Fisica e filosofia

Table of contents :
Werner Heisenberg, Fisica e filosofia......Page 1
Colophon......Page 6
Sommario......Page 7
Introduzione di F.S.C. Northrop......Page 11
Vecchia e nuova tradizione......Page 40
Sviluppo della teoria dei quanta......Page 43
L'interpretazione di Copenaghen della teoria dei quanta......Page 59
La teoria dei quanta e le origini della scienza atomica......Page 76
Evoluzione delle idee filosofiche dopo Descartes in riferimento alla nuova situazione determinatasi in seguito alla teoria dei quanta......Page 95
Relazioni della teoria dei quanta con altri rami della scienza della natura......Page 114
La teoria della relatività......Page 133
Critiche e controproposte all interpretazione di Copenaghen della teoria dei quanta......Page 154
La teoria dei quanta e la struttura della materia......Page 175
Linguaggio e realtà nella fisica moderna......Page 197
Il ruolo della fisica moderna nell?attuale sviluppo del pensiero umano......Page 219

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autore

titolo

WERNER HEISENBERG

FISICA E FILOSOFIA

editore

IL SAGGIATORE

collezione

i gabbiani

prezzo

argomento

lire 700 il linguaggio umano della scienza

I Gabbiani 45

Werner Heisenberg

Fisica e filosofìa La rivoluzione nella scienza moderna Introduzione di F.S.C. Northrop Traduzione di Giulio Gnoli

Casa editrice II Saggiatore

(6) Werner Heisenberg 1958 c Casa editrice II Saggiatore , Milano 1961 Titolo originale: Physics and Pb losopby Copertina di Anita Klinz Prima edizione «I Gabbiani»: settembre 1966

Sommario

Introduzione di F .S .C . Northrop

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Vecchia e nuova tradizione Sviluppo della teoria dei quanta L interpretazione di Copenaghen della teoria dei quanta La teoria dei quanta e le origini della scienza atomica Evoluzione delle idee filosofiche dopo Descartes in rife ¬ rimento alla nuova situazione determinatasi in seguito alla teoria dei quanta Relazioni della teoria dei quanta con altri rami della scienza della natura La teoria della relatività Critiche e controproposte all interpretazione di Copena ghen della teoria dei quanta La teoria dei quanta e la struttura della materia Linguaggio e realt à nella fisica moderna Il ruolo della fisica moderna nell’attuale sviluppo del pensiero umano

38 41 57 74

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Fisica e filosofia

Introduzione

Esiste una diffusa consapevolezza che la fisica contemporanea abbia prodotto un importante revisione nella concezione che l uomo ha dell’ universo e dei rapporti che ad esso lo legano. Si è detto anche che tale revisione incide alla base il destino e la libertà dell’uomo, incrinando le tradizionali concezioni circa la capacit à di controllare il proprio destino. In nessuna parte della fisica ciò appare in modo piu evidente che nel prin ¬ cipio d’indeterminazione della meccanica quantica . L’autore di questo libro è lo scopritore di tale principio, che porta, in¬ fatti, generalmente, il suo nome. Nessuno perciò è più quali¬ ficato di lui per esprimere un giudizio sul suo significato. Nel suo precedente libro, I principi fisici della teoria dei quan ta 1 Heisenberg forni un ’ esposizione dell’interpretazione teo¬

1 The Pbysical

Principles of thè Quantum Theory , University of Chicago Press , Chi ¬ di Mario Ageno, Torino 1948) .

cago 1930 ( trad. ital

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retica , del significato sperimentale e dell apparato matematico della meccanica quantica ad uso degli scienziati e dei fisici in particolare. Qui egli tratta, ad uso dei profani, di quella e di altre teorie fisiche con riguardo alle loro implicazioni filoso¬ fiche ed a qualcuna delle loro probabili conseguenze sociali. Piu specificamente egli si sforza qui di dare una risposta ai tre seguenti problemi: 1 ) Che cosa affermano le teorie sperimen talmente verificate della fisica contemporanea ? 2 ) Che cosa permettono od esigono che l uomo pensi di sé in rapporto al¬ l’ universo in cui vive ? 3 ) In che maniera questo nuovo mo do di pensare, tipica creazione del mondo occidentale mo¬ derno, andrà ad influenzare le altre parti del mondo ? La terza di queste questioni è trattata brevemente da Heisen berg al principio e alla fine di questa sua indagine. La brevit à delle sue osservazioni non dovrebbe indurre il lettore a trascu ¬ rarne l’importanza . Come egli nota , che lo si voglia o no, il mondo moderno sta alterando e in parte distruggendo i co stumi ed i valori tradizionali. Si ritiene frequentemente dai dirigenti indigeni delle societ à non occidentali e spesso an che dai loro consiglieri occidentali, che il problema d’introdur ¬ re moderni strumenti scientifici e moderni modi di vita in Asia, nel Medio Oriente ed in Africa , consista unicamente nel concedere l’indipendenza ai popoli indigeni e rifornirli poi di fondi finanziari e di strumenti pratici. Questa semplice sup¬ posizione trascura molte cose. Primo, gli strumenti della scien ¬ za moderna derivano dalla teoria e ne richiedono di conse guenza la comprensione per una appropriata fabbricazione e per un uso efficiente. Secondo , una tale teoria poggia su pre supposti di natura filosofica e fisica . Una volta assimilati, codesti presupposti filosofici determinano una mentalità perso¬

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naie e sociale ed un atteggiamento del tutto diversi, ed in cer¬ ti punti incompatibili, da una mentalità tutta accentrata sul¬ la famiglia, la casta e la tribù e con i valori propri dei po¬ poli indigeni dell Asia, del Medio Oriente e dell Africa. In breve, non si possono accogliere gli strumenti della fisica mo¬ derna senza dover presto o tardi accettare anche la mentalità filosofica che ne è il presupposto ; e tale mentalità, conquistato che abbia la giovent ù scientificamente educata , sconvolge i vecchi ordinamenti etici di carattere familiare e patriarcale. Se si vuole evitare un non necessario conflitto emotivo e la de¬ moralizzazione sociale, è importante che i giovani si rendano conto di ciò che sta loro accadendo. Ciò significa che essi de¬ vono considerare l’esperienza che stan vivendo come il proce¬ dere contemporaneo di due diverse mentalità filosofiche, quel¬ la della loro civilt à tradizionale e quella della nuova fisica . Da qui l’importanza che ognuno comprenda la filosofia della nuova fisica . Ma ci si può chiedere : non è la fisica affatto indipendente dal¬ la filosofia ? La fisica moderna non ha raggiunto la sua piena efficienza , appunto rompendo con la filosofia ? Evidentemente Heisenberg risponde in modo negativo a l’una e all’altra di queste domande . Perché ? Newton produsse l’impressione che non ci fossero nella sua fisica concezioni che non fossero necessariamente poste dai dati dell’esperienza . Ciò accadde quand’egli affermò che non formulava delle ipotesi e che aveva derivato i suoi concetti basilari e le sue leggi soltanto dalle scoperte sperimentali. Se questa concezione sulla relazione fra le osservazioni sperimen ¬ tali del fisico e la teoria fosse esatta , le teorie di Newton non avrebbero mai dovuto richiedere delle modificazioni o potuto ii

implicite delle conseguenze che gli esperimenti non confermano, poiché, in un caso del genere, ogni conseguenza sarebbe altrettanto indubitabile e definitiva come lo sono i fatti sperimentali. Nel 1885, tuttavia, un esperimento compiuto da Michelson e Morley rivelò un fatto che non avrebbe dovuto sussistere se gli assunti teoretici di Newton fossero stati assolutamente veri. Ciò rese evidente che la relazione tra i fatti sperimentali del fisico e le sue supposizioni teoretiche è del tutto diversa da quella che , per seguir Newton , molti fisici moderni avevano supposto. Una diecina d anni dopo , gli esperimenti sulla ra ¬ diazione dei corpi neri rese inevitabile questa conclusione. In altri termini , ciò significa che la teoria fisica non è né una semplice descrizione di fatti sperimentali né qualche cosa di deducibile da tale descrizione. Invece, come Einstein ha mes¬ so in rilievo, il fisico perviene alla sua teoria attraverso mez¬ zi puramente speculativi. La deduzione, nel suo procedimento, non va dai fatti alle supposizioni teoriche ma da queste ai fat ¬ ti ed ai dati sperimentali. Di conseguenza le teorie debbono essere proposte in linea speculativa e sviluppate deduttiva ¬ mente rispetto alle loro molteplici conseguenze, in modo da poterle sottoporre a prove sperimentali indirette. In breve, ogni teoria fisica costruisce sempre un numero di supposizioni fisiche e filosofiche maggiore di quello che i semplici fatti for ¬ nirebbero od implicherebbero. Per questa ragione è soggetta a subire modificazioni o sviluppi non appena si presenti una nuova testimonianza che sia incompatibile, come è accaduto per i risultati dell’esperimento di Michelson e Morley, con i suoi principi fondamentali. Questi principi, inoltre, presentano sempre un carattere filocontenere

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sofico. Essi possono essere ontologici, vale a dire relativi al l oggetto della conoscenza scientifica indipendentemente dai suoi rapporti con l osservatore, o epistemologici, vale a dire riferentisi alla relazione dello scienziato come sperimentatore ed indagatore con l’oggetto conosciuto. Le teorie - speciale e generale - della relativit à di Einstein modificano la filosofia della fisica moderna nel primo dei suddetti aspetti alterando radicalmente la concezione filosofica dello spaziò e del tempo e della loro relazione con la materia . La meccanica dei quanta , specialmente il principio d’indeterminazione di Heisenberg, ha avuto un’importanza notevole per la modificazione da essa ap¬ portata alla teoria epistemologica sulla relazione esistente fra lo sperimentatore e l’oggetto della sua conoscenza scientifica . Forse l’argomento piu nuovo ed importante di questo libro sta nella tesi del suo autore che la meccanica quantica ha ripor ¬ tato nella fisica il concetto di potenzialità. Ciò rende la teoria dei quanta altrettanto importante per l’ontologia che per l’e¬ pistemologia . Su questo punto la filosofia della fisica di Hei¬ senberg ha un elemento in comune con quella di Whitehead . È proprio per questa introduzione del concetto di potenzialit à nell’oggetto della fisica , come qualche cosa di distinto dalla particolare situazione epistemologica dei fisici, che Einstein mosse le sue critiche alla meccanica quantica. Egli espresse la sua obiezione con la frase: « Dio non gioca ai dadi. » Il senso di questa affermazione è che il gioco dei dadi poggia sulle leg gi del caso, e Einstein riteneva che quest’ultimo concetto tro¬ vasse il suo significato scientifico soltanto nelle limitazioni epi¬ stemologiche della mente conoscente finita nella sua relazione con l’oggetto della conoscenza scientifica ; esso sarebbe perciò malamente applicato se riferito ontologicamente all’oggetto ¬

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stesso. Essendo l oggetto di per sé affatto completo e in questo senso onnisciente, a somiglianza di Dio, il concetto di caso o di probabilità risulta del tutto inadeguato per qualsiasi descri¬

zione scientifica che se ne faccia. Questo libro è importante perché contiene la risposta di Hei¬ senberg alla critica mossa da Einstein e da altri al suo prin ¬ cipio d’indeterminazione e alla teoria dei quanta. Per inten¬ dere questa risposta bisogna tener presenti due cose: 1 ) La summenzionata relazione fra i dati della fisica sperimentale ed i relativi principi teorici ; 2 ) la differenza del ruolo che ha il concetto di probabilit à ( a ) nella meccanica di Newton , nella teoria della relatività di Einstein e ( b ) nella meccanica quan¬ tica. Sul primo punto, Einstein e Heisenberg , la meccanica re¬ lativistica e la meccanica quantica , sono d’accordo. È solo sul secondo punto che esse differiscono. Tuttavia la ragione della differenza del punto di vista di Heisenberg da quello di Ein¬ stein, sul secondo punto, dipende in parte considerevole dal primo punto, condiviso da Einstein . Il primo punto afferma che i dati sperimentali della fisica non ne implicano i concetti teoretici . Da ciò consegue che l’oggetto della conoscenza scientifica non è mai conosciuto direttamente dall’osservazione o dall’esperimentazione , ma è conosciuto sol¬ tanto dalla costruzione teoretica speculativamente proposta o postulazione assiomatica, comprovata soltanto indirettamente e sperimentalmente attraverso le conseguenze che se ne son dedotte. Per scoprire l’oggetto della conoscenza scientifica noi dobbiamo risalire perciò ai suoi assunti teoretici. Se facciamo questo ( a ) per la meccanica newtoniana o einstei¬ niana e ( b ) per la meccanica quantica, scopriamo che il con cetto di probabilità o caso entra nella definizione dello stato ¬

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d’un sistema fisico, e, in questo senso, nelPoggetto della ri¬ cerca , nella meccanica quantica , mentre non accade cosi nella meccanica newtoniana o nella teoria einsteiniana della relati¬ vità . Ciò intende indubbiamente Heisenberg quando scrive in questo libro che la teoria dei quanta ha riportato il concetto di potenzialit à nella scienza fisica . Ed è anche, certamente, ciò che aveva in mente Einstein nella sua critica alla teoria dei quanta. Posta in termini più concreti, questa differenza fra la mecca ¬ nica quantica e le precedenti teorie fisiche può essere espressa come segue: nella teoria di Newton e di Einstein, lo stato di qualsivoglia sistema meccanico isolato in un dato momen ¬ to di tempo è dato con precisione quando sono empiricamente determinati i numeri che specificano la posizione e il momento di ogni massa del sistema in quell’istante del tempo; non è presente alcun numero che si riferisca ad una probabilità. Nel¬ la meccanica quantica la interpretazione di un osservazione d un sistema è un procedimento piuttosto complicato. L’osser ¬ vazione può consistere in una semplice lettura , di cui si può discutere l’accuratezza , o può comprendere una complicata se¬ rie di dati, come avviene per una fotografia delle goccioline d’acqua in una camera a nebbia ; in ogni caso, il risultato può essere espresso soltanto in termini d’una distribuzione di pro¬ babilità concernente, ad esempio, la posizione o il momento delle particelle del sistema . La teoria predice quindi la distribu¬ zione della probabilit à per il futuro. La teoria non è sperimen ¬ talmente verificata, quando lo stato futuro si verifica , semplicemente se i numeri del momento o della posizione in una osser ¬ vazione particolare si trovano nei limiti indicati dalla previsione. Lo stesso esperimento con le stesse condizioni iniziali deve es15

sere ripetuto molte volte, ed i valori della posizione o del mo¬ mento, che possono esser diversi in ogni osservazione, devono similmente essere trovati in modo da poter esser distribuiti secondo la prevista distribuzione di probabilità. In breve, la differenza cruciale fra la meccanica quantica e la meccanica di Newton e di Einstein risiede soprattutto nella definizione di un sistema meccanico in un qualsiasi istante di tempo, e que¬ sta differenza consiste nel fatto che la meccanica quantica in ¬ troduce il concetto di probabilit à nella sua definizione di sta¬ to, mentre la meccanica di Newton e di Einstein non lo fa. Questo non significa che la probabilit à non abbia luogo nella meccanica di Newton e di Einstein . Il suo posto era , nondi¬ meno, solamente nella teoria degli errori per mezzo della qua¬ le veniva determinata l esattezza della verificazione dei Si o dei No o la non conferma della previsione della teoria . Quindi, il concetto di probabilit à e di caso era limitato alla relazione epistemologica dello scienziato nella verifica di ciò che co¬ nosce ; non implicava l affermazione teoretica di ciò che egli conosce. Cosi, il detto di Einstein che «Dio non gioca ai dadi » restava soddisfatto nelle sue due teorie della relatività e nel¬ la meccanica di Newton . C’è qualche modo di decidere la contesa fra Einstein ed Heisen ¬ berg e gli altri teorici della fisica quantica ? Molte risposte so¬ no state date a questa domanda . Alcuni fisici e filosofi, metten ¬ do in rilievo le definizioni operazionali, hanno arguito che , giac¬ ché tutte le teorie fisiche , anche quelle classiche, comportano umani errori ed incertezze , non c’è nessuna decisione da pren¬ dere fra Einstein ed i teorici quantistici. Ciò tuttavia significa : ( a ) trascurare la presenza di definizioni teoretiche costitutive, assiomaticamente costruite, come pure la teoria degli errori e 16

( b ) supporre che il concetto di probabilità e l ancora più complessa relazione d indeterminazione entri nella meccanica quantica soltanto in senso operazionale e definizionale. Hei¬ senberg mostra che tale supposizione è errata. Altri scienziati e filosofi hanno, per contro, sostenuto che il semplice fatto che sussista incertezza nel prevedere certi feno¬ meni non costituisce minimamente argomento per la tesi che quei fenomeni non siano pienamente determinati. Questo ar¬ gomento combina il problema statico di definire lo stato d’un sistema meccanico in un dato momento col problema dinamico e causale di prevedere cambiamenti nello stato del sistema attraverso il tempo. Ma il concetto di probabilità nella teoria dei quanta entra soltanto nella sua statica, vale a dire nella sua teoretica definizione di stato. Il lettore troverà convenien ¬ te, perciò, tenere distinti questi due componenti, cioè il com ¬ ponente statico teoretico di definizione di stato e il compo¬ nente dinamico o causale teoretico di cambiamento di stato nel tempo. Rispetto al primo, il concetto di probabilit à e l’incer ¬ tezza che l’accompagna entra teoreticamente e in via di prin ¬ cipio ; esso non si riferisce puramente alle incertezze operazio¬ nali e epistemologiche sorgenti dai limiti e dall’imperfezione del comportamento umano, che sono comuni a qualsiasi teoria scientifica ed a qualsiasi esperimentazione. Ma perché, potrebbe chiedersi, il concetto di probabilit à do¬ vrebbe essere introdotto nella definizione teoretica dello stato di un sistema meccanico in ogni momento statico ti , in via di principio ? Postulando assiomaticamente tale costruzione teore¬ tica , Heisenberg ed i teorici quantistici non danno per pro¬ vato ciò che è appunto in discussione fra loro ed Einstein ? Questo libro mostra con chiarezza che la risposta a queste 17

domande è la seguente: la ragione del procedimento della meccanica quantica è nella tesi ( 1 ) su esposta, che anche Ein¬ stein accetta. La tesi ( 1 ) sostiene che noi conosciamo l oggetto della cono¬ scenza scientifica soltanto attraverso mezzi speculativi di co¬ struzione o postulazione teoretica , essendo falsa l affermazione di Newton che il fisico può dedurre i suoi concetti teoretici dai dati sperimentali. Ne consegue che non c’è alcun motivo a priori od empirico per affermare che l’oggetto della cono¬ scenza scientifica, o, piu specificatamente, lo stato d’ un sistema meccanico in un dato tempo h debba essere definito in un modo particolare. L’ unico criterio è il seguente: quale serie di supposizioni teoretiche concernenti un argomento di meccanica e che sia sviluppata nelle sue dedotte conseguenze sperimentali risulta confermata dai dati sperimentali ? Ora, accade che se noi teoreticamente e in linea di principio definiamo lo stato di un sistema meccanico di fenomeni suba¬ tomici soltanto in termini numerici riferentisi alla posizione e al momento, come Einstein vorrebbe che facessimo, e ne de¬ duciamo le conseguenze sulla radiazione dei corpi neri, que¬ st’assunto teoretico concernente lo stato di un sistema mecca ¬ nico e l’oggetto studiato dalla fisica atomica , vien dimostrato falso dalla testimonianza dell’esperienza . Accade semplicemente che i fatti sperimentali non sono quelli che la teoria esige rebbe. Quando, tuttavia , la teoria tradizionale viene modificata con l’introduzione della costante di Planck e l’aggiunta di prin¬ cipio della seconda serie di numeri riferentisi alla probabilità che i numeri connessi indicanti la posizione e il momento sa ¬ ranno trovati, da cui segue il principio d ’indeterminazione, i dati sperimentali confermano i nuovi concetti e princìpi teo¬

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retici. In breve, la situazione della meccanica quantica rispetto agli esperimenti sulla radiazione d un corpo nero è identica a quella cui si trova di fronte Einstein rispetto alPesperimento di Michelson e Morley . In entrambi i casi, solo assumendo come principio il nuovo assunto teoretico, la teoria fisica viene messa d accordo con i fatti sperimentali. Cosi, asserire che, nonostante la meccanica dei quanta, le posizioni ed i momenti di masse subatomiche sono « realmente » collocate con esattezza nello spazio e nel tempo secondo l indicazione di una sola coppia di numeri , secondo una causalit à assolutamente deter ¬ minante, come Einstein e i già menzionati filosofi della scienza vorrebbero che si facesse, significa affermare una teoria con ¬ cernente l’oggetto della conoscenza fisica che gli esperimenti sulla radiazione da corpi neri hanno mostrato falsa nel senso che una conseguenza deduttiva sperimentale di detta teoria non ha ricevuto conferma. Da ciò non consegue, naturalmente, che non potrebbe esser scoperta una qualche nuova teoria compatibile con i precedenti fatti sperimentali in cui non entri come principio, nella sua definizione di stato, il concetto di probabilità . Il professor Norbert Wiener, ad esempio, crede di conoscer le direzioni che una tale teoria dovrebbe prendere. Essa dovrebbe, tuttavia, respin¬ gere una definizione di stato nei termini delle quattro dimen ¬ sioni spazio-temporali della teoria di Einstein e sarebbe, per¬ ciò, incompatibile con le tesi di Einstein anche su altri ar¬ gomenti. Certamente, non si può escludere una tale possi¬ bilità. Nondimeno, finché una tale teoria alternativa non si sia presentata , chiunque, che non pretenda di possedere una sor gente d ’informazioni a priori o privata su ciò che deve essere l’oggetto della conoscenza scientifica, non ha altra alternativa ¬

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se non quella di accettare la definizione di stato della teoria dei quanta e di affermare, con l autore di questo libro, che ciò viene ad instaurare il concetto di potenzialità nell oggetto della moderna conoscenza scientifica . Gli esperimenti sulla ra¬ diazione dei corpi neri esigono la conclusione che « Dio gioca ai dadi ». Qual è la posizione della meccanica quantica nel problema del¬ la causalità e del determinismo ? L’interesse del profano e del¬ l’ umanista per questo libro probabilmente dipende dal modo come esso risponde a questa domanda . Per intendere questa risposta, il lettore deve porre particolar ¬ mente attenzione alla descrizione di Heisenberg della ( a ) sum ¬ menzionata definizione di stato facendo ricorso al concetto di probabilit à e ( b ) all’equazione temporale di Schrodinger. Il lettore deve anche accertarsi che il significato delle parole « cau¬ salità » e «determinismo » quand’egli pone la suddetta doman ¬ da , sia nella sua mente lo stesso che ha in mente Heisenberg quando specifica la sua risposta. Altrimenti Heisenberg rispon ¬ derebbe ad una domanda diversa da quella fatta dal lettore e si avrebbe da parte del lettore un completo fraintendimento. La situazione è resa più complicata dal fatto che la fisica mo¬ derna perinette al concetto di causalità di avere due diversi significati scientificamente precisi , l’uno più vasto dell’altro, e che non v’è alcun accordo tra i fisici in quale senso, se nel¬ l’ un significato o nell’altro, va adoperato il termine «causali¬ tà » . Perciò alcuni fisici e filosofi della scienza usano la parola per designare il più vasto dei due significati. Ed è evidente che in tal senso, talvolta almeno, lo adopera in questo libro il professor Heisenberg . Altri fisici e filosofi, incluso l’autore di questa introduzione, usano il termine «causalità » per desi

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gnare il più ristretto dei due significati e il termine « determi¬ nismo» per designare l accezione più vasta. Se si segue il pri¬ mo uso, le parole « causalità » e « determinismo » divengono si¬ nonimi. Se si segue il secondo uso, ogni sistema deterministico è un sistema causale, ma non ogni sistema causale è determi¬ nistico. Gran confusione si è sempre insinuata nelle discussioni su que¬ sto argomento per il fatto che spesso né la persona che fa la domanda né il fisico che ad essa risponde si preoccupano di specificare e nella domanda e nella risposta se stanno usando la parola «causalità » nel suo moderno significato scientifico più ristretto o in quello più vasto. Se si chiede: « Permane la causalità nella meccanica dei quanta ? », senza specificare se si parla della causalit à nel suo senso più vasto o in quello più ristretto, si possono ottenere risposte apparentemente contrad ¬ dittorie da fisici egualmente competenti. Un fisico, intendendo la parola «causalità » nella sua più vasta accezione, risponde giustissimamente di no. L altro fisico, assumendo il termine nel suo senso più ristretto risponde con eguale giustezza di si . È sorta naturalmente l impressione che la meccanica quantica non dia una risposta precisa . Ma quest’impressione è sbagliata. La risposta della meccanica quantica diviene inequivocabile quando vien tolta ogni ambiguità alla domanda e alla risposta specifi¬ cando il significato che si intende dare al termine «causalità ». È importante perciò farsi un’idea chiara sui diversi , possibili significati del termine «causalità » . Cominciamo dall’ uso che fa il profano del termine « causa » e procediamo poi verso i più esatti significati che esso assume nella fisica moderna , conside¬ rando, nel contempo, il significato che esso ebbe nella fisica di

Aristotele. 21

Si può dire: « La pietra colpi la finestra e causò la rottura del vetro. » In questo caso si pensa alla causalità come ad una re¬ lazione fra oggetti, cioè tra la pietra e il vetro. Lo scienziato esprime la stessa cosa in un modo diverso. Egli descrive la precedente serie d eventi nei termini dello stato della pietra e del vetro nel tempo h quando pietra e vetro erano separati e lo stato di questo stesso sistema di due oggetti in un tempo h successivo quando pietra e vetro entrarono in collisione. Di conseguenza , mentre il profano tende a pensare la causalità come una relazione fra oggetti, lo scienziato la pensa come una relazione fra diversi stati dello stesso oggetto o come lo stesso sistema di oggetti in tempi diversi . Questo è il motivo per cui, per determinare ciò che la teoria dei quanta afferma sulla causalit à, bisogna fare attenzione a due cose: ( 1 ) La funzione di stato, che definisce lo stato di qual¬ siasi sistema fisico in un qualsiasi tempo specifico t\ ( 2 ) l e¬ quazione temporale di Schròdinger che pone in relazione lo stato del sistema fisico nel precedente tempo t\ col suo stato diverso in un qualsiasi specificabile tempo successivo t 2 . Ciò che Heisenberg dice intorno ad ( 1 ) e a ( 2 ), deve perciò es¬ sere letto molto attentamente. Aiuterà a comprendere ciò che la meccanica quantica afferma sulla relazione fra gli stati d’un determinato oggetto fisico, o sistema di oggetti fisici, in tempi diversi, il considerare le pos¬ sibili proprietà che una tal relazione potrebbe avere. Il meno probabile dei casi possibili sarebbe quello di una pura succes¬ sione temporale senza alcuna connessione necessaria e senza neppure una probabilità , sia pure esigua , che lo stato iniziale specificabile sarà seguito nel tempo da uno specificabile stato futuro. Hume ci fornisce delle ragioni per credere che la rela22

zione fra gli stati percepiti di fenomeni naturali immediata¬ mente percepiti è di questo carattere. Certamente, com egli fece notare, con i sensi non viene appresa alcuna relazione di connessione necessaria. E neppure alcuna probabilità. Tutto ciò che la sensazione ci d à rispetto agli stati successivi di qual¬ siasi fenomeno, è la pura relazione di successione temporale. Questo punto è di grande importanza . Significa che si può per ¬ venire ad una teoria causale in qualsiasi scienza o nella cono¬ scenza comune, od anche ad una teoria della probabilità, della relazione fra stati successivi di qualsivoglia oggetto o sistema , soltanto per mezzi speculativi ed assiomaticamente costruiti: una teoria , cioè, scientifica e filosofica deduttivamente formu ¬ lata, comprovata non direttamente per mezzo del confronto coi dati percepiti e sperimentati, ma soltanto indirettamente per mezzo delle sue conseguenze deduttive. Una seconda possibilità rispetto al carattere della relazione esi¬ stente fra stati di qualsivoglia sistema fisico in tempi diversi è che la relazione è qualcosa di necessario, ma che è possibile trovare quale sia codesta relazione necessaria soltanto venendo a conoscenza dello stato futuro. La conoscenza , poi, dello stato futuro può essere ottenuta sia aspettando che questo stato si verifichi sia avendo già sperimentato lo stato futuro o finale di sistemi simili nel passato. In tal caso la causalità è teleologi¬ ca . Le modificazioni del sistema nel tempo sono determinate dallo stato finale o dall esito del sistema. Ne è un esempio il si¬ stema fisico che si presenta come una ghianda in un tempo ti e come una quercia in un successivo tempo / 2. La connessione fra questi due stati appare come una connessione necessaria. Le ghiande non si trasformano in aceri o in elefanti. Si trasforma¬ no soltanto in querce. Tuttavia , sulla scorta delle proprietà di

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fisico allo stato di ghianda nel primo stadio ti , nessuno scienziato è stato fin qui capace di dedurre le propriet à della quercia che il sistema possiederà nel successivo tempo t?.. La fisica aristotelica affermava che ogni relazione causale era

questo sistema

teleologica. Un altra possibilità ancora è che la relazione fra gli stati di qualsiasi oggetto, o sistema di oggetti, in tempi diversi sia una relazione di connessione necessaria tale che, data la conoscenza dello stato iniziale del sistema, e ammesso il suo isolamento, il suo stato futuro può esserne dedotto. Espresso in linguaggio tecnico e matematico ciò significa che si tratta di una teoria assiomaticamente costruita e indirettamente verificata i cui po¬ stulati ( 1 ) specificano una funzione di stato, le cui variabili indipendenti definiscono completamente lo stato del sistema in ogni specifico istante del tempo, e ( 2 ) forniscono un equazio¬ ne temporale che pone in relazione i valori numerici empirici delle variabili indipendenti di questa funzione in ogni prece¬ dente tempo h coi loro valori numerici empirici in ogni spe¬ cifico successivo tempo t 2 , in modo tale che introducendo la serie ti di numeri operazionalmente determinata nell’equazione temporale, i futuri numeri t 2 possono essere dedotti con la semplice soluzione dell’equazione. Quando ciò si verifica si dice che la relazione temporale tra stati costituisce un esempio di causazione meccanica . Va notato che questa definizione della causalità meccanica la¬ scia aperta la questione di quali variabili indipendenti siano richieste per definire lo stato del sistema in ogni tempo dato. Sorgono di qui almeno due possibilità : ( a ) può essere usato il concetto di probabilit à per definire lo stato del sistema o ( b ) non può essere usato. Quando si verifica il caso ( a ) , nes24

suna variabile indipendente riferentesi a delle probabilità com ¬ pare nella funzione di stato e siamo in presenza del tipo piu vasto di causalità meccanica. Se invece si verifica il caso ( b ) , variabili indipendenti riferentisi a delle probabilità, come pure ad altre propriet à, come la posizione e il momento, compaiono nella funzione di stato e siamo in presenza soltanto di un caso di causazione meccanica intesa nel senso più ristretto . Se il let ¬ tore tien fermi in mente questi due significati di causazione meccanica e si accerta di quale sia il significato cui Heisenberg si riferisce nelle singole proposizioni di questo libro, dovrebbe poter ottenere risposta alla domanda circa la situazione della causalità nella fisica moderna . E quanto al determinismo ? Anche qui non c è accordo tra i fisici ed i filosofi della scienza sul come deve essere usata que¬ sta parola . È in accordo con l uso comune identificarla con la causalità nella più vasta accezione possibile del termine. Usia¬ mo allora la parola « determinismo» quando il suo significato si ricolleghi a quest’ultimo caso. Credo allora che l’attento let ¬ tore di questo libro otterrà la seguente risposta alla sua do¬ manda: nella meccanica newtoniana, einsteiniana e quantica troviamo una causalità piuttosto meccanica che teleologica . Que¬ sto è il motivo per cui la fisica quantica è chiamata meccanica quantica piuttosto che teleologia quantica. Ma mentre la causa ¬ lità nella fisica di Newton e di Einstein è intesa nel significato più vasto ed è perciò sia meccanica che deterministica , nella meccanica quantica essa è intesa nel senso più stretto ed è , perciò, meccanica ma non deterministica . Da ciò segue che se in qualche luogo di questo libro Heisenberg usa le parole « cau ¬ salità meccanica » nel loro significato più vasto e deterministico e venga chiesto se « questa causazione meccanica nel suo più 25

significato è presente nella meccanica quantica », la ri¬ deve essere allora un nettissimo « no» . La situazione è ancora più complicata , come potrà accorgersi il lettore, di quanto indichino queste distinzioni introduttive fra i diversi tipi di causazione. C è tuttavia da sperare che l aver concentrato l’attenzione su questi diversi significati metterà il lettore in grado di aprirsi meglio la strada , attraverso questo libro eccezionalmente importante, di quanto non accadrebbe altrimenti. Le distinzioni fatte dovrebbero porci in grado di afferrare l e¬ norme significato filosofico dell’introduzione del principio di causazione meccanica , intesa nel senso più stretto, nella fisica moderna , che ha avuto luogo con la meccanica quantica ; e che si identifica nella riconciliazione dèi concetto della potenzialità oggettiva , e in questo senso ontologico, della fisica aristotelica con il concetto di causazione meccanica della fisica moderna . Sarebbe un errore, perciò, se il lettore per una certa enfasi usata da Heisenberg nel parlare della presenza nella meccanica quantica di qualcosa di analogo al concetto aristotelico di po¬ tenzialità, concludesse che la fisica contemporanea ci ha ricon ¬ dotti alla fisica ed all’ontologia di Aristotele. Sarebbe analogo errore, per converso, concludere che poiché la causazione mec¬ canica nel suo significato più stretto permane tuttora nella mec¬ canica quantica , tutto è rimasto lo stesso, nella fisica moderna , rispetto alla sua causalit à e alla sua ontologia, di quando non era ancor sorta la meccanica quantica. È invece accaduto che nella contemporanea teoria dei quanta l’uomo è proceduto al di là del mondo classico, medievale e moderno verso una nuo¬ va fisica ed ima nuova filosofia che combinano coerentemente alcune delle concezioni fondamentali causali ed ontologiche del-

esteso sposta

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l una e dell altra poskione. Qui, ci sia permesso di ricordarlo, usiamo il termine « ontologico » per denotare qualsiasi concetto sperimentalmente verificato della teoria della scienza che si ri¬ ferisca all oggetto della conoscenza scientifica piuttosto che sem¬ plicemente alla relazione epistemologica fra lo scienziato come conoscitore e l’oggetto che egli conosce. Tale sintesi filosofica, sperimentalmente verificata , di potenzialità ontologica e di cau¬ salità meccanica, nel significato più stretto del termine, si ve¬ rificò quando i fisici trovarono impossibile rendersi teoreticamente ragione dell’effetto Compton e dei risultati degli esperi¬ menti sulla radiazione dei corpi neri, a meno di non estendere il concetto di probabilit à dal suo significato newtoniano e ein ¬ steiniano, puramente epistemologico, di teoria degli errori, al suo significato ontologico, specificato come principio nei postu¬ lati della teoria, caratterizzante l’oggetto stesso della conoscen¬ za scientifica. Non ci si meravigli che Heisenberg attraversasse quelle esperien ¬ ze soggettive cosi emozionanti descritte in questo libro prima di piegarsi alla necessità, imposta da considerazioni sia mate¬ matiche che sperimentali, di modificare le credenze filosofiche e scientifiche dell’uomo medievale e moderno in un modo cosi radicale. Tutti coloro, cui interessi assistere all’attività dello spirito umano in uno dei suoi momenti più creativi vorranno, solo per questo motivo, conoscere questo libro. Il coraggio che ci volle per allontanarsi dall’assoluto determinismo della fisica classica moderna può bene essere apprezzato se si pensa che perfino ad imo spirito audace e creativo come quello di Ein ¬ stein esso venne a mancare. Einstein non se la senti di seguire Dio che giocava ai dadi; non poteva esservi potenzialità nel¬ l’oggetto della conoscenza scientifica, come si trova affermato

*7

nella concezione pi ù

stretta

di causalit à meccanica nella mec

¬

canica quantica.

Prima di concludere tuttavia che Dio è diventato un giocatore e che la potenzialit à è in tutti gli oggetti , è bene ricordare al cune limitazioni che la meccanica quantica pone all applicazione del principio di causazione meccanica nella sua più stretta ac¬ cezione. Per apprezzare queste restrizioni il lettore farà bene a notare ciò che il libro dice intorno ( 1 ) all effetto Compton, ( 2 ) alla costante di Planck , e ( 3 ) al principio di indetermi¬ nazione definito in termini di costante di Planck . Questa costante h è un numero che si riferisce al quantum d’a ¬ zione di qualsiasi oggetto o sistema di oggetti. Questo quan¬ tum , che estende l’atomicit à dalla materia e dall’elettricit à alla luce e perfino all’energia , è piccolissimo. Quando i numeri quantici del sistema osservato sono piccoli, come è il caso nei fenomeni subatomici, allora l’incertezza determinata dal prin ¬ cipio d’indeterminazione di Heisenberg riguardo alle posizioni e ai momenti delle masse del sistema diventa significante. Al¬ lora , anche, i numeri riferentisi alla probabilità associati con i numeri della posizione e del momento nella funzione di stato diventano significanti. Quando, invece, i numeri quantici del sistema sono grandi , allora l’ammontare quantitativo d’incer ¬ tezza determinato dal principio di Heisenberg diventa insigni¬ ficante e i numeri riferentisi alla probabilità nella funzione di stato possono essere trascurati. È questo il caso dei grossi og¬ getti dell’esperienza comune. A questo punto la meccanica quantica con il suo principio di causalità inteso in senso stretto d à origine, come a un caso speciale di sé, alla meccanica new¬ toniana ed einsteiniana con il loro principio di causalit à di più larga accezione e il loro determinismo. Di conseguenza , per ¬

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esseri umani considerati puramente come grossi oggetti dell e¬ sperienza comune resta valido il principio di causalità in senso lato e quindi anche il determinismo. Nondimeno, i fenomeni subatomici sono scientificamente signi¬ ficativi anche per l’uomo. Entro questi limiti, almeno, la cau¬ salit à che lo governa è quella di significato piu stretto, ed egli incorpora sia la necessità meccanica che la potenzialit à. Ci sono ragioni scientifiche per credere che ciò accade anche nell’eredi¬ tarietà. Il lettore che volesse approfondire questo oltre i limiti di questo libro dovrebbe rivolgersi a Wbat is Life 1 del pro¬ fessor Erwin Schrodinger , il fisico col cui nome si designa l’e ¬ quazione temporale nella meccanica quantica. Indubbiamente, la potenzialità e il principio di causalit à in senso stretto val¬ gono anche per altre innumerevoli caratteristiche degli esseri umani, particolarmente per quei fenomeni nervosi corticali del¬ l’uomo che sono i correlati epistemici delle idee e dei propositi umani colti direttamente dall’introspezione. Se le cose stan cosi potrebbe essere a portata di mano la solu¬ zione di un difficile problema scientifico e filosofico, che ha anche un aspetto morale. E cioè: in che modo la causazione meccanica , anche nel suo piu stretto significato, della mecca¬ nica quantica deve venire conciliata con la causazione teleologi ¬ ca evidentemente presente negli intenti morali, politici e giu ¬ ridici degli uomini e nella determinazione causale teleologica del loro comportamento corporeo , in parte almeno, ad opera di questi intenti ? In breve come pu ò la filosofia della fisica espo¬ sta in questo libro da Heisenberg conciliarsi con la scienza morale politica e giuridica e con la filosofia ? i

University Press, Cambridge; Macmillan Company , New York 1946.

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Può servire al lettore, per comprendere perché sia necessario essere ben padroni della materia di questo libro prima che pos¬ sano essere correttamente intesi o possano trovare una solu ¬ zione questi problemi piu ampi, far qui un breve riferimento ad alcuni articoli che collegano la teoria della causazione fisica qui esposta ad una più ampia relazione fra meccanismo e te¬ leologia nelle scienze umane e sociali. Questi importanti arti¬ coli sono ( a ) dei professori Rosenblueth, Wiener e Bigelow nella rivista « The Philosophy of Science » , gennaio, 1943; ( b ) dei dottori McCulloc e Pitts in « The Bulletin of Mathematical Biophysics», volume 5, 1943, e volume 9, 1947 ; e ( c ) Ca¬ pitolo XIX di Ideological Differences and World Order , a cu ¬ ra di chi ha steso questa introduzione e pubblicato dalla Uni¬ versit à di Yale nel 1949. Se letti dopo questo libro, ( a ) mo¬ streranno come la causalit à teleologica sorge come un caso spe¬ ciale della causalità meccanica descritta qui da Heisenberg. Si¬ milmente, ( b ) forniranno una teoria fisica dei correlati neuro¬ logici delle idee dell introspezione, espressi nei termini della causalità teleologicamente meccanica di ( a ) , fornendo con ciò una spiegazione di come le idee possano avere un effetto cau ¬ salmente significante sul comportamento degli uomini. Analo¬ gamente, ( c ) mostreranno come le idee dell uomo, in fatto di morale, di politica e di diritto possano esser messe in relazio¬ ne, per mezzo di ( b ) e di ( a ) , con la teoria della potenzialità fisica e della causalità meccanica cosi compiutamente descritta

da Heisenberg in questo libro. Resta da richiamare l’attenzione su ciò che il professor Hei¬ senberg dice del principio di complementarità di Bohr. Questo principio svolge una parte importante nell’interpretazione della teoria dei quanta della « Scuola di Copenaghen », a cui Bohr ed 30

Heisenberg appartengono. Alcuni studiosi della meccanica quan¬ tica , fra cui l autore di questa introduzione, sono inclini alla conclusione che la meccanica quantica postula soltanto la sua definizione di stato, l equazione temporale di Schròdinger e quegli altri dei suoi postulati matematici che sono capaci di assicurare, come sopra si è notato, alla meccanica newtoniana ed einsteiniana , il carattere di caso particolare della meccanica dei quanta. Secondo l’ultima tesi, il principio di complemen ¬ tarità sorge dalla difficolt à di mantenere sempre presente alla mente il principio di causalit à meccanica nelle sue accezioni più vasta e più ristretta , da cui risulta l’attribuzione della pri¬ ma forma a quegli aspetti della meccanica quantica dove è interessata soltanto la seconda forma . Quando questo accade, deve essere introdotto il principio di complementarità per evi¬ tare la contraddizione. Se, nondimeno, si evita il verificarsi di tale circostanza , il principio di complementarit à se non diven ¬ terà inutile, consentirà almeno di evitare il pericolo, preso in considerazione da Bohr, di dare pseudo soluzioni a problemi fisici e filosofici , comportandosi tranquillamente senza vincoli col principio di contraddizione, in nome del principio di com ¬ plementarità . Servendosi di esso le qualificazioni che dovevano essere espres¬ se sia nel linguaggio comune della fisica atomica corpuscolare sia in quello della fisica ondulatoria vengono unificate. Ma una volta giunti alla formulazione del risultato con esattezza mate¬ matica assiomaticamente costruita , qualsiasi uso ulteriore di esso diventa di pura superficiale convenienza quando, trascu¬ rando gli esatti ed essenziali assunti matematici della meccanica quantica, si indulge al linguaggio del senso comune ed alle im¬ magini di onde di particelle. 31

addentrarsi nelle diverse interpretazioni del principio di complementarit à per mettere in grado il lettore di farsi un giudizio informato su ciò che Heisenberg in questo libro afferma sul senso comune e sui concetti cartesiani di so¬ stanza materiale e di sostanza spirituale. La sua conclusione su Descartes dipende infatti da una generalizzazione del principio di complementarit à al di là della fisica, primo, sulla relazione fra i concetti biologici del senso comune ed i concetti fisico ma¬ tematici; secondo, sul problema del corpo e dell anima. Come risultato di questa generalizzazione, la teoria cartesiana delle sostanze spirituali , come il concetto di sostanza in generale, vengono eliminati in questo libro molto meglio di quanto non accada in qualsiasi altro libro di filosofia scritto da fisici con ¬ temporanei. Whitehead , ad esempio, concludeva che la scienza e la filosofia contemporanee non hanno né posto per il concetto di sostanza , di cui non sentono nemmeno il bisogno. Monisti neutrali co¬ me Russell e positivisti logici come il professor Carnap sono pure d accordo. Parlando in termini generali , Heisenberg pensa che non esiste alcuna ragione che ci costringa a disfarci di alcuno dei concetti del senso comune sia della biologia che della fisica matematica, una volta che si conoscano gli elaborati concetti che portano alla completa chiarificazione dei problemi della fisica atomica. Proprio perché qui la chiarificazione è completa , essa si riferisce soltanto ad una limitatissima serie di problemi strettamente scientifici e non può autorizzarci ad evitare l’uso di molti con ¬ cetti in altri settori che non sosterrebbero un’analisi critica del tipo di quella che viene posta in atto nella teoria dei quanta. Giacché l’ideale della chiarificazione completa non può esser È stato necessario

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- ed

è importante che non ci si illuda su questo all uso dei concetti del senso comune purché esso venga fatto con ogni attenzione e cautela . Sotto questo rispetto, certamente, la complementarità è un utilissimo

realizzato

punto - si può indulgere

scientifico. Due cose, ad ogni modo, sembrano chiare e rendono estremamente importante ciò che Heisenberg dice su questi argomen ti. Primo, il principio di complementarit à e l attuale validit à dei concetti cartesiani e del senso comune di corpo e spirito sussistono o cadono insieme. Secondo, può essere che entrambe queste nozioni siano soltanto delle utili scale a pioli di cui ci si dovrebbe ora sbarazzare. Anche così, almeno per quel che riguarda la teoria dello spirito, la scala a pioli dovrà restare finché, per suo mezzo, noi non si riesca a trovare la teoria lin ¬ guisticamente più esatta ed empiricamente più soddisfacente che ci permetta di eliminare il linguaggio cartesiano. A dire il vero, frammenti di teorie dello spirito che non si richiamano alla nozione di sostanza esistono ora, ma nessuno dei loro au ¬ tori, tranne forse Whitehead , ha mostrato come il loro lin ¬ guaggio teorico possa essere portato ad una relazione commi¬ surabile e compatibile col linguaggio scientifico degli altri fatti dell’umana conoscenza. È probabile perciò che chiunque pensi, si tratti di un fisico, di un filosofo o di un lettore profano, di saperla più lunga di Heisenberg su questi importanti argo¬ menti, corra il grave rischio di supporre di essere in possesso di una teoria scientifica sulle relazioni tra spirito e corpo, il che in effetti sarebbe molto poco attendibile. Fino a questo punto abbiamo rivolto l’attenzione, con solo due eccezioni , a ciò che la filosofia della fisica contemporanea ha da dire sull’oggetto della conoscenza scientifica in quanto

concetto

¬

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oggetto, indipendentemente

dalle sue relazioni con lo scien¬ ziato come conoscitore. In breve abbiamo avuto a che fare con la sua ontologia . Ma questa filosofia ha anche il suo com¬ ponente epistemologico. Questo componente si distingue in tre parti: ( 1 ) Relazione fra ( a ) i dati direttamente osservati offerti al fisico come conoscitore induttivo nelle sue osserva¬ zioni o nei suoi esperimenti e ( b ) i postulati speculativamente proposti, indirettamente verificati, assiomaticamente formulati della sua teoria. Il secondo termine ( b ) definisce gli oggetti del¬ la conoscenza scientifica in quanto oggetti e fornisce, perciò, l ontologia . La relazione fra ( a ) e ( b ) definisce uno dei fattori dell epistemologia. ( 2 ) Il ruolo del concetto di probabilità nel¬ la teoria degli errori, per mezzo del quale il fisico stabilisce il criterio per giudicare fino a qual punto i risultati sperimentali possono allontanarsi, a causa degli errori dovuti all’umana esperimentazione, dalle conseguenze dedotte dai postulati della teo¬ ria e possono perciò essere considerati come conferme della teoria stessa. ( 3 ) L’effetto dell’esperimento sull’oggetto da conoscere. Ciò che Heisenberg dice sul primo e sul secondo di questi tre fattori epistemologici della fisica contemporanea è già stato sottolineato in questa introduzione. Resta da dirigere l’attenzione del lettore su quanto egli dice sul punto ( 3 ) . Nella teoria della fisica moderna antecedente alla meccanica dei quanta, il ( 3 ) non aveva alcun ruolo. Quindi l’epistemo¬ logia della fisica moderna era allora completamente specificata soltanto da ( 1 ) e da ( 2 ) . Nella meccanica quantica, tutta¬ via , ( 3 ) , come pure ( 1 ) e ( 2 ) , divenne importantissimo. Il semplice atto dell’osservare altera l’oggetto osservato quando i suoi numeri quantici sono piccoli. Da questo fatto Heisenberg ricava un’importantissima conclu34

sione concernente la relazione fra l oggetto, il fisico osservatore ed il resto dell universo. È possibile apprezzare tale conclusione se si dirige l’attenzione sui seguenti punti chiave. Può venir ricordato che in alcune delle definizioni di causalità meccanica date più indietro in questa introduzione, venivano aggiunte le parole qualificanti « per un sistema isolato» ; altrove ciò era implicito. Tale condizione qualificante può essere soddisfatta in linea di principio nelle meccaniche di Newton e di Einstein, ed anche in pratica rendendo sempre più accurate le osserva¬ zioni ed affinando gli strumenti d’osservazione. L’introduzione del concetto di probabilit à nella definizione di stato dell’og¬ getto della conoscenza scientifica nella meccanica quantica esclu¬ de tuttavia, in linea di principio , e non solo per motivi prati¬ ci dovuti all’imperfezione dell’osservazione e degli strumenti umani, che possa soddisfarsi la condizione che l’oggetto della conoscenza da parte del fisico sia un sistema isolato. Heisen ¬ berg dimostra anche che l’inclusione dell’apparato sperimentale e perfino dell’occhio dello scienziato indagatore nel sistema fisico che è oggetto di conoscenza per l’osservatore non serva, giacché, se la meccanica quantica è giusta, gli stati di tutti gli oggetti devono essere definiti in linea di principio facendo ri¬ corso al concetto di probabilit à. Di conseguenza , solo se l’in ¬ tero universo viene incluso nell’oggetto della conoscenza scien¬ tifica la condizione qualificante « per un sistema isolato» può essere soddisfatta anche per il principio di causazione mecca¬ nica nel suo significato più stretto. Appare chiaramente da questo libro che la filosofia della fisica contemporanea è altret ¬ tanto nuova per la sua epistemologia che per la sua ontologia. È infatti dall’originalità della sua ontologia - la consistente unificazione di potenzialità e di causalità meccanica in senso 35

della sua epistemologia. Un altra cosa , indiscutibilmente, appare chiara. Un analisi delle teorie specifiche sperimentalmente verificate della fisica mo¬ derna considerate in quel che dicono intorno all’oggetto della conoscenza umana nelle sue relazioni col soggetto conoscente, rivela una ricchissima e complessa filosofia ontologica ed epi¬ stemologica che è parte essenziale della teoria scientifica e del metodo stesso. La fisica perciò, non è né epistemologicamente né ontologicamente neutrale. Si neghi qualcuno degli assunti epistemologici della teoria del fisico e non c’è alcun metodo scientifico per provare se ciò che la teoria afferma sull’oggetto fisico è vero, nel senso di empiricamente confermato. Si neghi qualcuno degli assunti ontologici e non vi è abbastanza conte¬ nuto nei postulati matematici assiomaticamente formulati della teoria del fisico per permettere la deduzione dei fatti speri¬ mentali che essa è intesa a predire, a coordinare in modo con¬ sistente ed a spiegare. Nella misura perciò che i fisici speri¬ mentatori ci assicurano che la loro teoria sulla fisica contem ¬ poranea è indirettamente e sperimentalmente verificata , ci as¬ sicurano anche, ipso facto , che ne risulta verificata la ricca e complessa filosofia ontologica ed epistemologica. Quando una tale filosofia del vero nelle scienze naturali, em¬ piricamente verificata, s’identifica con il criterio del buono e del giusto nelle scienze umane e sociali, si hanno le leggi etiche naturali e la giurisprudenza. In altre parole, si ha un criterio conoscitivo scientificamente significante per giudicare sia le nor¬ me verbali , personali e sociali della legge positiva e l’ethos vivente incorporato nei costumi, sia gli usi e le tradizionali istituzioni culturali dei popoli e delle civiltà del mondo come sono de facto . È l’avvento contemporaneo di questa nuova filostretto - che scaturisce la novit à

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sof ìa della fisica e delle corrispettive filosofie della civiltà uma na che costituisce l evento più grandioso nel mondo di oggi e di domani. A questo punto, la filosofia della fisica contenuta in questo libro e il suo importante riferimento alle conseguen ze sociali della fisica procedono di conserva . I capitoli di questo libro sono stati letti come Gifford Lectures all Universit à di St . Andrew durante il trimestre invernale 1955-56. Secondo la volont à del loro fondatore le Gifford Lectures dovrebbero « liberamente discutere tutti i problemi che riguardano le concezioni dell’uomo su Dio e l’Infinito, la loro origine, natura e verità , se l’uomo è in grado di avere tali concezioni, se Dio è sottoposto a dei limiti e a quali e cos ì via ». Le letture di Heisenberg non tentano di affrontare questi generalissimi e difficilissimi problemi. Ma esse tentano di pro¬ cedere oltre il fine limitato di una scienza particolare per ad ¬ dentrarsi nei più vasti campi di quei problemi umani d’ordine generale che sono sorti in seguito ai recenti enormi sviluppi della scienza naturale e delle sue pratiche applicazioni. ¬

¬

F . S . C . Northrop , prof , di Filosofia e Diritto nella Università di Yale.

Vecchia e nuova tradizione

Quando si parla oggi di fisica moderna , il primo pensiero che sorge è quello delle armi atomiche. Ognuno afferra subito l in ¬ fluenza che hanno queste armi sulla struttura politica del mon ¬ do attuale ed è disposto ad ammettere che mai prima d ora l’influenza della fisica è stata cosi grande come appare oggi. Ma quello politico è realmente l’aspetto più importante della fisica moderna ? Quando il mondo avrà trovato il modo d’adat ¬ tarsi, nella sua struttura politica, alle nuove possibilità tecni¬ che, che cosa resterà dell’influenza della fisica moderna ? Per rispondere a queste domande bisogna ricordarsi che ogni ordigno trae con sé lo spirito con il quale è stato creato. Giacché ogni nazione ed ogni raggruppamento politico sono obbligati ad interessarsi alle nuove armi, irrispettose come que¬ ste sono di posizioni geografiche e di tradizioni culturali, lo spirito della fisica moderna penetrerà nella mente di molta gen38

te e si legherà nei modi piu disparati alle piu vecchie tradi¬ zioni. Quale sarà la conseguenza dell urto di questo ramo spe¬ ciale della scienza moderna con le vecchie tradizioni dotate d un diverso grado di potenza ? In quelle parti del mondo do¬ ve la scienza moderna si è sviluppata l interesse primario è stato diretto per lungo tempo verso l’attività pratica, le indu ¬ strie e l’ingegneria , combinate con un’analisi razionale delle condizioni esterne ed interne di tale attivit à . A popoli di que¬ sto tipo sarà piuttosto facile rivestirsi delle nuove idee poiché essi hanno avuto il tempo di adattarsi lentamente e gradual¬ mente ai moderni metodi scientifici del pensiero. In altre parti del mondo queste idee verrebbero invece a scontrarsi con i fondamenti religiosi e filosofici della cultura locale. Giacché ac¬ cade che i risultati della fisica moderna vengono a toccare al¬ cuni concetti fondamentali, come quelli di realtà, di spazio e

di tempo, il confronto può portare a sviluppi completamente nuovi, affatto imprevedibili. Un tratto caratteristico di code¬ sto incontro fra la scienza moderna e piu tradizionali procedi¬ menti di pensiero sarà il suo carattere assolutamente interna ¬ zionale. In questo scambio di pensieri una parte, la tradizione antica, sarà diversa nelle diverse parti del mondo, ma l’altra parte sarà la stessa dovunque e perciò i risultati dello scambio si diffonderanno in tutte le aree in cui le discussioni avranno luogo. Per tali ragioni può non essere un compito trascurabile cercar di discutere queste idee della fisica moderna in un linguaggio non troppo tecnico, per studiare le loro conseguenze filosofiche, e confrontarle con quelle della tradizione classica. Il metodo migliore per penetrare nei problemi della fisica mo¬ derna può essere quello della descrizione storica dello sviluppo 39

della teoria dei quanta. È vero che la teoria dei quanta è soltanto un piccolo settore della fisica atomica e la fisica ato mica , a sua volta , è solo un piccolo settore della scienza mo¬ derna; tuttavia è nella teoria dei quanta che hanno avuto luo¬ go i cambiamenti più radicali riguardo al concetto di realtà , ed è nella teoria dei quanta nella sua forma finale che si sono concentrate e cristallizzate le nuove idee della fisica atomica . L enorme e complicatissima attrezzatura sperimentale, necessa ¬ ria alla ricerca nella fisica nucleare rivela un altro impressio¬ nante aspetto di questa parte della scienza moderna. Ma nei riguardi della tecnica sperimentale la fisica nucleare rappresen ¬ ta l estrema estensione d’un metodo di ricerca che ha determi¬ nato lo sviluppo della scienza moderna fin dai tempi di Huyghens, di Volta o di Faraday . In modo analogo la scoraggiante complicazione matematica di alcune parti deila teoria dei quan ¬ ta non rappresenta che l’estrema conseguenza dei metodi di Newton , di Gauss o di Maxwell . Ma il mutamento del con ¬ cetto di realtà che si manifesta nella teoria dei quanta non è una semplice continuazione del passato ; esso appare come una vera rottura nella struttura della scienza moderna . Perciò, il primo dei capitoli seguenti sar à dedicato allo studio dello svi¬ luppo storico della teoria dei quanta. ¬

Sviluppo storico della teoria dei quanta

L origine della teoria dei quanta è connessa ad un ben noto fenomeno non appartenente alle parti centrali della fisica ato¬ mica . Qualsiasi pezzo di materia, se scaldato, comincia a di¬ venir luminoso e si fa , alle temperature più alte, rovente e incandescente. Il colore non dipende molto dalla superficie del materiale, e per un corpo nero dipende soltanto dalla tem ¬ peratura . Perciò, la radiazione emessa da un corpo nero alle alte temperature è un comodo oggetto per la ricerca fisica ; è un fenomeno semplice che dovrebbe trovare ima semplice spie¬ gazione nei termini delle note leggi sulla radiazione e il ca ¬ lore. Il tentativo fatto alla fine del diciannovesimo secolo da Rayleigh e Jeans falli, tuttavia, rivelando serie difficolt à. Non sarebbe possibile descrivere qui in termini semplici queste dif ¬ ficoltà . Basta affermare che l applicazione delle leggi note non conduceva a risultati sensibili. Quando Planck , nel 1895, entrò in quest’ordine di ricerche cercò di spostare il problema dalla 41

radiazione all atomo radiante. Questo spostamento non eliminò nessuna delle difficoltà inerenti al problema , ma semplificò l in ¬ terpretazione dei fatti empirici. Fu proprio a quel tempo, du¬ rante l’estate del 1900, che Curlbaum e Rubens venivan fa ¬ cendo a Berlino nuove accuratissime misure dello spettro della radiazione termica. Quando Planck ebbe notizia di questi ri¬ sultati, cercò di rappresentarseli per mezzo di semplici formu ¬ le matematiche che apparivano plausibili sulla base delle sue ricerche sulla connessione generale tra radiazione e calore. Un giorno Planck e Rubens s’incontrarono per un tè in casa di Planck e confrontarono gli ultimi risultati di Rubens con la nuova formula suggerita da Planck. Il confronto rivelò un pie¬ no accordo. Fu cosi che avvenne la scoperta della legge di Planck sulla radiazione termica. Essa costituì anche l’inizio per Planck d’un intenso lavoro teo¬ retico. Quale era la corretta interpretazione fisica della nuova formula ? Siccome Planck poteva , per i suoi precedenti lavori, tradurre facilmente la sua formula in un’affermazione riguar ¬ dante l’atomo radiante ( il cosiddetto oscillatore ) , egli deve aver subito trovato che, secondo la sua formula, era come se l’oscil¬ latore potesse contenere soltanto separati quanta di energia, un risultato quindi cosi diverso da tutto quanto si sapeva dalla fisica classica che al principio egli deve aver rifiutato di cre¬ dervi. Ma in un periodo di intensissimo lavoro durante l’estate del 1900 si convinse infine che non c’era modo di sottrarsi a quella conclusione. Il figlio di Planck ha raccontato che suo padre gli parlò di queste nuove idee durante ima lunga pas¬ seggiata al Grunewald, il bosco ai sobborghi di Berlino. Du¬ rante la passeggiata spiegò che sentiva di avere fatto una sco¬ perta di primo piano, forse paragonabile soltanto alle scoperte 42

di Newton. Perciò Planck già a quel tempo deve aver com¬ preso che la sua formula aveva intaccato i fondamenti della nostra descrizione della natura, e che quei fondamenti avreb¬ bero cominciato un giorno a muoversi dal loro sito tradizio¬ nale verso nuove e ancora sconosciute posizioni di stabilità. Planck, che da un punto di vista generale era conservatore, non amava affatto quelle conseguenze, ma pubblicò la sua ipo¬ tesi dei quanta nel dicembre del 1900. L idea che l energia potesse essere emessa o assorbita soltanto in quanta separati d’energia era cosi nuova che non potè in¬ serirsi nella struttura tradizionale della fisica. Un tentativo fat ¬ to da Planck di conciliare la sua nuova ipotesi con le antiche leggi sulle radiazioni falli nei suoi punti essenziali. Ci vollero cinque anni per muovere il prossimo passo nella nuova di¬ rezione. Questa volta fu il giovane Albert Einstein, genio rivoluziona¬ rio tra i fisici, che non ebbe paura d’allontanarsi ulteriormente dai vecchi concetti. C’erano due problemi per i quali poteva servirsi delle nuove idee. Uno era il cosiddetto effetto fotoe¬ lettrico, l’emissione di elettroni da metalli sotto l’influenza del¬ la luce. Gli esperimenti, specialmente quelli di Lenard, aveva ¬ no dimostrato che l’energia degli elettroni emessi non dipen¬ deva dall’intensit à della luce, ma soltanto dal suo colore o, per essere più precisi, dalla sua frequenza. La cosa non poteva spiegarsi sulla base della teoria tradizionale delle radiazioni. Einstein potè interpretare le osservazioni intendendo l’ipotesi di Planck nel senso che la luce consiste di quanta di energia viaggianti nello spazio. L’energia d’un quantum di luce do¬ vrebbe, secondo le supposizioni di Planck, essere eguale alla frequenza della luce moltiplicata per la costante di Planck. 43

L altro problema riguardava il calore specifico dei corpi solidi. La teoria tradizionale portava per il calore specifico a dei va ¬ lori che, per le alte temperature, si accordavano con le osser¬ vazioni , mentre ne discordavano per quelle più basse. Di nuo vo Einstein mostrò che tale comportamento poteva esser spie¬ gato applicando l ipotesi quantistica alle vibrazioni elastiche degli atomi nel corpo solido. Questi due risultati contrasse¬ gnarono un grandissimo progresso , poiché rivelavano la pre¬ senza del quantum d’azione di Planck - come viene denomi¬ nata questa costante tra i fisici in molti fenomeni, che im ¬ mediatamente non avevano nulla a che fare con la radiazione termica . Essi rivelarono contemporaneamente il carattere pro¬ fondamente rivoluzionario della nuova ipotesi, giacché il pri¬ mo di essi condusse ad una descrizione della luce compietamente diversa dalla tradizionale teoria ondulatoria. La luce potrebbe essere spiegata o come consistente di onde elettromagnetiche, secondo la teoria di Maxwell, oppure di quanta di luce, pacchetti di energia viaggianti nello spazio ad altissima velocità . Ma come accogliere l’una e l’altra insieme ? Einstein sapeva , naturalmente, che i ben noti fenomeni di diffrazione e di interferenza possono essere spiegati soltanto secondo l’in ¬ terpretazione ondulatoria . Egli non potè affrontare la discus¬ sione sulla contraddizione completa esistente fra la concezione ondulatoria e l’idea dei quanta di luce; né fece alcun tentativo per eliminare l’inconsistenza di questa interpretazione. Egli considerò soltanto la contraddizione come qualche cosa che avrebbe trovato molto più tardi la sua spiegazione. Frattanto gli esperimenti di Becquerel, Curie e Rutherford ave¬ vano portato nuova luce sulla struttura dell’atomo. Nel 1911 le osservazioni di Rutherford sulla interazione dei raggi « pe¬

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netranti nella materia si risolsero nella costruzione del suo famoso modello atomico. L atomo è raffigurato come consi¬ stente di un nucleo, caricato positivamente e che contiene quasi l intera massa dell’atomo, e di elettroni, che girano intorno al nucleo come i pianeti girano intorno al sole. Il legame chimico fra atomi di diversi elementi è spiegato come un’interazione fra gli elettroni esterni degli atomi limitrofi ; non ha direttamente a che fare col nucleo atomico. Il nucleo determina il comportamento chimico dell’atomo per mezzo della sua carica che determina a sua volta il numero degli elettroni nell’atomo neutro. Inizialmente questo modello di atomo non fu in grado di spiegare quello che è il tratto piu caratteristico dell’atomo, la sua enorme stabilit à. Nessun sistema planetario, seguente le leggi della meccanica newtoniana , ritornerebbe alla sua configu ¬ razione originale dopo una collisione con un altro sistema si¬ mile. Ma un atomo dell’elemento carbonio, ad esempio, resterà sempre un atomo di carbonio dopo qualsiasi collisione o inte¬ razione in un legame chimico. La spiegazione di questa insolita stabilit à venne fornita da Bohr nel 1913, per mezzo dell’applicazione dell’ipotesi quantistica di Planck. Se l’atomo può modificare la propria energia soltanto per quanta separati d’energia , ciò deve significare che l’atomo può esistere soltanto in stati stazionari separati, dei quali il più basso è il suo stato normale. Perciò, dopo qualsiasi tipo di interazione l’atomo tornerà sempre alla fine al suo stato normale. Con questa applicazione della teoria dei quanta al modello atomico, Bohr potè non solo spiegare la stabilità dell’atomo ma anche, in alcuni casi semplici, dare un’interpretazione teo¬ retica delle righe degli spettri emessi dagli atomi se stimolati 45

da una scarica elettrica o dal calore. La sua teoria si appog¬ giava su una combinazione di meccanica classica circa il moto degli elettroni e di condizioni quantiche, che vennero sovrap¬ poste ai movimenti classici per definire gli stati stazionari sepa¬ rati del sistema. Una formulazione matematica consistente di queste condizioni fu data piu tardi da Sommerfeld. Bohr era ben conscio del fatto che le condizioni quantiche distruggono, in qualche modo, la consistenza della meccanica newtoniana. Nel caso semplice dell atomo d idrogeno si poterono calcolare con la teoria di Bohr le frequenze della luce emessa dall’atomo, e l’accordo con le osservazioni fu completo. Tuttavia queste frequenze erano diverse dalle frequenze orbitali e dalle loro armoniche degli elettroni ruotanti intorno al nucleo, il che mostrò subito che la teoria era ancora piena di contraddizioni. Pure essa conteneva ima parte essenziale di verità. Spiegava qualitativamente il comportamento chimico degli atomi ed i loro spettri a righe; la esistenza di stati separati stazionari venne verificata dagli esperimenti di Franck e di Hertz, di Stern e di Gerlach. La teoria di Bohr ha aperto una nuova linea di ricerche. La gran quantità di materiale sperimentale raccolto dalla spettro¬ scopia in vari decenni era ora utilizzabile per ricavarne spiega ¬ zioni sulle strane leggi quantiche governanti i moti degli elet¬ troni nell’atomo. Anche molti esperimenti chimici si poterono utilizzare allo stesso scopo. È da questo periodo che i fisici appresero a formulare con esattezza i problemi; e formulare esattamente i problemi significa spesso essere già a mezza stra¬ da dalla soluzione. Ma quali erano questi problemi? Praticamente avevano tutti a che fare con le strane evidenti contraddizioni fra i risultati di 46

esperimenti diversi. Come poteva essere che la stessa radia¬ zione che produce le frange d interferenza, e che perciò deve consistere di onde, produce anche l effetto fotoelettrico, e deve perciò consistere di particelle in movimento? Come poteva essere che la frequenza del moto orbitale dell’elettrone nel¬ l’atomo presentasse una frequenza diversa della radiazione emessa ? Ma se l’idea del moto orbitale si fosse rivelata ine¬ satta , che accadrebbe allora agli elettroni che fan parte del¬ l’atomo ? Si possono ben vedere gli elettroni muoversi in ima camera a nebbia e qualche volta venire espulsi dall’atomo. Perché non dovrebbero muoversi anche all’interno dell’atomo ? È vero che essi potrebbero starsene a riposo nello stato nor¬ male dell’atomo, lo stato della minima energia. Ma ci sono molti stati di energia più alta, in cui il guscio elettronico ha un momento angolare. In quel caso gli elettroni non possono essere in stato di quiete. Si potrebbero moltiplicare esempi del genere. Si troverebbe sempre che ogni tentativo di descrivere i fatti atomici nei termini tradizionali della fisica conduce a

delle contraddizioni. Gradualmente, durante i primi anni del terzo decennio del secolo, i fisici si familiarizzarono con codeste difficoltà, acqui¬ starono una certa conoscenza dei campi in cui potevano veri¬ ficarsi, ed appresero ad evitare le contraddizioni. Sapevano quale fosse la descrizione corretta d’un evento atomico per l’esperimento speciale che era in discussione. Ciò non era suf ¬ ficiente per dar forma a un quadro consistente di ciò che acca¬ de in un processo quantico, ma modificava la mentalità dei fisici in modo da farli in qualche modo penetrare nello spirito della teoria dei quanta . Perciò, anche molto tempo prima che si avesse una solida formulazione della teoria dei quanta si 47

sapeva più o meno quale sarebbe stato il risultato di ogni esperimento. Si discuteva frequentemente su quelli che venivano chiamati esperimenti ideali. Tali esperimenti servivano per trovare ri¬ sposta a problemi altamente critici e non aveva importanza se essi potevano o meno effettivamente essere eseguiti. Natural¬ mente importava che , in linea di principio , l esperimento fosse eseguibile, ma la tecnica poteva essere estremamente compli¬ cata. Questi esperimenti ideali potevano essere assai utili per illuminare certi problemi. Se non c era accordo tra i fisici sul risultato d’un esperimento ideale , era spesso possibile escogi¬ tare un altro esperimento simile ma piu semplice che era pos sibile condurre a termine, cosi che la risposta sperimentale contribuiva in modo essenziale alla chiarificazione della teoria ¬

dei quanta. L’esperienza più strana di quegli anni fu che i paradossi della teoria dei quanta non scomparvero durante questo processo di chiarificazione; al contrario, essi divennero ancora più marcati e appassionanti. Ci fu , per esempio, l’esperimento di Compton sulla diffusione dei raggi X. Dai primi esperimenti sull’interfe renza della luce diffusa appariva indubbio che la diffusione ha luogo essenzialmente nel modo seguente: l’onda della luce in ¬ cidente fa vibrare un elettrone del raggio secondo la frequenza dell’onda ; l’elettrone oscillante emette allora un’onda sferica dalla stessa frequenza e in conseguenza di ciò produce la luce diffusa. Tuttavia , Compton trovò nel 1923 che la frequenza dei raggi X diffusi era diversa dalla frequenza del raggio X incidente. Questo mutamento di frequenza potrebbe essere formalmente spiegato considerando la diffusione come conse¬ guenza di un urto fra un quantum di luce ed un elettrone. ¬

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L energia del quantum di luce muta durante l urto; e giacché la costante di Planck moltiplicata per la frequenza dovrebbe corrispondere all’energia del quantum di luce, anche la fre¬ quenza dovrebbe essere cambiata . Ma che cosa avviene in que¬ sta interpretazione dell’onda luminosa ? I due esperimenti quello sull’interferenza della luce diffusa e l’altro sulla muta¬ zione di frequenza della luce diffusa - apparivano contraddit¬ tori senza alcuna possibilit à di compromesso. Da questo momento molti fisici si convinsero che queste evi¬ denti contraddizioni appartenevano alla struttura intrinseca della fisica atomica . Perciò, nel 1924, de Broglie in Francia cercò di estendere il dualismo fra la descrizione ondulatoria e quella corpuscolare alle particelle elementari della materia , prima di tutto agli elettroni. Egli mostrò che una certa onda di materia potrebbe «corrispondere » ad un elettrone in movi¬ mento, cosi come un onda di luce corrisponde a un quantum di luce in movimento. Non era allora chiaro che cosa in quel rapporto significasse la parola « corrispondere » . Ma de Broglie suggerì che la condizione quantica nella teoria di Bohr do¬ vrebbe essere interpretata come un’affermazione riguardante le onde di materia . Un’onda ruotante intorno a un nucleo può soltanto per ragioni geometriche essere un’onda stazionaria ; e il perimetro dell’orbita dev’essere un multiplo intero della lun¬ ghezza dell’onda . In questo modo l’idea di de Broglie con¬ netteva la condizione quantica , che era sempre stata un ele¬ mento estraneo nella meccanica degli elettroni, con il dualismo fra onde e corpuscoli. Nella teoria di Bohr la discrepanza fra la frequenza orbitale calcolata degli elettroni e la frequenza della radiazione emessa doveva essere interpretata come una limitazione al concetto 49

dell orbita elettronica . Questo concetto, del resto, era apparso incerto fin dal principio. Per le orbite piu alte, tuttavia, gli elettroni dovrebbero muoversi a grande distanza dal nucleo cosi come appare quando si vedono muoversi in una camera a nebbia. È li che si dovrebbe parlare di orbite elettroniche. Appariva perciò molto convincente che per queste orbite più alte le frequenze della radiazione emessa si avvicinassero alla frequenza orbitale e alle sue armoniche più alte. Anche Bohr aveva già suggerito nei suoi primi scritti che le intensità delle righe spettrali emesse si approssimano alle intensità delle cor ¬ rispondenti armoniche. Questo principio di corrispondenza si era dimostrato molto utile per il calcolo approssimativo delle intensità delle righe spettrali. In questo modo si aveva l im ¬ pressione che la teoria di Bohr desse una descrizione qualita ¬ tiva e non quantitativa di ciò che accade dentro l’atomo; che qualche nuovo lineamento del comportamento della materia venisse espresso qualitativamente dalle condizioni quantiche, connesse a loro volta con il dualismo fra onde e corpuscoli. La precisa formulazione matematica della teoria dei quanta emerse finalmente da due diversi sviluppi. L’imo prese le mos¬ se dal principio di corrispondenza di Bohr. Era necessario ab¬ bandonare il concetto di orbita elettronica ma si doveva ancora mantenerlo nel limite dei numeri quantici alti, cioè per le grandi orbite. In quest’ultimo caso la radiazione emessa, per mezzo della frequenza e dell intensità , fornisce un quadro del¬ l’orbita elettronica ; essa rappresenta ciò che i matematici chia¬ mano espansione Fourier dell’orbita. Veniva da sé l’idea che le leggi meccaniche dovessero venir scritte non come equazione delle posizioni e delle velocità degli elettroni ma come equa¬ zioni delle frequenze e delle ampiezze della loro espansione 50

Fourier. Partendo da tali equazioni con qualche minima varia¬ zione si potrebbe sperare di pervenire per quelle quantità a delle relazioni che corrispondano alle frequenze ed alle inten¬ sità della radiazione emessa, anche per le piccole orbite e per lo stato base dell atomo. Questo piano potrebbe ora essere portato a termine; nell estate del 1925 esso condusse ad un formalismo matematico chiamato meccanica delle matrici o, più generalmente, meccanica quantica. Le equazioni del moto della meccanica newtoniana vennero sostituite con equazioni similari fra matrici; costituì una strana esperienza trovare che molti degli antichi risultati della meccanica newtoniana, come la conservazione dell’energia, ecc., potevano venir derivati an¬ che nel nuovo schema . Più tardi, le ricerche di Born, Jordan e Dirac mostrarono che le matrici esprimenti la posizione e il momento dell’elettrone non sono commutabili. Quest ultimo fatto dimostrò chiaramente la differenza essenziale fra la mec¬ canica quantica e quella classica. L’altro sviluppo segui l’idea di de Broglie delle onde di ma¬ teria. Schròdinger cercò di stabilire un’equazione ondulatoria per le onde stazionarie di de Broglie intorno al nucleo. Al prin¬ cipio del 1926 egli riuscì a derivare i valori dell’energia degli stati stazionari dell’atomo d’idrogeno come « autovalori » della sua equazione ondulatoria e potè fornire ima regola più gene¬ rale per trasformare una data serie di equazioni classiche del moto in ima corrispondente equazione ondulatoria in imo spazio a molte dimensioni. Più tardi potè provare che il formalismo della sua meccanica ondulatoria era equivalente al precedente formalismo della meccanica quantica. Si ebbe così finalmente un formalismo matematico consistente che poteva essere definito in due modi equivalenti: partendo 51

cioè da relazioni fra matrici oppure da equazioni ondulatorie. Questo formalismo diede i valori esatti dell energia per l atomo d’idrogeno; ci volle meno di un anno per dimostrare che era valido anche per l’atomo di elio e per i casi più complicati degli atomi più pesanti. Ma in che senso questo nuovo forma¬ lismo descriveva l’atomo ? I paradossi del dualismo fra conce¬ zione ondulatoria e concezione corpuscolare non erano risolti: essi restavano per cosi dire nascosti dietro il calcolo matema¬ tico. Un primo e molto interessante passo verso una reale compren ¬ sione della teoria dei quanta venne fatto da Bohr, Kramers e Slater, nel 1924, i quali cercarono di risolvere l’evidente con ¬ trasto fra il quadro ondulatorio e quello corpuscolare con il

di onda di probabilità . Le onde elettromagnetiche vennero interpretate non come onde « reali » ma come onde di probabilità , di cui l’intensit à determina in ogni punto la probabilità dell’assorbimento ( o emissione indotta ) di un quantum di luce ad opera di un atomo in quel punto. Quest’idea portò alla conclusione che non è necessario che le leggi di con ¬ servazione dell’energia e del momento siano vere per il singolo evento, poiché sono soltanto leggi statistiche e vere soltanto nel senso d ’ una media statistica. Questa conclusione non era tuttavia esatta , e i rapporti fra l’aspetto ondulatorio e quello corpuscolare della radiazione si fecero ancora più complicati. Ma lo studio di Bohr, Kramers e Slater mise in luce un tratto essenziale della giusta interpretazione della teoria dei quanta . Il concetto di onda di probabilità era assolutamente nuovo nella fisica teoretica d’origine newtoniana. Probabilità in ma¬ tematica o in meccanica statistica significa un’affermazione sul nostro grado di conoscenza della situazione effettiva. Gettando

concetto

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i dadi noi non conosciamo i minuti particolari del moto delle nostre mani che determinano la caduta dei dadi e perciò dicia¬ mo che la probabilit à che venga un determinato numero è di uno contro sei . L onda di probabilit à di Bohr , Kramers, Slater , tuttavia , significa qualche cosa di piu di questo; essa significa una tendenza verso qualche cosa . Era una versione quantitativa del vecchio concetto di « potenza » della filosofia aristotelica. Introduceva qualche cosa che stava a met à fra l idea d’un even to e l’evento reale, uno strano tipo di realt à fisica a met à strada fra possibilità e realt à. Più tardi, quando l’ossatura matematica della teoria dei quanta fu fissata , Born raccolse quest ’idea dell’onda di probabilità e diede una chiara definizione della quantità matematica nel for ¬ malismo, che doveva essere interpretata come onda di proba¬ bilità . Non era un’onda tridimensionale, come le onde elastiche o le onde radio ma un’onda in uno spazio a configurazione pluridimensionale, e perciò una quantità matematica piuttosto ¬

astratta .

Ancora in questo periodo, nell’estate del 1926, non appariva chiaro in tutti i casi come ci si poteva servire del formalismo matematico per descrivere una data situazione sperimentale. Si sapeva come descrivere gli stati stazionari d’un atomo, ma non si sapeva come descrivere un evento molto più semplice, ad esempio il movimento d’ un elettrone in una camera a nebbia. Quando Schrodinger ebbe in quell’estate dimostrato che il suo formalismo per la meccanica ondulatoria era matematicamen¬ te equivalente alla meccanica quantica egli cercò per qualche tempo di abbandonare l’idea dei quanta e insieme dei « salti quantici » e di sostituire negli atomi agli elettroni le sue tridi53

mensionali onde di materia. Venne sospinto verso questo tenta¬ tivo da un risultato da lui conseguito, cioè che i livelli d ener ¬ gia dell atomo d ’idrogeno nella sua teoria sembravano essere niente altro che le autofrequenze delle onde di materia stazio narie. Pensò perciò che fosse un errore chiamarle energie, e che esse erano delle frequenze. Ma nella discussione che ebbe luogo nell’autunno del 1926 a Copenaghen fra Bohr e Schròdinger e il gruppo dei fisici di Copenaghen apparve subito evi¬ dente che una tale interpretazione non era neppure sufficiente a spiegare la formula di Planck sulla radiazione termica. Durante i mesi seguenti queste discussioni, uno studio inten ¬ sivo di tutti i problemi riferentisi alla interpretazione della teo¬ ria dei quanta , in Copenaghen , condusse finalmente ad una completa e, come molti fisici credettero, soddisfacente chiari¬ ficazione della situazione. Ma non si trattava d’una soluzione che si potesse facilmente accettare. Ricordo delle discussioni con Bohr che si prolungarono per molte ore fino a notte piena e che ci condussero quasi ad uno stato di disperazione ; e quan¬ do al termine della discussione me ne andavo solo a fare una passeggiata nel parco vicino continuavo sempre a ripropormi il problema: è possibile che la natura sia cosi assurda come ci appariva in quegli esperimenti atomici ? Ci si avvicinò alla soluzione finale per due strade diverse. L’una fu un aggiramento della questione. Invece di chiedersi : come si può esprimere con i mezzi matematici conosciuti una data situazione sperimentale ? ci si pose l’altra domanda : è vero, forse, che possono sorgere in natura soltanto situazioni sperimentali tali da poter essere espresse nei termini del for¬ malismo matematico ? L’assunto che ciò fosse vero portava a delle limitazioni nell’uso di quei concetti che, da Newton in ¬

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poi, avevano costituito la base della fisica classica. Si poteva parlare della posizione e della velocità di un elettrone come nella meccanica newtoniana e si potevano osservare e misurare tali quantità. Ma era impossibile determinare simultaneamente l una e l altra di queste quantità a piacere e con grande preci¬ sione. In realt à il prodotto di quelle due inesattezze risultò non essere altro che la costante di Planck divisa per la massa della particella. Si potrebbero formulare simili relazioni per al¬ tre situazioni sperimentali. Esse vengono comunemente chiama te relazioni d incertezza o principio d’indeterminazione. S’ap¬ prendeva cosi che i vecchi concetti si adattano alla natura solo imprecisamente. L’altra via di approccio fu il concetto di complementarità di Bohr. Schrodinger aveva descritto l’atomo non come un siste¬ ma di un nucleo ed elettroni ma come un sistema d’un nucleo ed onde di materia . Anche questa immagine delle onde di ma¬ teria conteneva un elemento di verità . Bohr considerò le due immagini - quella corpuscolare e quella ondulatoria - come due descrizioni complementari della stessa realtà . Ognuna delle due descrizioni può essere solo parzialmente vera e sono neces¬ sarie delle limitazioni all’uso della teoria corpuscolare cosi come di quella ondulatoria, in quanto né l’ima né l’altra possono evi tare delle contraddizioni. Se si tien conto di questi limiti che possono essere espressi per mezzo di relazioni d’incertezza , le contraddizioni scompaiono. Cosi fin dalla primavera del 1927 si ha un’interpretazione con¬ sistente della teoria dei quanta, che è frequentemente chiamata « interpretazione di Copenaghen ». Questa interpretazione rice veva il collaudo decisivo nell’autunno del 1927 alla conferenza Solvay a Bruxelles. Quegli esperimenti che avevano sempre ¬

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condotto ai peggiori paradossi vennero di nuovo discussi in tutti i particolari, specialmente da Einstein . Nuovi esperimenti ideali vennero inventati per rintracciare un qualche punto in ¬ consistente della teoria , ma la teoria si palesò consistente e sembrò concordare, per quanto era possibile vedere, con tutti gli esperimenti. I particolari della interpretazione di Copenaghen costituiranno il soggetto del prossimo capitolo. Si dovrebbe a questo punto sottolineare che c è voluto più di un quarto di secolo per pas¬ sare dalla prima idea dell esistenza dell’energia quantica alla comprensione reale delle leggi teoretiche dei quanta . Il che sta ad indicare il gran cambiamento che dovette intervenire nei concetti fondamentali concernenti la realt à prima che si potesse comprendere la nuova situazione.

L interpretazione di Copenaghen della teoria dei quanta

L interpretazione di Copenaghen della teoria dei quanta par ¬ te da un paradosso. Qualsiasi esperimento fisico, sia che si riferisca ai fenomeni della vita quotidiana o ad eventi atomici, deve essere descritto nei termini della fisica classica. I concetti della fisica classica formano il linguaggio per mezzo del quale descriviamo la preparazione dei nostri esperimenti e ne espri¬ miamo i risultati. Non possiamo né dobbiamo sostituire que¬ sti concetti con altri. Tuttavia l applicazione di questi con ¬ cetti risulta limitata dalle relazioni d ’incertezza. Dobbiamo te¬ ner presente questa limitata area di applicabilità dei concetti classici mentre li applichiamo, ma non possiamo e non dovrem ¬ mo sforzarci per migliorarli. Per una migliore comprensione di questo paradosso è utile confrontare il procedimento per giungere all’interpretazione teoretica d’un esperimento rispettivamente nella fisica classica 57

e nella teoria dei quanta. Nella meccanica newtoniana, ad esem pio, noi possiamo cominciare col misurare la posizione e la velocità del pianeta di cui ci accingiamo a studiare il movi¬ mento. Il risultato dell osservazione viene tradotto in termini ¬

matematici derivando i numeri per le coordinate e i momenti del pianeta dall osservazione. Poi vengono usate le equazioni del moto per derivare, da questi valori delle coordinate e dei momenti in un dato tempo, i valori delle coordinate o di qualsiasi altra proprietà del sistema per un qualsiasi punto successivo del tempo. In tal modo l’astronomo può predire le proprietà del sistema per qualsiasi momento del futuro. Può, ad esempio, predire il tempo esatto di un’eclisse di luna . Nella teoria dei quanta il procedimento è leggermente diverso. Potremmo, ad esempio, interessarci al moto d’un elettrone dentro ima camera a nebbia e potremmo determinare con di¬ versi tipi d’osservazione la posizione iniziale e la velocità del¬ l’elettrone. Ma questa determinazione non sarà precisa . Con¬ terrà per lo meno le inesattezze derivanti dalle relazioni d’in ¬ certezza e probabilmente errori ancora più grandi dovuti alla difficoltà dell’esperimento. È la prima di queste inesattezze che ci permette di tradurre il risultato dell’osservazione nello schema matematico della teoria dei quanta . Si scrive una fun ¬ zione di probabilità che rappresenta la situazione sperimentale al momento della misurazione, includendo anche i possibili er ¬ rori della misurazione. Questa funzione di probabilità rappresenta la risultante di due fattori, in parte un dato di fatto e in parte la nostra conoscenza di un dato di fatto. Rappresenta un dato di fatto in quanto assegna l’unità di probabilità ( vale a dire piena certezza ) alla situazione iniziale: l’elettrone che si muove con la velocit à 58

osservata nella posizione osservata ; « osservata » significa os¬ servata nei limiti dell esattezza dell esperimento. Rappresenta una nostra conoscenza in quanto un altro osservatore potrebbe

forse determinare con maggior precisione la posizione dell’elet ¬ trone. L’errore contenuto nell'esperimento non rappresenta almeno in certa misura una proprietà dell’elettrone ma ima deficienza nella nostra conoscenza dell’elettrone. Anche questa deficienza di conoscenza è espressa nella funzione di proba¬ bilità. Nella fisica classica si potrebbe con una investigazione accurata considerare anche l errore d’osservazione. Si otterrebbe come risultato una distribuzione di probabilità per i valori iniziali delle coordinate e delle velocit à e quindi qualche cosa di molto simile alla funzione di probabilità della meccanica quantica. Soltanto la necessaria incertezza dovuta alle relazioni d’incer¬ tezza manca nella fisica classica. Quando la funzione di probabilità nella teoria dei quanta è stata determinata al momento iniziale dall’osservazione, è pos¬ sibile dalle leggi della teoria dei quanta calcolare la funzione di probabilità per ogni tempo successivo e quindi la proba¬ bilità di una misurazione che dia un valore specifico della quan ¬ tit à misurata. Possiamo, ad esempio, prevedere la probabilità di trovare l’elettrone in un tempo successivo ad un dato punto della camera a nebbia. Bisognerebbe però sottolineare che la funzione di probabilità non rappresenta di per sé un corso di eventi svolgentisi nel corso del tempo. Rappresenta soltanto una tendenza per gli eventi e per la nostra conoscenza di essi. La funzione di probabilità può essere connessa con la realtà soltanto se si adempie una condizione essenziale: se vien fatta una nuova misurazione per determinare una certa proprietà del

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sistema. Soltanto allora la funzione di probabilità ci permette di calcolare il risultato probabile della nuova misurazione. Il risultato della misurazione sarà ancora espresso in termini di fisica classica. Perciò, l interpretazione teoretica di un esperimento richiede tre stadi distinti: ( 1 ) traduzione della situazione sperimentale iniziale in una funzione di probabilit à ; ( 2 ) accompagnamento di questa funzione lungo il corso del tempo ; ( 3 ) determina ¬ zione di una nuova misurazione del sistema il cui risultato può poi essere calcolato dalla funzione di probabilità . Per il primo punto è condizione necessaria la determinazione delle relazioni d incertezza . Il secondo punto non può venir descritto in ter¬ mini di concetti classici ; non vi è alcuna descrizione possibile di ciò che accade al sistema fra l’osservazione iniziale e la nuo¬ va misurazione. È soltanto nella terza fase che passiamo di nuovo dal « possibile » al « reale » . Illustriamo queste tre fasi servendoci d’un semplice esperi¬ mento ideale. Si è detto che l’atomo consiste d’un nucleo e di elettroni che si muovono intorno al nucleo; è anche stato affermato che il concetto di orbita elettronica è incerto. Si po¬ trebbe arguire che, almeno in linea di principio, sia possibile osservare l’elettrone nella sua orbita . Basterebbe osservare l’ato¬ mo attraverso un microscopio ad altissimo potere di scomposi¬ zione e si vedrebbe l’elettrone muoversi lungo la sua orbita. Tale altissima capacità di scomposizione non potrebbe essere certamente ottenuta da un microscopio che facesse uso della luce ordinaria, poiché l’imprecisione della misura della posi¬ zione non può mai essere più piccola della lunghezza d’onda della luce. Ci si servirà allora d’ un microscopio che utilizza i raggi gamma che hanno una lunghezza d’onda più piccola della 6o

dimensione dell atomo. Un tale microscopio non è stato tutta¬ via costruito ma ciò non toglie che si possa discutere l’esperi¬ mento ideale. È possibile il primo passo, ossia la traduzione del risultato del l’osservazione in una funzione di probabilità ? È possibile sol¬ tanto se la relazione d’incertezza venga fatta dopo l osservazio¬ ne. La posizione dell’elettrone sar à nota con la precisione for¬ nita dalla lunghezza d’onda del raggio y . Può essere che l’elet ¬ trone, precedentemente all’osservazione, si trovasse in stato di quiete. Ma all’atto dell’osservazione per lo meno un quantum di luce del raggio y deve aver attraversato il microscopio e deve essere stato deviato dall’elettrone. Perciò l’elettrone ha ricevuto un urto dal quantum di luce, ha mutato il suo mo¬ mento e la sua velocità ; e si può dimostrare come l’indeter ¬ minazione di questo mutamento è giusto grande abbastanza da garantire la validit à delle relazioni d’indeterminazione. Non ci sono perciò difficolt à relative al primo punto. Contemporaneamente si può facilmente vedere che non c’è al¬ cun modo di osservare l’orbita dell’elettrone intorno al nucleo. La seconda fase mostra un pacchetto d’onde che si muove non intorno al nucleo ma allontanandosi dall’atomo perché il primo quantum di luce avrà colpito l’elettrone proiettandolo via dal¬ l’atomo. Il momento del quantum di luce del raggio gamma è molto più grande del momento originario dell’elettrone anche se la lunghezza d’onda del raggio gamma è molto più piccola della dimensione dell’atomo. Perciò, il primo quantum di luce è sufficiente a proiettare l’elettrone fuori dall’atomo e non è possibile osservare più di un punto nell’orbita dell’elettrone; perciò non si può parlare di orbita , nel senso più stretto del termine. L’osservazione che segue - la terza fase - mostrer à ¬

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l elettrone che si allontana dall atomo. Non esiste assolutamente alcuna possibilità di descrivere ciò che accade tra due osserva ¬ zioni consecutive. Può essere certo allettante dire che l’elet¬ trone deve essere stato in qualche posto fra le due osserva ¬ zioni e che perciò deve aver descritto un certo percorso, o un’orbita , anche se può risultare impossibile sapere quale sia . Nella fisica classica questo sarebbe un argomento ragionevole. Ma nella teoria dei quanta costituirebbe un uso improprio di linguaggio che, come vedremo dopo, non può essere giustificato. Lasciamo per ora aperta la questione se questa cautela sia da mettere in relazione al modo con cui si dovrebbe parlare degli eventi atomici o in relazione agli eventi stessi , se si riferisca cioè all’epistemologia o all’ontologia . In ogni caso dobbiamo essere molto cauti nell’uso delle parole quando si tratta di affermazioni riguardanti il comportamento delle particelle ato¬ miche. In realtà non è affatto necessario parlare di particelle. Per molti esperimenti è molto più conveniente parlare di onde di materia; ad esempio, di onde di materia stazionarie intorno al nucleo atomico. Una definizione del genere contraddirebbe l’altra definizione se non si prestasse attenzione ai limiti forniti dalle relazioni d’in ¬ certezza. Tenendo conto dei limiti la contraddizione è evitata . L’uso del termine «onde di materia » è conveniente, ad esem ¬ pio, quando si tratta della radiazione emessa dall’atomo. Attra ¬ verso le sue frequenze e le sue intensit à ci dà notizia sulla distribuzione della carica oscillante nell’atomo; e in questo caso la raffigurazione ondulatoria si avvicina molto di più alla verità che non la raffigurazione corpuscolare. Perciò Bohr si fece soste nitore dell’uso di entrambe le raffigurazioni che egli definì ¬

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« complementari » l ima dell altra. Naturalmente le due conce¬ zioni si escludono a vicenda , poiché una cosa non può essere nello stesso tempo un corpuscolo ( vale a dire una sostanza limitata in un piccolissimo volume ) ed un’onda ( vale a dire un campo che si propaga per un ampio spazio ) . Ma l’una può essere il complemento dell’altra. Servendoci di entrambe le raf ¬ figurazioni , passando dall’una all’altra per ritornare poi alla prima , otteniamo infine la giusta impressione dello strano ge¬ nere di realtà che si nasconde dietro gli esperimenti atomici. Bohr fa uso in molti punti del concetto di «complementarità » nell’interpretazione della teoria dei quanta . La conoscenza della posizione di una particella è complementare alla conoscenza della sua velocità o del suo momento. Se conosciamo la prima con molta precisione non possiamo conoscere con altrettanta precisione la seconda ; tuttavia per conoscere il comportamento del sistema è necessario conoscere l’una e l’altra. La descri¬ zione spazio-temporale degli eventi atomici è complementare alla loro descrizione deterministica . La funzione di probabilità obbedisce ad un’equazione di moto come facevano le coordi¬ nate nella meccanica newtoniana ; i suoi mutamenti nel corso del tempo sono completamente determinati dall’equazione del¬ la meccanica quantica, ma non permettono una descrizione nello spazio e nel tempo. L’osservazione, d’altro lato, rafforza la descrizione nello spazio e nel tempo ma spezza la continuità determinata della funzione di probabilità modificando la nostra conoscenza del sistema. In generale il dualismo fra due diverse descrizioni della stessa realtà non costituisce piu una difficoltà quando sappiamo dalla formulazione matematica della teoria che non possono sorgere contraddizioni. Il dualismo tra due rappresentazioni comple-

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mentari - ondulatoria e corpuscolare - è anche chiaramente espresso nella flessibilit à dello schema matematico. La sua espressione formale è analoga a quella della meccanica clas ¬ sica , con equazioni di moto per le coordinate e i momenti dei corpuscoli. Ma con una semplice trasformazione essa può essere riscritta a guisa di una equazione ondulatoria per un ordinaria onda di materia a tre dimensioni . Perciò, questa possibilit à di servirsi di diversi quadri complementari trova riscontro nelle diverse trasformazioni dello schema matematico ; da ciò non sorge alcuna difficoltà per l interpretazione di Copenaghen del¬ la teoria dei quanta . Una difficoltà reale per la comprensione di questa interpreta ¬ zione sorge, tuttavia , quando ci si pone la famosa domanda : ma che cosa accade realmente in un evento atomico ? Si è detto prima che il meccanismo e i risultati di un’osservazione pos¬ sono sempre essere espressi nei termini dei concetti classici. Ma ciò che si deduce da un’osservazione è una funzione di probabilità , un’espressione matematica che combina afferma ¬ zioni circa possibilità o tendenze con affermazioni sulla nostra conoscenza dei fatti. Cosi non possiamo oggettivare compietamente il risultato d ’un ’osservazione, non possiamo descrivere ciò che « accade » fra questa osservazione e quella che la segue. Ciò può far apparire come se noi avessimo introdotto un ele¬ mento soggettivo nella teoria , come se noi intendessimo dire: ciò che accade dipende dal nostro modo di osservarlo o dal fatto che noi l’osserviamo. Prima di discutere questo proble ma della soggettivazione è necessario spiegare con assoluta chiarezza perché ci si invischierebbe in difficoltà irresolubili se si cercasse di descrivere ciò che accade tra due osservazioni consecutive. ¬

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A questo scopo è conveniente prendere in esame il seguente esperimento ideale : ammettiamo che una piccola sorgente di luce monocromatica venga irradiata verso uno schermo nero che contiene due piccoli buchi . Il diametro dei buchi può es sere alquanto piu grande della lunghezza d onda della luce, ma la distanza che li separa sarà molto piu grande. Ad una certa distanza dietro lo schermo una lastra fotografica registra la luce incidente. Se si descrive questo esperimento nei termini della teoria ondulatoria , si dice che l onda primaria penetra attraverso i due buchi ; ci saranno delle onde sferiche seconda rie partenti dai buchi che interferiranno reciprocamente, e l’in terferenza produrrà una traccia caratteristica di intensit à va riante sulla lastra fotografica . L’annerirsi della lastra fotografica costituisce un processo quan tico, una reazione chimica prodotta dai singoli quanta di luce. Perciò deve essere anche possibile descrivere l’esperimento in termini di quanta di luce. Se fosse possibile dire ciò che acca ¬ de al singolo quantum di luce fra la sua emissione dalla sor ¬ gente luminosa ed il suo assorbimento nella lastra fotografica , si potrebbe ragionare come segue: il singolo quantum di luce può passare attraverso il primo buco o attraverso il secondo. Se passa attraverso il primo buco la sua probabilit à di essere assorbito in un certo punto della lastra fotografica non può di¬ pendere dal fatto che il secondo buco sia chiuso od aperto. La distribuzione di probabilit à sulla lastra sarà la stessa che se fosse aperto solo il primo buco. Se si ripete l’esperimento molte volte e si mettono insieme tutti i casi in cui il quan ¬ tum di luce ha attraversato il primo buco, l’annerirsi della lastra dovuto a questi casi corrisponderà a quella distribuzione di probabilità . Se si considerano soltanto quei quanta di luce ¬

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che attraversano il secondo buco, l annerirsi dovrebbe corri¬ spondere a una distribuzione di probabilità derivata dal pre¬ supposto che soltanto il secondo buco sia aperto. L anneri¬ mento totale , perciò, dovrebbe rappresentare esattamente la somma dell’annerimento nei due casi ; in altre parole non do¬ vrebbe esserci alcuno schema d’interferenza . Perciò, l’affer ¬ mazione che ciascun quantum di luce deve essere passato o attraverso il primo o attraverso il secondo buco è problema tica e conduce a delle contraddizioni. Questo esempio mostra chiaramente che il concetto della funzione di probabilit à non permette una descrizione di ciò che accade fra due osserva zioni. Qualsiasi tentativo di formulare una tale descrizione porterebbe a delle contraddizioni ; il che sta a significare che il termine « avviene » è limitato all’osservazione. Ora, si tratta di un risultato molto strano, giacché sembra indi¬ care che l’osservazione gioca un ruolo decisivo nell’evento e che la realt à varia a seconda che noi l’osserviamo o no. Per rendere piu chiaro questo punto dobbiamo analizzare il pro¬ cesso dell’osservazione più da vicino. Per cominciare, è importante ricordare che nella scienza natu ¬ rale ciò che ci interessa non è l’ universo come un tutto, inclu ¬ dente noi stessi, ma che la nostra attenzione si dirige verso una parte dell’universo e fa di quella l’oggetto dei nostri studi . Nella fisica atomica questa parte è generalmente un oggetto piccolissimo, una particella atomica o un gruppo di tali particelle, qualche volta qualcosa di molto più grande. Ma la dimen ¬ sione non importa . Ciò che importa è che una gran parte del¬ l’ universo, inclusi noi stessi, non appartiene all’oggetto. Ora , l interpretazione teoretica di un esperimento comincia con i due passi di cui si è parlato. Nel primo passo noi dobbiamo ¬

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descrivere il dispositivo dell esperimento, combinato eventual¬ mente con una prima osservazione, in termini di fisica classica e tradurre codesta descrizione in una funzione di probabilit à. Questa funzione di probabilit à segue le leggi della teoria dei quanta, e il suo mutarsi continuo nel corso del tempo può venir calcolato dalle condizioni iniziali ; questo è il secondo passo. La funzione di probabilit à combina insieme elementi oggettivi e elementi soggettivi. Essa contiene delle affermazioni sulle possibilità o meglio sulle tendenze ( « potentia » nella filosofia aristotelica ) , e queste affermazioni sono completamente ogget ¬ tive, non dipendono da nessun osservatore; e contiene affer ¬ mazioni sulla nostra conoscenza del sistema , che sono natural¬ mente soggettive in quanto possono essere diverse per osser¬ vatori diversi. In casi ideali l elemento soggettivo nella fun ¬ zione di probabilit à può essere praticamente trascurabile se confrontato con quello oggettivo. I fisici parlano allora d’un « caso puro ». Quando passiamo poi all’osservazione , il cui risultato dovrebbe essere previsto dalla teoria , è molto importante rendersi conto che il nostro oggetto deve entrare in contatto con l’altra par¬ te del mondo, cioè con l’ apparato sperimentale, l’unit à di mi¬ surazione ecc. prima o almeno al momento dell’osservazione. Questo significa che l’equazione di moto per la funzione di probabilit à deve ora contenere l’influenza dell’interazione con lo strumento di misurazione. Quest’influenza introduce un nuovo elemento d’indeterminazione , giacché il dispositivo per misurare è necessariamente descritto nei termini della fisica classica ; una simile descrizione contiene tutte le incertezze concernenti la struttura microscopica del dispositivo che noi conosciamo dalla termodinamica , e poiché il dispositivo è con67

nesso con il resto del mondo, esso contiene di fatto le incer¬ della struttura microscopica del mondo intero. Queste incertezze possono esser dette obbiettive in quanto sono sem ¬ plicemente una conseguenza della definizione nei termini della fisica classica e non dipendono dall osservatore. Possono essere chiamate soggettive in quanto si riferiscono alla nostra incom ¬ pleta conoscenza del mondo. Dopo che questa interazione ha avuto luogo, la funzione di probabilità contiene l elemento oggettivo della tendenza e l’e¬ lemento soggettivo della conoscenza incompleta, anche se si sia prima trattato di un « caso puro» . Per questa ragione il risultato dell’osservazione non può essere generalmente pre¬ veduto con certezza ; ciò che può essere preveduto è la pro¬ babilità di un certo risultato dell’osservazione, e questa affer ¬ mazione sulla probabilità pu ò essere controllata ripetendo l’e¬ sperimento molte volte. La funzione di probabilit à non deve, come fa il procedimento normale nella meccanica newtoniana , descrivere un certo evento ma , almeno durante il processo d’os¬ servazione, un complesso di eventi possibili. L’osservazione stessa cambia la funzione di probabilit à in mo¬ do discontinuo ; essa sceglie fra tutti gli eventi possibili quello che realmente ha avuto luogo. Poiché seguendo l’osservazione , la nostra conoscenza del sistema è andata trasformandosi in modo discontinuo, anche la sua rappresentazione matematica ha subito un continuo mutamento e giungiamo così alla de¬ finizione di « salto quantico » . Quando si usa il vecchio adagio « Natura non facit saltus » come base per una critica della teo¬ ria dei quanta , noi possiamo rispondere che è certo che la no¬ stra conoscenza può cambiare improvvisamente e che questo fatto giustifica l’uso del termine « salto quantico». tezze

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Perciò, il passaggio dal « possibile » al « reale » ha luogo du ¬ rante l atto d’osservazione. Se desideriamo descrivere ciò che accade in un evento atomico, dobbiamo aver ben presente che la parola « accade » può essere applicata soltanto all’osserva¬ zione e non a ciò che accade fra due osservazioni. Essa si ap¬ plica all’atto f ìsico e non a quello psichico dell’osservazione, e noi possiamo dire che il passaggio dal « possibile » al « reale » si verifica non appena l’interazione dell’oggetto e del dispositi ¬ vo di misurazione, e quindi del resto del mondo, è entrata in gioco; ciò non è connesso con l’atto di registrazione del risul¬ tato ad opera della mente dell osservatore. Il mutamento di¬

scontinuo della funzione di probabilit à ha luogo, tuttavia , con l’atto di registrazione, poiché è il mutamento discontinuo del nostro conoscere all’istante della registrazione che si rispecchia nel mutamento discontinuo della funzione di probabilit à. Entro quali limiti, allora , siamo pervenuti ad una descrizione oggettiva del mondo, in special modo del mondo atomico ? La fisica classica partiva dalla convinzione - o si direbbe me¬ glio dall’illusione ? - che noi potessimo descrivere il mondo, o almeno delle parti di esso, senza alcun riferimento a noi stessi. Questo entro ampi limiti è realmente possibile. Noi sappia ¬ mo che la città di Roma esiste sia che la vediamo sia che non la vediamo. Si potrebbe anzi affermare che la fisica classica è proprio quella idealizzazione in cui noi parliamo delle varie parti del mondo senza far riferimento a noi stessi. I successi da essa ottenuti han condotto all’idea generale d’una descrizione oggettiva del mondo. L 'oggettivit à è divenuta il primo crite¬ rio di valutazione di qualsiasi risultato scientifico. L’interpre¬ tazione di Copenaghen della teoria dei quanta è ancora d’ac cordo con questo ideale ? Si può forse dire che la teoria dei ¬

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quanta corrisponde a questo

ideale nel modo più ampio possi¬ bile. Indubbiamente la teoria dei quanta non contiene dei veri e propri tratti soggettivi, non introduce la mente del fisico co me parte dell evento atomico. Ma essa parte dalla divisione del mondo in «oggetto» e resto del mondo, e dal fatto che alme¬ no per il resto del mondo ci serviamo dei concetti classici per la nostra descrizione. È una divisione arbitraria e storicamen ¬ te una diretta conseguenza del nostro metodo scientifico; l uso dei concetti classici è infine una conseguenza del modo gene ¬ rale di pensare degli uomini. Ma ciò implica già un riferi¬ mento a noi stessi e quindi la nostra descrizione non è com ¬ pletamente obbiettiva. È stato affermato all’inizio che l’interpretazione di Copenaghen della teoria dei quanta parte da un paradosso. Parte dal fatto che noi descriviamo i nostri esperimenti nei termini della fi¬ sica classica e nello stesso tempo dalla consapevolezza che essi non si accordano perfettamente con la natura . La tensione tra questi due punti di partenza è la radice del carattere statistico della teoria dei quanta. Perciò, è stato qualche volta suggerito di allontanarsi completamente dai concetti classici e che un cambiamento radicale nei concetti usati per descrivere gli espe¬ rimenti potrebbe forse ricondurre ad una descrizione della na¬ tura non statistica ma completamente obbiettiva. Il suggerimento, tuttavia, poggia su un malinteso. I concetti della fisica classica non sono altro che un raffinamento dei con ¬ cetti della vita quotidiana e sono parte essenziale del linguag gio che forma la base di ogni scienza naturale. Nella scienza la nostra situazione effettiva è tale che noi non possiamo non far uso dei concetti classici per la descrizione degli esperimenti, ed il problema della teoria dei quanta è stato di trovare un’in¬

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terpretazione teoretica degli esperimenti su tale base. Non serve a nulla discutere ciò che si potrebbe fare se noi fossimo esseri diversi da quello che siamo. Dobbiamo perciò metterci in testa , come ha detto von Weizsàcker , che « la natura è prima delPuomo , ma l uomo è prima della scienza naturale » . La pri¬ ma parte dell aforisma giustifica la fisica classica , con il suo ideale di completa oggettivit à . La seconda parte ci dice perché non possiamo sfuggire al paradosso della teoria dei quanta , cioè alla necessit à di servirci dei concetti classici. Dobbiamo aggiungere alcuni commenti sul reale procedimento dell’interpretazione quantica degli eventi atomici. È stato det ¬ to che noi partiamo sempre da una divisione del mondo in un oggetto , che ci accingiamo a studiare, e del resto del mondo, e che questa divisione è in certa misura arbitraria. Non do¬ vrebbe invero fare alcuna differenza per l’obbiettivo finale se noi , per esempio, aggiungiamo qualche parte del dispositivo di misurazione o il dispositivo intero all’oggetto ed applichiamo le leggi della teoria dei quanta a questo oggetto pi ù complicato. Si potrebbe mostrare come tale alterazione del trattamento teoretico non altererebbe le previsioni concernenti un dato esperimento. Ciò deriva matematicamente dal fatto che le leggi della teoria dei quanta valgono per quei fenomeni nei quali la costante di Planck può essere considerata come una quanti t à piccolissima , approssimativamente identica alle leggi clas ¬ siche. Ma sarebbe un errore credere che codesta applicazione delle leggi teoretiche quantiche al dispositivo di misurazione possa servire ad evitare il paradosso fondamentale della teoria ¬

dei quanta. Il dispositivo di misura merita questo nome soltanto se è in 71

stretto contatto con il resto del mondo , se c è interazione fra il dispositivo e l osservatore. Perciò, l’indeterminazione rispetto al comportamento microscopico del mondo entrerà nel sistema teoretico quantico proprio allo stesso modo che nella prima interpretazione. Se il dispositivo di misura fosse isolato dal resto del mondo, non sarebbe né un dispositivo di misura né potrebbe essere affatto descritto nei termini della f ìsica clas¬ sica. Riferendosi a questa situazione Bohr ha sottolineato che è piu realistico affermare che la divisione fra oggetto e resto del mondo non è arbitraria . La situazione effettiva nel lavoro di ricerca nella fìsica atomica è generalmente questa: noi deside¬ riamo comprendere un certo fenomeno, desideriamo intendere come questo proceda dalle leggi generali della natura . Perciò, quella parte di materia o di radiazione che prende parte al feno¬ meno è l « oggetto » naturale della investigazione teorica e do¬ vrebbe perciò essere separato dagli strumenti usati per studiare il fenomeno. Ciò dà nuovamente rilievo all’elemento sogget tivo nella descrizione degli eventi atomici, poiché il dispositi¬ vo di misura è stato costruito dall’osservatore, e noi dobbia ¬ mo ricordare che ciò che osserviamo non è la natura in se stessa ma la natura esposta ai nostri metodi d ’indagine. Nel¬ la f ìsica il nostro lavoro scientifico consiste nel porre delle do¬ mande sulla natura, nel linguaggio che noi possediamo e nel cercare di ottenere una risposta dall’esperimento con i mezzi che sono a nostra disposizione. In tal modo la teoria dei quan ta ci ricorda , come ha detto Bohr, la vecchia saggezza per cui, nella ricerca dell’armonia nella vita , non dobbiamo dimenti¬ carci che nel dramma dell’esistenza siamo insieme attori e ¬

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spettatori. È comprensibile che nelle nostre relazioni scienti¬ fiche con la natura la nostra attività assuma grandissima im ¬ portanza quando abbiamo a che fare con parti della natura nelle quali possiamo penetrare soltanto servendoci degli stru¬ menti più elaborati .

La teoria dei quanta e le origini della scienza atomica

Il concetto di atomo risale a molto prima che avesse inizio la scienza moderna nel diciassettesimo secolo: ha avuto origine nell antica filosofia greca e fu in quel primo periodo il concet ¬ to basilare del materialismo insegnato da Leucippo e da De¬ mocrito. D altra parte, l’interpretazione moderna dei fatti ato¬ mici ha ben scarse rassomiglianze con una filosofia genuina ¬ mente materialistica ; si pu ò dire , infatti, che la fisica atomica ha distolto la scienza dalla tendenza materialistica che questa presentò durante il diciannovesimo secolo. È perciò interes sante confrontare lo sviluppo della filosofia greca nei riguardi del concetto di atomo, con l’attuale posizione di questo con ¬

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nella fisica moderna . L’idea di piccolissimi , indivisibili , ultimi blocchi da costruzione della materia si presentò dapprima in connessione con l’elabo razione dei concetti di materia , essere e divenire, che con-

cetto

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traddistinsero la prima epoca della filosofia greca. Questo pe¬ riodo cominciò nel sesto secolo a . C. con Talete, il fondatore della scuola di Mileto, a cui Aristotele attribuisce l afferma¬ zione: « L’acqua è la causa materiale di tutte le cose.» Questa affermazione, per strana che possa apparirci, esprime, come Nietzsche ha messo in rilievo, tre fondamentali idee filoso¬ fiche. Primo, l’esistenza di un problema circa la causa mate¬ riale di tutte le cose ; secondo, l’esigenza che a questa domanda si debba rispondere in conformit à alla ragione, senza ricorso ai miti, o al misticismo; terzo, il postulato che in definitiva sia possibile ridurre ogni cosa ad un principio unico. L’affer¬ mazione di Talete era la prima formulazione dell’idea d’una sostanza fondamentale, di cui tutte le altre cose fossero forme transitorie. La parola « sostanza » non era certamente interpreta¬ ta in quel tempo nel senso puramente materiale che noi le at ¬ tribuiamo spesso oggi. A questa sostanza era connessa o ine¬ rente la vita ed Aristotele attribuisce a Talete anche l’affer¬ mazione che tutte le cose sono piene di dèi. Tuttavia la que¬ stione sulla causa materiale di tutte le cose era stata posta e non è difficile immaginare che Talete traesse la sua concezione soprattutto da considerazioni meteorologiche. Di tutte le cose che noi conosciamo l’acqua può assumere le forme più varie; può in inverno prender la forma del ghiaccio e della neve, può mutarsi in vapore che può dar vita alle nubi. Sembra tra ¬ sformarsi in terra dove i fiumi formano il loro delta, e può scaturire dalla terra. L’acqua è la condizione della vita. Perciò, se una sostanza fondamentale esisteva , era naturale pensare prima di tutto all’acqua. L’idea della sostanza fondamentale venne poi sviluppata da Anassimandro, che fu scolaro di Talete e visse nella stessa 75

città. Anassimandro negò che la sostanza fondamentale fosse l acqua o qualsiasi altra delle sostanze conosciute. Insegnò che la sostanza era infinita , eterna , incorruttibile e che conteneva il mondo. Questa sostanza primaria si trasforma nelle varie so¬ stanze che ci sono familiari. Teofrasto cita da Anassimandro : « In ciò, d ’onde deriva la generazione degli esseri, si compie anche la loro dissoluzione, secondo una legge necessaria ; poi¬ ché essi si debbono l’uno all’altro riparazione e debbono scon ¬ tare la propria ingiustizia nell’ordine del tempo.» In questa filosofia svolge una parte fondamentale l’antitesi di essere e di¬ venire. La sostanza primaria , infinita ed eterna , l’Essere in ¬ differenziato degenera nelle varie forme che portano ad inter ¬ minabili lotte. Il processo del divenire è considerato come una specie di degradazione dell’Essere infinito, una disintegrazio¬ ne nella lotta , finalmente espiata con un ritorno a ciò che è senza forma e senza carattere. La lotta di cui qui si parla è l’opposizione fra il caldo e il freddo, il fuoco e l’acqua , l’u ¬ mido e l’asciutto ecc. La temporanea vittoria dell’uno opposto sull’altro è l’ingiustizia per cui essi alla fine rendono ripara ¬ zione nella successione del tempo. Secondo Anassimandro, c’è un « moto eterno» , la creazione e la scomparsa di mondi dal¬ l’infinito. Può essere importante rilevare a questo punto che il proble¬ ma - se la sostanza primaria deve essere una delle sostanze conosciute o qualche cosa di essenzialmente diverso - ritorna in una forma alquanto diversa nella parte piu moderna della fisica atomica . I fisici cercano oggi di trovare per la materia una legge fondamentale del movimento da cui possano deri¬ varsi matematicamente tutte le particelle elementari e le loro proprietà. Questa fondamentale equazione del movimento può 76

riferirsi o alle onde di un tipo noto, onde dei protoni e dei mesoni, o ad onde d un carattere essenzialmente diverso che nulla hanno a che fare con qualsivoglia delle onde note o delle particelle elementari. Nel primo caso ciò significherebbe che tutte le altre particelle elementari possono esser ridotte in qual¬ che modo a pochi tipi di particelle elementari «fondamentali ». Effettivamente i fisici teoretici hanno durante i due ultimi de¬ cenni seguito principalmente questa linea di ricerche. Nel secondo caso tutte le diverse particelle elementari potreb¬ bero essere ridotte a una certa sostanza universale che può essere chiamata energia o materia , ma nessuna delle diverse particelle potrebbe essere preferita alle altre in quanto più del¬ le altre fondamentale. Questa seconda concezione corrisponde alla dottrina di Anassimandro ed io sono convinto che nella fi¬ sica moderna è la concezione corretta . Ma ritorniamo alla filo¬ sofia greca. Il terzo dei filosofi milesii , Anassimene, un compagno di Anas¬ simandro, insegnò che l aria è la sostanza primaria. « Proprio come l anima nostra , essendo aria, ci tiene insieme, cosi il soffio vitale e l’aria compenetrano il mondo intero. » Anassime¬ ne introdusse nella filosofia milesia l’idea che il cambiamento della sostanza primaria nelle altre sostanze è causato da un processo di condensazione e rarefazione. La condensazione dei vapori d’acqua in nubi costituiva un esempio ovvio, e natu ¬ ralmente la differenza fra vapore acqueo ed aria non era co¬ nosciuta a quel tempo. Nella filosofia di Eraclito da Efeso il concetto del divenire oc¬ cupa il posto principale. Egli considerò il fuoco, l’elemento mo¬ bile per eccellenza , come la sostanza base. La difficoltà di con¬ ciliare l’idea d’un principio fondamentale con l’infinita varietà il

dei fenomeni, è risolta da lui ammettendo che il conflitto degli opposti è in realt à un tipo di armonia . Per Eraclito il mondo è al tempo stesso uno e molti, ed è proprio la « tensione degli opposti » che costituisce l unità dell’ Uno. Egli dice : « Bisogna sapere che la guerra è comunanza , e che lotta è il diritto, e che per via di lotta tutte le cose si generano e si distrug gono. » Riconsiderando lo sviluppo della filosofìa greca fino a questo punto si capisce com’esso sia stato prodotto dalla tensione fra l’Uno e i Molti. Per i nostri sensi il mondo consiste di un’in ¬ finita varietà di cose e di eventi, di colori e di suoni. Ma per intenderlo dobbiamo introdurre un qualche tipo di ordine, e l’ordine significa riconoscere ciò che è uguale, significa am ¬ mettere una certa unit à . Da ciò scaturisce la convinzione che c’è un principio fondamentale , e allo stesso tempo la difficoltà di derivare da esso l’infinita variet à delle cose. Che ci dovesse essere una causa materiale di tutte le cose era un punto di par ¬ tenza naturale dato che il mondo consiste di materia. Ma se si portava all’estremo l’idea dell’unità fondamentale, si giun¬ geva a quell’Essere infinito, eterno, indifferenziato che, sia in ¬ teso materialmente o meno , non può di per sé spiegare l’infini¬ ta varietà delle cose. Ciò conduce all’antitesi di essere e di di¬ venire ed infine alla soluzione di Eraclito, che il principio fon ¬ damentale sia il mutamento stesso: il « cangiamento imperituro che rinnova il mondo», come lo ha chiamato il poeta. Ma di per sé il cangiamento non è una causa materiale e perciò esso viene rappresentato nella filosofia di Eraclito dal fuoco, con ¬ siderato come elemento base, materia e forza motrice ad un ¬

tempo.

Possiamo notare a questo punto che la fisica moderna è in 78

qualche modo assai vicina alle dottrine di Eraclito. Se sosti tuiamo la parola «fuoco » con la parola « energia » possiamo quasi ripetere le sue affermazioni parola per parola dal nostro moderno punto di vista . L energia è difatti la sostanza di cui sono fatte tutte le particelle elementari , tutti gli atomi e per¬ ciò tutte le cose, ed energia è ciò che muove. L’energia è una sostanza giacché la sua somma totale non cambia , e giacché le particelle elementari possono effettivamente esser costituite da questa sostanza come si può vedere in molti esperimenti sulla produzione di particelle elementari. L’energia si può mutare in moto, in calore, in luce ed in tensione. Energia può essere chiamata la causa fondamentale di ogni cambiamento nel mon ¬ do. Ma questo confronto fra la filosofia greca e le idee della scienza moderna verrà discusso piu tardi. La filosofia greca ritornò per qualche tempo al concetto del¬ l’Uno ad opera di Parmenide, che visse in Elea , nell’ Italia me¬ ridionale, ma il cui piu importante contributo al pensiero gre¬ co sta forse nel fatto di aver introdotto nella metafisica un argomento puramente logico . « Il non-essere non puoi né co¬ noscerlo ( ché non è raggiungibile ) né esprimerlo; poiché la stessa cosa è pensare ed essere. » Perciò, soltanto l’Uno è, e non c’è divenire o mutamento. Parmenide negò per ragioni lo¬ giche l’esistenza dello spazio vuoto. Giacché ogni cambiamen ¬ to richiede spazio vuoto, com’egli pensava , lo respinse come un’illusione. Ma la filosofia non poteva fermarsi su questo paradosso. Em ¬ pedocle, nato sulla costa meridionale della Sicilia , fu il primo a passare dal monismo al pluralismo. Per evitare la difficoltà che s’incontrava nel far derivare da un’unica sostanza l’infinita va ¬ rietà delle cose e degli eventi, egli assunse quattro elementi ¬

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fondamentali: terra, acqua , aria e fuoco. Gli elementi sono mescolati insieme dall Amore e separati dalla Contesa. Queste due forze, perciò, che in vari modi sono considerate come cor ¬ poree, a guisa degli altri quattro elementi, sono la causa del perenne mutamento. All inizio c’era la sfera infinita dell’Uno, come nella filosofia di Parmenide. Ma nella sostanza primaria erano mescolate insieme dall’Amore tutte le quattro « radici » . Poi, coll’indebolirsi dell’ Amore e l’avvento della Contesa, gli elementi furono in parte separati e in parte mescolati. Dopo di che gli elementi si separano completamente e l’Amore è estromesso dal mondo. Infine, l’Amore ricomincia a mescolare insieme gli elementi e la Contesa si allontana, cosi che tornia mo alla Sfera originaria . Questa dottrina di Empedocle rappresenta una svolta ben de¬ finita verso una concezione piu materialistica nella filosofia gre¬ ca. I quattro elementi non sono tanto principi fondamentali quanto vere sostanze materiali. Qui viene per la prima volta espressa l’idea che la mescolanza e la separazione di poche so¬ stanze , fondamentalmente diverse , spiega l’infinita variet à delle cose e degli eventi. Il pluralismo non si adatta a quelli che so¬ no inclini a pensare per principi fondamentali. Ma è un ragio nevole compromesso, che evita la difficoltà del monismo e per mette lo stabilirsi d’un certo ordine. Il passo successivo verso il concetto di atomo venne fatto da Anassagora , che fu un contemporaneo di Empedocle. Visse in Atene per circa trent ’anni , probabilmente nella prima me t à del quinto secolo a . C. Anassagora accentua l’idea della me¬ scolanza , il presupposto che ogni cambiamento è prodotto dal la mescolanza e dalla separazione. Assume una variet à infinita di « semi » infinitamente piccoli, di cui sono composte tutte le ¬

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cose. I semi non si rifanno ai quattro elementi di Empedocle ma appartengono a innumerevoli tipi diversi. I semi si mesco¬ lano insieme e poi si separano e in questo modo si attua ogni cambiamento. La dottrina di Anassagora permette per la pri¬ ma volta un interpretazione geometrica del termine « miscu ¬ glio» . Giacché egli parla di semi infinitamente piccoli , il loro miscuglio può essere raffigurato come un miscuglio di due tipi di sabbia di diverso colore. I semi possono cambiare per numero e per posizione relativa . Anassagora sostiene che tutti i tipi di semi si trovano in ogni cosa : solo la proporzione può mutare da una cosa all altra . Egli afferma : « Tutte le cose so ¬ no in ogni cosa ; né è possibile per esse restare da parte, ma tutte le cose hanno una porzione di ogni cosa . » L’universo di Anassagora non è posto in movimento dall’Amore e dalla Con ¬ tesa , come quello d’Empedocle, ma dal « Nous » che può ve¬ nir tradotto con « Mente » . Da questa filosofia c’è soltanto un passo al concetto di atomo e questo passo venne compiuto con Leucippo e Democrito di Abdera. L’antitesi di Essere e Non-essere è qui secolarizzata nell’antitesi di Pieno e di Vuoto. L’Essere non è soltanto Uno, ma può ripetersi un numero infinito di volte. Questo è l’a¬ tomo, la minima indivisibile unit à di materia . L’atomo è eter no e indistruttibile, ma ha una grandezza finita. Il moto è reso possibile dallo spazio vuoto che s’interpone fra gli atomi. Così per la prima volta nella storia prese espressione l’idea del l’esistenza di piccolissime particelle ultime noi diremmo par ¬ ticelle elementari - come componenti fondamentali della ma¬ teria. Secondo questo nuovo concetto dell’atomo, la materia non con ¬ sisteva soltanto di « Pieno » ma anche di « Vuoto», dello spa¬ ¬

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zio vuoto in cui gli atomi si muovono. L obiezione logica di Parmenide contro il vuoto, che il non-essere non può esistere, venne semplicemente ignorata per restar d’accordo con l’espe¬ rienza. Dal nostro punto di vista moderno noi vorremmo dire che lo spazio vuoto fra gli atomi nella filosofia di Democrito non era il nulla ; esso fu il veicolo della geometria e della ci nematica , rendendo possibili le varie sistemazioni ed i movi¬ menti degli atomi. Ma la possibilit à dello spazio vuoto è sem pre stato nella filosofia un problema controverso. Nella teoria della relatività generale si d à la risposta che la geometria è pro¬ dotta dalla materia o la materia dalla geometria . Questa rispo¬ sta corrisponde più da vicino alla concezione sostenuta da molti filosofi che lo spazio è definito dal distendersi della ma ¬ teria . Ma Democrito si allontana nettamente da questa idea , per render possibili il cambiamento e il moto. Gli atomi di Democrito erano tutti della stessa sostanza, do¬ tata della proprietà di essere, ma avevano grandezze e forme diverse. Essi vennero perciò raffigurati come divisibili in senso matematico e non in senso fisico. Gli atomi potevano muoversi e potevano occupare diverse posizioni nello spazio. Ma non avevano altre propriet à fisiche . Non avevano né colore né odo¬ re né gusto. Le propriet à della materia che percepiamo con i sensi si suppone che siano prodotte dai movimenti e dalle po¬ sizioni degli atomi nello spazio. Come con le stesse lettere del¬ l’alfabeto si possono scrivere sia una tragedia che una comme¬ dia, cosi la moltitudine degli eventi di questo mondo può ve¬ nir realizzata dagli stessi atomi attraverso diverse guise di or dinamento e di movimento. La geometria e la cinematica , rese possibili dal vuoto, si dimostrarono, in qualche modo, come ancora più importanti del puro essere. Vien riferita una cita¬

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zione di Democrito: « Pura apparenza il colore, pure apparen ze il dolce e l amaro. Solo gli atomi e lo spazio vuoto hanno una esistenza reale.» Gli atomi nella filosofia di Leucippo non si muovono soltanto per caso. Sembra che Leucippo abbia creduto in un determi¬ nismo completo giacché è noto aver egli detto: « Nessuna cosa accade senza ragione, ma tutte accadono per una ragione e di necessità . » Gli atomisti non diedero ragione del movimento originario degli atomi, il che sta proprio a mostrare che essi pensavano ad una descrizione causale del movimento atomi ¬ co ; la causalità pu ò soltanto spiegare gli eventi successivi a quelli che vengono prima, ma non può mai spiegare il prin ¬ cipio. Le idee fondamentali della teoria atomica vennero assunte e in parte modificate da altri filosofi greci in epoche successive. Ai fini d’un confronto con la moderna fisica atomica è impor tante ricordare la spiegazione della materia data da Platone nel suo dialogo Timeo . Platone non fu un atomista ; al contra rio, Diogene Laerzio ha riferito che a Platone spiaceva talmen¬ te Democrito che voleva che tutti i suoi libri fossero bruciati . Ma Platone elaborò idee che erano molto vicine all’atomismo con le dottrine della scuola pitagorica e con gli insegnamenti di Empedocle. La scuola pitagorica fu un ramo dell’Orfismo, un ritorno al culto di Dioniso. Li si stabili quella connessione fra religione e matematica che da allora esercitò sempre la sua fortissima in fluenza sul pensiero umano. Sembra che i Pitagorici siano sta ti i primi ad intendere la forza creativa inerente alle formula ¬ zioni matematiche. La loro scoperta che due corde suonano in armonia se le loro lunghezze sono in rapporto semplice dimo¬

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strò cosa possano le matematiche per l intelligenza dei fenome¬ ni naturali. Per i Pitagorici non si trattava tanto d una que¬ stione d’intendimento. Per essi il rapporto matematico sem ¬

plice tra le lunghezze delle corde creava l’armonia del suono. C’era anche nelle dottrine della scuola pitagorica molto misti¬ cismo che per noi è diff ìcile comprendere. Ma coll’assurgere della matematica a una parte della loro religione, essi tocca ¬ vano un punto essenziale nello sviluppo del pensiero umano. Posso citare sul conto di Pitagora un’affermazione di Bertrand Russell: « Non conosco alcun altr’uomo che abbia esercitato un’influenza cosi vasta nella sfera del pensiero. » Platone era a conoscenza della scoperta dei solidi regolari fat ¬ ta dai Pitagorici e della possibilità di combinarli con gli ele¬ menti di Empedocle. Egli pose in rapporto le particelle ele¬ mentari dell’elemento terra con il cubo, dell’aria con l’ottae¬ dro, del fuoco con il tetraedro e dell’acqua con l’icosaedro. Non c’è alcun elemento che corrisponda al dodecaedro; di cui Platone dice soltanto « ci fu tuttavia una quinta combinazione che Dio usò nel delineare l’universo» . Se i solidi regolari, che rappresentano i quattro elementi, pos¬ sono essere identificati con gli atomi, Platone mostrò chiara ¬ mente come essi non siano indivisibili. Platone costruisce i solidi regolari servendosi di due triangoli base , l’equilatero e l’isoscele, che sono messi assieme a formare la superficie dei solidi. Perciò gli elementi possono ( almeno in parte ) essere trasformati l’uno nell’altro. I solidi regolari possono venir ri¬ solti nei triangoli che li costituiscono e con i quali possono formarsi nuovi solidi regolari. Ad esempio, un tetraedro e due ottaedri possono essere risolti in venti triangoli equilateri, che possono essere ricombinati per formare un icosaedro. Ciò si84

gnifica: un atomo di fuoco e due atomi di aria possono essere combinati per formare un atomo d acqua. Ma i triangoli fon¬ damentali non possono essere considerati come materia giac¬ ché essi non hanno estensione spaziale. L unità di materia si crea soltanto quando i triangoli si mettono insieme per for¬ mare un solido regolare. Le piu piccole particelle di materia non sono gli Enti fondamentali , come nella filosofia di Demo¬ crito, ma sono forme matematiche. Da ciò appare evidente che la forma è piu importante della sostanza di cui essa è la for ¬ ma. Dopo questo sguardo alla storia della filosofia greca e della formazione del concetto di atomo, possiamo far ritorno alla fisica moderna e chiederci in che misura le nostre attuali con ¬ cezioni sull’atomo e la teoria dei quanta possono confrontarsi con quell’ antico movimento. Storicamente la parola « atomo» nella fisica e nella chimica moderne aveva un falso riferimento all’oggetto, durante la rinascita della scienza nel diciassettesi¬ mo secolo, giacché le particelle piu piccole appartenenti a ciò che viene chiamato un elemento chimico sono ancora sistemi piuttosto complicati di unit à più piccole. Queste più piccole unità vengono ora chiamate particelle elementari , ed è ovvio che se c’è qualche cosa nella fisica moderna che possa essere paragonata agli atomi di Democrito questo qualche cosa sono le particelle elementari come il protone, il neutrone, l’elettro¬ ne, il mesone. Democrito era ben conscio del fatto che se gli atomi dove¬ vano, col loro moto e il loro ordinamento, spiegare le qualit à della materia - colore, odore, gusto - non potevano avere essi stessi quelle proprietà . Perciò egli ha privato l’atomo di quelle qualità, e il suo atomo risulta cosi un pezzo di materia piut85

tosto astratto. Ma Democrito ha lasciato all atomo la qualità di « essere », della estensione nello spazio, della forma e del movimento. Ha lasciato codeste qualità perché sarebbe stato difficile addirittura parlare dell atomo se anche tali qualità fos¬ sero state radiate da esso. D’altra parte, questo implica che il suo concetto dell’atomo non può spiegare la geometria , l’e¬ stensione spaziale o l’esistenza , poiché non può ridurli a qual¬ che cosa di piu fondamentale. La concezione moderna della particella elementare sembra , riguardo a questo punto, più consistente e più radicale. Se ci poniamo la domanda : che co¬ sa è una particella elementare, noi diciamo , ad esempio , sem ¬ plicemente un neutrone , ma non possiamo darne una raffigu ¬ razione ben definita né spiegare che cosa esattamente inten ¬ diamo con questa parola . Possiamo usare varie raffigurazioni e descriverlo una volta come una particella , una volta come un’onda o come un complesso d’onde. Ma sappiamo che nes¬ suna di queste descrizioni è precisa . Certo, il neutrone non ha colore né odore né sapore. Sotto questo rispetto assomiglia al¬ l’atomo della filosofia greca . Ma anche le altre qualit à dell’ato¬ mo ritroviamo nella particella elementare, almeno in certa mi¬ sura. I concetti della geometria e della cinematica , come la forma o il moto nello spazio, non possono esserle applicati in modo apprezzabile. Se si vuol dare una precisa descrizione del¬ la particella elementare - e qui l’accento cade sulla parola « precisa » - l’unica cosa alla quale si può ricorrere è ima fun ¬ zione di probabilit à . Poi ci si accorge che neppure la qualit à dell’essere ( se questa può essere chiamata una «qualit à » ) ap¬ partiene a ciò che viene descritto. È una possibilità di essere, una tendenza ad essere. Perciò la particella elementare della fisica moderna è ancora più astratta dell’atomo dei Greci e pro86

prio per questa qualità appare più consistente come guida atta a spiegare il comportamento della materia. Nella filosofia di Democrito tutti gli atomi consistono della stessa sostanza , se la parola « sostanza » si può poi applicare in questo caso. Le particelle elementari della fisica moderna son dotate d una massa nello stesso senso limitato in cui posseg¬ gono le altre propriet à. Giacché massa ed energia sono, se¬ condo la teoria della relatività , concetti essenzialmente iden ¬ tici, possiamo dire che tutte le particelle elementari consistono di energia. Ciò potrebbe venire interpretato come una defini¬ zione dell energia quale sostanza prima del mondo. Essa ha infatti la propriet à essenziale implicita nel termine « sostanza » , quella di conservarsi . Perciò è stato detto più sopra che le concezioni della fisica moderna sono sotto questo aspetto mol¬ to vicine a quelle di Eraclito se si interpreta il suo fuoco co¬ me energia . Energia è infatti ciò che muove; può essere chia ¬ mata la causa primaria di ogni mutamento, e può trasformarsi in materia, in calore o in luce. La lotta fra i contrari opposti della filosofia di Eraclito può trovare il suo riscontro nella lot ¬ ta tra due diverse forme di energia . Nella filosofia di Democrito gli atomi sono eterne ed indistrut ¬ tibili unit à di materia, non possono trasformarsi gli uni negli altri. Nei riguardi di questo problema la fisica moderna pren ¬ de netta posizione contro il materialismo di Democrito e a favore di Platone e dei Pitagorici. Le particelle elementari non sono certamente eterne ed indistruttibili unità di materia , es¬ se in realt à possono trasformarsi le une nelle altre. Sta di fatto che, se due di tali particelle, muovendosi per lo spazio con al¬ tissima energia cinetica , si urtano, molte nuove particelle di materia possono prender vita dall energia disponibile mentre 87

le vecchie scompaiono in seguito all urto. Fatti del genere so¬ no stati osservati frequentemente ed offrono la riprova mi¬ gliore che tutte le particelle sono fatte della stessa sostanza, l energia. Ma la rassomiglianza delle concezioni moderne con quelle di Platone e dei Pitagorici può essere portata anche più oltre. Le particelle elementari del Timeo di Platone non sono, in fondo, sostanza ma forme matematiche. « Tutte le cose sono numeri » è una proposizione attribuita a Pitagora. Le sole forme matematiche disponibili a quel tempo erano le forme geometriche dei solidi regolari o i triangoli che formano la loro superficie. Anche nella moderna teoria dei quanta si troverà senza dubbio che le particelle elementari sono in definitiva del¬ le forme matematiche, ma di natura molto più complicata . I filosofi greci pensavano a delle forme statiche e le trovavano nei solidi regolari. La scienza moderna , invece, fin dai suoi principi nel sedicesimo e diciassettesimo secolo è partita dal problema dinamico. L’elemento costante della fisica dai tempi di Newton non è una configurazione o una forma geometrica, ma una legge dinamica. L’equazione del movimento è valida in tutti i tempi , è in questo senso eterna mentre le forme geome¬ triche, come le orbite, sono cangianti. Perciò, le forme mate¬ matiche che rappresentano le particelle elementari saranno le soluzioni di alcune leggi eterne del moto della materia. In real¬ tà questo è un problema che non è stato tuttavia risolto. La legge fondamentale che regge il movimento della materia non è ancora conosciuta e perciò è impossibile derivare matemati ¬ camente le propriet à delle particelle elementari da tale legge. Però la fisica teoretica allo stato attuale non sembra essere molto lontana da codesta meta e possiamo per lo meno dire qual tipo di legge siamo in diritto di aspettarci. L’equazione 88

finale del movimento per la materia sarà probabilmente un e¬ quazione d’onda non lineare quantizzata per un campo d’onda di operatori, rappresentante semplicemente la materia e non qualche tipo determinato di onde o di particelle. Questa equa¬ zione ondulatoria sarà probabilmente equivalente a serie piut¬ tosto complicate di equazioni integrali, che hanno degli « auto¬ valori » e delle « autosoluzioni » , come dicono i fisici. Queste autosoluzioni rappresenteranno infine le particelle elementari ; esse sono le forme matematiche che devono sostituire i solidi regolari dei Pitagorici. Potremmo qui ricordare che queste « autosoluzioni » deriveranno dalla equazione fondamentale per la materia secondo l’identico processo matematico per cui le vibrazioni armoniche della corda pitagorica derivano dall’equa¬ zione differenziale della corda. Ma , come si è detto, questi pro¬ blemi non sono ancora risolti. Se seguiamo la linea pitagorica di pensiero possiamo sperare che la legge fondamentale del movimento si risolva in una legge matematicamente semplice anche se la sua valutazione rispetto agli « autostati » possa essere molto complicata . È dif ¬ ficile fornire un qualche argomento a favore di questa speran¬ za di semplicit à , tranne il fatto che è sempre stato fin qui pos¬ sibile scrivere le equazioni fondamentali della fisica in forme matematiche semplici. Questo fatto è in accordo con la reli¬ gione dei Pitagorici, e molti fisici a questo riguardo condivi¬ dono la loro fede, ma nessun argomento convincente è stato addotto per dimostrare che la cosa deve essere cosi. A questo punto possiamo aggiungere un argomento concer ¬ nente una domanda che viene spesso fatta dai profani circa il di particella elementare nella fisica moderna : perché i fisici pretendono che le loro particelle elementari non pos-

concetto

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sano essere divise in pezzetti piu piccoli ? La risposta a questa domanda mostra chiaramente quanto sia piu astratta la scienza moderna confrontata con il pensiero greco. L argomento può svolgersi cosi : come potrebbe venir divisa una particella ele¬ mentare ? Certo, solo servendosi di forze estreme e di strumen ¬ ti affinatissimi . Gli unici strumenti disponibili sono delle altre particelle elementari. Quindi , degli urti fra particelle elemen ¬ tari ad altissima energia costituirebbero l unico sistema con cui potrebbero eventualmente dividersi le particelle. Effettivamen te esse possono con tali procedimenti essere divise e qualche volta in un numero grandissimo di frammenti ; ma i frammenti sono di nuovo particelle elementari e non pezzi piu piccoli di queste, risultando le masse di codesti frammenti dall’elevatis sima energia cinetica delle due particelle in collisione. In altre parole , la trasformazione di energia in materia rende possibile che i frammenti delle particelle elementari siano di nuovo le stesse particelle elementari. Dopo questo confronto delle concezioni della moderna fisica atomica con la filosofia greca , dobbiamo aggiungere di non fraintendere il confronto stesso. Può sembrare a prima vista che i filosofi greci siano pervenuti, per non so quale geniale intuizione, alle stesse conclusioni o a conclusioni molto simili a quelle che noi abbiamo raggiunto ai nostri tempi soltanto do po molti secoli di duro lavoro sperimentale e matematico . Una tale interpretazione del raffronto fatto da noi significhe rebbe un’assoluta incomprensione . C’è un’enorme differenza fra la scienza moderna e la filosofia greca ed essa consiste pro prio nell’atteggiamento empiristico della scienza moderna. Dal tempo di Galilei e di Newton , la scienza moderna si è basata su uno studio particolareggiato della natura e sul postulato ¬

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che possono farsi solo quelle asserzioni che sono state verifi¬ almeno possono essere verificate dall esperienza. L idea che degli eventi naturali potessero venir individuati per mezzo d’un esperimento, per studiarne i particolari e scoprire la legge costante del mutamento continuo, non venne mai in mente ai filosofi greci. Perciò la scienza moderna ha poggiato fin dal suo inizio su una base molto più modesta ma allo stesso tempo molto più solida di quella della filosofia greca . Quan ¬ do Platone afferma, ad esempio, che le più piccole particelle di fuoco sono tetraedri, non è per niente facile capire ciò che egli vuol realmente significare. Codesta forma del tetraedro è solo simbolicamente attinente all’elemento fuoco, oppure le più piccole particelle di fuoco si comportano meccanicamente come tetraedri rigidi od elastici ? E quale sarebbe la forza che li potrebbe separare in triangoli equilateri ecc.? La scienza moderna finirebbe sempre col chiedere : come si può stabilire sperimentalmente che gli atomi del fuoco sono tetraedri e non per esempio dei cubi ? Perciò quando la scienza moderna af ¬ ferma che il protone rappresenta una certa soluzione di una equazione fondamentale della materia , essa vuol dire che noi possiamo da questa soluzione dedurre matematicamente tutte le possibili proprietà del protone e può controllare l’esattezza della soluzione con esperimenti che investono fin l’ultimo par¬ ticolare. Questa possibilità di controllare la correttezza d’un’af fermazione sperimentalmente con altissima precisione ed in tutti i particolari che si desiderano, dà un enorme peso al¬ le asserzioni della scienza moderna, peso che non sempre si potrebbe attribuire alle asserzioni della più antica filosofia cate o che

greca.

Ciononostante, alcune determinazioni della filosofia antica sono 91

abbastanza vicine a quelle della scienza moderna . Il che mo¬ lontano si possa arrivare combinan ¬ do l esperienza ordinaria della natura , che noi abbiamo senza ricorrere ad esperimenti, con l instancabile intento di porre un certo ordine logico in codesta esperienza per intenderla in base a dei principi generali.

stra semplicemente quanto

Evoluzione delle idee filosofiche dopo Descartes in riferimento alla nuova situazione determinatasi in seguito alla teoria dei quanta

Nei duemila anni che seguirono l apice della scienza e della cultura greca nel quinto e nel quarto secolo a. C., la mente umana fu in larga misura occupata da problemi di tipo diverso da quelli del periodo ellenico. Nei primi secoli della civiltà greca l impulso piu forte era venuto dall’immediata realt à del mondo in cui viviamo e che percepiamo coi nostri sensi. Era una realtà piena di vita e non c’era alcuna buona ragione per accentuare la distinzione fra materia e spirito o fra corpo e anima. Ma nella filosofia di Platone si vede già che un’altra realt à comincia a farsi piu forte. Nella famosa similitudine del¬ la caverna Platone paragona gli uomini a dei prigionieri in una caverna , legati, e con la possibilit à di guardare in una sola di¬ rezione. Alle loro spalle c’è un fuoco ed essi vedono sul fondo della caverna le ombre dei loro corpi e degli oggetti che sono dietro a loro. Poiché non vedono altro che le ombre, essi con93

siderano quelle ombre come reali e non sanno dell esistenza degli oggetti. Finalmente uno dei prigionieri scappa ed esce dalla caverna alla luce del sole. Per la prima volta vede delle cose reali e si rende conto che fin li è stato ingannato dalle om ¬ bre. Per la prima volta conosce la verit à e pensa con dolore alla sua lunga vita passata fra le tenebre. Il vero filosofo è il prigioniero che dalla caverna è salito alla luce della verità, è quello che possiede la vera conoscenza . Questo rapporto imme¬ diato con la verit à o, in senso cristiano, con Dio è la nuova realtà che va facendosi più forte della realtà del mondo perce¬ pito dai sensi. Il contatto immediato con Dio avviene nell a¬ nima umana e non nel mondo e fu questo il problema che più d’ogni altro occupò la mente umana nei due millenni dopo Platone. In questo periodo gli occhi del filosofi furono diret¬ ti verso l’anima umana e i suoi rapporti con Dio, ai problemi della morale e all’interpretazione della Rivelazione, non verso il mondo esterno. Fu soltanto all’epoca del Rinascimento ita ¬ liano che si potè di nuovo osservare una grande trasformazione nella mente umana , che si risolse infine in un ravvivamento dell’interesse per la natura. Il grande sviluppo della scienza della natura a cominciare dal sedicesimo e dal diciassettesimo secolo fu preceduto ed accom¬ pagnato da uno sviluppo di idee filosofiche strettamente con ¬ nesse con i concetti fondamentali della scienza . Può essere perciò utile esaminare queste idee dalla posizione che la scien ¬ za moderna ha raggiunto ai tempi nostri. Il primo grande filosofo di questo periodo di ripresa della scienza fu René Descartes che visse nella prima metà del di¬ ciassettesimo secolo. Le sue idee più importanti per lo svilup¬ po del pensiero scientifico sono contenute nel suo Discorso del 94

metodo . Basandosi sul dubbio e sul ragionamento logico egli si sforza di trovare un fondamento completamente nuovo e assolutamente consistente per un sistema filosofico. Non ac¬ cetta come base la rivelazione e si rifiuta di accettare acritica¬ mente quanto percepito dai sensi. Cosi comincia col suo me¬ todo del dubbio. Investe col suo dubbio ciò che i nostri sensi ci dicono, i risultati del nostro ragionamento e perviene infi¬ ne alla sua famosa affermazione: « cogito ergo sum » . Non pos¬ so dubitare della mia esistenza giacché essa è conseguenza del fatto che sto pensando. Dopo aver stabilito in questo modo l esistenza dell Io egli passa a provare l’esistenza di Dio essen ¬ zialmente secondo le linee della filosofia scolastica . L’esistenza del mondo deriva infine dal fatto che Dio mi ha dato una for ¬ te inclinazione a credere nell’esistenza del mondo ed è sem ¬ plicemente impossibile che Dio abbia voluto ingannarmi. Questa base della filosofia di Descartes è radicalmente diversa da quella degli antichi filosofi greci . Qui il punto di partenza non è un principio o una sostanza fondamentale ma il tentati ¬ vo di scoprire una conoscenza fondamentale. E Descartes in tende che ciò che noi conosciamo del nostro intelletto è piu certo di ciò che noi conosciamo del mondo esterno. Ma già il suo punto di partenza con il « triangolo » Dio-Mondo- Io sem ¬ plifica in modo pericoloso le basi per ogni ragionamento ul¬ teriore. La divisione fra spirito e materia o fra anima e corpo, che aveva avuto inizio nella filosofia di Platone, è ora com ¬ pleta. Dio è separato sia dall’ Io che dal mondo. Dio in realtà è talmente innalzato sopra il mondo e sopra gli uomini che finisce con l’apparire nella filosofia di Descartes soltanto come un punto comune di riferimento che stabilisce la relazione fra l’ Io e il mondo. ¬

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Mentre l antica filosofia greca aveva tentato di trovare un or¬ dine nell infinita variet à delle cose e degli eventi col ricercare un qualche principio unificatore fondamentale, Descartes cerca di stabilire l’ordine attraverso alcune suddivisioni fondamen ¬ tali. Ma le tre parti che risultano dalla spartizione perdono qualche cosa della loro essenza quando ciascuna di esse è con ¬ siderata separatamente dalle altre due. Se ci si serve fino in fondo dei concetti fondamentali di Descartes, è essenziale che Dio sia nel mondo e nell’Io ed è anche essenziale che l’Io non possa essere realmente separato dal mondo. Naturalmente Des¬ cartes conosceva la necessità indiscutibile di questa connes¬ sione, ma la filosofia e la scienza naturale si svilupparono nel periodo seguente sulla base della polarità fra « res cogitans » e « res extensa » , e la scienza naturale concentrò il suo interesse sulla « res extensa » . È difficile sopravvalutare l’influenza del dualismo cartesiano nei secoli seguenti , ma è proprio questo dualismo che noi dovremo criticare più in là dal punto di vista della fisica del nostro tempo. Sarebbe certamente errato affermare che Descartes, col suo nuovo metodo filosofico, abbia impresso una nuova direzione al pensiero umano. Ciò che egli fece realmente fu di formulare per la prima volta un orientamento del pensiero umano che era già apparso durante il Rinascimento in Italia e nella Ri¬ forma. Ne segui una ripresa d’interesse per la matematica che si espresse nella crescente influenza di elementi platonici sulla filosofia , e un notevole interessamento per la religione perso nale. Il crescente interesse per la matematica favori un sistema filosofico che prendeva lo spunto dal ragionamento logico e cercava con questo metodo di arrivare a delle verità che posse ¬ dessero gli stessi caratteri di certezza delle conclusioni dell' ¬

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matematica. L insistenza sulla religione personale separò l Io e la sua relazione con Dio dal mondo. L’interesse per la com ¬ binazione di conoscenza empirica e di matematica quale ap pare nell’opera di Galileo, fu forse in parte dovuto alla possi¬ bilità di pervenire in questo modo a delle cognizioni che pote¬ vano essere tenute completamente fuori dalle dispute teologi¬ che sorte con la Riforma . Tale conoscenza empirica poteva venir formulata senza parlar di Dio o di noi stessi e favori la separazione dei tre concetti fondamentali Dio-Mondo-Io e la separazione fra « res cogitans » e « res extensa » . In questo pe¬ riodo ci fu in alcuni casi un esplicito accordo fra i pionieri del¬ la scienza empirica affinché nelle loro discussioni non venis se menzionato il nome di Dio e non si parlasse d ’ una causa prima . D’altra parte, le difficoltà della separazione apparvero fin dal principio. Nella distinzione, ad esempio, fra la « res cogitans » e la « res extensa » Descartes fu obbligato a porre gli animali in ¬ teramente dalla parte della « res extensa ». Piante ed animali non erano perciò essenzialmente diversi da delle macchine e il loro comportamento era completamente determinato da cause materiali. Ma è sempre apparso difficile negare completamente l’esistenza d’un qualche tipo di anima negli animali , ed a noi sembra che il piu vecchio concetto di anima, ad esempio, che troviamo nella filosofia di Tommaso d’Aquino fosse piu na¬ turale e meno forzato che il concetto cartesiano della « res co¬ gitans », pur essendo convinti che le leggi della fisica e della chimica siano pienamente valide negli organismi viventi. Una delle più gravi conseguenze di questa concezione di Descartes era che, se gli animali venivano considerati semplicemente co¬ me macchine, era difficile non pensare lo stesso degli uomini. ¬

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Giacché, d altra parte, la « res cogitans » e la « res extensa » eran considerate come assolutamente diverse nella loro essen¬ za, non appariva possibile che esse potessero agire l una sul¬ l altra. Perciò, allo scopo di salvaguardare il completo paral¬ lelismo fra le esperienze mentali e quelle fisiche, anche la men ¬ te doveva essere nella sua attivit à completamente determinata da leggi che corrispondevano alle leggi della fisica e della chi¬ mica. E qui nasceva il problema circa la possibilità del libero ar ¬ bitrio. Tutto questo sistema appare alquanto superficiale e ri¬ vela i grandi difetti del dualismo cartesiano. D’altra parte nella scienza questo dualismo ebbe per vari secoli pieno successo. La meccanica di Newton e tutte le altre parti della fisica classica sviluppatesi su quel modello, partivano dal presupposto che si possa descrivere il mondo senza parlare di Dio e di noi. Questa possibilit à apparve quasi subito, anzi, come la condizione necessaria della scienza della natura in ge¬

nerale. Ma a questo punto la situazione si modificò notevolmente in seguito alla teoria dei quanta e possiamo perciò venire ora ad un confronto fra il sistema filosofico cartesiano e la situazione presente della fisica moderna . È stato prima sottolineato che nell’interpretazione di Copenaghen della teoria dei quanta noi possiamo in realtà procedere senza menzionare noi stessi co¬ me individui , ma non possiamo trascurare il fatto che la scien ¬ za naturale è formata da uomini. La scienza naturale non de¬ scrive e spiega semplicemente la natura ; essa è una parte del¬ l’azione reciproca fra noi e la natura; descrive la natura in rapporto ai sistemi usati da noi per interrogarla . È qualcosa, questo, cui Descartes poteva non aver pensato, ma che rende impossibile una netta separazione fra il mondo e l’ Io. 98

Se si pensa alle gravi difficolt à che anche eminenti scienziati, come Einstein, incontrarono per intendere ed accettare l inter¬ pretazione di Copenaghen della teoria dei quanta , esse si pos¬ sono far risalire alla divisione cartesiana di materia e spirito. Tale divisione è penetrata profondamente nella mente umana durante i tre secoli che seguono Descartes e ci vorrà molto tempo perché possa esser sostituita da un atteggiamento vera ¬ mente diverso nei riguardi del problema della realtà. La posizione cui aveva condotto la partizione cartesiana ri¬ guardo alla « res extensa » può venire denominata realismo me¬ taf ìsico. Il mondo, vale a dire il complesso delle cose estese, « esiste ». Ciò va distinto dal realismo pratico , e le diverse for¬ me di realismo possono venir descritte nel modo seguente: noi « oggettiviamo » un affermazione se pretendiamo che il suo con¬ tenuto non dipenda dalla condizione sotto la quale essa può esser verificata. Il realismo pratico sostiene che ci sono delle affermazioni che possono essere oggettivate e che in effetti la massima parte della nostra esperienza della vita d’ogni giorno consiste di tali affermazioni. Il realismo dogmatico pretende che non ci siano asserzioni riguardanti il mondo materiale che non possano essere oggettivate. Il realismo pratico è sempre stato e sarà sempre parte essenziale della scienza della natu ¬ ra . Il realismo dogmatico, invece, non è, come vediamo ora , una condizione necessaria per la scienza naturale. Ma esso nel passato ha svolto un ruolo molto importante nello sviluppo della scienza ; in realt à la posizione della fisica classica è quella del realismo dogmatico. È soltanto per mezzo della teoria dei quanta che abbiamo imparato come una scienza esatta sia pos¬ sibile senza la base del realismo dogmatico. Quando Einstein ha criticato la teoria dei quanta egli lo ha fatto sulla base del 99

realismo dogmatico. Si tratta di un atteggiamento naturalissi¬ mo. Ogni scienziato che compie opera di ricerca sente di es¬ sere alla ricerca di qualche cosa di oggettivamente vero. Le sue affermazioni non sembrano dover dipendere dalle condi ¬ zioni in base alle quali possono essere verificate. Specialmente in fisica , il fatto che noi possiamo spiegare la natura per mez¬ zo di semplici leggi matematiche ci dice che abbiamo a che fare con dei caratteri genuini della realtà , e non con qualche cosa che abbiamo - in qualsiasi significato del termine - in ¬ ventato noi stessi. Questa è la situazione che Einstein aveva in mente quando assunse il realismo dogmatico come base per la scienza della natura . Ma proprio la teoria dei quanta è un esempio della possibilità di spiegare la natura per mezzo di semplici leggi matematiche senza dover poggiare su quella base. Pu ò essere che queste leggi non appaiano propriamente semplici se paragonate a quelle della meccanica newtoniana . Ma tenendo conto della complessit à enorme dei fenomeni che debbono essere spiegati ( per esempio gli spettri a righe di atomi complicati ) , lo schema matematico della teoria dei quan ¬ ta è comparativamente semplice. La scienza naturale è in effet ¬ ti possibile senza la base del realismo dogmatico. Il realismo metafisico compie ancora un passo al di là del rea ¬ lismo dogmatico affermando che « le cose esistono realmente » . Questo infatti è quel che tentò di dimostrare Descartes con l aforisma « Dio non può averci ingannato. » L affermazione che le cose esistono realmente è diversa dall’affermazione del rea ¬ lismo dogmatico in quanto in essa troviamo la parola « esi ¬ ste » , che è presente anche nell’ altra affermazione « cogito ergo sum » ... « Penso, dunque sono » . Ma è diff ìcile scorgere ciò che viene affermato a questo punto che non sia già contenuto nella 100

tesi del realismo dogmatico; e ciò ci conduce ad una critica ge nerale dell affermazione «cogito ergo sum » che Descartes con ¬ siderava il solido fondamento su cui poter costruire il suo si¬ stema. È vero difatti che questa affermazione ha la certezza d una conclusione matematica , se le parole « cogito» e « sum » sono definite nel modo usuale o, per meglio dire, con termini più accorti e nello stesso tempo critici, se le parole sono cosi definite che l affermazione ne segua . Ma ciò non ci dice nulla circa i limiti entro cui possiamo usare i concetti di « pensare » e di « essere » nel cercare la nostra strada . In definitiva , da un punto di vista generale, è sempre una questione empirica quel¬ la dei limiti nei quali i nostri concetti possono venire appli¬ ¬

cati.

La difficoltà del realismo metafisico venne subito sentita dopo Descartes e divenne il punto di partenza della filosofia em ¬ piristica , del sensismo e del positivismo. I tre filosofi che possono essere considerati come i più rap¬ presentativi della prima filosofia empiristica sono Locke , Ber ¬ keley e Hume. Locke sostiene, contrariamente a Descartes, che ogni conoscenza è in definitiva fondata sull’esperienza . L’esperienza è costituita o dalla sensazione o dalla percezione delle operazioni compiute dalla nostra mente. Conoscenza , co¬ si afferma Locke, è la percezione dell’accordo o del disac¬ cordo di due idee. Il passo successivo venne compiuto da Ber ¬ keley . Se effettivamente tutta la nostra conoscenza deriva dal¬ la percezione, risulta priva di senso l’affermazione che le cose esistono realmente ; una volta data la percezione, non può fa¬ re alcuna differenza se le cose esistono o non esistono . Perciò essere percepito equivale ad esistere. Questa linea di ragiona ¬ mento venne poi estesa fino ad un estremo scetticismo da IOI

Hume che negò induzione e causalità ed arrivò quindi ad una conclusione che, se accettata integralmente, distruggerebbe la base stessa d ogni scienza empirica. La critica al realismo metafisico espressa nella filosofia empi¬ ristica è certamente giustificata come un ammonimento con ¬ tro l uso acritico del termine « esistenza » . Le affermazioni po¬ sitive di codesta filosofia possono essere criticate seguendo un procedimento analogo. Le nostre percezioni non sono origina ¬ riamente un fascio slegato di colori e di suoni; ciò che noi percepiamo è già percepito come qualche cosa - e l accento qui cade sulla parola « cosa » - ed è assai dubbio perciò se guada ¬ gniamo alcunché adottando le percezioni invece delle cose co¬ me gli elementi ultimi della realt à . La difficolt à è stata messa chiaramente in luce dal positivismo moderno. Questa corrente di pensiero esprime un atteggia ¬ mento critico contro l’uso ingenuo di certi termini quali « cosa » , « percezione » , « esistenza » , per mezzo del postulato generale che si dovrebbe sempre pienamente e criticamente esaminare il problema se una data proposizione ha un significato o meno. Codesto postulato e l’atteggiamento da cui sorge derivano dal¬ la logica matematica . Il procedimento della scienza naturale è raffigurato come l’applicazione di simboli ai fenomeni. I sim ¬ boli possono, come in matematica , essere combinati secondo certe regole , e in tal modo le affermazioni sui fenomeni pos¬ sono essere rappresentate da combinazioni di simboli. Perciò una combinazione di simboli in disaccordo con le regole non è falsa ma priva di significato. L’ovvia difficolt à di questo ragionamento è la mancanza di un criterio generale che indichi quando una proposizione debba essere considerata come priva di significato. Una chiara deci102

sione è possibile soltanto quando la proposizione appartiene ad un sistema chiuso di concetti e di assiomi, il che nello sviluppo delle scienze naturali costituisce piuttosto l eccezione che la regola. In alcuni casi la congettura che una certa proposizione è senza significato ha storicamente condotto a importanti pro¬ gressi, poiché apri la strada alla fondazione di nuove connes¬ sioni che sarebbero state impossibili se la proposizione avesse avuto un significato. Un esempio che è già stato discusso, pre¬ so dalla teoria dei quanta , è la proposizione: « In quale orbita l elettrone si muove intorno al nucleo ? » Ma in genere lo sche¬ ma positivistico desunto dalla logica matematica risulta trop¬ po ristretto in una descrizione della natura che necessariamente usa parole e concetti che sono soltanto vagamente definiti. La tesi filosofica che ogni conoscenza è in definitiva fondata sul¬ l’esperienza ha condotto alla fine ad un postulato riguardante la chiarificazione logica di ogni affermazione sulla natura . Tale postulato poteva apparire giustificato nel periodo della fisica classica, ma dopo la comparsa della teoria dei quanta abbiamo appreso che esso non può essere formulato. Le parole « posi¬ zione » e « velocit à » di un elettrone , ad esempio, sembravano perfettamente definite sia in riguardo al loro significato che ai loro possibili rapporti, e difatti esse erano concetti chiaramen ¬ te definiti nella struttura matematica della meccanica newto niana. Ma in realt à esse non erano ben definite come risulta dalle relazioni d’indeterminazione. Si può dire che riguardo alla loro posizione nella meccanica newtoniana esse erano ben definite, ma che non lo erano nelle loro relazioni con la na¬ tura. Questo mostra che noi non possiamo sapere in anticipo quali limitazioni verranno imposte all’applicabilità di certi concetti dall’estendersi della nostra conoscenza a più remoti ¬

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settori della natura , nei quali possiamo penetrare soltanto mer¬ cé i piu elaborati strumenti . Perciò, nel processo di penetra ¬ zione siamo obbligati qualche volta ad usare i nostri concetti in modo non giustificato e che non porta ad alcun significato. L insistenza sul postulato della completa chiarificazione logica renderebbe la scienza impossibile. A tal proposito, una vecchia saggia sentenza afferma che chi pretenda di non pronunciare mai un errore deve restarsene zitto. Una sintesi di queste due linee di pensiero che ebbero inizio l una con Descartes e l altra con Locke e Berkeley venne ten ¬ tata nella filosofia di Kant , che fu il fondatore dell’idealismo tedesco. La parte della sua opera che interessa per un con ¬ fronto con i risultati della fisica moderna è contenuta nella Critica della ragion pura. Egli affronta il problema se la cono¬ scenza è fondata soltanto sull’esperienza o può provenire da al¬ tre fonti, ed arriva alla conclusione che la nostra conoscenza è in parte « a priori » e non ricavata induttivamente dall’espe¬ rienza. Perciò, egli distingue fra conoscenza « empirica » e cono¬ scenza « a priori » . Nello stesso tempo distingue tra proposizio¬ ni « analitiche » e proposizioni « sintetiche ». Le proposizioni analitiche derivano semplicemente dalla necessità logica e ne¬ garle implicherebbe contraddizione. Le proposizioni che non sono « analitiche » vengono chiamate « sintetiche » . Qual è , secondo Kant , il criterio della conoscenza « a priori » ? Kant è d’accordo nell’ammettere che ogni conoscenza comincia con l’esperienza ma aggiunge che non sempre deriva dall’espe¬ rienza. È vero che l’esperienza c’insegna che una certa cosa ha la tale o tal altra proprietà ma non ci dice che essa non po¬ trebbe essere diversa . Perciò, se una proposizione è caratte¬ rizzata dal carattere della necessit à essa deve essere « a priori ». 104

L esperienza non d à mai ai suoi giudizi il carattere dell univer ¬ salità. Ad esempio, la proposizione « il sole sorge ogni matti¬ na » significa che noi non conosciamo per il passato alcuna ec¬ cezione a questa regola e che ci aspettiamo che continui a valere per il futuro. Ma è possibile immaginare eccezioni alla regola . Se un giudizio perciò ha un carattere d’assoluta necessità, se è impossibile immaginare delle eccezioni, esso deve essere « a priori ». Un giudizio analitico è sempre « a priori ». Anche se un bambino apprende l’aritmetica giocando con delle palline, non ha poi bisogno di riferirsi all’esperienza per sapere che « due piu due fa quattro » . La conoscenza empirica è, d’ altra parte, conoscenza sintetica . Ma sono possibili giudizi sintetici a priori ? Kant cerca di darne la prova adducendo degli esempi in cui i criteri su esposti sembrano realizzarsi. Lo spazio e il tempo sono, egli afferma, forme a priori dell’intuizione pura. Nel caso dello spazio e del tempo egli porta i seguenti argomenti metafisici: 1. Lo spazio non è un concetto empirico, astratto dalle altre esperienze, poiché esso è presupposto ad ogni riferimento di sensazioni a qualche cosa d’esterno, e l’esperienza esterna è possibile soltanto attraverso la rappresentazione dello spazio. 2. Lo spazio è una rappresentazione necessaria a priori, che soggiace ad ogni percezione esterna ; poiché noi non possiamo immaginare che non ci sia spazio, sebbene possiamo immagi¬ nare che non ci sia nulla nello spazio. 3. Lo spazio non è un concetto discorsivo o generale delle re¬ lazioni delle cose in generale, poiché c è soltanto uno spazio, di cui ciò che chiamiamo « spazi » sono parti e non determi¬ nazioni di spazio. 4. Lo spazio si presenta come un infinita grandezza data , che 105

contiene in sé tutte le parti dello spazio; questa relazione è diversa da quella fra un concetto e le sue determinazioni, e perciò lo spazio non è un concetto ma una forma dell intui¬ zione. Questi argomenti non verranno qui discussi. Vengono menzio¬ nati soltanto come esempi del tipo generale di prova che Kant ha in mente a favore dei giudizi sintetici a priori. Quanto alla f ìsica Kant assunse a priori, accanto allo spazio e al tempo, la legge di causalit à e il concetto di sostanza . In una fase successiva della sua opera egli cercò di aggiungere la legge della conservazione della materia, l eguaglianza di « azione e reazione » e perfino la legge di gravitazione. Nessun fisico sa ¬ rebbe a questo punto disposto a seguire Kant , se il termine « a priori » è usato nel senso assoluto che egli gli dà . In mate¬ matica Kant considerò la geometria euclidea come « a priori ». Prima di porre a raffronto queste dottrine di Kant con i risul¬ tati della fisica moderna dobbiamo menzionare un’altra parte della sua opera cui faremo riferimento più tardi. La spinosa questione se « le cose esistono realmente » , che aveva dato ori¬ gine alla filosofia empiristica , si presentò anche nella specula ¬ zione kantiana . Ma Kant non ha seguito la linea di Berkeley e Hume, per quanto sarebbe stata una linea logicamente soli¬ da. Mantenne la nozione della « cosa in sé » come una realt à diversa dalla realtà percepita , e mantenne in tal modo un certo rapporto con il realismo. Venendo ora al raffronto delle dottrine di Kant con la fisica moderna, sembra a prima vista che il suo concetto centrale dei « giudizi sintetici a priori » sia stato completamente annichilito dalle scoperte del nostro secolo. La teoria della relatività ha 106

mutato le nostre concezioni sullo spazio e sul tempo, ha rive¬ lato in effetti aspetti del tutto nuovi dello spazio e del tempo, di cui non si ha traccia nelle forme a priori kantiane dell in¬ tuizione pura. La legge di causalit à non è piu applicata nella teoria dei quanta e la legge di conservazione della materia non risulta più vera per le particelle elementari. Naturalmente Kant non poteva aver preveduto le nuove scoperte, ma poiché era convinto che i suoi concetti sarebbero stati « la base di ogni futura metaf ìsica che si presenti in forma di scienza » è interes¬ sante constatare come i suoi argomenti siano stati erronei. Come esempio pigliamo la legge di causalità . Kant afferma che ogni qualvolta osserviamo un evento noi presumiamo che esi¬ ste un evento precedente da cui il primo deve seguire secondo una certa regola . È questo, come dice Kant , la base d ogni la¬ voro scientifico. In questo caso non ha importanza se noi pos¬ siamo o meno sempre trovare l evento precedente da cui l’altro seguiva. In realt à molte volte possiamo trovarlo. Ma anche se non possiamo, nulla può impedirci di chiederci quale avrebbe potuto essere quell’evento precedente e di cercarlo. Quindi , la legge di causalit à si risolve nel metodo stesso della ricerca scientifica: è la condizione che rende possibile la scienza. Giac¬ ché noi in effetti applichiamo questo metodo, la legge di causa ¬ lità è « a priori » e non derivata dall’esperienza. È vero questo nella fisica atomica ? Consideriamo un atomo di radio che possa emettere una particella alfa . Il tempo dell’emis¬ sione della particella alfa non può essere previsto. Possiamo soltanto dire che in media l’emissione potrà avvenire in circa duemila anni. Perciò, quando osserviamo l’emissione noi non cerchiamo in realtà un evento precedente dal quale l’emissione deve derivare secondo una regola. Logicamente sarebbe perfet107

tamente possibile ricercare tale evento precedente, e non è ne¬

cessario che ci si scoraggi per il fatto che fin qui non se ne è trovato nessuno. Ma perché in questo importantissimo pro¬ blema il metodo scientifico si è veramente trasformato dopo Kant ? Due risposte sono possibili a questa domanda. La prima è che noi ci siamo convinti con l esperienza che le leggi della teoria dei quanta sono giuste e che, se lo sono, sappiamo che un evento precedente da considerare come causa dell emissione ad un momento dato, non può essere trovato L’altra risposta dice: noi conosciamo l’evento precedente, ma non in modo del tutto preciso. Noi conosciamo le forze del nucleo atomico che sono responsabili dell’emissione della particella alfa. Ma questa conoscenza contiene l’incertezza prodotta dall’interazione fra il nucleo e il resto del mondo. Se volessimo sapere perché la particella alfa è stata emessa in quel momento particolare do¬ vremmo conoscere la struttura microscopica del mondo intero ivi inclusi noi stessi, il che è impossibile. Perciò, gli argomenti di Kant a favore del carattere a priori della legge di causalit à non possono più ritenersi validi. Una discussione simile potrebbe farsi sul carattere a priori dello spazio e del tempo come forme dell’intuizione. Il risul¬ tato sarebbe lo stesso. I concetti a priori che Kant considerava come un’indiscutibile verità non sono più accolti nel sistema

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scientifico della fisica moderna. Essi formano tuttavia parte essenziale di questo sistema in un senso alquanto diverso. Nella discussione dell’interpretazione di Copenaghen della teoria dei quanta è stato messo in rilievo che noi usiamo i concetti classici nel descrivere la nostra attrez¬ zatura sperimentale e più in generale nel descrivere quella par108

te del mondo che non appartiene all oggetto dell esperimento. L’uso di questi concetti, includenti spazio tempo e causalit à, è in effetti la condizione per osservare gli eventi atomici ed è, in questo senso, «a priori ». Ciò che Kant non aveva previsto era che questi concetti a priori potessero essere le condizioni per la scienza e avere, nello stesso tempo, soltanto un’area limi¬ tata di applicabilità. Quando facciamo un esperimento dobbia ¬ mo assumere una catena causale di eventi che conduce dal¬ l’evento atomico attraverso l’apparecchiatura sperimentale fino all’occhio dell’osservatore ; se non si ammette questa catena causale nulla si potrebbe conoscere circa l’evento atomico. Dobbiamo tuttavia ricordare che la fisica classica e la causa ¬ lità hanno solo un’area limitata di applicabilità. Questo è stato il paradosso fondamentale della teoria dei quanta che non po¬ teva essere previsto da Kant . La fisica moderna ha trasformato l’affermazione di Kant circa la possibilità di giudizi sintetici a priori da metafisica in pratica . I giudizi sintetici a priori hanno di conseguenza il carattere d’una verità relativa. Se si reinterpreta l’« a priori » kantiano in questo modo, non c’è ragione di considerare come dati le percezioni piuttosto che le cose; come nella fisica classica , possiamo parlare di eventi che non sono osservati alla stessa maniera di quelli che lo sono. Perciò, il realismo pratico è una parte naturale della reinterpre¬ tazione. Considerando la « cosa in sé » Kant ha messo in rilievo che non possiamo concludere nulla su di essa partendo dalla percezione. Questa affermazione trova , come ha osservato von Weizsàcker , riscontro formale nel fatto che, a dispetto dell’uso dei concetti classici, in tutti gli esperimenti è possibile un comportamento non classico degli oggetti atomici. La « cosa in sé » è per il fisico atomico, se egli si serve di un tal concetto, 109

nient altro che una struttura matematica ; ma questa struttura è, diversamente che in Kant , dedotta indirettamente dall espe¬ rienza. In questa reinterpretazione l « a priori » kantiano è connesso indirettamente con l esperienza in quanto è stato formato at ¬ traverso lo sviluppo della mente umana in un passato remo¬ tissimo. Seguendo questo argomento il biologo Lorentz ha una volta confrontato i concetti « a priori » con quelle forme di comportamento che sono chiamate , per gli animali , « forme ere¬ ditate o schemi innati » . È difatti pienamente plausibile che per certi animali primitivi spazio e tempo siano diversi da ciò che Kant chiama la nostra « intuizione pura » dello spazio e del tempo. Essa può appartenere alla specie « uomo », ma non al mondo come indipendente dall’ uomo. Ma stiamo forse en ¬ trando in discussioni troppo ipotetiche seguendo questo com ¬ mento biologico all’ « a priori ». È stato qui ricordato soltanto per dare un esempio di come può essere interpretato il termine « verità relativa » in rapporto con l’« a priori » kantiano. La fisica moderna è stata in questo caso adottata come esem ¬ pio, possiamo dire come modello, per controllare i risultati di alcuni importanti sistemi filosofici del passato, che intendevano avere, naturalmente, una portata molto piu vasta. Ciò che ab¬ biamo appreso specialmente dalla discussione delle filosofie di Descartes e di Kant può forse essere espresso nel modo se¬ guente:

Non ogni concetto o parola che si siano formati in passato at ¬ traverso l’azione reciproca fra il mondo e noi sono in realt à esattamente definiti rispetto al loro significato; vale a dire, noi non sappiamo fino a qual punto essi potranno aiutarci a farci trovare la nostra strada nel mondo. Spesso sappiamo che essi no

possono venire applicati ad un ampio settore dell esperienza interna od esterna, ma non conosciamo praticamente i limiti della loro applicabilità . Questo è vero anche nel caso di con¬ cetti più semplici e più generali come « esistenza » e « spazio e tempo ». Perciò non sarà mai possibile con la pura ragione per ¬ venire a una qualche verità assoluta. I concetti possono, tuttavia , essere nettamente definiti riguardo ai loro rapporti. Questo è ciò che avviene quando i concetti divengono parte d’un sistema di assiomi e di definizioni che possono essere efficacemente espressi per mezzo di uno schema matematico. Un siffatto gruppo di concetti in connessione può essere applicabile a un vasto campo d’esperienza e ci aiuterà a trovare la nostra strada rispetto a quel campo. Ma i limiti d ’ap¬ plicabilit à non saranno in generale noti, almeno in modo pre¬ ciso. Anche se ci siam resi conto che il significato d’un concetto non è mai definito con precisione assoluta , alcuni concetti formano una parte integrale dei metodi scientifici , giacché essi rappre¬ sentano per il presente il risultato finale dello sviluppo del pensiero umano nel passato, anche nel passato più remoto; essi possono anche essere ereditati e sono in ogni caso strumenti indispensabili per compiere opera scientifica ai nostri tempi. In questo senso essi possono essere considerati praticamente a priori. Ma ulteriori limitazioni alla loro applicabilità potranno essere scoperte in futuro.

Relazioni della teoria dei quanta con altri rami della scienza della natura

È stato detto prima che i concetti della scienza naturale pos ¬ sono qualche volta essere nettamente definiti riguardo alle loro

connessioni. Questa possibilit à venne afferrata per la prima vol¬ ta nei Principia di Newton ed è proprio per questa ragione che l opera di Newton ha esercitato la sua enorme influenza sul¬ l intero sviluppo della scienza naturale nei secoli seguenti. New¬ ton comincia i suoi Principia con un gruppo di definizioni e di assiomi che sono cosi reciprocamente connessi da formare ciò che si può chiamare un « sistema chiuso » . Ogni concetto può essere rappresentato da un simbolo matematico, e le connes¬ sioni tra i diversi concetti sono quindi rappresentate da equa¬ zioni matematiche espresse per mezzo dei simboli. La struttura matematica del sistema assicura circa l’eventuale insorgere di contraddizioni. In tal modo i moti possibili dei corpi sotto l’in ¬ fluenza delle forze agenti sono rappresentati dalle soluzioni pos112

sibili delle equazioni. Il sistema di definizioni e di assiomi che può essere scritto in una serie di equazioni matematiche è con siderato come descrivente una struttura eterna della natura, non dipendente da uno spazio o da un tempo particolari. La connessione fra i diversi concetti nel sistema è cosi stretta che non si potrebbe in generale mutare uno qualsiasi dei con ¬ cetti senza distruggere l intero sistema . Per questa ragione il sistema di Newton fu per molto tempo considerato definitivo e il compito assegnato agli scienziati fu turi sembrò essere soltanto quello dell estensione della mecca ¬ nica di Newton a più ampi campi dell’esperienza. Effettiva ¬ mente la fisica si sviluppò lungo quelle linee per circa due secoli. Dalla teoria del moto dei punti di una massa si potè passare alla meccanica dei corpi solidi, ai moti rotatori, e poterono essere trattati i moti continui d’ un fluido o i moti vibranti d’un corpo elastico. Tutte queste parti della meccanica o della dinamica furono gradualmente sviluppate in stretta connessione con l’evoluzione della matematica , specialmente del calcolo dif ¬ ferenziale, e i risultati furono controllati con esperimenti. L’a ¬ custica e l’idrodinamica divennero rami della meccanica. Un ’ al¬ tra scienza per cui fu ovvia l’applicazione della meccanica di Newton fu l’astronomia . Il perfezionamento dei metodi mate matici portò gradualmente a determinazioni sempre più accura ¬ te dei moti dei pianeti e delle loro mutue interazioni. Quando vennero scoperti i fenomeni dell’elettricità e del magnetismo, le forze elettriche e magnetiche vennero paragonate alle forze gra vitazionali e la loro azione sul moto dei corpi potè anche qui essere studiata seguendo le linee della meccanica newtoniana . Infine, nel diciannovesimo secolo, perfino la teoria del calore ¬

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potè venire riportata alla meccanica con il presupposto che il calore consiste in realtà di un complicato moto statistico di pic¬ colissime parti di materia . Combinando i concetti della teoria matematica della probabilit à con i concetti della meccanica new toniana Clausius, Gibbs e Boltzmann riuscirono a dimostrare che le leggi fondamentali della teoria del calore potevano esse¬ re interpretate come leggi statistiche derivanti dalla meccanica di Newton applicata a complicatissimi sistemi meccanici. Fino a questo punto il programma avviato dalla meccanica new¬ toniana era stato portato innanzi in modo pienamente consi¬ stente ed aveva condotto alla comprensione d un vasto campo d esperienza. La prima difficolt à sorse nelle discussioni sul cam ¬ po elettromagnetico nell opera di Faraday e di Maxwell. Nella meccanica newtoniana la forza di gravitazione era stata consi¬ derata come un dato, non come oggetto di ulteriori studi teo¬ retici. Nell’opera di Faraday e di Maxwell, invece, lo stesso campo di forza divenne l’oggetto di investigazione; i fisici vol¬ lero sapere come questo campo di forza variava in funzione dello spazio e del tempo. Cercarono perciò di stabilire equa¬ zioni di moto per i campi e non primariamente per i corpi su cui i campi agiscono. Questo mutamento riportò a un punto di vista che era stato sostenuto da molti scienziati prima di New ¬ ton . Un’azione poteva , cosi sembrava , essere trasferita da un corpo ad un altro soltanto quando i due corpi si toccavano, ad esempio per urto o per frizione. Newton aveva introdotto una nuovissima e stranissima ipotesi ammettendo una forza che agiva a grande distanza . Ora nella teoria dei campi di forza si poteva ritornare all’idea più antica , che l’azione si trasferisce da un punto ad un altro punto adiacente , soltanto col descri¬ vere il comportamento dei campi in termini di equazioni dif ¬

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ferenziali. Si trovò che ciò era realmente possibile, e perciò la descrizione dei campi elettromagnetici che veniva offerta dalle equazioni di Maxwell sembrò una soluzione soddisfacen te del problema della forza . Si era veramente introdotto un mutamento quindi nel programma aperto dalla meccanica new toniana. Gli assiomi e le definizioni di Newton si riferivano ai corpi e ai loro movimenti; ma con Maxwell i campi di forza sembrarono acquistare lo stesso grado di realtà che ave¬ vano i corpi nella teoria di Newton. Questa concezione non fu , com è naturale , facilmente accolta ; e per evitare un ta¬ le cambiamento nel concetto di realtà sembrò plausibile pa¬ ragonare i campi elettromagnetici con i campi di deforma ¬ zione o di forza elastica , le onde di luce della teoria di Max¬ well con le onde sonore dei corpi elastici. Perciò molti fi¬ sici credettero che le equazioni di Maxwell si riferissero real¬ mente alle deformazioni di un campo elastico, che essi chiama¬ rono etere; e questo nome venne dato semplicemente per indi¬ care che il campo era cosi leggero e sottile che poteva pene¬ trare nell altra materia e non poteva esser né visto né perce¬ pito. Non era questa tuttavia una spiegazione molto soddi¬ sfacente, giacché non riusciva a spiegare l assenza completa di onde di luce longitudinali. Infine la teoria della relativit à , che verrà discussa nel prossimo capitolo, mostrò in modo esauriente che il concetto dell’etere come sostanza , cui si riferivano le equazioni di Maxwell, dove¬ va essere abbandonato. Gli argomenti non possono essere qui discussi; ma il risultato fu che i campi dovevano essere consi¬ derati come una realtà indipendente. Un ulteriore e ancora più sorprendente risultato della teoria della relatività speciale fu la scoperta di nuove proprietà dello ¬

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spazio e del tempo, o meglio di una relazione fra lo spazio e il tempo non mai conosciuta prima e che non esisteva nella meccanica newtoniana . Sotto l impressione di questa completamente nuova situazione molti fisici giunsero alla seguente e alquanto avventata conclu ¬ sione: la falsità della meccanica newtoniana . La realt à prima è il campo e non il corpo , e la struttura dello spazio e del tempo è descritta correttamente dalle formule di Lorentz e di Einstein, e non dagli assiomi di Newton. La meccanica di Newton poteva costituire in molti casi una buona approssima zione , ma doveva ora essere migliorata per fornire una piu rigorosa descrizione della natura . Dal punto di vista che abbiamo finalmente raggiunto nella teo¬ ria dei quanta tale affermazione apparirebbe come una descri¬ zione assai imperfetta della situazione attuale . Primo, essa igno¬ ra il fatto che moltissimi esperimenti per i quali i campi sono misurati, sono basati sulla meccanica newtoniana . Secondo, che questa non può essere migliorata : può soltanto essere sostituita con qualche cosa di essenzialmente diverso. Lo sviluppo della teoria dei quanta c insegna che la situazio ne dovrebbe piuttosto essere descritta nei termini seguenti : dovunque i concetti della meccanica newtoniana possono es sere usati per descrivere eventi naturali , le leggi formulate da Newton sono perfettamente corrette e non possono essere mi gliorate. Ma i fenomeni elettromagnetici non possono venire descritti adeguatamente con i concetti della meccanica new toniana. Perciò, gli esperimenti sui campi elettromagnetici e sulle onde luminose , insieme con le loro analisi teoretiche ad opera di Maxwell, Lorentz e Einstein , hanno condotto ad un nuovo sistema chiuso di definizioni e di assiomi e di concetti ¬

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rappresentabili con simboli matematici , che è coerente come è Newton, ma nel con

coerente il sistema della meccanica di tempo essenzialmente diverso da esso.

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Perciò anche le speranze che avevano accompagnato l opera degli scienziati dai tempi di Newton in poi dovevano trasfor ¬ marsi. Evidentemente nella scienza il progresso non poteva essere conseguito servendosi delle leggi note della natura per spiegare i nuovi fenomeni. In alcuni casi i nuovi fenomeni da osservare poterono essere compresi soltanto per mezzo di nuovi concetti adatti ad essi come i concetti di Newton lo erano agli eventi meccanici. Questi nuovi concetti si poterono ancora con ¬ nettere in un sistema chiuso e rappresentare con simboli mate¬ matici. Ma procedendo la fisica o, piu generalmente , la scienza naturale in questo modo, sorse la questione: qual è la relazione che passa fra le diverse serie di concetti ? Se , per esempio, gli stessi concetti o le stesse parole appaiono in due serie diverse e sono diversamente definiti riguardo al loro rapporto ed alla rappresentazione matematica , in che senso i concetti rappre¬ sentano la realt à ? Questo problema sorse subito non appena fu scoperta la teoria della relativit à speciale. I concetti di spazio e di tempo appar ¬ tenevano sia alla meccanica newtoniana che alla teoria della relativit à . Ma nella teoria newtoniana spazio e tempo erano indipendenti ; nella teoria della relativit à connessi per mezzo della trasformazione di Lorentz . In questo caso particolare si potè dimostrare come le affermazioni della teoria della rela ¬ tività si avvicinavano a quelle della meccanica newtoniana nel limite in cui tutte le velocit à del sistema erano piccolissime in paragone alla velocità della luce. Si potrebbe da ciò conclu ¬ dere che i concetti della meccanica newtoniana non potrebbero 117

essere applicati ad eventi in cui si verificano velocità paragona ¬ bili alla velocit à della luce. Si era cosi finalmente trovata una limitazione essenziale della meccanica newtoniana che non po teva venir scoperta partendo dalla serie coerente di concetti né dalla semplice osservazione di sistemi meccanici. Perciò, la relazione fra due diversi sistemi coerenti di concetti richiede sempre una molto attenta investigazione. Prima di ad ¬ dentrarci in una discussione generale di qualcuna di tali serie chiuse e coerenti di concetti e sulle loro possibili relazioni , for¬ niremo una breve descrizione di quelle serie di concetti che ¬

sono state fino ad ora definite in fisica. È possibile distinguere quattro sistemi che hanno già raggiunto la loro forma defi¬ nitiva . La prima serie, la meccanica newtoniana, è già stata discussa . È adatta per la descrizione di tutti i sistemi meccanici, del moto dei fluidi e della vibrazione elastica dei corpi ; compren ¬ de l acustica, la statica, l aerodinamica . Il secondo sistema chiuso di concetti si formò nel corso del diciannovesimo secolo in rapporto con la teoria del calore. Per quanto la teoria del calore pot è alla fine essere connessa con la meccanica attraverso lo sviluppo della meccanica statistica , non corrisponderebbe a verità considerarla come una parte della meccanica . Infatti la teoria fenomenologica del calore si serve d’un certo numero di concetti che non hanno alcuna corrispon ¬ denza nelle altre branche della fisica, come: calore, calore speci¬ fico, entropia , energia libera , ecc. Se da questa descrizione fe¬ nomenologica si passa ad una interpretazione statistica, conside¬ rando il calore come una energia , distribuita statisticamente fra moltissimi gradi di libertà dovuti alla struttura atomica della materia , il calore allora non è piu connesso con la meccanica di 118

quanto non lo sia con l elettrodinamica o con altre parti della fisica . Il concetto centrale di tale interpretazione è il concetto di probabilit à, strettamente connesso con il concetto d entropia nella teoria fenomenologica . Oltre che di questo concetto la teoria statistica del calore abbisogna del concetto di energia . Ma qualsiasi serie coerente di assiomi e di concetti della fisica conterrà necessariamente i concetti di energia , di momento e di momento angolare e la legge per cui queste quantit à deb¬ bono, sotto certe condizioni , essere conservate. Ciò accade se la serie coerente è intesa a descrivere certi aspetti della natura che sono validi in tutti i tempi ed in tutti i luoghi ; in altre parole, aspetti che non dipendono dallo spazio e dal tempo o, come dicono i matematici, sono invarianti anche se sottoposti a traslazioni spaziali o temporali , alla rotazione nello spazio e alle trasformazioni di Galileo o di Lorentz . Perciò, la teoria del calore può essere combinata con qualsiasi degli altri sistemi chiusi di concetti. Il terzo sistema chiuso di concetti e di assiomi ha origine nei fenomeni dell elettricità e del magnetismo ed ha conseguito la sua forma finale nel primo decennio del ventesimo secolo attra ¬ verso l’opera di Lorentz , Einstein e Minkowski. Esso compren ¬ de l’elettrodinamica , la relativit à speciale , l’ottica, il magneti¬ smo e può esservi inclusa la teoria di de Broglie sulle onde di materia di tutti i diversi tipi di particelle elementari, ma non la teoria ondulatoria di Schrodinger. Infine, il quarto sistema coerente è essenzialmente la teoria dei quanta quale è stata descritta nei primi due cà pitoli. Suo con ¬ cetto fondamentale è la funzione di probabilità , o la « matrice statistica », come i matematici la chiamano. Comprende la mec¬ canica quantica e ondulatoria, la teoria degli spettri atomici, la 119

chimica , e la teoria delle altre proprietà della materia come la conduttività elettrica, il ferromagnetismo, ecc. Le relazioni tra queste quattro serie di concetti possono essere indicate nel modo seguente: la prima serie è contenuta nella terza come il caso limite , in cui la velocità della luce può es¬ sere considerata infinitamente grande, ed è contenuta nel quar to come il caso limite in cui la costante d azione di Planck può essere considerata come infinitamente piccola. La prima e in parte la terza serie appartengono alla quarta come un a priori necessario per la descrizione degli esperimenti. La seconda serie può essere connessa con qualsivoglia delle altre tre serie senza difficoltà ed è importante specialmente nei suoi rapporti con la quarta. L esistenza indipendente delle serie terza e quarta sug¬ gerisce l’esistenza d ’una quinta serie di cui la prima , la terza e la quarta costituiscono i casi limiti. Questa quinta serie sarà un giorno ritrovata in connessione con la teoria delle particelle elementari . Abbiamo omesso da questa enumerazione la serie dei con ¬ cetti connessi con la teoria della relatività generale, giacché essa non ha forse ancora conseguito la sua forma finale. Ma va sottolineato che essa è nettamente diversa dalle altre quat ¬ tro serie. Dopo questo breve esame possiamo ritornare al problema piu generale: quali debbono essere considerati i tratti caratteri¬ stici di un sistema chiuso di assiomi e di definizioni. Forse il tratto piu importante è la possibilità di trovare per esso una valida rappresentazione matematica . Tale rappresentazione deve dare la garanzia che il sistema non contiene contraddizioni. Il sistema deve poi essere idoneo a descrivere un ampio campo di esperienza. La grande varietà di fenomeni del campo do¬

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vrebbe corrispondere al gran numero di soluzioni delle equa zioni nella rappresentazione matematica. I limiti del campo non possono generalmente venir derivati dai concetti. I concetti non sono esattamente definiti nella loro relazione con la natura , nonostante l esatta definizione dei loro possibili rapporti. Le limitazioni verranno perciò determinate dall esperienza , dal fat to che i concetti non permettono una descrizione completa dei fenomeni osservati. Dopo questa breve analisi della struttura della fisica attuale , possiamo passare a discutere le relazioni della fisica con gli altri rami delle scienze naturali . Di esse la pi ù vicina alla fisica è la chimica. Effettivamente queste due scienze attraverso la teoria dei quanta sono pervenute ad una fusione completa . Ma cento anni fa esse erano ampiamente separate, i loro metodi di ricerca affatto diversi , ed i concetti della chimica non avevano a quel tempo alcuna corrispondenza nella fisica . Concetti come va ¬ lenza , attività, solubilit à e volatilità avevano piuttosto un ca¬ rattere qualitativo, ed è dubbio se la chimica appartenesse alle scienze esatte. Quando verso la metà del secolo scorso si fu sviluppata la teoria del calore gli scienziati cominciarono ad ap plicarla ai processi chimici , e sempre da allora il lavoro scien ¬ tifico in questo campo è stato determinato dalla speranza di ridurre le leggi della chimica alla meccanica degli atomi. Si dovrebbe tuttavia rilevare che questo non fu possibile nella struttura della meccanica newtoniana . Per dare una descrizione quantitativa delle leggi della chimica era necessario formulare un sistema più ampio di concetti per la fisica atomica. Ciò venne finalmente fatto nella teoria dei quanta, che affonda le sue radici altrettanto nella chimica che nella fisica atomica . Fu allora agevole vedere che le leggi della chimica non potevano ¬

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essere ridotte alla meccanica newtoniana delle particelle ato¬ miche, giacché gli elementi chimici mostravano nel loro com portamento un grado di stabilit à completamente assente nei sistemi meccanici. Ma non fu se non nella teoria atomica di Bohr, del 1913, che questo punto venne chiaramente inteso. Come risultato finale, si può dire che i concetti della chimica sono in parte complementari ai concetti meccanici . Se noi sap ¬ piamo che è nel suo più basso stato stazionario che un atomo determina le sue propriet à chimiche, non possiamo nello stesso tempo parlare di movimento degli elettroni nell atomo. L attuale relazione fra la biologia da una parte , e la fisica e la chimica dall’altra , può essere paragonata a quella esistente fra chimica e fisica cento anni fa . I metodi della biologia sono diversi da quelli della fisica e della chimica , e i tipici concetti biologici presentano un carattere molto più qualitativo di quel¬ li delle scienze esatte . Concetti come vita , organo, cellula , fun ¬ zione d’ un organo, percezione non hanno alcuna corrispondenza in fisica ed in chimica . D’altra parte, la maggior parte del pro¬ gresso fatto in biologia durante gli ultimi cento anni è stato effettuato mercé l’applicazione della chimica e della fisica agli organismi viventi , e la tendenza generale della biologia ai nostri tempi è di spiegare i fenomeni biologici sulla base delle leggi note della fisica o della chimica . Sorge ancora la questione se questa speranza sia o no giustificata . Proprio nel caso della chimica , si apprende dalla semplice espe¬ rienza biologica che gli organismi viventi dispiegano un tale grado di stabilità che complicate strutture generali consistenti di molti tipi diversi di molecole non potrebbero certamente avere solo sulla base delle leggi fisiche e chimiche. Perciò, per intendere completamente i fenomeni biologici è necessario ag¬

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giungere qualche cosa alle leggi della fisica e della chimica . Riguardo a questa questione sono spesso state discusse nella letteratura biologica due diverse tesi. Una si riferisce alla teo ria della evoluzione di Darwin nei suoi rapporti con la gene ¬ tica moderna . Secondo questa teoria l unico concetto che deve essere aggiunto a quelli della fisica e della chimica è il concetto di storia . L’enorme intervallo di tempo, all’ingrosso circa quat ¬ tromila milioni di anni , che è trascorso dalla formazione della terra , ha concesso alla natura la possibilità di tentare una va ¬ riet à pressoché illimitata di strutture di gruppi di molecole. Fra queste strutture ce ne sono state infine alcune che pote¬ rono raddoppiare servendosi di gruppi piu piccoli attinti alla materia circostante, moltiplicandosi cosi in gran numero. Mu ¬ tamenti accidentali di struttura fornirono un’ancora più vasta variet à di strutture esistenti. Strutture diverse si trovarono in competizione per trarre materiali dalla materia circostante ed in tal modo attraverso la « sopravvivenza del più adatto», potè finalmente dispiegarsi l’evoluzione degli organismi viventi. Non v’è dubbio che questa teoria contenga una larga parte di verità , e molti biologi sostengono che l’aggiunzione dei concetti di storia e di evoluzione alla serie coerente dei concetti della fisica e della chimica sia ampiamente sufficiente a dar conto di tutti i fenomeni biologici. Uno degli argomenti addotto spesso a favore di codesta teoria mette in rilievo che dovunque si sono controllate su organismi viventi le leggi della fisica e della chi¬ mica esse sono sempre state trovate esatte ; sembra che non vi sia alcun posto, in definitiva , in cui possa collocarsi una cosid¬ detta forza vitale diversa dalle forze fisiche. D’altro lato, è proprio questo argomento che ha perduto molto del suo peso a causa della teoria dei quanta . Giacché i concetti ¬

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della fisica e della chimica formano una serie chiusa e coerente, quella cioè della teoria dei quanta , è necessario che dovunque questi concetti possano venire usati per descrivere dei feno¬ meni , anche le leggi connesse con i concetti debbano essere valide. Perciò dovunque organismi viventi vengano considerati e trattati come sistemi fisico-chimici essi devono necessaria mente agire come tali . L unica domanda da cui possiamo ap¬ prendere qualche cosa circa l adeguatezza di questa prima con cezione, è se i concetti fisico-chimici permettono una descri zione completa degli organismi . I biologi che rispondono a que ¬ sta domanda in senso negativo seguono generalmente la secon ¬ da concezione che dobbiamo ora illustrare. Questa seconda tesi può forse essere espressa nei termini se¬ guenti : è molto difficile vedere come concetti quali percezione , funzione d ’ un organo, affezione, potrebbero far parte della serie coerente dei concetti della teoria dei quanta combinati con il concetto di storia . D’ altra parte , questi concetti sono necessari per una completa descrizione della vita , anche se per il mo¬ mento escludiamo l’umanit à in quanto presenta problemi che vanno al di là della biologia . Quindi , sarà probabilmente neces¬ sario per la comprensione della vita andare oltre la teoria dei quanta e costruire una nuova coerente serie di concetti , cui la fisica e la chimica possono appartenere come « casi limiti » ; la storia può essere parte essenziale di essa e le apparterranno con cetti come quelli di percezione , adattamento, affezione ecc. Se tale tesi è corretta , la combinazione della teoria di Darwin con la fisica e la chimica non sarebbe sufficiente a spiegare la vita organica ; resterebbe tuttavia vero che gli organismi viventi possono in larga misura essere considerati come sistemi fisico chimici - macchine cioè, come avevano affermato Descartes e ¬

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Laplace - e che come tali anche reagirebbero una volta trattati in tal modo. Nello stesso tempo sarebbe possibile affermare, come Bohr ha suggerito, che la nostra conoscenza di una cel¬ lula vivente possa essere complementare alla perfetta conoscen ¬ za della sua struttura molecolare. Giacché una conoscenza per ¬ fetta di questa struttura potrebbe probabilmente essere rag giunta soltanto con operazioni che distruggerebbero la vita della cellula , è logicamente possibile che la vita precluda la completa determinazione della soggiacente struttura fisico-chi ¬ mica . Anche chi accettasse questo secondo punto di vista non potrebbe probabilmente raccomandare per la ricerca biologica altro metodo di quello che è stato seguito nei decenni trascorsi : tentare di spiegare quanto è possibile sulla base delle leggi fisico-chimiche conosciute, e descrivere il comportamento degli organismi accuratamente e senza pregiudizi teoretici. La prima di queste due concezioni è più diffusa tra i biologi moderni della seconda ; ma l esperienza attualmente utilizzabile non è certamente sufficiente a imporre una scelta tra i due punti di vista . La preferenza accordata da molti biologi al pri¬ mo di essi , può essere dovuta ancora alla partizione cartesiana , cosi profondamente penetrata durante i secoli scorsi nella men¬ te umana . Giacché la « res cogitans » era limitata agli uomini , all Io, gli animali non potevano avere anima , appartenevano esclusivamente alla « res extensa » . Perciò gli animali si possono comprendere , si ragionava , negli stessi termini della materia in genere , e le leggi della fisica e della chimica insieme con il concetto di storia devono essere sufficienti per spiegare il loro comportamento. E solo quando viene introdotta la « res cogi ¬ tans » sorge una nuova situazione che richieder à concetti asso lutamente nuovi . Ma la partizione cartesiana è una super-sem ¬

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plificazione pericolosa ed è perciò pienamente possibile che la seconda concezione sia quella giusta. Ma a parte questa questione che non può essere ancora siste mata , per quel che riguarda la descrizione dei fenomeni biolo¬ gici noi siamo ben lontani dal possedere quella serie di con ¬ cetti coerente e chiusa di cui si parlava . Il grado di complica¬ zione della biologia è cosi scoraggiante che è impossibile imma¬ ginare attualmente una qualsiasi serie di concetti le cui con nessioni possano essere cosi esattamente definite da rendere possibile una rappresentazione matematica di esse. Se procediamo oltre la biologia ed includiamo nella discussione la psicologia, non ci può essere allora più alcun dubbio sul fatto che i concetti della fisica e della chimica accompagnati da quel¬ lo di evoluzione siano insufficienti a descrivere i fatti. Su questo punto l esistenza della teoria dei quanta ha modificato il nostro atteggiamento circa quello che si credeva nel diciannovesimo secolo. Durante quel periodo alcuni scienziati furono inclini a pensare che i fenomeni psicologici potessero in definitiva venire spiegati sulla base della chimica e della fisica del cervello. Dal punto di vista teoretico quantico tale assunto non appare affat ¬ to giustificato. Noi, a dispetto del fatto che gli eventi fisici del cervello appartengono ai fenomeni psichici , non ci aspetterem mo che possano essere sufficienti per spiegarli. Né avremmo il minimo dubbio sul fatto che il cervello agisce come un mecca¬ nismo fisico-chimico se trattato come tale ; ma per comprendere i fenomeni psichici noi cominceremmo dal fatto che la mente umana entra insieme come o etto e come so etto ne re¬ cesso scientifico della psicoio ia. Riconsiderando le diverse serie di concetti che sono state for ¬ mate nel passato e quelle che verosimilmente possono venir ¬

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formate nel futuro nel tentativo di aprirci la nostra strada nel mondo per mezzo della scienza, vediamo che esse appaiono ordinarsi in base all incremento che nella serie assume l ele¬ mento soggettivo. La fisica classica può venir considerata come quella idealizzazione per cui noi parliamo del mondo come di qualcosa interamente separato da noi stessi. Le prime tre serie corrispondono a questa idealizzazione. Soltanto la prima serie si accorda pienamente con l’« a priori » della filosofia kantiana . Nella quarta serie, quella della teoria dei quanta , l’ uomo quale soggetto della scienza viene pienamente chiamato in causa nelle domande che sono rivolte alla natura nei termini a priori della scienza umana . La teoria dei quanta non permette una descrizione completamente oggettiva della natura. In biologia può essere importante far rilevare che le domande vengono poste dalla specie uomo, che appartiene essa stessa al genere degli organismi viventi, in altre parole che noi già sappiamo che cosa è la vita anche prima di averla scientificamente defi¬ nita. Non sarebbe forse opportuno speculare sulla possibile struttura delle serie di concetti che non si sono ancora for ¬ mate.

Quando si confronta quest ’ordine con le piu vecchie classifica ¬ zioni che appartengono ai primi stadi della scienza naturale, si vede che il mondo è stato ora diviso non in diversi gruppi di oggetti ma in diversi gruppi di connessioni. In un periodo più antico della scienza si distinguevano ad esempio , come gruppi diversi, minerali, piante, animali , uomini. Tali oggetti venivano assunti, secondo i vari gruppi, come di diversa natura , costi¬ tuiti di materiale diverso, e determinati nel loro comportamento da forze diverse. Noi sappiamo ora che si tratta sempre della stessa materia , degli stessi vari componenti chimici che possono 127

appartenere a qualsiasi oggetto, a minerali come ad animali o a piante; anche le forze che agiscono fra le diverse parti della materia sono infine le stesse in ogni genere di oggetti. Ciò che può essere distinto è il tipo di connessione che principalmente importa in un certo fenomeno. Per esempio, quando parliamo dell azione di forze chimiche noi intendiamo indicare un tipo di rapporto più complicato ed ogni caso diverso da quello espresso nella meccanica newtoniana. Il mondo appare così come un complicato tessuto di eventi , in cui rapporti di diverso tipo si alternano, si sovrappongono e si combinano determinan¬

do la

struttura

del tutto.

Quando noi rappresentiamo un gruppo di nessi con un sistema chiuso e coerente di concetti, di assiomi, di definizioni e di leggi , rappresentate a loro volta da uno schema matematico, noi abbiamo di fatto isolato ed idealizzato questo gruppo di nessi allo scopo d una chiarificazione. Ma anche se in questo modo viene raggiunta la chiarezza completa, non si sa con quale esattezza la serie di concetti descriva la realtà. Queste idealizzazioni possono essere considerate come una par¬ te del linguaggio umano che si è formato dall azione reciproca fra noi e il mondo, una risposta umana alla sfida della natura . Sotto questo rispetto possono essere paragonate ai diversi stili dell’arte, per esempio dell’architettura o della musica. Uno stile d’arte può anche essere definito con una serie di regole for¬ mali applicate al materiale di quell’arte particolare. Può essere che codeste regole non siano rappresentate nel senso stretto del termine da una serie di concetti e di equazioni matema ¬ tiche, ma i loro elementi fondamentali sono in stretta relazione con gli elementi essenziali della matematica. Eguaglianza ed ineguaglianza, ripetizione e simmetria, certe strutture di grup128

po, svolgono un ruolo fondamentale sia nell arte che nella ma ¬ tematica. In genere è necessario il lavoro di più generazioni per sviluppare quel sistema formale che più tardi è chiamato lo stile dell arte, dai suoi semplici inizi alla pienezza di forme elaborate che caratterizza il suo stato maturo. L’interesse del¬ l’artista si concentra su codesto processo di cristallizzazione, in cui il materiale artistico assume , attraverso la sua azione, le forme varie che hanno avuto inizio con i primi concetti for¬ mali di questo stile. Dopo il raggiungimento della perfezione, l’interesse deve di nuovo affievolirsi , perché la parola « inte¬ resse » significa : essere con qualche cosa , partecipare ad un processo vitale, e qui il processo è pervenuto al suo termine. Anche qui la questione di fino a qual punto le regole formali dello stile rappresentino quella realtà vitale che è manifestazio¬ ne propria dell’arte non può essere deciso partendo dalle regole formali. L’arte è sempre un’idealizzazione: l’ideale è diverso dalla realt à - almeno dalla realt à delle ombre, come avrebbe detto Platone - ma l’idealizzazione è necessaria per inten ¬

derla. Questo confronto fra le diverse serie di concetti della scienza naturale con i diversi stili dell’arte può sembrare assai lontano dalla verità a chi consideri i diversi stili dell’arte piuttosto come prodotti arbitrari dello spirito umano. Costui sosterrebbe che , nella scienza naturale , quelle diverse serie di concetti che rappresentano la realt à oggettiva, sono state insegnate a noi dalla natura ; in nessun senso possono dirsi arbitrarie, e sono una conseguenza della nostra sempre crescente conoscenza del¬ la natura . Su questi punti molti scienziati concorderebbero. Ma i diversi stili dell’arte sono un prodotto arbitrario della mente umana ? Anche qui non dobbiamo essere sviati dalla partizione 129

cartesiana. Lo stile nasce dall interazione fra il mondo e noi, o più determinatamente fra lo spirito del tempo e l artista. Lo spirito del tempo è probabilmente un fatto altrettanto og¬ gettivo come qualsiasi fatto della scienza della natura , e questo spirito esprime certi aspetti del mondo che sono perfino indi pendenti dal tempo e in questo senso eterni. L’artista tenta con la sua opera di rendere comprensibili code¬ sti aspetti, e in questo tentativo è avviato alle forme dello stile

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nel quale lavora. Perciò, i due processi, quello della scienza e quello dell’arte, non sono molto diversi. Sia la scienza che l’arte danno forma nel corso dei secoli ad un linguaggio umano per mezzo del quale noi possiamo parlare delle più remote parti della realt à , e le serie coerenti di concetti come i diversi stili dell’arte sono le diverse parole o i diversi gruppi di parole di questo lin ¬ guaggio.

La teoria della relativit à

Nel campo della fisica moderna la teoria della relativit à ha svolto sempre un ruolo importantissimo. Fu in relazione ad essa che venne riconosciuta per la prima volta la necessit à d un cambiamento dei principi fondamentali della fisica . Perciò una discussione di quei problemi che sono stati da essa sollevati ed in parte risolti appartiene in modo essenziale alla nostra trattazione delle implicazioni filosofiche della fisica moderna . In certo senso si può dire che - contrariamente che per la teo¬ ria dei quanta - lo sviluppo della teoria della relatività , dal definitivo riconoscimento delle difficoltà alla loro soluzione ha richiesto soltanto un periodo brevissimo. La ripetizione del¬ l esperimento di Michelson ad opera di Morley e di Miller nel 1904 fu la prima prova esatta dell impossibilità di scoprire il moto translazionale della terra con metodi ottici, e la disser¬ tazione decisiva di Einstein apparve meno di due anni dopo. 131

D altra parte, l esperimento di Morley e Miller ed il saggio di Einstein furono soltanto i passi finali d’uno sviluppo che era cominciato molto tempo prima e che può venire sintetiz¬ zato sotto il titolo : « elettrodinamica dei corpi in movi ¬

mento » .

Ovviamente l’elettrodinamica dei corpi in movimento rappre¬ sentava un settore importante della fisica e dell’ingegneria da quando erano stati costruiti degli elettromotori. Una grossa difficoltà si era introdotta tuttavia in questo argomento per la scoperta di Maxwell sulla natura elettromagnetica delle on¬ de luminose. Queste onde differiscono per una proprietà es¬ senziale dalle altre onde , per esempio dalle onde sonore: esse sembrano potersi propagare nello spazio vuoto. Quando un campanello suona in un recipiente in cui è stato fatto il vuoto, il suono non perviene all’esterno. La luce invece attraversa con tutta facilit à lo spazio vuoto. Si pensò perciò che le onde luminose potessero venire considerate come onde elastiche d’ una leggerissima sostanza chiamata etere invisibile e imper¬ cettibile che riempiva lo spazio svuotato d’aria come pure lo spazio in cui si trovavano altre materie come l’aria o il vetro. L’idea che le onde elettromagnetiche potessero essere una real¬ t à di per sé, in piena indipendenza da qualsivoglia altro corpo , non passò in quel tempo per la mente dei fisici . Giacché code sta sostanza ipotetica , l’etere, sembrava penetrare gli altri corpi, sorse il problema : cosa accade se quei corpi o quella materia vengono messi in movimento ? Partecipa a questo movimento e - se cosi avviene - come si propaga l’onda di luce nell’etere in movimento ? Esperimenti indicativi intorno a questo problema sono difficili per la ragione seguente: le velocità dei corpi in movimento ¬

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sono generalmente estremamente piccole se confrontate con la velocità della luce. Per cui il movimento di quei corpi può produrre soltanto effetti piccolissimi che sono proporzionali al rapporto tra la velocit à del corpo e la velocit à della luce o a una potenza piu alta di quel rapporto. Vari esperimenti com ¬ piuti da Wilson , Rowland , Rontgen ed Eichenwald e Fizeau permisero la misura di tali effetti con una precisione corrispon dente alla potenza prima di detto rapporto. La teoria degli elettroni sviluppata da Lorentz nel 1895 potè descrivere tali effetti in modo pienamente soddisfacente. Ma allora gli espe¬ rimenti di Michelson , Morley e Miller crearono una situazione nuova . L esperimento verrà discusso scendendo a qualche particolare. Per ottenere effetti più vistosi e perciò risultati più precisi , parve meglio eseguire gli esperimenti con corpi dotati di altis¬ sima velocit à . La terra si muove intorno al sole con la velocit à di circa venti miglia al secondo. Se l etere è in quiete rispetto al sole e non si muove con la terra, allora questo veloce moto dell’etere rispetto alla terra dovrebbe farsi sentire nel caso d’un mutamento della velocit à della luce. Questa velocit à dovrebbe esser diversa in dipendenza del fato che la luce si propaghi in direzione parallela oppure perpendicolare alla direzione del moto dell’etere. Anche se l’etere dovesse parzialmente muo¬ versi con la terra , dovrebbe aversi un certo effetto dovuto a ciò che può chiamarsi vento d’etere, e questo effetto dovrebbe probabilmente dipendere dall’altezza del livello sul mare da cui viene eseguito l’esperimento. Un calcolo circa l’effetto preve¬ dibile mostrava che questo sarebbe stato molto piccolo, risul¬ tando esso proporzionale al quadrato del rapporto fra la velo¬ cità della terra e quella della luce, ed era perciò necessario ¬

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eseguire con estrema precisione gli esperimenti sull interfe¬ renza dei due fasci di luce viaggianti paralleli o perpendicolari al moto della terra . Il primo esperimento di questo genere ese¬ guito da Michelson nel 1881, non era stato sufficientemente ac¬ curato. Ma anche successivi tentativi non rivelarono il minimo segno dell effetto che si attendeva . Specialmente gli esperimen¬ ti di Morley e Miller nel 1904 poterono venir considerati come la prova definitiva che non esisteva alcun effetto dell’aspettato

ordine di grandezza . Questo risultato, per strano che fosse, s’incontrava con un al ¬ tro punto che era stato discusso dai fisici qualche tempo prima . Nella meccanica newtoniana si realizza un certo « principio di relativit à » che può essere descritto nei seguenti termini : se in un certo sistema di riferimento il moto meccanico dei corpi segue le leggi della meccanica newtoniana , altrettanto avviene allora per qualsiasi altro sistema di riferimento che sia in moto uniforme non rotatorio rispetto al primo sistema . In altre pa ¬ role, un moto uniforme di traslazione di un sistema non pro¬ duce effetti meccanici di sorta e non può perciò essere rilevato in base a tali effetti. Tale principio di relativit à - così sembrava ai fisici - non ap¬ pariva però valido in ottica o in elettrodinamica. Se il primo sistema è in riposo rispetto all’etere , gli altri sistemi non lo sono e perciò il loro moto rispetto all’etere dovrebbe venir rilevato per mezzo di effetti del tipo considerato da Michelson . Il risultato negativo dell’esperimento di Morley e Miller nel 1904 fece rivivere l’idea che tale principio di relativit à potesse esser valido in elettrodinamica come lo era per la meccanica newtoniana .

C’era d’altra parte un vecchio esperimento fatto da Fizeau nel i 34

1851 che sembrava definitivamente contraddire il principio di relatività. Fizeau aveva misurato la velocità della luce in un liquido in movimento. Se il principio di relatività era esatto la velocit à totale della luce in un liquido in movimento avreb¬ be dovuto essere data dalla somma della velocità del liquido e della velocità della luce nel liquido in riposo. Ma ciò non si verificava. L esperimento di Fizeau mostrò che la velocit à totale era alquanto più piccola. Tuttavia i risultati negativi di tutti i più recenti esperimenti per riconoscere il movimento « rispetto all etere » spinsero i fi¬ sici teorici e i matematici del tempo a cercare delle interpre¬ tazioni matematiche che conciliassero l’equazione ondulatoria della propagazione della luce con il principio di relativit à. Lorentz suggerì, nel 1904, una trasformazione matematica che soddisfaceva a questa esigenza . Egli dovette avanzare l’ipotesi che i corpi in movimento si contraggono nella direzione del moto secondo un fattore dipendente dalla velocità del corpo , e che in diversi schemi di riferimento ci sono diversi tempi « apparenti » che in molte guise prendono il posto del « tempo reale » . In tal modo egli fu in grado di proporre qualcosa che rassomigliava al principio di relatività: la velocità « apparente » della luce era la stessa in ogni sistema di riferimento. Queste idee vennero discusse da Poincaré, Fitzgerald ed altri fisici. Il passo decisivo tuttavia venne compiuto col saggio di Einstein del 1905 in cui egli considerava il tempo « apparente » della trasformazione di Lorentz come il tempo « reale » ed aboliva ciò che Lorentz aveva chiamato il tempo « reale ». Ciò costituì una trasformazione nelle basi stesse della fisica : una trasfor¬ mazione inaspettata e assolutamente radicale che richiese tutto il coraggio di un genio giovane e rivoluzionario. Per compiere 135

fu bisogno di null altro, nella rappresen ¬ tazione matematica della natura , che di una coerente applica¬ zione della trasformazione di Lorentz. Ma in base a questa nuova interpretazione la struttura dello spazio e del tempo erano mutate e molti problemi della fisica apparivano in una luce nuova. La sostanza etere, per esempio, poteva venir abo¬ lita . Giacché tutti i sistemi di riferimento che sono in moto di traslazione uniforme l uno rispetto all altro sono equivalenti per la descrizione della natura , perde ogni significato l’affer ¬ mazione che c’è una sostanza , l’etere, che è in riposo in uno soltanto di questi sistemi. Tale sostanza non è in effetti neces¬ saria ed è molto più semplice dire che le onde luminose si propagano nello spazio vuoto e che i campi elettromagnetici sono una realtà di per sé e possono esistere nello spazio questo passo non ci

vuoto.

Ma il cambiamento decisivo si verificava nella struttura dello spazio e del tempo. È molto difficile descrivere questo cambia ¬ mento nei termini del linguaggio comune, senza far uso della matematica , giacché le parole comuni « spazio » e « tempo » si riferiscono ad una struttura dello spazio e del tempo che è in realt à un’idealizzazione ed una supersemplificazione della strut ¬ tura reale. Ma dobbiamo tuttavia tentare di descrivere la nuo¬ va struttura e possiamo forse farlo nel modo seguente: Quando noi usiamo il termine « passato » noi comprendiamo tutti quegli eventi che noi potremmo conoscere almeno in via di principio, dei quali avremmo potuto sentire parlare almeno in via di principio . In modo analogo comprendiamo col termi¬ ne «futuro» tutti quegli eventi che noi potremmo influenzare almeno in via di principio, che noi potremmo tentare di cam ¬ biare o di ostacolare, almeno in via di principio. Non è facile 136

per uno che non sia fisico vedere perché questa definizione dei termini « passato» e « futuro » dovrebbe essere quella più con ¬ veniente. Ma è facile constatare che essa corrisponde con molta precisione all uso che facciamo comunemente dei termini. Se usiamo i termini in questo modo, risulta da molti esperimenti che il contenuto del «futuro » o del « passato» non dipende dal¬ lo stato di moto o da altre propriet à dell osservatore. Questo è vero sia nella meccanica newtoniana che nella teoria della relatività di Einstein. Ma la differenza è questa : nella teoria classica accettiamo l’as¬ sunto che futuro e passato sono separati da un intervallo tem ¬ porale infinitamente breve che noi possiamo chiamare il mo¬ mento presente. Nella teoria della relatività apprendiamo che la situazione è diversa : futuro e passato sono separati da un intervallo finito di tempo la lunghezza del quale dipende dalla distanza dall’osservatore. Qualsiasi azione può propagarsi sol¬ tanto ad una velocità minore od uguale alla velocit à della luce. Perciò un osservatore in un dato istante non può né conoscere né influenzare eventi distanti che abbiano luogo tra due tempi caratteristici . Uno di questi tempi è l’istante in cui un segnale luminoso viene emesso dal punto in cui avviene l’evento per raggiungere l’osservatore al momento dell’osservazione. L’altro tempo è l’istante in cui un segnale luminoso, fornito dall’os¬ servatore all’istante dell’osservazione raggiunge il punto del¬ l’evento. L’intero intervallo temporale finito fra questi due istanti può considerarsi come il « tempo presente » per l’osser ¬ vatore all’istante dell’osservazione. Qualsiasi evento realizzantesi tra i due tempi caratteristici può esser detto « simultaneo » all’atto dell’osservazione. L’uso della frase « può essere detto» mette in rilievo un’ambi¬ i 37

guità della parola « simultaneo» , dovuta al fatto che questo termine si è formato con l esperienza della vita quotidiana, in cui la velocità della luce può sempre essere considerata come praticamente infinita . Effettivamente in fisica questo termine può anche essere definito in modo leggermente diverso ed Ein¬ stein nei suoi scritti ha usato questa seconda definizione. Quan do due eventi accadono nello stesso punto dello spazio simul¬ taneamente, noi diciamo che essi coincidono; così il termine non è più ambiguo. Immaginiamo ora tre punti nello spazio giacenti su una retta in modo che il punto intermedio abbia la stessa distanza dai due punti estremi. Se accadono ai punti estremi due eventi in tempi tali che i segnali luminosi partenti dagli eventi coincidono quando raggiungono il punto mediano, possiamo definire i due eventi come simultanei. Questa defi¬ nizione è più precisa della prima. Una delle conseguenze più importanti è che se due eventi sono simultanei per un osserva¬ tore essi possono non essere tali per un altro osservatore, se questi è in moto rispetto al primo osservatore. La connessione tra le due definizioni può essere stabilita dall affermazione che ogni volta che due eventi sono simultanei nel primo senso del termine, si può sempre trovare un sistema di riferimento per cui essi sono simultanei anche nel secondo senso. La prima definizione del termine « simultaneo» sembra corri¬ spondere più da vicino all’uso che se ne fa nella vita quoti¬ diana, giacché il problema se due eventi sono simultanei non dipende nella vita quotidiana dal sistema di riferimento. Ma in entrambe le definizioni relativistiche il termine ha acquistato una precisazione che manca nel linguaggio della vita familiare. Nella teoria dei quanta i fisici dovettero apprendere piuttosto presto che i termini della fisica classica descrivono la natura ¬

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solo in modo impreciso, che la loro applicazione è limitata dalle leggi quantiche e che perciò si dovrebbe essere assai cauti nel loro uso. Nella teoria della relatività i fisici hanno cercato di cambiare il significato delle parole della fisica classica, per ren ¬ dere i termini piu precisi in modo da adattarli alla nuova si¬ tuazione.

La struttura dello spazio e del tempo che è stata portata alla luce dalla teoria della relativit à ha molte conseguenze in di¬ verse parti della fisica. La elettrodinamica dei corpi in movi¬ mento può venir subito derivata dal principio di relatività . Il principio stesso può essere formulato come una legge assolutamente generale della natura che si riferisce non solo alla elet ¬ trodinamica o alla meccanica ma a qualsiasi gruppo di leggi: le leggi assumono la stessa forma in tutti i sistemi di riferimen¬ to, che sono diversi l uno dall altro soltanto per un moto di traslazione uniforme ; sono invarianti di fronte alla trasforma ¬ zione di Lorentz. La conseguenza forse piu importante del principio di relativit à è l’inerzia dell’energia , o l’equivalenza della massa e dell’ener ¬ gia . Giacché la velocità della luce è la velocità limite che possa mai esser raggiunta da qualsivoglia corpo materiale, è facile vedere che è piu difficile accelerare un corpo che già si muove a forte velocità che un corpo in quiete. L’inerzia è venuta cre¬ scendo con l’energia cinetica . Ma in modo assolutamente ge¬ nerale ogni tipo d’energia , secondo la teoria della relatività, porterà un contributo all’inerzia , vale a dire alla massa, e la massa appartenente ad una determinata quantità d’energia è proprio quest’energia divisa per il quadrato della velocità della luce. Quindi ogni energia porta sempre con sé una massa, an che se ad un’energia piuttosto grande s’accompagni soltanto ¬

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una massa piccolissima ; e questa è la ragione perché la con¬ nessione fra massa ed energia non era mai stata osservata pri¬ ma. Le due leggi della conservazione della massa e della con ¬ servazione dell energia perdono la loro validità separata e sono combinate in un unica legge che può essere chiamata la legge della conservazione dell’energia o della massa . Cinquanta anni fa , quando la teoria della relativit à fu formulata, quest’ipotesi dell’equivalenza di massa e di energia sembrò costituire una completa rivoluzione nella fisica , e c’erano ancora scarse prove sperimentali a favore di essa. Ai nostri tempi noi vediamo in molti esperimenti quante particelle elementari possono essere create dall’energia cinetica , e come tali particelle vengano an ¬ nientate per dar vita a delle radiazioni ; perciò, il trasmutarsi dell’energia nella massa e viceversa non ci suggerisce nulla di inusuale. L’enorme liberazione di energia nell’esplosione ato¬ mica è ancora un ’altra e più spettacolare prova della validit à dell’equazione di Einstein . Ma qui possiamo aggiungere un ap¬ punto critico storico. È stato qualche volta affermato che le enormi energie delle esplosioni atomiche siano dovute ad una trasmutazione diretta della massa in energia e che si è stati in grado di prevedere queste energie soltanto sulla base della teoria della relativit à . Ciò costituisce nondimeno un fraintendimento. L’enorme quan ¬ tità d ’energia utilizzabile contenuta nel nucleo atomico era nota dal tempo degli esperimenti di Becquerel, Curie e Rutherford sui corpi radioattivi. Ogni corpo radioattivo, come il radio, pro¬ duce una quantit à di calore , disintegrandosi, circa un milione di volte superiore al calore emesso in un processo chimico per una eguale quantità di materia . La sorgente d ’energia nel pro¬ cesso di fissione dell’uranio è proprio la stessa che nella scom140

posizione alfa del radio, cioè essenzialmente la repulsione elet ¬ trostatica delle due parti in cui il nucleo è separato. Perciò, l energia d una esplosione atomica deriva direttamente da que ¬ sta sorgente e non da una trasformazione della massa in ener¬ gia . Il numero delle particelle elementari con massa di riposo finita non decresce durante l esplosione. È vero però che le energie di legame delle particelle del nucleo atomico si fan sentire con le loro masse e perciò la liberazione dell’energia è in questo modo indirettamente connessa anche con mutamen ¬ ti che si verificano nelle masse dei nuclei. L’equivalenza di massa ed energia - oltre la grande importanza che ha in fisica ha sollevato anche problemi concernenti antichissime questioni filosofiche. È stata tesi comune a molti sistemi filosofici del passato che la sostanza o materia non può essere distrutta . Nella fisica moderna, tuttavia, molti esperimenti hanno dimo¬ strato che delle particelle elementari, come ad esempio positoni ed elettroni possono essere annichiliti e trasmutati in ra¬ diazione. Significa questo che quegli antichi sistemi filosofici sono stati smentiti dalla moderna esperienza e che gli argo¬ menti da essi addotti ci han portato all’errore? Sarebbe certamente una conclusione imprudente ed ingiustifi¬ cata giacché i termini « sostanza » e « materia » nella filosofia antica e medievale non possono essere semplicemente identi¬ ficati con il termine « massa » della fisica moderna. Se si voles¬ se esprimere la nostra esperienza moderna nel linguaggio del¬ le filosofie piu antiche si potrebbero considerare massa ed ener¬ gia come due diverse forme della stessa « sostanza » e mante¬ nere perciò l’idea dell’indistruttibilit à della sostanza. D’altra parte non si può certo dire che si faccia un gran gua¬ dagno ad esprimere la conoscenza moderna in linguaggio clas ¬

si

sico. I sistemi filosofici del passato si formarono sul volume di conoscenze disponibili al loro tempo e sulle linee di pen ¬ siero cui tali conoscenze avevano portato. Non ha senso aspet¬ tarsi che i filosofi di molte centinaia d anni fa abbiano previsto lo sviluppo della fisica moderna o della teoria della relatività. Perciò i concetti cui i filosofi furono condotti durante il pro¬ cesso di chiarificazione intellettuale molto tempo addietro non possono verosimilmente adattarsi a fenomeni che possono es¬ sere osservati soltanto con gli elaborati strumenti tecnici del nostro tempo . Ma prima di affrontare la discussione sulle implicazioni filoso¬ fiche della teoria della relativit à è necessario illustrare i suoi ulteriori sviluppi. L ipotetica sostanza «etere » , che aveva svolto un ruolo cosi importante nelle prime discussioni sulle teorie di Maxwell nel diciannovesimo secolo, era stata abolita - come è stato detto prima - dalla teoria della relativit à . Ciò viene espresso qualche volta dicendo che l’idea dello spazio assoluto è stata abban ¬ donata. Ma una simile affermazione deve essere accettata con molta cautela. È vero che non si ci può fondare su un sistema speciale di riferimento in cui la sostanza etere sia in stato di quiete e che possa perciò meritare il nome di « spazio assolu ¬ to » . Ma sarebbe errato affermare che lo spazio ha ora perduto tutte le sue propriet à fisiche . Le equazioni di moto per corpi materiali o per campi assumono tuttavia forma diversa in un sistema di riferimento « normale » ed in un altro che sta ruo¬ tando od è in moto non uniforme rispetto a quello « normale » . L’esistenza di forze centrifughe in un sistema ruotante prova - per quanto almeno si riferisce alla teoria della relatività del 1905 e del 1906 - l’esistenza di proprietà fisiche dello spazio 142

che permettono la distinzione fra un sistema ruotante ed uno non ruotante. Questo può apparire non soddisfacente da un punto di vista filosofico dal quale si preferirebbe attribuire propriet à fisiche soltanto a entità fisiche come corpi materiali o campi e non allo spazio vuoto. Ma per quanto si riferisce alla teoria dei processi elettromagnetici o dei moti meccanici , quest esistenza di proprietà fisiche dello spazio vuoto è soltanto una descri¬ zione di fatti che non può essere discussa. Un attenta analisi di questa situazione fatta circa dieci anni do¬ po, nel 1916, condusse Einstein ad un’importantissima esten ¬ sione della teoria della relatività , che è chiamata generalmente teoria della « relativit à generale » . Prima di addentrarci nel¬ l’esposizione dei piu importanti principi di questa nuova teo¬ ria , può essere utile dire poche parole sul grado di certezza su cui possiamo fare assegnamento circa l’esattezza di queste due parti della teoria della relativit à . La teoria del 1905 e del 1906 è fondata su un gran numero di fatti bene accertati: su¬ gli esperimenti di Michelson e Morley ed altri dello stesso tipo, sull’equivalenza della massa e dell’energia in innumerevoli pro¬ cessi radioattivi, sulla dipendenza della durata dei corpi ra ¬ dioattivi dalla loro velocit à , ecc. Questa teoria appartiene, per ¬ ciò, ai principi fondamentali della fisica moderna e non può venir messa in discussione nella presente situazione. Per la teoria della relatività generale l’evidenza sperimentale è molto meno convincente , giacché scarsissimo è il materiale spe¬ rimentale. Esistono soltanto poche osservazioni astronomiche che permettano un controllo dell’esattezza degli assunti. Tutta questa teoria, perciò, è più ipotetica della prima. La pietra angolare della teoria della relatività generale è la i 43

connessione fra inerzia e gravità. Misure molto precise hanno mostrato che la massa d’ un corpo come sorgente di gravità è esattamente proporzionale alla massa come misura per l inerzia del corpo. Anche le piu accurate misure non hanno mai rile¬ vato alcuna deviazione a questa legge. Se la legge è general mente vera, le forze gravitazionali possono essere messe allo stesso livello delle forze centrifughe o di altre forze che si generano come reazione dell inerzia. Giacché le forze centrifu ¬ ghe apparivano dovute a propriet à fisiche dello spazio vuoto, come era stato detto prima , Einstein si volse all ipotesi che an ¬ che le forze gravitazionali sono dovute a propriet à dello spazio vuoto. Si trattava d’un passo importantissimo che spingeva su ¬ bito a farne un altro di eguale importanza. Noi sappiamo che le forze di gravit à sono prodotte dalle masse. Se perciò la gra ¬ vitazione è connessa con delle propriet à dello spazio, queste propriet à dello spazio devono essere prodotte o influenzate dalle masse. Le forze centrifughe in un sistema ruotante de¬ vono essere prodotte dalla rotazione ( relativa al sistema ) di masse forse molto distanti. Per eseguire il programma tracciato in queste poche proposi¬ zioni Einstein dovette collegare le idee fisiche in esse implicite con lo schema matematico di geometria generale sviluppato da Riemann. Poiché le propriet à dello spazio sembravano mutare continuamente con i campi gravitazionali , la sua geometria do¬ veva venir paragonata alla geometria delle superfici curve , dove la linea retta della geometria di Euclide deve essere sostituita dalla linea geodetica , la linea della distanza più breve, e dove la curvatura cambia continuamente. Einstein riuscì infine a for ¬ nire una formulazione matematica della connessione fra la di¬ stribuzione delle masse ed i parametri determinanti della geo¬

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metria. Questa teoria rappresentava i comuni fatti della gravi¬ tazione. Era , fino ad un altissima approssimazione, identica alla teoria della gravitazione convenzionale ed era inoltre in grado di predire alcuni interessanti effetti che eran proprio al limite di misurabilità. Ad esempio, l azione della gravità sulla luce. Quando della luce monocromatica è emessa da una stella pe¬ sante, i quanta di luce perdono energia muovendosi attraverso il campo gravitazionale della stella ; ne deriva uno spostamento verso il rosso della linea spettrale emessa. Non c’è ancora al¬ cuna prova sperimentale di questo spostamento verso il rosso, come ha mostrato chiaramente la discussione degli esperimenti

di Freundlich. Ma sarebbe anche prematuro concludere che gli esperimenti contraddicano la predizione della teoria di Ein ¬ stein . Un fascio di luce che passi vicino al sole deve essere deflesso dal suo campo gravitazionale. La deflessione è stata provata sperimentalmente da Freundlich nel giusto ordine di grandezza ; ma se la deflessione si accordi quantitativamente con il valore predetto dalla teoria di Einstein non è stato an ¬ cora deciso. La migliore prova per la validità della teoria del¬ la relativit à generale sembra essere la precessione nel moto or bitale del pianeta Mercurio, che in effetti coincide mirabilmen te con il valore predetto dalla teoria . Per quanto la base sperimentale della relatività generale sia ancora piuttosto ristretta , la teoria contiene idee della piu gran de importanza. Per tutto l’intero periodo che va dai matema¬ tici dell’antica Grecia al diciannovesimo secolo, la geometria euclidea era stata considerata come evidente; gli assiomi di Euclide venivano considerati come il fondamento di qualsiasi geometria matematica , un fondamento che era al di fuori d’ogni discussione. Poi , nel diciannovesimo secolo , i matematici ¬

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Bolyai e Lobachevsky , Gauss e Riemann scoprirono che era possibile inventare altre geometrie che potevano venir svilup pate con la stessa precisione matematica di quella euclidea ; perciò i problemi su quale fosse la geometria corretta assunsero un carattere puramente empirico. Ma fu soltanto attraverso l opera di Einstein che la questione potè essere realmente as¬ sunta dai fisici . La geometria discussa nella teoria della relati¬ vità generale non si riferiva soltanto allo spazio tridimensio¬ nale ma al molteplice quadridimensionale costituito di spazio e di tempo. La teoria stabiliva una connessione fra la geome¬ tria in questo molteplice e la distribuzione delle masse nel mondo. Perciò, questa teoria sollevò in forma completamente nuova i vecchi problemi sul comportamento dello spazio e del tempo in scala piu vasta ; essa potrebbe suggerire delle rispo ¬ ste fornite dal controllo delle osservazioni. Di conseguenza , vennero ripresi molti vecchi problemi filosofici che avevano occupato la mente dell uomo fin dalle prime fasi della filosofia e della scienza . Lo spazio è finito o infinito ? Che cosa c’era prima dell’inizio del tempo ? Che cosa accadrà alla fine del tempo ? O non esiste né principio né fine ? Tali domande avevano trovato diverse risposte nelle varie filosofie e religioni. Nella filosofia di Aristotele, per esempio, lo spazio totale dell’universo era finito ( per quanto infinitamente divisi¬ bile ). Lo spazio era dovuto all’estensione dei corpi, era con nesso con i corpi: non c’era spazio dove non c’erano corpi. L’universo era costituito dalla terra , dal sole e dalle stelle; un numero di corpi finito. Oltre la sfera delle stelle non c’era spa ¬ zio; perciò lo spazio dell’universo era finito. Nella filosofia di Kant questa questione apparteneva alle co siddette « antinomie » - domande che non potevano ottenere ¬

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risposta, giacché due diversi argomenti portavano a risultati opposti. Lo spazio non può essere finito giacché noi non riu ¬ sciamo ad immaginare per esso una fine; in qualsivoglia punto dello spazio perveniamo, possiamo sempre immaginare di po¬ ter procedere oltre . Nello stesso tempo lo spazio non può essere infinito, perché lo spazio è qualche cosa che noi possiamo im ¬ maginare ( altrimenti la parola « spazio » non si sarebbe potuta formare ) e noi non riusciamo ad immaginare uno spazio infi¬ nito. Per questa seconda tesi l argomento di Kant non è stato riprodotto letteralmente. La frase « lo spazio è infinito» signifi¬ ca per noi qualche cosa di negativo : noi non possiamo perve¬ nire al termine dello spazio. Per Kant ciò significa che l infi¬ nit à dello spazio è effettivamente data , che essa «esiste » in un senso che possiamo difficilmente riprodurre. Il risultato di Kant è che una risposta razionale alla domanda se lo spazio sia finito o infinito non può essere data perché l’universo non può essere oggetto della nostra esperienza nella sua totalità. Una situazione simile può incontrarsi riguardo al problema del¬

l’infinit à del tempo. Nelle Confessioni di S. Agostino, ad esem ¬ pio, la questione assume la forma seguente: che cosa faceva Dio prima che egli creasse il mondo ? Agostino non è soddi¬ sfatto della risposta scherzosa : « Dio era affaccendato a prepa ¬ rare l’inferno per quelli che fanno delle domande stupide.» Sarebbe, egli dice, una risposta troppo a buon mercato ed egli si sforza di sottoporre il problema ad un’analisi razionale. Il tempo passa soltanto per noi. È atteso da noi in quanto fu ¬ turo, è trascorrente come momento presente ed è da noi ri¬ cordato come passato. Ma Dio non è nel tempo: per Lui mille anni sono come un giorno, ed un giorno è come mille anni. Il tempo è stato creato insieme col mondo, appartiene al mondo, 147

perciò non esisteva tempo prima che l universo esistesse. Per Dio l intero corso dell’universo è dato tutto insieme. Non c’era tempo prima che Egli creasse il mondo. È ovvio che in affer ¬ mazioni del genere la parola « creasse » fa subito sorgere tutte le principali difficolt à . Questa parola cosi come è comunemen¬ te intesa significa che qualche cosa è venuto ad essere che prima non era , ed in questo senso essa presuppone il concetto del tempo. È perciò impossibile definire in termini razionali ciò che potrebbe essere il significato della frase « il tempo è stato creato » . Questo fatto ci ricorda di nuovo quella lezione già spesso discussa che abbiamo appresa dalla fisica moderna : che ogni parola o concetto, per chiari che possano sembrare, hanno soltanto un campo limitato di applicabilit à . Nella teoria della relativit à generale si può rispondere a queste domande circa l infinit à dello spazio e del tempo sopra una base empirica . Se la connessione fra la geometria quadridi¬ mensionale nello spazio e nel tempo e la distribuzione delle masse nell’universo è stata data correttamente dalla teoria , al¬ lora le osservazioni astronomiche sulla distribuzione delle ga¬ lassie nello spazio c’informano circa la geometria dell’universo come un tutto . Per lo meno si possono costruire « modelli » dell’universo, rappresentazioni cosmologiche, le cui conseguen ¬ ze possono essere messe a confronto con i fatti empirici. In base alle attuali conoscenze astronomiche non è possibile distinguere in modo preciso tra vari modelli possibili. Può essere che lo spazio riempito dall’universo sia finito. Ciò non significherebbe che in qualche posto ci sono i limiti dell’uni¬ verso. Significherebbe soltanto che procedendo sempre più lon ¬ tano in una direzione nell’universo si finirebbe col tornare al punto da cui si era partiti. La situazione sarebbe simile a quella 148

che si realizza nella geometria bidimensionale sulla superficie della terra dove noi , partendo da un punto in direzione est torniamo allo stesso punto proveniendo dall ovest . Rispetto al tempo sembra esserci qualche cosa di simile ad un principio. Molte osservazioni ci parlano d un inizio dell uni ¬ verso quattro miliardi di anni or sono: almeno esse sembrano rivelarci che in quel tempo tutta la materia dell’universo era concentrata in uno spazio molto piu piccolo di quello di oggi e si sarebbe poi espansa da quel piccolo spazio a differenti velocità. Lo stesso periodo di quattro miliardi di anni si ri¬ cava da osservazioni molto diverse ( per es . dall’età dei meteo¬ riti e dei metalli sulla terra ecc. ) , e sarebbe perciò diff ìcile trovare un’interpretazione essenzialmente diversa da quest’idea d’un’origine. Se essa è esatta vorrebbe dire che prima di que¬ sto periodo il concetto di tempo dovrebbe subire mutamenti essenziali. Allo stato attuale delle osservazioni astronomiche non è possibile rispondere agli interrogativi sulla geometria spazio- temporale su larga scala con un certo grado di certezza. Ma è estremamente interessante vedere che è forse possibile rispondere a queste domande su una solida base empirica . An ¬ che per il tempo la teoria della relatività generale poggia su un ristretto fondamento sperimentale e deve essere considerata molto meno certa della cosiddetta teoria della relatività spe¬ ciale espressa dalla trasformazione di Lorentz. Anche limitando le discussioni su quest’ultima teoria, non c’è dubbio che la teoria della relativit à ha mutato profondamente le nostre concezioni sulla struttura dello spazio e del tempo. La cosa che più colpisce in questi cambiamenti non è forse la loro speciale natura ma il fatto che essi siano stati possibili. La struttura dello spazio e del tempo che era stata definita da 149

Newton come la base della sua descrizione matematica della natura era semplice e consistente e corrispondeva assai strettamente all uso dei concetti di spazio e di tempo nella vita quo¬ tidiana . Questa corrispondenza era di fatto così stretta che le

definizioni di Newton potrebbero essere considerate come la precisa formulazione matematica di questi concetti comuni. Prima della teoria della relativit à sembrava assolutamente ov¬ vio che degli eventi potessero venire ordinati nel tempo indi¬ pendentemente dalla loro posizione nello spazio. Noi sappiamo ora che questa impressione è determinata nella vita quotidia¬ na dal fatto che la velocit à della luce è enormemente più ele¬ vata di qualsiasi altra velocit à riscontrabile nell esperienza pra¬ tica ; ma questa restrizione non era naturalmente conosciuta a quel tempo. Ed anche se noi ora la conosciamo ci è difficile immaginare che l’ordine temporale degli eventi debba dipen ¬ dere dalla loro posizione nello spazio. La filosofia di Kant attrasse più tardi l’attenzione sul fatto che i concetti di spazio e di tempo appartengono alla nostra rela¬ zione con la natura , non alla natura stessa ; che noi non po¬ tremmo descrivere la natura senza far uso di quei concetti. Di conseguenza , quei concetti sono in certo senso « a priori », sono la condizione primaria e non il risultato dell’esperienza e si pensava che non potessero essere alterati da nuove esperienze. Perciò la necessit à del mutamento apparve come una grande sorpresa. Era la prima volta che gli scienziati apprendevano quanto cauti si dovesse essere nell’applicare i concetti della vi¬ ta quotidiana all’esperienza raffinata della moderna scienza spe¬ rimentale. Persino la precisa e consistente formulazione di que¬ sti concetti nel linguaggio matematico della meccanica di New¬ ton o l’accurata analisi che se ne fa nella filosofia kantiana 150

non avevano offerto protezione sufficiente contro l analisi critica resa possibile da misurazioni estremamente esatte. Questo am ¬ monimento si mostrò più tardi estremamente utile nello svi¬ luppo della fisica moderna e sarebbe certo stato ancora più difficile intendere la teoria dei quanta se il successo della teoria della relatività non avesse ammonito i fisici contro l’uso acritico dei concetti assunti dalla vita quotidiana o dalla fisica classica.

Critiche e controproposte all interpretazione di Copenaghen della teoria dei quanta

L interpretazione di Copenaghen della teoria dei quanta ha condotto i fisici lontano dalle semplici concezioni materialisti¬ che che prevalsero nelle scienze naturali del diciannovesimo se¬ colo. Giacché queste concezioni erano state non solo intrinse¬ camente connesse con la scienza della natura di quel periodo ma avevano anche trovato un analisi sistematica in più d ’un sistema filosofico ed erano profondamente penetrate anche nel¬ le menti degli uomini comuni , si può ben comprendere come siano stati operati molti tentativi per criticare l’interpretazio¬ ne di Copenaghen e di sostituirla con una più in linea con i concetti della fisica classica o della filosofia materialistica. Questi tentativi possono essere divisi in tre gruppi diversi. Il primo gruppo non vuole cambiare l’interpretazione di Cope¬ naghen per quel che si riferisce alle previsioni dei risultati sperimentali , ma si adopera per cambiare il linguaggio di que sta interpretazione in modo da ottenere una più stretta rasso¬

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miglianza alla fisica classica. In altre parole, esso cerca di cambiarne la filosofia senza attaccarne la fisica. Alcuni scritti di questo primo gruppo restringono il loro accordo con le pre visioni sperimentali dell interpretazione di Copenaghen a que¬ gli esperimenti che sono stati fin qui eseguiti o che apparten ¬ gono alla normale fisica elettronica . Il secondo gruppo accetta l interpretazione di Copenaghen co¬ me l’unica adeguata, se i risultati sperimentali concordano ovunque con le previsioni . Perciò gli scritti degli autori di questo gruppo cercano di modificare alquanto la teoria dei quanta in alcuni punti critici. Il terzo gruppo, infine, si limita ad esprimere la sua insoddi¬ sfazione generale nei riguardi dell’interpretazione di Copena¬ ghen e soprattutto delle sue conclusioni filosofiche, senza avan ¬ zare controproposte ben definite. Scritti di Einstein, von Laue e Schrbdinger appartengono a questo terzo gruppo che è stato in ordine di tempo il primo dei tre. Tuttavia, tutti gli oppositori dell’interpretazione di Copena ¬ ghen concordano in un punto. Sarebbe desiderabile, secondo loro, ritornare al concetto di realt à della fisica classica o, per usare un termine filosofico generale, all’ontologia del materia ¬ lismo. Essi preferirebbero ritornare all’idea d ’ un mondo reale oggettivo le cui particelle minime esistono oggettivamente nello stesso senso in cui esistono pietre e alberi, indipendentemente dal fatto che noi le osserviamo o no. Ciò è tuttavia impossibile o almeno non interamente possibile a causa della natura dei fenomeni atomici, come è stato detto in qualcuno dei capitoli precedenti. Il nostro compito non può essere quello di formulare voti su come dovrebbero essere i fenomeni atomici ma soltanto quello d’intenderli. ¬

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Quando si analizzano gli scritti del primo gruppo, è importante comprendere subito che le loro interpretazioni non possono venir confutate con l esperienza , giacché essi non fanno che ripetere l interpretazione di Copenaghen in un diverso linguag¬ gio. Da un punto di vista strettamente positivistico è anche possibile dire che si tratta non di controproposte all’interpre¬ tazione di Copenaghen ma della sua esatta ripetizione in un diverso linguaggio. Ciò su cui si può discutere è perciò sol¬ tanto la convenienza o meno di questo linguaggio. Un intero gruppo di controposte opera nell’idea di « parametri ignoti ». Giacché le leggi teoretiche quantiche determinano in generale i risultati d’un esperimento solo statisticamente, dal punto di vista classico si sarebbe inclini a credere che esistono alcuni parametri sconosciuti che sfuggono all’osservazione in qualsiasi esperimento ordinario, ma che determinano la riuscita dell’e¬ sperimento secondo il normale procedimento causale. Esistono perciò degli studi che si sforzano di costruire tali parametri nell’interna struttura della meccanica quantica . Lungo questa linea, ad esempio, Boehm ha fatto una controproposta all’interpretazione di Copenaghen , che è stata recen ¬ temente, in certa misura , accolta anche da de Broglie. L’inter¬ pretazione di Boehm è stata svolta fin nei particolari. Può per ¬ ciò servir di base alle nostre discussioni. Boehm considera le particelle come strutture « oggettivamente reali » . Le onde dello spazio di configurazione sono anche secondo la sua interpreta¬ zione «oggettivamente reali », come i campi elettrici. Lo spazio di configurazione è uno spazio a molte dimensioni riferentesi alle diverse coordinate di tutte le particelle appartenenti al si¬ stema . A questo punto incontriamo una prima difficoltà : che cosa significa chiamare « reali » le onde nello spazio di confi154

gurazione? Questo spazio è assolutamente astratto. La parola « reale » risale alla parola latina « res » che significa « cosa » ; ma le cose si trovano nel normale spazio tridimensionale, non in un astratto spazio di configurazione. Si possono chiamare « og¬ gettive » le onde nello spazio di configurazione se si vuole in ¬ dicare che esse non dipendono dall osservatore, ma appare dif ¬ ficile chiamarle « reali » se non si vuol travisare il significato

di questa parola . Boehm procede definendo le linee perpendi colari alle superfici d onda di fase costante come le orbite possibili delle particelle. Quale di queste linee sia l’orbita « rea ¬ le » dipende, secondo lui, dalla storia del sistema e dal con¬ gegno di misura e non può essere deciso senza sapere di piu intorno al sistema e all’attrezzatura di misurazione di quanto in realtà non si sappia. Questa storia contiene infatti i para ¬ metri sconosciuti, l’«orbita effettiva » prima che l’esperimento sia cominciato. Una conseguenza di questa interpretazione è, come ha sottoli¬ neato Pauli , che gli elettroni negli stati a livello base di molti atomi dovrebbero essere in riposo, non compiendo alcun moto orbitale intorno al nucleo atomico. Ciò appare in contrasto con gli esperimenti , giacché le misurazioni della velocità degli elet¬ troni nello stato a livello base ( ad esempio, per mezzo del¬ l’effetto Compton ) rivela sempre una distribuzione di velocit à nello stato a livello base, che è - in conformità alle regole della meccanica quantica - dato dal quadrato della funzione d’onda in momenti o velocit à spaziali. Ma qui Boehm può arguire che la misurazione non può più essere valutata con le leggi ordi narie. Egli conviene che la valutazione normale della misura¬ zione condurrebbe invero ad una distribuzione di velocità ; ma quando viene presa in considerazione la teoria dei quanta sul¬

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l apparato di misurazione - specialmente alcuni strani poten ¬ ziali quantici introdotti ad hoc da Boehm - allora è ammissi¬ bile l affermazione che gli elettroni « realmente » sono sempre in riposo. Nelle misurazioni delle posizioni della particella , Boehm adotta come corretta l’interpretazione ordinaria degli esperimenti; nelle misurazioni della velocità egli la respinge. Dopodiché Boehm pensa di essere in grado di asserire: « Noi non dobbiamo abbandonare la precisa , razionale ed oggettiva descrizione dei sistemi individuali nel regno della teoria dei quanta. » Codesta asserzione oggettiva si rivela, tuttavia, come un tipo di « sovrastruttura ideologica » che ha poco a che fare con l’immediata realtà fisica , poiché i parametri sconosciuti dell’interpretazione di Boehm sono di tipo tale che non possono mai incontrarsi nella descrizione dei processi reali , se la teoria dei quanta rimane invariata . Per sfuggire a questa difficolt à , Boehm esprime difatti esplici¬ tamente la speranza che negli esperimenti futuri i parametri ignoti possano tuttavia assumere un ruolo fisico, e che la teo¬ ria dei quanta possa cosi risultare falsa . Quando queste strane speranze vennero espresse , Bohr usava dire che esse erano simili per struttura alla proposizione: « Noi possiamo sperare che una volta o l’altra accada che due per due faccia cinque, perché sarebbe cosa assai vantaggiosa per le nostre finanze. » In realtà l’adempimento delle speranze di Boehm toglierebbe il terreno sotto i piedi non soltanto alla teoria dei quanta ma anche all’interpretazione di Boehm . Naturalmente deve nello stesso tempo essere sottolineato che l’analogia ora menzionata , per quanto completa , non rappresenta un argomento logica ¬ mente stringente contro una possibile futura alterazione della teoria dei quanta nella maniera suggerita da Boehm. Poiché 156

non sarebbe assolutamente inimmaginabile, per esempio, che una futura estensione della logica matematica possa dare un certo significato all affermazione che in casi eccezionali 2 X 2 = = 5 e che una matematica cosi estesa possa essere di utilità nei calcoli che riguardano il settore economico. Noi siamo non ¬ dimeno profondamente convinti, anche senza bisogno di potenti argomentazioni logiche, che tali cambiamenti nella matematica non ci sarebbero di nessun aiuto dal punto di vista finanzia¬ rio. Perciò resta molto difficile intendere in che modo le proposte matematiche che l opera di Boehm indica come una possibile realizzazione delle sue speranze potrebbero venire usa¬ te per la descrizione di fenomeni fisici. Se trascuriamo questa possibile alterazione della teoria dei quan ¬ ta allora il linguaggio di Boehm , come abbiamo già messo in rilievo, non dice nulla sulla fisica che sia diverso da quanto afferma l’interpretazione di Copenaghen . Allora resta soltanto la questione dell’opportunit à di un tale linguaggio. Oltre al¬ l’obiezione già fatta che parlando di orbite delle particelle en ¬ triamo nel campo di una superflua « sovrastruttura ideologica », deve essere qui in modo particolare ricordato che il linguaggio di Boehm distrugge la simmetria fra posizione e velocit à che è implicita nella teoria dei quanta ; per le misurazioni di po¬ sizione Boehm accetta l’interpretazione usuale, per le misura¬ zioni della velocit à o del momento egli la respinge. Giacché le proprietà di simmetria costituiscono sempre il tratto più essenziale di una teoria , è difficile vedere che cosa si guada¬ gnerebbe omettendole nel linguaggio corrispondente. In con clusione, non si può considerare la controproposta di Boehm all’interpretazione di Copenaghen come un progresso. Un’obiezione simile può essere sollevata in forma alquanto ¬

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diversa contro le interpretazioni statistiche avanzate da Bopp e ( su una linea leggermente differente ) da Fenyes. Bopp con¬ sidera la creazione o Pannichilimento di una particella come il processo fondamentale della teoria dei quanta, la particella è « reale » nel classico senso del termine, nel senso dell ontolo¬ gia materialistica , e le leggi della teoria dei quanta vengono considerate come un caso speciale della statistica di correlazio¬ ne per simili eventi di creazione o di annichilimento. Que¬ st interpretazione, che contiene molti interessanti commenti al¬ le leggi matematiche della teoria dei quanta , può essere con ¬ dotta in maniera tale da portare, riguardo alle conseguenze fi¬ siche, esattamente alle stesse conclusioni dell’interpretazione di Copenaghen . Tanto essa è, nel senso positivistico, isomorfica ad essa , come quella di Boehm . Ma distrugge nel suo linguag¬ gio la simmetria fra particelle e onde che in altro modo è tratto caratteristico dello schema matematico della teoria dei quanta. Già nel 1928 venne mostrato da Jordan , Klein e Wi gner che lo schema matematico può essere interpretato non solo come una quantizzazione del moto delle particelle ma an ¬ che come una quantizzazione delle onde di materia tridimen ¬ sionali ; non c’è perciò alcuna ragione per considerare queste onde di materia meno reali delle particelle. La simmetria fra onde e particelle potrebbe venir assicurata nell’interpretazione di Bopp soltanto se la corrispondente statistica di correlazione venisse sviluppata pure per le onde di materia nello spazio e nel tempo ; e se venisse lasciata aperta la questione se debbano considerarsi come realtà « effettiva » le particelle o le onde. L’assunto che le particelle sono reali nel senso dell’ontologia materialistica seguirà sempre alla tentazione di considerare come « fondamentalmente » possibili delle deviazioni dal prin-

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cipio d indeterminazione. Fenyes, ad esempio, afferma che « ¬ sistenza del principio d indeterminazione ( che egli connette a certe relazioni statistiche ) in nessun modo rende impossibile la misurazione simultanea , con esattezza spinta al grado voluto, della posizione e della velocit à » . Fenyes non spiega, tuttavia, in che modo tali misurazioni dovrebbero essere eseguite in pratica , e quindi le sue considerazioni sembrano restare nel campo della matematica astratta. Weizel, le cui controproposte all’interpretazione di Copena¬ ghen sono affini a quelle di Boehm e di Fenyes, mette in re¬ lazione i « parametri ignoti » con un nuovo tipo di particella introdotta ad hoc, la « zeron » che non è in altra guisa osser ¬ vabile. Tuttavia un tale concetto porta con sé il pericolo che l’interazione fra le particelle reali e gli zeron dissipi l’energia fra molti gradi di libertà del campo degli zeron, cosi che l’in ¬ tero sistema termodinamico si trasformi in un caos. Weizel non ha spiegato come spera di evitare questo pericolo. Il punto di vista dell’intero gruppo di pubblicazioni ricordato fin qui può forse essere meglio definito ricordando una discus¬ sione simile sorta sulla teoria della relatività speciale. Chiunque fosse insoddisfatto della negazione fatta da Einstein, dell’etere, dello spazio assoluto e del tempo assoluto poteva allora ra ¬ gionare come segue: l’inesistenza dello spazio e del tempo as¬ soluti non è in alcun modo provata dalla teoria della relati¬ vità speciale. È stato osservato soltanto che il vero spazio e il vero tempo non s’incontrano direttamente in alcun esperimen ¬ to ordinario; ma se quest’aspetto delle leggi naturali è stato giustamente preso in considerazione e sono stati cosi intro dotti i corretti tempi « apparenti » per sistemi di coordinate in movimento, non per questo ci sarebbe alcun argomento contro ¬

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l affermazione d uno spazio assoluto. Sarebbe anche plausibile sostenere che il centro di gravità della nostra galassia è ( alme¬ no approssimativamente ) in riposo nello spazio assoluto. Il critico della teoria speciale della relatività potrebbe aggiungere che è possibile sperare che future misurazioni permetteranno una non ambigua definizione dello spazio assoluto ( cioè, del parametro sconosciuto della teoria della relatività ) e che la teoria della relatività verrà cosi confutata. È chiaro che un argomento del genere non può essere confu ¬ tato con la esperienza , poiché esso finora non fa alcuna asser ¬ zione che differisca da quelle della relatività speciale. Ma una tale interpretazione distruggerebbe , per il linguaggio che usa, la decisiva propriet à di simmetria caratteristica della teoria, vale a dire l’invarianza di Lorentz, e deve peraltro considerarsi inadeguata. L’analogia con la teoria dei quanta è evidente. Le leggi della teoria dei quanta sono tali che i « parametri ignoti » inventati ad hoc non possono mai venire osservati. Le decisive proprietà di simmetria sono cosi distrutte se introduciamo i « parametri ignoti » come un’entit à fittizia nell’interpretazione della teo¬ ria. La posizione di Blochinzev e Alexandrov sul problema in di¬ scussione è del tutto diversa da quelle discusse sopra . Questi autori esplicitamente e fin dal principio restringono le loro obiezioni sull’interpretazione di Copenaghen al lato filosofico del problema. Il punto di vista fisico dell’interpretazione è accettato senza riserve.

Il linguaggio adottato nella polemica , tuttavia, è molto più aspro: « Tra le diverse tendenze idealistiche della fisica contem ¬ poranea la cosiddetta scuola di Copenaghen è la più reaziona160

ria. Il presente articolo è dedicato allo smascheramento delle speculazioni agnostiche ed idealistiche di questa scuola sui pro¬ blemi fondamentali della fisica dei quanta » scrive Blochinzev nella sua introduzione. L asprezza della polemica mostra che qui abbiamo a che fare non soltanto con la scienza ma con una confessione di fede, con l adesione ad un certo credo. Lo sco¬ po viene espresso alla fine con una citazione dall’opera di Lenin : « Per quanto meravigliosa , dal punto di vista del comu ¬ ne intelletto umano, la trasformazione dell’etere imponderabile in materia ponderabile, per quanto strana negli elettroni la mancanza di qualsiasi cosa che non sia la massa elettromagne¬ tica , per quanto inaspettata la restrizione delle leggi meccani¬ che del moto a un solo settore dei fenomeni naturali e la loro subordinazione alle leggi più profonde dei fenomeni elettromagnetici, e cosi via ... tutto ciò non è altro che una conferma del materialismo dialettico. » Quest’ ultima affermazione sembra rendere meno interessante la discussione di Blochinzev sulle relazioni della teoria dei quanta con la filosofia del materiali¬ smo dialettico in quanto essa sembra degradata ad un dibatti¬ mento preordinato in cui la sentenza è già nota prima che esso abbia inizio. È importante tuttavia gettare piena luce su ¬ gli argomenti avanzati da Blochinzev e Alexandrov. Qui, dove il compito è di riscattare l’ontologia materialistica , l’attacco è rivolto principalmente contro l’introduzione dell’os¬ servatore nell’interpretazione della teoria dei quanta. Alexan ¬ drov scrive: « Noi dobbiamo perciò intendere per risultato della misurazione nella teoria dei quanta soltanto l’effetto oggettivo dell’interazione dell’elettrone con un oggetto conve¬ niente. Ogni menzione dell’osservatore deve essere evitata , e noi dobbiamo trattare di condizioni oggettive e di effetti og161

gettivi . Una quantità fisica è una caratteristica oggettiva del fenomeno e non il risultato d un osservazione.» Secondo Ale¬ xandrov, la funzione d onda nello spazio di configurazione ca¬ ratterizza lo stato oggettivo dell elettrone. Nella sua presentazione Alexandrov trascura il fatto che il for ¬ malismo della teoria dei quanta non permette lo stesso grado di oggettivizzazione della fisica classica. Per esempio, se l’intera ¬ zione d’ un sistema con l’apparato di misurazione è trattata co¬ me un tutto in accordo con la meccanica quantica , e se l’uno e l’altro vengono considerati come tagliati fuori dal resto del mondo, allora il formalismo della teoria dei quanta non con ¬ duce di regola ad un risultato definito; non condurrà , per esem ¬ pio, all’annerimento della lastra fotografica in un dato punto. Se si cerca di riscattare l’« effetto oggettivo» di Alexandrov dicendo che « in realt à » la lastra è annerita in un dato punto dopo l’interazione, la replica è che il trattamento meccanico quantico del sistema chiuso consistente di elettrone, apparato di misurazione e lastra non è più applicato. È il carattere «fat¬ tuale » di un evento descrivibile in termini dei concetti della vita quotidiana che senza un ulteriore commento non è con ¬ tenuto nel formalismo matematico della teoria dei quanta e che compare nell’interpretazione di Copenaghen con l’introdu ¬ zione dell’osservatore. Naturalmente l’introduzione dell’osser ¬ vatore non deve essere fraintesa nel senso che essa implichi la necessità d’introdurre alcuni elementi soggettivi nella descri¬ zione della natura. L’osservatore ha , piuttosto, soltanto la funzione di registrare decisioni , cioè processi nello spazio e nel tempo , e non importa se esso è un congegno od un essere umano; ma la registrazione, vale a dire, il passaggio dal « pos¬ sibile» all’«effettuale », è qui assolutamente necessaria e non può 162

essere omessa dalla teoria dei quanta . In questo punto la teo¬ ria dei quanta è intrinsecamente connessa con la termodinamica in quanto ogni atto di osservazione è per sua propria natura un processo irreversibile; è soltanto attraverso tali processi ir¬ reversibili che il formalismo della teoria dei quanta può essere concretamente connesso con gli eventi reali nello spazio e nel tempo. L irreversibilit à è di nuovo - quando è proiettata nella rappresentazione matematica dei fenomeni - una conseguenza della conoscenza incompleta e perciò non completamente « og¬ gettiva » che l osservatore ha del sistema. Blochinzev formula l’argomento in modo leggermente diverso da Alexandrov : « Nella meccanica dei quanta noi non descri¬ viamo uno stato della particella in sé ma il fatto che la particella appartiene a questo o a quel gruppo statistico. Tale ap¬ partenenza è assolutamente oggettiva e non dipende da osser ¬ vazioni fatte dall’osservatore. » Una formulazione del genere tuttavia ci allontana moltissimo, forse troppo, dall’ontologia materialistica . Per chiarire questo punto è utile ricordare come questa appartenenza a un gruppo statistico è usata nell’inter ¬ pretazione della termodinamica classica. Se un osservatore ha determinato la temperatura d’un sistema e vuole trarre da questi risultati conclusioni circa i moti molecolari nel sistema , egli può affermare che il sistema è per l’appunto un esempio d’un insieme canonico e può considerarlo cosi suscettibile di avere energie diverse. « In realt à » cosi noi concluderemmo nella fisica classica - il sistema ha , in un tempo dato, soltanto un’energia definita mentre tutte le altre restano irrealizzate. L osservatore è rimasto deluso se egli considerava come possi¬ bile , in quel momento, un energia diversa. L’insieme canonico contiene affermazioni non solo sul sistema stesso ma anche

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sulla conoscenza incompleta che Posservatore ha del sistema . Se Blochinzev nella teoria dei quanta si sforza di chiamare « completamente oggettiva » l appartenenza d’un sistema ad un complesso, egli usa la parola « oggettiva » in senso diverso da quello della fisica classica . Poiché nella fisica classica questa appartenenza significa , come è stato detto, qualche cosa che si riferisce non soltanto al sistema ma anche al grado di cono scenza che Posservatore ha del sistema . Nella teoria dei quanta va fatta un’eccezione a questa asserzione. Se nella teoria dei quanta il complesso è caratterizzato da una sola funzione d ’on¬ da nello spazio di configurazione ( e non , come di solito, da una matrice statistica ) , c’incontriamo in una situazione spe¬ ciale ( il cosiddetto « caso puro » ) in cui la descrizione può esser detta in certo senso oggettiva e in cui l’elemento della conoscenza incompleta non è presente in modo immediato. Ma giacché ogni misurazione ( a motivo dei suoi caratteri irrever¬ sibili ) reintroduce l’elemento della conoscenza incompleta , la situazione non sarebbe fondamentalmente diversa. Soprattutto, vediamo da queste formulazioni quali difficoltà s’incontrano quando si cerca di spingere idee nuove in un vec¬ chio sistema di concetti appartenenti ad una filosofia sorpassata o, per usare un ’antica metafora , quando si cerca di immettere vino nuovo in botti vecchie. Tentativi del genere sono sempre deludenti, perché ci sviano continuamente a preoccuparci delle inevitabili crepe che rappresentano le vecchie botti invece che spingerci a rallegrarci del vino nuovo. Non possiamo preten¬ dere che quei pensatori che introdussero un secolo fa il mate rialismo dialettico potessero prevedere lo sviluppo della teoria dei quanta. I loro concetti della materia e della realtà non era ¬

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possibile che si adattassero ai risultati della raffinata tecnica sperimentale dei nostri giorni. Si dovrebbero forse a questo punto aggiungere alcune conside¬ razioni generali sull atteggiamento dello scienziato verso un credo particolare, sia esso religioso o politico. La fondamentale differenza fra un credo religioso ed un credo politico - che quest ultimo cioè si riferisca alla realt à materiale e immediata del mondo che ci circonda , mentre il primo ha come oggetto un’altra realtà che trascende il mondo materiale - non è im ¬ portante per questa particolare questione; è il problema del credo in sé che va discusso. Da ciò che è stato detto si sareb¬ be inclini a chiedersi se non sarebbe meglio che gli scienziati non fossero legati ad alcuna dottrina particolare e non confi¬ nassero il loro modo di pensare nei limiti d ’ una determinata filosofia. Lo scienziato dovrebbe sempre esser pronto a veder mutare i fondamenti della propria conoscenza in base alla nuo¬ va esperienza. Ma una richiesta del genere costituirebbe ancora una semplificazione eccessiva della nostra situazione nella vita , e questo per due ragioni. La prima è che la struttura del no stro pensiero viene determinata in gioventù da idee in cui c’imbattiamo in quel tempo o da forti personalità con cui en ¬ triamo in contatto e da cui impariamo. Tale struttura formerà parte integrante di tutto il nostro lavoro successivo e può renderci difficile il pieno adattamento a idee diverse. La se¬ conda ragione è che noi apparteniamo ad una comunità o ad una società . Questa comunit à è tenuta insieme da idee comu¬ ni, da una scala comune di valori etici, o da un comune lin¬ guaggio nel quale ci si esprime sui problemi generali della vita . Le idee comuni possono essere sostenute dall’autorit à di una chiesa , di un partito o di uno stato e, anche se non si ¬

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tratta di ciò , può essere difficile allontanarsi dalle idee comuni senza entrare in conflitto con la comunità . E tuttavia i risultati del pensiero scientifico possono essere in contraddizione con qualcuna di queste idee. Non sarebbe certo saggio chiedere che lo scienziato non debba essere membro leale della propria comunit à , che esso debba essere privato della felicità che può provenire dall appartenenza ad una comunità ; e sarebbe egual¬ mente poco saggio desiderare che le idee comuni della societ à , che dal punto di vista scientifico sono sempre delle semplifi¬ cazioni, debbano cambiare istantaneamente in seguito al pro¬ gresso della conoscenza scientifica e che debbano essere cosi variabili come necessariamente lo sono le teorie scientifiche. Perciò su questo punto ritorniamo anche al nostro tempo al vecchio problema della «doppia verità » che riempie tutta la storia della religione cristiana attraverso il tardo medioevo. Esiste la discutibilissima dottrina che « la religione positiva qualsiasi possa essere la sua forma - è una necessit à indispen ¬ sabile per la massa del popolo, mentre l uomo di scienza cer ¬ ca la verità al di là della religione e la ricerca soltanto li » . « La scienza è esoterica », cosi dice « è soltanto per i pochi ». Se ai nostri tempi le dottrine politiche o le attività sociali assumono in molti paesi la parte della religione positiva , il problema resta essenzialmente lo stesso. La prima esigenza dello scien ¬ ziato sarà sempre l’onest à intellettuale, mentre la comunit à gli chiederà spesso - a causa della variabilità della scienza - di attendere almeno alcuni decenni prima di esprimere pubblica¬ mente le sue opinioni dissenzienti. Non esiste forse una so¬ luzione semplice a questo problema, quando la semplice tol¬ leranza non è sufficiente. Può venire qualche consolazione dal 166

fatto che si tratta certamente d un vecchio problema , conna ¬ turato alla vita umana. Tornando ora alle controproposte alla interpretazione di Cope naghen della teoria dei quanta, dobbiamo discutere il secondo gruppo di proposte, che cercano di trasformare la teoria dei quanta per arrivare ad una diversa interpretazione filosofica. Il tentativo più accurato in questa direzione è stato fatto da Janossy, che ha inteso come la rigorosa validit à della mecca ¬ nica quantica ci obbliga ad allontanarci dal concetto di realt à proprio della fisica classica. Egli cerca perciò di modificare la meccanica quantica in modo che, sebbene molti dei suoi risul¬ tati rimangano veri , la sua struttura si avvicini a quella della fisica classica. Il suo punto d attacco è ciò che si chiama « la riduzione dei pacchetti d onda », vale a dire il fatto che la fun ¬ zione ondulatoria o, più generalmente, la funzione di proba ¬ bilit à cambia in modo discontinuo quando l’osservatore pren ¬ de conoscenza di un risultato di misurazione. Janossy osserva che questa riduzione non può essere dedotta dalle equazioni differenziali del formalismo matematico ed egli crede di po¬ ter concludere da questo che c’è un’inconsistenza nell’interpre¬ tazione usuale. È ben noto che la « riduzione dei pacchetti d’onda » appare sempre nell’interpretazione di Copenaghen quando il passaggio dal possibile all’effettuale è completo . La funzione di probabilit à , che copriva un largo campo di possi¬ bilità, si riduce improvvisamente ad un campo molto più stret¬ to per il fatto che l’esperimento ha portato a un risultato de¬ finito, che effettivamente un certo evento è accaduto. Nel for¬ malismo questa riduzione esige che la cosiddetta interferenza delle probabilità, che è il fenomeno più caratteristico della teoria dei quanta , sia distrutta dalle parzialmente indefinibili ¬

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ed irreversibili interazioni del sistema con l apparato di misu ¬ razione ed il resto del mondo. Janossy ora tenta di modificare la meccanica dei quanta con l introduzione dei cosiddetti ter mini d’estinzione nelle equazioni , in modo che i termini d’in¬ terferenza scompaiano di per sé entro un tempo finito. Anche se ciò corrisponde alla realtà - e non c’è alcuna ragione di sup¬ porre questo in base agli esperimenti che sono stati compiuti resterebbe ancora , in seguito ad una interpretazione del gene¬ re, un certo numero di conseguenze piuttosto sconcertanti, co¬ me mette in rilievo Janossy stesso ( ad es. le onde che si pro¬ pagano ad una velocit à maggiore di quella della luce, l’inter ¬ cambio della sequenza temporale di causa e di effetto, ecc. ) . È perciò difficile esser disposti a sacrificare la semplicità della teoria dei quanta per una concezione del genere se non vi si è costretti dagli esperimenti. Fra i restanti oppositori di quella che viene spesso chiamata l’interpretazione «ortodossa » della teoria dei quanta, Schròdinger ha assunto una posizione eccezionale in quanto vorrebbe ascrivere l’ « oggettivit à reale » non alle particelle ma bensì al¬ le onde e non è disposto ad intendere le onde come « soltanto onde di probabilità » . Nel suo trattato intitolato « Esistono i salti quantici ? » egli cerca di negare del tutto l’esistenza dei salti quantici ( si potrebbe a questo punto discutere l’oppor ¬ tunità del termine « salto quantico» per sostituirlo col termine meno impegnativo di « discontinuità » ) . Ora l’opera di Schrodinger contiene innanzi tutto alcune incomprensioni dell’inter ¬ pretazione comune. Egli trascura il fatto che soltanto le onde dello spazio di configurazione ( o le matrici di trasformazione ) sono , nell’interpretazione usuale, onde di probabilit à , mentre le tridimensionali onde di materia o onde di radiazione non lo so¬

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no. Queste ultime hanno giusto altrettanta ed altrettanto irrile¬ delle particelle; non hanno alcuna connessione diretta con le onde di probabilità ma hanno una densità conti¬ nua di energia e di momento, come un campo elettromagnetico nella teoria di Maxwell. Schrbdinger sottolinea perciò giusta¬ mente che i processi a questo punto possono venir concepiti co¬ me più continui di quanto non siano usualmente. Ma questa in ¬ terpretazione non può rimuovere l elemento di discontinuità che si trova ovunque nella fisica atomica ; qualsiasi schermo di scin ¬ tillazione o contatore Geiger rivela subito questo elemento. Nell interpretazione usuale della teoria dei quanta esso è con¬ tenuto nel passaggio dal possibile all’effettuale. Schrbdinger stesso non fa alcuna controproposta sul modo in cui intende in ¬ trodurre l elemento di discontinuit à , dovunque osservabile , in modo diverso da quello dell’interpretazione usuale. Infine , la critica che Einstein , von Laue ed altri hanno espres¬ so in numerosi scritti si concentra sulla questione se l’inter¬ pretazione di Copenaghen permetta un ’unica ed obbiettiva de¬ scrizione dei fatti fisici . I loro argomenti essenziali possono venire espressi nei seguenti termini: lo schema matematico del¬ la teoria dei quanta sembra essere una descrizione perfetta¬ mente adeguata della statistica dei fenomeni atomici. Ma an ¬ che se le sue osservazioni intorno alla probabilità degli eventi atomici sono assolutamente esatte , questa interpretazione non descrive ciò che realmente avviene indipendentemente dalle osservazioni e negli intervalli fra queste. Ma qualche cosa deve avvenire, su questo non c’è dubbio ; non è necessario che que¬ sto qualche cosa venga descritto in termini di elettroni , di on de o di quanta di luce, ma finché in qualche modo esso non venga descritto il compito della fisica non è completo. Non vante « realtà »

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si può ammettere che questo compito si riferisca soltanto al¬ l atto d osservazione. Il fisico deve postulare che oggetto del¬ la sua scienza è un mondo non fatto da lui e che sarebbe presente, essenzialmente invariato , anche se egli non fosse li. Di conseguenza, l’interpretazione di Copenaghen non ci dà una conoscenza reale dei fenomeni atomici. È facile vedere che ciò che questa critica chiede è ancora la vecchia ontologia materialistica. Ma quale può essere la rispo¬ sta dal punto di vista dell’interpretazione di Copenaghen ? Noi possiamo dire che la fisica è una parte della scienza e che, come tale, aspira alla descrizione ed all’intelligenza della na¬ tura. Qualsiasi tipo d’intelligenza , scientifica o meno, dipende dal nostro linguaggio, dalla comunicazione delle idee. Qualsiasi descrizione di fenomeni , di esperimenti e dei risultati che ne conseguono, poggia sopra il linguaggio come sull’ unico mezzo di comunicazione. Le parole di questo linguaggio rappresenta ¬ no i concetti della vita quotidiana , che nel linguaggio scientifico della fisica, possono venire affinati in base ai concetti della fi¬ sica. Tali concetti sono gli unici strumenti per una non ambi¬ gua comunicazione intorno agli eventi, intorno all’organizza¬ zione degli esperimenti e ai loro risultati. Se si chiede perciò al fisico atomico di fornire una descrizione di ciò che realmente accade nei suoi esperimenti , le parole « descrizione » e « real¬ mente» e « accade » possono soltanto riferirsi ai concetti della vita quotidiana o della fisica classica . Non appena il fisico ab¬ bandonasse questa base perderebbe i mezzi per una comuni¬ cazione non ambigua e non potrebbe proseguire nella sua scien¬ za . Perciò, qualsiasi affermazione su ciò che è « realmente ac caduto» è un’affermazione espressa nei termini dei concetti classici e - a causa della termodinamica e delle relazioni d’in¬

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certezza - per sua stessa natura incompleta rispetto ai parti¬ colari degli eventi atomici implicati. La richiesta di «descrive¬ re ciò che accade » nel processo teoretico quantico fra due suc¬ cessive osservazioni è una contraddizione in adiecto , giacché la parola « descrivere » si riferisce all uso dei concetti classici, mentre questi concetti non possono venire applicati nello spa¬ zio che intercorre fra le osservazioni; possono soltanto veni¬ re applicati nei punti d osservazione. Si dovrebbe a questo punto osservare che l’interpretazione di Copenaghen della teoria dei quanta non è in alcun modo posi¬ tivistica . Poiché mentre il positivismo considera come elementi della realt à le percezioni sensibili dell’osservatore, l’interpre¬ tazione di Copenaghen considera , come fondamento d’ogni in ¬ terpretazione f ìsica, le cose ed i processi che sono descrivibili nei termini dei concetti classici , vale a dire il reale. Nello stesso tempo vediamo che la natura statistica delle leggi della fisica microscopica non può essere evitata , giacché qual¬ siasi conoscenza del « reale » è - a causa delle leggi teoretiche quantiche - per sua stessa natura una conoscenza incompleta. L’ontologia del materialismo poggiava sull’illusione che il tipo di esistenza, la « realt à » diretta del mondo intorno a noi , potes¬ se essere estrapolato sul piano atomico. Questa estrapolazione è invece impossibile. Si possono aggiungere alcune osservazioni sulla struttura for ¬ male di tutte le controproposte fin qui avanzate contro l’in ¬ terpretazione di Copenaghen della teoria dei quanta. Tutte queste proposte si sono trovate costrette a sacrificare le es¬ senziali proprietà di simmetria della teoria dei quanta ( ad esempio, la simmetria fra onde e particelle o fra posizione e velocità ) . Perciò possiamo ben supporre che l’interpreta171

zione di Copenaghen non può essere evitata se si conside come Pinvarianza di rano queste proprietà di simmetria Lorentz nella teoria della relatività - come un carattere ge¬ nuino della natura ; ed ogni nuovo esperimento viene a con¬ validare questa concezione. ¬

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La teoria dei quanta e la struttura della materia

Il concetto di materia ha subito un gran numero di cambia¬ menti nella storia del pensiero umano. Interpretazioni diverse sono state date in diversi sistemi filosofici. Tutti questi di¬ versi significati della parola sono tuttora presenti in grado maggiore o minore nel nostro concetto della parola « mate¬ ria ». La più antica filosofia greca da Talete agli Atomisti cercando il principio unificatore nell universale mutabilità di tutte le cose, aveva formulato il concetto di materia cosmica , una so stanza universale che soggiace a tutte le trasformazioni, da cui tutte le cose particolari sorgono e in cui tutte di nuovo si trasformano. Questa materia fu in parte identificata con qual¬ che materia specifica come l’acqua , l’aria o il fuoco; soltanto in parte, poiché essa non aveva altro attributo tranne quello di essere il materiale di cui tutte le cose sono fatte. ¬

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Più tardi, nella filosofia di Aristotele, si pensò alla materia come ad un elemento della relazione tra forma e materia . Tut ¬ to ciò che noi percepiamo nel mondo dei fenomeni che ci cir¬ conda è materia formata . La materia non è di per sé una real¬ tà ma solo una possibilit à , una « potentia » ; essa esiste solo per mezzo della forma . Nel processo naturale l « essenza », come Aristotele la chiama, passa, da semplice possibilit à, mercé la forma , in attualità. La materia di Aristotele non è certamente una materia specifica come l acqua o l’aria , né è semplicemen ¬ te spazio vuoto ; è un genere di substrato corporeo indefinito, incorporante la possibilità di trasformarsi in attualità per mez¬ zo della forma. Gli esempi tipici di questa relazione fra ma¬ teria e forma nella filosofia di Aristotele sono i processi bio¬ logici in cui la materia si forma per diventare organismo vi¬ vente e attivit à formatrice e costruttrice dell’uomo. La sta¬ tua è potenzialmente nel marmo prima che le dia forma lo

scultore. Successivamente, bisogna giungere alla filosofia di Descartes, la materia venne essenzialmente pensata come qualche cosa di opposto allo spirito. Erano i due aspetti complementari del mondo, « materia » e « spirito » , o, come si esprime Cartesio, la « res extensa » e la « res cogitans » . Giacché i nuovi principi metodici della scienza naturale , specialmente della meccanica, escludevano ogni influenza dei fenomeni corporei sulle forze spirituali , la materia potè venire considerata come una realtà di per sé, indipendente dallo spirito e da ogni forza sopran¬ naturale. La materia di questo periodo è « materia formata », interpretandosi il processo di formazione come una catena causale d’interazioni meccaniche ; ha perduto la sua connes¬ sione con l’anima vegetativa della filosofia aristotelica, e per174

ciò il dualismo fra materia e forma non è più rilevante. È que¬ sto il concetto di materia che costituisce di gran lunga il com ¬ ponente più importante del nostro uso attuale della parola « materia ». Infine, nella scienza naturale del diciannovesimo secolo ha avuto importanza un altro dualismo, il dualismo fra materia e forza. La materia è ciò su cui possono agire delle forze, op¬ pure la materia può produrre delle forze. Per esempio, la ma¬ teria produce la forza di gravità , e questa forza agisce sulla materia. Materia e forza sono due aspetti distintamente diversi del mondo corporeo. Fintanto che le forze possono essere for¬ ze formative questa distinzione si riavvicina alla distinzione aristotelica di materia e forma. D altra parte, nello sviluppo più recente della fisica moderna questa distinzione fra materia e forza è completamente abbandonata , giacché ogni campo di forza contiene energia e proprio perciò costituisce materia. Ad ogni campo di forza appartiene un tipo specifico di particelle elementari aventi essenzialmente le stesse proprietà di tutte le altre unità atomiche della materia. Quando la scienza naturale investiga il problema della mate¬ ria può farlo soltanto attraverso uno studio delle forme della materia . L infinita variet à e mutabilit à delle forme della ma¬ teria dev’essere l’oggetto immediato dell’investigazione, e gli sforzi devono essere diretti a trovare delle leggi naturali, dei principi unificatori che possano servire di guida in quest’im ¬ menso campo. Perciò la scienza naturale - e specialmente la fisica - ha per un lungo periodo concentrato il proprio inte¬ resse sull’analisi della struttura della materia e delle forze re¬ sponsabili di questa struttura. Dal tempo di Galileo il metodo fondamentale della scienza 175

naturale è stato l esperimento. Questo metodo rese possibile il passaggio dall esperienza generale all’esperienza specifica , ai singoli eventi caratteristici, dalla natura dei quali le leggi di questa potevano venir studiate in modo piu diretto che non dall’esperienza generale. Per studiare la struttura della mate¬ ria era necessario eseguire degli esperimenti con la materia. Bisognava sottoporre la materia a delle condizioni estreme per studiare le trasformazioni che in essa avvengono, nella speran ¬ za di trovare i suoi aspetti fondamentali , quelli che persistono sotto tutti gli apparenti cambiamenti. Nei primi tempi della scienza naturale moderna fu questo l’og¬ getto della chimica e questo sforzo portò abbastanza rapida ¬ mente al concetto di elemento chimico. Una sostanza che non potesse piu essere dissolta o disintegrata da nessuno dei mezzi a disposizione dei chimici - ebollizione, combustione, dissolu¬ venne consi¬ zione, mescolanza con altre sostanze, eccetera derata un elemento. L’introduzione di questo concetto fu un primo ed importantissimo passo verso la conoscenza della struttura della materia . L’enorme variet à delle sostanze fu al¬ meno ridotta a un numero comparativamente piccolo di so ¬ stanze più fondamentali, gli « elementi » , e fu possibile cosi stabilire un certo ordine tra i vari fenomeni della chimica . La parola atomo venne usata di conseguenza per designare la più piccola unità di materia appartenente ad un elemento chimi¬ co, mentre la più piccola particella di un composto chimico poteva venir raffigurata come un piccolo gruppo di atomi di¬ versi. La particella più piccola dell’elemento ferro, per es., era un atomo di ferro, e la più piccola particella d’acqua , la mo lecola d’acqua , consisteva in un atomo di ossigeno e due ato¬ mi d’idrogeno.

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Il passo successivo e quasi d eguale importanza fu la scoperta della conservazione della massa nei processi chimici. Ad esem ¬ pio, quando l elemento carbone si trasforma per combustione in biossido di carbonio, la massa del biossido di carbonio è eguale alla somma delle masse del carbone e dell’ossigeno pri¬ ma del processo. Fu questa scoperta che diede un significato quantitativo al concetto di materia : indipendentemente dalle sue qualità chimiche la materia può essere misurata per la sua massa. Durante il periodo seguente, principalmente nel diciannovesi ¬ mo secolo, un gran numero di nuovi elementi chimici venne scoperto ; ai nostri tempi questo numero ha raggiunto il centi ¬ naio. Questo sviluppo mostrò in modo inequivocabilmente chiaro che il concetto di elemento chimico non aveva ancora raggiunto il punto da cui è possibile intendere l’unità della materia . Era una situazione poco soddisfacente ammettere che esistessero moltissimi tipi di materia , qualitativamente diversi e senza alcuna connessione tra loro. Al principio del diciannovesimo secolo una certa prova di una connessione tra i diversi elementi venne trovata nel fatto che i pesi atomici di molti elementi apparivano spesso essere multipli interi di un’ unit à più piccola con peso atomico vi¬ cino a quello dell’idrogeno. La somiglianza nel comportamento chimico di vari elementi costitu ì un altro sintomo operante nella stessa direzione. Ma soltanto la scoperta di forze molto più potenti di quelle applicate nei processi chimici poteva realmente stabilire la connessione tra i diversi elementi e por tare perciò ad una più stretta unificazione della materia . Queste forze vennero effettivamente trovate nel processo ra ¬ dioattivo scoperto nel 1896 da Becquerel. Successive investi¬

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gazioni ad opera di Curie, Rutherford ed altri rivelarono la trasmutazione degli elementi nel processo radioattivo. Le par ¬ ticelle alfa vengono emesse in questi processi come frammenti degli atomi con un energia circa un milione di volte più gran ¬ de dell’energia d’una singola particella atomica in un processo chimico. Perciò, queste particelle poterono essere usate come nuovi strumenti per investigare l’intima struttura dell’atomo. Il risultato degli esperimenti di Rutherford sulla dispersione dei raggi a costituì il modello nucleare dell’atomo nel 1911. Il tratto più importante di questo ben noto modello era la se¬ parazione dell’ atomo in due parti nettamente diverse, il nucleo atomico e gli strati elettronici che lo attorniano. Il nucleo al centro dell’atomo occupa solo una frazione estremamente pic¬ cola dello spazio, riempito dall’atomo ( il suo raggio è circa centomila volte più piccolo di quello dell’atomo ) , ma contiene quasi interamente la sua massa . La sua carica elettrica positiva , che è un multiplo intero della cosiddetta carica elementare, de¬ termina il numero degli elettroni che lo circondano - l’ atomo nel suo complesso deve essere elettricamente neutro - e le

forme delle loro orbite. La distinzione fra il nucleo atomico e gli strati elettronici for ¬ nì subito una spiegazione più appropriata del fatto che per la chimica gli elementi chimici sono le unit à ultime della mate¬ ria e che forze molto più forti sono richieste per mutare gli elementi gli uni negli altri. Il legame chimico tra atomi vi¬ cini è dovuto ad una interazione degli strati elettronici, e le energie di questa interazione sono relativamente piccole. Un elettrone che sia accelerato in un tubo di scarica da un poten¬ ziale di soli pochi volt ha energia sufficiente per eccitare gli strati elettronici all’emissione di radiazioni, o per distruggere 178

il legame chimico in una molecola. Ma il comportamento chi mico dell atomo, sebbene dipenda dal comportamento dei suoi strati elettronici, è determinato dalla carica del nucleo. Biso¬ gna cambiare il nucleo se si vogliono cambiare le proprietà chi miche, e ciò richiede delle energie circa un milione di volte più grandi. Il modello nucleare dell atomo, se viene pensato come un si¬ stema obbediente alle leggi della meccanica di Newton , non potrebbe spiegare la stabilità dell’atomo. Come è stato messo in rilievo in un capitolo precedente, solo l’applicazione della teoria dei quanta a questo modello , attraverso l’opera di Bohr , potè render conto del fatto che, ad esempio , un atomo di car ¬ bonio, dopo esser stato in interazione con altri atomi o dopo aver emesso una radiazione, rimane alla fine sempre un atomo di carbonio con gli stessi strati elettronici di prima . Questa stabilit à potrebbe venir spiegata semplicemente da quegli aspetti della teoria dei quanta che impediscono una semplice descrizione oggettiva nello spazio e nel tempo della struttura dell’atomo. In questo modo si ebbe finalmente una prima base per la com ¬ prensione della materia . Ci si potè render conto delle proprietà chimiche e delle altre propriet à degli atomi applicando lo sche¬ ma matematico della teoria dei quanta agli strati elettronici . Da questa base si fu in grado di estendere l’analisi della strut ¬ tura della materia in due opposte direzioni. Verso l’investiga zione dell’interazione degli atomi, e delle loro relazioni con unit à più vaste, come molecole, cristalli od oggetti biologici; oppure verso l’investigazione del nucleo atomico e dei suoi componenti tentando di penetrare fino all’ unità estrema della materia. La ricerca ha proceduto su entrambe le linee, nei ¬

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passati decenni , e noi parleremo nelle pagine seguenti del ruolo svolto in questi due campi dalla teoria dei quanta. Le forze fra atomi vicini sono principalmente forze elet ¬ triche: l attrazione fra cariche opposte e la repulsione tra ca riche eguali; gli elettroni sono attratti dai nuclei e si respin ¬ gono fra loro. Ma queste forze agiscono non secondo le leggi della meccanica newtoniana ma secondo quelle della meccani¬ ca dei quanta. Questo conduce a due diversi tipi di legami fra gli atomi. In un primo tipo l elettrone di un atomo passa all’altro atomo, per riempire, ad esempio, uno strato elettronico pressoché com ¬ pleto. In questo caso tutti e due gli atomi sono finalmente ca¬ richi e formano quelli che i fisici chiamano ioni; e giacché le loro cariche sono opposte essi si attraggono l’un l’altro. Nel secondo tipo, un elettrone appartiene in un modo che è ca ¬ ratteristico della teoria dei quanta ad entrambi gli atomi. Ser ¬ vendosi della raffigurazione dell’orbita elettronica, si potrebbe dire che l’elettrone gira intorno ad entrambi i nuclei passando quantit à di tempo corrispondenti nell’uno e nell’altro atomo. Questo secondo tipo di legame corrisponde a ciò che i chimici ¬

chiamano legame di covalenza . Questi due tipi di forze, che possono trovarsi in ogni combi¬ nazione, sono la causa della formazione dei vari raggruppamen ¬ ti di atomi e sembrano in ultima analisi essere i responsabili di tutte le complicate strutture della materia che vengono stu¬ diate in fisica e in chimica . La formazione dei composti chi¬ mici avviene attraverso la formazione di piccoli gruppi chiusi di atomi diversi , costituendo ogni gruppo una molecola del composto. La formazione dei cristalli è dovuta all’ordinarsi de¬ gli atomi in grate regolari. I metalli si formano quando gli 180

atomi sono cosi strettamente stipati che i loro elettroni ester ¬ ni possono lasciare gli strati rispettivi e vagare attraverso l in¬ tero cristallo. Il magnetismo è dovuto al moto rotatorio dell’e¬ lettrone, e cosi via . In tutti questi casi il dualismo fra materia e forza può ancora essere mantenuto, giacché si possono considerare nuclei ed elettroni come frammenti di materia tenuti insieme per mezzo

delle forze elettromagnetiche. Mentre in tal modo la fisica e la chimica sono venute ad una quasi completa unificazione in relazione alla struttura della materia , la biologia ha a che fare con strutture di tipo più complicato e alquanto diverso. È vero che nonostante l’inte¬ rezza dell’organismo vivente non è certamente possibile fare una netta distinzione fra materia animata e materia inanimata . Lo sviluppo della biologia ci ha fornito un gran numero di esempi attraverso i quali è possibile vedere come le specifiche funzioni biologiche sono compiute da grandi molecole speciali o gruppi o catene di tali molecole, e si è rivelata nella biologia moderna una tendenza crescente a spiegare i processi biolo gici come conseguenze delle leggi della fisica e della chimica. Ma il genere di stabilit à che si dispiega negli organismi viventi è di natura alquanto diversa dalla stabilità degli atomi e dei cristalli. È una stabilit à del processo o della funzione piuttosto che una stabilit à della forma. Non ci può essere alcun dubbio che le leggi della teoria dei quanta svolgano una parte impor ¬ tante nei fenomeni biologici. Ad esempio, quelle forze speci¬ fiche della teoria dei quanta che possono esser descritte solo in modo impreciso dal concetto di valenza chimica , sono es¬ senziali per l’intelligenza delle grandi molecole organiche e dei loro vari modelli geometrici; gli esperimenti sulle mutazioni ¬

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biologiche prodotte dalla radiazione mostrano sia l importanza delle leggi statistiche della teoretica quantica come l esistenza di meccanismi amplificatori . La stretta analogia fra il funzio¬ namento del nostro sistema nervoso e quello delle moderne calcolatrici elettroniche mette ancora in evidenza l’importanza dei singoli processi elementari nell’organismo vivente. Tutto ciò non prova tuttavia che la fisica e la chimica possano un giorno offrirci, congiunte al concetto di evoluzione, una descri¬ zione completa dell’organismo vivente. I processi biologici de¬ vono essere maneggiati dallo scienziato sperimentatore con cau ¬ tela molto più grande dei processi fisici e chimici. Come ha messo in rilievo Bohr , può essere benissimo che una descrizio¬ ne dell’organismo vivente che possa essere detta completa dal punto di vista fisico non possa esser data , poiché essa richiede¬ rebbe degli esperimenti che interferiscono troppo violentemen ¬ te con le funzioni biologiche . Bohr ha illustrato una tale situa ¬ zione affermando che in biologia noi abbiamo a che fare con manifestazioni di possibilità di quella natura cui noi stessi ap¬ parteniamo piuttosto che con risultati di esperimenti che pos¬ sono essere compiuti da noi. La situazione di complementarità cui questa formula allude costituisce una tendenza nei me¬ todi della moderna ricerca biologica che, da un lato, fa pieno uso di tutti i metodi e i risultati della fisica e della chimica e, dall’altro lato, è basata su concetti che si riferiscono a quelle caratteristiche della natura organica che non sono contenute nella fisica o nella chimica , come il concetto stesso di vita. Fin qui abbiamo seguito l’analisi della struttura della materia in una direzione: dall’atomo alle strutture più complicate co¬ stituite da una molteplicit à di atomi; dalla fisica atomica alla fisica dei corpi solidi , alla chimica ed alla biologia. Ora dob182

biamo volgerci verso la direzione opposta e seguire la linea di ricerca che va dalle parti esterne dell atomo alle parti interne e dal nucleo alle particelle elementari. Questa linea ci con¬ durrà forse alla comprensione dell unità della materia. Non dobbiamo temere, in questo caso, di distruggere strutture ca ¬ ratteristiche con i nostri esperimenti. Quando ci si pone il compito di trovare l’unit à ultima della materia noi dobbiamo sottoporre la materia stessa alle maggiori forze possibili, alle condizioni piu estreme per vedere se ogni sostanza può in de¬ finitiva essere trasformata in qualsiasi altra sostanza. Un primo passo in questa direzione fu l’analisi sperimentale del nucleo atomico . Nel periodo iniziale di questi studi, che riempirono approssimativamente i primi tre decenni del nostro secolo, gli unici strumenti disponibili per compiere esperimen¬ ti sul nucleo furono le particelle alfa emesse dai corpi radio¬ attivi. Con l’aiuto di queste particelle Rutherford riuscì, nel 1919, a trasmutare nuclei di elementi leggeri ; potè, per esem ¬ pio, trasformare un nucleo di azoto in un nucleo di ossigeno aggiungendo la particella alfa al nucleo d’azoto ed espellendo¬ ne nello stesso tempo un protone. Fu questo il primo esem¬ pio di processi su scala nucleare che ricordassero quelli dei processi chimici ma condussero alla trasmutazione artificiale degli elementi. Il successivo sostanziale progresso fu, come è ben noto, l’accelerazione artificiale dei protoni per mezzo di congegni ad alta tensione ad energie sufficienti a produrre la trasmutazione nucleare. Erano necessari a questo scopo vol¬ taggi di circa un milione di volt , e Cockcroft e Walton riu¬ scirono nel loro primo esperimento decisivo a trasmutare nu¬ clei dell’elemento litio in quelli dell’elemento elio. Questa sco¬ perta aprì una direzione di ricerca completamente nuova, che 183

può essere denominata fisica nucleare nel senso proprio e che condusse assai presto ad una conoscenza qualitativa della strut¬ tura del nucleo atomico . La struttura del nucleo era in realtà semplicissima . Il nucleo atomico consiste di due soli tipi di particelle elementari. Una di queste è il protone che non è altro nello stesso tempo che il nucleo dell idrogeno, e l altra è chiamata neutrone, una particella avente su per giù la massa del protone ma che è elettri¬ camente neutra . Ogni nucleo può essere caratterizzato dal nu ¬ mero di protoni e di neutroni di cui consiste. Il normale nucleo di carbonio, ad esempio, consiste di sei protoni e di sei neu ¬ troni. Ci sono altri nuclei di carbonio, in numero meno fre¬ quente, chiamati isotopici rispetto ai primi, che consistono di 6 protoni e 7 neutroni , ecc. Si raggiunge cosi una descrizione della materia in cui , invece di diversi elementi chimici, basta¬ vano soltanto tre unit à fondamentali : il protone, il neutrone e l’elettrone. Tutta la materia consiste di atomi ed è perciò co¬ stituita con queste tre fondamentali pietre miliari. Non si trattava ancora dell’unit à della materia , ma era certo un gran passo verso l’unificazione e - cosa forse ancora più importante - verso la semplificazione. C’era naturalmente àncora molta strada da fare, dalla conoscenza dei due fondamentali elemen ¬ ti costitutivi del nucleo ad una comprensione piena della sua struttura . Si tratta d’un problema alquanto diverso dal pro¬ blema corrispondente riguardante gli strati atomici esterni che era stato risolto verso il ’ 25. Negli strati elettronici erano ben conosciute le forze fra le particelle, ma era necessario trovare le leggi dinamiche e queste vennero trovate nella meccanica dei quanta . Nel nucleo si poteva supporre che le leggi dinami che fossero proprio quelle della meccanica dei quanta ma non ¬

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erano conosciute in anticipo le forze agenti tra le particelle ; era necessario derivarle dalle proprietà sperimentali dei nu¬ clei. Tuttora questo problema non è stato completamente ri¬ solto. Le forze non hanno probabilmente una forma semplice come quella delle forze elettrostatiche nelle cortecce atomiche e quindi la difficoltà matematica di calcolare le propriet à di forze complicate e l imprecisione degli esperimenti rendono difficile il progresso. Ma un intelligenza qualitativa della strut ¬ tura del nucleo è stata definitivamente raggiunta. Restava quindi il problema ultimo, quello dell’unità della ma ¬ teria . Queste pietre miliari fondamentali - il protone, il neu ¬ trone e l’elettrone - sono unità ultime ed indistruttibili di ma¬ teria , atomi nel senso inteso da Democrito, senza alcuna rela¬ zione tranne quella delle forze che tra di loro agiscono o non sono invece che forme diverse dello stesso tipo di materia ? Possono esse venir trasmutate le une nelle altre e forse anche in altre forme della materia ? Un attacco sperimentale sferrato in questo senso richiede un concentramento di forze e di ener ¬ gie sulle particelle atomiche molto più imponente di quello che è stato necessario per investigare il nucleo atomico. Giacché le energie raccolte nei nuclei atomici non sono cosi grandi da for ¬ nirci uno strumento valido per tali esperimenti, il fisico deve fare assegnamento o sulle forze di dimensione cosmica o sulla ingegnosità ed abilit à dei tecnici. Effettivamente, progressi si sono fatti su entrambe le linee. Nel primo caso il fisico fa uso della cosiddetta radiazione co¬ smica. I campi elettromagnetici della superficie delle stelle estendendosi su spazi immensi sono capaci, in certe circostanze, di accelerare le particelle atomiche cariche, gli elettroni ed i nuclei. I nuclei, a causa della loro maggiore inerzia sembrano 185

avere maggior probabilità di restare a lungo nel campo di ac¬ celerazione, e quando finalmente lasciano la superficie della stella per entrare nello spazio vuoto hanno già viaggiato at ¬ traverso potenziali di molte migliaia di milioni di volt . Può verificarsi un ulteriore accelerazione nei campi magnetici in¬ terstellari ; in ogni caso sembra che i nuclei restino trattenuti a lungo nello spazio della galassia da vari campi magnetici, e riempiono alla fine questo spazio con quella che viene chia¬ mata radiazione cosmica . Questa radiazione raggiunge la terra dall esterno e consiste di nuclei praticamente di ogni tipo, idro¬ geno ed elio e molti elementi più pesanti , con delle energie che vanno da cento o mille milioni di elettroni-volt fino, in casi piu rari, a milioni di volte questa cifra . Quando le particelle di questa radiazione cosmica penetrano nell’atmosfera terre¬ stre esse colpiscono atomi di azoto o di ossigeno dell’ atmosfera e possono colpire gli atomi di qualsiasi apparecchiatura speri¬ mentale esposta alla radiazione. L’altra linea della ricerca con ¬ siste nella costruzione di grandi macchine acceleratrici , il cui prototipo fu il cosiddetto ciclotrone costruito da Lawrence in California verso il trenta . L’idea ispiratrice di queste macchine è di far girare in cerchio per mezzo d’un grande campo magne¬ tico le particelle un gran numero di volte, in modo da ricevere un nuovo stimolo acceleratore dai campi elettrici ad ogni nuo¬ va traiettoria. Macchine che raggiungono energie di alcune cen ¬ tinaia di milioni di elettroni- volt sono in uso in Gran Breta¬ gna , e per mezzo della cooperazione di dodici paesi europei una grande macchina di questo tipo si sta ora costruendo 1 a Ginevra che si spera possa raggiungere energie di 25 000 mii

Questa macchina è entrata in funzione nell anno 1959. ( N. d . T . )

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lioni di elettroni-volt . Gli esperimenti eseguiti per mezzo del la radiazione cosmica o dei grandi acceleratori hanno rivelato nuovi interessanti aspetti della materia. Oltre ai tre fondamen ¬ tali elementi costitutivi della materia - elettrone, protone e sono state trovate nuove particelle elementari che neutrone possono venir create durante il corso di questi processi ad al¬ tissime energie per scomparire poi di nuovo dopo breve tem ¬ po. Le nuove particelle hanno proprietà simili alle vecchie tran¬ ne la loro instabilità . Anche le più stabili hanno all incirca la durata d un milionesimo di secondo ed altre durate ancora mille volte più brevi. Attualmente sono conosciute circa ven ¬ ticinque nuove particelle elementari ; quella più recente è il ¬

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protone negativo.

Questi risultati sembrano a prima vista allontanarci dall idea dell unità della materia , giacché il numero delle fondamentali unità della materia sembra essere cresciuto di nuovo a valori prossimi al numero dei diversi elementi chimici. Ma non sa ¬ rebbe questa un’interpretazione esatta . Gli esperimenti hanno mostrato nello stesso tempo che le particelle possono essere create da altre particelle o semplicemente dalla energia cine¬ tica di tali particelle, e possono di nuovo disintegrarsi in al¬ tre particelle. Realmente gli esperimenti hanno mostrato la completa mutabilità della materia. Tutte le particelle elemen ¬ tari possono, ad energie sufficientemente alte, essere trasmu¬ tate in altre particelle, o possono semplicemente venir create dall’energia cinetica o risolversi in questa, ad esempio in ra diazione. Ed è questa la prova finale dell’unità della materia. Tutte le particelle elementari sono fatte della stessa sostanza, che può esser chiamata energia o materia universale; sono sol tanto forme diverse in cui la materia può manifestarsi. ¬

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Se confrontiamo questa situazione con i concetti aristotelici di materia e forma , possiamo dire che la materia di Aristotele , che è pura « potentia », dovrebbe esser paragonata al nostro concetto di energia , che passa all attualità per mezzo della for¬ ma quando viene creata la particella elementare. La fisica moderna non è naturalmente soddisfatta d una de¬ scrizione soltanto qualitativa della struttura fondamentale della materia ; essa deve cercare, sulla base di accurate investigazioni sperimentali, di ottenere una formulazione matematica di quel¬ le leggi naturali che determinano le « forme » della materia, le particelle elementari e le loro forze. Una netta distinzione tra materia e forza non può più essere fatta in questa parte della fisica, giacché ogni particella elementare non solo produce delle forze e subisce l azione di forze, ma rappresenta nello stesso tempo un certo campo di forza . Il dualismo teoretico quanti¬ co di onde e particelle fa apparire la stessa entit à sia come materia che come forza. Tutti i tentativi di trovare una descrizione matematica delle leggi concernenti le particelle elementari son partiti fin qui dalla teoria quantistica dei campi d’onda . Il lavoro teoretico intorno a teorie di questo tipo cominciò nei primi anni dopo il trenta . Ma le prime serie investigazioni in questa direzione rivelarono serie difficoltà, le cui radici affondavano nella com ¬ binazione della teoria dei quanta con quella della relativit à speciale. Sembrerebbe a prima vista che le due teorie, la teo¬ ria dei quanta e la teoria della relatività , si riferiscano a due aspetti così diversi della natura da non aver praticamente nien ¬ te a che fare l’una con l’altra , e che sia possibile servirsi dello stesso formalismo per venire incontro alle esigenze di entram ¬ be. Un esame più attento, tuttavia , mostra che le due teorie 188

interferiscono in un punto e che da questo punto sorgono le difficoltà . La teoria della relatività speciale ha rivelato una struttura dello spazio e del tempo alquanto diversa dalla struttura general¬ mente assunta dalla meccanica newtoniana. Il tratto piu carat ¬ teristico di questa nuova struttura è l esistenza d una velocità massima che non può essere sorpassata da alcun corpo vivente o segnale viaggiante , la velocit à della luce. In conseguenza di ciò, due eventi in punti distanti non possono avere alcuna connessione causale immediata se han luogo in tempi tali per cui un segnale luminoso in partenza nell’istante in cui accade l’evento nel punto uno raggiunge l’altro punto solo quando l’altro evento si è là già verificato ; e viceversa. In tal caso gli eventi possono dirsi simultanei. Giacché nessuna azione di qualsivoglia tipo può pervenire in tempo dall’evento che ha luogo nel punto uno all’altro evento che ha luogo nell’altro punto, i due eventi non sono connessi da alcuna azione cau ¬ sale. Per questo motivo nessuna azione a distanza , del tipo, ad esem ¬ pio, delle forze gravitazionali della meccanica newtoniana , era compatibile con la teoria della relatività speciale. La teoria doveva sostituire tale azione con azioni da punto a punto, da un punto a punti che si trovano ad una vicinanza infinitesi ¬ male. Le espressioni matematiche più naturali per azioni di questo tipo erano le equazioni differenziali per onde o per campi che fossero invarianti per la trasformazione di Lorentz. Tali equazioni differenziali escludono qualsiasi azione diretta fra eventi « simultanei » . Perciò la struttura dello spazio e del tempo espressa nella teoria della relatività speciale implicava una linea di confine tutte

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marcata fra la regione della simultaneit à , in cui nessuna azione poteva venir trasmessa, e le altre regioni, in cui poteva aver luogo un azione diretta da evento a evento. D altra parte, nella teoria dei quanta le relazioni d’indetermi nazione pongono un limite definito alla precisione con cui po¬ sizioni e momenti , o tempo ed energia , possono essere misurati simultaneamente. Siccome una linea di confine assolutamente marcata significa una precisione assoluta rispetto alla posizione nello spazio e nel tempo, i momenti o le energie devono es¬ sere completamente indeterminati, oppure debbono aversi di fatto con stragrande probabilit à momenti ed energie con valori alti ad arbitrio. Perciò, qualsiasi teoria che cerchi di rispon ¬ dere contemporaneamente alle esigenze della relativit à speciale e della teoria dei quanta porterà a delle inconsistenze matema ¬ tiche, a forti divergenze nelle regioni delle altissime energie e degli altissimi momenti. Questa serie di conclusioni può sem ¬ brare forse non strettamente convincente, giacché ogni for¬ malismo del tipo qui preso in considerazione è molto compli¬ cato e potrebbe forse offrire alcune possibilit à matematiche per evitare il conflitto tra la teoria dei quanta e la relatività . Ma fin qui tutti gli schemi matematici che si sono escogitati condusse¬ ro di fatto o a divergenze , cioè a contraddizioni matematiche, o non vennero incontro a tutte le esigenze delle due teorie. Ed è stato facile vedere come le difficoltà provennero tutte real¬ mente dal punto or ora discusso. Il modo in cui gli schemi matematici convergenti non rispo¬ sero alle esigenze o della teoria della relatività o di quella dei quanta fu di per se stesso interessantissimo. Uno schema , ad esempio, se interpretato in termini di eventi effettivi nello spazio e nel tempo, portava ad una specie d’inversione nel

assolutamente

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tempo; esso predirebbe dei processi in cui improvvisamente in qualche punto dello spazio vengono create delle particelle, la cui energia viene fornita piu tardi da qualche altro processo di collisione fra particelle elementari in qualche altro punto. I fisici, in base ai loro esperimenti, sono convinti che in natura non avvengono processi di questo tipo, non almeno se i due pro¬ cessi sono separati da distanze spaziali e temporali misurabili. Un altro sistema matematico cercò di evitare le divergenze at ¬ traverso un processo matematico che è chiamato di rinormaliz¬ zazione; parve possibile spingere gli infiniti del formalismo in un luogo dove non potessero ostacolare lo stabilirsi di rela¬ zioni ben definite fra quelle quantità che possono essere diret¬ tamente osservate. Questo schema ha effettivamente portato ad un progresso assai sostanziale nella elettrodinamica quantica, giacché esso dà ragione di alcuni interessanti particolari dello spettro dell idrogeno che in precedenza non erano stati com¬ presi. Un analisi più serrata , tuttavia , di questo schema ma ¬ tematico, ha fatto scorgere la probabilità che quelle quantità che nella teoria dei quanta normale debbono essere interpre¬ tate come probabilit à possano in certe circostanze diventare ne¬ gative nel formalismo della rinormalizzazione. Ciò impedireb¬ be un uso consistente di quel formalismo per la descrizione della materia. La soluzione finale di queste difficolt à non è stata ancora tro¬ vata. Emergerà un giorno dalla raccolta di materiale sperimen¬ tale via via più preciso sulle diverse particelle elementari, la loro creazione ed il loro annichilimento, e sulle forze agenti in esse. Ricercando possibili soluzioni delle difficoltà si potrebbe forse ricordare che tali processi con inversione temporale, di cui si è parlato sopra, non potrebbero essere esclusi sul piano 191

sperimentale se avessero luogo soltanto in ristrettissime dimen ¬ sioni di spazio e di tempo, fuori dalla portata di misurazione del nostro attuale apparato sperimentale. Si sarebbe natural¬ mente riluttanti ad accettare tali processi con inversione del tempo se potesse presentarsi, in uno stadio piu avanzato della fisica , la possibilit à di seguire sperimentalmente tali eventi nel¬ lo stesso senso in cui si seguono i normali eventi atomici. Ma qui l analisi della teoria dei quanta e della relatività può ancora aiutarci a considerare il problema sotto una nuova luce. La teoria della relativit à è connessa con una costante universale della natura , la velocità della luce. Questa costante determina la relazione fra lo spazio e il tempo ed è perciò implicitamente contenuta in ogni legge naturale che debba rispondere ai re¬ quisiti dell invarianza di Lorentz. Il nostro linguaggio naturale ed i concetti della fisica classica possono applicarsi soltanto a fenomeni per cui la velocit à della luce può essere considerata come praticamente infinita . Quando nei nostri esperimenti ci avviciniamo alla velocità della luce dobbiamo essere preparati a dei risultati che non possono essere interpretati in base a quei concetti. La teoria dei quanta è connessa con un’altra costante universale della natura , il quantum di azione di Planck. Una descrizione oggettiva di eventi nello spazio e nel tempo è possibile soltan ¬ to quando abbiamo a che fare con oggetti o con processi su scala comparativamente larga, dove la costante di Planck può essere considerata come infinitamente piccola. Quando i nostri esperimenti si avvicinano alla regione dove il quantum d’a¬ zione diventa essenziale, entriamo in tutta quella serie di diffi¬ coltà , rispetto all’uso dei concetti usuali, di cui si è discusso nei primi capitoli di questo volume. 192

Deve esistere una terza costante universale in natura. Ciò è ovvio in base a semplici ragioni dimensionali. Le costanti uni¬ versali determinano la scala della natura, le quantità caratte¬ ristiche che non possono essere ridotte ad altre quantità . Sono necessarie almeno tre unit à fondamentali per costituire una serie completa di unit à . Ciò appare assai chiaramente da con ¬ venzioni come l uso del sistema c.g .s. ( centimetro, grammo, secondo ) da parte dei fisici. Una unità di lunghezza, ima di tempo ed una di massa sono sufficienti a formare una serie completa ; ma sono necessarie al minimo tre unità. Si potrebbe anche sostituire con unit à di lunghezza , di velocità e di massa ; o con unità di lunghezza, velocit à ed energia . Ma almeno tre unit à fondamentali sono necessarie. Ora , la velocit à della luce e la costante d azione di Planck forniscono due soltanto di queste unità. Ce ne deve essere una terza , e soltanto una teo¬ ria che contenga questa terza unit à potrebbe forse farci perve¬ nire alla determinazione delle masse e di altre proprietà delle particelle elementari. Giudicando dalla conoscenza che abbia ¬ mo ora di queste particelle, il modo piu appropriato d’intro¬ durre la terza costante universale sarebbe l’assunzione d’ una lunghezza universale il cui valore dovrebbe essere all’incirca 10~13 cm, che è alquanto piu piccolo di quello dei raggi dei nu¬ clei atomici leggeri. Quando partendo da queste tre unità si forma un’espressione che corrisponde nelle sue dimensioni ad una massa , il suo valore ha l’ordine di grandezza delle masse delle particelle elementari. Se partiamo dall’idea che le leggi della natura contengono real¬ mente una terza costante universale nella dimensione della lun ¬ ghezza, e dell’ordine di IO-13 cm , allora dovremmo aspettarci di poter applicare i nostri concetti usuali soltanto a regioni 193

dello spazio e del tempo che siano grandi rispetto alla costante universale. E dovremmo attenderci fenomeni d un carattere qualitativamente diverso quando nei nostri esperimenti ci avvi¬ ciniamo a regioni nello spazio e nel tempo più piccole dei rag¬ gi nucleari. Il fenomeno dell inversione temporale, di cui si è discusso e che, fin qui, è risultato soltanto da considerazioni teoretiche come una possibilit à matematica , potrebbe perciò appartenere a queste minimissime regioni. Se è cosi, non po¬ trebbe mai essere osservato con procedimenti che ne permettes¬ sero la descrizione nei termini dei concetti classici. Tali pro¬ cessi, finché posono essere osservati e descritti nei termini del¬ la fisica classica, seguirebbero sempre l’ordine usuale del tem ¬ po. Ma tutti questi problemi costituiranno materia per la ricerca futura di fisica atomica . Si può sperare che lo sforzo combi¬ nato degli esperimenti nelle regioni delle alte energie e dell’a ¬ nalisi matematica, condurrà un giorno alla intelligenza piena dell’unità della materia . Il termine « intelligenza completa » si¬ gnificherebbe che le forme della materia nel senso della filo¬ sofia aristotelica apparirebbero come risultati, come soluzioni di uno schema matematico chiuso esprimente le leggi natu ¬ rali della materia.

Linguaggio e realtà nella fisica moderna

Durante tutta la storia della scienza le nuove scoperte e le nuove idee hanno sempre suscitato dispute scientifiche, por¬ tato a pubblicazioni polemiche criticanti le nuove idee, spesso avvantaggiate da questa critica nel loro sviluppo. Ma queste controversie non hanno mai raggiunto il grado di violenza con cui si manifestarono dopo la scoperta della teoria della rela ¬ tivit à e, in grado minore , della teoria dei quanta. In entrambi i casi i problemi scientifici han finito per esser connessi a fini di carattere politico, ed alcuni scienziati han fatto ricorso a metodi politici per far prevalere le loro concezioni. Questa violenta reazione ai recenti sviluppi della fisica moderna può essere intesa soltanto se ci si rende ben conto che questa volta han cominciato a spostarsi gli stessi fondamenti della fisica ; e che questo spostamento ha prodotto la sensazione che ci sarebbe stato tolto da sotto i piedi, ad opera della scienza, 195

il terreno stesso su cui poggiavamo. Nello stesso tempo questa reazione significa probabilmente che non si è trovato ancora il linguaggio idoneo per dare espressione alla nuova situazio¬ ne e che le affermazioni inesatte pubblicate qua e là , nell en ¬ tusiasmo per le nuove scoperte, hanno prodotto ogni genere di fraintendimenti. Questo è in realtà un problema fondamentale . La progredita tecnica sperimentale del nostro tempo porta nella prospettiva della scienza nuovi aspetti della natura che non possono essere descritti nei termini dei comuni concetti. Ma in quale linguaggio dovrebbero allora venire descritti ? Il linguaggio che generalmente emerge dal processo di chiari ficazione scientifica nella fisica teoretica è usualmente un lin ¬ guaggio matematico, lo schema matematico, che ci permette di prevedere i risultati degli esperimenti . Il fisico pu ò dirsi soddisfatto quando ha a disposizione lo schema matematico e sa come usarlo per l interpretazione degli esperimenti. Ma egli deve parlare dei risultati raggiunti anche a quelli che fisici non sono e che non saranno soddisfatti se le spiegazioni non ven ¬ gono fornite nel linguaggio corrente, da tutti comprensibile. Anche per il fisico la descrizione nel linguaggio comune ser ¬ virà come criterio per avere una chiara nozione di ciò che si è raggiunto. Entro quali limiti è possibile, una tale descrizio¬ ne ? È possibile addirittura parlare dell atomo ? Si tratta d’un problema di linguaggio oltre che di fisica, e sono perciò ne ¬ cessarie alcune osservazioni circa il linguaggio in generale ed il linguaggio scientifico in particolare. L’uso del linguaggio si formò nella razza umana nell’età prei¬ storica come un mezzo di comunicazione ed una base per pen sare. Conosciamo poco sulle varie fasi della sua formazione ; comunque il linguaggio contiene ora un gran numero di con ¬

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cetti che costituiscono uno strumento adatto per una comu¬ nicazione più o meno ambigua nel campo degli eventi della vita quotidiana. Questi concetti vengono acquisiti gradual¬ mente senza analisi critica , attraverso l uso del linguaggio , e dopo esserci serviti per qualche tempo d ’ una parola pensiamo più o meno di conoscere ciò che essa significa. È naturalmen ¬ te un fatto notissimo che le parole non sono cosi chiaramente definite come può apparire a prima vista e che esse hanno soltanto un campo limitato di applicabilità. Ad esempio, pos¬ siamo parlare di un pezzo di ferro o di un pezzo di legno ma non possiamo parlare d un pezzo d acqua . La parola « pezzo » non si applica alle sostanze liquide. Per menzionare un altro esempio, quando si discute sulla limitazione dei concetti , Bohr ama raccontare la seguente storiella : « Un ragazzino entra da un droghiere e chiede: Vorrei trenta lire di canditi misti. Il droghiere prende due canditi e li porge al ragazzo dicendo: Ecco i due canditi. A mischiarli pensaci da te. » Un esempio più serio della problematica relazione che passa fra parole e concetti è il fatto che gli aggettivi « rosso » e « verde » vengo¬ no usati anche da persone daltoniche, per quanto il campo di applicabilità di quei termini per esse debba essere del tutto diverso da quello che è per gli altri uomini. Questa intrinseca incertezza del significato delle parole è stata naturalmente riconosciuta assai presto ed ha portato alla ne¬ cessità delle definizioni, o - come indica la parola « definizio¬ ne » - a stabilire dei limiti che determinino dove la parola può essere usata e dove no. Ma le definizioni possono venir date so¬ lo con l’aiuto di altri concetti e cosi in definitiva è necessario appoggiarsi ad alcuni concetti che sono presi come sono, non analizzati e non definiti. 197

Nella filosofia greca il problema del rapporto tra concetti e lin guaggio è stato uno dei più importanti fin dal tempo di Socra¬ te, di cui la vita intera - se seguiamo l artistica rappresenta zione che ce ne dà Platone nei suoi dialoghi - fu una continua discussione sul contenuto dei concetti nel linguaggio e sulle limitazioni nei modi dell espressione. Per ottenere una solida base al pensiero scientifico, Aristotele nella sua logica iniziò un’analisi delle forme del linguaggio e della struttura formale delle conclusioni e delle deduzioni indipendentemente dal loro contenuto. In tal modo raggiunse un grado di astrazione e di precisione che era stato sconosciuto fino a quel tempo nella filosofia greca, e contribu ì perciò immensamente alla chiarifica¬ zione ed alla instaurazione di un ordine nei nostri metodi di pensiero. Egli creò effettivamente la base del linguaggio scien ¬ ¬

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tifico. D’altra parte, quest’analisi logica del linguaggio contiene di nuovo il pericolo di una eccessiva semplificazione. Nella lo¬ gica l’attenzione è tratta verso strutture particolarissime, evi¬ denti connessioni fra le premesse e deduzioni , modelli sem ¬ plici di ragionamento, mentre tutte le altre strutture del lin ¬ guaggio vengono trascurate. Queste altre strutture possono sorgere da associazioni tra certi significati delle parole ; per esempio, un significato secondario d’una parola che attraversi solo vagamente la mente quando la parola viene udita può portare un contributo essenziale al contenuto di una frase. Il fatto che ogni parola può produrre molteplici movimenti, più o meno coscienti, nella nostra mente , può essere usato per rap presentare, attraverso il linguaggio , alcune parti della realtà molto più chiaramente di quanto non avvenga attraverso l’uso degli schemi logici . Perciò i poeti hanno spesso mosso obie¬

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zioni all enfasi del linguaggio e del pensiero fondati sullo sche¬ ma logico, che - se male non interpreto le loro opinioni - può rendere il linguaggio meno adatto al suo scopo. Possiamo ri¬ cordare, ad esempio, nel Faust di Goethe le parole che Mefistofele rivolge al giovane studente: V occorrerà far tesoro del tempo, che se ne fugge via precipitevolmente. Ma l ordine v’insegni l’arte di guadagnarlo. Con ciò, di frequentare io vi consiglio, prima d’ogni altro corso il Seminario logico. Lo spirito vi addestreranno li, di tutto punto. Costretto entro stivali di tortura, in seguito potrà del Pensiero la via piu cauto battere senza d’attorno vagolar smarrito per dritto e per traverso, siccome un fuoco fatuo. Quindi, v’insegneran, per giorni e giorni, che quanto, prima d’ora, facevate in piena libertà, di un getto solo, ( come bere e mangiare , exempli gratta ), deve eseguirsi, invece, col ritmo di tre tempi: uno, due, tre! Il fabbricar pensieri, in verità, somiglia a quanto avviene sul telaio del tessitore, dove mille fili mette in moto un sol premere di piedi. Scattan su e giù le spole; invisibile, via, corre ogni stame; e una percossa sola, intrecci innumerevoli compone. Il filosofo, qui, entra in iscena . E vi dimostra che essere non doveva, 199

se non cosi com è: che se il Primo e il Secondo erano tali, non potean Terzo e Quarto conseguire in differente specie ; e che se i primi due non fossero già stati, neppure il Terzo e il Quarto sarebbero mai nati. Non v è scolaro solo, in tutto il mondo, che non proclami questa verità, sebbene a diventar buon tessitore nessuno fino a qui sia giunto ancora. Chi conoscere voglia e interpretare qualcosa di vivente, convien che d ogni spirito lo vuoti : e ne avrà in mano, allora, le dissociate membra , s anche purtroppo esanimi del quid che le congegna.1

Questo passo contiene una descrizione mirabile della struttura del linguaggio e della ristrettezza dei semplici modelli logici. D altra parte, la scienza deve essere basata sul linguaggio co¬ me sul suo unico mezzo di comunicazione e là , dove il pro¬ blema della non ambiguit à è della massima importanza , i mo¬ delli logici devono avere la loro parte. La difficoltà caratteri ¬ stica a questo punto può essere descritta nel modo seguente . Nella scienza naturale noi cerchiamo di derivare il particolare dal generale, di comprendere il fenomeno particolare in quan to prodotto da semplici leggi generali . Le leggi generali una volta formulate nel linguaggio possono contenere solo pochi concetti semplici - altrimenti la legge non sarebbe semplice e generale. Da questi concetti vien derivata una varietà infinita ¬

1 Goethe,

Faust , lo , Studio, trad . di V . Errante ( N. d . T . ). 200

di possibili fenomeni, non solo qualitativamente ma con piena precisione rispetto ad ogni particolare. È evidente che i concet ti del linguaggio ordinario, imprecisi e solo vagamente definiti come sono, non possono permettere tali derivazioni. Quando una catena di conclusioni segue da certe premesse il numero dei possibili anelli della catena dipende dalla precisione delle premesse. Perciò, i concetti delle leggi generali devono, nella scienza naturale , essere definiti con precisione completa , e ciò può essere fatto soltanto per mezzo dell astrazione matema¬ tica . Lo stesso si può dire per le altre scienze in quanto anche li possono essere necessarie definizioni abbastanza precise ; in diritto, per esempio. Ma qui non è necessario che il numero degli anelli della catena sia molto grande, né necessita la pre¬ cisione assoluta , e sono generalmente sufficienti definizioni abbastanza precise espresse nei termini del linguaggio ordi ¬ nario. Nella fisica teoretica noi cerchiamo di intendere gruppi di fenomeni introducendo simboli matematici che possono es¬ sere messi in correlazione con i fatti, vale a dire con i risul¬ tati delle misurazioni. Per i simboli noi usiamo nomi che raf ¬ figurino la loro correlazione ccn la misurazione. I simboli so¬ no cosi legati al linguaggio. I simboli vengono poi collegati fra loro da un rigoroso sistema di definizioni e di assiomi, ed infine le leggi naturali vengono espresse come equazioni tra i simboli. L infinita variet à di soluzioni di queste equazioni corrisponde allora all’infinita variet à dei fenomeni particolari possibili in quel settore della natura. In tal modo lo schema matematico rappresenta il gruppo di fenomeni finché è valida la correlazione fra i simboli e misurazioni. È questa correla ¬

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zione che permette di dare espressioni alle leggi naturali nei termini del linguaggio comune , giacché i nostri esperimenti consistenti di azioni e di osservazioni possono sempre venir descritti col linguaggio ordinario. Tuttavia, con l evolversi della conoscenza scientifica anche il linguaggio si evolve ; vengono introdotti nuovi termini e quelli vecchi vengono applicati ad un campo più vasto oppure in un modo diverso da quello del linguaggio ordinario. Termini co¬ me « energia », « elettricit à » , « entropia » costituiscono evidenti esempi di ciò. In tal modo sviluppiamo un linguaggio scientifi¬ co che può essere considerato come una naturale espansione del linguaggio ordinario adattato ai nuovi campi della cono¬ scenza scientifica. Durante il corso del secolo scorso un gran numero di nuovi concetti sono stati introdotti nella fisica , ed in alcuni casi c è voluto un tempo considerevole prima che gli scienziati si abi tuassero realmente al loro uso . Il termine « campo elettroma gnetico » , ad esempio, che entro certi limiti era già presente nell’opera di Faraday e che più tardi formò la base della teo¬ ria di Maxwell , non fu accettato facilmente dai fisici che dirigevano principalmente la loro attenzione al movimento mec canico della materia . L’introduzione del concetto implicava anche un cambiamento nelle idee scientifiche, e tali cambia¬ menti non si compivano facilmente. Tuttavia, tutti i concetti introdotti fino alla fine del secolo scorso costituivano una serie perfettamente consistente, ap¬ plicabile ad un vasto campo di esperienza ed insieme con i precedenti davano vita ad un linguaggio che non solo gli scienziati ma anche i tecnici e gli ingegneri potevano applica ¬ re con successo al loro lavoro. Alle principali idee ispiratrici ¬

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di questo linguaggio appartenevano i presupposti che l ordine degli eventi nel tempo è interamente indipendente dalla loro posizione nello spazio, che la geometria euclidea è valida nello spazio reale, e che gli eventi « accadono » nello spazio e nel tempo indipendentemente dal fatto che siano osservati o me¬ no. Non si negava che qualsiasi osservazione esercita una certa influenza sul fenomeno da osservarsi ma si riteneva general¬ mente che aumentando l accortezza e la diligenza con cui gli esperimenti venivano compiuti questa influenza potesse ridur si ad un valore piccolo a piacere. Ciò appariva , infatti , condi¬ zione necessaria dell’ideale dell’obbiettività, considerato come la base di qualsiasi scienza . In questa condizione piuttosto pacifica in cui viveva la fisica , apparvero d’improvviso la teoria dei quanta e la teoria della relatività speciale come movimenti, che, da principio lenta ¬ mente e poi via via sempre piu intaccavano gli stessi fonda¬ menti su cui la scienza naturale poggiava . La prima discussione violenta si sviluppò sui problemi dello spazio e del tempo sol¬ levati dalla teoria della relativit à . Come parlare della nuova situazione ? Bisognava considerare la contrazione dei corpi in movimento di Lorentz come una contrazione reale o soltanto come una contrazione apparente ? Bisognava dire che la strut tura dello spazio e del tempo erano realmente diverse da ciò che si era pensato che fossero o si doveva affermare soltanto che i risultati sperimentali si potevano connettere matematicamente in modo corrispondente a codesta nuova struttura , men ¬ tre lo spazio e il tempo , essendo il modo necessario ed uni versale in cui le cose ci appaiono, rimanevano quello che era ¬ no sempre stati ? Il problema reale che si nascondeva dietro queste controversie era il fatto che non esisteva alcun lin¬

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guaggio col quale parlare efficacemente della nuova situazione. Il linguaggio ordinario era basato sui vecchi concetti di spazio e di tempo e quel linguaggio offriva gli unici mezzi non am ¬ bigui di comunicazione per l organizzazione e i risultati delle misurazioni. Tuttavia gli esperimenti mostrarono che i vecchi concetti non potevano applicarsi ovunque. L ovvio punto di partenza per l’interpretazione della teoria del la relatività fu perciò il fatto che nel caso limite delle piccole velocit à ( piccole, se confrontate con la velocità della luce ) la nuova teoria era praticamente eguale a quella vecchia. Di con ¬ seguenza , in questa parte della teoria appariva ovvio in che modo i simboli matematici dovevano essere correlati con le misurazioni e con i termini del linguaggio ordinario ; effettiva ¬ mente era solo attraverso questa correlazione che la trasfor ¬ mazione di Lorentz doveva essere trovata . Non c’era alcuna ambiguit à sul significato delle parole e dei simboli in questa regione. Difatti questa correlazione era già sufficiente per l’ap plicazione della teoria all’intero campo della ricerca sperimen ¬ tale connessa con il problema della relativit à . Perciò, le que stioni controverse sulla contrazione « reale » o « apparente » di Lorentz , o sulla definizione del termine « simultaneo» ecc. non concernevano tanto i fatti quanto il linguaggio. Circa la terminologia , d’altra parte , si è giunti gradualmente a riconoscere che non si dovrebbe forse insistere troppo su certi principi. È sempre difficile trovare convincenti criteri ge¬ nerali su quali termini dovrebbero essere usati nel linguaggio e sul modo d’usarli. Si dovrebbe semplicemente attendere lo sviluppo del linguaggio stesso, che si adatta , dopo qualche tempo, alla nuova situazione. Effettivamente nella teoria della relativit à speciale codesto assestamento ha già avuto ampia¬

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mente luogo durante gli ultimi cinquant anni . La distinzione fra contrazione « reale » ed « apparente », ad esempio, è sempli¬ cemente scomparsa. La parola « simultaneo » è usata in accordo con la definizione data da Einstein , mentre per la piu ampia definizione discussa in un capitolo precedente è comunemente usato il termine « distanza di tipo spaziale » . Nella teoria della relativit à generale l idea di una geometria non-euclidea riferita allo spazio reale venne violentemente av ¬ versata da alcuni filosofi che mettevano in rilievo il fatto che tutti i nostri metodi di disporre gli esperimenti già presuppo¬ nevano la geometria euclidea. Difatti se un meccanico cerca di preparare una superficie per fettamente piana , egli può agire nel modo seguente. Egli pre ¬ para prima tre superfici approssimativamente della stessa di¬ mensione e che siano approssimativamente piane. Poi cerca di portare due qualsiasi delle tre superfici in contatto ponendole l una contro l’altra in diverse posizioni relative. Il grado in cui questo contatto è possibile sull’intera superficie è una mi ¬ sura del grado di precisione col quale le superfici possono ve¬ nir dette « piane » . Egli sar à soddisfatto delle sue tre superfici solo se il contatto fra due qualsiasi di esse è dovunque comple¬ to . Se questo accade si può provare matematicamente che la geometria euclidea è fondata sulle tre superfici. In tal modo, si arguì , la geometria euclidea è convalidata come esatta dalle nostre stesse misure. Dal punto di vista della relativit à generale, naturalmente, si potrebbe rispondere che quest’argomento prova la validit à della geometria euclidea solo per le piccole dimensioni, le dimen sioni del nostro apparato sperimentale. L’esattezza con cui è valida in quest ’ambito è così alta che il procedimento sum ¬

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menzionato per ottenere delle superfici piane può sempre ve¬ nire eseguito. Le minimissime deviazioni dalla geometria eu clidea che ancora sussistono vanno attribuite al fatto che le superfici sono fatte di materiale non pienamente rigido e sog getto a piccole deformazioni che non permette di dare al con ¬ cetto di « contatto » tutta la sua precisione. Per superfici su scala cosmica il procedimento che si è descritto non potrebbe essere messo in atto. Ma questo non è un problema di fisica ¬

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sperimentale. Ancora , l ovvio punto di partenza per l interpretazione fisica dello schema matematico nella relatività generale è il fatto che la geometria è pressoché euclidea finché si resta nelle pic¬ cole dimensioni; la teoria in questo settore si avvicina alla teoria classica . Qui , perciò la correlazione fra i simboli mate¬ matici e le misurazioni ed i concetti del linguaggio ordinario non pecca d’ambiguit à . Si può tuttavia parlare di geometria non euclidea per le grandi dimensioni . Difatti , già molto tempo prima dello sviluppo della teoria della relatività generale la possibilità di una geometria non euclidea per lo spazio reale sembra essere stata presa in considerazione dai matematici , specialmente da Gauss a Gottingen . Mentre compiva accura ¬ tissime misurazioni geodetiche su un triangolo formato da tre montagne - il Brocken nelle Montagne del Harz, l’ Inselberg in Turingia e il Hohenhagen presso Gottingen - si dice che abbia voluto controllare con molta cura se la somma dei tre angoli era veramente eguale a 180 gradi , per veder di trovare una differenza che avrebbe provato la possibilità di deviazioni dalla geometria euclidea. In effetti egli non trovò alcuna de¬ viazione nei limiti di precisione delle sue misurazioni. Nella teoria della relativit à generale il linguaggio con cui de206

scriviamo le leggi generali segue ora effettivamente il linguag¬ gio scientifico dei matematici , e per la descrizione degli stessi esperimenti possiamo servirci dei concetti ordinari, giacché la geometria euclidea è valida con sufficiente precisione per le

piccole dimensioni. Il problema piu difficile, tuttavia, concernente la terminologia sorge nella teoria dei quanta . Qui non abbiamo al principio nessuna semplice guida per mettere in relazione i simboli ma ¬ tematici con i concetti del linguaggio ordinario. L unica cosa che sappiamo dall inizio è il fatto che i nostri concetti comuni non possono essere applicati alla struttura degli atomi. Di nuo¬ vo l’ovvio punto di partenza per l’interpretazione fisica del for¬ malismo sembra essere il fatto che lo schema matematico della meccanica dei quanta si avvicina a quello della meccanica clas¬ sica per dimensioni che sono ampie se confrontate con la gran ¬ dezza dell’atomo. Ma anche questa affermazione va fatta con alcune riserve. Anche nelle ampie dimensioni ci sono molte soluzioni di equazioni teoretiche quantiche per cui nessuna soluzione corrispondente può essere trovata nella fisica classi¬ ca . In queste soluzioni si manifesterebbe il fenomeno della « interferenza delle probabilit à » come venne discusso nei capi¬ toli precedenti ; esso non esiste nella fisica classica. Perciò, an ¬ che in riferimento alle ampie dimensioni , la correlazione fra i simboli matematici , le misurazioni ed i concetti ordinari non è affatto insignificante. Per ottenere anche qui una correlazione non ambigua bisogna prendere in considerazione un altro aspet to del problema . Va osservato che il sistema che viene trattato con i metodi della meccanica quantica è in effetti parte di un sistema molto più grande ( forse la totalità del mondo ) , è in rapporto d’interazione con questo sistema più vasto ; e bisogna ¬

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aggiungere che le qualit à microscopiche del sistema più vasto sono ( almeno in larga proporzione ) sconosciute. Quest affer ¬ mazione è indubbiamente una descrizione corretta della situa ¬ zione reale. Giacché il sistema non potrebbe essere oggetto di misurazioni e di investigazioni teoretiche, esso non apparter ¬ rebbe in effetti al mondo dei fenomeni se non fosse in rap¬ porto d interazione con un sistema più vasto di cui fa parte l’osservatore. L’interazione con il sistema più vasto con le sue proprietà microscopiche indefinite , introduce allora un nuovo elemento statistico nella descrizione - sia in quella secondo la teoretica quantistica sia in quella classica - del sistema preso in considerazione. Nel caso limite delle grandi dimensioni que¬ sto elemento statistico distrugge gli effetti della « interferenza delle probabilit à » in modo tale che allora lo schema quantistico si avvicina realmente, al limite , a quello classico. A questo punto, perciò, la correlazione fra i simboli matematici della teoria quantistica ed i concetti del linguaggio ordinario non è più ambigua , e la correlazione è sufficiente per l’interpretazio¬ ne degli esperimenti. I problemi che restano concernono piut ¬ tosto il linguaggio che i fatti, giacché appartiene al concetto « fatto » che esso possa essere descritto nel linguaggio ordi¬ nario. Ma i problemi del linguaggio sono qui veramente seri. Noi desideriamo parlare in qualche modo della struttura degli ato¬ mi e non soltanto di « fatti » - ad esempio, delle goccioline d’acqua in una camera a nebbia o delle macchie nere sopra una lastra fotografica . Ma non possiamo parlare degli atomi ser¬

vendoci del linguaggio ordinario. L’analisi può essere ora proseguita in due modi completamente diversi. Possiamo chiederci o quale linguaggio concernente gli 208

atomi si sia effettivamente sviluppato tra i fisici nei trenta anni che sono trascorsi dalla formulazione della meccanica dei quanta ; oppure possiamo illustrare i tentativi fatti per definire un preciso linguaggio scientifico che corrisponda allo schema matematico. In risposta alla prima domanda si può dire che il concetto di complementarità introdotto da Bohr nell interpretazione della teoria dei quanta ha incoraggiato i fisici a far uso d’un lin ¬ guaggio piuttosto ambiguo , a servirsi dei concetti classici in modo alquanto vago in conformit à con il principio d’indeter ¬ minazione, ad applicare alternativamente diversi concetti clas ¬ sici che condurrebbero a delle contraddizioni se usati simulta neamente. Cosi si parla di orbite elettroniche , di onde di ma ¬ teria e di densit à di carica, di energia e di momento ecc. sem ¬ pre consci del fatto che questi concetti hanno soltanto un li¬ mitatissimo campo di applicabilit à . Quando questo uso vago ed asistematico del linguaggio conduce a delle difficolt à , il fisi ¬ co deve ritirarsi nello schema matematico ed alla sua non am ¬ bigua correlazione con i fatti sperimentali. Quest’uso del linguaggio è in varie guise del tutto soddisfa ¬ cente perché ci ricorda l’ analogo uso che del linguaggio fac¬ ciamo nella vita quotidiana o nella letteratura. Comprendiamo che la situazione di complementarit à non è confinata soltanto al mondo atomico; la incontriamo quando riflettiamo sopra una decisione e sui motivi di essa o quando ci troviamo di fronte alla scelta se gustar della musica od invece analizzarne la struttura. D’altra parte, quando i concetti classici sono usati in questo modo essi mantengono sempre una certa indetermi¬ natezza e acquistano nel loro rapporto con la realtà soltanto quel medesimo significato statistico che hanno i concetti della ¬

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termodinamica classica nella sua interpretazione statistica. Può perciò risultare utile una breve discussione su questi concetti statistici della termodinamica. Il concetto di « temperatura » nella termodinamica classica sem ¬ bra descrivere un aspetto oggettivo della realtà, una proprietà oggettiva della materia . Nella vita quotidiana è facilissimo defi¬ nire con l aiuto d un termometro quello che intendiamo affer ¬ mando che un pezzo di materia ha una certa temperatura . Ma se cerchiamo di definire che cosa può significare la temperatura di un atomo, ci troviamo, anche nella fisica classica , in una posi¬ zione molto più difficile. Effettivamente noi non riusciamo a correlare questo concetto « temperatura dell atomo » con una ben definita propriet à dell’atomo, ma dobbiamo connetterlo almeno in parte con l’insufficiente conoscenza che abbiamo di esso. Possiamo mettere in relazione il valore della temperatura a certe aspettative statistiche sulle proprietà dell’atomo, ma ap¬ pare piuttosto dubbio che possa essere chiamata oggettiva una aspettativa. Il concetto « temperatura dell atomo» non è molto meglio definito del concetto « misti » in quella storiella del ra ¬ gazzo che voleva comprare dei dolci misti. In modo analogo nella teoria dei quanta tutti i concetti classici sono , se applicati all’atomo, definiti con altrettanta giustezza e precisione quanto la « temperatura dell’ atomo » ; essi sono cor ¬ relati a delle aspettative statistiche ; solo in casi rari l’aspetta ¬ tiva diventa l’equivalente della certezza . E di nuovo, come nella termodinamica classica, è difficile chiamare oggettiva l’aspetta ¬ tiva. Si potrebbe forse chiamarla una tendenza o possibilit à oggettiva , una « potentia » nel senso della filosofia aristotelica. Difatti, io penso che il linguaggio effettivamente usato dai fisici quando parlanb di eventi atomici produca nelle loro menti no210

zioni simili al concetto di « potentia ». Cosi i fisici si sono gra ¬ dualmente abituati a considerare le orbite elettroniche non co me delle realtà ma appunto come una specie di « potentia ». Il linguaggio si è già adeguato, almeno entro certi limiti, alla situazione reale. Ma non è un linguaggio preciso in cui potreb¬ bero adoperarsi i normali modelli logici; è un linguaggio che produce delle raffigurazioni nella nostra mente ma insieme con esse la nozione che quelle raffigurazioni hanno solo una vaga connessione con la realt à , che esse rappresentano solo una ten ¬ denza verso la realt à. L indeterminatezza di questo linguaggio in uso fra i fisici ha perciò condotto a dei tentativi di definire un diverso e più preciso linguaggio che segua definiti modelli logici in piena conformità con lo schema matematico della teoria dei quanta . Si può esprimere il risultato di questi tentativi fatti da Birkhoff , da von Neumann e più recentemente da von Weizsàcker affermando che lo schema matematico della teoria dei quanta può essere interpretato come un’estensione od una modifica ¬ zione della logica classica. Soprattutto dei principi fondamen¬ tali della logica classica sembra esigere una modificazione. Si sostiene, nella logica classica che, se un’affermazione ha un qualche significato, o l’affermazione stessa o la negazione del¬ l’affermazione deve essere esatta. Delle due affermazioni « c’è una tavola » o « non c’è una tavola » o la prima o la seconda deve essere esatta . «Tertium non datur » non esiste una terza possibilità. Può essere che noi non si sappia se sia esatta l’af fermazione o la negazione ; ma in realtà una delle due è ¬

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esatta .

Nella teoria dei quanta questa legge del « tertium non datur » deve essere modificata. Contro qualsiasi modificazione di que211

sto principio fondamentale si può naturalmente subito opporre che il principio viene assunto nei termini del linguaggio co mune e che noi dobbiamo almeno parlare di una eventuale modificazione della logica facendo ricorso al linguaggio natu¬ rale. Sarebbe perciò contraddittorio descrivere nel linguaggio naturale uno schema logico che non si applica al linguaggio naturale. Tuttavia von Weizsacker mette in evidenza che si possono distinguere vari livelli di linguaggio. Un livello si riferisce agli oggetti, ad esempio agli atomi o agli elettroni. Un secondo livello si riferisce ad affermazioni su og¬ getti. Un terzo livello può riferirsi ad affermazioni su afferma ¬ zioni su oggetti, eccetera. Sarebbe allora possibile avere diffe¬ renti modelli logici ai differenti livelli. È vero che in definitiva noi dovremmo tornare al linguaggio naturale e perciò ai mo¬ delli logici classici, ma von Weizsacker suggerisce che la logica classica può essere considerata come anteriore rispetto alla lo¬ gica quantica cosi come lo è la fisica classica rispetto alla teo¬ ria dei quanta . La logica classica sarebbe contenuta come un tipo di caso limite all interno della logica quantica , mentre quest ultima costituirebbe il modello logico più generale. La possibile modificazione del modello logico classico deve , allora, riferirsi , innanzitutto, al livello concernente gli oggetti. Consideriamo un atomo che si muova in una scatola chiusa divisa da una parete in due parti uguali. La parete è fornita di un buco piccolissimo attraverso cui l atomo può passare. L’ato¬ mo può trovarsi allora , secondo la logica classica, o nella metà sinistra della scatola o nella destra. Non c’è una terza possi¬ bilità: « tertium non datur » . Nella teoria dei quanta tuttavia noi dobbiamo ammettere - ammesso che ci si serva dei ter¬ mini « atomo» e « scatola » - che ci sono altre possibilità che ¬

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sono stranamente mescolanze delle due prime possibilità. Ciò è necessario, per spiegare i risultati dei nostri esperimenti. Po¬ tremmo, ad esempio , osservare la luce che è stata diffusa dal¬ l atomo. Potremmo compiere tre esperimenti. Primo, l atomo è confinato ( chiudendo ad esempio il buco nella parete ) nella metà sinistra della scatola , e viene misurata la distribuzione dell’intensità della luce diffusa ; poi esso vien confinato nella metà destra e di nuovo la luce diffusa vien misurata ; e final¬ mente l’atomo può muoversi liberamente per tutta la scatola e una volta ancora è misurata la distribuzione dell’intensità della luce diffusa. Se l atomo fosse sempre o nella metà sinistra o nella metà destra della scatola , la distribuzione dell’intensit à finale dovrebbe essere una mescolanza ( a seconda delle fra ¬ zioni di tempo passato dall atomo in ciascuna delle due parti ) delle due prime distribuzioni dell’intensità. Ma questo non è generalmente vero sperimentalmente. La distribuzione reale dell’intensit à è modificata dalla « interferenza delle probabilit à » di cui si è discusso in precedenza . Per affrontare questa situazione von Weizsàcker ha introdotto il concetto di « grado di verit à » . Per ogni semplice affermazio¬ ne secondo un 'alternativa come « l’atomo è nella metà sinistra ( o destra ) della scatola » si pone un numero complesso come misura del suo « grado di verit à » . Se il numero è 1 ciò significa che l affermazione è vera ; se è 0 significa che è falsa. Ma sono possibili altri valori. Il valore assoluto del numero complesso dà la probabilità della verit à dell’affermazione; la somma del¬ le due probabilità riferentesi alle due alternative ( sinistra o destra, nel nostro caso ) deve essere l’unità. Ma ciascun paio di numeri complessi riferentisi alle due parti dell’alternativa rappresenta , secondo le definizioni di von Weizsàcker, un’affer213

inazione che è certamente vera se i numeri hanno proprio quei valori; i due numeri, ad esempio, sono sufficienti per determi¬ nare la distribuzione dell intensit à della luce diffusa nel nostro esperimento. Se si ammette quest’uso del termine affermazione è possibile introdurre il termine « complementarità » con la se guente definizione: ogni affermazione che non è identica all’una o all’altra delle due affermazioni alternative nel nostro caso all’affermazione « l’atomo è nella met à sinistra » o «l’atomo è nella metà destra della scatola » - è chiamata complementare a queste affermazioni. Per ogni affermazione complementare la questione se l’atomo è a sinistra o a destra non viene decisa . Ma il termine « non decisa » non equivale in alcun modo al termine « non conosciuta ». « Non conosciuta » significherebbe che l’ato¬ mo è « realmente » a destra o a sinistra, solo che noi non sap¬ piamo dove è. Ma « non decisa » indica una situazione differen¬ te, esprimibile soltanto con una affermazione complementare. Questo modello logico generale, i cui particolari non possono essere descritti qui, corrisponde precisamente al formalismo ma ¬ tematico della teoria dei quanta. Esso forma la base d’un lin¬ guaggio preciso che può essere usato per descrivere la strut ¬ tura dell’atomo. Ma l’ applicazione d’un tale linguaggio solleva molti difficili problemi, due soltanto dei quali discuteremo qui: la relazione fra i diversi « livelli » di linguaggio e le conseguen¬ ze per l’ontologia che ne è alla base. Nella logica classica la relazione fra i diversi livelli di linguag gio è una corrispondenza di uno a uno. Le due affermazioni, « l’atomo è nella metà sinistra » ed « è vero che l’atomo è nella met à sinistra » , appartengono logicamente a livelli diversi. Nella logica classica queste affermazioni sono completamente equi¬ valenti, vale a dire sono o entrambe vere o entrambe false. ¬

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Ma nel modello logico della complementarità la relazione ap¬ pare più complicata. La verit à o la falsit à della prima affer ¬ mazione implica ancora la verit à o la falsit à della seconda af fermazione. Ma la falsit à della seconda affermazione non impli ca la falsità della prima . Se la seconda affermazione è falsa , può restare indeterminato se l atomo è nella met à sinistra ; non è assolutamente necessario che l atomo si trovi nella metà de¬ stra. C’è ancora completa equivalenza fra i due livelli di lin¬ guaggio rispetto alla verit à d ’una affermazione, ma non rispetto alla falsità . Da questa connessione appare chiara la persistenza delle leggi classiche nella teoria dei quanta: dovunque un dato risultato può venir derivato in un dato esperimento dall’appli ¬ cazione delle leggi classiche esso seguirà necessariamente anche dalla teoria dei quanta , anche sul piano sperimentale . Lo scopo finale del tentativo di von Weizsàcker è di applicare i modelli logici modificati anche ai piu alti livelli del linguag¬ gio, ma di ciò non è possibile discutere qui. L’altro problema concerne l’ontologia che è a fondamento dei modelli logici modificati. Se la coppia di numeri complessi rappresenta una « affermazione » , nel senso appunto descritto, dovrebbe esistere uno « stato » o una « situazione » in natura per cui l’affermazione fosse vera . Useremo la parola « stato » se¬ condo questo rapporto. Gli « stati » corrispondenti alle afferma ¬ zioni complementari sono allora chiamati « stati coesistenti » da von Weizsàcker. Questo termine « coesistente » esprime esatta ¬ mente la situazione, sarebbe infatti difficile chiamarli «stati dif ¬ ferenti », giacché ogni stato contiene in certa misura anche gli altri « stati coesistenti » . Questo concetto di « stato» formereb¬ be allora una prima definizione concernente l’ontologia della teoria dei quanta. Si vede subito che quest’uso della parola ¬

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« stato » , specialmente il termine « stato coesistente », è cosi di verso da quello dell usuale ontologia materialistica che si può dubitare se si faccia qui uso d una terminologia conveniente. D altra parte, se si considera la parola «stato» come espri¬ mente una potenzialità piuttosto che una realtà - si può anche semplicemente sostituire il termine « stato» col termine « poten ¬ zialità » - allora il concetto di « potenzialità coesistenti » è del tutto plausibile, giacché una potenzialit à può implicare altre potenzialità o sovrapporsi ad esse. Tutte queste definizioni e distinzioni difficili possono essere evitate se si limita il linguaggio alla descrizione di fatti , vale a dire ai risultati sperimentali. Tuttavia , se si desidera parlare delle particelle atomiche in se stesse ci si deve servire o dello schema matematico come unico supplemento al linguaggio na ¬ turale o si deve combinarlo con un linguaggio che faccia uso d’una logica modificata oppure di nessuna logica ben definita . Negli esperimenti sugli eventi atomici noi abbiamo a che fare con cose e fatti, con fenomeni che sono esattamente altrettanto reali quanto i fenomeni della vita quotidiana . Ma gli atomi e le stesse particelle elementari non sono altrettanto reali ; for¬ mano un mondo di possibilit à e di potenzialità piuttosto che un mondo di cose o di fatti. ¬

Il ruolo della fisica moderna nell attuale sviluppo del pensiero umano

Le implicazioni filosofiche della fisica moderna sono state di¬ scusse nei capitoli precedenti per mostrare che questa più mo¬ derna parte della scienza tocca in molti punti orientamenti classici di pensiero e che si accosta a qualcuno dei più antichi problemi da una nuova direzione. È probabilmente vero in li ¬ nea di massima che nella storia del pensiero umano gli svilup¬ pi più fruttuosi avvengono frequentemente in quei punti d in¬ terferenza fra due diverse linee di pensiero. Queste linee pos¬ sono avere le loro radici in parti assolutamente diverse della cultura umana , in tempi diversi e in ambienti culturali diversi o di diverse tradizioni religiose, perciò, se esse realmente s’in ¬ contrano, cioè, se vengono a trovarsi almeno in tali relazioni tra loro da dare origine ad una effettiva interazione, si può allora sperare che possano seguirne nuovi ed interessanti svi¬ luppi. La fisica atomica come parte della scienza moderna sta 217

effettivamente ai nostri tempi penetrando in tradizioni cultu ¬ rali molto diverse. Non viene solo insegnata in Europa e nei paesi occidentali, dove s inserisce nell attività tradizionale del¬ le scienze naturali, ma viene studiata anche nell’Estremo Oriente, in paesi come il Giappone, la Cina e l’India , dallo sfon ¬ do culturale completamente diverso, ed in Russia, dove si è stabilito ai nostri tempi un nuovo modo di pensare; un modo nuovo in relazione sia agli specifici sviluppi scientifici dell’Eu ¬ ropa del diciannovesimo secolo che alle altre assolutamente diverse tradizioni della stessa Russia . Non può certamente es¬ sere scopo della discussione che segue fare previsioni sui pro¬ babili risultati dell’incontro fra le idee della fisica moderna e quelle più antiche tradizioni , ma è possibile però definire i punti dai quali può avere inizio l’interazione fra le diverse idee. Considerando questo processo d’espansione della fisica moderna non sarebbe certamente possibile separarlo dalla generale espan ¬ sione della scienza naturale, dell’industria, della tecnica , della medicina ecc., vale a dire , in modo più generale, della civilt à moderna in ogni parte del mondo. La fisica moderna è appunto un anello di una larga catena di eventi che ha inizio dall’opera di Bacone, di Galileo e di Keplero e dalle applicazioni pratiche della scienza naturale nei secoli diciassettesimo e diciottesimo. La connessione fra scienza naturale e scienza tecnica è stata fin dal principio quella della mutua assistenza . Il progresso della scienza tecnica, il perfezionarsi degli strumenti, l’invenzione di nuovi dispositivi tecnici hanno fornito la base per una sempre più accurata conoscenza sperimentale della natura; ed il pro¬ gresso nell’intelligenza della natura ed infine la formulazione matematica delle leggi naturali hanno aperto la strada a nuove 218

applicazioni di questa conoscenza nella scienza tecnica . Ad esempio, l invenzione del telescopio rese possibile agli astrono mi una misura più precisa del movimento delle stelle; di qui si rese possibile un considerevole progresso nell astronomia e nella meccanica. D’altra parte, la precisa conoscenza delle leggi meccaniche fu del massimo valore per il perfezionamento de¬ gli strumenti meccanici, per la costruzione di macchinari ecc . La grande espansione di questa combinazione di scienza e di tecnica ebbe inizio quando si riuscì a porre a disposizione del¬ l’uomo alcune forze naturali. L’energia accumulata nel carbone, ad esempio, potè compiere infatti parte del lavoro fino allora compiuto dall’uomo stesso. Le industrie sviluppatesi grazie a queste nuove possibilit à poterono dapprima essere considerate come continuazione ed espansione naturale dei vecchi mestieri; in molte parti il lavoro delle macchine rassomigliava ancora al lavoro manuale ed il lavoro delle industrie chimiche poteva essere considerato come continuazione del lavoro delle tintorie e delle farmacie nell’epoca precedente. Ma più tardi si svilup¬ parono nuovi rami d’industria che non trovavano alcuna corri¬ spondenza nei vecchi mestieri come , ad esempio, le imprese elettriche. La penetrazione della scienza nelle parti più remote della natura rese possibile ai tecnici lo sfruttamento di forze naturali di cui, in precedenza , si aveva a malapena avuto sem ¬ plice cognizione; e la conoscenza precisa di tali forze nei ter ¬ mini d’una formulazione matematica delle leggi che le gover¬ nano formò una solida base per la costruzione d’ogni tipo di macchinario. L’enorme successo di questa combinazione di scienza e di tec nica portò alla netta preponderanza di quelle nazioni e di que¬ gli stati in cui particolarmente fioriva questo genere di attività ¬

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umana , e per naturale conseguenza dovettero interessarsene an ¬ che quelle nazioni che per tradizione non sarebbero state por ¬ tate verso la scienza e la tecnica. Infine, i moderni mezzi di comunicazione e di scambio completarono questo processo d e¬ spansione della civiltà tecnica . È indubitabile che esso ha cam ¬ biato in modo fondamentale le condizioni di vita sulla nostra terra ; e, sia che lo si approvi o no, sia che lo si consideri un progresso o un pericolo, ci si deve render conto che esso è andato molto al di là delle possibilit à di controllo ad opera di forze umane. Si può piuttosto considerarlo come un pro¬ cesso biologico su larghissima scala per cui le strutture attive dell organismo umano s’impadroniscono di quantità sempre più grandi di materia per trasformarla in modo conveniente ad una popolazione umana sempre in evoluzione. La fisica moderna appartiene alle parti più recenti di questo sviluppo ed il suo risultato disgraziatamente più visibile, l’in ¬ venzione degli ordigni nucleari , ha mostrato l’essenza di que¬ sto sviluppo nella più chiara luce possibile. Da una parte, essa ha dimostrato chiarissimamente che i cambiamenti causati dal¬ la combinazione di scienza e di tecnica non possono essere considerati solo dal punto di vista ottimistico; almeno in par ¬ te essa ha giustificato le opinioni di coloro che avevano sempre ammonito contro i pericoli d un mutamento cosi radicale delle nostre condizioni naturali di vita . D’altra parte, essa ha ob¬ bligato anche quelle nazioni o quegli individui che cercavano di tenersi fuori da questi pericoli a rivolgere la massima at ¬ tenzione al nuovo sviluppo, giacché ovviamente la potenza po¬ litica nel senso di potenza militare poggia sul possesso degli ordigni atomici. Non può esser certo compito di questo volu¬ me discutere estesamente le implicazioni politiche della fisica 220

nucleare. Ma almeno qualche parola può esser detta su questi problemi giacché sono ormai i primi che vengono in mente alla gente quando si parla di fisica atomica. È ovvio che l invenzione dei nuovi ordigni, specie di quelli termonucleari, ha modificato fondamentalmente la struttura del mondo. Non solo ha trasformato completamente il concetto di stato indipendente, giacché ogni nazione che non possiede tali ordigni deve in qualche modo dipendere da quelle poche na¬ zioni che producono quelle armi in gran quantità ; ma ha an ¬ che reso il tentativo di guerra su larga scala per mezzo di tali ordigni praticamente un assurdo tipo di suicidio. Per questo si ascolta spesso l ottimistica opinione che la guerra è diventa¬ ta impossibile e che non potrà più avvenire. Tale concezione, disgraziatamente, si rif à ad un punto di vista troppo ottimi¬ stico. Al contrario, l’assurdità della guerra condotta con ordi¬ gni termonucleari può agire piuttosto come un incentivo per la guerra a scala ridotta . Ogni nazione o gruppo politico che sia convinto del suo diritto storico o morale ad imporre con la forza cambiamenti alla situazione in atto sarà convinto che l’ uso delle armi convenzionali per attuare i suoi fini non im ¬ plicherà grandi rischi ; riterrà che l’altra parte non farà certo ricorso alle armi nucleari giacché quella sentendosi storicamen ¬ te e moralmente dalla parte del torto in quella questione non affronterà certo il rischio d’una guerra nucleare su larga scala . Questa situazione indurr à a sua volta le altre nazioni ad affer¬ mare che in caso di piccole guerre loro imposte da un ag¬ gressore, esse farebbero effettivamente ricorso agli ordigni nu ¬ cleari, cosi da far permanere evidentemente il pericolo. Può essere benissimo che in circa venti o trent’anni il mondo sarà sottoposto a cosi grandi cambiamenti che il pericolo d’una 221

guerra su larga scala, dall applicazione di tutte le risorse tec¬ niche all annientamento dell’avversario, sarà grandemente di¬ minuito o addirittura scomparso. Ma la strada per raggiungere quella nuova condizione sarà irta dei maggiori pericoli. Biso¬ gna rendersi conto che ciò che appare storicamente e moral¬ mente giusto ad una parte può apparire ingiusto all’altra parte. Non sempre la soluzione giusta è il permanere dello status quo: può essere, al contrario, della più alta importanza ricer¬ care mezzi pacifici per sistemare le nuove situazioni, e in molti casi può essere assai difficile riuscire a trovare una soluzione giusta. Non è perciò troppo pessimistico affermare che la gran ¬ de guerra può essere evitata soltanto se tutti i diversi gruppi politici sono pronti a rinunciare a qualche cosa dei loro appa ¬ rentemente più ovvii diritti , in considerazione appunto del fatto che la questione del giusto e dell’ingiusto può essere vista in modo essenzialmente diverso dall’altra parte. Non è questo cer¬ tamente un punto di vista nuovo ; è difatti solo un’applicazio¬ ne di quell’atteggiamento umano che è stato insegnato per tanti secoli da qualcuna delle grandi religioni. L’invenzione degli ordigni nucleari ha anche sollevato proble¬ mi completamente nuovi per la scienza e gli scienziati. L’in ¬ fluenza politica della scienza è diventata molto più forte di quel che fosse prima della seconda guerra mondiale, il che ha gravato lo scienziato, specialmente il fisico atomico, di una responsabilità raddoppiata . Egli può o prendere parte attiva all’amministrazione del paese tenendo presente quale sia l’im ¬ portanza della scienza per la comunit à di cui fa parte, ed egli dovrà allora probabilmente affrontare la responsabilit à di de¬ cisioni di enorme importanza che vanno ben oltre il piccolo cerchio di ricerche e di lavoro universitario cui era abituato. 211

Oppure egli può volontariamente trarsi indietro da qualsiasi partecipazione alle decisioni politiche, e allora sarà ancora re¬ sponsabile delle cattive decisioni che egli avrebbe forse potuto impedire se non avesse preferito la vita tranquilla dello scien ¬ ziato. È indubbiamente dovere degli scienziati informare i loro governi con tutta precisione sull inaudita distruzione che se¬ guirebbe da una guerra condotta con ordigni nucleari. Inoltre si richiede spesso agli scienziati di aderire a solenni risoluzioni a favore della pace del mondo ; ma considerando questa richie¬ sta devo confessare di non essere mai riuscito ad attribuire un qualche valore a dichiarazioni del genere. Tali risoluzioni pos¬ sono apparire come una simpatica prova di buona volontà ; ma chiunque parli in favore della pace senza esporre con preci¬ sione le condizioni di questa pace non può andare esente dal sospetto di parlare soltanto di quel genere di pace che torni ad esclusivo vantaggio suo e del suo gruppo, il che non ap¬ pare certo azione di molto merito. Qualsiasi onesta dichiara ¬ zione a favore della pace deve essere un enumerazione dei sa¬ crifici che si è disposti a fare per la sua preservazione. Ma di regola gli scienziati non hanno alcuna autorità per fare dichia¬ razioni del genere. Nello stesso tempo lo scienziato può fare del suo meglio per promuovere la cooperazione internazionale nel proprio campo. La grande importanza che molti governi annettono al giorno d’oggi alle ricerche di fisica nucleare ed il fatto che il livello del lavoro scientifico è ancora molto diverso nei diversi paesi fa ¬ vorisce la cooperazione internazionale in quest’attività . Giovani scienziati di paesi diversissimi possono incontrarsi in istituti di ricerca in cui si svolge un’intensa attività nel campo della fisica moderna ed il comune lavoro intorno a difficili problemi I2 3

scientifici può favorire la mutua comprensione. In un caso, quello dell organizzazione di Ginevra , è stato possibile rag¬ giungere un accordo fra un gran numero di nazioni diverse per fondare un laboratorio comune e costruire con uno sforzo combinato il dispendioso apparato sperimentale necessario per le ricerche di fisica nucleare. Questo tipo di cooperazione con tribuirà certo a stabilire un atteggiamento comune verso i pro¬ blemi della scienza - comune anche al di là dei problemi pura¬ mente scientifici - fra le piu giovani generazioni di scienziati. Naturalmente non si può dire in anticipo che cosa nascerà dai semi che sono stati cosi gettati quando gli scienziati faranno ritorno nei loro vecchi ambienti e parteciperanno di nuovo alle proprie tradizioni culturali. Ma non si può dubitare che lo scambio d idee fra giovani scienziati di diversi paesi e fra le diverse generazioni in ogni paese non aiuteranno ad avvici¬ narsi senza troppa tensione a quel nuovo stato di cose nel quale possa essere raggiunto l’equilibrio fra le forze tradizio¬ nali e le necessità inevitabili della vita moderna . È questo un tratto caratteristico della scienza , che la rende più d’ogni altra cosa adatta a stabilire un primo intenso rapporto fra diverse tradizioni culturali . Rimane il fatto che le decisioni circa il valore di un determinato lavoro scientifico, su ciò che è giusto o sbagliato nell’opera , non dipende da nessuna autorità uma ¬ na. Possono alle volte esser necessari molti anni prima di co¬ noscere la soluzione di un problema , prima che si possa distin¬ guere tra la verità e l’errore ; ma infine le questioni verranno decise e non sarà questo o quest’altro gruppo di scienziati a decidere ma la natura stessa . Perciò le idee scientifiche si diffondono tra quelli che si interessano alla scienza in modo interamente diverso dal propagarsi delle idee politiche. ¬

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Mentre le idee politiche possono conquistarsi un influenza de terminante fra larghe masse di gente proprio perché corrispon ¬ dono o sembrano corrispondere agli interessi di queste, le idee scientifiche si diffondono soltanto perché sono vere. Esi stono criteri oggettivi e decisivi per determinare l esattezza d’un’affermazione scientifica . Tutto quanto si è detto intorno alla cooperazione internazio¬ nale ed allo scambio delle idee sarebbe naturalmente egual¬ mente vero per qualsiasi parte della scienza moderna ; non è certo limitato alla fisica atomica. Sotto questo riguardo la fisica moderna è solo una delle molte branche della scienza, ed an ¬ che se le sue applicazioni tecniche - le armi e l’uso pacifico dell’energia atomica - le conferiscono un peso speciale, non ci sarebbe alcuna ragione per considerare la cooperazione in¬ ternazionale in questo campo come più importante che negli altri. Ma dobbiamo ancora parlare di quei tratti della fisica moderna che sono essenzialmente diversi dagli sviluppi ante cedenti della scienza naturale , e a questo scopo dobbiamo an ¬ cora una volta ritornare alla storia europea di questo sviluppo, prodotto dalla combinazione delle scienze naturali e di quelle tecniche. Si è spesso discusso tra gli storici se il sorgere della scienza naturalistica, dopo il sedicesimo secolo, fu in qualche modo una conseguenza naturale di precedenti orientamenti del pen ¬ siero umano. Si può dimostrare come certe correnti della filo¬ sofia cristiana condussero ad un concetto assai astratto di Dio e che posero Dio cosi lontano e più in alto del mondo che si prese a considerare il mondo senza più , nello stesso tempo, vedere Dio nel mondo. Il dualismo cartesiano può essere con siderato il grado finale di questo sviluppo. Si può mettere in ¬

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rilievo come tutte le controversie teologiche del quindicesimo secolo produssero un generale stato d insoddisfazione riguardo a problemi che non potevano in realtà essere risolti dalla ra gione e che erano esposti alle lotte politiche del tempo, e che questa insoddisfazione favorì lo spostarsi dell interesse ver¬ so problemi che erano interamente al di fuori delle dispute scolastiche. O ci si può semplicemente riferire alla grandiosa attività , allo spirito nuovo che aveva pervaso la societ à euro¬ pea ad opera del Rinascimento. In ogni caso in questo perio¬ do fece la sua comparsa una nuova autorità che era compietamente indipendente dalla religione cristiana o dalla filosofia o dalla Chiesa, l’autorità dell’esperienza e del fatto empirico. È possibile rintracciare l’affermazione di questa nuova autorità in più antiche correnti di pensiero, ad esempio nella filosofia di Occam e di Duns Scoto, ma essa diventa una forza vitale dell’attività umana soltanto dal sedicesimo secolo in poi. Ga¬ lileo non si limitò a pensare sul moto meccanico, il pendolo e la caduta della pietra ; egli cercò di stabilire con l’esperien ¬ ¬

za , quantitativamente, come questi moti avvenivano. Questa nuova attivit à non venne certamente, al principio, intesa come una deviazione dalla tradizione religiosa cristiana . Al contrario, si parlò di due specie di rivelazione divina . L’una da leggersi nella Bibbia e l’altra da ritrovarsi nel libro della natura . La Sacra Scrittura era scritta dall’ uomo e quindi soggetta ad er¬ rore, mentre la natura era l’espressione immediata delle inten ¬ zioni di Dio. L’accento posto sull’esperienza era connesso, tuttavia, con un lento e graduale mutamento dell’aspetto della realtà . Mentre nel Medioevo ciò che noi chiamiamo ora il significato simbolico d’una cosa costituiva in qualche modo la sua realtà primaria, 226

l aspetto della realt à si modificò nella direzione di ciò che pos¬ siamo percepire con i nostri sensi. Reale soprattutto divenne ciò che possiamo vedere e toccare. E questo nuovo concetto di realtà potrebbe venire connesso a un nuovo tipo di attività: noi possiamo fare degli esperimenti e vedere come le cose stan ¬ no realmente. Fu subito avvertito che codesto nuovo atteggia¬ mento significava l avvio della mente umana verso un immenso campo di possibilità nuove , e si può comprendere benissimo come la Chiesa vedesse del nuovo movimento prima i pericoli che le prospettive. Il famoso processo di Galileo, legato alle sue idee sul sistema copernicano, segnò il principio d’una lotta che durò più d’un secolo. In questa controversia i rappresen¬ tanti della scienza naturale potevano mettere in rilievo che l’esperienza presenta una verit à indiscutibile, che non può es¬ sere rimesso ad alcuna autorit à umana il decidere su quanto accade realmente in natura , e che una decisione del genere è presa dalla natura e, in questo senso, da Dio. I rappresen ¬ tanti della religione tradizionale, d’altra parte, potevano con¬ trobattere che col prestare attenzione al mondo materiale, a ciò che percepiamo con i nostri sensi, perdiamo il contatto con i valori essenziali della vita umana , cioè, proprio con quella parte della realtà che è al di là del mondo materiale. Sono due argomenti che non s ’incontrano e perciò il problema non poteva venire risolto con alcun genere di accordo o di de¬ cisione. Nel frattempo la scienza naturale procedeva nel suo compito di offrire una sempre più ampia e più chiara rappresentazione del mondo materiale. Nella fisica questa rappresentazione do¬ veva essere espressa per mezzo di quei concetti che noi chia¬ miamo adesso i concetti della fisica classica. Il mondo consi227

di cose situate nello spazio e nel tempo, le cose consi¬ di materia e la materia può produrre delle forze e delle forze possono agire sulla materia . Gli eventi seguono dall'azio ne reciproca fra materia e forze ; ogni evento è il risultato e la causa di altri eventi. Nello stesso tempo Patteggiamento umano verso la natura si mutò da contemplativo in pragmati¬ co. Non tanto ci si interessava alla natura come essa è, quanto ci si chiedeva piuttosto che cosa se ne potesse fare. Per que¬ sto la scienza naturale si trasformò in scienza tecnica ; ogni progresso conoscitivo veniva legato al problema circa l'uso pra ¬ tico che se ne poteva fare. Questo era vero non soltanto in fisica ; in chimica ed in biologia Patteggiamento era essenzial¬ mente lo stesso, ed il progresso dei nuovi metodi in medicina e in agricoltura contribu ì moltissimo al propagarsi delle nuove tendenze. In tal modo, infine, si venne sviluppando per la scienza natu ¬ rale un sistema estremamente rigido che costituiva non solo la scienza ufficiale ma anche la visione generale della realt à di larghe masse di gente. Il sistema era sostenuto dai concetti fondamentali della fisica classica: spazio, tempo, materia e cau ¬ salità ; il concetto di realt à veniva applicato alle cose e agli eventi che potevamo percepire con i nostri sensi o che pote¬ vano venire osservati per mezzo dei complicati strumenti che la scienza tecnica aveva fornito. La materia era la realtà pri¬ maria. Il progresso della scienza era rappresentato come una crociata alla conquista del mondo materiale. Utilit à era la pa¬ rola d ordine del tempo. D’altra parte, questo sistema era cosi stretto e rigido che era difficile trovar posto in esso a molti concetti del nostro lin¬ guaggio, che avevano sempre fatto parte della sua più genuina steva stono

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di spirito, di anima umana introdotto nel quadro gene¬ rale solo come una specie di specchio del mondo materiale; e quando, nella psicologia , venivano studiate le proprietà di que¬ sto specchio, gli scienziati erano sempre tentati - se mi è lecito portare innanzi il paragone - di porre maggiore attenzione al¬ le sue proprietà meccaniche che a quelle ottiche. Si cercò an ¬ che qui di applicare i concetti della fisica classica, principal¬ mente quello di causalità . Allo stesso modo la vita dovette essere spiegata come un processo fisico e chimico, governato da leggi naturali, interamente determinato dalla causalità. Il concetto darwiniano di evoluzione parve fornire un ampia pro¬ va a questa interpretazione. Fu particolarmente difficile in que¬ sto sistema trovar posto a quelle parti della realtà che erano state l’oggetto della religione tradizionale ed ora apparivano soltanto più o meno immaginarie. Perciò, in quei paesi europei dove si era abituati a seguire le idee fino alle loro estreme conseguenze, si sviluppò un’aperta ostilità della scienza verso la religione, ed anche negli altri paesi ci fu una crescente tendenza verso l’indifferenza nei riguardi di quei problemi ; si salvarono soltanto da questa crisi, almeno per il momento, 1 valori etici del cristianesimo. Ogni altra salvaguardia della mente umana venne sostituita dalla fiducia nel metodo scien¬ tifico e nel pensiero razionale. Tornando ora ai contributi della fisica moderna, si può dire che il cambiamento più importante prodotto dai suoi risultati consiste nella dissoluzione di quel rigido sistema di concetti del secolo diciannovesimo. Naturalmente molti tentativi erano stati fatti in precedenza per sfuggire alla rigidezza di quel si¬ stema che appariva evidentemente troppo ristretto per l’intensostanza , per esempio ai concetti di vita . Lo spirito poteva venir

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dimento delle parti essenziali della realtà. Ma non era stato possibile scorgere ciò che di erroneo poteva esserci nei con ¬ cetti fondamentali di materia spazio tempo e causalità , che tanti successi avevano ottenuto nella storia della scienza . Sol¬ tanto la ricerca sperimentale condotta con l attrezzatura perfezionatissima che la tecnica poteva offrire, e la sua interpreta ¬ zione matematica , fornirono la base per un analisi critica - o, si può dire, potenziarono l’analisi critica - di quei concetti , provando infine la dissoluzione di quel rigido sistema. Questa dissoluzione si realizzò in due fasi distinte. La prima fu la scoperta, per mezzo della teoria della relatività, che per ¬ fino concetti cosi fondamentali come quelli di spazio e di tem ¬ po potevano venir modificati ed effettivamente dovevano venir modificati in seguito a nuove esperienze. Il cambiamento non si riferiva agli alquanto vaghi concetti di spazio e di tempo del linguaggio naturale ; ma concerneva la loro precisa formu ¬ lazione nel linguaggio scientifico della meccanica newtoniana, che era stata erroneamente accettata come definitiva. La se¬ conda fase fu la discussione del concetto di materia imposta dai risultati sperimentali riguardanti la struttura atomica . L’i¬ dea della realtà della materia era stata probabilmente la parte piu solida di quel rigido sistema di concetti del secolo decimonono, e questa idea andava almeno modificata in rapporto alla nuova esperienza. Anche qui i concetti , in quanto appartene¬ vano al linguaggio naturale, rimanevano invariati. Non s’incon ¬ trava alcuna difficoltà a parlare della materia o dei fatti o della realtà quando si dovevano descrivere gli esperimenti atomici ed i loro risultati. Ma l’estrapolazione scientifica di questi con¬ cetti alle parti piu minute della materia non poteva essere fatta nel semplice modo suggerito dalla fisica classica, che aveva fi230

nito erroneamente col limitare la visione generale del proble¬ ma della materia. Questi nuovi risultati dovevano prima di tutto essere consi¬ derati come un serio ammonimento contro l alquanto forzata applicazione dei concetti scientifici a campi che non erano loro propri. L’applicazione dei concetti della fisica classica , ad esem ¬ pio, alla chimica , si era risolto in un errore. Perciò, si sarà ora meno tentati a sostenere che i concetti della fisica, anche quelli della teoria dei quanta , possono essere sicuramente applicati do¬ vunque, nella biologia o nelle altre scienze. Cercheremo, al con ¬ trario, di tenere le porte aperte all’ingresso di nuovi concetti anche in quelle parti della scienza dove i vecchi concetti sono stati assai utili per l’intelligenza dei fenomeni. Specialmente in quei punti dove l’applicazione dei concetti più antichi sembra qualche volta forzata o appare non pienamente adeguata noi ci sforzeremo di evitare le conclusioni imprudenti. Inoltre, uno dei tratti più importanti dello sviluppo e dell’ana¬ lisi della fisica moderna è che i concetti del linguaggio naturale vagamente definiti come sono , appaiono, con l’espandersi della conoscenza , più stabili che non i precisi termini del linguaggio scientifico, derivato per idealizzazione solo da limitati gruppi di fenomeni. Ciò non deve difatti sorprendere giacché i concetti del linguaggio naturale si formano per mezzo d’una relazione immediata con la realtà ; essi rappresentano la realt à . È vero che non sono molto ben definiti e che possono perciò anche subire mutamenti nel corso dei secoli , proprio come ha fatto la realtà stessa, ma non possono mai perdere la connessione immediata che alla realt à li lega. D’altra parte, i concetti scien ¬ tifici sono idealizzazioni ; essi son derivati dall’esperienza otte¬ nuta per mezzo di raffinati strumenti sperimentali , e son defi 2J I

niti con precisione attraverso assiomi e definizioni. Solo attra ¬ verso codeste precise definizioni è possibile connettere i con¬ cetti con uno schema matematico e derivare matematicamente la varietà infinita dei fenomeni possibili in quel campo . Ma in questo processo di idealizzazione e di precisa definizione va perduta la connessione immediata con la realtà. I concetti cor¬ rispondono ancora abbastanza da vicino alla realtà in quella parte della natura che è stata l oggetto della ricerca. Ma la corrispondenza può andar perduta in altre parti riferentisi ad altri gruppi di fenomeni. Tenendo presente l’intrinseca stabilit à dei concetti del linguag¬ gio naturale nel processo dello sviluppo scientifico, si vede che - dopo l’esperienza della fisica moderna - il nostro atteggia ¬ mento verso concetti come intellètto o anima umana o vita o Dio sarà diverso da quello del diciannovesimo secolo , poiché questi concetti appartengono al linguaggio naturale ed hanno perciò immediata connessione con la realtà . È vero che ci appa ¬ rirà anche subito chiaro che questi concetti non sono ben defi¬ niti nel senso scientifico e che la loro applicazione può condur ¬ re a varie contraddizioni ; ma noi sappiamo tuttavia che essi toccano la realt à . Può essere utile a questo proposito ricordare che perfino nella parte piu precisa della scienza , nella mate¬ matica, noi non possiamo fare a meno di servirci di concetti che implicano delle contraddizioni. È ben noto, ad esempio, che il concetto d’infinito conduce a contraddizioni che sono state analizzate; eppure sarebbe praticamente impossibile co struire senza questo concetto le più importanti parti della ma ¬ tematica . La tendenza generale del pensiero umano nel diciannovesimo secolo è stata verso una crescente fiducia nel metodo scienti¬

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fico e gli esatti metodi razionali , ed ha condotto a un generale scetticismo riguardo a quei concetti del linguaggio naturale che non si adattano alla rigida struttura del pensiero scientifico, quelli religiosi, ad esempio. La fisica moderna ha in vari modi accresciuto codesto scetticismo; ma essa lo ha volto nello stesso tempo contro la considerazione esagerata in cui possono venir tenuti i precisi concetti scientifici , o contro una troppo ottimi¬ stica visione del progresso in generale, ed infine contro lo stesso scetticismo. Lo scetticismo verso i precisi concetti scientifici non significa che dovrebbe esserci un limite definito per l ap¬ plicazione del pensiero razionale. Si può dire, al contrario, che la capacità umana di comprendere può essere in certo senso illimitata . Ma i concetti scientifici esistenti abbracciano sem ¬ pre solo una parte molto limitata della realtà , mentre l altra parte, quella tuttora incompresa , è infinita . Ogniqualvolta pro¬ cediamo dal noto all’ignoto noi possiamo sperare di accrescere la nostra comprensione della realtà , ma siamo anche obbligati forse ad apprendere un significato nuovo della parola « com ¬ prendere » . Noi sappiamo che qualsiasi comprensione deve es¬ sere fondata in definitiva sul linguaggio naturale giacché è sol¬ tanto con quello che possiamo sperare di raggiungere la realtà , e perciò dobbiamo essere scettici su ogni forma di scetticismo che si riferisca a questo concetto naturale ed ai suoi concetti essenziali. Possiamo perciò far uso di codesti concetti nel modo in cui essi sono stati sempre usati. In tal modo la fisica mo¬ derna ha forse aperto la porta ad una prospettiva più ampia sulla relazione fra intelletto umano e realtà. Questa scienza moderna , poi, va , nel nostro tempo, penetran¬ do in altre parti del mondo in cui la tradizione culturale è stata interamente diversa dalla civilt à europea. Colà gli effetti di 233

della tecnica de ¬ vono farsi sentire in modo anche più energico che in Europa , giacché trasformazioni essenziali nelle condizioni di vita che hanno richiesto in Europa due o tre secoli dovranno svolgersi li in pochissimi decenni. Ci sarebbe da aspettarsi che in molti luoghi questa nuova attivit à debba apparire come un declino della più antica cultura , come un atteggiamento spietato e bar¬ baro che sconvolge l equilibrio sensibile su cui poggia la feli¬ cità umana . Sono conseguenze che non possono essere evitate e bisogna prenderle come uno degli aspetti del nostro tempo. Ma anche qui l apertura della fisica moderna può contribuire in certa misura a riconciliare le tradizioni più antiche con i nuovi orientamenti del pensiero. Ad esempio, il grande contributo scientifico alla fisica teoretica venuto dal Giappone dopo l’ul¬ tima guerra può essere un indice dell’esistenza d’una certa rela ¬ zione fra le idee filosofiche dell’Estremo Oriente e la sostanza filosofica della teoria dei quanta . Può essere più facile adattarsi al concetto di realtà della teoretica quantica quando non si è passati attraverso l’ingenuo modo materialistico di pensare che prevaleva ancora in Europa nei primi decenni del secolo. Naturalmente tali considerazioni non vanno intese come una valutazione inadeguata del danno che può essere fatto o che può essere stato fatto alle antiche tradizioni culturali dall’urto violento del progresso tecnico . Ma poiché quest’intero sviluppo si è per lungo tempo sottratto a un qualsiasi controllo da parte di forze umane, noi dobbiamo accettarlo come uno dei tratti più essenziali del nostro tempo e dobbiamo tentar di connet¬ terlo per quanto è possibile con i valori umani che hanno co¬ stituito il fine supremo delle più antiche tradizioni culturali e religiose. Può esserci consentito a questo punto di citare un questa nuova attività della scienza naturale e

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episodio tratto dalla religione hasidica: c era un vecchio rab¬ bino, un sacerdote famoso per la sua sapienza a cui tutti veni¬ vano per chieder consiglio. Un uomo andò a trovarlo disperato per tutti i cambiamenti che vedeva avvenire intorno a lui, lamentandosi del danno arrecato dal cosiddetto progresso tec¬ nico. « Tutto questo fastidioso apparato tecnico non è privo completamente di senso» costui esclamò « se si pensa ai reali valori della vita ? » « Può essere, » replicò il Rabbi « ma se si assume il giusto atteggiamento si può imparare da qualsiasi cosa » . « No, » replicò ancora il visitatore « da cose cosi stupide come la ferrovia , il telefono o il telegrafo non è proprio possi¬ bile apprendere niente. » Ma il rabbino rispose: « Hai torto. Dal treno puoi apprendere che basta arrivare un istante troppo tardi per perdere tutto. Dal telegrafo che ogni parola conta. E dal telefono puoi apprendere che ciò che diciamo qui può esse¬ re udito là . » Il visitatore comprese ciò che il rabbino voleva dire e se ne andò. Infine, la scienza moderna penetra in quelle ampie aree del nostro mondo attuale dove nuove dottrine sono venute trion ¬ fando solo da pochi decenni come fondamenti per nuove e po¬ tenti società. Li la scienza moderna si trova di fronte sia al contenuto di quelle dottrine che risalgono al pensiero filosofico europeo del diciannovesimo secolo ( Hegel e Marx ) sia al feno¬ meno d una fede senza compromessi. Poiché la fisica moderna deve svolgere un ruolo importante in questi paesi per via delle sue applicazioni pratiche, difficilmente si eviterà che l angustia di quelle dottrine non venga sentita da coloro che hanno vera mente capito la fisica moderna ed il suo significato filosofico. Perciò può a questo punto aver luogo un’azione reciproca fra scienza ed orientamento generale del pensiero. Naturalmente, ¬

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l influenza della scienza non dovrebbe essere sopravvalutata ; ma potrebbe succedere che l apertura della scienza moderna possa render più facilmente evidente a più numerosi gruppi di gente come le dottrine politiche non sono forse cosi impor ¬ tanti per la società come si era creduto un tempo. In tal modo l influenza della scienza moderna può favorire un atteggiamento di tolleranza e mostrarsi di conseguenza veramente preziosa . D’altra parte, il fenomeno della fede inflessibile ha molto più peso di certe particolari nozioni filosofiche del secolo dicianno¬ vesimo. Non possiamo chiudere gli occhi al fatto che è difficile per la gran maggioranza della gente farsi un giudizio ben fon ¬ dato sulla giustezza di certe importanti dottrine od idee gene¬ rali. Quindi può essere che la parola «credere » non significhi per la maggioranza di quella gente « percepire la verit à di qual¬ che cosa » , ma viene piuttosto presa nel senso di « assumere questo a base della vita » . Si può facilmente intendere come questo secondo tipo di fede sia molto più fermo e stabile che non il primo e come possa persistere perfino contro una espe¬ rienza diretta che la contraddica , senza restare scossa, perciò, da alcuna sovraggiunta conoscenza scientifica . La storia dei due ultimi decenni ha mostrato con molteplici esempi che questo secondo tipo di fede può qualche volta esser portato ad un punto che sembra completamente assurdo e che si estingue , allora, soltanto con la morte del credente. La scienza e la storia possono insegnarci qual genere di pericolo possa diventare un tal genere di fede per quelli che la condividono. Ma esser co¬ scienti di questo non è di alcun profitto perché non si riesce a vedere in che modo tutto ciò possa essere evitato e perché tale fede è sempre appartenuta alle grandi forze della storia umana . Dalla tradizione scientifica del diciannovesimo secolo 236

si sarebbe naturalmente inclinati a sperare che ogni fede abbia il suo fondamento su una analisi razionale di ciascun argomento e sopra una ponderata deliberazione, e che quest altro tipo di fede, in cui una verità reale o apparente è assunta semplicemente come base per la vita , non dovrebbe neppure esistere. È vero che una cauta deliberazione basata su argomenti pura mente razionali può salvarci da molti errori e pericoli , perché rende possibile il riadattamento alle nuove situazioni , ciò che può essere una condizione necessaria per la vita. Ma tenendo presente l esperienza da noi fatta nella fisica moderna è facile vedere come può sempre esistere una complementarit à fondamentale fra deliberazione e decisione. Nelle decisioni pratiche della vita non sarebbe certo possibile ponderare tutti gli argo¬ menti prò e contro ogni possibile decisione che va quindi sem ¬ pre presa in assenza di argomenti assolutamente determinanti. La decisione viene infine presa eliminando tutti gli argomenti - sia quelli già esaminati che gli altri che potrebbero presen ¬ tarsi attraverso ulteriori considerazioni - e tagliando corto al ponderare. La decisione può essere il risultato della delibe¬ razione, ma è nello stesso tempo complementare alla delibera¬ zione e finisce con l escluderla. Anche le più importanti deci¬ sioni presentano sempre nella vita quest’inevitabile elemento d’irrazionalità . La decisione è poi necessaria perché deve esservi qualche cosa su cui fondarsi , qualche principio che guidi le nostre azioni. Senza tale punto fermo le nostre azioni perde rebbero ogni forza . Non si può perciò evitare che una qualche verità reale o apparente formi la base della vita ; e questo fatto andrebbe riconosciuto nei riguardi di quei gruppi di gente che parte da una base diversa dalla nostra . Venendo ad una conclusione derivante da quanto si è detto ¬

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intorno alla scien2a moderna, si può forse affermare che la fisica moderna costituisce appunto una parte - assai caratte¬

ristica - d un generale processo storico che tende verso un uni¬ ficazione ed un ampliamento del nostro mondo attuale. Questo processo dovrebbe di per sé condurre ad una diminuzione di quelle tensioni culturali e politiche che costituiscono il grande pericolo del nostro tempo. Ma esso è accompagnato da un altro processo che agisce nella direzione opposta. Il fatto che grandi masse di gente acquistino coscienza di questo processo di uni¬ ficazione si traduce in un incitamento a tutte le forze delle comunità culturali esistenti ad assicurarsi per i loro valori tra ¬ dizionali la parte piu larga possibile nello stato finale dell u¬ nificazione. Quindi le tensioni aumentano e i due processi in competizione sono cosi strettamente legati l’uno all’altro che ogni intensificarsi del processo unificatorio - per mezzo, ad esempio, del nuovo progresso tecnico - intensifica anche la lotta per la conquista della posizione finale e contribuisce quin ¬ di all’instabilità dello stato transitorio. Può essere che la fisica moderna svolga solo un ruolo modesto in questo pericoloso processo d’unificazione. Ma essa contribuisce, in due punti de¬ cisivi, a mantenere a questo sviluppo il carattere d’una più pacifica evoluzione. Primo, essa mostra quale disastro sarebbe in tale processo l’uso delle armi; secondo, attraverso la sua apertura verso ogni genere di ideologia essa fa sorgere la spe ranza che nel finale stato d unificazione molte, diverse tradizioni culturali possano convivere e possano fondersi insieme compor¬ tamenti umani diversi in un nuovo tipo d equilibrio fra pen ¬ siero e prassi, fra attività e meditazione. ¬

Edizione stampata e rilegata dalle Officine Grafiche Mondadori Verona Produzione AME Ottobre 1966 Printed in Italy

I Gabbiani Pubblicazione periodica Registr. Trib. di Milano n . 6433 del 6-12-1963 Direttore responsabile: Alberto Mondadori

autore

Werner Heisenberg ( Mtinchen , 1901), premio Nobel 1932 per la Fisica, professore a Lipsia e a Berlino dal 1927, CM direttore dal 1941 del Max Planck Institut , è stato uno *0 dei fondatori della Meccanica Quantistica , alla quale ha contribuito sia per la formulazione matematica che per i fondamentali aspetti interpretativi. Tra questi va ricor dato il Principio di Indeterminazione che, insieme al Principio di Complementarità dovuto a Bohr, sta alla ba se di una nuova impostazione dei rapporti tra l osserva tore e il mondo osservato.

titolo

« È compito non secondario» afferma Heisenberg « tentare di discutere le idee della fisica moderna , non secondo un linguaggio tecnico, ma in rapporto alle loro conseguenze nel campo filosofico. » E quest opera mostra appunto co¬ me l’attuale inoltrarsi della Fisica verso gli ultimi costi tuenti della materia porti a modificare fondamentali con cetti scientifici con inaspettate, grandiose implicazioni an che sul piano del pensiero speculativo. Le scoperte della Fisica atomica sono qui limpidamente prospettate, mentre ne vengono messe in luce le ragioni e i valori, soprattut to per quanto concerne il problema della conoscenza.

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I Gabbiani , con le loro novità e ristampe, mettono alla portata di tutti la più completa raccolta dei libri che biso¬ gna leggere o rileggere per essere alla pari con la cultura e la vita moderna.

lire 700 il linguaggio umano della scienza