pensiero modemo, ma in quanto assume nei suoi riguardi piuttosto un atteggiamento di confronto costrut· tivo, di inveramento e di recupcro. Tra neotomismo e neoscoiastica inter­ corre un periodo di pia matura riflessione determinata in gran parte da una maggiore conoscenza diretta dei filosofi moderni e anche da una piu illuminata penetrazione della dottrina di S. Tommaso { cose, però, che a torto si riterrebbero completamente assenti nel neotomismo). Si deve ag· giungere che la neoscolastic11 , a differenza del neotomismo, si apre verso la linea platonico-agostiniana, o quanto meno non rimane esclusivamente legata alla linea aris totelico-tomistica. In rapporto a questo modo di intendere il neotomismo e la neoscola­ stiea, e in stretta connessione con il loro contenuto dottrinale, si potrebbe parlare di neoclassica in due sensi fondamentali : a) in senso largo, come orientamento comune al neotomismo, alla neoscolastica e agli orientamenti comprensivi delle nuove correnti a indirizzo prevalentemente platonico· agostiniano (include'nti cioè agostiniani, scotisti, bonaventuri11ni, rosminia· ni); b) in senso stretto, come orientamento comune ad alcuni indirizzi al· tuali, nei quali, pur essendo presenti sia l'ispirazione alla dottrina di S. Tom· maso sia quel1a alla linea platonico-agostiniana messe costruttivamente a contatto con il pensiero moderno e contempot·aneo, viene perseguita una trama speculativa che rientra nella filosofia cristiana presentata in modo autonomo, cioè indipendentemente dal riferimento diretto a particolari scuole o a determinati pensatori. Noi intenderemo la filosofia ncoclassica nel primo senso, per ciò che riguarda il titolo di questa monografia che ab­ braccia tutti gli indirizzi del movimento ; e nel secondo senso, per ciò che si riferisce agli orientamenti propri di quella particolare corrente che si aggiunge al neotomismo e alla neoscolastica, e che presenta una sua peculiare fisionomia neJl'ambito della filosofia neoclassica intesa in senso largo. È bene però indicare subito qual . è l'elemento distintivo o specifico che

La filosofia neoclassica

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permette di accomunare nella filosofia neoclassica neotomismo, neoscola­ stica e neoclassica in senso stretto. Noi dirermno che esso va ravvisato globalmente nell'affermazione razionalmente e criticamente fondata della trascendenza teistica. Si tratta quindi di una concezione comune a tutte le filosofie dell'essere che, in quanto tali, si sostanziano di una fondamentale implicazione trasccndentistica, a prescindere dal modo come questa venga di fatto esplicitata nei rispettivi contesti sistematici. L'affermazione del­ l'essere porta inevitabilmente con sé l'affermazione dello spirito nel sog­ getto intelligente che lo coglie, e quindi l'affermazione dell'uomo come es­ sere composto di anima e di corpo, di spirito c di materia ; per cui alla tesi della trascendenza teistica che fonda il rapporto creaturalc tra finito e Infinito, tra uomo e Dio, fa riscontro la tesi della trascendenza dello spirito che fonda il rapporto psicofisico e determina la natura della struttura an­ tropologica. Sono questi gli elementi che specificano la filosofia neoclas­ sica e che consentono di superare, mediante il richiamo alle affermazioni essenziali, le divergenze dottrinali inerenti al dettaglio delle singole po­ sizioni ; come pure permettono di evitare l'unilateralità in cui si cade quan­ do· si pretende di ridurre la neoscolastica al neotomismo, con l'esclusione delle correnti che si rifanno alla linea platonico-agostiniana e con la con­ seguente arbitraria limitazione della stessa nozione di filosofia neoclassica. Per intendere poi convenientemente il significato della ncoclassica, , è necessario precisare in che senso facciamo riferimento alla filosofia classic a per determinarne i tratti essenziali. Tale senso è già implicito in quanto pre­ cede : la filosofia classica deve essere presa Sotto un aspetto eminentemente teoretico e non unicamente storico. Teoreticamente intesa, la filosofia clas­ sica non viene limitata a d un determinato periodo storico ( il greco-medie­ vale), ma viene vista alla luce delle sue tesi fondamentali, le quali, in quanto razionalmente e criticamente stabilite c confermate poi da una pe­ renne tradizione di pensiero, costituiscono altrettante conquiste definitive dello spirito umano. Rispetto a questo patrimonio di pensiero che confi­ gura la filosofia classica come tipo esemplare di filosofia o come filosofia modello, la neoclassica si pone in rapporto di ripensamento, di evoluzione omogenea e di organica esplicitazione del virtuale. Perciò la determina­ zione espressa dal « neo » non implica un semplice ritorno al passato, sia pure rivissuto in base ad un aggiornamento piu o meno estrinseco, ma sup­ pone viceversa una intensa ripresa in esame di motivi speculativi perenni che, proposti continuamente alla riflessione filosofica nel corso del suo svol­ gimento storico, sono ancora in grado di manifestare la loro fecondità e di far risaltare gli elementi caduchi delle posizioni meno consistenti di fronte all'istanza razionale e critica. Naturalmente, tutto ciò ci conduce a d indicare il tipo di rapporto che viene a stabilirsi in tal modo ·tra filosofia neoclassica e filosofia cristiana. Diciamo subito che non abbiamo nessuna difficoltà a riconoscere che esso è di sostanziale identità. Senza entrare nei dettagli di una discussione sul­ l'indole della filosofia cristiana di cui non è questa la sede, noi riteniamo che l'espressione possa designare una filosofia aperta al soprannaturale, senza che però tale apertura importi un elemento estrinseco al filosofare autentico ; ché, anzi, la conditio sine qua non di una filosofia cristiana è che essa sia, innanzitutto, filosofia (l'attributo, in tal caso, oltre che a spe­ cificare, serve soprattutto a rafforzare il sostantivo). In realtà, all'interno della filosofia neoclassica trovano la loro giustificazione razionale tutte le

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tesi clte costituiscono i preamboli della fede e che rientrano quindi in una filosofia cristiana intesa nel senso indicato. Non si pensi, con ciò, che la filosofia neoclassica sia come un coacervo di dottrine eclettiche ridotte ad una certa unità da una vaga istanza re­ ligiosa. L'esposizione che segue dimostrerà esattamente il contrario ; ad ogni modo, ci sembra di aver già sottolineato le ragioni sufficienti a supe­ rare fondatamente un tale pregiudizio.

2. IL NEOTOMISMO a) Le origini Per avere un'idea abbastanza completa del significato che assume nel secolo XIX la rinascita del tomismo, o meglio il ritorno al pensiero di S. Tommaso, bisogna rifarci alle condizioni i n cui si trovava la filosofia nelle scuole ecclesiastiche nel secolo e mezzo immediatamente precedente. Il pensiero moderno, specialmente nella parte in cui si presentava con pretese o possibilità apologetiche piu o meno fondate, esercitava un'at­ trazione non disgiunta dall'interesse .per tutto ciò che è nuovo. I fautori di una filosofia scolastica non immune da vari elementi decadentistici, ol­ tre a trovarsi impegnati nella difesa di un patrimonio dottrinale sempre meno consistente, dovevano fronteggiare le tendenze sincretistiche che co­ minciavano a pullulare all'interno delle loro stesse posizioni. Le sugge­ stioni piu forti venivano naturalmente da parte del razionalismo, sia car· tesiano che leibniziano-wolffiano, e dal criticismo kantiano, che avevano tutta l'apparenza di offrire al pensiero cristiano quella rigorosità di me· todo di cui mostrava di avere urgente bisogno, oltre all'affiato necessario a porre in primo piano l'istanza morale. Si pensi all'enorine simpatia su­ scitata negli ambienti cattolici dalla morale kantiana, additata allora, e non di rado, come la realizzazione ideale della morale cristiana. Nella prima metà del secolo XIX, la filosofia scolastica manifesta i se· gni indubbi di un'ulteriore decadenza dovuta soprattutto agli effetti del clima illuministico ancora imperante, mentre vanno attuandosi alcuni ten· tativi spericolati di conciliare la dottrina cattolica con il pensiero moderno. In Francia, il De Bonald, il Lamennais, il B autain e il Bonnety propugnano il tradizionalismo, che esige il ricorso alla rivelazione divina e alla tradi­ zione per la conoscenza della verità ; il Maret ed altri aderiscono al· l'ontologismo, che ha in Italia il suo esponente nel Gioberti, ritenendo che la conoscenza di Dio sia alla base di ogni altra conoscenza. In Germania, sotto il preminente influsso della filosofia hegeliana, si afferma il razio· nalismo, che tenta di ridurre i misteri della fede ad altrettante verità na· turali, come può rilevarsi in pensa tori come Hermes, . Baader, Giinther, Frohscharnmer. La ragione umana �iene cosi coinvolta nella ricerca di un equilibrio che stenta a raggiungere un'affermazione coerente : da un lato, l'eccessiva sfiducia, dall'altro la fiducia incondizionata, si da compromet· tere gravemente il rapporto con la fede. È interessante rilevare come queste posizioni rappresentino lo sbocco di una situazione di compromesso che affonda le sue radici in una filoso· fia che ha perduto i contatti con la tradizione classica. Non si deve però

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pensare che, nel periodo immediatamente precedente, questa fosse stata totalmente · abbandonata, anche se non si può non riconoscere che si trat­ tava di un'adesione piuttosto passiva, basata soprattutto sul commento di Aristotele, di S. Tommaso c delle Sentenze di Pietro Lombardo. La divi­ sione delle scuole ( tomistica, scotistica, agostiniana, anselmiana, lulliana), nonostante la positività di alcuni elementi variamente operanti nella sin­ tesi globale, finiva inoltre per riflettersi negativamente nei confronti di quel sano progresso che costituisce un segno di autentica vitalità e, al tempo stesso, una garanzia di ripresa . in momenti particolarmente difficili. Ad ogni modo, non si deve dimenticare che le origini del neotomismo vanno messe in rapporto con quegli elementi della tradizione classica che, al di là della divisione delle scuole, circolavano ancora nella filosofia cat­ tolica in tutto il periodo che va dalla seconda metà del secolo XVII a tutto il secolo XVIII. Recenti studi hanno richiamato l'attenzione sull'opera eminentemente costruttiva svolta in tal senso dal domenicano francese Antoine Goudin ( 1639-1695) e dal suo confratello italiano Salvatore Maria RoseIli ( 17221784). Del Goudin ricorderemo il celebre manuale di filosofia tomistica Philosophia iuxta inconcussa tutissimaque divi Thomae dogmata (4 voli., Lione, 1671), che si impone soprattutto per la fedeltà al genuino pensiero dell'Aquinate esposto con singolare chiarezza e precisione. Questo testo, meritamente classico, ebbe numerose edizioni e forni un materiale ricchis­ simo alla ripresa dell'indirizzo tomistico, specialmente in Italia per ciò che riguarda in particolare il contributo dato alla causa dal canonico piacentino Vincenz� Bozzetti. L'opera del Goudin, come sforzo rivolto alla conoscenza dell'autentica dottrina filosofica di S. Tommaso, non è peraltro isolata, e deve essere vista insieme a quella svolta da altri insignì esponenti della seconda Scolastiéa, quali i Complutensi, l'Alamanni, il De Lugo. Il Roselli è autore di una Summa philosophiae ( 6 voli., Roma, 1777-83), che oltre ad esporre fedelmente la filosofia tomistica nei punti fondamen­ tali, aveva lo scopo di tentare un aggiornamento del tomismo aprendolo alla filosofia moderna e contemporanea, con spirito di adesione ai valori tradizionali c di sobt·io accoglimento di alcune istanze della modernità. Se­ guendo le direttive del maestro generale del suo Ordine, il De Boxadors, il Roselli lavorava ad tina restaurazione filosofica all'interno della stessa scuola domenicana ; e questo lo portava ad assumere, da un lato, un at­ teggiamento di reazione contro certi aspetti delle filosofie dell'epoca, dal· l'altro, una posizione aperta al rccupero di quegli elementi moderni che contribuivano ad una presentazione piu viva ed attuale del tomismo. In tal modo, veniva assicurata una ripresa della tradizione vivificata dagli apporti di un sano progresso. Ciò spiega il largo influsso esercitato dalla Summa del Roselli sul neo tomismo successivo in Italia e in Spagna. Ma il riferimento all'opera costruttiva compiuta dal Goudin e dal Roselli in rapporto alla rinascita del tomismo, deve essere integrato da una considerazione particolare circa il notevole contributo recato alla stes­ sa causa dai Preti della Missione per ciò che riguarda il loro insegnamento filosofico nel Collegio Alberoni di Piacenza. Diligenti e accurate ricerche, compiute in questi ultimi anni dal Rossi e dallo Stella, consentono di ret­ tificare in modo radicale le diverse conclusioni a cui erano pervenuti pri­ ma altri studiosi ( quali il Masnovo, il Fermi e il Dezza). Risulta cosi che : a) i Preti della Missione, fin dall'inizio della loro attività in Italia (1632),

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insegnavano filosofia nei loro studentati e convitti ecclesiastici ; b) dal pun­ to di vista normativa, il loro insegnamento era, in filosofia, aristotclico­ tomistico. Era evidente, nei maestri, la tendenza a penetrare e a fare pro­ prio il pensiero di S. Tommaso, pur tenendo presenti le esigenze del tempo riguardo alla filosofia e alle scienze, ciò che però è richiesto dalla necessità di seguire un tomismo aperto ai sani apporti della modernità, cioè un neo­ tomismo. Ha giustamente rilevato lo Stella, riferendosi al Masnovo, che se nell'opera del Buzzetti, considerato come una delle figure piu rappres.en­ tative del neotoioismo italiano, si manifesta l'influsso di maestri precedenti, e questi furono i Preti della Missione, si deve concludere a favore del to." mismo dei medesimi, piuttosto che ricorrere ad ipotesi non suffragate dai fatti. Si può quindi ritenere col Fabro che l'opera dei canonici piacentini Vincenzo Buzzetti ( 1774-1824) e Angelo Testa ( 1 788-1873), ai quali si fa risalire comunemente l'inizio della ripresa neotomistica in Italia, non fu in realtà che la manifestazione di quel movimento di idee che era già in atto a Piacenza, nel Collegio Alberoni, da oltre mezzo secolo. Del tomi­ smo del Buzzetti è documento la sua opera /nstitutiones sanae philosophiae iuxta divi Thomae atque Aristotelis inconcussa dogmata a Vincentio Buz. zetti... comparatae necnon a D. Angelo Testa... auctae et traditae, edita dal Masnovo in due volumi nel 1940-41, ma risalente ad epoca posteriore al 1820; essa comprende tre parti abbastanza ampie : Logica et metaphysica generalis; Psychologia ; Cosmologia et ethica. Non è possibile però stabi­ lire quale parte abbia in questo tomismo la manipolazione del Testa, suc­ cessore del Buzzetti neU'insegnamento della filosofia nel semina1·io di Pia­ cenza, e per tramite del quale ci sono presentate le /nstitutiones. In ogni modo, il tomismo del Buzzetti, ritenuto già dal Masnovo troppo maturo per poter essere incipiente, risulta dalle piu impegnative tesi della filoso­ fia dell'Aquinate esposte con profondità e chiarezza, e messe criticamente a confronto con le teorie del tempo, in particolare con le posizioni di Lockc, Condillac, Cartesio, Leibniz, Genovesi, Gerdil, Beccaria, Verri e Soave. L'in· formazione è precisa, e la penctrazione delle rispettive dottrine notevole, mentre non sono presi in considerazione i contemporanei e il progresso scientifico è pressoché ignorato. Al Buzzetti si deve pure, tra l'altro, un trattato De religione (ca. 1823-24) in cui, mediante il ricorso all'evidenza razionale oggettiva, viene confutato il tradizionalismo di Lamennais, e un interessante carteggio scambiato con quest'ultimo sull'argomento. A proposito del Buzzetti, c'è chi pone il suo tomismo in rapporto con eventuali contatti avuti con l'ex-gesuita spagnolo B. Masdeu, scolastico sua­ reziano, e con il numeroso clero romano passato a Piacenza dal 1810 al 1812 e proveniente da un ambiente in cui era largamente diffusa la Summa philosophiae del Roselli ; donde la spinta allo stu dio di S. Tommaso e la decisione, ritenuta allora una novità audace, di adottare la Summa theolo­ gica come testo di teologia. Si tratta di cose che rispondono senza dubbio a verità, ma che non hanno in rapporto al tomismo del Buzzetti quel va· lore determinante che si vorrebbe loro attribuire, se si tien conto di quanto abbiamo rilevato circa l'indole dell'insegnamento filosofico ricevuto dal Buz· zetti stesso al collegio Alberoni. Lo stesso si dica del presunto iniziale sen· sismo del Testa e della succ�ssiva conversione di questi al tomismo ad opera del Buzzetti ; tesi sostenuta dal Fermi sul presupposto di un insegna· mento alberoniano sensisticamente e lockianamente orientato.

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Alunni del Buzzetti al seminario di Piacenza furono i fratelli Dome­ nico e Serafino Sordi, fattisi poi gesuiti. Di Serafino Sordi ( 1793-1865}, no­ tevole esponente del neotomismo italiano, sono particolarmente importanti alcune opere lasciate inedite, e cioè due trattati in latino, Ontologia e Theo­ logia naturalis, pubblicati rispettivamente dal Dezza nel 1941 e nel 1945, e un Manuale di logica classica, pubblicato da D. Pesce nel 1967. Sono poi da ricordare gli scritti in cui vengono discusse le posizioni di Rosmini e Gioberti : Lettere intorno al Nuovo saggio sull'origine delle idee delfabate Antonio Rosmini-Serbati ( Modena, 184·3); I primi elementi del sistema di V. Gioberti dialogizzati (Bergamo, 1849); I misteri di Demofilo ( Torino, 1850}. Nel Sordi, alla profonda conoscenza della dottrina di S. Tommaso si unisce una buona penetrazione dci filosofi moderni, le cui tesi vengono di­ scusse acutamente, anche se con qualche irrigidimento dogmatico che di­ spone piuttosto a quella severità di giudizio propria del neotomismo inteso nel senso da noi indicato all'inizio. La metafisica del Sordi sviluppa ampiamente lo schema e i principi fondamentali tracciati dal Buzzetti approfondendone specialmente gli ar­ gomenti piu speculativi, come, ad es., la dottrina della distinzione reale tra essenza ed essere, dimostrata con numerosi argomenti ed efficacemente difesa dalle principali obiezioni. Il concetto di essenza e delle sue proprietà è rivendicato contro la posizione di Cartesio che fa dipendere l'immutabi­ lità delle essenze dalla volontà di Dio, e dalla sentenza di Locke che sostiene l'inconoscibilità delle essenze reali. Avremmo qualche riluttanza, tuttavia, a seguire il Dezza quando afferma che la metafisica del Sordi implica un ri­ pensamento della dottrina di S. Tommaso in funzione del pensiero moderno, in quanto tale pensiero viene prevalentemente tenuto presente a scopo po­ lemico e ad esso non si fa riferimento che non si concluda con una confn­ tazione piu o meno estrinseca. Recenti studi compiuti dal Narciso hanno potuto dimostrare la dipen­ denza (che in non pochi punti raggiunge la fedeltà della trascrizione quasi letterale} dei trattati di Buzzetti-Testa e di Serafino Sordi dalla Summa phi­ losophiae del Roselli, per cui l'originalità della dottrina espressa in quei trattati risulterebbe notevolmente ridimensionata non tanto per ciò che ri­ guarda la formulazione del pensier.o tomista, quanto per il tornismo già messo a contatto con la problematica moderna e la stessa conoscenza dei principali filosofi moderni. Ciò non significa, però, che il Buzzetti e il Sordi siano stati dei semplici ripetitori del Roselli. Come afferma efficacemente il Narciso, « il Roselli aveva ravvivato il tomismo facendolo emergere dalle scorie della filosofia eclettica, il Buzzetti lo rivive perfezionandolo con una coloritura piu fedele all'impostazione tomistica n . Cosi pure, in molti punti il tomismo del ' Sordi si avvantaggia su quello del Roselli per precisione, organicità di sviluppo e solidità, e ha inoltre quelle caratteristiche e garan­ zie intrinseche che lo fecero trionfare sull'eclettismo allora vigente nella stc;;s sa Compagnia di Gesu, rinnovando profondamente l'insegnamento fi­ losofico del Collegio Romano. h) Sviluppi e diffusione

Gli sviluppi e la diffusione del neotomismo sono da mettersi in rapporto sia con il seme gettato dai pionieri del movimento, sia con la necessità di un ulteriore approfondimento determinata dall'insorgere di nuovi proble-

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mi e dalla complessità delle condizioni filosofiche dell'epoca. Nel 1849 sor­ ge a Napoli la rivista « La Civiltà cattolica », espressamente voluta da Pio IX per la difesa della sana dottrina. Ne è ideatore e fondatore il p. Carlo Maria Curci ( 1810-1891) della Compagnia di Geso.1, alla quale appar­ tiene anche l'intero corpo degli scrittori. Il Curci .( colui che, secondo il Gioberti, personificava il « gesuita moderno >> ) si era già distinto nella pole­ mica antigiobertiana per una pertinente messa a punto circa il significato del molinismo. Il suo contributo al neotomismo è attestato, oltre che dal­ l'impulso notevolissimo impresso alla rivista in favore della filosofia scola­ stica come baluardo contro la filosofia moderna, dalla traduzione italiana della Philosophie der Vorzeit (Roma, 1866-68) del Kleutgen, che egli curò in collabot·azione con il card. Reisach, e da quanto risulta anche dalle sue Memorie utili di una vita disutile (Firenze, 1891). Il Curci era stato scolaro a Napoli, insieme al Liberatore, di Domenico Sordi ( 1790-1880), -il cui in­ flusso nella diffusione del neotomismo, anche se notevolmente inferiore a quello esercitato dal fratello Serafino, è senza dubbio importante. Tra i primi scrittori de > troviamo il p. Luigi Ta­ parelli d'Azeglio ( 1793-1862), già rettore del Collegio Romano, e rimasto nella redazione della rivista per la sezione filosofico-sociale, come uno dei membri piti attivi e impegnati, dal 1850 fino alla morte. Passato al tomi­ smo per opera principalmente di Scrafino Sordi, dopo una formazione di carattere eclettico e sensistico, il Taparelli veniva a > con il corredo della fama procuratagli dai cinque volumi del suo Sag­ gio teoretico di diritto naturale appoggiato sul fatto (Palermo, 1840-43), in cui segue sostanzialmente il pensiero di S. Tommaso e dci giuristi scola­ stici del sec. XVI in polemica specialmente contro le posizioni di Grozio e Pufendorf. L'opera consta di sette fittissime dissertazioni che trattano suc­ cessivamente dell'operare individuale, delle diverse teorie dell'essct·c so­ ciale, dell'operare umano nella formazione della società, delle leggi dello operare nella società già formata, delle leggi morali assegnate dalla natura all'operare politico della società, delle leggi dell'operare 1·eciproco fra so­ cietà uguali indipendenti ( diritto internazionale), del diritto speciale. L'attività filosofica del Taparelli si svolge quasi esclusivamente nel cam­ po della morale e del diritto, con altri importanti contributi su alcune que­ stioni proprie del suo tempo, quali l'esame degli ordini rappresentativi, la nazionalità, la libertà di associazione, la sovranità del popolo. Di carat­ tere teoretico sono alcuni interessanti articoli sull'estetica tomistica, rac­ colti poi sotto il titolo Le ragioni del Bello secondo i principi di S. Tom­ maso (Roma, 1860); in essi, la bellezza viene concepita come > ( scuola superiore della pro· vincia lombardo-veneta) con la compilazione del Cursus philosophicus fo· rojuliensis, dovuto principalmente a Giuseppe Mauri ( 1849-1923), il cui in­ segnamento si riconnettava a quelJo del Cornoldi e di Massimiliano Anselmi ( 1819-1887) c, attraverso Sera fino Sordi, allo stesso Buzzetti. Di grande ri­ lievo per la causa neotomista fu, a Roma, l'impulso dato dai domenicani del Collegio di S. Tommaso alla Minerva, divenuto poi Istituto (( Angeli­ cum >> (oggi Università di S . Tommaso), dove insegnò Tommaso Maria Zi­ gliara ( 1833-1893), poi cardinale, autore, tra molte altre pubblicazioni, di una Summa philosophica in usum scholarum (3 voli., Roma, 1876), che eh­ be larghissima diffusione nei seminari ( 17a ed., Parigi, 1926). Oltre l'efficace azione svolta in alcuni centri minori (Torino, Bologna, Perugia, Udine), va ricordata in particolare l'intensa attività esercitata dall'Accademia ro· mana di S. Tommaso d'Aquino, fondata nel 1881 da Leone XIII, nella quale si distinsero all'inizio, Giuseppe Pecci, fratello del pontefice, il Cornoldi e il Liberatore. In Germania, SI Impone l'opera restauratrice di Joseph Kleutgen ( 18111883), teologo e filosofo gesuita, che sembra aver avuto parte non seconda· ria nella composizione dell'enciclica Aeterni Patris. Il Kleutgen si con· vinse che non sarebbe stato possibile opporsi efficacemente al sincretismo razionalistico e semirazionalistico, che andava attuandosi in Germania at­ traverso i tentativi di Hermes, Giinther e Frohschammer di conciliare con il dogma cattolico la filosofia di Kant, di Hegel e di Schclling, senza il ri· torno ai cardini della Scolastica. Risponde a questa esigenza la sua opera, che può dirsi classica, Die Philosophie der Vorzeit vertheidigt (2 voll., Miinster, 1860-63 ; 2a ed., Innsbruck, 1878), tradotta in italiano, come ah· b iamo già visto, dal Curci in collaborazione con il card. Reisach ; essa era stata preceduta da un lavoro parallelo in campo te,ologico, dal titolo simile

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Die Theologie der Vorzeit vertheidigt (3 voli., Miinster, 1853-60 ; 2a ed., 5 voli., ivi, 1867-74). Il titolo della traduzione italiana, La filosofia antica esposta e difesa, lascia appari1·e meglio l'indole dell'opera del Kleutgen, nel­ la quale può dirsi prevalente l'esposizione della filosofia tradizionale a in­ dirizzo fondamentalmente tomistico, ma con l'apporto di altri scolastici, suareziani in modo speciale ( il Kleutgen segue il Suarez circa la questione della distinzione tra l'essenza e l'essere). Essa tratta ampiamente del pro­ blema della conoscenza e, in dipendenza da questo, dell'essere, della na­ tura, dell'uomo e di Dio, imponendosi per erudizione, chiarezza ed acume speculativo, anche se qua c là risenta di alcuni elementi caduchi. Leone XIII apprezzò molto l'azione riformatrice del Kleutgen, che nominò pre­ f?tto degli studi e professore di teologia dogmatica nell'Università Grego­ riana. Al Kleutgen può essere affiancato, nel movimento di rinascita della fi. losofia scolastica in Germania, Albert Stockl ( 1823-1895), autore di un pre­ gevole Lehrbuch der Philosophie (Magonza, 1868 ; 7" ed., 3 voli., 1892) e di una voluminosa Geschichte der Philosophie (6 voli., ivi, 1864-1891), che eb­ be larghissima diffusione. Lo Stock] si riconnette decisamente a S. Tom­ maso e si distingue per profondità e chiarezza di esposizione ; la sua po­ lemica è rivolta in particolare contl'O il materialismo e il liberalismo. De­ ve essere altresi ricordato, accanto al Kleutgen e allo Stockl, 1-Iermann Ernst Plassmann ( 1817-1864), altro rin�ovatore del tomismo, specialmente nelle scuole ecclesiastiche tedesche, a cui si deve la concezione di una pre­ sentazione completa del tomismo i n campo filosofico e teologico (Die Schule des hl. Thomas von A quin), solo parzialmente realizzata con i 5 voli. Die Philosophie des hl. Thomas (Socst, 1857-62) e un supplemento ( Paderhorn, 1859) sul concetto di progresso, criticato per il modo come allora veniva inteso, insieme al tradizionalismo di Gioacchino Ventura e all'idealismo. La sin­ tesi ùel Plassmann si distingue per l'esatta conoscenza della dottrina tomi­ stica e per l'obiettività della discussione sulle correnti filosofiche contem­ poranee, mentre va segnalata la sua profonda intuizione della centralità del pensiero di S. Tommaso, superando in questo forse lo stesso Kleutgen. Al Plassmann aveva in qualche modo spianato la via Franz J akob Clemens ( 1815-1862), già influenzato dall'hegeliano C. G. Windischmann, ma poi decisamente orientato verso la tradizione scolastica contro le posi­ zioni del Giinther (Die spekulative Theologie A. Giinthers und die katho­ lische Kirchenlehre, Colonia, 1853) e specialmente intorno alle 1·elazioni della fede con la scienza e della filosofia con la teologia (De Scholastico­ rum sententia, philosophiam esse theologiae ancillam commentatio, Mona­ co, 1856). Il Clemens entrò in rapporto con la filosofia italiana, anche at­ traverso Galluppi c Gioberti, che conobbe personalmente in un suo sog­ giorno in Italia. In Francia, è da ricordare l'adesione al tomismo da parte di Pierre­ Célestin Roux-LaYergne ( 1802-1874), che ebbe all'inizio qualche propensio­ ne per il tradizionalismo (riguardo all'origine del linguaggio); successiva­ mente, però, riconnettendosi al Goudin, di cui ripubblicò il celebre ma­ nuale Philosophia iuxta inconcussa tutissimaque divi Thomae dogmata ( Pa­ rigi, 1850-5 1), si impegnò efficacemente nella propagazione della dottrina dell'Aquinate, sia attraverso l'insegnamento ·della filosofia e della teologia nei seminari d.i Rennes e di Nimes, sia mediante gli scritti (tra l'altro, il Compendium philosophiae iuxta doctrinam s. Thomae Aquinatis, Parigi,

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1856). Anche se non può essere messa sulla stessa linea l'esaltazione del tomismo fatta da Gioacchino Ventura ( 1792-1861) con il ricorso a motivi particolarmente convincenti ne La philosophie chrétienne (Parigi, 1861), essa 1-iflette tuttavia una mentalità in certo modo diffusa nel tempo e ope­ rante. Non deve essere sottovalutato il fatto che il Ventura abbia ricono­ sciuto che la filosofia di S. Tommaso rappresenta l'ideale compiuto e defi­ nitivo della cosiddetta filosofia « dimostrativa », pur rimanendo egli pro­ fondamente estraneo al suo spirito mediante la fedeltà ai principi del tra­ dizionalismo. Va sottolineata, a tale proposito, la posizione equilibrata as­ sunta da Charles-Marie J ourdain ( 1817- 1 886), che in un'opera notevple per i suoi tempi, La philosophie de st. Thomas cfA quin (2 voli., Parigi, 1858), rileva in S. Tommaso ( rifiutando la distinzione stabilita dal Ventura tra filosofia > e ]a scoperta di un a­ spetto cc amodale >> della percezione ( per il quale il fenomeno della perma­ nenza non appare caratterizzato da alcuna modalità sensoriale) ; a lui si deve anche la fondazione ( 1923) nell'Università di Lovanio di un Istituto di psicologia applicata specialmente ai problemi dell'educazione. Nel cam­ po della logica matematica, vanno segnalati gli studi di Rohert Feys ( 1889-1961), comparsi quasi tutti in densi articoli della « Revue philoso­ phique de Louvain >> . Per completare il quadro dell'indirizzo filosofico della Scuola di Lovanio, accenneremo agli esponenti che caratterizzano l'attuale periodo. In metafi­ sica, si è distinto in particolare Louis De Racymaeker ( 1895-1970), che nella sua Philosophie de l'étre (Lovanio, 1946) insiste sulla centralità del concetto di partecipazione, fatto valere come principio risolutivo dei pro­ blemi essenziali della realtà, quali vengono imposti storicamente nell'odier­ na tempcrie filosofica, specialmente dall'esistenzialismo. La metafisica au­ tentica affonda le sue radici nell'esperienza concreta e si identifica con la filosofia vera c propria ; bisogna quindi approfondire anzitutto i concetti di essere, di essenza e di esistenza, sui quali le correnti esistenzialistiche

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hanno richiamato l'attenzione, e stabilire l'esatta posiziOne che il tomismo assume nei loro confronti, di là da qualsiasi contaminazione razionalistica che precisamente il concetto di partecipazione consente di superare. Ap­ profondita sotto questo aspetto, l'idea di essere si presenta strutturata di una carica metafisica capace di dissolvere in partenza qualsiasi afferma· zio ne unilaterale di essenza ( essenzialismo) o di esistenza ( esistenzialismo) ; essenza e d essere entrano nella composizione dell'ente finito, perché l'es· sere non può mai dissodarsi dai suoi modi concreti che ne partecipano traendone realtà e consistenza. L'idea di essere è quindi analoga, e rimanda ad un analogato supremo che costituisce il fondamento ultimo da cui ogni reale causalmente dipende per vincolo di creazione. Insieme al Bal­ 'thasar, il De Raeymaeker è un altro tipico esponente di un tomismo aperto alla linea platonico-agostiniana ; i due pensatori convengono notevolmente nel porre l'accento sulla dottrina della p artecipazione e nello svilupparne la tematica, anche se in contesto diverso. Ma per cogliere la dottrina della partecipazione in tutta la portata del suo potente implesso storico-metafi· sico, bisogna tener presenti, come vedremo, gli studi compiuti, nell'ambito della neoscolastica italiana, da Cornelio Fabro. Nella storia della filosofia, sono da segnalare i lavori di Augustin Mansion ( 1882-1966) intorno ad Aristotele, soprattutto la fondamentale ]n,. troduction à la physique aristotelicienne (2• ed., Lovanio, 1945), e l'cdizio· ne della Physica trar:tslatio vaticana ( Bruges-Parigi, 1957), insieme a nume· rosi articoli suJla formazione degli scritti e l'evoluzione dottrinale dello Stagirita, che assicurano mcritatamente all'autore fama internazionale. Co­ me medievalista, si è affer:mato Fcrnand Van Steenberghen ( 1904), princi· pale coJlaboratore del De Wulf e autore dell'opera Siger de Brabante d'a· près ses oeuvres inédites (tovanio, 193 1,42), che costittiisce uno dci piu importanti contributi alla conoscenza del pensiero del secolo XIII. Al Van Steenbcrghen si deve anche una presentazione moderna e aperta della fi. losofia tomista, notevole per l'acuta penetrazione di alcuni dci problemi piu discussi, fatta nei due volumi Epistémologie (3• cd., ivi, 1965) e Ontologie (4a ed., ivi, 1966). Tra gli studiosi che si sono ded,icati all'approfondimento critico del pen· siero contemporaneo, sono da ricordare per il loro impegno che tuttora recano ne1la ricerca, François Grégoirc ( 1898), che ha scritto importanti saggi su Hegel, Feuerhach, Marx (Aux sources de la pensée de Marx, Hegel, Feuerbach, i vi, 194 7 ; Etudes hégéliennes, ivi, 1958) ; Albert Dondeyne ( 1901), attuale direttore della ( Milano, 19737), che considera il rapporto tra intelligenza morale e ragione etica come espres­ sione della sinteticità e sostanzialità dell'atto spit·ituale ; in Atto ed �ssere, il motivo dell'implicanza e della compresenza è fatto valere specialmente nei confronti dell'essenza dell'essere c della dialetticità delle sue forme ; in Morte ed immortalità (Milano, 19683), il motivo dell'implicanza e della dia­ letticità non univoca di esistenza-vita-morte contribuisce ad una ndicaliz­ zazione dell'istanza spiritualistica ; in La libertà e il tempo (Milano, 19682), infine, il motivo dcll'integralità dell'atto volontario e della sua dialettica inclusiva spinge ad affrontare il tema della temporalità come correlato in­ tegrale della libertà. Questa posizione ha trovato recentemente un'espressione ancor piu me­ tafisicamente radicalizzata nei volumi L'oscuramento dell'intelligenza (Mi­ lano, 19723), e Ontologia triadica e trinitaria ( Milano, 19732). In quest'ul­ tima opera e, in specie, nella postuma Prospettiva sulla metafisica di San Tommaso ( Roma, 1975), è da rilevare nello Sciacca un ancor piu deciso av­ vicinamento ad alcuni concetti-base della filosofia di S. Tommaso, ciò che del resto rappresenta il naturale sviluppo dell'i:piziale apertura ai capisaldi

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della filosofia agostiniana. Si assiste cosi, nel pensiero dello Sciacca, ad una progressiva conquista dell'integralità che fa della sua posizione un'antropo­ logia teistica, non certo mediante l'aggiunta estrinseca di un'appendice edificante e immotivata, ma attraverso l'esame attento e metafisicamente rigoroso di quel comportamento speculativo qualificato che lascia traspa­ rire in ogni sua manifestazione il richiamo trascendentistico. Chi ha pre­ sente la complessa tematica heideggeriana, deve riconoscere che la filoso­ fia dell'integralità rappresenta il ricupero di molti dei concetti svolti dal­ filosofo tedesco ; ricupero che non esiteremmo a definire un raddrizzamento in clima. di trascendenza, verso la formulazione critica di una ontologia esistenziale teistica. Tra gli esponenti della neoclassica quale si è venuta affermando in Spagna, è da ricordare anzitutto il pensiero di Angel Amor Rui­ bal (1870-1930), particolarmente interessato al rapporto tra platonismo e aristotelismo ( cfr. De platonismo et aristotelismo in evolutione dogmatum, Santiago, 1890), e all'influenza del dogma cattolico nello sviluppo della sto­ ria della filosofia. Notevole, in tal senso, la sua opera monumentale Los problemas fundamentales de la filosofia y del dogma (IO voli., Santiago, 1914-36), dove, tra l'altro, si pone in evidenza il platonismo che circola nella teoria della conoscenza di S. Tommaso e si dimostra l'importanza del panteismo nello sviluppo della filosofia. Da qui ha avuto origine il nuovo sistema denominato dal teologo spagnolo, che ne è l'esponente,. J. M. Delgado Varela « correlativismo teologico » . Importante, soprattut­ to dal punto di vista teoretico, la sua opera Cuatro manuscritos inéditos ( a cura di S. Casas Bianco, Madrid, 1964), in cui, insieme alla speculazio­ ne filosofica si intreccia costantemente il riferimento teologico, special­ mente per ciò che riguarda il rapporto tra ordine naturale e soprannatu­ rale, come, ad esempio, nella questione intorno alla costituzione, gli ele­ menti e l'ordinazione trascendente della natura, e alla spiegazione plurali­ stica dell'essere e del divenire. Si è dedicato, invece, in modo particolare all'approfondimento del concetto di « essenza JJ, come principio strutturale della realtà, José Xa­ vier Zubiri Apalategui (1898), la cui posizione originale è contenuta so­ prattutto nell'opera Sobre la esencia (2a cd., Madrid, 1963; cf. anche Na­ turaleza, Historia, Dios, sa ed., ivi, 1963). Lo Zubiri, pur avendo subito va­ riamente alcune suggestioni dal pensiero di Husserl, di Hcidegger e del suo maestro Ortega y Gasset, conserva tuttavia una. sostanziale indipendenza di fronte a questi filosofi, come pure di fronte ad Aristotele che sembra piu direttamente chiamato in causa dalla sua speculazion�. Intesa la veri­ tà, secondo la nozione tradizionale, come l'accordo del pensiero con le cose, si tratta di vedere quali ne sono le condizioni. Queste vanno individuate nella situazione concreta dell'uomo che si avvicina alle cose e le interroga; ma il primo compito dell'intelligenza è chiarire la situazione in cui si trova e problematizzarla. Di qui prende l'avvio la scienza che ci dice come trascorrono le cose nel mondo, fornendo all'uomo un primo concetto del­ la sua collocazione o impltintamiento nell'essere fino a raggiungere la religacion-religion come dimensione formalmente costitutiva dell'esisten­ za. Tutto il pensiero di Zubiri appare cosi incentrato nell'approfondimento del problema dell'essenza e nella enucleazione dei rapporti di questa con il logos, come fondamento del vincolo ontologico con Dio. Tra gli scolari di Zubiri (e anche di Ortega), acquista un certo rilievo

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Jùlian Marias (1916), che nel· suo pensiero concede uno spazio non tra­ scurabile ai problemi dell'esistenza di Dio e dell'immortalità dell'anima visti nei loro mutui rapporti, anche se può suscitare qualche perplessità il suo proposito di far rientrare questo aspetto nella prospettiva ortegana della ragione vitale, sviluppata dal Marias con originalità di spunti (cf. lntroduccion a la filosofia, Madrid, 1947). Può completare il quadro dei principali indirizzi della neoclassica un riferimento alla notevole sintesi compiuta da Dietrich von Hilde­ brand (1889), rappresentante della scuola fenomenologica di Monaco, in­ sieme a T. Lipps, A. Pfander, M. Geiger, H. Conrad-Martius, circa la costituzione di una antropologia filosofica cristiana. Il suo metodo feno· menologico rivolge dapprima l'analisi alla struttura della società in rap­ porto alla persona, che ne è l'elemento determinante (cf. Metaphysik der Gemeinschaft, Ratisbona, 1955 3) nel contesto della storia umana cristia­ n �; prende poi a considerare l'atto etico nella concrelezza storica della Rivelazione cristiana che ne manifesta il valore assoluto e la positività ( cfr. Christian Ethics, Nuova York, _1953) essenzialmente legati alla trascenden­ za dell'Essere. Di qui, la consistenza ontologica dell'etica e una valutazio· ne conseguente di tutti i suoi elementi trascendenti, che evincono il valo­ re della moralità stoica come etica cristiana ( cfr. True Morality and its Counterfeits. A Criticai Analysis Existentialist Ethics, ivi, 1955). I motivi fondamentali del suo pensiero sono contenuti nell'autoesposizione Essen· za e valore della conoscenza (in Filosofi tedeschi d'oggi, a cura di A. Babo­ lin, Bologna, 1967, pp. 152-161). c) Correnti miste, e ulteriori prospettive di sviluppo Nell'ambito della filosofia neoclassica, quale si è venuta svolgendo riel· l'ultimo cinquantennio, possono essere collocati molti studiosi che appar· tengono a vari indirizzi detcm1inati piu che altro dalla necessità di rispon· dere, sulla scia della tradizione classica, a certe istanze del pensiero contem­ poraneo. Dobbiamo limitarci, ovviamente, alla indicazione delle figure piu rappresentative. Un pensatore che ha sentito fortemente l'esigenza di una fusione co­ struttiva tra le diverse tendenze della filosofia classica in vista anche della concreta definizione dello spirito dell' Occidente, è Erich Przywara ( 1889), noto specialmente per la sua opera fondamentale Analogia enti.� del 1932 (nuova ed., Einsiedeln, 1962) che ebbe un influsso decisivo sulla forma­ zione speculativa di Edith Stein. Lo Przywara ha rivolto soprattutto la sua attenzione alla concordanza Agostino-Tommaso stabilita alla luce dei concetti di « immanenza trascendente n (Agostino) c di >, 1956, pp. 23-32 ; M. :F. SciACCA, L. L., in « Giorn. metaf. >> , 1956, pp. 735-752 ; B . SARGI, La participation à fétre dans la philosophie de L. L., Parigi, 195 7 ; AA. VV., L, in « Et. philos. >> , 1957, n. 4 ; W. PIE RSOL, La valezir dans la philosop�ie de L. L., Parigi, 1959 ; P. LEVERT, L'étre et le réel selon L. L., Parigi, 1960 ; C. JoA!\':\"E 0PALEK, The experience of Being in the philosophy of L. L., Londra, 1962 ; R. JoLIVET, L. L., in (( Sapientia >> , 1963, pp. 169-184 ; G. BEsCHI!\', Il tempo e la libertà in L. L., Milano, 1964 ; C. n'AINVAL, Une doctrine de la pré$ence spirituelle, Lovanio-Parigi ; G. PENATI, Ontologia e critica del concreto. L. e Merleau-Ponty, Milano, 1970 ; S. CAVACIUTI, Momenti dell'antologia contemporanea, cit. Su Forest : P. 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logia, in fisiologia, in filologia ; di semplificare il piu possibile i fatti psichici, sull'esempio degli Associazionisti inglesi ; di cercar di capire l'uomo adulto per mezzo dello studio della psicologia animale e della psicologia infantile, l'uomo sano per mezzo Jel malato, l'uomo mo­ rale per mezzo del crinìiii"al e, come si fa i n psichiatria e in antro­ pologia criminale, dove l'osservazione minuziosa di certi stati ecce­ zionali mette in risalto dei caratteri che passano di solito inosservaii nel tipo normale ; di seguire le rrwdificazioni particolari o le varia­ zioni dell'attività umana nelle varie razze o nelle varie epoche sto­ riche, come hanno fatto Lazarus, Steinthal, Herbert Spencer ; di sot­ toporre il soggetto della psicologia a quella .specie di anatomia men­ tale resa possibile dagli esperimenti di ipnosi e dalle suggestioni bene applicate. Ma ciò che soprattutto importa è che i neotomisti conquistino un posto piu considerevole entro il movimento di ricerche psicofisio­ logiche promosso dalla scuola sperimentale tedesca. È chiaro che non si tratta di pesare il pensiero, né di calcolare le dimensioni dell'anima umana, come sembrano aver suggerito tal­ volta certe opere o compendi di filosofia cristiana. Si tratta sem­ plicemente di prendere il fatto cosciente cosi com'è, nella sua com­ plessità materiale e immateriale insieme. In quanto ha un lato ma­ teriale, esso presenta dei punti di contatto col mondo esteriore, ne subisce l'azione e reagisce a sua volta su questo mondo. Ii dato che accenniamo qui, cosi, senza sfumature, risulta alla piu comune os­ servazione, e i suoi risultati globali ci sono già noti per una spon­ tanea presa di coscienza. Ma ·la coscienza spontanea non è affatto sufficiente a infor­ marci sugli elementi' costitutivi di quel complesso che, all'introspe­ zione immediata, appare indiviso. Analizzare tali elementi per arri­ vare ai dati . analitici piu semplici, chiamati dal Wundt, con termine tecnico, impressioni ; ricostituire sinteticamente il complesso concre­ to della coscienza spontanea, la rappresentazione, e formulare le leggi dell'associazione delle rappresentazioni, ecco in poche parole il programma della nuova scienza psicologica. Che c'è qui di spaventevole ? ... Se il neotomismo rimarrà fedele a questo programma, esso potrà ringiovanire la filosofia scolastica con felici conquiste, rinnovare par­ te del suo apparato e far si che essa si presenti agli occhi dei nostri successori con un aspetto alquanto diverso da quello odierno. E tut­ tavia chi vorrà sondare le sue profondità ritroverà nelle strutture base ·dell'edificio l'integrità dei principi che hanno guidato la civiltà occidentale. Si constaterà con gioia che c'è stato progresso senza rivoluzione, conquiste senza dispersioni, sviluppo di un'unità viven-

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te incessantemente arricchita dagli apporti ad essa forniti da tutti i rami dell'wnano sapere. ( Les origines de la psychologie oontemporaine, Lovanio-Parigi, Béalrice-Nauwelaerts, 19253, pp. 429-444!, 453-457, 463).

2. OGGETTIVITÀ DELLE PROPOSIZIONI

Prova dell'oggettività delle proposizioni immediate dell'ordine ideale Arriviamo dunque al problema fondamentale della certezza, quale lo abbiamo impostato (25). Prendiamo ora in considerazione, come ci si ricorderà, soltanto le proposizioni semplici, di certezza immediata, che esprimono rapporti dell'ordine ideale. Affermare una di queste proposizioni è operare la sintesi di un predicato con un soggetto. Nei gi�dizi certi, la sintesi si opera irresistibilmente. Su questo punto non c'è disaccordo tra Kant e noi. Il disaccordo sorge quando si tratta ·di fissare la natura di codesta sintesi mentale. Secondo Kant, la sintesi nasce da una disposizione naturale del­ l'intelletto in occasione delle impressioni della sensibilità, ed è una « sintesi a priori ». Secondo noi, invece, la sintesi si fa solamente sotto l'influenza dell'oggetto : il giudizio è quindi un effetto dell'oggetto sull'intelli­ genza. TESI FONDAMENTALE Quando facciamo dei giudizi immedia· ti certi, l'attribuzione del predicato al soggetto non avviene me­ diante una sintesi a priori, bensi sotto l'influenza della manifesta­ zione dell'identità oggettiva del predicato col soggetto, ovvero del­ l'appartenenza oggettiva del predicato al soggetto. -

La sola prova possibile di questa tesi è la constatazione, da parte della coscienza, del fatto affermato dalla tesi. Esaminiamo dunque ciò che succede nella coscienza quando enunciamo un giudizio imme­ diato certo. Prendiamo come esempio questa proposizione aritmetica che secondo Kant sarebbe sintetica a priori, 7 + 5 = 12, o, ancora piu semplicemente, la proposizione : 2 + 2 = 4. Quando rifletto all'assenso che dò spontaneamente a questa propo­ sizione, vedo il fatto che io affermo l'identità del predicato col sog­ getto, e per di piu ho coscienza di affermare questa identità dopo averla vista manifestarsi attraverso la presenza dei due termini e ho coscienza di affermarla perché l'ho vista manifestarsi. Supposto che io esiti un momento a pronunciarmi sull'identità o la non-identità dei termini ( 2 + 2) e ( 4), subito· ho coscienza di operare un lavoro di analisi.

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Invece di immaginare l'espressione numerica (2 + 2), scompongo prima il primo simbolo (2) nelle parti che lo compongono ( l + l), poi il secondo simbolo (2) anch'esso nelle sue due parti ( l + l) ; il soggetto (2 + 2) cosi scomposto diventa ( l + l) + ( l + l) ; e scom­ pongo ugualmente l'espressione ( 4) nelle sue parti ( l + l + l + 1). Mentre codeste immagini si succedono, io concepisco astratta­ mente le qualità da esse simbolizzate : da un lato mi rappresento ( l + l) + ( l + l) come due parti da unire ; d'altro lato vedo queste due parti unite in un unico tutto ( l + l + l + l) ; in questi sim­ boli concreti la mia intelligenza legge i ·due concetti astratti in essi concretizzati : da un la to, le parti di un tutto, d'altro lato lo stesso tutto composto di queste parti, ed ecco che subito il presen­ tarsi ·dei due concetti mi impone l'intuito, e conseguentemente l'af­ fermazione della loro identità. L'identità delle quantità simbolizzate rispettivamente da ( l + l) ( 1 + l) e da ( l + l + l + l) si manifesta dunque in piena luce ; io la affermo mentalmente perché essa mi si manifesta e perché mi è impossibile non vederla manifestata e per conseguenza esistente ; questa manifestazione in piena luce dell'identità ·del soggetto e del predicato del mio giudizio, la chiamo evidenza oggettiva della verità. Cosi anche l'esempio proposto da Kant: 7 + 5 = 12 è l'espres­ sione di un'identità che si riduce a questo : 12 è la stessa cosa che 7 + 5, in altre parole, 12 è la cosa stessa rappresentata dall'opera­ zione ( +) eseguita su 7 e 5. Dunque, io ho coscienza di formulare i giudizi sotto l'azione dell'evidenza oggettiva della verità ; di aderire all'oggetto di questi giudizi perché la loro evidenza oggettiva mi determina a ciò in modo necessitante, vale a dire, certo ; dunque a buon diritto ho coscienza che la mia adesione certa non è affatto il risultato di una sintesi soggettiva, ·della quale non avrei bisogno di vedere il motivo deter­ minante. Senza dubbio, la testimonianza della . mia coscienza è 'immedia­ tamente valida per me solo : e se uno scettico si ostinasse a preten­ diere ·che la prima legge della sua attività è quella di una sintesi indipendente dalla manifestazione previa del contenuto del giudi­ zio, non vedo come la testimonianza riuscirebbe a ridurlo al silen­ zio. Potrei tentare di presentargli la testimonianza ·della mia co­ scienza sotto un nuovo aspetto, per aiutarlo a leggere nella sua - fa­ remo questo tentativo tra poco - ma, evidentemente, ciascuno deve presto o tardi fare appello all'intuizione della s ua coscienza. Una cosa resta indubitabile, ed è che se le altre coscienze sono fatte come la mia, hanno come guida la verità oggettiva. E ci sarà per­ messo di aggiungere, con S. Tommaso, che se a parole tutto si può

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negare, non tutto si può negare con sincerità nel foro interno della coscienza. Prova confermante, tratta dalla successione dei vari stati per i quali passa l'intelligenza. In presenza della medesima proposizione, la mia coscienza mi attesta che qualche volta sono in dubbio, qual­ che volta in una disposizione che mi inclina piu o meno all'assenso, e talvolta infine in uno stato ·di completa adesione. Prendiamo la proposizione : un numero che termina con zero o con 5 è divisibile per 5. Può darsi che di primo acchito io dubiti se i due termini della proposizione debbano essere uniti o disgiunti ; ma faccio la dimo­ strazione del teorema, e, man mano che viene in luce la relazione oggettiva del predicato col soggetto, propendo a unire i due termini, finché alla fine scorgo la loro convenienza oggettiva e li unisco. Seguiamo attentamente il lavoro che faccio mentre passo cosi dal dubbio alla certezza. Che fo per ·dissipare il mio dubbio ? Ricorro a un artificio, cerco di collegare il predicato al soggetto mediante un intermediario che abbia la proprietà di essere divisibile per .5, e la cui nozione astratta si verifichi nei numeri che terminano con zero o con 5. Rifletto, e trovo che una somma di due fattori che siano entrambi multipli di 5 è essa stessa multiplo di 5, e quindi divisibile per 5. Il mio intermediario è trovato : ogni nwnero che termini con zero o con 5 è la sonuna di ·due addendi, entrambi multipli di 5. Infatti ogni numero può essere scomposto in due parti, delle quali l'una sia l'insieme delle sue decine, e l'altra l'insieme d�le sue unità. Il gruppo delle d�cine è evidentemente multiplo di 5 : se dunque il gruppo delle unità è uguale a zero o a 5, il totale è multiplo di 5. Detto questo, riprendiamo la nostra argomentazione. Codesta successione di stati di dubbio, di opinione, di certezza, che io attraverso pur restando identica la materia del giudizio, è spiegata dalla nostra teoria oggettivistica : secondo noi, infatti, in un primo momento non c'è nessuna manifestazione della relazione reciproca dei termini del giudizio ; in un secondo momento la natura del loro rapporto comincia a mostrarsi, finché, in un terzo e ultimo momentò, il rapporto si rivela pienamente per quello che è. Ammesso che la legge dell'adesione dell'intelligenza sia quella che noi sosteniamo, cioè la rivelazione ·del vero ontologico, la successione di diversi stati intellettuali in presenza di uno stesso contenuto si spiega ; . tale successione è anzi inevitabile, perché l'assenso è propor­ zionato alla manifestazione oggettiva del vero, come l'effetto è pro­ porzionato alla sua causa : varidnte causa variatur effectus. Se, al contrario, l'adesione dell'intelligenza invece di essere su-

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bordinata a.lla manifestazione della verità, fosse prodotta dalla co­ stituzione stessa della nostra facoltà di intendere, indipendentemen­ te ·dalla manifestazione della verità oggettiva, quella successione di stati non si spiegherebbe. Senza dubbio si potrebbe capire come l'in­ telligenza possa restare in sospeso di fronte ai termini di una pro­ posizione, e dare invece il suo assenso in presenza dei termini di un'altra proposizione ; ma non si capirebbe come la stessa materia e la stessa categoria determinerebbero qui il duhbio e là la certezza. Dunque la successione dei vari stati intellettuali è inconciliabile con l'ipotesi kantiana.

Argomento confermante tratto dal paragone tra la determina,. zione del senso e quella dell'intelligenza. Per mettere meglio in ri­ salto il carattere speciale dell'adesione intellettuale, confrontiamola con l'adesione ·dei sensi. Le impressioni sensibili sono sempre determinanti ; anche. quando sono illusorie, la loro azione sui sensi è decisiva, e l'adesione che le segue è irresistibile. Senza dubbio gli errori dei sensi possono ve­ nire avvertiti, dato che li contrapponiamo alle percezioni normali, ma non è mai il senso ingannato a riconoscere il proprio errore. Due immagini piane, viste allo stereoscopio, ci appaiono come ùna immagine unica, in rilievo, di un oggetto a tre dimensioni ; ma per quànto l'occhio noti la presenza d·ell'apparecchio stereoscopico, non per questo evita l'illusione. Ben diversa è l'adesione dell'intelligenza. Finché l'oggetto dell'assenso intellettivo non è ridotto in termini di semplicità assoluta, non esercita sull'intelligenza nessuna azione che la condizioni necessariamente. Lo prova il fatto che ogni propo­ sizione non immediata ha bisogno, per essere ammessa, di essere dimostrata. Ora, dimostrare una proposizione è ritenerla duhbia, al­ meno provvisoriamente in via metodica. Dunque l'intelligenza ha il potere di sospendere il proprio assenso, finché questo non sia determinato dall'evidenza immediata ·dell'appartenenza o della non appartenenza oggettiva del predicato al soggetto. Inoltre l'intelligenza mantiene sempre il potere di riesaminare le sue certezze. Essa può accorgersi dell'infondatezza di un'adesione trop­ po affrettata, farne oggetto di riflessione ulteriore, e differire il proprio assenso definitivo fino al momento in cui la manifestazione della verità le apparirà completa ( 1).

( l) È questa la parte di verità che bisogna riconoscere alla scuola neo-kantiana &an· cese, secondo la quale la certezza dipenderebbe da un atto libero. L'attenzione, essa af·

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La mente umana non è, come supponeva Kant, una forza at­ tiva di per se stessa, « una spontaneità » ; è paragonabile a un corp o mobile che abbia come motore, o, secondo la parola consacrata dal­ l'uso, come motivo, il vero antologico evidente.

Argomento tratto dalla confessione implicita dello scettico. Che cosa pensa lo scettico, quando si oppone al dogmatismo ? Lo scettico trova che è imprudente cedere all'impulso naturale che ci fa determinatamente aderire a certe proposizioni, da noi consi­ derate espressioni di verità ; gli sembra piu saggia una costante ri­ serva, l'btoxl] degli Scettici dell'Antica Grecia. È temerario, dice Kant, non accontentarsi di ciò che sappiamo ·delle leggi soggettive del pensiero, e volersi pronunciare su relazioni oggettive indipendenti dal soggetto pensante. In una parola, gli avversari del dogmatismo oggettivistico riconoscono che la ragione, quando riflette sulle sue conoscenze spontanee, ha il potere di sospendere il proprio assenso. Ora, ]a ragione riflettente non ha una natura diversa da quella della ragione spontanea. La differenza tra un giudizio spontaneo e un giudizio riflesso consiste unicamente in questo, che per for­ mulare il primo l'inteJligenza cede soltanto alla sollecitazione delle percezioni esteriori o ·delle rappresentazioni dell'immaginazione� sen­ za che i suoi passi siano mO'Ssi o diretti dall'influsso della nostra libera volontà, mentre non arriva a formulare il secondo se non a condizione di applicarsi alla conoscenza degli oggetti e di essere co­ stantemente guidata da un deliberato intervento della volontà. Ora, l'intervento o il non intervento della volontà nell'applica­ zione della facoltà intellettiva al proprio atto non può minimamente cambiare la natura intrinseca nell'atto stesso. ferma, può essere prolungata indefinitamente, il giudizio definitivo che deve portare con sé l'adesione, indefinitamente differito. « La possibilità di prolungare l'attenzione », scrive il Gayte, « introduce dunque nella decisione da prendersi un elemento di dubbio che la­ scia posto al libero arbitrio. Noi vogliamo pensare, poi, dopo uno sforzo di qualche istante, decidiamo di aver pensato abbastanza e di poter formulare il nostro giudizio. Sia­ mo dunque noi a deciderci ; siamo noi a giudicare che la nostra attenzione è stata abba. stanza continua, abbastanza prolungat a per metterei sotto gli occhi tutti gli elementi della questione ; siamo noi a ritenere i sufficientemente informati e a prendere una decisione, e formulare un giudizio, basandoci sulla fiducia che abbiamo in noi stessi ll (Essai sur la oroyance, Paris, G�rmer-Baillièrc, 1883, pp. 103-104). La revisione delle nostre certezze ·spontanee è, infatti, in quanto opera di riflessione, dipendente dalla libera volontà, e per conseguenza è sempre possibile alla volontà ordi­ nare un ricsame della piu radicata certezza. Ma non è esatto dire che tale nuovo esame può rimettere indefinitamente in questione l'oggetto dell'assenso, e invalidarc cosi quest'ulti­ mo. In presenza dell'evidenza immediata dell'identità o della non-identità dei due ter­ mini di una proposizione, è impossibile negare tale identità o non-identità, quantunque l'esercizio dell'atto di adesione possa venire liberamente differito. In due parole, la volontà può rinnovare indefinitamente l'atto della revisione delle no­ stre conoscenze ; ma l'oggetto, e, per necessaria conseguenza, i risultati della revisione non sono subordinati alla volontà ; l'evidenza oggettiva immediata impone l'assenso (N.d.A.).

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Confessare che l'intelligenza nel campo della riflessione è capace di sospendere il proprio assenso e ·di non arrendersi se non all'evi­ denza oggettiva della verità, porta alla condusione che nei suoi giudizi diretti essa è capace ugualmente di farsi esclusivamente guidare dalla manifestazione dell'unione oggettiva del soggetto col prediçato, quali si presentano spontaneamente all'osservazione. Dunque il potere che i soggettivisti riconoscono, almeno impli­ citamente, alla ragione riflettente, non possono logicamente negarlo alla ragione spontanea, e, in forza di una conseguenza necessaria, devono conclud�re con noi che la causa determinante della certezza è un motivo oggettivo ·dell'assenso ; ciò che è l'opposto del soggetti­ vismo. CONCLUSIONE : L'INTELLIGENZA POSSIEDE UN MOTIVO E UNA RE­ GOLA DELLA CERTEZZA. Alla domanda : perché siamo certi ? ri­ spondiamo : perché l'evidenza oggettiva funge da motivo della cer· -

tezza del nostro assenso. Alla domanda : di che cosa siamo certi ? rispondiamo : delle pro­ posizioni la cui evidenza oggettiva è motivo di certezza. Dunque la mente umana col suo potere di distinguere tra una conoscenza motivata e una conoscenza non motivata possiede un criterio garantito delle condizioni volute, un criterio interno ogget­ tivo, immediato, di certezza. Tale criterio è interno : non è mutuato da un'autorità esterna, anzi è nella stessa coscienza del soggetto che giudica di essere certo. È oggettivo, in quanto consiste nell'evidenza della verità ontolo­ gica o oggettiva. E infine è immediato, infatti ci siamo limitati finora a conside­ rare il controllo riflesso della scienza certa delle proposizioni imme­ diate. Questo controllo è stato limitato, anche per ragioni di metodo, ai giudizi d'ordine ideale ; ma non è difficile indicare che la tesi dimostrata è ugualmente applicabile ai giudizi di esperienza, poiché negli uni e negli altri identica è la natura della sintesi ·di soggetto e predicato. Si intravede inoltre fin da adesso che le conoscenze mediate si fondano sul medesimo motivo e son guidate dallo stesso criterio Ji evidenza oggettiva che le conoscenze mediate. Le verità immediate sono evidenti perché i loro termini si trovano ridotti alla piu semplice espressione : le verità mediate sono provvi­ soriamente non-evidenti in quanto il contenuto dei loro termini è troppo complesso perché la mente lo afferri subito d.ilstintamente ; questo contenuto, per diventare evidente, ha bisogno di essere ana-

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GIORGIO GIANNIJ\"1

lizzato e semplificato ; ma la differenza tra le prime verità e le se­ conde è tutta relativa alla capacità del soggetto, e non tocca l'es• senza stessa degli oggetti conosciuti. Tale parificazione dell'evidenza mediata con l'evidenza immediata sarà piu completamente messa in luce nella Seconda Parte della

Criteriologia. COROLLARIO : IL DOGMATISMO RAZIONALE È GIUSTIFICATO. L'in­ la verità. Come abbiamo con­ testato ai fautori della teoria delle tre verità primitive il diritto di ' affermare a priori l'attitudine della mente umana a conoscere la verità, cosi abbiamo contestato agli scettici il diritto di negarla a priori. La potenza ·delle nostre facoltà conoscitive non è infatti ap­ prezzabile se non mediante i loro atti. Ma al punto in cui siamo tale capacità può essere legittimamente affermata. È infatti acquisito che l'intelligenza umana emette giudizi la cui oggettività è giustificabile e giustificata. Ora il giudizio, l'atto, non è altra cosa che il principio agente. Dunque il principio intelligente è riconosciuto capace di accertare l'oggettività di alcuni suoi giu­ dizi : in una parola, esso sa che è in suo potere conoscere la verità. S. Tommaso d'Aquino ci ha indicato il procedimento che con­ duce logicamente a questa conclusione : « La conoscenza della verità da parte dell'intelligenza è subordinata », egli dice, « a una consi­ derazione riflessa dell'atto ·di intellezionc. Bisogna tuttavia conside­ rare quest'atto non solo rispetto al fatto della sua esistenza, ma an­ che nella sua intima natura ; bisogna arrivare a capire che la natura dell'intelligenza è di subire l'azione della verità e di conformarvisi » e). -

telligenza umana è capace di conoscere

( Critériologie générale, ou théoric générale de la cerlitude, Lova!l io-Parigi, Alcan, 19238, pp. 259-267).

(2) cc Cognoscitur (vcritas) ah intellcctu secundum quod intelle.ctus rellectitur supra ac­ tum suum, non solum secundum quod cognoscit actum suum, sed. ·secundum quod cognoscit proportionem ejus ad rem : quod quidem cognosci non potest nisi cognita natura ipsius actus ; qua e cognosci non potesl, nisi cognoscatur natura principii a clivi, quod est ipse inlellectus, in cujus natura est ut rebus conformetur Jl . Qq. disp., de Veritate, Q. l, art. 9 (N.d.A.).

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II. N.-J.-J. BALTHASAR

l. L' IO COME ESISTENTE Importante riserva preliminare lo sono tm certo essere limitato da un certo altro essere ; il mio io è, nella sua perfezione propria, limitato dall'essere del mondo e da altri io. Il mio io è completo quando si diffonde in molteplici operazioni, in accidenti, essenze secondarie che formano con la mia sostanza nn composto ·di ordine metafisico, un solo essere « ut quod » composto di molteplici « entia ut quibus » . La mia esistenza personale attua, a titolo di potenza recettiva, l'essenza accidentalizzata. L'esistenza è l'atto ultimo ; essa è una per tutto il composto. Un ordine ·strettamente osservato, dunque, coman­ derebbe di trattare la composizione sostanza e accidenti prima della composizione essenza ed esistenza. Ci sembra preferibile pertanto, nella nostra esposizione, seguire l'ordine richiesto dal principio : « Actiones sunt suppositorum » op­ pure : « Agere sequitur esse ». L'essere precede l'agire, che pare costi­ tuirne lo schiudimento. L'esistenza sembra dover essere prima di tutto esistenza sostanziale ; in secondo luogo possono venire soltanto esistenze accidentali, operazioni molteplici. In realtà, essendo atto ultimo, essendo il suhstrato, l'esistenza deve essere una. Essa fa in modo che sia ciò che è, in una volta, il contenuto di un'essenza sostanziale di molteplici essenze acci­ dentali. Noi esamineremo pertanto l'esistenza nel suo ruolo di atto della sostanza come accettato da tutti, per negare, nel capitolo se­ guente, il bene fondato da questa composizione di essenza e di esistenza sostanziale. Non c'è una realtà che sia sostanza e delle realtà che siano accidenti ; sostanza ed operazioni non sono che realtà incom­ plete, « entia ut quibus », che formano mediante la loro unione metafisi�a tm « ens ut quo », ultima potenza recettiva dell'unico atto di esistenza.

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La composiziOne essenza ed esistenza, esaminata in questa sede, non è dunque che una composizione di ordine provvisorio. Ciò che viene attuato mediante l'esistenza è la sostanza « accidentalizzata » ; l a prova della realtà d i una composizione reale essenza-esistenza sarà data per acquisita.

Tutto integrale. Tutto potestativo. Tutto metafisico. Composizione « ex his » e composizione « cum his » . I l valore dell'essere è, dunque, u n valore riflessivo, spirituale ; oppure un valore ariflessivo materiale ed estensivo nell'ordine se­ condario dell'operazione. Come essere esteso, io non sono interamente in ciascuna delle mie membra ; io vi sono solo parzialmente. Il tutto integrale si com­ pone di parti, quantità qualificate, giustapposte, circoscrittive, poste le une accanto alle altre. L'insieme potestativo o potenziale e l'insieme metafisico, appar­ tengono ad un altro ordine. In questi ultimi insiemi è presente un insieme di parti che si compenetrano intimamente, intrinsecamente. Esse non sono suscettibili di giustapporsi, di inscriversi l'una nel­ l'altra o di circoscriversi l'una all'altra. L'insieme di materia e forma, essenza ed esistenza, costituisce un tutto metafisico. L'insieme dell'anima con le sue facoltà costi­ tuisce un tutto potestativo. L'anima è interamente in ciascuna di quelle facoltà ma limitatamente ad una parte della sua efficacia. Nel tutto integrale, vi sono molteplici atti incompleti, che attraverso la loro riunione nello spazio costituiscono un insieme materiale este­ so, che risulta composto delle sue parti. Nel tutto metafisico si tratta di potenza recettiva e di atto determinante : realtà « ut quo » che si compenetrano intrinsecamente ed il cui insieme non può che essere metempirico. Io sono io, nella mia interezza sono la perfezione a condizione di essere proprio questa perfezione particolare ; io sono interamente materia determinabile a condizione di essere altrettanto interamente anima spirituale. Queste realtà incomplete entrano nella mia stessa essenza, per costituire la mia unica essenza sostanziale. L'unione da esse realizzata è chiamata « ex his ». Essa forma un contenuto di essenza, di talità « ex his », un connotato completo che realizza la loro un,ione. Non succede altrettanto del composto realizzato attraverso l'es­ senza e l'esistenza. Questa non entra nel contenuto dell'essenza ; essa non aggiunge niente al contenuto del connotato che risponde alla domanda : che cosa è? L'esistenza pone nell'essere, atto ultimo,

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il contenuto costituito dall'essenza composta « ex his >>. Da questo punto, essenza ed esistenza formano un composto chiamato « cum his », che non è un nuovo composto « ex his » .

Prova della composizione reale nel mio io d i essenza e d esistenza (composizione « cum his ») L'inferenza necessaria di sé, che ci fa porre la composiziOne reale di essenza ed esistenza ( composizione « cum his ») è parallela all'inferenza che ci ha portato ad affermare la composizione ilemor­ fica : composto « ex his ». Là c'era partecipazione alla forma ; qui c'è partecipazione all'esistenza. Io sono questo esistente. Io sono esistente, interamente esistente, per tutto ciò che io sono e per tutto ciò che costituisce me stesso, ma a condizione di essere questo esistente lo non sono esistente c nulla piti, esistente e basta. Per tutto ciò che io sono, io sono tale, interamente tale ; ma a condizione che io esista, che io sia interamente esistente attuale o esistente possibile. Bisogna, dunque, che io, nella mia esistenza personale irripetibile, non sia un essere semplice ; biso­ gna che io sia un essere non semplice, un composto nell'ordine del­ l'esistenza individuale sostanziale. Poiché io sono veramente irripeti­ bile, la composizione non può essere realizzata che tra realtà « ut quo », incomplete, e non tra realtà perfette reali. Siamo in presenza ·di una composizione per essere, per poter essere un essere, nell'unico valore di essere non il nulla, pur essendo non semplice. È questa una composizione reale, ma non una composizione di realtà perfette reali. È una dicotomia di potenza ed atto che si manifesta nell'ordine stesso dell'esistenza ; c'è un limite reale d'essere « ut quo >> ; c'è l'atto ultimo di essere « ut quo ». Le componenti sono correlative ; la loro rispettiva causalità è reciproca ; la loro stessa simultaneità logica è richiesta per se stessa. Un componente è per l'altro e l'altro è per l'uno ; l'uno è conosciuto per l'altro e l'altro è conosciuto per l'uno. Non c'è privazione di essenza o di esistenza possibile. C'è una « con­ conoscenza » di questi due principi incompleti che formano un ·com­ posto che non è altro che « cum his », poiché l'esistenza non aggiunge niente all'essenza come contenuto dell'essenza. A questo proposito è interessante leggere l'articolo del professor Van Steenberghen, La composition constitutive de l'etre fini, Rev. néosc. de philos., maggio e novembre 1938 e soprattutto gli sviluppi dati dal professor De Raeymaeker, in Philosophie de l'etre, Lova­ nio, 1946, pp. 106-1 55. S. Tommaso scrive nel suo Commentario alla metafisica di Ari­ stotele, libro IV, lezione l, edizione Cathala, n. 558 :

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« Esse non est additum ad modum accidentis, sed esse quasi con­ stituitur ex principiis essentiae ». « L'esistere non è aggiunto all'essenza come un accidente ; bisogna dire che l'esistenza è quasi costituita dal principio essenziale ». Che si tratti di un composto metafisico « cum his » o di un composto « ex his >>, che si tratti di un composto senza fusione nel­ l'essenza o di un composto ottenuto per fusione essenziale, Filiazione proposta è irreversibile. Se, a prima vista, io sono tutto intero, ma non �otalmente in una volta determinato e tuttavia non determinato, poiché deter­ minabile, se io sono in una volta essere e non essere, nel senso che non sono ciò che sono, poiché non sono tutto l'essere, è necessario che la mia struttura metafisica non sia semplice né come talità né come esistenza. Il mio io, in questa maniera, presenta due dicotomie reali : la forma individualizzata e la mia materia prima ; e poi, que­ sto stesso composto : questa talità che limita il mio essere, atto ultimo deli'esistenza. Facendo parte di una molteplicità reale di esseri limitati, io sono, nell'essere analogico, in una volta interamente essere come gli altri esseri in quanto faccio veramente parte dell'unico essere, e tuttavia io sono interamente me stesso, io sono questo essere differente -dagli altri esseri perché sono soltanto il mio proprio io. Non essendo che il mio essere, debbo essere composto nell'essere, altrimenti sarei illi­ mitato, non finito, l'unico essere. Non si tratta di un puro gioco di concetti ma di una struttura reale, grazie ad una partecipazione reale ad una perfezione, l'essere, perfezione delle perfezioni. Riflettiamoci sopra ponderatamente. Questo essere' non raggiunge mai l'essere ; per quanto possa es­ sere spinto nell'ordine della talità questo modo di essere è adeguata­ mente distinto dall'essere semplicemente. Come nozioni, questo e es­ sere, corrispondono immediatamente a due realtà incomplete correla­ tive « ens ut quo » ; esse non possono non corrispondervi. Io · conosco ciò che è, io non conosco soltanto la mia conoscenza. Il soggetto oggetto che io vivo ·dal di dentro è questo essere ; questo è adegua­ tamente irriducibile a essere, malgrado l'adattamento e. la correla­ zione di questi termini inseparabili. C'è dunque una correlazione di due co-principi reali incompleti, reciprocamente contrapposti. La­ mia intelligenza attinge questo essere, questo esistente singolo nel valore d'essere uno e comune. L'inferenza della riflessione dimostra con evidenza l'esigenza éhe c'è in questo essere di due composti di natura metafisica. (Mon moi dans l'etre, Lovanio, lnstit. sup. de philos., 1946, pp. 93-98).

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2. L' IO COME VALORE PERSONALE

Unità analogica degli esseri nel valore assoluto dell'essere non il nulla Se il nostro intelletto-agente non facesse che cogliere la nozione di essere come idea generale nell'esperienza sensibile, non potremmo attingere l'essere che come ragione unica d'essere. Ciò sarebbe il monismo dell'essere intelligibile come esistente. L'io non attingerebbe degli esseri che partecipano all'essere, se non in un senso equivoco, come ad esempio accade in Spinoza. Bisogna che io colga intelligi­ bilmente degli esseri veramente esseri e veramente distinti l'uno dal­ l'altro in quanto esseri irripetibili, per potermi trovare in presenza di una analogia nell'unico valore dell'essere, partecipato in maniera . molteplice. Se ciò che permette che io sia me stesso, fosse ciò che permette che io sia un essere senza alcun limite e senza restrizione alcuna, come non possono esserci piu io non potrebbero esserci piu esseri. Io sono essere nell'« ens commune qua ens » , in ciò che è comune analogicamente a tutti gli esseri limitati nell'unico valore d'essere. In quanto è questo individuo, l'io è veramente unico ; in quanto è questo tale essere, nell'essere uno, esso è analogicamente comune a tutti gli esseri singolari limitati. Analogicamente in senso metafisico, l'essere è contemporanea­ mente un intelligibile generale e singolàre. È l'essere che permette che io sia me stesso come individuo singolare ; ed è ancora . l'essere che permette che, nell'insieme degli esseri, in quanto essere, io sia ana­ logato mediante un'analogia di proporzionalità propriamente detta, nel valore generale analogico dell'essere. Ciò non veniva riconosciuto dal P. Descoqs, il quale trattava l'essere analogico come valore sol­ tanto generale non tenendo in alcun conto il suo inseparabile va­ lore di singolarità. lo non sarei io, se non fossi nell'essenza-essere, in un rapporto reale di similitudine analogica nell'essere non il nulla, con gli altri io e con il mondo. In quanto sono un essere nell'essere, io connoto tÙtti gli esseri limitati nella loro legge d'essere. lo li con­ diziono come essi stessi condizionano me. Noi siamo dei con-condi­ zionati nell'unico valore d'essere non il nulla. Non è come essere che io sono opposto agli altri esseri ; è come tale essere, e ciò comporta una reale partecipazione all'essere comune nell'essere. Chiaramente, ci sono parecchi esseri. lo sono un essere responsa­ bile, libero, un essere in un mondo che mi è realmente opposto, che mi limita veramente in quanto esso è ciò che è ed in quanto io non sono ciò che esso è.

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Ci sono parecchi io che comprendono la ragione d'essere e che, come tali, emergono da un mondo non riflessivo. lo posso rendermi conto del perché della mia responsablità. lo non posso essere che me stesso ; nessuno può essere me al posto mio. Indiviso in me stesso, io sono diviso, distinto, sono un essere distinto da ogni altro io e dal mondo. lo sono un valore incomunicabile, un'ipostasi, una so­ stanza personale. lo ne ho una chiara coscienza ; da sempre come possibilità di essere, io sono il mio essere. Non cesserò mai di es­ sere il mio essere, indipendentemente dall'averlo posseduto e poi per­ duto, attraverso il mio essere metafisico. Nella massa delle persone umane, nella molteplicità delle mie ope· razioni, io resto me stesso in modo inalienabile. lo sono un animale sociale ; la società mi arricchisce a condizione che io possieda vera­ mente me stesso come persona singolare, nel segreto di una coscienza in cui non può penetrare alcun essere limitato che non sia io. Meta­ fisicamente, non si può dare uno sdoppiamento di personalità. La mia incomunicabilità esclude la semplicità ; essa risulta dei composti reali considerati nell'ordine -d ell'essenza e nell'ordine del­ l'atto ultimo di esistere e di agire. Vivere per l'io che emerge dal mondo, vuoi dire riversare il suo essere nelle sue operazioni. Attua­ lità ultima, il mio essere-agire è uno, senza dubbio, ma esso è in una certa maniera molteplice nei miei atti formalmente e numericamente. Le mie operazioni sono qualità quantificate, in relazione fra di loro e con il non io, mediante ciò che le costituisce nel loro valore d'essere. Il loro essere comporta nell'essere che esse siano aperte sul mondo, aperte sull'« ens commune qua ens », aperte sul valore d'essere senza alcuna restrizione. La mia personalità consiste, dunque, nel mio io completo in sé, incomunicabile nel suo essere proprio, io sussistente, operante, esi­ stente in sé con i suoi accidenti, in un'unità che muta in un se­ condo momento, restando fondamentalmente la stessa. Perché io sia in me stesso il piu completamente possibile, bisogna che io possieda la mia attualità ultima, il mio essere proprio « esse proprium >>. L'accidente non è nessuno ; esso partecipa al valore personale. La mia anima, forma sostanziale del mio corpo presente, « ens ut quo >> , non è una persona. Essa è senza dubbio capace di sussistere sola e di non essere nessuno, ma essa è concretizzata in un corpo risul­ tante dalla concatenazione delle cause ; essa è definita da questa unione sostanziale e continua a partecipare all'essere mediante l'uni­ bilità essenziale che persiste dopo la morte.

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Diritto di scrzaare nei misteri della Trinitii delle Persone nell'unità divina e dell'unione ipostatica nel Cristo Esiste una personalità divina : l'essere puro. La sussistenza di­ stinta, essere puro, è personale, come stabilisce la metafisica. Dio è distinto dal mondo per l'indeterminabilità per eccesso della sua intera perfezione. La teologia perfeziona questo acquisto filosofico che era soltanto provvisorio. Dio è personale, senza dubbio, ma nella Trinità delle Persone identiche all'essere puro e distinte l'una dal­ l'altra solo in quanto relazioni sussistenti per la stessa e identica s'ussistenza infinita, essere puro. È questo il mistero teologico di un solo Dio in tre Persone : il Padre, il Verbo, e lo Spirito Santo. Di queste tre Persone solo la seconda ha assunto la natura umana. I teologi non hanno cessato di commentare il pensiero di S. Agostino cosi espresso ·dal Concilio di Firenze : « In divinis omnia sunt idem, ubi non obviat relationis oppositio ». Cè unicità in Dio tranne che nell'opposizione di relazioni sussistenti : Paternità e Filia­ zione, Spirazione attiva (Padre e Figlio) e Spirazione passiva ( Spi­ rito Santo). « Hoc solo numerum insinuant quod ad invicem sunt, non quod ad se sunt » aveva scritto S. Agostino (in ]oan., Tract. 39). Nell'ignoranza della vita intima dell'essere puro in cui si trova, la metafisica deve essere illuminata dai dati della rivelazione sopran­ naturale, che ci insegnano che Dio è trino nelle Persone, che è per­ sonale senza essere una Persona divina. Come tale, la nozione di relazione non comporta né perfezione né imperfezione ; essa è rapporto. Essa può essere relazione di pura ragione o relazione identica all'essere puro nella perfezione. Essa si op­ pone realmente, reciprocamente, senza che ci sia maggior perfezione nell'insieme dei termini opposti che in ognuno in rapporto al suo termine correlativo. La stessa perfezione infinita comporta nell'es­ senza divina l'esigenza di una duplice opposizione che distingue real­ mente, ma senza offuscare minimamente quella che è la stessa e identica perfezione assoluta. Ripetiamolo : non si può parlare della Persona divina, ma unicamente delle Persone divine, o della Per­ sonalità divina che è trina. Se, come ci insegna la teologia, la natura umana del Verbo In­ carnato, per quanto sia individualizzata, non è una persona, è per­ ché essa è ipostaticamente unita alla seconda Persona della SS. Tri­ nità, e perché essa non sussiste che per la sussistenza infinita del Verbo divino. Essa non possiede una sussistenza creata. L'umanità singolare dell' Uomo-Dio è un « ut quo », sostanza « accidentaliz­ zata » che non ha il suo correlativo, l'« esse proprium ». Il ruolo

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dell'esistenza finita è esercitato eminentemente nel Cristo dalla se­ conda Persona dell'adorabile Trinità. Tra l'essere e l'esistenza, l'unione metafisica non è « ex his » in vista di costituire un contenuto completo a connotazione essen­ ziale ; l'unione è semplicemente « cum his ». L'esistenza, attualità ultima, permette che il contenuto d'essenza completo esista senza do­ ver essere mutato in se stesso ; nessun « tertium quid » risulta dalla loro unione. L' « esse divinum » infinito non può evidentemente essere ricevuto nell'umanità finita ; « quidquid recipitur ad modum recipientis reci­ pitur ». L'umanità del Verbo derivata dalla sostanza della Vergine Maria esiste infinitamente, lungi dal vedersi privata del suo « esse proprium finitum ». Essa è sovrabbondantemente riempita nel suo compimento ultimo. L'« esse divinum » infinito non può evidentemente essere ricevuto come l' « esse finitum ». La fede ci dice che Dio può assumere, vale a dire attirare alla sua sussistenza infinita, delle sostanze finite. La metafisica ci dice che l'assunzione divina non può comportare una unione in natura, in essenza, una unione « ex his ». Attraverso que­ sta unione, la divinità dovrebbe entrare in composizione reale con il finito. L'indipendenza assoluta dell' « esse purum » vi si oppone in maniera assoluta. Dio cesserebbe ·di essere Dio, ma ciò è l'im­ possibilità stessa. L'unione teandrica è un'unionè nella persona e secondo la per­ sonalità. Essa non comporta alcuna composizione, alcuna diminuzione reale. Pur dichiarandosi impotente a comprendere questa unione, il metafisica che, per vocazione, possiede un diritto di esame su di essa, d.eve dichiarare che egli non vede in essa alcuna contraddizione. L'unione nell'essenza con Dio è contraddittoria ; altrimenti è ·del­ l'unione nell'esistenza, nella sussistenza. L'umanità singolare del Cristo continua a definirsi metafisica­ mente mediante una correlazione reale attitudinale con il suo « esse proprium finitum », il cui ruolo è esercitato eminen�emente dal­ l'« esse Verbi »· (Op. cit.,

pp. 161-166).

3. LA CAUSALITÀ

Cau.salità efficiente unificatrice finita Noi siamo delle vere cause efficienti e non soltanto cau.se occa­ sionali come diceva Malebranche, vale a dire elementi non attivi in

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un'armonia prestabilita da Dio, che solo potrebbe essere un'efficace causa efficiente, il che equivarrebbe a supporre che noi non esistiamo e che non siamo veramente degli esseri. L'essere è dinamico : esso è per l'agire. Tutto ciò l'abbiamo rile­ vato parThtq�o della composizione metafisica : sostanza e accidenti.

La causalit'ii metafisica si rapporta all'identità : l'essere negarla è contraddirsi

è

l'essere ;

A è A costituisce un'identità inframetafisica ; il suo contenuto non trascendentale o considerato nel valore di non nulla. Esso è con­ è siderato nell'ordine dell'astrazione, dell'univocità, non nell'ordine dd trascendentale. A è ragione sufficiente di A ; questa affermazione si limita ad un contenuto di talità come talità : ciò che è è distintamen­ te ciò che è. Se io domando per quale motivo l'uomo non è un semplice ani­ male, la mia risposta non dovrà ricorrere all'essere trascendentale e trascendente in assoluto, ma unicamente ad un contenuto dell'es­ senza, ad un modo, ad un limite dell'essere nel suo contenuto intrin­ seco. lo direi che ciò dipenderebbe dalla forma sostanziale dell'uomo che emerge dalla materia. Non mi si domandi di più, poiché la mia risposta non deve in alcun modo fare appello a Dio o ai pro­ genitori umani per quanto riguarda l'origine dell'anima. È proprio perché 2 è 2 e 4 è 4, che 2 piu 2 fanno 4. Se si pre­ tende che ciò si verifica perché Dio esiste, ciò senza dubbio è vero ; se Dio non esistesse, l'astratto non potrebbe essere pensato dall'uomo e nessuna addizione potrebbe essere realizzata. Ma, infine, non è a ciò che si bada quando si esegue una addizione. Se l'essere non fosse l'essere, 2 non potrebbe essere 2 ; ciò è vero, ma in aritmetica non si fanno tali questioni. La causalità metafisica, dipende dall'ordine dell'essere e non da quello dell'apparire in quanto tale ; o ancora dall'ordine dell'essenza limitata come essenza e non come essenza esistenza. Ogni ragione sufficjente non viene considerata nell'ordine metafisico. C'è una ra­ gione sufficiente inframetafisica : una cosa è determinata ; essa è identica a se stessa. C'è una causalità considerata nell'ordine pura­ mente empirico o semplicemente scientifico. In esso si possono con­ siderare degli antecedenti e dei conseguenti in una concatenazione fenomenica senza maggiormente approfondire la ragione sufficiente considerandola come un « ens » nell' « ens commune qua ens ». Al­ lora, una comunanza d'astrazione entra in causa nel processo espli­ cativo, e non una comunità metafisica di analogia nel valore di non nulla.

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Il principiO di identità : l'essere è l'essere si applica a tutto ciò che è o può essere ; di conseguenza dire che l'essere condizionato è senza che sia, per causarlo nella sua essenza-essere-operazione, l'es­ sere puro incondizionato, significa contraddirsi. Creando l'essere finito, Dio per ciò stesso crea l'agj�limitato. Io ho coscienza di essere principio reale responsabile .te'fie mie ope­ razioni umane ; di essere un effettivo agire nell'ordine ·della causa­ lità efficiente unificatrice. Essendo intelligente e libero, io agisco nel­ l'ordine della ragione sufficiente dell'essere, dell'esemplarità, della ve­ rità trascendentale ; io agisco anche nell'ordine della finalità, vale a dire, della bontà trascendentale ; io agisco infine nell'ordine dell'ar­ monia, vale a dire, nell'ordine della bellezza trascendentale. Essèndo essere mediante il mio agire, è mediante esso che io m'inserivo piu profondamente nell'essere me stesso come persona. Io tendo ad essere nell'essere, in quanto può realizzarsi. La causalità è dunque veramente metafisica, essa è veramente ricondotta all'es­ sere stesso, al principio : l'essere è l'essere necessariamente. Sottrarmi la causalità equivale a sottrarmi l'essere, vuoi dire negare il principio di identità metafisica. II composto di sostanza e di operazioni è di ordine strettamente metafisico in ogni essere limi­ tato, nell'essere non il nulla. Si è preteso che negare la causalità metafisica vuoi dire cadere nell'errore ; senza dubbio questo è un errore, tuttavia non è una con­ traddizione. È stato detto che la causalità appartiene all'ordine dina­ mico che è distinto dall'ordine statico. Quest'ultimo concerne ciò che costituisce in trinsecamente ciò che è e non la sua espansione, la sua effusione, il suo agire. Si dimentica che l'agire è essere agire e che l'essere interamente essere trascendentale deve riportarsi, in metafisica, all'essere ed al principio d.i identità : l'essere è l'essere, e non può non esserlo. Affermare che un essere è veramente essere, in senso assoluto, non il nulla e che esso non può agire, pur restando interamente essere nell'essere, equivale a contraddirsi. Non si può separare l'es­ sere dall'agire, poiché l'agire è essere per essere agire. La proporzionalità metafisica è una similitudine nell'essere con Dio, l'agire puro. Dio è interiore ad ogni essere finito, è interiore ad ogni causa limitata e con ciò permette che essa sia e agisca se­ condo la sua natura. Si instaura una proporzione di dipendenza to­ tale rispetto all'essere puro, che è la ragion d'essere della proporzio­ nalità metafisica. L'abbiamo già detto, proporzionalità e proporzione diretta di ogni termine rispetto all'agire puro, procedono parallela­ mente nell'ordine degli esseri nell'essere� degli esseri che sono per agire, per svilupparsi nell'essere.

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Causare è un gesto di generosità senza modificazione ·di sé, del principio stesso della causalità. La fonte della nostra causalità ana­ logica è il principio creatore, il quale è causa creatrice unificante, causa esemplare, causa finale e causa armonica. La causa creata limitata è essa stessa e necessariamente efficiente del mutamento, è unificante, esemplare, finale e armonica. lo agisco sul mond{) ed il mondo agisce su di me. lo agisco su altri io, che a loro volta agiscono su di me. Tale essere particolare nell'ordine dell'essere è in relazione reale con tutti gli esseri che sono nell'essere. Essi si co-condizionano fin dal momento in cui sono ed in quanto sono degli esseri. Poiché gli esseri sono nell'essere, ci sono cause ed effetti. Ciò che è nell'essere è in relazione reale con tutto ciò che è nell'essere. In quel caso non si tratta di astrazione o di logica pura. Si tratta di esseri reali esistenti, metafisicamente ana­ loghi. Cosi pure l'essere in generale costituisce il reale insieme esi­ stente di tutti gli esseri che sono. Esso è un essere generale « sin­ golare >> , non un semplice essere generale, considerato come tale esclu­ sivamente nella accezione di comune. La causalità si radica dunque nell'essere stesso ; essa è colle­ gata strettamente al significato stesso del principio di non contraddi­ zione. L'essere è in sé o un essere causato causante o la causa incausata creatrice. (Op. cit., pp. 225-228\.

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III. L. DE RAEYMAEKER

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LA PARTECIPAZIONE-ANALOGIA E LE SUE IMPLICAZIONI

La metafisica generale ha per oggetto la spiegazione fondamen­ tale di tutte le cose, considerate nel loro insieme. Uno studio di que­ sto genere deve appoggiarsi, in partenza, sopra un'idea tr,ascenden­ tale, cioè sopra una conoscenza il cui contenuto è, al tempo stesso, universale e concreto : tale contenuto ·deve essere universale, per­ ché l'esperienza umana, ovviamente limitata, non potrebbe mai esten­ dersi a tutto ciò che esiste ; comunque, questo contenuto deve mi­ rare formalmente al concreto, se non si vuole trascurare l'indivi­ dualità e l'esistenza delle cose e correre il rischio di non raggiungere la realtà nella sua piena ricchezza. L'idea di essere risponde perfettamente a queste condizioni ; sorge nella mente alla minima esperienza ed è trascendentale, nel senso che si è appena definito. Con questa idea noi cogliamQ il valore asso­ luto che è nascosto nella nostra stessa esistenza, nonché quello degli oggetti presenti e, al tempo stesso, ci appare evidente che questo valore di essere, in virtu del suo carattere assoluto, deve avviluppare e pene· trare ogni cosa. Ragion per cui noi abbiamo il diritto ·di attribuire l'essere ad ogni soggetto e di attribuirglielo formalmente. La metafisica generale non può quindi consistere in uno studio delle essenze astratte, in un « essenzialismo » , poiché l'astratto non renderà mai pienamente conto del concreto. Sotto l'influsso della filo­ sofia platonica delÌe idee, l'antichità e il medioevo hanno troppo spesso sacrificato all'astrazione in questa materia ; la filosofia moder­ na non è riuscita a risalire questa corrente ; e tuttora, nella nostra epoca, molti sistemi idealistici si sono sforzati invano di « rico­ struire » il reale partendo da principi astratti, stabiliti con la ragione. Sotto certi aspetti, l'esistenzialismo attuale è una reazione energica contro questa filosofia delle essenze o dei valori astratti. Esso vuole procedere dalla realtà esistente e rimanere continuamente in contatto intimo con il concreto, grazie alla coscienza che possiede ogni uomo

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della propria realtà, della sua vita, delle sue azioni. Ma, in genere, la reazione si dimostra insufficiente. Indubbiamente gli esistenzialisti fanno delle descrizioni fenomenolo!!;iche della realtà vissuta non pri­ ve di interesse : tuttavia, le loro osservazioni sembrano riferirsi tanto esclusivamente all'io cosciente che si è portati a chiedersi come sia possibile trarne delle conclusioni relative alla realtà presa nel suo insieme. È vero che certi esistenzialisti si rifiutano ·di farlo ; si limi­ tano a circoscrivere le « situazioni » tipiche ·della nostra esistenza vissuta ( 1). Altri, invece, lavorano alla costruzione di una metafi­ sica, ma non si vede chiaramente con quali mezzi passano dall'esi­ stenza dell'uomo all'esistenza in genere e). Mentre. la metafisica delle essenze trascura l'esistenza concreta per rinchiudersi nelle essenze universali, l'esistenzialismo, col rischio di lasciar sfuggire l'universale, si aggancia al concreto. Un grosso sbaglio dell'« essenzialismo » è quello di consid�rare unicamente le essenze in se stesse, come se fossero dei « tutti » com­ piuti, chiusi ; poiché, in quanto essenze reali, individuali e concrete, sono integralmente dei « modi di essere », ·delle realtà incomplete, aperte, relative ad un al di là di se stesse, ossia all'essere. Non si può dire che siano senz'altro identiche all'essere, poiché ne sono soltanto dei modi concreti ; ma, precisamente per questa stessa ra­ gione, esse non si possono comprendere se non con l'essere, al quale si riferiscono e da cui, in quanto essenze concrete, non possono es­ sere separate, anche dalla sola ragione. Dal canto suo, l'esistenzialismo fissa, giustamente, l'attenzione sul­ l'io concreto e esistente, ma dimentica generalmente di sottolineare che l'io implica, anch'esso, un modo di essere, che non può identi­ ficarsi senz'altro con l'essere stesso. Come la metafisica delle essenze si rinchiude, a torto, nei modi astratti, cosi l'esistenzialismo si tro­ va propenso a rinchiudersi nel modo concreto dell'io. Esso trascura all Ò ra, a sua volta, di tener conto della relatività essenziale di que­ sto particolare modo di essere. Messo alle strette, si trova incapace di gettare le basi di una filosofia ·dell'esistenza in quanto tale, che Sia possibile applicare sia al non-io sia all'io. Di conseguenza, vi è una distinzione che i dati reali ci impon( l) È il caso dell' Existenzphilosophie di KARL }ASPERS (N.d.A.). (2) Martin Heidegger oppone la sua filosofia esistenzialista alla filosofia esistenziale di K. Jaspers, per affermare le sue pretese alla metafisica. Un approfondilo esame critico della sua filosofia è stato fatto da AI.PH. DE WAEI.HENS, La philosophie de Martin Hei· degger, Louvain, 1942, pp. 2:15 e ss., 307 e ss. In Francia, R. Le Senne e Gabr. Marcel ammettono l'assoluto come valore fondamentale, il che apre la via alla metafisica. Non si vede invece come J.·P. Sartre possa legittimamente basare una filosofia dell'essere in ge­ nere su dati esistenziali che forniscono soltanto del puro contingente (N.d.A .).

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gòno sin dall'inizio e che è indispensabile non dimenticare : quella del valore di essere e dei rrwdi di essere. Questo valore è unico e assoluto, mentre i modi sono molteplici e relativi gli uni agli altri. Distinzion�, non separazione : i modi perdono ogni senso al di fuori del valore e il valore non si manifesta se non nei mo-di. Ora, l'espe­ rienza attesta che i modi di essere si oppongono profondamente, al punto di essere incomunicabili : esistono degli esseri molteplici, sussi­ stenti nel loro essere, autonomi e indipendenti gli uni dagli altri nel loro agire. L'essere, valore assoluto e unico, comprende un ordine di esseri. Questi esseri non possono avere nessuna consistenza al di fuori del valore di essere assoluto : vi sono tutti riuniti. Di conseguenza, è in maniera esauriente che tutta la loro realtà è segnata da rela­ tività e che si mantengono insieme per formare l'ordine unico de­ gli esseri. llegel ha insistito su questo fondamentale punto. Egli credette di doverne concludere che questi esseri si trovassero fissati nell'insieme come delle parti in un tutto. Era un errore. Poiché se è vero che gli esseri si riallacciano precipuamente all'ordine che li contiene interamente, è altrettanto vero che ognuno di essi è sussistente. L'autonomia del nostro agire si impone a noi, alla stessa stregua del valore di essere assoluto : non si può rifiutare né l'una, né l'altro. Non si risolve un problema sbarazzandosi della metà dci dati. Diremo quindi che gli esseri sono ·dei tutti c non delle « par­ ti », poiché sono sussistenti, ma che ciononostante, « partecipano » tutti al valore di essere, poiché questo valore è assoluto e di conse­ guenza unica. Ogni essere « è », ed è veramente esso ad essere ; ma realizza il valore di essere in modo particolare, distinto da molti altri ; esiste secondo un modo che gli è proprio, nella misura della sua « essenza » o natura individuale. Il tutto delle cose non è fatto di un concatenamento ·di « parti », è un insieme che raggruppa delle « partecipazioni » autonome. L'ordi­ ne ontologico è un ordine di partecipazione. Se l'idea di essere significa il valore assoluto, è analogica. Da una parte, a questo valore di essere si può partecipare in molti modi, poiché vi sono numerosi esseri sussistenti ; d'altra parte, es­ sendo assoluto, non può opporsi a nessun termine esterno. Né quindi distinguersi da esso, e di conseguenza deve includere tutto ; il che equivale a dire che il valore di essere contiene in se stesso i propri modi. È dunque impossibile astrarre l'essere dai suoi modi per formar­ s{me un concetto univoco, come ha voluto fare la scuola scotista, poiché, logicamente, equivarrebbe a rigettare i modi n�l non-essere.

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È altrettanto vano voler ridurre il valore di essere ai suoi vari modi particolari e ritenere la parola essere un termine equivoco, poiché una simile tesi sarebbe contraria all'unità precipua del valore di essere. Inoltre, non basta richiamarsi all'analogia di attribuzione, alla ma­ niera ·di Aristotele, per spiegare il raggruppamento dei modi di essere in una medesima sintesi, poiché l'analogia stessa si può rife­ rire soltanto a un ordine che tocca degli esseri sussistenti senza pene­ trare fino alla loro realtà fondamentale. In fin dci conti, occorre sempre ricordare che l'ordine dell'essere si estende a tutte le cose e che le raggiunge interamente, anche nella loro attività piii autonoma e nella loro natura piii intima. E siccome la perfezione di essere, dato il suo valore assoluto, non può mai astrarsi da nulla, poiché si estende necessariamente a tutto, occorre pure ammettere che l'idea di essere, che significa formalmente questa perfezione, avviluppa tutto nel suo contenuto ; di conseguenza, essa deve attribuirsi agli esseri particolari in modo proporzionale, cioè, in proporzione al loro modo di essere individuale, oppure, tenendo conto del loro grado di partecipazione all'essere. L'analogia dell'idea ·di essere è un'analogia di proporzionalità, perché l'ordine dell'essere si basa integralmente sulla partecipazione degli esseri sussistenti al valore di essere assoluto. Tutta l'a ttività intellettuale poggia sull'infelligenza in atto del­ l'essere, valore assoluto : qui sta l'oggetto formale dell'intelligenza. È soltanto alla luce dell'essere che concetti e giudizi assumono un sen­ so. Questo fondamento è incrollabilc : chi coglie il valore assoluto non può, pertanto, né concepire un dubbio, né sbagliarsi. A parti­ , re da questo, si è in diritto di estendere le proprie indagini a tutto ciò che cade sotto la competenza dell'essere, cioè a tutto senza eccezione. Indubbiamente l'intelligenza umana, limitata e inferma, non è in grado di porre c di risolvere tutte le domande. Ci sentiamo del tutto incapaci di fornire la definizione della maggiore parte degli esseri particolari, nonché di stabilire la natura esatta della loro attività e dei loro rapporti. Ciò nonostante, siamo portati a porre certe domande che riguardano il tutto, poiché cogliamo precisamente gli esseri con il loro valore di essere assoluto, cioè con il principio ·di unità nel quale tutto converge integralmente ; quindi, noi li rag­ giungiamo anche nelle loro essenze concrete e individuali, in quanto, per l'appunto, queste essenze sono, interamente e necessariamente, dei modi di essere particolari. È questa conoscenza trascendentale il fondamento della legittimità della metafisica. Il cogliere l'essere ci pone automaticamente davanti a questo pro­ b1ema : come spiegare la partecipazione al piano dell'assoluto. Cioè, anzitutto, come concepire la realtà di un essere particolare, che è veramente, poiché sussiste, pur non essendo assolutamente poiché è

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un individuo tra molti altri ? E poi, come concepire l'unità assoluta dell'essere, mentre il valore di essere si trova veramente ripartito fra esseri molteplici, relativi gli uni agli altri? Insomma, si tratta di sapere come l'« assoluto », che implica l'unicità, possa trovarsi in un « ordine » che racchiude una molteplicità. Come spiegarsi la par­ tecipazione dell'essere ? Come fondare l'analogia dell'idea trascende!!· tale di essere ? È il problema metafisico per eccellenza : quello dell'uno e del molteplice a livello dell'assoluto. (Philosophie· de l'étre, Lovanio, lnstitut supérieur de philosophie, 1947, pp. 377·382).

2 LA STRUTTURA INTERNA DEL FINITO E IL RIMANDO ALL'ESSERE ASSOLUTO ..

L'essere particolare non può concepirsi come una realtà sem· p lice : esso è intrinsecamente composto, strutturato. È evidente che deve contenere la sua essenza, il suo modo di es­ sere individuale, la misura della sua partecipazione al valore di es­ sere. Ma poiché agisce in modo autonomo e poiché, quindi, è sus­ sistente, cioè distinto dagli altri nell'esistenza, occorre che racchiuda inoltre, nella realtà di cui è costituito, il suo esse proprium, la ra­ gione intrinseca della propria esistenza. L'essere particolare è fatto di questa intima congiunzione di due principi reali, quello del modo di essere, radice dell'individualità, e quello dell'essere, radice della sussistenza, della suppositalità. Occorrono l'uno e l'altro per pensare, senza contraddizione, che esiste un essere con partecipazione, un « essere » particolare. I due principi non {l{>trebbero in nessun caso fondersi in una realtà semplice, altrimenti la partecipazione scom­ parirebbe ; non potrebbero nemmeno separarsi, poiché ciò facendo, cesserebbero di partecipare all'essere e si troverebbero annientati. I due principi si riferiscono integralmente l'uno all'altro, sono rela­ zioni trascendentali, e la loro correlazione forma la struttura che costituisce l'essere particolare. Questa composizione di essenza e di esistenza ne implica un'al­ tra, sul piano dell'agire, nella linea dell'essenza o quiddità concreta. Infatti, la perfezione ·di un essere si misura in proporzione alla pie­ nezza della sua sussistenza. L'essere particolare, che sussiste secondo il modo e entro i limiti della sua essenza individuale, tende a con­ quistare se stesso, a sviluppare un'attività autonoma, a condurre una esistenza personale, che sia conforme alle esigenze della sua natur1:1. L'ideale sarebbe dunque di possedersi pienamente nella chiarezza di

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una coscienza perfetta. Ma per rendersi ben conto della sua natura, l'essere particolare deve situarsi esattamente nell'ordine degli esseri. A questo scopo, occorre che abbracci con lo sguardo l'insieme della realtà, al fine di determinare il proprio atteggiamento conformando­ si alla legge dell'essere, che governa l'ordine universale. L'essere par­ ticolare deve dunque assimilare a se stesso gli altri esseri, nell'ordine intenzionale, con un'attività immanente, personale, e adattarsi ad essi. Questo lavoro di arricchimento implica un divenire, che però non cambia minimamente la determinazione precipua dell'essere sus­ sistente. Anzi, con queste operazioni; quell'essere non mira ad altro che ad affermarsi pienamente e a rafforzarsi sempre piu, esplicitando, in tutta la misura dei suoi mezzi, le immense ricchezze di perfe­ zione che implica la partecipazione reale al valore assoluto. Ne ri­ sulta che, nella linea del modo di partecipazione ontologica, cioè in quella della quiddità o essenza, occorre distinguere la ragione reale dell'identità individuale dell'essere particolare e la ragione reale del­ l'evoluzione che lo completa : principio di sostanzialità e principio di determinazione accidentale. Essi formano una correlazione, i cui termini si definiscono adeguatamente con il loro mutuo riferimento. Lo sviluppo attivo di un essere particolare è un processo com­ plicato, che risulta dall'impiego di diverse facoltà, ognuna delle quali deve definirsi attraverso il suo oggetto formale. In questo « ordine » accidentale le correlazioni vanno sempre moltiplicandosi, tanto piu che nel corso delle sue operazioni l'essere particolare acquista con­ tinuamente delle ·determinazioni nuove, transitorie o permanenti. Il problema della partecipazione si pone inoltre sul piano del­ l'essenza, della perfezione quidditativa. Nel mondo materiale, infatti, l'esperienza lo dimostra, ogni perfezione quidditativa si ritrova in numerosi individui. Questo ci permette di formarci di queste perfe­ zioni dei concetti specifici, astratti e assolutamente univoci. Qual è il fondamento metafisco richiesto per spiegare questo ordine speci­ fico, cioè per conciliare l'uno e il molteplice a livello della specie? L'esame di questo quesito porta a concludere alla composizione ilemorfica della sostanza degli esseri materiali : il loro modo di essere sostanziale consiste nella correlazione di un principio di determina­ zione specifico e di un principio di individuazione. Questa struttura quidditativa profonda si traduce, nello sviluppo accidentale di questi esseri, con la correlazione di un principio della qualità e di un prin­ cipio della quantità, ragioni reali immediate della mescolanza di at­ tività e di passività che caratterizza la materia. Queste strutture deno­ tano un rilassamento dell'attività spontanea, una diminuzione della sussistenza : nella misura in cui una realtà è materiale, essa ha biso­ gno di subire l'azione delle altre per passare essa stessa all'azione ;

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essa deve appoggiarsi effettivamente alle cose che la circondano per persistere e per agire. La struttura intrinseca degli esseri particolari costituisce il fon­ damento metafisico della loro appartenenza ad un ordine reale : ]a relatività interna si riflette nella relatività esterna. Piu si scende nella scala degli esseri, piu la loro struttura si complica ; nella stessa misura, essi si rendono sempre piu ·dipendenti dagli altri e, conseguen­ temente, la loro autonomia si trova ridotta. Nessun essere particolare, per quanto perfetto possa essere, gode di un'indipendenza assoluta, poiché è sempre contenuto nell'ordine degli esseri. Perciò una struttura fondamentale si ritrova neces­ sariamente in ogni realtà che esiste soltanto con la partecipazione : è la correlazione dell'esistenza e del modo di essere ; e questa. strut­ tura implica sempre, in questo stesso modo di essere, una corre­ lazione sussidiaria, cioè quella del modo sostanziale e delle modi­ fiche accidentali di questo modo, perché ogni essere particolare tende alla propria perfezione attraverso un ·divenire che lo tocca intrinse­ camente. Nella realtà materiale, questa struttura fondamentale si complica per la composizione ilemorfica della sostanza e, di conse­ guenza, per una composizione parallela delle modificazioni accidentali. I vari elementi di questa dottrina sono sempre stati oggetto di numerose controversie. Ma è soprattutto dall'epoca moderna che essa è il bersaglio di costanti attacchi. Troppo spesso la maniera in cui viene presentata sembra compromettere la precipua unità del­ l'essere sussistente. Eppure, se si fa della struttura degli esseri un insieme di correlazioni i cui termini sono in rapporto come l'atto e la potenza, cioè come relazioni trascendentali, tale struttura, lungi dal­ l'intaccare questa unità, la stabilisce anzi saldamente, poiché l'unio­ ne dei termini avviene necessariamente e per sé, senza dover ricor­ rere ad un mezzo estrinseco per realizzarla. Questa dottrina non risolve il problema metafisico, ma ne defi­ nisce chiaramente i termini e ne annuncia la soluzione. L'essere particolare è un supposito, una realtà sussistente, nel senso preciso che possiede in proprio la sua esistenza ; poiché è nella propria struttura, e non altrove, che si trova il principio reale di questa esistenza, il supposito è provvisto di un esse proprium. Tut­ tavia, esso è soltanto un essere particolare tra gli altri ; è contenuto in un ordine piu vasto di lui, in virtu di un modo di essere il quale, anch'esso, appartiene alla struttura interna del supposito e che lo individualizzata totalmente. È quindi con tutta la sua struttura, ivi compreso il principio reale di essere, che esso appartiene all'ordi­ ne degli esseri e si riferisce a questi. Quindi, è impossibile che esso contenga in se stesso il proprio fondamento assoluto, poiché

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tutto ciò che racchiude è affetto da relatività : l'essere partico­ lare si trova totalmente incapace di fornire la ragione adeguata della propria realtà, del valore assoluto di essere che esso manifesta. Da una parte, ·dunque, un essere particolare, per quanto autono­ mo possa essere, non può spiegarsi da se stesso, perché è tutto per­ meato di relatività. Ma d'altra parte, gli esseri particolari, tutti in­ sieme, non sono maggiormente in grado di fornire la ragione suffi­ ciente di ciò che è, poiché questi esseri, pur essendo precipuamente relativi gli uni agli altri, rimangono ciò nondimeno dei suppositi v eramente sussistenti, e non è possibile che la pluralità, conside­ rata precisamente come tale, costituisca il principio supremo di unità. Eppure, il fondamento assoluto degli esseri esiste, poiché sono esseri e testimoniano di una solidità a tutta prova. Se questo fon­ damento non può identificarsi in nulla con gli esseri particolari, è perché è interamente distinto ·da essi, pur rimanendo perfettamente reale. Esiste dunque un Essere assoluto, ragione totale degli esseri. Questi ne sono dipendenti nel modo piu completo, - essi sono « creati » da lui, - mentre egli è totalmente indipendente da essi ; è la loro Causa « assoluta ». Si deve evitare al massimo di toccare il carattere assoluto di questa Causa. Perciò non si possono considerare gli esseri particolari come « modi » dell' Essere assoluto, poiché sarebbe ·dichiarare che questo si trova intrinsecamente intaccato dal relativo ; c in tal caso non potrebbe essere il fondamento del reale. Dal momento che si rispetta integralmente il carattere assoluto della Causa creatrice, tutto si spiega. Gli esseri particolari sono vera­ mente indipendenti gli uni dagli altri nella misura in cui sono autonomi nel loro agire, e, nella stessa misura, sono sussistenti ; sono peraltro totalmente dipendenti dalla loro Causa creatrice e non possono quindi identificarsi con questa, per cui questa to­ tale dipendenza richiede, anch'essa, la loro sussistenza : cosi ·dun­ que, lungi dal rmocere all'autonomia degli esseri particolari, l'atti­ vità creatrice della Causa assoluta ne è la garanzia. Gli esseri particolari formano necessariamente un ordine : sono sussistenti e ciò nonostante è in modo esauriente che sono relativi gli uni agli al­ tri : la cosa si spiega non appena si ammette che questi esseri sono « creati », poiché, ·da una parte, la creatura deve distinguersi real­ mente dalla sua Causa assoluta, in modo da formare un essere com­ pleto e, d'altra parte, l'attività di questa Causa assoluta non può incontrare nessun limite e deve raggiungere tutto nell'unità della sua azione, per cui tutte le cose rientrano totalmente in un solo e medesimo ordine, quello della creazione.

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È, tutto sommato, la creazione a rispondere al problema della partecipazione al piano dell'essere. Tutto ciò che partecipa al valore di essere è strutturalmente contingente e può essere concepito come puramente possibile, poiché la partecipazione all'essere non ne presup­ pone nessun'altra e non può essere che totale, cioè poggia sopra una totale dipendenza delle cose nei confronti di una Causa assolutamente indipendente ; l'essere della creatura è un essere integralmente rice­ vuto, e la solidità che manifesta si basa su quella dell'attività crea­ trice attualmente presente in esso e che lo mantiene nell'essere. Questa causa divina è dunque il principio di tutto l'ordine reale, l'analogato supremo dell 'analogia dell'essere. Non andrebbe inteso, quindi, nel senso di un « termine principale » che, pur essendo supe­ riore ai termini analogati, rimarrebbe tuttavia, anch'esso, una parte integrante e, con ciò stesso, ·dipendente dall'ordine çhe esso governa. Al contrario, e non lo si affermerà mai abbastanza, l'attività crea­ trice raggiunge tutto soltanto perché non dipende da nulla ; è « as­ &oluta .», ed ecco perché il dono interamente gratuito che fa ad ogni creatura è un dono « assolutamente » benefico, è il dono del valore sovrano di essere. Le linee generali del sistema metafisico possono riassumersi in poche parole. Gli esseri particolari sono sussi.stenti, possiedono il va­ lore di essere ; ma contenuti in un solo ordine, sono relativi gli uni agli altri, e lo sono con tutta la loro realtà, in modo esaurwnte. Altrettanto, ognuno di essi è un tutto strutturato, pura correla­ zione, nodo di rapporti ; e persino il principio interno di essere, ragione della sua sussistenza, vi si r�duce ad una relazione trascen­ dentale, semplice elemento di struttura. La relatività esterna inte­ grale non fa altro che esprimere la relatività internà totale. Tale realtà è tutta tendenza, « desiderium naturae », appello al­ l'assoluto. Se questi esseri sono relativi gli uni agli altri in modo esauriente, pur essendo dei supposti, reali e molteplici è perché tutti insieme, in modo egualmente esauriente, si riferiscono all' Essere as­ soluto, partecipando alla sua infinita perfezione. La relatività inte­ grale all'interno dell'ordine degli esseri sussi.stenti è adeguatamente retta dalla relatività dell'ordine tutto intero nei confronti di Dio, il Creatore, fondamento incrollabile e fonte assoluta di ogni perfe­ ziOne. Occorre tutto questo per la partecipazione al valore supremo ed è tutto questo che è implicato nella proporzionalità significata dai­ l'idea trascendentale di essere. Se è vero che « si misura l'importanza di una dottrina filosofica in rapporto alla varietà delle idee in cui si sviluppa e alla sem-

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plicità del principiO in cui si riassume » e), la filosofia dell'es­ sere presenta delle garanzie di forza e di fecondità ; poiché il va­ lore tra&cendentale che possiede l'idea di essere permette a questa di irra-diare attraverso i campi piu estesi e piu diversi, mentre il suo valore assoluto e la sua analogia le permettono di attingere le cose, alla radice, in ciò che hanno di piu intimo, in modo da riu­ nire tutto in una sintesi definitiva, quella di WI ordine unico di partecipazione, la cui fonte inesauribile è la Perfezione assoluta. (Op. cit., pp. 382.388).

(3) Prefazione scritta da H. Bergson per le pagine scelte da G. Tarde, pubblicate nella collezione cc Les grands philosophes ll, Paris, Michaud, 1909 ; citalo da )ACQUES CHE· VALIER, Bergson (coli. Les maitres de la Pcnsée française), Paris, 1928, p. 68 (N.d.A.).

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IV. G. ZAMBONl

l. BILANCIO FINALE DEL METODO DELLA

«

GNOSEOLOGIA PURA »

I risultati ottenuti

l. Il complesso della civiltà ci si presenta come distinto in due settori ; lo sviluppo spontaneo delle forme dello spirito, ( come ora si usa dire), e l 'indagine riflessiva. Nel settore dello sviluppo spontaneo si distinguono tre zone : l) la zona dell'esperienza che coglie o crede cogliere il reale presente e lo ricorda ; 2) la zona che esprime il reale nel pensiero logico-ver­ bale ( concetti, giudizi, principi, necessari e universali, coi loro segni verbali e grafici) entro i limiti dell'esperienza ; 3) la zona del pen­ siero speculativo, che oltrepassa l'esperienza, estendendosi alla cono­ scenza della costituzione profonda della realtà fisica e psichica, e delle realtà che trascendono il reale sperimentale. è

Struttura dello sviluppo spontaneo della civiltà, in prospetto che ordinato dal basso all'alto per indicare l'ascendere :

III oltre l'esperienza, per scoprire realtà che si sottraggono all'esperienza : la struttura della materia, il principio della vita, e dei fatti psichici, l'anima umana c l'Assoluto.

( si può oltrepassare l'esperienza con l'immaginazione, con analo­ gie, con costruzioni di sistemi fon­ dati in definizioni, con ipotesi) ( ma l'unica base sicura è la cono­ scenza del reale, delle sue neces­ sità e deficienze). II rappresentazione intellet­ ( formazione sistematica del sape­ tuale della realtà : mondo menta­ re : ma tema tiche - logica - scienze le dei concetti, dei giudizi, dei della natura politica - morale principi, regole, norme, precetti estetica, ecc.). - espressi con la parola - le scienze. I il reale presente e perce­ ( occorre determinare quale è il pito e ricordato immaginativa­ reale che si percepisce immedia­ tamente). mente. ·

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Questo svolgimento di pensiero spontaneo comincia ad essere si­ stematico : in esso si costituiscono in sistema le scienze, la loro logica, la morale, l'ontologia, la metafisica. Tra queste sistemazioni si usa chiamare « filosofia » il pensiero spontaneo della terza zona. Il settore della riflessione sistematica sul pensiero spontaneo co­ mincia per franunenti : la logica, la psicologia, la morale contengono già un'elaborazione riflessiva. Ma la riflessione, quando acquista coscienza di sé, tende a dive­ nire totale, cioè tende a una ricostruzione di tutto lo svolgimento della civiltà, che non lascia nulla nell'ombra o nella penombra della semicoscienza. Per raggiungere questo scopo, che è l'illuminazione di tutto il mondo spirituale, occorre, in una fase preparatoria, prendere in con­ siderazione tutto il pensiero spontaneo per esaminarne la struttura, cercando di risolver! o nei suoi elementi, che sono : dati, funzioni, e rapporti elem.entari. Se questo lavoro riesce senza lasciare alcun residuo inesplorato, il pensiero umano sarà tutto reso trasparente a se stesso ;, e se ne potranno sceverare le parti non legittimamente risultanti dalle basi prime (dati, funzioni, e rapporti elementari), e che quindi sono eli­ minate dal campo del vero ; e d'altra parte, raggiungere la certezza riflessa dei risultati che presentano le garanzie della validità. Con la distinzione dei due settori, quello del pensiero spontaneo (in cui si sviluppa anche la metafisica), e quello della riflessione (in cui si tratta -di ricostruire tutto il pensiero, dai suoi primi ele­ menti allo sviluppo completo), è chiarita la questione della prece­ denza tra gnoseologia e metafisica ; questa si affaccia prima in ordine cronologico ; ma nell'ordine filosofico riflessivo, si presenta dopo che la gnoseologia ha scoperto l'origine dell'esperienza concreta e del mondo logico verbale. Nell'enciclopedia filosofica definitiva la gno­ seologia pura precede. Dare un saggio del settore del pensiero riflesso nel suo sviluppo completo (che è quello che appartiene alla filosofia fondamentale), è stato il tema del nostro lavoro. 2. Nel corso -della storia della filosofia, il lavoro riflessivo si è fatto frammentariamente e occasionalmente, ma la piena e chiara coscienza e consapevolezza del compito della riflessione, e la com­ pletezza del programma non si sono raggiunte che in quest'ultima fase ( che doveva necessariamente seguire alla fase critica che si è svolta da Cartesio a Kant) e che è la fase gnoseologica, e preci­ samente la fase gnoseologica pura, cioè libera da ogni presupposto, da ogni procedimento dialettico fra sistemi, e fondata soltanto sopra l'analisi delle conoscenze e degli sviluppi spontanei, presi nella loro

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totalità e col valore non di presupposti dottrinali ma come oggetto da studiare. È naturale che la fase gnoseologica incontri i problemi e raccolga i risultati che nelle frammentarie controversie storiche si sono via via presentati. Essa li porta a compimento e li inserisce in un si­ stema definitivo. Questo sistema ·definitivo comincia propriamente quando l'analisi del pensiero spontaneo ha posto in luce i dati primi elementari, le funzioni elementari e i rappoti tra elementi e tra le essenze o nature degli elementi (-di cui consta il pensiero sviluppato spontaneamente) e quando questi elementi sono stati riconosciuti presenti immediata­ mente alla coscienza o al sostegno, e a . lui manifesti. Questo lavoro è stato eseguito ; e l'esattezza e completezza dei suoi risultati è stata poi sottoposta a controllo mostrando ( con suf­ ficienti accenni) come da quella base si ricostruiscano le conoscenze complesse, volgari e comuni, scientifiche, storiche, morali ed estetiche. Cosi il pensiero filosofico del settore riflessivo ha ottenuto quella piena sistemazione, che finora, a mia notizia, non era stata rag­ giunta, neppure come programma. Tale è il risultato del libro primo. 3. Nel secondo libro si è cercato quale metafisica generale e spe­ ciale esca dai risultati della gnoseologia pura. Si è trovato che è essenzialmente la metafisica antologica generale e la metafisica spe­ ciale che nel medio evo ha avuto in S. Tommaso il massimo rap­ presentante ; ma vorrei sperare che l'esposizione in collegamento e sul prolungamento dcJla gnoseologia pura sia riuscita particolarmente chiara e solidamente fondata in basi proprie, indipendentemente da qualunque presupposto dottrinale, apologetico, autoritario. 4. N el corso degli studi del libro primo oltre al problema gene­ rale del metodo e del programma della sistemazione del pensiero riflesso, si sono presentati gli altri problemi che sono stati discussi tra i filosofi. l) Il problema della natura, dell'origine e del valore del pensiero logico-verbale, che è formato di concetti, giudizi, principi primi ; problema che ricomparisce, con aspetti diversi, in ogni epoca ·della filosofia : nell'antichità, come problema delle idee ; nel medioevo, come problema degli universali ; nella filosofia moderna, come pro­ blema della necessità e universalità delle conoscenze, discusso tra le correnti razionaliste e empiriste, positiviste e idealiste, tra Galluppi, Rosmini e Gioberti ; e risorto nella filosofia contemporanea sotto forma di critica dell'intellettualismo. Questo problema ha raggiunto un'impostazione rigorosa e una soluzione gnoseologica che sopprime l'opposizione tra l'esperienza concreta e il pensiero logico : l'uso logico che abbiamo fatto dei prin-

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cipi, non è che l'esposizione esplicita delle necessità inerenti agli ele­ menti concreti del reale. 2) Il problema che riguarda i concetti di sostanza ( e acci­ dente), causa ( ed effetto), azione e passività, vita, individuo, per­ sona, finalità (e mezzo), cioè il problema dell'ontologia generale, è anch'esso permanente nella filosofia : Platone, Aristotele, l'hanno trattato ; nel Medioevo le discussioni per la formulazione, la sistema­ zione dei dogmi cristiani l'hanno portato in primo piano ; nella filosofia moderna ridiscusso vigorosamente, superato in apparenza da Kant, ripresentatosi nelle tendenze che cercano la struttura ul­ tima del reale, ( Schopenhauer, Wundt, Bergson), fu liberato dalle negazioni empiristiche e fenomeniste, dall'apriorismo delle categorie formali, dall'astrattismo delle metafisiche razionaliste esistenziali, e ricongiunto con la sua naturale base sperimentale, che è la coscienza dell'energia per cui i nostri fatti vitali si distinguono dalla loro im­ magine e dal loro concetto, e sono inseriti nell'unità dell'io autoco­ sciente. In questa ricerca furono chiariti e precisati i significati delle pa­ role : esistenza, atto di essere o energia esistenziale, essenza specifica, sostanza, individuo e persona, che riguardano la struttura ontologica della realtà ; e il concetto e il principio di causa fu ricondotto al­ l'insufficienza ad esistere da sé, riconosciuta o per il fatto del non esistere, o per l'indeterminatezza della struttura di ciò che esiste. 3) Il problema della coscienza dell' IO ( sorto con le discussioni agostiniane contra Academicos come soluzione del problema della cer­ tezza, ripreso e chiaramente risolto da S. Tommaso in confronto con S. Agostino; nelle tesi sulla conoscenza che l'anima ha ·di se stessa ; ripreso da Duns Scoto, Campanella, Cartesio, Locke, Leibniz, Mainc de Bil·an, negato da Hurne, dagli empiristi sensisti e positivisti ; timi­ damente affacciato da Kant ; ristudiato da Galluppi e da Rosmini, portato ad eccessi speculativi . dali 'idealismo assoluto) fu in questo lavoro esaminato accuratamente e precisato ; l'originalità innegabile e irresolubile dell'autocoscienza, i rapporti con gli stati e gli atti, i limiti c le condizioni della coscienza dell'io, e la sua non-inerenza fondamentale, furono ripetutamente presi in esame, e sistemati nella coscienza che ciascuno ha ·di sé come « persona ». 4) Il problema della vita morale fu risolto in base all'analisi della funzione volitiva in rapporto coi suoi possibili oggetti e fu riconosciuta la possibilità di atti di libera scelta. In questo argo­ mento fu messa in valore l'insuperabile dottrina rosminiana (salvo la parte che risente dell'influenza della dottrina rosminiana dell'in­ tuizione dell'idea di essere). 5) Il problema, contenuto nei precedenti, della natura della /un-

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zione intellettiva (a confronto delle funzioni della sensibilità) : l'au­ tocoscienza e l'oggettivazione, la percezione analitica che ·distingue l'essenza dali 'individualità, (radice delle formazioni logiche), la per­ cezione dell'energia esistenziale (radice dell'ontologia), la percezion e dei rapporti elementari essenziali ( radice della nece!isità del pensiero) ; l'autotrasparenza ( radice della riflessione) furono messe in luce, c quindi anche l'immaterialità e l'autonomia esistenziale, a confronto della sensibilità. 6) Il problema della conoscenza di ciò che trascende la coscienza, cioè la conoscenza degli altri io, la conoscenza del fuori di me spa­ ziale, la conoscenza della realtà ontologica fuori dell'io, e delle altre persone, ha trovato una soluzione completa - incontrando le per­ suasioni volgari, ma correggendone le illusioni di immediatezza. 7) Su queste basi hanno trovato soluzione i problemi della meta­ fisica speciale, sulla struttura della persona umana e sulla esistenza e natura di Dio, la cui soluzione ha bisogno di una disciplina della mente che prepari il terreno sgornbcrandolo dagli atteggiamenti ma­ terialistici, positivisti e idealisti ·del pensiero. 8) Se mi si domanda quale sia la dottrina piu importante, risponderei che è il potere di cogliere i rapporti o i nessi fra le es­ senze dei dati elementari concreti immediatamente presenti mani­ festi al soggetto, prescindendo dalla loro attuale individualità - di qui hanno origine le matematiche, la logica, la mòrale e parte ·della psicologia. Ma per la metafisica è di importanza fondamentale il poter distinguere nei propri stati e atti, il loro rapporto con l'io, la loro natura, per cui sono tali, e quelPenergia o atto di essere, per cui attualmente sono reali, o esistono, e si distinguono dalle immagini corrispondenti che li rappresentano quando sono assenti. 9) Finalmente, se mi si domandasse quale è lo spirito di tutta questa ricerca, direi che mi sembra di trovarlo nella visione e intui­ zione che tutto quello che nella conoscenza c'è di universale, di astrat­ to, di passato e di futuro, e di estraneo al soggetto, ha la sua radice in quel concreto attuale, attualmcntè vissuto o vivente, che si trova presente nel complesso di coscienza attuale e nel quale si trova quanto basta per garantire l'oggettività del conoscere, la realtà non soggettiva e il valore del giudizio che si fa sull'esistenza di ciò che trascende la coscienza, o che non è presente al soggetto. 5. Il presente volume contiene due trattazioni : la g1wseologia o dottrina della conoscenza e la metafisica generale ( o ontologica) e speciale (immaterialità dell'anima umana e teologia naturale). Le tre parti sono legate in unità perché alle funzioni dell'intel­ ligenza, trovate nello studio della gnoseologia (rapporto conoscitivo elementare, analisi astrattiva che distingue esistenza ed essenza, e au-

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tocoscienza dell'energia esistenziale) corrispondono le divisioni del­ l'ontologia generale ; e a queste corrispondono le prove dell'esistenza di Dio. (La persona umana. Soggetto autocosciente nell'esperienza integrale, termine della gnoseologia, base della metafisica, Verona, « La Tipografica veronese », 1940, pp. 643-648).

2 . PROSPETTIVE DI LAVORO

Il metodo gnoseologico o della ricerca analitica elementare sul­ l'esperienza concreta che tende a scoprire i dati elementari, le fun­ zioni elementari, e i nessi elementari delle essenze delle realtà con­ crete, ha mostrato la sua fecondità per la soluzione dei problemi della conoscenza, ·della vita morale, dell'ontologia e della metafisica. Si po­ trà estendere ad altri campi della cultura ? In quella parte del nostro studio che doveva controllare la com­ pletezza dei risultati dell'analisi gnoseologica, si è abbozzata la ge­ nesi delle matematiche, della logica, della morale, dell'estetica con una certa ampiezza. Bisognerebbe riprendere la trattazione in forma monografiea e condurla a fondo. Se il presente volume riuscisse a persuadere -della bontà e fe­ condità del metodo gnoseologico, il campo per la collaborazione è cosi vasto da offrire materia alle fatiche di una generazione. Le grandi direzioni di sviluppo della civiltà, che corrispondono ad altrettanti elementari atteggiamenti dello spirito umano, passano attraverso tre stadi : quello dell'attività occasionale primitiva, in cui il soggetto reagisce all'ambiente volta per volta ; da questa attività vengono �mergendo ·degli spunti di regolarità, che sotto forma di massime pratiche tendono a diventare norme regolatrici dell'azione, e a sistemarsi in un certo ordine, sempre piti completamente ( le grammatiche, le precettistiche, le regole delle arti, i codici, le liturgie, le regole dei mestieri ; agricoltura, allevamento, fabbrica di utensili ; massime morali e pedagogiche ecc.). Alcune di queste forme dello spirito sono strettamente sottoposte alle necessità del loro oggetto ; altre piu o meno creano di propria iniziativa inventiva e fantasia ; le prime arrivano ad una sistemazione scientifica del loro campo, come le ma tematiche, la logica, la gram­ matica ; le seconde non permettono una sistemazione scientifica che ·della loro parte formale : non c'è un regolamento che assicuri la pro­ duzione del capolavoro. Anche le forme sociali e politiche sono tanto complicate e sotto­ poste a una tale molteplicità di fattori che le situazioni concrete nelle quali il soggetto si trova, contengono l'imprevisto, e richiedono solu-

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zioni che non possono derivare con rigore logico formale da un gruppo di principi. Fino a qui arriva l'uomo nella sua attività in cui l'interesse fon­ damentale è rivolto all'oggetto. _Ma quando lo sviluppo è arrivato ad un alto grado e la tran­ quillità permette alla riflessione un ritorno sull'attività già svolta, sorge l'interesse filosofico che si vuole render conto non solo dai valori conquistati, ma del lavoro dello spirito che sottostà ai risultati. Se si tratta di scienze, questo ritorno riflessivo è spesso provo­ cato dal bisogno critico, cioè ·di sceverare il vero dal falso con cui spesso si accompagna ; allora può aver luogo il tentativo di costruire a priori delle teorie che cerchino di indovinare quel lavorio dello spirito, quel retroscena e sottoscena da cui è comandato ciò che emer­ ge nell'attenzione spontanea : fase dei sistemi di spiegazione a priori. Ma quando ci si accorge che i piu fortunati fra questi non sono che parziali combinazioni di alcuni soltanto degli elementi_ profondi, si passa alla fase che ricerca gli elementi primi e i loro rapporti elementari e tende a scoprirne il quadro completo, attr;,J.verso a ten­ tativi di ricostruzione in base al già trovato, allo scopo ·di scoprire le lacune del quadro antecedente, per correggerlo e completarlo. Evidentemente quest'ultima fase è la fase metodicamente defini­ tiva, in seguito alla quale quella disciplina sarà completamente illu­ minata.

Schema dello sviluppo di una disciplina

l. La pratica concreta ;· abitudine e esperienza pratica ( in cm agiscono, ancora inosservati, i rapporti concreti essenziali) ; 2. regole e precetti frammentari ( massime dei saggi) ; 3. sistemazione delle regole con intenzione di compiutezza (le grammatiche, i prontuari, le guide pratiche, i manuali ecc.) ; 4. la dottrina teoretica intorno alla realtà -di cui si tratta, viene sistemata partendo da assiomi, principi, postulati a priori : la mate­ matica, la meccanica, la teoria dei concetti e dei giudizi, il principio morale, dottrine economiche ecc. ( stadio della sistemazione scientifica deduttiva da principi evidenti, a priori, o apparentemente a priori) ; 5. i principi sono condotti ai rapporti concreti necessari tra ele­ menti del concreto vissuto ; il che suppone la ricerca degli elementi primi e delle loro relazioni essenziali primor-diali, riconosciute nel concreto stesso. Con questo ritorno al concreto della pratica, ma ora pienamente illuminata, si chiude il ciclo dello sviluppo di una disciplina. (Op. oit., pp. 648-650).

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l. UNITÀ E MOLTEPLICITÀ NELL'IDEALISMO ATTUALE Questo del Gentile è uno dei pio coerenti e saldi organismi .di pensiero che io conosca. E pare che si attuino veramente in esso quell'immanenza e quello spiritualismo dinamico, che, come s'è ve­ duto, esistono solo molto imperfettamente, anzi non esistono affatto nei grandi sistemi della storia. Qualcuno ha scritto che « tentare un\lflìgurazione ideale della realtà nel processo assiduo del pensiero è la funzione pennanente e vitale della filosofia, e il suo titolo di onore » ( 1). Ebbene, nel Gentile l'affigurazione vuole essere reale, per­ fetta ; creazione ; non, quindi, una veduta sulla totalità del reale, non un'int�rpretazione o reazione concettuale della e alla realtà, ma una posizione di essa fatta dall'unità attiva centrale del Tutto : l' lo trascendentale. È certo che in questo lo, che non è la mia ra­ gione o la tua, ma la Ragione comune a tutti e in cui convengono tutti i soggetti razionali, va a fondersi e a vestirsi di forma siste­ matica tutto quello che è fuori di me, del mio lo particolare e tutto quello che è in me di unificato o di non unificato nel'attualità presente del pensiero, c in essa soltanto esiste consapevolmente il significato universale dell'esperienza interna ed esterna, cioè l'univer­ salità delle indefinite relazioni che legano fra loro i particolari. L'u­ niverso cosmico-umano è dominato dall'unità di ragione. In questo senso nulla è fuori della ragione, perché tutto è razionale. Ma que­ sta ragione siamo forse noi ? è l 'uomo ? Ecco ; che la realtà sia ra­ zionale, che sia un pensiero concreto e lo svolgersi del piano di una ragione unica, creatrice e produttrice di nuove esistenze, o, meglio, di nuove forme di esistenza, è dottrina tradizionale comune a tutta la filosofia degna di questo nome e che, si capisce, accettiamo anche noi. Noi cioè non ammettiamo nel cosmo nulla ·di irrazionale, e non ammettiamo, con certe correnti pluralistiche, già oltrepassate nel campo della speculazione, moltiplicità di razionalità. Le leggi dell'es­ sere sono identiche per tutto l'essere, che è un universo, un cosmo, (J.) CHIAPPELLI,

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del pensiero moderno, p. 4'3 (N.d.A.).

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precisamente perché è la forma concreta di uno stesso piano ideale, del piano ideale di uno stesso lo. Ma noi domandiamo agli idealisti : la realtà è lo svolgersi di un pensiero umano o d'un pensiero divino ? E se d'un pensiero divino, questo pensiero è Dio stesso tutto immanente nella realtà, o, meglio, nell'atto del pensare umano che crea ed è tutta la realtà ? Gli idealisti sono d'accordo con noi che l'uomo come lo em­ pirico, particolare, limitato; non crea la realtà, per la semplice. ragione che esso non è persona assoluta - secondo gli idealisti, non è neanche persona, come vedremo, - non è quindi, il vero soggetto, come assoluto pensiero pensante, e continua attività creatrice dell'oggetto ; anzi, esso, come empirico, è un oggetto fra gli oggetti, una posizione del soggetto creatore e una semplice forma della ragione umana, di quella ragione che è comune a tutti i soggetti singoli e non si confonde con essi perché è la legge comune del loro operare. La realtà, per gli idealisti, è lo svolgersi precisamente di questa ragione comune a tutti, e che essi chiamano lo trascendentale. Ecco ciò che noi non possiamo assolutamente ammettere. Noi non conosciamo un lo, una persona universale immanente in noi come ragione dell'esistenza del­ l' Io empirico, cioè delle molteplici individualità spirituali, che a quel­ lo si riducono come a soggetto unico. Certo, alla base dell' lo empirico c'è una forza metempirica come centro ultimo di riferimento di tutto ciò che in noi accade : l'anima, la forza sostanziale originaria, dalla quale tutte le forze empiriche provengono e alla quale tutte si riducono. Ma la coscienza non ci dice che essa sia un Io fuori delle determinazioni empiriche di sensazione, di intelletto e di volontà , che essa assume in ogni individuo spirituale : anzi la coscienza ci assicura che in me l' lo è unico, questo mio lo incomunicahile, che costituisce nie con questa persona, che risponde al nome di Pa­ dr'e Chiocchetti. L' Io unico, l' Io universale non è fra le attesta­ zioni immediate o riflesse della coscienza. L' Io, l'unico lo del quale abbiamo coscienza, che è, anzi, la nostra autocoscienza, è l'unità sin­ tetica sostanziale sempre identica a se stessa, pur nella corrente inin­ terrotta del divenire psico-fisico in cui è presa e si rinnova e cresce in estensione e in comprensione : l'attività sintetica originaria che è la scaturigine di tutta la nostra attività spirituale, che procede di sintesi in sintesi sempre superiori, cosi nel processo intellettivo come in quello volitivo. C 'è in noi la ragione universale, chi lo nega ? ma essa vive cd è attiva solLanto nell'unità sintetica con delle partico­ larità spirituali e materiali, che insieme con essa costituiscono il no­ stro lo concreto, empirico e metempirico insieme, unità di trascen­ dentale e di sperimentale, di soggetto e oggetto, centro di riferimento, ripeto, e fonte originaria incomunicabile ·di tutta la nostra attività, sempre tesa ad accogliere in sé tutto l'universale e tutto il parti-

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colare, gli individui e le loro relazioni, l'esistenza e la ragwne del­ l'esistenza ; accoglierlo in sé e trasformarlo nell'unità vivente, o nel­ l'unità sintetica, calda, personale, che esso è, per intima e original'ia costituzione. La ragione comune a tutti, immanente in tutto, non è per sé sola, ancora lo, non è il preteso Io trascendentale, l' lo assoluto. L' Io assoluto è concreto in se stesso, per definizione, men­ tre quello del Gentile è, in sé, fuori degli lo particolari, astratto. « La realtà dell' lo trascendentale importa pure la realtà di quello empirico ; che è malamente e indebitamente concepito e affermato solo quando si prescinda dal suo rapporto immanente con l' lo tra­ scendentale » ( �· Cosi che l' lo empirico condiziona l' Io trascenden­ tale ? No n cessa con ciò stesso di essere trascendentale e assoluto per diventare semplicemente quell'unità sintetica, quell' Io empirico e metempirico insieme di cui parlammo dianzi ? Concretamente non esiste che questo. Ecco perché l'atto veramente conoscitivo origina­ rio e fondamentale del pensiero umano, l'atto primo, fonte e mo­ dello di tutti gli altri, è la percezione intellettiva, ossia il giudizio concreto, tetico e sintetico insieme, o l'affermazione-ricreazione di un reale, particolare e universale insieme. Gli elementi della sintesi sono sempre il reale, e l'ideale, l'individuale e l'universale - ir­ riducibili l'uno all'altro, appunto perché il loro rapporto è, non analitico, ma sintetico come la sintesi costitutiva dell'lo, che è la ragione universale, per sé astratta, che si fa coscienza e autoco­ scienza in unione con le particolarità materiali e spirituali di cui essa diventa centro e principio verificatore incomunicabile. Per­ ciò la persona non è « senza plurale » : tante sono le persone quanti gli Io intesi cosi. Questo ci attesta la coscienza e questo ci attesta la speculazione, che vede solo nell'unità sintetica di metafisico e di empirico l'atti­ vità originaria che si chiama persona. E la coscienza e la specuLI­ zione ci attestano del pari l'esistenza di un interno e di un esterno a noi. Di esterno alla Ragione non vi è nulla, si capisce : tutto ciò che è pensabile suppone un pensiero, tutto ciò che è intelligibile importa un intelligente che lo fa suo oggetto : l'essenza dell'intelli­ gibile non è forse la mentalità, che non può aver luogo se non in una mente ? Se la realtà è conoscibile, vi d.eve essere un principio che l'ha fatta tale ed al quale essa si riferisca, come a presup­ posto della sua conoscibilità, la Ragione che tutto abbracci, che tutto comprenda. Ma noi non siamo la Ragione, ma solo una speciale forma concreta di essa toto coelo distinta da essa, forma che non ha tutto in sé, che non ha, anzi, in sé che se stessa e tutto deve (2) Teoria dello Spirito, cap. Il, 13 (N.d.A.).

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conquistare. Creare o conquistare ? Ecco : anche noi affermiamo �he il pensiero non può pensare che il pensiero ; l'essere o l'intelligibile, è, secondo Aristotele e Platone e tutta la filosofia nostra, mentalità razionalità, e la mentalità è identità di essere e intelligibile. La sco­ lastica vecchia e nuova ha sempre affermato, contro il pessimismo e ogni forma di irrazionalismo la razionalità del reale. La natura è, dunque, intelligibile. È l'uomo che la fa tale o tale la trova ? Questo il problema. Ebbene, vediamone la soluzione. La nostra coscienza ci dice anzi tutto che noi, conoscendo, reagiamo, assimiliamo, fac­ ciamo nostro qualche cosa che prima nostro non era, la coscienza ci assicura che noi non creiamo da noi il contenuto del nostro cono­ scere, ma che esso è un dato che noi dobbiamo trasformare in atto. Trasformare il dato in atto : è ben questa la formula esatta, credo, di ogni conoscenza, il cui processo è precisamente una graduale spi­ ritualizzazione del dato. Tutto ciò che conosciamo è concepito come un esteriore che diventa interiore, come una natura che diventa spi­ rito, per il nostro entrare nell'interno delle cose distinte da noi per farle parte viva perenne di noi. Questo vale per la reahà spirituale non meno che per la realtà materiale. Distinguiamo queste due spe­ cie di realtà, perché ce le attestano la coscienza e la storia del pen­ siero. Le ha distinte, sia pure solo provvisoriamente e didattica­ mente, anche il Gentile, il quale ammette persino ·dei gradi nella sog­ gettività. Perché questa distinzione ? La distinzione il Gentile la tro­ va non la fa ; anzi la vuoi risolvere, disfare nella pura soggettività ; la trova nel pensare comune e, piu o meno cosciente, piu o meno accentuata, in tutte le fìfosofie anteriori all'idealismo attuale. Or­ bene, se la distinzione nella realtà non c'è, come affermano gli idea­ listi veri, come si spiega che quella distinzione è sorta cd è passata attraverso tutte le filosofie, ed è ancora una delle tesi fondamentali di quasi tutte le correnti spirituali ·di pensiero, e della vita ? La realtà trascende · la nostra cognizione come termine dell'atto di cono­ scere. Questo termine ci si presenta o temporale, o spaziale e tem­ porale insieme. Ci si presenta cosi sempre, alla coscienza di tutta l'wnanità. « Tempo c spazio - dice il Gentile - sono semplice­ mente l'attività spazializzatrice e temporalizzatrice ( in fondo anche essa spazializzatrice). Lo spazio e il tempo, tutto ciò che si spiega spazialmente e succede a grado a grado nel tempo è in noi... Lo spazio (e il tempo) è l'attività ; ed essere tutto ciò che è spaziale nell' lo, non significa altro se non che tutto ciò che è spaziale, è spaziale in virtu dell'attività dell' Io, come di spiegamento, attua­ lità di questo lo » e). Ma perché allora il pensiero comune, che (3) Teoria dello Spirito, cap. IX, p. 107 (N.d.A.).

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è pure pensiero autocosciente, presente agli atti che compie, e per­ ché tutte o quasi le filosofie lo credono fuori di noi ; fuori di noi quanto alla sua forma e al suo contenuto, o almeno quanto al suo contenuto, fuori di noi almeno nel senso che non sia creato da noi in tutto il suo essere, o almeno che non sia tutto uno col­ l'atto del pensiero ? Neanche, dunque, il pensiero riflesso in tutta la sua storia si è conosciuto in questa sua attività. E perché spa­ zializziamo soltanto una categoria di fatti, soltanto un aspetto del­ l'atto del pensiero, e li spazializziamo necessariamente, come tempo­ ralizziamo necessariamente altri ? Lo spirito deve spazializzare certi fatti, deve temporalizzare certi altri ; perché questo, se lo spazializzare e temporalizzare non fa che crearci un'illusione non sradicabile dalla vita e dal pensiero ? Come nasce l'idea della molteplicità spaziale e temporale, come distinte l'una dall'altra e come distinte da noi e termine della nostra attività, se spazio e tempo non sono che atti­ vità dell' lo, a cui nulla corrisponde fuori dell' lo e la molteplicità non è molteplicità se non in quanto essa è assorbita nell'unità dello spirito come molteplicità di coesistenti e di compresenti ? Di coesi­ stenti e di compresenti in chi o in che cosa ? Neli' lo trascendentale, principio di ogni esperienza, senza essere esso stesso oggetto di espe­ rienza, cioè unità senza molteplicità. Non ha ·dunque nessun valore la convinzione del genere umano, della ragione umana che si è ve­ nuta e si viene spiegando nella storia, per la quale esiste, indipen­ dentemente da noi, una molteplicità di soggetti e ogni soggetto è centro di una realtà che gli è propria, e d'una realtà che è comune a tutti i centri o a tutti i soggetti ? E come nasce questa convin­ zione ? E l'idea del proprio e del comune? E le domande continuano. Come nasce l'idea di un pensabile in noi e fuori di noi, se la realtà è pensiero pensante, perché immanentissimo in tutto il suo spiegarsi, che è sempre uno spiegarsi ·dell'atto nell'atto ? Come sorge l'idea di un mondo estrasoggettivo, se tutto è nel soggetto e dal soggetto ? Che cosa vuoi dire : la coscienza si appropria, si assimila un termine com­ penetrandolo di sé ? E come si spiega la resistenza che noi incontriamo ad ogni momento nell'esplicazione della nostra attività ? Se l'atto è tutto, se l'atto non ha limiti, non ha nulla davanti a sé, di contro a sé, come nasce, come può nascere il concetto di limite, di contrap­ posto di obiectum nel senso etimologico e reale della parola ? Tutte domande che non possono ricevere da parte degli idealisti nessuna risposta soddisfacente. Si risponde solo, ammettendo colla filosofia tra­ dizionale che conoscere è trasformare il dato in atto, la sensazione in intuizione e in idea, il distinto da noi in noi : una traduzione in termini soggettivi-oggettivi della realtà obbiettiva. L'idealismo ammet­ te che le cose sono parte di noi anche prima di essere conosciute, o,

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meglio, poiché questo è un non senso, che esse esistono in virtu del nostro conoscerle, come oggetto creato dalla nostra mente che cono­ sce. Ma allora non si spiega che cos'è la cognizione dopo il primo atto di conoscere. È sviluppo di che ? conquista di che ? Riprendo u n motivo già toccato. Se nell'atto c'è tutto, tutto il finito e tutto l'infinito, tutto il bene c tutto il vero e tutto il beHo, tutto esplicito, non si spiega l'esistenza di un atto ulteriore, o una nuova forma dell'atto stesso. (La filosofia di Giovanni Gentile, Milano, Vita c Pensiero, 1922, pp. 161-170).

2. Lo SPIRITÒ COME NESSO DI DISTINTI E DI OPPOSTI

La realtà è spirito : tutto il reale è spirituale. Ma che cos'è lo spirito ? Il Logo, la Ragione, l' Idea - afferma Hegel. La legge della Realtà è la legge dell' Idea, la quale tutto comprende ed è costitutiva della totalità di ogni essere. Tutto, dal minerale al pen­ siero, è determinazione dell'idea chè è l'unità, il termine a qzw e il termine ad quem di tutte le forme dell'esistenza, di tutti i mo­ menti o gradi deHa realtà, che essa percorre, creando : unità che « chiude in sé tutta la differenza delle forme, tutta la relativa op­ posizione dei gradi, che sono i momc � ti, le forme, i gradi della sua vita tutta quanta » come è stato detto. Non è l' Idea, questa o quella forma dell'esistenza, non è neanche tutte le forme che l'esistenza ha assunto nel passato e assume nel presente, ma è la unità di tutte le forme possibili che essa pone o crea nel suo di­ venire, per le quali essa procede affermando e svolgendo concre­ tamente la sua vita, in una perpetua autorivelazione creatrice. E come l' Idea si svolge e si rivela ? Come attività tetica, antitetica e sintetica, cioè come dialettica. La dialettica, che è la forma del divenire dell'idea o della realtà, è il modo intrinseco essenziale di ogni momento della realtà, di tutti i gradi della realtà, che, quali affermazioni finite, implicano un'interna contraddizione, un'auto­ negazione che sarà risolta in un'affermazione superiore, finché tutte saranno risolte e per sempre nell' Idea Assoluta, di cui ogni oggetto individuale di conoscenza, e, quindi, ogni conoscenza, è fase, una fase imperfetta e parziale. Fuori dell'assoluto, dell' Idea assoluta, termine finale, nulla è vero, perché nessun oggetto finito riesce a realizzare completamente il suo concetto, ed è perciò limitato e defi­ ciente. Tutti gli oggetti sono veri solo in quanto dimostrano che sono ciò che devono essere ; e, fuori dell'Assoluta Idea, nulla è ciò che deve essere. L' Idea, eterna attività intelligente, rappre­ senta un infinito giudizio, i cui diversi termini costituiscono una -

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totalità indipendente di tal natura che ciascun termine nel giungere alla completezza del suo essere, trapassa nella sua altra e piu avan­ zata forma, e cosi provvede alla progressiva evoluzione dell'unica idea centrale, che è eternamente completa in sé, sufficiente a sé (4). L' Idea, che abbraccia la totalità dell'universo implica tante contrad­ dizioni e, perciò, momenti da superare e presentare in una superiore unità, quanti sono i termini attraverso i quali si svolge. La forma triadica o dialettica : affermazione, negazione, e negazione della ne­ gazione o negazione assoluta, - che è poi assoluta affermazione, perché, mentre afferma la tesi primitiva o l'affermazione, abbra�­ cia, nello stesso tempo, la negazione di questa come momento della sintesi risultante - è la via ·del divenire, anzi è il divenire stesso nella sua concretezza creatrice. nel suo slancio verso il t'ermine fi. naie, cioè verso l' Idea assoluta pienamente esplicata, dove il movimento dialettico si arresta. Il reale è il razionale e il razionale è divenire dialettico, che si può schematizzare cosi : A ( tesi) è negato da B (antitesi), che, a sua volta, è negato absolute Negativi­ tut - da C ( sintesi), in cui si risolvono A e B. Ogni rapporto è concepito e trattato, nella filosofia hegeliana, come rapporto di tesi, antitesi, sintesi : il nesso dei gradi della realtà è sintesi di opposti. Cosi nell'antropologia si ha : anima naturale, tesi ; anima sensitiva, antitesi ; anima reale, sintesi. Nella psicologia : spirito teoretico, tesi ; spirito pratico, antitesi ; spirito libero, sintesi ; e ancora : intuizione, tesi ; rappresentazione, antitesi ; eticità, sintesi ; o ancora : in questa ultima : famiglia, tesi ; società civile, antitesi ; stato, sintesi. Nella sfera dello spirito assoluto : arte, tesi ; religione, antitesi ; filosofia, sintesi, ecc. ecc. Ebbene : questa è una concezione falsa dello spirito, dice il Croce. Lo spirito non è sintesi solo di opposti, ma anche di distinti : e le due sintesi sono irriducibili, poiché il rapporto dei termini dell'una è toto coelo diverso dal rapporto dei termini dell'altra : la forma del rapporto degli opposti è la triade, la forma del rapporto dei distinti la dia·de ; quella è la ragione del divenire, anzi è il dive­ nire stesso nella sua concretezza ; questa è la ragione della perma­ nenza dei gradi dello spirito nel perpetuo divenire. LD spirito non esi­ ste come pura attività universale - l'attività universale è un'astra­ zione - : agire, agire concretamente, significa assumere una forma precisa di attività, esplicarsi come attività cosi e cosi determinata : determinata, per esempio, come conoscere o come volere. Su questo ultimo punto non può esistere disaccordo. Il disaccordo sorge quando SI risponde a una questione ulteriore : le varie forme dello spirito '

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( 4) HIBBEN, Logica di llegel, pp. 237-238 (N.d.A.).

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trapassano l'una nell'altra negandosi, al modo che la tesi trapassa nell'antitesi e questa nella negazione assoluta della sintesi ; - oppure lo spirito conserva, nel suo passare da una a un'altra forma, nel suo divenire di forma in forma, i gradi, i momènti, le forme che assume esplicandosi, divenendo ? Il Croce, per rilevare l'errore di Hegel, si pone queste tre do­ mande : che cosa importa la teoria dei gradi ? Quali sono i suoi termini, quale il loro rapporto ? E qual differenza presenta rispetto ai termini e al rapporto della teoria degli opposti ? E risponde : « Nella teoria dei gradi, ogni concetto - e sia il concetto a - è insieme distinto e unito col concetto che gli è superiore di grado, b : onde se a si pone senza b, b non si può porre senza a » n. Lo spirito si esplica come teoria e come pratica, come conoscenza e come vo­ lontà. Lo spirito teoretico o l'attività teoretica o conoscitiva, ha un doppio grado : l'intuizione e il concetto, la considerazione non pensan­ te e la considerazione pensante della realtà : gli atti dello spirito teo­ retico sono o atti di cognizione ingenua fantastica di individui, o di, cognizione riflessa dei rapporti universali degli individui ; presentano o la forma estetica o la forma logica. Il doppio grado este­ tico e logico dell'attività teoretica ha il suo l"Ìscontro nell'attività pra­ tica. Anche l'attività pratica si bipartisce in due gradi : l'economico o l'utilitario e il morale ; quello è la volizione dell'utile, questo la volizione del bene. O meglio : « Attività economica è quella che vuole e attua ciò che è corrispettivo soltanto alle condizioni di fatto in cui l'uomo si trova ; attività etica, quella che vuole c attua ciò che, pur essendo corrispettivo a quelle condizioni, si riferisce, insieme, a qualcosa che le trascende. Alla prima rispondono quelli che si dicono fini individuali, alla seconda, i fini universali » ( 6). Come la cono­ scenza si gemina in conoscenza dell'individuo e in conoscenza del­ l'universale, cosi la volontà si bipartisce in volizione dell'utile e in volizione del bene morale universale. Quattro sono, dunque i gradi dello spirito, e, corrispondentemente, quattro sono i concetti distin­ ti : la bellezza, la verità, l'utile e il bene morale. Né piu né meno, poiché alla necessità di quei termini ci fa conchiudere il metodo inte­ grale 'della ricerca : l'induzione o la constatazione e la deduzione. « Nessun fatto dello spirito, ossia nessuna manifestazione di atti­ vità si può addurre, che, esaminata non superficialmente, non si ri­ duca a un atto di fantasia, di intelletto e di percezione ( che è, pre­ cisamente, visione dell'individuale nei suoi rapporti universali) ; ov­ vero a un atto di volizione utilitaria o etica ». E la storia attesta -

(5) Ciò che è vivo e ciò che è morto, ecc., p . 86 (N.d.A.). (6) Filosofia della pratica, parte II, sez. I, p. 219 (N.d.A.).

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che tutti i problemi si sono sempre aggirati, e si aggirano, sui con­ cetti del Vero, del Buono, del Bello, ·dell' Utile, o sui sinonimi. Que­ sta constatazione di fatto, che è un primo passo della dimostrazione filosofica, acquista valore di necessità dalla deduzione, che prova co­ me una quinta forma non solo non c'è, ma non ci può es..,ere. La vita, che è volontà, condiziona la conoscenza : cioè, non solo l'arte, che è sempre arte di un tempo, di un'anima, di un momento, ma anche la filosofia, la quale non può risolvere se non i problemi che la vita propone. - D'altra parte, la conoscenza condiziona la vita. È necessaria l'apprensione estetica della realtà, la riflessione filosofica su di essa e la percezione storica che ne è il risultato, perché si ot­ tenga quella situazione ·di fatto, sulla quale soltanto si forma e si può formare la sintesi volitiva e pratica, la nuova azione. Conoscenza e volontà, nelle due forme in cui si suddividono, sono, dunque, neces­ sarie e le sole necessarie, perché si abbia la Vita e il Pensiero, l'og­ getto e il soggetto. Lo spirito, che è unità-dualità di pensiero ed es­ sere, esige, per la sua soddisfazione, di essere conoscenza individuale e universale, cioè tutta la conoscenza, tutto il soggetto : e di essere oggetto individuale e universale, cioè tutto l'oggetto : tutto l'oggetto del soggetto e tutto il soggetto dell'oggetto. La forma teoretica - che è concepibile soltanto come apprensione dell'individuale e dell'univer­ sale, e dell'uno nell'altro - postula la pratica - che, ancora, non è concepibile se non come volontà dell'utile e del bene - perché il soggetto postula l'oggetto : tutto il soggetto postula tutto l'oggetto : e tutto il soggetto e tutto l'oggetto sono nelle quattro forme enume­ rate, poiché ad esse tutte le altre, non solo si possono, ma si devono ridurre C). Ecco i gradi dello spirito, e, quindi, i termini del rap­ porto dei gradi. Di fronte al neo-hegelismo italiano, cosi ·del Croce come del Gen­ tile, e di fronte ad ogni forma di idealismo imm.anentistico, la no­ stra posizione è ben precisa. Con lo sguardo fisso a tutta la storia della filosofia - da Socrate a noi e alle esigenze immortali della ragione, noi superiamo - non affermando, ma dimostrando - lo immanentismo assoluto dell'essere con la dottrina della trascenden­ za dell' Essere infinito, principio attuale e termine attuale ultimo dell'essere finito ; e alla soggettività idealistica l'oggettività realisti­ co-idealistica del conoscere : il vero sistema è fusione di realismo e di idealismo. L'essere è bensi uno con la mente come forma della mente e come - nell'atto concreto della conoscenza - formato e informato dalla mente, ma, poiché la mente umana non è atto puro o pura forma, ma atto commisto con potenza, forma commista con ·-

( 7) Cfr. Filosofia della pratica,

parte I, sez. III, passim (N.d.A.).

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materia (nel senso della scuola francescana), l'unità dell'essere e della mente non è, nell'uomo, unità di identità assoluta, ma di semplice uguaglianza : il conosciuto è nel conoscente secondo la natura del conoscente, come il conoscente è nel conosciuto secondo la natura del conosciuto : ma conoscente e conosciuto sono due, non uno : due ra­ zionalità che s'incontrano compenetrandosi e unificandosi, senza identificarsi. - Ma il rapporto di uguaglianza, che è nell'uomo, sup­ pone il rapporto di identità : deve quindi esistere fuori dell'uomo, l'identità piena di essere e di conoscere, ossia l'essere tutto, tutt'uno con la mente tutta, la mente tutta tutt'una con, l'essere tutto : l'ordi­ ne ontologico perfetto tutt'uno, cioè identico, nel senso strettissimo e propriissimo della parola, con l'ordine logico perfetto : l' Essere-Ve­ rità, Dio. Il quale, se è tutto l'essere, tutta la Verità, è, perciò stesso, tutto il valore, tutta la perfezione, e, quindi, la · misura ul­ tima dei valori : il Bene, come norma ultima di bene, cioè il supremo criterio morale : senza Dio non c'è morale. La vita umana sarà, quin­ di, un ininterrotto progresso della mente verso una sempre maggiore uguaglianza sua con l'essere, e un ininterrotto progresso della volontà verso una sempre maggiore conformità sua alla Perfezione assoluta ; un moto, dunque, di tutta l'anima verso il trascendente, dal quale e per il quale siamo fatti. Progresso, o moto dialettico, perché ogni sua fase è superamento dell'essere, da parte della mente che afferma, col giudizio, la verità, e superamento del male, da parte della volontà che afferma, con l'amore, il bene. La mente diventa sempre piu for­ ma o attualità di verità, a misura che lottando, acquista in sé di verità, sempre nuova, senza però raggiungere mai lo stato di pura forma perfetta o di atto mentale concreto perfetto puro ; la volontà diventa sempre piu forma o attualità di bene, a misura che si avvi­ cina, lottando, al Sommo Bene, senza però, raggiungere mai la condi­ zione di puro perfetto bene, di pura perfetta forma di bene : l'uomo, che non è Dio, non diventa mai Dio. Riposerà in Lui a misura che s'avvicina a Lui ; ma l'adeguazione perfetta fra lo spirito umano e Dio - appunto perché l'uomo non è Dio - non avrà luogo mai. (La filosofia di Benedetto Croce, Milano, Vita

c

pensiero, 1924, pp. 145-150, 303-304).

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VI.

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U. A. PADOVANI

LA SOLUZIONE DEL PROBLEMA DEL MALE NEL CRISTIANESIMO

Il problema del male Abbiamo visto che il problema del male è stato lo scoglio contro cui vanamente ha urtato la grande filosofia greca, come . ogni filo­ sofia, essendo il male un problema razionalmente insolubile. Ma che è precisamente questo male, il quale avrebbe avuto la potenza di rendere razionalmente inesplicabile la realtà, come praticamente dolorosa la vita, e di far sorgere effettualmente quella massima costru­ zione dello spirito umano che è la filosofia - e pure la religione ? Non è certo il male cosidetto metafisico ( di negazione), ossia la necessaria limitazione dell'essere creaturale : perché questa limitazione non toglie nulla alla perfezione dei vari esseri, secondo la loro natura, ma solo quella pienezza di essere che spetta unicamente a Dio. Dio infatti non può creare un altro Dio, in quanto creaturalità contrad­ dittoria, perché per essere illimitata nella perfezione dovrebbe essere increata, · e quindi sarebbe insieme creata e non creata. Allora non resta che il male cosid·detto morale e fisico ( di pri­ vazione), in quanto mutilazione empirica della natura di un de­ terminato essere. « Malum nihil aliud est quam privatio ejus quod natus est habere >> (ToMASO, Contra gentes, l. IV, c. 7). Di un determinato essere si è detto : perché per esempio il male morale nulla toglie alla natura animale, la quale è infraspirituale : l'animale non pecca, perché la sua natura non comporta libertà, ossia la volontà (tendenza razionale). Cosi l'animale propriamente non erra, quando si pensi che l'errore sta nel giudizio, e il giudizio è già al secondo grado della conoscenza razionale, alla quale partecipa l'uomo e non l'animale. Altrettanto potrebbe dirsi del male fisico : perché la forma nel senso classico - propria dell'animale non è l'anima razio­ nale, propria dell'uomo, che non si sovrappone ma potenzia in sé le anime, le forme inferiori, sensitiva e vegetativa ; e dovrebbe subor­ dinare a sé come il corpo cosi il mondo fisico, il quale del corpo può considerarsi un prolungamento. -

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Se avvenga pertanto un disordine nei rapporti dello spirito, col corpo, per un depotenziamento del primo rispetto al secondo, s'in­ tende come questo disordine abbia ad estendersi ai rapporti ·dell'uomo con la natura, quale una preponderanza di questa. S'intende quindi che Paolo apostolo affermasse come il disordine, causato nell'uomo dalla caduta di Adamo, avesse delle funeste conseguenze fino nella creazione materiale : la quale trovandosi in uno stato di disordine - come sfinalizzata - aspirerebbe a liberarsi dalla corruzione, in cui l'ha posta il peccato dell'uomo ( cfr. Romani, VIII, 22). Questo naturalmente non significa che l'impassibilità piena e l'immortalità fisica sia un'esigenza assoluta della natura umana ; ma solo che il dolore e la morte - come l'ignoranza e la concupiscenza, ecc. nella loro attuale situazione risultano uno stato innaturale rispetto al nostro essere spirituale e razionale. Certo anche l'animale soccom­ be alla morte, ma ignora questo destino a differenza dell'uomo : la consapevolezza che la vita è per la morte costituisce l'angoscia della vita, nei termini dell'esperienza. Certo anche l'animale patisce il do­ lore, ma non ne ha consapevolezza razionale, il che invece partico­ larmente offende l'uomo. Come con molta acutezza nota Schopen­ hauer, cosi finemente incline alla compassione anche nel riguardo degli animali. Da questa considerazione discende che il male (fisico e morale) propriamente è un problema solo in rapporto all'uomo ; del mondo inorganico e vegetale non vi è neppure da far questione� per tutte le ragioni e per altre ancora (quella dell'incoscienza per esempio), che valgono pel mondo animale. Ed è un problema pre �isamente se si consideri la natura specifica dell'uomo, la quale è di animale ra­ zionale : il che non significa certamente a lui appartenere la razio­ nalità pura, di un puro spirito, ma certamente esige una subordi­ nazione del sensibile all'intelligibile, ·del materiale allo spirituale, per le considerazioni fatte piti sopra. Che cioè il senso sia subordinato all'intelletto e la tendenza alla volontà, in quel caratteristico processo che è il conoscere e l'operare umano ; che il corpo umano e la na­ tura in genere sieno subordinati alle esigenze dello spirito, come dovrebbe essere nella gerarchia razionale dei valori ; che gli uomini fossero razionalmente uniti in società, per la comune natura e la impossibilità di realizzarla senza la civiltà ; e che conoscessero e ri­ conoscessero il Divino, secondo le vie della ragione e della morale. Ora, se si consideri spregiudicatamente l'individuo e l'umanità, la psicologia e la storia, le cose risultano ben diversamente. Ché troppo spesso il senso - onde pure il conoscere umano deve prendere le mosse - sopravvanza l'intelletto ; e in ben pochi uomini e con molta difficoltà e non senza gravi errori, l'intelletto perviene alla conoscenza -

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di quelle verità razionali (Dio, l'anima, ecc.), che pur sono indispen­ sabili per una soluzione umana del problema della vita, in causa del pratico che svia il teoretico ( a teoreticità dell'errore) : onde il cosidetto scandalo della storia della filosofia. E ancor piu spesso la tendenza ( sensibile) signoreggia la volontà ( tendenza razionale) : e la maggioranza degli uomini è vissuta e vive ciecamente, contro le esigenze della propria natura razionale, anche quando la VE:rità è conosciuta dall'intelletto. Questo è il male morale, spirituale, che domina nel mondo umano. Per quanto riguarda il male fisico, la cosa è ancor piu appariscente : basti ricordare quella malattia, quella vecchiaia, quella morte, che fecero del principe Gothamo un asceta, il Buddha ; senza dir del male che potrebbe dirsi sociale, onde l'uomo per natura animale politico resta e:ffettualmente diviso e nemico ai suoi simili (homo homini lupus, bellum omnium contra omnes) ; e del male che potrebbe dirsi religioso, onde la conoscenza c il culto ·del Divino appaiono fenomenologicamente deturpati da ogni assurdità c immoralità. Abbiamo dunque una natura, la natura umana, che ci appare disordinata, come riconoscono non solo Agostino e Pasca!, ma pure Platone e Kant. La filosofia conosce l'essenza metafisica di questa natura umana, deve riconoscerne il disordine fenomenologicamentc dato, ma ne ignora la causa. La filosofia è certamente costruttiva, metafisica ; ma al suo vertice deve farsi critica, riconoscere i propri limiti ( docta ignorantia), perché non riesce a risolvere totalmente il suo problema, il problema della vita - compreso nel problema della esperienza - per causa del problema del male. Eppure non può rinuncìarvi assolutamente, anche perché comprometterebbe la sua piu grande conquista : Dio. È antica e famosa I'obbiezione - ma non mai cosi acutamente sentita come nella coscienza moderna - in qual modo conciliare l'assoluta sapienza-· e potenza di Dio con tutto il male che è nel mondo, da lui creato e governato. Si deve intendere naturalmente il male morale e fisico, e questo propriamente in rapporto all'uomo. Ciò non significa far dipendere le prove dell'esistenza di Dio, coi suoi attributi di sapienza e potenza infinita, dalla spiegazione del pro­ blema del male ; ma unicamente trovare un'esplicazione escludente che esso male possa venire riferito positivamente a Dio, né che esso venga a contrastare comunque l'opera ·di Dio.

La caduta originale

Ma se la filosofia è impotente a risolvere il problema del male, VI ha per avventura una fonte, cui lo spirito umano possa ragio-

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nevolmente attingere, per la soluzione di un problema cosi urgente ? Si presenta la religione, e particolarmente una religione tra le reli­ gioni, la quale ci dice di una caduta dell'uomo al principio della sua storia, e afferma questa verità a tutto il sistema dei suoi dogmi come divinamente rivelato. Quanto alla possibilità di una caduta in genere dello spirito, os­ sia del male morale, ·del peccato, basti tener presente che l'essere creaturato può per sua natura deflettere dall'ordine : poiché v'ha del non essere in lui, in quanto creato appunto ; e il libero arbitrio gli dà modo di tradurre in atto tale possibilità, ossia il deflettere effet­ tualmente dall'essere, dal razionale verso il non essere, l'irrazionale. Quanto alla realtà di una caduta originale dell'uomo, rimandiamo al fatto della Rivelazione in cui essa è contenuta, e di cui abbiamo indi­ cato piu sopra le linee dimostrative. I testi capitali della Scrittura al riguardo sono per l'antico testa­ mento, il Genesi, Il, 8 III, 24 ; p el nuovo testamento l' Epi· stola di Paolo ai Romani. Dalla Scrittura e dalla tradizione, ga­ rantita dall'interpretazione della Chiesa e sistemata dalla teologia, risulta fondamentalmente come l'uomo primigenio non solo avrebbe fruito di quella armonia naturale, onde ora è privo, ma pure sa· rebbe stato elevato, quasi per nuova creazione, all'ordine sopranna· turale, con una conveniente mediazione di doni preternaturali: ossia avrebbe partecipato - con una natura eccezionalmente -dotata alla vita di Dio, non di diritto ma per grazia. E che - per causa di una colpa d'orgoglio contro Dio, commessa dal primo uomo, da cui per la natura dell'uomo stesso doveva discendere tutta l'uma· nità - l'uomo avrebbe perduto e quella armonia naturale e la dignità soprannaturale, con i doni connessi. Vi è dunque un'infermità, una debolezza, spirituale e fisica nella concreta natura umana, che non dipende dai singoli : ossia univer· sale all'umanità, presente fin dalla nostra nascita, e che deve pertanto essere ereditata. Il modo particolare di questa trasmissione qui non interessa : basti comunque ricordare come per la legge di ereditarietà possano essere trasmesse deficienze materiali e pur morali, nel senso che il fisico, essendo il naturale strumento dello spirituale, può osta· colarne il funzionamento, magari totalmente : deficienze che allora non dipendono dagli individui, i quali anzi le patiscono. Il peccato originale poi - che importa la privazione dell'ordine soprannaturale, ossia dell'unico fine umano effettuale, fino al dolore e alla concupi· scenza, ossia alla vulnerazione della natura - volontario e colpevole in Adamo, sarebbe colpevole nei suoi discendenti, in quanto non vogliano usare delle miserie conseguite al peccato originale medesimo come sprone verso la Redenzione, il Cristianesimo, la Chiesa.

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L'aspetto della condizione primitiva ·dell'uomo che riguarda il potenziamento sovranaturale, per quanto sovraeminente e centrale nel cristianesimo, qui non interessa. Perché, essendo il potenziamento all'ordine sovranaturale per definizione gratuito, ossia non dovuto alla natura umana come a nessuna natura creata, la privazione del medesimo conseguita al peccato non poteva determinare vulne­ razione nell'umana natura, come nemmeno la perdita dei doni pre­ ternaturali : e dunque suscitare quel problema del male, che abbiamo !lffermato insolubile per la filosofia.

La redenzione per la croce Ma se il dogma della caduta originale può spiegare il fatto del male ( morale e fisico) nel mondo umano, per quanto tale fatto ha di innaturale, il che solo filosoficamente interessa ; non spiega del pari il significato di questo male in un mondo che dovrebbe essere razionale ( ossia non irrazionale, anche se necessariamente in parte arazionale) perché creato dalla sapienza divina, la quale non può non dare alle nature da lei volute realizzare quanto ad esse spetta per la loro effettuale attuazione. Ossia con la caduta originale il problema del male è solo inizialmente, non integralmente esplicato. Anche qui viene in soccorso la religione rivelata con un secondo dogma fondamentale di lei, il dogma della redenzione per opera di Cristo : onde Dio, ossia il Verbo di Dio, la seconda ipostasi della Trinità divina, assume natura umana, precisamente per riparare al peccato originale, e dunque pure alle sue naturali conseguenze. Non staremo ad indicare i luoghi scrittura li e le definizioni dog­ matiche in proposito : basta ricordare che la fonte principale di que­ sto dogma sta (ancora) in Paolo, epistola ai Romani ; e che esso è stato oggetto di un vasto svolgimento fino al concilio tridentino, ed oltre. E nemmeno faremo la questione teologica sulla unione delle due nature in Cristo : natura umana e natura divina in una persona divina - la persona del Verbo appunto. Di cui si dà soluzione, non nel senso che sia possibile dimostrare razionalmente il dogma della mnanazione del Verbo, il quale - come il dogma della Trinità divina, che presuppone - rientra nell'ambito ·del sovrarazionale, del mistero ; ma solo per mostrare che si tratta di sovrarazionalità, non di irrazionalità. Qui basta ricordare come l'uomo, pel peccato originale, aveva contratto un debito con la divina giustizia, che però non poteva sod­ disfare, essendo l'offesa infinita in proporzione dell'infinito offeso, e che d'altronde avrebbe dovuto essere soddisfatto, perché - con una riparazione adeguata - l'uomo potesse venir tolto dal disor-

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dine, nel quale veniva a trovarsi come conseguenza penale del pec· c�to originale. Non certo per reintegrare nel suo ·diritto Dio, la cui trascendente beatitudine il finito non può in alcun modo tangere, e che comunque sarebbe st.ato soddisfatto dalla pena conseguita al peccato stesso. L'uomo SQlo doveva, Dio solo poteva : onde l' Incar­ nazione, ossia l'assunzione della natura umana da parte del Verbo di Dio in Cristo. Essendo poi le operazioni umane e divine dello stesso Cristo operazioni di due nature ma ·di una sola persona, quella del Verbo, s'intende come tali operazioni avessero nel contempo va­ lore umano e divino. Per l'opera della Redenzione sarebbe bastato il minimo atto espia· torio di Cristo, avendo ogni atto di lui un valore infinito, in pro­ porzione della dignità dell'operante. Invece il Verbo di Dio umanan· dosi, non solo assume la misera natura dell'uomo decaduto, escluso naturalmente il male morale, ma assorbe tutto il dolore umano, sino alla morte di croce : Tota vita Christi crux fuit et martyrium. Al­ lora questo sacrificio totale di Cristo dev.e avere un'altra spiegazione : la spiegazione ultima non può stare se non nel fatto che venga resa all'infinita maestà di Dio tutta la gloria possibile, la quale è é non può non essere il fine assoluto di ogni atto divino - Omnia propter semetipsum operatus est Dominus (Proverbi, VI, 4) - sul piano del male, conseguito al peccato : ossi� una soddisfazione rigorosa alla divina giustizia, nella redenzione del genere umano. Ma cosi nello stesso tempo, attraverso la passione redentrice ·del Verbo di Dio umanato, Dio manifesta la bontà essenziale che esso è, in ri­ guardo all'uomo : il bene dell'uomo non può mai attuarsi fuori della glQria di Dio - nella redenzione come nella creazione. Ma quali precisamente le conseguenze dell'azione redentrice di Cristo sull'umanità ? L'uomo fu ricostituito nell'ordine soprannatu­ rale, resa gli la grazia, ristabilito nella divina adozione ( 1). Però non gli sarà dato viatore di godere di quella serena intimità divina, onde dovevano fruire i protoparenti dell'umanità prima del pecca­ to : ché questo, se mai, sarà un privilegio spirituale di anime elet­ te - in straordinari momenti estatici. Comunque quest'ordine di effetti della Redenzione - sebbene essi sieno realmente i piu ele­ vati - qui non interessano : perché riguardano valori per nulla do( l) Ques t a restaurazione soprannaturale operata da Cristo, andrà poi compiendosi nella storia della Chiesa, che rap prese n ta una seconda vita (mistica) di lui. Ma tale progresso nel cristianesimo - il quale è necessariamente spirituale, e pure fecondamente normaliz­ zatore di quello materiale -- non deve intendersi come una conquista totale del m ondo , che sarii sempre la sua antitesi, da parte di esso cristianesimo ; sibbene come una sempre maggior distinzione e purificazione di questo di contro al mondo, della Città di Dio d all a C i t tà terrena, che è il senso arcano della Apocalisse - il libro profetico del nuovo te· stamento (N.d.A.).

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vuti alla umana natura, la cui assenza pertanto non può veramente suscitare il problema del male. I cosidetti doni preternaturali invece non furono per nulla resi all'uomo viatore ; a meno che non si con­ siderino di questo tipo tutta una serie di casi prodigiosi fisici e spirituali, che si incontrano nella storia della religione rivelata. Ma anche qui siamo nell'ambito ·dell'eccezionale, e comunque anche di questi valori si può dire che - in quanto preternaturali - non possono a rigor di termini sollevare il problema del male, se essi manchino. Neppure il disordine della natura (umana) fu restaurato : ehè l'uomo ordinariamente continua a patire tutta la violenza del dolore fino alla morte, tutta la violenza del senso contro la · ragione : anche se per grazia gli sia dato, sia pure variamente, l'ausilio di soppor­ tare il dolore e vincere il male. Il contrasto, la lotta, la lacerazione per cui Paolo sanguinava (non faccio il bene che voglio e faccio il male che non voglio, ecc. : Romani, VIII, 15 e segg.) e desi­ derava la morte - permane. La legge morale pertanto, che do­ vrebbe essere libertà e potenziamento della natura umana, dopo il disordine del peccato e pur dopo la Redenzione, sarà sentita come schiavitu ed eteronomia : onde il tragico dissidio tra virtu e feli­ cità. Ma perché permangono anche dopo la redenzione infinita del Verbo di Dio umanato oltre le sopraricordate conseguenze, ·del pec­ cato originale, queste che tangono la stessa natura umana ? La ragione si è che la Redenzione rimette SQvrabbondantemente la colpa del peccato originale e conseguenti, ma lascia come pena il male da esso derivato : ossia all'uomo la possibilità di espiare con la pena la colpa, che senza Redenzione non avrebbe potuto es· sere espiata : sarebbe cosi che « l'uomo aggiunge ciò che manca alla passione di Cristo ». La terra verrà chiamata in linguaggio cristiano valle di lacrime : l'angelo ribelle è cacciato dal cielo nell'inferno, con la pena eterna del danno e del senso ; l'uomo ribelle dall'eden nella terra, come temporanea pena del senso. Onde parafrasando il Gen-esi ( III, 19) dice Vito Fornari nella sua celebre vita di Cristo (lib. I, cap. 3) di esso uomo dopo il peccato originale : « Esca dal luogo che non ha saputo conservare, vada nella terra, che produce triboli e spine, e sia circondato da un'ingrata e disordinata natura, poiché si è disordinato e fatto ingrato il cuore di lui ». Ma perché Cristo non solo invita a sopportare l'umiliazione e la croce a quanti intendono seguirlo, ossia salvarsi, ossia conseguire il proprio fine ( il che sarebbe in ultimo la via universale dei precetti, della prassi razionale, ·divenuta dopo il disordine del peccato doloroso travaglio, come qualunque genere di vita) ; ma quale vita perfetta addita la via della croce, com'egli l'ha percorsa fino al Calvario ( in ·

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cui consisterebbe la prassi cosidetta dci consigli, ossia della rinun­ cia volontaria ai grandi beni del mondo, cosi negativamente valutati nel discorso delle beatitudini, essendo divenuti dopo il disordine del peccato zavorra alla consumazione prima del destino dell'uomo ? Per lo stesso motivo onde esso Cristo non si è limitato ad espiare il pec­ cato dell'uomo davanti a Dio, ma è pervenuto sino alla follia della croce : per la maggior gloria di Dio e per il maggior bene dell'uomo, nel regno del male conseguito al peccato. La condizione di sofferenza - conseguita al peccato originale e rimasta anche dopo la redenzione - serve dunque ad espiazione del peccato stesso e pure a d olocausto, ossia come riconoscimento effettuale del nulla a sé dell'essere creaturato di fronte all'essere crea­ turante, nel nuovo ordine delle cose : che è ciò che di piu reale e di piu grande possa fare l'uomo. Ma serve pure a sussidio, strumento etico : perché la sofferenza, presa quale mortificazione, è una medi­ cina per un organismo malato spiritualmente come l'uomo nel mon­ do : « Omne quod est in mundo concupiscentia carnis est, concupi­ scentia oculorum et superbia vitae » ( GIOVANNI, Epistola I, 2°, 16). Ma perché Dio non ha impedito fin dall'origine il peccato, in modo che la gloria di Dio e il bene dell'uomo avessero ad attuarsi per la via della letizia, anziché per quella del dolore ? Difatti Dio avrebe potuto preservare l'uomo dal peccato -. senza con questo ledere la libertà umana - data la trascendenza dell'assoluta causalità di Dio ? Cui non si può rispondere che con Agostino : Dio aver giu­ dicato esser meglio trarre il bene dal male, anziché non permettere di esistere ad esso male, per la sua maggior gloria - e pure del­ l'uomo. E con la Chiesa, che dà ·di tale esplicazione una conferma, quando esalta questo male che ha determinato la redenzione, per opera del Verbo di Dio umanato. (&mmario di storia della filosofia, II, Roma, Desclée, 1966, pp. 11-18).

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VII.

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F. OLGIATI

INDIRIZZI STORIOGRAFICI DELLA FILOSOFIA CRISTIANA

Il criterio metodologico, al quale sono sempre rimasto fedele, è stato quello di non preoccuparmi tanto della critica demolitrice, quanto, in primo luogo, della comprensione dei vari sistemi moderni e contemporanei, esaminati con quella schietta « sympathie intellec­ tuelle », che Bergson raccomandava e che consiste nel dimenticare un istante le proprie concezioni, per assumere quasi la personalità del pensatore e per cogliere la verità che lo ha affascinato nella sua speculazione, trascinando altresi i suoi ammiratori. Chi legge solo per criticare, corre il rischio di rimanere fuori dalle intime profondità di un sistema. Potrà, si, notare deficienze ed errori, ossia la parte caduca d'un filosofo, ma si lascerà sfuggire l'ame de vérité che que­ sti ha conquistato e che ha manifestato persino attraverso gli stessi errori. P �iché - come scrive un illustre tomista italiano, Amedeo Ros­ si - è ben questa la dottrina circa l'errore nel realismo aristotelico e scolastico : « Non est possibile quod intellectus opinantis aliquod falsum totaliter privetur cognitione veritatis » (Eth. ad Nicom., L. I, l. 12, n. 140), in quanto « omne falsum in aliquo vero ( fun­ datur) » ( Summa Theolog., I, q. 17, a. 4, ad 2 ; M et., L. 9, l. 11, n. 1898-1899 ; De veritate, q. -1, a. IO, ad 5). « Falsa aliquid veritatis continent », poiché l'errore non è se non una verità o esa­ gerata o diminuita ; ed è compito del critico non già di gittar via la perla preziosa, racchiusa in un astuccio infelice, ma di integrare la conoscenza erronea, quando è erronea per difetto e di toglierne le esagerazioni, quando è erronea per sovrabbondanza. Ecco il metodo con il quale mi sono avvicinato durante parec­ chi anni a sistemi come quelli di Henri Bergson, di Josiah Royce, ·di Karl Marx, di Leihniz, di Berkeley e di altri ( dovevo necessa­ riamente procedere attraverso monografie, evitando i pericoli di sin­ tesi affrettate, astratte ed inconcludenti). Due furono le mie preoccupazioni in tutti questi lavori.

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Innanzi tutto, per poter giungere al cuore d'un sistema, tendevo a capirne quello che io chiamo la sua anima. Cercavo, cioè, di considerare un filosofo in relazione alla sua epoca ed anche in rapporto alle fonti del suo pensiero. Facevo gran conto della letteratura intorno al tema, poiché il possesso della bibliografia mi illmninava i vari aspetti e le diverse possibili interpretazioni del sistema, provocando dubbi, additando spesso i punti oscuri e, comunque, dandomi consapevolezza delle inda­ gini altrui per approfondire le teorie discusse. Ma, soprattutto, cercavo di addestrarmi alla lettura e alla medi­ tazione delle opere del pensatore esaminato, vivendo in comunione spi­ rituale con lui, per poter risalire dalla molteplicità ·delle sue teo­ rie al principio fecondo, che solo permette di sintetizzare le varie idee in un tutto organico. « Io riesco davvero a penetrare nella personalità e nel pensiero d'un filosofo, - dicevo nel 1934 i n una relazione al Congresso nazionale di filosofia a Padova - quando nella diversità delle vi­ cende che costituiscono la sua vita, nello sviluppo delle sue idee, nella molteplicità dei problemi affrontati e delle teorie propugnate nelle sue opere, mi è ·dato di cogliere l'anima vivificatrice, che ispira ogni gesto ed ogni scritto e che si manifesta nella sua unità dinamica attraverso la varietà delle manifestazioni esteriori. « Comprendere è unificare. Come non conosco una persona, sin quanto dalle sue parole, dalle sue azioni, dalla paziente e tenace osservazione della molteplicità dei fenomeni, che essa mi offre, non giungo ad afferrare la sua fisionomia spirituale, il suo carattere, l'u­ nica sorgente, cioè, dalla quale zampilla ogni suo atteggiamento ed ogni suo atto, cosi non posso affermare di conoscere Rosmini, se mi soffcrmo alla moltitudine delle notizie e del materiale documentario che i suoi biografi hanno raccolto, - se mi limito a riassumere, sia pur fedelmente, tutte le opere edite ed inedite che il Roveretano ha lasciato, - se non arrivo, insomma, alla unificazione del dato molteplice, - e, si capisce, ad un'unificazione che non sia già il prodotto di un metodo puramente meccanicistico, ma sia frutto di quella preoccupazione finalistica che forma una delle piu lmninose e definitive conquiste del pensiero greco, platonico ed aristotelico, e di tutta la filosofia perenne » . Ricordo il mio primo lavoro d i storia della filosofia, intorno al­ l'intuizionismo bergsoniano, che appariva presso i Fratelli Bocca nel 1914 nella sua prima edizione. Avevo additato, come idea ispiratrice del sistema, la durata reale ed in funzione di tale principio avevo ricostruito le varie parti dell'edificio. Altri, invece, in quel torno di tempo, avevano proposto una diversa chiave per interpretare Berg·

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son. Cosi il Lovejoy, in due letture tenute all' Università di Cali­ fornia, la additava nell'evoluzione creatrice, mentre Harold Hoffding, raccogliendo in un volume le sue lezioni svolte all' Università di Copenaghen, preferiva porre a centro la teoria dell'intuizione. Berg­ son non aveva allora avuto esitazioni : « À mon avis - scrisse egii in una lettera all' Hoffding - tout résumé de mes vues les déformera dans leur ensemhle et les exposera, par là meme, à une foule d'objec­ tions, s'il ne sa piace pas de prime abord et s'il ne revient pas sans cesse à ce que je considère comme le centre meme de la doctri­ ne : l'intuition de la durée ». D'allora sino alla sua morte, egli tenne parecchi discorsi, raccolse in volumi saggi e conferenze, scrisse opuscoli su La signification de la guerre e su Durée et simultanéité, elaborò le sue teorie etiche e religiose in Les deux sources de la morale et de la religion ; nia non c'è un problema che egli non abbia svolto in funzione della sua concezione della durée réelle. Ogni nuova pubblicazione del Bergson era per me una gioia, perché mi confer­ mava di averlo compreso, di essere cioè giunto a quel punto essen­ ziale - come egli stesso rilevava -.- che rimane egualmente fonda­ mentale, anche quando si discutono questioni nuove. È facile scorgere le conseguenze che questo metodo doveva pro­ vocare nella cultura cattolica a proposito di storia della filosofia, se si tien calcolo di una seconda mia preoccupazione. Poiché la scoperta e la constatazione dello spirito vivificatore che caratterizza un filo­ sofo rappresentava per me la via per arrivare alla valorizzazione di esso, in quanto la ricerca dell'anima d'un sistema era diretta al­ l'altra ricerca della sua anima di verità. Nessuno si stupirà se il senso dell'organicità, a cui mi ispiravo, ha impedito che io concepissi questo secondo momento della valuta­ zione dei sistemi in un modo astrattistico. Non era possibile che mi frullasse nel cervello la tentazione di sbriciolare l'unità d'una dottrina, ove i singoli elementi o teorie hanno un significato speciale in funzione del tutto, sminuzzando cosi il l'Si­ stema in tanti pezzi, per conservarne alcuni come veri e per riget­ tarne altri come falsi. Io rifuggivo da un simile metodo, per fissar l'occhio su tutto il sistema, o, se si vuole, sulle sue singole tesi in quanto sono membra viventi nel tutto. Mi spiegherò con una esemplificazione. Prendete uno Scolastico e presentategli il 1'reatise concerning the principles of human knowledge, ovvero : The dialogues between Hylas and Philonous di Giorgio Berkeley. La negazione della materia, 1a riduzione dell'es.�e di quest'ultima al percipi, e via dicendo, gli su­ scitano il sospetto che l'idealismo del vescovo protestante di Cloyne può servire di prova a chi pretende che la filosofia moderna è « un

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vertigmoso delirio dell'umano pensiero » ed « una frenetica aberra· zione di idee ». Ora, nel mio lavoro sul significato storico di questo filosofo, io ho sottolineato con cura il nesso tra la vita ed il pensiero di Berkeley, tra le sue teorie ed il momento storico in cui visse, tra le varie parti del sistema stesso ed i vari momenti del suo svi­ luppo. Nella critica delle idee astratte, nell'affermazione immateriali­ stica, nello spiritualismo volontaristico, nelle dottrine teistiche, nella stessa ·difesa dell'acqua di catrame, insomma in tutte le tesi berke­ leyane, c'è un identico palpito, un'unica tendenza, in quanto Ber­ keley fu l'oppositore tenace ed acerrimo di quell'astrattismo scienti­ fico e di quel metodo meccanicista, che influenzava sinistramente non solo la speculazione filosofica, ma anche la vita pratica, individuale e sociale, dei suoi tempi, ed in quanto, contro l'insufficienza della concretezza scientifica, egli fu il difensore di una concezione finalistica del reale, che segnava un progresso verso la concretezza filosofica. Prospettando in tal modo la figura e la speculazione di Ber­ keley, questi non provoca piu il frizzo del suo medico Arbuthnot, quando, dopo averlo curato, celiando diceva : « il buon Berkeley ha avuto l'idea d'una febbre ardente ; e ci volle del bello a ridargli l'idea della sanità » ; ma il valore ·della sua speculazione brilla anche attra­ verso le sue teorie errate. Rimane allora chiarita la mia tesi, che ebbe un'enunciazione astrat­ ta in un articolo su La storia della filosofia moderna e la neoscola­ stica italiana e la sua applicazione concreta in modo speciale nel mio volume su Vanima dell' Umanesimo e del Rinascimento. La caratteristica, cioè, della filosofia antica è data dallo studio del reale mediante il concetto ( da non conf�ndersi con l'astrazione impropria, che ·- invece di tendere al principio di unità, all'elemento specificatore e sintetico, al momento essenziale ·di una realtà - co­ glie uno dei suoi elementi concreti, uno dei molteplici, uno dei mo­ menti particolari, trascurando gli altri). Fu col concetto del concetto, che Socrate poté superare la crisi dei Sofisti e ci diede la sua conquista. Platone estese il campo del concetto socratico, che il suo grande antecessore aveva limitato al « fare umano », alla vita interiore, al soggetto ; e le Idee platoniche, - sia che si consideri il sistema dal punto di vista gnoseologico o dal punto di vista metafisico - non sono se non il concetto, considerato nei suoi caratteri ·di eternità, di immobilità, di perfezione. La scoperta di Aristotele non è altro se non la forma, ossia l'idea platonica, non piu avulsa e separata dalle cose, ma immanente in esse, come intima forza dominatrice che pervade gli elementi, li coor­ dina, li sintetizza, come il principio interiore della natura e dell'atti·

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vità specifica di ogni essere. E che cos'è l'astrazione, se non il con­ cetto che ritrae la forma delle cose ? La nostra conoscenza concet­ tuale non è, per lo Stagirita, se non conoscenza di forme e per forme ; ed anche S. Agostino, nonostante il suo senso profondo di interiorità ed il suo programma : « in te ipsum re-di, in interiore homine habitat veritas », si conserva nell'orientamento proprio del processo astrattivo. L 'intuizione fondamentale, germe e spiegazione di tutta la filoso­ fia agostiniana, è la veritas, che il grande pensatore d' lppona, nella profondità della sua anima, contemplava eterna, immutabile, per­ fetta, e che non gli era spiegata dal divenire del mondo e del no­ stro io, ma solo da Dio ; e questa veritas ( che altro non è - come ben osservarono poi i tomisti - se non il risultato dell'astrazione) è proprio il concetto, è ciò che ci dà la ratio rei, la natura degli esseri. Non parliamo, poi, ·di S. Tommaso, incomprensibile da chi non si pone a leggerlo da questo punto di vista. Se alla sua dottrina si dovesse togliere l'astrazione concettualizzatrice, tutto in essa crolle­ rebbe, dalla teoria della conoscenza alla sua metafisica dell'essere, dalla psicologia ( dove l'astrazione è la vera ragione dimostrativa della spiritualità e dell'immortalità dell'anima umana) sino alla teo­ dicea. Vi furono bensi nell'antichità correnti filosofiche, orientate verso la concretezza. Ed è naturale : poiché l'astrazione non basta alla vita ; e siccome anche allora la vita aveva pure i suoi diritti da affer­ mare, non bisogna stupirsi se, di quando in quando, nel campo scientifico, religioso e morale, si facesse sentire un forte anelito al concreto. Il misticismo, lo stoicismo, l'epicureismo - per !imi­ tarci ad alcuni esempi - ne fanno fede ; ed il significato di un Ruggero Bacone, e piu ancora del nominalismo di Guglielmo d' Oc­ cam, rivela simile esigenza a chiare note. Ma se si guarda al gran fiume della filosofia antica, non ai rivoli secondari e laterali, - se si considera la sua anima profonda, non si può a meno di riconoscere che la sua caratteristica è data dallo studio del reale, mediante il processo astrattivo, purché que­ sta parola « astrazione » venga presa nel senso di « concetto » rifles­ sivamente elaborato. Con l' Umanesimo e col Rinascimento abbiamo una mutazione di indirizzo nella filosofia. L'indagine trascura ormai la natura, os­ sia l'essenza, degli esseri, l'astratto, l'universale, per volgersi, avida e fidente, al particolare, all'individuale, al concreto. Nella letteratura e nell'arte, nella politica e nella pedagogia, nella religione e nelle dot­ trine giuridiche, ma soprattutto nella filosofia e nella scienza noi con­ statiamo questo nuovo orientament.o . -

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Lo studio psicologico dell'uomo nella sua ricca complessità ; Par­ te, che non è l'universale astratto, ma è l'individuale, è bellezza concreta, è armonia ; gli antichi codici, l'antica coltura, l'antica sto­ ria ; la verità effettuale in politica ; l'interiorità religiosa ; il partico­ lare nell'universale, ossia l'individuo nel tutto, in filosofia ; la na­ tura esplorata, soggiogata e dominata, oggetto d'aspirazione nelle sco­ perte di Colombo, nei tentativi della magia, nelle ricerche dell'astro­ logia e finalmente nel metodo scientifico nuovo : ogni manifestazione, insomma, di pensiero e di vita presenta questa fisionomia, vibra di quest'anima della concretezza. La vera concezione dell'astrazione scompare, è dimenticata, è confusa con l'astrattismo, è sprezzata, perché non sembra rispondere alle esigenze nuove. Già in Cusano l'universale come, poi, doveva succedere in tutta la filosofia moderna - assume un altro senso : non si rife­ risce pio all'astratto, ma al tutto concreto : L'essere non è conside­ rato allo scopo di coglierne l'essenza, la natura ; ma allo scopo di ,;e­ dere il nesso organico del singolo con tutta la realtà. Il senso della concretezza è vivissimo in Cusano, e forse nessuno piu di lui fu per­ vaso ed ispirato dall'anima dell'epoca ; ogni teoria, ogni opera, ogni sua riga ce lo dice in mille forme. E cosi si ripeta degli altri filosofi della Rinascenza, in modo speciale di Giordano Bruno. Anche gli scettici di quel tempo, dal Ramus al Sanchez ed al Montaigne, non dubitavano se non del valore della scienza antica, os­ sia del metodo astrattivo c dei suoi risultati, ma aspiravano alle cose, all'esperienza, all'individuale concreto. Ed il loro scetticismo zampillava dal fatto che l'individuaie implica infiniti rapporti col tutto ; ma siccome è impossibile a noi conoscere tutti questi rapporti, è pure impossibile conoscere una singola realtà ed è da concludersi quod ni­ hil scitur. Leonardo e Galileo non fecero altro che inculcare questo pro­ gramma : non bisognava sciupare le forze nostre nell'elaborazione concettuale del reale, ma era necessario rivolgersi alla natura, all'os• servazione, all'esperimento, al :p.esso tra i fenomeni, in una parola al regno del concreto. Essi vollero sbarazzarsi del fardello di una > (In Epist . . VIII. B. Dionysii Areop., n. 2) (N.d.A .). (6) La superiorità filosofica di san Tommaso su Alberto è manifesta. Egli sembra di stile meno singolare e meno focoso ; ma domina la sua materia da piu alto, sfugge mag· giormente agli infantilismi dell'epoca e all'allettamento di opinioni particolari dove Al­ berto spesso si confonde. Chi conoscesse l'uno e l'altro non esiterebbe a scegliere tra loro due il suo maestro. Con Alberto, si cerca, ci si appassiona, ma seguendo Tommaso, si ha un altro senso di sio:mrezza ! Il primo è grande ; ma è pienamente del suo tempo : Tom­ maso d'Aquino sembra essere di tutti i tempi (N.d.A.).

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tenterà in profondità ciò che il suo rivale aveva compiuto in super­ ficie. È lui che assimilerà veramente Aristotele, che Alberto non aveva che utilizzato. Nello s tesso tempo, lungi dal cercare di offendere i sostenitori dell'agostinismo, egli ne assorbirà tutto il sapere e sarà pio ago­ stiniano di loro. Le preoccupazioni enciclopediche e vol�j;arizzatrici del maestro di Colonia daranno luogo a un pensiero sistematico nettamente delineato nei contorni e accuratamente scritto. La cristal­ lizzazione sostituità la dissoluzione ; la sintesi si compirà, e Tonunaso, avendo preso Aristotele per il suo Platone e il suo Socrate, sarà per il movimento della sua epoca e delle precedenti ciò che Aristo­ tele stesso era stato per la scienza ellenica : egli lo riassumerà a buon diritto, in quanto spingerà all'estremo limite allora permesso la com­ prensione c l'esposizione metodica dei problemi. Le origini intellettuali di san Tommaso d'Aquino sono dunque là. Egli è uscito da questo ambiente in lotta ove Aristotele e gli Arabi da una parte, sant'Agostino e i mistici dall'altra trovavano difensori ugualmente esclusivisti e facevano correre alla mentalità cristiana pericoli quasi ugualmente temibili. Egli si è sentito una vocazione di conciliatore e si è posto per scopo principale, in filosofia, di rinnovare il sistema di Aristotele, di cui aveva compreso il valore, per adattarlo in seguito, in teolo­ gia, ad una concezione razionale del ·dogma. La prima cosa indispensabile era il possesso di un testo. Non c'era, allora, per studiare Aristotele, che la risorsa di traduzioni arabe, ritradotte in latino, e perciò doppiamente « traditrici ». San Tommaso, sebbene non ignorasse il greco, non sembra aver avuto di questa lingua una conoscenza sufficiente per fare a meno della traduzione, e, d'altronde se l'avesse conosciuta a fondo, l'ambiente poco iniziato non ne avrebbe consentito l'uso nel lungo lavoro di un commento ininterrotto. Era necessarià ·dunque una nuova tradu­ zione. Forse questa necessità spiega perché san Tommaso, solleci­ tato ad utilizzare Aristotele dai suoi primi lavori, non abbia intra­ preso i suoi conunentari propriamente detti che abbastanza tardi. Guglielmo di Moerbeke fu _il suo collaboratore per la parte filo­ logica. Risiedendo a Roma alla stessa epoca, probabilmente per for­ male volontà dei Papi, forni il contributo della sua erudizione ad un'opera che non poteva riuscire altrimenti. I procedimenti di san Tommaso come commentatore parvero ai suoi contemporanei di una notevole novità. Quodam singulari et . novo modo tradendi utebatur C). Questa novità con sisteva nel me( 7) ToLOMEO D1 LuccA, Hist.- Eccl., l. XXII, c. XXIV (N.d.A.).

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to-do da lui adottato che era al tempo stesso scrupolosamente anali­ tico e altamente sintetico, e che seguiva il testo al punto di met­ tere in evidenza le pio fugaci sfumature, ciò che Alberto Magno non aveva saputo fare ; riunendo d'altronde in sintesi successive tutti i complessi che Averroè aveva completamente trascurato. Paragonato ai suoi due rivali, san Tommaso si mostra di una superiorità schiacciante : molto pio esatto del primo ; pio compren­ sivo del secondo ( 8) ; incomparabilmente pio chiaro di entrambi e di tutti quelli che dovevano seguire. San Tonunaso è il creatore dell'esegesi letterale del medio evo. È in una volta il pio ampio e il pio preciso dei conunentatori. Cosi si vede chiamato da molti suoi contemporanei Expositor, come egli aveva chiam�;�to Averroè Com­ mentator. Il primo appellativo è ancora pio giusto del secondo ; per­ ché è soprattutto una esposizione, la piu completa e fedele possi­ bile, che san Tommaso ha voluto fare del suo autore. Nelle sue lezioni, le analisi dell'esordio sembrano a prima vista fastidiose. Ai nostri occhi di gente frettolosa, queste divisioni e suddivisioni sem­ brano interminabili. Ma chi vorrà guardare da vicino il tenore di un testo riboccante di sentenze, come si esprimeva Boezio o l'attività del suo proprio, umano pensare. L'>, Miinster, 1922, n. 103 sgg. Inoltre Grundlegung d. Logik u. Erkenntnistheorie », 1909, n. 325 (N.dA.).

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l'essere, se anch'essi vogliono scorgere « assurdità e mitologia » nella convinzione che ci sia un essere indipendente dal nostro pensiero e dai suoi atti costituenti. Ma poi essi come se la caveranno con la esistenza reale dei loro prossimi e d il reale essere di Dio ? , Friburgo in Br., 1921 (N.d.A.).

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scenza e del « sentire » come l'unico vero e proprio fondamento di certezza della verità, io mi riconosco intellettualista, ma, nel dir cosi, questa volta non intendo piu la parola nel senso dei significati inso­ stenihili da me sopra respinti. So bene quale ruolo ha psicologicamen­ te il sentimento anche per quanto riguarda la conoscenza e la cer­ tezza, come esso spesso ci stringe con legami molto piu forti che la piu netta e forbita adduzione di prove. Tuttavia io, come teorico della conoscenza, devo conservare la fredda ponderazione e respin­ gere, per quanto concerne lQ conoscenza, il significato ·del sentimento entro i limiti che gli competono. Il sentimento non può essere la prima cosa, e la conoscenza l�gica e chiara la seconda ed in subor­ dine. I sentimenti ci possono ispirare, ci possono suggerire determi­ nati pensieri e determinate riflessioni relativamente a qualche cosa, di cui essi si fanno garanti, essi possono e devono anche irrorare con la loro linfa vitale i risultati raggiunti teoreticamente dal pen­ siero e debbono essere parte costitutiva del nostro io, della nostra personalità. Tutto questo si concederebbe volentieri ad essi e di que­ sto servizio saremmo loro onestamente grati. Anzi, vado oltre e dico : chi non conduce le sue argomentazioni in tal maniera che esse siano reattive su ·di lui personalmente con la piu piena forza di persuasio­ ne, anche sentimentale, e che diano a lui stesso la pace beatificante della vera certezza, non ha ancora raggiunto l'ultimo traguardo. In­ sieme con il razionale, e deE.to per virtu dello stesso, l'irrazionale, inteso come l'emozionale, deve aver voce, se deve esser vita e destare vita. In questo senso riconosco di buon grado nella vita del nostro spirito, accanto al razionale, l'irrazionale. Ed ora mi si può tranquillamente continuare a dare dell'intellettualista, se ancora non si è contenti del valore che assegno alle altre forme del nostro spirito distinte dall'intelletto, e del mio riconoscimento della loro indispensabilità per il nostro essere personale e per lo sviluppo armonico del mondo culturale. Al presente, piu che mai agitate sono le onde, sulle quali procede la nave della nostra vita. Il suo cammino sarà tuttavia buono e sicuro, se il nostro animo alimenta le sue macchine con forza, diremmo metaforicamente, e se l'intelletto tiene con mano ferma il suo ti­ mone. ( Op. cit., pp. 275-284).

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XI. L. BAUR

l. IL CONCETTO DI ESSERE l

tre significati dell'idea di essere

Dobbiamo anzitutto stabilire che cosa realmente intendiamo per essere » ed a che cosa applichiamo questo termine. Infatti poiché per tutti i concetti dobbiamo interrogarci sul loro profilo teoretico conoscitivo ed anche sulla loro ragion d'essere obiettiva, cosi non pos­ siamo accontentarci di chiarire il senso ed il significato dell'idea di essere in quanto realtà di coscienza, ma dobbiamo anche domandarci se e come il medesimo si può verificare dal suo lato obiettivo, tra­ scendente la coscienza ( problema della realtà). l. L'idea soggettiva di essere è una realtà universale ·di coscienza. Essa costituisce un elemento necessario, indispensabile di ogni no­ stra attività spirituale. a) Quando dobbiamo chiarire il senso obiettivo dell'idea di essere, si presenta una difficoltà : è chiaro infatti che dell'idea di essere non si può dare una definizione formale, esatta e reale nel semo logico tecnico . . Secondo le regole della logica formale, noi definiamo un'idea, un concetto, internamente determinandolo ed esternamente delimitandolo (di fronte ad altri concetti od idee). Questo avviene attraverso l'indicazione dell'idea generica (genus proximum) e della differenza specifica ( dilferentia specifica). Ora però non esiste nes­ suna idea generica che, senza rientrare essa stessa nell'idea di esser�, vada oltre questa. Analogamente non si riesce a trovare alcuna differenza specifica che non rientri essa stessa nell'idea di essere. Perciò dell'essere non si può dare una definizione logica, esatta. L'idea di essere è preci­ samente l'idea piu semplice e piU, universale che vi sia. In quanto è l'idea piu semplice, non può essere analizzata scomposta in piu determinazioni. Tutti i tentativi ·di dare una definizione appropriata sono soltanto circonlocuzioni. Resta perciò soltanto da mostrare · i vari significati, nei quali usiamo il termine « essere ». b) L'essere generale non è nessun genus, che appartenga a tutte «

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le cose che rientrano sotto questo titolo in maniera univoca. L'idea di essere è piuttosto un'idea equivoca, che appartiene ai particolari generi di essere in maniera analoga ( antite&i : aequivoce ed uni­ voce). Ciò vuoi dire che essa appartiene a tutte le cose, ma in �ario senso. « Tò èìv ÀÉyna.t rtoÀ.À.a.xwç, aÀ.À.oc rtpòç Ev xa.t (J..La.v ·nv oc cpuaw xa.C oux Ò(J..WVU(J..wç » (Aristotile, Met. , IV, 2). Noi enunciamo l'essere dell'essenza assoluta ( divina) come di quella condizionata ( contingente, relativa), del corporeo come dello spirituale, del sostan­ ziale come dell'accidentale, ·del potenziale come dell'attuale. Ma a ciascuna di tutte queste classi dell'essere l'essere appartiene in una maniera particolare. Quando noi lo enunciamo di tutte, non lo fac­ ciamo sulla base di una identità, ma soltanto di una somiglianza, di un'affinità. Con ciò noi ci poniamo in contrapposizione alla dot­ trina monistica, che enuncia l'essere di tutto nel senso di identità, come un 'idea generica ( nel senso di genus) 2. Tomrnaso d'Aquino, sviscerando il significato dell'idea di es­ sere, lo comprende sotto tre p.unti di vista : « Esse dicitur tripliciter : uno modo dicitur esse ipsa quidditas vel natura rei . . . ; alio modo dicitur esse ipse actus esscntiae ... ; tertio modo dicitur esse quod si­ gnificat veritatem compositionis in propositionihus secundum quod est, dicitur copula » (In I Sent.� ·d. 33, q. l, a. l, ad l). a) L'essere come copula. Aristotele (Hermen. lO) ha chiara­ mente messo in evidenza la differenza tra l'essere come copula e come predicato ed ha distinto l'essere logico dal metafisica. In real­ tà il significato dell'idea di essere nell'essere copulativo si esprime nella forma piii debole. Il suo significato sta in questo, che esso rende possibile un giudizio nel quale un predicato è unito ad un sog­ getto. Si vuole con ciò affermare che il contenuto del predicato appartiene realm,ente al soggetto, ad esso è inerente ( inhaerere) come determinazione accidentale, ad esso realmente appartiene in forza di un rapporto di identità in qualche modo attecchito, e l'unione di ambedue pertanto contiene una verità oggettiva, rispecchia un rapporto oggettivo di reciproca appartenenza. Appunto in tal modo l'idea di essere consente che si riconosca nell'enunciazione il suo proprio ed originario significato. Tommaso d'Aquino dice precisa­ mente : > piu carica ? Oppure, pur re­ stando, certamente, degli accavallamenti formali e dei gradi ·di uni­ versalità, queste proprietà trascendentali devono essere concepite come necessariamente innestate su un dinamismo fondamentale, su un divenire attivo od un « dover essere » ? In definitiva, esse devono esser concepite esclusivamente sul piano deHa forma, oppure devono essere inserite francamente, secondo la loro funzione trascendentale stessa, sulla linea dell'atto e della potenza? Kant, nonostante certe espressioni descrittive dinamiche, si è confinato severamente, nel porre le sue conclusioni critiche, all'in· terno di un punto di vista trascendentale formale. Fichte, al con­ trario, ed i suoi successori, ritennero che la funzione trascendentale, esigita dalla critica dell'oggetto, cessi di rispondere al suo ruolo ne· cessario, se essa non riposa originariamente su un'esigenza di ordine dinamico, una sorta di « volontà di natura », non riducibile a degli incastri formali. Abbiamo detto, nel Quaderno IV e ricordato nel Libro I di questo Quaderno V, perché Fichte ci sembra avere qui ragione con· tro Kant, riguardo all'essenziale. Se la nostra critica del metodo kantiano è giusta, avremmo dunque stabilito già il nostro diritto a saldare l'aspetto dinamico all'aspetto formale nel problema pura· mente trascendentale dell'oggetto come tale. Si sarà visto, in tutto il Libro II di questo Quaderno, quanto questa reintegrazione della fi. nalità attiva nel cuore stesso della conoscenza oggettiva è conforme alla tradizione metafisica dell'aristotelismo tomista. ·

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Al di fuori di ogni presunzione tratta dalla storia, vi sono due maniere di mostrare una necessità dinamica alla base della necessità trascendentale : l) attraverso la riflessione, cioè attraverso la constatazione immediata, interna, di un « ·divenire » nella conoscenza ; 2) attraverso una vera « deduzione trascendentale » , provan­ do analiticamente che un divenire immanente, con le condizioni di­ namiche e formali che esso implica, è la condizione di possibilità, la condizione necessaria e sufficiente, della costituzione di un oggetto qualsiasi in un pensiero che si esprime in giudizi ( cioè in un intelletto discorsivo). Per l'una e per l'altra di queste due vie, Fichte scopri ed indi­ viduò il triplice momento assoluto che caratterizza la coscienza come tale, indipendentemente da un contenuto materiale qualsiasi ; la Posizione pura (lo puro), la R iflessione pura (Forma pura del­ l' lo puro) e la Sintesi p ura della coscienza (reintegrazione della Forma pura dell' Io puro). Evidentemente, un filosofo scolastico eviterà di riportare questo triplice momento fino in seno allo Spirito assoluio, Principio uni­ versale (Dio). Abbiamo mostrato, nel Quaderno IV, su quale ap­ plicazione incosciente del principio razionalistico s'appoggia, in Fi­ chte, l'immanentismo panteistico della « teoria della scienza ». Ma se la si fosse rappresentata, piu modestamente, attraverso la triade logica : Posizione, Riflessione, Sintesi, i tre momenti oggettivi vir­ tuali che si trovano associati nella natura stessa della nostra fa­ coltà intellettiva (diciamo piu precisamente con gli Scolastici : nel­ l'actus primus dell'intelligenza discorsiva) si sarebbero notati molto esattamente gli aspetti trascendentali, opposti e solidali, di ogni m­ telletto umano. Nel corso dei capitoli precedenti soprattutto nella Sezione III del Libro II, abbiamo incontrato questi tre aspetti sotto altre eti­ chette. La posizione pura si chiamava « l'appetito naturale » o la « finalità naturale dell'intelligenza », il suo actus primus quoad exercitium. La Riflessione pura, o la Forma pura del pensiero era la specificazione in actu primo di questa finalità naturale ; la Sintesi pura corrispondeva a ciò che gli Scolastici chiamereb• bero il potere d'operazione strettamente immanente, o la « coscien­ za in actu prinw », potere proporzionale al grado d'immaterialità della potenza cognitiva. Questo terzo momento, che riunisce in sé gli altri due, designerebbe dunque il potere radicale di rapportare a sé contrapponendoselo, il contenuto della sua operazione ; o ancora designerebbe, allo stato virtuale, questa stessa « coscienza oggettiva » che si trova abbozzata nella facoltà sensibile, « esercitata » nel giu-

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dizio, « esplicitata » nella « riflessione psicologica » (riflessione com­ pleta). Dei tre momenti trascendentali Kant, vittima del pregiudizio no· minalista, che separava irrimediabilmente volere ( nel senso phi la­ to) e sapere, non ha ritenuto se non i due ultimi. Infatti il metodo trascendentale kantiano non risale, mediante dimostrazione rigorosa, se non al livello dell'appercezione trascenden­ tale, considerata come « unità pura originaria - unità formale della coscienza » cioè sino al secondo momento di Fichte, la Rifles­ sione pura (Forma pura). Si parlava piu sopra di un « atto trascen­ dentale di giudicare >> ; in Kant è l'unità pura dell'appercezione che; espressa nelle categorie, costituisce da sé l'alto trascendentale supe· riore del giudizio, esse.ndo il giudizio definito in questo caso come semplice sintesi unificante. Quanto al momento iniziale ·della triade di Fichte, la Posizione pura, Kant vi supplisce in un'altra maniera, attraverso la sua teoria della Cosa in sé, in cui egli invoca il mi­ sterioso privilegio di assoluto oggettivo (e non solamente di asso· luto soggettivo o trascendentale) di cui beneficerebbe, nel suo spi· rito ancora dogmatista su questo punto, ogni sintesi pura della Ra· gion pura ( v. Qua d. IV e, in seguito, cap. 2, § 3, nota alla pro­ posizione 6) ( 6). Riprendiamo dunque a nostra volta, senza piu ingombrare il nostro cammino di un'eterna comparazione con Kant, con Fichte od i loro successori, i due processi trascendentali d'analisi e di dedu­ zione, di cui fecero uso questi filosofi. Se potessimo condurre a buon termine il nostro ragionamento, a partire dagli elementi iniziali ac­ cettati dall' Idealismo trascendentale stesso, e senza introdurre mai nella catena delle « conseguenze » alcun postulato dogmatico, alcuna affermazione ontologi.ca surrettizia, le nostre conclusioni - fossero pure francamente metafisiche - non potrebbero essere rifiutate m nome delle esigenze fondamentali della critica moderna. (Op. cit., pp. 507-514).

( 6) La teoria della Cosa in sé, questa parte cosi contestata della filosofia kantiana, non avrebbe potuto ricevervi un senso accettabile cd una giustificazione piena se non mediante una « deduzione obiettiva >> dell'affermazione, non come categoria particolare contrapposta alla negazione (questa affermazione non considera ancora se non la forma sintetica del giudizio d'esperienza), ma come A tto trascendentale assolutamente primo, come super-categoria, non ristretta dagli schemi della sensibilità. Ora, giustamente, que· sto deduzione ebbe la chiave di una metafisica trascendente. Noi dovremo, per superare il kantismo con il suo stesso metodo, far valere contro Kant la necessità e le proprietà oggettive dell'atto trascendentale d'affermazione, guardandoci tuttavia dal toccare lo sco­ glio che non seppero evitare i panteisti trascendentalisti che, per i primi, emendarono la Critica nel senso che indichiamo (N.d.A.).

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XIII.

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l. LA VERITÀ Uno dei primi scandali per il senso comune concerne il rapporto tra le cose e il pensiero, nonché lo stesso concetto di verità. « Ciò che penso è ciò che è », ritiene il senso comune ( e non ha torto), ma immediatamente esso materializza questa affermazione, la schiac­ cia in una facile rappresentazione e si immagina che il pensiero sia come una copia o riproduzione materialmente decalcata della cosa, che coincide in tutti i modi con questa, per cui tutte le condizioni dell'una sono le condizioni dell'altro. La riflessione non tarda a provocare alcune amare delusioni. Se il pensiero o la conoscenza fosse una copia o una riproduzione decalcata della cosa e tutte le condizioni dell'una fossero le condi­ zioni dell'altro, come sarebbe possibile l'errore ? Sarebbe assurdo con­ cepire l'errore come una riproduzione decalcata di ciò che non è. E come potremmo conoscere con un pensiero multiplo, per esempio con l'idea di « essere vivente >> associata all'idea « capace di sensa­ zione » e a quella di essere « capace di intelligenza » una cosa unica in se stessa come quella che noi chiamiamo « l'uomo »? E come potremmo conoscere con idee universali una cosa che, nella sua esi­ stenza propria, è singolare, con i teoremi sul rettangolo, le proprietà geometriche di questo tavolo ? E come potremmo guardare questo convolvolo o questa mela senza partecipare noi stessi con la nostra sensazione alla loro esistenza vegetale ? Eccoci costretti ad operare una certa disgiunzione tra la cosa e il pensiero, a riconoscere che le condizioni ·dell'una non sono le con­ dizioni dell'altro. Il modo in cui sono le cose nel nostro pensiero, per essere conosciute, non è il medesimo modo in cui esse sono in se stesse. ( Che vi sia quindi un dentro del pensiero, costituente un universo a parte, seppure aperto sulle cose, la mente se ne accorge non appena riflette su se stessa). È della massima importanza stare in guardia contro una riduzione delle cose del pensiero alla immagi-

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nazione spaziale ( 1), ma sarebbe vano volersi liberare dalle condi­ zioni del linguaggio umano ; le espressioni « nel pensiero », « fuori ·del pensiero », non hanno maggiore significato spaziale di quanto ne abbia la parola spirito, che anticamente significava soffio, o di quanto ne abbia la parola Dio, che anticamente significava luce. Anche quando si parla di creature che esistono « fuori di Dio », la spazialità è in tal caso puramente metaforica. Si vuole soltanto intendere che, talvolta la cosa esiste - attualmente o possibilmen­ te - per se stessa nell'universo che vediamo, e piu generalmente nell'ordine della semplice posizione o effettuazione esistenziale, e che, talvolta, essa esiste non per se stessa, né in questo universo, né nello spazio, né nell'ordine della semplice positio extra nihil, Ìna sotto condizioni ben diverse da quelle del pensiero, e in quanto principio e termine dell'atto del pensare ; in tal caso si dice allora : essa esiste nel pensiero e). Il trarre motivazione dal senso spaziale e materiale, metaforicamente richiamato ·da quel « dentro » e dal « fuori di » che corrisponde ad esso, è il banale sofisma dell'idealismo. Ma il proi­ birsi, col pretesto che la coscienza non è né un cerchio né un qua­ drato, di impiegare le espressioni , un ens specificamente determinato. Ogni problema relativo all'ordine della sostanza si pone dunque a pieno diritto sul piano dell'essere, ma esso non saprebbe superarlo. Spiegare un essere come sostanza, è dire perché questo essere « è ciò che è ». È già molto e vedremo piu tardi San Tommaso ammirare Platone e Aristotele per essersi elevati fin là. Ma questo non è tutto, poiché una volta spiegato perché un essere è ciò che è, resta da spiegare ciò che fa che questo essere esista. Poiché né la materia, (6) Cont. Gent., lib. II, cap. 54 ( N.d.A .). ( 7) lbid., ad Deinde quia (N.d.A.). (8) Per la storia di questa distinzione, vedere i.\'1 .-D. Roland-Gosselin, O. P. Le De ente et Essentia de S, Thomas d'Aquin, Paris, J. Vrin, 1926, Il, La distinction réelle entre l'essence et l'etre, pp. 137-205 (N.d.A .).

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né la forma possono esistere da sole, si vede bene che l'esistenza ·del loro composto sia possibile, ma non si vede come la loro unione potrebbe produrre l'esistenza attuale. In che modo l'esistenza avrebbe origine da ciò che non esiste ? B-isogna dunque giungere a porre in primo luogo l'esistenza, come il termine ultimo che possa attin­ gere l'analisi del reale. Quando la si considera cosi in rapporto all'esistenza, la forma cessa in effetti di apparire come l'ultima determinazione del reale. Conveniamo di chiamare « essenziale » ogni ontologia, o dottrina dell'essere, per cui la nozione di sostanza e la nozione di essere si equivalgono. Si dirà allora che, in un'« ontologia essenziale », l'ele­ mento che completa la sostanza è l'ultimo del reale. No n può essere cosi in una « ontologia esistenziale », ove l'essere si ·definisce in funzione dell'esistenza. Da questo secondo punto di vista, la forma sostanziale non appare 'piu come un quod est secondario, subordi­ nato a quel quo est primo che è l'atto stesso di esistere. Oltre la forma, che fa si che un essere è tale che rientra in una specie detemtinata, bisogna dunque porre l'esse, o atto di esistere, che fa si che la sostanza cosi costituita è un ens. Come dice San Tommaso : « L'esistere ( ipsum esse) è come l'atto stesso in · rapporto alla forma. Poiché se si dice che, nei composti di materia e forma, la forma è principio di esistenza (principium essendi), è perché completa la SO· stanza il cui atto è l'esistere ( ipsum esse) » (�. Cosi, la forma non è principio di esistenza, che in quanto determina il completa· mento ·della sostanza, che è ciò che esiste. A questo titolo, essa lo è indiscutibilmente. Nella nostra esperienza umana, l'esistenza non esiste ; è sempre l'esistenza di qualche . cosa che esiste. Principio co· stitutivo supremo di (de Pot., q. VII, a. 7). È dunque impossib ile astrarre l'essere dai suoi analoghi . ( Ciò) Sarebbe ingaJ'!narsi completamente sul significato d i questa dottrina sostenere, come è stato fa t to · recentemente, che « delle nozioni analo ghe divengano univoche ad un grado piii spinto d'astrazione >> ( RouGIEB, La Scolastique et le Tltomisme, pag. 187). L essere , si d ic e, ha in t utti i casi una fun z ion e comune, che è quella di escludere il niente. S enza dubbio, ma questa funzione universale non è univoca. La sostanza, l'accidente, il possi­ bile escludono diversamente il niente, secundum prius et posterius ; essi lo escludono nella misura sempre varia in cui gli uni e gli altri si rapportano all'atto dell' essere » . (A. FoREST, La structure métapltysique du concret selon Saint Thomas d'Aquin, p. 12 ( N.d.A.). ..

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La conclusione è ben assicurata. Mentre posso comprendere l'uomo e non comprendere ciò che sono il francese o l'inglese, non posso intendere l'essere senza intendere nello stesso tempo la diversità delle essenze che esso realizza e che lo differenziano. Tale è la tesi classica dei Tomisti, secondo la quale l 'idea di essere non fa perfettamente astrazione dai suoi inferiori. Essa si presta tuttavia a delle obiezioni, che Gaetano stesso for­ mula. Checché si sostenga, l'idea resta astratta. Come c �mtinuare 'a d affermare questo, quando si pretende che essa non faccia astrazione dai suoi inferiori? Si vuole che essa implichi una diversità? Ma al­ lora se si intende che essa non sia univo.ca, non si afferra piu come essa eviti l'equivoco. L'equivoco nasconde sotto un determinato ter­ mine piu sensi differenti ; dunque delle nozioni diverse. Non è il caso del termine « essere »? Esso non ha unità se non nel linguaggio, non nell'idea ( 9) . N ella discussione di queste difficoltà Gaetano dispiega la sottile penetrazione del suo spirito. Tutta la questione per lui consiste, dopo aver distinto l'unità dell'essere da quella dell'equivoco, nel ben separare la sua diversità ·da quella dell'equivoco. L'univoco non è che l'unità : di fronte ad esso, l'essere appare diverso. L'equivoco non è che diversità : al contrario l'essere appare uno ( 1°). Nell'essere infatti la diversità delle essenze è ridotta all'unità. Que­ sta la sottomette e la domina ; da ciò segue che essa implica la di­ versità ben altrimenti che l'equivoco. Nell'equivoco la diversità dei concetti e dci significati è esplicita e distinta nello spirito. Comprendo ciò che ha di equivoco il termine « rame »? ( *) Allora afferro ·distin­ tamente i diversi sensi che esso cela, senza - che alcuna comunanza leghi il remo della barca alla risma di fogli di carta od . al palo di ·S ostegno della pianta di fagiolo. Tutti questi significati si presen­ tano a me senza altro legame intrinseco che non sia il tennine lin­ guistico. Ora, la diversità che comporta l'idea di essere non è cosi esplicita e distinta. Quand o penso alla proporzione delle essenze al­ l'esse, non dettaglio queste essenze, poiché non preciso che a suo ri­ guardo esse si comportano in questa o·d in quest'altra maniera ( 1 1) . Esplicitamente io penso la proporzione dell'e.s senza all'esse e niente piu. Non penso espressamente la sostanza o l'accidente, ma in un certo senso me ne libero e faccio astrazione. Non considero le essenze in se stesse, cioè la loro definizione, la loro costituzione ; perché, pro­ cedendo cosi, ci si interdirebbe di unificarle. Ci si condannerebbe a ( 9) Cfr. GAETANO, ibid., c. 9, p. 273 (N.d.A.). (lO) lbid., c. 6, p. 265 (N.d.A.).

(*) « Rame JJ , in francese. (Il) lbid., c. 5, p. 260 (N.d.A.).

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non pensare in esse ed a non scoprire in esse se non la diversità. Io le studio nel loro rapporto ad una cosa diversa da esse, all'esse, che è la ragione della loro unità. Penso ·dunque necessariamente la loro diversità in un principio superiore d'unità. Inversamente, anche, penso questa unità come quella di un diverso. C ome penserei l'essere e non penserei l'essenza ?, dunque le essenze nella loro diversità ? Se non sopprimo la diversità, poiché la riconduco all'unità, non con­ sidero di piu la diversità pura, esplicita, visto che precisamente la riduco. Penso la diversità nell'unità senza distruggerla né dispiegarla : il che vuoi dire che essa è nella mia idea confusamente presente. È per questo che il mio concetto d'essere non è quello degli esseri par­ ticolari, né quello di uomo o di angelo. Io lo penso senza pensare ad essi esplicitamente, implicandoli in esso confusamente ( 12). Se esso travalica i concetti particolari, si estende a tutti e non è in proprio in nessuno di essi. Esso ha dunque, si potrebbe dire, la sua autono· mia, la sua individualità come concetto. Per essere se stesso, è ben necessario che esso sia diverso dagli altri, dunque che se ne distin· gua, che ne faccia in qualche modo astrazione. Ma giustamente, poiché esso li travalica, Ii avvolge anche c li contiene. Perciò ancora, per essere se stesso, deve includere la loro diversità, non farne com­ pletamente astrazione ( 13). Concludiamo dunque. È impossibile isolare nell'essere il diverso dall'uno ; perciò non è un'idea univoca. Ma non si può nemmeno isolare in esso l'uno dal diverso ; è per questo che non è un termine od un'idea equivoci. Né equivoco, né univoco, è un analogo, cioè un'idea veramente una, che deve la sua originalità alla sintesi che risulta dal molteplice e dall'uno, dall'identico e dal diverso. Questa conciliazione dei contrari nella priorità di uno dei due sull'altro la costituisce nella sua integrità, al punto che la loro dissociazione l'annulla. Tale è l'idea ·di essere per la proporzione che essa im· plica. (L'idée de l' étre chez st. Thomas et tlans la Scolastique p os ten e ur e, in « Archives dc philosophie », vol. X, cahier I, Parigi, Beauchesne, 1933, pp. 56-63).

2.

Lo

SC HEMATISMO

A conc1usione di questo capitolo un confronto tra le vedute sco· lastiche e quelle moderne sembra naturale e fertile di utili preci· saz10n1. ( 12) Cfr. GAETA:'IO, Comm. al De ente et essentia, c. 1, q. 2, p. 28. (N.dA.). (13) f:fr. GAETANO, De nom. anal., c. 5, pp. 261, 262 (N.dA.). ·

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Ora, il punto di contatto della teoria scolastica sull'astrazione coli lo schematismo moderno sta nella ·dottrina del « sensus commu­ nis ». Il termine stesso lo dice ; questa sensibilità profonda non può mettere, tra le sensazioni dei diversi sensi, degli elementi comuni, senza introdurre, in ciò che hanno di particolare, degli elementi universali che sono precisamente lo spazio, il movimento ed il tempo. Ora, questa universalizzazione, che si effettua a livello dei sensi, è come un momento d'attesa dell'intelligenza e pennette all'uni­ versalità del concetto di raggiungere il sensibile particolare. La sua funzione equivale dunque a quella dello schematismo in Kant, poiché, in un caso come nell'altro, la funzione è identica : assicurare il collegamento tra termini a tutta prima eterogenei, ma in fondo in armonia, il concetto intelligibile e l'intuizione sensibile. Come lo « schema » è omogeneo alle categorie ed ai feno­ meni, cosi il « sensus communis » lo è al concetto cd alla sensa­ ziOne. Ma un'altra contrapposizione deriva in Kant dal contrasto tra lo schema universale c l'immagine particolare. Il primo, che è un metodo, una legge ·di costruzione della seconda, si riallaccia al po­ tere operativo dello spirito, mentre l'altra non è che qualche cosa di costruito. Altri autori fanno qui una distinzione chiarificante tra lo « schème » e lo « schema ». Lo « schema » che si contrappone al­ l'immagine come un'immagine astratta, schematica, stilizzata, si con­ trappone all'immagine concreta e dettagliata, resta tuttavia dell'ordine dell'immagine, mentre lo « schème » è la forma dinamica di un atto mentale. « Ma la priorità appartiene allo schème ... Ciò appare netta­ mente quando si considera l'operazione mediante la quale l'astratto si concretizza ... Lo " schèmc " si muove tra delle immagini, ma è indi­ pendente da ogni immagine particolare » e4). Cosi inteso, lo « schème », distinguendosi del tutto dall'immagine alla quale si riferisce, non ri­ conduce l'idea astratta ad un'immagine generica, tipica o schematica, ma ancora sensibile, ottenuta attraverso associazioni o diss,ciazioni di elementi sensibili e realizzate sul piano della memoria c dell'immagina­ zione. È per questo che al-cuni troveranno nello schematismo una con­ futazione del nominalismo, perché esso conduce all'idea astratta, al pensiero puro es). Per chi l'intende cosi, l'astratto non è piu etero­ geneo al concreto, poiché l'intelligenza realizza e costruisce con esso questo concreto. Letteralmente essa comprende l'astratto nel con­ creto.

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( 14) A. Bt:RLOl'D, Principe.< d'une P.> kantiano e del concetto relativo alle immagini, in cui esso trova la sua ori­ gine e la sua oggettività. I due si identificano l'un l'altro in uno stesso compromesso dell'ideale e del sensibile. Evidentemente lo « Eochème » si rivela qui a stento oggettivato in questo cerchio, e ciò a maggior ragione nel principiante o nell'incapace. Ma non vi esiste oggettivato se non perché esso esiste prima oggettivante in seno all'atto costruttore, per fare corpo con esso, nella misura in cui implica movimento figurato, « disegno animato ». Vi è « di­ segnante, animante, figurante ». « Bisogna che degli schemi esista­ no all'origine ed essi sono d'altronde immanenti a·d ogni movimen­ to, qualunque esso sia. Se questi schemi non fossero presenti dal­ l'inizio, essi non si costituirebbero mai : l'immagine può ben ret­ tificarsi, come un'ipotesi che è sostituita da un'altra, ma essa non potrebbe mai nascere se extratemporalmente e·d assolutamente, per cosi dire, non fossero nello spirito tutte le condizioni trascenden­ tali della sua realizzazione » ( 17). Ora lo « schème » ne è appunto una. Esso rende conto anche del carattere intenzionale del concetto. Per questo, costruire vuoi dire spostamento nello spazio, perciò dire­ zione, orientamento, perciò intenzione. Grazie al movimento che è diretto dall'interno, lo « schème » è insieme l'unità e la distinzione dci sensi e dell'intelligenza, dell'immagine e del concetto. Se si in­ tende cosi quest'ultimo, invece ·di svuqtarlo della sua comprensione, lo si arricchisce. M. Lachièzc Rey fa una considerazione suggestiva : « Se ci si in­ sedia cosi nella coscienza dell'intenzione generatrice, invece di pren­ dere come assoluto ed originario ciò che non è se non un risultato, si vedrà la verità psicologica della dottrina platonica, che considera la comprensione e l'estensione delle idee come variante nello stesso senso ; la facoltà di costruire il triangolo in generale apparirà im( 17) P. LACIIJF.ZE·REY, Réflexions sur l'Activité .�pirituelle constituante (Recherches philosophiques, t. III, p. 135) ( ...) (N.d.A.).

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mediatamente come pm ricca ed insieme piu estesa che quella di costruire il triangolo scaleno od equilatero, che non è se non una par­ ticolarizzazione, e di quella di costruire tale o tal'altro triangolo determinato che ne è l'espressione piu povera e piu limitata » ( 18). Non possiamo tuttavia seguire Kant in tutto. Il lettore della Critica della Ragion Pura ha l'impressione che egli non trovi altra ragione alla diversità delle categorie e conseguentemente degli « schè­ mes » se non la diversità a priori dei rapporti tra l'unità origina­ ria della coscienza appercettiva e la forma del senso interno, il tempo. Questo, comportando maniere differenti ·di essere in essa, implica ipso facto una diversità a priori. Lo spazio, al contrario, in quanto ambiente omogeneo, è l'ambito in cui lo stesso si ripete senza che una diversità formale sia in esso con ciò generata. Il suo rapporto all'unità della coscienza non può di per sé soltanto introdurre in esso una . diversità di categorie. Bisogna perciò che alla forma spa­ ziale si sovrapponga quella del tempo, con la quale questa diver­ sità formale appare. A proposito dello schematismo, egli ne trae logicamente questa conclusione : poiché, da una parte, al concetto puro dell'intendimento, che rappresenta l'unità sintetica dell'intuizione sen­ sibile in generale, non si applica a questa se non attraverso l'in­ termediario ·degli « schèmcs » e poiché, d'altra parte, il tempo soltan­ to « racchiude un diverso a priori nell'intuizi one pura » ( 19), l'appli­ cazione delle categorie alla diversità sensibile non può farsi se non attraverso il tempo, che è obbligatoriamente intermedio tra le cate­ gorie pure e la sensibilità. Il tempo realizza cosi gli attributi degli « schèmes » e si presta allo schematismo. Senza contcsta.re che il tempo sia piu diversificato per se stesso, né che esso sia immediato tra lo spazio e la coscienza, né che lo spazio sia il luogo proprio del numero omogeneo, noi dubitiamo che si debba riallacciare la diversità delle categorie o degli schemi al tempo, in quanto forma del senso interno senza ricorrere ancora ad una diversità formale ·d'ordine spaziale. Lo studio >, e quindi non si possiede ancora nel per-sé. Ma l'>, ma che è « animale spirituale ». La ragione trova il suo posto, essenziale ma non primario, nello spirito, che, phi com­ prensivo ed esteso di essa, non può ridursi alla sola ragione, né al solo momento logico, come sua pienezza tutta dispiegata ed attuale ; è un monopolio che non le compete e, quando lo esercita tiranni­ camente, provoca la morte dello spirito. Chesterton, un po' parados-

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salmente, afferma che è pazzo non chi perde la ragione, ma colui che ha tutto perduto, tranne la ragione. Ora, è mio elementare do­ vere di filosofo sforzarmi il piu possibile di essere saggio. Perciò ancora lo spiritualismo cristiano, in quanto tale, oltrepassa anche su questo punto l'attualismo, che resta panlogismo, cioè identifica­ zione dello Spirito con il pensiero logico e della verità tutta con il concetto, per cui ogni forma concreta di attività spirituale è consi­ derata astratta fuori della mediazione razionale, la sola concreta. Di qui consegue la riduzione della metafisica alla logica, la dissolu­ zione della metafisica dell'essere-verità in quella cosiddetta del pen­ siero, dell'idea nel concetto apparente idealismo, . che è puro gnoseo­ logismo. È una scienza del concetto non una filosofia dell' Idea. Il recupero del vero concetto di spirito attraverso e contro l'idealismo, consente allo spiritualismo cristiano di liberarsi dal panlogismo onni­ voro che non giustifica piu né arte, né morale, né religione, che nega ogni concreto esistente c reale ( umano e naturale), dissolve l a metafisica nel conoscere razionale identificandola con il « sistema della scienza » e snatura l'idea nell'atto stesso che la induce al concetto. Lo spirito dunque non è la ragione, né la volontà, né il sentire, ecc. quantunque ragione, volontà, sentire, ecc. siano tutte forme dell'at­ tività spirituale ; lo spirito è l'unità attuale e vivente di tutte le forme dell'attività dell'uomo : ciascuna di esse è attività spirituale, ma nes­ suna di esse è tutto lo spirito, né ciascuna agisce separatamente dalle altre, come se fossero tanti compartimenti stagni. Ogni atto spirituale è sintetico ed integrale, quantunque ogni forma di attività abbia un oggetto proprio e un problema proprio : molteplicità nell'unità ed unità nella molteplicità. Non vi è atto razionale irt cui non siano presenti il sentire e il volere, come non vi è atto volontario senza la presenza del sentire e della ragione, ecc. L'uomo sente, vuole e ragiona nella sua integralità spirituale ; e siccome è anche animali!, nell'integralità della sua unità di corpo e ·di spirito, di « vita » e di « esistenza » . La sinteticità dell'atto spirituale è concretezza. Tutte le attività spirituali a cui abbiamo accennato ne presup­ pongono tm'altra : ad essa diamo il nome di intelligenza : valde in­ tellectus, come dice Agostino. Senza l'intelligenza le altre forme di attività sarebbero cieche, c l'uomo non sarebbe pensiero, spirito. L'in­ telligenza non è discorsiva, ma intuitiva. Ed è questo un altro punto che ci consente di criticare dall'interno tutto il pensiero moderno da Cartesio ad oggi, sia nei filoni razionalistico ed empiristico, sia in Kant, in cui convergono e si oltrepassano le due correnti, sia nel pensiero post-kantiano, idealistico e non idealistico. È il punto cen· trale e piu complesso della nostra posizione.

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Sapere intuitivo e conoscere razionale : Idea e concetto Conoscere è giudicare ; perciò conoscere è « critica » : critica si­ gnifica precisamente « giudizio ». Prima di Kant se ne era accorto il Vico. Ma quando un giudizio è vero ? Che cosa garantisce la vali­ dità del giudizio ? La risposta a questa domanda ha impegnato tutto il pensiero moderno ed ha coinvolto tut�a la filosofia e perciò anche la metafisica. L'empirismo vuole ricavare dall'esperienza sensibile i principi con cui la ragione giudica la stessa esperienza sensibile ; non riuscendovi, nega la loro validità oggettiva e si chiude nel nomina· lismo e nello scetticismo. Kant li riduce a forme a priori del sog­ getto o condizioni del conoscere, alle quali l'esperienza fornisce il contenuto ; l'idealismo trascendentale passa oltre la posizione kan­ tiana della funzionalità delle forme e fa del pensiero stesso ( della « trascendentalità », intesa in senso « metafisico ») il principio asso­ luto ·della verità e conclude allo gnoseologismo e all'identificazione di reale e razionale, di essere e pensiero. È la conclusione coerente della speculazione da Cartesio in poi. Infatti, posta la ragione come l'unica facoltà capace di conoscenza oggettiva, l'oggettività del cono· scere s'identifica col concetto. In questo modo però non si risolve il problema della validità del concetto stesso, ma si assume il con­ cetto come per se stesso vero, cioè s'identifica il problema del con­ cetto con quello della sua validità. Ora, se conoscere è giudicare e se il giudizio è atto razionale, consegue che i principi che costitui­ scono la validità del giudizio, cioè quella verità per cui è vero ogni giudizio vero, non possono essere essi stessi giudicati dalla ragione. In altri termini, l'elemento di verità per cui è vero ogni giudizio vero, non è suscettibile di giudizio, non è concetto c perciò non è giudicabile. Si pone dunque il problema di un « sapere >> non razio­ nale, che è fondamento di ogni « conoscere » razionale, cioè di ogni giudizio, di ogni concetto. Questo problema è · sfuggito a tutto il pen­ siero moderno, tranne che al Rosmini ; e l'averlo visto è la sua gran­ dezza e la sua verità perenne. Il Rosmini accetta il kantiano cono· scere è giudicare, ma pone dentro il problema del cono.scere come giudicare quello del principio di verità di ogni giudizio, che è come tale padre di ogni giudizio vero e per ciò stesso non giudicabile. Tale principio è l'idea dell'essere in universale, cl1e appunto non è « con­ celto » ma « idea » e, come tale, genitrice di tutti i concetti ; non è ricavata discorsivamente, ma intuita ; non è la ragione, ma il lume o l'oggetto della ragione ; non è indotta per astrazione, perché ogni astrazione la presuppone e perché non è inducibile dall'esperienza sensibile. Noi, per conto nostro, diciamo che l'essere come Idea è l'oggetto primo dell'intelligenza e costituisce il sapere intuitivo, fon-

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damento di ogni conoscere razionale, di ogni volere morale e. di ogni sentire ( estetica). Di qui una conclusione che riteniamo di grande momento : l'essere in universale non è concetto, è l' Idea, è oggetto dell'inteÌligenza, ingiudicabile, appunto perché fondamento -di ogni giudizio razionale : l'essere come Idea è la verità per cui è vero ogni giudizio conoscitivo, morale ed estetico ; è il principio, prim o ed indipendente nell'ordine della conoscenza umana, di tutta l'atti­ vità spirituale ed è perciò il principio metafisico del conoscere, dd volere e del sentire, in quanto è il principio di intelligibilità di ogni forma della vita spirituale, dell'esistenza e del reale. Il problema metafisico del conoscere o del supremo principio d'intel­ ligibilità Vi è dunque intrinsecamente inrmanente al problema della cono­ scenza il problema metafisico del conoscere stesso, che non è riduci· bile al puro problema gnoseologico, anzi lo condiziona. Vi è il pro­ blema della verità, cioè del come l'uomo sia capace di verità, pro­ blema primo, dalla cui soluzione dipende la veridicità o no del· l'umano conoscere. È precisamente il problema « critico » : prima di porre il problema del conoscere razionale va posto il problema della validità di tale conoscere, cioè il problema se la mente umana sia partecipe di verità. Solo quando esso sia stato risolto è possibile porre gli altri dell'origine, del valore e -dei limiti della conoscenza umana. In altri termini, vi è il problema pregiudizi,ale della verità o del principio di ogni verità. Scoperto il principio di verità esso pone l'altro problema dell'origine assoluta e incondizionata di se stesso, cioè il problema del supremo principio dell'intelligibilità, fonda· mento ed origine del principio dell'intelligibilità della mente, fon· dante la sua capacità di conoscere il vero e di giudicare secondo verità. Quel principio è l'essere, oggetto dell'intelligenza, e, come tale, Idea o verità. Dunque idealismo ; ma l' Idea è oggetto ed è data come oggetto all'intelligenza, a cui è interiore senza che essa la crei : anzi l' Idea fa che l'intelligenza sia intelligente ; e dunque idea· lismo oggettivo o trascendentistico. L'essere come Idea trascende ogni pensiero pensato e fa che il pensiero sia sempre pensiero pensante, cioè attualità di pensare sempre attuale in ogni pensato, ma mai attuata nel pensato, in quanto nessun pensato l'adegua ; e perciò resta sempre intatta e infinità capacità di pensare. L'uomo, la sua strut· tura ontologica primitiva, è incontro di finito e d'infinito e perciò è sforzo perenne (costante dinamismo) di adeguazione di sé all'es· sere, di cui partecipa per la presenza di esso come oggetto alla sua intelligenza. Prima ·della sintesi gnoseologica, a cui si fermò Kant,

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vi è la sintesi primitiva antologica, che è ogni ente pensante, l'uomo, che è unità originaria e primaria di finito e d'infinito e perciò ina­ deguabile ·da ogni sintesi ulteriore. L'uomo rwn può adeguare se stesso. Adeguazione di « essere l'esperienza interiore

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verità ontologica ». La metafisica del­

Traiamo qualche conclusione : a) conoscere è giudicare, ma il problema della validità del giudizio pone, interno ad ogni giudi­ zio, il problema della verità per cui ogni giudizio è vero, cioè il corw­ scere razionale pone il problema -della sua veridicità o quello del sapere intelligente o dell'intuito fondamentale dell'essere o della verità che rende possibile il giudicare senza esser suscettibile di giudizio. b) Non vi è conoscere razionale o capacità giudicativa della ragione senza intelligenza della verità, cioè senza la sua pre­ senza alla mente, anteriore ad ogni operazione razionale, astrazione compresa. La ragione' da sola, senza l'intuito o il lume della verità, oggetto dell'intelligenza, sarebbe capacità impotente di giudizio, cioè non sarebbe. Quando la ragione si allontana da questo lwne, esce fuori dall'essere, gira intorno a se stessa, nel vuoto : è il razioci­ nare sofistico, verbale. c) Il problema del concetto, del « che co-sa è » , è problema gnoseologico. Identificare con esso la metafisica è fare dello gnoseologismo razionalistico, empiristico o idealistico che sia. Il problema metafisico non è problema del concetto, ma della verità per cui il concetto è vero, cioè è problema del principio del1a veridicità della ragione ; e, come tale, è problema « critico » della ragiorie stessa. Perci() è il problema dell' Idea e non del concetto, dell'essere come ldea, che è la verità di ogni razionale verità ; pro­ blema dell'intelligenza, cioè dell'intuito fondamentale dell'essere stes­ so. Noi dunque non diciamo né metafisica dell'essere, né metafisica del pensiero. Una metafisica dell'essere, che segue la sola via del­ l'astrazione, Iion distingue adeguatamente il problema gnoseologico da quello metafisico (l'equivoco in cui è caduto il pensiero da Carte­ sio in poi) e non sfugge interamente alla critica di logoramento a cui pur essa ha sottoposto la gnoseologia stessa. L'astrazione è una attività razionale e come tale è ancora al di qua del problema meta­ fisico, che è quello del principio di verità di ogni atto della ragione e perciò del1a stessa astrazione. Una metafisica dell'essere limitata all'analisi dei gra·di del processo astrattivo deve ancora giustificare se stessa perché deve risolvere il problema della verità che, appunto perché anteriore e primo, la oltrepassa. È la soluzione del problema della verità che condiziona l'astrazione e non che dall'astrazione si possa ricavarf' ]a verità prima ·dell'essere. Tentare di indurre tale Idea

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dai « fantasmi sensibili » è rischiare di farne un fantasma e di per­ derla definitivamente, perdendo con essa la metafisica e la possibi­ lità di risolvere criticamente il problema gnoseologico. Da parte sua, la metafisica del pensiero pone il pensiero stess� come principio di verità, cioè assume come presupposto il problema che deve risol­ vere : è dommatica e come tale acritica. Noi diciamo che non c'è essere per la mente umana senza l'intelligenza o l'essere come Idea , e dunque idealismo ; ma non c'è l' Idea perché il pensiero la pensa, ma il pensiero pensa perché gli è dato l'essere come Idea, e dun­ que idealismo oggettivo ; ma se l' Idea è data al pensiero come prin­ cipio di ogni verità, gli è data dall' Essere assoluto, e dunque ideali­ smo trascendcntista o teistico. L'essere è la verità e la verità è l'es­ sere ; non c'è verità senza pensiero e perciò non c'è pensiero senza verità ; dunque pensiero che ha come oggetto l'essere, che, come tale, è verità, e per conseguenza metafisica della veritii o agostiniana­ mente metafisica dell'e.�perienza interiore. Non si fraintenda : esperienza interiore non significa pura de­ scrizione degli atti psichici, degli stati d'animo, ·delle ragioni del cuore, ecc. , ma analisi critica dell'attività spirituale integrale colta nella sua profondità, pienezza c concretezza. Anche qui si tratta di riscattare due istanze precipue del pensiero moderno - l'interiorità e la concretezza - e da esso sciupate, fraintese e, in definitiva, ne­ gate. Non parliamo di un'interiorità vuota o intesa come problema della forma trascendentale colta nella sua pura trascendentalità, che è ancora problema della forma vuota, della condizione del conoscere razionale, problema kantiano c kantianamente posto, e non ancora della interiorità piena, del sapere intelligente. Si tratta di un'interio­ rità che è interiore conoscenza della verità, che pone il problema della presenza oggettiva della verità stessa alla mente e dunque del suo oggetto e non della forma o pura condizione immanente del conoscere, che aspetta il contenuto dall'esperienza ; come lume della mente (Agostino) o come i.dea dell'essere (Rosmini). È quest'intuito originario, questa sintesi primale e ontologica (-da distinguere da quel­ la gnoseologica) dell'intelligenza e del suo oggetto che chiamiamo agostinianamente interiorità e che diciamo concreta, in quanto è l'atto perennemente attuale del pensiero che pensa l'essere e dell'es­ sere che è presente al pensiero come suo oggetto dato e per cui il pensiero pensa ; e perciò la chiamiamo anche interiorità oggettiva. Idea dell'essere e concetto degli esseri Comè abbiamo detto, non c'è concetto dell'essere, ma intuizione di esso nel modo come può essere presente alla mente umana nel-

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l'ordine naturale, cioè come Idea o lume intelligibile. l concetti sono della ragione, che è capace ·di formularli in quanto l'intelligenza intuisce l'essere. Essi richiedono un .c ontenuto di esperienza, che d�­ termina l ' Idea dell'essere ( noi preferiamo dire l'« essere come Idea >>), fonte di ogni concetto, senza essere essa stessa concetto : l'uomo ha i concetti degli esseri, non il concetto dell'essere, che se fosse un concetto dovrebbe ricevere un suo contenuto dall'esperienza cioè es­ sere esso stesso contenuto di una forma. Presente in ogni giudizio, fonda e insieme trascende la capacità giudicativa della ragione. Dun­ que vi è l' Idea dell'essere intuito e vi sono i concetti degli esseri, per la formazione dei quali è necessaria e valida l'astrazione. Dire che l'essere come Idea è frutto dell'astrazione è pretendere che il principio per cui è vero ogni concetto vero, sia esso stesso prodotto dalla ragione ; è ammettere che dell'essere vi possa essere un contenuto sensibile. L'astrazione è « bloccata » dall'esperienza ; affermare che anche l'essere come Idea si induca dall'esperienza è negare che ,, j sia nell'uomo un principio di Yerità che l'esperienza trascende ed ogni esperire rende possibile. Vi sono i concetti della ragione, vi è l 'unica Idea dell'intelligenza. Perciò Platone, il filosofo dell' Idea, è la filosofia ; Aristotele, il filosofo della ragione, è la scienza. Platone è il filosofo del sapere, Aristotele il filosofo d'el conoscere razionale. Noi siamo platonici perché la nostra è filosofia dello spirito e non scienza della natura e perché crediamo che solo una filosofia dello spirito possa essere filosofia cristiana. Ma Platone ebbe il torto di considerare idee innate tutti i concetti ; Aristotele ebbe il merito di costruire il conoscere razionale come conoscenza per concetti, che non sono innati, ma che si formano con il concorso dell'esperienza, ebbe però il torto di negare l' Idea come tale e d'identicare cosi la filosofia con la scienza o, se si preferisce, di trattare la filosofia (metafisica, morale, ecc.) con mentalità scientifica e naturalistica. Non sono innati i concetti delle cose, ma è innato l'essere come Idea, madre di tutti i concetti e perciò non riducibile a1 conoscere razio­ nale. Questo problema visto inequivocabilmente da Agostino, ha rag­ giunto la sua prima maturità critica, dentro c con tro il pensiero moderno come Antonio Rosmini. Ha ragione Platone quando parla di presenza dell' Idea alla mente, ma bisogna dire della sola Idea dell'essere, che è anche Idea del bene e ·del bell o ; non tre idee, ma la s tessa Idea come forma dell'intelligenza (verità), come forma della volontà (bene), come forma del sentire (bello).

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teistica dell'intelligenza

La ragione è sempre e per sua natura immanentistica ; l'intel­ ligenza è sempre e per sua natura trascendentistica e teista. La ra­ gione, infatti, è attività concettuale e giudicatrice : il concetto di una cosa adegua la realtà di essa ; il concetto di uomo, per esempio, adegua l'essenza dell'uomo e questa il concetto. La ragione si appaga di questa adeguazione : sua aspirazione è conoscere gli esseri finiti e tale conoscenza l'adegua perfettamente : è naturalistica, non teista. Non cosi l'intelligenza : essa è l'intuito dell'essere come Idea, della verità prima. Ora non vi è niente, nessun contenuto del mondo umano e naturale, che possa adeguare l' Idea o l'oggetto dell'intel­ ligenza. Per conseguenza, l'intelligenza intuente l'essere non trova in alcun contenuto esistenziale o reale la sua adeguazione ; cioè l'es­ sere come Idea manca ( non l'ha né nel mondo né nell'uomo) della sua sussistenza, è sempre in cerca del suo soggetto. L' Idea è natural­ mente (e storicamente) inadeguabile. Perciò intelligenza è trascen­ denza ed è trascendenza teistica. Essa intuisce una verità che, per la sua infinitezza ed inadeguabilità, la spinge ad oltrepassarsi. È in possesso di una presenza che non si è data da sé, che non è il pensiero stesso, che non è alcuna cosa conosciuta. È la presenza sempre presente dell' Essere, che, presente come Idea, è assente come esistenz2 ; e perciò la sua presenza è intrinsecamente trascendenza. Intuire l'es· sere come Idea non è intuire l' Essere, né conoscerlo nella sua essenza. L'uomo conosce solo gli esseri, non conosce l' Essere, di cui ha solo l' Idea. Per conseguenza, è sempre sollecitato dall'esigenza di elevar· si all'intuizione (sempre desider'ata, ma sempre impossibile ad otte· nere nell'ordine della natura) dell' Essere in sé. La mente conosce ogni cosa per l' Idea, non conosce l' Essere, il solo che adegui l' Idea : però aspira sempre a conoscerlo, cioè al dono del suo oggetto ade· guato. Perciò, anche quando non se ne ha consapevolezza, pen· sare, è sempre pensare Dio ; e l'uomo pensa perché Dio esiste. Vi è nella mente umana una verità che la trascende ; esiste Dio, la Vc· rità assolula, sorgente di ogni verità. Quando Kant nega che si possa dimostrare l'esistenza di Dio, dal suo punto di vista, ha ragione. Ègli crede che, per dimostrarne l'esistenza, di Dio vi debba essere concetto invece di Dio nori c'è concetto. Posto Dio come concetto possibile è evidente che non è possibile la dimostrazione delJa sua esistenza, perché il còncetto richiede un contenuto proveniente dal­ l'esperienza ; perciò Dio come concetto possibile e il concetto impos· sibile. Ma Kant cosi critica la metafisica gnoseologistica o quella che identifica il sapere metafisico con il conoscere razionale, lasciando indenne la vera metafisica che il Rosmini ricostruisce, dopo la cri·

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tica kantiana, con un recupero e approfondimento cntlco dell' Idea. Abbiamo dato di sfuggita non una prova, ma la prova dell'esi­ stenza di Dio. La sua caratteristica è di essere intrinseca allo stesso dinamismo dello spirito e alla dialettica interna ad ogni forma di attività spirituale. Il problema dell'esistenza ·di Dio, estraneo ed e­ strinseco alla ragione nella sua pura discorsività, è intimo ed intrin­ seco all'intelligenza, in quanto, dato l'intelligenza, è contraddittorio negare Dio ; e, solo attraverso l'intelligenza, si fa intrinseco anche alla ragione che, dalla presenza della verità, argomenta l'esistenza di Dio. Il pensiero moderno, che ha finito per identificare la meta­ fisica con la gnoseologia, lo spirito con la ragione e l'essere con il reale naturale, per questo suo gnoseologismo e naturalismo, doveva necessariamente concludere all'impossibilità di dimostrare l'esistenza di Dio e, dall'altra, alla negazione ·della metafisica come sapere filo­ sofico. Certamente : perduta l' Idea nel concetto, la conseguenza è fatale. Il concetto è adeguazione di conoscente e di conosciuto ; l' Idea è l'oggetto primo di ogni conoscente e di ogni conoscere e come tale inadeguata da ogni conosciuto. (L'interiorità oggettiva, Milano, Marzorati, 1958, pp. 29-40).

2. LA

DIALETTICA INTELLIGENZA-RAGIONE

Lo spirito, che è persona, è sempre disposto alla comunica­ zione, al colloquio : non formula domande se non quando sa di poter ricevere risposte ; perciò non rivolge parola ali'impersonale, al puro « pensato », all' « inesistente ». La ·domanda è sempre invito al col­ loquio, inizio di discorso ; non la si fa a ciò che è muto. S'interroga il silenzio perché non è muto, perché è una parola infinita. Se la verità la giustizia la bellezza si sapessero mute non si interroghe­ rebbero mai, resterebbero estranee alla nostra esistenza. Ma non pos­ sono rispondere senza essere l'essere o la verità di un esistente, cioè se il loro « essere » non foss e « esistente » in un esistente, in esso incarnato. Il valore incarnato non è piu un quid, ma un ego, un qui : è il tu. Il tu può rispondere e, se a tono, esprime il valore che si interroga in lui. Nessuno invoca, se non per sterile sfogo d'ani­ mo, la bontà o la pietà ; ma s'invocano la bontà o la pietà di un buono o di un pietoso, del tu, dell'altro uomo, nel quale l'io invoca il valore che egli incarna ; e il valore può rispondergli perché fatto persona, verità di un soggetto ; allora la verità è parola, ha una voce, quella dell'ego che risponde, che è il tu dell'io che l'interroga e che lo può amare appunto perché persona. Non si ama il sim-

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bolo o l'astratto, non la legge o la virtu nella loro formalità, ma la persona che le incarna, le attua, dà loro vita, ne fa la verità della sua esistenza vivente. Non c'è moralità senza legge morale, ma amo la legge in quanto inca11nata in me, innervata . nella mia vita, vissuta, per cui la legge è parte essenziale della nostra uma­ nità e l'atto morale atto umano. lo debbo volere che ogni uomo, per me, sia persona ed amarlo come tale, ma non sarebbe person a né come tale potrei amarlo se non esprimesse un valore in quanto uomo ; d'altra parte, il valore resterebbe estraneo alla mia umanità concreta, se permanesse impersonale e non fosse il valore di un sog­ getto, la sua verità prima, intelligenza dell'essere, e le altre verità corrispondenti alle varie forme dell'attività spirituale. La morale, quella di « aspiration >> e non di « pression », per usare la termino­ logia bergsoniana, è di ordine personale. Tutto quel che si ama o è persona o ha rapporto e attinenza con la persona. E questa è intelligenza morale, fondamento essen­ ziale ed imprescindibile della moralità. Staccare la legge morale, e ogni altra verità o valore, dall'esistenza concreta, dall'umanità del­ l'uomo, per cui ogni verità è umana ; isolarla nella sua formalità ; farne un « veduto » e non un « vissuto », come se il soggetto in cui vive e alla cui vita partecipa ordinandola ed illuminandola non esistesse o ne fosse il « portatore » passivo e non l'agente, colui che ad essa > con­ tràrio alla sua natura e all'ordine dell'essere : la volontà non vuole l'autoposizione bensi la perfezione di se stessa, essendo il limite, come abbiamo detto, non la nostra « catena », ma ciò senza di cui- non saremmo. Dire che sono prigioniero del mio essere è come dire che, per essere libero, avrei dovuto non essere o essere un altro ente ( 8). L'esistente, insieme > ( ens) e « atto » (esse), un fatto che non è puro prodotto passivo, ma essere a se stesso ; posto, è principio autonomo ; dunque, per essenza, è iniziativa. Ma I'ens non adegua l'esse, sua inquietudine perenne, provocatore dello « squi­ librio » ontologico : l' Idea, intuita dall'intelligenza e lume della ra­ gione, è essenza anche della volontà libera, che pertanto, ordina­ ta, è iniziativa nell'essere ; e l'essere la fa dialettica, tensione di ade­ guamento alla sua infinità ( 9) , movimento che genera le forme del tempo, ciascuna corrispondente a una forma della libertà. Atto ogget­ tivo, l'iniziativa è sempre interiormente chiamata a riconquistare se stessa, a non dimenticarsi in alcuna scelta ed elezione, a non rice­ vere niente passivamente, a vegliare sul suo perenne processo di attuazione : escavazione continua, scuotimento da tutte le acquiescen­ ze ; vittoria sulle abitudini, anche su quelle buone, per riconfer­ marle nell'atto ; sul dato, per conquistarlo come suo e riproporlo af­ finché sia sempre voluto e mai solamente subito come qualcosa di estraneo o sovrapposto. La libertà in questo senso non è solo nostra inquietudine, ma anche tormento di farci liberi secondo l'iniziatiya nell'essere che tutto rimette in discussione ; dolore di staccarci dalle (7) S en z a la dipendenza antologica dall'atto creativo dell'Essere, l'esistente sprofondereb. be nel nulla. Il vincolo creaturale lo fa autonomo da ogni determinazione, che pur gli è necessaria, libero dall'orizzonte cc fisico >>, ai cui limiti non potrebbe sfu ggi re anche se l'uni· verso fosse una posizione dello spirito (N.d.A .). (8) A n c or ;l due modi d i metterei i n c a tene da noi stessi : subir(:i nella nostra finitezza che è rifiutarci di volere fino in fondo affermando che l'uomo si appaga dci valori finiti di cui soltanto è capac e ; sostenere che i valori negano la libertà, che è cc condannare >l la vo· · lontà ad autoscegliersi, senza scopo né scelta : dato inutile ; infatti una libertà (( pura ;>, senza contenuto e c c ragioni JJ, è semplicemente (( vuota JJ, l'opposto della libertà : apatia, incr· zia. La norma, ·non suo ostacolo, è « sicurezza JJ del suo esercizio piu vali d o ; è l a volontà stessa che liberamente si ;tssu m e il suo ordine e i fini, che può rifiutarsi di eleggere, o, dopo eletti, ri n n egar e . La determinazione dei fini è di ord i ne morale, non fisico ; a cc on se n ti rvi è conferma d' i ni z i a t i va garanzia contro la corruzione : la l i ber tà è libera nell'ordine della norma che è l'Idea. Moralità è opera re secondo l'idealità u s en z a alcuna necessità vcnientc d all a realtà JJ (Rosmini), con lo scopo di attuarla in tutta la sua estensione (N.d.A.). (9) L'Idea non è senza un'intelligenza di cui è oggetto interiore ; per conseguenza, le è essenziale la determinazione di essere Idea di un esistente ; perciò è anche costitutiva della volontà pe rs o n ale e o gge l t i v a . Cfr. i nostri volumi L'interiorità ol!�ettiva. Milano, Marzorati, 4• ediz., 1965 ; Atto e Essere, cit., I c IV delle cc Opere complete » (N.d.A.).

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cose volute per farle nostre a un livello piu alto ; tristezza di non poter mai adeguare la nostra volontà al voluto, che è poco per l'atto del volere, molto per la dedizione amorosa che merita ; coraggio trepido di trovarci sempre a tu per tu con noi stessi in un sondaggio senza fondo per scoprirei nelle radici dell'essere e da queste profon­ dità, ricrearci, liberarci, fino al sommo delle nostre possibilità. L'ini­ ziativa nell'essere o libertà ontologica, incompibile per essenza nel suo processo mondano e attraverso tutti i possibili progressi, per ciò stesso fa che l'uomo sia l'unico ente « tr�:j.ns-naturale ». Sua prima specificazione, l'atto con cui ciascun esistente accetta o rifiuta se stesso - la libertà iniziale - che non esaurisce la capa­ cità infinita dell'iniziativa nell'essere, non potendo l'ente finito ade­ guare l'infinito ·dell' Idea che lo costituisce pensante e volente. Per­ tanto, trascendendo la volontà oggettiva la libertà iniziale, trascende gli atti ulteriori, anche se l'uomo potesse volere indefinitamente, cioè quante determinazioni le provengoi10 dalla libert'd di scelta e da quella di elezione ( 10), le quali, specificazioni della libertà ontologica, quan­ do si attuano solidali e convergenti secondo l'ordine della volontà lo stesso di ogni umana attività e del singolo nella sua integralità, si esplicitano unificate come libertà d'iniziativa per l' Essere, che non è una nuova forma né la risultante dalle altre, ma è operante, come già detto, in ogni atto della volontà oggettiva o d'iniziativa nell'essere, la cui esigenza interna, tendente al compimento, è ontolo­ gicamente orientata all' Essere. L'iniziativa nell'essere per l' Essere è il livello piu alto di libertà, la ·disponibile alla elezione assoluta, appagamento della vocazione fondamentale e sola necessaria, per cui la volontà non può volere altro che il bene e in ogni bene il Bene vero. È la libertà del singolo « rigenerato » da un intervento gratuito da lui indipendente, ma preparato da ogni suo atto ; tutti, anche i piu elementari, necessari per il compimento della libertà, ma tutti, pure i piu elevati, contingenti - se tutto è voluto secondo il fine su­ premo della volontà, ogni cosa è « niente » e contemporaneamente « tutto » per disporsi a raggiungerlo -: questo l'atto libero perfetto secondo Dio e il mondo, secondo lo spirito e il corpo, dell'uomo inte­ grale, compiutamente libero perché elevato dalla Grazia. Le tre forme, ·dunque, risultano costituite ciascuna dalla sua propria necessità interiore : quella iniziale dall'inesorabilità di accet­ tare il soggetto cui inerisce, pena il rinnegarsi e il rinnegare il suo ( I O , Anche la liberth. iniziale è un atto di scelta ed elezione. anzi non vi sarebbe senza queste; ma, dato che è un otto interno alla ,-olontà oggettiva non rivolta a niente di esteriore al soggetto volente, la teniamo distinta dalle altre forme come quella che, inesorabile per la sua necessità intrinseca, sottostà a ogni atto della volontà ; posso non decidermi per questo quello, ma non posso non decidermi di accettarmi o rifiutarmi (N.d.A.).

CIORCIO

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fine ; le altre due da quella di determinarsi in scelte ed elezioni sempre parziali, perché l'uomo, ente finito, non può volere che enti finiti o mondani ( la via che porta a Dio passa per la terra) ; ma questi ultimi costringerebbero ugualmente la sua volontà - e per una necessità non piu interiore e dinamica - se egli non fosse costituito dall'essere infinito, in virtu del quale opera ogni scelta ed elezione a partire da quella di se stessò. Consegue che l'Idea, la quale trascende ogni ente, e la garanzia della scelta libera, la spinta che sblocca la volontà ·dai beni finiti e dal finito nella sua totalità, nel momento stesso che ve la impegna, per cui quest'ultima è libera nella volizione di beni finiti - « chi vede Dio non può piu vivere » - e nello stesso tempo inappagata e incompiuta, peren­ nemente inquieta e scontenta, fino a quando non coincide con la necessità d i « stare » nel Bene infinito. Dunque, da un lato, l'Idea libera la volontà dal finito facendola disponibile per il Bene infi­ nito ; dall'altro, come quella che i � erisce a un ente finito, non può non specificarsi che nella volizione di beni finiti (anche se deter­ minazioni di valori inesauribili), i soli che le è possibile scegliere ed eleggere nel mondo senza restarne schiava ; dialettica interna della volontà stessa divisa tra due necessità contrarie, due « pesi », l'uno che l'attrae a Dio e l'altro al mondo, sospesa, dicevamo, nello « squi­ librio » ontologico, essenza stessa dell'uomo. Ma se il « peso » del mondo è spostato nella verticale del « peso » dell' Essere ; se la vo­ lòntà, pur determinandosi secondo la sua necessità di volizione del finito, lo vuole conformemente al suo ordine oggettivo, lo squilibrio si compone nell'equilibrio irreparabilmente « instabile » di « solleva­ mento » ·del finito stesso nell'infinito dell' Idea, la cui esigenza spinge la libertà a essere in ogni suo atto iniziativa per I' Essere, dispo­ sizione sempre pericolante senza un aiuto gratuito che « stabilizzi » la vocazione fondamentale nella elezione assoluta, meta preparata da tutto il movimento della libertà nella compresenza e implicanza delle sue forme in ciascuna : l'esistente « coincide » con quel che è nel­ l'unità della libertà ; riconquista, come dice S. Bernardo, la verità della sua somiglianza divina of(uscata dal peccato ; compie l'ultimo atto della sua perfezione, quello, come scrive il Rosmini, di « con­ giungersi all'essere senza limiti per conoscimento amativo ». Respon­ sabilità essenziale e personale quella che ci assegna la libertà, di un compito infinito nell'ordine del dover essere perché infinito è l'essere che la costituisce : l'uomo è e si fa libero nella misura in cui rico­ nosce ogni ente nel suo essere e la trascendenza dell' Essere, suo fine supremo ; schiavo quando vuoie fuori o contro l'ordine dell'essere. Il tempo, come vedremo, scandisce la stessa dialettica della vo­ lontà libera che lo genera ; « s'intervalla » tra una scelta e l'altra,

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tempo « empirico » e « storico » ; « sta », tempo « interiore » della elezione : « segue » la finitezza di tutte le scelte segnalando il loro « passare », ma le unifica e con esse i nostri atti, « durata >> del­ l'iniziativa nell'essere per l' Essere, aperta all'« istante », presente indivisihile, dove ogni scelta ed elezione « ritornano », e vi si « col­ locano », « memoria » e non solo « ricordo » . ( L a libertà e il tempo, Milano, Marzorati, 1965, pp. 82-87).

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VI.

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D. VON HILDEBRAND

ESSENZA E VALORE DELLA CONOSCENZA

Quid enim desiderat fortius anima quam veritatem? Questa frase di SaneAgostino è un grande grido di risveglio per la n o stra epoca ! Infatti la situazione attuale della filosofia è contras­ segnata dal tentativo di stravolgere l'interpretazione del concetto di verità e di respingere sullo sfondo il problema della verità, o a d­ dirittura di eliminarlo. Ciò si esprime in molte forme diverse, tra l'allro quando si scorge il compito della filosofia nel formulare cou­ cettualmcnte le aspirazioni e le tendenze di un'epoca storica. Quindi, secondo questa opinione, la filosofia non ha piu il suo compito di conoscere adeguatamente l'essente ( das Seiende) e di formulare in proposizioni esatte ciò che ha conosciuto ; non ha piu il compito di conoscere in maniera adeguata il cosmo spirituale, di dare la risposta vera ai problemi centrali e sempre, in ogni tempo, esistenziali. No, il suo compito deve consistere nel formulare in concetti le tendenze, le correnti, le convinzioni che, in certo qual modo, sono nell'aria in un'epoca storica. Alla base di questa concezione sta un grave errore - cioè lo scambio della verità con la realtà storico-interpersonale di talune idee e correnti - o, come potremmo anche dire, la sostituzione di questa realtà storica alla verità. Il fatto che certe idee in un'epoca storica sono, in certo qual mO'do, nell'aria, che non si trovano solo nella testa di un singolo uomo, ma che conseguono una realtà intcrpersonale, è certo un fenomeno assai interessante, ma non ha nulla a che fare con la verità di queste idee. La verità dipende soltanto dal fatto che queste ten­ denze e correnti e idee corrispondano alla realtà, o no. È chiaro che il problema : la tesi del materialismo o relativismo è vera o falsa?, è del tutto diverso dalla circostanza che queste tesi in una deter­ minata epoca acquisiscano una realtà storico-interpersonale. Quando qualcuno constata che un'epoca è caratterizzata da una tendenza al collettivismo, che la tesi della superiorità ·dello Stato nei confronti

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del singolo è nell'aria - con ciò non ha fatto constatazioni sul problema della verità o falsità di questa tesi. Questa sostituzione di qualcosa d'altro al problema della verità, quest'eliminazione del problema della verità, si distingue da forme anteriori di scetticismo c di rclativismo. Dianzi, si negava la verità oggettiva in nonie della verità. Ci si appellava alla verità, e in tal modo il problema della verità era preso formidabilmente sul serio. Certo questa era una contraddizione manifesta - si negava ciò che nella negazione necessariamente si presuppone, ma, nonostante que­ sta assurda contraddizione, il problema della verità come tale era ancora preso sul serio e presentato come la cosa decisiva. Il concetto e il problema della verità non erano essi stessi sostituiti con qual­ che cosa d'altro. Oggi, al contrario, il problema della verità è igno­ rato, ovvero, il concetto d'essa è sostituito da qualcosa d'altro. Oggi si possono sentire espressioni come, per esempio : « prima di Coper­ nico la concezione secondo cui il sole girava intorno alla terra non era falsa », ovvero : « in questo caso, non si può assolutamente porre il problema della verità ». Allora non era né vera né falsa. Comin­ cia ora, dopoché Copernico ha stabilito che la terra gira intorno al sole ; come dice Hcidegger, finché non è scoperta, non vi è alcuna verità. Qui la verità viene fatta ·dipendere dall'esistenza del cono· scere, cioè dell'uomo che conosce. Naturalmente qui si presenta la stessa contraddizione, che si manifesta in ogni scetticismo radicalè. Si vuole, invero, stabilire qualcosa di valido, di vero, con lo stravol­ gere l'interpretazione della verità. La verità è un dato cosi ultimo e non detronizzabile, che ogni negazione la presuppone. _ Anche Hei­ degger, per la sua tesi, secondo la quale il problema della verità esiste solo in funzione del conoscere dell'uomo, si appella alla verità nel senso autentico. Ma questa moderna abolizione della verità è ancor meno onesta che l'anteriore relativismo, nel quale la contrad­ dizione si poteva scorgere ancora in modo piu ingenuo c facile. Oggi incontriamo piuttosto un gioco di destrezza da prestigiatori. Questo stravolgimento nell'interpretazione del problema della verità porta necessariamente a svigorire il compito della filosofia. Abbiamo già accennato a questa deformazione nell'interpretazione del compitv della filosofia, come se essa fosse una formulazione concettuale delle tendenze dell'epoca. Vi si aggiunge lo svigorimento per opera della psicologia. Si crede di poter spiegare psicologicamente tutte le tesi filosofiche, mediante la psicanalisi. Invece di chiedersi : « È vero o falso ciò che quest'uomo dice ? », ci si domanda perché lo dica. Non soltanto l'interesse si sposta verso il motivo psicologico, ma si crede di dissolvere la filosofia, di distruggere in questo modo la validità delle tesi. Vi sono casi in cui questo problema è giustificato, per

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esempio nell ;errore. Ma la sanità non può essere trattata come la malattia. Persino ammesso, tuttavia, che anche nell'affermazione di tesi vere spesso si possa proporre tale questione, per esempio da parte del direttore di spirito o ·dello psichiatra, essa non ha assolutamente nulla a che fare col problema se la conoscenza di cui si tratta sia vera o falsa. Un'intuizione filosofica non è meno vera per il fatto che potrei dimostrare perché qualcuno l'abbia posta appunto in un determinato momento e in certe precise circostanze. Sono due. temi del tutto diversi - il problema : « '"t'L ECT't'L, che cos'è questo, che cos'è l'essenza di qualche cosa ? », problema posto dalla filosofia, e quello del modo in cui un uomo vi è giunto ad avere quella conoscenza vera. È perciò un assurdo completo credere che in tal modo si possa ·distruggere la filosofia e minare il valore della conoscenza tipica d'essa. Il problema della verità resta completamente indipen­ dente da ciò. Che un'intuizione sia vera, non dipende né da quali siano i motivi che inducono un uomo a manifestarla, né ·da quali siano le condizioni psicologiche prcrequisite alla conoscenza d'essa, ma sol­ tanto dall'alternativa se essa corrisponda alla verità o no. Questa inge­ nua credenza, che si possa « spiegare >> ogni conoscenza filosofica in tal modo e, cosi facendo, relativizzarla e privarla della sua validità, per di piu presuppone la verità di questa « spiegazione ». Tali persone si appellano, parimenti, per la loro spiegazione, alla circostanza che ruomo è capace di conoscere dati di fatto oggettivi dove essi sono e che può trascendere tutti i suoi condizionamenti psicologici. Al­ trimenti, in verità, si dovrebbe spiegare altrettanto la loro teoria psicologistica, e cosi si procederebbe all'infinito, nel qual caso, an­ cora -una volta, si presuppone, permanentemente, la verità. Del tutto analogo è il tentativo della sociologia di derivare cono­ scenze filosofiche ·da condizioni sociologiche, cioè di credere che esse siano relative a un tempo poiché sono soltanto l'espressione di questa situazione sociologica. Anche qui sussiste la rappresentazione ingenua che la questione sociologica, se si presenta una dipendenza della filo­ sofia di Platone dalla struttura sociologica della sua epoca, possa rimpiazzare il problema sulla verità delle sue cognizioni, ossia che la validità delle sue cognizioni dipenda dai rapporti che essa avrebbe avuto con l'epoca storica. In primo luogo l'affermazione che ogni conoscenza dipenda dalla struttura sociologica, è di natura molto ·dubbia. Può essere esatta per molti, ma assai spesso una grande personalità determina la situazione psicologica. Talvolta può trovar­ si in completa opposizione ad essa. Parecchi esempi della storia lo dimostrano (Socrate, Kierkegaard). In secondo luogo il problema in quale misura un'epoca storica sia d'aiuto nel conoscere certe cose, è del tutto diversa dalla limitazione della validità d'essa per questo

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nostro tempo. Se l'intuizione è vera, è tale per tutti i tempi. Per­ sino una grande opera d'arte che è ancora assai piu radicata in una situazione sociologica - come, per esempio, nel caso del Par­ tenone e ·delle Tombe Medicee di Michelangelo, l'uno sarebbe potuto sorgere solo in Grecia, le altre soltanto nel Rinascimento italiano nel suo valore e nella sua bellezza non è affatto -relativo a un deter­ minato tempo. Cosi per esempio le circostanze dell'epoca possono spiegare e giustificare psicologicamente l'errore di Aristotele di con­ siderare la schiavitu come un elemento necessario della società uma­ na, nel qual caso però la tesi non perciò diviene meno falsa. Tut­ tavia, certo la verità della distinzione tra causa efficiens e causa fi· nalis non diviene piu o meno vera ancorché si potessero addurre mo­ tivi sociologici per i quali questa conoscenza venne raggiunta in questo momento ·della storia. Il fatto che una conoscenza abbia la sua ora nella storia, non influisce in alcun modo sulla sua verità e sulla sua oggettiva validità intemporale. Infine anche questa spie­ gazione sociologica di conoscenze filosofiche è intrinsecamente con­ traddittoria, perché invero si pretende validità e verità per le stesse conoscenze sociologiche. Se fosse vera la sua tesi, che, cioè, tutto è sociologicamente condizionato, ciò in verità dovrebbe va­ lere anche per tutte le tesi sociologistiehe, e le loro constatazioni sarebbero esse pure vere per il nostro tem:po e domani superate, ossia non sarebbero oggettivamente vere. Ma se poi questa sua tesi, che ogni filosofia non è se non un'espressione della situazione sociu· logica, non è essa stessa vera, non significherebbe nulla contro la validità oggettiva della filosofia. Vorrei pure indicare un altro equivoco ancora, da cui si trae l'impossibilità di conoscere nella filosofia una verità oggettiva. Si dice che ogni uomo è pur un essere limitato e che nessuno può supe­ rare i propri limiti, nessuno può andare oltre i condizionamenti del tempo, in cui è concretamente inserito. È cosi affermano una pura illusione di un astrattismo non sano volere staccare l a conoscenza dalla situazione esistenziale irripetibile ·di un individuo. Qui, di nùovo, sono scambiate due cose, ovvero sono usate espres­ � ioni in modo equivoc � . È certo giusto che sia posto l'accento sul rapporto esistenziale del singolo con una verità. È uno dei molti me­ riti del grande, nobile Kierkegaard il contrapporre a un ideale di conoscenza neutra da laboratorio la relazione giusta del singolo con la verità, l'essere personalmente colpiti da una verità. Ma ques�o « impegno >> della persona con la verità conosciuta nella filosofia non ha assolutamente nulla a che fare con la negazione della capacità di trascendersi nella conoscenza di verità oggettivamente valida. Ovviamente anche l'indole di colui che pensa ha il massimo influsso -

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sulla sua conoscenza. È naturalmente di importanza decisiva se egli sia stupido o intelligente, se sia un genio o uno spirito convenzio­ nale rientrante nella media. Naturalmente si presuppongono parti­ colari doni intellettuali per poter scoprire una verità, e atteggiamenti di fondo anche morali, non solo intellettuali, sono della maggior importanza, come l'atteggiamento fondamentale di reverenza, che solo rende possibile il vero itcxu(_uisELv, che, secondo Aristotele e Pla­ tone, è l'inizio d'ogni filosofia. Inoltre la coscienziosità, la sete e l'amore ardenti per la verìtà c molte, molte, altre ·disposizioni. Ma tutto ciò non significa che questi presupposti colorino il contenuto della conoscenza, bensi che sono richiesti affinché l'uomo possa di­ spiegare la sua capacità di trascendersi, affinché il conoscere possa aver luogo senza pregiudizi e senza ostacoli. Quando manca la giu­ s ta disposizione di spirito, il conoscere oggettivo viene precluso, l'uo­ mo resta cieco a molte realtà. Quando però tali presupposti sono presenti, essi non costituiscono un elemento che determini la mi.l conoscenza al posto dell'ente oggettivo, al contrario, aprono gli oc· chi all'uomo, gli fanno vedere ciò che è oggettivo. Essi lo abilitano a questo trascendimento di se stesso. Certo, anche il piu grande ge­ nio ha certi limiti derivanti sia ·dal carattere individuale sia dall'e­ poca e dall'ambiente in cui vive. Ma, e con questo giungiamo a un punto decisivo, queste limitazioni esercitano il loro influsso nel far si che, accanto a molto di vero, egli insegni anche del falso. Tut­ tavia le verità, che egli ha conosciute, non sono vere solo per lui e il suo tempo, ma per sempre. Verità incompleta non equivale né ad errore, né a verità puramente relativa. Una cosa può essere incon­ dizionatamente vera, rimanere vera per tutti i tempi, e nondimeno essere incompleta. La distinzione fatta da Platone nel Menone tra conoscenza empirica e a priori è assolutamente vera e rimane sempre vera. Ma è incompleta ; la spiegazione del perché le cose stiano cosi in Platone è falsa e molto di ciò che è connesso con que­ sta distinzione resta senza risposta, ovvero addirittura non è scorto ; oppure, la distinzione aristoteliea dei principi metafisici, ·della causa efficiens e della causa finalis è assolutamente vera, e resta vera anche se esistono altri principi metafisici, come quello della gerarchia e della causa exemplaris, che Aristotele trascura, cosicché la sua conoscenza dei principi metafisici è incompleta. È di importanza decisiva che noi cogliamo chiaramente la distinzione tra incompleto e relativo. È in­ sito nella natura della conoscenza umana l'impossibilità che tutto quanto caratterizza un determinato ente, sia conosciuto esaustiva­ mente in una sola volta. Perciò è del tutto naturale che, tanto entro l'ambito della conoscenza di un singolo filosofo, quanto nel corso della storia, vere intuizioni siano integrate e approfondite con ulte-

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riori differenziazioni e nuovi aspetti. Ma è perfettamente vero che non è necessario che questo progresso intervenga. Troviamo molti esempi nella storia ·della filosofia in cui lo sviluppo di un filosofo non mostra assolutamente questo progresso, bensi intuizioni vere an­ teriori vanno di nuovo smarrite o vengono oscurate da nuove in­ terpretazioni. Questo vale anzitutto, senza dubbio, per la storia della filosofia nel suo complesso. Nulla sarebbe piu falso che sup­ porre un progresso automatico nell'indagine filosofica. L'intuizione vera di un grande filosofo spesso rimane non considerata per lungo tempo o viene falsamente interpretata dai suoi discepoli. Ma ciò non influisce in nulla sul fatto che, in linea di principio, la conoscenza filosofica è destinata a crescere in modo che una verità incom­ pleta sia sempre piu integrata, approfondita e completata ; tutta­ via l'incompletezza, come s'è detto, non ha nulla in comune con la relatività. Per « relativo » invero si intende che qualcosa abbia vali­ dità solo per un tempo, per un ambito, o anche per l'uomo come tale, e a questo valido relativo si contrappone la verità oggettiva. La limitazione della verità, che designa l'espressione « incompleta », non ha nulla a che fare con la limitazione che intende designare l'espressione .� , è quello che precisamente e formalmente chiamiamo « mentali­ tà» : mentalità è forma mentis. Per questo il dire, . il léghein, non è soltanto un dire